Discovering love.

di otpshipperaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Plot ***
Capitolo 2: *** 1. I love you, Henry! ***
Capitolo 3: *** 2. Mixed feelings ***



Capitolo 1
*** Plot ***


Fu quella chiamata che ci costrinse ad incrociare i nostri sguardi. Sentii gli occhi bruciare ed un groppo in gola terribilmente familiare che non mi permise di proferir parola dinnanzi a quella donna che rappresentava la causa del mio dolore e, soprattutto, della sofferenza di Henry. 

"Emma Swan?" Quella voce che pronunciò freddamente il mio nome decise di non lasciar possibilità ad altri pensieri di interferire.
"Suo figlio Henry è in codice rosso, si precipiti qui il prima possibile!" 
Fu in questo istante che riconobbi la voce del dottor Whale, segnata dalla difficoltà del riferirmi la notizia nel modo più cauto possibile. Le sue successive parole furono solo un miscuglio di lettere non ben pronunciate, forse a causa della consapevolezza di non aver raggiunto il proprio obiettivo, lasciandomi quel fardello in modo troppo diretto.

Furono le parole di Regina a riportarmi al presente. 
«Emma, dobbiamo andare» pronunciò.
Notai che la sua sofferenza era paragonabile alla mia. Furono queste le uniche parole che ruppero il silenzio di quella stanza ormai diventata fredda e grigia. Il nostro unico obiettivo fu quello di raggiungere Henry, prima che fosse troppo tardi. 
Abbandonato l'edificio alle nostre spalle, ci incamminammo a passo svelto raggiungendo in poco tempo la mia auto ed una volta salite all'interno dell'abitacolo, ci addentrammo velocemente nelle strade che costeggiavano i boschi della cittadina di Storybrooke. Nessuna di noi due aprì bocca, nessuna di noi due ebbe il coraggio di parlare di ciò che stesse accadendo. La mia mente cominciò ad annebbiarsi nuovamente, il pensiero di non poter più rivedere il sorriso di Henry mi rendeva debole e cominciai a pregare, pregai affinché i medici potessero salvarlo e riportarlo da me, suscitando un brivido di freddo che attraversò il mio corpo, facendomi rabbrividire. 
Fu un calore che mi pervase d'improvviso la mano destra, quella appoggiata al cambio dell'auto, che mi fece discostare momentaneamente dai miei pensieri, così spostai il mio sguardo sull'unica fonte di distrazione degli ultimi minuti, e notai che fu la mano di Regina poggiata delicatamente sulla mia a creare quel calore che inondava pian piano il mio corpo.
Alzai la testa e notai che mi stava osservando, con un sorriso quasi forzato. Sapevo quanto astio ci fosse fra noi due e di certo sorridermi non faceva parte dei gesti che mi rivolgeva abitualmente. Una lacrima scese dal suo occhio destro, quello illuminato dal sole quasi tramontato che ci batteva contro. Man mano che scendeva, lasciava dietro di se una sottile scia che le bagnò il viso, tanto da farle ritrarre la mano dalla mia per potersela asciugare. Quel calore che essa stava suscitando, fu subito interrotto, lasciando solo il ricordo di quella sensazione piacevole che il mio corpo stava lentamente accogliendo. 
Abbassò immediatamente lo sguardo e tirò su col naso, direzionando per brevi secondi il suo sguardo sulla strada, per poi tornare ad incrociarlo col mio. Non amava mostrarsi debole, soprattutto in mia presenza, ma mi sorprese quando con un leggero sorriso mi disse: «Andrà tutto bene.»
Nessuna delle due credeva realmente a quell'affermazione, ma l'unica fonte di speranza che ci restava fu quella di pensare che ciò si potesse avverare. Così risposi con un sorriso, che purtroppo non coinvolgeva i miei occhi, e mi concentrai nuovamente sulla strada, mentre Regina si abbandonò alla propria sofferenza poggiandosi con la testa contro il finestrino e chiudendo le proprie braccia intorno al proprio corpo, quasi come se si stesse abbracciando. 

Chissà, forse la donna che era seduta al mio fianco non era così forte come pensava, magari aveva anch'ella bisogno di affetto e protezione.
Tornai ad osservarla mentre cercava di nascondermi le proprie emozioni e mi resi conto, proprio in quel momento, che non ero io la persona che poteva offrirle tutto ciò.

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Capitolo 2
*** 1. I love you, Henry! ***


Arrivammo dopo dieci minuti circa dalla chiamata del dottor Whale che mise in allerta me e Regina per lo stato di "codice rosso" in cui si trovava Henry. 
Ormai soltanto dei gradini mi distanziavano da mio figlio, così mi precipitai a raggiungere il più velocemente possibile la stanza che lo accoglieva. 
La mia corsa fu bruscamente interrotta dall'urto con la Madre Superiora, la quale precipitò sul freddo pavimento dell'ospedale. Con l'aiuto di Regina, l'aiutammo a rialzarsi ed una volta che la dolce donna dal corpo minuto si rimise in sesto, non persi tempo nel volgerle le mie più grandi scuse.

«Madre Superiora, le chiedo umilmente perdono per l'accaduto ma cercavo mio fig..»

Un particolare mi impedì di terminare la frase: i suoi occhi rossi. La mia vista cominciò ad annebbiarsi e i pensieri più negativi riempirono velocemente la mia testa, impedendomi di razionalizzare ciò che stava accadendo. Fu proprio lei ad interrompere il flusso dei miei pensieri concludendo la frase al mio posto: 

«..suo figlio? Mi dispiace dirle ciò ma le cose non sono andate come previsto e..»

Il suo sguardo si spostò sulla figura di Regina, ed inconsciamente voltai gli occhi anch'io di conseguenza. A causa della mia distrazione, non notai che nel frattempo si era poggiata su una delle seggiole che riempivano il corridoio dell'ospedale, tenendo i gomiti sulle ginocchia ed il viso racchiuso fra le mani.
Una presenza alle mie spalle mi sbloccò dal mio stato di pietrificazione e mi voltai. 
Il dottor Whale. Fu proprio lui ad attirare la mia attenzione, la prima persona che avrei voluto incontrare, dopo mio figlio, per ricevere delle spiegazioni riguardo l'accaduto. Si limitò ad osservare me e le altre due donne alle mie spalle, capì che la triste notizia era già giunta alle nostre orecchie e decise così di non aggiungere altra sofferenza a quella già posseduta, rimanendo in silenzio. 
Avevo ormai capito che per Henry le speranze di potermi sorridere nuovamente erano finite.
Con la poca forza che mi rimase, mi incamminai lungo l'ultimo tratto del corridoio, alla fine del quale intravidi una vetrata che conteneva una piccola barella sulla quale poggiava un corpicino esile: il suo.
Oltrepassai la porta della stanza e lo raggiunsi. Era freddo, pallido e privo di vita.
Le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi copiosamente, costringendomi a chiudere numerose volte le palpebre a causa del liquido che impediva alla mia vista di mettere a fuoco ciò che rimaneva di lui. In quel momento un'inserviente spense il display collegato alla macchina che monitorava i battiti del cuore di Henry e passò la sua mano dalle lunga dita affusolate lungo il corso della mia schiena.
Quella carezza recò gelo crescente fin dentro alle ossa del mio corpo man mano che proseguiva il suo percorso verso il basso. Il gesto della donna non mi recò alcun beneficio, al contrario del calore che il contatto con Regina suscitò una manciata di minuti prima. Nel frattempo un rumore di tacchi, suono che terribilmente odiavo poiché sapevo a chi appartenessero, annunciò la presenza di Regina all'interno della stanza. La ragazza che cercava, nel migliore dei modi, di darmi conforto, interruppe immediatamente il contatto, pietrificata dallo sguardo di Regina. Rivolgendo uno sguardo sommesso a lei e successivamente un sorriso debole a me, lasciò la stanza a passo svelto. 
Non riuscii a capire perché avesse reagito in questo modo, dopotutto l'intera cittadina era abituata ai modi sgarbati di quella donna.  Decisi di concentrarmi su una questione ben più importante: la morte di Henry. Cercai in tutti i modi di formulare delle frasi di senso compiuto che potessero accompagnare l'anima di Henry lungo il percorso che gli spettava, ma i singhiozzi di Regina impedivano qualsiasi tipo di concentrazione. Improvvisamente una sensazione conosciuta e maledettamente piacevole, si ripresentò. Aveva poggiato nuovamente la sua mano sulla mia, mentre l'altra la intrecciò a quella di Henry. Mi chiesi perché un suo contatto potesse giovarmi così tanto e mi voltai per osservarla. Stava fissando incredula il bambino che aveva dinnanzi, colui che aveva cresciuto per anni, dopo che sua madre biologica decise di non voler più informazioni a riguardo. 
Il solo pensiero mi fece contorcere lo stomaco; provai odio verso me stessa. 

Una lacrima le scese velocemente e riempì il solco della sua cicatrice, collegata alle sue labbra che presentavano deboli segni lasciati dai suoi denti. Probabilmente aveva passato la maggior parte del tempo a dare i tormenti al suo labbro inferiore a causa della sofferenza. Ancora una volta mi chiesi perché la sua figura attirasse così tanto la mia attenzione ma un gelo improvviso arrivò sulla mia mano e la rese umida. Calai lo sguardo e notai che fu la lacrima sfuggita al suo viso. 
Come un'illuminazione, numerosi flash si fecero spazio fra i miei pensieri annebbiati. Flash che raffiguravano il momento in cui Regina mi consegnò la sua torta di mele, il mio ritorno a casa ed infine la scena che rappresentava la motivazione che ci aveva portati tutti qui: il morso che Henry diede alla torta di sua madre consegnatami poco prima. Quel calore piacevole divenne improvvisamente bollente ed il desiderio che quella donna mi toccasse, svanì. In modo violento, afferrai il polso di Regina e la scaraventai contro la parete adiacente la barella.

«SEI STATA TU!» urlai con tutta la forza che mi rimaneva in corpo.

Queste parole cambiarono improvvisamente la sua espressione, dando l'impressione di qualcuno che non stesse assolutamente cogliendo il nesso delle mie parole e con voce fioca mi degnò di una misera risposta.

«Di cosa stai parlando?» la sua confusione divenne crescente, così la illuminai.

«Henry aveva ragione, la torta che mi avevi consegnato era nociva! Guarda cos'hai causato!» risposi con tono altezzoso.

Alzai il mio braccio libero dalla stretta di Regina e chiusi la mano in pugno, pronta a sferrargliene uno su quel viso dai lineamenti tanto morbidi quando duri.
Presero il sopravvento su di noi due infermieri, che staccarono il mio corpo dal suo, liberandola dalla mia presa. Riprese fiato mentre il volto divenne sempre più pallido e mi accorsi che sul suo volto comparvero i primi sensi di colpa. 
Si girò di scatto verso di me ed urlò: 

«Era destinata a TE!» era furiosa.

Ne ero consapevole, ma quelle parole piene di amarezza mi trafissero il petto con la forza di una lancia e mi accasciai sul pavimento, con le spalle al muro e le braccia attorno alle mie gambe. Mi chiusi in me stessa.

Non so quanto tempo passò da allora, ma quando rialzai la testa c'eravamo solo io, Henry ed il dottor Whale. Mi porse la mano invitandomi ad alzarmi, così afferrai la presa e cercai di stabilizzare il mio equilibrio.

«È ora di andare» mi disse con pacatezza.

Arrivò il momento di salutare mio figlio per l'ultima volta e mi diressi con rassegnazione verso di lui, poggiai la mia mano sul suo petto e le uniche parole che riuscii a pronunciare con voce tremante furono: 

«Ti voglio bene, Henry.» e lasciai un leggero bacio su quella fronte fredda come il marmo.

Qualcosa cambiò.
Sentii che qualcosa sotto la mia mano cominciò ad alzarsi e ad abbassarsi ritmicamente.
Stava respirando.

«HENRY!» dissi allegramente con il più sincero dei sorrisi stampato sul viso.

Ma lui non rispose. 
I suoi occhi restarono chiusi. 
Gli arti rimasero pietrificati.

A quanto pare, mi spettava un problema più grande da affrontare.

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Capitolo 3
*** 2. Mixed feelings ***


Henry non rispose.
La felicità provata un istante prima lasciò strada alla paura. Presi fra le mani il viso del mio bambino e lo agitai leggermente e con voce ansimante urlai ancora una volta:

«HENRY! Sono io, Emma, tua madre. Fai un cenno se riesci a capirmi, ti supplico!»

Le ultime due parole vennero pronunciate con la stessa velocità delle lacrime che cominciarono a rigarmi il viso. Nessun segno.
Lasciai per un attimo la postazione di Henry e mi precipitai verso la porta della grande vetrata, oltre la quale c'erano dei dottori che parlavano disinteressatamente fra di loro. 

«Qualcuno mi aiuti! Henry ha ricominciato a respirare ma non risponde ad alcuno stimolo!»

In men che non si dica, tre di essi entrarono nella stanza ed a passo svelto raggiunsero la barella di mio figlio. Mi avvicinai in fretta anch'io ma l'invito di uno dei dottori deluse le mie aspettative. 

«Signora, lei deve lasciare la stanza, non può rimanere qui. Le faremo sapere la sua condizione il prima possibile.»

Non potevo crederci. Come potevo lasciarlo?Avevo bisogno di sapere, così piantai le radici al suolo. Capita la situazione, uno di essi fece un cenno ad un inserviente di passaggio che non perse tempo nel prendermi sotto braccio e ad accompagnarmi fuori. Una volta lasciata la presa, chiuse la porta della vetrata, impedendomi di entrare.
Lo guardai furiosa ma in cambio ricevetti uno sguardo sommesso. Tuttavia, non era colpa sua se ero lì con le mani in mano, stava soltanto eseguendo gli ordini dei suoi superiori. Feci un cenno di rassegnazione e l'uomo apparve decisamente rilassato, dopodiché mi diede le spalle e tornò a compiere i suoi doveri.

"Mio figlio ha cominciato a respirare" pensai.
"Come ha fatto a sottrarsi dal suo destino così, improvvisamente?" incredibile.
Le domande diventarono sempre più numerose nella mia testa e non riuscii a trovare risposta nemmeno ad una di esse.
"I dottori son dentro, chi mai potrebbe darmi almeno una spiegazione, chi potrebbe essermi d'aiuto?" la tensione cresceva.
Mi sedetti su uno sgabello adiacente alla vetrata e poggiai le mani sulle mie cosce, sfiorando il mio cellulare. 
Finalmente una risposta si presentò e capii che l'unica persona a cui potevo rivolgermi, seppure essa rappresentasse l'ultima persona che al momento avrei voluto accanto, era Regina. Sfilai il cellulare dalla tasca sinistra e cercai il suo nome in rubrica. Esso apparse fra i primi ma aspettai una manciata di secondi prima di inviarle la chiamata. Non riuscivo ad immaginare come sarebbe stata la sua voce, dopo che l'avevo strattonata in quel modo.
Il suo viso mi riapparve davanti agli occhi.
Bella, sorpresa ed impaurita allo stesso tempo.
Chi mai avrebbe pensato di mettere con le spalle al muro il "temuto" sindaco di Storybrooke? Temuto, sì, ma non da me. Con me aveva a sempre avuto un approccio diverso, seppur sempre negativo, ma sentivo che in lei c'era un qualcosa che non le permetteva di tenermi troppo a distanza. Era diversa.
Scossi la testa per accantonare i pensieri che mi distraevano dal dovere che mi spettava e soprattutto perché non avevo voglia di giustificare la crudeltà riposta in quella torta.
Freddamente, pigiai il tasto e la chiamata partì.
Non mi accorsi che stavo percorrendo il corridoio avanti ed indietro, così mi fermai e sospirai. "Regina, rispondi." La mia non era una richiesta ma una supplica.
Ecco una voce.
Mi raggelai.
Era fredda, distaccata e formale.
Rimasi in ascolto.
Non era la sua.
Aveva azionato la segreteria telefonica.
«Segreteria telefonica di Regina Mills, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico, *bip*»
Era il mio momento, dovevo parlare. 
Perché non aveva risposto lei al telefono? Capii che il suo desiderio di risentirmi era pari a zero. I secondi passavano, così mi affrettai a pronunciare un qualcosa di senso compiuto.

«Oh, ehm.. R-regina, sono Emma. C'è una cosa su Henry di cui devo inform..» 

Il tempo esaurì e mi complimentai con me stessa per la mia incompetenza. Dannazione.
Nessuna notizia di Regina, nessuna notizia di Henry. C'eravamo solo io e la mia agitazione.
Mi incamminai per raggiungere il bagno e mi guardai allo specchio. Non avevo mangiato, nè dormito da più di 24 ore o giù di lì. Il mio viso apparve sciupato e di un candore unico. Aprii il rubinetto e mi sciacquai la faccia con acqua corrente, più e più volte. Strappai un paio di fazzoletti dal contenitore attaccato alla parete e mi asciugai con molta calma, lasciandomi coccolare dalla loro morbidezza. Una volta umidi, li gettai e mi pizzicai le guance per darle un pò di colorito.
Rieccolo.
Il rumore dei suoi tacchi riempì nuovamente le mie orecchie.
Era tornata.
Dopo un'ultima occhiata allo specchio, mi sistemai i capelli ed inspirai. 
"Perché sto facendo questo?" dovevo calmarmi.

Uscii dal bagno e notai che stava cercando di forzare la maniglia della porta vetrata.

«Puoi forzare quanto vuoi, la porta non si aprirà.» dissi in tono pacato.

Si girò di scatto e mi ritrovai ad avvampare.
Il suo sguardo era decisamente penetrante.

«..Emma» disse con un tono indecifrabile.

Poche volte mi era capitato di sentire la sua voce pronunciare il mio nome e questo aumentò il mio stato di agitazione.

«..Signorina Swan» si corresse, chiudendo gli occhi durante la pronuncia di queste due parole, rimase in silenzio per un attimo e poi riprese.
«Ho sentito il suo messaggio impacciato sulla mia segreteria telefonica. Di cosa dovrei essere informata riguardo Henry?» terminò la frase preoccupata.

"Signorina Swan? Perché?" probabilmente anche lei non desiderava la mia presenza.

«Io, non so cosa sia successo in realtà.. M-mi sono avvicinata ad Henry e gli ho lasciato un bacio sulla sua fronte fredda ed un attimo dopo ha ripreso a respirare.. p-pensavo che lei potesse dirmi qualc..»

Non feci in tempo a terminare la frase che i suoi occhi divennero rossi, portò la sua mano alla bocca e corse verso di me.
Mi ritrovai in un battito di ciglia con le mie braccia attorno al suo collo, il viso immerso nei suoi capelli, le sue braccia che mi circondavano il corpo.

Non riuscivo a capire.
Un miscuglio di emozioni si intrecciarono fra loro. 
Il cuore mi batteva forte. 
Il suo buon odore puntò dritto alla mia testa, distraendomi da ogni pensiero. 
Persi la ragione.

Una sola cosa mi fu chiara, dovevo interrompere immediatamente quel contatto.



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