Friendship and loyalty di DalamarF16 (/viewuser.php?uid=98962)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A morning like any others. ***
Capitolo 2: *** I am not going anywhere ***
Capitolo 3: *** Deal? ***
Capitolo 4: *** Please, don't be stupid ***
Capitolo 5: *** False impressions don't speak ***
Capitolo 6: *** You'll wish I Killed You Yesterday ***
Capitolo 7: *** Mr. Murdock is out right now ***
Capitolo 8: *** Kept in the dark ***
Capitolo 9: *** everyone in life should have a Foggy. ***
Capitolo 10: *** Foggy Nelson, avocado at law. ***
Capitolo 11: *** Don't Claire me, Murdock! ***
Capitolo 12: *** Darts and glass ***
Capitolo 1 *** A morning like any others. ***
PERSONAL SPACE: ed eccomi qui, che
spunto in questo fandom, perchè mi sono innamorata di Daredevil, di
Charlie Cox e di tutto quello che gli gira attorno... Chiedo scusa a
chi sta leggendo Trust Me nella sezione Avengers, giuro che presto
aggiornerò pure quella!
Comunque, qualche mese fa mi sono
imbarcata in una nuova avventura, principalmente a seguito di un brutto
evento che ha coinvolto me e la mia famiglia. Dovevo in qualche modo
allontanarmi da quello che stavo facendo, estraniarmi, diciamo...e
siccome non potevo partire... mi sono immersa in una fanfiction in
inglese. Ne è uscita questa cosa, che sto pubblicando con lo stesso
titolo anche in inglese su FF.net... eniente...
fatemi sapere cosa ne pensate, e
ricordatevi che non mordo se mi lasciate recensioni negative ^__^
Chapter
1: A morning like any other.
Era una mattina come tutte le altre.
Matt Murdock aprì gli occhi al suono della sveglia e, come tutti i
giorni da una ventina di anni a quella parte, il mondo prese fuoco
attorno a lui. Schiacciò il bottone bianco per zittire quel rumore
altamente fastidioso per il suo udito ultrasensibile e la consueta voce
metallica (non molto più piacevole del suono precedente, a dire il
vero) lo informò che erano le sette del mattino.
Era ora di alzarsi.
Come d’abitudine, prestò particolarmente attenzione ai propri
movimenti, pronto a ricevere le ormai solite dolorose proteste
provenienti dal proprio corpo; tuttavia, quella mattina, non provò
dolore.
La notte prima non era uscito per il suo consueto giro di pattuglia per
Hell’s Kitchen, per cui non aveva ferite fresche di cui preoccuparsi,
ma realizzò tutto questo solo qualche minuto dopo, quando il suo
cervello iniziò a svegliarsi e smise di muoversi per casa come
un’automa.
Si diresse immediatamente verso il bagno. Aveva davvero bisogno di
farsi una doccia.
Il giorno precedente era stato uno di quei giorni che non si potevano
definire semplicemente “pieni di lavoro” o “caotici” o “pazzi”. Era
stato un insieme di tutte le tre definizioni e forse qualcosa di ancora
peggiore.
Lui, Karen e Foggy non avevano avuto un solo minuto di pace.
Da quando erano riusciti a far arrestare Fisk si erano davvero fatti un
nome a Hell’s Kitchen e il numero dei loro clienti era cresciuto in
maniera esponenziale, senza contare che la vera novità era che alcuni
di essi potevano perfino permettersi di pagarli.
Per la prima volta da quando riusciva a ricordare (escludendo il
periodo in cui non si erano parlati) lui e Foggy si erano ritrovati
costretti a lavorare su casi differenti, mentre un’eccezionale Karen
cercava di aiutarli entrambi e allo stesso tempo teneva a bada i
clienti in attesa.
Il risultato di tutto questo era che si erano concessi stento una breve
pausa pranzo ed erano tornati a casa dopo mezzanotte.
Matt era rimasto in piedi per un po’ di fronte alla finestra aperta,
ascoltando le voci della città, cercando di capire se qualcuno
necessitasse del suo aiuto. Quando aveva capito che quella sarebbe
stata una nottata tranquilla, aveva tirato un sospiro di sollievo, si
era lasciato cadere sul letto e si era addormentato con addosso ancora
il suo completo da avvocato.
Arrivato a casa non si era cambiato subito perchè aveva pensato di
scivolare direttamente da una divisa a un’altra, e quando aveva deciso
di non uscire, si era semplicemente ritrovato senza le forze necessarie
a indossare pantaloni della tuta e maglietta.
Foggy. Foggy. Foggy. Foggy. Foggy...
Aveva appena messo piede in bagno quando il suo telefono cominciò a
suonare, recitando il nome del suo migliore amico con voce atona ma
allo stesso tempo insistente.
Sospirò e tornò in cucina dove l’aveva abbandonato.
Se a chiamarlo fosse stata Karen si sarebbe limitato a lasciarlo
squillare e a richiamarla una volta rimessosi al mondo, ma si trattava
di Foggy, che da quando aveva scoperto il suo segreto aveva fatto delle
chiamate mattutine una sorta di routine.
Gli telefonava solo per accertarsi che fosse rientrato a casa
abbastanza in forze da chiamare Claire per farsi ricucire.
Se non avesse risposto, il suo migliore amico si sarebbe probabilmente
precipitato a casa sua a controllare che tutto fosse ok, e Matt non
voleva che si preoccupasse inutilmente, perciò prese la chiamata nel
più breve tempo possibile.
-Ehi. Tutto ok? Ci hai messo una vita a rispondere…-
Matt non potè evitare di sorridere. Il modo in cui Foggy si preoccupava
per lui era sempre stato quasi commovente, nonostante non lo avesse mai
trattato in guanti bianchi, ma questo era stato uno dei motivi per cui
lo aveva tenuto all’oscuro della sua attività notturna.
-Sto bene- rispose - mi stavo facendo una doccia-
-Oh, scusa. Ma… stai bene? Cioè… sai…-
-Sì. Ieri sono rimasto a casa-
-Davvero?- e qui non serviva avere i suoi sensi acuti per percepire il
sollievo nella sua voce.
-Troppo stanco-
-Allora… ci vediamo in ufficio?-
-Certo. Lasciami una ciambella.-
Matt chiuse la telefonata e finalmente riuscì ha infilarsi nella doccia
calda che lo chiamava già da un po’. Cambiò il completo e, presa la sua
borsa, gli occhiali e il bastone si diresse direttamente all’unico
ufficio dell’appena nata Nelson&Murdock. Appena arrivato su
sollevato dallo scoprire che nessun cliente si era ancora presentato in
ufficio, in compenso, Karen e Foggy erano già lì e lo stavano
aspettando per colazione.
Anche questa, così come le telefonate) era una nuova abitudine nata
dalla mente del suo migliore amico nel momento in cui avevano
ricominciato a parlarsi dopo che l’identità di Daredevil gli era stata
svelata.
Tutto sommato, la nuova routine non gli dispiaceva poi troppo.
Le settimane in cui lui e Foggy non si erano parlati erano state le
peggiori dopo quelle immediatamente successive alla morte di suo padre,
perchè Foggy era più di un amico, e più di un socio in affari, anche se
solo ora se ne rendeva pienamente conto.
Quando aveva rischiato di perderlo a causa della sua seconda attività,
dapprima aveva pensato che sarebbe riuscito a cavarsela anche da solo,
come aveva sempre fatto fino al giorno in cui era entrato al college,
ma ben presto aveva iniziato a sentire la mancanza delle sue continue
chiacchiere inutili e il suo lamentarsi praticamente di qualunque cosa,
e aveva realizzato quanto la sua presenza riempisse la sua vita, anche
se, quando ci pensava, non poteva fare a meno di porsi la stessa
identica domanda che veniva loro posta ogni qualvolta i loro caratteri
opposti venivano palesati: com’era possibile che due persone così
diverse, praticamente agli antipodi, fossero diventati amici a tal
punto da voler fondare uno studio insieme?
Perchè Foggy era davvero il suo opposto.
Matt era, sostanzialmente, una persona silenziosa; non che da piccolo
fosse mai stato un chiacchierone, ma da quando i suoi sensi erano stati
modificati, aveva ancor di più iniziato a parlare solo quando lo
riteneva strettamente necessario. Era tutto così rumoroso attorno a
lui, che se poteva evitava di essere la causa diretta di altro rumore.
E, inoltre, non aveva mai amato particolarmente la compagnia, fin da
piccolo. A scuola si era sempre concentrato sui propri libri e sul
proprio studio, ignorando i giochi e le prese in giro dei suoi
coetanei; aveva promesso a suo padre che avrebbe sempre studiato sodo
per avere un futuro migliore, ma soprattutto, non c’era cosa più bella
per Matt vedere il proprio padre orgoglioso di lui. Questo valeva, di
per sè, più di qualsiasi attività ricreativa. Quando aveva perso la
vista, le cose non erano certo migliorate, anzi, era diventato più
facile per gli altri trovare una scusa per escluderlo da qualsiasi
possibilità di vita sociale, ma, di nuovo, non se ne era mai lamentato
più di tanto.
I suoi insegnanti dicevano sempre che era un adulto nel corpo di un
bambino di 8 anni, forse perchè già allora aiutava Jack Murdock a far
quadrare i conti con i soldi che guadagnava dai combattimenti, che, per
qualche ragione, erano sempre troppo pochi. Il risultato era che molto
spesso indossava vestiti di seconda mano che non erano proprio della
sua taglia e aveva sempre evitato di andare alle feste di compleanno
perchè spesso non c’erano i soldi per comprare i regali. Da quel punto
di vista, la cecità aveva reso le cose più facili: non doveva rifiutare
inviti che non riceveva.
Con la morte del padre, le cose erano anche peggiorate: i suoi sensi si
erano sviluppati all’improvviso, come se il genitore fosse stato uno
scudo che finora l’aveva nascosto al momendo e adesso, all’improvviso
fosse scomparso. L’orfanotrofio, con la sua miriade di suoni e
grida, aveva rischiato di farlo diventare pazzo. Il minimo rumore lo
sovrastava completamente, e anche quando riusciva a sgattaiolare in
chiesa o nella piccola cappella dell’istituto, non trovava pace. Si era
quindi ritrovato chiuso nella propria stanza, raggomitolato su se
stesso cercando di attutire i suoni attorno a lui.
E poi era arrivato Stick, che puntualmente l’aveva abbandonato non
appena aveva iniziato a considerarlo come un padre. Ma l’uomo non
voleva un figlio: voleva un soldato fedele, pronto a uccidere al suo
comando. Anche se all’epoca era solo un bambino, Matt non aveva ceduto
alla tentazione di una nuova figura paterna: gli insegnamenti di Jack e
la fede cristiana erano così radicati in lui che ben presto Stick aveva
capito che si trattava di una battaglia persa.
Da quel momento, si era convinto che avrebbe passato il resto della
propria vita da solo: gli anni erano passati e lui era cresciuto, ma
qualcosa in lui gli impediva di avere relazioni che durassero davvero.
Aveva perfino provato a prendere un cane guida, ma presto aveva capito
che non era cosa per lui.
Al college, per evitare l’imbarazzo di essere trattato come una bambola
di porcellana, aveva richiesto una camera singola, ma l’errore di un
computer gli aveva fatto incontrare questo tipo strano che stava
cercando di farsi ammettere al corso di punjabi solo per correre dietro
a una ragazza. Matt ci aveva messo meno di due minuti a capire che con
Foggy le cose sarebbero state diverse, e non si era sbagliato. Aveva
finalmente riscoperto il calore di una sincera amicizia, che era durata
per tutto il corso degli anni: aveva di nuovo una famiglia, e per poco
non aveva mandato tutto a puttane.
La notte dopo il loro litigio, si era sentito così in colpa per tutte
le bugie dette da star male, e quel poco che era riuscito a mangiare
non era rimasto nello suo stomaco a lungo, e i giorni successivi non
erano andati molto meglio. Andava in ufficio solo in tarda nottata,
spesso dopo il suo giro di pattuglia per Hell’s Kitchen, quando era
sicuro che Foggy non ci sarebbe stato (a volte c’era Karen, ma non era
lei il problema) e utilizzava le ore diurne per riposare.
Alla fine, se ne era fatto una ragione, e le cose sembravano andare
abbastanza bene, o almeno così si era detto. Puttanate. Quando, dopo il
funerale di Ben, l’amico l’aveva rintracciato in palestra e insieme
avevano deciso di provare a voltare pagina, di nuovo insieme, avrebbe
fatto salti mortali di gioia se solo fosse stato meno orgoglioso.
Non avevano solo deciso di continuare le loro indagini per togliere
Fisk dalla circolazione senza che lui dovesse ucciderlo, ma anche di
ricostruire da zero la loro amicizia, senza bugie questa volta.
Colazione e telefonate erano parte dell’accordo, e a Matt andava bene
così. Avrebbe accettato qualunque condizione pur di riavere la propria
famiglia.
-Sei in ritardo- il saluto di Karen era gioviale, ma con una punta di
rimprovero.
-Scusate-
-Muoviti! Abbiamo fame!- protestò Foggy, ma questa volta percepì solo
un sorriso dietro un rimprovero -Alzati prima la prossima volta!-
-Sì come no. Scommetto che ti sei già fatto fuori due o tre ciambelle
ancora prima di arrivare in ufficio-
-Non è vero!-
-Quattro?-
-Fottiti, Murdock!- Entrambi a quel punto stavano ridendo di fronte a
una divertita Karen, e Matt riuscì ad annusare nel suo alito che almeno
tre erano state mangiate: sentiva cioccolato, fragola, forse mostarda
e… ehi era il profumo di Marcy quello che gli sentiva addosso?
Sorrise prendendo la ciambella e la tazza di caffè che la segretaria
gli stava porgendo con un gentile ringraziamento. Aveva davvero bisogno
di caffeina per svegliarsi.
-Cosa abbiamo in programma per oggi?- chiese Foggy tra un boccone e
l’altro.
-Niente di particolare, ma dovete essere in tribunale alle 16 per quel
ragazzino che è stato accusato di aver scippato una donna fuori da una
banca-
Foggy annuì. Sarebbe stata una passeggiata, perchè erano riusciti a
provare facilmente che all’ora della rapina si trovava a scuola nel bel
mezzo di un test: un alibi che l'insegnante era stato ben felice di
confermare, fortunatamente.
E infatti, come previsto, il giudice aveva lasciato cadere tutte le
accuse contro Peter senza neppure arrivare al vero e proprio processo.
Era giá quasi buio quando i due soci erano tornati allo studio e non
avendo altro da fare per qual giorno, Foggy aveva deciso di mandare a
casa Karen prima del previsto.
-Quindi?- chiese Foggy prendendo Matt in contropiede.
-Quindi cosa?-
-Questa notte-
-Te l'ho detto- sospirò Matt -Sono rimasto a casa. Abbiamo stacctao a
mezzanotte ed ero così stanco che mi sono addormentato ancora ancora
con il completo addosso-
-Quale dei due?-
-Ma mi prendi in giro?-
-Non posso ascoltare il tuo battito cardiaco, io. Come faccio a sapere
se mi stai dicendo la verità?-
Sul serio? Di nuovo quella storia? Matt sospirò di nuovo. Capiva la
preoccupazione di Foggy riguardo a Daredevil. E anche che si fosse
sentito tradito, ma non riusciva prorio a digerire il fatto che
mettesse in discussione tutto quello che gli diceva.
Aveva mentito una volta, per proteggere lui e Karen, e aveva quasi
perso tutto.
Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte.
-Perchè dovrei mentirti?-
-Perchė tieni a lui, ragazzo-
La voce proveniente dalla porta congelò Matt sul posto.
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Capitolo 2 *** I am not going anywhere ***
A/N:
Eccomi!!!! allora allora, grazie a tutti coloro che hanno letto, in
particolare a RagDollCat per la sua recensione, sono davvero contenta
che questa storia ti piaccia!
Grazie anche a Jhon Savor per averla inserita nelle seguite, spero che
continuerete a seguirmi!
E niente...fatemi sapere cosa ne pensate!
Chapter
2: I am not going anywhere.
Foggy pensava di aver conosciuto nel corso degli anni ogni
sfumatura di Matt Murdock, incluso il fatto che fosse una sottospecie
di incrocio tra un ninja e un boxeur, ma vederlo letteralmente
congelarsi in quel modo lo colse completamente alla sprovvista. Pur non
avendo i superpoteri del suo migliore amico, riusciva a percepire
l'improvvisa tensione che lo aveva invaso, mentre il suo volto perdeva
qualche sfumatura di rosa.
Come se fosse un soldato di fronte al proprio superiore, vide Matt
alzarsi di scatto e raddrizzare spalle e schiena, mentre
contemporaneamente afferrava il proprio bastone e lo stringeva forte,
come se si stesse preparando a usarlo come arma da un momento
all'altro, o come se gli servisse per aiutarsi a controllarsi.
Non l'aveva mai visto così: Matt era sempre quello calmo, controllato
in ogni sua emozione, perfino quando sarebbe stato perfettamente
normale esprimerle, mentre adesso sembrava totalmente privo di quel suo
autrocontrollo che lo aveva sempre distinto. Le sue dita continuavano a
scorrere sull'impugnatura nera del bastone, e, a meno di non avere le
allucinazioni, poteva giurare che il suo migliore amico aveva iniziato
leggermente a tremare, salvo poi riuscire a riguadagnare un po' della
sua compostezza.
Chiunque fosse il proprietario di quella voce, era riuscito a
spaventare Matt a morte. Decisamente un brutto segno.
-Matt? Tutto ok?- chiese quasi timidamente nel momento esatto in cui un
uomo anziano entrava nell'ufficio, stringendo un bastone bianco e rosso
identico a quello del suo migliore amico.
Un vecchio cieco. L'atteggiamento di Matt. Foggy ci mise poco a fare
due più due.
-Stick- fu l'unica cosa che riuscì a dire, muovendo appena le labbra.
***
-Il tuo amico è intelligente-
Il suono della voce di Stick, non più soffocata dalle pareti, e il
crescere del battito del cuore di Foggy, riuscirono finalmente a
smuovere Matt, facendolo reagire.
Si sforzò di riprendere il pieno controllo del proprio corpo e con un
immenso sforzo riuscì a smettere di tremare di paura. Non ne aveva per
sè stesso, poteva tenere testa al suo vecchio mentore, ma non voleva
farlo di fronte al proprio socio. Non voleva metterlo di fronte alla
propria brutalità, non ora che stavano cercando di tornare ad avere un
rapporto normale. Quando combatteva era un altro, e non era ancora
pronto a mostrare a Foggy il Diavolo che era in lui. Strinse ancora una
volta il suo bastone, pronto a fronteggiarlo.
-Foggy. Vai a casa- ordinò, e la voce gli uscì un po' troppo tesa e
roca per i suoi gusti.
Stick che compariva una seconda volta nella sua vita in pochi mesi lo
aveva scioccato, soprattutto perchè si era presentato nel suo ufficio,
di fronte ai suoi amici. Matt conosceva il messaggio dietro il gesto:
se Stick era riuscito a scoprire dove lavorava, anche il nemico ci
sarebbe riuscito, prima o poi.
-Non ci penso neppure!-
-Foggy....-
-Non me ne vado, Matt-
-Pensa davvero di poter fare qualcosa contro di me, signor Nelson?-
ironizzò Stick interrompendo il dialogo tra i due. Stick sapeva tutto
anche di Foggy. Un brivido gli corse lungo la schiena, mentre
improvvisamente capiva che se Stick voleva davvero fare di lui il suo
soldato, un vigilante solitario che non esitava a uccidere, avrebbe
potuto facilemente far uccidere Foggy e Karen, o addirittura farlo lui
stesso.
Sentì il panico crescergli in petto.
Calmati, Matt. Calmati.
Cercò disperatamente di scacciare dalla propria mente le immagini dei
corpi dei suoi amici morti, coperti di sangue, gli occhi spalancati e
svuotati delle loro anime. Non aveva mai visto le loro facce, quello
che sapeva dei loro lineamenti era quello che gli era stato detto, ma,
nonostante ciò, gli apparivano chiari come se avesse potuto vedere le
foto scattate dagli agenti della scientifica.
Riusciva a vedere concretamente i capelli lunghi e biondi di Karen
sparsi sul pavimento dell'ufficio, con una pallottola in fronte e, al
suo fianco, il corpo leggermente sovrappeso del suo migliore amico,
colpito a morte da numerose coltellate, la sua mano destra che
strigneva quella della segretaria in un ultimo gesto di affetto e
conforto. Il suo partner era morto lentamente e dolorosamente per mano
di Stick. Matt aveva a stento digerito la morte di Ben, non poteva
permettere che succedesse di nuovo. Non per colpa sua.
Resistette a malapena alla tentazione di scuotere apertamente la testa.
Stick sapeva che se c'era qualcosa che potesse fargli compiere il
fatale passo, da vigilante a giustiziere, poteva essere l'assassinio di
Foggy, e la cosa che più lo angosciava, era che non solo Stick sapeva,
era che era certo del fatto che il vecchio mentore non avrebbe esitato
un secondo a farlo.
Aveva cercato di educare Matt allo stesso modo, ma gli insegnamenti di
suo padre, fortunatamente, erano così ben radicati in lui che non era
riuscito a soggiogarlo.
-Forse no- Foggy stava rispondendo, riportando Matt alla realtà,
testardo nonostante ci fosse un lieve tremore nella sua voce -Ma non
lascerò Matt da solo con te-
-Foggy, ti prego- il giovane cercò di iniziare a parlare, ma non riuscì
a finire la frase, perchè fu interrotto da Stick e, proprio come
accadeva quando era piccolo, si ritrovò incapate di spiaccicare parola.
-Quindi Matt ti ha raccontato il suo piccolo segreto-
Matt si ritrovò a chiudere la bocca, mentre le sue mani stringevano
ancora più forte il bastone, fino a quando le nocche non diventarono
bianche e lui non sentì le dita indolenzite. Era spaventato e
arrabbiato allo stesso tempo. Possibile che dopo vent'anni lo
comandasse ancora così facilemente?
Il senso di impotenza che sentiva di fronte all'anziano lo faceva
andare fuori di matto. Era un adulto ora, e allora per quale diavolo di
motivo non riusciva a tenergli testa? Prima che le cose tra i due
degenerassero, comunque, raccolse un po' del suo coraggio e parlò,
riportando l'attenzione su di sè e facendo un passo in avanti per
mettersi tra Stick e Foggy.
-Che cosa vuoi, Stick? Te l'ho già detto una volta: stai fuori dalla
mia città- e soprattutto dalla mia
famiglia, pensò, ma il coraggio gli venne meno prima che
riuscisse ad articolare quelle parole, di cui, tra l'altro, non c'era
poi davvero bisogno. La posizione che aveva assunto (e che Stick aveva
sicuramente notato) era più che sufficiente a sottolineare che la sua
priorità era quella di difendere il proprio amico.
Stick aveva ancora molto potere su di lui, come sempre, ma questa volta
era diverso: c'era la vita di Foggy sulla linea del fuoco, il suo
peggiore incubo era diventato realtà e non avrebbe permesso al suo
timore di paralizzarlo.
-E io ti ho detto che la famiglia è una debolezza, ragazzino-
-Sì. E io ti ho ignorato- dopo
averti dato retta ed aver fallito miseramente.
-Idem-
-Vattene da Hell's Kitchen-
-O cosa? Mi uccidi?- Stick fece una pausa carica di presa in giro -Oh,
scusa, dimenticavo. Tu non uccidi. Sei ancora lo stesso moccioso di
venti anni fa, dopotutto-
-Uccidere non è la soluzione- all'improvviso Foggy parlò di nuovo, e la
sua voce fu come un lampo in una notte serena.
-Foggy, ti prego. Stanne fuori- Matt cercò di fermarlo, e qualcosa in
lui si incrinò. La voce del suo amico l'aveva distratto per un istante,
e all'improvviso non riusciva più a controllarsi. Ricominciò a tremare
mentre le immagini di morte gli tornavano alla mente.
***
-Matt...- chiuse la bocca quando vide Matt cominciare a tremare,
scioccato dall'improvviso cambiamento.
L'aveva visto colpire un sacco con tutta la sua forza, furibondo,
quando si era deciso a incontrarlo dopo essersi perso il funerale di
Ben; aveva scoperto il suo lato debole quando si era ammalato,
anni prima, quando erano ancora compagni di stanza al college (se ci
pensava, ricordava con estrema chiarezza il ragazzo raggomitolato sul
letto, le mani premute sulle orecchie, mentre praticamente piangeva dal
dolore. Ora sapeva che era tutto dovuto al fatto che la febbre e il mal
di testa gli impedivano di concentrarsi e filtrare le informazioni
provenienti dal resto del mondo. Non l'avrebbe mai dimenticato), ma non
aveva mai pensato che qualcuno o qualcosa potesse terrorizzarlo fino a
questo punto.
L'aveva sempre visto come senza paura affrontare il mondo (e
probabilmente anche Dio, mai non l'avrebbe mai detto di fronte a lui) e
qualunque ostacolo si trovava sulla propria strada.
Ora, invece, Matt era completamente in panico, e il cambiamento
era stato così repentino da fargli pensare che quell'uomo stesse
praticamendo su di lui un qualche trucco Jedi, del resto, dopo gli
alieni volanti e il "mondo in fiamme", cominciava a pensare che tutto
fosse possibile.
Vederlo così indifeso per la prima volta lo faceva star male, e tutto
quello che avrebbe voluto era mettergli le mani sulle spalle e fargli
capire che era con lui e aveva la sua completa fiducia, ma sapeva anche
che probabilmente un simile gesto avrebbe significato la sua condanna a
morte, quindi si costrinse a restare fermo, fissando la sua schiena e
pregando che tutto si sistemasse senza che Matt ne uscisse (troppo)
malconcio.
-Non supererò quel limite, Stick, lo sai- la voce del suo migliore
amico era di nuovo forte, adesso, come se stesse sfruttando la propria
paura per trovare la forza di tenere testa al suo mentore.
Foggy fece l'unica cosa che poteva effettivamente fare: fece un passo
avanti, avvicinandosi a lui, cercando di dargli conforto senza toccarlo
o parlargli. Sapeva che Matt poteva sentire che si stava muovendo e
sperava che il messaggio gli arrivasse comunque.
Capì di esserci riuscito quando vite le dita del ragazzo rilassarsi
impercettibilmente mentre nello stesso istante si muoveva di un passo
verso destra, facendogli completamente da scudo.
-Non risolverai un cazzo in questo modo! Certe persone vanno ammazzate
e basta!-
-Nessuno merita di morire!-
-Smettila di fare il chierichetto, ragazzino! Questa è la vita reale!
Sei un guerriero, e i guerrieri uccidono-
-Che cosa vuoi da me?- ripetè Matt, stoppando sul nascere una
discussione già avuta e che non avrebbe portato da nessuna parte, se
non, forse, alla disintegrazione del loro ufficio.
-Te. Mi serve un soldato-
-Trovati qualcun altro-
-Matt...- Stick fece un ultimo tentativo di convincerlo, ma questa
volta l'avvocato non lo lasciò finire.
-Vattene, Stick- E suonò talmente categorico che Foggy ebbe quasi
voglia di obbedirgli, se non fosse che l'ordine non era diretto a lui.
-Te ne pentirai, ragazzino-
Senza un'altra parola, il cieco prese il suo bastone e uscì
dall'ufficio, muovendolo a piccoli raggi a destra e a sinistra,
scomparendo nella notte, lasciando Matt assolutamente immobile nel bel
mezzo dell'ufficio, le mani che tremavano leggermente.
***
L'istante successivo, Foggy vide Matt scattare come una molla, come se
qualcuno lo avesse colpito con un taser per spingerlo al movimento.
Iniziò a muoversi velocemente. Non era uno stupido, e la minaccia
nascosta dietro le ultime parole del suo mentore lasciava ben poco
all'immaginazione: Stick lo voleva a tutti i costi, e l'avrebbe
costretto a seguirlo con le buone o con le cattive.
-Foggy- disse mentre nello stesso momento raccoglieva le proprie cose
-Prendi con te Karen e andatevene per qualche giorno-
-Matt...-
-Non c'è tempo- lo interruppe continuando a parlare come se Foggy non
fosse davvero lì -Devi sbrigarti. Non usate l'aereo, e possibilmente
nemmeno il treno. Prendete un autobus, o un taxi-
-Matt...-
-Non preoccuparti per i soldi, ti restituirò tutto...-
-MATT!-
Foggy adesso stava praticamente gridando nel tentativo di trovare una
breccia nella cappa di paura che stava rendendo sordo il suo migliore
amico. Finalmente riuscì a raggiungere il proprio obiettivo e l'altro
riuscì finalmente a fermarsi per voltarsi verso la direzione in cui
sapeva l'avrebbe trovato, il suo corpo era ancora scosso da un lieve,
preoccupante tremore.
-Fog...- cominciò a spiegare, cercando di star calmo nonostante il suo
istinto gli stesse imponendo di prendere i due amici e piazzarli dentro
il primo taxi per spedirli fuori dalla città senza nemmeno dare loro il
tempo di prendere un cambio di vestiti -Non abbiamo molto tempo...-
-Io non vado da nessuna parte, Matt- Foggy rispose con tono quieto,
guardando il Diavolo di Hell's Kitchen dritto negli occhi nascosti
dietro quelle dannate lenti rosse.
La sua semplice frase riuscì nell'intento di fermare Matt dal fare un
milione di cose nello stesso tempo.
-Lo hai sentito-
-Sì. L'ho sentito. E ora tu ascolterai me, Daredevil. I. Non. Vado. Da.
Nessuna. Parte. Chiaro?-
-Non puoi restare, Foggy. Ti ucciderà solo per fare di me quello che
vuole-
-E quindi?-
-Non ci arrivi?-
-Non esattamente...- Foggy fu costretto ad ammettere.
-Sa chi sei, e probabilmente anche dove vivi. Sei in pericolo- spiegò
Matt, cercando in tutti i modi di non alzare la voce contro di lui.-
-Ribadisco: e quindi?-
Matt sospirò, giunto al limite di sopportazione. Aveva sempre pensato
che Foggy fosse una persona sveglia, ma ora si stava comportando da
stupido o, pensò con amara ironia, come se fosse cieco davanti alla
situazione in cui si trovavano.
-Mi stai almeno ascoltando?-
-Sì, Matt. E' la solita, vecchia storia: tu te ne vai in giro di notte
a picchiare la gente, e se qualcuno dovesse scoprire chi sei, saremmo
tutti morti. Ho capito. Ma questo non cambia le cose. Io resto al tuo
fianco a pararti il culo, come sempre-
-A rischio della tua vita- Matt diede voce alla postilla sottointesa
nella frase.
-Non se ci sei tu con me, giusto?-
Matt percepì il ghigno sul volto di Foggy, e non potè fare a meno di
sorridere, scuotendo la testa e cacciando indietro le lacrime di
commozione che erano comparse dietro i suoi occhiali. Aveva sempre
saputo che Foggy sarebbe stato un amico leale, gliel'aveva provato fin
dai primi passi della loro amicizia, nonostante i loro caratteri
diversi e la naturale difficoltà del cieco di stringere legami
affettivi, combinazione di una naturale timidezza e delle sue
esperienze passate. Foggy non si era mai arreso, e piano piano si era
ritagliato un posticino nel cuore dell'amico. Un posticino fatto di
piccole attenzioni che avevano abbattuto il muro alzato giorno dopo
giorno. Matt aveva perso presto il conto di quante volte Foggy aveva
rinunciato ad andare alle feste nel campus per stargli vicino quando si
sentiva particolarmente sopraffatto dallo stress e dalla stanchezza e
non riusciva a tenere a bada l'emicrania, o quanto spesso aveva letto i
libri ad alta voce, registrandosi per lui ogni volta in cui non
riuscivano a recuperare la versione stampata in Braille. Tuttavia, non
pensava che potesse credere così tanto in lui da affidargli la propria
vita senza pensarci un secondo.
-Ti terrò al sicuro- promise Matt, ed era sincero.
-So che lo farai, Darevil- e finalmente il suo migliore amico riuscì a
posargli entrambe le mani sulle spalle, stringendo piano la presa a
suggellare la sua offerta di sostegno sempre e comunque.
Quello che Foggy ancora non sapeva, e che Matt non aveva il coraggio di
dirgli, era che c'era un solo modo di mantenere la promessa che gli
aveva appena fatto: fare quello che Stick voleva, a costo di perdere la
propria anima.
Per Foggy ne valeva la pena.
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Capitolo 3 *** Deal? ***
PERSONAL
SPACE: Rieccomi! Terzo capitolo tradotto...grazie a RagDoll_cat per i suoi consigli (e la consulenza grammaticale ^_^) e agli
altri che hanno recensito!
Buona lettura!!
Chapter 3:
Deal?
-Evvai! Finalmente si cena! Vieni, Matt?-
Foggy si alzò dalla sedia sul lato opposto al suo della scrivania
dell'ufficio di Matt, che i due si stavano dividendo mentre iniziavano
a lavorare su un nuovo caso. Era una cosa che facevano fin da quando
avevano iniziato il loro tirocinio con la Landman & Zack.
Avevano preso l'abitudine di sedersi nella stessa stanza per leggere la
documentazione e cercare informazioni negli archivi on line,
scambiandosi opinioni in una sorta di brainstorming per cercare di
arrivare insieme a formulare una sorta di strategia.
Quella sera avevano fatto tardi, di nuovo, ed erano ormai quasi le
dieci di sera, non esattamente l'ora di cena, non secondo il fuso
orario di New York, almeno, ma il lavoro era stato un'ottima
distrazione. La visita di Stick li aveva scioccati entrambi e Foggy, in
particolare, non riusciva a stare fermo per più di dieci secondi,
quindi Matt aveva proposto di iniziare a spulciare il loro nuovo caso
per evitare di mandarlo a casa a impazzire definitivamente al pensiero
di quello che era successo nel pomeriggio. Per quanto lo riguardava,
Matt non era particolarmente più calmo di Foggy ed era ancora dell'idea
di caricarli su un taxi e spedirli dall'altra parte del mondo, ma in
qualche modo riusciva ad apparire composto come al suo solito. Stare in
ufficio stava comunque aiutando anche lui e, inoltre, finché fossero
rimasti insieme, avrebbe potuto proteggerlo.
-Arrivo- rispose quindi, alzandosi a sua volta, Rimettendosi gli
occhiali e alzandosi per prendere la giacca appesa alla parete, dove
aveva appoggiato anche il suo bastone.
Prese il braccio di Foggy e si lasciò guidare al piccolo, economico
ristorante sotto il loro ufficio.
Matt cercava disperantamente di non pensare troppo al fatto che quella
poteva essere l'ultima cena che divideva con il suo migliore amico. Non
aveva idea di quali fossero i piani di Stick, ma di una cosa era certo,
perché più volte l'aveva visto in azione: se davvero aveva bisogno del
suo aiuto, avrebbe trovato il modo di farlo collaborare. Come sempre.
Ogni volta che i suoi pensieri indugiavano troppo a lungo su quel
pensiero, non poteva fare a meno di essere arrabbiato e frustrato e
desiderava davvero non essere così debole di fronte al vecchio uomo.
La tua famiglia è la tua debolezza.
Anche senza impegnarsi troppo, poteva sentire la voce di Stick nella
sua mente, mentre gli ricordava, ancora una volta, di essere una
vulvetta lamentosa. Scosse la testa per schiarirsi la mente. Doveva
rimanere lucido e pensare.
-Stai bene?- Foggy gli chiese per la milionesima volta, e non senza una
ragione. Era consapevole di non essere stato la migliore delle
compagnie quel giorno, ma il suo cervello era alla disperata ricerca di
una via d'uscita da quella situazione, anche se sapeva che
probabilmente, come per un labirinto, c'era una sola via percorribile
se voleva salvare i suoi amici. Finora, Foggy non aveva osato chiedere
qualcosa di più su Stick rispetto a quello che lui gli aveva detto,
tuttavia, Matt sapeva che era preoccupato sul come e se sarebbe
riuscito ad affrontare l'intera situazione, e non se la sentiva di
biasimarlo per quello. Era uno dei tanti dubbi che assillavano anche la
sua di mente,
-Sto bene- rispose succinto, poi però decise di chiarire un po' le
cose, perché altrimenti Foggy non avrebbe smesso di preoccuparsi per
lui (anche se probabilmente non si sarebbe calmato comunque) -Stick
è... È stato una parte importante del mio passato. Senza di lui a
insegnarmi a controllare e a filtrare tutto quello che percepivo sarei
probabilmente diventato pazzo. ma lui voleva che fossi il suo soldato,
che mi concentrassi completamente su questa guerra che lui dice sia in
atto...-
-Vuole anche che diventi un killer?- Foggy lo interruppe a voce bassa,
probabilmente per la prima volta dalla loro lite. Di solito lo lasciava
parlare fino alla fine e solo dopo faceva domande, quando aveva bisogno
di chiarirsi le idee su qualche punto oscuro (si ok, faceva un sacco di
domande perché c'erano un sacco di punti oscuri). Il fatto che questa
volta non fosse riuscito a trattenersi, gli dava una chiara indicazione
di quanto fosse spaventato dalla piega che stavano prendendo gli
eventi, nonostante fosse abbastanza bravo da riuscire a nasconderlo
dietro una maschera di preoccupazione che per ora stava reggendo bene.
-Probabilmente...- iniziò, poi si corresse, scegliendo di essere
completamente onesto -Sì. Vuole che faccia quel passo-
-E può riuscirci?- e ora Matt poteva chiaramente sentire la paura nella
sua voce al solo pensiero. La maschera si era sgretolata, alla fine, e
Matt non potè evitare di esserne commosso, nonostante tutto. Aveva
sempre considerato Il suo partner come la propria famiglia, perchè era
l'unica persona a cui era riuscito ad affezionarsi dopo la batosta
dell'abbandono da parte di Stick, ma finora non aveva mai capito quanto
effettivamente la cosa fosse reciproca, nonostante non avesse mai
mancato di farglielo sapere; eppure Matt aveva sempre pensato che nella
peggiore delle ipotesi, Foggy avrebbe sempre avuto i suoi fratelli e i
suoi genitori.
La scoperta, comunque, non gli rendeva le cose più facili, anzi, la sua
determinazione iniziò a vacillare non poco.
Non puoi tornare indietro ora, Murdock, si disse, e la sua voce era
così simile a quella del suo vecchio mentore da risultare irritante. È
per la sua sicurezza.
-A fare cosa?-
-A fartelo fare-
-Non penso proprio- Se solo fosse riuscito a essere sicuro quanto le
sue parole...
-E se... Voglio dire... Hai quasi ucciso Fisk dopo la morte della
signora Cardenas... E se riuscisse a...uhm... Premere un qualche
bottone che ti trasformi in un killer?- Matt non poteva dire niente a
riguardo. Foggy poteva essere un avvocato dannatamente bravo, quando
voleva. Sapeva esattamente cosa dire e quando dirlo. Come ora.
Tipo se toccasse te o Karen... O Claire? Pensò cupamente, ma nascose i
propri pensieri dietro il menù del ristorante, fingendo di riuscire a
poterlo leggere.
-Matt?-
-Cosa?-
-Riesci davvero a leggerlo?-
-Nemmeno per idea- ammise, maledicendosi nello stesso istante. Era
stato un errore da dilettante e adesso Foggy avrebbe avuto la certezza
che stesse pensando ad altro, alla decisione che stava prendendo sempre
più forza nella sua testa. -Ero solo... Sovrappensiero-
-Per Stick?-
Annuì, con un sorriso triste che gli incurvava le labbra. Stava davvero
cercando di godersi la serata, di concentrarsi su Foggy, di mangiare e
scherzare con lui come faceva di solito, ma il suo cuore si
rifiutava di appoggiarlo nell'impresa. Avrebbe davvero voluto cambiare
discorso, ma, ancora una volta, la sua anima decise di fare di testa
propria, e si ritrovò a parlare dei primi tempi in cui si era ritrovato
all'orfanotrofio e di come Stick l'avesse trovato.
-Sai... Quando sono arrivato là dentro, la prima volta, stavo
impazzendo, i rumori mi travolgevano...-
-Ti ha salvato?-
-A suo modo,... Sì. E poi mi ha lasciato. Per un braccialetto- e non
poté evitare di lasciar trapelare l'amarezza nel suo tono mentre
cercava di spiegare le circorstanze che avevano spinto l'uomo ad
allontanarsi. Stava realizzando in quel momento che per tutti quegli
anni si era sentito in colpa a riguardo; se non gli avesse dato quello
stupido pezzo di carta non se ne sarebbe mai andato. Avrebbe potuto
esser un buon soldato, o almeno fingere di esserlo, solo per avere
qualcuno che si prendesse cura di lui.
-Per cosa?-
Matt cominciò a raccontare di come Stick avesse iniziato ad
addestrarlo, insegnandogli a diventare più forte e di come si fosse
tirato indietro nell'istante in cui gli aveva regalato quel
braccialetto fatto con la carta del gelato. E mentre raccontava,
qualcosa cambiò nella sua testa.
In quel momento, capí che Stick non influenzava più la sua vita, da
quando aveva deciso di dare una chance a quello strano ragazzo che
cercava di farsi ammettere al corso di punjabi. Tutta la sua paura e il
timore reverenziale che provava verso di lui, erano solo una sua
costruzione mentale, non più solida di un castello di carte, e non
avevano più ragione di esistere.
Non era più il ragazzino solo e spaventato che aveva trovato su quel
letto all'orfanotrofio.
Ce l'aveva fatta, anche senza Stick. Aveva Foggy, Karen, Claire, e
aveva avuto anche la signora Cardenas, nonostante Fosse rimasta con
loro per pochissimo tempo.
Qualunque decisione Matt avrebbe preso, l'avrebbe fatto per la sua
famiglia, non per paura.
Era un adulto, e Stick non l'avrebbe più controllato come una
marionetta.
E all'improvviso si sentì anche abbastanza stupido per l'attacco di
panico di poche ore prima.
***
Foggy era senza parole, ed era una cosa che in tutta la sua vita
gli era capitata un numero di volte così limitato che poteva contarle
forse sulle dita di una sola mano, e di almeno metà di queste occasioni
il lì presente Matthew Murdock era il diretto responsabile.
Anche se lui e Matt erano diventati amici praticamente subito dopo il
loro incontro (cioè, almeno valeva per Foggy, la diffidenza del suo
partner era proverbiale, quindi a lui ci era voluto un po’ di più,
comunque) e il cieco conosceva ogni dettaglio della sua famiglia, non
aveva mai parlato molto volentieri del suo passato.
Per lui era sempre abbastanza piacevole parlare della sua infanzia e di
come sua madre volesse a tutti i costi che diventasse un macellaio, e
proprio per questo, non riusciva pienamente a immaginare la sofferenza
che l’altro aveva patito e ,vedendo quanto la cosa normalmente turbasse
il suo migliore amico, che normalmente era la quintessenza della
compostezza (quando non prendeva a pugni i criminali, ovvio); di
conseguenza, non aveva mai insistito troppo sull’argomento, anche se
all’occorrenza non esitava a rimanergli accanto per ascoltarlo e
confortarlo ogni volta che ne aveva bisogno, anche senza ottenere
nessuna spiegazione a riguardo.
Certo, qualche volta Matt gli aveva parlato di suo padre e, forse una
volta o due, degli anni passati in istituto, ma non si era mai spinto
tanto in profondità come invece aveva fatto in quel momento e Foggy non
aveva idea di come gestire la cosa. Si sentiva in qualche modo onorato
dal fatto che finalmente l’altro si fosse sentito pronto a condividere
con lui una parte oscura della sua vita, ma allo stesso tempo non
poteva fare a meno di chiedersi perchè mai, dopo tutti questi anni,
solo ora stava tirando fuori l’argomento. Aveva forse in mente di fare
qualcosa di stupido (cioè di più stupido che saltare in giro per i
tetti picchiando la gente)?
Taci! Stai diventando paranoico! Una
strana voce nella sua testa zittì i suoi pensieri. Sta solo raccontandoti quello che prima
non poteva per via del suo segreto. Si sta solo sfogando. Ora sii un
buon amico, taci e ascoltalo!
E ascoltando in silenzio mentre Matt procedeva con il racconto,
giocando distrattamente con il risotto che aveva ordinato, percepì
tutta la sofferenza, anche dopo vent’anni, del suo piccolo cuore di
undicenne che si spezzava mentre Stick lo abbandonava, dopo averlo
illuso di aver trovato finalmente qualcuno in grado di sostituire (per
modo di dire) suo padre, salvo poi rivelargli che non gliene importava
un fico secco.
Per la prima volta da quando si sonoscevano, sentì davvero quanto
fossero distanti le loro vite e quanti pochi fossero i punti che li
accomunavano. Erano nati e cresciuti entrambi a Hell’s Kitchen, e il
caso aveva voluto che venissero assegnati alla stessa stanza alla
Columbia ma, a parte questo, venivano da mondi totalmente diversi, e
non potè evitare di chiedersi come fosse stato possibile lo sbocciare
della loro amicizia.
-Cavolo…- fu l’unica parola che riuscì a dire, concentrandosi sul
bicchiere pieno d’acqua davanti a sè per evitare di guardarlo negli
occhi.
-Lo sai?- riprese Matt -L’ha tenuto. Il braccialetto-
-Davvero?
-Sì. L’ho trovato mentre riordinavo, la notte del nostro scontro-
Ancora una volta, Foggy non sapeva cosa dire a riguardo. Nella sua
testa stava suonando un campanello d’allarme, che gli suggeriva che
forse Stick aveva progettato tutto. Daltronde, chiunque avesse passato
del tempo con Matt Murdock sapeva quando emotivo fosse quel ragazzo.
Era una persona silenziosa, quasi timida o distaccata a occhi esterni,
ma chi lo conosceva sapeva che ogni sua azione o quasi era guidata dai
suoi sentimenti, e che questo l’aveva messo in più guai di quanti Foggy
riuscisse a ricordare. Se Stick era davvero come lo dipingeva Matt,
spietato e pericoloso, avrebbe potuto facilmente lasciar cadere apposta
l’oggetto per indurlo a pensare che in fondo a lui un po’ ci teneva.
-Qualunque cosa tu stia pensando di dire, dilla-
Dannato Murdock e i suoi diavolo di superpoteri.
-Niente che tu voglia sentire-
-Mettimi alla prova-
-Non se ne parla-
-Foggy…-
-No Matt, taci. Vorrei davvero dirti quello che penso, ma probabilmente
finiremmo col litigare, quindi non ho intenzione di aprire la bocca-
Matt sospirò, ma lo ricompensò anche con un piccolo sorriso, mentre
finivano di mangiare parlando di tutto e di niente prima di dirigersi
alle rispettive case.
***
-Allora? Vieni con me o no?-
Per quella che forse era la prima volta da quando aveva imparato a
controllare i suoi poteri, a Matt quasi venne un infarto per lo
spavento. Era a casa da circa un’ora, ma non aveva notato che Stick
fosse lì fino ad ora, quando si era palesato.
Quando aveva aperto bocca, il giovane era già nel dormiveglia, ed era
saltato sul letto, intrappolandosi nelle sue stesse lenzuola di seta.
Il battito del suo cuore, accelerato dallo spavento, gli rimbombava nel
cervello e gli ci volle un attimo prima di riuscire a concentrarsi per
farlo ritornare al consueto ritmo regolare. La sorpresa lo aveva colto
completamente alla sprovvista, e questo lo rendeva nervoso, ma si
costrinse a recuperare la calma e a proseguire col piano che aveva
perfezionato prima di andare a letto.
Puoi farcela. Si disse. La tua mente controlla il corpo, e non sei
più il ragazzino spaventato che eri venti anni fa.
Se avesse potuto, avrebbe evitato di parlare con quell’uomo, ma si
costrinse a farlo. Per Foggy.
Scalciando via le lenzuola bianche, riuscì ad alzarsi per fronteggiare
il suo ex maestro da uomo a uomo. Per un momento, aveva pensato di
mentirgli, di cercare di apparire fragile come lo era stato poche ore
prima in ufficio, ma si era subito reso conto che non gli sarebbe stato
possibile. Era stato Stick a insegnarsi a riconoscere le bugie e a
leggere le emozioni dalle piccole reazioni del corpo. Poteva fingere
con chi non conosceva e, se si impegnava, anche con Foggy, ma con
l’anziano cieco non avrebbe avuto nessuna possibilità, quindi non cercò
neppure di provarci.
Che sappia che lo sto seguendo per
proteggere le persone a cui tengo.
Che sappia che l’amore e la famiglia
possono essere una fonte di forza, e non di debolezza.
-Sì- rispose senza esitare e senza la minima traccia di gentilezza -Ma
prima facciamo un patto. Qui e adesso. E per sempre. Io farò tutto
quello che vuoi. Tu stai alla larga dalla mia famiglia-
-Famiglia? Oh, Matty, Matty. Credi davvero di potertene permettere una?-
Matt lo ignorò. Non gli interessava quello che pensava l’altro. Era la
sua vita.
-D’accordo?- chiese con la stessa freddezza di prima.
-D’accordo-
-Qual è il piano?-
-Ce ne andiamo, ragazzo. Adesso. Prendi il tuo bastone e lasciato il
resto alle spalle-
Nonostante tutto, Matt sentì il suo cuore farsi pesante all’improvviso.
Aveva intuito che sarebbe successo qualcosa del genere (e
probabilmente, per il bene dei suoi amici era anche la migliore delle
ipotesi), ma non potè evitare di sentire un lieve senso di malessere
alla bocca dello stomaco.
Non ti controlla più. Ricordò
a sè stesso. Lo fai per la tua
famiglia. Tornerai indietro e non ucciderai nessuno.
E questa volta, per la prima volta, la sua voce interiore non era più
così simile a quella di Stick; era piuttosto un misto tra quelle di
tutti i suoi amici. Sentì un sorriso affiorargli alle labbra, ma si
sforzò di nasconderlo.
Sapeva che, almeno per ora, Matt Murdock doveva morire, così come
sapeva che la sua partenza avrebbe spezzato (di nuovo) il cuore di
Foggy, ma non poteva fare altrimenti. Si pentì di non aver preso molto
in considerazione la reale ipotesi della partenza: avrebbe potuto
lasciare un biglietto di addio o qualcosa scritto in ufficio, ma non
l’aveva fatto, aveva sperato che sarebbero rimasti in città, e adesso
era troppo tardi.
Mi dispiace, Foggy. Ti prego, non
odiarmi.
Lasciò il suo telefono, ancora acceso, sul divano e seguì il suo ex
mentore.
PERSONAL SPACE: Dal prossimo
capitolo si farà sul serio, promesso!
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Capitolo 4 *** Please, don't be stupid ***
PERSONAL SPACE: rieccomi!! Sono
riuscita finalmente a tradurre il quarto capitolo! Si entra un po' di
più nel vivo della storia, ma le cose migliori devono ancora arrivare!
Intanto grazie a tutti quelli che stanno leggendo questa cosuzza... e
un grazie speciale a Ragdoll_Cat per la sua recensione!!
Buona Lettura!
Chapter
4: Please, don't be stupid.
Foggy aprì gli occhi il mattino dopo, sorpreso di non risconoscere
il letto come il proprio.
-Buongiorno, raggetto di sole-
Una voce dolce di donna lo fece sorridere, mentre i ricordi della notte
precedente gli tornavano alla mente. Aveva avuto un appuntamento con
Marci, o almeno si sarebbe chiamato così in un universo in cui un
categorico "vieni qui e fa come ti dico" sarebbe stato considerato un
invito.
-'giorno- rispose senza disturbarsi ad alzarsi dal letto, con la bocca
ancora impastata dal sonno.
-Sono quasi le 11- lo informò Marci con un sorriso e una tazza di caffè
tra le mani - E' ora di alzarsi-
-E' per me quella?-
-Neanche per idea. La tua ti aspetta in cucina, in attesa di essere
riempita-
-Mm... Ok. Aspetta... le undici?! Perchè non mi hai svegliato?-
All'improvviso si ritrovò sveglio, una parte di lui che gli gridava di
stare dimenticando qualcosa di importante, ma non riusciva a ricordarsi
cosa fosse.
-L'avrei fatto, ma dormivi come un bambino... ed eri tanto dolceeee-
Matt!
Non appena il suo cervello riuscì a connettersi con il mondo, oltre ai
ricordi delle ultime ore, gli tornarono anche quelli precedenti, e con
questi il vero motivo per cui aveva accettato di mettere in scena una
versione di 50 sfumature di grigio a parti invertite (Non che avesse
mai letto il libro, ovviamente. Nemmeno per sogno!). Foggy smise
all'istante di ascoltarla e si voltò di scatto verso il comodino,
cercando disperatamente il proprio telefono.
Dopo aver cenato con Matt, aveva pensato di tornare a casa e concedersi
una notte di puro riposo dopo quello che avevano passato negli ultimi
due giorni, tra la mezza marea di clienti e la visita di quel tizio,
Stick; ma come aveva messo piede in casa la sua mente si era divertita
a mostrargli un'innumerevole serie di scenari diversi in cui Matt
finiva in grossi guai o, peggio, veniva ucciso, o, ancora (e non sapeva
mettere le cose in ordine di gravità, perchè tra la morte e Hogwarts
era facile, ma qui...) veniva costretto a uccidere qualcuno da quella
sottospecie di ninja cieco.
Si era ritrovato a camminare per tutta la casa come un leone in gabbia,
più preoccupato che mai per il suo migliore amico.
Aveva anche preso in mano un paio di volte il telefono, il contatto di
Matt sul display, ma poi ci aveva rinunciato, dopo aver cercato di
autoconvincersi che poteva cavarsela da solo e che se fosse stato in
giro per qualcuna delle sue attività notturne non avrebbe comunque
potuto rispondergli.
Quindi si era buttato a letto e aveva cercato di dormire.
Quando aveva realizzato che per quella notte probabilmente non sarebbe
riuscito a chiudere occhio, aveva deciso di chiamare Marci per avere un
po' di compagnia. Ovviamente (non essendo una così brutta persona)
aveva in mente necessariamente quel tipo di compagnia, ma non aveva
intenzione di lamentarsi a riguardo a un reciproco, silenzioso, patto
di sesso per dimenticare i propri problemi, anche se adesso forse un
pochino in colpa si sentiva per come l'aveva, di fatto, usata (o era
stata lei ad usare lui? Non ne era proprio sicuro perchè anche se era
stato lui a comporre il numero, lei gli aveva praticamente ordinato di
raggiungerla senza che lui potesse avere il tempo di dirle "ciao" e,
tra l'altro, era stata anche al comando per tutta la notte; e Foggy
aveva decisamente gradito la cosa, perchè non aveva dovuto pensare poi
a molto).
-Che succede Orsetto Foggy?- Gli chiese mentre lo guardava cercare il
suo telefono come se la sua vita dipendesse da quella scatola di
metallo mista a plastica, il che, in effetti, poteva anche essere,
almeno dal punto di vista di lui. Odiava quel dannato soprannome che
gli aveva affibbiato quando uscivano insieme al college, e di solito
protestava vivamente ogni volta che veniva usato, ma al momento aveva
cose più importanti a cui pensare.
-Devo chiamare Matt- rispose, riuscendo finalmente a trovarlo in una
delle sua scarpe (e rifiutandosi categoricamente di chiedere come
diamine ci fosse arrivato).
-Di nuovo? A questo punto devo chiedertelo. Siete fidanzati?-
-Che?-
-Ultimamente vi comportate in modo strano: chiamate mattutine, tu che
perennemente pensi a lui... sai, questo tipo di stranezza...-
-Sono solo preoccupato- Foggy cercò di difendersi -E' cieco-
-Non è una novità, mi pare-
E qui Foggy cominciò a sudare. Marci era un avvocato coi controfiocchi,
ed era sicuramente meglio di lui. Doveva trovare una via d'uscita ma,
al momento, non riusciva a vederla.
-Ultimamente è stato...distratto- provò a biascicare -Cade spesso, per
questo mi preoccupo-
-Gentile da parte tua...-
E il tono con cui lo disse lo lasciò per un attimo incredulo: ci aveva
creduto davvero? Sosprirò internamente di sollievo. Ora doveva
andarsene da lì il prima possibile, prima che nuove domande venissero
alla luce.
-Già... ascolta, è davvero tardissimo e Matt e Karen mi uccideranno se
non mi faccio vivo al più presto, quindi...-
-Devi andare. Capisco- terminò lei la frase, e Foggy, se possibile, si
sentì ancora peggio. Aveva perso il lavoro per aiutarli a inchiodare
Fisk e finora non era riuscita a trovare un altro impiego. Riusciva a
sentire insieme alla tristezza anche un po' di invidia nella sua voce
e, non per la prima volta, avrebbe davvero voluto che potessero
assumerla nel loro studio; un pensiero, dopo tutto quello che aveva
fatto, che, lo sapeva, condividevano anche Matt e Karen.
Per colpa loro aveva perso tutte, e adesso non potevano fare nulla per
aiutarla, e se questa situazione era frustrante per i suoi colleghi,
per lui era anche peggio, specialmente da quando si erano impegnati in
quella sottospecie di relazione.
Sfortunatamente per loro, Marci si era abituata ad essere ben pagata
(non che non se lo meritasse; era sempre stata la migliore in classe,
seconda forse solo a Matt, ma come avvocato, probabilmente lo superava,
ma soltanto perchè aveva accettato di vendersi l'anima e non badare
troppo alle conseguenze di quello che portava il suo lavoro: il suo
migliore amico si rifiutava testardamente di farlo) e loro potevano a
malapena permettersi di pagare Karen (e solo perchè accettava di venire
pagata un mese sì e uno no, quando andava bene).
Rimase per un secondo sulla porta, una mano sulla maniglia, senza
sapere esattamente cosa dire per rassicurarla.
-Troverai qualcosa- mormorò alla fine facendo un passo verso di lei e
prendendole le mani -Ne sono sicuro. Sei sempre stata un avvocato in
gambra...-
-Che ha consegnato informazioni riservate al nemico...-
-...Per far arrestare un killer che non avrebbe esistato a disintegrare
Hell's Kitchen per raggiungere i propri obiettivi. Hai fatto la cosa
giusta, Marci-
-Sì... lo so- c'era del rimorso nella sua voce?
-Possiamo assumerti, se vuoi- cercò di tirarla su, il tono di voce a
metà tra il serio e lo scherzo -L'unico problema è che non possiamo
pagarti, ma se ti sta bene, sei assunta-
Marci scoppiò a ridere di fronte alla strana offerta di lavoro, ma
Foggy già sapeva che non l'avrebbe mai accettata. Era una brava
persona, ma faceva l'avvocato per lo più per i soldi che tale
professione le consentiva di guadagnare. Era uno squalo. Ok, uno squalo
con un'anima, forse, ma pur sempre uno squalo.
- Sono sicura che troveresti il modo di pagarmi anche senza usare il
denaro- gli rispose con uno dei suoi sorrisi maliziosi (e un po'
inquietante, se proprio doveva essere sincero, perchè lo facevano
sentire come un coniglietto circondato dai lupi) -Ma devo pagare le
bollette, Orsetto Foggy-
Lui sorrise e la baciò di nuovo, per niente offeso dal rifiuto.
Quell'appartamento in centro a Manhattan non costava certo due lire.
-E allora ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro. Promesso-
-Vai- quasi lo sospinse teneramente fuori dalla porta -Ti aspettano-
Finalmente annuì e si decise a lasciare la casa per dirigersi alla
Nelson & Murdock, e solo allora, finalmente, si decise ad accendere
quel telefono. Ci trovò circa venti chiamate e altrettanti messaggi in
segreteria, tutti di Karen, ma niente da parte di Matt.
Cavolo, questa volta Karen mi uccide
davvero. Non potè fare a meno di pensare mentre iniziava a
comporre il numero che l'avrebbe collegato alla segreteria.
Non si era sbagliato. Quando aveva aperto la porta dell'ufficio, ad
accoglierlo aveva trovato una bellissima quanto assolutamente furiosa
Karen Page, che non aspettava altro che averlo tra le sue grinfie per
urlargli contro.
-Finalmente! Dove ti eri cacciato?! E dove diavolo è Matt? Ho dovuto
mandare via due clienti perchè nessuno di voi due si è degnato di
comparire in ufficio!-
Mi uccidera'. Dolorosamente e
lentamente.
Come era possibile che una persona così bella potesse diventare la più
terrificante del pianeta? E, soprattutto, perchè diavolo lui e Matt
erano così bravi a farla incazzare?
-Mi dispiace- cercò di scusarsi, cercando di abbozzare uno sguardo da
cucciolo di quelli che venivano tanto bene al suo migliore amico (e
fallendo clamorosamente, tra l'altro) -Ho dormito troppo-
Un attimo.
-Dov'è Matt?- chiese, all'improvviso spaventato mentre tutte le sue
fantasie riguardo ai mille dolorosi modi in cui Karen l'avrebbe ucciso
svanivano in un istante, rimpiazzati dalla consapevolezza che a quanto
aveva detto, Matt non si era ancora presentato in ufficio.
Sta calmo, Foggy. Magari non ha
sentito la sveglia. Non essere paranoico.
-Speravo me lo avresti detto tu! Ho provato a chiamarlo almeno quindici
volte, ma non ha mai risposto- spiegò mentre si passava una mano tra i
lunghi capelli biondi, mentre la sua rabbia si trasformava piano piano
in preoccupazione. -Sto iniziando a preoccuparmi-
Non era la prima volta che Matt non rispondeva al telefono al mattino,
ma da dopo quella notte, Foggy di solito era a conoscenza del perchè e
aveva la scusa pronta per la loro segretaria, ma non questa volta. O
meglio, per la prima volta si augurava (sentendosi troppo poco in colpa
per i suoi gusti) che il suo amico fosse a casa, ferito e sanguinante,
magari, ma a casa.
Per favore, Matt, dimmi che sei
talmente conciato male da non riuscire a muoverti.
- A te ha detto qualcosa?- gli chiese, riportandolo alla realtà.
-Non lo vedo o sento da ieri sera - confessò a malincuore, cercando di
nascondere la propria paura per rassicurarla -Ma sono sicuro che abbia
incontrato una qualche ragazza e che abbia fatto molto tardi-
-Sì, forse- concesse la donna, e Foggy si chiese se era tristezza
quella sfumatura nella sua voce mentre diceva quelle parole.
-Ok, senti- all'improvviso non sopportava di non sapere cosa fosse
successo al suo partner -Tu resta qui nel caso compaia. Io vado a casa
sua, ok?-
La vide annuire solo con la coda dell'occhio mentre si richiudeva la
porta alle spalle.
Murdock, dimmi che non hai fatto
niente di supido tipo seguire quel vecchio pazzo. Ti prego.
Ormai era quasi mezzogiorno, perciò Foggy optò per la metropolitana
invece del solito taxi per evitare di finire bloccato nel trafficio
newyorkese. Quando finalmente, venti minuti dopo, raggiunse la casa del
suo amico, fece le scale a rotta di collo, lanciandosi praticamente
contro la sua porta, bussando con tutta la forza che aveva nelle
braccia.
-Matt!- gridò mentre cercava disperatamente la chiave giusta nel mazzo
che Matt gli aveva dato (o meglio, che lui lo aveva costretto a dargli)
-Ci sei? Stai bene?-
Ma non aspettò la risposta. Trovò finalmente la chiave ed entrò.
Ti prego, dimmi che sei mezzo morto
sul pavimento.
-Matt?- ripetè il nome più volte di quante sarebbe poi riuscito a
ricordare, all'inizio sottovoce, per poi finire praticamente a urlare,
ma la casa era deserta, senza nessun segno del suo amico, di ferite o
di colluttazione.
Poi vice il telefono sul divano, lo schermo illuminato da una chiamata
in arrivo da parte di Karen. Lo prese e lo mandò a schiantarsi contro
la parete.
-Dannato Murdock!!-
L'aveva fatto.
***
-Sveglia, ragazzo!-
Una secchiata di acqua gelata gli arrivò dritta addosso, strappandolo
improvvisamente al sonno. Cercò di alzarsi, tremando di freddo, mentre
registrava che oltre all'acqua era stato colpito anche da cubetti di
ghiaccio, ma con un calcio Stick lo rimandò dritto contro i cuscini.
Matt, ancora intontito e scioccato, non era pronto e incassò il colpo
con un grugnito che era un misto tra dolore e sorpresa. Non che non si
aspettasse una punizione dopo il proprio comportamento della notte
prima, ma di certo non si aspettava quel tipo di sveglia!
-Cos...?- questa volta riuscì a vedere l'attacco arrivare e riuscì a
schivarlo saltando fuori dal letto con una mezza capriola.
-Nuova regola, ragazzino- la voce di Stick vibrava di rabbia mentre
riusciva a colpirlo di nuovo, troppo veloce per i sensi ancora mezzi
addormentati di Matt. -Quando decido di fare una cosa, tu non ti metti
in mezzo! Sono stato chiaro?-
-Volevi uccidere quella ragazza! Era innocente!-
-Ti ha visto!-
-Sì, capirai! Ha visto un uomo che indossava una maschera nera. E
quindi? Non avrebbe potuto riconoscermi!-
In risposta, il vecchio lo colpì ancora allo stomaco, prima di usare il
proprio corpo per bloccarlo a terra così velocemente che non ebbe il
tempo di reagire. Si ritrovò in un istante impossibilitato a muovere un
muscolo, la faccia di Stick così vicina alla propria che ne avvertiva
il calore. Si obbligò a rilassarsi e a smettarla di divincolarsi.
Sapeva che era inute e, inoltre, l'acqua fredda gli aveva inzuppato i
vestiti e ora gli stava penetrando le osse. Gli serviva una doccia
calda al più presto, e non avrebbe concluso niente continuando a
ribellarsi.
-Bravo ragazzo- il tono del vecchio era lo stesso di un padrone che si
complimenta con il proprio cane per aver eseguito un esercizio;
tuttavia, nonostante la sua resa fosse palese, non lo lasciò andare.
-Adesso vedi di ascoltarmi bene. Abbiamo fatto un patto che tu hai
voluto, e io lo sto rispettando. Ora ti conviene iniziare a fare la tua
parte o ti costringerò a farlo, ok?-
Il suo cervello andò in corto. Le uniche parole che lampeggiavano
chiare nella sua mente erano Foggy e Karen. In pericolo.
-Sta lontano da loro- la voce, un po' a sorpresa, gli uscì
pericolosamente calma e fredda, in un tono che nascondeva un allarmante
livello di rabbia repressa. Era il tipo di voce che normalmente faceva
cantare i criminali senza che lui dovesse alzare un dito, ma,
sfortunatamente, non impressionò il suo mentore.
-E allora obbedisci, ragazzino- fu l'unica replica che ottenne mentre
veniva finalmente lasciato libero. Matt si alzò e senza un'altra parola
si chiuse in bagno, tremante di freddo, rabbia e paura.
Erano passati due giorni da quando aveva lasciato Hell's Kitchen con
Stick, e da allora aveva praticamente dimenticato cosa significasse la
parola riposo, e cominciava a sentire seriamente la stanchezza: si
sentiva stanchissimo e i suoi muscoli diventavano più pesanti ogni ora,
il che, dati i suoi standard, la diceva abbastanza lunga.
Si erano spostati di continuo in quella che sembrava tutta l'area del
New Jersey, e Matt aveva eseguito gli ordini senza discutere o fare
domande: non gli interessava. Non stava combattendo la sua guerra.
Voleva soltanto che tutto finisse al più presto e tornarsene a casa, e
discutere con Stick avrebbe solo allungato l'agonia, ma la notte prima
non era proprio riuscito a trattenersi.
Stavano cercando di impedire che una nave container lasciasse il porto
con a bordo 40 ragazzine che a malapena arrivavano ai 15 anni, dirette
chissà dove per essere sfruttate nel mercato del sesso.
La loro disperazione e il loro terrore lo avevano colpito così a fondo
da farlo quasi sentire male.
Come sempre, si erano divisi i compiti, e poichè aveva reso molto
chiare le sue intenzioni di non uccidere, Stick lo aveva spedito a
liberare le ragazzine mentre lui si prendeva cura dei colpevoli.
Le aveva messe tutte al sicuro quando all'improvviso aveva sentito un
grido.
Il vecchio cieco gli aveva urlato di ignorarla, era il momento di
levare le tende prima di finire sotto i riflettori, ma Matt aveva
deciso di non dargli ascolto ed era corso verso di lei. Il battito del
cuore della ragazzina era accelerato a livelli allarmanti, e dal tono
dell'urlo non poteva avere più di tredici anni. Era a terra, circondata
da tre uomini (dall'odore che emanavano probabilmente piccoli
spacciatori che avevano nel porto il loro "ufficio") che cercavano di
strapparle i vestiti di dosso.
La piccola singhiozzava disperatamente adesso, cercando inutilmente di
liberasi, ma era troppo piccola, e sola.
E lui aveva agito.
Matt aprì l'acqua e attese pazientemente che si scaldasse a sufficienza
prima di entrare nella doccia e lasciare che il getto colpisse il suo
corpo, lavando via la stanchezza e i brividi. Si appoggiò alla parete
del piccolo box doccia e chiuse gli occhi crogiolandosi nel calore
finchè non riuscì a scacciare il freddo e a rilassarsi.
-Ti lascio la mattina libera- gli comunicò Stick quando si decise a
uscire dal bagno -Lasciamo questa città all'1-
Matt si limitò ad annuire. A rigor di logica avrebbe dovuto rallegrarsi
della cosa, ma in realtà non gli piaceva un granchè. Avere del tempo
libero significava non fare missioni e, di conseguenza, ritardare di
qualche ora il suo rientro a casa. Inoltre, quando era solo iniziava
irrimediabilmente a pensare a quello che si era lasciato alle spalle.
Si chiese cosa stesse facendo Foggy: probabilmente era già al lavoro
con Karen su qualche caso, nella migliore delle ipotesi. Si domandò se
invece stesse girando la città alla sua ricerca; non faceva fatica a
immaginare la preoccupazione del suo partner, e probabilmente anche la
sua rabbia. Iniziò presto a sentirsi quasi claustrofobico.
Aveva bisogno di aria.
Si rivestì più in fretta che poteva e prese il suo bastone prima di
lasciare la stanza che divideva con Stick. Non erano a New York, e Matt
non aveva idea di come fosse girata quella cittadina, nè di come si
chiamasse, quindi si limitò a girare nei dintorni di quello squallido
albergo per evitare di perdersi.
***
-L'hai sentito?-
Karen gli faceva la stessa identica dannata domanda tutte le mattine
non appena metteva piede in ufficio dal giorno in cui Matt se ne era
andato. In qualche modo, Foggy era riuscito a tirar fuori una scusa
abbastanza credibile per giustificare l'assenza del loro collega. Le
aveva detto che Matt l'aveva chiamato proprio mentre era nella
metropolitana e che gli aveva detto che una delle suore
dell'orfanotrofio dove era cresciuto stava morendo. Era stata una delle
poche persone a cui era davvero importato di lui, quindi non appena
aveva ricevuto la telefonata si era infilato sul primo aereo per il
Canada, diretto in un piccolo convento dove l'anziana si era ritirata,
e che aveva deciso di rimanere con lei fino alla fine.
-Sì- mentì in risposta (di nuovo).
-Come sta?-
-Lo conosci- Foggy si sentiva male al pensiero di mentirle, soprattutto
perchè si era costrutito quella risposta a tavolino mentre faceva
colazione -Preferirebbe morire piuttosto che ammettere che qualcosa non
va, però penso che stia gestendo la cosa abbastanza bene; probabilmente
essere cattolico lo aiuta, in qualche modo-
-Gli hai detto di chiamare se ha bisogno?-
-Ovviamente- Foggy cercò di non far trapelare quanto quella domanda gli
avesse dato fastidio. Bugia o meno, lui per Matt ci sarebbe sempre
stato, e Dio solo sapeva quando stesse pregando per ricevere una sua
telefonata. Sarebbe andato a prenderlo in capo al mondo, se fosse stato
necessario. -Torniamo al lavoro. Cosa abbiamo oggi?-
Ma l'avvocato ascoltò solo meno di metà della risposta, così come aveva
fatto i giorni precedenti. Non riusciva a fare altro che pensare a
Matt. Guardava i telegiornali e i notiziari online con una frequenza
che avrebbe fatto concorrenza a qualunque stalker, alla ricerca di un
trafiletto, un articolo, un qualunque cosa che parlasse di qualcosa che
potesse ricondurre alle sue attività con Stick, ma non era comparso
nulla. O se ne stavano semplicemente chiusi in casa a meditare o a fare
sedute spiritiche, oppure stavano tenendo un profilo molto, molto basso.
Stai bene, Matt? Dove sei?
PERSONAL SPACE: Grazie per aver
letto fin qui! Nel prossimo capitolo: riuscirà Matt a mantenere la
parola data?
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Capitolo 5 *** False impressions don't speak ***
PERSONAL
SPACE: Ed ecco qui il quinto capitolo! Voglio ringraziare tutti quelli
che mi leggono e mi recensiscono, in particolare RagDoll_Cat! Oggi la
faccio breve e vi lascio al capitolo, buona lettura!
E ricordate: non mordo chi recensisce, ma potrei mordere chi non lo fa!
Chapter 5:
False impressions don't speak
-Uccidilo, ragazzo! Forza!- ordinò Stick, la sua voce più
arrabbiata del solito.
Era la quarta, o forse quinta, volta che glielo ripeteva negli ultimi
cinque minuti e, non per la prima volta da quando avevano lasciato
Hell's Kitchen, era stato tentato di obbedire, così come gli era
successo con Fisk dopo l'omicidio della signora Cardenas.
Era piena notte e pioveva a dirotto. Erano ormai tutti zuppi e stanchi,
stanchi di quella nottataccia e Matt, in particolare, era stanco di
tutto. Stava combattendo per qualcosa in cui non credeva, eseguendo
(più o meno) senza fiatare gli ordini di un uomo che non rispettava più
come un tempo, che lo trattava come un bambino viziato ogni volta che
prendeva una qualsiasi iniziativa sul come gestire le situazioni.
Spesso lo picchiava come faceva in passato, con la sola differenza che
ora Matt era cresciuto, quindi le punizioni erano diventate più dure e
dolorose rispetto a quando aveva nove anni, e ora si ritrovava con
lividi e abrasioni che non erano solo il risultato solo delle loro
attività notturne.
L' "uomo" che aveva tra le mani era responsabile dell'omicidio di 5
bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Erano tutti figli o nipoti
dei politici più influenti del New Jersey e, come tali, sia la Yakuza
(la mafia giapponese) che la Triade (il suo equivalente cinese) stavano
cercando di controllarli per guadagnare potere sul mercato delle droghe
nell'intero stato, e le uccisioni erano state una sorta di
dimostrazione di forza senza alcuno scopo preciso (almeno, questo era
quello che Stick gli aveva detto, e il vecchio era l'unica persona che
Matt non riusciva a leggere. Era stato lui a insegnargli a capire
quando qualcuno mentiva, ed era anche un maestro nell'evitare di essere
scoperto).
Matt riusciva a malapena a concepire che qualcuno potesse arrivare a
tanto senza un motivo. Avrebbero "semplicemente" potuto prenderli come
ostaggio e ricattare i genitori, e invece no. Li avevano sterminati.
-Uccidilo! Ora!- la voce di Stick lo riportò drasticamente alla realtà.
Quell'uomo, ora, era completamente in loro potere. In suo potere. Matt lo stava
trattenendo in una presa mortale, una di quelle che Stick gli aveva
insegnato anni prima. Avrebbe potuto finirlo con un unico, semplice
gesto, e di fronte a quello che aveva fatto, con le immagini di quei
corpi ancora piantate nella testa (o almeno l'idea di esse), era nel
bel mezzo di una lotta con la propria coscienza per combattere
l'istinto di obbedire.
Hai promesso, Matthew. La voce
di Foggy gli risuonò all'improvviso nella mente, non per la prima
volta. Non oltrepasserai quel
confine. Se ne può occupare la polizia. Tu non sei Dio.
A fronte di quelle parole, riuscì a fermarsi un istante prima di
compiere un insano gesto che gli avrebbe cambiato completamente la
vita. Sfortunatamente, Stick non condivideva il suo ideale di giustizia.
-Fermo!- nello stesso istante in cui udì l'ordine, sentì anche la
freccia che veniva scoccata dall'arco dell'uomo. Stick l'aveva
distratto, e da una distanza così ravvicinata, non potè fare altro che
sentire il dardo conficcarsi con forza nella gola dell'uomo. Un minuto
di agonia dopo, era morto.
Cazzo. Fu l'unica cosa che
riuscì a pensare, perchè il suo mentore era riuscito ad aggirare ancora
una volta i suoi sensi. Il suo corpo si ribellò ancora una volta con
l'unico mezzo che conosceva per esorcizzare il dolore e lo schifo che
provava. Lasciò cadere il cadavere che ancora stringeva tra le braccia,
e fece appena in tempo a voltarsi prima di vomitare la pizza che aveva
mangiato per cena. Tutto questo era troppo da sopportare anche per i
suoi standard. Quella non era giustizia.
Stick non gli lasciò nemmeno il tempo di riprendersi. Senza troppi
complimenti lo afferrò per un braccio e lo trascinò, ancora
barcollante, via da quel molo e poi fino a casa. Matt riusciva già a
sentire le sirene della polizia in arrivo: avrebbero trovato i cinque
cadaveri dei ragazzini e quello del capo. I suoi complici invece erano
pronti per essere spediti in carcere.
-Stupido, inutile, ragazzino!- gli ringhiò contro nonappena misero
piede nella casa, lanciandolo direttamente sul pavimento. Matt picchiò
la testa contro l'angolo dell'armadio con un gemito di dolore. Un altro
livido che si andava ad aggiungere a quelli già sofferti in battaglia e
alla nausea.
Rimase a terra, tenendosi lo stomaco dolorante e tremando per lo shock
e la stanchezza, ma sapeva che non era ancora finita per lui. Stick non
si lasciava commuovere da così poco e Matt aveva sentito la rabbia
crescere in lui mentre lo trascinava per le vie della città, come un
padre che aiutava un figlio malato a tornare a casa. Ora però erano
soli, e tutto quello che aveva trattenuto era pronto a uscire; Matt
poteva solo prepararsi alla punizione.
Il primo colpo arrivò dritto allo stomaco, proprio dove faceva più
male, e l'avvocato non riuscì a trattenere un grido. Era appena
all'inizio e ben presto si ritrovò al limite, rannicchiato sul
pavimento nel vano tentativo di proteggersi.
-In piedi!-
Matt sapeva che se non avesse obbedito, le cose sarebbero solo
peggiorate. Perciò puntò i palmi a terra e cercò di sollevarsi,
ignorando quanto gli tremassero le braccia. Ricadde sul pavimento prima
ancora di arrivare alla piena estensione degli arti.
Stick lo colpì di nuovo.
-In piedi!-
Fallì una seconda volta, e il calcio che raggiuse il suo stomaco fu
talmente forte da sollevarlo da terra prima di farlo rotolare su sè
stesso. Quando si fermò era sulla schiena, le mani sullo stomaco per
cercare di attutire i colpi.
-In piedi!-
Questa volta non ci provò nemmeno. Scosse la testa e rimase sul
pavimento, incapace di muoversi. Stick ricominciò a colpirlo, passando
da pugni e calci al bastone, fino a quando Matt rinunciò anche a
cercare di proteggersi. Si fermò solo quando dalla bocca non uscivano
più nemmeno i gemiti.
-La prossima volta che non esegui i miei ordini lo rimpiangerai,
ragazzino- promise il vecchio prima di dirigersi verso il bagno,
lasciandolo inerme sul pavimento, a malapena in grado di respirare.
Matt non gli rispose. Tossì un paio di volte, sentendo in bocca il
sapore metallico del sangue mentre lo sputava sul pavimento, poi tutto
divenne nero.
***
Quando lo vide, stava andando al supermercato.
E' impossibile. Si disse. Non può essere lui. E' solo un ragazzo
con gli occhiali da sole. Devi smetterla di vederlo in ogni angolo. E'
a New York.
Ma non potè fare a meno di osservarlo molto, molto attentamente: la sua
camminata, il modo in cui zoppicava ma allo stesso tempo cercava di
nasconderlo; un'esitazione nel camminare che cercava probabilmente di
ridurre una qualche sorta di ferita, o di dolore. Non riuscì a vederlo
in faccia, perchè a parte l'istante in cui l'aveva notato, le dava la
schiena; inoltre, non aveva con sè nessun tipo di bastone, il che
minava ulteriormente le sue poche certezze, anche se, da dietro, quel
ragazzo poteva benissimo essere Matt, se non fosse che al posto dei
suoi soliti completi indossava dei jeans e un giubbino sportivo. Non
l'aveva mai visto vestito così prima d'ora: a casa, di solito
utilizzava delle tute da ginnastica, e sul lavoro era impeccabile.
Cercò di fare mente locale per ricordare se nel suo armadio ci fosse
qualcosa di simile a quello che indossava, ma senza successo.
Allo stesso tempo, con quel vestiario e senza nessun aiuto nella
camminata, poteva benissimo essere un qualunque ragazzo, anche perchè
di solito quel pazzoide cercava (e riusciva) a spacciarsi per una
qualunque persona cieca, ma non aveva dubbi che, se avesse voluto, in
una giornata di sole nessuno avrebbe notato la sua disabilità.
L'uomo entrò nella piccola chiesa proprio di fronte a loro, un altro
punto in favore di Matt.
Ignorò la parte di sè stessa che le stava dando della paranoica e lo
seguì.
***
Quando riprese i sensi, Matt poteva sentire il calore del sole colpirlo
dritto in faccia attraverso i vetri chiusi della finestra. Aveva ancora
addosso il suo fedele costume nero (che aveva preferito utilizzare al
posto di quello rosso in quanto non aveva idea del tipo di missioni a
cui sarebbe andato incontro e non voleva che Daredevil venisse
associato ad attività criminali) e sentiva il freddo del pavimento
sulla schiena, in netto contrasto con il tepore sul viso.
Evidentemente, Stick non si era dato pena a spostarlo dopo che era
svenuto in seguito al suo trattamento. Sentiva i vestiti
appiccicarglisi addosso, ancora bagnati, e si rese conto poco dopo di
stare tremando, con la sensazione di avere freddo fin dentro le osse.
Provò immediatemente a muoversi, e le fitte di dolore provenienti da
diverse parti del suo corpo lo fecero quasi gridare. Si prese un minuto
per rilassarsi dopo l'involontaria contrattura in seguito allo spasmo e
poi fece un secondo tentativo, questa volta avendo cura di muoversi
lentamente. Anche se non sarebbe stato piacevole, doveva assolutamente
alzarsi, medicarsi le ferite e trovare il modo di mettersi addosso dei
vestiti puliti.
Dopo svariati minuti, capì che sarebbe riuscito solo a completare il
primo dei tre obiettivi che si era dato. A malapena.
Il petto gli faceva malissimo, soprattutto nella parte bassa dello
stomaco, dove Stick si era divertito a colpirlo maggiormente la sera
prima, e quando finalmente riuscì a mettersi seduto per terra, il mondo
in fiamme era un vortice di vertigine che quasi lo fece vomitare.
Quando gli sembrò che l'equilibrio fosse ristabilito, fece un nuovo
tentativo di alzarsi in piedi, reggendosi al tavolo per non cadere.
Alla fine riuscì a trascinarsi sul divano dove si stese di nuovo,
cercando di calmarsi mentre contemporaneamente cercava di fare il punto
della situazione.
Ormai era al limite. E non solo fisicamente.
Stick non aveva nessuna pietà e ogni notte si trovava costretto a
guardarlo uccidere persone, che non erano sempre colpevoli. Aveva
infatti scoperto che il suo mentore aveva la pessima abitudine di
eliminare chiunque li vedesse un po' troppo da vicino per i suoi gusti.
E il vecchio aveva una definizione di "vicino" che era abbastanza
discutibile.
Aveva scoperto, con qualche giorno di ritardo, che dopo averlo
riportato in albergo, Stick quella notte, quella in cui avevano salvato
le ragazzine, era tornato indietro e aveva ucciso la ragazzin che Matt
si era dato tanto da fare per salvare. E Matt, legato anche dal patto
che aveva fatto, non potè farci niente; era in parte troppo spaventato
dall'idea che il cieco potesse andare a cercare vendetta su Foggy e
Kare, senza contare che ormai qualunque cosa avesse fatto o detto non
avrebbe riportato indietro la ragazzina.
Tutto questo, però, lo stava lentamente uccidendo dall'interno, e Matt
poteva avvertirlo chiaramente come ora avvertiva il dolore fisico alle
ferite.
Essere Daredevil non era sempre facile, l'aveva imparato dopo poche
uscite; durante la sua crociata contro Fisk aveva visto cose terribili,
e pensava di avere toccato il fondo quando si era intrufolato nel
magazzino in cui aveva scoperto centinaia di persone che erano state
accecate per fare da corrieri nel traffico di droga dell'uomo; eppure,
questo forse era ancora peggiore, perchè Stick uccideva a sangue
freddo, e non sempre aveva una valida ragione (ammesso che fosse
esistita una valida ragione per togliere una vita). E soprattutto,
quando lo faceva, Matt poteva avvertire chiaramente la soddisfazione
dell'uomo: la sera che aveva incontrato Claire, aveva detto all'uomo
che avevano fatto prigioniero che trovava piacevole far del male alla
gente, ma alla fine erano solo parole che servivano a intimidire,
mentre per il suo ex mentore, torturare qualcuno era un mero
divertimento.
Anche le punizioni che gli infliggeva non avevano poi molto senso. Non
era più un bambino di nove anni da addestrare, era un uomo adulto ed
era discretamente abituato a prenderle, e di certo non era spaventato
dalla minaccia delle botte, senza contare che non sarebbero stati calci
e pugni a convincerlo a uccidere. Il riassunto era che Stick non aveva
davvero la necessità di picchiarlo: era semplicemente il suo modo di
rilassarsi, o almeno questa era la conclusione più logica a cui fosse
riuscito a giungere, e la cosa non lo rendeva particolarmente felice,
ovviamente, ma aveva deciso di sottomettersi senza provare a
controbattere o chiedere spiegazioni: il prossimo bersaglio sarebbe
potuto essere Foggy, e Matt ne era fin troppo cosciente.
Non ce la faceva più.
Di nuovo, non per la prima volta, avvertì la sensazione di stare
soffocando.
Aveva bisogno di aria. Doveva uscire. Al più presto.
Più facile a dirsi che a farsi.
Scoprì subito che era a malapena in grado di camminare, e rinunciò a
terminare di cambiarsi dopo averci messo qualcosa come 10 interminabili
minuti per sfilarsi i pantaloni. Aveva provato anche a togliersi la
maglia nera a maniche lunghe, ma era così bagnata da appiccicarglisi
alla pelle e lo sforzo era stato sufficiente a dargli un capigiro tale
da farlo quasi cadere.
Alla fine era riuscito a indossare un paio di quegli odiosissimi jeans
che aveva comprato qualche giorno prima. Di solito evitava di usarli,
la superficie ruvida del tessuto gli provicava sempre una fastidiosa
sensazione di prurito, ma con i pochi soldi che aveva portato con sè
non poteva permettersi di meglio.
Non riuscendo a togliersela, coprì la maglia nera con un bomber, avendo
cura di allacciarlo fino al collo, in modo da non prendere freddo;
stava già abbastanza male di suo, ci mancava solo che si prendesse
l'influenza. Si mise gli occhiali da sole e uscì senza prendersi il
disturbo di controllare se Stick fosse o meno in casa: se lo era, stava
probabilmente dormendo o meditando, e se non lo era... la cosa non gli
importava.
Dopo mezz'ora, riuscì finalmente a raggiungere una chiesa. Di norma non
gli sarebbe servito così tanto tempo, ma non aveva idea di dove si
trovassero, forse a Boston, ma non ne era troppo sicuro, e non riusciva
a camminare troppo a lungo prima di doversi fermare per il dolore. Alla
fine si era arreso e aveva preso un taxi, che però era stato costretto
a lasciarlo a quasi mezzo kilometro dalla destinazione, all'inizio
della zona pedonale. La corsa gli era costata metà di quello che gli
era rimasto, ma non ne era dispiaciuto, o preoccupato. Aveva bisogno di
stare da solo e di sentirsi al sicuro, di trovare un posto dove perfino
Stick non avrebbe osato fargli del male. Quando, grazie ai suoi sensi,
capì quanto distante si trovasse il luogo sacro, si sentì quasi male,
ma alla fine il desiderio di un luogo famigliare lo convinse a muoversi.
Beh, non esattamente, se doveva essere sincero.
Quella chiesa era solo un'illusione, e Matt lo sapeva. Matt sapeva che
quello che voleva davvero: voleva tornare a Hell's Kitchen, anche se
solo per un minuto. Voleva controllare se Foggy, Karen e tutti quelli a
cui teneva stessero bene e respirarne l'aria inquinata, sentire il suo
caratteristico mix di odori e sapori, piacevoli o meno, che la
caratterizzavano.
Voleva andare a casa, e non si sentiva un bambino capriccioso ad
ammetterlo.
E mentre camminava a fatica verso la chiesa, perso nei suoi pensieri,
considerò per un momento la possibilità di comprare un telefono usa e
getta e utilizzarlo per chiamare Foggy, anche solo per sentirne la voce
dalla segreteria telefonica. Il suo amico lo avrebbe probabilmente
maledetto in tutte le lingue che conosceva, punjabi incluso, ma Matt
sapeva che dietro agli insulti, sarebbe stato contento quanto lui di
sentirlo.
Stava già iniziando a fare i conti su quanto gli sarebbe venuto a
costare per decidere se avrebbe potuto permetterselo, quando
all'improvviso ebbe paura. Era al limite, lo sapeva bene, e la
nostalgia lo divorava ogni giorno di più, minacciando di sommergerlo
come non accadeva dal giorno del funerale di suo padre.
Capì, poichè grazie a Stick aveva una conoscenza pressochè assoluta
della propria psiche, che chiamare Foggy avrebbe causato un totale
collasso, e che non sarebbe più riuscito ad andare avanti. Per una
volta, decise di essere egoista, e scegliere la strada più facile,
quella che non lo avrebbe distrutto, e allontanò l'idea della
telefonata.
Era ormai arrivato alla chiesa, e quando spinse il pesante portone di
legno, venne accolto da un accogliente profumo di incenso e candele
bruciate, e per un attimo visse nell'illusione di sentire Padre Lantom
venirgli incontro, pronto a offrirgli una tazza di latte macchiato, il
conforto della confessione e, quello che più stava a cuore a Matt, la
parola di un amico.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma in qualche modo riuscì a tener
duro. Sapeva che non era sbagliato piangere, ma se si fosse arreso ora
la disperazione avrebbe preso il sopravvento e avrebbe distrutto quel
poco di determinazione che gli restava.
Quando riuscì ad arrivare abbastanza vicino all'altare, si sedette (ok,
quasi collassò) su una panca, incapace di riuscire a restare in piedi
per un secondo di più. Sentiva dolore in ogni muscolo del proprio
corpo, anche in alcuni che non aveva saputo di avere, fino a quel
momento. Il legno caldo e lucido era quasi rassicurante contro la sua
schiena, e solo con tanta forza di volontà riuscì a resistere
all'impulso di sdraiarsi.
Chiuse gli occhi e appoggiò il mento sui pugni chiusi, pensando a casa
e a Claire, che si era occupata di lui anche quando non se lo meritava.
Se si concentrava a sufficienza, poteva quasi riuscire a percepire il
profumo della ragazza come se fosse accanto a lui; immaginò i suoi
passi leggeri mentre camminava per il suo appartamento; poteva quasi
sentire fisicamente la mano della ragazza, morbida e delicata, prendere
gentilmente la sua e non riuscì a evitare di pensare a quanto potesse
essere strana la mente umana. Di tutte le persone che amava, riusciva a
pensare all'unica che sapeva per certo di aver perso, probabilmente per
sempre. Aveva fatto un casino con lei, e Claire aveva messo in chiaro
che sarebbe stata la sua infermiera, e niente di più, e il battito del
suo cuore gli aveva confermato che era convinta di quello che diceva.
L'intensità delle sue emozioni, della sua nostalgia, era tanta che il
suo cervello stava ricreando perfettamente l'immagine della ragazza
mentre si avvicinava a lui e gli sfiorava la mano. Il loro potere era
tanto che stava rendendo l'irreale, reale.
-Matt...-
Un attimo... le illusioni non parlavano, giusto?
***
Entrò nella chiesa pochi secondi dopo di lui, ma decise di non
affrontarlo direttamente. Voleva essere sicura di non fare la figura
della stupida con un estraneo, quindi decise di camminare lungo una
delle navate laterali, quella alla sua sinitra. Lo guardò sedersi e
dopo pochi passi riuscì finalmente a guardarlo in faccia.
Oh mio Dio. E' lui.
E... erano lacrime quelle?
Matt…
Nonostante quello che era ( o meglio, non era) successo tra di loro,
aveva rimpianto le proprie parole non appena aveva avuto modo di
pensarci su a mente fredda. Aveva lasciato New York con un dolore sordo
nel petto e la paura che quello che gli aveva detto avrebbe potuto
spingere Matt a fare qualcosa di molto stupido. E ora era qui, a pochi
metri da lei, in preda a una qualche sorta di dolore fisico e
psicologico, e proprio non se la sentiva di lasciarlo solo.
Claire tornò sui suoi passi e si avvicinò lentamente a lui, mentre allo
stesso tempo si preoccupava del fatto che ancora non stava reagendo.
Sapeva fin troppo bene che era in grado di ricevere suoni e odori
letteralmente a isolati di distanza, e non aveva dubbio che avesse
sentito i suoi passi e profumo. Perchè non reagiva, allora?
Non essere stupida, pensi davvero che
si ricordi?
Che c'è che non va, Matt?
Si sedette sulla sua stessa panca e, lentamente, scivolò verso di lui
fino a quando non riuscì a prendergli la mano, sempre muovendosi senza
fare movimenti bruschi, e sempre più preoccupata dalla sua mancanza di
reazioni, perchè ora doveva sentirla. Per forza.
-Matt...- sussurrò quando non rispose neppure al suo tocco. -Matt, che
succede?-
***
-Matt, che succede?-
Aprì gli occhi di scatto, un gesto abbastanza inutile considerando che
i suoi occhi non erano in grado di vedere; era stata una reazione
prettamente istintiva, così come l'atto di girarsi verso la fonte di
quella voce che sembrava davvero reale, come se avesse potuto davvero
vederla e assicurarsi che non fosse tutto un sogno.
Si voltò verso il sussurro di scatto. Il suo profumo, la delicatezza
del suo tocco, la dolcezza nella sua voce, il battito unico del suo
cuore, che aveva memorizzato come la più bella delle melodie,
formavano la sua famigliare sagoma infuocata nella sua mente e,
anche se non aveva una fiseonomia definita, la riconobbe
immediatamente. Claire.
Era reale.
Era lì.
No. No.
***
L'aveva riconosciuta. Ne era certa. L'aveva visto chiaramente
rilassarsi per una frazione di secondo dopo che aveva parlato, salvo
poi spingerla lontano da lui l'attimo dopo, come se fosse un nemico di
cui avesse paura, salvo il fatto che finora Matt non aveva mai avuto
paura di nessuno, almeno che lei sapesse.
-Matt- sussurrò, afferrandolo fermamente per le braccia -Matt. Sono io.
Sono Claire-
-No. No- stava cercando di liberarsi dalla sua presa, ma senza
riuscirci, nonostante non è che Claire fosse poi così forte, e non
stava esattamente combattendo per trattenerlo.
-Matt. Matt, ti prego, calmati.-
-Vattene, Claire. Stai lontana da me- la voce del ragazzo era così
bassa che riusciva a malapena a capire cosa stesse cercando di dire
-Stammi... lontana. Ti prego, Claire. Ti prego.-
Per tutta risposta, Claire lo lasciò andare, ma solo per abbracciarlo
forte, ignorando le sue parole confuse e I suoi tentativi di spingerla
via. Lo sentiva tremare forte contro di lei, e infatti, poco dopo smise
completamente di respingerla, perdendosi completamente nel suo
abbraccio. Lo sfogo successivo iniziò con dei singhiozzi, seguiti poco
dopo da un pianto disperato.
-Matt...- Claire sussurrò il suo nome, stringendolo più forte mentre
lui nascondeva il viso nell'incavo tra la spalla e il collo. Lo lasciò
fare, ignorando le lacrime che le bagnavano la t-shirt. Era troppo
preoccupata per farci caso: non aveva mai visto il Diavolo di Hell's
Kitchen in questo stato finora, nemmeno dopo la lite con Foggy, e,
onestamente, non aveva mai pensato che una cosa del genere potesse
succedere.
-Matt...- ripetè a bassa voce, cercando di suonare dolce e rassicurante
come faceva talvolta per confortare I bambini che arrivavano al pronto
soccorso dopo un incidente. -Shh... va tutto bene, Matt. Andrà tutto
bene. Ci sono io. Ci sono io...-
***
Matt voleva davvero smettere di piangere come un bambino.
Matt voleva davvero allontanarsi da lei.
Matt voleva davvero evitare di metterla nei guai.
Ma l'unica cosa che riuscì a fare fu rimanere tra le sue braccia,
lasciare che lo stringesse forte e ascoltare il suo cuore battere
regolare sotto la sua maglietta, mentre gli sussurrava a dolce litania
fatta di parole rassicuranti, e respirare il suo profumo. Sapeva di
casa.
Era casa.
Lentamente, cercò di riprendere il controllo delle sue emozioni. Si
concentrò sulla respirazione per smettere di singhiozzare e, poco dopo,
riuscì anche a smettere di piangere, anche se gli occhi gli rimasero
comunque pieni di lacrime. Sentendosi anche un po' stupido, alzò il
volto e si liberò dall'abbraccio.
-Stai bene?- gli chiese con un sussurro, e Matt potè sentire nella voce
dell'infermiera quanto fosse preoccupata dal suo collasso emotivo, ma
anche il suo sollievo ora che si era ripreso.
Annuì.
Mossa sbagliata.
La testa riprese a girargli mentre di nuovo tratteneva a stento la
nausea.
-Ehi. Piano, Matt. Piano- Ovviamente Claire si era resa conto di cosa
gli stava succedendo e, di nuovo, le sua braccia erano arrivate, pronte
a sostenerlo. La sua voce era la cosa più bella del mondo.
Lo afferrò per le spalle e lo aiutò a stendersi sulla panca, facendogli
appoggiare la testa sulle proprie gambe. Sentì che gli slacciava la
giacca per aiutarlo a respirare meglio, e quando lui accennò a una
breve lotta, trovò la maglietta bagnata, dopo aver assolutamente
ignorato I suoi tentativi di fermarla.
-Dio, Matt. Sei zuppo! Stai cercando di ammalarti?- la sua voce era un
misto tra il dolce, l'esasperato e l'arrabbiato, ma per lui era
comunque magnifica -Andiamocene da qui. Ti serve aiuto-
Questo lo riportò alla realtà. Non poteva coinvolgerla, non di nuovo.
-No... No, Claire.- cercò di ribellarsi -Devi... Devi starmi...
lontana. O... ti farà... del male-
-Chi?-
-Abbiamo... abbiamo fatto un patto... Devo... obbedire... Foggy...-
Stava iniziando a balbettare parole sconnesse, ma non riusciva a
evitarlo: c'erano tcosì ante cose che voleva dire in pochissimo tempo
che i concetti si erano inesorabilmente mischiati nella sua mente
confusa: la testa non smetteva di girargli, mentre iniziava a sentire i
segni premonitori di uno svenimento mentre lottava per rimanere
cosciente. L'incontro con Claire l'aveva mandato completamente in tilt.
Aveva bisogno di aria.
Voleva andare a casa.
Voleva rimanere tra le sue braccia per sempre.
-Matt! Matt. Ascoltami. Ascolta la mia voce. Concentrati su di me, puoi
farlo?- La voce della ragazza era ancora molto bassa e dolce, ma adesso
poteva sentire anche una punta di autorità, un qualcosa che lo
costrinse, volente o nolente, ad ascoltarla, come se avesse capito
perfettamente che stava entrando in uno stato di confusione e panico
-Matt. Concentrati. Su. Di. Me-
Cercò di alzare la testa e girarsi verso la direzione da cui proveniva
la sua voce, puntando i propri occhi ciechi più o meno nel punto dove
sapeva avrebbe trovato quelli della ragazza, o almeno ci sperava. Sentì
che gli toglieva gli occhiali e gentilmente gli passava una mano sul
volto, per asciugargli le lacrime. Concentrandosi su quei gesti, riuscì
più o meno a calmarsi definitivamente, anche se tremava ancora
incontrollabilmente.
-Matt...-
-Claire... ti prego. Vattene- la pregò, ormai sull'orlo della
disperazione.
-Non se ne parla-
-Se ti...-
-Ci inventeremo qualcosa. Tipo... - Claire fece una pausa, mentre
pensava a qualcosa di credibile -mentre eri qui per confessarti sei
svenuto, quindi ti ho portato al pronto soccorso e poi a casa mia-
-Conosce... il tuo profumo. L'ha sentito... a casa mia-
-Allora lo cambierò- detta da lei sembrava tutto così semplice che Matt
quasi si convinse che avrebbe funzionato -Adesso prendiamo un taxi, ti
calmi e lasci che io ti aiuti, ok?-
-Cosa succede se dico di no?-
-Chiamo il 911- e per non lasciare spazio a nessun tipo di dubbio,
estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e iniziò a comporre il
numero, perfettamente conscia del fatto che avrebbe sentito tutto. Matt
rimase fermo, quasi del tutto certo che alla fine, anche se lui non
avesse ceduto, avrebbe terminato la chiamata senza chiedere soccorso.
Si decise ad afferrarle il braccio solo quando lei iniziò a parlare, e
l'avvocato realizzò che questa volta faceva sul serio.
-No. No. Ti prego- la implorò, cercando di guardarla negli occhi, certo
di non dover fare molta fatica per assumere uno sguardo da cucciolo
sufficientemente dolce da farla cedere. Peccato che Claire non fosse
quel tipo di ragazza. Però guadagnò una breve tregua quando mise la
chiamata in stand-by.
-Allora facciamo a modo mio-
Era una condizione a cui non sapeva come ribattere, perchè Claire,
essendo Claire, non avrebbe accettato un no come risposta. E Matt era
stanco di lottare, stanco di tutto.
Annuì, sconfitto e riuscì a produrre l'ombra di un sorriso quando la
sentì mettere via il telefono.
PERSONAL
SPACE: Ok, forse dovrei sentirmi in colpa... povero Matt... ma non lo
farò. Non ancora, almeno.
Che
succederà adesso? Stick scoprirà che si trova con Claire? E come
reagirà? Stay tuned!
|
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Capitolo 6 *** You'll wish I Killed You Yesterday ***
PERSONAL SPACE: Buonsalve!! Chapter 6 is out!
Grazie a tutti voi che leggete,
in particolare a ragdoll_cat che mi dice sempre quello che pensa! ^__^
Vi lascio al capitolo. Buona
lettura!
PS: momento marchetta: ho
pubblicato una nuova one shot, ambientata al college...la trovate
qui
Chapter
6: You'll wish I Killed You Yesterday
Matt tremava ancora, Claire riusciva chiaramente a sentirlo dalle
sue mani che teneva strette tra le proprie mentre si trovavano sul
sedile posteriore di un taxi che li stava portando all'appartamento che
aveva preso in affitto quando aveva lasciato New York.
Il ragazzo era praticamente immobile, seduto al suo fianco,
all'apparenza perfettamente calmo e accettando il contatto fisico come
se i due fossero una coppietta che tornava a casa dopo una giornata in
giro per la città. Non poteva dirlo con certezza, poichè il resto del
suo corpo era ben nascosto dai vestiti, ma dall'espressione
apparentemente rilassata sul suo viso, l'infermiera sospettava che
qualunque fosse la causa del tremore, non era soltanto di natura
psicologica. Matt sembrava avere i nervi sotto controllo, almeno per
ora, e Claire sapeva fin troppo bene che se davvero avesse voluto,
sarebbe riuscito a fermarsi.
Dato lo stato in cui si trovava la maglietta, poteva ipotizzare che si
trattasse di brividi di freddo... e a proposito: se il resto del suo
abbigliamento era asciutto, e di certo non parte del suo costume da
vigilante (Claire avrebbe riconosciuto quella dannata maglia nera
ovunque), perchè non aveva completato il lavoro? Era ferito a tal punto
da non riuscire a sfilarsela?
Una volta cominciate le domande, a quanto sembrava la sua mente non
aveva intenzione di smetterla: come le ciliegie, una tirava l'altra:
che cosa ci faceva lì, così lontano da Hell's Kitchen? E perchè non
indossava il completo rosso che aveva visto sui giornali (e che
sembrava fatto decisamente meglio)? E, ancora, con chi cavolo aveva
fatto un patto? E cosa c'entrava Foggy in tutto questo? Avevano poi
ricominciato a parlarsi quei due?
La sua mente tornò a quella notte, quando aveva conosciuto finalmente
il partner di Matt, dopo averne sentito largamente parlare durante le
loro sedute di sartoria su pelle umana. Nelle tre ore che era rimasta
con lui nell'appartamento dell'amico, Foggy era passato
alternativamente dall'essere furioso al piangere di preoccupazione,
senza una vera e propria logica, e quando l'aveva dichiarato fuori
pericolo, le ci erano voluti dieci interminabili minuti per convincerlo
a rimanere per dargli un'occhiata e aspettare di parlargli al mattino.
Già sapeva che il biondo non era mai stato un grande fan del Diavolo di
Hell's Kitchen, per questo aveva insistito così tanto perchè ascoltasse
le ragioni di Matt, salvo poi scoprire che non ne aveva comunque voluto
sapere. Poi lei se ne era andata (non senza qualche senso di colpa, tra
l'altro, sapendo che sarebbe rimasto solo) e non aveva idea di come
stessero le cose tra i due.
Non divagare, Claire. Ha bisogno di
te, ora.
L'infermiera si auto-richiamò all'ordine e gli diede un'altra occhiata,
mentre col il pollice gli accarezzava piano la mano, in un tentativo di
aiutarlo a restare concentrato su qualcosa. Cercò di rimanere
impassibile e di muoversi il meno possibile mentre cercava di capire
quanto effettivamente fossero gravi le sue condizioni senza farsi
notare troppo. Era molto pallido, ora che lo vedeva alla luce del sole,
e la smorfia che aveva fatto (e subito nascosto) quando l'auto era
sobbalzata sopra una buca le faceva pensare che effettivamente fosse
ferito e che stesse cercando di nascondere il dolore sotto una maschera
di stoicismo.
Riuscì a tenere duro per tutta la corsa, e per il breve tratto di
strada che li aveva portati dall'auto alla porta del suo appartamento,
pur sorreggendosi a lei per aiutarsi a stare in piedi, ma, nel momento
in cui lasciò la presa, dopo averlo fatto appoggiare alla parete, il
ragazzo si lasciò scivolare a terra fino a quando con un leggero tonfo
non si ritrovò seduto sul pavimento, come se fosse troppo stanco per
restare in piedi un secondo di più.
-Matt!- esclamò accucciandosi accanto a lui, sfiorandogli la spalla con
una mano.
-Sto... bene- le parole uscirono dalla sua bocca come se parlare
richiedesse l'uso di una riserva incredibile di energie che non aveva.
-Col cavolo- Aveva pensato di tenere una linea dolce con lui, sembrava
già abbastanza sull'orlo di una crisi di nervi senza che ci si mettesse
pure lei, ma questa volta non riuscì proprio a contenersi.
Non c'è tempo per scusarti ora,
le fece notare la sua voce interiore, mentre faceva passare un braccio
sotto la sua ascella per aiutarlo ad alzarsi. Matt cercò di aiutarla
come poteva, allungando una mano lungo il muro alla ricerca di un
appiglio, e quando non riuscì a trovarlo, cercò di spingere contro di
esso per toglierle un po' del suo peso dalla schiena. Claire riuscì
finalmente a dare un calcio alla porta e a portarlo fino al divano,
dove lo fece stendere ignorando completamente i suoi tentativi di
opporsi.
Fu sollevata quando vide finalmente il suo volto distendersi in
un'espressione meno tirata mentre chiudeva gli occhi, seguita da un
sospiro di sollievo. Si sedette accanto a lui, sul bracciolo del sofà,
e gli spostò una ciocca ribelle dalla fronte. Matt allungò una mano
verso di lei, sopra la propria testa, cercando a tentoni le sue mani.
Senza smettere di accarezzarlo, gli porse la mano sinistra, sentendolo
immediatamente stringere la presa, ma senza arrivare a farle male.
Sembrava quasi che stringerla forte fosse il suo modo di rimanere
attaccato alla realtà, di accertarsi che fosse reale, e Claire non si
sottrasse. Se serviva a tenerlo calmo, poteva restare così anche tutta
la notte, tenendogli la mano e accarezzandogli la fronte.
E, a proposito di realtà, si ricordò all'improvviso che se non voleva
farlo ammalare doveva assolutamente tirarlo fuori dai vestiti bagnati.
Lentamente, si alzò, dal bracciolo, e vide immediatamente il suo corpo
irrigidirsi, mentre la presa sulla mano si faceva più salda mentre
cercava di alzarsi , come se temesse di "vederla" scomparire se avesse
interrotto il contatto.
-Non muoverti, Matt- sussurrò mentre dolcemente lo spingeva di nuovo
contro i cuscini, liberando nello stesso momento anche la propria mano
-Torno subito. Vado a prenderti qualcosa di caldo da metterti, ok?
Torno tra un momento.-
Si alzò e più velocemente che potè raggiunse la camera da letto, alla
disperata ricerca di qualcosa che potesse andargli bene. Alla fine
riuscì a rintracciare una delle vecchie felpe del famigerato Mike, che
non sapeva nemmeno come cavolo le fosse finita in valigia prima di
partire, non che al momento le importasse molto. Sarebbe andata bene
allo scopo, e tanto le bastava. Era una felpa pesante, molto calda e
soffice, semplice, grigia con un grande cappuccio, di quelli che non
solo coprivano la testa, ma che arrivavano ben oltre, cadendo
(fastidiosamente) sugli occhi.
La annusò velocemente, assicurandosi che non sapesse (troppo) di
naftalina o di chiuso ( o di entrambi), prima di tornare in salotto.
Sorrise, quando vide che nel frattempo il suo ospite era riuscito ad
addormentarsi, e non fu molto felice di svegliarlo, ma quella cosa
andava tolta al più presto, e non le sembrava una buona idea cercare di
cambiarlo senza svegliarlo. Probabilmente si sarebbe ritrovata bloccata
a terra, o lanciata dall'altra parte della stanza nel giro di mezzo
secondo se lo avesse fatto.
Prudentemente, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse gentilmente.
Tutto inutile.
Matt sobbalzò, aprendo gli occhi di scatto e lasciandosi scappare un
gemito di dolore mentre le afferrava la mano con un gesto brusco, tutti
i muscoli tesi e pronti all'attacco, o almeno così le era sembrato in
un primo istante. Solo dopo un secondo, guardando come l'altra mano
fosse rimasta vicino al corpo, a metà strada tra lo stomaco e la testa
invece di muoversi in un gesto fulmineo per colpirla, realizzò che non
la stava attaccando: stava cercando di proteggersi.
Questo la preoccupò, e non poco. Per esperienza lavorativa sapeva che
questo tipo di reazioni erano del tutto istintive, specialmente dopo un
trauma, o in situazioni di poca lucidità mentale, mentre le sue notti
con il vigilante le avevano insegnato che il suo primo istinto non era
mai quello di difendersi; era quello di attaccare.
Cosa diavolo ti è successo, Matty?
- Tranquillo. Sono io, Matt- fortunatamente, il suono della sua voce,
unito alla sua mano che andava a cercare quella dell'amico, furono
sufficienti a convincerlo a rilassarsi quel tanto che bastava a farlo
smettere di intercettare ogni sua mossa, in modo da riuscire a
esaminarlo per bene, ora che erano soli e non più in un luogo pubblico.
-Bravo. Ora ho bisogno che mi aiuti, però. Puoi farlo? Per me?-
L'unica risposta che ottenne fu un piccolo cenno con la testa, che allo
stesso tempo la rassicurò (perchè le diceva che era lucido a
sufficienza da capirla), ma allo stesso tempo le rivelò anche quanto
fosse debole. Si chiese, distrattamente, cosa gli avesse dato pochi
istanti prima la forza di reagire quando lo aveva svegliato, e quando
arrivò da sola alla risposta, non le piacque per niente: paura.
Sui giornali aveva letto che lo chiamavano l'uomo senza paura, e per
come lo conosceva pensava che fosse un soprannome piuttosto azzeccato,
ma cosa poteva spaventare a morte un uomo così temerario, allora?
Decise di escludere la domanda dalla propria mente, ricordando a sè
stessa, ancora una volta, che adesso Matt aveva bisogno delle sue doti
di infermiera (e di amica); perciò si concentrò di nuovo su di lui.
Prima di cercare di farlo sedere, gli slacciò la cerniera della giacca,
prima di aiutarlo a sollevarsi per toglierla. Come il suo braccio di
mosse per sfilarsi dalla manica, non riuscì a trattenere un grugnito di
dolore, e Claire iniziò a muoversi ancora più cautamente per evitare di
aumentare la sua sofferenza.
Tolta la giacca, veniva il difficile. La t-shirt a maniche lunghe era
palesemente appiccicata alla sua pelle a causa dell'acqua e del sudore,
e toglierla non sarebbe stata una passeggiata, non se voleva evitare di
tagliarla, per lo meno.
-Matt, adesso cerco di toglierti la felpa. ok? Voglio darti un'occhiata
e, tra l'altro è fradicia. Non hai freddo?- Sapeva che non aveva
bisogno di applicare il protocollo da infermiera con lui; non l'aveva
mai fatto prima, ma visti i segnali che il suo comportamento le aveva
dato finora, riteneva fosse necessario avvisarlo di ogni suo gesto
esattamente come se si fosse trovata di fronte a un paziente appena
uscito da un incidente.
-Un... pochino- riuscì ad ammettere, riuscendo in qualche modo a
mettere insieme un mezzo sorriso, uno di quelli adorabili da cucciolo
che avrebbe spento la rabbia di chiunque. Ricambiò, sfiorandogli la
guancia con una mano.
-Rilassati, ok? Sei al sicuro-
-Per favore... fa... piano. Fa...un male... cane- Ok. Claire aveva
visto Matt mezzo morto, letteralmente, più volte di quanto avesse
voluto, e aveva imparato una cosa: Matthew Murdock era testardo ai
limiti dell'impossibile e aveva una soglia del dolore al di fuori di
ogni logica, considerando quando il suo corpo fosse ipersensibile, ma
soprattutto, Matt Murdock non implorava.
Poteva chiedere con educazione (era davvero una delle persone più
educate che conoscesse), al massimo, ma mai, mai l'aveva pregata di
fare attenzione, e mai, mai aveva ammesso di provare dolore,
sopportando il suo lavoro stringendo i denti o, al limite, accettando
la resa e perdendo i sensi; sapeva bene che non sempre poteva essere
delicata, eppure questa volta lo stava facendo. E nei limiti del
possibile, cercò di accontentarlo.
Un centimetro alla volta, sollevò la t-shirt, cercando di evitare il
contatto diretto con il suo petto. Matt rimase in silenzio, aiutandola
più che poteva cercando di rimanere immobile, e obbedendo quando gli
chiese di sollevare le braccia per poter finalmente sfilare
l'indumento, che gettò immediatamente a terra per concentrarsi sul..
ammasso di lividi che un tempo era stato un busto perfettamente
modellato.
-Dio- si lasciò scappare mentre involontariamente sussultava alla vista
dello scempio che aveva davanti, il che, considerando che aveva
lavorato prima come paramedico e poi in un pronto soccorso, diceva già
tutto. - Come cavolo...-
-Storia lunga- la interruppe, la voce incrinata dal dolore, mentre
ricominciava a tremare più forte di prima, ora che la sua pelle era
esposta all'aria e a chissà che altro recepiva il suo senso del tatto.
Cercando di limitare i brividi, gli fece immediatamente infilare le
braccia nelle maniche della felpa, che fortunatamente era di quelle
aperte davanti, e poi gli calcò il cappuccio sulla testa per cercare di
tenerlo al caldo.
Le mani del ragazzo cercarono subito i lembi dell'indumento nel
tentativo di chiudere la cerniera, ma Claire lo fermò afferrandogli
delicatamente le mani.
-Matt, mi dispiace. Lo so che hai freddo, ma devo visitarti prima...-
-Sto...Bene- rispose a voce bassa, mentre lottava per restare sveglio,
l'infermiera non sapeva bene se per la stanchezza o il dolore, o
entrambe le cose insieme -Sono solo... lividi. Forse... una o
due...costole... incrinate. Non voleva...uccidermi-
-Ah no?- aveva qualche problema a crederci, onestamente, ma lo vide
scuotere lentamente la testa. Molto lentamente.
-Solo... punirmi. Devo... riposare...ti
prego...svegliami...un'ora...devo...tornare...ti prego-
Matt stava velocemente perdendo conoscenza, e i brividi erano di nuovo
aumentati a un livello quasi allarmante. Velocemente, senza discutere,
lo aiutò a chiudere la felpa fino in fondo, sistemandogliela in modo
che gli coprisse anche il collo. Mike era di almeno una taglia più
grande di Matt, e Claire sfruttò le maniche troppo lunghe per coprirgli
anche le mani prima di aiutarlo a stendersi. Un minuto dopo era già
profondamente addormentato. Sospirò, perchè avrebbe voluto prima
accertarsi che stesse bene, ma se erano davvero solo dei graffi e dei
lividi, effettivamente potevano aspettare. Ma allora perchè soffriva
così tanto?
Oh giusto. Si rispose
mentalmente. Perchè la sua
definizione di lividi non è esattamente quella riportata sui manuali di
medicina, o nei dizionari. Con un sospiro, lo coprì bene con una
coperta di pile e lo lasciò riposare. Magari, se gli avesse dato modo
di recuperare le forze (e almeno un pochino della sua lucidità mentale)
avrebbe lasciato che lo medicasse senza opporsi (troppo).
Claire non lo svegliò dopo un'ora. Nemmeno dopo due o tre, in effetti.
Semplicemente, lo lasciò dormire. Era così completamente fuori gioco
che un paio di volte, passando vicino al divano, si era fermata per
assicurarsi che fosse ancora vivo. Era completamente immobile da ore
ormai, raggomitolato sul divano sotto la coperta, il respiro lento e
regolare e il volto completamente nascosto dal cappuccio. Sembrava non
tremasse più, finalmente, e questo la rassicurò. Magari si trattava
davvero soltanto di freddo e stanchezza, forse, per una volta, anche
Matt Murdock aveva dei problemi comuni a tutti gli essere umani.
***
Matt non era in casa, Stick se ne era reso conto nello stesso
istante in cui aveva raggiunto la porta del loro appartamento. Questa
volta non si era disturbato a prendere una stanza in un motel, poichè
sapeva che la loro missione sarebbe durata molto più a lungo rispetto
alle altre, e gli appartamenti per studenti vicino all'MIT di Boston
erano, sul lungo periodo, molto più convenienti anche rispetto al più
economico degli ostelli.
Quando aveva lasciato la casa quel mattino, era quasi inciampato sul
corpo di Matt, ancora svenuto per terra dove lo aveva lasciato la notte
prima. Il vecchio si era preso solo un minuto per assicurarsi di non
averlo ucciso prima di uscire e finire la parte del lavoro che doveva
compiere alla luce del sole.
Di solito, quando doveva fare certe cose, lasciava a quell'idiota la
mattina libera, con il doppio intento di non averlo tra i piedi e di
non sentirgli recitare una di quelle sue solite manfrine sulla moralità
e la giustizia, e di dargli il tempo di andare in chiesa a pregare per
la salvezza della propria anima. Per Stick le religioni (tutte, senza
distinzioni) erano solo una marea di stronzate che qualcuno svariati
secoli prima aveva messo insieme per riuscire a controllare il
comportamento delle persone sotto la minaccia di punizioni divine in
nome di un qualche Dio. Non aveva mai capito davvero perchè il migliore
dei suoi allievi (perchè, porca puttana, l'avvocato era davvero stato
uno dei migliori soldati che avesse addestrato, soprattutto grazie ai
suoi poteri, se di poteri si poteva parlare.) tenesse così tanto a
certe cazzate, ma aveva notato che se andava in chiesa, di solito il
periodo immediatamente successivo non rompeva troppo le palle, per cui
aveva deciso di fargli fare quel che voleva.
Stick, tra l'altro, non era nato ieri, e aveva capito fin dal principio
che non aveva più un controllo assoluto su Matt (e segretamente ne era
anche contento: sarebbe stata una vera delusione se, vent'anni
dopo l'abbandono l'avesse trovato pronto ad adorarlo come quando
l'aveva tirato fuori dall'orfanotrofio), ma comunque, non era
preoccupato che potesse scappare: quel moccioso era un uomo d'onore,
oltre che un avvocato, ed era sicuro che avrebbe tenuto fede al patto
che avevano fatto prima di partire, se non per lealtà, per la salvezza
dei suoi cosidetti amici. Tra l'altro, finchè avesse rispettato gli
ordini e non gli avesse creato troppe grane, al vecchio della fedeltà
di Matt non fregava praticamente nulla.
Una volta entrato in casa, si svestì velocemente e si infilò sotto la
doccia. Si sentiva puzzare di sangue, di morte e di fogne, e non
avrebbe tollerato quell'odore su di sè per un istante più del
necessario, dopodichè avrebbe meditato. A lungo. Molto a lungo, o la
prossima volta avrebbe davvero potuto arrivare a ucciderlo.
Era quasi mezzanotte, ormai, Matt non era ancora rientrato e lui
cominciava a innervosirsi. Era sicuro che non se ne fosse andato per
sempre: il suo bastone e le sue cose erano ancora nell'appartamento,
inclusa la sua preziosa Bibbia, quella che suo padre gli aveva regalato
quando aveva iniziato il catechismo (come un allora bambino non aveva
mancato di fargli sapere un giorno mentre lo stava addestrando); era
una di quelle stampate tradizionalmente, non in Braille perchè
all'epoca, Matt ci vedeva, ma non se ne era mai separato, e se l'aveva
lasciata indietro, significava che aveva pensato di tornare indietro.
Quel dannato ragazzino emotivo lo avrebbe fatto uscire pazzo, prima o
poi!
Stick sospirò e si concentrò per entrare in uno stato di leggera
meditazione per calmarsi. Avrebbe dovuto comunque uscire quella notte,
con l'unica differenza che avrebbe dovuto fare tutto da solo perchè
qualcuno non si era degnato di tornare a casa.
Quando torni, ragazzino, rimpiangerai
che non ti abbia ucciso ieri, giuro.
***
Claire era rimasta con Matt, seduta sul tappeto accanto al divano, fino
a quando non le si chiusero gli occhi, e l'ultima volta che l'aveva
controllato, all'una di notte più o meno, era ancora profondamente
addormentato, apparentemente sordo a tutto ciò che lo circondava,
(incluso il piatto che aveva rotto per sbaglio mentre preparava
qualcosa per cena).
Alla fine anche lei aveva ceduto al sonno e si era decisa a lasciare il
suo fianco per infilarsi a letto, cadendo in un sonno leggero e teso.
Si svegliò di soprassalto quando lo sentì iniziare a gemere, e mentre
tornava alla realtà, svegliandosi completamente mentre percorreva i
pochi metri che la separavano da lui iniziò a vedere che il sonno
tranquillo di poche ore prima era solo un ricordo.
Matt sembrava quasi preda delle convulsioni, sembrava lottare contro
qualcuno o qualcosa in sogno, mormorando cose incomprensibili alternati
a gemiti di dolore. Il cappuccio gli era scivolato via, rivelando
quanto stesse anche sudando.
Pur essendo cosciente dei rischi che correva a svegliarlo (lei e Foggy
ne avevano provato le conseguenze sulla loro pelle), capì che l'amico
stava andando in panico all'interno del sogno e di non avere altra
scelta se non quella di sperare di riuscire a schivare qualunque colpo
fosse arrivato.
Si avvicinò lentamente e afferrò piano ma risolutamente la sua spalla,
scuotendolo per svegliarlo. Ovviamente, si aspettava la sua solita
reazione violenta, ma la velocità con cui riuscì a schivare i suoi
movimenti e saltare al di fuori del suo raggio d'azione stupì perfino
lei stessa
-Matt- chiamò dolcemente, ma a voce abbastanza alta e decisa da
penetrargli nelle orecchie -Matt, sono io. Claire-
***
Da quando era partito con Stick, svegliarsi di soprassalto era
diventata una routine. Il vecchio trovava sempre la scusa per punirlo
per qualcosa che non aveva fatto, eppure, questa volta era abbastanza
sicuro di non aver fatto niente per meritarselo.
-Matt. Sono io. Claire-
Non appena sentì la voce familiare dell'infermiera, tuttavia si bloccò.
Cosa diamine...?
Calmati, Matt. A quanto pare,
la fedele voce di Foggy nella sua testa era più sveglia del suo
cervello. Riavvolgi il nastro. Premi
play.
Fece un respiro profondo, mentre richiamava (senza nemmeno troppa
fatica) alla mente le immagini delle ultime ore. Ora tutto aveva un
senso.
Vedi? Riprese, e non riuscì a
non chiedersi in quale momento esatto della propria vita la sua
coscienza aveva iniziato a parlare con la voce del suo migliore amico,
perchè, onestamente, la cosa era un po' inquietante, oltre che seccante. E' tutto a posto, sei solo paranoico.
No. Niente era ok.
Si mise a sedere sul divano, aggrappandosi alla spalliera per tirarsi
su e rimanere in posizione.
-Che ore sono?- salutò la ragazza, la voce roca a causa della secchezza
che sentiva in gola, probabilmente, mentre si voltava per cercare di
guardarla. La dormita gli aveva fatto decisamente bene, e anche se non
si sentiva ancora nel pieno delle forze, era abbastanza forte da
parlare e muoversi senza troppi problemi.
Sentì i suoi passi leggeri avvicinarsi a lui, mentre gli rispondeva che
era notte fonda. Percepì lo spostamento d'aria mentra la ragazza si
accovacciava sul tappeto vicino a lui, abbastanza da riuscire a sentire
il calore del suo corpo attraverso la propria pelle e il profumo del
suo dentrifricio, una particolare fragranza di frutti di bosco mista a
menta. Gli prese gentilmente una mano, mentre con l'altra gli
accarezzava la fronte, spostandogli i capelli in un gesto che lo fece
sentire immediatamente a casa e al sicuro.
Ma c'era dell'altro.
I movimenti della giovane erano lenti, troppo lenti per avere il solo
scopo di non spaventarlo. Poi all'improvviso capì quanto fosse esausta,
e una fitta di senso di colpa lo attraversò. -Stavi avendo un incubo,
credo-
-Ti avevo chiesto di svegliarmi dopo un'ora- Non potè fare a meno di
protestare debolmente, mentre un angolo (più vigile) della sua mente
cercava di esortarlo a muovere il culo e tornare da Stick prima che
andasse a prendersela con i suoi amici. Era una parte molto piccola, e
decisamente in conflitto con tutto il resto, che implorava pace e
riposo, ma era come una zanzara: insistente e fastidiosa fino a
portarti all'esasperazione.
- E da quando faccio quello che mi dici, Matt?-
E, nonostante tutto, non riuscì a evitare che gli angoli delle proprie
labbra si incurvassero in un mezzo sorriso, prima di fare un nuovo
tentativo di alzarsi, dando retta al suo senso del dovere (paura?) che
gli imponeva di uscire al più presto da quella casa, nonostante il
resto di lui voleva rimanere tra quelle quattro mura, il più possibile
vicino a Claire e alla sua dolcezza, possibilmente, nonostante il
dolore che questo gli provocava.
Non avrebbe mai potuto essere sua, questo Matt lo sapeva bene. Aveva
buttato tutto all'aria, e riavvicinarsi ora non gli avrebbe certo fatto
bene, senza contare che più a lungo restava, più aumentavano le
probabilità che Stick facesse un viaggio a New York per prendersela con
Foggy; perciò chiuse le porte ai sentimenti e con un gesto deciso (o
almeno, il più deciso possibile) si mise in piedi, ignorando il vortice
di fuoco che divenne il mondo nell'istante preciso in cui la testa
cominciava a girargli, i sensi impazziti. Non vedeva più contorni
definiti, solo un mare di fuoco in burrasca. Molto in burrasca. Si
prese non più di un minuto per stabilizzarsi e ritrovare una corrente
tranquilla dove navigare, poi cominciò ad avanzare nella tempesta.
Non è il mondo a essere in burrasca,
razza di idiota, sei tu!
Taci, orsetto- Foggy. Ok
quella coscienza stava diventando decisamente invadente e fastidiosa,
esattamente come il suo migliore amico, quando ci si metteva d'impegno.
-Dove pensi di andare, esattamente?- Claire sembrava seccata, più che
curiosa.
-Devo andare- Rispose, forse più duro di quanto volesse.
-Dove?- Sentì distrattamente che lo stava guardando, in piedi con le
braccia conserte
-Devo andare- ripetè, testardo -Non ho molto tempo-
-Ok- rispose lei, fredda come non la sentiva da molto tempo, dal giorno
in cui gli aveva detto che non voleva innamorarsi di qualcuno così
vicino a diventare quello che non voleva. Sentì una fitta al cuore, che
si sforzò di ignorare. -Ci vediamo, Matt. Fa attenzione.-
Non le rispose neppure, e tornò a percorrere la strada verso la porta.
***
Se c'era una cosa che aveva imparato nei mesi in cui aveva ricucito
Matt Murdock, alias Daredevil, era che quel pazzo era forse la persona
più testarda sulla terra. Per questo, nel momento in cui si era messo
in piedi, si era alzata anche lei, interrompendo il contatto tra le
loro mani e facendo un passo indietro.
Dopo il loro rapido scambio di battute, lo guardo oscillare attraverso
la stanza, aspettando (come aveva fatto durante il loro primo incontro)
il momento in cui sarebbe caduto, perchè sapeva che sarebbe successo.
Non sprecò nemmeno il fiato per cercare di fermarlo quando dichiarò che
voleva andarsene; era in quella che lei chiamava la modalità da Uomo in
Maschera (anche se forse avrebbe dovuto cambiare la dicitura in
modalità Daredevil, stando ai giornali) e le parole erano più che
inutili quando si trovava in quello stato; quindi lasciò che fosse il
suo stesso corpo a fargli capire che se avesse davvero voluto lasciare
quel palazzo, avrebbe dovuto il modo di scindere completamente la mente
dalle ossa, perchè muscoli e tendini non l'avrebbero seguito in quella
pazzia.
Dieci.
Contò mentalmente l'infermiera. Se si fosse trattato di una persona
normale, non sarebbe andata oltre il tre, ma si parlava di Matt, perciò
gli diede un po' di credito in più. Matt fece il primo passo verso
quella che lui fosse convinto essere la direzione della porta, ma che
in realtà l'avrebbe portato dritto contro un muro. Non disse una parola
per correggerlo, e non si sentì nemmeno troppo in colpa a riguardo.
Nove.
Dannazione.
Matt aveva campito di stare commettendo un errore e si girò per cercare
un qualunque cosa che lo aiutasse ad orientarsi; Claire non si
aspettava che chiedesse aiuto, ovviamente.
Otto.
Alla fine, trovò quella che capì essere la giusta direzione e riprese a
camminare.
Sette.
Finalmente iniziò a incespicare, inciampando sui propri piedi, ma senza
cadere.
Sei.
Inciampò ancora.
Cinque.
E ancora.
Andiamo!
Quattro.
Matt cominciò seriamente a barcollare, ora in seria difficoltà, e
Claire fece molta, molta fatica a trattenersi dall'andargli incontro
quando cominciò ad allungare le mani di fronte a sè stesso, cercando
una parete, o qualcosa che lo aiutasse a rimanere in piedi. Alla fine
le sue mani incontrarono una sedia.
Tre.
Era, in qualche modo, arrivato alla porta.
Due.
Ora le scale erano a soli uno o due passi di distanza da lui, e il suo
equilibrio lasciava decisamente a desiderare.
No no no, ti prego, ti prego cadi.
Cadi. Si augurò la ragazza guardandolo preoccupata. Possibilmente, prima delle scale.
Uno.
Sapeva che avrebbe dovuto, ma proprio non riuscì a trattenere il
sospiro di sollievo che le salì dal petto quando Matt finalmente si
arrese e lasciò il comando ai propri muscoli, che erano evidentemente
più svegli del loro proprietario e pensarono bene di fallo collassare a
terra.
Un giorno o l'altro ti ammazzo,
Matthew, dannazione.
Sospirò di nuovo prima di raggiungerlo e trascinarlo di nuovo in casa
prendendolo da sotto le ascelle, ringraziando qualunque divinità del
fatto che fosse quel tipo di persona che era in forma, ma comunque
piuttosto magra, in modo da non dover chiamare in aiuto nessuno dei
vicini.
Tuttavia, Matt era troppo pesante perchè riuscisse a sollevarlo da sola
sul divano, per cui lo lasciò per un istante sul tappeto solo per
correre a disfare il proprio letto, un matrimoniale che però,
fortunatamente era composto da due materassi singoli. Ne prese uno e
ansimando lo trascinò fino al salotto, dove lo sistemò nel punto più
caldo della casa: vicino al calorifero e nel punto esatto del pavimento
dove passavano le tubature del riscaldamento, che restava di
conseguenza sempre a temperatura un po' più alta.
-Resisti, Matt- gli sussurrò prima di muoverlo vicino al giaciglio
improvvisato -Questo ti farà male, ma non posso fare altro- Con l'aiuto
di un lenzuolo, riuscì a far rotolare l'amico sul materasso,
comprimendolo il più possibile col proprio peso per rendere il
passaggio un filo più confortevole. Non esattamente una manovra da
manuale del primo soccorso, e perfino nel suo stato di incoscienza il
ragazzo emise un gemito di dolore durante l'operazione, ma al momento
non poteva fare di meglio, non con un paziente completamente non
cooperativo.
Dopo averlo sistemato al centro del materasso lo coprì bene prima di
soffermarsi a studiarlo per qualche istante: aveva il respiro
accelerato e stava iniziando anche a sudare, come se avesse appena
affrontato una lunga corsa.
Sta calma, Claire. L'hai appena
strapazzato per bene. Si disse per placare il principio di
panico che le stava nascendo dentro. Lascialo
riposare un pochino.
L'infermiera che era in lei (e che aveva preso il sopravvento) aveva
decisamente ragione, perciò le diede retta. Gli rimboccò bene le
coperte fin sotto il mento e poi si concesse un momento di riposo
sdraiandosi sul divano, a meno di un metro da lui.
Si disse che poteva perfino chiudere gli occhi, magari, e riposare una
decina di minuti.
Fu svegliata da un raggio di sole che la colpiva in piena faccia, il
che era strano perchè aveva chiuso gli occhi solo per cinque minuti
mentre la stella non era visibile nell'appartamento fino alle und... Merda.
Si mise seduta di scatto, il collo e la schiena che le dolevano a causa
della posizione in cui si era addormentata, metà sdraiata e metà seduta
tra lo schienale e uno dei braccioli. Imprecò tra i denti,
maledicendosi per non aver messo una sveglia, e iniziò a muoversi molto
lentamente, cercando di sciogliere i muscoli irrigiditi senza prendersi
uno strappo, mordendosi le labbra per evitare di svegliare Matt con i
propri gemiti di dolore. Piano piano, le membra ripresero sensibilità e
agilità, e finalmente riuscì a concentrarsi sul proprio paziente.
Dio.
Matt era ancora incosciente, forse svenuto o forse addormentato, non ne
era certa, ma le sue condizioni erano decisamente precipitate dalla
sera prima. Se quando si era addormentata aveva soltanto il respiro un
po' affannato, ora era in preda ai brvidi e coperto di sudore, tanto
che aveva spinto via le coperte in cui lo aveva avvolto.
Non andava bene. Per niente.
***
Era ormai mezzogiorno, e di Matt ancora non c'era traccia.
Stick riuscì a percepire la sua assenza non appena si era svegliato
dalla mattinata passata a letto dopo una notte dedicata alla sua
missione.
Se quell'idiota stava cercando di testare la sua pazienza, presto
avrebbe scoperto che non era stata la migliore delle proprie idee.
Arrabbiato, si alzò e si diresse nella stanza dell'avvocato, cercando
almeno di capire se fosse tornato a casa a cambiarsi. Niente. Tutte era
come l'avevano lasciato due notti prima, e non c'era traccia di odori
che tradissero la presenza.
L'uomo scandagliò la stanza. Una giacca e i jeans erano spariti, così
come la sua maschera, probabilmente si era rimesso a giocare all'eroe.
Comunque, non aveva importanza, non più, almeno.
Era arrivato il momento di fargli capire che il tempo dei giochi era
finito.
No, non mi sento il colpa,
sappiatelo XD
Cosa succederà ora? Foggy e Karen saranno in pericolo? Lo scopriremo
nel prossimo capitolo!
Ciao!
PS: i feedback sono moooolto graditi :)
|
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Capitolo 7 *** Mr. Murdock is out right now ***
PERSONAL
SPACE: Ciao a tutti! Eccomi qui con un nuovo capitolo di questa
long... voglio approfittare di questo spazio per ringraziare chi mi ha
recensito negli scorsi capitoli, PaperHero e Ragdoll_Cat (PS: se siete
fan di Cap o degli Olicity passate sul suo profilo, non ve ne pentirete
^__^ ) e anche tutti quelli che hanno messo questa storia tra le
seguite, le preferite e le ricordate, davvero grazie! ^__^
E ovviamente grazie anche a tutti i lettori silenti, spero che un
giorno troverete la voglia/il tempo/il coraggio di darmi la vostra
opinione. Giuro che non mordo ^_^.
Niente. Vi lascio al capitolo!
Buona lettura!
Chapter 7:
Mr. Murdock is out right now
Un mese.
Era passato un dannatissimo mese dal giorno in cui aveva trovato
l’appartamento di Matt vuoto e, quel che era anche peggio, entrambi i
cellulari abbandonati a New York. Aveva capito il perchè dello
smartphone, ma, dannazione, poteva almeno portarsi l’altro, almeno per
fargli sapere che era vivo e stava bene. E invece no.
Di quei 30 fottuti giorni poteva contare (e rivivere) ogni singolo
secondo.
Giusto perchè amava alla follia mentire alle persone a cui teneva, si
era ritrovato a raccontare palle su palle ogni singolo giorno, fingendo
di essere in perenne contatto giornaliero con il proprio
partner-e-forse-non-più-tanto-migliore-amico e raccontando che tutto
andava bene. Si sforzava di andare in ufficio ogni giorno, anche se
quello che avrebbe davvero voluto fare era agire: noleggiare (o perfino
comprare, se fosse stato necessario) un’auto e uscire da Hell’s
Kitchen, viaggiando per tutto il continente finchè non avesse ritrovato
e riportato a casa Matt.
E poi cosa farai, furbone?
Bene, adesso il suo cervello suonava come Matt Murdock in versione
so-tutto-io.
Ti prenderò a calci in culo per tutta
la strada del ritorno, e probabilmente continuerò a farlo vita natural
durante! Rispose irritato alla voce. Dannato Murdock. Ora
parlava pure da solo!
Tuttavia, era sbagliato dire che Foggy non stesse facendo proprio nulla
per ritrovarlo; aveva probabilmente esplorato tutte le opzioni che non
includessero una denuncia per persone scomparse pur di avere notizie,
ma senza risultati. Ogni mattina consultava l’elenco di tutte le
persone arrestate nello stato nella speranza (o forse no, non ne era
troppo sicuro in realtà) di trovarci il nome del proprio partner, o
un’identità fittizia che gli dicesse qualcosa, perchè di una cosa era
sicuro: se Matt si fosse trovato in condizioni di necessitare un aiuto
legale, avrebbe trovato il modo di farglielo sapere.
Leggeva e vedeva anche qualunque versione di qualunque notiziario o
quotidiano esistente, e spulciava internet costantemente, ma anche
questo non aveva dato frutti.
Nessuna nuova? Buone nuove! Era solito dire un amico di suo nonno, il
che in effetti poteva anche essere vero, se il tuo migliore amico non è
un dannato vigilante con la cattiva abitudine di spuntare fuori mezzo
morto nei posti più strani della terra.
Quando squillò il telefono, Foggy stava lavorando a un nuovo potenziale
caso, che non sapeva ancora se accettare o meno poichè non era sicuro
se la cliente stesse dicendo la verità o nascondesse qualcosa.
Nonostante si lamentasse moltissimo della politica aziendale di Matt,
ora che era assente cercava comunque di seguire al meglio la strada che
avevano deciso di intraprendere quando avevano aperto il loro studio
legale. Il vero problema è che senza Mr. poligrafo vivente le cose si
erano fatte un po’ complicate, poichè doveva affidarsi solo al proprio
istinto, senza contare che concentrarsi era veramente difficile quando
la sua testa si divertiva a proporgli i più svariati scenari sul
destino del suo socio, ma, per essere fedele alle proprie bugie doveva
fingere e a quel punto era meglio fingere lavorando su qualcosa di
reale.
Fu Karen a rispondere al telefono, non tanto perchè era la loro
segretaria, quanto perchè in quel momento era la più vicina alla
reception, e quindi al telefono. Per un nanosecondo, si permise di
sperare che all’altro capo della linea ci fosse Matt, realizzando solo
in quel momento che sentiva il cuore balzargli in gola per la speranza
(o la paura) ogni volta che sentiva la suoneria di uno dei loro
cellulari.
La cosa peggiore, però, era il peso al cuore che sentiva ogni volta che
restava deluso; avrebbe davvero dato qualunque cosa per un messaggio,
una chiamata, un’e-mail, un segnale di fumo, un razzo segnalatore, un
piccione viaggiatore…. insomma un qualunque cosa gli potesse dire che
era vivo. Non chiedeva altro. Non gli importava quanto gravemente
potesse essere ferito. Sapere che respirava sarebbe stato più che
sufficiente.
-Nelson e Murdock- rispose Karen, poi fece una pausa prima di mettere
la chiamata in stand-by ed entrare nel suo ufficio -Puoi parlare?-
-Certo- rispose fingendo di non aver ascoltato ogni sillaba -Di che si
tratta?-
-Non lo so ancora, ma dal tono di voce sembra urgente-
-Ok. Passamela di qui, per favore. Grazie-
La bionda gli sorrise mentre si chiudeva la porta alle spalle e tornava
alla propria scrivania. Dal vetro opaco riuscì a vederla esitare di
fronte all’uscio chiuso dell’ufficio di Matt, e non faceva fatica a
immaginarsi cosa stesse pensando. Mancava a tutti.
Sospirò e alzò la cornetta.
-Fog… Franklin Nelson-
-Foggy… sono Claire-
Quelle tre parole bastarono a raggelarlo sul posto; un best of di tutti
gli scenari venne velocemente alla sua mente, mentre cercava di
prepararsi al peggio, alla ragazza che gli diceva che Matt stava
morendo, o peggio, che fosse già morto. Solo dopo qualche secondo si
ricordò che Claire non era in città, e che non poteva sapere che Matt
non era reperibile al momento e arrivò alla ragionevole conclusione che
stesse solo cercando il suo amico, non riuscendo a parlargli tramite
telefono.
-Sì. Ci sono solo io al momento- rispose cercando di fingere che fosse
solo una potenziale cliente e non una loro conoscente -Il signor
Murdock al momento è fuori, ma se le servono informazioni, sono a sua
disposizione, oppure può fissare un appuntamento con la nostra
segretaria-
-Non puoi parlare?-
-Esatto. Sì-
-Ok. Matt è con me- e ora poteva tranquillamente andare in panico,
mentre un brivido gli correva involontario lungo la spina dorsare.
Tiprego,tiprego,tiprego non essere morto. Non. Essere. Morto, E non
avvicinarti nemmeno ad esserlo. Per favore, Matty!
-Puo’ spiegarmi la sua situazione?- chiede, meravigliandosi di essere
riuscito a tenere la voce ferma nonostante stesse letteralmente andando
in panico.
-Non lo so. L’ho incontrato per caso, in una chiesa. Foggy, era esausto
e come mi ha riconosciuto è crollato. E’ confuso, molto, e la maggior
parte delle volte fatica a riconoscermi. Ti chiamo solo ora perchè sta
dormendo, e sembra tranquillo, finalmente-
-Dove abita?-
-A Boston, vicino al campus dell’università-
Boston? Che cavolo ci facevano a Boston?!
-D’accordo, signorina…- stava cercando di tirare fuori un cognome
fittizio da affibbiarle, ma da quando Claire aveva pronunciato la
parola “crollato” non riusciva a pensare ad altro. In tutti quegli
anni, non aveva mai nemmeno pensato che Matt potesse avere un crollo
emotivo, e aveva pensato a tanti di quegli incidenti che avrebbero
potuto capitargli da poterci scrivere almeno 10 stagioni di un
qualunque medical drama.
-Oh.. ehm.. Carter- gli venne in aiuto, e Foggy cercò di aggrapparsi
alla calma nella voce della ragazza, tentando di auto-convincersi che
il fatto che lei fosse così tranquilla implicasse che, probabilmente,
Daredevil non era in pericolo di vita.
-Ok, Signorina Carter. Farò qualche ricerca e le farò sapere,
d’accordo?-
-Ok, Foggy. A più tardi-
-Lei stia calma- le raccomandò, cercando di farle coraggio (come se ne
avesse bisogno) - e cerchi di raccogliere tutto il materiale che ci
serve, d’accordo?-
-Grazie. Ciao-
Doveva trovare un modo di rimanere da solo. E alla svelta.
Questa fu la prima cosa che gli passò per la testa un secondo dopo aver
attaccato il telefono, ma poi realizzò che anche se fosse uscito ora e
l’avesse richiamata, se Matt fosse stato ancora fuori gioco non ne
avrebbe ricavato un ragno dal buco. Claire gli aveva già raccontato
quello che sapeva, quindi alla fine si costrinse a concentrarsi sul
lavoro.
I clienti vengono per primi.
Taci, Murdock! Stai dormendo su un
fottuto divano a Boston!
Tuttavia, l’irritante Matt che aveva preso residenza nel suo cervello
aveva ragione; se fosse rimasto in ufficio senza fare niente altro che
aspettare sarebbe stato inutile, oltre che sospetto. Doveva darsi una
mossa, scoprire se quel tizio era davvero innocente e, nel caso, fare
tutto il possibile per far cadere le accuse contro di lui.
Lo doveva anche a Matt.
Muovi il culo, orsetto Foggy!
Taci, cornetto! Al momento sono molto
incazzato con te!
***
Doveva ammetterlo: la reazione di Foggy l’aveva piacevolmente sorpresa.
Quando l’aveva chiamata, quella notte in cui aveva trovato Matt mezzo
morto, aveva avuto l’impressione che fosse una persona completamente
emotiva, che si lasciasse trascinare dalle proprie emozioni senza un
minimo di self-control, almeno quando si trattava del suo migliore
amico. Ma non questa volta.
Foggy era stato piuttosto intelligente a fingere che si trattasse
soltanto della chiamata di una potenziale cliente, e aveva fatto le
domande giuste senza sollevare sospetti.
Chiamare Foggy non era stata esattamente una delle sue priorità, ma poi
le condizioni di Matt erano peggiorate ora dopo ora.
L’infermiera non l’aveva perso di vista nemmeno per un secondo,
controllandolo così spesso da arrivare alla paranoia, ma così non
l’aveva davvero mai visto, e la cosa la spaventava abbastanza. Da
quello che aveva visto dalla distanza di sicurezza che era costretta a
tenere, gli si era alzata la febbre, ma quanto alta, e da cosa fosse
causata, non era proprio in grado di dirlo.
L’ipotesi che considerava più probabile era quella di una qualche
infiammazione dovuta a una delle trilioni di ferite che aveva sul
torace, ancora in attesa di essere medicate, e questa era solo la più
rosea delle possibilità, perchè se c’era qualcuno in grado di ferirsi
in modi improponibili, quello era proprio Matt Murdock.
Un’alternativa poteva essere dovuta a un qualche danno interno, ma
finchè non fosse riuscita ad avvicinarsi non poteva fare di più, e
finora lui non le aveva permesso di toccarlo, attaccandola ogni volta
che tentava di avvicinarlo per visitarlo, e ormai la situazione andava
avanti da più di 24 ore, un termine ben più che sufficiente a
terrorizzarla, considerando quello che gli aveva visto fare
praticamente 10 minuti dopo il collasso di un polmone.
Claire aveva già provato a calmarlo prima, ma ogni suo tentativo era
stato un buco nell’acqua, e nemmeno la sua voce, questa volta, aveva
fatto il miracolo.
Matt, anche quando si svegliava, sembrava non essere mai pienamente
cosciente di quello che faceva e, non riconoscendo la sua voce, cercava
di difendersi nell’unico modo che conosceva: non poteva fargliene una
vera e propria colpa, ma era comunque arrivata al punto che legarlo
sembrava l’unica soluzione rimasta; non che gioisse all’idea di farlo,
anzi, a maggior ragione, ora che era così spaventato, fargli una cosa
del genere la faceva venire la nausea, ma, d’altro canto, era ormai
evidente che aveva bisogno di assisenza medica. E in fretta.
Tuttavia, prima di compiere l’estremo passo, aveva deciso di dargli
un’ultima possibilità, e per quello aveva preso il telefono e chiamato
Foggy. Se nemmeno la voce del suo migliore amico poteva calmarlo, non
avrebbe potuto fare altro che ricorrere alle maniere forti.
Aveva pensato di svegliarlo non appena iniziata la telefonata, ma poi
aveva deciso di evitare: ogni minuto di veglia era prezioso, poichè era
ormai così debole che non riusciva a restare sveglio per più di pochi
minuti; inoltre, non voleva spaventare Foggy più di quanto fosse
necessario. Aveva deciso che era meglio prepararlo sulle sue
condizioni, prima di fargli sentire Matt in quello stato di delirio.
Meritava di sapere che c’erano serie possibilità che non lo
riconoscesse.
Sei un bel casino, Matt Murdock.
Sospirò la ragazza chiedendosi, per la milionesima volta, perchè si era
lasciata coinvolgere così tanto da quel pazzo.
Si era ripromessa di non innamorarsi di quel folle cieco che saltava
per i tetti e se ne andava in giro a picchiare le persone nascosto
sotto una maschera, perchè sospettava che, sotto sotto, fosse una
persona senza scrupoli, uno che si divertisse a giocare a fare DIo, e
quella sera, quando gliel’aveva fatto notare, lui aveva reagito come se
fosse esattamente così, come se non gli importasse di nessuno.
Ora, vederlo in quello stato, ricordando le sue lacrime disperate e il
modo in cui si era aggrappato a lei in quella chiesa, per non parlare
di come un suo singolo tocco fosse sufficiente a ricondurlo
instantaneamente alla ragione (quando era abbastanza lucido da porter
prestare attenzione, ovviamente), le stava mostrando quanto in realtà
tenesse a coloro a cui voleva bene.
Quanto tenesse a lei.
Gli sorrise, anche se non poteva vederla.
Matt si svegliò ore dopo da un sonno durato praticamente tutta la
giornata, mentre stava preparando la cena. Lo vide cercare di mettersi
seduto, evidentemente disorientato e con la mente confusa riguardo agli
avvenimenti delle ultime ore, ma più lucido di prima.
Questo bastò a farle abbandonare i fornelli per raggiungerlo, o almeno
provarci.
-Matt?- chiamò sfiorandogli cautamente il braccio, ma tesa e pronta a
balzare via da lui al minimo cenno di pericolo. -Va tutto bene. Sono
io. Sono Claire-
-Claire?- ripetè, e finalmente l’infermiera riuscì a cogliere una
scintilla di ragione dopo ore di puro delirio -Che ci fai qui? Come ti
ha trovato?-
Ed eccolo che ricominciava ad agitarsi e a cercare di divincolarsi in
preda al terrore e alla confusione, ma questa volta Claire cercò di
resistergli, sperando che l’averla riconosciuta bastasse a frenare i
suoi istinti da ninja-jedi o quel cavolo che era. Gli prese le mani in
una stretta ferrea, nonostante i suoi tentativi di liberarsi.
-Calmanti, Matt. Sono io. Sono io. Va tutto bene…- L’infermiera non
smise per un attimo di sussurrare parole rassicuranti, mentre lottava
contro la sua paura delirante. Riuscì a colpirla un paio di volte, ma,
fortunatamente, era così debole ed eccezionalmente scoordinato da non
farle del male. Alla fine, le forze lo abbandonarono del tutto e
ricadde con la schiena sui cuscini, arrendendosi completamente,
strappandole un (colpevole) sospiro di sollievo. -Nessuno mi ha
trovato, Matt- gli sussurrò a voce bassa, con le labbra praticamente
attaccate al suo orecchio, nell’unico modo che aveva capito essere in
grado di fare breccia: producendo un suono così flebile da essere quasi
inudibile, in modo che fosse costretto a ignorare il resto per darle
retta. -Ci siamo incontrati in chiesa. Ti ricordi?-
***
Era passata un’ora. Una sola, lunghissima ora e Foggy si era ritrovato
a guardare l’orologio più o meno ogni trenta secondi, la sua mente
bloccata sull’immagine del proprio migliore amico, da qualche parte a
Boston che lottava contro solo Dio sapeva quale male.
Fog. Sto bene. Sono al sicuro.
Bene. Il suo cervello aveva ricominciato a reincarnarsi in Matt Murdock
(di nuovo). Proprio quello di cui aveva bisogno.
Col cavolo! Eh, bravo Foggy.
Rispondigli pure. Asseconda il delirio.
-Foggy?- la voce di Karen lo riportò improvvisamente alla realtà. La
ragazza era sull’uscio, appoggiata allo stipite sul lato destro con la
spalla e la testa.
-Sì?-
-Va tutto bene?- La bionda sembrava così preoccupata che l’idea di
mentirle ancora minacciava di ucciderlo.
-Certo- si sforzò di parlare normalmente -Sono solo un po’ stanco, non
preoccuparti-
-Sicuro?- ovviamente, non sembrava convinta. Annuì, non fidandosi oltre
della propria lingua.
-Troppo lavoro. Non è facile senza Matt. E’ lui quello bravo-
Karen sorrise ed entrò nell’ufficio.
-Tu non sei da meno. Il tuo unico problema è che non credi abbastanza
in te stesso-
-Non sono come lui-
-Si, invece. Ricordi quanto eri spaventato all’idea di tornare alla
Landman & Zack? Eppure hai preso Marci ha calci in culo-
Foggy sorrise a quello, e ad altri ricordi. Gli sembrava di ripensare a
un’altra vita, una di quelle normali in cui il suo migliore amico era
un normale ragazzo cieco e la sua più grande paura era quella che
cadesse in un tombino.
-Sì… io…-
La porta dell’ufficio che si apriva li interruppe, offrendogli la
possibilità di non terminare la frase (anche perchè non aveva alcuna
idea di come finirla). La ragazza sorrise di nuovo, prima di voltarsi e
andare ad accogliere il loro ospite.
-Buongiorno, signore, come possiamo aiutarla?-
-Buongiorno- Il tono era dei più cordiale, ma quella voce
inconfondibile era più che sufficiente a spaventarlo. Per un momento,
rimase paralizzato. Quell’uomo aveva causato a Matt un attacco di
panico con la sua sola presenta. Senza di lui, se avesse deciso di
ucciderli, non avrebbero avuto neanche mezza possibilità di farcela.
Foggy. Pensa. Ok, questa cosa
che il suo cervello parlava con la voce di Matt stava diventando
irritante. Ma aveva ragione. Doveva pensare, restare calmo.
Bene. Qual è la tua priorità?
Salvarti il culo, Cornetto.
Andiamo. Puoi fare di meglio. Riprova.
Cercare di non farmi ammazzare da
quel vecchio bacucco?
Già meglio. Riprova ancora.
Cosa cav… ? Aspetta… Karen!
E bravo il mio Orsetto Foggy!
Doveva tenere Karen al sicuro. Finalmente le sue gambe si decisero a
obbedirgli, e fu di nuovo in grado di camminare. Forse non era in grado
di saltare da un tetto all’altro senza spiaccicarsi al suolo, e
sicuramente non faceva tripli salti mortali facendoli sembrare facili,
ma avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per tenere la ragazza
fuori da quella storia.
Insieme alle gambe, anche le sue orecchie tornarono a funzionare.
-C’è il signor Murdock?- Stick stava chiedendo a Karen, sempre
mantenendo il tono cortese ed educato con cui era entrato. Ovviamente,
l’uomo cercava Matt.
-Purtroppo non è qui al momento-
-Quando posso trovarlo?-
-A dire il vero…- la sentì rispondere, da dietro la porta, scalpitando
per non entrare e interrompere. La loro prassi era che fosse Karen ad
accogliere i potenziali clienti prima di introdurli ai due
avvocati.-Non lo sappiamo. Si è preso un periodo di pausa per problemi
personali e non sappiamo ancora quando sarà di ritorno-
-Oh… capisco- Stick era un ottimo attore, Foggy doveva ammetterlo, ed
era anche grato che Karen fosse convinta di dire la verità, perchè
sapeva che l’uomo stava proabilmente ascoltandole il cuore in cerca di
menzogne. -Ho sentito che è cieco… e speravo potesse aiutarmi con un
caso…-
Foggy non riusciva più a resistere alla tensione. Fanculo il
protocollo. Prese coraggio e aprì la porta del proprio ufficio,
entrando nella piccola reception.
-Possiamo occuparci noi del caso, se vuole. Sono Franklin Nelson, e
sarò lieto di ascoltarla-
Non gli tese la propria mano finchè non fu il cieco a sollevarla per
primo. Una delle cose che impari quando condividi la stanza con un non
vedente, e, in questo caso, un’ulteriore fortuna. Non aveva nessuna
voglia di offrire il benvenuto alla persona che aveva trasformato Matt
in un potenziale assassino.
-Credo che voi siate la mia unica speranza-
-Signor…-
-Stick-
-Signor Stick, perchè non ne parliamo a pranzo? C’è un posto qui vicino
molto discreto, dove potremo parlare senza essere disturbati- Sentì un
rivolo di sudore freddo scendergli lungo la schiena mentre attendeva
una risposta. Non sapeva esattamente quali fossero i poteri del
vecchio, ma non aveva dubbi sulla sua pericolosità, l’appartamento
distrutto di Matt ne era una prova. Era piuttosto sicuro che, come il
suo amico potesse indovinare cosa aveva mangiato una settimana prima,
Stick potesse annusare la sua paura e la sua tensione, mentre cercava
in tutti i modi di non coinvolgere Karen. Altrimenti, oltre agli
irrimediabili guai che che sarebbero conseguiti, l’identità segreta di
Matt non sarebbe stata più così segreta. -Ovviamente a carico nostro-
Aggiunse, come a stimolargli una risposta.
-Va bene, la ringrazio- e, per amore della commedia, Foggy gli offrì il
proprio braccio esattamente come era abituato a fare con il suo
migliore amico, toccandolo leggermente all’altezza del gomito. Stick
accettò l’offerta con un cenno del capo e lasciò che fosse l’avvocato a
guidarlo, Ovviamente, appena girato l’angolo, Foggy si staccò
bruscamente da lui.
-Allora non sei proprio uno stupido, Nelson-
-Che cosa vuoi?- Sì, ok, era una domanda stupida, ma quello che era
importante davvero era prendere tempo, evitare la domanda diretta che
avrebbe tradito le proprie bugie.
-Quel dannato moccioso-
-Mi spiace. Non ho figli-
-Ritiro quello che ho detto sulla tua intelligenza. Dov’è Matt?-
-Dimmelo tu. E’ con te che ha lasciato la città- fu la replica diretta.
Foggy sapeva di non avere molto tempo prima che il vecchio perdesse la
pazienza. Finora era riuscito a evitare la domanda, ma per quanto tempo
poteva ancora durare? Prima o poi sarebbe stato costretto a rispondere,
e a quel punto Stick avrebbe saputo che mentiva, e sarebbero stati
altamente fottuti.
Un’ordinaria pausa pranzo per il migliore amico del Diavolo di Hell’s
Kitchen.
-E’ scappato-
-Dovresti fare più attenzione ai tuoi animaletti allora-
La mano del vecchio si chiuse in un pugno stretto, e Foggy, nonostante
tutto, provò un brivido di soddisfazione per avergli fatto ammettere
che Matt non era più il suo soldatino fedele; tuttavia, sapeva bene di
stare rischiando tranto, forse troppo, ma finchè si fossero trovati in
un luogo pubblico come quella strada affollata, probabilmente sarebbe
stato al sicuro, o almeno così sperava.
All’improvviso il suo piede sinistro inciampò in qualcosa, e mentre
lottava per riguadagnare l’equilibrio prima di cadere con la faccia sul
cemento, riuscì a percepire che Stick lo aveva appena fatto inciampare
nel proprio bastone. Quante volte era stato vittima del bastone di Matt
da ubriachi?
-Fottiti-
-Dov’e’?- Ora la voce era appena un sussurro, ma il tono si era
decisamente indurito. Foggy non aveva certo bisogno dei loro
superpoteri per capire che si stava arrabbiando, tuttavia, doveva
cercare di tenere duro il più a lungo possibile.
Dannato Murdock e dannati ninja psicopatici e assassini.
***
Che cavolo era successo?
E che ci faceva lì Claire?
Calmati, Matty, calmati.
Così come molte altre volte nell’ultimo mese, la voce di Foggy entrò
nella sua testa, riportandolo alla ragione. Cercò di fare qualche
respiro profondo, cercando di schiarirsi la mente, ma qualcosa gli
impediva di riuscirci pienamente, come se ci fosse una sorta di nebbia
che ricopriva il suo cervello e creava una sorta di barriera tra lui e
il resto del mondo, tanto che a malapena riusciva a registrare le mani
di Claire sui sui avambracci, gentili, ma decise, che lo tenevano
attaccato al divano, probabilmente per impedirgli di cercare di
scappare. La cosa che lo allarmava di più, però era quella di non
ricordare praticamente nulla delle ore precedenti; l’ultimo particolare
di cui era a conoscenza risaliva a quando gli aveva infilato la felpa.
Si era addormentato? Le aveva fatto del male? Dio, l’aveva colpita?
Cercò di concentrarsi e di sforzarsi di ricordare un qualcosa, un
qualunque dettaglio che gli desse qualche informazione in più, ma
sembrava un’impresa impossibile per il suo cervello. Iniziò ad andare
in panico: sapeva di essere una persona estremamente pericolosa,
potenzialmente letale. Doveva scoprire se l’avesse picchiata, se
l’avesse ferita. Poichè la sua memoria era fuori gioco, cercò invece di
scandagliare il corpo della ragazza alla ricerca di lividi o ossa
incrinate, ma, di nuovo, anche quella semplice operazione fallì
miseramente, tutto si perdeva nei meandri della nebbia. Cercò di
scuotere la testa per cercare di schiarirsi… e si ritrovò piegato in
due dalla nausea e i giramenti.
Se le vertigini potevano essere fastidiose, per una persona che non
poteva contare su cielo e terra per ritrovare l’orientamento erano
anche peggio, era come trovarsi di notte su delle montagne russe
impazzite. Fortunatamente, la finta pelle del divano contro la sua
schiena e la sensazione del bracciolo dietro la nuca gli vennero in
soccorso.
-Matt? Che succede? Stai bene?-
-Sì- iniziò, ma poi si corresse, concentrandosi su quello che sentiva e
“vedeva”, il che, al momento, era molto meno del solito, il che era
tutto dire. Il mondo in fiamme era costantemente annebbiato, nascosto
da quella che era probabilmente una rappresentazione della fischia che
sentiva in testa. Le sue orecchie continuavano a ricevere impulsi,
troppi impulsi, che non riusciva a filtrare ma allo stesso tempo non
riuscivano a fargli del male perchè venivano attenuate senza che
riuscisse a controllarsi, e la stessa cosa era per tutti gli altri
sensi. Tutto era lì fuori, come sempre, ma allo stesso tempo non c’era
più. Iniziò ad ansimare, mentre il cuore gli pulsava (attutito) nelle
orecchie: era cieco, per davvero questa volta.
Matty. Calmati. Parla con Claire.
Foggy aveva ragione. Cercò di riprendere il controllo del suo respiro,
contando i respiri e cercando di calmarsi prima di parlare di nuovo.
-Forse no.-
-Che succede? La memoria? Ti ricordi della chiesa?-
Matt rimase per un secondo spiazzato, prima di accorgersi che non aveva
mai risposto alla sua domanda, e che quindi aveva logicamente pensato
che non ricordasse il loro incontro.
-No… No mi ricordo…. Mi sento… E’ strano-
Era difficile spiegare a parole quello che sentiva, perchè non aveva la
minima idea di cosa gli stesse succedendo e, non appena prese coscienza
di tutto questo, il terrore minacciò di riprendere il sopravvento e
l’unica cosa che riuscì a fare per aggrapparsi alla realtà fu cercare
disperatamente un contatto con Claire. Le mani dell’ìnfermiera
trovarono subito la sua e Matt ripartì da li, dal suo calore e dalla
sicurezza che gli dava per placarsi.
-Matt. Calmati, ti prego- La sua voce fu la mossa finale, un qualcosa
di chiaro e lucido nel mare di nebbia, qualcosa di piacevole da
ascoltare .-Posso aiutarti, ma devi parlarmi… Cosa senti?-
-E’ come… se fosse tutto annebbiato- cercò di spiegare -E’ come… avere
una coperta… che mi avvolge la testa… e… ci sono troppi rumori…- Cercò
di spiegarsi, mentre perfino la sua stessa voce gli suonava
insopportabile.
-Ho chiamato Foggy. Ha detto che appena può mi richiama, ma è molto
preoccupato- Ma Matt percepì appena le parole dell’infermiera, occupato
com’era a cercare di spiegare come si sentisse.
-Non riesci… a escluderli?- gli chiese Claire gentilmente, posandogli
una mano fresca sulla fronte -Non so… con la meditazione magari?-
-Non riesco… a concentrarmi-
-Matt, credo che ti stia salendo la febbre. Forse hai delle ferite
infiammate, o forse sono gli attacchi di panico… Posso misurartela?-
Matt riuscì soltanto ad annuire. La febbre, in effetti, avrebbe
spiegato molte cose, ed effettivamente, non è che negli ultimi tempi si
fosse preso particolarmente cura di sè stesso. Sicuramente i sintomi
avevano senso: il freddo, il dolore e la fatica che sentiva fin dentro
le osse, per finire con l’impossibilità di concentrarsi e il
conseguente offuscamento del suo senso radar.
Un attimo.
Aveva detto di aver chiamato Foggy?
Merda.
In quel momento, qualcuno suonò alla porta, e il rimbombo del pugno sul
legno gli penetrò direttamente in testa. Gemette di dolore mentre si
sforzava di isolare il battito cardiaco del loro ospite, preparando il
proprio corpo per un’eventuale lotta. Riconobbe il battito di Claire,
ma non riusciva ad avvertirne uno appena poco distante, e conosceva una
sola persona in grado di rallentare il proprio cuore fino a quasi a
fermarlo. Beh, due in realtà, ma Nobu era morto.
-Claire- Sussurrò, teso -Non aprire la porta-
Cercò di sedersi, infilando le dita nello schienale del divano per
sostenersi, mentre cercava disperatamente di pensare a un modo per
proteggerla, e disperandosi quando si rese conto che non ne era in
grado, non questa volta.
-Chi è, Matt?- La tensione nella sua voce, il battito accelerato del
suo cuore: Claire aveva paura, ed era lui che la stava spaventando. Lo
capiva e ne era dispiaciuto, ma questa volta era troppo debole per
lottare.
-E’ lui- rispose.
PERSONAL
SPACE: Un paio di noticine.
Per chi non fosse avvezzo ai
fumetti:
-Cornetto è uno dei soprannomi di Daredevil.
Ovviamente in inglese sarebbe Horn-Head (Cornuto XD), quindi in italia
è stato cambiato. Nella mia versione orginale io l'ho ritradotto
letteralmente dall'italiano... mi è uscita una cosa carinissima:
Little Horn. Sì lo so che non ve ne frega nulla, ma così, volevo
dirvelo XD
-Il Senso Radar è il sesto senso di Matt, quello
che effettivamente gli permette di tradurre le percezioni sensoriali in
immagini. Nella serie è stato cambiato in un mondo in fiamme (che
effettivamente è molto figo), ma se avete visto il film con Ben Affleck
ne avete una rappresentazione più fedele ai fumetti (ma se non avete
visto il film, fatevi un favore e NON guardatelo. Sono seria).
Nota generica:
-Vecchio bacucco,
copyright di Ragdoll_cat.
|
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Capitolo 8 *** Kept in the dark ***
PERSONAL SPACE: Buongiorno a
tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo, che vi avviso, è molto noioso e
scritto non benissimo, ma era essenziale ai fini della trama. Se non
amate Karen... stringete i denti, come li ho stretti io scrivendolo....
Grazie a Ragdoll_Cat e a PaperHero per
le vostre recensioni!
Chapter 8: Kept In The Dark.
Per un qualche miracolo, Foggy e Stick erano riusciti a raggiungere
all’appartamento vuoto di Matt senza uccidersi a vicenda. L’avvocato
sapeva che non era stata la migliore delle sue idea quella di chiudersi
in una casa vuota, ma non voleva discutere di certe cose in un luogo
pubblico (in realtà non voleva essere denunciato per maltrattamento di
disabile) e di certo non gli avrebbe regalato su un piatto d’argento il
proprio indirizzo.
Saperlo avrebbe voluto dire che quel vecchio avrebbe potuto entrarci in
qualunque momento e usarlo per ricattare Matt. Ovviamente, se davvero
l’avesse voluto, Foggy non aveva dubbi che se lo sarebbe procurato in
ogni modo ma, cavolo, almeno avrebbe dovuto faticare e cercarlo.
-Mi dirai dov’è il tuo amico, o no?- e il tono di voce di Stick lo fece
rendere conto di quanto fosse stata brutta la sua idea. In un luogo
pubblico, non avrebbe osato fargli del male, al massimo avrebbe
zoppicato per un po’ a causa dei colpi di bastone, ma qui… Foggy
dubitava che Stick fosse ligio al rispetto della convenzione di
Ginevra, ma come sempre aveva pensato a proteggere il resto del mondo
senza considerare la propria incolumità. Oh, beh. Ormai la frittata era
fatta.
-E se ti dicessi di no?-
Finchè Stick non gli avesse chiesto espressamente dove fosse Matt,
rispondere in maniera insolente non sarebbe stata una bugia, quindi
l’uomo non avrebbe avuto modo di scoprire se gli stesse mentendo o
meno, perchè, di fatto, non avrebbe mentito.
Era una tecnica che aveva imparato e sviluppato prima a liceo e poi al
college e che aveva sempre fatto sorridere Matt: quando si presentava a
un esame orale per cui non aveva studiato niente o quasi niente,
iniziava ad evitare di rispondere direttamente dando soltanto mezze
risposte prima di trovare un valido collegamento e deviare il discorso
su zone di programma meno sconosciute. Incredibile ma vero, quando i
professori erano particolarmente di buon umore, riusciva anche ad
uscire dall’aula con dei voti quasi decenti. Ovviamente non aveva mai
pensato che si sarebbe ritrovato a sfruttare le proprie abilità per
salvare le vite sua e del suo migliore amico.
-Sto perdendo la pazienza, ragazzo- lo avvertì -E credimi, tu non vuoi
che io la finisca-
Stick fece un passo, un solo passo verso di lui, senza alzare le mani o
minacciarlo apertamente, ma la sua sola postura (e Foggy cercò
veramente di non collegarla a quella di Matt in versione Daredevil) fu
sufficiente a farlo involontariamente deglutire mentre un brivido gli
correva lungo la schiena. -Dimmi dove si trova- e questa volta non
c’erano punti di domanda. Era ovvio che Stick l’avesse capito.
-O che cosa?- Foggy non avrebbe mai saputo da dove aveva preso il
coraggio (o la pazzia), questa volta, per cercare un’ultima volta di
rimandare l’inevitabile -Mi uccidi?-
-Non sono un’idiota, ragazzo- la risata di Stick era anche peggiore del
suo tono più freddo. Era agghiacciante, priva di allegria. Sarcastica e
beffarda. -E questo non è un film di quelli in cui l’eroe convince il
cattivo di essere troppo importante per essere ucciso. Sei coraggioso,
più di quanto avessi pensato, ma questo non ti salverà- l’uomo non lo
disse a voce alta, ma la frase inespressa era certamente nell’aria:
decisamente, Stick non era apparentemente un fan dell’articolo 17 della
terza convenzione di Ginevra**,
evidentemente.
-Devo prenderlo come un complimento?-
Stick si limitò a ignorarlo, evidentemente perso in qualche suo
pensiero o, più probabilmente aveva deciso che non valeva la pena
continuare quel gioco.
-Ho un’idea- Appunto -Siccome è evidente che Matt non si trova qui, ne
lo è stato di recente, direi, e, siccome evidentemente non ti va di
parlare, dovrò concentrare le mie attenzioni su qualcun altro per
renderti più… collaborativo-
E non dovette aggiungere altro. Evidentemente, chiunque lo avesse
addestrato si era scordato anche di insegnargli l’articolo 3, paragrafo
1 della quarta Convenzione di Ginevra***
, eppure, a meno che non fosse ultracentenario (quanto potevano vivere
i pazzi ninja ciechi assassini?), doveva essere già stata scritta
all’epoca del suo addestramento.
-Sta lontano da Karen! Non sa niente, lo sai!-
-E allora te lo chiederò ancora una volta. Dove. Cazzo. E’. Matt.-
Eccoci. Fanculo.
-Non lo so-
Sapeva che probabilmente Stick aveva sentito il suo cuore accelerare
per la menzogna, Matt aveva più o meno cercato di spiegargli come
funzionava la cosa (anche se Foggy si era perso a metà discorso).
Sperava che perdesse la pazienza, che lo picchiasse o lo torturasse
(con buona pace di Ginevra e dell’Aja). Invece, Stick sorrise (il che
non era meglio della risata, per la cronaca).
-Torniamo in ufficio, avvocato-
E quel tono freddo, basso e glaciale entrava di diritto nella top tre
delle cose più spaventose che avesse mai sentito.
***
Karen era seduta alla propria scrivania, cercando di rimette ordine
sulla discutibile logica con cui Foggy riordinava i documenti dopo
averli letti, e iniziava a pensare che il disordine del suo capo fosse
patologico. Ricordava perfettamente di avergli consegnato il plico di
carte in ordine cronologico, e tutto ciò che lui ne aveva fatto era
leggerli nello stesso ordine. Com’era umanamente possibile che non ne
fosse rimasto uno al proprio posto?
Sospirò, sentendo ancora una volta la mancanza di Matt. Le piaceva
lavorare con lui. Era medotico e, nonostante la cecità, le restituiva
tutto esattamente come gli era stato consegnato. Sbuffò mentre spargeva
le varie cartelle sulla scrivania e si rassegnava a passare un
pomeriggio noioso.
Senza esserne davvero cosciente, prese il proprio telefono dalla tasca
dei jeans che indossava, e il suo dito esitò sull’icona verde che
l’avrebbe messa in contatto con Matt. Le mancava davvero tanto, e non
poteva nascondere di essere preoccupata per lui. Oltre a essere cieco,
al momento stava gestendo da solo la morte di una persona cara, e non
trovava giusto che li avesse esclusi così: nessuno dovrebbe rimanere da
solo in certi momenti della propria vita.
Non era la prima volta che pensava di chiamarlo, e non era nemmeno la
prima volta che vi rinunciava; aveva subito capito quanto il suo datore
di lavoro fosse estremamente riservato riguardo alle proprie faccende e
non voleva urtare i suoi sentimenti.
Mise via lo smartphone e si mise a cercare tra i loro pochi mobili un
posto in cui mettere la documentazione dei casi ancora in corso in modo
che fossero facilmente reperibili quando sentì un tonfo provenire
dall’ufficio di Matt.
Rimase un secondo all’erta, indecisa se fosse stato reale o solo il
frutto della sua fin troppo fervida immaginazione, ma quando altri
rumori, più distinti, si aggiunsero al primo, fu evidente che non si
era sbagliata.
Il più silenziosamente possibile, si alzò dalla posizione accucciata in
cui si trovava e cercò di raggiungere l’uscita e darsi alla fuga. Non
c’era niente in ufficio che valesse davvero la pena difendere: tutti i
documenti erano stati copiati sia su un hard-disk esterno che sui
computer di Matt e Foggy, che si trovavano ora nei loro appartamenti, e
l’attrezzatura elettronica era così vecchia che nessuno avrebbe mai
pensato veramente di rubarla.
Quello che non si aspettava era di trovare altri tre tizi che la
aspettavano al di fuori della porta, nascosti nelle ombre proiettate
dalle rampe di scale.
Non potè fare nulla per fermarli. Provò a divincolarsi, ma nonostante i
suoi tentativi disperati riuscirono a immobilizzarla, piantandole
contemporaneamente una mano sulla bocca per soffocare qualunque
richiesta di aiuto.
La obbligarono a rientrare nei loro piccoli uffici e la fecero sedere
sulla sedia di Matt, dove c’erano ancora i due uomini entrati dalla
finestra in attesa. A prima vista, sembravano esattamente come l’uomo
con la maschera nera, il diavolo di Hell’s Kitchen: delle specie di
ninja completamente vestiti di nero, con delle bende a coprirgli il
volto. La sostanziale differenza era che sembravano avere tutt’altro
che buone intenzioni.
La bionda non era così spaventata dal giorno in cui aveva ucciso
Wesley, e il suo primo pensiero fu proprio che Fisk avesse scoperto chi
era e che fosse la responsabile della morte del suo tirapiedi.
Ringraziò il cielo che nessun altro fosse in ufficio.
-Per favore- pregò nell’istante in cui le tolsero le mani dalla bocca
-Non fate del male ai miei amici. Verrò… Verrò con voi-
-Se il tuo amico si comporterà come si deve, nessuno farà del male a
nessuno-
Riconobbe immediatamente la voce: il signor Stick. Stava entrando
nell’ufficio, navigando sicuro senza l’aiuto di nessun tipo di bastone
o guida, e Foggy era immediatamente dietro di lui.
-Foggy!-
-Karen!- L’avvocato si voltò per fronteggiare l’uomo. -Non farle del
male!-
-Dimmi quello che voglio sapere. Dov’è Matt Murdock-
Matt? Per quale motivo queste persone cercavano Matt? Si voltò a
cercare gli occhi di Foggy, e dentro vi lesse determinazione e paura.
***
La vita di Foggy non era mai stata così difficile prima d’ora.
Finora, la peggior decisione che aveva dovuto prendere era stata quella
di andare al college, ma solo perchè sua madre voleva che diventasse un
macellaio e lui non aveva la minima idea di come dirle che aveva altre
aspirazioni nella vita senza sembrare irrispettoso. Gran parte della
sua famiglia commerciava nella carne fresca, e aveva paura che
scegliendo una posizione più alta suonasse come se non si considerasse
degno di una professione tanto umile, seppur assolutamente dignitosa.
Anche dopo la lite con Matt, non era stato poi così difficile decidere
di alzare il culo e andare alla palestra per cercare di sistemare le
cose. Era vero, si era sentito tradito, ovviamente, perchè per quattro
anni si era spacciato per qualcosa che non era, ma poi, pensandoci,
considerando quanti nemici si era fatto il Diavolo di Hell’s Kitchen in
pochissimo tempo, aveva capito perchè aveva agito così. Inoltre, Matt
gli mancava così tanto che non credeva di poter continuare a vivere
senza la sua compagnia. Gli aveva mentito sulle sua capacità, ma lo
conosceva, sapeva quanto forte fosse la sua sete di giustizia. Il suo
migliore amico era ancora lì, non era cambiato, aveva semplicemente
mostrato un altro lato di sè stesso. La teoria della giustizia
applicata alla pratica, quando la legge si piegava, qualcun altro
doveva sostituirla.
E ora questo dannato vecchio gli stava chiedendo di scegliere tra suo
fratello e Karen, e non aveva la più pallida idea di come gestire la
cosa.
Non aveva dubbi su come avrebbe agito al posto suo: avrebbe parlato
senza esitare per salvare un innocente in pericolo, ma la sua mente
continuava a riportarlo alle parole di Claire, e non era così sicuro
che Matt fosse in grado di cavarsela in quel momento.
E’ innocente, Fog. Smetti di girarci
intorno e parla. Posso farcela.
No che non puoi, cornetto! Non sei
nemmeno reale! Sei solo una stupida voce nel mio stupido cervello!
-Foggy!- La voce di Karen tremava, ma allo stesso tempo era forte e
squillante -Non dirgli niente!-
Uno dei ninka la colpì in faccia, lasciando un segno rosso sulla sua
guancia. La ragazza urlò per il dolore e la sorpresa, e, prima che
potesse pensare, l’istinto di Foggy agì per lui. Senza voltarsi a
guardare, prese il bastone di scorta che Matt lasciava sempre
nell’angolo vicino a lui e lo usò per attaccare i ninja.
***
Karen non riuscì a trattenere un secondo urlo quando vide Foggy fare la
cosa più stupida e coraggiosa che qualcuno avesse mai fatto per
proteggerla. Si ritrovò immediatamente con una mano a zittirla e altre
a tenerla ferma sulla sedia più fermamente di prima, e si ritrovò
obbligata a guardare come Stick (se poi era davvero il suo nome) e un
paio dei suoi ninja rendevano Foggy innocuo con una brutalità che non
riusciva a spiegarsi.
L’avvocato, ovviamente, non era una vera minaccia per loro, e la sua
reazione era stato un puro istinto di protezione, eppure lo stavano
trattando come se si fossero trovati davanti Daredevil in pelle e corna.
Foggy cadde a terra al primo colpo e siccome non era mai stato
addestrato a combattere, non aveva nessuna possibilità di riuscire a
reagire, non riusciva nemmeno a rialzarsi, per la miseria!
Presa dalla disperazione, piantò i denti nella mano le la tratteneva.
L’uomo grugnì di dolore ma, cosa più importante, la lasciò andare.
-Basta!- gridò -Basta, vi prego! Così lo ucciderete! Basta!-
Finalmente, dopo un ultimo calcio, Stick lo lasciò finalmente in pace.
Foggy rimase a terra, a malapena cosciente, tremante per il dolore.
-Ka… Karen- fu tutto quello che riuscì a sussurrare prima di perdere
conoscenza.
-Foggy! Foggy!-
-Taci. Vivrà.- la zittì Stick -Ora, se non vuoi che lo uccida, per
favore, aiutaci e ti prometto che tutto finirà bene-
-Scordatelo!- un altro calciò raggiunse la schiena di Foggy, facendole
cambiare idea all’istante -Ok, ok. Ti prego, basta. Ti dirò dove si
trova Matt-
-No che non puoi, ragazzina. Ti hanno mentito. Adesso, verrai con noi,
possibilmente senza costringerti a farti troppo del male, ok?-
Karen si prese un minuto per analizzare la situazione. Non le importava
un fico secco che le avessero mentito, non ora per lo meno, anche se
sicuramente gliel’avrebbe fatta pagare cara. Guardò ancora una volta
Foggy, steso sul pavimento, e poi i ninja. Non aveva nessuna
possibilità di scappare, quindi non le restava altra scelta. Annuì e
obbedì agli ordini che le vennero dati.
***
Si risvegliò in una piccola stanza. Cercò di sedersi, ma si ritrovò le
mani legate dietro la schiena, mentre una catena partiva da esse e
arrivava a una delle gambe della bradina su cui l’avevano stesa. Riuscì
comunque a sollevare un pochino il busto, in una posizione
assolutamente scomoda che, tuttavia, la aiutò a scandagliare meglio ciò
che la circondava.
La camera era ancora più piccola di quanto le era sembrata a una prima
occhiata, e l’unico arredamento presente era quella specie di lettino.
C’era una sola, piccola finestra, troppo in alto per essere raggiunta,
e probabilmente non sufficientemente larga da poterci passare
attraverso anche se fosse riuscita ad arrivarci. Fuori era buio, perciò
erano passate parecchie ore da quando era stata costretta a lasciare
l’ufficio e sedata non appena era salita su un furgoncino bianco.
Oddio.
L’ufficio.
Foggy!
Dimenticando per un attimo la catena, cercò di alzarsi di scatto,
mentre ricordava all’improvviso che avevano lasciato il suo amico steso
a terra, svenuto dopo il trattamento ricevuto per averla difesa. Una
fitta di dolore proveniente dai propri polsi e la reazione del metallo
la costrinsero in posizione distesa. Iniziò a gridare più forte che
poteva per attirare l’attenzione dei ninja o dello stesso Stick, il che
sarebbe stato anche meglio, in effetti, dato che era lui a dirigere la
baracca. Non dovette continuare a lungo prima di venire accontentata.
Il vecchio entrò nella stanza, il bastone stretto in mano in una presa
ben diversa da quella che usava Matt per aiutarsi a navigare. Capì
subito che doveva fare molta, molta attenzione a quello che diceva.
L’uomo le andrò dritto incontro, e per la prima volta Karen prestò
attenzione ai suoi occhi azzurri e glaciali. Erano una delle cose più
spaventose che avesse mai visto.
Ovviamente sapeva che i ciechi non erano particolarmente espressivi;
non riuscendo a vedere, non avevano bisogno di mettersi a fuoco su
qualcosa, e questo era uno dei motivi per cui portavano sempre gli
occhiali da sole, per non mettere in imbarazzo gli altri. La prima sera
fuori di prigione, quando Matt le aveva parlato di come gli mancassero
i tramonti, era riuscita a guardarlo negli occhi per la prima e unica
volta (il resto del tempo teneva su gli occhiali, a meno che non fosse
solo con Foggy). Aveva gli occhi scuri, marroni, ugualmente offuscati,
ma allo stesso tempo dolci ed espressivi. Erano lontanissimi dal
ghiaccio che riempiva quelli di Stick. Il vecchio sembrava senza anima.
Evidentemente era ben consapevole dell’effetto che riusciva ad avere
sulle persone solo con la propria postura: non aveva ancora mosso un
muscolo, e già Karen si sentiva pietrificata.
-Che cosa vuoi, ragazzina?- grugnì.
-Dov’è Foggy?- Karen quasi si stupì di aver ritrovato la propria voce
-Cosa gli avete fatto?-
-Mi ha sfidato- fu la risposta -Ora ne paga le conseguenze-
E senza un’altra parola, uscì dalla stanza. Un minuto dopo uno dei
ninja entrò nella stanza e le chiuse la bocca con un pezzo di nastro
isolante.
***
Non ricordava che il soffitto dell’ufficio fosse marrone scuro. Karen
doveva averlo dipinto senza dire niente a nessuno, evidentemente. E non
aveva nemmeno fatto un gran lavoro, tra l’altro. Il colore era così
scuro da risultare opprimente; Foggy aveva l’impressione che se avesse
allungato una mano avrebbe potuto quasi toccarl… Un attimo. Poteva
davvero toccarlo! E più che cemento sembrava… E da dove erano spuntate
quelle colonne?
E poi la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente man mano che
riprendeva coscienza del mondo attorno a sè e del proprio corpo, dai
cui proveniva dolore da punti che nemmeno sapeva di avere. Con un
gemito si mise a quattro zampe, mentre insieme al male arrivavano anche
i ricordi di quello che era successo.
-Karen!- chiamò, la voce alta e chiara nonostante le sue condizioni.
-Karen!-
Quando non ricevette nessun tipo di risposta, cercò di rialzarsi in
piedi, un passo alla volta per evitare di svenire o vomitare per i
giramenti di testa. Alla fine riuscì a raddrizzarsi, appoggiandosi al
tavolo che aveva scambiato per il soffitto per non cadere.
-Karen!- gridò un’ultima volta, pur avendo già la certezza di essere
rimasto l’unico essere vivente nel loro studio. A fatica, zoppicando,
arrivò fino alla porta, il dolore fisico completamente spazzato via
dalla preoccupazione: non aveva la minima idea di dove l’avessero
portata, ed era spaventato. La ragazza era completamente ignara delle
attività notturne di Matt; Foggy sperava davvero che non la
torturassero. Non poteva dar loro informazioni che non aveva!
Maledetto Murdock!
Poi, con la coda dell’occhio, notò qualcosa sulla scrivania. Era un
rettangolo nero e dall’aria parecchio vecchia, tuttavia, Foggy lo
riconobbe subito: era identico ai registratori che usava Matt durante
le lezioni. Aveva smesso di utilizzarsi da anni, tuttavia, sapeva che
non era finito lì per caso. Stick l’aveva lasciato per lui. Lo prese in
mano e spinse il pulsante che avrebbe avviato la riproduzione.
Quando ebbe finito di sentire il messaggio, era pietrificato.
Come poteva fare qualcosa del genere al suo migliore amico?
***
L’oscurità fuori dalla finestrella si era fatta molto fitta, ora, e
Karen era ancora stesa e legata su quella dannata brandina, e per di
più lo scotch che le avevano messo sul viso iniziava anche a darle
qualche problema di respirazione, colpa principalmente delle lacrime
che non era riuscita a trattenere dopo che era stata lasciata sola. Non
aveva pianto per sè stessa, quanto per Foggy, e per Matt.
Le avevano mentito entrambi, e probabilmente Matt le aveva mentito fin
dal primo giorno in cui si erano incontrati, e probabilmente avrebbe
dovuto essere incazzata nera con quei due, ma al momento era solo molto
preoccupata per le uniche due persone a cui teneva e che ora si
trovavano in pericolo, forse per colpa sua.
Per quel che Stick le aveva detto, Foggy poteva anche essere già morto;
il vecchio poteva essere tornato indietro e ucciderlo chissà quante
volte da quando l’avevano rinchiusa lì dentro.
E Matt… Dio, per quale cavolo di motivo qualcuno avrebbe dovuto volere
Matt anche a costo di minacciare le figure che più vicine a una
famiglia per lui?
Quella domanda non voleva saperne di uscirle dalla testa.
C’era qualcosa che le aveva tenuto nascosto, di questo ne era certa,
magari qualcosa di cui nemmeno Foggy era a conoscenza. Qual era il suo
segreto? E Foggy lo sapeva? Era una domanda difficile a cui rispondere.
Quei due erano più che amici, forse anche più che fratelli. La loro
amicizia era qualcosa veramente difficile da definire, e il loro legame
li aveva quasi distrutti entrambi quando avevano litigato.
Karen era certa che Foggy si fidasse ciecamente di Matt, anche se i
sentimenti del cieco erano molto più complicati da interpretare, quindi
non aveva dubbi che, qualunque fosse il suo segreto, il biondo lo
stesse coprendo, ma aveva idea di cosa stesse succedendo?
L’apertura della porta interruppe il corso dei suoi pensieri. Si voltò
a guardare Stick che entrava nella cella. Senza esitare, si avvicinò e
lei e le strappò il nastro, sostituendolo immediatamente con la propria
mano.
-Grida e te ne pentirai. Capito?- scioccata, e con le labbra in fiamme,
le ci volle un attimo prima che le parole arrivassero al cervello
-Capito!?- Le urlò contro, e lei annuì immediatamente, sobbalzando
spaventata. La mano callosa e grande dell’uomo la lasciò, finalmente, e
Karen non riuscì a trattenere qualche singhiozzo, dovuto soprattutto
alla tensione accumulata. Le lasciò un paio di minuti, quello che le fu
appena sufficiente a ricomporsi, prima di parlare. -Quando sai di
Matthew?-
-Cosa… Cosa vuoi da lui?-
-E questo risponde alla mia domanda. Non sai niente-
-Cosa dovrei sapere?- indagò, notando, e non per la prima volta, che
Stick sembrava essere in grado di camminare perfettamente senza la
guida del bastone… esattamente come faceva spesso Matt nel loro ufficio.
In molte cose, ora che lo guardava bene, lui e Matt erano come
fotocopie: il modo in cui tenevano il peso esattamente bilanciato su
entrambi i loro piedi, il piegare leggermente la testa di lato, come se
stessero ascoltando qualcosa di inudibile al resto del mondo. Una volta
aveva chiesto a Foggy come fosse possibile che Matt riuscisse a girare
per lo studio senza rompersi l’osso del collo, principalmente perchè il
biondo depositava di solito tutto il depositabile sul pavimento. Lui si
era limitato a farle un sorriso colpevole, seguito dalla spiegazione
che si trattava in parte di fortuna e in parte di esperienza: dopo anni
di convivenza, il cieco si era abituato al suo disordine e in qualche
modo riusciva a prestare attenzione e a non inciampare.
Karen si era messa a ridere, ma ora si rendeva conto che non stava
molto in piedi la cosa.
-Sappi solo che ha infranto un patto, e ora ne pagherà le conseguenze-
-Dov’è Foggy? L’avete ucciso?-
-Peggio- fu la risposta -L’ho spedito all’inferno. Dovrà scegliere tra
il suo amichetto… e la ragazza che ama-
-Foggy non mi metterà mai davanti a Matt. E non è innamorato di me,
comunque-
-Il suo battito cardiaco racconta un’altra storia. E, tra parentesi,
l’ha già fatto-
-Perchè Matt è così importante per te? Foggy può aiutarti allo stesso
modo!-
-Non penso proprio-
-E’ un avvocato bravissimo!-
Per la prima volta, Karen vide un’espressione diversa dalla rabbia
attraversare il viso dell’uomo. Era puro stupore, come se non riuscisse
a credere a quello che aveva appena sentito.
-Pensi davvero che mi serva un avvocato? Che abbia fatto tutto questo
per ingaggiare Matt Murdock? Ma così stupida ci sei nata o lo sei
diventata a furia di stare con quei due?-
L’ira vibrante nella voce dell’uomo la fece tremare. Per una qualche
ragione a lei sconosciuta, quello che aveva detto l’aveva mandato fuori
dai gangheri. Gridava così forte ora che uno dei suoi subordinati era
entrato a chiedere se avesse bisogno di aiuto. A quel gesto, l’uomo
riprese coscienza di sè stesso, e si calmò prendendo lunghi e calmi
respiri, prima di lasciare la stanza borbottando qualcosa riguardo alla
sua inutilità e ingenuità. Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo
e incredulità quando la porta si richiuse senza che le venisse fatto
del male.
I ninja.
Qualcosa in loro le ricordava Daredevil, per quanto assurdo potesse
sembrare. Più che a lui, in realtà, lo ricollegava all’uomo con la
maschera, prima del costume rosso, tuttavia, cosa effettivamente li
collegasse, non riusciva a dirlo. La sua mente cominciò a lavorare
sulla cosa, aggrappandosi a quella debole offerta di pensare ad altro
per non dare di matto.
Cercò di ricostruire un’immagine mentale dell’uomo che l’aveva salvata
quella notte, per come lo ricordava lei, non quelle dei video a bassa
risoluzione che si trovavano su youtube, e la mise accanto a quella dei
guerrieri che la tenevano prigioniera, cercando di trovare cosa li
accumunasse e, allo stesso tempo, un qualcosa che le dicesse che non
avevano niente a che fare l’uno con gli altri.
La risposta arrivò in poco tempo, senza che lei dovesse sforzarsi
troppo.
Gli occhi.
O meglio.
La maschera che li copriva completamente.
Finora non ci aveva mai fatto davvero caso, principalmente perchè a lei
bastava sapere che Daredevil era dalla loro parte e che non le aveva
salvato la vita per sbaglio, ma effettivamente il costume nero copriva
interamente la parte superiore del volto e, ripensandoci, non aveva
visto buchi per gli occhi o qualcosa che indicasse che attorno ad essi
il tessuto fosse più leggero per permettergli di vedere dove colpire.
La divisa dei ninja era fatta esattamente allo stesso modo, con niente
che lasciasse intendere come riuscesso a usare gli occhi sotto il
travestimento.
Stick era il loro capo, ed era cieco, quindi era logico assumere che lo
fossero anche i suoi subordinati, altrimenti probabilmente avrebbero
già trovato il modo di sopraffarlo.
Pura coincidenza (o forse no) anche Matt era cieco, per cui, quasi
inconsciamente, aggiunse anche la figura dell’avvocato agli altri. In
effetti, lui e Daredevil sembravano avere la stessa corporatura.
No. Non esiste.
Non puo’ essere.
Mat NON era Daredevil.
Ma nel frattempo nella sua mente si era aperto un altro cassetto,
quello che conteneva i pezzi del puzzle chiamato Matt Michael Murdock,
e una vocina nella sua testa le diceva che se Matt fosse stato
effettivamente il diavolo di Hell’s Kitchen molti di quei pezzi
andavano magicamente a posto senza sforzo; i suoi continui lividi (e le
pessime scuse con cui li giustificava), le sue misteriose sparizioni
notturne, come aveva scoperto di Wilson Fisk (e perchè aveva insistito
così tanto perchè loro tenessero un basso profilo) e da lì ovviamente
tutto andava direttamente al famigerato “incidente d’auto”.
Foggy sapeva tutto fin dal principio? E Ben?
Era l’unica all’oscuro di tutto?
PERSONAL SPACE: Sorry per aver
abbandonato Matt al suo destino... per sapere cosa avrà combinato
Fisk... beh ci rivediamo al capitolo 9!
Vi lascio i testi degli articoli delle
convenzioni di Ginevra che ho citato!
**Nessuna tortura fisica o morale nè
coercizione alcuna potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra
per ottenere da essi informazioni di qualsiasi natura. I prigionieri
che rifiuteranno di rispondere non potranno essere nè minacciati, nè
insultati, nè esposti ad angherie od a svantaggi di qualsiasi natura.
***Le persone che non partecipano
direttamente alle ostilità, compresi i membri di forze armate che
abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da
malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate,
in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere
sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o
alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su
qualsiasi altro criterio analogo.
|
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Capitolo 9 *** everyone in life should have a Foggy. ***
PERSONAL SPACE: rieccomi!!! e con
questo capitolo tornano anche Matt e Foggy (finalmente!) grazie a tutti
quelli che leggono, specialmente a ragdoll_cat che si sforza sempre di
riuscire a recensirmi!
Eh, niente, per il marchetta
moment vi informo che ho sfornato un'altra one shot legata al college,
al natale e alla tenera stupidità di Matt... A family for
christmas è qui tutta per voi XD buona lettura!
Chapter 9:
Everyone in life should have a Foggy.
-Matt! Claire!-
Foggy?
Aveva pensato che la voce del suo migliore amico avrebbe aiutato Matt a
calmarsi.
Non si era mai sbagliata così tanto in vita sua.
Matt ricominciò a dare di matto, blaterando qualcosa che riguardava una
stecca che aveva trovato Foggy e Karen e che ora gliel’avrebbe fatta
pagare per la sua disobbedienza. A dire il vero, non gli prestò poi
molta attenzione: era il delirio di una persona ammalata, e la sua
salute era, al momento, la sua unica priorità.
-Matt. Matt. Calmati- la scarica di adrenalina gli aveva però regalato
nuova forza, una forza nata dalla disperazione e che Claire non sarebbe
riuscita a contrastare molto a lungo. Le sue parole tornarono a essere
inutili. Lo lasciò per cercare di raggiungere la porta, sperando che
non riuscisse a percepirla dato lo stato dei suoi sensi, ma con un
balzo le fu addosso e la buttò a terra, tenendola inchiodata al
pavimento con il proprio peso, ma senza, tuttavia, farle del male.
L’infermiera capì subito che voleva solo evitare che aprisse la porta.
Fece un nuovo tentativo di contrastarlo, ma, anche in quello stato, era
troppo forte.
-Ehi! Che succede lì dentro? Fatemi entrare!- Foggy stava gridando e
contemporaneamente bussava alla porta.
-Matt! Matt!- continuando a lottare per liberarsi dalla sua presa,
cercò nuovamente di attirare la sua attenzione, alzando la voce per
sovrastare quella di Foggy, ma finalmente vedeva dei segni di
stanchezza nel ragazzo . In qualche modo, riuscì a liberare le mani, e
non perse un secondo.
Gli prese il volto e lo costrinse a guardarla dritta negli occhi, solo
vagamente consapevole che il gesto era prettamente inutile. Al tatto,
la sua pelle era rovente, e questo la preoccupò non poco: la febbre non
era più solo un sospetto, adesso. -Matt. Concentrati. Ascolta la mia
voce- gli sussurrò, le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Urlare, a quanto sembrava, non portava a niente, perciò stava tentando
un approccio diverso, che però sembrò funzionare. Smise completamente
di muoversi, pur continuando a impedirle di alzarsi, una delle proprie
gambe abilmente incastrata tra quelle della donna in modo da farla
cadere se per caso fosse riuscita a liberarsi. -Mi stai ascoltando,
Matt?- gli chiese nello stesso tono, a voce così bassa che a malapena
riusciva a sentirsi. Voleva che si concentrasse su qualcosa.
-Sì- rispose alla fine.
Bene
-Puoi sentire il mio cuore battere?-
Non che gliene importasse molto; era più che altro un test. I battiti
del cuore erano facili da sentire per lui, anche in pieno panico.
Una pausa. Matt chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi
inclinò leggermente la testa di lato, come se si stesse sforzando di
origliare una conversazione nell’altra stanza.
-No- disse infine, riaprendo gli occhi, e Claire vide la paura nelle
iridi marroni lucide di febbre.
Merda. Sta calma, Claire. Non andare
in panico.
-Concentrati- gli disse -So che puoi-
***
No, non ci riusciva, e la cosa lo stava spaventando a morte.
Senza il suo senso radar e i suoi sensi potenziati, non riusciva a
capire quante persone c’erano dietro quella porta, e nemmeno se il
panico che sentiva provenire dalla voce di Foggy fosse reale o meno,
come se essere completamente cieco non fosse già sufficiente.
Più cercava di concentrarsi, più la sua mente lo distraeva, facendogli
immaginare i suoi amici prigionieri di Stick, che aveva scoperto la sua
fuga forzata ed era tornato a Hell’s Kitchen, li aveva trovati e ora si
trovavano in pericolo solo perchè non era stato in grado di sostenere
la violenza e qualche omicidio.
La nebbia nella sua testa non lo aiutava a puntare l’attenzione su
altro per distrarsi.
E nemmeno la lotta che Claire stava facendo contro di lui per
liberarsi.
Non voleva farle del male, era l’ultima cosa che avesse voglia di fare,
ma doveva impedirle di aprire quella porta. Finchè tra loro e il suo
mentore ci fosse stata almeno quella, erano al sicuro.
Doveva riprendersi, però. E in fretta.
Ora poteva distintamente sentire la voce di Foggy, che aveva raggiunto
dei toni quasi isterici, pregarli di lasciarlo entrare, probabilmente
obbligato da Stick a comportarsi in quel modo. Si sentiva male alla
sola idea, ma non poteva permettersi di mettere Claire in pericolo, non
di nuovo. Foggy avrebbe capito.
-Matt. Concentrati- Di nuovo, la voce dell’infermiera era così bassa
che compì la magia e scacciò i brutti pensieri per costringerlo ad
ascoltarla oltre le urla di Foggy. -Cerca il mio cuore. Forza-
-Perchè?- sussurrò.
Non aveva senso. Con tutto quello che stava succedendo, doveva proprio
ascoltarle il cuore? Si sentiva anche molto stanco. Dio, era esausto.
Aveva ufficialmente finito la propria riserva di energie, tanto che
quel poco che era rimasto della sua “visione” iniziò a diventare
confusa e a creare un vortice su sè stessa, come se ci fosse un vento
vorticoso che trascinava con sè le fiamme, spegnendole a poco a poco….
ehi, era cenere quella?
Ormai il fuoco era quasi completamente estinto, avvolto dal buio.
No, per favore. Non ora. Non adesso!
Lottò finchè riuscì, poi svenne, intrappolandola sotto il suo peso
morto.
***
-Claire?! Matt! Aprite la porta!- adesso non era più occupata a
tranquillizzare Matt, riusciva a sentire chiaramente tutta la
preoccupazione nella voce dell’uomo, che stava ancora picchiando i
pugni contro la porta.
-Sto bene, Foggy!- gridò per rassicurarlo -Arrivo! Per favore, basta!-
“Sto arrivando” era, a dire il vero, una parola grossa, ma se Foggy
avesse continuato così i vicini avrebbero probabilmente chiamato la
polizia, e altri guai erano l’ultima cosa che servisse loro in quel
momento.
Prese un bel respiro e cercò di riordinare le idee; per prima cosa
doveva trovare il modo di riuscire a sfuggire alla presa di Matt senza
fargli del male.
Puntò gomiti e mani sul pavimento e cercò di scivolare indietro. Niente
da fare. Anche in pieno attacco di panico, era riuscito a essere
dannatamente efficace. Se voleva liberarsi, avrebbe dovuto farlo con le
cattive.
Scusa, Matt.
Posò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, afferrandole
saldamente, e spinse per sollevarlo. Nonostante fosse piuttosto esile,
i muscoli si facevano sentire, e non aiutava che fosse privo di sensi.
Prima che le venissero a mancare le forze, piegò un ginocchio, e lo usò
per fare leva e ribaltare Matt, che atterrò molto poco delicatamente
accanto a lei con un gemito di dolore, ma, fortunatamente, senza
svegliarsi. Sentì un tuffò al cuore, ma non le aveva lasciato altra
scelta, e allo stesso tempo sospirò di sollievo per il fatto che non si
fosse ripreso, non sarebbe riuscita a gestire un altro attacco di
panico, non in quel momento.
Si mise in piedi mentre cercava di calmarsi.
Sentì di stare tremando, probabilmente per una combinazione di paura e
tensione (perchè Matt l’aveva davvero spaventata a morte, questa
volta), ma riuscì comunque ad arrivare alla porta e a far entrare Foggy.
Si era aspettata di essere invisibile per lui, che si sarebbe
precipitato a prendersi cura di Matt, del resto, loro due si
conoscevano a malapena, e quella notte non l’avevano certo dedicata a
socializzare; per questo fu sorpresa quando Foggy la avvolse in un
abbraccio di quelli che possono solo scaldare il cuore, prima di
lasciarla e guardarla attentamente da capo a piedi, per accertarsi che
stesse bene.
Le sue attenzioni non la aiutarono certo a calmarsi, anzi, il fatto di
avere qualcuno in casa che si preoccupasse per lei sembrò autorizzare
il suo corpo a lasciarsi andare di nuovo allo shock.
-Claire?- le chiese stringendola ancora - Stai bene? Sembri… sconvolta-
-Sto… sto bene- rispose dopo un secondo di sorpresa. Finora non aveva
ancora degnato il suo migliore amico nemmeno di uno sguardo, troppo
occupato a rassicurarla. Matt aveva ragione riguardo a Foggy, era
davvero una persona straordinaria, e sembrava non conoscere il
significato della parola egoismo, o indifferenza. -O almeno… starò
bene- si corresse, cercando di mettere insieme un mezzo sorriso.
-Ti ha fatto del male?- Fece di nuovo un passo indietro e la guardò
negli occhi, come per accertarsi che non stesse mentendo per proteggere
Matt. Ovviamente, non tutti potevano sentire i battiti cardiaci.
-No… no.- rispose, prendendo un respiro profondo per cercare di
impedire alla propria voce di tremare, prima di riprendere e spiegarsi
-Quando ha sentito la tua voce ha… ha dato fuori di matto. Mi… mi....-
ripensare alla velocità (e alla facilità) con lui l’aveva buttata al
suolo le aveva fatto di nuovo perdere la calma. Inspira. Espira. Continuò così per
qualche secondo, cercando di smettere di tremare e di non cedere
definitivamente al panico. L’esperienza, evidentemente, l’aveva scossa
più del previsto. -Mi ha… bloccata a terra… e mormorava qualcosa
riguardo a una stecca o un bastone… non lo so…- Si scostò i capelli dal
viso con un gesto stanco della mano, sentendosi esausta e svuotata.
Respirò di nuovo, calmandosi definitivamente.
-Come sta?- le chiese finalmente, vedendola ora più tranquilla.
-Male- rispose, accogliendo l’offerta di Foggy di concentrarsi sul suo
paziente, e questo le fece anche recuperare un po’ del suo solito
sangue freddo -Anche se non so dirti esattamente quanto, perchè non è
una condizione fisica, non solo fisica, almeno. In più, non riesce a
concentrarsi. Sai… sentire il battito cardiaco e cose così…-
-Ha la febbre?-
-Stavo per misurargliela quando sei arrivato, ma penso di sì-
E all’improvviso Foggy, senza dire una parola, aveva cominciato a
muoversi: andò alla finestra e la chiuse, assicurandosi che non ci
fossero spifferi, poi fece lo stesso con tutte le porte, eccetto quella
del bagno, e sotto ognuna di esse mise qualcosa a chiudere i pochi
millimetri di spazio tra il legno e il pavimento. Claire seguì ogni sua
operazione, attonita, chiedendosi se non fosse diventato completamente
matto durante il viaggio da New York.
Al momento poteva occuparsi solo di Matt, non di entrambi.
-Posso chiedert…- cominciò, ma lui la interruppe.
-E’ la febbre- parlava in fretta, separando a malapena le parole una
dall’altra -Non l’avevo capito prima, al college pensavo che non
riuscisse a gestirla per via dei giramenti, ma adesso penso di sapere
il perchè… sai… con la storia dei supersensi e tutto il resto…-
Ok, per essere un avvocato, in quel momento Foggy non era proprio un
esempio di eloquenza, e il fiume di parole che gli stava uscendo dalla
bocca la stava confondendo non poco, anche se intuiva che quello che
cercava di dirle era probabilmente importante.
-Foggy, Foggy, Foggy- lo fermò, afferrandolo per le spalle -Per favore,
spiegati-
-Non… sono stato chiaro?-
Sul serio? Ok, poteva gestirlo, in qualche modo. Era solo un bambino
troppo cresciuto e spaventato.
-In confronto a te, Matt che parlava di una stecca che picchiava le
persone aveva perfettamente senso. Ora, prendi un bel respiro, riordina
i file nel tuo cervello e poi parla, ok?-
-Ok. Ok, ho capito. Ma non si riferiva a una stecca. A Stick. Stick è
una persona-
Che? Ok, una cosa alla volta. Prima Matt.
-Che cosa stavi dicendo riguardo a febbre e superpoteri?- gli chiese,
accantonando momentaneamente la questione di questo Stick
Foggy esitò un secondo prima di rispondere, le mani chiuse a preghiera
su naso e bocca come se stesse soppesando la risposta in modo da darle
più informazioni possibili.
-Quando Matt si ammalava al college, era orribile. Oltre ai brividi e
tutto il resto, di solito riusciva solo a dimenarsi a letto, con le
mani schiacciate sulle orecchie, e a volte piangeva, come se foss ein
preda a qualche dolore. Era completamente fuori controllo. Mi aveva
detto che i giramenti di testa sono peggiori per lui, perchè non può
usare cielo e terra per orientarsi visivamente…- Claire annuì e agitò
una mano per invitarlo a continuare; conosceva già quella parte -Ho
sempre pensato che il dolore venisse da quello… che fossero delle forti
emicranie, sai..-
-Sì, continua…- Claire si stava ancora chiedendo dove volesse andare a
parare.
-Ma adesso che mi ha spiegato come funzionano i suoi poteri, che so che
deve essere perennemente concentrato per evitare di impazzire a causa
di tutti i rumori…-
Ma certo! Come cavolo aveva fatto a non pensarci prima?
-Ma per via della febbre non può farlo- lo interruppe, resistendo a
stento alla voglia di baciarlo, perchè le aveva appena risolto almeno
la metà degli interrogativi che la stavano facendo impazzire, poi
aggiunse, facendo un ulteriore collegamento -E se questo Stick lo stava
ricattando, probabilmente è anche terrorizzato all’idea che qualcuno ti
faccia del male…-
-... o lo faccia a te-
-Dobbiamo abbassargli la temperatura- decise, ignorando la risposta di
Foggy e lasciando che il suo lato professionale prendesse il comando di
quell’assurda situazione. No. Un attimo.
-Come ci hai trovati? Pensavo avresti chiamato…-
-Sì… ma Matt è disperso da un mese quasi… e quando hai detto collasso
emotivo… dovevo venire a prenderlo e riportarlo a casa- l’uomo arrossì
e si strinse nelle spalle, un mezzo sorriso timido sul volto -Penserai
che sia stupido forse…-
Non riuscì a evitare di sorridere, mentre pensava che tutti nella vita
dovessero avere Foggy. Cioè, non davvero lui, ma qualcuno che si
prendesse cura di loro così come lui faceva con Matt. A Foggy non
importava che fosse cieco o, ancora peggio, che fosse un dannato
vigilante abbastanza forte (o pazzo) da cavarsela in ogni situazione
(quando non era svenuto in un cassonetto e non si stava dissanguando
nel proprio appartamento, ovviamente).
-Non è stupido- lo corresse dolcemente -Anzi… è davvero dolce da parte
tua. Ha bisogno di qualcuno come te-
-No. Sa badare a sè stesso-
-Gli serve qualcuno che gli ricordi chi è e lo aiuti a non vendersi
l’anima-
-Non sono il suo prete…-
-Sei la sua famiglia- concluse in un tono che suggeriva di non osare
replicare -Comunque, non mi hai risposto-
-Beh…- le disse dopo un attimo -Hai detto Boston, vicino all’MIT… e
così ho fatto qualche ricerca. Matt mi aveva detto mesi fa che eri
partita poco prima che inchiodassimo Fisk, quindi ho cercato tra gli
appartamenti affittati a Boston in quel periodo, e ti ho trovata- Detta
così sembrava così semplice che si stava chiedendo perchè nessuno
l’avesse trovata prima.
-Sono contenta che tu sia qui- gli sorrise, di nuovo, mentre provava la
febbre a Matt. Già sapeva che era l’alta, l’aveva sentito quando gli
aveva toccato la fronte, ma le serviva un numero -Ha bisogno di te-
-E non solo di me. E non solo perchè è ammalato e gli serve
un’infermiera-
No, no, no.
Non adesso.
Claire estrasse il termometro e imprecò sottovoce quando riuscì a
leggerlo.
Sapeva che era alta, ma non aveva pensato così tanto, addirittura sopra
i 40. Se non altro, era un’ottima scusa per evitare di rispondere a
Foggy.
-Fammi un favore- gli disse, tornando a essere un’infermiera in piena
operatività. Doveva esserlo. Non aveva intenzione di avere quella
conversazione con Foggy. Già sapeva quanto fosse importante per Matt,
ne era stata consapevole fin dal giorno in cui gli ha detto che sarebbe
partita, nel suo appartamento. Non era riuscita a togliersi dalla
testa la tristezza che aveva visto in quegli occhi ciechi ma
tremendamente espressivi, e il suo vano tentativo di nasconderla dietro
un sorriso timido, e il fatto che bastasse la sua voce o un suo tocco a
calmarlo erano un’ulteriore conferma di cui non aveva bisogno, non se
voleva evitare di rivedere la sua decisione. -Non possiamo aspettare
che le medicine facciano effetto; a dire il vero, non gli ho ancora
dato niente- e non c’era bisogno di spiegare perchè, la faccia
esasperata di Foggy diceva già tutto -Ma se le cose stanno così come
hai detto, dobbiamo far scendere la febbre nel più breve tempo
possibile. Credimi, non vuoi assistere a un suo attacco di panico. Vai
in bagno e aprì l’acqua fredda. Inizia a riempire la vasca. Torno
subito-
-Dove vai?-
-Alla macchina del ghiaccio che abbiamo nel seminterrato - replicò lei
chiudendosi la porta alle spalle.
***
La prima cosa che fece Foggy una volta rimasto solo fu obbedire agli
ordini. La seconda fu di chiamare Stick.
-Sei con lui?- gli chiese il vecchio, con il suo solito tono freddo.
-Ovvio- rispose, anche se avrebbe voluto davvero essere in grado di
mentirgli, di dirgli che era stato un buco nell’acqua e che di Matt non
aveva trovato traccia, ma era troppo preoccupato per Karen per osare
fare qualcosa di simile. Dopotutto, Matt era qui con loro, al sicuro,
mentre la ragazza era da sola nelle mani di quel tizio e della sua
banda di ninja scatenati.
-Riportalo indietro-
-Non se ne parla- da qualche parte, riuscì a tirare fuori il fegato di
fare da scudo a Matt -E’ ammalato. Deve riposare e rimettersi in sesto-
-Cazzate. Può farcela benissimo-
Non aveva nemmeno chiesto se fosse grave, o cosa avesse o, ancora, se
fosse in grado di muoversi, e Foggy iniziava a chiedersi se Stick fosse
davvero umano, o se fosse nato senz’anima. Era la persona che l’aveva
addestrato da piccolo, e che aveva passato con lui l’ultimo mese.
Com’era possibile che non gli fregasse niente del proprio allievo?
-No- Foggy non aveva intenzione di lasciargliela vinta. Anche se era
stato costretto a tradirlo, a introdursi in casa di Claire con
l’inganno, Matt era ancora il suo migliore amico, un membro della sua
famiglia, e Foggy avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che
cacciarlo nei guai. Avrebbe ceduto se l’avesse trovato in salute, ma
non in quello stato.
Dannazione, non era nemmeno scappato di sua spontanea volontà, era
collassato in una dannatissima chiesa! -Lo riporterò a casa, ma solo
quando riuscirà a stare in piedi-
Foggy sentì in quel momento l’uscio aprirsi e si affrettò ad attaccare
il telefono, ignorando le maledizioni e le minacce di Stick. Non gli
interessava, e comunque non sapeva dove fossero. Si concentrò
completamente sul suo migliore amico. Quando la donna mise piede in
casa, un minuto dopo, trascinando un secchio enorme pieno di ghiaccio,
lo trovò accucciato a terra, con una mano sulla sua spalla e l’altra
che teneva ferma sulla sua fronte la maglia nera inzuppata d’acqua. Non
avrebbe mai voluto usarla, la sua sola vista gli ricordava ancora
l’orrore di quella notte, e quello che ne era seguito, ma era l’unica
cosa che aveva trovato, e non voleva frugare tra le sue cose in cerca
di alternative.
Insieme, sollevarono il secchio e lo vuotarono nella vasca prima di
spogliarlo (non del tutto, gli lasciarono i boxer) e prenderlo per
spalle e piedi e infilarlo direttamente nel bagno gelato.
L’acqua fredda fece tornare Matt nel mondo dei vivi con un grido di
puro terrore, uno di quelli che nessuno dei due avrebbe mai più voluto
sentire, non da Matt, per lo meno. Il ragazzo iniziò ad agitarsi
convulsamente, cercando di uscire dalla vasca come se fosse caduto in
un acquario di piranha. Uno per lato, lui e Claire gli presero le mani,
sperando che li riconoscesse e non cercasse di ucciderli.
-Matt- sussurrò Foggy, memore di quanto gli davano fastidio i rumori in
università, mentre cercava disperatamente di tenergli la testa fuori
dall’acqua. -Siamo noi-
-Hai la febbre alta e dobbiamo abbassarla. Ti prego, tieni duro. Solo
per un pochino- lo pregò Claire, accarezzandogli il braccio e la fronte
per cercare di calmarlo.
Foggy non aveva idea di quale superpotere avesse Claire nelle mani o
nella voce, ma non appena intervenne, Matt smise di fare qualunque cosa
stesse cercando di fare (non era ben chiaro se stesse cercando di
uscire dall’acqua o ucciderli, o entrambe le cose contemporaneamente) e
si immobilizzò, la testa inclinata verso la donna, come se cercasse di
ascoltarne ogni singola cellula. Claire intravide la finestra di
lucidità e immediatamente gli prese la mano, continuando a parlargli
finchè non tornò pienamente cosciente, o quasi.
Finalmente, dopo pochi interminabili minuti, vide Matt riprendere il
controllo del proprio corpo, obbligarsi a rimanere fermo nonostante il
freddo o qualunque cosa gli stesse passando per la testa in quel
momento. Fece dei respiri profondi, e chiuse gli occhi. Solo allora
Foggy si azzardò a lasciarla sola con lui per andare a recuperare degli
asciugamani.
-Matt? Riesci a sentire il mio cuore?- gli stava chiedendo quando tornò.
-A malapena- la risposta non era che un sussurro -E’ difficile…
concentrarsi-
-Appena sei pronto ti tiriamo fuori da qui, ok?-
Alla fine non ci volle molto. Non appena il ghiaccio sparì
completamente, lo aiutarono ad uscire, e Foggy lo avvolse subito nei
panni asciutti, abbracciandolo forte e strofinandogli la schiena per
scaldarlo. Era tutto un tremore.
***
C’era qualcosa che non andava in Foggy.
Matt non ricordava esattamente cosa fosse successo dal momento in cui
aveva sentito la sua voce fuori dalla porta fino a quando si era
ritrovato in un bagno di acqua e ghiaccio, ma Claire gli aveva detto
che aveva avuto una sorta di attacco di panico prima di svenire. A
quanto gli aveva detto, era terrorizzato all’idea che Stick li rapisse
e facesse loro del male.
Alla fine, era stato tutto nella sua mente. Claire aveva chiamato Foggy
e lui aveva fatto tutto il possibile per raggiungerli più in fretta che
poteva, e Matt le credette senza nemmeno ascoltare il battito cardiaco.
Finora non gli aveva mai mentito, e, per di più, aveva ancora qualche
problemino a concentrarsi nonostante la febbre di fosse abbassava.
Dopo il bagno forzato, era riuscito a dormire un paio d’ore, e adesso
si sentiva meglio, nonostante Foggy e Claire non volessero che si
alzasse. Tuttavia, non potevano impedirgli di pensare.
-Vado a riposare, Matt- la voce di Claire gli arrivò da vicino
all’orecchio destro, bassa, per non urtare il suo udito ipersensibile,
la mano che prendeva la sua e la stringeva dolcemente. Anche attraverso
l’ormai familiare annebbiamento, riusciva a sentire quanto fosse
esausta, e si sentì in colpa per averla ridotta in quello stato. Se ne
era andata da New York proprio per non restare di nuovo immischiata nei
suoi drammi, e invece l’aveva di nuovo trascinata nel vortice. -questa
notte ci pensa Foggy a te. Chiamami se però ti serve aiuto, ok?-
-Claire?-
-No dirlo. Non di…-
-Mi dispiace- Non poteva non dirglielo.
In risposta, sentì le sue labbra appoggiarsi delicatamente sulla sua
fronte, così come il suo sorriso e, Dio, quanto avrebbe voluto
stringerla a sè e baciarla, lasciarsi tutto il resto alle spalle:
Daredevil, Stick e qualunque altra cosa minacciasse di allontanarli, ma
quello che fece fu stringerle a sua volta la mano, respingendo la
tentazione di attirarla contro il suo petto.
Si costrinse a fermarsi e lasciarla andare.
-Buona notte- le rispose, restituendole il sorriso, quasi certo che non
avesse visto niente della sua lotta interiore.
-Riposa- gli raccomandò -Sei al sicuro e Foggy è qui con te-
-Ci proverò-
-No! Provare no! Fare o non fare. Non c’è provare!-
Matt rise, riconoscendo la citazione, poi le lasciò le mani e appoggiò
la testa al cuscino sul divano.
Gli aveva proposto di lasciargli il letto, ma aveva rifiutato. Non ce
n’era bisogno. Era al sicuro, e con lui c’erano le persone a cui
teneva. Era tutto più che sufficiente per farlo dormire bene.
Ma doveva comunque parlare con Foggy.
Più riprendeva contatto con la realtà e riprendeva possesso di tutte le
sue facoltà, compresa la capacità di tenere a bada le proprie emozioni,
più riconosceva tutti i segnali di tensione provenienti dal suo
migliore amico.
Matt non l’aveva più visto così nervoso dal loro primo giorno alla
Landman & Zack, e non gli servivano certo i supersensi per capirlo,
aver condiviso con lui gli anni dell’università era stato più che
abbastanza.
Tuttavia, non era quello a preoccuparlo: tra loro due, era sempre stato
il biondo a essere quello nervoso e l’intera situazione in cui si era
trovato, con Claire che lo aveva chiamato dopo un mese di latitanza,
l’attacco di panico e tutto il resto, non si stupiva che fosse
sconvolto.
Ma non c’era solo quello. Poteva percepire che c’era qualcos’altro, di
più profondo. Matt cercò di concentrarsi ed espandere i propri sensi
per raggiungere il proprio amico, ma l’immediata vertigine che ne seguì
gli suggerirono che se avesse voluto sapere qualcosa di più, avrebbe
dovuto ricorrere alle maniere classiche. Niente scorciatoie, questa
volta.
***
Foggy era in agonia.
Eppure, agonia non era la parola adatta a descrivere la sua attuale
condizione e, al momento, considerava la febbre di Matt una vera e
propria benedizione, anche se lo rendeva incapace di fare praticamente
qualunque cosa. Ringraziava il cielo però che non potesse ascoltargli
il cuore, altrimenti sarebbe già stato scoperto.
Non vedeva l’ora che Matt si addormentasse, aveva bisogno di rimanere
solo, e forse anche di piangere.
Sentiva come se avesse un macigno sul petto che gli rendeva impossibile
respirare. Sentiva un dolore quasi fisico, come se la pietra stesse
spingendo un ago dritto nel suo cuore. Non aveva idea di come gestire
la cosa.
Il messaggio che Stick gli aveva lasciato l’aveva obbligato a scegliere
tra Karen e Matt e anche se sapeva di aver fatto la cosa giusta e che
Matt non gliene avrebbe mai fatto una colpa, non riusciva a trovare il
coraggio di pargliargliene, principalmente perchè sapeva che sarebbe
voluto tornare subito a New York e, ora come ora, sarebbe stata la sua
condanna a morte.
All’improvviso, non riuscì più a contenersi, non gli importava più se
Matt dormisse o meno; scoppiò a piangere, senza alcuna possibilità di
controllarsi e smettere.
-Foggy?-
***
Foggy non sapeva niente del segreto di Matt. Non all’inizio, al meno.
Non quando l’aveva salvata dai killer mandati dalla Union Allied.
La rivelazione la colpì mentre stava cercando di mangiare qualcosa con
l’unico braccio che avevano accettato di lasciarle libero.
Sfortunatamente, era il sinistro, e non era semplice riuscire a
nutrirsi con una sola mano quando non poteva nemmeno sedersi.
La sorpresa le fece cadere il cucchiaio, il cibo all’improvviso
dimenticato nel piatto.
Un altro pezzo del puzzle che andava al proprio posto.
Foggy aveva scoperto che Matt e il Diavolo di Hell’s Kitchen erano la
stessa persona la notte dell’”incidente d’auto”. Probabilmente era
stato proprio Foggy a trovarlo da qualche parte, così conciato
malamente che le era quasi preso un colpo quando era andata a trovarlo
qualche giorno dopo l’accaduto, e a scoprirne la vera identità.
Ecco perchè non si erano più parlati. Ecco perchè Matt era convinto che
la lite fosse stata totalmente colpa sua, e che Foggy non avesse avuto
alcuna colpa.
Per una qualche ragione, Karen aveva sempre pensato che fosse stata
colpa sua, che Foggy avesse scoperto la sua cotta per il suo collega e
che Matt, segretamente, ricambiasse la cosa. Tutto questo non perchè
fosse così narcisista da credersi al centro del mondo, ma semplicemnete
perchè entrambi le avevano a malapena rivolto la parola da quel giorno.
Aveva pensato, stupidamente, che solo un grave problema con una donna
avrebbe potuto dividerli, ma ora che ci pensava sopra, anche un cieco
che correva per la città e massacrava criminali, evidentemente grazie a
qualche tipo di superpotere, poteva essere una valida ragione.
Ma non era quella la cosa importante, ora.
Li avrebbe presi entrambi a calci in culo, ovviamente, ma ora voleva
solo sapere se quei due stavano bene.
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Capitolo 10 *** Foggy Nelson, avocado at law. ***
A/N: ok, sono ufficialmente la
peggior persona del mondo. Avevo finito di tradurre questo capitolo ere
fa... e mi sono completamente dimenticata di postarlo *chiede perdono
in ginocchio*
Anyway... la faccio
brevissima... grazie a tutti voi che state leggendo questa storia, in
particolare alla mia fedelissima Regdoll_cat che lascia sempre un
commentino... grazie mille!!
Chapter
11: Foggy Nelson, avocado at law.
Una volta presa la decisione di ripartire al più presto possibile,
si erano ritrovati in breve tempo sull’auto di Claire, diretti verso
New York.
Nessuno di loro aveva dei bagagli, nemmeno Claire, anche se aveva con
sè una borsa di medicine e un termometro. Il piano prevedeva che lei
tornasse a Boston subito dopo essere tornati da Stick, per questo non
aveva bagagli con sè; tuttavia, era più che altro una scena a favore di
Matt. Non aveva alcuna intenzione di allontanarsi di nuovo dalla Grande
Mela. Probabilmente, il cieco aveva capito che in qualche modo lo aveva
raggirato per farlo stare buono, ma con la febbre era difficile dire
fino a che punto, ma ora se ne stava sdraiato tranquillo e addormentato
sul sedile posteriore con un cuscino di ghiaccio sulla testa, e questo
era l’importante.
Foggy era stato contento di vederlo addormentarsi, alla fine. Sarebbe
stato un lunghisssimo viaggio, e aveva avuto modo di testare con mano
quanto duro potesse diventare Stick, ed era certo che Matt avrebbe
avuto bisogno di tutta la forza che avrebbe potuto mettere insieme per
sopravvivere alla rabbia del suo mentore.
-Dorme?- gli chiese Claire, impegnata nella guida.
-Sì- Foggy stava cercando di mantenere la propria voce più bassa
possibile per non disturbarlo, ma avrebbe davvero voluto gridare fino a
non avere più voce o prendere a pugni… qualunque cosa per sfogare la
sua frustrazione e sentirsi (forse) un po’ meglio. Era nervoso e quando
era nervoso di solito lo esternava diventando talmente rumoroso da
diventare insopportabile. Ora, invece, l’unico sfogo che aveva era
quello di battere ripetutamente il tallone sul fondo dell’auto.
Era così che si sentiva Matt di solito? Non potè fare a meno di
chiedersi. Vedeva, o meglio, sentiva gli innocenti in pericolo e veniva
preso dall’impulso di agire? Sentiva che, se avesse avuto anche solo un
quarto dell’abilità di Matt avrebbe preso a calci quel vecchio cieco
senza pensarci due volte. Al tacco unì anche un quasi-istintivo aprire
e chiudere della mano destra a pugno. Decisamente, ora capiva, o
pensava di capire, perchè il suo amico si metteva quella maschera ogni
notte.
-Stai bene?- Foggy non rispose immediatamente alla domanda, era
sull’orlo di esplodere e si morse le labbra per obbligarsi a restare in
silenzio. Non era un buon momento per chiedergli se stesse bene.
Sussultò quando la mano di Claire sfiorò la sua in un gesto di
comprensione. Si voltò a guardarla con un sorriso triste in volto, la
rabbia scomparsa e sostituita dalla preoccupazione e dalla
rassegnazione: non era Matt, non aveva le sue capacità e non poteva
fare un dannato niente per aiutarlo. -Lo so- gli sussurrò -Sono
spaventata anche io-
-Lo sai che non può sopravvivere, vero?- riuscì a bisbigliare, entrambe
le sue mani ora serrate in pugni strettissimi. Chiuse anche gli occhi,
con forza, lottando per non piangere.
-E’ forte, Foggy- la mano si spostò lungo tutto il suo braccio, fino ad
arrivare alla spalla -So che non è in piena forma, ma è forte-
-Non mi preoccupo per il suo corpo. Stick lo obbligherà a uccidere
qualcuno come punizione, e userà la forza… o noi, per costringerlo a
obbedire.-
-Non puoi saperlo…- A Foggy non servivano i superpoteri di Matt per
spaere che mentiva o che comunque non credeva a quello che stava
dicendo, non davvero almeno. -Forse si limiterà a massacrarlo di botte…-
-... fino a ucciderlo. Non è che sia un’alternativa migliore.- suonò
più duro di quanto volesse, e realizzò che avrebbe preferito che Matt
uccidesse qualcuno piuttosto che perdere il suo migliore amico per
sempre. Con un gesto rabbioso si asciugò le lacrime, sforzandosi di non
singhiozzare apertamente. Non che dopo la notte in cui aveva trovato
Matt avesse altra dignità da perdere di fronte a Claire, ma perchè
sapeva che lui avrebbe
sentito.
All’improvviso, Claire fermò l’auto e aprì la portiera, scendendo. Fece
il giro attorno al veicolo e aprì anche quella del passeggero, in un
chiaro, invito a uscire accompagnato da un gesto deciso della mano.
Obbedì, non osando esitare di fronte alla risolutezza della ragazza,
che di nuovo aveva preso in mano la situazione. Esattamente come quella
sera. Sapeva cosa stava per arrivare. L’avrebbe, forse metaforicamente
o forse no, preso a schiaffi fino a quando non fosse tornato in sè.
Prima di occuparsi di lui, però, si preoccupò di chiudere bene le
portiere e i finestrini, in modo che Matt non prendesse freddo.
-Foggy- lo pregò invece prendendolo per le mani (e di sorpresa) -Ti
prego, sii forte. Piangi adesso se devi, ma Matt ha bisogno di noi. Ha
bisogno di te, adesso più che
mai-
-Non… non posso farlo, Claire. Io… è… è lui quello forte, lo è sempre
stato. Io sono solo quello che… che fa ridere-
-Lo so, Foggy. Credimi, lo so. Ma so anche quanto tu sia importante per
lui. Non ce la farà se tu non sarai lì a dargli la forza di cui ha
bisogno. E’ stato con lui solo un mese, e hai visto i risultati e,
credimi, hai saltato la parte peggiore. Quindi, ti prego, ti scongiuro.
Fai qualunque cosa ti aiuti a calmarti, poi sii Daredevil per Matt-
E questo lo uccise, quasi letteramente, perchè lui non era quel tipo di
persona.
Le strinse forte le mani, cercando disperatamente qualcosa da dire per
convincerla che gli stava chiedendo l’impossibile. Non era forte e di
certo non era senza paura. Non era riuscito a tenere Karen al sicuro e
adesso stava portando il suo migliore amico dritto nelle mani di un
uomo che lo avrebbe distrutto fin nel profondo dell’anima, che avrebbe
ucciso l’angelo all’interno di Matt liberando completamente il Diavolo,
e non poteva fare niente per impedirlo. -Foggy- insistette Claire
quando fu chiaro che non le avrebbe risposto -Puoi farcela. Devi
tentare, almeno. Per Matt ne vale la pena-
Aveva ragione. Matt aveva fatto così tanto per lui fin dal giorno in
cui si erano incontrati. Aveva fatto di lui l’uomo che era diventato,
spronandolo a credere in sè stesso quando pensava di essere troppo
stupido per andare avanti. Gli aveva fatto capire che se Matt era
quello dei discorsi che avrebbero convinto la giuria che il sole fosse
verde, Foggy era quello con l’occhio per i dettagli e le sfumature, e
che la cosa non era assolutamente meno importante. Gli aveva insegnato
che una buona difesa si costruisce proprio sulle minuzie e che se anche
era vero che la sua madre biologica gli aveva pagato l’università, la
laurea con lode era solo ed esclusivamente frutto del suo lavoro e che
aveva esattamente lo stesso valore della sua conquistata grazie alla
borsa di studio. Oltre a questo, Matt era (quasi) sempre stato un amico
sincero, l’unico che in tutto quel tempo non l’aveva (quasi) mai
deluso, e quando l’aveva fatto, Foggy ci aveva messo poco a sbollire la
rabbia e a capirne le motivazioni. Quel giorno si era rifiutato di
ascoltare, e aveva commesso un errore. Non ne avrebbe commesso un altro
sbaglio. Mai più. Annuì.
-Mi dispiace, Clare- si scusò, riacquistando il controllo -Grazie-
La ragazza sorride e gli diede un paio di pacche delicate sulla
guancia, e Foggy capì perchè Matt si era innamorato di lei; era forte e
risoluta, ma allo stesso tempo molto dolce, senza contare il fatto che
fosse anche bellissima. Un po’ gli ricordava quella ragazza greca che
aveva rubato il cuore di Matt al college, Elektra, ma, mentre all’epoca
tutto in quella giovane donna gli gridava che era portatrice di guai,
Claire sembrava, per il momento, pura luce, come se fosse l’altra
faccia della medaglia.
-Stai meglio?- gli chiese sottovoce.
-Me la caverò. Andiamo ora.- riuscì a sorriderle -Matt darà di matto se
si sveglia e scopre che ci siamo fermati-
-Ci fermeremo comunque- gli rispose lei -Dovremo tutti mangiare
qualcosa, incluso Matt-
Gli ci vollero ben 5 ore per percorrere i 340 kilometri che separavano
Boston da Hell’s Kitchen, una e mezzo in più di quanto indicato dal
navigatore installato sullo smartphone di Foggy, ma i due avevano
approfittato di ogni stazione di servizio per fermarsi e guadagnare un
po’ di tempo per Matt. Preso il cuscino di ghiaccio sintetico aveva
raggiunto la temperatura ambiente, riscaldato dalla mancanza di una
fonte refrigerante e dal calore della fronte del loro amico, quindi
l’avevano rimpiazzato con una t-shirt che Claire si era comprata
durante una delle loro soste. Ovviamente, questo aveva implicato
ulteriori, brevissime, fermate aggiuntive in modo da mantenerla fresca.
Matt aveva dormito quasi tutto il tempo, svegliandosi praticamente solo
per mangiare e bere. Ovviamente, aveva detto loro di non fermarsi solo
per colpa sua, e ovviamente loro si erano limitati a ignorarlo (Beh,
non esattamente, Claire si era più o meno imposta dichiarando che se
non fosse stato alle sue condizioni lo avrebbe portato dritto in
ospedale, e Foggy le aveva dato man forte, sostenendo che sarebbe
riuscito a far dichiarare Matt temporaneamente incapace di intendere e
di volere in conseguenza al trauma emotivo successivo alla scomparsa da
New York).
-Dove vado?- Chiese la ragazza al biondo nel momento esatto in cui
entrò nel quartiere.
-Ca… casa mia- A risponderle fu un Matt ancora mezzo addormentato,
mentre si metteva seduto -Devo… cambiarmi i vestiti e dobbiamo…
lasciare Claire-
-Non esiste, Matt! Vengo…-
-Questa volta ha ragione, Claire. Non possiamo metterti in pericolo,
senza contare che avremo bisogno di te-
E il sospiro dell’infermiera gli disse che avevano vinto almeno questa
battaglia. Guidò fino all’appartamento di Matt, dove gli lasciarono il
tempo di farsi una lunga doccia.
Mentre lo aspettavano, Foggy la strinse a sè ancora una volta.
-Grazie ancora, Claire. Per tutto-
-Tienilo d’occhio, per favore. E se vi dovesse servire aiuto, trova un
modo per chiamarmi, ok?-
-Lo farò. Tu resta fuori dai guai, ok?-
-Era proprio per questo che mi ero trasferita- sospirò la ragazza, ma
il tono con cui lo disse e il sorriso sulle sue labbra gli dissero che,
a conti fatti, un po’ avere Matt tra i piedi un po’ le era mancato.
***
Non voleva separarsi da loro, non così. Si sentiva come se li
stesse mandando allo sbaraglio, come se li avesse accompagnati fino a
qui per poi tirarsi indietro. Non era così, ovviamente, erano stati i
due ragazzi a imporsi e a convincerla che il suo viaggio sarebbe finito
lì, in quell’appartamento. A dire il vero, non erano assolutamente
riusciti a convincerla, aveva solo rinunciato a lottare, perchè se già
sarebbe stato difficile lottare contro due persone, lottare contro due
avvocati era praticamente una lotta persa in partenza. Voleva davvero
andare con loro e restare vicino a Matt, per assicurarsi che prendesse
le medicine e che ci fosse qualcuno (ok, lei) in grado di occuparsi
delle sue ferite.
Smettila di mentire a te stessa.
La sua voce interiore tornò a farle visita. Vuoi restare con lui perchè provi qualcosa
per lui!
Zittì la suddetta voce nell’istante in cui Matt uscì dalla sua camera
da letto. Indossava di nuovo il costume nero, e se non fosse stata
distratta da quanto pallido risultasse il ragazzo a contrasto con la
stoffa scura, non avrebbe mancato di notare come, pur nella sua
completa inutilità in fatto di protezione, sottolineasse perfettamente
le sue forme perfette.
-Ti ho preparato il letto, e ti ho lasciato dei soldi e la mia carta di
credito, così puoi comprare ciò di cui hai bisogno- le disse con quel
suo solito ghigno adorabile e irritante allo stesso tempo stampato
sulla faccia mentre lo abbracciava. Ok, questo era un bel segno, se non
altro per la salute. A quanto sembrava, era abbastanza in forze da aver
capito che mentiva. O magari ti
conosce così bene che sa che non lo abbandoneresti mai in queste
condizioni. Le suggerì la solita vocina. Il dubbio che
decisamente non le serviva al
momento. Ricambio l’abbraccio e sentì che stringeva di più la presa
sulla sua vita, la sua testa appoggiata su quella della ragazza. Per un
attimo si concesse si rilassarsi, appoggiando la propria guancia al suo
petto e rilassandosi tra le sue braccia, ascoltando il suo cuore
battere forte e sicuro. Notò a malapena che Foggy stava uscendo dalla
casa, lasciandoli soli.
Non sapeva per quanto tempo rimasero così, in piedi in mezzo
all’appartamento, stretti l’uno all’altra senza che nessuno dei due
facesse un singolo gesto per staccarsi -Grazie, Claire- sussurrò contro
i suoi capelli.
-Promettimi che non ti farai uccidere, Matt-
-Ci proverò, te lo prometto-
***
E questa volta voleva mantenere la promessa con tutto il suo cuore.
Sapeva che con Claire le cose non sarebbero mai decollate, e che la
colpa era stata principalmente sua, ma non sarebbe morto. Non l’avrebbe
fatta soffrire.
-Sarò qui per te, ok? Dovrai solo chiamarmi-
Le braccia della ragazza erano gentili, forti e calde allo stesso
tempo, e sentì di non essere pronto a lasciarla andare, ma doveva
pensare anche a Karen e più passava il tempo, più aumentavano le
probabilità che Stick perdesse la pazienza, quindi, a malincuore, si
staccò da quell’abbraccio confortante.
-Puoi restare quanto vuoi- le disse. Non si era bevuto nemmeno per un
secondo la sua promessa di tornare a Boston, anche se non ne aveva
potuto ascoltare il battito cardiaco -Ma sarei comunque più tranquillo
se tornassi a Boston-
***
Le sue parole le fecero prendere la più pazza (e molto
probabilmente anche pessima) decisione della sua vita. Aprì la bocca
nel momento in cui la pensò, senza lasciare al cervello il tempo di
processare e fare intervenire il suo buon senso.
-Io non ti lascio, Matt. Appena puoi, ti compri un telefono e mi dici
dove sei, e io ti raggiungerò. Ovunque andrete, io vi seguirò. Sono
stata chiara?-
-E’ troppo peric…-
-Taci, Cornetto. Ti conviene obbedire, o giuro che mi offro a Stick
come ostaggio-
Ok, forse questa era la
peggiore decisione che avesse mai preso in vita sua.
***
Matt non le stava ascoltando il cuore per assicurarsi che fosse
sincera, ma per memorizzarne il ritmo e i battiti, in modo da poterli
suonare nella sua testa e rassicurarsi, tuttavia, le rivelò anche che
non stava mentendo. Era davvero convinta di quello che gli aveva appena
detto.
Sospirò e la sentì sorridere mentre l’abbracciava di nuovo. Sapeva di
aver appena vinto quella battaglia.
-Non ti metterò in pericolo- rispose e il suo battito cambiò
immediatamente, spingendolo a negoziare prima che se ne uscisse con
qualche idea ancora più folle -Ti farò sapere se sto bene, ma non ti
voglio in prima linea. So già che non potrò fermare Foggy, e
probabilmente non voglio nemmeno farlo… ma tu…-
-Matt, ti supplico… Non mi importa cosa dovrai fare, ma non tagliarmi
fuori, ti prego-
***
Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto baciarla in quel momento. Invece
si costrinse a sciogliersi dall’abbraccio.
-Devo… andare-
Sentì l’aria attorno a lei muoversi mentre annuiva e poi di nuovo, più
in basso, mentre gli prendeva la mano e vi appoggiava qualcosa. Chiuse
il pugno e sentì la forma familiare di un blister di medicine.
-Prendile- gli ordinò in un tono che non ammetteva replica, e il suo
tono di voce lo fece ridere. Era buffo: una ragazza gracile e innocente
che dava ordini al Diavolo di Hell’s Kitchen. Lo colpì piano, ridendo a
sua volta, ma lui non le rispose. Le medicine e il mondo in fiamme non
erano esattamente migliori amici e solitamente sceglievano la sua testa
per fare a botte. -Matt- lo richiamò all’ordine, finito il momento di
gioco -dico sul serio-
-Lo so, Claire. Le prenderò quando Stick mi lascerà riposare, ok?-
Dal tono del suo sospiro non era affatto ok, ma alla fine annuì.
-E’ comunque meglio di un no, immagino-
Matt capiva davvero come si sentisse Claire in quel momento. Si era
sempre sentito allo stesso modo le volte che Foggy si era ammalato al
college, e lui non aveva potuto fare niente per aiutarlo per non
tradirsi, ma non poteva permettersi di assumere medicinali prima di
andare in missione, ma riconosceva anche che aveva ragione, doveva
combattere la febbre in qualche modo, perciò avrebbe dovuto rischiare.
Sperava solo che prendendole prima di dormire avrebbe aiutato a non
sviluppare gli effetti collaterali.
Sorrise di nuovo, tirando fuori i migliori occhi da cucciolo che aveva
nel repertorio e che sapeva l’avrebbero fatta sorridere, poi si diresse
verso la porta.
Foggy lo aspettava sul marciapiede, e da quello che gli dicevano i suoi
sensi era sul punto di uscirsene con una delle sue battute…
-Niente sesso da arrivederci?-
Appunto. Matt non era dell’umore in quel momento, stava già abbastanza
male all’idea di non averla baciata prima andarsene.
-Sta zitto- cercò di scherzare -E fai strada-
Ovviamente Foggy capì tutto e gli diede un’amichevole pacca sulla
spalla.
***
Karen si svegliò di soprassalto quando sentì le voci di Matt e Foggy.
Non sapeva con esattezza quanto tempo fosse passato da quando aveva
sentito, per pochi secondi, la voce del biondo al telefono (ed erano
stati decisamente i migliori istanti vissuti da quando era finita in
quella situazione, dannati Nelson & Murdock), ma da allora le
avevano concesso di andare in bagno e avevano addirittura rinunciato a
legarla di nuovo al letto, il che, se non altro, le aveva permesso di
alzarsi ogni tanto e dormire e mangiare decentemente.
Non che avesse potuto fare molto altro che restare stesa a letto,
comunque; la cella era minuscola e in letteralmente tre passi l’aveva
percorsa in tutta la sua lunghezza.
Le voci l’avevano svegliata, ma ora non sentitva altro.
Te lo sei sognato, Karen. Si
disse e tornò ad appoggiare la testa al cuscino per cercare di tornare
a dormire, ma l’adrenalina che le era pompata in corpo le impedì di
andare oltre un leggero e teso stato di dormiveglia, di quelli che più
che riposare, stancano. Poi lo sentì di nuovo, e questa volta era
decisamente sveglia.
-Stick, sono qui. Lascia andare Foggy e Karen-
Matt. No.
Ma non fu la presenza di Matt a spaventarla a morte, era stata
personalmente testimone delle sue capacità di combattente, ed era
sicura che sarebbe riuscito a contrastare i ninja di questo Stick, in
qualche modo. No, fu il suono seguente che le fece letteralmente gelare
il sangue nelle vene: il rumore di qualcosa che veniva fatto impattare
contro una finestra, frantumandola. E poi arrivò il grido di Foggy,
terrorizzato e straziante.
***
Dio benedica i cassonetti e chiunque li abbia inventati.
Matt non era mai stato così felice di ritrovarsi con la bocca e il naso
pieni della puzza della spazzatura che aveva appena attenuato la sua
caduta dal secondo piano di quel dannato edificio. Come se ne avesse
avuto bisogno, ora era assolutamente certo che ai suoi sensi serviva
qualche ora per smaltire gli effetti del paracetamolo. Parecchie ore,
se doveva essere sincero.
Aveva avvertito lo scatto di Stick, ovviamente, ma non aveva
assolutamente avuto modo di capire che cosa stesse facendo fino a
quando non lo aveva colpito in pieno petto. Un secondo dopo, la sua
schiena si era schiantata contro una finestra, infrangendo i vetri e i
decrepiti serramenti in legno.
L’avvocato aveva appena avuto il tempo di sentire il grido di Foggy e
gridare a propria volta di sorpresa prima del brusco atterraggio. Stick
l’aveva letteralmente lanciato fuori dall’edificio.
E se questo era il prologo della sua punizione, probabilmente era
davvero arrivato a vivere il suo ultimo giorno su questa terra.
Avvertì un tonfo accanto a lui, i rifiuti tremarono all’impatto e una
nuova ondata di odori gli salì al naso mentre Stick atterrava accanto a
lui. Non lo sentì muoversi, un secondo urlo di Foggy coprì ogni altra
cosa, e si ritrovò di nuovo in volo, salvo poi colpire l’asfalto. Gridò
di nuovo, questa volta di puro dolore, quando i vetri che gli si erano
conficcati nella schiena quando aveva rotto la finestra si fecero
strada all’interno delle sue carni e nei suoi muscoli.
-Matty!-
La voce del suo migliore amico, proveniente da dove era caduto, coprì
di nuovo i movimenti di Stick, impedendogli di sentire il calcio, che
gli arrivò dritto allo stomaco, così potente da sollevarlo e farlo
rotolare di nuovo. Non cercò nemmeno di sollevarsi e combattere; si
sentiva debole, e i suoi sensi erano ancora troppo ovattati per
permettergli una visione chiara, senza contare che continuava a
concentrarsi su Foggy, troppo preoccupato che gli venisse fatto del
male per pensare a quello che gli stava succedendo. In ogni caso, non
sarebbe riuscito a combattere. Rinunciò a ogni difesa, e lasciò che
Stick gli desse una delle più grandi batoste della propria vita.
-Matt! Matty! Forza, svegliati!-
Foggy. Male.
Queste furono le uniche due informazioni che riusciva a percepire al
momento. Tutto il resto era completamente oscurato dalle fitte che
provenivano dalla sua schiena e, meno dolorose, da tutto il resto del
suo corpo.
Nella sua testa c’era una guerra in corso. Avrebbe voluto aprire
gli occhi, rassicurare i suoi amici che stava bene, che, certo, provava
dolore, ma che stava bene. Ne aveva passate di peggio. La sua schiena,
però, lo stava implorando di ricadere nell’oblivio e nell’incoscienza.
Faceva troppo male.
-Matty…-
La voce di Foggy sfiorava le note del panico, e fu questo a convincerlo
ad aprire gli occhi, un gesto che a lui non cambiava niente, il mondo
in fiamme sarebbe rimasto comunque un caos di dolore, febbre e paura,
ma che sapeva avrebbe aiutato l’altro a non perdere il controllo. Ora
che era più lucido, riusciva a percepire come ci fosse qualcosa
conficcato saldamente nella propria schiena, un costante dolore che si
acuiva ad ogni respiro, oscurando tutto il resto. Cosa cavolo era
successo?
-Matt?- c’era una mano che gli accarezzava i capelli, la prima cosa su
cui riuscì a concentrarsi oltre il dolore. Conosceva quella mano e,
anche se non era quella di una giovane infermiera in grado di calmarlo
con la sua sola presenza, fu comunque felice di riconoscerla come
quella di Karen. Partì da quel contatto rassicurante per riguadagnare
il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente.
I suoi muscoli erano tutti in tensione, come pronti a combattere; si
costrinse a rilassarli, uno per uno, dolorosamente, e quando ci riuscì,
il dolore iniziò un po’ ad attenuarsi. Rimase a terra, ansimante,
sudato e distrutto come se fosse appena stato investito da un camion.
Non riusciva ancora ad avere una chiara visione di quello che aveva
intorno, ma sembrava esserci più calma di prima. Si concentrò ed
espanse un poco i sensi: la stanza era sicuramente piccola, e oltre a
quelli dei suoi amici non riusciva a sentire altri battiti cardiaci,
segno che probabilmente erano soli lì dentro. C’erano altre persone,
ovviamente, ma i loro cuori erano lontani, e attuttiti dalle mura.
Tutto il resto era un mare di confusione, ma non tentò nemmeno di
processare e filtare tutte le informazioni che gli arrivavano dai
propri sensi. Si sentiva esausto e probabilmente non ne avrebbe
ricavato niente di veramente utile, perciò si limitò a concentrarsi
sulle cose basilari.
La sensazione di freddo arrivava dalla sua pancia, quindi probabilmente
era disteso sullo stomaco sul pavimento. Sentiva di avere delle ferite
aperte sulla schiena, ma non percepiva l’aria colpire direttamente i
tagli: qualcuno l’aveva coperto, probabilmente con una giacca o una
coperta. C’era un battito del cuore forte, accelerato, che sapeva di
casa alla sua sinistra, Foggy, mentre quello familiare di Karen era
dalla parte opposta.
-Sei con noi, amico?-
-Sì- rispose debolmente, piantando i palmi a terra e cercando in
qualche modo di rialzarsi, ma la mano di Foggy trovò subito la sua
spalla e lo spinse dolcemente di nuovo a terra, obbligandolo a restare
giù. Gemette di dolore per il contatto e la pressione scomparve
all’istante.
-Scusami- sussurrò Foggy -Ma ti conviene restare disteso… e immobile-
-Fa… male- cercò di spiegare, ma era ancora peggio che respirare; era
come se qualcuno stesse giocando a freccette usando la sua schiena come
un bersaglio. Ogni parola era quasi impossibile da pronunciare. Cercò
di concentrarsi sui punti in cui il dolore era più forte, cercando di
capire cosa lo stesse causando. Dio. Sembravano proprio delle frecce, o
un qualche tipo di lama. Sollevò una mano e se la portò alla schiena,
cercando di toccare una di quelle cose che aveva nella spalla, mentre
il dolore si espandeva in tutto il corpo.
-No, no, no. Matt. Fermo. Stai fermo. Matty. Per favore- La mano di
Foggy afferrò la sua e la riportò al proprio posto al suo fianco,
lontana dal suo obiettivo.
Matt doveva sapere. Si preparò ai lanci.
-Cosa…- Prima freccetta. -ho nella… - seconda -...schiena?- e anche la
terza freccettà colpì la sua schiena-bersaglio. -Cos’è…- un secondo
giocatore seguì il primo -... successo?- due -Dove…- tre.
-Matt, per favore, basta. Non parlare- la voce di Karen era un
tremolio, e tutto ciò che riuscì a percepire da lei fu panico e
preoccupazione.
-Stick ti ha letteralmente defenestrato- Foggy sembrava essere
abbastanza calmo, cercò perfino di mettere una risata nella sua
risposta, ma, se si concentrava appena, riusciva a sentire il suo cuore
galoppargli in petto -Poi è saltato dietro di te e… Dio. Pensavo fossi
morto. Continuava a colpirti e tu non reagivi…- la voce gli si spezzò
all’improvviso, e Matt lo sentì reprimere i singhiozzi prima di
continuare, rispodendo a un’altra domanda. -Hai dei pezzi di vetro
nella schiena, quindi, ti prego, resta fermo-
Foggy aveva probabilmente ragione, rimanere immobile era la cosa
migliore da fare, ma non poteva tenersi quei così dentro troppo a
lungo. Oltre a fare un male cane, rischiava anche un’infezione.
-Tirali… fuori… per fav…- alla terza freccetta tutto divenne nero, e il
nulla lo avvolse di nuovo.
***
Tirarli fuori? Quel Murdock doveva aver preso un brutto calcio in testa
per dire una cosa del genere. Come diavolo avrebbero dovuto fare a
curare delle ferite del genere con… praticamente niente?
Foggy era contento che avesse perso i sensi. Ascoltare i suoi tentativi
di mettere insieme una frase completa era stata una vera agonia,
specialmente perchè non riusciva a non pensare all’ultrasensibilità dei
suoi quattro sensi e a non chiedersi quanto più dolorose potessero
essere quelle schegge nella sua schiena. Rabbrividì al solo pensiero.
Distolse lo sguardo dal proprio amico, senza lasciargli la mano, e
guardò Karen.
-Gli serve aiuto- disse la ragazza sommessamente, quasi timida,
perfettamente conscia di stare sottolineando l’ovvio ma, davvero,
cos’altro avrebbe potuto fare o dire, eccetto ucciderlo (o uccidere
entrambi) per non averle detto fin da subito la verità?
-Lo so. Lo so, Karen- La voce gli uscì bassa ed esausta, ma
dovevano comunque fare qualcosa.
Sii Daredevil per Matt.
Le parole di Claire gli echeggiarono nella mente, e un’idea prese
immediatamente forma del suo cervello. Si affrettò ad attuarla senza
darsi la possibilità di pensarci due volte, nonostante il solo pensiero
lo facesse quasi letteralmente pisciare sotto dalla paura.
-Karen- disse -resta con lui e, qualunque cosa succeda, proteggilo.
Promettimelo-
-Che?- ma Foggy non la stava già più ascoltando, non aveva nemmeno
aspettato una sua risposta. Si alzò in piedi e iniziò a picchiare sulla
porta della loro stanza con entrambe le mani chiuse a pugno, più forte
che poteva, urlando allo stesso tempo il nome di Stick.
Andò avanti fino a quando, alla fine, l’uomo non aprì la porta.
Foggy sapeva che il vecchio era cieco dalla nascita, e non come Matt,
che aveva perso la vista in seguito a un incidente, eppure poteva
giurare che quell’essere altamente inquietante lo stesse fissando
dritto negli occhi, con un’espressione… beh, quella in effetti non era
diversa da quella che aveva di solito. Era arrabbiato, e molto anche, e
tutto nella sua postura era volto a provocare un senso di disagio e
paura nelle persone (e, per la cronaca, ci riusciva benissimo). Stick
si piantò davanti a lui, in piedi, silenzioso e immobile come una
statua.
E’ solo un’arringa. Puoi farcela.
E Foggy Nelson, avocado per la difesa, iniziò il suo discorso, e fu
esattamente come la prima volta che era tornato alla Landman & Zack
per il caso della signora Cardenas. Fu perfetto e assolutamente
magnifico. Le parole fluirono leggiadre dalla sua mente alla sua bocca,
senza fare soste o sbagliare strada lungo il percorso.
-Adesso ascoltami bene. Non riesco nemmeno a immaginare come ti sia
venuto in mente di fare una cosa del genere. Peestarlo a sangue è già
terribile di per sè, ma se mi sforzo posso quasi riuscire a capire
perchè tu lo faccia. Ma l’hai lanciato da una cazzo di finestra, e
questo è completamente da fuori di testa. Ora, puoi prenderti un’accusa
per tentato omicidio, oppure puoi starmi a sentire e accettare
l’accordo che ti sto per proporre-
O puoi semplicemente congedarmi nello
stesso modo e lasciarmi morire in quel cassonetto, completò
nella sua testa. Ora riusciva a guardare quell’uomo negli occhi senza
vacillare, la paura completamente sparita. Attese, per quelle che
sembrarono ore. Evidentemente, Stick pensava che mantenendo a lungo
quella posa Foggy avrebbe ceduto e fatto marcia indietro. Beh, non
sarebbe successo.
-Sei davvero una piaga nel culo- cedette il cieco alla fine -Che cosa
vuoi?-
-Due settimane per Matt, per riprendersi e per farsi curare. E Karen
resterà con lui- Foggy non esitò mai -Io resterò qui a garanzia del suo
ritorno-
-Una settimana-
-Ha del fottuto vetro nella schiena!-
-Una settimana- ribadì Stick, poi aggiunse -O lui resta e lo guarderai
morire davanti ai tuoi occhi. E quando tornerà, lo punirò di nuovo.
Prendere o lasciare-
Foggy scoprì di essere preparato anche per quell’eventualità
-Quanto tornta -contrattò -Picchierai me e non lui-
Questo parve prendere perfino l’imperturbabile Stick alla sprovvista.
Rimase in silenzio per un po’, probabilmente soppesando la richiesta.
Alla fine, evidentemente, arrivò alla conclusione a cui Foggy sperava
sarebbe arrivato: per Matt sarebbe stato molto più doloroso vedere lui
picchiato al posto suo che essere malmenato.
-D’accordo-
Stick lasciò la stanza, non preoccupandosi a questo punto di chiudere
la porta dietro di sè, e chiamò i suoi uomini, ordinando che venisse
organizzato il trasferimento di Matt.
Come furono di nuovo da soli, tornò a rivolgere la propria attenzione a
verso Karen, che ora lo guardava come se fosse pazzo, continuando ad
accarezzare distrattamente i capelli di Matt, con movimenti che nelle
sue intenzioni dovevano essere calmanti.
Ignorò il suo sguardo per concentrarsi di nuovo, brevemente, sul
proprio amico prima di tornare a guardarla. La vide aprire la bocca per
dire qualcosa, ma lui la interruppe prima che potesse emettere un solo
suono. Sapeva che non avrebbero avuto molto tempo, e voleva assicurarsi
di darle tutte le informazioni possibili prima che li separassero.
-Karen- sussurrò, anche se immaginava che probabilmente l’udito di
Stick fosse pari almeno a quello di Matt -Ascoltami bene. Portalo a
casa sua, ok? E promettimi di restare con lui-
-Ha bisogno di un osp…-
-Karen!- la interruppe di nuovo, più bruscamente del dovuto, forse
-Fidati di me, ok? Lo so che probabilmente ora non puoi, e che non ho
il diritto di chiederti di darmi fiducia, ma ho bisogno di sapere che
farai come ti dico. Per Matt-
Karen lo stava ancora guardando, poi il suo sguardo si posò sulla
schiena di Matt. Era una scena raccapricciante, quasi da film horror,
con l’unica differenza che era tutto reale. Matt era pieno di tagli, e
la sua maglietta a maniche lunghe era lacerata, dai più grandi
uscivano, ben visibili, pezzi di vetro acuminati, alcuni dei quali
vibravano leggermente ogni volta che il petto si alzava e abbassava
nella respirazione, accompagnati da frequenti gemiti. Aveva anche
l’impressione che la pelle attorno alle ferite stesse iniziando ad
arrossarsi. Foggy rabbrividì di nuovo, pregando che rimanesse
incosciente il più a lungo possibile.
Alla fine, la ragazza annuì semplicemente, proprio un istante prima che
sei ninja entrassero nella stanza. Uno obbligò Foggy ad alzarsi in
piedi, sotto la minaccia di un coltello, e ad indietreggiare fino a
quando la sua schiena non andò a cozzare contro la parete. Prigioniero
e carceriere rimasero lì, e l’avvocato rimase completamente immobile,
attento a non muovere un muscolo per evitare il rischio che Stick si
rimangiasse la parola. Un altro dei soldati afferrò Karen per un
braccio e la trascinò fuori dalla stanza a spintoni, mentre i quattro
rimanenti organizzarono una barella e, dopo avervi deposto il
vigilante, lo portarono fuori.
Solo quando rimasero soli il ninja abbassò il coltello e lasciò la
stanza. Ora era solo.
Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo, mentre con la mano si
asciugava il sudore dalla fronte.
L’ho fatto, Claire* pensò *Adesso
tocca a te.
Solo dopo una decina di minuti realizzò a pieno quello che aveva fatto,
quando Stick si ricordò che la porta della cella era ancora aperta e
andò personalmente a chiuderla, esibendo un sorriso sarcastico e
mormorando qualcosa sulla stupidità dell’amicizia.
Lo aspettava un’intera, interminabile, settimana nelle mani di quel
pazzo, nell’attesa che Matt si rimettesse in piedi; nell’attesa di
venire massacrato di botte.
Oh beh, ormai quel che era fatto, era fatto.
Sperava solo che gli dessero da mangiare.
Grazie per aver letto fino a
qui, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima!
|
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Capitolo 11 *** Don't Claire me, Murdock! ***
A/N:
Buondì!!! I'm back! Buon anno a tutti innanzitutto, e scusate per il
ritardo... questo capitolo era già pronto da un po', ma traducevo su un
PC più vecchio di me e di scrivere il codice HTML a mano non avevo
voglia XD
Quindi...
tornando a noi, grazie a Ragoll_cat per la recensione e per sopportare
i miei deliri!!
PS: il titolo
del capitolo sembra non c'entrare nulla, lo so, ma nella versione
inglese era una frase del capitolo...
Don’t
Claire me, Murdock!
Quando lo sentì, Matt stava cercando di isolarsi dal resto del mondo e
meditare un pochino, ora che, anche grazie ai medicinali, la febbre
sembrava dargli una tregua.
Era riuscito a concentrarsi sul battito regolare di Claire, e ne aveva
ascoltato il respiro diventare più profondo mentre si abbandonava
finalmente al sonno ed era partito da lì per entrare in un leggero
stato di meditazione. Era stato più difficile del solito riuscirci
perchè, sempre grazie alle medicine, il suo mondo era ancora un po’
sottosopra. Se avesse potuto, avrebbe evitato di prenderle, ma Claire
(e Foggy) l’aveva(no) messo davanti a un bivio: paracetamolo o bagni
gelati ogni ora. Matt, dopo tutto quello passato con Stick, aveva
deciso che di acqua fredda ne aveva avuta abbastanza per almeno un
anno, e forse anche per il resto della propria vita.
Ora che finalmente era riuscito nel proprio intento, l’aveva sentito, e
il suo intero lavoro era andato all’aria, ma non c’era niente, niente
che poteva o voleva fare per ignorare quel suono. Era un suono che lo
riportava a quel dannato mattino di pochi mesi prima, quando si era
risvegliato su un divano e Foggy se ne era andato da casa sua
trattenendo lacrime che aveva versato non appena si era chiuso la porta
alle spalle, probabilmente pensando che Matt non l’avrebbe sentito. Si
era sbagliato.
Era lo stesso identico suono: Foggy stava piangendo.
Ignorando i giramenti di testa, si mise seduto di scatto, ringraziando
di non aver mangiato nulla da un po', o l'avrebbe probabilmente
vomitato tutto sul divano.
-Foggy?- sussurrò nel tono di voce più alto che sentiva di poter usare,
non voleva svegliare Claire, che aveva lasciato la porta aperta, tra
l’altro. Ricordava pochissimo di quello che era successo negli ultimi
giorni, solo una serie di immagini frammentarie e sprazzi della voce
della ragazza; gli era stato detto che aveva dormito per la maggior
parte del tempo, ma sospettava che nei momenti di veglia le avesse dato
parecchio da fare e, se la conosceva bene, probabilmente non aveva
nemmeno dormito molto, troppo occupata a occuparsi di lui per pensare
alla propria salute.
Foggy non gli rispose, ma ora Matt riusciva chiaramente a sentirne i
singhiozzi e il pianto soffocato nel cuscino. Sapeva che il suo
migliore amico era lì da qualche parte, in quella stanza: doveva solo
localizzarlo. Cercò di concentrarsi solo sul piccolo spazio della
stanza attorno a lui, alla ricerca del famigliare battito cardiaco, e
subito la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente per lo sforzo. La
ignorò finchè non riuscì a trovarlo.
Eccolo, a forse un paio di metri da lui, sdraiato a poca distanza da
terra, su quello che sembrava un materasso. Le forme non gli apparivano
nitide come al solito, ma era comunque meglio del nulla del giorno
prima, e Matt si fece andare bene quello che i suoi supersensi avevano
da offrirgli.
Molto lentamente si alzò in piedi e cercò di avanzare per raggiungerlo,
utilizzando le proprie mani per aiutarsi a non inciampare su qualcosa
di abbandonato a terra o su una qualche sedia, totalmente concentrato
sul non perdere la posizione di Foggy.
-Foggy- chiamò di nuovo, iniziando seriamente a preoccuparsi. Odiava
non essere in grado di capire lo stato d’animo di una persona
semplicemente ascoltandone il corpo e il cuore, ma gli sarebbero
servite forze che non aveva e, tra l’altro, gli aveva promesso che non
l’avrebbe mai più fatto nei suoi confronti.
Quando arrivò vicino alla forma che era il suo amico, si inginocchiò
piano al suo fianco e finalmente la sua mano trovò la spalla, e solo
allora si decise a dare al proprio cervello una tregua, cedendo al mal
di testa. Gentilmente strinse leggermente la presa sul suo amico,
sperando di ottenere una reazione. -Foggy- chiamò di nuovo, questa
volta con una certa urgenza, quando non ebbe risposta -Foggy, ti prego…
dimmi qualcosa… mi stai spaventando… Fog…-
Questa volta, se non altro, qualcosa la ottenne: il pianto e i
singhiozzi aumentarono di intensità e, più lievemente, di volume. Matt
non potè fare altro se non posargli una mano sulla schiena, cercando di
fargli capire senza parole che lui era lì, al suo fianco, e non
l’avrebbe abbandonato. Cominciò un lento movimento in grandi cerchi,
sperando di essergli in qualche modo d’aiuto.
Non sapeva da quanto tempo stava andando avanti quando Foggy finalmente
riuscì a calmarsi e a scivolare in un sonno agitato, ma non gli
importava; dopo tutto quello che aveva fatto per lui in tutti quegli
anni di amicizia, Matt non se l’era sentita di lasciarlo solo in quel
momento, nonostante la debolezza. Pur sapendo che l’indomani Claire
l’avrebbe probabilmente ucciso, si sdraiò accanto a Foggy, una mano
sempre salda sulla sua spalla e si addormentò.
***
Claire si segliò al mattino, dopo un’intera notte di sonno ristoratore.
Dio solo sapeva quanto ne aveva avuto bisogno dopo le giornate che
aveva passato ad accudire Matt. A dire il vero avrebbe anche avuto
bisogno di farsi una doccia, ma la sera prima era stata troppo stanca
per trascinarsi fino al bagno, e ora il suo senso del dovere prevalse
sui propri bisogni (di nuovo), quindi la prima cosa che fece appena
alzata fu quella di controllare lo scavezzacollo che dormiva sul suo…
pavimento accanto al proprio migliore amico.
Lo avrebbe ucciso.
Vai a farti quella doccia, si
ordinò. Puoi ucciderlo dopo.
Il getto caldo sulla sua schiena era stato anche migliore della notte
di sonno, e si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno, conscia anche
del fatto che non era più sola in caso di necessità. Quando uscì dal
bagno, i suoi istinti omicidi erano quasi del tutto evaporati. Quasi.
Tornò in salotto e si fermò per un istante a guardare i due amici,
Foggy che dormiva sul materasso e Matt accanto a lui sul pavimento, che
gli teneva una mano sulla spalla, come se volesse cercare di rendere
reale la sua presenza tramite il senso del tatto, e dopo il delirio dei
giorni precedenti, Claire non se la sentiva di biasimarlo, anche se non
potè evitare di chiedersi se ci fosse stata una qualche altra ragione
che avesse fatto prendere a Matt la decisione di spostarsi sul
pavimento, e se Foggy si fosse accorto di lui.
Al momento, però, non era una sua priorità. Era preoccupata per Matt.
Fu tentata di svegliarlo e farlo tornare sul divano, ma poi decise che
non valeva la pena rischiare un altro attacco di panico. Si avvicinò e
si accucciò vicino a lui, sfiorandogli la fronte con le dita: era
calda, ma non a livelli allarmanti, perciò si limitò a coprirlo con la
coperta di pile che aveva usato qualche giorno prima e che giaceva
abbandonata in un angolo del locale e a lasciarlo dormire.
A dire il vero, ma questo non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura,
era una scena piuttosto dolce da vedere, anche se probabilmente avrebbe
rimpianto quel pensiero non appena i due avrebbero unito le forze per
farle saltare i nervi.
***
Foggy aprì gli occhi, e la prima cosa che sentì fu di essere… bagnato?
Alzò la testa dal materasso e notò che le sue lacrime l’avevano
bagnato. Maledicendosi, si girò per alzarsi, quando si accorse della
mano sopra la propria spalla. Fece scorrere lo sguardo lungo il braccio
cui era attaccata e finalmente vide Matt, profondamente addormentato
accanto a lui, per terra, coperto da una coperta verde a pallini
arancioni.
Dio, Matt.
Richiamando alla mente quello che era successo durante la notte,
ricordò che il suo migliore amico l’aveva raggiunto dopo essere
scoppiato in lacrime e che lui aveva fatto di tutto per ignorarlo,
anche quando Matt gli aveva detto di essere spaventato dal suo
comportamento. Ricordava anche come la sua mano gli aveva massaggiato
la schiena, aiutandolo a calmarsi. Non si era però aspettato che,
nonostante la febbre, avrebbe dormito sul pavimento pur di stargli
vicino, e al solo pensiero sentì una fitta dolorosa al cuore.
Doveva dirgli tutto, non poteva rimandare ancora.
Sarebbe collassato di nuovo, lo sapeva.
-Sei sveglio?- Foggy sussultò, mettendosi a sedere.
-Non farlo mai più!- sussurrò portandosi una mano al cuore, fingendo di
essere più spaventato di quello che fosse in realtà. Fu ricompensato
dal suo sorriso esasperato mentre alzava gli occhi al cielo. -Che ore
sono?- chiese poi, sempre a bassa voce per non svegliare Matt.
-Le alza il culo da quel materasso e mezzo. Ho bisogno che tu lo tenga
d’occhio per un po’. Devo uscire a fare un po’ di spesa. Pensi di
farcela?-
Nonostante tutto, era ancora mezzo addormentato, quindi in pratica solo
meno della metà della frase gli arrivò al cervello, pur essendo
abbastanza per fargli recepire il messaggio.
-Sì, certo. Ciao.- Anche la sua risposta era stata più articolata nella
sua mente, ma qualche parola aveva sbagliato a svoltare e si era persa
da qualche parte nei meandri delle sinapsi tra cervello e bocca.
Claire gli sorrise di nuovo e gli lasciò il tempo di darsi una
rinfrescata e preparare il caffè prima di dargli qualche istruzione su
come comportarsi con Matt e lasciare finalmente la casa per la prima
volta dopo giorni.
-Quando si sveglia- gli disse - fagli mangiare qualcosa, deve essere
rimasta una mela da qualche parte, e provagli la frebbre. Le medicine
sono sul tavolino se ti servono-
Fortunatamente, la ragazza non chiese come mai Matt fosse finito dal
divano alla sua attuale posizione.
-Sìssignora- rispose facendole il saluto militare, un ghigno divertito
stampato sul volto.
Claire scosse la testa e gli fece un cenno con la mano, chiudendosi la
porta alle spalle.
***
Matt stava congelando, e fu proprio la sensazione di freddo a
svegliarlo. Si ritrovò sul pavimento freddo e la netta sensazione che
nella sua testa si fosse di nuovo alzata la nebbia insieme alla febbre,
ora che gli effetti dei farmaci si erano quasi del tutto dissolti.
Nonostante tutto, questo non gli impedì di sentire, o meglio non
sentire, la presenza di Foggy sul materasso accanto a lui.
Si tirò su, spostando una coperta comparsa da chissà dove.
-Fog?- cercò l’amico.
-Buongiorno, bello addormentato!- la voce dell’amico gli arrivò come
sempre allegra e alta dalla cucina. La sua testa reagì all’improvviso
rumore con una fitta dolorosa. Gemette, portandosi contemporaneamente
le mani sulle orecchie. -Scusami, amico!- Foggy abbassò subito il tono
di uno o due decibel, e il sollievo fu quasi istantaneo.
Nonostante tutto, Matt riuscì comunque a percepire quanto forzato fosse
il buonumore di Foggy, quanto il suo amico si stesse sforzando di
suonare normale mentre si inginocchiava di fianco a lui e gli metteva
una mano sulla fronte, cercando di percepirne la febbre. -Sei più caldo
di prima. La febbre sta risalendo, credo- disse dopo un attimo, e Matt
si maledisse, perchè proprio il suo corpo l’aveva tradito, dando modo a
Foggy di sviare l’attenzione -Come ti senti?-
Come se non fosse stato perfettamente in grado di dirlo solo
guardandolo in faccia fin dagli albori della loro amicizia.
Decisamente, Foggy stava cercando di evitare una chiacchierata che
entrambi sapevano essere inevitabile, da bravo avvocato qual’era. Ma
erano in due a saper giocare a quel gioco.
-Meglio- rispose sinceramente, pronto a tendere la propria trappola,
nel caso Foggy cercasse di nascondersi dietro un “c’e’ Claire, non
voglio parlarne” -Anche se i giramenti di testa mi stanno uccidendo.
Claire dorme ancora?-
No, decisamente non aveva le forze per espandere i sensi e cercarne il
battito cardiaco e il lieve rumore del respiro.
-No- rispose -E’ uscita a fare un po’ di spesa. Il suo frigo è anche
più vuoto del t…- Matt trattenne a stento un ghigno. Adesso aveva la
certezza che fossero soli, per cui non c’era momento migliore per
parlare di quello che era successo.
-Allora? Che sta succedendo, Foggy?- e all’improvviso, senza che
dovesse fare nulla per cercarlo, il battito del cuore dell’amico gli
arrivò forte e chiaro come una martellata, anzi, come un martello
pneumatico funzionante a pieno regime, tanto veloce da preoccuparlo
-Foggy? Stai bene?- chiese mentre si spostava dalla sua posizione sul
pavimento a una più comoda (e calda) sul materasso -Il tuo cuore è…
come impazzito-
-Me l’hai promesso, Murdock!-
-Non è colpa mia!- si difese subito, molto probabilmente più brusco del
dovuto -Riesco a malapena a sentire il mio di cuore! Ma il tuo sta
galoppando!- si rese subito conto del proprio errore e prese un
respiro. -Scusa- disse -Ma seriamente… che succede? Sei arrabbiato
perchè sono andato via con Stick?- Sapeva benissimo che era un’ipotesi
fiacca, che, nonostante tutto, la sua partenza e il ritrovamento non
gli avrebbero provocato un crollo del genere. Probabilmente, fosse
stata quella la ragione, Foggy l’avrebbe soffocato a suon di abbracci…
o ucciso a suon di calci in culo o prima l’uno e poi l’altro. Voleva
solo indurlo a parlare, a sfogarsi. Foggy rimase però in silenzio,
seduto accanto a lui sul materasso. Matt attese.
-Devi mangiare qualcosa- disse alla fine il biondo, alzandosi e
tendendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, guidandolo poi
fino a una sedia sulla cucina. Matt continuò ad assecondarlo, e si
sedette dopo averne testato i bordi con le mani per essere sicuro di
non finire con il sedere per terra. -Adesso ti provo la febbre, così
vediamo se ti servono delle medicine-
-Grazie, mammina- sogghignò Matt.
-Ordini di Claire - rispose immediatamente Foggy, sorridendo a sua
volta -E faresti meglio a obbedire. Scommetto che se la fai arrabbiare
può essere più pericolosa di Fisk-
-Non penso di volerlo scoprire- e nel dire questo diede un morso alla
mela che Foggy gli aveva appena messo in mano. Il suo stomaco accetttò
l’offerta di buon grado. Non riusciva ricordare esattamente l’ultima
volta che aveva mangiato. Ah no. Se la ricordava. Aveva mangiato una
pizza la sera prima dell’ultima punizione di Stick… e l’aveva vomitata.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre Matt finiva il “pasto” e
lasciava che Foggy si occupasse di lui. L’unico momento di tensione fu
l’attesa per il verdetto del termometro: il cieco sentiva la febbre
alzarsi, ma sperava di non essere ancora arrivato al punto di aver
bisogno di ulteriori medicinali. Li detestava perchè offuscavano i suoi
sensi ancor più di quanto facesse già la febbre per conto proprio,
facendolo sentire veramente disabile.
-Matty?- Matt quasi sobbalzò al nomignolo, più che altro perchè era
raro che Foggy lo usasse.
-Sì?- rispose esitante.
-StickhapresoKarenemihaobbligatoavenirtiaprendere- in un altro momento,
Matt non avrebbe avuto problemi a seguire le parole di Foggy, ma questa
volta aveva parlato così velocemente e così a bassa voce da risultargli
incomprensibile, tuttavia, l’improvviso cambiamento nel battito del suo
cuore, che aveva di nuovo accelerato fino ad arrivare a livelli
allarmanti, fu sufficiente a fargli capire che, qualunque cosa fosse
successa, non era niente di buono. Concentrò tutta la sua attenzione
sul suo migliore amico, doveva impedirgli di andare fuori di testa.
-Foggy. Foggy. Fog. Ehi. Calmati. Fai un bel respiro- lo istruì
toccandogli lievemente il braccio, cercando di tenere calma la propria
voce. Sentì che cercava di obbedirgli, ma il respiro soffocò in un
singhiozzo. -Prova ancora a parlare, più lentamente questa volta-
- Stick hai Karen atē usa nē ghara dē tuhānū laiṇa la'ī ithē ā'uṇa la'ī
majabūra kītā mainū-
Matt avrebbe riso fino alle lacrime al tentativo di Foggy di parlare
punjabi, così come aveva sempre fatto all’università, ma le parole
Karen e Stick all’interno di quella che supponeva essere la stessa
frase bloccarono la comicità della cosa da qualche parte tra il suo
stomaco e la sua gola, serrandogliela in una morsa micidiale,
soprattutto perchè non aveva idea di quello che Foggy aveva appena
detto.
-In inglese? Per favore?- non riuscì a non far trapelare l’ansia nella
sua voce.
-Stick… ha preso Karen- finalmente Foggy riuscì a spiegarsi, con la
voce tremante -Mi ha… obbligato a venire qui e a riportarti a casa- le
ultime parole Matt, più che sentirle, le indovinò, perchè ha metà frase
l’amico era crollato di nuovo scoppiando in un pianto convulso e così
disperato che Matt non riuscì a fare altro se non stringerlo in un
abbraccio stretto, uno di quelli che normalmente erano la specialità di
Foggy. Non osava pensare a come dovessero essere stati gli ultimi
giorni di Foggy. Matt non era di certo l’abbracciatore professionista
della Nelson & Murdock, ma strinse comunque la presa attorno al
corpo del socio, cercando di confortarlo e di tenere sotto controllo la
propria rabbia allo stesso tempo. Che cavolo, non aveva
volontariamene infranto il patto fatto con Stick, ed era sicuro
che il suo mentore lo sapesse bene. Aveva lasciato tutto nel loro
appartamento!
-Io… disp… piace… Matt… io… Non… Lui… Karen…-
-Va tutto bene, Foggy. Va tutto bene. Calmati. Respira- Matt sciolse
l’abbraccio per permettergli di respirare più liberamente, ma continuò
a tenere le proprie mani sui suoi avambracci per non privarlo
totalmente del contatto fisico. Lo sentiva tremare distintamente, e non
si fidava a lasciarlo andare, anche se sapeva benissimo che Foggy
poteva vederlo e quindi sapere che non se ne era andato. -Hai fatto la
cosa giusta- cercò di rassicurarlo, ma le sua non erano frasi fatte:
decidendo di consegnarlo, aveva davvero preso la decisione migliore per
tutti; Matt sapeva cavarsela -Non hai niente di cui scusarti. Calmati.
Pensa solo a respirare adesso, ok?-
Matt gli rimase accanto fino a quando Foggy riuscì a smettere di
iperventilare e a riprendere il controllo di sè; solo dopo si alzò e a
tentoni arrivò fino al lavello e a riempirgli un bicchiere d’acqua. Fu
un impresa, e la testa riprese a pulsargli fin dal primo passo, ma
riuscì a compirere la missione senza rompere niente. Stava tornando
verso le sedie quando trovò il braccio di Foggy, che lo condusse fino
al materasso in salotto, dove lo fece sdraiare. La sua emicrania
accettò l’offerta di pace e il mondo smise finalmente di girare.
Rifiutò quando fece per restituirgli l’acqua, spiegandogli che era per
lui che l’aveva presa.
-Grazie, Matty, ma… ti prego, stai buono. Devi riposare-
-Dobbiamo tornare a Hell’s Kitchen il prima possibile-
-No-
-Foggy… Karen è in pericolo! Se dovesse far arrabbiare Stick…-
-La picchierà. Lo so. Ci sono passato-
-Ti ha fatto del male?- chiese subito, maledicendosi per non averci
pensato prima. Era ovvio che gliene avesse fatto. Stick era Stick… e
Foggy… beh, Matt era sicuro che Foggy avesse cercato di opporsi con
tutte le sue forze prima di cedere.
-Niente che non possa gestire. Ora ascoltami, Cornetto. Dobbiamo
tornare indietro e molto probabilmente dovrai andartene di nuovo, lo
so. Lo capisco. Cioè, veramente no, però hai capito- Matt non riuscì a
trattenere un mezzo sorriso. Foggy poteva essere il migliore degli
avvocati, ma quando non era in modalità aula di tribunale riusciva a
incartarsi nelle sue stesse parole senza speranza di uscita. -Ad ogni
modo, prima di farlo, ti prenderai il tuo tempo per riprenderti!-
-Non c’è tempo…-
-Non c’è tempo per cosa?- chiese Claire in quel momento, facendo
sobbalzare entrambi mentre apriva la porta e rientrando nella casa con
in mano quelle che sembravano due borse piene di cibo.
-Dobbiamo tornare a New…-
-Non pensarci nemmeno, Matthew- lo interruppe lei bruscamente,
posando la roba a terra vicino al divano. -Non so cosa cavolo ti abbia
fatto questo Stick per ridurti in quello stato, ma mi ci sono voluti
due fottuti giorni per farti riprendere contatto con la realtà, e,
nonostante tutto, sei sobbalzato quando ho aperto la porta, quando come
minimo avresti dovuto sentirmi tre isolati più indietro!-
-Grazie, Claire- la benedisse Foggy.
-Claire…-
-Non ci provare, Murdock…-
-Almeno fammi spiegare…- ok, sì,stava praticamente implorando e non
solo lei. Stava implorando entrambi.
***
Claire non voleva dargli l’opportunità di spiegarsi, perchè era
praticamente certa che se ne sarebbe uscito o con uno dei suoi giri di
parole che lo rendevano con ottimo avvocato o, ancora peggio, con
una qualche spiegazione relativa al mistero che era il suo passato; ad
ogni modo, l’avrebbe sicuramente convinta a lasciarlo andare nonostante
le proteste di Foggy (e dell’infermiera che era in lei).
Tuttavia, doveva anche ammettere che una parte di lei era ansiosa di
conoscere cosa fosse successo e, soprattutto, chi era questo Stick e
com’era possibile che fosse in grado di mettere Matt KO in quel modo.
L’aveva visto mezzo morto più volte di quante le piacesse ammettere ma
nè Fisk, nè Nobu erano riusciti a terrorizzarlo fino a quel punto. Alla
fine sospirò e annuì.
-Ho appena annuito- specificò un minuto più tardi, realizzando che non
era riuscito a percepirla o qualunque fosse il verbo giusto per
descrivere il suo particolare modo di vedere il mondo. -Ma- aggiunse
subito dopo -Appena avrai finito prenderai medicine e antidolorifici…-
-Ok- rispose il cieco, un po’ troppo in fretta per non insospettirla
-Ora posso…?-
-Non così in fretta, Cornetto- lo interruppe chiamandolo con il
nomignolo che aveva sentito da Foggy e sorridendo alla sua reazione: un
adorabile misto tra esasperazione e divertimento, conditi da uno dei
suoi mezzi sorrisi che aveva imparato ad amare. - Lascerai anche che ti
visiti-
-Ma non c’è t….-
-Finisci la frase e la autorizzo ad anastetizzarti e a legarti finchè
non ti sei ripreso!- lo interruppe Foggy -Ecco il patto, avvocato: noi
ti lasciamo raccontare la tua storia, e tu dopo le lascerai fare il suo
lavoro-
-Ho altra scelta?- tentò di chiedere.
-Assolutamente no- I suoi amici gli risposero praticamente
all’unisono, e con lo stesso tono di voce, e questo gli fece capire che
non c’era modo di scamparla, questa volta, così si arrese. Più o meno.
-A una condizione, avvocato-
-Parla-
-Mentre parlo, Claire darà un’occhiata a te. Hai detto che Stick ti ha
fatto del male, e voglio essere sicuro che tu stia bene-
-Affare fatto-
Matt finalmente gli tese la mano e Foggy la strinse solennemente.
Claire non potè fare a meno di ridere, incredula.
-Ma fate sul serio?-
-Nelson & Murdock, baby- le rispose il biondo facendole
l’occhiolino -Avocadi-
-Se mai mi servisse un avvocato - rise lei, avvicinandosi a Foggy
-ricordatemi di non chiedere al vigilante cieco e al suo migliore
amico. Non sono certa che la frutta possa entrare in tribunale-
Fu ricompensata dalla risata genuina di Matt, e questo la rese felice.
Era ancora molto pallido, ancora più del solito, e dalla cautela con
cui si muoveva era chiaro che i suoi sensi erano ancora parecchio
sottosopra, bastava un movimento incauto della testa o che si spostasse
troppo velocemente per provocargli un’evidente scompenso, ma almeno
sembrava aver ripreso un costante contatto con la realtà, e Claire
sospettava che parte di questo miglioramento risiedesse nella presenza
di Foggy. Lei stessa doveva ammettere che da quando l’avvocato aveva
varcato la porta di casa, con le sue attenzioni, le sue premure e la
sua costante chiacchiera, si sentiva più positiva. Che avesse qualche
superpotere pure lui? -Foggy- ordinò poi entrando in una semi-seria
modalità infermiera -Sul divano. Matt. Inizia a parlare-
-Sei così dura con tutti gli uomini che ti porti a casa?- chiese il
biondo e non era sicura che fosse poi così indignato…
-Solo con quelli che vanno a immischiarsi con dei pazzi criminali e le
prendono di santa ragione- rispose e Foggy aprì la bocca per
risponderle… ma Matt scelse proprio quell’istante per stroncare i loro
giochi e iniziare a parlare.
Cominciò da quando aveva 9 anni e stava impazzendo, sopraffatto dai
suoi sensi che ora si erano pienamente sviluppati e gli impedevano in
qualunque modo di rimanere a contatto con le altre persone. Le suore
avevano pensato come prima cosa a un esorcismo (sul serio? negli anni
90, tendenti al 2000, le suore avevano chiamato un esorcista?), ma quando questo non
aveva funzionato, si erano limitate a chiuderlo in un ex sgabuzzino,
riadattato con un letto, lontano dai dormitori e dalle aree comuni, non
sapendo come altro dargli un po’ di sollievo. Parlò di come quell’uomo,
Stick, fosse comparso un giorno, all’improvviso e lo avesse addestrato
a diventare un guerriero. Ma non nella versione corta che aveva
raccontato a Foggy. Questa volta, forse per far loro capire quanto
fosse importante che lui tornasse al più presto da quell’uomo, scese
nei dettagli. La sua voce era ferma e tranquilla, come se fosse nel bel
mezzo di un’arringa in tribunale, ma c’era altro a tradirlo e a
rivelare quanto fosse forzata quella serenità e quanto fosse in realtà
difficile per lui parlarne : le sue mani erano strette a pugno tanto
che le nocche erano ormai bianche e il suo volto era fermamente puntato
al soffitto, gli occhi chiusi. Lei e Foggy avevano trovato una
posizione in cui riuscivano a scambiarsi sguardi senza muovere un
muscolo (e avevano già appurato che Matt al momento non era recettivo
come al suo solito, il che era un bene) e Claire riusciva chiaramente a
vedere quanto fosse sconvolto da quello che stava sentendo,
probabilmente come lei per la prima volta. Matt era sempre stato
piuttosto riservato sul suo passato o su come avesse acquisito le sue
capacità (al di là dell’incidente, ovviamente) e quello che stavano
sentendo aveva quasi dell’inumano. I due continuavano a guardarsi,
increduli, senza il coraggio di parlare, man mano che l’altro
continuava il suo racconto; ora gli risultava molto difficile
continuare a parlare, e Claire non sapeva dire se era per via dei
ricordi o del fatto che probabilmente i loro cuori al momento tradivano
i loro sentimenti: la voce a tratti gli tremava, o veniva totalmente a
mancargli o, ancora, gli uscivano alternate a singhiozzi, che soffocava
stoicamente con dei respiri profondi. Dopo quella che sembrava essere
stata un’eternità, finalmente Matt riaprì gli occhi.
-E questo è tutto. Stick è pericoloso. Ecco perchè devo tornare
indietro-
-Matt, ti farai uccidere- grazie,
Foggy.
-Meglio io che Karen- dichiarò l’altro, risoluto e se non altro questo
spiegava l’improvvisa fretta. C’era qualcuno in pericolo, e ovviamente Matt doveva sacrificarsi
per un bene superiore. -Come sta Foggy?- le chiese poi voltandosi verso
di lei.
-Starà bene- rispose, ed era sincera, perchè a parte qualche livido,
sembrava essere tutto intero. Sospirò, prima di voltarsi verso Foggy.
Quello che stava per dire non le piaceva, così come non sarebbe
piaciuto all’avvocato. -Foggy, quanto tempo abbiamo?-
-Per fare cosa?-
-Per metterlo in condizione di non farsi ammazzare non appena torna
indietro-
-Adesso sei d’accordo con lui?- Foggy era, giustamente, incredulo
-Davvero?-
No, non era assolutamente d’accordo con Matt, era fermamente convinta
che tornare da un pazzo assassino in quello stato fosse l’ultima cosa
da fare, ma aveva imparato a conoscere il loro ancora più pazzo amico
vigilante, e sapeva che se c’era qualcuno in pericolo per colpa sua,
non si sarebbe tirato indietro, quindi la miglior cosa che poteva fare
era di rimetterlo in sesto al meglio nel poco tempo che gli restava.
Inoltre, non voleva svegliarsi il mattino dopo e scoprire che era
scappato durante la notte per tornare a Hell’s Kitchen facendo parkour
di tetto in tetto.
-Sai meglio di me che non possiamo fermarlo. E non possiamo lasciare la
vostra amica nelle mani di Stick perciò….-
-Grazie, Claire…-
-Taci, Cornetto. Voglio solo essere sicura di non avere la tua morte
sulla coscienza. Hai preso le tue medicine?-
Non lo aveva ancora fatto ed era come sempre molto reticente, ma questa
volta lo obbligò. La febbre era di nuovo alta e lei voleva evitare di
infilarlo di nuovo nella vasca da bagno, se era possibile, senza
contare che con le care, vecchie medicine era più probabile che la
febbre non risalisse.
***
Matt stava cercando di pensare a cosa fare.
Claire aveva ragione, su tutti i fronti. Anche se fosse riuscito a
tornare a New York per conto proprio (e non era sicuro di riuscirci
senza soldi o mezzi di trasporto; non era stupido, sapeva che la sua
condizione fisica poteva essere al massimo definita pessima) non
sarebbe stato in grado di sopravvivere alla loro prima missione,
ammesso e non concesso di non lasciarci le penne durante la punizione
“made in Stick” che sarebbe sicuramente arrivata, ma allo stesso tempo
voleva mettere al sicuro Karen il prima possibile. Ovviamente, non
c’erano certezze sul fatto che Stick l’avrebbe liberata, ma per lo meno
avrebbe avuto un bersaglio più soddisfacente su cui scaricare la
propria ira.
-Foggy?- chiamò.
-Che succede?-
-Chiama Stick. Voglio parlargli-
A dire il vero non ne aveva poi tutta questa voglia, ma non potendo
rientrare, sperava almeno di convincerlo a essere paziente e a non
farle del male per qualche giorno, inoltre, se doveva essere sincero,
l’idea lo spaventava. Non aveva paura di Stick in sè, non l’aveva avuta
da bambino e di certo non avrebbe iniziato ora, ma l’uomo gli aveva
sempre rimproverato di essere un debole, principalmente perchè quando
ci andava più pesante del solito, spingendolo oltre i propri limiti, a
fine giornata doveva riportarlo a casa in braccio. Adesso, dopo molti
anni, avrebbe dovuto confessare di essere collassato in una chiesa e di
essere rimasto incosciente per un paio di giorni, e il tutto di natura
psicologica. E ovviamente non poteva confessare che il tutto fosse
stato scatenato da una ragazza di cui era innamorato.
-Ne sei sicuro?- chiese Foggy, come sempre intuendo che qualcosa non
andava. Il ragazzo era più bravo di lui a leggere le persone. E senza
superpoteri.
-Devo- rispose, evitando il più possibile di muovere la testa. Il
fottuto paracetamolo era entrato in circolo e tutto iniziava a farsi
confuso. La febbre stava iniziando a scendere, poco per volta, Matt
percepiva che a poco a poco il materasso gli sembrava meno freddo al
contatto con la pelle delle sue mani, ma in compenso gli effetti
collaterali del medicinale si erano presentati tutti a bussare alla
porta della sua testa, e avevano deciso di dare un fantastico party.
-Gli parlo io, ok?- Foggy gli mise una mano sulla spalla, rassicurante
-Perchè non dormi un po’ e lasci che le medicine facciano il loro
lavoro?
Matt si chiese distrattamente se una festa nel suo cervello fosse il
loro lavoro, ma Foggy aveva ragione e la parte della sua testa ancora
in grado di ragionare lo stava pregando di smetterla di tenerla
impegnata e di mettersi tranquillo per un po’ (o possibilmente per
sempre). Cercò di obiettare per un istante, cercando di rimettersi
seduto, ma a quel punto la sua testa rispose giocandosi la carta di
giramenti di testa e nausea degna delle migliori combo di una partita a
UNO e Matt decise di lasciare il tavolo e la festa.
-Lascia Claire fuori da tutto questo- fu la sua semplice, ed esausta,
risposta.
-Certo. Non preoccuparti, Matt. Ci penso io-
-Chiedi… di parlare…-
-Con Karen. Ovviamente. Ora dormi.-
***
A Matt, per una volta, non servì un secondo invito (e Foggy poteva
contare sulla punta delle dita di una sola mano il numero di volte che
era successo). Un paio di minuti dopo era già profondamente
addormentato e Foggy non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. In
tutti quegli anni di amicizia aveva visto tanto lati di Matt Murdock,
probabilmente tutti, ora che conosceva il suo segreto, e aveva imparato
quanto fosse sensibile alla febbre e alle medicine, e sperava che
dormendo riuscisse a trovare un po’ di sollievo.
-Come sta?- chiese Claire.
-Tachipirina 1 - Cornetto 0 - la informò - Si è appena addormentato-
-Lo chiamerai davvero? Stick, intendo-
-Sì. Non voglio tirare troppo la corda. L’ho già fatto, e guarda a cosa
ci ha portato. Per cui, sì, lo chiamerò.-
Claire si limitò ad annuire. A Foggy non era certo sfuggita la
silenziosità della ragazza, che infatti non aveva detto più di due
parole da quando Matt aveva finito la sua storia. Gli aveva dato le
medicine e controllato le ferite, poi si era scusata e si era rifugiata
nella propria stanza, mormorando qualcosa riguardo il letto da rifare,
e da lì non era praticamente più uscita, fino ad adesso. Non aveva
osato andare a bussare alla sua porta, un po’ per occuparsi di Matt e
un po’ perchè una camera da letto e una porta chiusa erano un segnale
ben preciso. Ora però…
-Claire?- chiese un po’ esitante -Va tutto bene?-
La ragazza lo guardò negli occhi e gli fece un sorriso triste, ma annuì.
-Sì… o almeno… lo sarà- gli rispose -Mi serve solo tempo per… digerire…
beh… lo sai-
-Ti capisco…- le rispose mettendole una mano sulla spalla -Senti… se
non vuoi sentire la chiamata, posso andare altrove. Potrei uscire…-
***
Ancora una volta Claire rimase colpita e spiazzata dalla grande
sensibilità di Foggy. Scosse la testa resistendo a stento alla
tentazione di abbracciarlo. Si era sempre ritenuta piuttosto brava a
nascondere i propri sentimenti, ma evidentemente i superpoteri non
erano un’esclusiva di Matt perchè a quanto sembrava era trasparente.
-No, tranquillo. Resta. Solo… starò nella mia camera, ok?-
-Ne sei sicura?-
-No aspetta- lo fermò -Forse è meglio se prendi tu la camera, così
posso tenere d’occhio Matt-
-Uhm… ahm. Giusto… ok. Grazie-
L’imbarazzo di Foggy di fronte alla prospettiva di rubarle la camera da
letto era talmente tenera che le strappò un sorriso mentre si sedeva
sul divano, gli occhi puntati clinicamente su Matt. Era tutto sudato,
ma di quello non era preoccupata, erano solo le medicine che facevano
effetto. Si avvicinò al materasso e gli scostò la coperta; il suo
istintivo sospiro di sollievo le strappò un altro sorriso e allo stesso
tempo fu sollevata del fatto che al momento fosse troppo sottosopra per
percepirla.
Le sue parole si erano impresse a fuoco nel suo cervello, che si
divertiva a riproporgliele a nastro. Non faceva fatica ad immaginarsi
un Matt bambino, con i suoi occhioni grandi e dolci, costretto ad
combattere e ad addestrarsi per diventare un soldato, per diventare
quello che sarebbe diventato l’Uomo Mascherato prima e poi Daredevil.
Prima che partisse le aveva detto che era diventato l’uomo di cui la
città aveva bisogno, ora sapeva che non era esattamente così.
-Non me ne frega un cazzo! Matt non si muove da qui!- la voce di Foggy,
all’improvviso alta, la fece sobbalzare. Trattenne a stento un grido di
sorpresa. Fortunatamente, la cosa non sembrava aver disturbato il sonno
del suo paziente. Con cautela, si alzò e fece capolino sulla porta
della stanza. Foggy era in piedi vicino alla finestra e le dava le
spalle. Tuttavia, le bastò vederne la postura per capire che si stava
arrabbiando. -E voglio parlare con Karen in meno di cinque minuti!-
concluse poi chiudendo la telefonata con un tocco deciso sul touch
screen.
Evidentemente vide il suo volto riflesso nel vetro, perchè
all’improvviso si voltò, un’espressione mortificata dipinta sul viso.
-Scusa- disse -non volevo urlare-
-Tutto ok?-
-Non lo so- sospirò lui -Non riesco davvero a capire questo tipo,
lo sai? Come diavolo è possibile che non gliene freghi niente di Matt?-
-Parli sempre del pezzo di merda che ha adottato un bambino cieco per
addestarlo a uccidere, lo sai vero?-
Per la prima volta, Foggy sembrò soffermarsi davvero sulla cosa, come
se fino a poco prima non avesse davvero realizzato quale fosse lo scopo
primario per cui Stick aveva insegnato a Matt a controllare le sue
capacità.
-Suppongo che questo chiarisca alcune cose… - Il telefono di Foggy
iniziò a suonare in quel momento. Rispose subito, improvvisamente teso
e Claire, mossa da non sapeva nemmeno lei quale istinto,gli disse di
mettere in viva voce muovendo solo le labbra. Lui annuì e obbedì.
-Voglio parlare con…- esclamò a mò di saluto.
-Foggy!- a rispondergli fu una voce femminile, spaventata ma comunque
ferma.
-Karen! Stai bene?- rispose, incapace di nascondere il sollievo nella
sua voce. Tuttavia, la successiva risposta venne da una voce maschile.
Era dura, e anziana.
-Adesso l’hai sentita, ragazzo. Adesso muovi quel tuo culo grasso e
riporta qui quel fottuto ragazzino prima che tu debba trovarti anche
una nuova segretaria!-
Quella voce. Quello doveva essere Stick, e il modo in cui stava
parlando di Matt, come se fosse stato un oggetto, le fece capire di
averne chiaramente abbastanza.
-Vedi di ascoltarmi, razza di coglione.- intervenne prima di avere modo
di collegare bocca e cervello -Matt si regge in piedi a malapena.
Conciato così sarà inutile per te e non ho intenzione di lasciarlo
uscire da questa casa, quindi fai un favore a tutti: rilascia la
ragazza, torna alla tua stupida guerra del cazzo e lasciaci in pace!- e
questa volta fu lei a chiudere la chiamata.
Sentendosi osservata, alzò lo sguardo e scoprì Foggy che la guardava
come se fosse una qualche specie di alieno appena spuntata dal nulla…
appena prima di sentire la risata di Matt provenire dall’altra stanza
della casa. Le loro voci alte dovevano averlo svegliato.
-Fantastico. Adesso ci ucciderà tutti sicuramente- si lamentò Foggy
mentre raggiungevano il loro amico, che trovarono ancora mezzo
assonnato, ma con un ghigno stampato in faccia, seduto sul materasso in
salotto.
-Naaa… non credo- rispose -sicuramente l’ha fatto incazzare, ma
probabilmente sarà anche impressionato. Nessuno osa parlargli così, di
solito. Tra parentesti, è stato parecchio figo-
Le sue parole la fecero arrossire, anche se non era sicura che gli
avesse appena fatto un complimento, ma era comunque contenta di essere
riuscita a farlo ridere genuinamente, nonostante non riuscisse
pienamente a nascondere la propria angoscia. E infatti, il buonumore
non durò a lungo. -Devo andare, comunque-
-Non se ne parla, Matt-
-Sto bene. Lo prometto- tentò di rassicurarla, ma a questo punto Claire
aveva imparato che a volte l’unica cosa che si poteva fare per tenere
in vita Matt Murdock era assecondarne la pazzia.
-Allora verremo con te- ribattè in un tono che non ammetteva repliche
-e se dici di no ti faccio dormire per il resto della settimana-
-Ora ho capito perchè ti piace, Matt- rise Foggy -E’ Stick, ma con le
tette!-
A/N: NON
immaginatevi Stick con le tette. Gli incubi mi hanno perseguitata per
una settimana, almeno. Io vi ho avvertiti.
Dal prossimo
capitolo... si torna a Hell's Kitchen... e da lì in poi ho perso il
controllo di personaggi e avvenimenti. Han fatto tutto da soli, giuro.
|
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Capitolo 12 *** Darts and glass ***
A/N: Eccomi
qui e, come al solito... perdonate l'immenso ritardo! Però ci siamo, il
capitolo 12 è finalmente finito!
Prima di
lasciarvi, come sempre voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno
recensito... questo fandom è piccolo e ogni recensione davvero mi
riempie di gioia!
Grazie anche
a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/da ricordare!
Bando alle
ciance... e buon capitolo 12!
Capitolo
12:
DARTS AND GLASS
Non viveva più in un mondo in fiamme. La sua realtà ora era fatta da
fitte di dolore e nebbia, che coprivano e offuscavano tutto ciò che lo
circondava.
Ricordava una partita a freccette contro la sua schiena, che ora
evidentemente si era trasformata in un torneo, perchè c’erano almeno
venti persone che lanciavano freccette contemporaneamente, impedendogli
perfino di respirare.
Si chiedeva chi cavolo avesse avuto la malsana idea di appendere il
tabellone sulla sua schiena. Probabilmente Foggy, ubriaco marcio, o
qualcun altro che avevano conosciuto al bar e li aveva convinti che
sarebbe stata una grande idea.
-Matt? Sei tra noi?- sentiva ancora la mano di Karen sul suo capo,
mentre gli accarezzava i capelli. Era sicuramente la loro segretaria,
perchè erano sicuramente una mano e una voce di donna (probabilmente
Foggy stava riposando. Per quanto tempo era rimasto incosciente, a
proposito?), tuttavia, il suo tocco e la sua voce, seppur familiari,
gli sembravano in qualche modo diversi. Probabilmente era solo
scombussolato. -Matt?-
Avvertì la preoccupazione nella voce della ragazza, e cercò di
risponderle, di dire qualcosa, ma se già respirare era impossibile,
parlare era praticamente impossibile. Non riusciva a tirare il fiato.
Ordinò ai propri occhi di aprirsi e mosse lentamente, molto lentamente,
la mano per incontrare quella della ragazza. Se si fosse limitato a
piccoli movimenti, il bersaglio sarebbe rimasto immobile e i giocatori
non si sarebbero arrabbiati, e chissà, magari avrebbero smesso di
mettere così tanta forza nei loro lanci.
Come previsto, i giocatori si calmarono e la forza dei lanci diminuì,
permettendogli (quasi) di respirare. Sfruttò il momento di relativa
calma per concentrarsi sulle mani, quella più vicina, che gli teneva
gli stringeva delicamente la sua e l’altra, che scorreva nei suoi
capelli.
No, decisamente non era la mano di Karen, ma non era nemmeno quella di
Foggy. A dire il vero, il suo calore, la stretta gentile, e quel modo
unico di accarezzargli i capelli, sembravano proprio quelli di…
Riascoltò mentalmente la voce, e non riuscì a non andare nel panico
quando capì di essersi sbagliato clamorosamente quando l’aveva
associata a Karen.
-No, no, no. Matt. Matt, calmati. Calmati.- Claire cercò di calmarlo,
spostando la mano dai suoi capelli alla sua guancia per accarezzarla
dolcemente, mentre l’altra si allontanò, cercando a tastoni qualcosa
che poi gli venne messo tra le braccia. -E’ tutto ok, Matt. Siamo a
casa tua. Stringi i guantoni, dai. Stringili. Sai a chi appartenevano.
Forza-
Cuoio rovinato, corde ormai sfilacciate e pronte a spezzarsi da un
momento all’altro, l’odore familiare. Erano i guantoni di suo padre,e
non c’era possibilità che Stick li avesse trovati.
Li strinse forte al petto, quasi piegandosi su sè stesso nel farlo,
ignorando il torneo in corso.
Che andassero a fare in culo, la prossima volta avrebbero appeso il
tabellone a una parete, se proprio avessero voluto giocare.
La presa sui guantoni lo aiutò finalmente a calmarsi e a concentrarsi.
Piano piano rilassò i muscoli, lasciando scemare il dolore.
Riprendendo lucidità, tornarono anche i ricordi, e con loro le parole
di Foggy. Giusto, non erano freccette. Erano pezzi di vetro. Molti
pezzi di vetro. Nella sua schiena. E doveva ringraziare Stick per
questo regalo.
-Matt?- la voce di Claire tornò a parlargli non appena riprese il
controllo delle proprie emozioni -Adesso ho bisogno che resti immobile.
Devo toglierti i vetri dalla schiena, e ti farà male. Puoi
sopportarlo?- Trovò da qualche parte la forza di annuire. Non era
sicuro di riuscirci, ma in qualche modo quelle cose andavano tolte, e
sicuramente dopo sarebbe stato meglio. Sentì qualcosa di morbido
premergli sulla bocca. Un bavaglio. No. No. Iniziò ad agitarsi,
gridando per il dolore, cercando di sottrarsi -Matt. Va tutto bene. E’
solo una maglietta. Apri la bocca, forza-
Claire stava di nuovo usando quel tono che lo avrebbe convinto a
obbedire a qualunque cosa gli avesse chiesto di fare: onesto, dolce e
fermo allo stesso tempo. Obbediente, aprì la bocca e lasciò che la
t-shirt gli venisse messa tra i denti. -Stringi forte quando ti fa
male, ok? Dovrai stare molto, molto fermo o dovrò anestetizzarti-
No. Tutto ma non l’anestesia. I suoi sensi ci avrebbero messo giorni a
tornare alla normalità e fino ad allora chissà cosa avrebbe potuto fare
Stick ai suoi amici, soprattutto se Claire si fosse lasciata andare a
un altro sfogo come quello che aveva fatto per telefono.
Annuì e cercò di prepararsi al dolore, ma dopo la prima fitta ci fu
solo il nulla.
Il nulla non era poi così male, in effetti. Il nulla non faceva male.
***
Scoprirono che Matt non andò oltre l’estrazione della prima scheggia
prima di svenire, e l’infermiera non potè fare a meno di sospirare di
sollievo.
-E’ davvero la cosa migliore che riesci a fare? Infilargli una
maglietta in bocca e sperare che svenga per il dolore?- Karen era
seduta sul pavimento, vicino al divano dove i ninja avevano depositato
Matt. Quando la donna di colore era uscita dall’armadio, la bionda si
era quasi presa un colpo, soprattutto perchè si era subito affrettata a
tagliare quello che restava della maglia di Matt e a controllargli le
ferite, senza dire una parola e senza lasciarle il tempo di capire cosa
stesse succedendo.
In tutto questo, Karen non aveva osato fiatare, troppo confusa e
spaventata per riuscire a elaborare una frase completa, soprattutto
dopo che l’aveva vista impallidire di fronte allo scempio che era
uscito una volta tolta definitivamente la maglietta nera. Ad ogni modo,
la ragazza aveva riguadagnato presto il sangue freddo e, nonostante
fosse privo di sensi, iniziò a parlargli a bassa voce mentre iniziava a
lavorare. Adesso, però, la rabbia che covava dentro da quando si era
ricongiunta con i propri datori di lavoro aveva preso il sopravvento.
-Rifiuta di prendere qualunque medicina- fu la calma (e quasi
distratta) risposta, data senza staccare gli occhi da Matt, mentre le
sue mani si muovevano lentamente sulla sua schiena alla ricerca di
piccole schegge invisibili ad occhio nudo, dando al ragazzo un po’ di
pausa tra una di quelle grandi e l’altra. -Mordere qualcosa non solo
eviterà che i vicini chiamino il 911, ma esorcizzerà il dolore,
aiutandolo a restare fermo- continuò poi, sempre senza guardarla
-perciò sì, è tutto quello che posso fare per aiutarlo. Sei Karen?-
-E tu chi sei? La puttanella di Stick?- Karen non riuscì a trattenere
la propria aggressività, anche se probabilmente questo suo
atteggiamento l’avrebbe portata a cacciarsi in un mare di guai, ma con
Foggy ostaggio di quel pazzo e Matt ridotto così non riusciva proprio a
controllarsi.
Probabilmente, se non fosse stata così sconvolta, avrebbe notato che
una collaboratrice di Stick non avrebbe avuto bisogno di nascondersi in
un armadio, ma non era decisamente nelle condizioni di notare certi
dettagli.
La donna, che finalmente riconobbe come colei che aveva assistito Elena
e Foggy la notte delle esplosioni, non le rispose, troppo concentrata a
togliere un grosso pezzo di vetro dalla scapola di Matt. Cinque o sei
altri frammenti erano già stati estratti, e ora erano appoggiati in un
piatto che aveva trovato della credenza della cucina. Guardandoli,
Karen non potè che darle ragione: probabilmente era davvero un bene che
fosse svenuto al primo, o il dolore sarebbe stato insopportabile. La
bionda all’improvviso trattenne il fiato: Daredevil o meno, Matt al
momento era completamente inerme nelle mani di quella donna, e ora
temeva che la sua impertinenza provocasse una vendetta, ma l’infermiera
sembrò non averla nemmeno notata, e rimase professionale, cercando di
fargli il meno male possibile.
-Questa era l’ultima- annunciò dopo aver estratto altri tre pezzi e
aver medicato e bendato il resto delle ferite, asciugandosi il sudore
dalla fronte usando la manica della camicia di Matt che stava
indossando.
-Allora? Sei quella che Stick chiama quando rischia di uccidere il suo
miglior soldato?- ora che il suo capo non era più sotto trattamento,
non riuscì proprio a contenere il proprio sdegno.
-Foggy non ti ha detto nulla?- Che cosa c’entrava ora Foggy?
-Foggy si è offerto come ostaggio per lasciare a Matt il tempo di
riprendersi- La donna sospirò, prima di voltarsi verso di lei, ma solo
dopo aver preso dolcemente la mano di Matt nella propria.
-Non lavoro per Stick, ok?- rispose, stanchezza ed esasperazione
trapelarono dalla sua voce -Non l’ho nemmeno mai incontrato. Sono solo
la ragazza fortunata che ha trovato un cieco moribondo nel suo
cassonetto nell’unica serata libera che aveva, ok? E, comunque, mi
chiamo Claire-
Nonostante la situazione, il modo in cui si era descritta non riuscì a
non strapparle un sorriso, senza contare che era stata gentile con lei,
nonostante il suo comportamento da stronza.
-Io di solito nel cassonetto ci trovo dei ratti giganti - le sorrise -A
te non è andata poi così male-
***
Claire non riuscì a non ricambiare il sorriso, nonostante fosse esausta
e volesse più di ogni altra cosa infilarsi a letto e dormire per almeno
un mese di fila. Si alzò, pensando che Karen non aveva tutti i torti, e
coprì Matt con una delle sue coperte super-morbide.
Erano passate solo due ore, due dannatissime ore, da quando Matt e
Foggy avevano lasciato l’appartamento per tornare da Stick, e quel
mostro in pochissimo tempo era riuscito ad arrivare a un passo
dall’ucciderlo. Foggy aveva avuto ragione.
Ma non poteva pensarci ora, Matt era al sicuro, aveva bisogno di
riposare, e lei doveva occuparsi anche di Karen. All’apparenza, non era
stata nemmeno sfiorata, ma non sempre le ferite lasciano segni
visibili, giusto?
Con un cenno della mano, la invitò a seguirla nella piccola cucina di
Matt per lasciarlo riposare (anche se dubitava che si sarebbe svegliato
tanto presto) e preparò un tè per entrambe.
-Cos’è successo?- le chiese tendendole la tazza fumante, da cui
proveniva il profumo di un infuso di frutti rossi.
-Non lo so. Ho sentito il rumore di qualcosa che si rompeva, e poi
Foggy urlare. Dopo un po’, i ninja di Stick sono entrati nella mia
cella, con Matt in queste condizioni. Foggy è rimasto per un po’ in
silenzio, poi ha fatto un patto con Stick. Io e Matt saremmo venuti
qui, e lui sarebbe rimasto come garanzia. Matt ha una settimana per
riprendersi e tornare a fare quello che faceva prima con quello
squilibrato.
Mentre l’ascoltava, Claire stava giochicchiando distrattamente con uno
dei pezzi di vetro ancora insanguinati che aveva estratto dal corpo di
Matt. Per la prima volta, a quelle parole, li guardò attentamente, e
non ci mise molto a riconoscere che fosse una delle fibre di vetro di
solito utilizzate per le finestre, di quelle che aiutavano ad attutire
i rumori provenienti dall’esterno e cercavano di minimizzare le perdite
energetiche. Sussultò e lo rimise nel piatto, prestando la massima
attenzione alla bionda di fronte a lei. Si rese conto che, troppo presa
da Matt, l’aveva completamente trascurata.
-Stai bene?- le chiese subito -Sei ferita?
-Eh?- sembrava quasi sorpresa,come se fosse anche lei talmente
preoccupata per il loro amico da non aver fatto caso a sè stessa. -No…
no. Sto bene. Sono solo dei graffi. Come sta Matt?
-Starè bene…- ed era la verità. Per un qualche miracolo non erano state
intaccate parti vitali -Beh, ovviamente se non darà di matto quando si
sveglierà e scoprirà quello che ha fatto Foggy- specificò -Gli ho dato
anche qualcosa per la febbre, e sto seriamente prendendo in
considerazione l’idea di tenerlo sotto sedativi per il resto della
settimana se non se ne sta buono.
Karen le sorrise, ma Claire notò comunque il leggero tremore nelle mani
della ragazza, che era probabilmente sia arrabbiata che spaventata a
morte. Claire sapeva esattamente come si sentiva. -Allora…- le
chiese rompendo il silenzio -Sai chi è? Matt, intendo.
-Adesso lo so- fu la risposta -E non ho idea di come faccia. Però… mi
ha comunque salvato la vita.
-Non sei… arrabbiata?.
-Con lui… e con Foggy. Ma farò i conti con loro quando tutto questo
sarà finito. Non sono un mostro, e non c’è gusto nel prendere a calci
in culo uno mezzo morto.
Claire non riuscì a trattenere una risata. Karen le piaceva; era forte
e divertente. Non esattamente il tipo di ragazza da “aiuto sono una
principessa in pericolo, vi prego, salvatemi”- Sambrava proprio il
genere di persona di cui Matt avrebbe potuto innamorarsi, persò
sorseggiando il proprio te.
E perchè stava pensando una cosa del genere, ora?
-Lo terrai davvero sedato per una settimana?- Karen interruppe i suoi
pensieri -E’ ferito, se ne starà buono comunque.
Claire rise ancora, senza riuscire a trattenersi, ma solo perchè ridere
era comunque meglio che pensare a quanto sarebbe stata dura tenere Matt
su quel divano dopo avergli detto che il suo migliore amico era nelle
mani di Stick. -Che c’è di così divertente?
Giusto. Karen di Matt aveva visto l’avvocato e la persona sempre
gentile e pacata che era quando non si divertiva a picchiare i
malviventi sotto una maschera. Probabilmente aveva anche visto quanto
potesse essere caparbio nel suo lavoro, ma di certo non l’aveva visto
in questo genere di situazioni.
-La notte che l’ho incontrato- spiegò, lasciando che le labbra le si
incurvassero in un sorriso nostalgico al ricordo -gli era collassato un
polmone. Dopo un’ora era di nuovo sulle strade a combattere dei russi
che avevano rapito un ragazzino. Ora parliamo di Foggy, per cui no,
credimi, sarà tutto tranne che tranquillo.
Karen si voltò verso il divano, e Claire ne seguì lo sguardo, mentre la
rabbia tornava a salirle in corpo. Matt era ancora privo di sensi, la
bocca ancora dischiusa dopo che aveva sfilato la maglietta, la schiena,
nascosta da una coperta morbida, piena di punti e bende che
proteggevano le ferite. Se le sue ipotesi erano giuste, Stick lo aveva
con molta probabilità lanciato giù da una finestra e dopo, a giudicare
dai lividi che stavano comparendo, doveva anche averlo riempito di
botte, e probabilmente Matt non aveva nemmeno cercato di difendersi,
per mancanza di forze o, forse, per non rischiare ripercussioni sui
suoi amici. Chiuse le mani a pugno e si ficcò le unghie nella carne,
respirando lentamente per calmarsi.
-Fo… Fog… - la voce di Matt a malapena definibile come un sussurro,
tanto che l’unica cosa che la convinse di averla sentita davvero fu il
fatto che Karen era impallidita. Il ragazzo era perfettamente immobile,
con gli occhi chiusi, e per un attimo Claire non fu certa che fosse
sveglio. Si avvicinò cautamente, fermando Karen con un cenno della mano
quando la segretaria accennò a seguirla. Non sapeva quale sarebbe stata
la reazione di Matt a un eventuale contatto fisico, e al momento non
poteva proprio permettersi un secondo paziente. -Fog… a… aiuto.
-Matt?- Claire sussurrò il suo nome senza però avvicinarsi troppo al
divano. Non ci teneva a venire colpita -Matt? Sei sveglio?- Riusciva a
malapena a sentire la propria voce, ma non dubitava che a lui sarebbero
arrivate forti e chiare. Matt aprì gli occhi.
-Cla… non… r… riesco… a… muov…
Ok, questo non era un buon segno. Era uno di quei segnali abbastanza
allarmanti da spaventarla e farle perdere la calma, soprattutto perchè
si trovava di fronte a mister “non mi ferma nemmeno un polmone
collassato”. Fece mente locale (non che avesse poi bisogno di
concentrarsi molto, la mappa delle schegge nella sua schiena le si era
stampata in testa, e probabilmente sarebbe tornata a tormentarla la
notte) e ricordò che alcuni pezzi, i più grandi, erano penetrati in
profondità nella carne, e si chiese, per la prima volta e maledicendosi
per non averlo fatto prima, se non avessero causato una qualche
emorragia interna o danneggiato qualche organo.
-Karen- mormorò, sforzandosi al massimo di mantenere un tono di voce
calmo, non voleva agitare nè Matt nè la ragazza. -Stai pronta a
chiamare il 911 non appena te lo dico, ok? Componi il numero e tieni il
dito pronto a schiacciare l’inoltro di chiamata.
-No…. Amb… anza.
Claire ignorò l’implorazione.
-Cornetto, adesso ascoltami bene, ok? Mi stai ascoltando?- Un
impercettibile cenno con la testa. La stava ascoltando. -Ora sentirai
qualcosa di freddo e metallico sulla pelle. E’ uno stetoscopio, lo
usero per auscultare gli organi interni. Cercherò di essere delicata,
ma probabilmente ti farà un po’ male dove sei ferito. Se sento qualcosa
che non sia la tua normale respirazione, ti portiamo in ospedale. Non
posso curarti se devo aprirti per drenare un’emorragia. Siamo
d’accordo?-
-D’a….o-
Claire sospirò di sollievo. Quel che restava del suo buon senso (perchè
gran parte evidentemente aveva fatto le valigie e se ne era andato la
notte che la sua vita aveva incrociato quella di Matt Murdock) la
stava implorando di portarlo immediatamente in ospedale, ma si riteneva
fortunata che avesse accettato quel patto. In una giornata migliore (o
peggiore?) non sarebbe riuscita a ottenere una risposta diversa da un
secco “no”, quindi mise a tacere la sua coscienza e si costrinse a
considerarla una vittoria e tornò al lavoro. Come promesso, cercò di
appoggiare a malapena l’estremità metallica dello strumento sulla pelle
nuda del ragazzo, a cui sfuggì comunque un gemito di dolore.
Ignorò la fitta al cuore che la colpì e spostò il tondo in
corrispondenza degli organi principali: cuore, polmoni, bronchi, fegato
e milza, rimanendo su ognuno un tempo maggiore di quello che
normalmente era necessario per cuore e polmoni, ma c’era un motivo se
avevano inventato le ecografie per individuare certi tipi di problemi.
Sfortunatamente, un ecografo non passava proprio inosservato se veniva
fatto sparire da un ospedale, e costava decisamente più di uno
stetoscopio.
Non avvertì nessun rumore anomalo, e non sapeva se essere contenta o
meno.
Nel dubbio, imprecò.
E imprecò di nuovo, questa volta direttamente contro Matt, quando in
risposta le sue labbra di sollevarono leggermente in una smorfia
esultante. Aveva vinto. Di nuovo. L’insulto lo fece sorridere di nuovo,
e non potè fare a meno di ricambiare, questa volta, passandogli
dolcemente le dita tra i capelli sudati in segno di conforto.
-Ac...a-
-Acqua?- gli chiese Claire. Era difficile capire esattamente quello che
stesse dicendo, ma non poteva chiedergli di fare più di così. Senza
antidolorifici in corpo, con lo shock della caduta e lo stress
dell’intera situazione, l’eloquenza era una delle ultime cose a cui
Matt doveva pensare. Un cenno della testa le disse che aveva
indovinato. Si alzò dalla posizione accovacciata in cui era solo per
trovarsi accanto Karen, pronta con un bicchiere e una cannuccia che
aveva pescato da chissà dove nella dispensa di Matt. La biondina le
porse entrambe le cose, poi fece un passo indietro, lasciandole campo
libero per lavorare. Claire questa volta si mise più comoda, mettendosi
in ginocchio sulla tappeto. -Matt, apri la bocca-
Se non altro, sapeva quando era il caso di obbedire. Peccato se ne
ricordasse solo quando era in punto di morte. Gli infilò piano la
cannuccia, lasciandogli il tempo di capire cosa fosse e richiudere
quelle labbra. -Succhia- gli ordinò -lentamente-
-Grazie- sussurrò quando il bicchiere fu vuoto, ed era a malapena un
sussurro, come quando si era svegliato, ma questa volta era una vera e
propria parola, quindi probabilmente doveva solo dargli il tempo di
riposare e calmarsi.
-Riposa- gli sussurrò quindi -Ne hai bisogno-
Non ebbe bisogno di ripeterglielo, non era nemmeno sicura che l’avesse
sentita pronunciare l’intera frase, tanto velocemente tornò
nell’incoscienza. Si voltò di nuovo verso Karen, che era ancora molto
pallida, con gli occhi spalancati dallo shock e dalla paura. Si
avvicinò e la prese gentilmente per un braccio, guidandola lentamente
verso la sedia più vicina; la sentiva tremare leggermente.
-Karen? Stai bene?-
-Come puoi… sopportarlo?- le rispose la segretaria, sforzandosi di
mantenere ferma la propria voce, stringendo le braccia attorno al
proprio petto. -E’... terribile. Non… sembra… nemmeno...lui-
-Karen. Ascoltami, ok? Starà bene, te lo prometto. Deve solo riposare e
calmarsi-
-Non riesce nemmeno a parlare!-
-E’ spaventato, Karen, e dolorante. Dagli un pochino di tempo, ok? Fai
una cosa, mettiti a letto e dormi almeno un pochino anche tu. Sei
esausta. Resto io con lui-
-Non posso… io…- la biondina non riuscì a finire la frase. La voce le
si ruppe in gola e lacrime cominciarono a scendere sulle sue guance, il
corpo scosso dai singhiozzi.
Claire se lo aspettava, e non ne fu troppo preoccupata. Quella ragazza
era davvero forte, ma l’ultima settimana era stata dura per lei: era
stata rapita, ricattata, e, ciliegina sulla torta, aveva scoperto che
il suo capo, un ragazzo mite, educato e cieco, era il vigilante
mascherato che le aveva salvato la vita; e adesso la stessa persona era
stesa su un divano, incapace di muoversi o formare una frase completa.
Il collasso era inevitabile.
Claire la fece di nuovo alzare e la accompagnò nella stanza di Matt,
chiudendo la porta dietro di loro per evitare che Matt si svegliasse.
Non sapendo bene che altro fare, la abbracciò stretta, sperando che si
calmasse. Karen, ovviamente, la respinse e Claire non insistette più di
tanto. La aiutò a stendersi a letto, facendole appoggiare la testa su
uno dei morbidi cuscini di Matt. La biondina vi nascose il volto e
l’infermiera le rimase accanto, ascoltandone i singhiozzi. Alla fine
Karen riuscì a ricomporsi, e si voltò a guardarla.
-Mi… mi dispiace-
-No, tranquilla. Va tutto bene- Claire si allontanò per un attimo, ma
solo per prenderle un bicchiere d’acqua e un paio di pastiglie -Bevi.
Ti aiuteranno a dormire e a rilassarti-
-Non posso prenderle…- obiettò -Matt…-
-Karen, ascoltami. Matt è il peggiore incubo di ogni infermiera- ma il
sorriso che le salì spontaneo al volto tradì il fatto che la cosa era
ben lontana dall’infastidirla davvero -Domani dovremo dirgli che il suo
migliore amico, senza alcuna capacità se non quella di cacciarsi nei
peggiori guai per proteggerlo, si è offerto come ostaggio per dargli la
possibilità di farsi curare. Ecco, questo lo renderà, se possibile,
pure peggio di un incubo e toccherà a noi due sorvergliarlo a vista per
evitare che si fiondi da Stick a farsi uccidere per liberarlo. Quindi,
ti prego, ho davvero bisogno che ti riposi. Non posso farcela da sola.
Quindi, ti prego, Karen, se non vuoi vedermi impazzire, dormi un po’...-
Karen sospirò, ma bevve e poi tornò a stendersi.
-E’ Matt. Non può essere così terribile…- sorrise chiudendo gli occhi.
-Lo scoprirai domani. Ora, dormi-
***
Foggy.
Matt si svegliò di soprassalto, mettendosi seduto sul divano.
La testa gli pulsava e la sua schiena mandava scariche di dolore per il
movimento improvviso, ma riuscì comunque a sedersi, soffocando un gemto
di dolore per non svegliare Claire. Il dolore scemò abbastanza
velocemente, segno che si trovava sotto antidolorifici, ma non sentiva
la testa pesante e i suoi sensi non erano ovattati come dopo
un’anestesia,
Percepiva chiaramente l’infermiera che dormiva accanto a lui,
accoccolata sul tappeto ma con la testa e le braccia poggiate sulla
seduta del divano. Cercò di muoversi il meno possibile, ma era già
troppo tardi: il suo battito cardiaco aumentò leggermente e il respiro
si fece meno profondo. Pochi secondi dopo alzò la testa.
-Scusa- sussurrò, tenendo la voce bassa per non svegliare Karen, che
invece dormiva ancora beatamente nel suo letto. Claire gli sorrise in
risposta e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Si concese un
sorriso rilassato in risposta, appena prima di notare che in lei c’era
una strana tensione e… un attimo.
Incluso lui, sentiva solo tre battiti cardiaci. Per quale cavolo di
motivo non sentiva quello di Foggy? E che ci facevano nel suo
appartamento? Cosa era successo? -Claire?- chiese, non riuscendo a
sopprimere completamente la nota di panico che si era impossessata di
lui in risposta all’assenza del suo migliore amico. Lasciò il resto
della domanda sospesa nell’aria tra loro. Era anche l’uomo senza paura,
ma in questo momento non riusciva a trovare il coraggio che gli serviva
a completare la domanda e, allo stesso modo, che Claire sapesse quello
che stava per chiedere e non fosse ansiosa di rispondergli, e questo
non aiutava di certo la sua paranoia. Eppure doveva farlo. Non poteva
non sapere. -Dov’è… Foggy?-
Il silenzio che ne seguì fu abbastanza da mandarlo quasi in panico.
Fu probabilmente la sua improvvisa tensione a convincere la ragazza a
rispondergli, finalmente.
-Matt- lo pregò -promettimi che non farai niente di stupido. Promettimi
che non tornerai subito da Stick, che aspetterai finchè non ti sarai
rimesso-
Ok, ora era ufficialmente in panico.
-Cosa è successo, Claire?- chiese, con una nota di acciaio nella voce.
Se Stick aveva fatto del male a Foggy...
La sentì prendere un lungo, profondo, respiro prima di parlare.
-Foggy è vivo, e sta bene- iniziò, e Matt rilascio finalmente il fiato
che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento. Foggy era vivo e
stava bene. Ok. Annuì.
Più rilassata, Claire lo aggiornò su quello che era successo e che
Karen le aveva raccontato. Matt ascoltò tutto in silenzio con gli occhi
chiusi, lasciando che ogni parola penetrasse dentro di lui. Sentì la
mano di lei spingerlo a stendersi, ma oppose resistenza e alla fine
Claire smise di insistere. Non poteva riposare, non quando tutto ciò a
cui riusciva a pensare era Foggy. Foggy che si era sacrificato per lui,
Foggy che detestava Daredevil, Foggy che era una delle persone più
pacifiche che conoscesse al mondo (tranne quando un certo vigilante lo
faceva arrabbiare), Foggy che aveva sempre il sorriso stampato in
faccia ed era sempre pronto ad aiutare. Foggy, che adesso era nelle
mani di Stick, da solo.
-Matt?- la voce di Claire esitò, preoccupata.
Scacciò con un gesto rabbioso le lacrime che gli erano salite agli
occhi.
-Voglio parlare con Stick- la voce gli uscì roca, ma ferma.
In realtà “voglio parlare con Stick” non copriva nemmeno lontanamente
quello che avrebbe voluto fare. Avrebbe voluto tornare indietro
immediatamente, liberare Foggy e, forse, riempirlo di botte per aver
messo la propria vita in pericolo (Disse quello che pestava delinquenti
vestito da diavolo…) e poi, forse, abbracciarlo come mai aveva fatto
prima, perchè mai nessuno finora aveva rischiato tanto per lui. Ma
Claire (e Foggy) avevano ragione: non sarebbe sopravvissuto a un altro
volo come quello, senza contare che riusciva a malapena a muoversi,
quindi sarebbe stato praticamente inutile, ed essere inutile intorno a
Stick equivaleva a diventare un bersaglio su cui il vecchio sfogava la
propria rabbia. Tuttavia, chiamare Stick era un primo passo: sentiva un
bisogno quasi fisico di sentire con le proprie orecchie che Foggy
stesse bene e Stick avrebbe mantenuto la parola data
-Domani mattina, Matt. Te lo prometto- Claire cercò di nuovo di
spingerlo giù -Ora, per favore, prova a rilassarti e a dormire, ok?-
Stava di nuovo usando quel tono, e Matt non potè fare altro che
obbedire come un bravo bambino. Odiava quando parlava in quel modo. E
odiava quell’adorabile sorriso soddisfatto che sentiva che stava
nascendo sulla sua bocca, e che avrebbe dato qualunque cosa per vedere,
anche solo per un secondo.
-Posso avere dell’acqua, per favore?- le chiese e quando tornò, stava
cercando di nuovo di alzarsi.
-Quale parte non era chiara di “prova a rilassarti e dormire”?-
-Cercavo solo di andare a controllare Karen. Sta bene?-
-Siediti- Claire lo spinse gentilmente sul divano e gli piazzò il
bicchiere tra le mani con una decisione che gli fece capire che forse
non era il caso di obiettare. Era un avvocato, dopotutto, sapeva
riconoscere una causa persa. -Sta bene- riprende quando fu certa che
non avrebbe cercato di alzarsi di nuovo. -Le ho dato qualcosa per
aiutarla a dormire. Ah, e ha anche detto che quando tutto sarà finito
prenderà a calci il tuo grazioso culetto e quello di Foggy. Sembrava
abbastanza seria, se vuoi la mia opinione-
Matt non trattenne un sorriso. Non aveva nessun dubbio riguardo la
serietà della ragazza, ed era anche sollevato: se pensava a prenderli a
calci, allora stava bene.
-Anche tu dovresti dormire- le disse, percependo quanto fosse stanca
con una fitta di senso di colpa. La stanchezza di Claire era solo
l’ultima cosa sulla lista delle cose che i suoi amici, la sua famiglia,
stavano passando per colpa sua. Prima Karen era stata presa in
ostaggio, ora Foggy, Claire era stata trascinata via dalla sua nuova
vita e adesso a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e lui era
conciato come uno straccio e non c’era alcuna possibilità che potesse
fare qualcosa per aiutare anche solo uno di loro.
-Matt. Smetti di pensare- Con un singolo, fluido movimento, Claire si
sedette accanto a lui e gli passò un braccio attorno alle spalle. -Non
è stata colpa tua. Ci siamo tutti infilati in questo casino perchè ti
vogliamo bene e teniamo a te, e non vogliamo vederti morto o, peggio,
trasformato in un killer o uno di quei ninja, ok? Non ci hai costretto
tu. E’ stata una nostra scelta- Come faceva a sapere quello che stava
pensando? Era davvero un tale libro aperto per lei? -Stai di nuovo
facendo quella faccia, quella che dichiara al mondo che sei il Diavolo
e nessuno dovrebbe starti vicino- Ok, forse lo era.
-Claire…-
-Matt, ha ragione- la voce di Karen li fece sobbalzare entrambi. Non
l’aveva proprio sentita svegliarsi o muoversi fino a raggiungere il
salotto. Sentì i suoi passi leggeri avvicinarsi mentre la sua forma
infuocava si sedeva vicino al lui, dall’altro lato rispetto a Claire.
-Te l’ho già detto, e te lo ripeto ora: non sei solo, Matt. E non sei
un Diavolo… mi hai salvato la vita ed evitato una condanna per
omicidio, ricordi?-
-E hai salvato me dai russi- le fece eco l’infermiera.
-Sì, che ti hanno rapita per arrivare a me, perchè sapevano che mi
avevi aiutato-
***
Ci risiamo.
Matt era caduto di nuovo in uno dei suoi loop mentai in cui si riteneva
responsabile per tutti i mali del mondo, incluse le guerre sante, il
nazi-fascismo, la bomba atomica e la mela mangiata da Eva. Claire aveva
iniziato ad associare questi periodi a un ciclo mestruale, perchè
lasciavano il ragazzo silenzioso, irritabile e, soprattutto, irritante
e, cosa peggiore, tornavano a intervalli più o meno regolari. Quando
succedeva, non c’erano parole o azioni che potessero convincerlo del
contrario, perchè finire mezzo morto nei cassonetti non era una prova
sufficiente che stesse già facendo anche più di quanto fosse possibile
per tenere al sicuro quante più persone poteva. L’infermiera sospirò,
preparandosi mentalmente a una lunga notte, quando Karen interruppe i
suoi pensieri.
-Si’, in effetti fai schifo-
Claire non fu l’unica a sobbalzare. Matt si voltò di scatto verso la
biondina, lo sguardo sorpreso di chi ha appena ricevuto un colpo in
faccia che subito si trasformava in senso di colpa. Claire fece per
intervenire, ma poi qualcosa nell’espressione di Karen le suggerì di
aspettare e vedere dove sarebbe andata a parare. Sperava solo che non
finisse troppo male. Claire rivolse lo sguardo verso Matt… e il suo
cuore perse qualche battito.
Karen era rimasta in silenzio, mentre Matt… Oh, mio Dio. Sembrava…
completamente sconvolto e perso, totalmente è incredibilmente tenero,
con gli occhi spalancati e umidi, sull’orlo delle lacrime. Stava
trattenendo il respiro, cercando di prepararsi a qualunque altra cosa
Karen gli avrebbe detto. Claire la guardò di nuovo, e vide che stava
digitando qualcosa sul telefono, dove Matt non avrebbe potuto leggere
nemmeno con i suoi supersensi. Karen voltò il telefono verso di lei.
“Reggimi il gioco” prima di parlare di nuovo -Lo prendo come un
insulto. Claire?”
Che diavolo voleva dire? Decise in mezzo secondo.
-Concordo- disse, convinta. Era quasi sicura che Matt non era nelle
condizioni di percepire qualcosa dal suo battito cardiaco.
-C...Cosa?- Matt pose la domanda nel tono più timido che Claire potesse
immaginare, a stento in grado di evitare di scoppiare in lacrime. Era
una vista che spezzava il cuore.
Ti prego, Karen, se è uno scherzo
chiudilo, qui. Ti prego.
-Sei da solo,- riprese la parola la segretaria -in casa tua, con due
donne stupende a prendersi cura di te… dovresti assolutamente essere un
fottuto diavolo!-
L’allusione era così evidente che Matt divenne all’improvviso più rosso
del suo costume. Come cavolo faceva ad essere ancora più tenero di
prima? Claire scoppiò a ridere di fronte al suo imbarazzo, sicuramente
frutto della sua educazione cattolica, e fu sollevata quando vide il
suo viso accendersi in una risata leggera, i suoi muscoli rilassarsi
mentre la tristezza veniva, almeno in parte, spazzata via dallo
scherzo.
Fu anche sopresa quando si rese conto che il ragazzo non era stato
l’unico ad aver bisogno di farsi una risata, anche lei si sentiva
decisamente meglio, e anche Karen aveva ripreso colore. Aveva appena
salvato la giornata.
Tornò alla realtà quando le ferite di Matt si fecero sentire,
trasformando la sua risata in una tosse dolorosa e soffocata. Claire fu
subito pronta a sorreggerlo e a farlo stendere, ma quando si calmò
stava ancora sorridendo, quindi probabilmente non stava poi così male.
-Vi odio, ragazze-
-Bene- replicò Claire -Allora dormi, così non dovrai vederci-
-Claire, sai che sono cieco, vero?-
-Dormi, cornetto- gli ordinò dandogli un bacio leggero sulla fronte.
-Anche tu, Claire- ed era serio. Annuì senza protestare. Era esausta.
-Promesso, Cornetto. Il tuo tappeto è caldo e comodo-
-Aspetta- intervenne Karen all’improvviso -Matt ha un letto
matrimoniale, perchè non vieni a dormire? C’è abbastanza spazio per noi
due-
Claire ci pensò un attimo sopra, poi concluse che sarebbe comunque
riuscita a sentire se Matt avesse avuto bisogno del suo aiuto, per cui
annuì.
-Posso unirmi a voi?- Matt colse la palla al balzo. Fu ricompensato
dall’attacco simultaneo con i cuscini da parte delle ragazze -Ahi! Ehi,
sono ferito!-
-Buonanotte, Matthew-
A/N: Grazier
per essere arrivati fin qui! Fatemi sapere cosa ne pensate!
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