ZUBEY di R_Iccio (/viewuser.php?uid=858649)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAMBIAMENTI ***
Capitolo 2: *** L'ISTITUTO ***
Capitolo 3: *** PRIGIONIA ***
Capitolo 4: *** IL SOGNO ***
Capitolo 5: *** LA RADURA ***
Capitolo 1 *** CAMBIAMENTI ***
Negli ultimi due anni dalla conferma del “Regime” gli attentati terroristici crebbero esponenzialmente sfuggendo al controllo dei vari governi, causando crisi e tensioni sociali non indifferenti. Diversi stati, corrotti dall'anarchia, finirono per scomparire, per poi essere sottomessi da un'organizzazione, di cui nessuno sapeva nulla... I media dei paesi non ancora in sfacelo accusavano i più grandi movimenti terroristici di queste malefatte, ma essi non erano nient'altro che pedine su una scacchiera molto più grande, di cui anche noi facevamo parte.
Erano passati tre mesi da quando ci era stato comunicato di tornare nelle nostre case e rimanerci in attesa di nuove istruzioni. Venne imposto un coprifuoco e venne annunciato che quella che un tempo era la Repubblica Italiana era stata smantellata e che ora regnava un nuovo regime, di cui non ci venne detto nulla. Uomini armati iniziarono a pattugliare le strade, e coloro colti a infrangere una delle nuove rigide norme venivano puniti tramite violenza, sottrazione di beni o, in estremo, esecuzioni pubbliche. A tutti gli uomini e le donne sopra i vent'anni vennero assegnati nuovi incarichi, a cui non potevano opporsi. Tutti i ragazzi e bambini compresi tra i cinque e i dieci anni furono costretti a frequentare degli istituti di “formazione” per poi diventare cittadini modello plasmati al fine di servire il nuovo regime.
Io, all'epoca sedicenne, dovetti iniziare a frequentare il terzo livello dell'istituto: i bambini dai cinque ai dieci anni venivano istruiti e orientati al fine di essere fedeli uomini del regime, i ragazzi dagli undici ai quindici anni sostenevano un'istruzione più approfondita accompagnata da un primario potenziamento del fisico e da un plagio più accanito, infine i ragazzi dell'ultimo stadio formativo sarebbero dovuti essere plagiati alla perfezione e avrebbero dovuto finire i loro studi e il loro potenziamento muscolare avanzato ma, essendo il regime appena entrato in carica, i ragazzi di quest'ultimo settore venivano indotti all'obbedienza tramite svariate forme di violenza sia fisica sia psicologica.
La sirena suonò, come ogni mattina, alle sei in punto; mi alzai dal letto, mi lavai e indossai la divisa scolastica: niente più che una tuta dai comodi pantaloni beige, una maglietta nera e una felpa anch'essa beige, per le calzature non vi era nessuna indicazione, ma indossai delle scarpe da tennis, malgrado il tempo umido, perché sapevo che ci avrebbero sottoposti a un'innumerevole quantità di esercizi fisici. Salutai i miei e mi recai al centro del paese, dove una navetta a motivo mimetico attendeva tutti i miei compaesani del terzo stadio dell'istituto formativo. Salii senza aprir bocca e mi sedetti accanto a un ragazzo alticcio coi capelli neri che gli sfioravano le spalle e cogli occhi bruni, che scrutavano il vuoto. Gli diedi una pacca sulla spalla per farlo ridestare e abbozzai un mezzo sorriso comprensivo, lui ricambiò il gesto e tornò al suo sguardo vacuo.
L'autista della navetta mise in moto il motore e partì per un breve, interminabile, silenzioso viaggio. Circa venti minuti dopo il mezzo si accostò vicino ad un grande cancello incassato in un grigio muro di cinta, alcuni uomini in divisa mimetica e armati scambiarono due brevi battute con l'autista, che gli mostrò un qualche piccolo documento, e il cancello si aprì, permettendo alla vettura di entrare in quello che era l'esterno dell'istituto di terzo grado. Scendemmo direttamente davanti all'edificio principale, dove altri ragazzi attendevano di mostrare i propri documenti a un altro gruppetto di uomini in divisa. Attendemmo ordinatamente il nostro turno e, dopo essere stati frugalmente identificati e perquisiti, ci recammo ognuno nella propria sezione.
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Capitolo 2 *** L'ISTITUTO ***
L'istituto
sorgeva nella periferia di una cittadella a una decina di minuti di
macchina da Milano, alcuni dicevano che era stato riadattato dalla
carcassa di una vecchia fabbrica, altri insinuavano che era stato
erto in soli quattro giorni, ossia da quando si era confermato il
Regime a quando ci fu ordinato di iniziare i corsi. Ma quest'ultima
teoria non era nient'altro che una sciocca diceria, una fandonia,
probabilmente messa in piedi dai dipendenti stessi dell'istituto,
tanto per schernire gli sciocchi e per esaltare le risorse del
Regime.
Un
possente muro in cemento cingeva l'enorme spazio aperto, a tratti
asfaltato, a tratti sterrato, dove sostavano le navette e dove gli
studenti eseguivano parte delle attività fisiche. L'edificio
principale dell'istituto stesso comprendeva due piani in altezza e
uno interrato, sede, o caserma che dir si voglia, dello staff
dell'istituto, composto da membri onorifici del Regime, da veterani
di guerra o, seppur in mediocre quantità, semplici civili,
incaricati dei compiti più umili. L'ingresso al pian terreno
era
provvisto di metal detector, manovrato da scaltre e crudeli mani,
talvolta persino armate. Il piano proseguiva come un'unica grande
stanza, grigia e spoglia, dove ogni centimetro era ben scrutabile
dalle postazioni all'ingresso, e si chiudeva sulla parete opposta con
una grande rampa di scale che portava all'atrio del primo piano, il
vero primo piano sfruttato dell'edificio. L'atrio consisteva in un
corridoio affusolato adorno da innumerevoli porte a chiusura a
scatto, incastonate in ordine disomogeneo sulle pareti parallele alla
scalinata in cemento nudo, che portavano alle aule.
All'estremità
nord del corridoio, ossia la facciata che dava sull'ingresso, era
posta una grande cella, acquario veniva chiamata, completamente in
vetro, dove coloro che disubbidivano al regolamento venivano puniti e
umiliati sotto i rassegnati occhi degli studenti, o cadetti,
perché
di questo si trattava. Il secondo e ultimo piano comprendeva invece
una grande palestra, con le colate di cemento che davano l'atroce
effetto “a buccia d'arancia” (e dico -atroce-
perché provate
voialtri ad essere scaraventati contro ad una parete che ti graffia
al minimo contatto) e le gigantesche e sudicie ventole d'areazione
che incutevano un misto di timore e pena. Al centro della palestra
c'era quello che sarebbe dovuto essere l'incrocio mal riuscito tra
un tatami e un ring: il risultato non era nient'altro che un tappeto
spesso e gommoso, che veniva chiamato appunto:
“Tappeto”. Il
Tappeto veniva usato per far scontrare i molti rassegnati o
sodomizzati dal regime che ambivano ad un salto di qualità:
infatti
ogni mese il Campione del ring veniva preso e addestrato per un ramo
d'élite dell'esercito, dove si diceva che la paga era
elevata e il
potere guadagnato era anche maggiore. Gli scontri si svolgevano senza
un regolamento preciso: chi voleva provare a diventare Campione
doveva semplicemente salire sul Tappeto, e, se riusciva a rimanerci
senza subire nemmeno una sconfitta fino alla fine del mese, beh, gli
veniva ordinato di prepararsi a partire per l'esercito. Il primo mese
nessuno osò salire sul tappeto, e il secondo mese, verso la
sua metà
circa, un ragazzone, di quelli grossi e stupidi con la testa rasata e
la faccia da fesso, salì sul Tappeto: entro la fine della
giornata
solo un ragazzo muscoloso e tatuato prese l'iniziativa e
salì a
sfidare il tizio rasato, che lo squadrò con occhi vacui e lo
caricò,
senza lasciargli via di fuga. Il ragazzo tatuato colpì il
pesante
rivale su uno zigomo, ma non bastò a fermarlo, e si
ritrovò gambe
all'aria fuori dal ring. Dal primo scontro in molti si fecero avanti,
ma il ragazzone non sembrava intenzionato a cedere facilmente,
collezionando tagli, ferite e lividi su tutto il corpo. L'ultimo
giorno del mese, però, dovette affrontare un ultimo
sfidante: un
ragazzo dai capelli neri e corti col fisico da pugile, ossia esile,
affusolato ed estremamente contratto in fasci di muscoli, e, a dirla
tutta, un mio amico, anche se il tempo ci aveva separati. Comunque
questo qui, che si faceva chiamare Loe, se ben ricordo, salì
sul
tappeto e subì la classica squadrata tonta dell'avversario.
Il
ragazzone rasato caricò, ma Loe scartò a destra e
lo colpì con un
calcio sui crociati, che cedettero con un possente urlo del loro
proprietario, zittito pochi attimi dopo con un destro sulla nuca.
Nessuno osò dire nulla o fare nulla, ma al suono dell'ultima
campanella arrivò il direttore dell'istituto, un armadio a
due ante
con tanto di cicatrici, che, con aria festosa, ruggì
-Benvenuto
nell'esercito, ragazzo! Fai la tua roba, e domani alle sette un
cellulare del Regime verrà a prenderti sotto casa!- e qui
rise, una
risata sincera, possente e gutturale, quella che solo uno della sua
stazza può produrre -E cerca di adattarti al meglio-
continuò,
ancora ridacchiando, e con un gesto della mano congedò
tutti,
docenti, studenti e Campione.
Entrai
in aula, salutai i presenti con un mezzo sorriso e mi sedetti al mio
posto, sospirando davanti al bicchiere da fast food che avevo sul
banco, pieno di chissà quali porcherie per potenziarci il
fisico.
Avvicinai le labbra alla cannuccia e iniziai a succhiare
quell'impiastro amaro e ferroso, denso e viscido allo stesso tempo.
Tommy, che era entrato qualche attimo dopo di me, mi si sedette
accanto e sorseggiò la sua bevanda, sempre senza dire una
parola,
così come la maggior parte dei miei compagni lì
presenti.
Suonò
la campanella e qualche minuto dopo arrivò un docente, un
uomo di
mezza età dal fisico invidiabile, con tanto di barbetta
brizzolata e
cappellino militare.
Ci
alzammo in piedi e lo salutammo all'unisono, intonando il giuramento
al Regime, niente più che cazzate e parole vuote. Con un
cenno di
apatico assenso dell'uomo ci sedemmo e attendemmo che iniziasse la
lezione, qualcosa sull'importanza e la giustizia del Regime e
sull'inutilità e malsanità dei paesi non ancora
sotto il suo
controllo, e a dirla tutta, quella roba stava iniziando davvero a
convincere qualcuno. Finita la lezione ci recammo al secondo piano,
in palestra, dove al centro del Tappeto sedeva un ragazzo dai capelli
a spazzola e la carnagione tipica del Marocco. Il docente incaricato
al nostro potenziamento ci stremò con scatti, piegamenti e
addominali, ma anche con pesi e prove di forza. Un ragazzo della mia
classe, un tizio biondo ben allenato, prese coraggio e salì
sul
Tappeto. Subito la nostra attenzione si concentrò al centro
dello
stanzone, così come quella dell'altro paio di classi con cui
lo
stavamo condividendo. Il ragazzo marocchino si alzò, si
stiracchiò
e salutò l'avversario con un sorriso. I due si scagliarono
l'uno
contro l'altro e il biondino sferrò un paio di affondi, il
marocchino li parò e rispose con un'agilità
impensabile alla sua
stazza: sferrò un calcio alto, a mezz'aria, che
colpì il biondino
in piena faccia, mandandolo KO.
L'ora
successiva attendemmo in aula l'insegnante d'armi, una docente che ci
insegnava il corretto utilizzo di ogni singola arma, nonché
la sua
struttura e il suo assemblaggio. Ma al posto della docente si
presentò un ragazzo, che sarà stato sui
ventitré ventiquattro
anni, in divisa e armato di tutto punto.
-Ehilà bastardelli!- esordì.
Inarcai
un sopracciglio. -La vostra cara insegnante d'armi l'ha combinata, e
adesso non è più qui, ma io sì-
abbassai il sopracciglio,
rassegnato -dove cazzo eravate arrivati? All'artiglieria pesante?
Bene bene... Ah, vedo che qui ce n'è qualcuno in possesso!-
disse
fissando la ragazzina di fronte a sé, una sedicenne
dall'aria
innocente e decisamente prosperosa. Il mio sguardo e quello di Tommy
si incrociarono. -Mi sa proprio che qui ci vuole una bella punizione-
rise il “docente”. La ragazza ebbe un mutamento di
colore
impressionante: dapprima roseo, poi arrossato ed ora sbiancato, dato
che il suo oppressore aveva tirato fuori dalla fibbia un coltello a
scatto, che aprì con un rapido e secco movimento del polso.
Con una
rapidità e una precisione inaudita le tranciò la
spallina della
maglietta bianca sotto la felpa castana, scoprendogli un seno. In
molti ci irrigidimmo, la ragazza iniziò a piangere e si
coprì,
spaventata e umiliata. Il bastardo rifece scattare il coltellino e si
preparò a sfregiarla a causa della mancanza di rispetto. Un
gancio
gli sfiorò i capelli: era Gian, un ragazzo dai capelli neri
e lisci
cui si vociferava avesse una cotta per Sara, la ragazza umiliata. Il
militare, essendo naturalmente addestrato e preparato,
schivò
l'attacco con facilità e rispose piantandogli il coltello
tra la
gola e il mento, l'aria si fece fredda e un rivo di sangue caldo
inondò l'aula. Sul volto serio dell'assassino crebbe
lentamente un
ghigno, poi un pugno, di quelli potenti, gli affondò in
faccia,
facendolo indietreggiare non poco. Davanti al corpo esanime di Gian,
con le nocche sporche di sangue, c'era Tommy, con lo sguardo che
incuteva terrore. Non lo avevo mai visto in quello stato, e non
l'avevo mai visto incazzarsi o menare le mani: più o meno
come me
era una persona pacifica e solare, ma il Regime lo aveva cambiato, lo
aveva reso più determinato, e soprattutto più
forte, non solo
fisicamente ma anche mentalmente. L'assassino saldò la presa
sulla
lama e roteò il polso per colpire, ma in quel momento lo
colpii io,
caricandolo e placcandolo come avevo imparato in anni di rugby,ma
puntando a ferire, non ad atterrare. Il coltello gli scivolò
di mano
e il suo polso cedette nell'impatto tra il suo corpo e il muro. Mezzo
frastornato mi feci da parte e Tommy, irato e assassino, gli
afferrò
il viso con una mano, stringendogli gli zigomi, gli tirò
indietro la
testa e gli fece cozzare violentemente la nuca sul muro, causandogli
come minimo un trauma cranico. Poi, risoluto, sfilò la
pistola dalla
fibbia del corpo inerme e gli sparò un colpo, dritto in
faccia. I
volti di tutti erano pallidi, qualcuno aveva pure vomitato alla vista
del sangue e delle cervella.
-Dobbiamo
andarcene- mi fece Tommy, rendendosi conto solo ora di ciò
che
avevamo appena fatto. Annuii. Sparò al circuito della porta,
che si
socchiuse con un Pff, raccolsi il coltello ed uscimmo in corridoio.
Scendemmo rapidamente le scale e ingaggiamo un rapido scontro a
fuoco: i militari di guardia erano tutt'altro che allertati dai colpi
di prima, pensavano solo a qualche punizione o a qualche esecuzione,
dato che in fin dei conti era già capitato una dozzina di
volte che
qualcuno venisse giustiziato nell'acquario. In ogni caso i militari
erano beati e sghignazzanti quando uno di loro stramazzò a
terra,
flagellato da un paio di colpi. Prima che qualcuno riuscisse ad
armarsi altri due caddero sotto i colpi del mio compagno, che
sembrava sorpreso lui stesso della sua mira da professionista. Mi
avventai su quello più vicino a me, che stava ancora
togliendo la
sicura alla sua arma, e affondai il coltello nel suo ventre,
rabbrividii, un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca e i
suoi
occhi, mentre fissavano i miei, si spensero nel vuoto. Ebbi quasi un
conato di vomito. Non per la solita menata della prima uccisione che,
a dirla tutta, trovai una sensazione quasi piacevole, liberatoria, ma
per il fastidio arrecatomi dal sentire la carne che cede sotto la mia
forza e il sangue che inizia a scorrere. Non ho mai sopportato i
tagli o le ferite profonde in generale, figuratevi provocarle! In
ogni caso ingoiai la bile, lasciai il coltello impiantato nel suo
corpo, dato che sfilarlo mi avrebbe quasi sicuramente distrutto, e
gli strappai la pistola, che aveva ancora salda in mano. L'ultimo
militare del gruppetto ancora in vita mi sparò addosso, ma
mi sfiorò
la spalla, senza ferirmi, e colpì il cadavere del tizio che
avevo
appena ammazzato. Con un urlo di sfogo gli sparai addosso, ma detto
tra noi, non presi neanche la mira. Il militare ghignò e mi
puntò
la sua arma addosso prima che un miscuglio di sangue e cervella gli
schizzò dal cranio. Tommy mi abbozzò un sorriso.
Corremmo verso le
navette, anche se, ora che ci penso, nessuno dei due aveva mai
realmente guidato prima d'ora, ma, poco prima di raggiungere la prima
sentimmo alle nostre spalle una risata, di quelle potenti e gutturali
che solo un armadio a due ante sarebbe stato in grado di emettere, e
poi dei colpi. Mi ritrovai per terra, crivellato, tentando di trovare
con lo sguardo l'unica cosa amica che mi rimaneva, ma anch'essa era
accasciata a terra, in una pozza di sangue e polvere. L'ultima cosa
che sentii prima di chiudere gli occhi provenì da una voce
roca e
profonda -Siete stati bravi, maledettamente bravi!- e poi ancora una
risata...
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Capitolo 3 *** PRIGIONIA ***
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Schiusi
lentamente gli occhi, cercando di adattarmi alla luce fioca
dell'ambiente, e come buongiorno ricevetti una scarica di fitte
atroci che dagli arti risalirono per la schiena fino ad esplodermi in
testa in una marea di colori lampeggianti. Tentai di sedermi
aiutandomi col braccio destro, ma finii per peggiorare la situazione:
vomitai un urlo straziante che mi squarciò i polmoni, per
poi
ricadere lacrimante sul braccio inerme. Passarono alcuni minuti prima
che ritrovai la forza e il coraggio per issarmi di nuovo, stavolta
col braccio sano. Dopo essermi accomodato in una posizione stabile mi
guardai intorno: sedevo su un letto scomodo dalle coperte tanto
ruvide da sembrare pezzi di sacco cuciti assieme, teoria alquanto
verosimile. Accanto a me c'era un altro letto, in condizioni quasi
peggiori del mio e, in mezzo ai due mobili, un cesso che era
più
marrone che bianco a causa del sudiciume. Alzai lo sguardo e scrutai
la camera: era una stanzetta dall'intonaco giallognolo che andava via
via sgretolandosi, la finestra sopra al gabinetto era sprangata, a mo
di carcere, così come la porta in acciaio, che sembrava
fuori
contesto dato il suo colore immacolato e una massiccia
solidità.
Accanto all'altro letto, seduto in un angolo della stanza, c'era
niente meno che Tommy, fasciato come una mummia, e altrettanto cupo.
-O
beh, sempre meglio che schiattare!- scherzai. Ero incredibilmente
felice, sarà stato il fatto che ero vivo, o che lo era anche
lui, lo
stesso lui che mi freddò con un occhiata di rimprovero e
incalzò,
con un cenno del mento: - se c'hai fame, là hai del cibo-
canzonando
l'ultima parola. Un vassoietto con una brocca d'acqua giaceva accanto
alla porta, carico di una piccola scodella colma di quello che intuii
doveva essere la famosa “Sbobba”. Alzandomi dal
letto, movimento
tutt'altro che facile, dato che tutte e due le gambe erano inferme e
fasciate, mi accorsi che accanto al vassoio era rotolata anche una
piccola sfera, delle dimensioni di un pompelmo, dal colore viola
acceso. -Non ci fanno nemmeno la cortesia di posarci decentemente il
mangiare- sbuffò il mio compagno di cella. Raccolsi il
bizzarro
“frutto” e notai che era ruvido e spigoloso, un
fascio di
venature lilla partiva da quello che doveva essere il centro della
sfera per poi diramarsi in migliaia di motivi. In più era
morso: un
grosso morso se ne era portato via una buona porzione, quasi
metà
frutto. -Ah, non guardare me!- Esclamò Tommy -Io quella
merda non
l'ho mangiata e non ho intenzione di farlo, sarà una di
quelle
invenzioni di quei fanatici che ti riempiono di energie e ti
irrigidiscono i muscoli...bah!- Mi rigirai il frutto tra le mani, la
parte morsa aveva un colore roseo, quasi finto, quasi vivo... Mi feci
coraggio e mi ficcai il frutto in bocca, staccai un bel morso e
masticai un qualcosa dalla consistenza ruvida e dura, ma anche
pastosa e friabile, nonché dal sapore indicibilmente
schifoso.
Tentai di sputare, ma non ci riuscii, e, sotto gli occhi divertiti di
Tommy, la mia mano si levò e mi cacciò la parte
rimanente del
frutto in gola. Ingoiai, nolente di farlo, e mi fiondai sulla mia
ciotola di sbobba, che in confronto allo schifo che avevo appena
mangiato era afrodisiaca.
-Te
l'avevo detto ch'io non l'avrei mangiata quella merda!- mi derise
Tommy. Gli tirai un'occhiataccia e tornai alla mia ciotola.
La
porta fece un ronzio da citofono e scattò verso l'esterno.
Un
militare con la divisa nera entrò nella cella. Alzai appena
la testa
dal cuscino. -Benvenuti all'inferno!- Lasciai ricadere la testa,
quasi divertito dalle parole della guardia. -O... Se vi dimostrerete
all'altezza s'intende... Al paradiso!- Tommy inarcò un
sopracciglio,
divertito a sua volta. -Ma... Beh ufficialmente... Benvenuti alla
prigione di addestramento speciale per detenuti speciali!- Tommy
scoppiò a ridere:-Beh, se noi siamo considerati
“detenuti
speciali”... Eh già, il caro Regime è
messo proprio male!- Il
militare scoppiò a ridere a sua volta:-Il punto è
che di detenuti
speciali ne arrivano a bizzeffe, e il nostro compito è
quello di
sfoltirli, per selezionarne solo pochi... Vedi, i piani alti esigono
solo cinque detenuti per mese, e quindi di tutti gli altri... Oh beh,
è facile da immaginare, no?- Il nostro visitatore ci
sputò nella
brocca d'acqua accanto all'ingresso -In ogni caso, alzate i culi e
seguitemi, vedremo se vi meritate il tanto deriso titolo di Detenuto
Speciale.- Entrambi ci alzammo a fatica e seguimmo il miliare per un
corridoio ammuffito pieno delle familiari porte luccicanti, scendemmo
una scala dello stesso colore delle pareti (soffro ancora al
pensiero), e uscimmo in quello che doveva essere un cortile. L'intero
complesso non era nient'altro che una grande e vecchia cascina,
riadattata allo scopo di prigione: intorno al complesso era
instaurato un alto muro di cinta e in mezzo al cortile c'era una
forca rudimentale sostenuta da un tasso secolare. Alla destra del
tasso un battaglione di uomini e donne vestiti di cenci attendeva
senza un briciolo di compostezza ciò di cui le guardie
avevano da
dire, io e Tommy ci unimmo a loro, e il militare che ci scortava si
schierò accanto ai suoi compagni di fronte a noi. Un altro
militare,
non eccessivamente alto e non eccessivamente pompato, prese parola:-
Bando ai convenevoli. Le nuove reclute vadano a destra dell'albero
per il test iniziale.- Io e un'altra mezza dozzina di persone ci
scostammo e il militare continuò:-Vediamo di testare per
bene le
vostre capacità, proviamo con della velocità. Si
parte da questo
palo e toccate quello lì- e indicò un secondo
traliccio nel cortile
-e si torna indietro. Tu! .- Un uomo dai capelli grigi e i basettoni
si trascinò fino al primo traliccio: aveva entrambe le gambe
fasciate e zoppicava vistosamente dalla destra. -Via- gridò
una
guardia con il cronometro in mano. L'uomo corse al massimo delle sue
possibilità, raggiunse il secondo traliccio e
tornò indietro,
gemendo a ogni passo. -24 secondi e 71 per soli ottanta metri- -Un
po' fiacco- gli rispose l'uomo che aveva preso parola all'inizio, che
aveva l'aria di essere un superiore o qualcosa del genere. Estrasse
la pistola dalla cintura e sparò al poveruomo che
stramazzò nel
terriccio sporco di sangue. Un'aria gelida d'odio e terrore si
levò
tra noi detenuti. -Tu!- gridò l'uomo indicando una ragazza,
snella e
atletica, con la spalla inferma. -Vediamo se te la cavi con una prova
di forza:-Fammi dieci sollevamenti su quel ramo- Il bastardo ci stava
proponendo delle sfide mirate alle nostre debolezze ma, al contrario
dell'aspettativa generale, la ragazza sorrise, fece un gesto di
scherno con la testa, e si aggrappò al ramo col braccio
buono. Fece
il doppio dei sollevamenti richiestogli senza mostrare il minimo
sforzo, balzò giù dal ramo e abbozzò
un inchino. La guardai
ammirato. -Bene, tu e tu!- Disse indicando me e il tizio accanto a
me. -Voglio che rimanga uno solo di voi- Capii che doveva aver
confuso l'altro tizio con Tommy, per mia fortuna. Mi girai verso il
mio avversario: un ragazzo dalle braccia possenti e lo sguardo
cattivo, si mise in guardia. Io lo adocchiai, rassegnato, e mi misi
in guardia a mia volta. Il mio nemico avanzò, rapido e
preciso, e mi
penetrò la guardia con uno jab. Scattai all'indietro
tentando di
riprendermi. Lui rimase al suo posto. Mi feci coraggio e corsi in
avanti per braccarlo alla cintola, tentò di colpirmi con una
ginocchiata, ma sapevo bene come reagire e lo scaraventai addosso al
tasso. Si rialzò quasi subito e si rimise in guardia, feci
lo
stesso. -Tu e tu- fece seccato il primario -Entrate nel
combattimento, voglio due vincitori- Tommy balzò al mio
fianco,
noncurante delle ferite, e un tizio dagli scatti nervosi e i capelli
unti si affiancò al boxer. Ci scambiammo un sorriso
complice. Il
ragazzo dai capelli unti scattò in avanti oscillando le
braccia e
sfiorò Tommy, immergendo la mano nei suoi capelli.
Prontamente gli
sferrai un cazzotto alla Bud Spencer in testa, il poveretto si
accasciò sputando sangue. Intanto Tommy si
concentrò sul pugile,
che sferrò due destri sfondando la guardia del mio compagno.
Mi
affiancai a lui. Sapevamo che frontalmente non avevamo speranze,
così
scartammo entrambi verso il tasso. Io rimasi a fronteggiare il nostro
avversario, mentre Tommy aggirava l'albero. Incassai un paio di
colpi, per posizionare il boxer poco più avanti al ramo
della forca.
Tommy afferrò al volo l'iniziativa, scalò veloce
il tronco e si
aggrappò al cappio, per poi cingere con le gambe il collo
del
pugile, incredibilmente colto alla sprovvista. Senza dargli il tempo
di reagire lo colpii ripetutamente al ventre, stordendolo. Tommy ne
approfittò per lasciarsi cadere e colpirlo violentemente
dietro la
nuca, mandandolo KO. -Abbiamo i vincitori- Riprese apatico il
bastardo graduato. A un suo lieve cenno un militare impedì
ai nostri
due sfidanti di rialzarsi, sparandogli in testa. Ci avviammo
impassibili verso il gruppetto di detenuti, la ragazza dei
sollevamenti ci sorrise, complice e compassionevole.
L'ultimo
detenuto nuovo arrivato dovette sostenere una prova di resistenza,
era gracile e ossuto, e gli venne incaricato di percorrere 100 giri
del cortile in 10 minuti, impresa visibilmente ardua, se non
impossibile. Quando la guardia col cronometro gridò lo
scadere del
nono minuto il detenuto, visibilmente nervoso, passò accanto
a una
giovane guardia e gli sfilò la pistola. Poco meno di un
secondo dopo
la guardia e il detenuto avevano le proprie cervella mischiate
assieme. La sicura dell'arma rubata era ancora innescata. Voltai lo
sguardo, e lo concentrai sulla guardia colpevole dell'omicidio. Aveva
un qualcosa di familiare, anzi, porca troia, lo conoscevo!
Altroché,
era Loe, il tizio vincitore all'Istituto. Lo guardai inorridito: in
un mese lo avevano imbastardito proprio bene! -E qui si vede la
differenza tra un novellino viziato e un novellino con le palle-
Ridacchiò un uomo in divisa.
Il
pomeriggio continuò con un allenamento standard, seppur
intensificato, e non successe nulla di interessante, se non un paio
di tizi freddati a causa di mancamenti di forze.
I
giorni iniziarono a scorrere, seppur lentamente, e imparai a bagnarmi
le mani di sangue, bene o male lo imparammo tutti. Eravamo costretti
a ucciderci l'un l'altro, o a imparare tecniche di tortura dove i
nostri stessi compagni erano le cavie. Le donne venivano puntualmente
abusate, anzi, violentate, che rende più l'idea...
L'ottavo
giorno di permanenza, nel cuore della notte, ci venne spalancata la
porta e dopo pochi attimi ci venne richiusa con l'ormai familiare
clangore. Sia io che Tommy, svegliati di soprassalto, tentammo di
mettere a fuoco la stanza per capire cosa diavolo era successo, e
nella penombra riuscimmo a scorgere una figura... Un fantasma? Cazzo,
questa no! Ci mancavano solo le guardie in astinenza da Halloween!
Poco dopo la coperta cadde dall'ente sotto di essa rivelando una
figura... femminile? Hanno deciso di premiarci a troie, o hanno
intenzione di farci abusare sessualmente dalle guardie femmina? Tommy
si innalzò sul letto e tirò la catenina che
accendeva l'unica
lampadina: la donna, anzi ragazza, dato che non superava i
venticinque anni, era alta e ben proporzionata, coi fianchi tonici e
i seni prosperosi, una folta chioma di capelli castani era raccolta
in una lunga coda, che le sfiorava i glutei. La ragazza era vestita
di stracci, bene o male come noi, e stringeva tra le dita
l'estremità
di una vecchi coperta, la carnagione era caramellata, ben abbronzata.
Sotto l'occhio sinistro, di un verde scuro comune (come i miei, del
resto) si intravvedeva un'ammaccatura, fresca, dato il colore
rossoviola. -Kenny- Mormorò lei, presentandosi. Era la
ragazza del
primo giorno, quella dei sollevamenti, e indubbiamente una dei
detenuti migliori, se non la migliore... -Tommy- mormorò lo
stesso,
perplesso. -Ivan- mormorai io... -Che diavolo è suc- Kenny
mi
interruppe prontamente -Hanno tentato di possedermi, ma ovviamente mi
sono opposta, e non sono riusciti ad immobilizzarmi. Il gran mogol o
quel che è ha fermato i suoi uomini, affermando che sono un
ottimo
elemento, e dato che i suoi uomini non ne sono stati molto contenti,
e anche perché la mia cella è ormai zuppa di
sangue,- ridacchiò-
mi ha assegnato a dormire con voi.- -L'ultima parte non sta troppo in
piedi- criticò Tommy. -Vengo a stare qui perché
dovete proteggermi
se quei coglioni col cazzo duro tentano di venire ad ammazzarmi: al
gran bastardo non frega nulla che mi violentino o meno, vuole solo
prevenire che la situazione non gli sfugga di mano.- Io e Tommy ci
scambiammo uno sguardo compassionevole. -Benvenuta-
Bofonchiò lui.
Lei ci sorrise e noi ricambiammo il gesto, sinceri...
La
mattina dopo mi svegliai poco prima della chiama, teso e sudato:
forse mi ero appena risvegliato da un incubo di cui non ricordavo
nulla, ma la sensazione era molto più intensa,
più malata. Mi alzai
dal letto con uno sbadiglio mal soffocato e stropicciando gli occhi
scrutai l'alba dalle inferiate, mi stiracchiai e mi misi a pisciare
nella tazza. -'Giorno- Dal letto di Tommy si levò una voce
femminile, poi dei mugolii e il fruscio delle coperte. Sobbalzai,
perdendo il controllo del getto per qualche attimo. -Dormito bene?-
incalzai, non era il massimo parlare con una ragazza appena
conosciuta mentre le si piscia a poche spanne dalla faccia, ma il
silenzio sarebbe stato ancora più imbarazzante, o
disgustoso,
dipende dai punti di vista. -Mhh, sì, dai. Si sta stretti in
due ma
per lo meno non scalcia.- Ridacchiò lei. Mi sistemai i
pantaloni e
le sorrisi. Un braccio le gravò addosso, e con una rapida
gomitata
la ragazza svegliò il compagno, visibilmente irritato dal
gesto.
La
giornata trascorse lenta: la maggior parte delle guardie maschio
guardava storto me e Tommy, e gli insulti fioccarono anche da alcuni
detenuti. Il primario della prigione, contrariamente a ciò
che
immaginavamo, trattava noi tre come se gli dovessimo un favore, e ci
metteva continuamente alla prova con sfide al limite
dell'impossibile.
I
giorni ripresero a scorrere, sempre più lenti, dolorosi, e
malsani.
Ogni pretesto era buono per affibbiarci il compito più
nauseante o
la prova più ardua, e ben presto i nostri corpi e le nostre
menti si
adattarono all'ambiente: ogni ferita, ogni assassinio e ogni tortura
ci faceva crescere, ci rendeva più forti.
Imparammo
a gestire il gioco, sapevamo qual'era la soglia d'insolenza concessa,
e sapevamo come garantirci la protezione del supervisore: ogni cranio
sfondato o arto smembrato era per lui una conferma della nostra forza,
e dunque del nostro effettivo valore.
Settimana
dopo settimana ci ritrovammo tutto il penitenziario contro: i
detenuti ci vedevano come “cani che fanno il loro
gioco”, e i
militari ci reputavano come minacce o come “cocchi”
del priore,
tant'è che una notte...
La
porta si socchiuse, e, più silenziosa possibile, una figura
si
intrufolò nella stanza; mi rigirai nel sonno, noncurante. La
figura
sgattaiolò accanto al mio giaciglio, e sfilò
dalla fibbia un grosso
machete, affilato e perfettamente curato. Nel sonno sentii del freddo
sulla guancia, poi una lieve fitta di dolore... Mi svegliai e sopra
di me vidi la sagoma di un uomo, grosso, barbuto, che stava tentando
di sfigurarmi il volto! Nel giro di qualche attimo Kenny, a quanto
pare col sonno leggero, scattò in piedi, colpì
l'uomo rompendogli
il naso, e gli sfilò l'arma di mano, rompendogli il polso,
per poi
piantargliela nel cranio. Carica d'ira spinse il cadavere fuori dalla
porta e la fece scattare, chiudendosi dentro con noi. -G-Grazie-
Balbettai -Dovreste essere voi a difendere me, non il contrario...-
Un mugolio assonnato si levò nella stanza -Mmmmh, che cazzo
è
successo?-
Il
giorno dopo, ogni singolo detenuto della prigione ci scrutava con
rispetto, e ogni singolo carceriere con odio e terrore. La voce si
era sparsa davvero in fretta! Le sfide del primario si fecero
più
intense, ma ormai non temevamo nulla: ci eravamo rimessi
completamente, e ci stavamo pompando in maniera spropositata; avevamo
già scampato di essere reclutati per due mesi di fila, ma
ormai era
inevitabile, non c'era detenuto che riuscisse a tenerci testa, e io
temevo cosa saremmo stati costretti a diventare.
Quella
notte non riuscii a fare a meno di pensare a ciò che avevo
scampato;
continuavo a pensarmi senza un volto, sanguinante, sfigurato... E
così i miei sogni non trovarono che quell'indizio per
evolversi: mi
trovavo in un luogo buio, polveroso, dei raggi di sole filtravano
velati da delle crepe sul soffitto della caverna, sì, era
una
caverna... Ma era molto più ampia di una caverna normale,
quasi una
grotta, se davvero v'è una differenza lessicale,
s'intende... A dire
il vero non era neanche così buio: riuscivo a vedere bene,
era la
polvere che non mi permetteva una visione nitida dell'ambiente.
Qualcosa mi frusciò alle spalle, un suono pacato e fluido,
ma
schifosamente schioccante e viscido allo stesso tempo. Mi girai di
scatto, nulla. Il suono sinistro si fece risentire, stavolta
più
vicino, ne ero sicuro. Feci finta di non accorgermene, e girandomi di
scatto al momento giusto colsi l'autore dei suoni in flagrante, il
quale si dileguò velocemente: era qualcosa di grosso, grosso
e
veloce e... lungo e che camminava sulle pareti rocciose e che si
contorceva e che schioccava le fauci... No. Che schioccava le
chele... Ma... Una scimmia? Che c'entra? La bestia aveva il volto di
una scimmia, di un babbuino, credo, e... No... Ora un volto di una
donna mi fissava, preoccupato, intenso, i capelli castani che
svolazzavano come per una brezza montana... Ma non c'era vento
lì...
Era davvero bella e... Baffi? Adesso ha dei baffi? Ora la bestia
indossava il volto di un uomo, cinese date le caratteristiche del
viso rugoso... Il mostro scomparve. Sentii del frescore dietro la
schiena, mi voltai e... -OMMERDA!!!- A una spanna dal mio naso, anzi,
di meno, una maschera candida dalle labbra rosse e carnose mi porse
un sorriso gentile. Alla mia reazione sorrise ancora di più.
Una
voce calma, pacata e tranquillizzante si levò nella
grotta:-Io sono
Koh, lo spirito dai mille volti, e ora, io mi impossesserò
del tuo.-
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Capitolo 4 *** IL SOGNO ***
-Io
sono Koh, lo spirito dai mille volti, e ora, io mi
impossesserò del
tuo.-
Raggelai
dal panico, che razza di situazione! Il mostro, ora privo di ogni
aspetto, mi si avventò addosso, tentando di aggrapparmisi
alla
faccia. Scartai di lato, rapido, e mi concentrai per trovare una via
di fuga, noncurante della profonda ferita che uno dei suoi ripugnanti
artigli mi aveva inferto al braccio destro, detto fra noi, me ne
accorsi a malapena. Più o meno alle mie spalle, celata dalla
penombra e dalla polvere, si ergeva una scalinata di scarsa pendenza,
con gradini bassi e larghi scolpiti nella nuda roccia. Mi ci fiondai,
veloce, e falcai gli scalini al massimo delle mie
possibilità.
La
bestia mi inseguiva sibilante d'ira e ostacolata dai pochi appigli
che gli offriva quella via... ma era pur sempre più veloce
di me! La
salita finì, e mi ritrovai all'esterno del rifugio dello
spirito:
l'atmosfera era crepuscolare, e l'area appariva desertica e rocciosa.
In lontananza si scorgeva una foresta, fitta e tetra, accompagnata da
malsane pozze d'acqua, almeno così a occhio. Superai
imperterrito
una scimmia, che spaventata dal nostro fremente inseguimento
gridò,
lo spirito deviò di scatto e si abbatté sulla
bestia per divorarne
il volto. Guadagnai terreno. Mi fiondai nella foresta, immergendo le
caviglie nelle acque paludose, che al tatto parevano fresche e pure,
e continuai la mia incessante fuga. Lo spirito continuava a seguirmi:
si avvicinava e poi si allontanava, saliva su di un albero, mi
superava, sbucava giù da un ramo con una faccia spaventosa,
e si
lasciava superare, godendo delle mie reazioni. Corsi e corsi, forse
per intere ore, fino a che la selva si tramutò in un bosco,
verde e
puro, con ruscelli cristallini e funghi colorati. Mi addentrai in una
piccola radura, la attraversai, e nel mezzo di essa lo spirito si
decise a finire il suo gioco. Mi circondò, girandomi attorno
col suo
corpo rivoltante, senza lasciarmi via di fuga. Continuava a fissarmi,
con le sembianze della maschera bianca, attendendo la mia espressione
più folle e disperata, più malata. Rivoli di
sudore gelato
iniziarono a solcarmi il viso, la lucidità iniziò
a venirmi meno,
gli spasmi presero il sopravvento del mio corpo.
Tentai
di gridare, niente.
Il
corpo dell'insetto gigante scattò in avanti, senza volto,
mirando al
mio.
-KOH!!-
Gridò una voce, potente e ferma. Il mostrò si
irrigidì, a pochi
pollici dal mio sudore, e si voltò lentamente, calmo. -Cosa
vuoi,
vecchio?- Cominciò il mostro, con una voce incredibilmente
tranquilla e pacata. Un uomo panciuto e ben piazzato ergeva a una
decina di metri da noi. Aveva una lunga barba bianca e folti capelli
canuti, racchiusi con una spilla d'oro a forma di fiamma. Vestiva con
una tunica nera, coi bordi ricamati in rosso, e calzava delle scarpe
rosse a punta, tipo quelle medio orientali. -KOH!! VERGOGNA DEGLI
SPIRITI, ALLONTANATI DAL RAGAZZO!!- Pronunciò la frase
carico d'ira,
ma il suo volto rimase impassibile. -Non lascerò che un
vecchio
pazzo mi privi del mio divertimento- Rispose lo spirito, e si
voltò
nuovamente verso di me, schioccando le chele.
Un'enorme
zampata colpì il mostro al suo vertice anteriore (quello
rivolto
verso di me, per intenderci) facendolo rovinosamente schiantare a
qualche metro di distanza. Un possente orso, muscoloso, e di
dimensioni esagerate simili a quelle di un camion, si
avventò sul
mio nemico gravando su di lui con le forti zampe. Un orribile grido
si levò nella radura, e il mostruoso millepiedi
strisciò via,
ferito.
Guardai
ammirato l'orso: scuro e sproporzionato, magro e compatto. Si
voltò
verso di me, ricominciai a sudare freddo. Nel giro di pochi istanti
la possente bestia si tramutò in un altro vecchio, panciuto
e ben
piazzato a sua volta. Vestiva una tunica bianca, ornata di colori
dorati, e teneva le braccia nella tipica posizione da saggio asiatico
con le maniche larghe e lunghe. Dei lunghi capelli bruni gli
scendevano lungo le spalle, e la barba folta gli sfiorava le braccia.
Dalla testa gli spuntavano, quasi fosse un gadget nipponico, due
orecchie da orso, rotonde e pelose. Sotto le esageratamente folte
sopracciglia, due piccoli occhi neri mi scrutavano, curiosi. Il naso
del vecchio era schiacciato e gradualmente scuro, simile a quello di
un orso, per l'appunto. Da sotto le braccia, poco più
giù dei
pettorali, si intravvedeva un motivo circolare ricamato nella veste.
I due uomini mi si avvicinarono, e, pur facendo fatica a tener a
freno la loro sete di curiosità, mi accennarono un inchino e
mi
invitarono a seguirli. Dopo pochi minuti di cammino arrivammo ad una
casetta di legno, ai margini di un'altra radura. Mi fecero accomodare
su una seggiola nel porticato e attesi che il vecchio vestito in nero
mi servì del thè da uno squisito profumo.
Accennai un sorriso e
presi la tazza fumante tra le mani, appoggiai le labbra all'orlo,
incerto, e sorseggiai, temendo di scottarmi. Un'ondata di delizioso
thè mi scaldò le membra, non ne avevo mai
assaggiato di così
buono. Pareva quasi un alimento a me sconosciuto. -È
delizioso!-
Esclamai ai miei due ospiti, che nel frattempo si erano accomodati di
fronte a me, sorseggiando a loro volta del buon thè. Notai
che sul
tavolino vi era incisa una scacchiera, complicata e intricata. Il
vecchio che aveva preparato la nettarina bevanda mi sorrise -Grazie
per il complimento, giovane... umano?- -Ehmm, sì.- Risposi,
scosso
dalla domanda particolare. -Grazie a voi per avermi salvato da
quel... coso.- Continuai. -Oh, nessun problema- Iniziò il
tizio
orso, con una voce incredibilmente gutturale e roca. -Non deve
permettersi di vagare nelle terre che non gli appartengono.-
Continuò
-E comunque è uno spirito, SPIRITO- Scandì.
-Spirito?- Chiesi io
-Ma scusatemi, dove siamo?- Continuai sconvolto. -Siamo nel mondo
degli spiriti... Ovviamente. Lui stesso è uno spirito- Mi
rispose
l'uomo del thè, accennando al suo compagno. -Piacere,
ragazzo umano!
Io sono Beor!- Squillò lo spirito. -Lo spirito della
pazienza...
anche se ormai ho imparato a domare simile virtù- Lo
scrutai,
perplesso. -P-Piacere... Io sono Ivan, detenuto del Regime...-
Conclusi, quasi ironico. -Io sono Iroh, consigliere del signore del
fuoco e... umano, come te.- Alcuni brandelli di memoria iniziarono ad
affiorarmi nella testa- Ma cos'è questo
“Regime” di cui parli?-
-È una specie di potenza mondiale, che sta conquistando il
mondo...
riassunta in breve... Ma... Siamo in un sogno, vero?- Iroh,
ridacchiò
-Oh, la prima volta io sono finito qua bene o male sognando!- E
scrosciò in una sonora risata. -Quindi... Mi pare di capire-
Continuò, serio -Che non provieni dai nostri mondi- Un
luccichio si
accese negli occhi di Beor. -Mmmh, direi di no...- finalmente
collegai, Iroh, signore del fuoco, spiriti, mondo degli spiriti,
addirittura lo spirito che fregava la faccia alla gente! Faceva tutto
parte di un universo virtuale, inventato. Sono sempre stato
appassionato di queste cose, e ora che ci penso, il modo degli
Avatar, era uno di quelli che mi affascinava di più!
Naturalmente,
con l'ascesa del regime, computer internet e diavolerie varie vennero
considerati semplicemente illegali, e ci vennero sequestrati. Coloro
che venivano poi scoperti con, che ne so io, un vecchio telefono, o
una calcolatrice scientifica, magari dimenticati in un cassetto o in
soffitta, venivano pestati, e, a seconda della gravità,
anche
mutilati o trucidati. E poi comunque con l'ascesa di una dittatura,
amici uccisi, famiglia divisa, rinchiuso, maltrattato e costretto a
lottare per la sopravvivenza... Cioè, non è che
proprio pensi tutti
i giorni ad un maledetto cartone animato, no?
-...Ma
voi non esistete! Cioè, voglio dire... Siete frutto della
fantasia
del mio mondo!- Esclamai, scioccato. Era successo uno di quei
classici trip: sogni, ti rendi conto che stai sognando e poi dici,
“ma no, questo è reale, non è un
sogno”, e poi ti svegli... In
poche parole alla fine apri gli occhi e rimani dieci minuti buoni a
pensare cosa cazzo era successo. Iroh mi scrutò interessato
-Questione interessante, eppure noi esistiamo.- -In che anno siamo se
posso chiedere?- -Siamo nel 105 dopo la caduta dei nomadi dell'aria.
Cinque anni dalla fine della guerra dei cent'anni, se sai di cosa si
tratta, ovviamente- Rispose lui. -Sì, sì ho
presente... Ma perchè
tu sei già qui, cioè, non dovresti essere ancora
nella Nazione del
Fuoco? Voglio dire... Sei relativamente giovane!- Il vecchio saggio
scrosciò in una nuova risata -Si! Si! Non è
ancora arrivato il
momento di andarmene!- Rise di nuovo -Sono qui in vacanza! Ormai sono
totalmente in pace con me stesso e col mondo! Ho persino indetto la
giornata nazionale del thé!- E rise ancora, una lacrimuccia
gli rigò
una guancia. -Già, ricordavo qualcosa del genere...-
Mormorai.
-Ragazzo- irruppe Beor -Ma sai proprio tutto! Voglio dire... Ogni
singolo dettaglio!- Esitai, imbarazzato – No,
cioè... Conosco bene
tutta la vicenda di Aang, Zuko e gli altri, ma per esempio a te non
ti conoscevo...- Beor ruggì, irritato, e Iroh riprese a
ridere.
-Sai...- Continuò lo spirito della pazienza (anche se non
dimostrava
affatto simile virtù) -...È già
successo un simile fatto in
passato. Molti, molti millenni fa. Un uomo, un ragazzo più
che
altro, che diceva di venire da un'altra dimensione... Ma nulla del
genere! Dai pochi frammenti che mi ricordo, quello non sapeva nulla
del nostro mondo!- Iroh ritornò serio, mi guardò
negli occhi e si
schiarì la voce -Ragazzo mio, ora, parliamo di cose serie...-
Aprii
gli occhi, ero nella mia solita, marcia, puzzolente, cella
giallognola. Pensai a ciò che avevo passato, sognato, per
l'esattezza. Tutto era molto confuso, ma a poco a poco riuscii a
mettere assieme tutti i frammenti, e iniziai a ricordare tutto. Era
stato un bel sogno, per lo meno.
Una
figura mi sovrastava, aveva l'aria agitata... Kenny? Perchè
nel mio
letto...? Ah già, ieri Tommy si era procurato un sacco di
lividi al
campo, così, per farlo dormire comodo, la ragazza si era
trasferita
da me per una notte. In fondo io ero più grosso del mio
amico, molto
più piazzato, per questo la scelta di dormire con me era un
azzardo... A malapena ci stavo da solo in quel vecchio mobile! Ma..
Kenny era... Sporca di sangue?! Cioè, non che distribuissero
assorbenti lì in carcere, ma mi pare che se sei sporca di
sangue su
collo, seni e ventre c'è qualcosa che non va... Che diavolo
era
successo dunque? Balzai seduto, piazzandomi col viso a mezza spanna
dal suo: convivevamo da due mesi in un buco, non ci facevamo certo
problemi di questo genere... Lei continuò a fissarmi,
agitata -Stai
bene?!- Iniziò, preoccupata. -Sì, più
che altro che diavolo ti è
successo?- Non feci a tempo a finire la frase che mi accorsi di avere
il braccio destro rovente, eppure non era a contatto col corpo della
ragazza. Lo osservai e notai uno squarcio nella carne, poco sotto la
spalla. Una lacerazione netta, provocata da qualcosa di affilato. Un
grosso, incredulo sorriso mi si stampò in faccia.
-Ci
vuoi spiegare che diavolo è successo? Voglio dire, come hai
fatto?-
Incalzò Tommy. -Anche se ve lo dicessi, non ci credereste!-
Affermai
allegro. La porta ronzò, e una mano ci posò
sull'uscio un vassoio
colmo di vivande e... carne! Erano mesi che non vedevo della carne,
non che ne andassi pazzo, ma dopo un po' ne senti la
necessità!
Kenny
sospirò, rassegnata, e prese parola:- Questo ci conferma i
nostri
sospetti: siamo i prossimi, e il regime ci vuole in salute.- Io e
Tommy rimanemmo in silenzio. -Ragazzi... Dovremmo provare a...-
-Evadere!- Mi anticipò Kenny -Ci stavo giusto arrivando.-
Tommy ci
guardò come se avessimo appena dichiarato l'esistenza di
Babbo
Natale. -Il punto- Continuò la ragazza -è che
fuggire è pressapoco
impossibile- Un muto “Ma va?” affiorò
sul viso di Tommy -Ma
magari lavorando in tre riusciremmo a ricavare qualcosa di
più!-
Concluse Kenny. Annuii in assenso: -Dicci ciò che sai, e poi
vediamo
come organizzarci-. Ci sistemammo comodi e iniziammo a mangiare,
analizzando tutti i dati in nostro possesso:
Il
carcere era una vecchia cascina composta da un grosso edificio
quadrato con all'interno un notevole spazio aperto contornato da uno
stretto porticato. La facciata Ovest della struttura godeva di un
grosso cancello in ferro massiccio a doppia anta, tipo portone da
castello. Alle estremità della facciata Ovest la struttura
si alzava
di qualche metro creando due simmetriche torri squadrate. Dalla parte
opposta del cancello, invece, si ergeva una terza torre, questa volta
un po' più bassa, cilindrica e con il tetto piano e
accessibile. Da
ognuna delle tre torri ruotavano turni da tre a due guardie,
reciprocamente di notte e di giorno.
La
struttura era adibita di fari e luci che illuminavano ogni buco,
notte compresa. All'interno del cortile c'erano due tralicci, non
dico fragili, ma nemmeno stabilissimi. Io e Tommy abbozzammo quindi
al volo di abbattere uno dei due pali inscenando un incidente durante
uno scontro... Pareva un diversivo niente male, sarebbero saltate
tutte le luci, e allo stesso tempo le porte non si sarebbero
più
chiuse! Era un piano interessante, non fosse stato che i tralicci,
come ci spiegò Kenny, erano ormai solo dei pali impiegati a
sostenere qualche faretto e niente più.
Il
Regime aveva ideato una nuova tecnologia in grado di trasmettere
energia tramite onde... Tipo Wi-Fi, credo...
In
pratica Kenny ci spiegò che da qualche parte ci doveva
essere un
generatore che alimentava il carcere e la campagna circostante. Ma
che questo generatore risiedeva negli alloggi del personale, dei
militari ossia... Raggiungerlo sarebbe stato un suicidio.
Gli
alloggi delle guardie erano sottoterra: tutto l'edificio superiore
era occupato da celle e celle, più una mensa con annessa
cucina per
i dipendenti.
Dal
porticato interno, a destra del cancello e sotto una finestra del
corridoio centrale, partiva una scalinata che scendeva, senza ombra
di dubbio, alla caserma.
Le
finestre che davano sul cortile non erano sigillate, ma rimanevano
comunque sorvegliate indistintamente dal resto...
Il
cancello, che durante gli addestramenti veniva più volte
usato come
appoggio per pestare gente o frantumare svariati arti, rimaneva
perennemente chiuso. Veniva aperto soltanto una volta al mese, quando
arrivava il convoglio di jeep militari a prelevare i detenuti
migliori. Durante quelle poche ore, ogni singola guardia veniva
richiamata sull'attenti nel cortile, e gli appostamenti sopraelevati
rimanevano scoperti, almeno fino a quando il convoglio non veniva
avvistato.
Kenny
ci spiegò che il carcere era isolato dal resto del Regime.
Le
guardie stesse erano per la maggior parte elementi fastidiosi o
d'intralcio per gli schemi del Regime.
Dentro
il carcere non vigeva nessuna legge, se non quella di consegnare
cinque detenuti scelti mensilmente, e non esisteva neanche una scala
gerarchica ben definita: il dirigente era l'unico vero ufficiale
graduato, tutti gli altri seguivano una specie di legge del
più
forte... Facendo un paio di conti neanche loro se la passavano troppo
bene...
Il
fatto dell'indipendenza del carcere era un punto a nostro favore:
niente telecamere e niente allarmi esterni.
-E
questo e tutto ciò che so...- Concluse Kenny. -Quindi...-
Titubai
-Non abbiamo vie di fuga...- -Esatto, siamo nella merda! Non abbiamo
speranze!- Proruppe Tommy, con una sfumatura alquanto saputella.
-Non
è ancora detto. Sono sicura che abbiamo tralasciato
qualcosa...
Dobbiamo averlo fatto!-
-Magari
il comparire dei novellini di giorno in giorno?- Sollevò
apatico
Tommy. Kenny rimase perplessa per qualche secondo... -Già...
Potrebbe essere... Di sicuro non passano per il cancellone, sarebbe
troppo pericoloso e vistoso, sarebbe facile evadere!- -E quindi...-
presi parola -c'è un altro passaggio!- -Già...-
Esasperò Tommy, e
indovinate dove si trova? Nella loro stramaledetta caserma! Come
cazzo pensate di entrare là dentro?-
-Con
un diversivo.- Lo freddò Kenny. Tommy tentò di
controbattere, ma la
ragazza lo zittì con uno sguardo. -Ci penso io.- Riprese,
calma e
sicura di sé -Ce ne andremo di qui mentre entra il
convoglio. Ci
verrà dato qualche minuto per restare nella nostra camera,
per poi
dimostrare la nostra lealtà presentandoci e offrendoci al
Regime di
“nostra” spontanea volontà. E
sarà in quel frammento di tempo
che sgusceremo dalla finestra e ci infileremo nello scantinato. E il
tutto senza che nessuno se ne accorga.-
-Ci
faremo ammazzare!- Protestò il ragazzo. -Ce ne andremo, con
te o
senza di te!- Rispose aspra Kenny.
“Pensa
al bosco, pensa ad Iroh, pensa di essere lì. Concentrati,
concentrati... Concentrati maledizione! Calmo, non è facile,
calmo... Allora: bosco, casa, orso, Iroh, bosco, casa,
orso...” Una
luce mi sollecitò le palpebre, aprii gli occhi, entusiasta,
e mi
ritrovai nella solita sudicia stanza. Kenny era in piedi, con la
brocca d'acqua in mano, e giocava coi riflessi di luce. Borbottai
un'imprecazione e richiusi gli occhi.
Arrivati
al quarto
capitoletto di questa avventura ne approfitto per introdurmi: era da
un po' che, detto terra terra, mi stavo annoiando e non avevo idea di
che fare, così, perfezionate qua e là, ho deciso
di tramutare le
mie fantasie di quando ero ragazzino in fanfiction!
Con
il prossimo
capitolo finirà l'introduzione e
inizierà la prima
vera e propria saga della storia, che avviso non finirà
tanto
presto!
Per
finire: fatemi
sapere cosa ne pensate (dalla storia allo stile di scrittura) e
criticate il criticabile!
Alla
prossima!
|
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Capitolo 5 *** LA RADURA ***
Riaprii
gli occhi. Mi trovavo nella radura, sdraiato nello stesso punto da
dove me ne ero andato. L'erba era piacevolmente umida, e il terriccio
morbido mi aderiva tiepido al corpo come se qualcuno vi ci fosse
sdraiato poco prima.
Mi
alzai e mi stiracchiai, e dopo uno sbadiglio mal celato mi tirai
delle pacche per far scivolare via i residui di fili d'erba dalle
vesti logore.
-Qualcosa
non va, ragazzo mio?- La voce calda e roca di Iroh mi
confortò e mi
scaldò, scaturendo in me una sensazione che non provavo da
mesi
ormai: mi sentivo protetto, al sicuro... Quel velo di ansia, paura e
malinconia che rivestiva le mie giornate, le nostre giornate,
scivolò
via e al suo posto un tepore ormai dimenticato parve farsi strada tra
le membra.
Rilassato
come non lo ero da molto tempo mi avvicinai alla casa trattenendo a
stento un sorriso ebete.
-Non
riesci a tornare indietro dunque?- ripeté il vecchio.
-In
che senso scusa?- chiesi allegramente?.
-Ti
sei coricato lì qualche minuto fa, ed ora sei in piedi. Non
ricordi?-
Ci
misi qualche istante a cogliere la questione, poi titubai -Scusa...
Io me ne sono andato da qui due notti fa... Cosa vuoi dire?-
Iroh
mi scrutò da sotto le sopracciglia, dubbioso. -Da quando ti
sei
coricato non ti sei mosso di un millimetro... E ti sei coricato
soltanto da una manciata di minuti... Beh, vado a preparare del buon
thé, poi risolveremo la questione!- e concluse con la sua
caratteristica risata allegra.
Mi
avvicinai alla casa, Beor sedeva all'ombra del porticato, il suo
sguardo era cupo e impenetrabile. Presi posto di fronte a lui, ma
appena poggiai sulla seggiola scattò in piedi e, senza
degnarmi
della sua attenzione, mi passò di fianco e si
incamminò nella
pianura.
Dopo
essere arrivato a una ventina di metri dalla casa si girò
verso essa
e sedette a mezz'aria a gambe incrociate. Un ghigno di soddisfazione
prese posto sul mio volto. A poco a poco lo spirito della pazienza
iniziò ad ascendere verso il terreno e, silenzioso come un
miraggio,
un largo e liscio ceppo d'albero emerse dal terreno al fine di
intercettare l'uomo orso.
-Sta
meditando-. Sobbalzai, Iroh spuntò alle mie spalle carico di
argenteria e di buon thé. -Ne sono sorpreso anch'io in
verità, è
la seconda volta che lo vedo meditare.- Lo guardai incuriosito,
quell'uomo mi affascinava sempre di più, era avvolto da
un'aura
perenne di calma e imperturbabilità.
Sorseggiammo
il nostro thé discutendo della situazione mia e del mio
mondo. Al
fine della vivace chiacchierata Iroh si alzò, mi
accennò un inchino
e si congedò:- Se vuoi scusarmi, avrei degli impegni da
svolgere
nella Nazione del Fuoco, attendimi qui per favore: puoi leggere un
libro, se ti aggrada.- Di colpo mi sentii in ansia: non volevo essere
di nuovo lasciato solo, e temevo che Koh o qualcosa di più
orribile
potesse sbucare nella radura...
-Quando...
Quando tornerai?- Esitai titubante.
-Presto
ragazzo mio- disse sorridendo, e scomparve.
In
pochi attimi rimasi solo nella radura: il sole illuminava la foresta
dai colori vivaci e l'animato sottobosco. Piccoli spiritelli
iniziarono ad affiorare dai cespugli e a fluttuare tra gli alberi,
ridendo e cantando.
Alcuni
si addentrarono nella radura e la luce intensa sfoggiò i
colori
armonici di quelle bizzarre creature, rivelando anche la loro
semitrasparenza e leggiadria.
Lentamente,
pochi alla volta, una manciata di spiriti fluttuò verso il
corpo di
Beor e iniziarono a giocare attorno a lui con i caldi raggi del sole,
creando così un vortice di colori tenui e brillanti.
Entusiasta
dello spettacolo mi addentrai nella piccola casa; ogni cosa era
praticamente fatta in legno: pavimento e pareti, mobilia e utensili,
e persino i soprammobili non erano nient'altro che bizzarri animali
intagliati.
Mi
avvicinai alla libreria: occupava un'intera parete, ma rimaneva
comunque relativamente piccina. Scorsi veloce i titoli e intravidi
cose del tipo: “Le origine della città
impenetrabile” o “Cultura
e tradizioni dei nomadi dell'aria del tempio del Nord” o
ovviamente
“Thé, non un semplice infuso di foglie”.
Scorsi anche altri
titoli riguardanti tutte le quattro nazioni, avventure di Avatar del
passato e misteri di civiltà perdute o di bestie leggendarie.
Indeciso
su cosa iniziare a leggere mi avvicinai al pesante tavolo che
occupava la maggior parte della stanza e scorsi un libro, aperto e
incompleto, scritto sicuramente da Iroh stesso; presi a sfogliare il
tomo e ci misi poco a intuire che narrava di tutta la vicenda degli
ultimi 150 anni: da Roku a Sozin, ai cento anni di guerra, allo
sterminio dei nomadi dell'aria e dei draghi, all'ultimo dominatore
dell'aria e alla sua avventura; il libro parlava del ritrovamento di
un bambino, costretto a imprese più grandi di lui, e parlava
dei
suoi compagni fedeli e bizzarri, senza i quali il giovane Avatar non
avrebbe percorso più di qualche metro. La storia si evolveva
poi in
mille battaglie e mille sconfitte, tramite le quali il bambino crebbe
e divenne un ragazzo, forte e saggio, che, accompagnato da una
manciata di compagni, riuscì a fermare un folle e a
riportare
l'equilibrio nel mondo. Le ultime pagine parlavano appunto delle sue
ultime azioni e avventure, dell'indipendenza dell'ultima colonia
della Nazione del Fuoco e dell'importanza di Yu Dao, la splendida
città sorta da essa.
Così
venni a sapere anche dell'integrazione nella società globale
di
popoli quale gli abitanti della Palude, o gli antichi maestri Maestri
del Sole.
Lessi
delle comunità di donne che, inizialmente membri di un
banale fan
club, stavano a poco a poco ricreando la società degli
antichi
nomadi dell'aria.
Rimasi
incollato alle pagine del libro per ore, lessi avidamente ogni
parola, rapito dallo stile dettagliato e scorrevole di Iroh fino a
quando, letta l'ultima frase scritta fino ad allora, crollai esausto
sul tavolo: in fondo dalla giornata precedente la mia mente non aveva
ancora chiuso occhio!
Mi
risvegliai dall'altra parte, stanco e desideroso di dormire, con la
faccia bollente e dolorante; non feci a tempo ad aprire gli occhi e a
mettere a fuoco che un qualcosa mi colpì con decisione il
volto.
-Ehi!
T... Tommy ma porca troia! Si può sapere che ti prende? Ho
sonno!-
Il
mio amico mi sovrastava, la mano levata pronta a colpire, il volto
pallido. Frastornato dalla mia reazione mi scivolò di dosso.
-Stai
bene?- Intervenne Kenny, preoccupata.
-Err...
Sì?- Risposi, insicuro.
-Amico...-
Iniziò Tommy -Temevamo fossi andato in coma o robe
così! Dobbiamo
essere praticamente adesso giù! Che diavolo t'è
preso?!-
-Io...
Ehmm... Avrò avuto un collasso o robe così... Ma
sbrighiamoci,
siamo in ritardo no?- Mentii, ovviamente, e mi alzai controvoglia;
durante la giornata notai la strana sensazione di avere il fisico
riposato e scattante e la mente stanca e pesante.
Quella
notte decisi di non provarci nemmeno ad andare dall'altra parte, e mi
godetti il meritato riposo.
Quando,
tre notti più tardi, riuscii a tornare nel mondo degli
spiriti, mi
ritrovai accoccolato su una seggiola con il viso adagiato a lato del
grosso tomo, una ciocca di capelli si era insinuata nella boccetta
d'inchiostro e, stiracchiandomi gli occhi, mi macchiai volto e vesti.
Sollevato
di non aver sporcato nulla, fuorché me stesso, cercai mezzo
tentoni
il bagno o un qualcosa cui poteva ricondurvi.
-Ivan-
Tuonò qualcosa alle mie spalle. Sobbalzai, un po' per lo
spavento e
un po' per le condizioni in cui mi trovavo.
Beor
attendeva sull'uscio, con lo sguardo torvo e il volto serio.
-Ehmm,
finita la meditazione?- Iniziai.
-Sì-
Rispose lo spirito, accennando un'occhiata di commiserazione quando
mi vide il volto. -Ho concluso la mia meditazione.-
Un
silenzio imbarazzante avvolse la casupola.
Titubante
presi parola: -Quindi... Trovato nul...-
-Ho
bisogno di confrontarmi con Iroh- Mi interruppe l'omone, brusco.
Il
silenzio avvolse di nuovo la casupola, Beor ergeva imperturbabile
all'ingresso, sbarrando l'uscita, immobile.
-Oooooh,
non credevo ci fossero costruzioni, qui nel mondo degli spiriti!- Una
voce gioviale e squillante ruppe il silenzio, Beor corrucciò
le
sopracciglia e, curioso, si diresse all'esterno per controllare. Lo
seguii.
Iroh,
dal margine della radura, si dirigeva verso di noi e un ragazzo,
più
o meno della mia età, lo seguiva. Il ragazzo aveva due occhi
grandi
e curiosi, di un colore banale, ma di una vivacità
sorprendente,
avida e fanciullesca.
Aveva
le orecchie a sventola e la testa rasata era adorna di una grossa
freccia blu. Indossava un abito simile, sia nell'aspetto che nel
colore, alle tonache dei Samana (i monaci buddisti, per intenderci).
Le braccia, né forti né deboli, erano adorne del
medesimo tatuaggio
blu chiaro di cui godeva il capo.
Quando
i due arrivarono a pochi passi da noi, il ragazzo si fece serio e,
poggiando il pugno sul palmo della mano aperto, si presentò
con un
inchino: -Sono l'Avatar Aang, piacere di conoscervi.-
Mi
sentivo come un bambino cui gli è appena stato regalato il
giocattolo più bello e vistoso del quartiere; tentando di
non essere
colto da un infarto, tesi la mano per farmela stringere e il ragazzo,
preso alla sprovvista, fece scattare la mano avanti e mi diede due
pacche: prima palmo e palmo, e poi dorso e dorso. -Non credevo fossi
un abitante dell'isola dei Rinoceronti-Scoiattolo! Solitamente i
locali hanno la pelle molto più scura e la faccia
corrucciata!-
Esclamò ridendo.
Iroh
scrosciò nella sua caratteristica risata: -No Aang, no!-
Esclamò,
quasi in lacrime. -Lui non è del nostro mondo!-
-Ah
no?- Esclamò Aang, incredulo -Eppure non dai l'idea di
essere uno
spirito- e, a quella parola, si inchinò anche a Beor, che
accennò
un inchino col capo e borbottò una fugace presentazione.
-No,
no!- Rise di nuovo il vecchio saggio: -È un umano! Ma non
appartiene
ai nostri mondi!- Aang rimase perplesso dalla risposta, e un fiotto
di curiosità iniziò ad inondargli le membra.
-Iroh-
Intervenne lo spirito. -Ho bisogno di parlarti, e subito.-
Iroh,
stranito da tanta serietà, si fece a sua volta serio e
acconsentì.
Mentre guardavo curioso i due uomini incamminarsi verso il margine
della radura, sentii gli occhi di Aang puntati addosso, bramoso di
saperne di più.
-Quindi
come hai fatto a raggiungere questo mondo?- Chiese, educato.
-La
prima volta mi è successo mentre sognavo, poi,
concentrandomi, ho
imparato a venire qui la notte: questa sarebbe la terza volta!-
-Quindi
raggiungi il mondo degli spiriti con la meditazione! Un po' come
facciamo noi del nostro mondo! Forse... Forse il tuo mondo è
soltanto parallelo al nostro... Ed entrambi hanno in comune l'accesso
al mondo degli spiriti!- Esclamò Aang, estasiato.
-Può
darsi- Risposi -Il punto è che nel mio mondo si sa molto del
vostro... E di te! Mentre voi non sapete nulla del mio... Credo...
È
strano!-
-Cosa
sapete su di noi, e... su di me?-
-Conosciamo
praticamente tutta la tua storia, dalla guerra, a Roku e a Yu Dao-.
-Quiindi-
Cantilenò il giovane Avatar, pensieroso -Siete aggiornati in
tempo
reale, più o meno, voglio dire, con Yu Dao ci stiamo ancora
lavorando!-
Annuii
d'impulso ma poi, abbastanza restio ad enunciarmi, smentii: -No, non
è vero... Sappiamo molto di più, sappiamo anche
della tua storia
futura! E addirittura della storia della tua successrice!-
Aang
si stupì da quelle parole, e il suo volto mutò in
uno stato di
ulteriore curiosità, ma anche di timore: -Credo... Credo che
tu non
debba dirmi oltre, potrebbe causare un bel casino- Rise -E poi
chissà
che strano essere donna!- Scrollò il capo, come per
costringersi a
non pensare al suo futuro. -E quindi i nostri mondi non sono
paralleli anche temporalmente, oppure sì ma c'è
una specie di
ritardo... Magari causato dal mondo degli spiriti!- Scrollai le
spalle, poco convinto.
-E
non è tutto- Iniziai io: -Quando vengo qui, il mio corpo
è come se
fosse in due posti contemporaneamente: rimane al suo posto nel mio
mondo, ed è anche qui! Vedi:- Gli dissi mostrandogli la
cicatrice
sotto la spalla, lo sguardo di Aang brillò di commiserazione
-Questa
me la sono fatta qui, e nel mio mondo il mio corpo aveva la stessa
lacerazione!-
-Beh
questo- Incalzò Aang -Non è strano, anzi,
è regolare. Nel mondo
degli spiriti accede solo l'anima delle persone, ma se essa dovesse
subire degli infortuni, il nostro cervello li riprodurrebbe anche sul
nostro corpo. E da queste parole ipotizzo che il tempo che trascorri
qui è lo stesso che trascorre il tuo corpo nel tuo mondo
senza di
te.
-Più
o meno sì, il problema però è che
quando sono nel mio mondo, qui
il tempo è come se si bloccasse. E ricomincia quando torno!
Anche
Iroh e Beor ne sono testimoni.-
-Wow...-
mugulò Aang -È molto più complicato
del previsto!- Annuii.
-Ivan,
Aang- Ci chiamò Iroh: -Volevo parlarvi assieme di qualcosa
di
importante; ma ora la faccenda si è complicata...-
-Ivan-
Incalzò Beor -Non sei il primo, come già
accennato, a compiere
simile viaggio: diversi millenni fa, quando ancora Raava non era
legata a te- Disse indicando Aang che, pur non avendo mai sentito
parlare di questa Raava, sapeva benissimo chi era -, un ragazzo
arrivò qui e fece delle cose... Cose di cui nemmeno io
riesco a
ricordare! Questo ragazzo... Era un ponte; un ponte tra diverse
dimensioni.-
-Un
Avatar!- Intervenne Aang. -Solo sotto alcuni punti di vista, ma
sì.
Questo... Avatar dimensionale mi prese qualcosa... E ho intenzione di
riprendermela. Inoltre, questione molto più urgente ed
importante,
il tuo mondo, Ivan, ha bisogno di aiuto, tu, hai bisogno d'aiuto.- Lo
guardai, silenzioso -Ed è ora compito dell'Avatar fare una
scelta:
aiutare o non aiutare questo mondo, ormai legato ai nostri?-
Aang
mi guardò, scosso. -Il tuo mondo è in guerra?-
-Sì-
Risposi -Ed io stesso sono un prigioniero del Regime che sta
colonizzando il globo.- Aang ne rimase sconvolto sconvolto.
-Anche
se volessi... Come potrei aiutarlo?- Esclamò, rivolto a Beor.
-Quel
ragazzo...- Iniziò lo spirito -Quel ragazzo poteva creare
delle
porte; porte tramite le quali poteva passare gente; porte tra le
dimensioni!-
-Ma...
Anche se fosse vero...- Protestai -E anche se io e quel ragazzo
avessimo davvero qualcosa in comune... Come posso imparare a fare
cose del genere?-
-Meditando-
Fu la risposta sovrappensiero di Iroh.
-E
- Intervenne Beor -Con me.- Io e Aang lo guardammo con aria
perplessa. -Giovane Avatar, con il tuo consenso io violerò
uno dei
limiti da te concessi a noi spiriti- Aang lo guardò
spaventato. -Io
ti chiedo, di farmi unire a questo ragazzo.- Enunciò con
aria
solenne, come se avesse dovuto compiere uno sforzo immane per
pronunciare tali parole.
Rivelatosi
il capitolo
mooolto più lungo di quanto pianificato ho deciso di
spezzarlo in
due, spostando così l'uscita della conclusione della prima
saga a
quando finirò di lavorare al brano. Vi invito a commentare,
criticare e domandare così per farmi fare un'idea se quello
che
scrivo piace o sta venendo una cagata epocale.
P.S.
Ho aggiunto un
paragrafetto al terzo capitolo, che aiuta a far comprendere meglio la
time line della storia, che effettivamente risultava ambigua.
Alla
prossima!
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