The beauty and the beast [Who could ever learn to love a beast?]

di mamehota
(/viewuser.php?uid=142271)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Addio [would you like to spend your life with me, mr. swordman?] ***
Capitolo 2: *** 25. Risveglio [Dopo la pioggia] ***
Capitolo 3: *** 43. Sorriso [And I won't end up falling in love with you] ***
Capitolo 4: *** 26. Incontro [life is like a boat] ***
Capitolo 5: *** 41. Tempo [Quando vengo qui non voglio essere disturbato] pt1 ***
Capitolo 6: *** 21. Pelle [Quando vengo qui non voglio essere disturbato pt2] ***



Capitolo 1
*** 01. Addio [would you like to spend your life with me, mr. swordman?] ***


                                                                                  The beauty and the beast

Titolo:
The beauty and the Beast [Who could ever learn to love a beast?]
Autore: hotaTERU

Fandom: One Piece
Personaggi:
Zoro Roronoa, Nico Robin
Rating:
giallo
Disclaimer:
One Piece non mi appartiene, bensì è opera di Eichiro Oda ©. (E s’è visto. Non a caso Zoro non ha ancora assaltato Robin finendo col fare l’amore violentemente e Paulie non s’è più visto dopo Water 7. Io ci tenevo a lui, eh!).
prompt:
01. Addio.
Avvertimenti: Fanfiction partecipante alla “Mezza Tabella Maledetta”.

 

01.Addio (Would you like to spend your life with me, mr. swordman?)
L’addio ha uno strano sapore; molto simile ad un boccone troppo amaro, mandato giù perché si deve o perché è l’unica alternativa possibile, che resta in qualche modo impregnato sulle labbra, cosparso sulla lingua e bloccato proprio lì, nel mezzo della gola, impossibile da cancellare. E’ un sapore la cui asprezza la conosci già, la conosci da sempre e la assaggi molto spesso, a malincuore, un’asprezza che pizzica e scortica il palato per quanto è intensa.
Ma, allo stesso tempo, è un sapore mutevole, percepito ogni volta diversamente, perché non v’è un addio che sia uguale ad un altro, sia per le circostanze in cui avviene sia per le persone o gli oggetti che vi sono coinvolti. L’unica costante è sempre quell’amarezza che t’invade la bocca, che resta lì e non va più via, puoi coprirla con altri sapori, più dolci e piacevoli, ma non cancellarla, no, non cancellarla, quello mai.
Loro, tutti quanti, di addii ne avevano vissuti e vissuti, e chi più di loro aveva perso ciò a cui maggiormente tenesse? Chi più di loro aveva visto strappato dalle proprie mani, dopo aver lottato con le unghie per trattenerne almeno un brandello, quel piccolo angolo di felicità cucito filo per filo quasi fosse un consunto straccio di lana?
Ne avevano vissuti anche troppi di addii, e così decisero di rendere quell’ennesimo nient’altro che un fugace saluto, un gesto d’intesa di spaventosa intimità, qualcosa di più simile ad un ci vediamo presto.
In realtà, ognuno di loro aveva un posto in cui tornare, un antro dimenticato che sapeva ancora di famiglia. Ognuno di loro, tranne quei due che soli erano sempre stati e sembravano quasi non appartenere a nulla, essere anime separate, a sé, ignare del mondo dalle quali erano circondate, proiettate unicamente verso un sogno oltre il quale non c’era futuro.
Quei due, Zoro e Robin, che una famiglia ce l’avevano avuta, sì, ma erano stati i sette folli e spensierati ribelli che avevano percorso insieme a loro la strada per realizzare un obbiettivo comune, individuale eppure comune a tutti, il tuo sogno è anche il mio.
Andarono via uno alla volta, con la tacita promessa di rivedersi, perché non era la fine di un’amicizia o di un legame inscindibile, ma unicamente di un viaggio, e della ciurma di cappello di paglia.
Restavano i ricordi – memorie incancellabili di giornate nelle quali sembrava tutto un gioco e l’orizzonte non era altro che il confine tra se stessi e i propri sogni -, l’esperienza, il dolore e la gioia mescolati insieme, la soddisfazione nell’essere arrivati al compimento di ciò che ci si era prefissi insieme, e un sapore un po’ amaro che si chiamava rimpianto, affiorato alle labbra dopo aver capito di essere arrivati sulla cima della montagna, non vai più avanti ma il panorama è da mozzare il fiato.
Andarono via velocemente, anche, scherzando, ridendo, un goccio d’alcool di troppo a fare da sfondo ad una giornata tutta d’un fiato, senza neppure un’ ora di sonno.
Andarono via, sì, ma non tutti.
Loro due – erano sempre loro due – no.
Si guardarono intorno, un’ultima fugace occhiata al veliero che Franky aveva acconsentito a lasciare loro con la promessa di venirlo a riprendere, al più presto.

Dovevano tornare a casa, aveva detto il Capitano. Solo per poco, per chiarirsi le idee, godersi quel po’ di felicità che ci si era guadagnati, e poi vivere.
A casa, certo.
E loro c’erano andati, certo che c’erano andati; semplicemente, era quella casa loro. Era quell’altalena maldestramente legata al ramo di un albero, era quell’erba accarezzata dal vento – erba su una nave, e chi altri l’aveva mai avuta?-, era quell’odore di legno forte, piacevole, intenso, odore di famiglia e amore, che ormai ce l’avevano addosso e stava lì, in tre spade abbandonate lungo il fianco e in un libro letto e riletto molte volte.
«Né, signor spadaccino».
La voce di Robin risuonò forte nel silenzio (e dov’erano le urla di Rufy e gli schiamazzi di Chopper e le sgridate di Nami e Sanji?), e Zoro si voltò appena rivolgendole un’occhiata severa e imperscrutabile.
«Dov’è che abiti, tu?» domandò la donna, inarcando un sopracciglio.
Lo spadaccino rimuginò a lungo sulla risposta. Socchiuse l’occhio – l’unico occhio – per qualche istante, accarezzò l’elsa delle sue katane con le dita, e poi rispose.
«Qui».
L’archeologa si abbandonò ad una fugace risata che era tutto tranne che divertita. Aggrottò leggermente le sopracciglia, e arricciando le labbra in maniera spontanea sussurrò «anch’io».
Zoro le rivolse un’altra occhiata, più duratura e intensa, che somigliava ad un misto di comprensione e assenso.
Poi, il silenzio. Pesante, madido di parole non dette, di pensieri comuni ma non espressi.
«Né, Zoro» risuonò nuovamente la voce di Robin, più sicura, più incalzante.
Lo spadaccino mugugnò in risposta, invitandola in tal modo a continuare.
«Dov’è che vai, tu?».
Lui ghignò, in maniera meccanica e spudoratamente costruita. Si passò le dita bronzee tra i capelli verdi, che col passare degli anni avevano raggiunto il collo ed erano più selvaggi del solito, e scrutò l’orizzonte in un misto di concentrazione e semplice vuoto interiore.
«Da nessuna parte».
«Anch’io» rise lei nuovamente. «Non ti andrebbe di ricominciare?» propose poi, prendendo a fissarlo con quegli occhi di ghiaccio che avevano visto troppo, del mondo, eppure neppure un posto, lì a terra, avevano conservato come una casa, o un rifugio.
«Ricominciare in che modo?» domandò Zoro, curioso.
E lei spiegò.
«Non lo so in che modo. Ma lo sai, no? Siamo rimasti solamente noi, qui. Se ti va, possiamo ricominciare. Anzi, cominciare e basta, insieme».
Lui ricambiò lo sguardo. Si fissarono, per istanti lunghi un secolo, quasi stessero immaginando le stesse cose, un futuro che forse poteva essere migliore, una famiglia che forse c’era ancora ed erano l’uno per l’altra, una casa che non c’era ma sarebbe stata qualunque luogo, s’erano insieme.
«Cosa ne dici, signor spadaccino? Proviamo?» concluse Robin, con un sorrisetto.
Zoro accarezzò nuovamente la sua katana, rimuginò per qualche secondo e poi, semplicemente, come fosse la cosa più naturale del mondo, prese a camminare e balzò giù dalla nave, con uno scatto agile e veloce. Infine, si voltò.
«Ti muovi? Non ho intenzione di stare dietro ai tuoi comodi. E la guardia la facciamo una notte a turno. Sai cucinare, vero? Io ti procuro la carne, ma non so neanche accendere il fuoco. Sia ben chiaro, non appena Rufy decide di ricomporre la ciurma, ovunque siamo ti riporto qui. Mi ricordo la strada, io».

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Angolo Autore:
Ehila! Sono ritornata dopo tantissimo tempo di assenza dal fandom, perché non avevo voglia di postare di aborti che scrivevo xD neanche questa fanfiction l’avrei postata, in realtà, se non avesse fatto parte di una tabella e se oggi non fosse il ZoRobin day in Giappone, data alla quale sono legatissima poiché mi riempie di gioia sapere che da qualche parte del mondo altre persone festeggiano il mio alquanto sconosciuto OTP xD.
Sinceramente non ho tempo voglia di dire altro, quindi ci aggiorniamo al prossimo prompt che non so quale sarà ù_ù (sia chiaro, è una pura coincidenza l’aver iniziato proprio con il primo prompt della tabella u_u…  proprio col primo prompt, proprio col primo prompt... un’allitterazione involontaria :D ... niente, sono una classicista esaurita, parlo di sperequazioni come fosse ovvio e elucubro in continuazione riguardo gli assertori della politica augustea, senza considerare gli elementi concernenti l'ironia manzoniana che a più ripres- no, niente davvero. Capitemi).

 

 



 

 

 

 




Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 25. Risveglio [Dopo la pioggia] ***


                                                                                  The beauty and the beast

Titolo: The beauty and the Beast [Who could ever learn to love a beast?]
Autore: hotaTERU

Fandom: One Piece
Personaggi:
Zoro Roronoa, Nico Robin
Rating:
Giallo
Disclaimer:
One Piece non mi appartiene, bensì è opera di Eichiro Oda © (infatti Paulie non è ancora ritornato!).
Prompt:
25. Risveglio
Note: Fanfiction partecipante alla “Mezza Tabella Maledetta” .
Genere: Vagamente fluff; generale

 

25. Risveglio.

Quella mattina Robin aprì gli occhi e c’era il sole. Un sole abbagliante, che penetrava attraverso le ante spalancate e illuminava il suo corpo nudo, avvolgendolo in un tepore più rilassante di qualsiasi massaggio, insieme ad un respiro pesante e regolare sul suo collo. Zoro sonnecchiava ancora, come al solito, un braccio dietro la schiena a mo’ di cuscino e un altro ad avvolgerla in una stretta che aveva, a modo suo, tutto l’amore del mondo.

«Mh».
Il mugugno quasi incomprensibile fuoriuscì, roco, dalle labbra di Zoro, e le provocò un brivido soffiandole sul collo scoperto. Il ragazzo, svegliatosi probabilmente dopo aver percepito i suoi movimenti, ancora non del tutto desto, tentò di stiracchiarsi per quanto la posizione delle sue braccia gli permettesse.
«Ciao» rispose Robin, le labbra piegate in un sorriso, «pensavo avessi intenzione di fare un’unica tirata fino a stasera».
Zoro emise un grugnito e, insieme un sonoro sbadiglio, biascicò parole incomprensibili, dal tono palesemente offensivo.
Robin rise ancora; quando era con Zoro le sembrava che sorridere fosse la cosa più naturale del mondo, e sentiva avrebbe potuto non smettere più.
«Come mai non sei già in piedi, vestita, preparata e quelle cose lì?» domandò lui.
«Se ti dicessi che ho voglia di restare ancora così?» rispose Robin, col tono di sfida che lo faceva impazzire. Lo spadaccino sbuffò, seccato, con l’aria di un bambino curioso che tenta di comprendere i discorsi degli adulti e prova irritazione nel non riuscirci.
«Non rispondermi ad una domanda con’altra domanda» protestò, e proprio come un bambino si vendicò arruffandole i capelli nel modo che lei detestava, ottenendo di conseguenza un sonoro schiaffo da un braccio radicato nel pavimento.
Era tutt’altro che dolce, Zoro. Non avrebbe saputo dire perché o come si fosse innamorata di quel bambino, più basso e piccolo di lei, ma se c’era una cosa di cui era certa era che, da quando era successo, ogni suo risveglio, ogni sua notte erano stati perfetti.
Il profumo dello spadaccino, forte e familiare, l’avvolgeva totalmente ed era ovunque, così come il calore del su abbraccio. E c’era un altro odore nell’aria, che sapeva di terra bagnata, odore di campo di fiori e muschio dopo una notte di pioggia. Era gradevole.
Nel corso della sua infanzia, Robin aveva sempre detestato i temporali. La costringevano a restar nascosta troppo a lungo o, al contrario, a vagar interi giorni senza alcun riparo. Se avesse dovuto scegliere, avrebbe preferito tornare in quella casetta che sapeva di prigione, a lavare i piatti e il pavimento alla stregua di una schiava, piuttosto che subire quel freddo.
Adesso, riguardava al temporale della notte precedente col sorriso sulle labbra e un vago senso di soddisfazione personale.
Quella mattina, Robin aprì gli occhi e c’era il sole.


­­­­_______________________________________________________________________________________________________________________

 

Giusto per aggiungere qualcosa.
Niente, non so che dire. In realtà questa fanfiction non è che mi piaccia così tanto, tutt’altro, non avevo più intenzione di continuare la raccolta XD non so perché ieri ho buttato giù queste parole, ma mi è uscita questa schifezza e ho deciso di postarla, perché altrimenti non avrei mai aggiornato ù_ù eh , spero questa schifezzuola non deluda le vostre aspettative u_u i prossimi capitoli saranno migliori, I promise.
E ora torno a guardare Real Time, che c’è quel figone di Chris e dovrei studiare per il compito di domani (AH AH AH).
A l’anno prossimo il prossimo capitolo :D

 




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 43. Sorriso [And I won't end up falling in love with you] ***


Titolo: The beauty and the Beast [Who could ever learn to love a beast?]
Autore: hotaTERU
Fandom: One Piece
Personaggi:
Zoro Roronoa, Nico Robin
Rating:
Giallo
Disclaimer:
One Piece non mi appartiene, bensì è opera di Eichiro Oda © (CHE MI HA MOSTRATO PAULIE ALLA FINE).
Prompt:
43. Sorriso
Note: Fanfiction partecipante alla
“Mezza Tabella Maledetta” . Questa volta il prompt non mi pare tanto calzante, ma ho PRIMA scritto la fanfic e poi pensato a qualcosa che potesse accordarvisi. E mi è sembrato che i riferimenti ai sorrisi di Robin potessero, dato che quella donna, secondo me, Zoro lo stende in un attimo con la sua bellezza XD.
Genere: Vagamentissimamente angst, vagamente introspettivo


                                                                               And I’ll end up falling in love with you.


Erano lì a scrutarsi da più dieci minuti, lei in ginocchio e lui steso all’ombra dell’albero maestro.
«La trovo una totale cazzata, lo sai». Era la seconda volta che lo diceva e la guardava con quegli occhi neri e spenti che sembravano i finestrini scuri di un’automobile di qualche stella dello spettacolo.
«Certo che lo so. Ma io non giudico mai una cosa prima di provarla».
Anche i suoi occhi erano carichi d’indifferenza. Ma era un’indifferenza più crudele, sentita, un’indifferenza scavata nel volto, come se qualsiasi risposta avesse ricevuto, qualsiasi parola avesse udito, nulla avrebbe potuto nel suo cuore marcio di assassina.
«Allora neanche tu ti sei mai innamorata, archeologa» ghignò Zoro, un ghigno beffardo di soddisfazione e di sfida.
Lei sollevò leggermente le sopracciglia, dischiuse di un poco le labbra rosate e strinse i pugni dietro la schiena. Se avesse detto di aspettarsi una risposta simile, avrebbe mentito.
Roronoa Zoro non finiva mai di sorprenderla.
«Non mi piace che mi si pongano queste domande» rispose Robin con un sorrisetto – il suo, quello inimitabile e irritante e così saccente che Zoro l’avrebbe fatta a fette se avesse potuto -, celando qualsiasi tipo di stupore e di irritazione – perché non vincevi, contro Robin. E anche se vincevi, lei faceva in modo di non fartelo capire. Poi aggiunse, con sincera curiosità «E tu, Roronoa? Cosa ne pensi dell’amore?».
Era come un duello, più che una conversazione. A turno entrambi si sfidavano - sfidavano i loro cuori e le loro convinzioni prima che quelle dell’altro - tentando di cogliere le sfumature e le emozioni di quelle iridi allo stesso modo imperscrutabili.
«Io penso che non mi piace e non mi serve neanche un po’».
Lei rise. «Lo immaginavo. Però ti sei innamorato di me, non è così?».
Era finita. Robin aveva definitivamente vinto, come ogni volta. L’aveva avvicinato, si era posta al suo livello, come al solito, e poi l’aveva schiacciato, con una frase, un’espressione, una parola capace di far crollare un muro di diciannove anni, una certezza, una convinzione, di rimescolarne i pezzi e cambiare ogni cosa, in un secondo.
«A me sembra che tu ti sia sopravvalutando un po’, archeologa» sbottò in risposta, un tenero rossore ad invadergli le guance - ed eccola lì, quella era la sua ferita. La battaglia l’aveva combattuta, e la ferita mortale era stata la consapevolezza; e poi ecco il sangue scorrergli al di sotto della pelle e colorargli il viso - ebbe quasi la tentazione di portare le dita all’elsa della spada, come se potesse ricavarne sicurezza.
«Sei carino quando arrossisci» ridacchiò Robin.
«Cos-… stai in silenzio, razza di...-» imprecò Zoro in risposta, le sopracciglia contratte e gli occhi carichi di rabbia.
«Sei così turbato che mi sembra di vedere il tuo cervello fumare» continuò l’archeologa, e poi rise di gusto. Aveva una risata profonda, calda, piacevole. Zoro non la sentiva spesso, e mai ci si era soffermato. Si domandò quand’è che avesse imparato a ridere così. In un secondo gli sciolse tutta la rabbia che aveva accumulato.
«Se proprio vuoi sapere cosa penso, penso di non avere né tempo né voglia di innamorarmi» ribadì, indurendo lo sguardo. Sperava di risultare in qualche modo convincente, pur sapendo che le convinzioni di Nico Robin sono quasi impossibili da distruggere.
L’archeologa, allora, il volto poggiato sui gomiti sopra le gambe piegate, gli sorrise e non fu un sorriso di sfida o strafottente o malinconico ma fu un sorriso come li fai alla persona che ami, non perché ti fa ridere, non perché sei felice, ma perché l’hai vista e sorridi e basta.
E pure lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quella donna che l’aveva schiacciato, su tutti i fronti, come se ne fosse attratto silenziosamente.
«Se tu smettessi di combattere, Spadaccino» sussurrò quella, «riusciresti a vedere cose che ora non vedi».
Avrebbe voluto chiederle cosa volesse dire, e l’avrebbe pure fatto, tra qualche istante, dopo essersi ripreso, se lei non si fosse elegantemente sollevata da terra, spolverandosi un po’ la gonna stropicciata, e si fosse avviata verso la propria camera, senza pronunciare più alcuna parola.
«Nah, Nico Robin, aspetta! Cosa vuoi dire?» la chiamò, pulsante di rabbia.
Lei si voltò, per l’ultima volta, e l’indifferenza dei suoi occhi aveva lasciato il posto ad una sensibilità estrema, delicata, una sensazione di fragilità che durò poco, ma gli restò nello sguardo.
«Guardati intorno, Zoro. L’amore ti è molto più vicino di quanto pensi».
Avrebbe voluto aggiungere anche se sei stupido, e forse non arriverai, ma ritenne che far innamorare Roronoa Zoro, a quel punto, sarebbe stato più arduo che fargli notare il suo amore per lui.


---------------------------- Niente di importante da dire (
) ----------------------
Ho iniziato questa fanfic perché mia sorella mi stava parlando su face book, ma ad un certo punto è caduta la linea e annoiandomi, mentre tornava, ho iniziato a scrivere òwò Però ho aggiornato questa raccolta! E’ un grande obbiettivo per me èwé pensavo avrei continuato direttamente a giugno e invece ci sono riuscita prima, con qualcosa che non so se mi piaccia o meno >3<.
In realtà, volevo mantenermi sui toni dell’angst, avendo scritto una prima fanfic malinconica e una seconda fluff. Il risultato non è esattamente quello, e non sono certa di aver mantenuto i caratteri dei personaggi.. ma era da tanto che avevo intenzione di scrivere una fanfic in cui uno dei due ‘rinfacciasse’ all’altro che è innamorato di lui\lei XD. E l’ho fatto.. senza troppe pretese uwu).









Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 26. Incontro [life is like a boat] ***


26. Incontro
Robin arrivò d'improvviso.
Comparve a bordo tutto d'un tratto, con quei suoi occhi un po’ di neve e un po’ di ghiaccio, ch’alternavano un’impassibilità muta e imperscrutabile ad una sofferenza antica, dipinta e scavata nella pelle. Quasi si fosse materializzata dal nulla – un attimo prima non c’era e un secondo dopo aveva già conquistato ogni singolo membro della ciurma, dando prova di quelle abilità di persuasione che, fin da quando ricordava, le avevano permesso di vivere.
Zoro non nutriva alcun interesse nello stringere amicizia con lei, al contario riteneva che accettare una tale minaccia a bordo costituisse un’esposizione ad un inutile pericolo, che si sarebbe abbattuto sull’equipaggio in breve tempo. 
Era scettico, Zoro, scettico e irremovibile proprio come quella donna. Poi pensava a Rufy, alla fiducia che riponeva nei suoi confronti, e si domandava se il capitano avesse potuto, 
per la prima volta, aver commesso un errore.

Bella era il primo aggettivo che a chiunque, ad un primo impatto, sarebbe saltato alla mente alla vista di Nico Robin. Perfino uno come Zoro, che di bellezza s’intendeva meno di zero, avrebbe potuto giurare di aver visto poche donne il cui aspetto equiparasse quello di Robin. A colpire era soprattutto il suo fisico snello e formoso, fasciato da abiti succinti e provocanti, il cui stile ricordava vagamente quello di un cowboy.
Non mancava momento che non cercasse il pretesto per rifugiarsi con la testa tra tomi spessi e apparentemente noiosi riguardanti la storia, i quali venivano letti con voracità ed estremo interesse. Se le si domandava qualcosa, Robin, sollevava a stento gli occhi azzurri – lo specchio d’un mare a tratti minaccioso e ad altri quieto, pronto ad infuriarsi ad ogni soffio di vento – e sfoggiava un perfetto sorriso irritante, gli angoli delle labbra sollevati in quella che Zoro avrebbe definito una smorfia di vanità, le ciocche scure che le incorniciavano un volto altrettanto cupo.
Agli occhi di Zoro costituiva un vero e proprio mistero, un labirinto oscuro e intricato, come una sagoma dai contorni distorti che non riusciva a mettere a fuoco attraverso un obbiettivo difettoso – i suoi pregiudizi. Se avesse dovuto definirla, altro non avrebbe detto se non enigmatica. Enigmatica era la parola perfetta perché, oltre al rappresentare appieno il suo carattere incomprensibile, aveva quel tocco in più che le conferiva anche una connotazione intellettuale, quasi sottolineasse quella sua incredibile capacità di affrontare ogni problema, quesito o, per l’appunto, enigma con calma e concentrazione, formulando quasi sempre risposte brillanti che avrebbero potuto lasciare stupefatto chiunque.
Era così, Robin, un genio del crimine. E quella sua inusuale passione per tutto ciò che fosse macabro la rendeva ancor più non affascinante, come qualcuno avrebbe detto, no, ma semplicemente irraggiungibile, distante. 

Distante perché per Zoro era impossibile seguire i suoi ritmi. Camminava fiera, quella donna, come se conoscesse da sempre il sentiero di un luogo visto per la prima volta in quell’istante, e ostentava una tale sicurezza che lo spadaccino avrebbe avuto voglia di sgozzarla; con quale diritto una criminale sbucata dal nulla pensava di potersi beffare di lui in quel modo? Seguimi, guarda per terra mentre cammini, non perderti, ecco come gli si rivolgeva. 
Era irritante, noiosa, inopportuna, ed era soprattutto, la maledetta, sempre terribilmente nel giusto.
Emerse un po’ alla volta, col tempo, il vero carattere di Robin. Dapprima la donna fu, entro certi limiti, più disponibile e aperta nei confronti della ciurma; dall’altra, fu Zoro stesso ad abbandonare la costante posizione difensiva che assumeva quando l’archeologa era nei paraggi, a percepire una sensazione di tranquillità farsi strada nel suo petto e impadronirsi dei suoi pensieri.
Fiducia.
Un concetto che costituiva, per Roronoa Zoro, un’astrazione difficile non solo da attuare, ma a prescindere anche da prendere in considerazione. V’erano poche persone delle quali si fidava, e per le altre il suo cuore non riservava neppure un po' di spazio, poiché non erano di alcun interesse, utilità o scopo; poteva, a discapito di ogni pronostico, una persona con questa mentalità aprire il proprio cuore ad un’ex criminale, colpevole della quasi uccisione del suo capitano e del crollo di un paese intero?
La risposta giunse da sé.

Fu molto più tardi che Zoro comprese qualcosa di essenziale, il dettaglio che gli era sfuggito mesi prima e che aveva reso Robin una sorta di mistero. Capì, dunque, che aveva avuto ragione circa gli occhi dell’archeologa, quando osservandoli aveva visto un vasto oceano apparentemente tranquillo e in verità insidioso e pronto all’attacco, e non si era sbagliato neppure circa la molteplice entità di quelle acque, che rivelavano il loro doppio volto a seconda dei momenti, passando rapidamente da agitate e rabbiose a quiete e rilassanti. L'errore che aveva commesso era a ben dire in qualcosa di molto più ovvio e, per molti, trascurabile.
Perché Robin non era l’oceano e le onde, ma la vela semidistrutta che naufragava tra le stesse.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Yey, continua la serie "postiamo fanfiction vecchie"! Questa l'avrò scritta credo almeno 4 anni fa, o almeno sicuro 3, e la tenevo nel pc insieme a mooooooooltissime altre! Ultimamente le ho rilette, e non mi facevano proprio schifissimo. Ho giusto corretto qualcosina, per il resto l'ho lasciata com'era, un po' per mancanza di voglia un po' perché era comunque abbastanza decente.
Se vi fa piacere che aggiorni ancora la raccolta con gli spezzoni vari che ho scritto anni fa, fatemelo sapere e lo farò! xD


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 41. Tempo [Quando vengo qui non voglio essere disturbato] pt1 ***


41. Tempo
Quando vengo qui non voglio essere disturbato

«Non se ne parla».
Aveva tutta l’aria di essere una decisione senza possibili ripensamenti ma, nonostante l’avesse intuito, Robin non accennò a scendere dalla scaletta.
In piedi, le gambe ancora all’interno della botola, il busto al di fuori e i gomiti poggiati sul pavimento, osservava i pesi abbandonati in disordine e il resto degli attrezzi ammassati maldestramente in un angolo, picchiettando con le mani impazientemente sul marmo freddo cosicché fosse manifesta la sua noia.
«Lo sai che questo è un osservatorio?»
Di certo voleva essere una domanda retorica, ma il suo interlocutore non se ne accorse.
«Certo che lo so» borbottò infatti questi in risposta, «ma ho già concordato con Franky gli orari in cui la utilizzo io come sala d’addestramento… ».
Non si curò delle sue giustificazioni, al contrario facendo pressione sui gomiti si sollevò ed spinse del tutto il proprio corpo dentro la saletta, con disinvoltura e un pizzico di arroganza.
«Robin, vuoi andartene sì o no?»
No, non voleva.
«Cerco solamente un posto dove leggere un buon libro. Non ti darò fastidio. Hai detto di non voler essere disturbato, non che non vuoi compagnia».
Lui grugnì, confuso da quel ragionamento che sembrava avere una propria logica e leggermente rammaricato dalla sua incapacità di controbattere. Sbuffò e, grattandosi nervosamente la nuca, le voltò le spalle.
«Non appena interferisci un po’ ti caccio fuori» la minacciò e allo stesso tempo indurì il suo sguardo in un’espressione la cui intenzione sarebbe stata quella di suscitare intimidazione, ma ch’ebbe l’unico risultato di far soffocare a Robin un risolino di condiscendenza. Ella avanzò verso il divano a muro che percorreva la parete della saletta circolare e sedette, le gambe incrociate, rivolgendo la propria attenzione verso le pagine di uno spesso tomo, logoro e consunto.
«Demonio…».
«Non devi allenarti, Roronoa? Stai perdendo tempo».
«Demonio».

Ma Zoro dovette ammettere che non v’era compagnia migliore di Robin.
La ragazza quotidianamente abbandonava le fragorose risate e il frastuono degli amici e si rifugiava, agognando un po’ di tranquillità, nella saletta soprelevata e semi nascosta. Dunque soleva sedere con eleganza sul divano accavallando le gambe e leggere con profonda dedizione, mentre lo spadaccino praticava i propri allenamenti senza alcun tipo d’interferenza.
Entrambi totalmente assorbiti dalle proprie attività, non avevano mai la tentazione di parlarsi l’un l’altro né provavano la fastidiosa sensazione di essere osservati, o avvertivano l’assenza di parole opprimerli nel silenzio. Allo stesso tempo si scoprirono particolarmente compatibili.
Senza conversare in alcun modo, sembravano aver stipulato un tacito accordo: Robin si dirigeva all’osservatorio tutti i giorni, tanto silenziosa da non rendere sempre udibile il suo arrivo, e come promesso in principio non pronunciava una singola parola che avrebbe potuto distrarlo. Lui semplicemente ne ignorava la presenza.
Vi erano però anche dei momenti nei quali Robin senza alcuna spiegazione si abbandonava ad una leggera e spontanea risata –non sempre dovuta a ciò che stava leggendo- che faceva vacillare per un istante la concentrazione di Zoro. Egli scoccando un’occhiata infastidita si voltava verso la donna che, ancora col sorriso sulle labbra, si scusava con grazia.
«Ti ho distratto? Non era mia intenzione» sussurrava e manifestava un sincero dispiacere.
Capitava anche che fosse lui ad attirare l’attenzione dell’archeologa, quando si lasciava andare a imprecazioni riguardo la propria debolezza. Spesso non riusciva a reggere il peso che sollevava sulle gambe e questo rotolava a terra, rumoroso, oppure gli crollava sul petto facendolo gemere sommessamente dal dolore. In quei casi Robin distoglieva lo sguardo dal libro e lo osservava con gentilezza e rassegnazione, un implicito invito a domandare aiuto puntualmente rifiutato con un borbottio irritato.
«te lo sogni».
Avevano costruito una sorta di equilibrio che non avevano alcun motivo di far venire meno, in quanto in linea con gli interessi d’entrambi e soddisfacente alternativa al trascorrere le proprie giornate in solitudine.
C’era forse qualcosa di male nel trascorrere del tempo in compagnia di qualcun altro, anche solamente avvertendo la sua muta presenza al proprio fianco?

Quella sera, i loro sguardi s’incrociarono improvvisamente.
«Sono più interessante del tuo libro?» bofonchiò Zoro pentendosi di aver prolungato la sua occhiata fugace un secondo di troppo.
Robin ridacchiò. «Non volevo infastidirti. Il libro è appena finito» spiegò, senza però rivolgersi altrove. Era sinceramente interessata agli allenamenti di Zoro, e giorno dopo giorno riscopriva in lui tanto un guerriero inarrestabile e coraggioso quanto un amico premuroso più di quanto lasciasse trasparire. Sapeva che nonostante tutto teneva alla ciurma sopra ogni altra cosa, e lentamente stava cominciando a riscontrare una certa affinità tra questo suo atteggiamento e il proprio carattere.
«Potresti andartene» la invitò lui schietto.
«Come vuoi» rispose la donna, alzandosi dal divano e avviandosi verso la botola sul pavimento.
Zoro osservò le sue movenze aggraziate e i suoi passi leggeri mentre avanzava verso l’uscita. Si sarebbe aspettato di venir ignorato e dover continuare i propri allenamenti sotto quell’irritante e costante supervisione, invece lei gli aveva ubbidito senza storie. Ed ecco confermato il motivo per cui trovava Nico Robin il membro della ciurma più fastidioso tra tutti: non era assolutamente in grado di comprenderla. Dedicava non pochi sforzi a decifrare i suoi sorrisi e i suoi silenzi, e la testa gli doleva per quanto applicava il proprio cervello nella causa, ma non capiva mai, mai, le fonti e le mutazioni dei suoi stati d’animo. Quand’era che Robin sorrideva poiché realmente divertita? Quand’era che fingeva? Quando agiva per piacere, divertimento, quando invece per cortesia e semplice tolleranza?
E soprattutto: era possibile risolvere l’enigma della sua poliedrica personalità, o sarebbero occorse a Zoro due vite per riuscire a individuare il punto più profondo del suo cuore e per riuscire poi a raggiungerlo smantellando la facciata di mistero e disinvoltura?
L’unico dato certo e ineluttabile era che Zoro provava un sincero affetto nei confronti di Robin. Come per ogni altro membro della ciurma, avvertiva quanto la sua anima fosse legata a doppio filo a quella di lei, in maniera inscindibile e intensa.
Sarebbe stato riduttivo definire “amicizia” l’intricata rete di relazioni che li legava: a unirli era la consapevolezza che i loro destini convergessero verso un unico orizzonte, la sensazione di conoscersi da tempi tanto remoti da non ricordare null’altro ci fosse prima, e soprattutto la tentazione di ridurre in brandelli chiunque osasse arrecare dolore all’altro. Era un amore più potente, più intimo di qualsiasi sensazione che Zoro avesse mai provato.
Un tenero imbarazzo misto a celata serenità gli invasero il petto nel costatare di star formulando pensieri che non avrebbe mai rivelato a nessuno dei suoi nakama, e le guance gli si tinsero di una tonalità purpurea. Fortunatamente, sapeva di non aver bisogno di esprimere la sua gratitudine a parole.
«Puoi guardare mentre mi alleno» concesse.
Robin si voltò. In quegli occhi cerulei Zoro vide riflessa la stessa sorpresa che avrebbe potuto giurare stesse animando i suoi.
A suscitare lo stupore dell’archeologa non erano state le parole dello spadaccino, suo compagno di viaggio da abbastanza tempo da farla abituare alla gentilezza che era capace di dimostrare, bensì il tono con il quale le pronunciò e, soprattutto, il suo ripensamento sulla richiesta di abbandonare la sala. Di solito non c’era infatti verso di far cambiare idea al pirata, ed egli non ne concedeva neppure il tempo, appisolandosi un istante dopo aver concluso la conversazione in corso.
Ma, seppur colpita da quell’imprevedibile cambio di programma, Robin non disdegnò di tornare alla sua postazione e sedere nuovamente dove soleva fare.
«Ma come si può?» domandò Zoro sovrappensiero «osservare qualcun altro che si allena… che tempo sprecato… »
«Vuoi che mi alleni con te?» ridacchiò lei, divertita.
Lui la squadrò al di sotto di due sopracciglia contratte e una fronte corrugata.
«A cosa serve allenarmi con te che non sei una spadaccina?» si lamentò, dandole nuovamente una reale risposta ad una domanda retorica e dall’intento provocatorio.
«Sei un grandissimo combattente, ma non sei molto sveglio» rise Robin, la cui intelligenza era superiore a quasi tutti i compagni di cappello di paglia. «Se noi combattessimo qui, non durerei molto contro di te. Ma se ti sfidassi a scacchi, non riusciresti neanche a memorizzare l’aspetto delle pedine prima di ritrovarti sconfitto senza che tu possa capire come. Che ne dici, vuoi giocare a scacchi, Zoro?».
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, tentando di districare e comprendere la matassa di emozioni che provava - a metà tra la sensazione forte e distinta di esser stato nuovamente beffato, il desiderio di dimostrarle la sua superiorità in una qualche maniera e l’usuale voglia di comprendere il perché dei suoi atteggiamenti.  
«Certo che no. Io non faccio nulla controvoglia … piuttosto mi riposo».
«Non cambi proprio mai» sospirò l’archeologa, poggiando il viso sui palmi e sporgendo il busto verso di lui. Ciò che aveva detto non corrispondeva totalmente al vero, se si pensava che nemici contro i quali Zoro aveva sfiorato la morte anni prima potevano adesso venir tranciati in due dallo spadaccino in un istante. Ecco, in questo sì che era cambiato. C’era inoltre da dire che il ragazzo le sembrava ora molto più saggio ed equilibrato che non nei primi mesi di conoscenza, quasi come avesse negli anni sviluppato la capacità di far scivolare via tutto ciò che fosse superfluo e indesiderato e di prestare attenzione solo a ciò che fosse nel suo raggio di interesse.
«A quanto pare tu sì. Eri più silenziosa» precisò Zoro. Erano trascorsi poco più che una manciata di secondi dalla constatazione di Robin.
«Ritengo sia meglio così, non trovi?».
Zoro ripensò ai trascorsi burrascosi di lei: anni in cui lui non era ancora nato, e lei già fuggiva dalla marina sopportando una zavorra da 80 milioni penderle sul capo. Quante sofferenze aveva patito?
Sotto questo punto di vista, Zoro si sentì un bambino. Nonostante fosse stato anch’egli testimone delle più violente angherie e delle più crudeli atrocità di cui il mondo fosse capace, a soli ventuno anni era se a lei comparato un frutto acerbo in attesa di maturare.
Per qualche attimo, percepì Robin come una presenza lontanissima da lui.
Le sorrise.
«A quanto pare sì. Né, Robin, domani quando sali, portami del sakè» mugugnò, la domanda a metà tra una cortese richiesta e un ordine pretenzioso.
«Me ne ricorderò ».
Anche Robin sorrideva.
Quel giorno, per la prima volta, Zoro e Robin discesero lungo la botola insieme, e non fu un problema presentarsi in giardino fianco a fianco, armati di una profonda ed intima complicità con la quale iniziavano lentamente a prendere confidenza, schiavi del proprio autoimposto isolamento da ormai troppi anni.
Non c’era niente di male se due pirati della stessa ciurma trascorrevano del tempo insieme, se si concedevano la dolcezza di brevi e piacevoli attimi in compagnia. Nessuno avrebbe potuto avere da ridire, o trovarvi qualcosa di sorprendente, non finché i due si limitavano a scoprire e bearsi di quel caloroso tepore che la presenza di un amico è in grado di infonderti.
Fu come cascare nella più ingenua e mal progettata delle trappole: vi caddero con superficialità, senza darsi peso di evitarne le insidie poiché incuranti di esser prossimi al pericolo, e soprattutto non furono più capaci di tirarvisi fuori, poiché giunti sul fondo difettarono di forze, desiderio e volontà.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Hello! Siccome ho ricevuto tantissimi commenti positivi allo scorso capitolo (wow, sapere che c'è gente che ancora segue questa raccolta dopo quanto, 3 anni? mi riempie di gioia!) ho deciso di continuare la revisione e la pubblicazione di vecchie storie :).
Questa precisamente era una long long long long fic, che non ho mai pubblicato nonostante le insistenze di amici xD perché fondamentalmente non mi ha mai convinta. Siccome mi piangeva il cuore lasciarla qui e mi avete dato coraggio, ne ho estratto il primo pezzo e l'ho revisionato (ho impiegato na roba come un'ora, praticamente ho cambiato tutto ahah). Come noterete l'ho adattata al prompt "tempo", perdonatemela ma siccome nessuna di queste fanfic aveva davvero collegamento con un prompt per inserirle nella raccolta li sto mettendo a casaccio, ma ormai non penso abbia qualche importanza xD.
Credo che nei prossimi capitoli alternerò il continuo di questa (dura ancoooooooooooora taaaaaaaaaaanto) a altre brevi drabble e un'altra looooooooooooooooooooooooooooong fic che scrissi sempre senza mai pubblicarla, in cui ci sono scene fluffose con loro due assieme xD.
Il titolo della serie (!!) sarà "quando vengo qui non voglio essere disturbato", perché ho sto brutto vizio che do come nome ai file word la prima frase del documento senza cambiarla e niente, inizialmente la ff iniziava così quindi praticamente il nome della storia è questo da 4 anni XD.
Ps: non ricordo perché quello è ZoRobin day xD è una data ufficiale stabilita dai fan giapponesi, suppongo per qualche strana combinazione trai compleanni come fanno sempre loro. In ogni caso è una data riconosciuta in cui mondialmente gli artisti fanno fan art, fiction e quant'altro sulla coppia!:)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 21. Pelle [Quando vengo qui non voglio essere disturbato pt2] ***


21. Pelle
Quando vengo qui non voglio essere disturbato pt2.

Quel giorno pioveva e per tal ragione la ciurma era riunita in cucina, sorseggiando la bevanda calda che Sanji aveva preparato e lasciando di conseguenza il giardino totalmente sgombro. Quando Robin giunse presso l’osservatorio, Zoro aveva già iniziato i suoi allenamenti. Ella come al solito mosse con grazia verso la sua postazione in silenzio, sedette sul morbido divano in pelle accavallando le gambe e, sfoggiando il più ammiccante e compiaciuto dei sorrisi in perfetto “stile Robin”, porse a Zoro il sakè attraverso una mano fiorita attraverso il pavimento.
«Non credevo saresti venuta» bofonchiò lui, scattando per la sorpresa e prendendo tra le mani il boccale offertogli.
Lei aggrottò leggermente le sopracciglia e gli rivolse un’occhiata incuriosita, invitandolo a spiegar il perché della sua convinzione.
«Oggi il giardino è libero. Non sali qui solo perché c’è confusione giù?» replicò allora Zoro inchiodandola col suo peggior sguardo indagatore, quasi potesse scoprire la risposta ai propri crucci attraverso le sue iridi di zaffiro.
Lei sorrise.
«Forse».
Zoro mugugnò, dando sfogo nella propria mente ad una sequela d’imprecazioni che lei non avrebbe senz’altro gradito. Quella dannatissima, maledettissima archeologa non lasciava trapelare neppure una delle sue emozioni, e neanche la sua infallibile qualità di osservatore silenzioso riusciva a risolvere l’enigma che avrebbe permesso di trovare la chiave di quel mistero.
Posata ed elegante, perfettamente a suo agio anche nelle situazioni più scomode, Nico Robin sembrava restare sempre un gradino più in alto rispetto allo spadaccino, come se si ergesse sulla cima più alta di un monte e dai picchi di quest’ultimo lo invitasse a scalare la parete rocciosa senza però indicargli come riuscirci.
Non se n’era mai curato, così indaffarato nel difendere il proprio onore e a rincorrere con le unghie i propri sogni ambiziosi, finché non s’era ritrovato con lei a così stretto contatto. Ma adesso, che con lei trascorreva molte più ore che non con gli altri, il complesso puzzle che la avvolgeva rischiava di far crollare pericolosamente la sua concentrazione e di impegnarlo in riflessioni totalmente estranee ai suoi obbiettivi.
Per la prima volta dopo settimane di passiva convivenza, Roronoa Zoro fece un passo verso di lei come compagno. La donna alzò gli occhi dalle pagine del libro e lo scoprì ad osservarla intensamente, in piedi a pochi centimetri da lei, le spalle tese, il capo leggermente chino, le dita che giocavano con l’elsa della Wado ichimonji.
Lui avrebbe potuto giurare di non capire neppure un po’ il cervello di lei, ma quel che non sapeva era che lei non era meglio capace di comprendere lui. Il volto di Zoro incombeva così vicino al suo, e non riusciva a riflettere lucidamente mentre l’occhio del ragazzo – uno solo, dell’altro non aveva mai chiarito le reali condizioni – le era puntato addosso, donando al suo viso quell’espressione che era un misto di noia e curiosità.
«Qualche problema?» sussurrò, e si rese conto di come la sua voce risultasse roca e tremante più del voluto. Aveva impiegato un po’ troppo per riprendersi dalla sorpresa.
«Pensavo a quel libro. Voglio leggerlo anch’io. Di che parla?».
Eh?
Ecco riconfermata la sopracitata incapacità totale di comprenderlo: tutto avrebbe ipotizzato come causa dell’ambiguo atteggiamento di Zoro, dalla caduta di un meteorite alle sue spalle all’avere qualcosa di strano nei capelli, ma non avrebbe mai scommesso sul libro come oggetto dell’attenzione dello spadaccino.
«E’ un romanzo d’amore. Due pirati che s’innamorano… a quanto pare noi ricercati abbiamo così tanto il fascino del proibito e cattivo da attirare anche storie come queste. Ma vuoi davvero? Sai leggere?».
«Certo che so leggere…!» s’infervorò lui inizialmente, salvo poi dover riconoscere «.. ma tu mi sa che sei meglio».
Beh, il motivo per cui intendeva leggere un libro non era certo quello di farsi aiutare da lei come se fosse la sua maestrina -  Robin era sempre lì a dirgli cosa fare, a dargli raccomandazioni e a indicargli la strada -, ma non era nella sua indole, né gli sembrava di alcun beneficio, vantare capacità non in suo possesso in un campo così lontano dalla sua sfera di interesse. Così, semplicemente ammise le proprie lacune, rabbuiandosi leggermente.
«Non è un problema. Puoi chiedere a me».
«Cazzo, un altro punto a tuo favore-» borbottò, conscio di trovarsi in un ambito che gli era totalmente ignoto, e nel quale partiva sconfitto su tutta la linea sin dal principio.
«…Non capisco» ammise Robin, palesando adesso la sua resa: aveva realmente tentato di dare una spiegazione logica e sensata a quella conversazione, ma al momento era davvero profondamente confusa dall’intera situazione e lo fu ancora di più quando lui si sedette al suo fianco sul divanetto in pelle, incrociando le braccia massicce al petto.
«Non importa» ringhiò.
Robin fece spallucce. A causa del carattere poco socievole da ambedue le parti, non aveva un rapporto molto intimo né amichevole con Zoro. Al contrario, lui aveva inizialmente manifestato un certo rancore nei suoi confronti che, nonostante fosse da tempo archiviato, le rendeva difficile tentare un approccio più confidenziale col ragazzo. Di conseguenza quell’improvvisa vicinanza la rendeva nervosa e destava la sua più sincera curiosità: era seduto alla sua destra rivolgendole l’occhio perennemente chiuso, e lei avrebbe tanto voluto poter scrutare nell’altro e poter dare così un nome al quel suo volubile stato d’animo.
«Non ti alleni più?» domandò quando Zoro sbadigliò sonoramente e si accorse che, com’era usuale per lui, era sul punto di addormentarsi.
«Conversare con te è stancante. Mi è venuto sonno».
L’archeologa rise - di certo non serviva una conversazione stancante per farlo appisolare profondamente -, «…riposati, allora».
Lui mugugnò qualcosa e, in quello che era in verità più uno stato di dormi-veglia privo di reale lucidità, biascicò parole che non avrebbe mai giurato di pronunciare tanto quanto lei non avrebbe mai immaginato di poter udire.
«In fondo non sei così male … adesso mi fido di te».
Fu difficile per Robin realizzare l’intera situazione e metterla a fuoco al di là dello stupore e della gratitudine che la invasero.
Zoro era al suo fianco e ormai sonnecchiava, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente e la testa leggermente inclinata verso di lei. Sarebbe bastato, per coprire quei pochi centimetri di distanza e sfiorare col proprio viso la sua chioma smeraldo, un gesto tanto irrisorio da renderle impossibile muoversi in alcun modo, quasi il suo intero corpo si fosse in un istante pietrificato nella propria posizione. E non era neppure questa la causa principale della sua paralisi quanto la vicinanza della spalla di lui che distrattamente sfiorava la sua con delicatezza e poneva a contatto diretto la sua pelle nuda con quella di lui, umida di sudore per gli allenamenti affrontati ma allo stesso tempo inaspettatamente tanto calda da infonderle una profonda sensazione di beatitudine e far sì che ogni suo muscolo poco a poco si rilassasse.
Le dita abbandonarono la presa sul libro.
Per la prima volta in ventotto anni, i poteri straordinari di Nico Robin non bastarono a far sì che il volume non precipitasse e finisse a terra. Il tonfo sordo ruppe il silenzio e giunse alle sue orecchie come un rumore proveniente da molto, molto lontano.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Occhei, voglio ancora una volta ringraziarvi per i commenti. Siete grandi e mi ricordate quanto mi gratificasse scrivere ♥.
Questo qui è il secondo pezzo della long, ho tagliato dei paragrafi inutili e accorpato dei pezzi che erano davvero pesanti e superflui XD questa volta il prompt è meno scrauso ma ugualmente poraccio... infatti mi è bastato andare a leggere le ultime righe e fingere che in qualche modo ciò potesse giustificare la scelta ahahahah (scusate, ma se non avessi in principio partecipato alla tabella mi eviterei volentieri questa poracciata)


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=877356