Nuova vita

di afiree_love
(/viewuser.php?uid=910756)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Amo l'Italia ed amo essere italiana. Amo il cibo italiano, i paesaggi italiani, le persone italiane (con le dovute eccezioni)..amo tutto dell'Italia. Eppure un giorno la vita ha deciso di tirarmi un brutto scherzo. Mio padre ha deciso di accettare un lavoro in America, sì, in America. Per carità, mi piace anche l'America, ma non per viverci. Io e l'America siamo troppo diverse, ho provato a spiegare alla famiglia che trasferirci a Portland sarebbe stato un grande errore ma nessuno mi ha dato ascolto e ora, dopo aver migliorato il mio inglese per mesi, siamo qui, in questa casa completamente stile americano (e la cosa mi piace) provando ad adattarci ad una vita del tutto nuova. I miei sono entusiasti, felici di iniziare un nuovo capitolo della loro vita e la cosa è lontana dall'essere giusta perché toccherebbe a me e alla mia sorellina Sofia essere di quell'umore. Dovremmo essere noi quelle strafelici, trepidanti all'idea di vivere in America, la terra dove ci sono gli attori e le star che ama tanto mia sorella, dove accadono le cose più importanti del mondo, dove non importa chi sei e da dove vieni ma conta solo quello che dimostri di essere. Già, eppure Sofia ed io vorremmo tornare alla nostra vecchia casa, alle nostre vecchie abitudini italiane, ma a nulla è servito litigare con papà e mamma per cercare di far capire loro che quella era una pessima idea. I miei sono così, sempre alla ricerca di nuove avventure, di nuovi orizzonti tanto da non considerare ciò che vogliono le loro figlie. Quindi, dopo la prima litigata ho capito che non c'era nulla che io potessi fare per impedire loro di partire. Sofia, con i suoi sette anni, dopo una settimana di pianti e urla, ha accettato la novità ed ora ci convive. Per lei, l'aspetto più brutto del trasferimento è stato il fatto di dover lasciare l'Italia e il nostro paesino, dove c'è la nonna, l'essere umano più buono di questa terra. Prima di partire l'ha costretta ad imparare ad usare Skype così da poter parlare con lei e vedere il suo sorriso a trentadue denti. La mia cara sorellina, però, ha mutato subito il suo umore, vedendo la nostra nuova casa con il suo enorme giardino; in Italia invece non avevamo nemmeno l'ombra di un giardino ma solo aperta campagna ed era lì che io andavo quando volevo del tempo per me stessa. Certo, la casa è bellissima ed enorme, non c'è niente da dire. Appena entrata, vado a cercare la mia stanza e mi stendo sul letto e penso a cosa ho lasciato in quella penisola a forma di stivale e alle persone che ho dovuto salutare, sicuramente poche dato che io sono un tipo solitario e difficilmente stringo amicizia. Penso all'unico vero amico che ho avuto lì in Italia, Gabriele, mio amico dalla nascita e vicino di casa. Con lui sono sempre stata me stessa e non ho mai avuto bisogno di indossare maschere, abbiamo gli stessi interessi e le stesse passioni, ci piace leggere, guardare tanti telefilm ma soprattutto correre. Eravamo nella stessa scuola di atletica e ci divertivamo a fare delle gare tra di noi, in cui vincevo sempre io ma solo perché lui me lo permetteva. Penso a lui e alle nostre serate passate in camera mia a guardare le nuove puntate di Arrow, il nostro telefilm preferito. Sento troppo la sua mancanza e così gli mando un messaggio su whatsapp che non leggerà subito a causa del fuso orario. "L'America fa schifo senza di te". Gabriele ha sempre amato l'America e quando gli ho detto che mi sarei trasferita era triste perché me ne andavo ma felice per me perché la vita americana é tutta un'altra cosa. Vorrei davvero che fosse così. Prendo il mio ipod e ascolto musica italiana per sentire un po' meno la mancanza di quel mondo. Ascolto Tiziano Ferro, il mio cantante preferito e comincio a piangere sulle note di Sere nere. Mi succede spesso di commuovermi per questa canzone ma ora il motivo delle mie lacrime è ben diverso. Vorrei già tornare in Italia a sole due ore dal mio arrivo

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La sveglia suona e appena sento il suo suono elettronico mi rendo conto che non sono nella mia solita stanza, tappezzata di foto con Gabriele e dei suoi magnifici disegni. No, sono nella mia nuova camera, così spoglia e vuota da far paura. Devo proprio decorarla per bene. Mi alzo dal letto a baldacchino e vado nel mio bagno (sì, solo mio) e faccio una doccia veloce. Indosso dei pantaloncini, una canottiera e le mie scarpe da tennis; lego i miei lunghi capelli lisci in una coda di cavallo e mi preparo per correre. É l'unico modo che ho per sfogarmi e concedermi del tempo per me stessa. Scendo le scale e vado in cucina dove ci sono i miei genitori che stanno facendo colazione. Li osservo da lontano e vedo come si scambiano e sorrisi e come sono felici, forse dopo troppo tempo, e capisco che abbiano scelto di trasferirsi per ricominciare, per dimenticare una parte di vita troppo dolorosa e ingiusta. "Buongiorno" li saluto, cercando di sorridere. "Buongiorno a te" risponde mio padre, dandomi un bacio sulla fronte. "Vuoi andare a correre? Ieri ho visto che dietro l'angolo c'è un parco, potresti andare lì" mi dice mia madre mentre mi versa del caffè sulla tazzina. "Grazie mamma, ma sai bene che non mi serve un parco per correre" le rispondo bevendo di fretta il mio caffè. "Lo so, ma è il posto ideale per sgranchirsi le gambe. Nel nostro vecchio paesino non c'era nessun parco, ora qui sei libera di volare" sorrido alla sua affermazione "hai ragione, è ora di esplorare nuovi posti" scherzo mentre prendo il mio iPod dal tavolo. "Dovrei tornare tra un'ora, ci vediamo più tardi" li saluto. "Stai attenta e non perderti" mi raccomanda mio padre prima che io esca; "tranquillo, ho il telefono in tasca" urlo prima di sbattere la porta di casa. Il mio iPod comincia a suonare e sento le note di "Broken" dei "Lifehouse", mi guardo attorno e cerco di abituarmi al nuovo paesaggio che avrà la mia vita. Vedo case americane molto simili alle nostre, un uomo che porta a spasso il suo cane, una donna in vestaglia che ritira la posta e decido che sembra essere tutto normale, gli americani si comportano come gli italiani,almeno di prima mattina. Stringo la mia coda e esco dal cancello della mia nuova casa, comincio a correre sul marciapiede e svoltato l'angolo spero di trovare il parco che ama tanto mia madre. Aumento la velocità della mia corsa e in poco tempo mi ritrovo nel famoso parco. Non è nulla di speciale, ci sono alberi, panchine, giochi per bambini e molte persone che corrono come me. È una cosa molto strana; nel mio vecchio paese ero l'unica che corresse per le strade e mi piaceva per questo: non c'era la possibilità di incontrare nessuno, ero solo io con il mio fiato corto e miei pensieri rumorosi. A volte poteva capitare che Gabriele venisse con me, ma lui la mattina preferiva dormire e così correva più di sera. Le corse con lui sono la cosa che mi mancheranno di più. Pensando a Gabriele, le mie gambe tremano e così mi fermo. Riprendo fiato e mi siedo su una panchina vuota,prendo il mio telefono e lo accendo sperando di trovare un messaggio di risposta da Gabriele. Digito il mio pin e sento subito il suono di una notifica. "Non può essere peggio di un'Italia senza di te. Chiamami appena puoi". Lo leggo e rileggo, sento già troppo la mancanza del mio miglior amico, di quel ragazzo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me. È difficile concepire una vita senza di lui, in cui non corriamo insieme verso un futuro sempre più spaventoso. Mi alzo dalla panchina umida, cambio canzone e penso che Gabriele ed io saremo uniti per sempre, non importa quanto lontano viviamo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


È passato un mese da quando ci siamo trasferiti. Un mese senza Gabriele. Nel corso di questo tempo ci siamo sentiti molto spesso e abbiamo fatto molte videochiamate, ma sento troppo la sua mancanza. Lui dice che in Italia non è successo niente di entusiasmante e che farebbe subito le valigie per raggiungermi in America, ma in verità sono io quella che vorrebbe partire e tornare alla mia vecchia realtà. Davanti ai miei genitori fingo di essere,non felice, ma almeno contenta di essere qui; voglio che loro non si preoccupino di me e del mio stato d'animo, devono pensato alla loro felicità. Mia madre e Sofia sono uscite a fare spesa così scendo in salotto e vedo papà seduto sul divano intento a leggere un libro "ehi che libro leggi?" Chiedo sedendomi accanto a lui. Mio padre si toglie gli occhiali da lettura e mi risponde:"oggi tocca a 'il buio oltre la siepe'" "papà, ma l'hai letto almeno dieci volte" comincio a ridere e lo stesso fa mio padre; mi dicono spesso che io abbia una risata contagiosa. Mio padre, Alberto, ama leggere; ho sempre pensato che fosse nato con un libro in mano. È un appassionato di letteratura, per questo è un insegnante di italiano che per caso ha trovato lavoro in America. 'Il buoi oltre la siepe' è uno di quei libri che ormai sa a memoria, ma nonostante questo nulla gli impedisce di leggerlo da capo una volta ancora. Lo guardo e il suo sorriso scompare, sostituito da un'espressione triste, che ormai conosco troppo bene. Mi stringe la mano e mi guarda con gli occhi lucidi: "Credi che a Michele sarebbe piaciuto trasferirsi qui in America?" A queste parole vengo investita da un senso di malinconia e guardo verso le nostre mani strette. Michele era mio fratello maggiore; dico 'era' perché è da ben due anni che è morto a causa di una malattia rara che nessuno aveva previsto. Mio fratello era l'anima della famiglia, l'unico che riusciva a trovare un lato positivo in qualsiasi cosa, ad apprezzare ogni cosa che la vita gli offrisse. Anche nel periodo più brutto della malattia aveva la forza di sorridere e di rendere felici tutti noi. Con la sua sola presenza era capace di trasformare le giornate più difficili in momenti spensierati e indimenticabili, da ricordare per tutta la vita. Smetto di fissare le nostre mani e rivolgo lo sguardo a mio padre, cercando di sorridere: "Considerando l'alta percentuale delle belle ragazze che ci sono qui, penso che sarebbe stato proprio felice." Papà mi sorride e stringe ancora di più la mia mano; io smetto di scherzare e gli dico quello che penso: "Lui amava i cambiamenti, quindi vivere qui non sarebbe stato un problema". Mio padre annuisce e toglie la presa dalla mia mano "Hai ragione." Si rimette gli occhiali da lettura e così penso che voglia continuare a leggere ma riprende a parlare: "Allora, sei pronta per domani?" All'inizio non capisco cosa voglia dire, poi mi ricordo che domani sarà il mio primo giorno di scuola, in una nuova scuola, in cui non conosco nessuno e l'unica cosa che so è che sarà una giornata orrenda. "Lo sai che non lo sono." gli rispondo, sperando che riesca a consolarmi con uno dei suoi discorsi pieni di speranza. Lui sorride e si toglie di nuovo gli occhiali "L'importante è che tu sia te stessa, in questo modo tutti vedranno che persona splendida sei e vorranno essere tuoi amici" Non riesco a credere che abbia veramente detto quelle cose, visto che sono famosa per la mia asocialità e per la difficoltà a fare amicizia. "Papà, non fare lo spiritoso. Sai bene che se domani parlerò anche solo con una persona sarà un miracolo." Lui comincia a ridere e io non riesco a non fare lo stesso; mi fa troppo piacere sentire la sua risata. Sentiamo la porta aprirsi e subito entra Sofia urlando: "Siamo tornate!". La mamma la segue con i pacchi della spesa in mano e mi alzo per aiutarla a sistemare tutto. Una volta arrivate in cucina la mamma poggia le buste sull'isola della cucina, mi bacia sulla fronte e dice: "Non essere preoccupata per domani, vedrai che andrà tutto bene." Non so come faccia a sapere che ho l'ansia per la giornata di domani, ma con lei è sempre così: capisce quello che provo guardandomi semplicemente negli occhi; credo che sia il suo superpotere. "Grazie mamma." Le rispondo, dandole un forte abbraccio. Lei ricambia abbracciandomi ancora più forte e dicendomi: "Per tirarti su di morale, ho deciso di preparare una bella pizza, tutta italiana." Mi stacco dall'abbraccio e la guardo con occhi pieni d'amore; la pizza è l'unica cosa in grado di farmi felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Oggi è il grande giorno. La sveglia suona alle sette e riesco ad alzarmi subito perché non ho dormito quasi per niente, troppa era l'ansia. Vado in bagno a lavarmi e una volta uscita decido di indossare dei jeans stretti e una semplice maglietta di colore rosso bordeaux; lascio i lunghi capelli sciolti e scendo in cucina per fare colazione. Vedo mia madre intenta a preparare il caffè e papà legge il giornale seduto sulla sua poltrona. Saluto tutti e due e mi rispondono con un caloroso "Buongiorno". Sanno che sono ansiosa e quindi cercano in tutti i modi di rendermi le cose più facili. Aspetto che il caffè sia pronto e dopo averlo bevuto esco di casa, salutando i miei e ricevendo un "in bocca al lupo" da entrambi. Vado verso la fermata e aspetto che arrivi l'autobus; quando salgo ci sono abbastanza posti liberi e decido di sedermi vicino al finestrino. Per fortuna ho già fatto il percorso che porta alla scuola, così non ho problemi a capire dove devo fermarmi. Una volta scesa dall'autobus sono pervasa da un senso di ansia assoluta; non so dove andare, non so cosa fare, non so a chi chiedere informazioni. L'unica persona che sarebbe in grado di rassicurarmi è Gabriele ma è troppo lontano da me. Decido di chiamarlo anche se non so se mi risponderà a causa del fuso orario; anche se, secondo i miei calcoli, in Italia dovrebbero essere le cinque del pomeriggio. Dopo il terzo squillo continuo a sperare che rispondi, incrociando le dita. "Ehi Irene" finalmente risponde alla mia chiamata ed io non potrei essere più felice. "Gabriele, ho bisogno di te!" Gli rivelo subito la mia ansia, chiedendogli disperatamente aiuto. Non so se riuscirò ad affrontare questa giornata. "Irene, tranquilla. Andrà tutto bene, sei una ragazza intelligente e simpatica; conquisterai tutti." Rido alla sua affermazione, per nulla vera e sono felice perché si è ricordato che oggi è il mio primo giorno di scuola e quindi sa quello che sto provando ora. "Grazie, basta una tua sola frase e le cose non sembrano essere così male." Gli dico quello che penso perché è la verità; è sempre stato capace di rassicurarmi. Sento il suono di una campanella e vedo tutti i ragazzi entrare nella scuola, ma ora non mi interessa fare tardi; vorrei solo continuare a parlare con Gabriele. A quanto pare anche lui ha sentito la campanella perché mi dice: "É meglio che vai, non voglio che tu sia in ritardo anche il tuo primo giorno di scuola." Comincio a ridere e ripenso a tutte le volte che sono arrivata in ritardo nella nostra vecchia scuola, praticamente anche i professori sapevano che non sarei mai arrivata puntuale. "Hai ragione, è meglio che entri. Grazie Gabri, sei riuscito ancora una volta a tirarmi su il morale. Ti voglio bene." Sorridendo aspetto una sua risposta che tarda un po' ad arrivare: "Anche io ti voglio bene, non sai quanto." Subito dopo queste parole chiude la chiamata e io rimango sorpresa dalla sua frase e dal suo tono di voce. Era come se stesse soffrendo. Decido di mettere da parte Gabriele e di pensare più tardi a quello che ha detto; mi faccio forza ed entro in quella che d'ora in poi sarà la mia scuola. Soltanto dall'ingresso capisco che questa è una scuola completamente diversa da quella a cui ero abituata, a partire dalla presenza degli armadietti, uguali a quelli che si vedono nei film. Vedo gente che si reca subito verso il proprio armadietto ed io osservo tutti, cercando di individuare qualcuno a cui poter chiedere informazioni su dove trovare la segreteria. Comincio a camminare verso gli armadietti e vedo una ragazza con un cappello nero e dei pantaloni strappati che sta usando il telefono tutta sola, quindi ne approfitto per parlare con lei "Ciao, scusa se ti disturbo, ma posso farti una domanda?" La ragazza alza lo sguardo e mi rivolge un sorriso bellissimo rispondendomi: "Dimmi pure." "Puoi dirmi dov'è la segreteria?" "Certo, se vuoi posso accompagnarti!" Rimango sorpresa dalla sua gentilezza e accetto la sua offerta: "Sarebbe davvero stupendo, grazie." Le sorrido e la seguo ad ogni suo passo. "Sei nuova?" Mi chiede la ragazza mentre camminiamo. "Sì, mi sono trasferita qui da poco." "Sei straniera, vero?" Cavolo, il mio inglese deve essere un vero schifo, è riuscita a capire subito che non sono americana. Avrei preferito confondermi tra la massa di ragazzi americani, invece ora verrò etichettata come la ragazza straniera con un accento strano. "Sì, sono italiana. È così evidente?" "Wow italiana. Ho sempre desiderato visitare l'Italia e l'Europa in generale!" La ragazza si volta e mi guarda con gli occhi pieni di gioia e mi porge una sua mano "Comunque io sono Sarah, scritto con l'h finale." Stringo la sua mano con la mia e rispondo sorridendo: "Piacere Sarah con l'h finale, io sono Irene." Dopo aver camminato un po' e aver memorizzato la strada, giungiamo davanti alla segreteria e Sarah mi dice: "Io ora vado a lezione, magari ci vediamo in giro." "Sì, grazie mille per avermi aiutato. Da sola non sarei mai arrivata qui." Sarah ride alle mie parole e mi saluta con un cenno della mano. Bene, se tutte le persone di quella scuola sono gentili come Sarah potrebbe anche piacermi restare qui. Dopo aver preso il mio piano di lezioni e la combinazione del mio armadietto (non posso ancora credere che ora ho un armadietto tutto mio), capisco che le mie lezioni cominciano un'ora più tardi rispetto agli altri e vado verso il mio armadietto, così da poter mettere i libri che oggi non mi serviranno. Quando arrivo nel corridoio degli armadietti vedo che non c'è nessuno a parte un ragazzo che sta cercando di aprirne uno ma senza successo. "Dannazione!" Sento il ragazzo imprecare perché l'armadietto non vuole proprio aprirsi e spero che non succeda lo stesso a me, ho sempre avuto problemi con qualsiasi tipo di combinazione. Controllo quale sia il mio armadietto ed ora comprendo perché il ragazzo sconosciuto non riesca ad aprirlo: quello è il mio. "Credo che non riuscirai mai ad aprirlo." Dico, sorridendo divertita dalla strana situazione in cui mi trovo. Il ragazzo toglie lo sguardo dall'armadietto e lo rivolge a me. Io rimango completamente incantata, penso di non aver mai visto un ragazzo così bello: occhi azzurri, capelli corti sul biondo, alto e muscoloso. Mi guarda con un'espressione stupita e mi regala un sorriso; troppo bello per essere vero. Per caso è un dio? "Ah si? E perché?" Cosa? Anche la sua voce è perfetta. Continuo a fissarlo, cercando di trovare le parole giuste per potergli rispondere. Mi ricompongo ed indicando l'armadietto gli dico: "Perché quello è mio e la tua combinazione non va bene." Wow, non so come sono riuscita a comporre una frase di senso compiuto. Torno a guardare il ragazzo aspettando di vedermi un'espressione arrabbiata o almeno scocciata, ma scopro con molta sorpresa che il ragazzo continua a sorridere. "Hai ragione. Questo è sempre stato il mio armadietto, ma evidentemente hanno cambiato le cose." Sorrido e mi fa piacere sapere che prima era il suo armadietto. Sento il suono della campanella e torno alla realtà: è l'ora della mia prima lezione. Gli alunni cominciano ad uscire dalle aule e il dio di fronte a me si allontana dal famoso armadietto dicendomi: "Ci vediamo in giro." A quanto pare è una frase usata dagli americani e io non riesco a rispondergli visto che se ne va dandomi le spalle. D'accordo, se i ragazzi sono tutti così belli e le ragazze così gentili, questa scuola potrà davvero piacermi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3354572