Till Death do us part

di Shayleene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Till Death do us part ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Till Death do us part ***




Till death do us part

Gli infiniti negozietti si susseguono uno dietro l'altro in una cacofonia di colori e vetrine che lasciano sempre confusi i turisti che visitano la città per la prima volta, ma a me piacciono tanto quanto le strade affollate a qualsiasi ora del giorno e con qualsiasi tempo atmosferico. La moltitudine di persone che si muove freneticamente da un luogo all'altro sommersa di impegni, i clacson delle auto che risuonano feroci sulle vie principali, la dolce e carezzevole melodia dei musicisti di strada nelle piazzette del centro... riescono a farmi sentire più viva, nonostante gli sguardi dei passanti non si posino mai su di me come se non esistessi.
E non hanno del tutto torto: io non esisto, o perlomeno non nel senso "umano" del termine. Non saprei neppure come definirmi esattamente, se non un'emanazione al servizio di qualcuno più in alto di me. Tuttavia, so perfettamente come mi vedono gli abitanti di questa città che stanno per passare all'altro mondo: come la Morte nelle spoglie di una giovane ragazza dallo sguardo di ametista giunta ad avvisarli che è giunta la loro ora.
Credono di avere a che fare con la Morte in persona, ma non sanno che siamo noi, i suoi servitori, a compiere il lavoro "sporco". Lei di certo non si abbasserebbe a compiti del genere.
Noi, creature originate dalla sua stessa essenza, ci occupiamo di spegnere l'ultimo barlume di vita e raccogliere le memorie dei morenti.
Noi, i Reaper.
Noi, gli angeli della morte.
L'infinito cielo scuro di nubi portatrici di pioggia incombe sui tetti della città, preannunciando un probabile temporale. Il vetro di una vetrina riflette il mio volto dai tratti giovani e ancora acerbi, ricordandomi per l'ennesima volta quanto io sia diversa dagli altri Reaper.
Siamo milioni e milioni disseminati in tutto il mondo uno per città, effimeri come soffi di vento in una serata estiva. Già, perché non siamo creature immortali come ci si potrebbe aspettare, ma torniamo ad essere parte integrante della Morte non appena raggiungiamo il millennio. Agli umani che da sempre agognano l'immortalità potrebbe sembrare un'infinità di tempo, però loro non si vedono certo aumentare gli anni vissuti ogni volta che tolgono la vita a qualcuno.
Riporto lo sguardo sulla stradina pedonale affollata di gente tenuta al caldo dai loro sgargianti cappotti, i guanti di lana e i vistosi berretti. Fa piuttosto freddo a quanto pare, sebbene io non riesca a percepirlo non essendo realmente materiale.
Un gruppetto di amiche mi passa vicino, le loro risate cristalline che risuonano allegre rendendo meno cupa la giornata così grigia. Tuttavia il mio animo è inquieto vedendo lo stesso numero inciso su ogni superficie attorno a me, persino sulla pelle scoperta delle ignare persone.
984.
La somma esatta delle età di tutte le persone che ho condotto alla morte.
Emetto un piccolo sbuffo divertito sebbene dentro di me non ci sia spazio per un'emozione come quella. Comico come una ragazza che sembrerebbe appena diciannovenne porti dentro di sé quasi mille anni di esperienza. Ricordi di decine di persone affollano la mia mente, rendendomi intellettualmente superiore a qualsiasi uomo sulla Terra. Alcuni di essi sono inutili memorie appartenenti a dei neonati morti di fame e freddo per strada, ma la maggior parte dei miei Assistiti era già adulto quando sono andata da lui a spegnere la sua fiamma vitale.
Ecco perché la Morte non ci ha resi immortali: è ben consapevole che troppa conoscenza racchiusa in un unico essere potrebbe diventare pericolosa e portare addirittura ad una rivolta, perciò ha risolto il problema tramite la "restrizione" dei mille anni di vita.
Accumuliamo secoli di ricordi che non ci appartengono, quasi fossimo dei contenitori vuoti da riempire e svuotare a proprio piacimento. Ogni volta che vedo passare un bambino che stringe la mano di sua madre, sento che vorrei aver avuto anche io un'infanzia come ogni umano, sebbene sia consapevole che pensieri simili non siano ben accetti in creature come me.
E' davvero così sbagliato desiderare qualcuno che mi voglia bene, che non sia pronto a sostituirmi con qualcun altro non appena ho terminato il mio compito?
Nasciamo già perfettamente formati da una parte di essenza della Morte, tutti con le stesse sembianze: dei bianchi scheletri nascosti sotto mantelli neri e sgualciti e con in mano una falce d'osso. La maggior parte dei Reaper si presenta così ai suoi Assistiti, quasi divertendosi a vedere il loro ultimo sguardo carico di orrore nel vedere una figura simile incombere su di loro.
Anche in questo caso mi sono differenziata dagli altri, assumendo le fattezze di una semplice umana. Certo, gli occhi viola non sono certo una loro peculiarità, ma questo colore sembra in qualche modo calmarli quando mi vedono. In punto di morte sanno perfettamente chi sono, ma almeno non se ne vanno con il cuore carico di paura.
In qualche modo sento che è mio dovere assicurargli un trapasso sereno e tranquillo, per quanto possibile.
Una goccia scurisce la strada ai miei piedi, e subito dopo una lieve pioggerellina sottile inizia a scendere dal cielo plumbeo, senza però sfiorare i miei capelli bruni. Uno dei vantaggi dell'essere una specie di spirito è che nulla può nuocerti in alcun modo.
Per una specie di riflesso incondizionato mi stringo nella mia mantellina beige, mentre gli umani intorno a me corrono a ripararsi sotto i tetti o aprono i loro ombrelli dai colori vivaci. Dai camini escono già degli sbuffi di fumo nero che salgono a volute fino al cielo, confondendosi con le nuvole scure.
Improvvisamente, ecco la solita sensazione che mi pervade il corpo come una scarica elettrica, il segnale che è il momento di entrare in azione. Affretto il passo, attirata inevitabilmente da un'energia superiore che mi conduce verso il prossimo Assistito come una guida invisibile. Chi sarà questa volta? Un anziano abbandonato? Un padre di famiglia? Una donna uccisa durante una rapina?
Procedo senza indugi muovendomi agile tra la folla, a volte persino balzando elastica come un gatto per fare più in fretta. Sento che la mia meta è vicina e provo l'urgenza di terminare il compito per cui sono stata creata, ma allo stesso tempo la mia mente non può fare a meno di ricordarmi che quella potrebbe essere il mio ultimo intervento prima di tornare ad essere un semplice cumulo di essenza della Morte, che verrà usato per creare nuovi Reaper.
In un certo senso sono riluttante a compiere il mio ultimo dovere, perché in fondo mi sono affezionata a questa città, al suo spirito caotico, alle numerose etnie raggruppate in un unico posto e ai colori che balzano all'occhio persino nei giorni grigi come questo. Potrebbe sembrare assurdo a dirsi, ma in mezzo a questa infinità di palazzi, negozi e persone mi sento quasi a casa, e mi sembra persino un'ingiustizia doverla abbandonare così presto.
Eppure non posso evitare di fare un passo dopo l'altro, costretta da catene che mi avvolgono dal momento stesso in cui sono stata creata.
Svolto bruscamente in una stradina secondaria, la mantellina che si solleva per il movimento improvviso. I miei stivali neri non producono alcun suono mentre inizio a correre non appena sento la sirena dell'ambulanza in lontananza, e la gonna nera colpisce le mie gambe coperte da fini calze scure.
I negozietti diventano delle figure sfocate simili a quadri dell'impressionismo mentre il vento si accanisce contro il mio viso e i capelli, scuotendoli con forza. Alla fine della strada c'è un gruppetto di gente ammassata che fissa incuriosita qualcosa al centro del Sunset Boulevard, e percepisco che ho raggiunto la mia meta.
Spicco un salto che non ha nulla di umano atterrando al centro del cerchio di gente dal quale si levano grida di sorprese e dolore inframezzate a chiacchierii sommessi. Quando vedo la figura distesa a terra in una posizione scomposta abbasso per un attimo lo sguardo, sconfortata dalla dura realtà.
Una ragazza. Un'innocente sedicenne che ha deciso di liberarsi della sua vita sopraffatta dal dolore e dalle ingiustizie compiute nei suoi confronti. Riesco a percepire ogni cosa solo standole vicino, vedo davanti ai miei occhi ogni singolo brandello della sua breve e travagliata esistenza.
Rivedo il momento in cui si è lanciata dal secondo piano dell'appartamento in cui vive, sperando finalmente di poter mettere fine alla sua sofferenza, l'aria che l'accoglieva tra le sue braccia, l'impatto col terreno che non aveva spezzato definitivamente il suo legame con la vita.
Ha sedici anni.
La sua morte significherà anche la mia scomparsa.
Per un attimo vorrei far finta di non essere una Reaper e lasciare che la sua anima se ne vada nel luogo in cui è stata destinata senza raccoglierne i ricordi, ma il mio stesso essere me lo impedisce obbligandomi a muovermi. Mi inginocchio accanto a lei, invisibile alle persone intorno ma non alla giovane, e le scosto  delicatamente i capelli biondi incrostati di sangue dal viso cinereo. E' triste vedere come alcuni sono così pronti a rinunciare ad un dono prezioso come la vita mentre io vorrei poter avere ancora qualche anno in questo mondo.
E' ancora viva, ma il suo respiro è ridotto ad un rantolo e dalla bocca esce un rivolo di denso sangue rosso vivo. Solleva a fatica il suo sguardo su di me, e quando incrocia i miei occhi giunge anche la consapevolezza di ciò che sta per accadere. Le sue labbra si increspano in un lieve sorriso di sollievo e gratitudine quando le poso la mano sul petto per assorbire i suoi ricordi e con essi l'ultima fiammella di vita che resta in lei.
Il suo petto smette di sollevarsi, e nei suoi occhi compare un velo opaco.
E' tutto finito.
Vedo una donna sbucare dalla folla spintonandosi con aria disperata, per poi crollare in ginocchio scossa dai singulti accanto alla figlia senza vita. La gente si fa in disparte lasciando un varco all'ambulanza dalle sirene spiegate, ma le mie orecchie non percepiscono nessun suono eccetto il rintocco di un orologio.
Sollevo in fretta lo sguardo osservando con sgomento attorno a me le cifre del numero 984 ruotare fino a raggiungere il mille.
Improvvisamente è come se la realtà si fosse bloccata nel giro di un battito di ciglia. I due medici che scendono dall'ambulanza insieme a due infermieri con una barella, la madre della ragazza che le stringe disperatamente la mano fredda, i primi giornalisti accorsi sul posto per documentare un'altra triste notizia, come degli avvoltoi pronti a lanciarsi sulla carcassa. Mi sono sempre chiesta perché gli umani preferiscano parlare tanto di orrori come questo piuttosto che le bellezze della vita.
Davanti a me compare un tornado nero che vortica su sé stesso allungando i suoi tentacoli di ombra nell'area circostante. E' giunto il momento.
Stringo forte i pugni sentendo che le mani mi tremano. E' ridicolo provare paura per la cosa che mi ha generato, per l'essenza stessa di cui sono costituita, eppure è così. Ho passato la mia intera esistenza ai suoi servigi portando la morte in questa città in sua vece, ed ora è arrivato anche il mio momento. Il manto d'ombra diventa lentamente sempre più rarefatto, rivelando la figura al suo interno.
Trattengo il fiato e faccio inconsapevolmente un passo indietro. Non c'è dubbio che sia la Morte, lo percepisco, eppure l'idea che mi ero sempre fatta di ella si è rivelata sbagliata. Non l'avevo mai vista prima d'ora, e non posso che essere stupefatta dalle sue sembianze.
E' un giovane sui venticinque anni, dalla corporatura massiccia ma perfettamente in armonia con la sua altezza. L'unico indumento che indossa sono un paio di pantaloni neri, mentre due ali di pura oscurità si dischiudono dietro di lui mettendo ancora più in evidenza i suoi capelli talmente chiari da sembrare candidi quasi come la neve.
Avanza alcuni metri verso di me camminando a piedi nudi sull'asfalto, e io non posso fare a meno di ammirarlo senza parole. Dovevo immaginare che anche la Morte potesse assumere le sembianze che più gradiva, ma nonostante questo non posso ancora credere a ciò che sto vedendo davanti ai miei stessi occhi.
Quei capelli, quello sguardo, quelle labbra leggermente dischiuse come se volesse dire qualcosa ma non ne avesse il coraggio, persino la minuscola cicatrice sotto l'occhio sinistro... è identico al ragazzo che ho incontrato tempo fa e di cui non avevo potuto fare a meno di innamorarmi nonostante lui non potesse nemmeno vedermi.
Mi sentivo così meschina nei momenti in cui desideravo la sua morte per potermi appropriare dei suoi ricordi e farlo diventare parte di me che ancora me ne vergogno, ma allora non riuscivo a controllare le mie emozioni. E non ci riesco neppure in questo istante.
Incrociando il suo sguardo comprendo tutto ciò che le semplici parole non potrebbero mai dire. Vi leggo l'amore di una madre nei miei confronti, il rispetto per tutto ciò che ho fatto per lei come sua reaper e il desiderio di farmi salutare la mia breve vita accontentando il mio unico desiderio: lasciarmi cullare dalle braccia dell'unica persona che mi ha resa quasi umana facendomi scoprire il sentimento dell'amore.
Le sue braccia si dischiudono come due delicate ma allo stesso possenti ali di gabbiano, invitandomi a raggiungerlo. So che la mia fine è ormai decretata, e tuttavia non riesco a impedire alle mie gambe di colmare lo spazio che ci separa fino ad arrivare ad un metro da lui.
-Seere.-
Il mio nome. Il nome che non avevo mai conosciuto fino a questo istante.
La sua voce calda e suadente riesce a scuotermi fino nel profondo, convincendomi a lasciarmi racchiudere dalle sue braccia. Ora che gli sono più vicina riesco persino a sentire il suo profumo muschiato che tanto mi aveva colpita la prima volta che l'avevo incontrato. Sento la sua mano accarezzarmi delicatamente i capelli, e un brivido mi percorre la schiena. Mi sento più viva che mai, come se da un momento all'altro potessi percepire un vero cuore battere nel mio petto vuoto.
-Sei stata brava, mia piccola Seere.- mi sussurra, seguendo i lineamenti della mia mandibola con la mano chinandosi su di me. In un angolo remoto della mia mente il terrore per la mia morte prossima non smette di assillarmi, ma non può nulla contro la mera illusione di avere davanti a me Kyle, il mio sogno proibito.
Ormai le sue labbra carnose sono a pochi centimetri dalle mie quando mormora:-Vieni con me.-
Senza nemmeno rendermene conto gli rispondo un debole "sì" prima di posare la mia bocca sulla sua assaporando quel bacio che avevo sempre desiderato. Vengo volta da un calore talmente intenso da bruciare un'intera foresta, e in quell'istante so che la mia vita da Reaper è finita.
Riapro gli occhi che avevo chiuso per un attimo, e vedo che le ali della Morte si sono chiuse attorno noi due come un bozzolo creato dalla notte senza stelle. Il respiro inizia a venirmi meno, il mio corpo diventa sempre più pallido e inconsistente.
"Grazie di tutto, figlia mia." mi sento sussurrare nella mente, e alzo lo sguardo verso la figura scura e indefinita che mi tiene stretta a sé facendomi ridiventare parte della sua stessa essenza.
Mi sbagliavo. Ho qualcuno che mi ama veramente e che mi apprezzerà in eterno. Sin dal giorno della mia nascita, la Morte ha iniziato il suo cammino verso di me, ed ora mi ha raggiunta per accogliermi nuovamente tra le sue braccia.
Probabilmente se fossi stata un'umana avrei dovuto soffrire tutta la vita per gli innumerevoli rifiuti che avrei ricevuto. Sarei stata lasciata con la scusa che non ero la persona giusta, dimenticata ben presto grazie ad un altra ragazza incontrata per strada.
Invece per la Morte sono insostituibile. 
Io sono parte della Morte. 
Io SONO la Morte.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 


Novità!!! Ho deciso di continuare la oneshot e renderla una storia vera e propria, siete contenti? Il cambio di tempo verbale da presente a passato remoto è voluto, non temete. Spero che continuerete a seguire la storia, e soprattutto che vi piacerà!

Tutto ebbe inizio con un'ombra scura che lentamente si staccò dalla figura seduta in un ampio trono d'avorio bianco, lavorato così finemente da sembrare persino fatto d'ossa umane. Decorazioni delicate ed elaborate si inerpicavano su tutto lo schienale, mostrando l'immagine di una figura incappucciata che con le sue braccia aperte pareva voler stringere a sé chiunque si fosse seduto sul trono.
L'ombra aleggiò nell'aria per qualche istante, e al suo centro si intravide un tenue bagliore rosso, simile ad un rubino pulsante nascosto dentro una sfera opaca. Venne sospinta da una brezza invisibile a qualche metro di distanza, per poi calare lentamente fino a toccare il suolo. Lì iniziò ad espandersi, un ammasso nero che si innalzava e da cui dipartivano degli spuntoni affilati. Uno, due, fino a cinque. Quasi fosse un albero rinsecchito che cercava di affondare le sue radici scheletriche nel terreno arido del deserto in cerca di qualche goccia d'acqua. 

Poi quelle asperità cominciarono ad arrotondarsi, diventando più morbide e meno mostruose. In quella più in alto si aprirono due fori uno accanto all'altro, e uno leggermente sotto più allungato. Si iniziarono a intravedere delle linee più definite, materia nera che era plasmata da uno scultore invisibile che ne stava regolando i tratti deforme. 
La superficie nera assunse secondo dopo secondo un colorito sempre più chiaro, fino a raggiungere un rosa eburneo. Comparvero le mani, i piedi, le dita e una chioma scomposta di capelli biondi e mossi. Al posto delle due cavità vi erano ora due occhi blu che richiamavano le profondità marine agitate da forti correnti e custodi di segreti antichi. Sotto c'era un naso dritto e arrotondato sulla punta, mentre la bocca dalle labbra sottile era piegata in una smorfia di dolore.
Tutta l'oscurità sembrò staccarsi da quella figura sollevandosi dietro di lei, e condensandosi in un lungo mantello scuro che la ricoprì immediatamente poco prima che essa crollasse a terra.

*

Inizialmente vi fu solo una gran confusione di sensazioni. Come rendersi finalmente conto di essere vivi dopo un lungo tempo, prendere un respiro dopo essere stati costretti a trattenere il fiato per ore interi. 
Immagini, rumori, sapori, superfici, voci... ogni cosa si sovrapponeva una sopra l'altra creando il caos totale. Eppure nonostante quello c'era un calore di fondo che rendeva il tutto sopportabile, un'emozione simile al conforto che come una coperta aggiungeva quella creatura informe che stava nascendo dall'oscurità. 
Un'essenza che, insieme al suo corpo, stava anche acquisendo coscienza del compito che gli sarebbe spettato, una missione così gravosa e di vitale importanza per la quale avrebbe dovuto dare tutto. Anche la vita. Dopo quel primo momento di confusione tutto divenne lentamente più chiaro, una strada che prima era immersa nel buio ma che lentamente veniva illuminata da delle piccole luci che indicavano la via da seguire per non perdersi nel buio più profondo da cui provenivano voci terrificanti che preannunciavano morti terribili.
Anche alla fine di quella strada illuminata vi era la morte, ma in un certo senso pareva più accogliente di quella che sarebbe spettata deviando dal sentiero. Più giusta, persino. Più umana.
Con quell'ultima parola aprì lentamente gli occhi. E con quell'ultima parola in mente, giunse il dolore.
Il suo corpo appena formatosi crollò a terra in preda agli spasmi. Non ne aveva alcun controllo: gli arti si irrigidivano rifiutandosi di rilasciare quella posizione a guscio in sui si erano ritirati, mentre le mani tremavano senza posa. Miliardi di aghi ferivano impietosi quella carne ancora sottile e delicata, mentre successivamente zanne invisibili la laceravano senza però lasciare alcuna traccia delle ferite. Delle scosse elettriche alla testa fecero gridare la creatura, rivelando la sua voce ringhiante e gutturale degna di un mostro degli abissi. 
La figura sul trono osservava impassibile, sbattendo lentamente le palpebre dalle lunghe ciglia nere. Pareva essere insensibile a ciò che stava accadendo davanti a lei, persino abituata a vedere scene simili. Si limitava ad attendere pazientemente, tamburellando le lunghe e magre dita diafane sul bracciolo del trono. 
Nel frattempo un fuoco interiore stava divorando dall'interno la creatura, facendogli desiderare la morte.
E in quell'istante tutto finì.
La creatura si immobilizzò, prima posando a terra gli arti spossati e poi rialzandosi, barcollando solo per un istante ed ergendosi con la schiena dritta e lo sguardo fiero. Il rito della nascita era stato completato.
-Figlio mio- mormorò allora l'altra figura, sollevando una mano verso di lui. La creatura che si era appena alzata si avvicinò a lei, le prese la mano e ne baciò il dorso con le labbra pallide.
-Madre- la salutò, rivolgendole uno sguardo pieno di rispetto.
La Morte sorrise alla sua nuova creatura, studiandone i lineamenti cesellati che possedeva. Con quei tratti così eleganti ed affascinanti sembrava proprio un umano qualsiasi.
-Vi ringrazio infinitamente per avermi donato la vita- continuò questi, inchinando la testa in segno di riverenza verso la Morte, che aveva assunto l'aspetto di una giovane dai capelli rossi, la pelle chiara e il corpo formoso. Ma ciò che colpivano di più erano gli occhi completamente neri, oscuri come dei pozzi senza fine, nei quali si poteva vedere la sua vera essenza: la Morte.
-No, devo essere io a ringraziarti, figlio mio.- rispose ella, alzandosi in piedi e prendendogli delicatamente il mento tra le mani. -Sono certa che mi servirai perfettamente come mio Reaper- aggiunse, posando le labbra carnose sulle sue dandogli un lungo bacio.
-Ora va, e compi il tuo dovere.- gli intimò, allontanandosi da lui e osservando la creatura costituita dal suo stesso essere inginocchiarsi un'ultima volta prima di scomparire nel nulla come una folata di fumo spazzata dal vento.

 

Allora, che ne pensate di questo primo capitolo? :3




 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Il giovane Reaper dischiuse lentamente gli occhi, schermandosi gli occhi chiari e sensibili da una luce intensa.
"Il sole".
Come chiunque altro Reaper sapeva perfettamente cos'era, dato che nascevano già completamente formati ed istruiti sul mondo umano, ma non si era aspettato nulla di così... luminoso. Si mise seduto facendo leva sulle braccia e osservandosi in giro. Si trovava su quello che sembrava un grattacielo di circa sei piani di un grigio spento. 
L'aria scuoteva i suoi capelli mossi, accarezzandogli il viso. No, dal luogo dal quale proveniva non esisteva proprio nulla del genere, solo un'atmosfera tinta di un rosso cupo, quasi ci si trovasse in una caverna buia rischiarata da numerose torce. Non un refolo di vento, non un rumore, non il passare delle stagioni: tutto era eterno ed immutabile. Come la Morte.
Il mondo umano lo confondeva, così ricco di colori, suoni ed odori che si mischiavano in una strana cacofonia. Provò lo strano desiderio di levarsi il pesante mantello nero per crogiolarsi al sole, ma scosse la testa.
"Cosa diamine sto pensando? Io non percepisco il calore, e non sono certo qui per una vacanza" si redarguì, alzandosi in piedi con un balzo atletico. 
Studiò dall'alto il profilo della città, analizzandone i tetti colorati del centro che si alternavano a degli sgraziati grattacieli scuri, lo svettante campanile della chiesa principale probabilmente molto antico all'interno del quale riusciva persino a vedere una grande campana bronzea grazie alla sua vista da Reaper. I negozi dalle vetrine arcobaleno si alternavano a condomini e case multifamiliari, alcune dai muri bianchi, altre fatte di mattoni, altre ancora di tenui colori pastello.
Inclinò la testa di lato, calcolando in nemmeno un secondo la popolazione e l'estensione della città. Non sarebbe stato un compito troppo difficile: gli era stata affidata una cittadina non troppo grande e nemmeno affollata.
"Per lo meno esisterò più a lungo" pensò, stupendosi subito dopo di quell'affermazione. Non avrebbe dovuto formulare una frase del genere. Non lui, che nasceva e viveva solo per servire la Morte. Forse era dovuto al fatto che aveva avuto origine solo qualche minuto prima, e doveva abituarsi a quel mondo umano.
Rassicurato da questa spiegazione, si avvicinò con passo deciso al cornicione del tetto del grattacielo, abbassando lo sguardo verso la strada riempita di auto e passanti che sgomitavano sui marciapiedi dalla fretta.
Sembravano tutti così impazienti con le loro facce corrucciate e l'andatura rapida, quasi si trattasse di portare a termine un compito di vitale importanza. Gli occhi blu del Reaper fossilizzarono nella sua mente quell'immagine.
"Non hanno tutti i torti" rifletté. "Hanno così poco tempo per vivere che cercano di sfruttarlo al meglio. In fondo, quanto durano ottanta, novant'anni? Non sono altro che un battito di ciglia rispetto alla vita di questo mondo. Verranno dimenticati persino in meno tempo. Cercano solo di essere ricordati."
In quell'istante la sentì. Una strana sensazione al petto che lentamente si irradiò fino al cervello. Non era nulla di spiacevole, ma gli comunicava una certa urgenza che lo spinse a muoversi senza attendere un istante di più. 
Piegò le gambe atletiche, lanciandosi nel vuoto. 
Qualunque altro uomo sarebbe precipitato sempre più velocemente schiantandosi al suolo e diventando una poltiglia irriconoscibile, ma come ogni Reaper era fatto d'ombra condensata che non era influenzata né dall'aria né dalla gravità. Si posò delicatamente sulla strada grigia, mettendosi immediatamente a correre.
Non aveva mai provato quella sensazione, eppure sapeva benissimo cosa significava: da qualche parte c'era bisogno del suo intervento, e lui riusciva a percepire dove. Non aveva molto tempo, lo percepiva dalla stretta che gli serrava lo stomaco incitandolo a correre più forte.
"Più veloce figlio mio, più veloce" gli sembrò perfino di sentirsi sussurrare dalla voce della Morte, quasi volesse spronarlo a portare a termine il suo primo compito. Accelerò ulteriormente, sfrecciando incolume tra le strade trafficate attorniate da edifici che ora erano semplici macchie di colore visibili solo con la coda dell'occhio.
"Muovetevi, dannazione!" intimò il Reaper alle gambe del suo corpo simile a quello umano. Non riusciva a capire perché la Morte non avesse permesso loro di mantenere una forma simile a quella primordiale per spostarsi più velocemente. Per un istante non invidiò affatto i Reaper guardiani delle grandi metropoli mondiali.
Dopo quella che gli sembrò un'eternità arrivò finalmente all'ingresso dell'ospedale, ed entrò passando attraverso le ampie porte automatiche che erano quasi perennemente aperte per il continuo afflusso di visitatori. Doveva sbrigarsi, la fiammella vitale del suo assistito si stava spegnendo.
Sentì un brivido di terrore serpeggiare sulla sua schiena, ma riuscì a dominarlo. Non avrebbe permesso che la sua prima missione fallisse miseramente, non avrebbe tradito la fiducia di sua madre.
Dopo pochi istanti aveva già salito quattro rampe di scale e percorso un intero corridoio, fermandosi bruscamente davanti alla stanza 113.
Aprì la porta precipitandosi verso il letto, nel quale un uomo sulla cinquantina vi stava disteso, collegato a numerosi aghi, macchinari e persino dei piccoli tubicini nel naso e nella bocca. 
Il volto scavato era contratto in una smorfia di dolore, e su tutti il collo c'erano larghe chiazze violacee. Dei radi capelli brizzolati ne incoronavano il capo, scosso a volte da brevi tremiti. Il corpo magro dagli arti immobili era coperto da numerose coperte, e nonostante quello sembrava che avesse ancora freddo. Ma quello non era un freddo che si poteva combattere con altre lenzuola.
"Sono arrivato in tempo" pensò il Reaper con un sospiro di sollievo.
L'assistito aveva gli occhi chiusi, e non si accorse neppure quando il Reaper gli posò una mano sul petto spegnendo l'ultima stilla di vita che gli era rimasta e acquistando tutti i suoi ricordi. Improvvisamente si sentì molto più pesante, quasi sulle spalle gli fosse stato caricato un enorme fardello. Davanti ai suoi occhi scorsero decine e decine di immagini, suoni, ricordi di una vita ormai conclusa.
Numerosi volti, paesaggi e suoni gli affollarono la mente. Poi il vuoto. Dietro le palpebre chiuse comparve il numero mille. Lentamente, le cifre iniziarono a ruotare con rapidità per poi rallentare.
946.
Quelli erano gli anni che gli rimanevano. 
Il Reaper aprì gli occhi, e in quell'istante si accorse di due cose.
La prima era che, seduta accanto al letto con il volto in lacrime c'era una ragazza dai capelli rossi.
La seconda, quella più sconcertante che lo fece rabbrividire nel profondo, era che quella ragazza lo stava guardando con occhi sgranati.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, scrivete pure le vostre opinioni :D

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 


Tempo un secondo, e il ragazzo biondo con quegli occhi blu come l'oceano era già svanito. Eveline sbatté più volte le palpebre per scacciare dagli occhi verdi le lacrime, ma dall'altra parte del letto non c'era nessuno.
Era così devastata dalla morte di suo padre da iniziare a vedere persino persone inesistenti? In quel momento però non le importava nulla di quella stranezza, l'unica cosa che davvero contava è che era rimasta sola. Certo, sua madre abitava a pochi isolati dal suo appartamento, ma il loro rapporto si era ormai congelato da anni, ed evitavano qualsiasi contatto se possibile.
Tutto il suo mondo fin dall'infanzia era stato suo padre: un uomo allegro, divertente, ricco di idee per farla divertire. Era stato lui a raccontarle le fiabe della buona notte quand'era piccola, era stato lui ad accompagnarla a scuola alle elementari, era stato lui a consolarla tra le sue amorevoli braccia alle prime delusioni dell'adolescenza.
Non voleva sapere per quale motivo stava male, ma c'era sempre per consolarla. E quando Eveline aveva preso la decisione di non andare all'università ma di cercarsi un lavoro era stato l'unico della sua famiglia a non cercare di farle cambiare idea. Si era limitato ad abbracciarla e a dirle:-Sono fiero di te.-
Ogni cosa era finita così, di colpo, distrutta da una malattia rara scoperta troppo tardi che aveva divorato suo padre come una bestia feroce. Forti mal di testa, una vertiginosa perdita di peso che gli aveva tolto le forze, conati di vomito in cui c'era del sangue. E poi quelle macchie scure, di cui nessuno aveva ancora capito la causa né ciò che esse causavano.
Inizialmente parevano dei semplici lividi, tuttavia dopo un po' di tempo si erano trasformate in chiazze doloranti che lo facevano quasi piangere solo a sfiorarle.
Il ricovero, gli infiniti esami che lo avevano debilitato sempre di più, quella stanza anonima dall'odore di disinfettante. Ma soprattutto, la speranza che giorno dopo giorno di affievoliva sempre di più, come la luce del sole all'imbrunire.
Si sentì sfiorare delicatamente la spalla, e girandosi vide un'infermiera di mezza età in un camice verde sbiadito che la guardava con un'espressione compassionevole. Aveva delle piccole rughe agli angoli degli occhi che rendevano più materna la sua figura, e le sue mani calde diedero un po' di rassicurazione ad Eveline.
-E' ora che tu torni a casa a riposare, tesoro- le disse l'infermiera con voce calma, abbozzando un lieve sorriso. Notando la reazione allarmata della giovane, aggiunse in fretta:-Non preoccuparti, porteremo tuo padre in obitorio. Potrai tornare domani quando avrai dormito per qualche ora.-
Eveline si passò una mano sul viso stanco, rendendosi conto che effettivamente aveva bisogno di chiudere gli occhi almeno per un po'. Aveva trascorso gli ultimi due giorni a fianco del padre, sorvegliandolo continuamente per paura di non potergli dire addio come avrebbe dovuto se fosse giunto il momento di lasciarlo. Tutta la tensione e il dolore accumulatasi le crollarono improvvisamente sulle spalle, e decise che nonostante tutto avrebbe seguito il consiglio dell'infermiera.
-La ringrazio- mormorò con voce fioca, alzandosi in piedi e prendendo la giacca in pelle grigia e la borsetta scura. Camminò attraverso i corridoi senza nemmeno guardare dove andava, procedendo solo per inerzia nell'enorme ospedale.
"Papà..." Il pensiero del corpo pallido e inerte di suo padre le causò una stilettata al petto, e strinse più forte le mani attorno ai manici della borsetta cercando di trattenere le lacrime. Non le importava che il mascara le fosse colato sulle guance dandole un aspetto trasandato. In quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri.
Uscì finalmente all'aperto, inspirando l'aria frizzantina del pomeriggio inoltrato. Si mosse come un automa dirigendosi verso il parcheggio in cui ancora poche macchine attendevano i loro proprietari. Estrasse le chiavi dell'auto, aprendola a distanza.
Anche quella era stata un dono di suo padre per i vent'anni, un gioiellino seminuovo ricevuto pochi mesi prima. Nera e compatta, perfetta per la città e proprio come l'aveva sempre desiderata.
Dopo aver aperto la portiera si sedette sul sedile, un nodo in gola le rendeva quasi difficile respirare. Eppure doveva andare avanti, suo padre avrebbe voluto così.
Mentre tornava verso casa e la sua mente diventava nuovamente più lucida rifletté nuovamente sul ragazzo che credeva di aver visto accanto a suo padre. Per un istante i suoi tratti così eleganti e seri si erano contratti in una smorfia di dolore così profonda che sembrava quasi un fuoco lo stesse bruciando dall'interno. Indossava uno strano mantello nero che sembrava impalpabile, fatto di un materiale etereo che non aveva mai visto prima.
Quando però gli occhi grigi di lui avevano incontrato i suoi, il cui verde intenso era annacquato dalle lacrime, si erano aperti in un'espressione di sgomento, come se fosse accaduto qualcosa di terribile.
"La stessa cosa che è successa con la nonna..." rifletté, ricordandosi dell'accaduto di pochi anni prima. Era andata a trovarla come ogni lunedì pomeriggio, per tenerle compagnia visto che dalla morte del nonno passava la maggior parte del tempo da sola. Aveva bussato al portone in legno, aprendolo lentamente e pronta a sentire il solito profumo dei biscotti che preparava per la sua nipotina anche se ormai non era più una bimba.
Tuttavia, quel giorno non c'era nessun aroma nel corridoio, e già per quello Eveline aveva iniziato a preoccuparsi. Quando poi non aveva trovato sua nonna né in cucina né nella poltrona in salotto davanti alla televisione il cuore aveva iniziato ad accelerare sempre di più, spingendola a muoversi rapidamente da una stanza all'altra fino a quando era arrivata nella camera.
Lei giaceva sul letto, il respiro debole e spezzato.
"Nonna!" aveva gridato Eveline, accorrendo da lei.
Sua nonna aveva aperto lentamente le palpebre, osservandola con quei due occhi smeraldini diventati ormai opachi. 
"Mi raccomando, cerca di fare pace con la mamma..." aveva sussurrato l'anziana signora con un debole sorriso, prima di spegnersi. Era stato in quel momento tragico che ad Eveline era sembrato di vedere un'ombra ai piedi del letto di sua nonna.
Anche quella volta si era detta che era stata tutta colpa dello shock ricevuto, del dolore per la perdita di un suo familiare, ma dopo ciò che era accaduto in ospedale iniziava a dubitarne.
"Che io stia impazzendo?" pensò con un brivido, mentre spegneva il motore della macchina che aveva parcheggiato nello spiazzo vicino al suo appartamento e infilava le chiavi nella toppa della serratura. Salì rapidamente gli scalini fino al primo piano, dove entrò finalmente in casa. Tutto era come sempre: solito disordine, solito profumo di vaniglia che proveniva dal diffusore sopra il mobile nell'angolo. E come sempre si era dimenticata di chiudere la finestra, permettendo al freddo di accaparrarsi tutte le stanze. Si precipitò a chiuderla, guardando per un attimo le luci della città che iniziavano ad accendersi.
Nonostante tutte le volte in cui aveva minacciato sua madre di fuggire all'estero per liberarsi finalmente di lei sapeva che non l'avrebbe mai fatto veramente: amava quel luogo, si sentiva parte di qualcosa, anche se non conosceva neppure un quarto di tutte quelle persone che ogni giorno passavano per strada. 
Lasciò cadere a terra la borsetta e la giacca, sfilandosi le scarpe e buttandosi di peso sul divano del salotto, che cigolò leggermente sotto il suo peso. Era vecchio e piuttosto malridotto, ma lei lo aveva sempre adorato proprio perché nonostante quello era ancora comodissimo.
L'ultima cosa che vide dietro le palpebre chiuse poco prima di entrare nel mondo dei sogni fu la mano del ragazzo misterioso che si posava sul petto di suo padre.

 

Arriva il prossimo capitolooo! :3 Nuovo personaggio in scena: Eveline! Come vi è sembrata? ^^


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



 
Seduto sulla panchina più isolata del parco situato nel bel mezzo della cittadina il ragazzo si stava tenendo la testa tra le mani, stringendo i capelli chiari dalla disperazione. La tranquillità che aleggiava in quel luogo non riusciva ad intaccare il suo spirito agitato, che combatteva furioso per tornare dal cupo ma rassicurante luogo dove aveva avuto origine. La brezza, il rumore attutito dei clacson e di un piccolo laghetto artificiale lì vicino, l'intenso profumo dei fiori che proveniva dalle aiuole. In quel momento stava odiando tutto. Tutto quel maledetto mondo che l'aveva messo alla prova fin da subito minando la fiducia che aveva in sé stesso.
"Com'è possibile che mi abbia visto? Cos'ho sbagliato?" si chiese il Reaper, sbattendo con forza il pugno sulle assi verniciate della panchina. Non c'era dubbio che la reazione della ragazza fosse dovuta al fatto che si era resa conto della sua presenza accanto a suo padre. Quello che però non capiva era come fosse successo.
Certo, era riuscito a portare a termine il suo primo compito, ma con quale rischio? Aveva dimostrato di essere un incapace, di non riuscire nemmeno a controllare quel dannatissimo corpo in cui il suo spirito era rinchiuso. In fondo i Reaper appena formati sapevano già tutto su ciò che avrebbero dovuto fare e come. Allora perché non gli stava accadendo la stessa cosa? Si sentiva marcio. Un parassita, un inutile essere che sprecava il prezioso dono che la Madre gli aveva donato. 
Una coppia di adolescenti passò a pochi metri da lui senza nemmeno accorgersi della sua presenza.
-Ehi, voi due!- gridò il Reaper. Nulla, nessuna reazione. Proprio come sarebbe dovuto essere. Proprio ciò che sarebbe dovuto accadere anche in quella stanza d'ospedale.
Eveline.
Il nome della giovane comparve limpido nella sua mente insieme ai suoi capelli rosso scuro e gli occhi verdi che per un solo istante sembrava avessero voluto sondarlo fino nel profondo del suo essere. Fece un lento respiro per calmarsi, anche se in quanto non umano non necessitava di inalare ossigeno. Tuttavia quel gesto lo rilassava, aiutandosi a concentrarsi e a non lasciare che la frustrazione prendesse il sopravvento quando da un momento all'altro poteva essere chiamato ad aiutare un altro assistito.
Il dolore che aveva provato quando aveva raccolto in sé i ricordi dell'uomo, che ora sapeva chiamarsi John Howell, erano lentamente scemati fino a scomparire del tutto, ed si rese conto di potervi accedere liberamente. Era per questo che ora conosceva l'identità della ragazza, la figlia del suo assistito.
In un solo battito di ciglia poteva rivederne l'infanzia, quand'era ancora una bambinetta acerba ma dal viso molto più spensierato e allegro. L'adolescenza travagliata, durante la quale l'innocenza era svanita come un fiore che appassisce dopo una splendida fioritura. Gli innumerevoli litigi con la madre che non riusciva a comprenderla, le difficoltà del mondo degli adulti che avevano rischiato di inghiottirla in un vortice scuro. Cercava tra tutte quelle immagini una che potesse spiegare ciò che era successo, una motivazione razionale che gli assicurasse che non era lui ad essere "difettoso", ma lei.
Quando si rese conto che non avrebbe trovato nulla di utile si alzò in piedi, infilandosi le mani nelle tasche della felpa nera. Aveva deciso di far sparire il mantello nero che lo copriva adattandosi ad uno stile più "umano". Cercava di convincersi di averlo fatto solo perché gli andava di saggiare le proprie capacità, ma in realtà dentro di sé c'era il timore che qualcun'altro potesse vederlo.
La maggior parte dei Reaper preferiva indossare il mantello con il cappuccio sollevato e una maschera bianca per "soddisfare" la credenza umana che vedeva la morte come uno scheletro incappucciato, però a lui non interessava. In fondo il suo unico obbiettivo era raccogliere ricordi, non spaventare i suoi assistiti.
Si incamminò a passo lento, mantenendo lo sguardo fisso sul terreno ciottolato. Dentro di lui si agitavano due desideri contrastanti: cercare Eveline per capire cos'aveva di speciale oppure sfuggirle fino a quando lui non fosse tornato a far parte della Morte o per lei fosse giunto il momento di morire.

*

Eveline si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto e soffocando a stento uno sbadiglio. Con gli occhi ancora impastati dal sonno si alzò in piedi, trascinandosi verso la cucina e aprendo il frigo per prendere la bottiglia del latte.
Il riposo le aveva effettivamente giovato parecchio almeno per quanto riguardava la stanchezza fisica, ma quando mise il bicchiere del latte nel microonde e vide il suo volto ebbe la conferma che per le ferite che aveva subito il suo cuore sarebbe servito molto più tempo. Perlomeno però si sentiva molto più lucida del giorno precedente.
Mentre sbocconcellava a malavoglia dei biscotti integrati iniziò a pensare al funerale di suo padre. Nonostante si fosse rifiutata persino di parlare al telefono con sua madre durante quegli ultimi anni, sapeva che non poteva vietarle di partecipare, anche se avrebbe voluto farlo.
"Basterebbe solo dirle l'ora sbagliata" pensò egoisticamente per un attimo, pentendosene subito dopo. No, anche se era sua figlia non poteva occuparsene da sola. Dopo aver messo il bicchiere nel lavandino e aver riposto la tovaglietta plastificata nel cassetto, andò a farsi una doccia.
Detestava ammetterlo, ma stava facendo di tutto per rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto sentire nuovamente la voce della donna che l'aveva praticamente cacciata via di casa. Lasciò che l'acqua calda le scorresse sul corpo, e sperò che quel getto potesse far sparire almeno in parte i pensieri che le invadevano la mente. Fece tutto con estrema calma, quasi quei gesti lenti e misurati le dessero forza nella loro quotidianità. Davanti allo specchio si tamponò leggermente i capelli rossi con un asciugamano, lasciando che si asciugassero da soli.
Quando aprì l'armadio per decidere cosa indossare il suo sguardo si posò immediatamente su una lunga maglia beige sopra la quale vi erano stati ricamati delle margherite, e senza esitazione Eveline indossò la sua maglia preferita e un paio di jeans.
Poi tornò in salotto, sedendosi sul divano e afferrando di malavoglia il cellulare. Non c'era nessun messaggio.
"Fai che non succeda un putiferio come ogni volta" pregò silenziosamente prima di comporre il numero che tanto detestava. Dopo più di dieci squilli si lasciò quasi illudere che sua madre si rifiutasse di risponderle, ma come sempre quella donna non avrebbe sprecato un'occasione per poterle indirizzare almeno una critica.
-Sì?- disse una voce femminile dall'altro capo del telefono.
Eveline trattenne un moto di stizza. Voleva persino fingere di non riconoscere il suo numero? -Sono io.- borbottò, aspettandosi una discussione poco pacifica.

Ed eccomi di nuovo! Dunque dunque, per chi ha letto le mie storie sa che di solito nei miei capitoli c'è sempre molta azione, ma ho deciso che in questa cercherò di prendermela con "più calma" per non scrivere troppo frettolosamente. Ditemi pure che ne pensate :D

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



-Ma guarda chi si fa sentire... hai per caso finito i soldi?- le rispose sua madre in tono sarcastico. Era la conferma del fatto che alcune persone non cambiano mai nemmeno dopo anni. Ma Eveline non aveva intenzione di farsi sottomettere da lei, non più.
-Non ti avrei chiamato se non fosse per papà. Immagino che ti abbiano chiamata dall'ospedale.- ribattè lapidaria, evitando di mostrare qualsiasi segno di cedimento.
-Visto che qualcun altro non si è degnato di informarmi è ovvio che lo abbia saputo da loro.- si sentì dire dalla madre, pronta come al solito ad accusarla di qualsiasi cosa. In fondo lei era sempre stata la figlia disubbidiente, testarda, che voleva fare le cose a modo suo e rifiutava di seguire la strada che era stata preparata apposta per lei. L'esatto opposto di ciò che la signora Howell aveva sempre desiderato. 
Dopo tutti i tentativi falliti di rimanere incinta aveva creduto che quella piccola creatura nata per miracolo fosse stata quasi un segno del destino, ma con il passare degli anni concluse che con più probabilità era una punizione per qualche errore compiuto in passato. Eveline, sua figlia, non era affatto la ragazza elegante, educata e femminile come sperava. Si comportava come un maschiaccio, rifiutava di seguire alcune regole del galateo e invece di frequentare delle compagne a modo preferiva starsene da sola a leggere oppure girare con gruppetti di ragazze e ragazzi simili a lei: degli sciocchi sognatori che credevano ancora di poter cambiare il mondo in meglio. Aveva provato a parlarne più volte con suo marito, ma d'altro canto lui la adorava. Impazziva per le idee originali che la bambina gli mostrava quand'era piccola, e la sosteneva da adolescente quando prendeva decisioni assurde. 
"In fondo anche lui da giovane le somigliava un po'" rifletté la donna, ricordandosi del giorno in cui l'aveva conosciuto. Forse era per questo che ne era rimasta affascinata, nonostante tendesse a negarlo. Tuttavia col tempo erano cambiati entrambi, e lei non aveva mai accettato che sua figlia fosse così "diversa".
Passò qualche secondo di silenzio durante il quale entrambe le donne stavano rimuginando su come continuare quella penosa conversazione. Alla fine fu Eveline a rompere il ghiaccio.
-Senti- esordì dopo un lungo sospiro -volevo solo dirti che dato la situazione potremmo accantonare almeno per il momento i problemi tra di noi e occuparci insieme del funerale di papà.-
Funerale. Quella parola nonostante tutto le suonava ancora così estranea, così assurda sulle sue labbra. Ancora non credeva fosse successo davvero, viveva in una specie di bolla dove ogni cosa era attutita, sfocata e irreale. La risposta della madre fece però scoppiare quella sua piccola difesa.
-Ci ho già pensato io-
Eveline strinse con forza il telefono. -Come scusa?-
-Ho detto che ci ho già pensato io. Non potevo certo permettere che tu te ne uscissi fuori con qualcuna delle tue stramberie.- ribattè la donna con tono acido. 
"Persino in una situazione come questa quella strega fa di tutto per mettermi in difficoltà!" pensò Eveline con rabbia, riuscendo a stento ad evitare di mandarla a quel paese come succedeva quasi ogni volta che erano costrette a parlarsi. Tossicchiò un paio di volte per camuffare almeno in parte l'astio nella sua voce.
-E quando avresti pensato di informarmi, di grazia?- le chiese.
Sua madre attese un po' prima di rispondere, quasi stesse riflettendo su un problema talmente complicato da non riuscire a trovarne una soluzione. -Veramente non avevo alcuna intenzione di farlo- rispose poi. -Speravo che tu non mi chiamassi credendo così di poter evitare una seccatura in più, ma a quanto pare non ho avuto fortuna.-
-Già, perché in fondo per te sono sempre stata nient'altro che una seccatura, vero mamma? E allora sai che ti dico? Vai al diavolo!- gridò, riagganciando e appoggiando con mano tremante il cellulare sul piccolo tavolinetto rotondo accanto al divano prima di mettersi uno dei due cuscini in faccia e urlare a squarciagola.
Come sempre aveva perso il controllo, lasciando che sua madre giocasse con i suoi sentimenti mandandola su tutte le furie. Ora non avrebbe potuto neppure salutare per l'ultima volta suo padre. Certo, avrebbe potuto chiedere a qualche parente di rivelarle la data del funerale, ma con che faccia si sarebbe presentata visto che sicuramente sua madre avrebbe raccontato a tutti di come l'aveva "maltrattata" al telefono?
-Scusami papà...- mormorò. Pochi minuti dopo però si era in parte già ripresa grazie al carattere forte che era stata costretta a sviluppare in quegli ultimi anni. In un mondo come quello non c'era spazio per i deboli di cuore, e l'aveva imparato a sue spese. Così pian piano aveva iniziato a dare fiducia ad un numero sempre più ristretto di persone, a contare solo su sé stessa e a non aspettarsi mai nulla dagli altri. 
Diede una rapida occhiata all'orologio da polso, le cui lancette segnavano circa le dieci. Aveva ancora parecchie ore a disposizione prima di dover andare a lavorare nel piccolo ristorante chiamato Golden sun che si trovava nascosto nell'angolo in Southwork Avenue. Fuori un sole tenue diffondeva un po' del suo calore sulla città. Senza pensarci troppo, Eveline si alzò, prese il cellulare, infilò giacca e scarpe ed uscì fuori. Camminare l'aveva sempre aiutata a distendere i nervi, e in quel momento ne aveva bisogno come non mai.

*

-Edward- chiamò una voce, e dall'ombra emerse una figura slanciata di media statura. I tratti erano delicati, la pelle abbronzata e i capelli castani inframezzati da qualche ciocca leggermente più chiara. Incedette con passo leggero fino a raggiungere l'altra figura che lo stava attendendo.
-Desiderate?- chiese, dopo aver fatto un leggero inchino che sottolineò la schiena asciutta e le spalle strette. 
L'altro interlocutore si prese qualche attimo prima di rispondere. -Ho bisogno che tu faccia un cambio di programma.- esordì, guardando il giovane ragazzo davanti a lui e studiandone i tratti familiari. Sembrava così giovane, così innocente... gli venne quasi da ridere a quello pensiero. -Dovresti occuparti di una faccenda in particolare che ha attirato la mia attenzione. Vorrei che tu tenessi sotto controllo la situazione casomai ci fossero altri sviluppi.- continuò.
Gli occhi ambrati del ragazzo sembrarono quasi illuminarsi a quelle parole. Le labbra carnose si sollevarono in un sorriso sornione, mentre alzava con fierezza la testa onorato di essere stato scelto per un compito importante.
-Ditemi, sono tutt'orecchi.- rispose, il corpo già pronto ad entrare in azione e bramoso di poter dimostrare ancora una volta le sue capacità. La sua voce calda e sicura risuonò nell'ambiente silenzioso.
L'altra figura pronunciò lentamente una singola parola. Il ragazzo fece un sorriso ancora più ampio, mettendo in mostra i suoi perfetti denti bianchi. -Potete contare su di me.- rispose orgoglioso, portandosi una mano al petto. -Come sempre, in fondo- aggiunse prima di andarsene silenzioso da dov'era arrivato.
"So che non fallirai" pensò la persona rimasta sola, guardando verso un punto imprecisato davanti a lei. "Perché se lo facessi ne andrebbe della tua stessa vita."

Nuovi personaggi, nuovi problemi! Siete curiosi almeno un pochino? ;)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***



Era da quella mattina che il Reaper era tormentato da una pessima sensazione, che tuttavia non riusciva ad interpretare. Una specie di pizzicore al petto che non gli procurava alcun dolore, ma in compenso lo irritava e inquietava allo stesso tempo. Che la Morte gli stesse comunicando in quel modo il suo disappunto? Eppure non credeva potesse essere possibile. I Reaper venivano quasi abbandonati a loro stessi fino al momento in cui raggiungevano il millesimo anno, e successivamente tornavano ad essere inglobati nel corpo della Morte.
E allora di che pericolo poteva mai trattarsi? Aspettava da un momento all'altro il segnale che avrebbe indicato la necessità di un suo intervento, ma ancora non percepiva quella forza invisibile che lo attirava verso al suo assistito. Decise così di lasciarsi semplicemente trascinare dalla folla, seguendo gruppi di persone a caso tra la via della città. In fondo, essere quasi invisibile aveva parecchi vantaggi. I passanti non si accorgevano neppure della sua presenza, ma anche se trattenevano per un istante lo sguardo sulla sua figura l'attimo dopo si erano già dimenticati di averlo visto.
Nonostante lui non riuscisse a percepire la temperatura sembrava che il clima fosse abbastanza mite: c'erano parecchi giovani con magliette leggere e jeans strappati che ricevevano sempre occhiatacce dai signori più anziani. Un qualche lontano ricordo del signor Howell gli comunicò che, nonostante fossero passati parecchi anni dalla sua gioventù, alla fine le cose andavano sempre nello stesso modo. La vecchia generazione biasimava la nuova per le nuove "mode", e così sarebbe accaduto anche in quelle successive.
Ecco un altro stupido difetto degli umani: non facevano altro che giudicare chiunque per qualunque cosa. Riusciva a leggerlo negli occhi di chi gli passava accanto. Era impossibile non notare come il loro volto esprimesse palesemente i pensieri riguardanti ciò che vedevano. Qualcuno era più bravo a nasconderli, ma non riusciva mai a farli sparire del tutto.
Con quale ribrezzo oltrepassavano l'anziano signore cieco che doveva essere guidato da un cane affinché potesse muoversi in sicurezza? Non uno che gli desse conforto aiutandolo a superare la strada, non uno che lo guardasse come un suo pari. No, c'era solo indifferenza, pena e disgusto.
"Come possono essere così ignoranti?" si chiese il Reaper. Lui e quelli della sua specie si sentivano parte di una stessa famiglia, figli di un'unica Madre che li aveva generati. Certo, non stringevano legami affettivi, ma semplicemente perché non era quello il loro compito. Tuttavia tra loro non esisteva la competizione, l'invidia, la gelosia e la sete di potere, perché ogni singolo gesto che compivano era destinato ad onorare il loro legame con la Morte.
Con sua sorpresa una volta di più il mondo degli umani gli fece una gran compassione. Creature senza uno scopo che passavano la vita a cercare il senso della loro esistenza, ma lasciandosi il più delle volte catturare dai peccati che affliggevano la realtà e che li spingevano persino ad uccidere brutalmente i loro stessi simili.
Diede un calcio ad una lattina di aranciata che era stata buttata sulla strada, facendola finire contro il muro di un negozio. Anche lui in quel momento si sentiva un po' come gli umani, esseri senza alcun compito da portare a termine. Volse lo sguardo verso l'alto, studiando l'edificio il mattoni rossi al cui piano terra vi era una pasticceria dall'enorme vetrina stracolma di dolci di ogni genere, mentre in quello accanto si scorgevano degli eleganti tavolini dietro la vetrata di un bar.
Improvvisamente sentì una piccola scossa dietro la nuca che lo allertò. 
-Ehi, tu!- udì gridare da una voce femminile. Normalmente non prestava molta attenzione ai rumori intorno a sé, ma in quel momento ebbe la sensazione che stessero chiamando proprio lui. -Ehi, tu con la felpa nera! Aspetta!- Il Reaper si girò lentamente, sgranando gli occhi quando, poco più lontano, scorse una riccia chioma rosso fuoco che si stava rapidamente avvicinando.
-Dannazione!- sibilò tra i denti arretrando di un passo. Avrebbe riconosciuto ovunque quella figura, che era diventata quasi un incubo tanto ci aveva riflettuto. Com'era possibile che lo vedesse? Aveva creduto che quello all'ospedale fosse stato un evento fortuito dovuto alla morte del padre, eppure questa volta Eveline lo aveva persino riconosciuto tra la folla. E, ciò che era peggio, stava correndo verso di lui. Riusciva a sentire distintamente il tintinnio della cerniera della giacca e le sue scarpe che colpivano la strada.
"E ora che faccio?" si chiese. Non sapeva come avrebbe dovuto affrontare la cosa. Non era mai accaduto prima d'ora, e nei suoi ricordi innati non c'era nulla che potesse aiutarlo. Sarebbe potuto fuggire, seminandola facilmente grazie alle proprie doti e facendo perdere le tracce. Ma sapeva che la ragazza non si sarebbe arresa così facilmente. L'avrebbe persino potuto cercare per tutta la città pur di risolvere i dubbi che aveva. C'era tuttavia un'alternativa che gli piaceva ancora di meno: affrontarla.
Prima però che potesse scegliere, il tempo decise per lui. Infatti Eveline era a meno di un metro di distanza, le mani appoggiate sulle ginocchia per riprendere fiato.
-Scusa... scusami il disturbo- ansimò lei, affaticata dalla corsa. Poi allungò il braccio per stringergli la mano e si presentò. -Mi chiamo Eveline Howell, piacere.-
Il ragazzo ricambiò la stretta, ma la sua mente stava lavorando freneticamente per trovare la soluzione al casino in cui si era cacciato. "E ora che le dico?! Forza... un nome... mi serve un nome..." I Reaper infatti venivano a conoscenza del proprio nome solo nel momento esatto in cui tornavano ad essere parte della Morte. Era un modo per premiarli del loro duro lavoro, per dimostrargli che ognuno era importante. "Avanti maledizione, pensa ad un nome!"
Kyle.
Quelle quattro lettere gli sorsero spontanee, quasi fossero state sempre dentro di lui. Provò quasi la buffa impressione che il suo stesso essere approvasse il nome che si era assegnato.
-Sono... sono Kyle, piacere mio- replicò, notando quanto fosse piccola e fredda la mano del suo primo assistito. La sua espressione era però cambiata rispetto al giorno prima. Certo, aveva ancora gli occhi leggermente arrossati dal pianto, ma l'aria era più decisa e determinata. Teneva il viso sollevato con fierezza, quasi a volergli dimostrare che non aveva alcuna paura di lui.
-So che la domanda potrà sembrarti un po' stupida, ma ho bisogno di avere una conferma. Ieri c'eri anche tu in ospedale nella stanza di mio padre, vero?- gli chiese Eveline, incespicando leggermente sull'ultima parola. Nonostante tutto gli umani restavano creature fragili, che necessitavano di tempo per guarire le loro ferite.
Kyle si trovò nuovamente di fronte ad una scelta ardua. Mentire, oppure rivelarle la verità, seppur parziale? Quella ragazza lo incuriosiva. Desiderava ardentemente capire il perché lei potesse vederlo così chiaramente, ma allo stesso tempo temeva ciò che avrebbe potuto scoprire. Non aveva alcuna guida a cui chiedere consiglio, la decisione spettava solamente a lui.
Fece un lungo respiro per guadagnare ancora qualche briciolo di tempo, poi la guardò negli occhi e disse:-Sì, ero io.-

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



Percepì le due perle smeraldine della ragazza sondarlo, come nel tentativo di ricordare se l'avesse mai visto o se suo padre lo avesse mai nominato. -Tu come...- iniziò. Kyle la vide rabbrividire lievemente.
-Ok, forse è meglio se parliamo davanti ad una tazza di the caldo. Sei impegnato?- gli chiese a bruciapelo, sollevando il bavero della giacca per proteggersi dal venticello gelido che si era alzato annullando quasi del tutto il tepore dei raggi solari. Il Reaper aprì e richiuse la bocca un paio di volte indeciso sul da farsi, per scrollare infine le spalle con finta noncuranza.
-Nessun problema- rispose, seguendo poi Eveline dentro il bar di cui precedentemente aveva osservato gli interni. La ragazza aprì la pesante porta vetrata, ed emise un piccolo sospiro di sollievo nel sentire l'aria tiepida riscaldata da un'imponente stufa a legna sistemata in un angolo dove il fuoco scoppiettava allegro.
-Buongiorno!- diede il benvenuto una giovane cameriera con un'acconciatura così stretta che Kyle si chiedeva come facesse a non avere un perenne mal di testa. Aveva un bel sorriso che spiccava sul suo volto grazie al contrasto tra i denti bianchissimi e la pelle piuttosto scura, così come gli occhi dalle ciglia lunghe e folte. I due si diressero in un tavolino piuttosto isolato dal resto dei clienti, che preferivano sedersi vicino alla lunga vetrata per poter osservare le altre persone passeggiare e guardare le vetrine. Un basso chiacchiericcio di fondo impediva a chiunque di captare le conversazioni tra i vari gruppetti.
-Dunque...- esordì Eveline appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia. Il volto pallido era ravvivato dalle guance e dal naso rossi per il freddo, la voce bassa ma decisa. Nonostante questo, aveva l'aria di un poliziotto pronto ad interrogare un accusato. Le mancava solo un block notes, una penna e una lampada da tavolo per ottenere un travestimento perfetto. Il che non giocava certo a favore del giovane.
-Come l'hai conosciuto?- si sentì chiedere senza troppi giri di parole
"Dovrò sfruttare al massimo i ricordi di suo padre se in qualche modo voglio cavarmela..." rimuginò Kyle. Poteva farcela, aveva gli strumenti per poter inventare una storia credibile. Bastava solo prestare sufficiente attenzione. 
-E' stato il mio insegnante di lettere per due anni all'università, mi è dispiaciuto moltissimo quando si è dovuto ritirare.- le rispose di getto. Nella sua mente vagavano sprazzi di memorie dell'uomo. Un'enorme lavagna riempita di parole scritte in una calligrafia fluida, numerosi banchi sui quali gli studenti erano chini a prendere appunti o erano appoggiati coi gomiti leggendo ciò che John Howell aveva scritto nello schema ordinato. I libri di poesie tra le mani, i brani presi dai grandi classici. Le serate passate a preparare con cura le lezioni, nelle quali cercava sempre di coinvolgere tutti il più possibile. Il suo obbiettivo non era quello di far prendere dei voti più alti agli esami, ma trasmettere la sua enorme passione per la lettura di quelli che molti consideravano libri noiosi ma che in realtà custodivano così tante emozioni e segreti che avrebbero stupito chiunque avesse prestato un po' di attenzione.
Eveline inarcò le sopracciglia. -Ah- disse solo, prendendosi qualche secondo per meditare su ciò che aveva appena scoperto. -Non credevo che uno come te potesse... sì insomma, non mi sembri molto un tipo che ama la lettura- continuò poi, con un'espressione perplessa.
"Come reagiresti se scoprissi che non ho nemmeno mai preso un libro in mano?" si chiese Kyle, trattenendo a stento una risata nervosa. Doveva stare attento ad ogni singola parola che pronunciava, o sarebbe bastato poco a farla diventare ancora più sospettosa.
-Le apparenze ingannano, non te l'hanno mai detto?- ribatté serafico, facendo un sorrisino che stava a significare "Sono solo un bravo ragazzo studioso" ma che non dovette fare alcun effetto, perché la ragazza continuò ad incalzarlo. -Capisco. Non sapevo che fosse ancora in contatto con un suo ex studente.-
"Certo che sei proprio una che non si fida, eh?" pensò Kyle, riflettendo rapidamente su quale potesse essere la risposta migliore da dare. Nella sua mente comparve un nome: Charles Dickens. Il Reaper cercò di recuperare tutti i ricordi riguardanti quella persona, e scoprì che era l'autore preferito del padre di Eveline, tanto che possedeva la raccolta intera delle sue opere sistemata proprio al centro della libreria in salotto. -Il signor Howell ed io eravamo entrambi grandi appassionati delle storie di Charles Dickens, e quando ha scoperto che alla tesi volevo proprio parlare di lui è stato così gentile da darmi la sua e-mail in modo da aiutarmi se ne avessi avuto bisogno.-
Finito di parlare, si ripromise di leggere almeno uno dei libri di quell'autore prima dei suoi mille anni se tutto fosse andato per il meglio. La ragazza rimase in silenzio, e Kyle temette di aver fatto qualche passo falso. Fortunatamente venne salvato dalla cameriera di prima, che giunse proprio in quel momento a prendere le ordinazioni sfilandosi un blocchetto e una matita dal grembiule.
-Mi dica, cosa posso portarle?- chiese educatamente ad Eveline, senza considerare minimamente Kyle.
-Per me un the caldo al limone, grazie- rispose la ragazza accennando un debole sorriso.
-E per me una cioccolata calda- aggiunse Kyle, il quale rise dentro di sé notando la faccia sorpresa della ragazza quando si accorse di lui. In casi come quelli la sua "quasi invisibilità" poteva rivelarsi un piccolo problema.
"Per fortuna che non ho bisogno di mangiare o di bere per sopravvivere" pensò, immaginandosi come sarebbe stato doversi occupare anche di quella necessità. Certo, date le sue condizioni avrebbe potuto tranquillamente rubacchiare qualcosina ogni volta in cui avesse sentito un languorino allo stomaco, ma sentiva che era profondamente sbagliato e che non lo avrebbe mai fatto.
Tuttavia si era scordato troppo presto del "pericolo ragazza-poliziotto" e così venne colto totalmente di sprovvista quando questa arricciandosi una ciocca di capelli gli chiese:-Come hai fatto a sapere che mio padre stava...- Deglutì, sbattendo velocemente le palpebre nel tentativo di cacciare le lacrime che minacciavano di uscire. -...stava male?- completò, ancora incapace di dire la parola morte, come se senza pronunciarla potesse in qualche modo cancellare ciò che era successo.
"Perfetto, e ora che le dico?" pensò il Reaper allarmato, frugando senza sosta fra i ricordi di John Howell nel disperato tentativo di trovare una risposta plausibile. Poi, arrivò il colpo di grazia. Cosa c'era di meglio per complicare ulteriormente le cose di un assistito che aveva bisogno del suo aiuto? Percepì quella strana e imponente energia che lo spinse a scostarsi dal tavolo facendo strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento.
-Io... devo fare una telefonata urgente. Torno subito, scusami.- le disse senza nemmeno guardarla negli occhi e lasciandola sola. Avanzò con grandi falcate fino alla porta, svoltando dalla parte opposta a quella dalla quale era venuto e mettendosi a correre. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



Ovviamente non si era certo preso il disturbo di avvisarla che sarebbe stato inutile aspettarlo. Aveva elaborato il piano di fuga non appena aveva percepito il richiamo dell'assistito. "Due piccioni con una fava" pensò sollevato, percorrendo a gran velocità la stradina pedonale. "Potrò svolgere il mio compito e sparire prima che quella ragazza possa mettermi ancor più nei guai".
Detestava ammetterlo, ma anche se inizialmente aveva creduto che parlare con lei lo avrebbe aiutato a comprendere perché riusciva a vederlo, l'esito era stato totalmente fallimentare. Si era trattato di un interrogatorio a senso unico che oltre a non essergli stato di alcuna utilità era anche riuscito a fare insospettire Eveline persino più di prima. L'aveva sottovalutata come un idiota. Ma in fondo la colpa non era neanche completamente sua: le conoscenze innate che ogni Reaper possedeva non comprendevano certo un "manuale" che insegnava a relazionarsi con gli umani. Il loro compito era semplicemente quello di custodire i loro ricordi al momento del trapasso, non certo intavolare un'allegra chiacchierata con il proprio assistito. Anche perché, ad essere sinceri, non si trovavano certo nella situazione migliore per intrattenere un discorso lucido. La maggior parte di loro nemmeno capiva cosa stava succedendo. L'unica scintilla di consapevolezza compariva nei loro occhi quando vedevano la figura del Reaper. Allora capivano che la loro ora era giunta.
"Ma io ovviamente devo complicarmi le cose" rifletté Kyle digrignando i denti mentre l'energia che lo attirava dal suo assistito diventava sempre più forte, segnalandogli che mancava ancora poco. Era stato fortunato, non avrebbe rischiato come la volta precedente di giungere troppo tardi. Intorno a sé le persone continuavano a camminare ignare della figura che stava correndo come un fulmine proprio in mezzo a loro. 
"A volte l'ignoranza è una benedizione".
Passavano la loro vita senza conoscere che cosa poteva accadere loro, e proprio per quello riuscivano a viverla appieno. Ogni nuovo giorno era una sorpresa: nonostante tutte le routine che ognuno poteva costruirsi accuratamente, ci sarebbe stato sempre un qualche elemento che non vi rientrava. A volte era un dettaglio insignificante, altre un profondo cambiamento. Non era detto che fosse sempre positivo, ma era comunque importante. Persino la morte era un enorme, misterioso punto di domanda.
I Reaper potevano forse dire lo stesso? Sapevano già tutto ciò che era necessario, persino gli anni che sarebbero vissuti. Non conoscevano chi sarebbero stati i loro assistiti, ma erano consapevoli che la loro esistenza si sarebbe basata semplicemente sul loro compito. Molti passavano l'intervallo tra un intervento e l'altro distesi da qualche parte ad osservare il cielo, in una specie di trance. Si disinteressavano di ciò che accadeva intorno a loro, a quel frenetico brulicare di vita che scorreva incessantemente.
"E allora perché io sono diverso? Perché questo mondo mi incuriosisce così tanto?" Rallentò l'andatura, imboccando un vicoletto ad un centinaio di metri dal bar dove non c'era nessuno se non una figura raggomitolata a terra avvolta in una coperta malconcia. Kyle si rabbuiò vedendo il senzatetto tossire convulsamente, il viso scheletrico e sporco di polvere in cui spiccavano due occhi sgranati. I capelli, lunghi e sudici, gli stavano incollati alla fronte madida di sudore.
Già, si era dimenticato che alcuni umani avevano una vita molto più dura di altri. Provò una forte compassione per quella figura rattrappita, rifiutata dalla società che fingeva persino di non vederla. Invisibile, similmente a lui. Nessuno avrebbe mai saputo della sua scomparsa. Nessuno avrebbe mai pianto sulla sua tomba. Aveva a malapena quarantun anni. 
Kyle si avvicinò a lui con passo felpato, ma l'uomo si accorse comunque di lui. Credeva che si sarebbe spaventato, e per quello rimase spiazzato quando vide comparire sul suo viso un sorriso di sollievo. 

*

Per una volta qualcosa di divertente. Come sempre, i Suoi occhi non si erano sbagliati quando gli aveva detto che c'era qualcosa di strano nell'aria. Ma in fondo, non si sbagliava mai. Rimanendo immobile in un unico luogo riusciva a tenere sotto controllo il mondo intero, osservando ogni singolo essere vivente.
Nulla poteva sfuggire al Suo sguardo, e sicuramente non qualcosa di così… particolare. Una lingua rossa passò lentamente sulle labbra che si erano incurvate in un sorriso malizioso, pregustandosi già un bel po' di divertimento.
"Peccato che al momento debba limitarmi a fare l'osservatore..." rifletté amareggiato, socchiudendo gli occhi infastiditi dai raggi del sole che, nonostante fossero deboli, riuscivano comunque ad irritarlo. Continuò la leggera corsa spiccando a tratti qualche balzo per superare gli spazi vuoti tra un edificio e l'altro, mentre osservava la strada sotto di sé.
-Le persone troppo curiose finiscono sempre per cacciarsi nei guai, lo sai mia cara?- mormorò, seguendo una figura slanciata tra la folla che camminava molto velocemente facendo ondeggiare i capelli rossi dietro di sé.
Aveva l'aria così determinata e decisa, sembrava quasi una madre arrabbiata pronta a rimproverare il figlio per qualcosa che aveva combinato. Chissà se sarebbe riuscita a mantenere lo spirito così saldo anche dopo quello che avrebbe visto nel giro di pochi minuti. Perché era certo che sarebbe giunta nel luogo esatto, ma nell'improbabile caso in cui sbagliasse sbagliato strada... be', ci avrebbe pensato lui a ricondurla sulla retta via. Non avrebbe certo permesso che il suo nuovo passatempo terminasse così in fretta.
I suoi occhi ambrati parvero quasi risplendere al pensiero di ciò che lo aspettava.
"Bisogna ammettere che è tenace" si disse divertito, mentre la ragazza continuava a muoversi rapidamente scrutando con attenzione a destra e a sinistra ogni talvolta che si affiancava ad un vicolo laterale. Probabilmente se fosse successo ad un'altra persona questa se ne sarebbe già andata, dimenticando poco tempo l'accaduto. Invece lei no, aveva una necessità di sapere così intensa da spingerla ad incamminarsi in sentieri bui e sconosciuti.
Mancava ancora pochissimo prima del grande momento. Fece uno scatto anticipando la ragazza di alcuni metri, e guardò ciò che stava accadendo nella stradina laterale in cui si trovava l'altro individuo per assicurarsi che non fosse già troppo tardi. Sarebbe stato un peccato se fosse stato così.
-Tempistica perfetta- sussurrò tuttavia compiaciuto. 
Tutto si stava svolgendo come aveva sperato. Si sedette nel punto che gli permetteva la vista migliore, lasciando penzolare le gambe nel vuoto.
E attese.
Lo spettacolo stava per iniziare.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***



Era giunto il momento di portare a termine il proprio compito. Il senzatetto lo guardava fiducioso nonostante avesse compreso che la sua ora era arrivata. Era una consapevolezza sopita che l'uomo si portava dentro dalla propria nascita, e che si era risvegliata alla vista del Reaper. Non sapeva con esattezza chi fosse quel ragazzo dai tratti così perfetti che parevano quasi finti, ma fin dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati aveva capito che la propria ora era arrivata.
Inutile fuggire o ribellarsi; quello era il corso della vita, e non aveva alcun potere per rifiutarsi di seguirlo. Anzi, in fondo era persino lieto che qualcuno fosse finalmente accorso ad alleviare le sue sofferenze. Era stanco di dover trascorrere giorno dopo giorno con l'unico obbiettivo di sopravvivere a stento.
Non si scostò quando vide il giovane avvicinarsi sempre di più a lui, neppure quando gli mise una mano sul petto e percepì chiaramente che le proprie forze iniziavano a scemare. La vista si stava appannando e faticava persino a tenere sollevate le palpebre. Si appoggiò con la schiena al muro dell'edificio dietro di sé, unendo il freddo dei mattoni a quello che sentiva dentro di sé e che lo avvolgeva fino alle ossa.
Poi, pian piano, oltre alle forze iniziarono a svanire anche i ricordi. I primi furono dettagli non molto rilevanti, come le memorie di una lontana festa di compleanno di quando era ancora un bambino. Già allora conosceva il significato di parole come povertà e sacrificio. Viveva da solo con la madre, abbandonato dal padre che si era rifiutato di crescere un "marmocchio" e assumersi le proprie responsabilità. Rifiutati da chiunque come esuli in terra straniera, esseri minuscoli ignorati da chiunque. La morte di sua madre, tutti i rifiuti che aveva ricevuto quando si era messo alla ricerca di un lavoro. Quando era stato obbligato ad andarsene di casa perché non poteva nemmeno più permettersi di pagare l'affitto.
Poi seguirono i volti, i nomi. Come si chiamavano i suoi genitori? Dov'era nato? Perché si trovava lì? Ma soprattutto... chi era? Insieme al suo nome svanì anche l'ultimo legame che lo teneva ancorato a quel mondo. Le palpebre si chiusero, il petto smise di sollevarsi.
Kyle si allontanò dall'uomo, la mano visibilmente tremante, e allontanò lo sguardo. Ancora una volta, delle cifre presenti su ogni su ogni superficie intorno a lui che fungevano da memento mori iniziarono a ruotare come decine di slot machine, per poi rallentare gradualmente.
905.
Prima che potesse anche solo riflettere sul tempo che gli rimaneva venne colpito da tutti i ricordi del suo assistito, che parevano premere contro le sue tempie desiderosi di uscire. Il ragazzo emise un gemito soffocato, mettendosi le mani sulle tempie per fermare quello strazio. Perché doveva essere così doloroso? Sentiva quasi le proprie membra lacerarsi per il peso di quelle immagini che si stavano unendo a quelle del suo primo assistito. Tuttavia, mentre con quest'ultimo era stato più semplice perché molti di quei ricordi erano lieti e quindi più facili da assimilare, non poteva certo dire lo stesso del vagabondo.
Tutto era così cupo, soffocante e desolato che gli risultava faticoso persino respirare. Eppure in quell'oscurità c'era anche un piccolo spiraglio di luce che lo aiutò a recuperare il controllo. Una torrida giornata estiva passata all'ombra di uno dei tanti vicoletti, con lo stomaco vuoto e la gola arida per la sete. Dei passi. Un ragazzo sulla trentina con una borsa della spesa. Credeva che non l'avrebbe neppure guardato come avevano fatto tutti i passanti che avevano attraversato il vicolo fino a quel momento, e invece lui si era fermato. Per la prima volta aveva ricevuto un sorriso caloroso invece di sguardi schivi e disgustati. La prima volta che veniva trattato da essere umano.
Il ragazzo aveva frugato per un attimo nella borsa, tirandone fuori subito dopo due bottigliette d'acqua, un pacco di biscotti e alcune mele. -Tieni, sono per te- gli aveva detto gentilmente.
Lui l'aveva ringraziato commosso, stringendo a sé quei doni che in quel momento aveva ritenuto preziosi come l'oro.
Kyle riuscì finalmente a riprendere il controllo del proprio corpo, e si alzò lentamente evitando qualsiasi tipo di movimento brusco. Si sentiva ancora  spossato, tuttavia era orgoglioso di essere riuscito a completare un altro incarico. Si mise le mani in tasca pronto ad andarsene, ma in quell'esatto istante si accorse che qualcuno lo aveva osservato per tutto il tempo, e si sentì congelare. Non si trattava di un semplice "qualcuno". Si trattava di Eveline, che lo stava squadrando con occhi terrorizzati ma al contempo pieni di delusione per essere stata imbrogliata.
-Ma tu chi... anzi, cosa sei?- chiese allora la ragazza in tono velenoso. Kyle non rispose nulla. In fondo, che cosa mai avrebbe potuto dire? "Ehi, scusa tanto se sono un Reaper e metto fine alla vita di quelli che tanto stanno già per morire!"? Come minimo le avrebbe causato una crisi isterica.
Eveline strinse i pugni, trattenendo a stento lacrime di rabbia. -Sei stato tu ad uccidere mio padre, bastardo!- gridò in sua direzione. Non poteva credere di essere stata così stupida da starlo perfino ad ascoltare mentre snocciolava le sue bugie. Perché non aveva lasciato perdere? Perché non aveva dato retta al suo sesto senso che l'aveva messa in guardia.
-Eveline, non ho ucciso tuo padre...- mormorò Kyle facendo un passo in avanti.
-Non avvicinarti, assassino!- strillò lei in risposta, per poi arretrare e fuggire via.
Kyle avrebbe potuto inseguirla e raggiungerla nel giro di pochi secondi, ma non lo fece. Era meglio lasciare che se ne andasse, così si sarebbe risolto ogni problema. Anche se per assurdità lo avesse denunciato nessuno sarebbe mai riuscito a trovarlo, perché lei era l'unica a poterlo vedere. Prima o poi avrebbe rinunciato, dandosi qualche stupida spiegazione logica come il dolore per la perdita del padre o qualcosa del genere.
"Sì, è meglio che mi stia lontana" pensò.
Rimase lì, immobile, il braccio destro ancora sollevato in un ultimo tentativo di chiamarla.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

Eveline correva, correva lontano da quell'essere, correva lontano da ciò che non riusciva a capire. Perché, nonostante avesse visto quell'uomo morire tra le braccia di Kyle senza un lamento, non c'era stata alcuna traccia di sangue che potesse spiegarne il motivo. Proprio com'era successo con suo padre.
La sua parte razionale la implorava di dimenticare tutto, consapevole di essersi avvicinata troppo a terreni pericolosi e insidiosi. In qualche modo cancellare tutto ciò che aveva vissuto in quei due giorni pareva la scelta migliore. Sentiva che se anche avesse raccontato qualcosa non sarebbe stata creduta, ma avrebbe solamente peggiorato la sua situazione. Eppure allo stesso tempo c'era un'altra parte che era attratta da quell'enorme punto interrogativo rappresentato da quell'affascinante e misterioso ragazzo dai capelli biondo miele mossi in morbide onde.
Ciò che più l'attraeva erano però gli occhi, così profondi e insondabili che sembravano essere i custodi di una saggezza infinita non coerente con la sua giovane età. Era certa che Kyle racchiudesse un segreto dentro di sé, e quello sguardo di lapislazzuli rappresentava la chiave dello scrigno. Eppure aveva paura. Troppa, troppa paura per decidersi a indagare di più.
Sapere che per qualche assurdo motivo quel ragazzo era in grado di uccidere delle persone la terrorizzava, spingendola a correre senza curarsi degli sguardi incuriositi delle persone intorno a sé. Tutto ciò che desiderava in quel momento era mettere più spazio possibile tra sé e Kyle, fingere che non fosse accaduto nulla e riprendere la sua vita di prima. Non stava nemmeno guardando dove si stava dirigendo, accecata dalla paura e assordata dal battito del suo cuore. Per questo notò il ragazzo che stava uscendo da un negozio solo quando ormai gli era già arrivata addosso, facendogli cadere di mano alcuni pacchetti e finendo a terra per il contraccolpo.
-Ouch...- mormorò Eveline, che aveva sbattuto con il fondoschiena sulla strada lastricata. Poi sollevò lo sguardo, ricordandosi di aver appena colpito qualcuno. -Scusami tanto, non ti avevo visto!-
-Tranquilla, io sto bene- le rispose il giovane. -Tu piuttosto, sicura di non esserti ferita?- le chiese, e le allungò una mano per aiutarla a rialzarsi. Era calda, e la strinse con sicurezza e forza attirandola a sé. Eveline sgranò gli occhi quando si rese conto di avere il volto a una decina di centimetri da quello dello sconosciuto, e fece un passo indietro, imbarazzata. Doveva ammettere che non era affatto brutto, anzi. La carnagione e la corporatura le ricordavano quelli di un surfista australiano, ma allo stesso tempo i tratti erano molto dolci e delicati. Indossava un paio di pantaloni scuri e un pullover blu che delineava perfettamente i suoi muscoli scolpiti.
-Tutto... tutto ok, grazie- mormorò, inchinandosi per scusarsi nuovamente. Fece per andarsene, ma il ragazzo la fermò.
-Aspetta! Sicura vada tutto bene? Hai gli occhi arrossati...- le disse, guardandola preoccupato.
Eveline si portò una mano agli occhi, ancora umidi per le lacrime che minacciavano di uscire ma che era riuscita a trattenere con fatica. "Dannazione, si nota così tanto?!"
-Sì figurati, è solo che fa un po' freddo e sono piuttosto sensibile a quest'aria pungente!- cercò allora di sdrammatizzare, accennando un sorriso. Tuttavia il ragazzo non parve molto convinto, ma anzi si passò la mano tra i capelli castani con aria pensierosa come se stesse pensando a cosa fare. Alla fine sospirò, e sorridendo disse:-D'accordo allora, scusa ancora per il disturbo.- Infine raccolse nuovamente le sue borse e si allontanò rapidamente, sparendo dietro l'angolo.
Passò qualche secondo prima che Eveline si riprendesse, e fu allora che un luccichio sulla strada attirò il suo sguardo. Un anello, con incastonato una pietra simile all'opale, proprio nel punto in cui si trovava il ragazzo contro cui era andata a sbattere. Si chinò e lo raccolse, studiandone l'elegante fattura. Rigirandoselo tra le mani notò che all'interno vi era inciso qualcosa.
Mors tua vita mea.
Corse nella direzione verso cui si era diretto il giovane, ma sembrava essere scomparso.
Tornò allora ad osservare la scritta sull'anello, mormorandola a bassa voce. -Mors tua, vita mea...- Dal suono delle parole intuì che doveva essere latino, ma non avendolo mai studiato non riusciva ad afferrarne il senso. Era così diverso dalla sua madrelingua, l'inglese! Le comunicava un'aura di mistero, e si ripromise di informarsi non appena fosse tornato a casa, sperando di poter rincontrare prima o poi il ragazzo per tornare ciò che aveva perso.

*

Nell'ampia sala le fiamme delle torce appese alle pareti sembrarono diventare più intense quando apparve la figura, che si avvicinò con passo misurato alla persona seduta su una poltrona di velluto rosso lasciandosi accarezzare dalle ombre che si alternavano a guizzi di luce.
-Avevate ragione, come sempre- esordì il nuovo arrivato, inchinandosi profondamente e portando la mano destra al cuore. -Al momento la situazione sembra essersi risolta da sola, ma se mi permettete preferirei continuare a tenerla sotto controllo ancora per un po' di tempo.- Si zittì per alcuni secondi, per poi aggiungere con tono remissivo:-Sempre se ovviamente non avete qualche altro compito da assegnarmi.-
Sperava di tutto cuore che non fosse così. Doveva ammetterlo, ciò che stava facendo lo divertiva molto più degli altri incarichi che gli erano stati affidati fino a quel momento, e gli sarebbe dispiaciuto se fosse terminato così presto. Tuttavia conosceva anche fin troppo bene il significato della cieca ubbidienza, e non osava esprimere ad alta voce i suoi desideri.
Ad ogni modo, come avrebbe dovuto immaginare, l'altra figura intuì i suoi pensieri. Quest'ultima sorrise sardonica, e gli disse:-Chissà perché avevo la certezza che me l'avresti chiesto... comunque permesso accordato, ho anche io la sensazione che non possa essersi risolto tutto così facilmente. Mi raccomando, conto su di te... Edward.-

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12
 

La luce delle lampade che pendevano dal soffitto chiaro faceva risaltare i divanetti in pelle appoggiati contro le pareti e i tavolini scuri, attorno ai quali c'erano due o tre sedie imbottite. La musica proveniente da alcune casse installate negli angoli del locale era tenuta come sempre a basso volume in modo tale da non infastidire gli avventori che preferivano chiacchierare senza suoni assordanti nelle orecchie ma allo stesso tempo accompagnare quelli che sedevano da soli. Fino a quando Michael fosse rimasto gestore le cose non sarebbero cambiate.
Nella piccola stanzetta sul retro che fungeva sia da magazzino che da camerino per il personale, Eveline si diede un'ultima rassettata all'uniforme. Non era nulla di vistoso, consistente in una camicia bianca con un piccolo taschino ad altezza del cuore decorato con il marchio del ristorante - un sole dorato dai raggi sinuosi - , dei semplici pantaloni neri a sigaretta e un camice dello stesso colore che fungeva da "marsupio" per block notes e penna.
Guardandosi nello specchietto che aveva appoggiato sopra una pila di scatole finì di sistemarsi i capelli acconciandoli in una coda alta e legandoli con un elastico scuro. Dalla sala si sentivano provenire già i brusii dei primi clienti che si accomodavano ai tavolini.
-Sam, io sono pronta- avvisò allora l'altra ragazza, una giovane dai capelli bruni ricci come delle molle che stava tentando disperatamente di domare la propria chioma. Infatti un altro punto su cui Michael era piuttosto intransigente consisteva proprio nelle acconciature delle proprie dipendenti. "Visto che lavorate in un ristorante non potete andarvene in giro a perdere capelli nei piatti dei clienti!" le aveva avvisate sin da subito.
Qualche minuto e maledizione dopo, Sam riuscì finalmente nell'impresa grazie a ben due elastici e un esagerato numero di forcine. -Spero solo che questa impalcatura non crolli disastrosamente!- scherzò, e fece una smorfia resa adorabile dalle efelidi che le decoravano il naso. A dispetto della sua statura superiore alla norma e al suo fisico piuttosto magro, il suo viso aveva dei tratti infantili che non facevano intuire la sua reale età. E non era colpa solo delle piccole lentiggini, ma anche dei suoi grandi occhioni color nocciola nei quali si riusciva a leggere tutte le sue emozioni. Era un vero e proprio libro aperto, anche perché adorava parlare. Lo definiva il suo sport preferito, e probabilmente era grazie alla sua esuberanza che gli habitué stravedevano per lei. Non di certo come Eveline, che dal canto suo era sempre stata riservata.
Sam impugnò un vassoio come se fosse uno scudo, e proclamò:-E' ora di entrare nell'arena!- 
L'altra scoppiò a ridere davanti a quella scena, e dopo averle dato un colpetto amichevole sulla schiena la apostrofò:-Muovi il fondoschiena, gladiatrice dei miei stivali!-, per poi aprire la porta e recarsi subito a prendere le ordinazioni. Michael, in piedi come al solito dietro all'alto bancone, era impegnato a servire alcuni avventori che si erano accomodati sugli sgabelli bianchi in attesa di un drink. 
"Si prospetta una serata impegnativa" pensò Eveline, preparandosi a correre qua e là per le ore successive. Nonostante fossero a malapena le sette c'erano già parecchie famiglie e alcune coppie sedute ai tavoli. Tuttavia doveva ammettere che non le dispiaceva poi così tanto. Inizialmente aveva scelto quel lavoro più che altro per dimostrare a sua madre che se la sarebbe benissimo potuta cavare anche da sola, ma con il passare del tempo si era affezionata a quel luogo, e ci andava volentieri.
Accolse con un sorriso educato i primi due clienti, signora e signore di mezza età. -Buonasera. Cosa posso portarvi?- gli chiese, tirando fuori blocchetto e penna dal grembiule. La prima ora e mezza passò quasi senza rendersene conto tanto era impegnata: annotare le ordinazioni, portarle ai due cuochi in cucina che avevano i volti rossi dal caldo, portare le pietanze ai tavoli... un viavai continuo che le fece perdere la cognizione del tempo. Solo verso le 21 la situazione sembrò come minimo calmarsi, permettendole di riprendere fiato. Tranne qualche eccezione, la maggior parte dei clienti veniva ora per bere qualche drink piuttosto che cenare, quindi sia lei che Sam avevano l'opportunità di riposare a turno per alcuni minuti.
Fu durante una di queste pause che Eveline, seduta su una sedia in plastica nel magazzino, afferrò la collana che portava attorno al collo e osservò una volta di più l'anello che aveva trovato a terra. Timorosa di perderlo se l'avesse messo in tasca o nella borsetta aveva deciso di appenderlo lì. Lo inclinò in avanti per studiarne meglio l'interno grazie alla luce della lampadina, e socchiuse gli occhi quando notò una specie di scalfittura poco prima della scritta. Pareva che ci fosse stato inciso dell'altro, ma era come se qualcuno avesse accarezzato talmente tante volte quel punto da cancellare le parole. Quella che vedeva poteva essere una "d", oppure "ol"... non c'era modo di saperlo.
Udì la maniglia della porta abbassarsi, e la voce allegra di Sam invadere tutta la stanza. -Ehi collega, vai tu a tenere sotto controllo le bestie?- le chiese mentre indicava con la mano dietro di sé. Eveline non l'aveva mai vista seria, e sebbene a qualcuno il suo perenne buon umore avrebbe potuto dar fastidio lei ne era contenta, perché almeno riusciva a rasserenarle la giornata.
-Ho capito, ho capito, ora vado- le rispose. Si alzò in piedi dirigendosi verso la sala, ma prima che potesse uscire Sam la fermò. 
-Carino quell'anello! Te l'ha regalato il tuo ragazzo? Che fortunata, chissà perché io non riesco a trovare nessuno che mi voglia!- esclamò mentre osservava entusiasta l'anello d'oro.
Eveline sollevò le mani sbrigandosi a chiarire l'equivoco. -No, non me l'ha regalato nessuno, è solo che l'ho...- si zittì, indecisa su cosa dire. "Vedi, prima mentre stavo scappando da una specie di serial killer mi sono scontrata con un ragazzo e gli dev'essere caduto!" Non la trovava una spiegazione molto valida, nonostante fosse vera. O meglio, perché lo fosse avrebbe dovuto raccontarle tutto quello che le era accaduto in quei due ultimi giorni e che preferiva dimenticare. -Ti racconto dopo, ora devo andare a servire visto che tu sei già stanca!- la prese in giro. 
Uscì in sala dando una rapida occhiata ai tavolini per vedere chi doveva ordinare, e in quell'istante la porta del locale si aprì facendo entrare l'ennesimo cliente.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13

Chaos. Incertezza. Paura. Delusione.
Il Reaper sedeva con la testa tra le mani su una poltroncina grigia situata in fondo al corridoio dell'hotel in cui si era infiltrato. Le luci che provenivano dal soffitto illuminavano il lungo tappeto rosso che era stato sistemato sul pavimento e si riflettevano sulle porte metalliche dei due ascensori affiancati che portavano ai piani superiori. Gli sguardi degli inservienti che iniziavano con le pulizie e dei turisti che tornavano alle loro camere lo attraversavano senza soffermarsi, come se fosse parte dell'arredamento e non meritasse attenzione.
In effetti se ne stava talmente immobile che sarebbe potuto sembrare paralizzato, una statua con l'aspetto di un angelo in felpa blu scuro e jeans. Questo perché la sua mente era diventata un mare in tempesta che si scagliava con tutta la sua forza contro gli scogli, l'insieme dei ricordi che ora possedeva. Non solo quelli degli assistiti, ma anche quelli innati e ottenuti in quei pochi giorni di esistenza.
-Kyle-. Mormorò quel nome a fior di labbra, assaporandone il suono. Non riusciva a capire perché gli fosse sorto così spontaneo quando l'aveva detto ad Eveline, quasi avesse fatto sempre parte di lui. Eppure non poteva essere, in quanto il proprio vero nome non lo conosceva. Gli sarebbe stato rivelato solo quando fosse giunta la sua ora.
Allora per quale motivo quelle quattro semplici lettere messe in successione sembravano essere in grado di smuovergli qualcosa nel profondo? Per un istante gli sembrò perfino di vedere i contorni del volto di un ragazzo con dei capelli talmente chiari che sembravano bianchi e una piccola cicatrice sotto l'occhio sinistro, ma questi scomparve subito dopo lasciandolo spaesato e con una strana sensazione al petto. Kyle si alzò di scatto e allungò la mano, attraversando il nulla. 
Lo conosceva. In qualche modo lo percepiva dentro di sé che lo aveva conosciuto. Ogni singolo tratto di lui gli era familiare, eppure non riusciva a ricondurlo ad un ricordo preciso. Si lasciò cadere fiaccamente sulla poltrona che accolse il peso del suo corpo facendolo affondare di alcuni centimetri.
-Perfetto, ora inizio ad avere pure le visioni- bofonchiò. Un motivo in più per sentirsi diverso dagli altri Reaper. Sbagliato. Se il problema fosse stato solo quello forse non sarebbe stato così male. In fondo aveva saputo fin quasi da subito che c'era qualcosa in lui che non andava. La verità era che, da quando Eveline lo aveva etichettato come un assassino, quell'accusa non smetteva di farlo stare male. Non aveva mai riflettuto veramente la sua vera natura, dando per scontato che come servitore della Morte era per logica nel giusto. Non era meglio che le anime fossero liberate da ogni peso, da ogni legame con la vita terrena prima di andarsene? Faceva loro un favore.
"Non avvicinarti, assassino!" 
Per l'ennesima volta rivide Eveline che gli urlava contro, il viso cinereo e gli occhi che esprimevano terrore, rabbia e risentimento allo stesso tempo. Era riuscito ad allontanarla proprio come voleva, no? E allora come si spiegava quella specie di insoddisfazione che stava provando?
"Volevo capire che cosa ci fosse di speciale in quella ragazza e invece ho fallito" si diede allora come spiegazione, e voltò la testa di lato per osservare ciò che stava accadendo all'esterno dell'ampia vetrata installata nella lunga parete. Dovevano essere circa le otto di sera, ma il buio era già calato avvolgendo la città con un manto scuro. I lampioni erano già accesi e rischiaravano la strada sulla quale si proiettavano le ombre dei passanti, stretti nelle loro giacche dai colletti rialzati per proteggersi dall'aria fredda. Alcuni di loro stavano portando a passeggio il cane legato ad un corto guinzaglio. Tutta quella normalità era così disarmante da fargli quasi male.
"Non potrò mai essere come loro".
Quel pensiero gli attraversò alla mente chiaro e limpido come un fulmine, e per un attimo lo lasciò sconcertato. Perché lo sentiva allo stesso tempo come proprio ed estraneo. Non gli apparteneva del tutto ma lo condivideva.
Tuttavia non ebbe neppure il tempo di rifletterci sopra: sollevando lo sguardo verso l'alto nel punto in cui si poteva iniziare ad intravedere il cornicione del primo piano dell'hotel, intercettò due occhi che parevano dotati di luce propria scrutarlo con aria divertita e allo stesso tempo derisoria. Non servì a nulla la sua velocità soprannaturale. Si era appena alzato in piedi che quelle due piccole fiammelle dorate si spensero, lasciandolo a bocca spalancata. Passarono alcuni istanti durante i quali il suo cervello elaborò le teorie disparate, ma infine Kyle giunse ad un'unica soluzione.
Forse non era stato davvero abbandonato a sé stesso in quel mondo. Forse c'era qualcuno che aveva iniziato a tenerlo d'occhio dopo aver notato le sue "difficoltà". O forse non era mai stato davvero solo. Lo avevano visto parlare con Eveline. Lo avevano visto mostrare involontariamente la propria natura ad un'umana. Lo avevano visto in preda al dubbio. E se quella era la verità...
"...la punizione non tarderà ad arrivare" pensò Kyle deglutendo a fatica.

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