ZUBEY

di R_Iccio
(/viewuser.php?uid=858649)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAMBIAMENTI ***
Capitolo 2: *** L'ISTITUTO ***
Capitolo 3: *** PRIGIONIA ***
Capitolo 4: *** IL SOGNO ***
Capitolo 5: *** LA RADURA ***



Capitolo 1
*** CAMBIAMENTI ***


Negli ultimi due anni dalla conferma del “Regime” gli attentati terroristici crebbero esponenzialmente sfuggendo al controllo dei vari governi, causando crisi e tensioni sociali non indifferenti. Diversi stati, corrotti dall'anarchia, finirono per scomparire, per poi essere sottomessi da un'organizzazione, di cui nessuno sapeva nulla... I media dei paesi non ancora in sfacelo accusavano i più grandi movimenti terroristici di queste malefatte, ma essi non erano nient'altro che pedine su una scacchiera molto più grande, di cui anche noi facevamo parte.

 

Erano passati tre mesi da quando ci era stato comunicato di tornare nelle nostre case e rimanerci in attesa di nuove istruzioni. Venne imposto un coprifuoco e venne annunciato che quella che un tempo era la Repubblica Italiana era stata smantellata e che ora regnava un nuovo regime, di cui non ci venne detto nulla. Uomini armati iniziarono a pattugliare le strade, e coloro colti a infrangere una delle nuove rigide norme venivano puniti tramite violenza, sottrazione di beni o, in estremo, esecuzioni pubbliche. A tutti gli uomini e le donne sopra i vent'anni vennero assegnati nuovi incarichi, a cui non potevano opporsi. Tutti i ragazzi e bambini compresi tra i cinque e i dieci anni furono costretti a frequentare degli istituti di “formazione” per poi diventare cittadini modello plasmati al fine di servire il nuovo regime.

Io, all'epoca sedicenne, dovetti iniziare a frequentare il terzo livello dell'istituto: i bambini dai cinque ai dieci anni venivano istruiti e orientati al fine di essere fedeli uomini del regime, i ragazzi dagli undici ai quindici anni sostenevano un'istruzione più approfondita accompagnata da un primario potenziamento del fisico e da un plagio più accanito, infine i ragazzi dell'ultimo stadio formativo sarebbero dovuti essere plagiati alla perfezione e avrebbero dovuto finire i loro studi e il loro potenziamento muscolare avanzato ma, essendo il regime appena entrato in carica, i ragazzi di quest'ultimo settore venivano indotti all'obbedienza tramite svariate forme di violenza sia fisica sia psicologica.

 

 

La sirena suonò, come ogni mattina, alle sei in punto; mi alzai dal letto, mi lavai e indossai la divisa scolastica: niente più che una tuta dai comodi pantaloni beige, una maglietta nera e una felpa anch'essa beige, per le calzature non vi era nessuna indicazione, ma indossai delle scarpe da tennis, malgrado il tempo umido, perché sapevo che ci avrebbero sottoposti a un'innumerevole quantità di esercizi fisici. Salutai i miei e mi recai al centro del paese, dove una navetta a motivo mimetico attendeva tutti i miei compaesani del terzo stadio dell'istituto formativo. Salii senza aprir bocca e mi sedetti accanto a un ragazzo alticcio coi capelli neri che gli sfioravano le spalle e cogli occhi bruni, che scrutavano il vuoto. Gli diedi una pacca sulla spalla per farlo ridestare e abbozzai un mezzo sorriso comprensivo, lui ricambiò il gesto e tornò al suo sguardo vacuo.

L'autista della navetta mise in moto il motore e partì per un breve, interminabile, silenzioso viaggio. Circa venti minuti dopo il mezzo si accostò vicino ad un grande cancello incassato in un grigio muro di cinta, alcuni uomini in divisa mimetica e armati scambiarono due brevi battute con l'autista, che gli mostrò un qualche piccolo documento, e il cancello si aprì, permettendo alla vettura di entrare in quello che era l'esterno dell'istituto di terzo grado. Scendemmo direttamente davanti all'edificio principale, dove altri ragazzi attendevano di mostrare i propri documenti a un altro gruppetto di uomini in divisa. Attendemmo ordinatamente il nostro turno e, dopo essere stati frugalmente identificati e perquisiti, ci recammo ognuno nella propria sezione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'ISTITUTO ***


L'istituto sorgeva nella periferia di una cittadella a una decina di minuti di macchina da Milano, alcuni dicevano che era stato riadattato dalla carcassa di una vecchia fabbrica, altri insinuavano che era stato erto in soli quattro giorni, ossia da quando si era confermato il Regime a quando ci fu ordinato di iniziare i corsi. Ma quest'ultima teoria non era nient'altro che una sciocca diceria, una fandonia, probabilmente messa in piedi dai dipendenti stessi dell'istituto, tanto per schernire gli sciocchi e per esaltare le risorse del Regime.

Un possente muro in cemento cingeva l'enorme spazio aperto, a tratti asfaltato, a tratti sterrato, dove sostavano le navette e dove gli studenti eseguivano parte delle attività fisiche. L'edificio principale dell'istituto stesso comprendeva due piani in altezza e uno interrato, sede, o caserma che dir si voglia, dello staff dell'istituto, composto da membri onorifici del Regime, da veterani di guerra o, seppur in mediocre quantità, semplici civili, incaricati dei compiti più umili. L'ingresso al pian terreno era provvisto di metal detector, manovrato da scaltre e crudeli mani, talvolta persino armate. Il piano proseguiva come un'unica grande stanza, grigia e spoglia, dove ogni centimetro era ben scrutabile dalle postazioni all'ingresso, e si chiudeva sulla parete opposta con una grande rampa di scale che portava all'atrio del primo piano, il vero primo piano sfruttato dell'edificio. L'atrio consisteva in un corridoio affusolato adorno da innumerevoli porte a chiusura a scatto, incastonate in ordine disomogeneo sulle pareti parallele alla scalinata in cemento nudo, che portavano alle aule. All'estremità nord del corridoio, ossia la facciata che dava sull'ingresso, era posta una grande cella, acquario veniva chiamata, completamente in vetro, dove coloro che disubbidivano al regolamento venivano puniti e umiliati sotto i rassegnati occhi degli studenti, o cadetti, perché di questo si trattava. Il secondo e ultimo piano comprendeva invece una grande palestra, con le colate di cemento che davano l'atroce effetto “a buccia d'arancia” (e dico -atroce- perché provate voialtri ad essere scaraventati contro ad una parete che ti graffia al minimo contatto) e le gigantesche e sudicie ventole d'areazione che incutevano un misto di timore e pena. Al centro della palestra c'era quello che sarebbe dovuto essere l'incrocio mal riuscito tra un tatami e un ring: il risultato non era nient'altro che un tappeto spesso e gommoso, che veniva chiamato appunto: “Tappeto”. Il Tappeto veniva usato per far scontrare i molti rassegnati o sodomizzati dal regime che ambivano ad un salto di qualità: infatti ogni mese il Campione del ring veniva preso e addestrato per un ramo d'élite dell'esercito, dove si diceva che la paga era elevata e il potere guadagnato era anche maggiore. Gli scontri si svolgevano senza un regolamento preciso: chi voleva provare a diventare Campione doveva semplicemente salire sul Tappeto, e, se riusciva a rimanerci senza subire nemmeno una sconfitta fino alla fine del mese, beh, gli veniva ordinato di prepararsi a partire per l'esercito. Il primo mese nessuno osò salire sul tappeto, e il secondo mese, verso la sua metà circa, un ragazzone, di quelli grossi e stupidi con la testa rasata e la faccia da fesso, salì sul Tappeto: entro la fine della giornata solo un ragazzo muscoloso e tatuato prese l'iniziativa e salì a sfidare il tizio rasato, che lo squadrò con occhi vacui e lo caricò, senza lasciargli via di fuga. Il ragazzo tatuato colpì il pesante rivale su uno zigomo, ma non bastò a fermarlo, e si ritrovò gambe all'aria fuori dal ring. Dal primo scontro in molti si fecero avanti, ma il ragazzone non sembrava intenzionato a cedere facilmente, collezionando tagli, ferite e lividi su tutto il corpo. L'ultimo giorno del mese, però, dovette affrontare un ultimo sfidante: un ragazzo dai capelli neri e corti col fisico da pugile, ossia esile, affusolato ed estremamente contratto in fasci di muscoli, e, a dirla tutta, un mio amico, anche se il tempo ci aveva separati. Comunque questo qui, che si faceva chiamare Loe, se ben ricordo, salì sul tappeto e subì la classica squadrata tonta dell'avversario. Il ragazzone rasato caricò, ma Loe scartò a destra e lo colpì con un calcio sui crociati, che cedettero con un possente urlo del loro proprietario, zittito pochi attimi dopo con un destro sulla nuca. Nessuno osò dire nulla o fare nulla, ma al suono dell'ultima campanella arrivò il direttore dell'istituto, un armadio a due ante con tanto di cicatrici, che, con aria festosa, ruggì -Benvenuto nell'esercito, ragazzo! Fai la tua roba, e domani alle sette un cellulare del Regime verrà a prenderti sotto casa!- e qui rise, una risata sincera, possente e gutturale, quella che solo uno della sua stazza può produrre -E cerca di adattarti al meglio- continuò, ancora ridacchiando, e con un gesto della mano congedò tutti, docenti, studenti e Campione.


Entrai in aula, salutai i presenti con un mezzo sorriso e mi sedetti al mio posto, sospirando davanti al bicchiere da fast food che avevo sul banco, pieno di chissà quali porcherie per potenziarci il fisico. Avvicinai le labbra alla cannuccia e iniziai a succhiare quell'impiastro amaro e ferroso, denso e viscido allo stesso tempo. Tommy, che era entrato qualche attimo dopo di me, mi si sedette accanto e sorseggiò la sua bevanda, sempre senza dire una parola, così come la maggior parte dei miei compagni lì presenti.

Suonò la campanella e qualche minuto dopo arrivò un docente, un uomo di mezza età dal fisico invidiabile, con tanto di barbetta brizzolata e cappellino militare.

Ci alzammo in piedi e lo salutammo all'unisono, intonando il giuramento al Regime, niente più che cazzate e parole vuote. Con un cenno di apatico assenso dell'uomo ci sedemmo e attendemmo che iniziasse la lezione, qualcosa sull'importanza e la giustizia del Regime e sull'inutilità e malsanità dei paesi non ancora sotto il suo controllo, e a dirla tutta, quella roba stava iniziando davvero a convincere qualcuno. Finita la lezione ci recammo al secondo piano, in palestra, dove al centro del Tappeto sedeva un ragazzo dai capelli a spazzola e la carnagione tipica del Marocco. Il docente incaricato al nostro potenziamento ci stremò con scatti, piegamenti e addominali, ma anche con pesi e prove di forza. Un ragazzo della mia classe, un tizio biondo ben allenato, prese coraggio e salì sul Tappeto. Subito la nostra attenzione si concentrò al centro dello stanzone, così come quella dell'altro paio di classi con cui lo stavamo condividendo. Il ragazzo marocchino si alzò, si stiracchiò e salutò l'avversario con un sorriso. I due si scagliarono l'uno contro l'altro e il biondino sferrò un paio di affondi, il marocchino li parò e rispose con un'agilità impensabile alla sua stazza: sferrò un calcio alto, a mezz'aria, che colpì il biondino in piena faccia, mandandolo KO.

L'ora successiva attendemmo in aula l'insegnante d'armi, una docente che ci insegnava il corretto utilizzo di ogni singola arma, nonché la sua struttura e il suo assemblaggio. Ma al posto della docente si presentò un ragazzo, che sarà stato sui ventitré ventiquattro anni, in divisa e armato di tutto punto. -Ehilà bastardelli!- esordì. Inarcai un sopracciglio. -La vostra cara insegnante d'armi l'ha combinata, e adesso non è più qui, ma io sì- abbassai il sopracciglio, rassegnato -dove cazzo eravate arrivati? All'artiglieria pesante? Bene bene... Ah, vedo che qui ce n'è qualcuno in possesso!- disse fissando la ragazzina di fronte a sé, una sedicenne dall'aria innocente e decisamente prosperosa. Il mio sguardo e quello di Tommy si incrociarono. -Mi sa proprio che qui ci vuole una bella punizione- rise il “docente”. La ragazza ebbe un mutamento di colore impressionante: dapprima roseo, poi arrossato ed ora sbiancato, dato che il suo oppressore aveva tirato fuori dalla fibbia un coltello a scatto, che aprì con un rapido e secco movimento del polso. Con una rapidità e una precisione inaudita le tranciò la spallina della maglietta bianca sotto la felpa castana, scoprendogli un seno. In molti ci irrigidimmo, la ragazza iniziò a piangere e si coprì, spaventata e umiliata. Il bastardo rifece scattare il coltellino e si preparò a sfregiarla a causa della mancanza di rispetto. Un gancio gli sfiorò i capelli: era Gian, un ragazzo dai capelli neri e lisci cui si vociferava avesse una cotta per Sara, la ragazza umiliata. Il militare, essendo naturalmente addestrato e preparato, schivò l'attacco con facilità e rispose piantandogli il coltello tra la gola e il mento, l'aria si fece fredda e un rivo di sangue caldo inondò l'aula. Sul volto serio dell'assassino crebbe lentamente un ghigno, poi un pugno, di quelli potenti, gli affondò in faccia, facendolo indietreggiare non poco. Davanti al corpo esanime di Gian, con le nocche sporche di sangue, c'era Tommy, con lo sguardo che incuteva terrore. Non lo avevo mai visto in quello stato, e non l'avevo mai visto incazzarsi o menare le mani: più o meno come me era una persona pacifica e solare, ma il Regime lo aveva cambiato, lo aveva reso più determinato, e soprattutto più forte, non solo fisicamente ma anche mentalmente. L'assassino saldò la presa sulla lama e roteò il polso per colpire, ma in quel momento lo colpii io, caricandolo e placcandolo come avevo imparato in anni di rugby,ma puntando a ferire, non ad atterrare. Il coltello gli scivolò di mano e il suo polso cedette nell'impatto tra il suo corpo e il muro. Mezzo frastornato mi feci da parte e Tommy, irato e assassino, gli afferrò il viso con una mano, stringendogli gli zigomi, gli tirò indietro la testa e gli fece cozzare violentemente la nuca sul muro, causandogli come minimo un trauma cranico. Poi, risoluto, sfilò la pistola dalla fibbia del corpo inerme e gli sparò un colpo, dritto in faccia. I volti di tutti erano pallidi, qualcuno aveva pure vomitato alla vista del sangue e delle cervella.

-Dobbiamo andarcene- mi fece Tommy, rendendosi conto solo ora di ciò che avevamo appena fatto. Annuii. Sparò al circuito della porta, che si socchiuse con un Pff, raccolsi il coltello ed uscimmo in corridoio. Scendemmo rapidamente le scale e ingaggiamo un rapido scontro a fuoco: i militari di guardia erano tutt'altro che allertati dai colpi di prima, pensavano solo a qualche punizione o a qualche esecuzione, dato che in fin dei conti era già capitato una dozzina di volte che qualcuno venisse giustiziato nell'acquario. In ogni caso i militari erano beati e sghignazzanti quando uno di loro stramazzò a terra, flagellato da un paio di colpi. Prima che qualcuno riuscisse ad armarsi altri due caddero sotto i colpi del mio compagno, che sembrava sorpreso lui stesso della sua mira da professionista. Mi avventai su quello più vicino a me, che stava ancora togliendo la sicura alla sua arma, e affondai il coltello nel suo ventre, rabbrividii, un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca e i suoi occhi, mentre fissavano i miei, si spensero nel vuoto. Ebbi quasi un conato di vomito. Non per la solita menata della prima uccisione che, a dirla tutta, trovai una sensazione quasi piacevole, liberatoria, ma per il fastidio arrecatomi dal sentire la carne che cede sotto la mia forza e il sangue che inizia a scorrere. Non ho mai sopportato i tagli o le ferite profonde in generale, figuratevi provocarle! In ogni caso ingoiai la bile, lasciai il coltello impiantato nel suo corpo, dato che sfilarlo mi avrebbe quasi sicuramente distrutto, e gli strappai la pistola, che aveva ancora salda in mano. L'ultimo militare del gruppetto ancora in vita mi sparò addosso, ma mi sfiorò la spalla, senza ferirmi, e colpì il cadavere del tizio che avevo appena ammazzato. Con un urlo di sfogo gli sparai addosso, ma detto tra noi, non presi neanche la mira. Il militare ghignò e mi puntò la sua arma addosso prima che un miscuglio di sangue e cervella gli schizzò dal cranio. Tommy mi abbozzò un sorriso. Corremmo verso le navette, anche se, ora che ci penso, nessuno dei due aveva mai realmente guidato prima d'ora, ma, poco prima di raggiungere la prima sentimmo alle nostre spalle una risata, di quelle potenti e gutturali che solo un armadio a due ante sarebbe stato in grado di emettere, e poi dei colpi. Mi ritrovai per terra, crivellato, tentando di trovare con lo sguardo l'unica cosa amica che mi rimaneva, ma anch'essa era accasciata a terra, in una pozza di sangue e polvere. L'ultima cosa che sentii prima di chiudere gli occhi provenì da una voce roca e profonda -Siete stati bravi, maledettamente bravi!- e poi ancora una risata...

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** PRIGIONIA ***


3C//DTD HTML 4.01 Transitional//EN">

Schiusi lentamente gli occhi, cercando di adattarmi alla luce fioca dell'ambiente, e come buongiorno ricevetti una scarica di fitte atroci che dagli arti risalirono per la schiena fino ad esplodermi in testa in una marea di colori lampeggianti. Tentai di sedermi aiutandomi col braccio destro, ma finii per peggiorare la situazione: vomitai un urlo straziante che mi squarciò i polmoni, per poi ricadere lacrimante sul braccio inerme. Passarono alcuni minuti prima che ritrovai la forza e il coraggio per issarmi di nuovo, stavolta col braccio sano. Dopo essermi accomodato in una posizione stabile mi guardai intorno: sedevo su un letto scomodo dalle coperte tanto ruvide da sembrare pezzi di sacco cuciti assieme, teoria alquanto verosimile. Accanto a me c'era un altro letto, in condizioni quasi peggiori del mio e, in mezzo ai due mobili, un cesso che era più marrone che bianco a causa del sudiciume. Alzai lo sguardo e scrutai la camera: era una stanzetta dall'intonaco giallognolo che andava via via sgretolandosi, la finestra sopra al gabinetto era sprangata, a mo di carcere, così come la porta in acciaio, che sembrava fuori contesto dato il suo colore immacolato e una massiccia solidità. Accanto all'altro letto, seduto in un angolo della stanza, c'era niente meno che Tommy, fasciato come una mummia, e altrettanto cupo.

-O beh, sempre meglio che schiattare!- scherzai. Ero incredibilmente felice, sarà stato il fatto che ero vivo, o che lo era anche lui, lo stesso lui che mi freddò con un occhiata di rimprovero e incalzò, con un cenno del mento: - se c'hai fame, là hai del cibo- canzonando l'ultima parola. Un vassoietto con una brocca d'acqua giaceva accanto alla porta, carico di una piccola scodella colma di quello che intuii doveva essere la famosa “Sbobba”. Alzandomi dal letto, movimento tutt'altro che facile, dato che tutte e due le gambe erano inferme e fasciate, mi accorsi che accanto al vassoio era rotolata anche una piccola sfera, delle dimensioni di un pompelmo, dal colore viola acceso. -Non ci fanno nemmeno la cortesia di posarci decentemente il mangiare- sbuffò il mio compagno di cella. Raccolsi il bizzarro “frutto” e notai che era ruvido e spigoloso, un fascio di venature lilla partiva da quello che doveva essere il centro della sfera per poi diramarsi in migliaia di motivi. In più era morso: un grosso morso se ne era portato via una buona porzione, quasi metà frutto. -Ah, non guardare me!- Esclamò Tommy -Io quella merda non l'ho mangiata e non ho intenzione di farlo, sarà una di quelle invenzioni di quei fanatici che ti riempiono di energie e ti irrigidiscono i muscoli...bah!- Mi rigirai il frutto tra le mani, la parte morsa aveva un colore roseo, quasi finto, quasi vivo... Mi feci coraggio e mi ficcai il frutto in bocca, staccai un bel morso e masticai un qualcosa dalla consistenza ruvida e dura, ma anche pastosa e friabile, nonché dal sapore indicibilmente schifoso. Tentai di sputare, ma non ci riuscii, e, sotto gli occhi divertiti di Tommy, la mia mano si levò e mi cacciò la parte rimanente del frutto in gola. Ingoiai, nolente di farlo, e mi fiondai sulla mia ciotola di sbobba, che in confronto allo schifo che avevo appena mangiato era afrodisiaca.

-Te l'avevo detto ch'io non l'avrei mangiata quella merda!- mi derise Tommy. Gli tirai un'occhiataccia e tornai alla mia ciotola.



La porta fece un ronzio da citofono e scattò verso l'esterno. Un militare con la divisa nera entrò nella cella. Alzai appena la testa dal cuscino. -Benvenuti all'inferno!- Lasciai ricadere la testa, quasi divertito dalle parole della guardia. -O... Se vi dimostrerete all'altezza s'intende... Al paradiso!- Tommy inarcò un sopracciglio, divertito a sua volta. -Ma... Beh ufficialmente... Benvenuti alla prigione di addestramento speciale per detenuti speciali!- Tommy scoppiò a ridere:-Beh, se noi siamo considerati “detenuti speciali”... Eh già, il caro Regime è messo proprio male!- Il militare scoppiò a ridere a sua volta:-Il punto è che di detenuti speciali ne arrivano a bizzeffe, e il nostro compito è quello di sfoltirli, per selezionarne solo pochi... Vedi, i piani alti esigono solo cinque detenuti per mese, e quindi di tutti gli altri... Oh beh, è facile da immaginare, no?- Il nostro visitatore ci sputò nella brocca d'acqua accanto all'ingresso -In ogni caso, alzate i culi e seguitemi, vedremo se vi meritate il tanto deriso titolo di Detenuto Speciale.- Entrambi ci alzammo a fatica e seguimmo il miliare per un corridoio ammuffito pieno delle familiari porte luccicanti, scendemmo una scala dello stesso colore delle pareti (soffro ancora al pensiero), e uscimmo in quello che doveva essere un cortile. L'intero complesso non era nient'altro che una grande e vecchia cascina, riadattata allo scopo di prigione: intorno al complesso era instaurato un alto muro di cinta e in mezzo al cortile c'era una forca rudimentale sostenuta da un tasso secolare. Alla destra del tasso un battaglione di uomini e donne vestiti di cenci attendeva senza un briciolo di compostezza ciò di cui le guardie avevano da dire, io e Tommy ci unimmo a loro, e il militare che ci scortava si schierò accanto ai suoi compagni di fronte a noi. Un altro militare, non eccessivamente alto e non eccessivamente pompato, prese parola:- Bando ai convenevoli. Le nuove reclute vadano a destra dell'albero per il test iniziale.- Io e un'altra mezza dozzina di persone ci scostammo e il militare continuò:-Vediamo di testare per bene le vostre capacità, proviamo con della velocità. Si parte da questo palo e toccate quello lì- e indicò un secondo traliccio nel cortile -e si torna indietro. Tu! .- Un uomo dai capelli grigi e i basettoni si trascinò fino al primo traliccio: aveva entrambe le gambe fasciate e zoppicava vistosamente dalla destra. -Via- gridò una guardia con il cronometro in mano. L'uomo corse al massimo delle sue possibilità, raggiunse il secondo traliccio e tornò indietro, gemendo a ogni passo. -24 secondi e 71 per soli ottanta metri- -Un po' fiacco- gli rispose l'uomo che aveva preso parola all'inizio, che aveva l'aria di essere un superiore o qualcosa del genere. Estrasse la pistola dalla cintura e sparò al poveruomo che stramazzò nel terriccio sporco di sangue. Un'aria gelida d'odio e terrore si levò tra noi detenuti. -Tu!- gridò l'uomo indicando una ragazza, snella e atletica, con la spalla inferma. -Vediamo se te la cavi con una prova di forza:-Fammi dieci sollevamenti su quel ramo- Il bastardo ci stava proponendo delle sfide mirate alle nostre debolezze ma, al contrario dell'aspettativa generale, la ragazza sorrise, fece un gesto di scherno con la testa, e si aggrappò al ramo col braccio buono. Fece il doppio dei sollevamenti richiestogli senza mostrare il minimo sforzo, balzò giù dal ramo e abbozzò un inchino. La guardai ammirato. -Bene, tu e tu!- Disse indicando me e il tizio accanto a me. -Voglio che rimanga uno solo di voi- Capii che doveva aver confuso l'altro tizio con Tommy, per mia fortuna. Mi girai verso il mio avversario: un ragazzo dalle braccia possenti e lo sguardo cattivo, si mise in guardia. Io lo adocchiai, rassegnato, e mi misi in guardia a mia volta. Il mio nemico avanzò, rapido e preciso, e mi penetrò la guardia con uno jab. Scattai all'indietro tentando di riprendermi. Lui rimase al suo posto. Mi feci coraggio e corsi in avanti per braccarlo alla cintola, tentò di colpirmi con una ginocchiata, ma sapevo bene come reagire e lo scaraventai addosso al tasso. Si rialzò quasi subito e si rimise in guardia, feci lo stesso. -Tu e tu- fece seccato il primario -Entrate nel combattimento, voglio due vincitori- Tommy balzò al mio fianco, noncurante delle ferite, e un tizio dagli scatti nervosi e i capelli unti si affiancò al boxer. Ci scambiammo un sorriso complice. Il ragazzo dai capelli unti scattò in avanti oscillando le braccia e sfiorò Tommy, immergendo la mano nei suoi capelli. Prontamente gli sferrai un cazzotto alla Bud Spencer in testa, il poveretto si accasciò sputando sangue. Intanto Tommy si concentrò sul pugile, che sferrò due destri sfondando la guardia del mio compagno. Mi affiancai a lui. Sapevamo che frontalmente non avevamo speranze, così scartammo entrambi verso il tasso. Io rimasi a fronteggiare il nostro avversario, mentre Tommy aggirava l'albero. Incassai un paio di colpi, per posizionare il boxer poco più avanti al ramo della forca. Tommy afferrò al volo l'iniziativa, scalò veloce il tronco e si aggrappò al cappio, per poi cingere con le gambe il collo del pugile, incredibilmente colto alla sprovvista. Senza dargli il tempo di reagire lo colpii ripetutamente al ventre, stordendolo. Tommy ne approfittò per lasciarsi cadere e colpirlo violentemente dietro la nuca, mandandolo KO. -Abbiamo i vincitori- Riprese apatico il bastardo graduato. A un suo lieve cenno un militare impedì ai nostri due sfidanti di rialzarsi, sparandogli in testa. Ci avviammo impassibili verso il gruppetto di detenuti, la ragazza dei sollevamenti ci sorrise, complice e compassionevole.

L'ultimo detenuto nuovo arrivato dovette sostenere una prova di resistenza, era gracile e ossuto, e gli venne incaricato di percorrere 100 giri del cortile in 10 minuti, impresa visibilmente ardua, se non impossibile. Quando la guardia col cronometro gridò lo scadere del nono minuto il detenuto, visibilmente nervoso, passò accanto a una giovane guardia e gli sfilò la pistola. Poco meno di un secondo dopo la guardia e il detenuto avevano le proprie cervella mischiate assieme. La sicura dell'arma rubata era ancora innescata. Voltai lo sguardo, e lo concentrai sulla guardia colpevole dell'omicidio. Aveva un qualcosa di familiare, anzi, porca troia, lo conoscevo! Altroché, era Loe, il tizio vincitore all'Istituto. Lo guardai inorridito: in un mese lo avevano imbastardito proprio bene! -E qui si vede la differenza tra un novellino viziato e un novellino con le palle- Ridacchiò un uomo in divisa.

Il pomeriggio continuò con un allenamento standard, seppur intensificato, e non successe nulla di interessante, se non un paio di tizi freddati a causa di mancamenti di forze.



I giorni iniziarono a scorrere, seppur lentamente, e imparai a bagnarmi le mani di sangue, bene o male lo imparammo tutti. Eravamo costretti a ucciderci l'un l'altro, o a imparare tecniche di tortura dove i nostri stessi compagni erano le cavie. Le donne venivano puntualmente abusate, anzi, violentate, che rende più l'idea...

L'ottavo giorno di permanenza, nel cuore della notte, ci venne spalancata la porta e dopo pochi attimi ci venne richiusa con l'ormai familiare clangore. Sia io che Tommy, svegliati di soprassalto, tentammo di mettere a fuoco la stanza per capire cosa diavolo era successo, e nella penombra riuscimmo a scorgere una figura... Un fantasma? Cazzo, questa no! Ci mancavano solo le guardie in astinenza da Halloween! Poco dopo la coperta cadde dall'ente sotto di essa rivelando una figura... femminile? Hanno deciso di premiarci a troie, o hanno intenzione di farci abusare sessualmente dalle guardie femmina? Tommy si innalzò sul letto e tirò la catenina che accendeva l'unica lampadina: la donna, anzi ragazza, dato che non superava i venticinque anni, era alta e ben proporzionata, coi fianchi tonici e i seni prosperosi, una folta chioma di capelli castani era raccolta in una lunga coda, che le sfiorava i glutei. La ragazza era vestita di stracci, bene o male come noi, e stringeva tra le dita l'estremità di una vecchi coperta, la carnagione era caramellata, ben abbronzata. Sotto l'occhio sinistro, di un verde scuro comune (come i miei, del resto) si intravvedeva un'ammaccatura, fresca, dato il colore rossoviola. -Kenny- Mormorò lei, presentandosi. Era la ragazza del primo giorno, quella dei sollevamenti, e indubbiamente una dei detenuti migliori, se non la migliore... -Tommy- mormorò lo stesso, perplesso. -Ivan- mormorai io... -Che diavolo è suc- Kenny mi interruppe prontamente -Hanno tentato di possedermi, ma ovviamente mi sono opposta, e non sono riusciti ad immobilizzarmi. Il gran mogol o quel che è ha fermato i suoi uomini, affermando che sono un ottimo elemento, e dato che i suoi uomini non ne sono stati molto contenti, e anche perché la mia cella è ormai zuppa di sangue,- ridacchiò- mi ha assegnato a dormire con voi.- -L'ultima parte non sta troppo in piedi- criticò Tommy. -Vengo a stare qui perché dovete proteggermi se quei coglioni col cazzo duro tentano di venire ad ammazzarmi: al gran bastardo non frega nulla che mi violentino o meno, vuole solo prevenire che la situazione non gli sfugga di mano.- Io e Tommy ci scambiammo uno sguardo compassionevole. -Benvenuta- Bofonchiò lui. Lei ci sorrise e noi ricambiammo il gesto, sinceri...

La mattina dopo mi svegliai poco prima della chiama, teso e sudato: forse mi ero appena risvegliato da un incubo di cui non ricordavo nulla, ma la sensazione era molto più intensa, più malata. Mi alzai dal letto con uno sbadiglio mal soffocato e stropicciando gli occhi scrutai l'alba dalle inferiate, mi stiracchiai e mi misi a pisciare nella tazza. -'Giorno- Dal letto di Tommy si levò una voce femminile, poi dei mugolii e il fruscio delle coperte. Sobbalzai, perdendo il controllo del getto per qualche attimo. -Dormito bene?- incalzai, non era il massimo parlare con una ragazza appena conosciuta mentre le si piscia a poche spanne dalla faccia, ma il silenzio sarebbe stato ancora più imbarazzante, o disgustoso, dipende dai punti di vista. -Mhh, sì, dai. Si sta stretti in due ma per lo meno non scalcia.- Ridacchiò lei. Mi sistemai i pantaloni e le sorrisi. Un braccio le gravò addosso, e con una rapida gomitata la ragazza svegliò il compagno, visibilmente irritato dal gesto.



La giornata trascorse lenta: la maggior parte delle guardie maschio guardava storto me e Tommy, e gli insulti fioccarono anche da alcuni detenuti. Il primario della prigione, contrariamente a ciò che immaginavamo, trattava noi tre come se gli dovessimo un favore, e ci metteva continuamente alla prova con sfide al limite dell'impossibile.

I giorni ripresero a scorrere, sempre più lenti, dolorosi, e malsani. Ogni pretesto era buono per affibbiarci il compito più nauseante o la prova più ardua, e ben presto i nostri corpi e le nostre menti si adattarono all'ambiente: ogni ferita, ogni assassinio e ogni tortura ci faceva crescere, ci rendeva più forti.

Imparammo a gestire il gioco, sapevamo qual'era la soglia d'insolenza concessa, e sapevamo come garantirci la protezione del supervisore: ogni cranio sfondato o arto smembrato era per lui una conferma della nostra forza, e dunque del nostro effettivo valore.

Settimana dopo settimana ci ritrovammo tutto il penitenziario contro: i detenuti ci vedevano come “cani che fanno il loro gioco”, e i militari ci reputavano come minacce o come “cocchi” del priore, tant'è che una notte...



La porta si socchiuse, e, più silenziosa possibile, una figura si intrufolò nella stanza; mi rigirai nel sonno, noncurante. La figura sgattaiolò accanto al mio giaciglio, e sfilò dalla fibbia un grosso machete, affilato e perfettamente curato. Nel sonno sentii del freddo sulla guancia, poi una lieve fitta di dolore... Mi svegliai e sopra di me vidi la sagoma di un uomo, grosso, barbuto, che stava tentando di sfigurarmi il volto! Nel giro di qualche attimo Kenny, a quanto pare col sonno leggero, scattò in piedi, colpì l'uomo rompendogli il naso, e gli sfilò l'arma di mano, rompendogli il polso, per poi piantargliela nel cranio. Carica d'ira spinse il cadavere fuori dalla porta e la fece scattare, chiudendosi dentro con noi. -G-Grazie- Balbettai -Dovreste essere voi a difendere me, non il contrario...- Un mugolio assonnato si levò nella stanza -Mmmmh, che cazzo è successo?-



Il giorno dopo, ogni singolo detenuto della prigione ci scrutava con rispetto, e ogni singolo carceriere con odio e terrore. La voce si era sparsa davvero in fretta! Le sfide del primario si fecero più intense, ma ormai non temevamo nulla: ci eravamo rimessi completamente, e ci stavamo pompando in maniera spropositata; avevamo già scampato di essere reclutati per due mesi di fila, ma ormai era inevitabile, non c'era detenuto che riuscisse a tenerci testa, e io temevo cosa saremmo stati costretti a diventare.



Quella notte non riuscii a fare a meno di pensare a ciò che avevo scampato; continuavo a pensarmi senza un volto, sanguinante, sfigurato... E così i miei sogni non trovarono che quell'indizio per evolversi: mi trovavo in un luogo buio, polveroso, dei raggi di sole filtravano velati da delle crepe sul soffitto della caverna, sì, era una caverna... Ma era molto più ampia di una caverna normale, quasi una grotta, se davvero v'è una differenza lessicale, s'intende... A dire il vero non era neanche così buio: riuscivo a vedere bene, era la polvere che non mi permetteva una visione nitida dell'ambiente. Qualcosa mi frusciò alle spalle, un suono pacato e fluido, ma schifosamente schioccante e viscido allo stesso tempo. Mi girai di scatto, nulla. Il suono sinistro si fece risentire, stavolta più vicino, ne ero sicuro. Feci finta di non accorgermene, e girandomi di scatto al momento giusto colsi l'autore dei suoni in flagrante, il quale si dileguò velocemente: era qualcosa di grosso, grosso e veloce e... lungo e che camminava sulle pareti rocciose e che si contorceva e che schioccava le fauci... No. Che schioccava le chele... Ma... Una scimmia? Che c'entra? La bestia aveva il volto di una scimmia, di un babbuino, credo, e... No... Ora un volto di una donna mi fissava, preoccupato, intenso, i capelli castani che svolazzavano come per una brezza montana... Ma non c'era vento lì... Era davvero bella e... Baffi? Adesso ha dei baffi? Ora la bestia indossava il volto di un uomo, cinese date le caratteristiche del viso rugoso... Il mostro scomparve. Sentii del frescore dietro la schiena, mi voltai e... -OMMERDA!!!- A una spanna dal mio naso, anzi, di meno, una maschera candida dalle labbra rosse e carnose mi porse un sorriso gentile. Alla mia reazione sorrise ancora di più. Una voce calma, pacata e tranquillizzante si levò nella grotta:-Io sono Koh, lo spirito dai mille volti, e ora, io mi impossesserò del tuo.-




Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IL SOGNO ***


-Io sono Koh, lo spirito dai mille volti, e ora, io mi impossesserò del tuo.-

Raggelai dal panico, che razza di situazione! Il mostro, ora privo di ogni aspetto, mi si avventò addosso, tentando di aggrapparmisi alla faccia. Scartai di lato, rapido, e mi concentrai per trovare una via di fuga, noncurante della profonda ferita che uno dei suoi ripugnanti artigli mi aveva inferto al braccio destro, detto fra noi, me ne accorsi a malapena. Più o meno alle mie spalle, celata dalla penombra e dalla polvere, si ergeva una scalinata di scarsa pendenza, con gradini bassi e larghi scolpiti nella nuda roccia. Mi ci fiondai, veloce, e falcai gli scalini al massimo delle mie possibilità.
La bestia mi inseguiva sibilante d'ira e ostacolata dai pochi appigli che gli offriva quella via... ma era pur sempre più veloce di me! La salita finì, e mi ritrovai all'esterno del rifugio dello spirito: l'atmosfera era crepuscolare, e l'area appariva desertica e rocciosa. In lontananza si scorgeva una foresta, fitta e tetra, accompagnata da malsane pozze d'acqua, almeno così a occhio. Superai imperterrito una scimmia, che spaventata dal nostro fremente inseguimento gridò, lo spirito deviò di scatto e si abbatté sulla bestia per divorarne il volto. Guadagnai terreno. Mi fiondai nella foresta, immergendo le caviglie nelle acque paludose, che al tatto parevano fresche e pure, e continuai la mia incessante fuga. Lo spirito continuava a seguirmi: si avvicinava e poi si allontanava, saliva su di un albero, mi superava, sbucava giù da un ramo con una faccia spaventosa, e si lasciava superare, godendo delle mie reazioni. Corsi e corsi, forse per intere ore, fino a che la selva si tramutò in un bosco, verde e puro, con ruscelli cristallini e funghi colorati. Mi addentrai in una piccola radura, la attraversai, e nel mezzo di essa lo spirito si decise a finire il suo gioco. Mi circondò, girandomi attorno col suo corpo rivoltante, senza lasciarmi via di fuga. Continuava a fissarmi, con le sembianze della maschera bianca, attendendo la mia espressione più folle e disperata, più malata. Rivoli di sudore gelato iniziarono a solcarmi il viso, la lucidità iniziò a venirmi meno, gli spasmi presero il sopravvento del mio corpo.

Tentai di gridare, niente.

Il corpo dell'insetto gigante scattò in avanti, senza volto, mirando al mio.

-KOH!!- Gridò una voce, potente e ferma. Il mostrò si irrigidì, a pochi pollici dal mio sudore, e si voltò lentamente, calmo. -Cosa vuoi, vecchio?- Cominciò il mostro, con una voce incredibilmente tranquilla e pacata. Un uomo panciuto e ben piazzato ergeva a una decina di metri da noi. Aveva una lunga barba bianca e folti capelli canuti, racchiusi con una spilla d'oro a forma di fiamma. Vestiva con una tunica nera, coi bordi ricamati in rosso, e calzava delle scarpe rosse a punta, tipo quelle medio orientali. -KOH!! VERGOGNA DEGLI SPIRITI, ALLONTANATI DAL RAGAZZO!!- Pronunciò la frase carico d'ira, ma il suo volto rimase impassibile. -Non lascerò che un vecchio pazzo mi privi del mio divertimento- Rispose lo spirito, e si voltò nuovamente verso di me, schioccando le chele. 

Un'enorme zampata colpì il mostro al suo vertice anteriore (quello rivolto verso di me, per intenderci) facendolo rovinosamente schiantare a qualche metro di distanza. Un possente orso, muscoloso, e di dimensioni esagerate simili a quelle di un camion, si avventò sul mio nemico gravando su di lui con le forti zampe. Un orribile grido si levò nella radura, e il mostruoso millepiedi strisciò via, ferito.

Guardai ammirato l'orso: scuro e sproporzionato, magro e compatto. Si voltò verso di me, ricominciai a sudare freddo. Nel giro di pochi istanti la possente bestia si tramutò in un altro vecchio, panciuto e ben piazzato a sua volta. Vestiva una tunica bianca, ornata di colori dorati, e teneva le braccia nella tipica posizione da saggio asiatico con le maniche larghe e lunghe. Dei lunghi capelli bruni gli scendevano lungo le spalle, e la barba folta gli sfiorava le braccia. Dalla testa gli spuntavano, quasi fosse un gadget nipponico, due orecchie da orso, rotonde e pelose. Sotto le esageratamente folte sopracciglia, due piccoli occhi neri mi scrutavano, curiosi. Il naso del vecchio era schiacciato e gradualmente scuro, simile a quello di un orso, per l'appunto. Da sotto le braccia, poco più giù dei pettorali, si intravvedeva un motivo circolare ricamato nella veste. I due uomini mi si avvicinarono, e, pur facendo fatica a tener a freno la loro sete di curiosità, mi accennarono un inchino e mi invitarono a seguirli. Dopo pochi minuti di cammino arrivammo ad una casetta di legno, ai margini di un'altra radura. Mi fecero accomodare su una seggiola nel porticato e attesi che il vecchio vestito in nero mi servì del thè da uno squisito profumo. Accennai un sorriso e presi la tazza fumante tra le mani, appoggiai le labbra all'orlo, incerto, e sorseggiai, temendo di scottarmi. Un'ondata di delizioso thè mi scaldò le membra, non ne avevo mai assaggiato di così buono. Pareva quasi un alimento a me sconosciuto. -È delizioso!- Esclamai ai miei due ospiti, che nel frattempo si erano accomodati di fronte a me, sorseggiando a loro volta del buon thè. Notai che sul tavolino vi era incisa una scacchiera, complicata e intricata. Il vecchio che aveva preparato la nettarina bevanda mi sorrise -Grazie per il complimento, giovane... umano?- -Ehmm, sì.- Risposi, scosso dalla domanda particolare. -Grazie a voi per avermi salvato da quel... coso.- Continuai. -Oh, nessun problema- Iniziò il tizio orso, con una voce incredibilmente gutturale e roca. -Non deve permettersi di vagare nelle terre che non gli appartengono.- Continuò -E comunque è uno spirito, SPIRITO- Scandì. -Spirito?- Chiesi io -Ma scusatemi, dove siamo?- Continuai sconvolto. -Siamo nel mondo degli spiriti... Ovviamente. Lui stesso è uno spirito- Mi rispose l'uomo del thè, accennando al suo compagno. -Piacere, ragazzo umano! Io sono Beor!- Squillò lo spirito. -Lo spirito della pazienza... anche se ormai ho imparato a domare simile virtù- Lo scrutai, perplesso. -P-Piacere... Io sono Ivan, detenuto del Regime...- Conclusi, quasi ironico. -Io sono Iroh, consigliere del signore del fuoco e... umano, come te.- Alcuni brandelli di memoria iniziarono ad affiorarmi nella testa- Ma cos'è questo “Regime” di cui parli?- -È una specie di potenza mondiale, che sta conquistando il mondo... riassunta in breve... Ma... Siamo in un sogno, vero?- Iroh, ridacchiò -Oh, la prima volta io sono finito qua bene o male sognando!- E scrosciò in una sonora risata. -Quindi... Mi pare di capire- Continuò, serio -Che non provieni dai nostri mondi- Un luccichio si accese negli occhi di Beor. -Mmmh, direi di no...- finalmente collegai, Iroh, signore del fuoco, spiriti, mondo degli spiriti, addirittura lo spirito che fregava la faccia alla gente! Faceva tutto parte di un universo virtuale, inventato. Sono sempre stato appassionato di queste cose, e ora che ci penso, il modo degli Avatar, era uno di quelli che mi affascinava di più! Naturalmente, con l'ascesa del regime, computer internet e diavolerie varie vennero considerati semplicemente illegali, e ci vennero sequestrati. Coloro che venivano poi scoperti con, che ne so io, un vecchio telefono, o una calcolatrice scientifica, magari dimenticati in un cassetto o in soffitta, venivano pestati, e, a seconda della gravità, anche mutilati o trucidati. E poi comunque con l'ascesa di una dittatura, amici uccisi, famiglia divisa, rinchiuso, maltrattato e costretto a lottare per la sopravvivenza... Cioè, non è che proprio pensi tutti i giorni ad un maledetto cartone animato, no?

-...Ma voi non esistete! Cioè, voglio dire... Siete frutto della fantasia del mio mondo!- Esclamai, scioccato. Era successo uno di quei classici trip: sogni, ti rendi conto che stai sognando e poi dici, “ma no, questo è reale, non è un sogno”, e poi ti svegli... In poche parole alla fine apri gli occhi e rimani dieci minuti buoni a pensare cosa cazzo era successo. Iroh mi scrutò interessato -Questione interessante, eppure noi esistiamo.- -In che anno siamo se posso chiedere?- -Siamo nel 105 dopo la caduta dei nomadi dell'aria. Cinque anni dalla fine della guerra dei cent'anni, se sai di cosa si tratta, ovviamente- Rispose lui. -Sì, sì ho presente... Ma perchè tu sei già qui, cioè, non dovresti essere ancora nella Nazione del Fuoco? Voglio dire... Sei relativamente giovane!- Il vecchio saggio scrosciò in una nuova risata -Si! Si! Non è ancora arrivato il momento di andarmene!- Rise di nuovo -Sono qui in vacanza! Ormai sono totalmente in pace con me stesso e col mondo! Ho persino indetto la giornata nazionale del thé!- E rise ancora, una lacrimuccia gli rigò una guancia. -Già, ricordavo qualcosa del genere...- Mormorai. -Ragazzo- irruppe Beor -Ma sai proprio tutto! Voglio dire... Ogni singolo dettaglio!- Esitai, imbarazzato – No, cioè... Conosco bene tutta la vicenda di Aang, Zuko e gli altri, ma per esempio a te non ti conoscevo...- Beor ruggì, irritato, e Iroh riprese a ridere. -Sai...- Continuò lo spirito della pazienza (anche se non dimostrava affatto simile virtù) -...È già successo un simile fatto in passato. Molti, molti millenni fa. Un uomo, un ragazzo più che altro, che diceva di venire da un'altra dimensione... Ma nulla del genere! Dai pochi frammenti che mi ricordo, quello non sapeva nulla del nostro mondo!- Iroh ritornò serio, mi guardò negli occhi e si schiarì la voce -Ragazzo mio, ora, parliamo di cose serie...-



Aprii gli occhi, ero nella mia solita, marcia, puzzolente, cella giallognola. Pensai a ciò che avevo passato, sognato, per l'esattezza. Tutto era molto confuso, ma a poco a poco riuscii a mettere assieme tutti i frammenti, e iniziai a ricordare tutto. Era stato un bel sogno, per lo meno.

Una figura mi sovrastava, aveva l'aria agitata... Kenny? Perchè nel mio letto...? Ah già, ieri Tommy si era procurato un sacco di lividi al campo, così, per farlo dormire comodo, la ragazza si era trasferita da me per una notte. In fondo io ero più grosso del mio amico, molto più piazzato, per questo la scelta di dormire con me era un azzardo... A malapena ci stavo da solo in quel vecchio mobile! Ma.. Kenny era... Sporca di sangue?! Cioè, non che distribuissero assorbenti lì in carcere, ma mi pare che se sei sporca di sangue su collo, seni e ventre c'è qualcosa che non va... Che diavolo era successo dunque? Balzai seduto, piazzandomi col viso a mezza spanna dal suo: convivevamo da due mesi in un buco, non ci facevamo certo problemi di questo genere... Lei continuò a fissarmi, agitata -Stai bene?!- Iniziò, preoccupata. -Sì, più che altro che diavolo ti è successo?- Non feci a tempo a finire la frase che mi accorsi di avere il braccio destro rovente, eppure non era a contatto col corpo della ragazza. Lo osservai e notai uno squarcio nella carne, poco sotto la spalla. Una lacerazione netta, provocata da qualcosa di affilato. Un grosso, incredulo sorriso mi si stampò in faccia.


-Ci vuoi spiegare che diavolo è successo? Voglio dire, come hai fatto?- Incalzò Tommy. -Anche se ve lo dicessi, non ci credereste!- Affermai allegro. La porta ronzò, e una mano ci posò sull'uscio un vassoio colmo di vivande e... carne! Erano mesi che non vedevo della carne, non che ne andassi pazzo, ma dopo un po' ne senti la necessità!

Kenny sospirò, rassegnata, e prese parola:- Questo ci conferma i nostri sospetti: siamo i prossimi, e il regime ci vuole in salute.- Io e Tommy rimanemmo in silenzio. -Ragazzi... Dovremmo provare a...- -Evadere!- Mi anticipò Kenny -Ci stavo giusto arrivando.- Tommy ci guardò come se avessimo appena dichiarato l'esistenza di Babbo Natale. -Il punto- Continuò la ragazza -è che fuggire è pressapoco impossibile- Un muto “Ma va?” affiorò sul viso di Tommy -Ma magari lavorando in tre riusciremmo a ricavare qualcosa di più!- Concluse Kenny. Annuii in assenso: -Dicci ciò che sai, e poi vediamo come organizzarci-. Ci sistemammo comodi e iniziammo a mangiare, analizzando tutti i dati in nostro possesso:


Il carcere era una vecchia cascina composta da un grosso edificio quadrato con all'interno un notevole spazio aperto contornato da uno stretto porticato. La facciata Ovest della struttura godeva di un grosso cancello in ferro massiccio a doppia anta, tipo portone da castello. Alle estremità della facciata Ovest la struttura si alzava di qualche metro creando due simmetriche torri squadrate. Dalla parte opposta del cancello, invece, si ergeva una terza torre, questa volta un po' più bassa, cilindrica e con il tetto piano e accessibile. Da ognuna delle tre torri ruotavano turni da tre a due guardie, reciprocamente di notte e di giorno.

La struttura era adibita di fari e luci che illuminavano ogni buco, notte compresa. All'interno del cortile c'erano due tralicci, non dico fragili, ma nemmeno stabilissimi. Io e Tommy abbozzammo quindi al volo di abbattere uno dei due pali inscenando un incidente durante uno scontro... Pareva un diversivo niente male, sarebbero saltate tutte le luci, e allo stesso tempo le porte non si sarebbero più chiuse! Era un piano interessante, non fosse stato che i tralicci, come ci spiegò Kenny, erano ormai solo dei pali impiegati a sostenere qualche faretto e niente più.

Il Regime aveva ideato una nuova tecnologia in grado di trasmettere energia tramite onde... Tipo Wi-Fi, credo...

In pratica Kenny ci spiegò che da qualche parte ci doveva essere un generatore che alimentava il carcere e la campagna circostante. Ma che questo generatore risiedeva negli alloggi del personale, dei militari ossia... Raggiungerlo sarebbe stato un suicidio.

Gli alloggi delle guardie erano sottoterra: tutto l'edificio superiore era occupato da celle e celle, più una mensa con annessa cucina per i dipendenti.

Dal porticato interno, a destra del cancello e sotto una finestra del corridoio centrale, partiva una scalinata che scendeva, senza ombra di dubbio, alla caserma.

Le finestre che davano sul cortile non erano sigillate, ma rimanevano comunque sorvegliate indistintamente dal resto...

Il cancello, che durante gli addestramenti veniva più volte usato come appoggio per pestare gente o frantumare svariati arti, rimaneva perennemente chiuso. Veniva aperto soltanto una volta al mese, quando arrivava il convoglio di jeep militari a prelevare i detenuti migliori. Durante quelle poche ore, ogni singola guardia veniva richiamata sull'attenti nel cortile, e gli appostamenti sopraelevati rimanevano scoperti, almeno fino a quando il convoglio non veniva avvistato.

Kenny ci spiegò che il carcere era isolato dal resto del Regime. Le guardie stesse erano per la maggior parte elementi fastidiosi o d'intralcio per gli schemi del Regime.

Dentro il carcere non vigeva nessuna legge, se non quella di consegnare cinque detenuti scelti mensilmente, e non esisteva neanche una scala gerarchica ben definita: il dirigente era l'unico vero ufficiale graduato, tutti gli altri seguivano una specie di legge del più forte... Facendo un paio di conti neanche loro se la passavano troppo bene...

Il fatto dell'indipendenza del carcere era un punto a nostro favore: niente telecamere e niente allarmi esterni.

-E questo e tutto ciò che so...- Concluse Kenny. -Quindi...- Titubai -Non abbiamo vie di fuga...- -Esatto, siamo nella merda! Non abbiamo speranze!- Proruppe Tommy, con una sfumatura alquanto saputella.

-Non è ancora detto. Sono sicura che abbiamo tralasciato qualcosa... Dobbiamo averlo fatto!-

-Magari il comparire dei novellini di giorno in giorno?- Sollevò apatico Tommy. Kenny rimase perplessa per qualche secondo... -Già... Potrebbe essere... Di sicuro non passano per il cancellone, sarebbe troppo pericoloso e vistoso, sarebbe facile evadere!- -E quindi...- presi parola -c'è un altro passaggio!- -Già...- Esasperò Tommy, e indovinate dove si trova? Nella loro stramaledetta caserma! Come cazzo pensate di entrare là dentro?-

-Con un diversivo.- Lo freddò Kenny. Tommy tentò di controbattere, ma la ragazza lo zittì con uno sguardo. -Ci penso io.- Riprese, calma e sicura di sé -Ce ne andremo di qui mentre entra il convoglio. Ci verrà dato qualche minuto per restare nella nostra camera, per poi dimostrare la nostra lealtà presentandoci e offrendoci al Regime di “nostra” spontanea volontà. E sarà in quel frammento di tempo che sgusceremo dalla finestra e ci infileremo nello scantinato. E il tutto senza che nessuno se ne accorga.-

-Ci faremo ammazzare!- Protestò il ragazzo. -Ce ne andremo, con te o senza di te!- Rispose aspra Kenny.



Pensa al bosco, pensa ad Iroh, pensa di essere lì. Concentrati, concentrati... Concentrati maledizione! Calmo, non è facile, calmo... Allora: bosco, casa, orso, Iroh, bosco, casa, orso...” Una luce mi sollecitò le palpebre, aprii gli occhi, entusiasta, e mi ritrovai nella solita sudicia stanza. Kenny era in piedi, con la brocca d'acqua in mano, e giocava coi riflessi di luce. Borbottai un'imprecazione e richiusi gli occhi.



Arrivati al quarto capitoletto di questa avventura ne approfitto per introdurmi: era da un po' che, detto terra terra, mi stavo annoiando e non avevo idea di che fare, così, perfezionate qua e là, ho deciso di tramutare le mie fantasie di quando ero ragazzino in fanfiction!

Con il prossimo capitolo finirà l'introduzione e inizierà la prima vera e propria saga della storia, che avviso non finirà tanto presto!

Per finire: fatemi sapere cosa ne pensate (dalla storia allo stile di scrittura) e criticate il criticabile!

Alla prossima!



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** LA RADURA ***


Riaprii gli occhi. Mi trovavo nella radura, sdraiato nello stesso punto da dove me ne ero andato. L'erba era piacevolmente umida, e il terriccio morbido mi aderiva tiepido al corpo come se qualcuno vi ci fosse sdraiato poco prima.

Mi alzai e mi stiracchiai, e dopo uno sbadiglio mal celato mi tirai delle pacche per far scivolare via i residui di fili d'erba dalle vesti logore.

-Qualcosa non va, ragazzo mio?- La voce calda e roca di Iroh mi confortò e mi scaldò, scaturendo in me una sensazione che non provavo da mesi ormai: mi sentivo protetto, al sicuro... Quel velo di ansia, paura e malinconia che rivestiva le mie giornate, le nostre giornate, scivolò via e al suo posto un tepore ormai dimenticato parve farsi strada tra le membra.

Rilassato come non lo ero da molto tempo mi avvicinai alla casa trattenendo a stento un sorriso ebete.

-Non riesci a tornare indietro dunque?- ripeté il vecchio.

-In che senso scusa?- chiesi allegramente?.

-Ti sei coricato lì qualche minuto fa, ed ora sei in piedi. Non ricordi?-

Ci misi qualche istante a cogliere la questione, poi titubai -Scusa... Io me ne sono andato da qui due notti fa... Cosa vuoi dire?-

Iroh mi scrutò da sotto le sopracciglia, dubbioso. -Da quando ti sei coricato non ti sei mosso di un millimetro... E ti sei coricato soltanto da una manciata di minuti... Beh, vado a preparare del buon thé, poi risolveremo la questione!- e concluse con la sua caratteristica risata allegra.

Mi avvicinai alla casa, Beor sedeva all'ombra del porticato, il suo sguardo era cupo e impenetrabile. Presi posto di fronte a lui, ma appena poggiai sulla seggiola scattò in piedi e, senza degnarmi della sua attenzione, mi passò di fianco e si incamminò nella pianura.

Dopo essere arrivato a una ventina di metri dalla casa si girò verso essa e sedette a mezz'aria a gambe incrociate. Un ghigno di soddisfazione prese posto sul mio volto. A poco a poco lo spirito della pazienza iniziò ad ascendere verso il terreno e, silenzioso come un miraggio, un largo e liscio ceppo d'albero emerse dal terreno al fine di intercettare l'uomo orso.

-Sta meditando-. Sobbalzai, Iroh spuntò alle mie spalle carico di argenteria e di buon thé. -Ne sono sorpreso anch'io in verità, è la seconda volta che lo vedo meditare.- Lo guardai incuriosito, quell'uomo mi affascinava sempre di più, era avvolto da un'aura perenne di calma e imperturbabilità.

Sorseggiammo il nostro thé discutendo della situazione mia e del mio mondo. Al fine della vivace chiacchierata Iroh si alzò, mi accennò un inchino e si congedò:- Se vuoi scusarmi, avrei degli impegni da svolgere nella Nazione del Fuoco, attendimi qui per favore: puoi leggere un libro, se ti aggrada.- Di colpo mi sentii in ansia: non volevo essere di nuovo lasciato solo, e temevo che Koh o qualcosa di più orribile potesse sbucare nella radura...

-Quando... Quando tornerai?- Esitai titubante.

-Presto ragazzo mio- disse sorridendo, e scomparve.

In pochi attimi rimasi solo nella radura: il sole illuminava la foresta dai colori vivaci e l'animato sottobosco. Piccoli spiritelli iniziarono ad affiorare dai cespugli e a fluttuare tra gli alberi, ridendo e cantando.

Alcuni si addentrarono nella radura e la luce intensa sfoggiò i colori armonici di quelle bizzarre creature, rivelando anche la loro semitrasparenza e leggiadria.

Lentamente, pochi alla volta, una manciata di spiriti fluttuò verso il corpo di Beor e iniziarono a giocare attorno a lui con i caldi raggi del sole, creando così un vortice di colori tenui e brillanti.

Entusiasta dello spettacolo mi addentrai nella piccola casa; ogni cosa era praticamente fatta in legno: pavimento e pareti, mobilia e utensili, e persino i soprammobili non erano nient'altro che bizzarri animali intagliati.

Mi avvicinai alla libreria: occupava un'intera parete, ma rimaneva comunque relativamente piccina. Scorsi veloce i titoli e intravidi cose del tipo: “Le origine della città impenetrabile” o “Cultura e tradizioni dei nomadi dell'aria del tempio del Nord” o ovviamente “Thé, non un semplice infuso di foglie”. Scorsi anche altri titoli riguardanti tutte le quattro nazioni, avventure di Avatar del passato e misteri di civiltà perdute o di bestie leggendarie.

Indeciso su cosa iniziare a leggere mi avvicinai al pesante tavolo che occupava la maggior parte della stanza e scorsi un libro, aperto e incompleto, scritto sicuramente da Iroh stesso; presi a sfogliare il tomo e ci misi poco a intuire che narrava di tutta la vicenda degli ultimi 150 anni: da Roku a Sozin, ai cento anni di guerra, allo sterminio dei nomadi dell'aria e dei draghi, all'ultimo dominatore dell'aria e alla sua avventura; il libro parlava del ritrovamento di un bambino, costretto a imprese più grandi di lui, e parlava dei suoi compagni fedeli e bizzarri, senza i quali il giovane Avatar non avrebbe percorso più di qualche metro. La storia si evolveva poi in mille battaglie e mille sconfitte, tramite le quali il bambino crebbe e divenne un ragazzo, forte e saggio, che, accompagnato da una manciata di compagni, riuscì a fermare un folle e a riportare l'equilibrio nel mondo. Le ultime pagine parlavano appunto delle sue ultime azioni e avventure, dell'indipendenza dell'ultima colonia della Nazione del Fuoco e dell'importanza di Yu Dao, la splendida città sorta da essa.

Così venni a sapere anche dell'integrazione nella società globale di popoli quale gli abitanti della Palude, o gli antichi maestri Maestri del Sole.

Lessi delle comunità di donne che, inizialmente membri di un banale fan club, stavano a poco a poco ricreando la società degli antichi nomadi dell'aria.

Rimasi incollato alle pagine del libro per ore, lessi avidamente ogni parola, rapito dallo stile dettagliato e scorrevole di Iroh fino a quando, letta l'ultima frase scritta fino ad allora, crollai esausto sul tavolo: in fondo dalla giornata precedente la mia mente non aveva ancora chiuso occhio!


Mi risvegliai dall'altra parte, stanco e desideroso di dormire, con la faccia bollente e dolorante; non feci a tempo ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco che un qualcosa mi colpì con decisione il volto.

-Ehi! T... Tommy ma porca troia! Si può sapere che ti prende? Ho sonno!-

Il mio amico mi sovrastava, la mano levata pronta a colpire, il volto pallido. Frastornato dalla mia reazione mi scivolò di dosso.

-Stai bene?- Intervenne Kenny, preoccupata.

-Err... Sì?- Risposi, insicuro.

-Amico...- Iniziò Tommy -Temevamo fossi andato in coma o robe così! Dobbiamo essere praticamente adesso giù! Che diavolo t'è preso?!-

-Io... Ehmm... Avrò avuto un collasso o robe così... Ma sbrighiamoci, siamo in ritardo no?- Mentii, ovviamente, e mi alzai controvoglia; durante la giornata notai la strana sensazione di avere il fisico riposato e scattante e la mente stanca e pesante.

Quella notte decisi di non provarci nemmeno ad andare dall'altra parte, e mi godetti il meritato riposo.


Quando, tre notti più tardi, riuscii a tornare nel mondo degli spiriti, mi ritrovai accoccolato su una seggiola con il viso adagiato a lato del grosso tomo, una ciocca di capelli si era insinuata nella boccetta d'inchiostro e, stiracchiandomi gli occhi, mi macchiai volto e vesti.

Sollevato di non aver sporcato nulla, fuorché me stesso, cercai mezzo tentoni il bagno o un qualcosa cui poteva ricondurvi.

-Ivan- Tuonò qualcosa alle mie spalle. Sobbalzai, un po' per lo spavento e un po' per le condizioni in cui mi trovavo.

Beor attendeva sull'uscio, con lo sguardo torvo e il volto serio.

-Ehmm, finita la meditazione?- Iniziai.

-Sì- Rispose lo spirito, accennando un'occhiata di commiserazione quando mi vide il volto. -Ho concluso la mia meditazione.-

Un silenzio imbarazzante avvolse la casupola.

Titubante presi parola: -Quindi... Trovato nul...-

-Ho bisogno di confrontarmi con Iroh- Mi interruppe l'omone, brusco.

Il silenzio avvolse di nuovo la casupola, Beor ergeva imperturbabile all'ingresso, sbarrando l'uscita, immobile.

-Oooooh, non credevo ci fossero costruzioni, qui nel mondo degli spiriti!- Una voce gioviale e squillante ruppe il silenzio, Beor corrucciò le sopracciglia e, curioso, si diresse all'esterno per controllare. Lo seguii.

Iroh, dal margine della radura, si dirigeva verso di noi e un ragazzo, più o meno della mia età, lo seguiva. Il ragazzo aveva due occhi grandi e curiosi, di un colore banale, ma di una vivacità sorprendente, avida e fanciullesca.

Aveva le orecchie a sventola e la testa rasata era adorna di una grossa freccia blu. Indossava un abito simile, sia nell'aspetto che nel colore, alle tonache dei Samana (i monaci buddisti, per intenderci). Le braccia, né forti né deboli, erano adorne del medesimo tatuaggio blu chiaro di cui godeva il capo.

Quando i due arrivarono a pochi passi da noi, il ragazzo si fece serio e, poggiando il pugno sul palmo della mano aperto, si presentò con un inchino: -Sono l'Avatar Aang, piacere di conoscervi.-

Mi sentivo come un bambino cui gli è appena stato regalato il giocattolo più bello e vistoso del quartiere; tentando di non essere colto da un infarto, tesi la mano per farmela stringere e il ragazzo, preso alla sprovvista, fece scattare la mano avanti e mi diede due pacche: prima palmo e palmo, e poi dorso e dorso. -Non credevo fossi un abitante dell'isola dei Rinoceronti-Scoiattolo! Solitamente i locali hanno la pelle molto più scura e la faccia corrucciata!- Esclamò ridendo.

Iroh scrosciò nella sua caratteristica risata: -No Aang, no!- Esclamò, quasi in lacrime. -Lui non è del nostro mondo!-

-Ah no?- Esclamò Aang, incredulo -Eppure non dai l'idea di essere uno spirito- e, a quella parola, si inchinò anche a Beor, che accennò un inchino col capo e borbottò una fugace presentazione.

-No, no!- Rise di nuovo il vecchio saggio: -È un umano! Ma non appartiene ai nostri mondi!- Aang rimase perplesso dalla risposta, e un fiotto di curiosità iniziò ad inondargli le membra.

-Iroh- Intervenne lo spirito. -Ho bisogno di parlarti, e subito.-

Iroh, stranito da tanta serietà, si fece a sua volta serio e acconsentì. Mentre guardavo curioso i due uomini incamminarsi verso il margine della radura, sentii gli occhi di Aang puntati addosso, bramoso di saperne di più.

-Quindi come hai fatto a raggiungere questo mondo?- Chiese, educato.

-La prima volta mi è successo mentre sognavo, poi, concentrandomi, ho imparato a venire qui la notte: questa sarebbe la terza volta!-

-Quindi raggiungi il mondo degli spiriti con la meditazione! Un po' come facciamo noi del nostro mondo! Forse... Forse il tuo mondo è soltanto parallelo al nostro... Ed entrambi hanno in comune l'accesso al mondo degli spiriti!- Esclamò Aang, estasiato.

-Può darsi- Risposi -Il punto è che nel mio mondo si sa molto del vostro... E di te! Mentre voi non sapete nulla del mio... Credo... È strano!-

-Cosa sapete su di noi, e... su di me?-

-Conosciamo praticamente tutta la tua storia, dalla guerra, a Roku e a Yu Dao-.

-Quiindi- Cantilenò il giovane Avatar, pensieroso -Siete aggiornati in tempo reale, più o meno, voglio dire, con Yu Dao ci stiamo ancora lavorando!-

Annuii d'impulso ma poi, abbastanza restio ad enunciarmi, smentii: -No, non è vero... Sappiamo molto di più, sappiamo anche della tua storia futura! E addirittura della storia della tua successrice!-

Aang si stupì da quelle parole, e il suo volto mutò in uno stato di ulteriore curiosità, ma anche di timore: -Credo... Credo che tu non debba dirmi oltre, potrebbe causare un bel casino- Rise -E poi chissà che strano essere donna!- Scrollò il capo, come per costringersi a non pensare al suo futuro. -E quindi i nostri mondi non sono paralleli anche temporalmente, oppure sì ma c'è una specie di ritardo... Magari causato dal mondo degli spiriti!- Scrollai le spalle, poco convinto.

-E non è tutto- Iniziai io: -Quando vengo qui, il mio corpo è come se fosse in due posti contemporaneamente: rimane al suo posto nel mio mondo, ed è anche qui! Vedi:- Gli dissi mostrandogli la cicatrice sotto la spalla, lo sguardo di Aang brillò di commiserazione -Questa me la sono fatta qui, e nel mio mondo il mio corpo aveva la stessa lacerazione!-

-Beh questo- Incalzò Aang -Non è strano, anzi, è regolare. Nel mondo degli spiriti accede solo l'anima delle persone, ma se essa dovesse subire degli infortuni, il nostro cervello li riprodurrebbe anche sul nostro corpo. E da queste parole ipotizzo che il tempo che trascorri qui è lo stesso che trascorre il tuo corpo nel tuo mondo senza di te.

-Più o meno sì, il problema però è che quando sono nel mio mondo, qui il tempo è come se si bloccasse. E ricomincia quando torno! Anche Iroh e Beor ne sono testimoni.-

-Wow...- mugulò Aang -È molto più complicato del previsto!- Annuii.


-Ivan, Aang- Ci chiamò Iroh: -Volevo parlarvi assieme di qualcosa di importante; ma ora la faccenda si è complicata...-

-Ivan- Incalzò Beor -Non sei il primo, come già accennato, a compiere simile viaggio: diversi millenni fa, quando ancora Raava non era legata a te- Disse indicando Aang che, pur non avendo mai sentito parlare di questa Raava, sapeva benissimo chi era -, un ragazzo arrivò qui e fece delle cose... Cose di cui nemmeno io riesco a ricordare! Questo ragazzo... Era un ponte; un ponte tra diverse dimensioni.-

-Un Avatar!- Intervenne Aang. -Solo sotto alcuni punti di vista, ma sì. Questo... Avatar dimensionale mi prese qualcosa... E ho intenzione di riprendermela. Inoltre, questione molto più urgente ed importante, il tuo mondo, Ivan, ha bisogno di aiuto, tu, hai bisogno d'aiuto.- Lo guardai, silenzioso -Ed è ora compito dell'Avatar fare una scelta: aiutare o non aiutare questo mondo, ormai legato ai nostri?-

Aang mi guardò, scosso. -Il tuo mondo è in guerra?-

-Sì- Risposi -Ed io stesso sono un prigioniero del Regime che sta colonizzando il globo.- Aang ne rimase sconvolto sconvolto.

-Anche se volessi... Come potrei aiutarlo?- Esclamò, rivolto a Beor.

-Quel ragazzo...- Iniziò lo spirito -Quel ragazzo poteva creare delle porte; porte tramite le quali poteva passare gente; porte tra le dimensioni!-

-Ma... Anche se fosse vero...- Protestai -E anche se io e quel ragazzo avessimo davvero qualcosa in comune... Come posso imparare a fare cose del genere?-

-Meditando- Fu la risposta sovrappensiero di Iroh.

-E - Intervenne Beor -Con me.- Io e Aang lo guardammo con aria perplessa. -Giovane Avatar, con il tuo consenso io violerò uno dei limiti da te concessi a noi spiriti- Aang lo guardò spaventato. -Io ti chiedo, di farmi unire a questo ragazzo.- Enunciò con aria solenne, come se avesse dovuto compiere uno sforzo immane per pronunciare tali parole.



Rivelatosi il capitolo mooolto più lungo di quanto pianificato ho deciso di spezzarlo in due, spostando così l'uscita della conclusione della prima saga a quando finirò di lavorare al brano. Vi invito a commentare, criticare e domandare così per farmi fare un'idea se quello che scrivo piace o sta venendo una cagata epocale.


P.S. Ho aggiunto un paragrafetto al terzo capitolo, che aiuta a far comprendere meglio la time line della storia, che effettivamente risultava ambigua.

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3172849