Immortale

di DaisyBuch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Appassimento ***
Capitolo 2: *** Rosso Sangue ***
Capitolo 3: *** Theresa Aster ***
Capitolo 4: *** Presagio ***
Capitolo 5: *** La Proposta ***
Capitolo 6: *** Condizioni ***
Capitolo 7: *** Morte ***
Capitolo 8: *** Il Risveglio - Parte Seconda ***
Capitolo 9: *** Ritorno ***
Capitolo 10: *** Somiglianze ***
Capitolo 11: *** La sorella scomparsa ***
Capitolo 12: *** Demone ***
Capitolo 13: *** Il prezzo della morte ***
Capitolo 14: *** Ricordi ***
Capitolo 15: *** Il Re pazzo ***
Capitolo 16: *** Il Velo, il Banchetto, l'Arrivo ***
Capitolo 17: *** Merenwen Telperien ***
Capitolo 18: *** Doppelganger ***
Capitolo 19: *** Sospetti e Preghiere ***
Capitolo 20: *** Il Prediletto della Regina ***
Capitolo 21: *** Dichiarazioni ***



Capitolo 1
*** Appassimento ***


Amalia stava impugnando delicatamente la piuma per scrivere, le faceva fare movimenti semplici e fluenti, come se stesse suonando l’arpa. Si fermava poche volte, giusto per farle riprendere il colore, e poi ricominciavano a danzare insieme. Stava scrivendo una lettera per suo padre, che era partito tempo fa per calmare delle insurrezioni ad Est ed ancora non era tornato. Sospirò fievolmente e firmò la lettera, marchiandola con il sigillo reale. Rosso, come il suo colore preferito. Quella pressione le richiese particolare forza, ora che la sua salute era cagionevole.
Si alzò dalla scrivania di legno della sua stanza, aprì leggermente la porta e pose delicatamente la lettera nelle mani di Philip, una delle sue guardie, che la guardò preoccupato. Amalia non aveva detto nulla a suo padre riguardo la sua malattia, che ormai si era aggravata notevolmente.
-Tornerà presto e voi guarirete.- la rassicurò Philip.
 Lei sorrise debolmente e lo guardò camminare rumorosamente verso le scale. Rimase appoggiata alla porta di legno assieme all’altra guardia che era in sua compagnia da poco, lei non aveva mai fatto molto caso ai loro volti. Sempre seri, sempre diffidenti. Ma Philip era con lei da molto tempo, da piccoli giocavano insieme. Oramai l’età dei giochi era passata, e Amalia sentiva un’insostenibile responsabilità sulle sue fragili spalle. Anche sua madre era morta di malattia e suo padre reggeva un regno da solo da troppo tempo. Avevano bisogno di un principe, un futuro re. Lei era l’unica figlia e le era stato affidato il compito di trovare un uomo da sposare prima della fine dell’anno. I giorni passavano velocemente. Amalia non provava nemmeno ad uscire dal castello. Faceva delle lunghissime passeggiate nei giardini ma sempre nei luoghi dove c’erano le tenebre, non si esponeva mai al sole, come se potesse succhiarle quell’ultima parte di vitalità che le era rimasto. Inoltre le sembrava come se i raggi corrodessero la sua pelle bianchissima, da cui trasparivano le vene. I suoi capelli biondo ramato intrecciati tra lacci e nastri rosa stavano ormai spezzandosi, le punte erano diventate secche come paglia. Li raccolse tra le dita mentre era seduta vicino al sepolcro di sua madre, che un tempo glieli pettinava ogni giorno due volte. Lei li aveva lasciati crescere perché non voleva tagliare ciò che un tempo la madre aveva curato, erano arrivati alla vita già da molti mesi e non davano cenno di crescere più di così. Le labbra un tempo rosse e piene erano diventate screpolate e pallide. Tutto in lei stava morendo.






Ciao a tutti, vorrei precisare che questa è solo una introduzione, solitamente i miei capitoli sono più lunghi ma spero che vi piaccia :) 
Se vi va sentitevi liberi di lasciare qualsiasi tipo di commento, anche un "fa schifo" è apprezzato. Buona giornata e spero che continuiate a seguire questa storia.

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Capitolo 2
*** Rosso Sangue ***


Era una festività ricorrente, quella di quel giorno. Si chiamava Imbolc*, e si festeggiava la fine dell’Inverno. Tutto il Regno veniva accolto nel castello, o meglio, nella parte bassa del castello e venivano offerti formaggi e latte ai cittadini. Ogni cittadino inoltre doveva portare con sé una candela da accendere significante l’arrivo della stagione dei fiori. Dato che suo padre non c’era spettava ad Amalia accogliere le persone e presiedere la cerimonia. Purtroppo non aveva scelta.
Quella mattina fu lavata e vestita con più cura, i suoi capelli vennero adornati con lunghissime trecce che le cadevano davanti alle spalle, ed il vestito che aveva indosso aveva più pizzo del solito.
Sorrise alla serva e la mandò via. Senza guardarsi nemmeno allo specchio prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Si affacciò alla finestra e vide l’orda di persone che entravano nella sua casa, spaventata si chiuse in penombra e si sdraiò sul letto. Dormiva profondamente fino a quando venne scossa violentemente da Philiph.
-Amalia! Amalia!- la scoteva urlando. Lei si svegliò di soprassalto tossendo.
-Vuoi farmi morire prima del previsto?- lo sgridò massaggiandosi le spalle.
-Mi perdoni Sua Altezza, sembrava morta.- disse gravemente con gli occhi bassi.
Lei lo guardò apprensiva e con dolore si mise in piedi e gli poggiò la mano sulla spalla.
-Non chiamarmi Sua Altezza.- lo rimproverò ancora. Lui alzò lo sguardo e la fissò profondamente.
-Dobbiamo andare.- disse. Lei prese la candela rossa ed uscì dalla stanza scortata da quattro uomini.
Scese le scale con difficoltà, ma appena arrivò davanti al balcone da cui avrebbe dovuto fare il discorso fu contenta di sapere che era ancora lontano dalla parte illuminata dal sole. Si schiarì la voce e guardò attentamente in basso, dove mille facce erano volte verso di lei. Mille facce la guardavano incuriositi.
-Benvenuti a tutti. Come sapete mio padre, il nostro Re, è assente per motivi riguardanti la salvaguardia del Regno stesso. Sarò perciò io ad accogliervi oggi, ad offrirvi il cibo, a dichiarare l’avvento della stagione dei fiori. Ogni anno che passa il nostro territorio è sempre più fiorente, e questo grazie a voi. Sono io perciò a ringraziarvi a nome mio e di mio padre. Lunga vita a Maynott.- recitò, con scarso entusiasmo ma con particolare carisma.
Al che tutti gridarono “lunga vita a Maynott!”
Per le restanti ore Amalia doveva interagire col popolo, farsi vedere tra la folla, e poi risalire sul balcone ed accendere la prima candela. Allontanò i tre uomini e restò da sola con Philip.
Stavano camminando tra le persone che le chiedevano di stringere la mano, lei offriva le fragili e reali ossa in pasto a quelle rozze e comuni, Philip con le mani incrociate dietro la schiena la accompagnava e si raccomandava di non stringerla troppo forte. Non voleva che il suo bellissimo fiore si rovinasse. Amalia forzava il sorriso, e poi tornava estremamente seria, viveva come in una bolla. Philip la guardava sofferente, era innamorato di lei da quando era piccolo. Aveva avuto altre donne ovviamente, ma sentiva in lei qualcosa di speciale, e non si sbagliava. Non era solo la principessa, la futura regina..era la creatura più misteriosa e bella che avesse mai visto. Ma lei on sembrava nemmeno accorgersi delle sue avances, oppure non le importava. Una di queste due opzioni era quella giusta: ad Amalia non importava. O meglio, aveva provato qualcosa per lui, un sentimento strano che ricordava fosse come un fiorire continuo dentro di sé, ma dopo la mortedella madre si era chiusa nel suo silenzio. Si accorse ben presto che non le importava di nessuno, almeno non come agli altri importava di lei. Poteva restare a guardare il suo popolo bruciare tra le fiamme, e non le sarebbe importato fino a che le fiamme non avessero toccato lei. Empatia. Era questo che le mancava. Amalia era totalmente apatica.
Mentre continuavano a fare il giro della piazza, lei gli chiese di allontanarsi un po’ dalla folla e di sedersi nel giardino di tulipani accanto. La breve deviazione non destò alcun sospetto, coperti dalle edere altissime si sedettero su un muretto di pietra da cui spuntavano fiori ed erbacce da ogni fessura.  La ragazza si guardò le mani scheletriche e sospirò pesantemente.
-Tra poco sarà finita.- la rassicurò Philip.
Amalia lo guardò profondamente, i suoi occhi castano chiaro erano gli stessi occhi buoni che aveva da bambino, solo i capelli biondi si erano scuriti leggermente di più, e la sua mascella squadrata aveva preso il posto delle guance morbide di prima. Il suo corpo era cresciuto notevolmente, era più alto di lei di almeno venti centimetri, era muscoloso e massiccio.
-Se ti senti molto male posso scortarti nella tua stanza.- cercò di decifrare i pensieri di lei.
-No.- rispose solamente. Rimasero in silenzio per alcuni minuti, e poi lei sempre guardando il terreno umido parlò per prima, -Oggi sono già sei anni che è morta.- sussurrò.
-Sarebbe assurdo se anche io morissi oggi, non credi?- sorrise.
Philip si alzò in piedi e le pose l’avambraccio su cui poggiarsi, -dobbiamo andare, dovete accendere la candela.- disse scocciato. Amalia sorrise appena, si alzò in piedi con calma e si appoggiò totalmente su Philip che la teneva senza sforzo.
Tornarono nella piazza, lei fece finta di non sentire il dolore allucinante nella pancia, tutti salutarono la principessa con sorrisi genuini e buoni, Amalia vedendo quanto calore la gente le dimostrava si fece forza a risalire le lunghe ed alte scale davanti a lei, che le sembravano un ostacolo insormontabile. Una volta raggiunto il balcone lasciò il fedele braccio del suo amico, che la guardò tentennare verso la candela. Decisa ma debole. Soffriva enormemente a guardarla così.
Amalia alzò al candela verso l’alto, poi si girò in cerca della guardia che aveva con sé il fuoco per accenderla. Successe tutto in un attimo: non appena la candela prese fuoco e Amalia si girò verso la plebe, sentì un vento gelido che le sorpassò la schiena, spengendo la candela.E davanti a tutti dall’alto delle loro teste, la principessa cominciò a vomitare sangue.



*Imbolc è una festività anticamente esistita, propria della cultura celtico-irlandese. Cadeva l'1 Febbraio e celebrava l'arrivo della Primavera. (Fonte: Wikipedia)

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Capitolo 3
*** Theresa Aster ***


Re Ivor tornò a Maynott, era corsa voce che sua figlia sputasse sangue. E nessuno pensava razionalmente ad una malattia, no, come la più classica delle storie pensarono meglio che fosse un presagio, una maledizione. La candela si era spenta ed era un cattivo segno: la primavera non sarebbe più arrivata. Si diffuse un presagio di morte per il Regno, la principessa era ora vista come posseduta da una creatura malvagia che portava l’eterno Inverno. Ogni volta che una pianta appassiva si dava la colpa a lei, ogni giorno in cui faceva freddo e pioveva tanto le si attribuivano le cause. La gente cominciava ad inveirle contro, l’ignoranza li portava ad attribuire a lei la colpa e non al presunto “demonio” che si sarebbe impossessato di lei.



Passarono cinque lunghi giorni, Re Ivor li passava accanto alla sua adorata figlia tenendole stretta la mano mentre lei sembrava addormentata in un perenne sonno da quando lui era arrivato. Distesa sul letto con le braccia sovrapposte sul ventre e la pelle cerea sembrava già morta. Re Ivor continuava ossessivamente a rivedere in lei sua moglie, anche il popolo era colpito per la loro strabiliante somiglianza: la Regina Theresa la partorì quando aveva solo quattordici anni, era giovanissima e bellissima come Amalia, aveva forse i tratti del viso più docili ma un carattere nettamente più combattivo. Incontrò Ivor, che aveva dodici anni più di lei, ad uno spettacolo del regno vicino al quale erano invitate tutte le casate reali. Suo padre, Re Carios di Aster, era molto severo e rigido riguardo all’uomo che un giorno avrebbe sposato, anche se lei era la penultima figlia, sorella di quattro fratelli e una sorella. Ancorato ai vecchi valori, voleva per lei un uomo capace di proteggerla ed innalzarla verso il potere, così che lei potesse mandare avanti la casata degli Aster. Due dei suoi fratelli morirono in guerra, la sorella maggiore Lara,fuggì con un suddito di cui si era perdutamente innamorata, e gli ultimi due fratelli rimasti erano destinati a governare dei Regni lontanissimi da lei. Non ancora entrata nell’età dell’adolescenza, vedeva Ivor come un uomo troppo anziano per lei, al pari di suo padre. Re Carios convenì con Ivor il matrimonio, e dopo nemmeno un anno lei era incinta di Amalia. Aveva odiato Ivor dal primo istante in cui aveva saputo che avrebbe dovuto sposarlo e la prima impressione contribuì all’odio represso che si teneva dentro. Ma quando nacque Amalia tutto in lei cambiò, vide come Ivor era divenuto un padre amorevole, come tentava di proteggerle, inoltre fece prosperare il loro piccolo Regno fino a farlo divenire indipendente. Vedeva cose in lui che prima non vedeva: la determinazione, il fascino, l’astuzia e la stessa superbia che aveva lei. Si innamorarono piano piano. Anche Ivor vedeva dei cambiamenti in Theresa, non era più una bambina capricciosa, era la madre di sua figlia, era la Regina del suo Regno. Ma mentre quella di Ivor fu per Theresa una rivelazione, un uscire allo scoperto di caratteri già geneticamente instaurati ma tenuti saldamenti nascosti, quello di Theresa era un cambiamento radicale: non era la stessa persona. Ma Ivor non si fece domande, gradiva senz’altro l’ultima versione di quella donna, mentre Theresa non si accorse nemmeno della propria trasformazione. Gli anni passarono e la vita della casata Nessat–Aster non poteva essere più florida, eppure un episodio particolare fu indice di qualcosa di malato, di oscuro, all’interno della normalità familiare. Venne un giorno in cui Amalia, a soli due anni, venne portata nel vecchio castello di Theresa per stare vicino a suo padre Carios e sua madre Merenwen (Telperiën), che desiderava vederla per la prima volta. Ivor e Theresa acconsentirono senza ripensamenti, Amalia stette via per settimane intere, e più era lontana da sua madre, più quest’ultima aveva atteggiamenti strani. Era sempre impaziente, cattiva e diffidente anche con suo marito. Al Re tornò la sensazione che la vecchia Theresa non se ne fosse mai andata, ma che si fosse sempre nascosta dietro la facciata di madre e moglie premurosa. E fu in quei momenti che i primi segnali della malattia cominciarono ad emergere: spossatezza e febbre alta. Allo scadere delle tre settimane Ivor tornò dagli Aster a prendere la bambina, che gliela posero con una certa incertezza. Merenwen, da lui sempre vista come una donna saggia e mite aveva ora uno sguardo preoccupato.
-Come sta mia figlia?- gli chiese soppesando le parole, temendo la risposta.
-Vi ha forse inviato qualche lettera ambigua?- chiese Ivor turbato.
Merenwen tacque e scosse la testa, poi gli prese la mano con cui teneva Amalia e gliela strinse.
-No, non mi è arrivato nulla in queste settimane.- rispose, facendo intendere che fosse quello il problema. Ivor non rispose, decise che si sarebbe messo subito in viaggio per raggiungere Theresa al più presto.
-Abbi cura di lei.- lo guardò profondamente, con uno sguardo disperato. Non aveva capito se si riferisse a Theresa o ad Amalia,ma montò subito a cavallo e galoppò verso il suo regno.
Arrivò in fretta e in furia dopo quasi tre giorni, con ancora le parole di Lady Aster  nella mente.
Diede la bambina alla badante e salì le scale prima di levarsi anche l’armatura. Raggiunse la loro stanza e vide Theresa accartocciata in un angolo che si pettinava insistentemente i capelli, guardandosi allo specchio con occhi vuoti. I capelli neri erano per terra a ciocche: se li stava strappando.
-Theresa.- pronunciò stupefatto da quell’orribile scenario. Lei lo udì ma non battè ciglio fino a che vide la sua immagine attraverso lo specchio che si avvicinava: era reale.
-Oh Ivor!- si girò e gli si buttò ai piedi. –Dimmi che hai con te la nostra bambina. Dimmelo, avanti!- lo supplicava. Ivor notò le pesanti occhiaie intorno ai suoi occhi, le macchie di pelle sulla nuca e le labbra secche e aride.
-E’ stanca dopo il lungo viaggio, ora è con la badante.- le spiegò prendendole le mani e accarezzandole il volto. Lei gli strinse debolmente le mani di rimando, abbassò gli occhi a terra e poi si rialzò.
-Lasciamola riposare allora, sono contenta che siate tornati.- sorrise.

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Capitolo 4
*** Presagio ***


La Regina guarì completamente e tornò quella che era sempre stata. Ivor, pur di non cercare la verità dei fatti si rese cieco davanti ad essi, e continuò a non preoccuparsi. Proseguì tutto bene, fino a quando all’età di ventidue anni, quando Amalia ne aveva solamente otto, Theresa si ammalò gravemente e stavolta a nulla valse la vicinanza dell’adorata figlia. Due anni dopo, all’età di ventiquattro anni, la luce negli occhi di Theresa si spense. Amalia aveva dieci anni e quando sua madre morì era affianco a lei, le stringeva la mano saldamente in un triangolo formato con sua nonna Merenwen, che sembrava concentrata e pregava in silenzio. La bambina vide il petto di sua madre che non si sollevava più, sentì però l’essenza del suo profumo che entrava nei suoi polmoni un’ultima volta. Pianse tantissimo, Ivor provava a consolarla facendo di tutto ma purtroppo la piccola era inconsolabile: soffriva enormemente. Pensò che niente l’avrebbe più fatta sorridere.
Solo le parole di sua nonna le rimasero impresse e le diedero un po’ di conforto,
-Lei vivrà sempre dentro di te, non scordartelo.- le disse abbassandosi alla sua altezza e fissandola con i grandi occhi ghiacciati.
E ancora prima di ripartire le sussurrò delle parole nell’orecchio, -Se ti senti strana o se c’è qualsiasi cosa che non va, scrivimi e ti raggiungerò, non importa dove sarò o dove sarai. –le baciò la fronte e ripartì a cavallo. Da quel triste giorno erano passati ora quattro anni in cui Amalia non si era mai veramente ripresa, e da poco più di un mese si erano manifestati gli stessi sintomi: febbre e stanchezza. Non ricordava che sua madre avesse mai sputato sangue, forse non erano scene che le avrebbero mostrato ad una mente innocente di bambina, ma non ricordava nemmeno che a sua madre desse fastidio il sole.


 La notte del quinto giorno a sorvegliarla c’era il padre che si era addormentato di fianco a lei. Amalia si svegliò di soprassalto, non riusciva a focalizzare bene la stanza, alzò le mani e ne vide quattro. Provò ad alzarsi ma non ci riuscì, sentiva i piedi attaccati al letto: non riusciva a muoverli. In preda al panico riferì il suo sguardo sofferente verso il padre, che aveva la testa addormentata sulle sue cosce.
–Padre!- gridò dentro di sé, ma le parole non uscirono mai dalla sua bocca, che non si apriva nemmeno, come se fosse serrata.
-Padre! Aiuto!- continuava ad urlare nella sua mente e provando a dimenarsi senza effettivamente riuscirvi. Cominciò a piangere impaurita, fino a che un colpo al cuore la distrasse: vide nel buio una strana ombra. La luce della Luna illuminava lo specchio, e nello specchio Amalia vide chiaramente il volto di sua madre che la fissava.
Aprì gli occhi di colpo e alzò il busto di colpo,  facendo svegliare di soprassalto il Re.
Cominciò a respirare affannosamente senza riuscire a smettere: era giorno e suo padre era ancora accanto a lei.
-Amalia, calmati!- Ivor mise le mani sulle sue spalle cercando di rassicurarla.
Lei lo guardò perduta, sentì la pesantezza delle sue dita sulle esili spalle e si rassicurò. Guardò lo specchio e vide di squarcio la sua faccia paonazza ed i capelli spettinati. Guardò di nuovo il padre e lo abbracciò piangendo.
-Pensavo di essere morta. Oh padre, pensavo di essere morta.- singhiozzò tra le lacrime.
-E’ stato solo un incubo.- disse carezzandole la testa appoggiata al suo petto.
-Era tutto così reale!- continuò disperata nascondendo il volto tra la sua pelle.
-Cosa hai sognato, tesoro mio?- le chiese quieto e preoccupato allo stesso tempo.
Amalia si asciugò le guance e, ormai rassicurata e sveglia, lo guardò profondamente tramite gli occhi castani, -ho visto mia madre Theresa allo specchio della camera.- disse indicando con gli occhi la scrivania dove era poggiato il grande pezzo di vetro.
Ivor deglutì e la guardò paralizzato. Un ricordo gli sovvenne: la notte prima che Theresa morì ricordò che lei aveva fatto lo stesso incubo, aveva visto la sua immagine allo specchio.

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Capitolo 5
*** La Proposta ***


Quella mattina stessa Amalia si sentiva meglio, come se i giorni in cui avesse dormito avessero avuto un effetto risanatore su di lei. Ebbe un po’ di paura a guardarsi allo specchio, non lo faceva da almeno un mese, ma prese coraggio e costatò che davanti a lei c’era sempre lei, e non la madre. Buttò fuori l’aria dai polmoni e si tranquillizzò: era solamente un incubo.
Qualcuno bussò alla porta quando lei si stava pettinando i capelli.
-Avanti.- disse a voce alta.
-Amalia, come ti senti?- chiese preoccupato il padre, che passeggiava davanti alla sua porta da quando si era svegliata.
-Oggi mi sento stranamente in forze, credo che scenderò a fare una passeggiata.- gli sorrise dolcemente dallo specchio. Quello era il primo sorriso vero che gli rivolgeva da tantissimo tempo e Ivor si sentì ancora di più la terra mancare da sotto i piedi.
-Ti accompagno volentieri.- le sorrise di rimando. Lei lo guardò per un istante e riprese a pettinarsi i capelli.
-Arrivo tra un momento.- lo congedò.
Ivor chiuse la porta tremando.
 –Fa consegnare questa agli Aster tramite il corvo, solamente a Merenwen. – ordinò ad una guardia mentre gli poggiava la lettera ocracea sul palmo della mano.La guardia annuì. –Subito.- sibilò il Re, e lo vide correre via.
Amalia si alzò dalla sedia senza ansimare, era tutto troppo calmo per lei.
Ma stare bene fisicamente non significava per lei stare bene del tutto. Sentiva una sensazione strana per quella giornata, come se fosse avvolta da una nebbia. Ma ormai aveva preso la sua decisione, sarebbe scesa e avrebbe parlato a suo padre.
Lo raggiunse sotto l’arco di fiori, era radiosa, per fino le labbra avevano ripreso colore. Ivor la accolse con la gioia negli occhi, -quanto è bello il mio fiore.- la complimentò.
Lei ridacchiò appena, un sottile cinguettio. Al Re non sembrava di aver mai udito suono migliore.
Forse si stava realmente riprendendo, forse non doveva morire, pensò.
Passeggiarono a lungo, lei gli chiese delle rivolte, lui le chiese dell’Imbolc. Faceva freddo, ed il giardino era tetro e buio, ma lei riscaldava tutto il cuore del padre.
E finalmente arrivarono all’argomento principale di quel giorno.
-Padre, ho finalmente scelto chi sposare.- sussurrò contorcendo le dita. Prese un bel respiro e chinò la testa verso il suo volto, per vedere la sua reazione.
-Chi è costui che ha attirato la tua attenzione così d’improvviso?- chiese meravigliato fermandosi. Le aveva ordinato di trovare un erede poco prima di partire, e non era stato via molto a lungo.
Amalia sorrise appena, non sembrava fosse molto contenta della sua scelta.
-Lui è sempre stato al mio fianco, padre, anche al vostro di fianco. Conosce la storia della nostra famiglia, ci rispetta, ci serve con dovere.. e sospetto mi ami.- mormorò, come se non avesse nessun peso per lei. Era il dovere, la razionalità che la indirizzavano verso quella scelta.
Ad Ivor non servì il nome del giovanotto, sapeva benissimo chi fosse. Ovviamente nutriva un certo rispetto per quel ragazzo che aveva visto crescere e che lo aveva servito fin da subito, aveva tenuto al sicuro la principessa, gli fu raccontato che fu lui ad averla scortata durante tutto l’Imbolc e che fu lui a prenderla quando cadde dopo aver vomitato sangue.
Senza dubbio era un candidato ideale per la sua salvaguardia, ma lo era per diventare futuro Re?
-Come fai a sapere che saprà governare il mio Regno?- le chiese, senza chiedere il nome.
-Non lo so. Mi baso sulle sue qualità principali: è buono, è gentile…è presente.- farfufliò, quasi sorpresa da quella descrizione. Non pensava di conoscerlo così bene e di parlare di lui altrettanto bene.
-Quanto a quelle negative?- le chiese osservandola, cercando di scorgere in lei qualche turbamento.
La fronte di Amalia si aggrottò, - Lui è… - lasciò le parole sospese nell’aria gelata. Cercava di trovarle ma ogni volta le sfuggivano dalla mente. Cercava di riprenderle, ma nulla.
-E’?- la incalzò il padre.
Amalia sbuffò. –Non saprei.- arrangiò dopo qualche minuto che ci pensava.
Ivor rise. –Spero che la tua scelta non sia influenzata dall’amore, o peggio, dalla vanità.-
-Non potrei mai deludervi in questo modo, lui è senz’altro la persona migliore che io abbia mai conosciuto per rivestire questo ruolo.- concluse la principessa.
-Mi fido del tuo saggio giudizio.- le disse e le baciò la fronte.
Restarono a guardare il paesaggio intorno a loro, le mura alte e scure, nessuno intorno a loro che li disturbava.
-Parlerò io con lui, organizzate pure il matrimonio. Stasera stessa, domani. Il prima possibile.- si affrettò a dire.
Ivor si turbò per quell’immediatezza, un cattivo presentimento gli affuscò di nuovo la mente.
-Come mai questa fretta?-
Amalia gli sorrise benevola, e chinò la testa, come a dirgli “prima che io muoia”.  Così Ivor non le rispose, e con una fitta al cuore andò a controllare invano se il corvo era tornato col messaggio di Merenwen.


La ragazza aspettava vicino al colonnato la figura di Philip, che aveva mandato a chiamare. Guardava in alto nel frattempo, guardava il cielo grigio sopra di lei e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che non ricordava come fosse un cielo terso d’estate.
-Amalia.- interruppe i suoi pensieri, totalmente spaesato dal fatto che la principessa lo avesse mandato a chiamare.
-Philip,- lo salutò con un sorriso acceso, -accompagnami a fare una passeggiata.-
Philip acconsentì, e notò con piacere il colorito della principessa.
-Stai meglio.- osservò con un sorriso.
-Oggi è un giorno speciale.- lo guardò. Continuarono a camminare, fino alle mura del palazzo davanti a loro che dividevano il castello dalla campagna.
-Vieni.- lo incitò spostando la pietra in basso che nascondeva un tunnel che portava fuori dalle mura.
-Ma è pericoloso! Non puoi uscire dal castello, non sei ancora guarita. Se succedesse qualcosa?- cominciò Philip, ma Amalia aveva già alzato gli occhi al cielo e gattonava sotto al tunnel.
Philip la seguì contrariato. Le afferrò la caviglia per farle paura, e lei urlò e poi si misero a ridere.
Uscirono dal buco fangoso e la principessa si stirò invano il vestito tutto sporco.
-Non si addice ad una reale.- scherzò lui, ma lei non rispose. Si mise seduta tra le margherite e gli steppi della campagna, tra colline alte e città lontane.
-Tra poco farà buio, dovremo rientrare.- disse Philip.
-Quand’è che sei diventato adulto?- gli tirò una margherita sulla bocca. Risero di nuovo spensierati.
-Perché mi hai mandato a chiamare?- chiese tra una risata e l’altra.
Lei tornò di nuovo seria, il vento le scompigliò i capelli e scoprì il suo volto rigido.
Con una freddezza assoluta lo guardò dritto negli occhi, nei suoi dolci occhi marroni,
-vuoi sposarmi?- 

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Capitolo 6
*** Condizioni ***


Lui rimase letteralmente a bocca aperta, completamente attonito. La guardò a lungo per capire se fosse seria, arrossì non riuscendo a tenere il suo sguardo. Scosse la testa confuso.
-Cosa?- le chiese.
Amalia ripetè meccanicamente, -Vuoi sposarmi, Philip?-
-Io..ma, come..cosa?- balbettò.
Amalia rise di gusto, non riusciva più a trattenersi. I suoi occhi si allungarono felicemente, i suoi denti perlacei si scoprirono alla luce ed i suoi zigomi si alzarono. Non l’aveva mai vista ridere così.
Allora il suo cuore si allargò così tanto, che non gli interessava di capire il perché. Voleva solo accettare la sua proposta. Voleva davvero, ma sentiva che qualcosa non andava.
Amalia cominciò a tossire.
-Allora, stai rifiutando la proposta di una principessa?- lo sfidò non appena si fu ripresa.
-Me lo hai chiesto perché sai cosa provo per te, e mi ricambi,- chiese guardandola come se ovviamente quella fosse la risposta più giusta, -oppure perché pensi di star morendo?-
Lei sospirò e distolse lo sguardo, ora non sorrideva più. Perché doveva essere così complicato? Si chiese. Sarebbe diventato Re, no?
Philip scosse la testa deluso, il suo cuore sprofondò in basso. Lei non provava nulla per lui.
-Penso sia ora di tornare al castello.- fece per alzarsi. Lei lo fermò toccandogli la mano.
-Aspetta.- lo trattenne. – Non andartene.- disse apatica.
Lui si sedette di nuovo accanto a lei, ma non nello stesso modo di prima, ora era distante.
-Tu non capisci, quanto sia difficile per me. Sapere che sto morendo, ogni volta che vado a dormire e chiudo gli occhi so che c’è la possibilità di non svegliarmi più.- sospirò.
-Tu non morirai.- rispose arrabbiato, con la voce più alta.
-Si invece!- lo sgridò, calma come al solito, ma i suoi occhi erano lucidi. –Io muoio ogni giorno di più.- lo guardò con le sopraccigli aggrottate.
-Ma oggi stai meglio..- provò a dire ma lei scosse la testa.
-Quando morirò, e succederà,- lo guardò di nuovo negli occhi, -e quando mio padre morirà, tu sarai il Re di Maynott. Non posso immaginare nessun altro a capo del regno. Io voglio che tu sia il futuro re. Prendilo come un ultimo desiderio.- lo pregò.
Stavolta era lui che scoteva la testa. La cosa sbagliata era che lei pensava di morire, non voleva che il suo unico pensiero che la induceva a sposarlo fosse quello che poi  a giorni sarebbe morta.
-Io ti sposerò.- la guardò, stringendole la mano che Amalia si era scordata di aver lasciato su quella di lui. –Sono disposto anche a non pensare che tu non mi ami, però devi convincerti che guarirai. Altrimenti lascerò il trono.- disse.
-Sarò già morta quando  vorrai lasciare il trono.- sorrise.
-Allora lascerò il regno in balia degli eventi.- la sfidò.
-Non lo faresti mai.- rispose lei, e sapevano entrambi che lui non lo avrebbe mai fatto in seguito a quella promessa.
Ci fu un silenzio per molti minuti, entrambi non sapevano più cosa dire. Il vento riempiva le loro menti troppo affollate.
-Posso.. posso solo provare a fare una cosa?- chiese Philip con lo sguardo basso ed il cuore che impazzava.
-Cosa?- chiese Amalia confusa.
Philip strinse ancora di più l’esile mano nella sua tutta sudata. Si avvicinò temerario fino a toccare la punta del naso di lei con la sua. Le guardava le labbra e la carnagione bianca da vicino. Voleva ricordarsi quel momento per sempre, voleva che durasse più a lungo possibile. La guardò con attenzione, il cuore che continuava a battere frenetico. Dall’altra parte Amalia era spaventata, aveva sentito un singulto nel suo petto ed il respiro le si era fermato. Aspettava. Guardava il volto di Philip da vicino, e si accorse che era veramente bello.
Lui prese la decisione, vedendo che lei non si ritraeva, chiuse gli occhi e poggiò delicatamente le labbra su quelle di lei. Lei non chiuse gli occhi, non riusciva a smettere di guardarlo.
La mano destra di Philip circondò tutto il lato sinistro del volto di Amalia, e premeva ancora di più. Non si aspettava che lei ricambiasse, e infatti non lo fece. Durò troppo poco, ma Philip si scansò e la guardò di nuovo da vicino negli occhi.
Si alzarono entrambi mentre un corvo volava sopra le loro teste, nessuno dei due parlò, tornarono al castello in silenzio. Lui la scortò nella stanza e lei aspettò con impazienza che lui le parlasse, ma non lo fece. Chiuse la porta alle sue spalle. Sentì i passi che si allontanavano.
La sua mente si riscaldò per tutti i pensieri che stava facendo contemporaneamente. Non riusciva a capire cosa provasse, perché quel bacio l’avesse sconvolta così tanto. Perché sperava che lui tornasse indietro. Fu schifata da quelle sensazioni, le venne la nausea.
Ma poi si guardò allo specchio, ed aprì la porta repentinamente, corse appresso a Philip e lo chiamò.
-Aspetta.- lo fermò. Lui si girò incredulo e spiazzato.
-Non mi hai detto se mi sposerai.- disse affannata da quel breve tragitto.
Lui la guardò stranito ma serio. –Non desidero nient’altro.-
In quel momento, solo in quel momento, quando lui la guardava dall’alto con tenerezza ed amore, Amalia sentiva un profondo dolore. Uno uguale a quando la madre morì quel giorno. Forse questo era un dolore più pungente, pieno di acuta maturazione. Un dolore ragionato. Lo guardava di nuovo ora, e non provava nulla.

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Capitolo 7
*** Morte ***


Ivor era sulla torre più alta ad aspettare il corvo, e mentre seguiva ostinato le pietre irregolari ai suoi piedi sentì il verso del corvo che si avvicinava a lui, come se lo stesse chiamando. Si girò verso il cielo e vide l’uccello che planava verso di lui, posò bruscamente la lettera sulla paglia e poi mangiò i semi che erano stati messi lì appositamente per lui per rifocillarsi. La lettera toccò la paglia sporca per pochissimi millesimi di secondo, poi venne prontamente catturata dalle mani del re. La aprì in fretta quasi strappandone il contenuto, fece un respiro profondo prima di leggerla:

“Caro Ivor,
purtroppo non ho buone notizie da darti. Non appena ho letto ciò che mi hai scritto sono partita per Maynott, spero di arrivare il prima possibile. Per il momento stai vicino alla tua bambina ed appena sarò arrivata potrò dirti quanto è disperata la situazione, ma non voglio mentirti: è grave.
Merenwen”


Ivor stracciò disperato la lettera, la calpestò e si portò i pugni sulla fronte. Non poteva lasciare che questo accadesse di nuovo. Cos’era? Una maledizione forse?
Eppure prese sul serio le parole della donna e corse verso Amalia più in fretta che potè.
La trovò seduta sul letto a fissare immobile il vuoto. Pensando che si sentisse di nuovo male si accasciò ai suoi piedi.
-Cosa c’è che non va?- le chiese scrutando il suo volto, era ancora colorito come quello di quella mattina.
Amalia scosse la testa. Stava pensando a Philip.
-Il matrimonio.- sorrise poco entusiasta. –Voglio che si celebri domani stesso.- sapeva che avanzando quelle pretese nessuno avrebbe mai potuto rifiutare, tutti avevano paura che non sopravvivesse un giorno di più.
Ivor prese le mani della figlia e le racchiuse nelle sue.
-Sei sicura?- chiese di nuovo.
-Si.- ripetè meccanicamente Amalia.
Ivor si alzò ed andò a dire alle guardie di comunicare al Regno intero il matrimonio, tutti dovevano essere presenti il giorno dopo. Fece provare a sua figlia decide di abiti diversi, e alla fine ne scelse uno bianchissimo con le maniche lunghe e strette, il decolté a barca e lo strascico lungo un metro. Scelse quello perché era esausta dal provare così tanti abiti.
La sarta lo accorciò molti centimetri poiché Amalia non riusciva a trasportare tutto quel peso. Si provò le scarpe che le calzavano a pennello e quando le serve le chiesero che acconciatura volesse lei rispose -Fate ciò che volete.-, ma una cosa fu espressamente richiesta: -voglio un bouquet di Amaranto e Calendule.- pretese.
-Ma..- provò a dire una serva con la faccia sconvolta.
-Niente ma, sono i miei fiori preferiti.- la zittì.
-Perdonatemi vostra altezza, ma non si addicono ad un matrimonio!- quasi la sgridò.
-E perché mai?- chiese offesa.
-Principessa.. sono i fiori dell’immortalità e della morte stessa!- sussurrò avendo paura di dirlo ad alta voce. Ora anche le sue serve credevano che lei fosse un demonio.
-Mi si addicono, dunque.- disse sprezzante allo specchio.


Conclusi i preparativi del matrimonio, Amalia doveva ancora togliersi le vesti bianche ma qualcuno bussò alla porta. Aveva chiesto di cogliere i fiori e di portarli nella sua stanza, aprì convinta di trovare la serva Ingrid davanti a lei ma così non fu. Philip la osservava sconvolto. Non riusciva nemmeno a muovere gli occhi o chiudere la bocca.
-Non dovevi vedermi!- rise Amalia amaramente. –Ora si che questo matrimonio sarà infelice.- ironizzò. Ma Philip non sembrava aver colto la battuta sarcastica, fece dietro front e se ne andò senza dire una parola.
Amalia fece spallucce e tornò davanti allo specchio, cominciò a pettinarsi i capelli delicatamente quando bussarono di nuovo alla porta. Convinta che stavolta fosse Ingrid andò di nuovo ad aprire aspettandosi il profumo dei fiori che aveva scelto. Aprì e comparve di nuovo Philip che stavolta la guardava fisso negli occhi.
Amalia lo guardò stranita e poi si poggiò sullo stipite di legno con le braccia conserte, aspettando che emettesse qualche suono.
-Io..volevo solo vederti prima di domani.- mormorò con le labbra che tremavano. -Sei ancora sicura?- le chiese.
-Non desidero altro.- gli sorrise.
-Ti prendi gioco di me?- chiese serio.
-Assolutamente no.- rispose calma.
Philip cominciò a diventare rosso in volto, e sulla fronte. Deglutì e quando riaprì la bocca era la voce che gli tremava.
-Voi siete la persona più insensibile, fredda e apatica di tutti i Regni,- la insultò, -buonanotte, principessa.- disse guardandola con rabbia negli occhi e se ne andò.
Amalia alzò leggermente il sopracciglio e lo guardò scomparire. Chiuse la porta di legno e arrancò verso il letto.
Si sedette con calma e si portò una mano sul petto. Cominciò a tossire. Prima gli attacchi erano brevi e ritmici, poi cominciarono ad essere lunghi e soffocanti. Guardò le mani piene di macchie di sangue. Provò a chiedere aiuto ma Philip non era più dietro la sua porta. Provò ad urlare ma riusciva solo a tossire. Si alzò e si mosse in direzione della porta, ma lo specchio riflesse di nuovo sua madre Theresa che stavolta piangeva. Amalia indietreggiò impaurita e cadde sul letto.
Guardò il soffitto e provò a calmarsi ma lunghe strisce di lacrime ora si mischiavano al sangue e alla saliva nella bocca.
Pensò a suo padre, pensò che non era mai stata tanto tempo con lui. Pensò al suo volto, alle sue mani grandi, al suo sorriso e a come le carezzava i capelli, come l’aveva amata per quei quattordici anni.
Chiuse la bocca con la poca forza che le rimaneva, non respirava più. Si abbandonò facilmente alla morte chiudendo i suoi occhi lentamente. Vide la sua stanza diventare sempre più sfocata.
Fu così che Amalia morì.


FINE I PARTE

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Capitolo 8
*** Il Risveglio - Parte Seconda ***


Non c’era nessun rumore. Silenzio assoluto. L’oscurità la circondava, le si attaccava addosso come a volerla opprimere, non voleva farla respirare. Amalia non voleva respirare, in quel momento non aveva una coscienza, percepiva solo quelle cose..ma erano lontane. Lontane da lei, che ora non era più.
Dal buio però apparve una scintilla. Bianca, pura.
Questo scintillio si allargò, si estese e fece luce. Amalia era disturbata, la sua quiete era stata interrotta da cosa?
Uno scintillio.
Quello scintillio era lei, e tutta la sua forza vitale rimasta in vita. Allora Amalia cominciò a sentire un respiro, prima lieve, poi martellante. Sentiva battere qualcosa, era regolare.  Lo scintillio si allargò ancora di più fino a farle male, non riusciva a tornare all’oscurità. Le bruciavano gli occhi. Gli occhi. In quel momento Amalia capì che aveva un corpo, o meglio, aveva avuto. Provò a raggiungerli, provò a chiuderli e tenerli lontano dalla luce ma non li trovava. Il respiro si fece più affannato, doveva essere il suo.
Ma come?
 Lo scintillio era accecante, ora non ci vedeva più. La investì completamente.
Amalia aprì gli occhi e cominciò ad urlare. Aveva un velo sopra i suoi occhi che la spingeva violentemente verso il basso. Spostò con difficoltà la mano destra per aiutarsi a togliere il velo: non capiva dove fosse. Tirò la stoffa via dai suoi occhi e una montagna di terra cominciò ad attaccarsi a tutta la faccia. Era buio, totalmente buio.
 Cominciò ad agitarsi, tossì cercando di riaprire gli occhi e di sputare la terra. Cominciò a piangere spaventata, non riusciva a tenere aperti gli occhi non capiva dove si trovava, ma una cosa era sicura: era sepolta. Si sentiva schiacciata verso il basso, non riusciva a respirare e doveva trattenere il fiato. Si agitò di nuovo, impaurita, ma soffocò di nuovo.
 Svenne.
Si risvegliò dopo alcuni minuti, deglutì e stavolta trattenne il respiro e cominciò a scavare più veloce che potè, la terra sopra di lei sembrava solo spostarsi. Inoltre non riusciva ad aprire gli occhi e quindi non capiva se stava realmente scavando o se stava solamente rimescolando la terra sopra la sua faccia. Continuò a spostarla ma il fiato le mancava. Cominciò ad ansimare, era disperata. Sarebbe morta.
Amalia continuò fino a che non le rimase nemmeno un po’ di ossigeno nei polmoni, ma solo terra. Eppure non morì. Sotto shock continuò a scavare e a scavare, cercava di divincolarsi tra quelle mura ostili, ci mise almeno un’ora anche se le sembrarono solamente pochi minuti. Poi le sue dita ormai insensibili e sporche, si sentirono libere, senza grumi tra di esse.  Tirò fuori tutta la mano destra, per paura che quella sensazione scomparisse. La sinistra era sotto di poco, con tutta la forza che aveva la spinse in alto ed anche essa uscì all’aria aperta. Cominciò a spostare la terra da sopra la sua testa, continuò velocemente fino a che sentì le braccia addormentate e doloranti che erano totalmente scoperte. Le sue mani con gesti meccanici continuarono a spazzare via il terreno fino a che si intricarono con i suoi capelli. Continuò veloce ed arrivò agli occhi. Cercò di aprirli ma li aveva bagnati e sporchi, continuò e ricominciò a respirare. Con le mani si aiutò a sollevarsi da sotto quel tunnel e si massaggiò gli occhi. Li aprì sofferente e vide davanti a sé la lapide:

“Qui giace la principessa Amalia, eternamente adorata”

Amalia si guardò intorno e vide vicino a lei la lapide della madre. Era morta.

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Capitolo 9
*** Ritorno ***


Amalia ebbe un tuffo al cuore, cominciò ad ansimare. Girò rigidamente il collo e controllò che fosse tutto reale: forse era solo un incubo. Si ricordò che aveva ancora tutto il corpo sepolto, allora continuò a scavare fino a che non fu uscita del tutto. Si alzò con il corpo totalmente dolorante e addormentato, barcollò prima di prendere equilibrio e poi si accartocciò a fianco della sua tomba.
Con le lacrime agli occhi toccò la pietra fredda con le unghie sporche.
“Qui giace la principessa Amalia, eternamente adorata”.
Lesse di nuovo.
Scoppiò in un pianto lugubre e lungo, denso di singhiozzi e grida.
Anche il popolo la poteva udire dall’interno delle loro case. Tutti udirono quel tremendo pianto agghiacciante nelle profonde membra scosse.
Dopo molti minuti smise di piangere e si asciugò le lacrime. Non ricordava di aver mai pianto in tutta la sua vita, o di aver provato un simile dolore. Buffo, che ne provasse così tanto da morta.
Ripensandoci voltò velocemente lo sguardo sulla tomba della madre, tastò il terreno con ferocia ma lo trovò compatto.
-Madre? Madre! Puoi sentirmi?- pianse di nuovo. Ma nessuno le rispose. Attese la sua risposta e continuò a chiamarla.. forse doveva solo svegliarsi come lei.
E d’un tratto si chiese da quanto tempo era morta. Minuti? Giorni? Anni? E poi … era morta?
Alzò lo sguardo e decise di recarsi al castello a cercare risposte.
Sporca e morta, barcollò fino all’entrata ma trovò il cancello chiuso e due guardie a sorvegliarlo.
L’avrebbero sicuramente uccisa,  e probabilmente non l’avrebbero nemmeno riconosciuta: sotto alla terra c’era un vestito bianco da sposa che le avevano cambiato prima di metterla sotto terra.
Doveva assolutamente attirare l’attenzione di suo padre o di Philip.
Si ricordò dell’entrata attraverso il buco nella pietra che lei e Philip aveva usato per uscire dalle mura, e decise di incamminarsi per entrare da lì. Costeggiò allora tutta la parete, a volte doveva nascondersi perché c’erano delle guardie di vedetta che esaminavano il perimetro. Uscì finalmente in aperta campagna e tastò con le mani per trovare la via d’entrata.
Sentì un ululato in lontananza, sentiva strani rumori intorno a sé ed inoltre la sua mano toccò qualcosa di viscido che si sottrasse subito. Non era mai stata più spaventata di allora, ma non poteva urlare altrimenti avrebbe attirato l’attenzione degli uomini. Il vento le scompigliava violentemente i capelli, e mentre lei provava a trattenere le lacrime per vedere meglio la pietra, le sue mani cercavano disperatamente il foro. Finalmente il palmo della mano destra affondò in profondità senza toccare nulla: aveva trovato ciò che cercava.
Era una notte fredda e nuvolosa, la Luna illuminava ben poco, doveva aiutarsi solo con il tatto per capire se quello fosse o meno il passaggio, ma decise di provare comunque. Gattonò per qualche metro e si ritrovò nel giardino, davanti ai suoi occhi la parete di edera che nascondeva il buco.
Sorrise consolata di quella piccola soddisfazione, si rialzò in piedi e, con determinazione e assoluto silenzio, percorse la via per tornare a casa. Spinse la porta di legno verso l’interno con delicatezza, senza far rumore, ed entrò senza chiuderla per non rischiare chiasso. Si assottigliò addosso al muro, guardò verso il corridoio e vide che non c’era nessuno. Allora si lanciò verso la sua stanza, corse più veloce possibile, salì le scale senza molta fatica, senza il fiato corto, senza doversi appoggiare al muro o fermarsi per riposare. Cose che prima non riusciva a fare.
-Ferma!- urlò un uomo dalla voce chiara e roca davanti a lei.
Sentì tintinnare la sua uniforme, sentì tintinnare altre uniformi intorno a lei che stavano per catturarla, ma lei ormai era arrivata a destinazione. Poggiò la mano sul pomo della porta e spinse per aprirla, questa si spalancò rumorosamente e la scena davanti a lei si fece vivida dopo pochi secondi. La sua stanza era irriconoscibile, era stato cambiato tutto tranne lo scrittoio che però ora era in una posizione differente. Subito sulla destra il letto matrimoniale con la lanterna accesa sul comodino, e sopra a letto e sotto le coperte il volto di Philip ansante sopra ad una donna dai capelli neri.
La donna urlò dallo spavento. Philip era sconvolto, non riusciva ad identificare la situazione.
Amalia cadde in ginocchio poco prima che le mani delle guardie le si avvinghiassero addosso. Altre lacrime caddero sulle sue guance, e lavarono parzialmente la terra.  Philip non la aveva riconosciuta, stava provvedendo a coprire la donna e ad alzarsi.
Le guardie la sbatterono violentemente per terra e le incatenarono i polsi.
-Come osi disturbare il sonno del Re di Maynott?- gli urlò uno nell’orecchio. Un altro le diede un calcio nello stomaco e lei si contorse dal dolore emettendo un suono gutturale.
Voleva dire qualcosa, ma i suoi occhi continuavano a fissare Philip e a rivivere la scena appena accaduta.
-Come diavolo è entrata?- li sgridò ferocemente Philip. Avanzò verso di lei con passo pesante e scostante, non la degnò nemmeno di uno sguardo.
-Vostra Altezza.. deve essersi arrampicata o forse ha usato le gallerie.. – cercavano scuse suggerendosi a vicenda.
Philip scosse la testa. – Se non è armata portatela via, è sicuramente pazza.- disse facendo per andarsene.
-Sono io.- mugolò Amalia dal basso.
Philip si irrigidì e si bloccò. Girò di nuovo il volto verso le guardie, ma stavolta guardò lei.
-Sono Amalia.- disse.


 

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Capitolo 10
*** Somiglianze ***


La testa le girava vorticosamente. Riusciva a stento a stare in piedi, ma Philip davanti a lei camminava con regale sicurezza e la conduceva in fondo, verso la sala dove prima si teneva il banchetto. Ora il banchetto della sala era corto ed insignificante: prima tutta la corte poteva mangiare con i reggenti, ora evidentemente non era più così. Amalia osservava muta il castello, Philip aveva cambiato così tante cose.. c’erano pochi quadri appesi, un altro stendardo (oltre il loro) che si ergeva impetuoso sulla parete. Era quello della donna mora che aveva prima visto con lui?
Teste di poveri animali appese come trofei.. molte più di quelle che suo padre aveva avuto il lusso di appendere, dopo che sua madre glielo aveva proibito. Amalia pensò che il suo castello era stato come deturpato. Le guardie la scortavano ancora.. come se fosse una prigioniera. Forse lo era?
Accanto alla sala dei banchetti c’era dietro una tenda di velluto una piccola porticina marrone, quella era la sala delle conferenze.
Era buio pesto, forse non erano nemmeno le due del mattino.
-Lasciateci.- ordinò Philip, dopo che furono entrati tutti dentro la sala delle conferenze.
Philip accese delle candele, e si mise a sedere guardandola. La ragazza si sentì squadrata, si vergognava per le sue sembianze.
-Le assomigliate incredibilmente, soprattutto la voce. Un inganno ben riuscito. Vi do cinquecento monete per sparire.- schioccò la lingua, come se fosse un altro noiosissimo atto burocratico.
Un nodo dolorante si venne a formare al posto della gola di Amalia. Stava cercando di comprarla.
-C-come?- chiese con la voce rotta e gli occhi lucidi. Deglutì cercando di mandare via il nodo, ma non vi riuscì.
-Cinquecento monete, allora affare fatto?- chiese alzando le sopracciglia e continuandola a fissare vuoto.
-Io.. sono Amalia. Quella vera. Dovete credermi!- alzò la voce acuta e portò le mani in segno di preghiera, vedendo che Philip si spazientiva.
-Mille monete.- cercò ancora di corromperla, ma stavolta con un’espressione diversa, più fredda. Come se si volesse convincere che non poteva essere lei.
-Mi avete baciata. Ricordate? Posso saperlo solo io questo!- provò ancora, disperata.
La fronte corrugata di lui si distese, la sua carnagione si fece pallida.
Ci fu un silenzio assordante, lui stava riflettendo. Non poteva essere reale.
-Io mi arrabbiavo sempre perché tu continuavi a chiamarmi “Sua Altezza”.- continuò con sicurezza nella voce, tanto dal dargli del tu.
Lui strinse i pugni sui braccioli della sedia.
-L’ultima cosa che mi hai detto, prima di vedermi con l’abito nuziale, è stata che ero la persona più insensibile..- provò a dire, ma Philip la interruppe violentemente.
-Ora basta!- urlò sbattendo il pugno sul bracciolo ed alzandosi. Non riusciva a guardarla.
-Non è possibile..non è possibile.- continuava a mormorare e a camminare avanti ed indietro.
-Forse non ero ancora morta quando mi hanno sepolta.- provò ad ipotizzare a bassa voce.
Lui si fermò d’improvviso.
-E’ un anno esatto che siete morta.-
Amalia si portò il palmo della mano sulle labbra per non urlare. 

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Capitolo 11
*** La sorella scomparsa ***


-E.. e quella donna chi era? Dov’è mio padre?- chiese singhiozzando.
-E’ mia moglie, la Regina Matilde.- pronunciò il suo nome dolcemente, e un brivido corse lungo la schiena di Amalia.
-E.. mio padre? Perché non è più Re?- chiese temendo la risposta.
Philiph aprì la bocca per rispondere ma entrò d’improvviso la Regina Matilde, con due trecce lunghe e nere sulla veste pallida da notte. Dietro di lei due guardie con le candele accese ognuno che le stavano ai lati.
-Che succede?- tuonò.  Gli occhi scuri guardavano Philip con preoccupazione e fastidio allo stesso tempo.
-Chi è costei?- chiese indicando Amalia.
Philip e Amalia si scambiarono uno sguardo d’intesa, e Philip fece cenno alle guardie di uscire.
-Perché fate uscire le guardie? Insomma, che succede?- si spazientì gesticolando ampiamente.
-Lei è.. mia sorella.-  si inventò Philip, e Amalia si voltò verso di lui di scatto, cosa che insospettì la Regina.
-Tu non hai una sorella.- obiettò alzando il mento e guardandolo con attenzione.
-Pensavamo che si fosse persa un giorno nel bosco, la cercammo una intera notte.. poi il Re ci disse che c’erano stati dei briganti che erano insorti tra le strade e nei boschi, ci disse che avevano ucciso contadini, donne e bambini del regno. Non la trovammo più.- mormorò. Amalia potè capire che la storia era vera.. come mai non gliene aveva mai parlato?
Anche Matilde si accorse che era la verità, e si buttò inginocchiata davanti a lui e cominciò a baciargli le mani, stringendole tra le sue. Amalia dovette chiudere un momento gli occhi.
-Oh tesoro mio, capisco perché non me ne avevi mai parlato. E’ una storia terribile.- lo carezzò sul volto.
-Ma ora è tutto risolto, tua sorella è qui. Siete stati ricongiunti dal destino.. che storia fantastica è questa!- sorrideva gaia, i denti bianchissimi ed il volto disteso per la felicità. Era veramente bellissima, pensò Amalia.

Era quasi l’alba, quando la sistemarono in una stanza del castello. Matilde fece di tutto purchè si sentisse a suo agio. Amalia avrebbe tanto voluto dirgli che quello era il suo castello.. si sentiva già a suo agio.
-Non sarai abituata a tutto questo sfarzo, - diceva Matilde sistemandole il letto,- ma non ti preoccupare. Ci si abitua in fretta.- sorrise.
Amalia fece un debole sorriso di rimando.
-Cielo, dobbiamo lavarti! Non si capisce nemmeno di che colore hai i capelli.- rise, ma vedendo che Amalia non rispondeva alla sua risata si ammutolì.
-Scusami se sono stata indelicata. Non volevo offenderti.-scosse la testa e andò a chiamare la serva per preparare il bagno.
Amalia guardò la stanza, era molto più piccola della sua vera stanza. Matilde rientrò sempre sorridendo.
-Vi lascio con Liliana, sarà la vostra dama personale.- gliela presentò.
Liliana si inchinò con devozione, guardando bene Amalia. Amalia, che non era solita inchinarsi, guardò con il sopracciglio alzato Liliana: era molto giovane.
Matilde osservò la scena stupita dalla poca umiltà di Amalia, ma fece un cenno con la testa e fece per andarsene, quando si girò di nuovo di colpo.
-Sono desolata.. come avete detto di chiamarvi?- chiese.
Amalia deglutì. Non poteva dirle un nome diverso, quando li aveva colti nella stanza reale aveva detto di chiamarsi Amalia.
-Mi chiamo Amalia, ma preferisco essere chiamata Ginevra. Mi è stato dato il nome Amalia perché anche la principessa si chiamava così.- inventò. Ginevra era l’unico nome che le era sempre piaciuto. Matilde non sembrava sospettare niente e se ne andò.
Non appena la porta si chiuse Liliana si avvicinò velocemente ad Amalia per spogliarla ma lei la respinse violentemente.
-Faccio da me. - la rimproverò. Andò nel bagno e quando si guardò allo specchio ebbe un sussulto. Era sporca e piena di terra, i capelli erano tutti spettinati e sembravano quasi neri.
Si tolse tremando il vestito da sposa ormai tutto strappato e sporco, si immerse nella vasca e cominciò a grattarsi via tutto quanto. Grattava con forza, facendosi male.  Le unghie disegnavano solchi rossi sulla sua pelle, si lavò il viso piangendo e poi quando riaprì gli occhi vide che l’acqua era diventata nera.
-Occorre cambiare l’acqua.- gridò a Liliana.
Si alzò facendo cadere l’acqua su  tutto il pavimento, prese il telo per asciugarsi e si coprì mentre Liliana svuotava la vasca sporca. Non fece caso a lei, ma vide che la fissava intensamente.
-Che c’è?- chiese rabbiosa.
-Niente niente.. mi scusi. Solo che lei assomiglia in modo impressionante alla principessa. Ha anche il suo stesso nome ma.. non può essere, non può essere. Sono una sciocca. La principessa è morta tanto tempo fa.- scosse velocemente la testa.
Amalia si riguardò colpita allo specchio. Evidentemente potevano riconoscerla.. ora che era quasi del tutto pulita non si poteva negare la somiglianza.
Mentre Liliana era dall’altra parte delle stanze per riscaldare altra acqua, Amalia prese le forbici sul tavolo, le portò lentamente sul volto e si fece uno squarcio che attraversava la fronte, l’occhio e tutta la guancia, fino a finire al di sotto del labbro. Rivoli di sangue correvano sulla sua pelle e sul telo. Le lacrime non servivano a niente, si ripeteva, mentre tratteneva delle urla angoscianti dentro di sé. Ora era irriconoscibile, un enorme sfregio le deturpava il volto.

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Capitolo 12
*** Demone ***


Posò le forbici insanguinate e le sciacquò velocemente. Era come se tutto il volto le stesse bruciando, le mani cominciarono a tremarle, cominciò a sentirsi svenire.. aveva dei brividi freddi che la ghiacciavano, ma tornò dentro la vasca e aspettò l’acqua calda mentre il sangue appiccicoso le appannava la vista. Liliana tornò nella stanza ed il secchio pieno di acqua calda le cadde all’improvviso mentre urlava. Amalia aprì gli occhi e la guardò.
-Hai fatto cadere tutta l’acqua.- le disse sospirando.
-Amalia.. il vostro volto!-
-Ce l’ho da sempre.. prima la terra copriva quest’orribile segno..- spiegò quando Liliana la interruppe di nuovo.
-Si sta rimarginando da solo così velocemente!- quasi urlò con le mani davanti alla bocca e lo sguardo terrorizzato.
Amalia si alzò e si guardò allo specchio. Lo squarcio se ne era quasi del tutto andato.
-Ma.. ma come è possibile?- chiese Liliana spaventata.
Amalia non sapeva come rispondere.. guardò con attenzione anche lei lo specchio, e pochi secondi dopo il suo viso tornò bello ed intatto come prima.
Si girò verso Liliana, e lei tirò un sospiro di sorpresa.
–Va tutto bene, portami altra acqua.- le ordinò, mentre si risedeva e pensava a cosa le era appena successo.
La ferita si era rimarginata subito.. non poteva più mutare il suo corpo.
Mille pensieri le affollavano la mente.. era morta da un anno, era risorta.. e non poteva ferirsi. Poteva morire di nuovo? Era diventata..immortale?
Liliana la sorprese versandole l’acqua nella vasca, mentre ancora tremava e non aveva il coraggio di guardarla in faccia. Amalia la vide così spaventata e provò pena per lei, per come l’aveva trattata.
-Mi dispiace di averti spaventata.- si scusò.
Liliana posò il secchio e la guardò con tutto il coraggio che aveva.
-Non si deve scusare.- la rassicurò. Mentre cominciava a lavarla notò la cicatrice sopra la rotula del ginocchio destro di Amalia, che sporgeva dall’acqua.
-Come vi siete procurata quella ferita?- chiese curiosa.
Amalia guardò distrattamente il suo ginocchio e le spiegò di quella volta che lei e Philip si erano arrampicati sugli alberi, e di quando lei era caduta e si era tagliata con una pietra.
Liliana la guardò meglio in faccia, poi guardò la cicatrice.
-Non sono una stupida.- disse all’improvviso.
-Come?- chiese Amalia guardandola come si guarda una pazza.
-Voi siete la principessa Amalia.- sussurrò.
-La principessa Amalia è morta.- rispose con convinzione Amalia, il che era vero.
-Ho già visto quella cicatrice. Quando ero più piccola un giorno sono salita dalle cucine dove lavoravo a sostituire la vostra prima dama. Vi ho vestita e ho notato la cicatrice. Avevate forse dieci anni.- spiegò.
-Questo è ridicolo.. una coincidenza!- rise Amalia.
-L’atteggiamento regale come lo spiegate? Il vestito da sposa con il quale vi hanno seppellito..il vostro volto! Siete Amalia.. è ovvio. Potete anche non convincere la Regina Matilde, ma io vi conosco.-
Amalia non poteva ribattere nulla. Liliana sapeva.
-Ma io vi ho vista.. vi hanno seppellita, come potete essere viva?- ragionò ad alta voce.
Si girò di scatto, -ucciderò te e tutta la tua famiglia se parlerai di ciò a qualcuno.-
-Io non ho nessuno.- ribattè tristemente Liliana.
-Allora ti torturerò, se parlerai.- la minacciò.
Liliana sembrava spaventata. –Ho capito.. voi siete un demone! Non c’è altra spiegazione! Ecco perché il vostro volto si è ricucito così in fretta.- estrasse le mani dall’acqua e si ritirò verso la porta per scappare.
-Tu non parlerai a nessuno, o ti ucciderò ora.- lo sguardo di Amalia le trafisse l’animo irrequieto, e la convinse a stare in silenzio.

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Capitolo 13
*** Il prezzo della morte ***


Il castello taceva, stava sorgendo il sole e tutti dormivano silenziosi.  Si sentiva in lontananza il vento che soffiava,  qualche gallo che cantava.. ma tutto era tranquillo. Amalia si chiese se era sempre stato così oppure se fosse stato in armonia solo da quando lei era morta.
Sospirò pesantemente ma non riusciva ad appannare il vetro. Non c’era nulla dentro di lei, tutto era morto. Che enorme paradosso che solo ora sentiva così tante cose, solo ora provava veramente qualcosa. Liliana si era ritirata, e lei non riusciva a dormire.
Qualcuno bussò d’improvviso alla porta e lei ebbe un sussulto.
Si alzò dal davanzale della finestra e si sistemò il vestito nuovo. Una volta davanti alla porta si chiese se fosse prudente aprire a chiunque.
-Amalia? Sono Philip.- sussurrò.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e la sua fronte si rilassò.
Aprì silenziosamente la porta fino ad intravedere gli occhi di Philip che si affacciavano curiosi.
Ebbe un sussulto, nel vederla allargò la bocca in segno di stupore e sbattè gli occhi più volte. Sentiva il bisogno di toccarla per vedere se fosse reale o meno. Da quando era morta non si era dato pace: ricordava che le ultime parole che le aveva detto erano gravi offese e non se le era mai perdonate. La ricordava con amore, nonostante sapesse che lei non provava niente per lui. Rivederla ora.. dopo che era morta creava in lui una sensazione strana. I suoi occhi, come il suo cuore, sembravano stare meglio. Come se la sua figura lo potesse accarezzare dentro solo con la sua presenza. Si sentiva terribilmente felice, voleva abbracciarla.. baciarla. Ma sapeva che ciò non era possibile. Lei non provava nulla per lui.
Amalia lo accolse  ad entrare con un sorriso timido. In silenzio, i due si sedettero sul letto e si guardarono profondamente negli occhi. Non sapevano come iniziare il discorso, sebbene ci fossero molte cose da dire.
Dopo un po’ Philip abbassò lo sguardo e cominciò a parlare per primo.
-Ho dovuto dirle che eri mia sorella.- disse, ma Amalia comprendeva già il perché.
-Ho detto che mi faccio chiamare Ginevra, ma che il nome che mi  è stato dato è Amalia.- abbassò lo sguardo anche lei.
-Come..?- chiese Philip.
Amalia scosse la testa.  –Non lo so. Ho aperto gli occhi e ho spostato il velo, una montagna di terra ha cominciato a sopprimermi. Sono soffocata una volta.- la voce le tremava, due lacrime le scorrevano sul volto. Philip, vedendola così sensibile come non la aveva mai vista, le prese la mano e gliela strinse. Entrambi sussultarono. Poteva stringerle la mano.. il suo corpo le sembrò ancora più reale.
-Provi dolore?- le chiese con tatto.
-Si. Molto dolore.- mormorò Amalia. –E’ terribile: sento tutto.- si spiegò.
Philip rise. –E’ così che funziona..sei più umana ora che prima.- osservò divertito.
-Perché sono viva? Non capisco.- scosse la testa. –Non riesco più a.. morire.- disse.
Philip corrucciò la fronte.
-Ho provato a sfregiarmi il volto per non farmi riconoscere…- spiegò quando lui la interruppe.
-Cosa?!- alzò la voce e apri gli occhi sbalordito.
-Sh!- lo zittì.
-Come ti viene in mente?!- le chiese stupito ma a bassa voce.
-Philip.. mi riconosceranno. Posso fuggire lontano dalla mia casa, dal mio Regno, lontana da mio padre..lontana da te. Altrimenti come posso spiegare tutto ciò? – rispose disperata.
-Io amo il mio Regno, voglio stare qui. Solo così potevo rimanere. Forse Matilde non mi riconoscerà perché non mi ha mai vista, ma quanto alle guardie, ai servi, ai miei sudditi?- lo fece riflettere, badando bene a non dire Regina Matilde.
-E dunque, lo sfregio?- chiese.
-Scomparso completamente.. in meno di un minuto.- sospirò sconfitta. Lui si mostrò sorpreso e pensieroso.
-Un’ultima cosa.. Liliana, la mia dama. Ha visto tutto. Lei mi conosceva da prima.. sostiene che io sia un demone.- sorrise amaramente.
-Un demone?- ripetè osservandola meglio. Ci pensò su.
Si alzò e le lasciò la mano, cominciò a passeggiare davanti a lei.
-Sappiamo che sei stata sotto terra per un anno, che sei soffocata ma sei risorta.. quindi salgono a due le volte in cui sei morta. Hai provato a incidere la pelle, ma sei guarita.- riflettè ad alta voce.
-Le vecchie ferite però sono rimaste. Ho ancora la cicatrice sul ginocchio. – aggiunse all’elenco di fenomeni soprannaturali.
Lui la fissò pensando a qualcos’altro. – Dobbiamo trovare qualcuno che ne sappia più di noi.-
-Qualcuno di cui ci possiamo fidare.- precisò Amalia.
Ci pensarono su.
-Merenwen.- s’illuminò Philip.
-Mia nonna?- chiese Amalia confusa. –Cosa c’entra lei?-
-Lei si è dimostrata molto utile con..tuo padre. Conosceva molti rituali. Forse ci può aiutare.-  disse.
-In che senso con mio padre?- chiese spaventata.
Lui si rimise a sedere sul letto e le prese di nuovo la mano.
-Dopo che sei morta è impazzito. E’ tenuto imprigionato perché ha tentato di uccidermi settimane dopo che non c’eri più.- spiegò.
Amalia sospirò pesantemente e ricominciò a piangere. Scosse la testa e Philip la abbracciò teneramente.

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Capitolo 14
*** Ricordi ***


Presero tutto il tempo che gli rimaneva per stare assieme e parlare. Amalia si distese sul letto, e lui ci si appoggiò su un fianco. Le raccontò di come era pesante la corona, del fastidio che gli procuravano gli abiti, dell’orgoglio di suo padre e di come si annoiava con gli atti burocratici. Ricordarono di quando si arrampicavano sugli alberi, degli scherzi che facevano alle guardie. Amalia rideva con tutto il cuore, non aveva mai riso così, forse. Gli occhi si chiudevano beatamente in una fessura che teneva stretta tutta la gioia che provava, i denti si mostravano spavaldi e si portava le mani sulla pancia che le faceva male per quanto stava ridendo. Philip era estasiato. Non riusciva a smettere di guardarla. Non riusciva a credere che fosse lì con lui dopo notti insonni pensando di averla persa per sempre. Non avrebbe permesso che sarebbe andata via.
Amalia vide che lui la fissava pensieroso.
-Perché mi guardi così?- gli chiese curiosa, ancora con un grand sorriso sul volto.
-Nulla.- sospirò solamente.
-La ami?- chiese d’improvviso, così da poter vedere con chiarezza le emozioni sul suo volto.
Con tutta sé stessa gli suggerì la domanda a mente. Lo guardò speranzosa.
Philip la guardò confuso. Non capiva di chi parlasse in un primo momento, poi scosse la testa. Si ricordò di Matilde. Matilde. Si erano conosciuti solo tre mesi fa, eppure era la ragazza più in gamba che avesse mai conosciuto: era affascinante, e molto intelligente. Scaltra con gli affari, ma anche generosa. Era un’ottima regina. Ed un’ottima moglie, gli era stata accanto e lo aveva sempre sostenuto.. sapeva per certo che da parte di lei c’erano dei sentimenti puri.
-Si,- affermò, -la amo molto.-
Il cuore di Amalia sprofondò ancora. Capiva come si era sentito Philip, ora.
Un altro silenzio imbarazzante. Philip si alzò e si mise seduto sul letto.
-Manderò una lettera a Merenwen, non appena arriverà te la farò leggere ed agiremo di conseguenza.- disse strategicamente, riconducendo il discorso verso i problemi.
Amalia annuì silenziosamente.
-Per ora resta nel castello. Limita le uscite, meno ti vedranno e più al sicuro starai.- continuò.
Dopo la reputazione che si era fatta all’Imbolc, per il quale era stata additata come la portatrice d’oscurità ed inverno, non era il caso che vedessero che era risorta.
-Provvederò a comprare il silenzio della tua dama..-  
-Liliana.- lo aiutò a ricordare il nome.
-Bene.- annuì deciso. –Devo andare ora.- si alzò del tutto, e Amalia si tirò su seguendo come una calamita il suo movimento.
-Mio padre?- chiese Amalia prima di lasciarlo andare via.
Philip la guardò mesto. –E’ nella torre Nord. E’ sorvegliato tutto il giorno e tutta la notte dalle guardie..- le provò a spiegare.
-Devo vederlo.- lo interruppe.
Philip sospirò pesantemente. –Ti prego Philip.- lo supplicò.
-Stanotte.- decise pensandoci. –Ci andremo insieme.- stabilì le condizioni.
Amalia sorrise ringraziandolo. Philip se ne andò senza voltarsi e senza sorridere.
Il suo umore per il resto della giornata alternava come quella conversazione, dai bei ricordi e le risate alle dichiarazioni d’amore altrui. Tutto ciò a cui riusciva a pensare però era che avrebbe rivisto suo padre.

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Capitolo 15
*** Il Re pazzo ***


Era umida quell’aerea del castello. Amalia si teneva il mantello blu scuro stretto alle spalle, mentre si avvicinavano silenziosamente alla porta della cella più alta della torre nord. Philip era davanti a lei a farle luce, sorprendentemente c’era solo una guardia vicino a loro che garantiva la loro sicurezza dal “re pazzo”.
Tirò fuori una chiave pesante e grande dalla tasca, si girò per la prima volta a guardare Amalia.
Non parlarono, la guardò come per dirle “sto rischiando il mio matrimonio, per te”. Era fuggito dal letto nuziale alle quattro della mattina per accompagnare la sua amica. Cosa avrebbe detto la Regina Matilde riguardo quell’uscita? Non era certamente così stupida da non capire.
Infilò la chiave che gracchiò stridulamente, la girò tre volte verso destra e poi spinse la porta in avanti. Subito la guardia gli passò davanti ed entrò per primo con la mano sull’elsa della spada.
Amalia non riusciva a vedere niente, era buio, e c’era un’unica finestra molto in alto che non faceva luce. Il suo cuore batteva frenetico, era in ansia.
Una voce lugubre proveniente dall’angolo sinistro interruppe il silenzio inquietante.
-Chi osa disturbare il mio sonno?- chiese la voce roca.
La ragazza ebbe un singulto.
-Lasciaci soli, resta fuori dalla porta: se ci sarà bisogno ti chiamerò.- sussurrò Philip alla guardia.
Detto ciò l’uomo lasciò la stanza, e Philip prese il suo posto poggiando anche lui la mano sull’elsa della sua spada, pronto ad ogni evenienza.
-Padre.. sono io, sono Amalia.- disse lei con la voce tremante, accucciandosi all’altezza alla quale aveva udito il suono della voce.
Non ci fu nessuna risposta.
La ragazza si girò a cercare lo sguardo di Philip, che si stava abituando al buio e tentava di individuare esattamente la figura di Ivor.
-Vi prendete gioco di me.. non è stato abbastanza rinchiudermi?- rise amaramente. Ad Amalia si spezzò il cuore.
-Philip, illuminami il volto, così che mio padre possa riconoscermi.- ordinò, e Philip eseguì cauto.
Il volto della ragazza era più colorito di quanto Ivor ricordasse, i suoi capelli erano più lucenti ed aveva una strana luce negli occhi che glieli rendeva più..vitali.
-..Oh, Merenwen non mi aveva detto che questo sarebbe accaduto.-  mormorò stupito mentre usciva dall’oscurità per avvicinarsi a lei. Philip strinse le dita intorno l’impugnatura.
Finalmente sbucò dalle tenebre il volto consumato ed invecchiato del Re.
I capelli erano lunghi ed unti, da vicino c’era un odore maleodorante molto forte, il suo viso era segnato da pesanti occhiaie e la barba cresceva incolta.
-Oh tesoro mio.- disse con l’emozione nella voce, poggiandole una mano sulla guancia e guardandola negli occhi.
-Padre.- Amalia, noncurante dell’odore, pianse sulla sua spalla abbracciandolo.
Philip si tranquillizzò, pose la torcia nella struttura in ferro battuto posta in alto, così da poter illuminare meglio la stanza. Voleva lasciarli soli, ma non era abbastanza sicuro, perciò si limitò ad indietreggiare verso la porta.
La cosa che lo colpì più di tutti era che lui l’aveva riconosciuta subito. Non aveva avuto il minimo dubbio.  Li lasciò confrontarsi per molto tempo.
-Ma come è possibile tutto ciò?- si chiese poi Ivor continuandola ad accarezzare,  sperando di non essere impazzito davvero.
-Io.. non lo so.- diceva tra le lacrime.
-Pensavo.. tutti dicevano che l’ultimo ad essere stato nella tua stanza era Philip. Credevo.. credevo ti avesse uccisa.- spiegò scotendo la testa confuso.
Amalia aggrottò la fronte, questo Philip non glielo aveva detto.
-Come avete potuto pensarlo?- quasi lo sgridò teneramente.
-Sono diventato pazzo. Da quando non c’eri più io sono diventato pazzo.- si scusò.
-Non siete pazzo, eravate..- provò a giustificarlo.
-Distrutto.- s’intromise Philip.
-C’è anche lui qui?- sobbalzò sentendo il suono della sua voce.
-Si padre.-
Ivor si alzò debolmente in piedi, Amalia lo aiutò.
-Come sta il mio Regno? Cosa dicono i sudditi? – lo travolse.
-E’ passato poco tempo ma non c’è stata alcuna sommossa. Abbiamo ampliato gli scambi commerciali con i regni del Sud. – rispose Philip.
Era quasi l’alba, e la stanza si faceva man mano più luminosa.
-Non ci sono scuse per il mio comportamento. Non avrei dovuto dubitare di te, Philip. – Ivor accennò un solenne inchino.
-Non dovete.- lo fermò Philip. –Nutro una sincera ammirazione per voi. Non vi avrei mai voluto incarcerare, ma il popolo è venuto a sapere.. le voci si diffondono velocemente a corte. Non avevo scelta.- si scusò.
-Ho attentato alla vostra vita. Alla mia,- rispose veemente, -non vi incolpo di nulla.-
-Si sono anche diffuse altre voci: a quanto pare qualcuno ha sentito voi e Merenwen parlare di qualcosa di..soprannaturale, che si è aggiunto alla lista di stranezze ed ha alimentato le credenze popolari su vostra moglie e vostra figlia.. fino ad arrivare a voi.-  concluse dispiaciuto Philip.
Ivor lo guardò sconfitto. Amalia già ricordava che dicevano che era stata posseduta il giorno dell’Imbolc dello scorso anno, figuriamoci se si fosse fatta rivedere viva e vegeta.
-Non c’è soluzione.- mormorò Ivor.
-Ho inviato una lettera a Merenwen, speriamo ci raggiunga presto, e speriamo abbia delle risposte.- disse Philip.
-Ora dobbiamo andare, prima che la Regina si svegli.- Amalia poggiò una mano sulla spalla del padre.
-La Regina?- chiese sconvolto.
-Ho sposato la regina Matilde di uno dei regni del Sud, dalla casata degli Queris. Nata per di più da un’alleanza marittima.- spiegò con incertezza. –Il popolo voleva un erede.-
Ivor sembrava senza parole. Ma i suoi pensieri ricorsero alla figlia. La guardò sofferente.
-Andate pure.-
-Verrò a trovarvi padre, e vi libererò.- promise speranzosa.

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Capitolo 16
*** Il Velo, il Banchetto, l'Arrivo ***


Amalia pensò a lungo tutto il giorno, si chiese perché Philip non gli avesse detto il motivo del perché suo padre avesse provato ad ucciderlo, e si chiese anche perché non gli aveva menzionato che aveva provato a suicidarsi. Queste domande la seguirono ricorrentemente, fino a che decise che glielo avrebbe chiesto non appena ne avesse avuto l’occasione. Decise anche che sarebbe tornata alle quattro di quella mattina a trovare il padre.
Nel frattempo giunse notizia che Merenwen stava arrivando a corte, e la nipote era troppo agitata per poter aspettare tranquillamente il suo arrivo.
Liliana bussò alla porta e Amalia la fece entrare.
-Lady Ginevra è stata invitata al banchetto.- si inchinò e riferì.
-Ancora?- sbuffò Amalia. –Non posso scendere, inventati una scusa creativa stavolta.- le ordinò.
-Ma deve scendere! O la Regina continuerà a chiederglielo.-  insistì. Ma non aveva tutti i torti, pensò la principessa.
-Cosa avete in mente, dunque?- si girò con le braccia conserte a guardarla.
Liliana la guardò dubbiosa, poi il suo volto s’illuminò.
-Potreste dire di avere un’infezione che vi costringa a coprire la faccia.- alzò il dito e se lo poggiò sulle labbra sorridendo.
-La cosa ti fa ridere?- la guardò disgustata. –Per di più, un’infezione.. dove esattamente?- chiese.
-Non è importante, lo scopo è coprire il volto.- spiegò.
-E come mangerei?- inveì.
-Potreste mettere un velo.. e portare il cibo al di sotto di esso. – aggiunse incerta.
Amalia alzò gli occhi al cielo scocciata e si girò di nuovo a farsi le trecce ai capelli.
-Mi dispiace se vi ho offesa.- disse Liliana e fece un inchino, diretta a mandare alla Regina un rifiuto.
-No, è una buona idea. Forse quella strega non mi chiederà più di pranzare con loro se mi comporto come una selvaggia maleducata. –la fermò. -Dai, aiutami.- le disse.


Il banchetto era stato già preparato, i suoi partecipanti erano seduti. Tutti mangiavano, ma la Regina Matilde aveva intenzione di accogliere calorosamente Ginevra ed aspettarla in segno di gentilezza. Le era stato riferito che aveva una strana infezione al volto.. la Regina pensò che non fosse molto strano, data la sporcizia che la ricopriva quando l’avevano incontrata la prima volta.
Philip non aspettò, non credeva affatto che Amalia sarebbe scesa: avevano concordato che sarebbe rimasta nascosta. Aveva provato a distogliere la moglie, ma nulla da fare.
Dopo parecchi minuti Matilde cominciò a perdere le speranze, fino a che comparve una figura snella quasi scheletrica con un vestito giallo senape e delle trecce lunghe sopra le spalle. Il volto era oscurato: portava un grande velo nero sopra la testa, la trama era così fitta che si chiesero tutti come poteva vederci.
-Oh povera cara.- la accolse subito Matilde mentre si affrettava ad alzarsi.  Le aveva lasciato il posto libero vicino al Re che sedeva a capotavola. Matilde era seduta di fronte a lei.
-Vi prego, sedetevi. Come state?- le chiese preoccupata.
Amalia vedeva tutto abbastanza chiaramente, Liliana era riuscita a trovare questo velo particolare che non permetteva di vedere nei dettagli al di sotto di esso. Matilde cercava di trovarle gli occhi, erano scuri ma aveva individuato la conformazione.
Non appena la ragazza si sedette e Philip si accorse della sua presenza gli andò di traverso tutto ciò che stava masticando. Cominciò a tossire rumorosamente, ed Amalia non riuscì a trattenere una piccola risata.
-Un po’ scossa, temo. Un dolore lancinante al volto.- disse melodiosamente, ma se ne pentì subito.
Il suo vocabolario era forse troppo alto e nobile?
Philip, dopo aver bevuto un goccio di vino, accorse in aiuto della sua principessa.
-Cara.. Ginevra. Cosa ci fate qui?- chiese nel modo più normale possibile, anche se le sue intenzioni erano quelle di sgridarla.
Amalia senza pensarci prese la giusta forchetta per la carne, e la tagliò col giusto coltello, parlando amabilmente con Philip. La Regina Matilde era alquanto incredula.
Amalia si affrettò a correggersi dopo aver adocchiato lo sguardo della donna.
-Oh.. che maleducata!- esclamò ad alta voce, in modo tale che tutti potessero sentirla, - Ho preso le posate senza sapere nulla, perdonatemi.- si scusò rivolta a Philip.
Philip, anche se era molto arrabbiato con la ragazza ed estremamente serio, non riuscì a non trovare ironica la situazione. Si pose il fazzoletto davanti alla bocca per non  mostrare il sorriso, facendo finta di pulirsi le labbra.
Continuò una gradevole conversazione con il cavaliere seduto vicino a lei, un uomo estremamente affascinante della nobiltà del Sud che la Regina aveva portato a corte assieme ad una folta schiera di seguaci. Lui, per fortuna, non poteva riconoscerla. Mentre la Regina continuava a osservare silenziosamente Amalia, lei continuava a fare dei piccoli errori, delle piccole gaffe del tutto casuali.
Philip strinse a sorpresa la sua mano, portando l’attenzione verso di lui.
-Qualcosa ti turba?- le chiese.
Matilde lo guardò pensierosa. – Tua sorella è..estremamente deliziosa.- disse infine sorridendo.
Philip le sorrise, pensando dentro di se che aveva ragione.
All’improvviso, poco dopo che venne portato il dolce, le porte si spalancarono ed entrò un vassallo.
-La Regina Merenwen della casata Aster- Telperien, mio Re.- si inchinò, e si accostò da un lato, lasciando entrare gloriosamente la splendida donna dai capelli argentei.
Tutti i presenti rimasero stupiti, ma soprattutto, sotto al velo di Amalia scorse una lacrima di gioia.

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Capitolo 17
*** Merenwen Telperien ***


La ragazza stava letteralmente fremendo dalla voglia di abbracciare e parlare a sua nonna. Eppure si contenè:  non era la prima volta che le era stato vietato di mostrare atteggiamenti poco regali davanti al pubblico.
Philip si alzò ed andò a baciarle la mano.
-Chiedo perdono per aver interrotto il vostro banchetto.- si scusò con voce melliflua.
-Nient’affatto,- rispose cortese il Re, -continuate il banchetto!- ordinò.
La Regina si alzò e andò a salutare la donna che non aveva mai visto, chiedendosi chi mai fosse.
Amalia riuscì ad origliare.
-Mia cara continua il banchetto, ti prego.  La Regina degli Aster è qui per affari.- la liquidò dolcemente.
-Posso aiutare..- si propose bonariamente. –Vorrei tanto conoscere questa incantevole donna.- le sorrise. Merenwen le rivolse un sorriso freddo e gentile.
-Stai con mia sorella Ginevra, si sentirà terribilmente sola senza di te.- disse, e questo fu l’argomento vincente. Matilde tornò con le braccia raccolte sul ventre verso Amalia, il mento alto e un’aria scocciata ed insoddisfatta che non fece altro che compiacere la principessa.
Si sedette, mentre Amalia continua a parlare con il Cavaliere Edoardo attendendo la fine del banchetto.
Fortunatamente, data la noia e la curiosità che assalivano la Regina Matilde, il pranzo si concluse dopo pochi minuti.
Amalia si ritirò in stanza dopo aver ringraziato la Regina per il suo invito. Si chiuse la porta alle spalle e si levò il velo tutta sudata. Ad aspettarla c’era Liliana che era ansiosa di sapere se lo stratagemma avesse funzionato o meno.  La ragazza andò a rinfrescarsi il viso e le raccontò di come era andato il pranzo, incluso l’arrivo di Merenwen e il cavaliere Edoardo.
-Oh si, è famoso a corte per la sua bellezza.. e per il suo amore per le donne.- ridacchiò.
-Immaginavo.- alzò gli occhi al cielo Amalia. – Non mi sono mai preoccupata di queste sciocchezze, comunque.- si mise sulla difensiva, onde evitare eventuali pettegolezzi.
-Tutti continuavano a fissarla, a pranzo.- introdusse l’argomento Liliana. –Sono scesa a dare una mano nelle cucine.- spiegò.
-Beh, e allora?- chiese Amalia. Non se ne era minimamente accorta, da principessa era abituata ad avere tutti gli occhi puntati su di se, non ci faceva nemmeno più caso.
-Tutti a corte si chiedono che aspetto abbia la sorella ritrovata del Re.- la guardò dispiaciuta.
-Il Re mi ha annunciata?!- esclamò irritata. Oltre ad aver deciso insieme che ancora non l’avrebbe fatto, anche se era suo dovere legittimarla, era molto pericoloso. Il popolo avrebbe parlato.. l’avrebbero voluta vedere. Infatti era ciò che stava succedendo al momento.
-Quando? Perché?- urlò inferocita e aspettando una risposta da Liliana.
-A quanto mi è stato riferito.. ma sottolineo che non sono notizie certe.. si dice che sia stata la Regina ad annunciarti.- mormorò.
-C-come?- chiese Amalia, anche se aveva udito benissimo. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
-Che diritto aveva?- esplose gridando. –Quella strega maledetta doveva per forza mettere dicerie in giro! La odio, la odio!- urlò impazzita.
-Vi prego, abbassate la voce..- tentò di calmarla Liliana.
-Vuole rovinarmi! Non tollero sia considerata per un momento di più la Regina del mio Regno!- continuò scandendo bene le parole.
D’un tratto qualcuno bussò alla porta, e la furia di Amalia si arrestò. Liliana e Amalia si guardarono spaventate.. qualcuno le aveva sentite?
Bussarono di nuovo.
Amalia si sistemò le vesti ed andò ad aprire alla porta, davanti a lei un viso aquilino per nulla segnato dal tempo e degli occhi ghiacciati la accolsero con delle lacrime agli occhi.
Philip era dietro di lei, scortato da due guardie.  Non potevano dirsi nulla, nemmeno abbracciarsi davanti alla servitù.. perciò mentre Amalia tremava per l’emozione si inchinarono vicendevolmente e la principessa la invitò ad entrare.
Philip le lasciò da sole e non appena la porta si richiuse Amalia abbracciò subito sua nonna ed altrettanto fece Merenwen.
-Mia dolce Amalia. Sei viva!- sussurrò stringendola. –Sei viva.- ripetè.

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Capitolo 18
*** Doppelganger ***


- Il mio popolo esiste dall’inizio di tutto, c’è sempre stato. Ma fummo cacciati via dal nostro mondo. Noi vivevamo serenamente in cielo insieme agli dei e alle dee, non eravamo considerati tali ma vivevamo in pace. Poco a poco però ognuno di noi cominciò ad avere debolezze, cominciammo a confonderci tra gli umani.. e diventammo angeli caduti. Alcuni di noi, non tutti. Ci bandirono e ci rifugiammo nelle foreste, dove la furia degli dei non poteva raggiungerci. Gli angeli caduti erano molti, cominciammo a radunarci in piccole comunità. Alcuni volevano tornare in cielo e tornare ai loro privilegi, altri volevano sfidare gli dei e le dee.. e altri ancora volevano vivere in pace nel mondo umano, perseguendo lo scopo per cui erano caduti. Passarono secoli e secoli, e le fazioni si fecero sempre più estreme. Erano tantissimi gli angeli che avevano la pretesa di voler tornare in cielo e combattere le divinità, ed eravamo in pochi a volere la pace. Cominciammo a chiamare gli angeli caduti come angeli neri. Infatti le ali degli angeli sono sempre state bianche.. pure. Quelle degli angeli caduti come me hanno un numero di piume nere, per ogni peccato commesso ed a seconda della gravità. Quelle degli angeli neri erano ormai diventate tutte di un nero pece, erano accecati dalla rabbia, l’invidia e l’arroganza.-  fece una breve pausa, mentre corrugava la fronte del tutto priva di rughe.
Amalia era ammaliata dalla storia, ma altrettanto spaventata.  Incredula.. ma dopo che era risuscitata non aveva molte difficoltà a credere a Merenwen.
-Quindi.. voi siete un angelo caduto?- chiese la ragazza rapita dalla storia.
Merenwen si mise in piedi e la guardò mentre dietro di lei si aprirono due enormi ali, lunghe almeno due metri ciascuna. Amalia tirò un sospiro di meraviglia. Erano immense e di un bianco purissimo, eccetto due piume grigie.
-Vado fiera delle mie ali, nipote. Come vedi sono macchiate da pochi peccati.- spiegò guardando l’ala sinistra.
-Perché sei caduta dal cielo?- le chiese allora curiosa.
Merenwen sorrise amaramente. –I miei unici peccati sono stati innamorarmi di un mortale ed avere dei figli- sospirò triste.
Poco prima che Merenwen ricominciasse la sua storia, il Re bussò ed entrò velocemente.
-Temo che Matilde verrà a farvi visita a breve, sarà strano trovarvi da sola con Merenwen.- spiegò di fretta e si mise seduto sulla sedia di legno davanti al letto dove erano sedute le donne.
-Scusate se vi ho interrotte, non ascolterò se vorrete.- si affrettò ad aggiungere.
-Non credo ci siano ostacoli, la verità è sempre chiara e pura.- disse saggiamente la donna.
Dopo che Merenwen acconsentì Philip cercò anche l’assenso di Amalia, che gli sorrise e guardò nuovamente la nonna.
-Narravo..oh, si. Gli angeli neri. Ecco dunque che gli dei, stanchi dell’arroganza degli angeli caduti, punirono tutti quanti, non conoscendo le diverse fazioni che ci separavano. Non sapevano che noi angeli, chiamati tra di noi grigi, non desideravamo altro che vivere nella serenità dei nostri torti. Ebbene, ci punirono tutti. Condannarono i nostri figli, nipoti e così via ad essere dei demoni.. chiunque noi avremmo generato sarebbe stato un doppelganger, chiunque noi avremmo amato sarebbe morto.-  disse tetramente guardando il basso dispiaciuta.
-Un doppelganger?- la interruppero all’unisono Amalia e Philip. Poi si guardarono stupiti e si girarono di nuovo in attesa della spiegazione.

-Quando un immortale e un mortale si uniscono possono generare un essere che diviene entrambi. Metà mortale e metà immortale. Come te, Amalia. – la indicò con un gesto della mano.
-Questo essere viene chiamato doppelganger perché è sempre destinato a riprodursi in una forma uguale a se stesso, – continuò con la spiegazione,- non sei solamente simile a tua madre, sei identica a lei. Sei il suo doppio. Per quanto riguardo l’aspetto ovviamente. – specificò.
Amalia ora era davvero spaventata. Il suo doppio?
Philip la guardò preoccupato.
-Tua madre era la prima doppelganger, non era il doppio di nessuno prima che nascessi tu. Poi ha cominciato a vedere sosia di se stessa ovunque, è impazzita e si è ammalata.- la voce di Merenwen si spezzava continuamente mentre raccontava di sua figlia.
-Ma..ma perché lei non è diventata immortale come me?- balbettò Amalia con le lacrime agli occhi.
-Non lo so.- scosse la testa.

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Capitolo 19
*** Sospetti e Preghiere ***


-E.. come farò adesso?- cominciò ad agitarsi Amalia guardando sua nonna disperata. -Come riprenderò il mio Regno? Come farò a spiegare che non sono morta?- il suo respiro si fece affannoso. Guardò Philip, in cerca di risposte, ma né lui né Merenwen seppero calmarla. Nessuno aveva una soluzione, ancora.
Toc toc.
-Ginevra? Sono la Regina Matilde.- si annunciò. Prima che potessero pensare a una spiegazione razionale, la scorta della Regina aprì la porta senza il permesso e Matilde trovò davanti a lei il Re seduto su uno sgabello di legno e Merenwen e Amalia adagiate sul letto che la guardavano colpevoli.
-Che succede?- chiese Matilde confusa.
-Mia cara...- Philip si alzò e le prese la mano racchiudendola tra le sue.
- ..la Regina Merenwen stava..- cercò di inventare, quando la saggia Merenwen lo aiutò prontamente: - Stavo ascoltando l’orribile storia di questa fanciulla.- disse alzandosi in piedi, guardandola negli occhi.
Matilde alzò lievemente il sopracciglio sinistro. –Pensavo foste qui per affari.-
-Mi è cara la salute del vostro Regno tanto quanto la salute dei componenti della famiglia reale.- rispose serenamente.
Alla parola “componenti della famiglia reale”, la Regina Matilde ebbe un sussulto, ma sorrise e chinò il capo in segno di risposta.
Poi rivolse lo sguardo verso Amalia e la guardò attentamente.
-Vedo che siete guarita dalla terribile infezione che vi provocava così tanto fastidio poche ore fa.- disse gelidamente.
Amalia rispose altrettanto gelida, - L’unguento che ho applicato ed il riposo mi hanno giovata.- chinò il capo a sua volta, ma era l’unica che era rimasta seduta sul letto. Non voleva portare rispetto a quella donna. Inoltre la Regina Matilde dava per scontato che lei non sapesse come comportarsi a corte, perciò così avrebbe agito.
Matilde non rispose, si limitò a stringere la mano di suo marito.
-Con permesso.- si inchinò davanti a Merenwen.
–Philip, puoi seguirmi nelle nostre stanze? Devo parlarti.- si ritirarono.
Non appena chiusero la porta, Merenwen e Amalia tirarono un sospiro di sollievo.
-Non mi sono ancora riposata dopo il viaggio. Ho corso così velocemente per poter riabbracciare la mia Amalia che mi sono dimenticata quanto stanca fossi. – disse prendendole il viso tra le mani e guardandola dolcemente. –Ora che ti ho riabbracciata so che sei reale, sembrerà strano se non mi ritirassi nemmeno un minuto. Vado, prima che la Regina sospetti qualcosa. – disse togliendo le soffici mani dal volto di Amalia.
-Aspettate, a mezzanotte andrò a trovare mio padre nella cella. Potremmo incontrarci lì. – suggerì.
Merenwen sorrise in segno di assenso e se ne andò.




Amalia passò tutto il suo tempo a ripensare a ciò che le aveva detto sua nonna. Pensò che lei era la doppelganger di sua madre.. che il Regno era in mano di Matilde.. mille pensieri le offuscavano la mente. Era confusa e spaventata, e non riusciva più a stare ferma in quella minuscola stanza ancora a lungo. Decise di calmare i suoi pensieri ed andare a pregare. Era quasi il crepuscolo, ed uscì con il velo sul volto per andare verso la stanza delle preghiere.
In quel periodo si pregavano molti dei, ma Amalia decise di riservare in particolare onore alle dea Lilith. Entrò nella stanza densa di incenso e verbena bruciata, in modo tale che nessuno potesse udire o interrompere in mezzo alle sue preghiere.  La stanza era vuota ed ovale, intorno a lei cadevano rossi drappeggi di tende, e in alto c’era una finestra dove entrava la poca luce rimasta. L’altare era al centro, ed era pieno di gigli e di piccole rappresentazioni di gufi, cari alla dea.  Amalia si alzò il velo, stava per donare fiori alla dea e recitare una preghiera, quando qualcuno comparve da dietro le tende.
-Anche voi qui.- disse una voce roca, familiare. Si girò, era il cavaliere Edoardo.
La ragazza ebbe l’impulso di coprirsi il viso, ma poi si ricordò che lui non l’avrebbe potuta riconoscere.
-Così il velo nascondeva una tale bellezza.- si complimentò avanzando verso di lei con le mani raccolte dietro la schiena.
-Edoardo.. come avete fatto a riconoscermi?- chiese Amalia colta di sorpresa.
-Dal vestito, ovviamente. Ed ora che posso ammirare anche il vostro volto posso dire di aver visto un angelo.- le sorrise.
Amalia trovò la situazione alquanto divertente.
-Cosa ci fate qui?- chiese Amalia.
-Prego: sono molto devoto.- disse avvicinandosi fino a prenderle la mano ed a baciarla.
Amalia arrossì, o almeno quella era la risposta biologica che il suo corpo avrebbe dovuto avere.
-E’ una sorpresa trovare un cavaliere così religioso a questi tempi.- scherzò la ragazza.
-E’ una sorpresa trovare una fanciulla così bella, a questi tempi.- la corteggiò.
Amalia sottrasse velocemente la mano.
-Sapete, girano molte voci su di voi qui a corte.- riferì la ragazza cominciando a camminare lentamente, costeggiando l’altare. Edoardo la seguì lentamente, non staccando mai gli occhi dai suoi.
-Che genere di voci?- sorrise, mettendo in risalto i ricci neri che cadevano sulla fronte.
-Beh, si dice che siate molto.. disponibile.- sorrise di rimando Amalia.
-Siete nuova qui, sono solamente dicerie.- la corresse. –E se anche fosse, vi garantisco che dopo essermi intrattenuto con voi oggi a pranzo ed ancor di più dopo aver scoperto il vostro aspetto, non risulterei più così disponibile.- disse afferrando la mano di Amalia.
Il cuore di Amalia ebbe un sussulto. Si fermò e deglutì a fatica.
-Voi non mi conoscete.-
-Ma vorrei.- la incalzò.
-Devo andare.- lo interruppe Amalia, camminando verso l’uscita.
-Non era mia intenzione turbarvi,- disse ed il suono della sua voce la convinse a fermarsi,ma non a voltarsi, -mi concederete una passeggiata, dopo il banchetto di questa sera?-  le chiese.
Amalia sorrise compiaciuta, - d’accordo.- disse sempre senza voltarsi e si diresse verso la propria stanza.
Non appena uscì trovò Philip davanti a lei con Matilde che stavano per entrare dentro la stanza delle preghiere. Inchiodò immediatamente per non finirgli addosso. Amalia aveva dimenticato di tirare giù il velo. Philip la guardò come per dire “stai attenta”: aveva paura che la scoprissero.  Amalia si inchinò davanti ai regnanti, e prima che potesse fare poco più di due passi dietro di lei ne sentì altri. Quelli di Edoardo che usciva dalla stessa stanza.
-Cavaliere Edoardo, che piacere vedervi pregare.- disse Matilde.
-Vostra Maestà.- rispose Edoardo.
Amalia si girò appena, e vide che Philip la stava guardando sospettoso. Strinse le labbra continuandola a guardare, dopo di che Amalia interruppe il contatto visivo per prima e se ne andò definitivamente.

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Capitolo 20
*** Il Prediletto della Regina ***


Non poteva andare al banchetto senza velo e non poteva andare al banchetto col velo, essendo “guarita”.
-La mia vita è un tale disastro.- si buttò sul letto lamentandosi.
Liliana si sedette sullo sgabello a guardarla.
-Vostra nonna ha fatto ritorno a corte, forse lei può suggerirvi.-
-Oh, dammi pure del tu. Non sono più la principessa Amalia ormai. Non sono più la futura Regina di Maynott.. ho perso tutto. Mio padre è in prigione. Ho perso l’amore di Philip.- sospirò pesantemente mettendosi il cuscino sulla faccia e abbracciandolo.
-Oh no.- sorrise Liliana. –Ho visto come vi guarda.-
Amalia si tolse il cuscino dalla faccia. –Tu dici?- chiese osservandola.
-Avete sempre avuto un atteggiamento d’indifferenza, eravate fredda e cinica. Ora che vi conosco invece so che non è così. Si vede che tenete al vostro Regno.- la incoraggiò Liliana.
-Forse lui amava l’Amalia che è morta. Non me.- sospirò gravemente.
La ragazza si alzò sul letto e si mise a sedere, ammirando i meravigliosi boccoli di Liliana.
-Grazie per le tue parole.- sorrise debolmente.
-Non smettere di lottare.- la guardò profondamente negli occhi prendendole la mano e finalmente dandole del tu. Non appena i loro occhi si incrociarono Amalia riconobbe uno sguardo.. familiare.
-Cosa c’è? Vi ho offesa?- si spaventò Liliana.
-No.. no. Nulla. Mi ricordi una persona a me cara, ma non riesco a capire chi.- disse strizzando gli occhi, cercando di ricordare.
-Comunque, se vuoi saperlo qui a corte tutti amano la Regina. Ma ultimamente girano strane voci.- sussurrò.
-Che voci?- Amalia tornò sull’attenti.
-Dopo che sei morta, quando eri.. malata insomma, tutti temono che la Regina possa subire la stessa sorte. Questo è già il terzo mese senza un erede, e ci sono voci che dicono che non può averne perché tu hai lanciato una maledizione.- sussurrò quest’ultima parte, ma Amalia sentì benissimo.
-Io? Una maledizione? Ma è ridicolo.- sorrise incredula, dubbia sul ridere o arrabbiarsi.
-Questa corte è più movimentata di quello che pensassi.- sbuffò.
 – Ma ora non è importante, penserò solo a come vestirmi per stasera.- sorrise compiaciuta allo specchio.
Si alzò e si mise seduta davanti ad esso.
-Stasera?- ripetè Liliana.
-Oh, il cavaliere Edoardo mi ha invitata per una passeggiata. – rispose sbrigativa.
La ragazza si alzò per andare a raggiungere Amalia e metterla in guardia.
-Sai che voci girano su di lui.- le ricordò.
-Non m’importa. E’ di bell’aspetto e mi piace parlare con lui. – troncò il discorso.
-Si dice anche che sia il prediletto della Regina.- la guardò intensamente negli occhi attraverso lo specchio.
Amalia smise di sistemarsi i capelli. Ricambiò lo sguardo serio di Liliana.
-Ah si?- chiese solamente con un sopracciglio alzato.



Il banchetto era finito da pochi minuti. Stasera c’erano entrambe le Lune, quella rossa più in alto e quella argentea in basso al suo fianco destro. Amalia aspettava sotto il portico con il velo sul volto. Cominciava a fare più caldo, un lieve venticello afoso le spostò il velo pesante. Davanti a lei il giardino era illuminato da candele e lucciole, la Regina ed il Re dovevano aver sistemato il castello.
Prima il giardino era un posto piacevole, la natura cresceva rigogliosa senza freni, Amalia non voleva che si tagliasse nulla.. nemmeno un ramo. Tutto cresceva incolto, le panchine erano piene di muschio ed intrecciate di edera, il sentiero non era ben scandito e l’erba arrivava fino alle caviglie. Ora era tutto così.. ordinario. L’erba era finemente tagliata, le panchine di marmo erano state pulite e risplendevano ed ai lati dei ciottoli di pietra, che scandiva il passaggio, c’erano cespugli finemente tagliati di rose ed altri fiori spettacolari. Mentre rifletteva a tutti questi cambiamenti, qualcuno la sorprese da dietro la colonna del porticato.
-Vi ho spaventata?- rise Edoardo.
Amalia rise civettuola. –Avete interrotto il corso dei miei pensieri.- disse.
Il cavaliere prese i due angoli del velo nero, e delicatamente scoprì il volto sorridente della ragazza.
I due si avviarono per i giardini, camminando fianco a fianco.
-Siete mai stata in quest’ala del castello?- chiese curioso.
-Non credo.- rispose guardandosi intorno: era tutto un altro luogo ora.
Passeggiarono a lungo in silenzio, Amalia era rapita da qualunque fiore vedesse.
-Non è meravigliosa?- si chinò a vedere meglio i petali di una petunia. Si girò e sorrise, e scoprì il volto di Edoardo illuminarsi.
-Lo è.- concordò guardandola.
Amalia si rialzò in piedi, e continuarono il giro stavolta parlando animatamente, ridendo così tanto che talvolta dovettero abbassare necessariamente la voce.
-Ditemi, vi è dispiaciuto abbandonare il vostro Regno?- introdusse il discorso Amalia, quando si sedettero su una panchina, sotto ad un salice.
-Sono fedele alla mia Regina, il mio dovere è proteggerla ovunque essa si trovi.- rispose prontamente.
-Non vi mancano i vostri cari?- insistè.
-Tutte le persone a me care sono nel mio Regno, e posso proteggerle solo da qui.- le spiegò.
-Quanto tempo è che siete al servizio della Regina?- chiese ancora.
-Ormai credo quasi cinque anni.- ricordò guardando in alto.
-Io credo di non piacerle, forse sono troppo rozza nelle maniere.- sorrise nervosamente.
-Non c’è niente che non va nelle vostre maniere, ve lo posso assicurare.- le prese la mano.
-Ora parlatemi di voi, com’è stato rincontrare vostro fratello?- le chiese guardandola profondamente negli occhi, con uno strano luccichio.
Dentro di sé ora Amalia aveva capito, entrambi stavano cercando di trovare informazioni dall’altro. Ma lui l’aveva capito? E cosa voleva sapere da lei? La Regina non poteva avere alcun sospetto riguardante la sua identità.
-Strano.- rispose veritiera sospirando. Voleva sembrare quanto più sincera possibile. -Ho passato così tanto tempo da sola, ed è stato un sollievo ritrovarlo.- continuò.
-Avete dei brutti ricordi di quando eravate sola?- chiese Edoardo.
-Non oserei dire che fossero orribili, è stato solo tutto confuso per me fino a quando non ho rincontrato Philip.- rispose.
-Non vi nascondo che io proverei rabbia, mi sentirei abbandonato. Per poi ritrovare un fratello Re. Ovviamente voi siete buona d’animo, non vi si addice tale crudeltà.- si appoggiò con la schiena sul marmo bianco.
-Perché arrabbiata?- chiese stupita.
-Lui non vi ha cercata, ha rinunciato a trovarvi dandovi per morta. Non credo perdonerei mai un atteggiamento simile.- Amalia poteva chiaramente sentire che nelle sue parole c’erano ragionamenti propri, proprie emozioni e pensieri.
Ma era questo che Matilde stava cercando di scoprire? Voleva sapere se fosse arrabbiata nei confronti di Philip?
-E ditemi.. quanti anni avete più di Philip?- chiese ancora, stavolta con malizia.
-Come?- chiese incredula. In più?
-Scusatemi.. non sono forse domande che si chiedono a delle fanciulle belle e giovani come voi, di certo.- si affrettò a riparare al suo errore. –Ero solo curioso, la Regina mi ha riportato che foste la sorella maggiore del Re, ma a me sembrate più giovane.-  spiegò.
Tutto nella mente di Amalia si fece chiaro: Matilde temeva che lei volesse prendere il Regno.
Rimase attonita per pochi istanti. Aveva mandato il suo fidato cavaliere ad indagare. E perché mai Philip le aveva riportato una simile notizia se aveva ben tre anni in più di lei?
-Beh.. pochi, pochi mesi..in realtà.- balbettò.
-Quindi.. dovreste essere voi la regnante.- i due si guardarono in silenzio.


 

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Capitolo 21
*** Dichiarazioni ***


Mentre la sua mente pensava freneticamente guardò in alto per vedere la posizione delle due Lune. Era quasi mezzanotte.
-Devo andare.- si alzò Amalia.
-Lasciate che vi accompagni nelle vostre stanze.- si alzò prontamente e le offrì il braccio, inchinandosi con capo. Proseguirono in silenzio, attorniati dalle lucciole.
-Io non voglio che Philip sia deposto come Re.- disse quando stavano per raggiungere il porticato.
Lo guardò prima di indossare il velo.
-Io mi fido di voi, Edoardo. Credete alle mie parole, quando vi dico che non c’è nessuno che più di me ama Philip, ora.- lo guardò negli occhi. Edoardo fu sconvolto dalla bellezza raffinata ed innocente di quei due occhi color miele. Restò a fissarla chiaramente rapito.
-Io vi guardo, e capisco che siete sincera.- la sua espressione si addolcì, gli occhi color smeraldo le sorrisero.
-Vi guardo, e non riesco a smettere.- alzò la mano, e con il dorso le accarezzò il viso pallido. Amalia sentì il cuore battere frenetico, il tocco di Edoardo le fece abbassare lo sguardo.
-Incontratemi domani, nella sala delle preghiere.- il suo tono era supplichevole.
-Io..- Amalia provò a dire.
-Al crepuscolo.- disse e se ne andò.



Amalia raggiunse ansate la sua stanza, prese il mantello e lo avvolse intorno a sé. Prese inoltre tutto il cibo che riusciva a tenere tra le mani per portarlo a suo padre.
Non appena uscì trovò davanti a sé Merenwen e Philip con una candela in mano ciascuno che parlavano a bassa voce.
Merenwen sembrava turbata, Philip invece aveva un cipiglio serio e la mandibola serrata.
Non appena la videro smisero di parlare e la guardarono. Il volto di Merenwen di piegò in una espressione serena.
Senza dirsi una parola proseguirono verso la torre. Stavolta non erano scortati.
I passi rimbombavano tra i corridoi. Man mano che salivano l’ansia di Amalia cresceva sempre di più.
Finalmente Philip aprì la cella, e la ragazza si buttò tra le braccia del padre.
-Figlia mia.- disse abbracciandola.

Il colloquio di quella notte fu breve, e di natura puramente logica. Non c’era più spazio per le emozioni.. ora si doveva passare all’azione. Merenwen era accanto ad Ivor, stavano discutendo di come agire, mentre Amalia si era alzata per stendere le gambe che erano state accucciate vicino al padre per più di mezz’ora. Philip presiedeva austero in piedi vicino alla porta, facendo il palo.
-Hai trovato una gradevole compagnia a corte?- Philip chiese sussurrando alla ragazza, senza staccare gli occhi dal corridoio.
-Che intendi?- chiese aggrottando la fronte Amalia.
-Fai attenzione con chi stringi amicizia, quell’Edoardo ha una pessima reputazione.- continuò, senza osare guardarla.
-Lo so. E non ti devi preoccupare.- rispose lei, bramando il suo sguardo.
-Sai che ho il castello pieno di guardie? Alcune sono mie, alcune sono di Matilde.- spiegò, stavolta posando gli occhi furiosi su di lei.
-Una guardia ti ha vista senza velo stasera, per di più mentre passeggiavi con il cavaliere Edoardo nel giardino.- mantenne a stento la calma, se avesse potuto avrebbe sputato fumo dal naso.
-E questo che significa?- chiese di rimando Amalia.
-Che sei stata vista senza velo e che il cavaliere ti sta apertamente corteggiando, e tu glielo stai facendo fare!- quasi gridò.
Non si accorsero che Merenwen e Ivor avevano interrotto la conversazione, ascoltando il loro litigio.
-Non glielo sto facendo fare.. lo sto spiando!- gli rispose.
-Perché?- chiese confuso Philip.
-Voi due, fuori.- disse autoritaria Merenwen. – Io ed Ivor stiamo discutendo di questioni importanti, vi informeremo domani mattina. – li congedò decisa.
Philip chinò il capo ed uscì dalla cella obbedendo, Amalia andò dolcemente a carezzare il volto del padre e lo baciò sulla guancia dandogli la buonanotte. Philip la aspettava fuori dalla porta, i due si incamminarono verso le stanze reali.
-Matilde.. crede che io voglia usurpare il tuo trono, in quanto tua sorella maggiore.- riprese l’argomento Amalia. Non voleva andare a dormire.. al momento era troppo agitata.
Philip strizzò gli occhi, cercando di capire.
-Non mi stupisce il fatto che lo sappia.. ma come lo ha capito?-chiese scotendo la testa.
-Ma.. io non voglio il tuo trono..- lo guardò incredula. Philip pensava che lei potesse deporlo?
Philip la guardò altrettanto confuso. –Tu sei la vera Regina di Maynott. Tu hai diritto al trono. – la fece ragionare, sottolineando la parola trono.
Amalia sentiva il formarsi di un groppo in gola. Davvero Philip non aveva pensato all’alternativa di poter regnare insieme? La detestava fino a quel punto?
-Voglio il mio trono, il mio Regno.. in quanto Regina,- disse sottolineando anche lei la parola Regina, -non voglio che tu sia deposto, non ho mai voluto che tu non fossi Re. Ti avevo scelto. So che sei un ottimo Re.- gli spiegò.
-Tu..- Philip la guardava esterrefatto. –Tu.. dopo tutto questo,- balbettava ma non riusciva interamente a comprendere.
Amalia gli prese una mano stringendola, cercando invano di trattenere il formarsi delle lacrime.
-So che Matilde ti ama, e molto. E sono sicura che lei è stata una Regina migliore, una donna migliore per te. Ma anche io ti amo. So che ho fatto molti errori, e non ti sto chiedendo di perdonarmi. Sto dicendo che sto cercando di essere una persona migliore, è questo che l’amore dovrebbe fare, giusto?-

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