Il rumore dei tuoi passi

di delilaah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III. ***
Capitolo 5: *** IV. ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI. ***
Capitolo 8: *** VII. ***
Capitolo 9: *** VIII. ***
Capitolo 10: *** IX. ***
Capitolo 11: *** X. ***
Capitolo 12: *** XI. ***
Capitolo 13: *** XII. ***
Capitolo 14: *** --- ***
Capitolo 15: *** Isaac ***
Capitolo 16: *** Parlami d'amore ***
Capitolo 17: *** Le luci della ribalta ***
Capitolo 18: *** () ***
Capitolo 19: *** Miraggio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 
 


Prologo.


«Allora ragazzi che dite? Si può fare, no? Mi sembra un compromesso più che ragionevole.»

Il discografico sembrava fiero della sua proposta. Ne era così convinto che per tutto il viaggio si era convinto che fosse assolutamente a prova di bomba, anzi, a prova di bamboccioni. Sapeva che esponendo in maniera dettagliata e accurata il suo progetto avrebbe potuto convincere tranquillamente già la metà di loro; quelli che però, effettivamente, lo preoccupavano erano Harry e Liam, gli unici un po’ più svegli degli altri e in grado di non farsi fregare.

«Mmh, io non lo so. Sono dubbioso.» esordì Liam, sistemando coltello e forchetta sopra il suo tovagliolo, «E’ una buona offerta, non mi fraintenda, ma onestamente penso che, dato che torniamo dopo un po’ di assenza, dovremmo farlo col botto. Capisce quello che intendo, no?»

Che due coglioni.

Louis non aveva fatto altro che ripetere queste tre parole nella sua testa, all’infinito, per tutta la serata. Il posto era carino, era un semplicissimo ristorantino italiano, un po’ fuori mano ma accettabile e la gente che vi lavorava era cordiale, e discreta soprattutto.
Continuava a fissare i suoi compagni senza sosta, passando da un volto all’altro come se stesse aspettando il segnale prima di scatenare l’inferno. Facendo questa citazione mentale si rese conto di avere una voglia repressa di rivedere Il Gladiatore; voglia che però fu subito soffocata per ritornare a lamentarsi su quello che stava accadendo.

Erano passati due anni e mezzo, il che corrisponde ad un’infinità di giorni e ad una marea di ore, e lui si era sistemato benissimo. Da quando gli One Direction avevano perso quello “sprint” che aveva imbambolato miliardi di ragazzine erano finiti nel dimenticatoio. Erano stati spremuti fino all’osso come delle macchine da soldi dalla casa discografica che aveva monopolizzato la loro carriera, le loro vite e persino la tabella di marcia che riguardava il loro metabolismo. Erano arrivati a controllare tutto, qualsiasi cosa, senza alcun ritegno, purché fruttasse soldi, tanti bei soldi. E così era stato.

«Non possiamo magari.. non lo so, pensarci un po’ su?» azzardò Niall, diventando improvvisamente paonazzo in viso. La scarsa presenza dei riflettori l’aveva reso timido e impacciato. Di nuovo.

Portatemi via di qui. Non me ne frega un cazzo, lo giuro.

La cantilena mentale di Louis sembrava non avere tregua. Per lui starsene seduto a quel tavolo, con davanti quella sottospecie di Orso Yogi, e discutere di un probabile ma forse anche non probabile futuro rinnovo di quello stesso contratto che avevano bruscamente – e malignamente – interrotto gli stessi discografici, era uno strazio. Una tortura cinese, un’agonia, l’ennesima prova di come stesse sprecando preziose ore della sua vita.
Perché a lui, in quel preciso momento della sua vita,  non fregava davvero più niente. O per lo meno, non quanto fregava agli altri.

Non aveva più voglia di ritornare ad essere un burattino nelle mani di gente che non aveva la sua fiducia; non aveva più voglia di prendere aerei e treni in continuazione per tentare di avere dei rapporti con la sua stessa famiglia; non aveva più voglia di buttarsi in mezzo ad una folla di ragazzine urlanti – ormai cresciute – che lo acclamavano bramose ed eccitate come se avessero davanti la reincarnazione del dio del sesso. Stava così bene come stava ora: tranquillo, rilassato, libero.
Tutti i soldi che aveva guadagnato negli anni precedenti gli avevano permesso di vivere di rendita senza alcun genere di problema, ovviamente limitando le spese folli e le macchine super lussuose. Ma a lui andava tremendamente a genio.
Era single, giovane, ricco e spensierato. Perché avrebbe dovuto rientrare di nuovo in quella gabbia dorata fatta di sogni e promesse che ormai non lo attiravano più?

«Veramente questa sera pensavo di concludere l’accordo, visto che le condizioni andavano solo perfezionate e che quindi ne eravate già a conoscenza.» rispose il discografico, arricciando il naso per sistemare gli occhiali e assumendo un’espressione imperscrutabile.

E ti pareva. Ecco il solito rompipalle con la fretta sotto il culo.

Louis, nel frattempo, aveva continuato a giocherellare con l’orlo del bicchiere, del tutto estraneo e disinteressato nella conversazione. Stava disperatamente cercando di far uscire quei suoni un po’ striduli che riescono a controllare i giocolieri per strada, quando dispongono i bicchieri in scala e li riempiono di quantità diverse di acqua, ma non ci riuscì. Così gettò distrattamente lo sguardo dall’altro lato della sala, e la sua attenzione fu catturata da una scena insolita.
Vide due ragazze, una mora ed una bionda, piuttosto giovani, sedute ad un tavolo poco distante assieme a due tizi che avevano tutta l’aria di essere due imprenditori alto locati e benestanti, anche se piuttosto stagionati. Si chiese come mai due ragazze così carine e così giovani volessero passare del tempo con due marpioni d’altri tempi, ma non riuscì a darsi una risposta.

«No, non possiamo firmare questa sera. Non se ne parla.» incalzò Harry piuttosto irremovibile, «Ci dia almeno una settimana di tempo per fare le nostre considerazioni, signore. Infondo senza i componenti della band, la band non esiste. E nel nostro caso o siamo tutti d’accordo o non se ne fa nulla.»

Louis fece illuminare lo schermo del cellulare: 11.13 pm. A quel punto continuò a seguire la scena che l’aveva tanto interessato, sforzandosi di leggere il labiale delle ragazze per inserirsi nella conversazione ma niente, non riuscì a capirci un tubo.
Ad un tratto uno dei due signori si alzò, prese la mano di una ragazza, le stampò un bacio sulla nocca e poi la aiutò ad alzarsi e rivestirsi, aprendo per lei il colorato e alquanto soffice scialle di seta che completava il suo vestito blu notte. Qualche istante più tardi l’altro uomo fece lo stesso e si intrattenne per qualche altro minuto a parlare con la giovane bionda, che indossava invece un vestito rosso porpora. Erano entrambe posate, eleganti, quasi perfette.
Li seguì con lo sguardo mentre si avvicinavano sottobraccio all’uscita, e poi lanciò uno sguardo perso al tavolo ormai rimasto vuoto. E ora che cosa avrebbe fatto? Il suo passatempo preferito si era appena dileguato nel buio delle strade londinesi.

No, un momento. E quello cos’è?

Louis si alzò da tavola senza avvisare o badare nessuno, mentre i quattro amici e il discografico lo fissavano intimoriti, temendo che potesse magari essere posseduto da un qualche fantasma o spirito ribelle.

«Louis ma che fai? Sei diventato scemo?» gli chiese Zayn, grattandosi un poco la testa e facendo spallucce in direzione degli altri.

Il ragazzo lo zittì con un cenno della mano e si avvicinò al tavolo delle ragazze, raccogliendo dal divanetto che poggiava al muro uno scialle rosso porpora che si accompagnava perfettamente con il vestito che aveva visto prima.
Così lo strinse forte e corse verso la porta, strizzando gli occhi per vedere se quella ragazza era ancora nei paraggi. Per sua fortuna la intravide qualche metro più in la, mentre rideva fragorosamente ad una barzelletta che stava raccontando uno degli imprenditori e flirtava con lui.

«Ehi! Hai perso questo!»

La ragazza si voltò, raccogliendo i capelli in una mano e avvicinandosi con passo sicuro verso di lui. Nel buio della sera sembrava anche più bella, con quei riflessi di luna che le coloravano i capelli.

«Sei gentile, temo di averlo dimenticato. Ti ringrazio.»

«No problem» le rispose Louis, infilando le mani in tasca e dondolando un poco, «E se non te l’avessi riportato io che avresti fatto?»

«Molto probabilmente avrei chiamato il ristorante più tardi per chiedere informazioni sul mio scialle. Grazie per l’interessamento.»

«Si, tranquilla. Ma dimmi un po’... com’è che esci con quei vecchi che sembrano anche un po’ pervertiti?»

La ragazza sorrise e ammiccò, sembrando estremamente sicura di se. Era come se non avesse paura di niente e nessuno, era perfetta anche presa in contropiede da quella inaspettata e per niente timida curiosità che Louis ostentava.

«Sono due persone interessanti, ci si sta bene in compagnia. Pensi che non dovrei uscire con gente come loro?»

«No, infatti»

«E con chi dovrei uscire allora? Con gente come te?»

«Si, decisamente» continuò il ragazzo, annuendo con il capo per rendere la sua argomentazione più convincente, «Sei decisamente sprecata per dei tipi come quelli.»

«Di nuovo, grazie per l’interessamento e grazie mille per lo scialle.» gli rispose la ragazza, allungando la mano affinché lui gli porgesse il pezzo di seta.

Louis le porse lo scialle come previsto e, mentre lei lo afferrava, scorse un piccolo tatuaggio a forma di stella all’interno del suo polso.
«Posso sapere almeno come ti chiami?»

«Ci sono delle cose che non puoi sapere, cose che non posso dirti e che non capiresti. Ad ogni modo ti ringrazio di nuovo per lo scialle, me ne ricorderò.»
Detto ciò la ragazza ritornò con passo elegante e tranquillo dai suoi amici, che l’avevano aspettata in silenzio mentre squadravano da testa a piedi quel giovane che le aveva gentilmente riportato il capo d’abbigliamento.
 

Non avere paura, scoprirò chi sei. Fosse l’ultima cosa che faccio. 













Io..... si insomma, non ho saputo resistere. La mia testa si è riempita di idee il secondo dopo aver annunciato la fine dell'altra fan fiction (Give Me Love) e neanche a farlo a posta eccomi qua con un'altra storia. 
Spero vivamente che vi piacerà, dato che è estremamente particolare e per niente facile da capire. Spero anche che non mi prenderete per una pazza scatenata che scrive cose pazze. Vorrei solo, di nuovo, la vostra totale onestà, cosa che amo e ammiro. Questa fan fiction la troverete stupida o geniale, non ci sono vie di mezzo. E' come il bianco e il nero, giorno e notte: o piace o non piace. Quindi di nuovo lascio a voi l'ultima parola.

Se non si era capito, in questa storia i protagonisti sono di quasi tre anni più vecchi, quindi è ambientata nel futuro. Questa volta ho preferito incentrare quasi tutto su Louis anche se vedrete comunque gli altri ragazzi all'interno della vicenda. E' solo una questione di trama: non volevo crearne una simile all'altra, quindi si cambia radicalmente.

Che dire, fatemi sapere presto! Se vi piace mettetela nella seguite e se volete renderla popolare anche nelle preferite, sono tutte così che mi renderebbero super felice!

Un bacio grande a tutti,
Giuls. 

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Capitolo 2
*** I. ***





I.

 
«Ma si può sapere che hai?»

Louis aprì un occhio, lasciando che la pupilla inquadrasse la figura di Harry che gli si era piazzato davanti a braccia conserte, piuttosto irritato.

«Io? Niente» rispose poi, facendo richiudere l’occhio e fingendo di dormire, mentre continuava a starsene spaparanzato sul divano ignorando il resto del genere umano, Harry compreso.

«Non hai ancora detto niente sul contratto. Un’opinione, una critica, niente. Almeno mostra un minimo di interessamento!»

«Come faccio a mostrarmi interessato se, di fatto, non sono interessato?» obiettò Louis rimanendo ad occhi chiusi, come se stesse parlando nel sonno o qualcosa di simile.

«Perché non vuoi farlo? A me manca quello che avevamo»

«A me no»

«Perché?»

«Ho i miei buoni motivi. Ora smamma, Jay Tomlinson numero due!» esclamò il ragazzo, lanciandogli un cuscino addosso e ridendo dopo aver preso l’amico in piena faccia. Quanto gli piaceva essere dispettoso? Tanto, troppo.

Harry lasciò che il cuscino scivolasse lentamente a terra, dopo averlo colpito, e tirò su col naso, quasi a reprimere quel senso di vendetta che stava pian piano nascendo in lui.
Era dotato di una gran pazienza, Harry Styles. Aveva pazienza in tutto e per tutto: alla cassa del supermercato, al semaforo, quando accompagnava la madre dalla parrucchiera. Non si lamentava mai, nemmeno per sbaglio, e aspettava pazientemente il suo turno senza nemmeno fiatare. Ma la pazienza che usava per sopportare il suo coinquilino – nonché migliore amico – era tutto un altro genere di pazienza, e quella, tendenzialmente, esauriva piuttosto in fretta. Soprattutto quando il suddetto migliore amico tirava troppo la corda.

«Ripetimi come ho fatto a sopportarti in questi anni. Ti prego ripetimelo perché mi sto sentendo una specie di Mahatma Gandhi in versione britannica»

«Ma che Gandhi e Gandhi! Il punto è che tu sei uno scassacazzo tanto quanto lo sono io, e per questo motivo andiamo d’accordo. Logico no?»

«Ecco si. Elementare proprio, Watson» sibilò Harry con un marcato velo di sarcasmo, mentre raccoglieva il cuscino da terra per poggiarlo sul bracciolo del divano.

A quel punto Louis aprì svogliatamente entrambi gli occhi e gettò uno rapido sguardo all’orologio appeso alla parete dietro di lui. Impiegò qualche secondo per elaborare l’informazione, dato che il suo cervello sembrava essere annebbiato da quella sotto specie di riposino che si era concesso, e poi si alzò di scatto, frettolosamente.

«Beh, che fai?»

«Esco!» gli rispose Louis, mentre si infilava la giacca e zoppicava qua e la in cerca della Converse spaiata.

«Quelle sono mie» lo rimbeccò Harry, indicando con lo sguardo le scarpe che l’amico si era appena infilato, prima di mettersi a ridere.
Louis soffocò un’imprecazione e poi ritornò di nuovo in calzini, mentre si disperava a cercare il suo paio di Converse nei meandri del loro loft da milioni di sterline.

«Ma si può sapere dove devi andare?»

«Te lo dirò!» gli rispose il ragazzo dall’altra stanza, annaspando un poco.

«E perché non me lo dici ora?»

«Perché non posso, ok Harry? Torno a casa per cena, fammi sapere cosa devo ordinare e dimmi se ceni con me si o no. So che il tuo compagno di giochi è molto richiesto ultimamente!»

Harry ridacchiò sotto i baffi, appurando con gioia che Louis non aveva mai perso la sua passione per le barzellette e le allusioni che riguardavano il sesso, l’aggeggio degli uomini, la dote delle donne e via dicendo.

«Beh in effetti si, potrei essere diventato un tantino sesso- dipendente» ammise poi, scuotendo un po’ la testa come se volesse ammonirsi da solo.

«Sesso che?»

«Non lo so, Louis! Era per dire, non so neanche se esiste quella parola!»

«Madonna quanto la fai lunga! Dì che ti piace scopare e siamo tutti felici. Tanto lo sai che non devi rendere conto a me, no? Ora vado, a stasera»

Harry si voltò per cercare di controbattere ma non trovò nessuno con cui parlare. Era come se Louis fosse sparito nel nulla in un secondo, smaterializzato nel vero senso della parola. In compenso però sentì il rumoroso portoncino del condominio chiudersi violentemente, e capì che, molto probabilmente, Louis aveva anche fatto le scale di corsa per arrivare prima al piano terra. Strano però che non si fosse azzoppato nel mentre, sbadato com’era.

 

«Allora ci sono novità?»

«No, signore. Sono rimasto qui appostato nelle ultime 24 ore ma nessuna ragazza bionda e sexy – come l’ha descritta lei – si è fatta vedere. Mi dispiace.»

«Maledizione, sta facendo la difficile» commentò Louis, visibilmente imbronciato. Il perché su quella fissa per quella misteriosa ragazza non lo conosceva nemmeno lui, ma sapeva che voleva trovarla. Sentiva questo impellente bisogno di dirle “Ehi tu, ragazzina di cui non sapevo il nome ma che ora conosco, ti ho trovata! E sei in debito con me, Louis Tomlinson non perdona sai!”. O meglio, eliminando tutta la parte della recita in stile cowboy pervertito, in modo da sembrare un po’ più normale e meno montato.

«Signore, c’è qualcos’altro che posso fare per lei?»

Louis si voltò a fissare l’uomo che sfoggiava ancora la sua divisa da lavoro. Pensandoci bene gli faceva una gran pena, poveraccio. L’aveva pagato due mila sterline per passare una notte insonne, in macchina, con un binocolo in mano, davanti ad un ristorante per cercare di ritrovare quella ragazza. Lui sarà stato anche un pazzo per avergli proposto quell’offerta, ma lui doveva essere come minimo pazzo il doppio da accettare una simile offerta.

«No, Jeff, ti ringrazio. Sei pagato per essere un maggiordomo, non un investigatore privato. Hai già fatto abbastanza!»

«Come preferisce, signore. Se vuole posso rimanere ancora, basta che lei parli e io rimango.»

«No sul serio, vai tranquillo! Torna pure a casa da tua moglie e ci vediamo giovedì!»

«Ok, a giovedì. Buona serata allora.»

«No Jeff, aspetta un secondo!» esclamò Louis, scendendo velocemente dall’auto per aggirarla e raggiungere l’uomo.

«Si, mi dica.»

«Perché hai accettato la mia offerta? In fin dei conti due mila sterline non sono così tante e tu hai una casa e una famiglia che ti aspetta. Non dovresti badare a me e alle mie paranoie da giovane nullafacente!»

Jeff si lasciò scappare una risata, divertito. Questo era esattamente il motivo per cui aveva accettato subito e di buon grado di lavorare per i signorini Styles e Tomlinson: erano due giovanotti un po’ viziati, alle volte capricciosi, ma con la testa sulle spalle e fin troppo educati e premurosi. E poi amavano la discrezione, e lui amava essere discreto nel lavoro.

«Perché mia moglie è incinta, signore. Con questo lavoretto extra possiamo comprare la cameretta alla bambina, così ci togliamo un pensiero.»

«Oh allora in questo caso ho fatto una buona azione! Sono felice per voi! Ora puoi tornare a casa. Tranquillo, ci penso io da qui in poi. Ah Jeff, l’ultima cosa: stamattina ho sentito Harry che blaterava su una cosa dei tappeti, tipo che erano da lavare e appiccicosi. Sai com’è lui, sempre perfettino su tutto! Magari giovedì comincia con quelli, così la smette di parlare a vanvera»

Jeff si lasciò scappare un’altra risata, nuovamente divertito. Era ammirevole come quei due avessero sempre un pensiero carino l’uno per l’altro.

«Certo signore, sarà fatto. Buona serata e buona fortuna.»

Louis salutò l’uomo con la mano ben aperta e visibile, sfoggiando uno dei suoi proverbiali sorrisoni di ringraziamento. Poi risalì di nuovo sul marciapiedi, fissò per qualche minuto l’entrata del ristorante, chiamò un taxi per tornare a casa e alla fine si decise ad entrare, giusto chiedere qualche informazione veloci su quella ragazza.

Non appena varcò la porta d’ingresso fu subito assalito da due cameriere fin troppo entusiaste e vogliose di aiutare, che però lui liquidò prontamente prima di chiedere se fosse possibile parlare con il referente del ristorante o il dirigente, o qualcuno che sapesse qualcosa. Così fu subito rispedito all’entrata, dove un cameriere che sembrava essere più esperto e meno irrequieto delle altre lo attendeva alla cassa, pronto a rispondere alle sue domande. 

«Salve... posso parlare con lei quindi? E’ lei il dirigente o chi-per-esso?»

Il giovane annuì con la testa, mentre con un gesto rapido e sicuro richiudeva il cassettone che conteneva i soldi, dopo aver salutato cordialmente due clienti che se ne stavano andando.

«Si, può chiedere a me. Questa sera il padrone non è qui ma sono sicuro che potrò aiutarla io in qualche modo.»

Louis roteò gli occhi, annoiato da tutta quella sbruffoneria e sicurezza. Se c’era una cosa che non sopportava erano le persone saccenti, e quel tizio aveva tutta l’aria di essere uno di loro.

«Ok, arriverò dritto al punto. Ieri sera qui hanno cenato due ragazze in compagnia di due signori più.. maturi, diciamo. Bene, una di loro ha perso un.. ehm, orecchino e vorrei tanto restituirglielo! Sa dirmi il nome della ragazza?»

Il cameriere corrugò la fronte e lo squadrò da capo a piedi. Intuiva un certo odore di balla stratosferica, ma pensò che volesse semplicemente fare colpo sulla ragazza in modo plateale. D’altra parte sapeva bene che anche lui aveva cenato lì ieri sera, ricordava perfettamente di aver servito lui e i suoi quattro amici fighetti.

«Il tavolo era prenotato con il nome di uno dei due signori, per ciò non so proprio come aiutarla, mi dispiace. Ad ogni modo, se può servirle, so che una delle due ragazze si chiamava Giselle, anche se non saprei dirle precisamente quale. Quando hanno fatto il suo nome io ero di spalle e non ho visto chi delle due ha risposto.»

Bingo! Bingo, bingo! BIN-GO!

«Ok, la ringrazio» sentenziò Louis, cercando di contenere al massimo il suo entusiasmo. Si sentiva come un bambino quando trova l’uovo di Pasqua che il padre aveva ben nascosto in giardino durante le celebrazioni pasquali: era decisamente una bella sensazione.

«Ora la lascio lavorare in pace, il mio taxi è arrivato! Arrivederci e buona serata!»

Mentre si dirigeva verso l’uscita, sentiva lo sguardo vigile e indagatore di quel tizio so-tutto-io che gli aveva appena risposto, ma poco gli importava. Ora aveva una pista, aveva un nome: Giselle.

Salì sul taxi con nonchalance e poi prese il cellulare, componendo il numero di Harry. Simultaneamente pensò se avrebbe preferito mangiare cinese o messicano quella sera, e optò per il cinese. Poi Harry rispose al telefono.

 «Ue schiappa, torni per cena?»

Dall’altra parte della cornetta Harry rimase in silenzio, nel tentativo di non riattaccargli in faccia dopo avergli prontamente bestemmiato in faccia.

«No, mangio fuori. E schiappa ci sarai tu!»

«Si si, come no! Ordino anche per te così domani lo mangi riscaldato?»

«Ecco, questa mi sembra una proposta ragionevole»borbottò Harry, sembrando estremamente indaffarato.

«Senti... siccome sento che sei, come dire, impegnato ti lascio andare. Mi raccomando, distruggila tigre! Aaargh!»

Il tassista si lasciò scappare una risata, ammettendo così che stava bellamente origliando la conversazione. Louis rise con lui e poi sentì la linea cadere, segno che Harry, molto probabilmente, ci stava già dando dentro. Chissà chi era la fortunata questa volta.

«Mi sono distratto, mi scusi! Era il mio amico... sa, sta con una ragazza in questo momento!» sghignazzò euforico, «Comunque mi accompagni al ristorante cinese più vicino a Piccadilly, così poi prendo la metro e mi schiarisco le idee!»

Il tassista annuì e impostò il navigatore su uno dei suoi tragitti abituali, convenendo che, non avendo direttive precise, sarebbe stato meglio portarlo al suo ristorante di fiducia, giusto per stare sicuri.

«Come vuole signore.» gli rispose poi l’uomo, tenendo lo sguardo fisso sulla strada.
 


Le bacchette cinesi  non erano mai state il suo forte, doveva ammetterlo, ma quelle che aveva preso a quel ristorante cinese semi sconosciuto che gli aveva consigliato il tassista sembravano essere un rebus in babilonese antico. Non riusciva ad afferrarle correttamente e, cosa ancora più importante, non riusciva a mangiarci un accidente, così aveva optato per una classica e intramontabile forchetta da pasta e chi s’era visto, s’era visto.
Louis aveva infatti speso le ultime due ore della sua vita seduto sul tappeto del suo salotto, con il computer sopra le cosce e il take away cinese a portata di mano. Non aspettava visite, non aveva intenzione di aspettare Harry alzato, ma comunque voleva capirci di più e indagare su quella ragazza, così l’unica cosa che riuscì a pensare fu una ricerca rapida su Google usando come parole chiave “Giselle hot blonde”. Inutile dire che non aveva fruttato grandi risultati.
Quando il campanello suonò, per sua enorme sorpresa, decise di darsi una sistemata per correre ad aprire, curioso ma allo stesso tempo infastidito da quell’ospite inatteso.

«Hey, Lou»

Niall. Avrei dovuto scommetterci. Maledetta la sua insonnia da uomo in crisi esistenziale! Se mi chiede del contratto giuro che lo sbatto fuori.
 
«Ehilà, come mai da queste parti?»

«Mmh, non avevo sonno» rispose l’amico grattandosi un poco la testa. Risposta del tutto prevedibile, tutto nella norma.

«Da quant’è che soffri d’insonnia? Un anno? Secondo me dovresti farti vedere, senza offesa»

L’amico gli tirò uno spintone e poi si decise ad entrare in casa, portando le mani in tasca, con passo indeciso e titubante. Non sapeva bene spiegare com’era successo, ma da quando aveva smesso di ricevere l’attenzione dei media e quella delle ragazze, la sua sicurezza era davvero calata a picco. Così, senza un motivo valido o plausibile.

«Sei una merda anche a l’una di notte. Dovrebbero darti un premio!» ribatté di nuovo Niall, sorridendo un poco.

«Che vuoi farci, i migliori non si smentiscono mai!»

A quel punto l’amico sospirò e alzò gli occhi al cielo, ripensando a quanto fosse diventato – e fosse sempre stato – vanitoso Louis. Era una cosa dell’altro mondo, per davvero.
Poi, dopo aver intravisto il cinese appoggiato al pavimento, decise di avventarsi su di esso come un faina, nella speranza che fosse rimasto qualcosa da mangiare e nella speranza che a pancia piena finalmente avrebbe avuto un po’ di sonno.

«No dico, serviti pure, no problem» lo canzonò subito Louis, con un marcato velo di sarcasmo.

«Dai, dimmi che stavi facendo» biascicò di nuovo Niall, parlando con la bocca semi piena di spaghetti piccanti di soia.

«Niente, una ricerchina su internet ma non ho trovato niente.»

«Io dico che se vuoi trovare questa...» il ragazzo si sporse verso lo schermo del computer per rileggere con chiarezza il nome che aveva intravisto prima, «..Giselle devi cercarla su Facebook, non su Google»

Horan, io penso di amarti!

«Giusto! Cazzo, hai ragione! Ma sei un genio!» gli rispose Louis, incominciando a smanettare con le varie finestre del motore di ricerca, «Però promettimi che non dirai niente a nessuno!»

«Ma che dovrei dire?! Manco la conosco! E mi par di capire che neanche tu la conosci, senza offesa» protestò l’amico, di nuovo a bocca piena.

Louis si voltò verso di lui e roteò gli occhi mentre lo sentiva ridere fragorosamente. “Chi la fa l’aspetti”, questo era il detto comune, e lui avrebbe dovuto sapere che il sarcasmo viene sempre ripagato con sarcasmo ancora più pungente.

«Hazza dov’è?» riprese di nuovo Niall, mentre raccoglieva gli ultimi gamberetti dalla scatola degli spaghetti.

«Boh, con una, domani gli chiedo chi era. Quel barbone non mi dice più niente!»

«E ti credo, stai sempre li a sfotterlo!»

Louis si voltò di nuovo verso l’amico, piuttosto inacidito. Se c’era una cosa che odiava erano le persone che mettevano bocca sul rapporto che lui aveva con Harry. Non importava se fossero amici, parenti o sconosciuti, nessuno doveva semplicemente prendersi una tale libertà. Era il suo migliore amico, nient’altro da aggiungere.

«Pff, cosa vuoi saperne tu! Lo vuoi un letto per dormire stasera si o no? Tanto lo so che ti abbiocchi fra cinque minuti»

«Sei proprio una merda! Invecchiare ti fa male, caro mio!» gli rispose ancora Niall, alzandosi da terra e dirigendosi verso l’angolo cucina dell’open space.

In quel momento preciso la ricerca di Louis si fece più intensiva. La compagnia di Niall non lo disturbava, o meglio, il suo russare non lo disturbava, a patto che da sveglio non volesse ficcanasare troppo in quella faccenda di cui lui, chiaramente, non sapeva dare spiegazioni.
Non sapeva bene dove l’avrebbe portato o in quale guaio si sarebbe cacciato, ma poco gli importava. Tutto quello di cui aveva bisogno era un passatempo, un hobby,  un qualcosa di divertente da fare, e la ricerca di quella ragazza stava sicuramente stuzzicando la sua curiosità e la sua testardaggine.
Qualche mezz’ora più tardi, quando Niall aveva beatamente preso sonno sul divano ad angolo poco lontano, lui stava ancora lavorando a computer, imperterrito. Aveva girato le più svariate pagine Facebook che riguardavano gruppi di studenti, di non studenti, di baristi, camerieri, cuochi e persino di idraulici, ma non aveva trovato niente. Possibile che quella ragazza non avesse un’identità, un impiego o una famiglia?
Era come se fosse irreperibile, introvabile, inesistente










 Primo capitolo!
Due precisazioni: 1) il banner è stato fatto da una ragazza, quindi non credetemi una grafica. 
2) Ho impostato questa nuova tecnica di dialogo, spero non vi dispiaccia. Non ho mai messo le righe di spaziatura ma voglio provare, mi sembra che esca bene!


Bene, cosa posso dire? Spero tanto che la storia vi stia interessando e siate pazienti, il meglio deve ancora venire! Ho visto che qualcuno ha già messo questa fan fiction nelle seguite/preferite, una scuoriciata per voi ♥
Aggiorno presto, promesso! Bacioni e fatemi sapere se vi piace si o no!

Giuls. 




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Capitolo 3
*** II. ***




II.


 sure you wanna play this game?
so baby let's go, I know you won't forget about me




Harry rientrò presto, quella mattina, senza nemmeno disturbarsi troppo per cercare di essere il più silenzioso possibile. Infilò l’enorme e rumoroso mazzo di chiavi nella serratura della porta e sbuffò sorridente, inquadrando i due amici che dormivano nel soggiorno come se niente fosse.
Niall aveva infatti preso possesso della penisola del divano, che l’aveva accolto di buon grado mentre lui si era addormentato a pancia in giù e con una gamba a penzoloni. Louis, invece, si era sistemato nella poltrona poco lontana, con le gambe che uscivano da un lato e il suo intramontabile portatile sulle cosce.
Harry appoggiò le chiavi nel porta oggetti e tolse l’ingombrante giaccone che indossava per appenderlo all’attaccapanni. Poi si diresse in cucina e accese le macchina del caffè, prima di prendere un pentolino pieno d’acqua per metterlo sul fuoco.
Senza nemmeno sforzarsi troppo riusciva ancora a ricordare l’espressione stizzita di Louis quando, appena conosciuti, preso da una ventata di gentilezza, gli aveva offerto una tazza di caffè bollente, per poi sentirsi urlare in faccia un “Odio il caffè! Non prendermelo mai più!” accompagnato da una ventina di volti estranei che fissavano la scena increduli e divertiti. Da quel momento, infatti, aveva sempre saputo che le parole ‘Louis’ e ‘caffè’ nella stessa frase non avrebbero mai potuto starci, nemmeno fra cent’anni.
Dopo aver messo in infusione il filtro per il the verde deteinato decise di scendere per comprare qualche pasta o qualche cornetto, per accompagnare la colazione. Se fossero stati solo lui e Louis probabilmente si sarebbe risparmiato la fatica, ma per Niall lo faceva di buon grado: era sempre una gioia vederlo divorare tutto quanto in compagnia.
 

«Oh, buongiorno principessine» esordì di nuovo il ragazzo, rientrando in casa con un sacchetto colmo di bignè al cioccolato.

«Grazie del the» gli rispose Louis, glissando completamente la sua provocazione e sorseggiando la bevanda seduto sulla sua sedia preferita, con i gomiti appoggiati alla penisola della cucina.

«Sono stato fuori solo dieci minuti, com’è che siete già alzati? Prima sembravate due orsi bruni in letargo»

«Hai sbattuto la porta uscendo, e mi sono svegliato. Sai che ho il sonno leggero.» gli spiegò Louis, un po’ altezzoso.

«Perché sei uscito di nuovo?» si intromise Niall mentre, di spalle, imprecava sotto voce alla macchinetta del caffè. Per lui quell’aggeggio era una macchina infernale, non c’era stata mai una volta in cui fosse riuscito a farsi un dannatissimo caffè da solo.

«Ho preso dei bignè. E stai fermo! Quella macchina mi è costata un capitale!»

Niall alzò le mani al cielo e si allontanò, mentre Harry correva in soccorso del suo adorato acquisto dal valore di quasi tre mila sterline. Quando Louis gli fece cenno di sedere di fianco a lui, Niall accettò di buon grado e afferrò il sacchetto con i bignè, infilandoci dentro il naso, attratto da quell’invitante profumino.

«Come mai sei rimasto a dormire?» continuò Harry, sistemando le tazzine sotto alle bocchette per il caffè.

«Non riuscivo a prendere sonno, così sono passato di qua. Tommo mi ha detto che eri uscito e sono rimasto a fargli compagnia»

«E ha mangiato il tuo cinese. Sottolineo.» esordì di nuovo Louis, mentre soffiava animatamente sul suo the.  

«Andiamo bene! Ora fai anche la spia!» protestò Niall tirandogli uno spintone, «Tu piuttosto, dove sei stato?»

Harry si voltò stralunato e alzò le spalle, come se la risposta alla domanda che gli era stata posta fosse una piccolezza del tutto trascurabile. Poi prese una tazzina e la porse a Niall, accompagnandoci anche la zuccheriera, e poi prese il suo primo sorso di caffè.

«Kathrina, Katiusha, non mi ricordo. Mi ha cercato lei per prima. Io ho solo accettato.»

«Cos’è, sei andato a pagamento?» esclamò Niall, ridendo a gran voce per la sua stessa battuta.

Louis posò la tazza sul bancone, soffocando una risata, mentre Harry lanciava ad entrambi uno sguardo infastidito e del tutto poco divertito.

«Ci hanno messo della simpatia nei vostri involtini primavera, ierisera? No perché siete così simpatici!» esclamò il ragazzo in risposta, lasciando che il sarcasmo avesse la meglio su di lui.
I tre ragazzi rimasero in silenzio per qualche minuto, osservandosi l’uno con l’altro mentre masticavano ingordamente i bignè al cioccolato. Inutile dire che tutti li trovavano squisiti.

«Avete parlato del contratto? Spero di si» incalzò di nuovo Harry, non curante del fastidio che quella domanda avrebbe procurato a Louis.

«No,» rispose come previsto l’amico, accigliato, «non abbiamo niente da dire. Non si accetta, e tanti cari saluti.»

Niall rimase in silenzio, totalmente in disaccordo. Non sapeva motivare bene la sua decisione, ma fin dal primo momento in cui gli era stata fatta quella proposta aveva sentito il forte impulso di accettare qualunque fossero state le condizioni. Era come se fosse la cosa giusta da fare in quel preciso momento della sua vita.

«Io voglio firmare, invece» si intromise a sua volta, palesando il suo disappunto.

«Ma va, non mi dire!» continuò di nuovo Louis, con un velo di cattiveria e ironia.

«Louis, stai calmo. Ha solo detto la sua opinione, non fare la merda come al solito! Tu piuttosto, perché vuoi firmare?»

Per l’ennesima volta Harry si era dimostrato il più maturo di tutti nonostante fosse, di fatto, il più giovane. Se c’era qualcuno che era davvero in grado di fare da collante tra loro cinque era proprio Harry, che col passare del tempo aveva capito come rendere i suoi compagni di viaggio quattro delle persone più importanti della sua vita.
Niall si strinse nelle spalle, strofinandosi un occhio.

«Non c’è un perché, voglio farlo e basta. Non sono andato al college, non ho una prospettiva di vita migliore di quella che avevo prima, e poi mi sono abituato al lusso. Non vedo perché dovrei rinunciare.» sentenziò sicuro.

«E tutto quello sbattimento, i viaggi, le notti insonni, i manager che ti dicono quando e come andare a pisciare, i paparazzi, gli insulti, le fan assatanate.. quello ti manca?» continuò Louis, rimanendo ben poco sulla difensiva.

«Che c’entra? Quella è l’altra faccia della medaglia! O prendi o lasci, e io voglio prendere.»

Harry, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, continuava a riflettere su quello che era appena stato detto. In fin dei conti Niall aveva ragione, cosa avrebbe potuto fare nella vita se non il cantante? Non che fosse uno spendaccione, quello no, ma presto o tardi i soldi sarebbero finiti comunque, e qualcosa avrebbe dovuto inventarsi. D’altra parte però anche Louis non aveva tutti i torti. Per tre lunghi anni erano stati trattati come delle macchine senza sentimenti e soprattutto erano stati considerati inesauribili, come se loro non potessero mai essere stanchi o prendersi un momento per riposarsi. Che fare, quindi? Gettare via una simile occasione era uno spreco di dimensioni epiche, considerando anche che i discografici stessi li avevano cercati per primi.

«Io non lo so, ragazzi» disse poi alzando la voce, quasi per mettere fine ai suoi ragionamenti mentali.

«Ma dobbiamo pensarci ora?» ribadì Louis infastidito, «Quanti giorni hanno detto che abbiamo? Cinque? E allora abbiamo tempo.»

«Si ma il tempo passa, Louis!» lo canzonò Niall, alzandosi dalla sedia e riponendo tazze e tazzine nel lavello della cucina.

«Già...» concluse Harry infine, ancora intendo a mescolare il suo caffè per far sciogliere lo zucchero.
 

Quel pomeriggio era uno di quei tipici, lunghi, interminabili, tremendamente noiosi pomeriggi londinesi, dove una persona normale provvista di lavoro, impegni e famiglia non avrebbe saputo come e dove raccapezzarsi per trovare il tempo necessario per fare tutto; mentre, per persone come Louis Tomlinson, era semplicemente un altro pomeriggio da coma, con un bel niente da fare, da dire o da organizzare.
Si era anche stufato di uscire per fare dei giri a vuoto o per prendere un caffè, dato che la maggior parte delle volte il caffè doveva prenderlo da solo e senza che qualcuno di interessante rompesse il silenzio dei suoi pensieri.
Harry ormai era fin troppo indipendente e spavaldo e faceva di continuo la spola tra Holmes Chapel e Londra, continuando a blaterare quanto la cosa gli pesasse ma quanto anche, in realtà, gli mancassero i suoi affetti lontani. E poi aveva il suo bel da fare con tutte le gatte morte che gli giravano attorno, quindi era assolutamente off limits.
Niall ormai era una specie di vampiro biondo, più mascolino e meno brillantinoso di Edward Cullen. Passava quasi tutte le sue serate in palestra a rifarsi il fisico – e a buttare giù le tonnellate di calorie che ingeriva – e le sue giornate a letto, per recuperare le ore di sonno che quella fastidiosissima insonnia gli stava portando via con l’andare dei mesi.
Zayn era… Zayn. Non era cambiato di una virgola. Se ne andava a spasso tutto il santissimo giorno, con il suo fidatissimo pacchetto di sigarette e la sua smania per i tatuaggi, anche se durante gli anni di fermo aveva improvvisamente realizzato quanto quei tatuaggi fatti di fretta e uno dietro l’altro fossero stati un errore. Ma pazienza, “gli errori di gioventù sono anche i ricordi migliori”, così ripeteva sempre.
Liam invece era diventato improvvisamente serio e pacato, noioso quasi. Era l’unico che aveva instaurato un “nuovo rapporto” con le vecchie fan, nonostante la fine della loro carriera fosse sembrata a tutti permanente. Per una serie di sfortunate coincidenze – o forse no – era anche l’unico che continuava ad essere seguito dai paparazzi, di tanto in tanto. Forse perché era ancora felicemente accasato con la ballerina Danielle, o forse perché era sempre sembrato a tutti il più serio e coscienzioso, quindi il più affidabile per estorcere informazioni riservate o scoop.
E quindi si ritornava di nuovo a Louis, l’unico che sembrava davvero aver messo un enorme lucchetto alla porta che guardava sulla sua vita da cantante e superstar. Per questo esatto motivo, lui più degli altri, sentiva questo impellente bisogno di trovare un qualcosa da fare o da farsi, che dir si voglia. Infatti, dopo essersi stancato della sua pluriennale relazione con la studentessa londinese (o quasi) Eleanor, aveva deciso di mollare tutto quanto e ripartire da zero. Si era trovato in estrema difficoltà davanti a lei, quel mattino, quando aveva deciso di troncare lì la loro storia. Perché? Perché non sapeva che dire, o meglio, lo sapeva ma era del tutto cosciente di quanto quella scusante fosse stupida e immatura agli occhi della ragazza, ma sfortunatamente per lui, non ai suoi.
Era l’abitudine che l’aveva ammazzato. Lui era sempre stato un tipo dinamico, iperattivo, irrazionale, incontrollabile; non sapeva dare stabilità e tanto meno sapeva come gestirla, eppure aveva accolto nella sua vita la persona tra le persone più stabili al mondo. Perché non c’è niente di più stabile di una studentessa innamorata, piuttosto benestante, e in procinto di laurea. Non che non ci stesse bene assieme, per carità, era una ragazza carina e disponibile, ma tutto ha un limite. E lui quel limite l’aveva superato da un bel pezzo.

«Buongiorno. Vorrei un muffin e un latte scremato. Non bollente se possibile.»

La cameriera lo guardò storto, come erano soliti fare tutti. La sua ordinazione non era strana o impossibile, anzi, era una ordinazione normalissima, ma la gente il più delle volte non badava a quello che Louis Tomlinson diceva, ma a come lo diceva.

«Altro?» incalzò la ragazza, un po’ stralunata.

«No, altrimenti glielo avrei ordinato prima.»

Di nuovo la cameriera gli tirò un’occhiataccia e poi sparì dietro al bancone, intenta a riscaldare il latte per il suo ordine.
Louis a quel punto lasciò cadere il pesante giaccone sulla sedia, e scacciò il flusso di pensieri che lo stava impegnando fino a qualche istante fa. Poi allungò la mano al tavolino di fianco al suo e incominciò a leggere una rivista di gossip a caso, senza arte né parte.
Con suo immenso disinteresse poteva notare che i tabloid inglesi non erano cambiati di una virgola, nonostante lui non fosse più sulle loro copertine. Trattavano sempre i soliti argomenti frivoli, inutili, e lo rendevano nervoso, mentre si chiedeva se anche la sua carriera, come quei giornali, fosse sempre stata ricoperta di frivolezza e superficialità.
Addentò il suo muffin con nervosismo, mentre fissava la cameriera intenta nel suo lavoro per poi lanciare un’occhiata svogliata fuori dalla vetrata di quel cafè dall’aria un po’ francese.
Com’era bello l’Hyde Park. Era da sempre il suo posto preferito per passare del tempo da solo o anche in compagnia, e quello scorcio di parco che riusciva a intravedere dalla vetrata gli sembrava una meraviglia, come al solito d’altra parte.
Stava mescolando distrattamente il suo latte scremato rigorosamente non bollente quando una figura catturò la sua attenzione. I capelli aggiustati in un cignon piuttosto sbilenco, qualche ciuffo ribelle che le incorniciava il volto, un grosso ma elegante giacchino invernale e una sciarpa che ne oscurava quasi del tutto il volto. Ma quella tonalità di biondo l’avrebbe riconosciuta ovunque, senza dubbio.
Non ne era sicuro, non poteva esserne sicuro, ma lei le assomigliava tantissimo. Anche se ci aveva parlato per qualche minuto la sua memoria era sfocata, soprattutto per via del buio di quella sera, e non avrebbe mai potuto avere la certezza se non chiamandola per nome. L’unico indizio che aveva su di lei.

«Giselle?»

La ragazza srotolò la sciarpa dal suo collo e la infilò nella borsa che stava portando con se. Poi ordinò un cappuccino e un bignè, il tutto senza nemmeno badare a lui o alla sua chiamata.

«Giselle!» azzardò di nuovo Louis, questa volta con tono imperioso e insoddisfatto.

Questa volta la ragazza si voltò, guardandolo un po’ storto, e poi prese la sua tazza e il suo bignè e si diresse al tavolo di Louis, senza proferire parola.

«Dovresti smetterla di chiamarmi Giselle, ti hanno informato male.» gli borbottò in risposta, mentre masticava in maniera posata – per quanto fosse possibile – il suo bignè.

«Tanto lo so che sei tu.» la canzonò Louis, assolutamente sicuro di se.

«Ti farei vedere la patente ma ce l’ho nell’altro portafoglio. Ah.. aspetta! Se vuoi ho il libretto universitario. Ti può andare bene? Così finalmente la smetti di chiamarmi Giselle.»

«E se non ti chiami Giselle, come ti chiami?»

La ragazza prese una bustina di zucchero e la svuotò per metà nella tazza, poi poggiò il rimanente sul piattino vuoto che le era rimasto. Alzando lo sguardo incontrò quello di Louis, diffidente e scettico, e gli sorrise spavalda.

«Senti, mi ricordo di te, sei quello dello scialle, non è vero? Ti ho visto qua e la, di tanto in tanto, e vorrei sapere perché mi stai cercando.»

Dritta al punto. E’ una tipa tosta.

«Voglio sapere il tuo nome.» ribadì di nuovo Louis, incrociando le braccia, «E per la cronaca, non ti ho detto che potevi sederti qui.»

«Ti faccio una domanda, e voglio una risposta sincera. Rispondimi e poi ti dirò il mio nome.» continuò la finta Giselle guardandolo dritto negli occhi, «Hai parlato con Giselle? Quella vera, intendo. Ti ha detto lei di trovarmi qui?»

Quella vera? Ma che sta dicendo?! Trovarla? Trovarla perché?

«Non so di cosa tu stia parlando.» le rispose il giovane con voce ferma, «Vengo qui perché abito poco lontano e mi piacciono i muffin che fanno qui, e ti ho trovata per puro e semplice culo, cara Giselle. Non ho parlato con nessuno, non ho chiesto a nessuno, ho fatto tutto io. E suppongo che tu sia qui perché frequenti l’università a quindici minuti da qui, non è vero? Ripeto: questione di culo.»

La ragazza si allarmò improvvisamente. Se era del tutto estraneo voleva dire che quello non era un appuntamento e che quindi avrebbe dovuto andarsene da lì il prima possibile. Eppure le pareva che Giselle le avesse accennato una cosa di questo tipo, solo che davvero non riusciva a ricordare cosa.

«Bene. In questo caso... addio. E smettila di cercarmi, mi infastidisce.»

«No! Non te ne vai senza dirmi il tuo nome!»

«Oh si invece! Guardami, me ne sto andando, ti saluto con la mano, ciao, adios, tante care cose!» esclamò la ragazza, pagando il conto in fretta e furia e uscendo dal locale.

Louis ebbe l’impeto di alzarsi ma si trattenne. Perché interessarsene così tanto? Era solo una stupida ragazzina dai gusti raffinati. Poteva andarsene al diavolo, per quanto lo riguardava.
Così imbracciò di nuovo il suo cappotto e si avviò alla cassa indispettito, con la piena intenzione di pagare il suo conto. Mentre la cameriera batteva sicura sui tasti della cassa, si lasciò scappare una risata complice, un po’ all’improvviso.

«Che tipo, eh? Io la adoro! Ha questo modo di fare così spigliato e posato, è grandiosa.»

Louis strabuzzò gli occhi, piuttosto sconcertato, e poi si maledisse mentalmente. Perché doveva essere amica proprio della cameriera che aveva trattato male? La solita sfiga.

«La conosci?»

«Si chiama Lydia, viene qui quasi tutti i pomeriggi da un paio d’anni, frequenta l’univ...»

«L’università qui vicino, già, immaginavo.»

La ragazza gli porse gli spiccioli di resto e poi alzò le spalle, un po’ sconsolata. In realtà non se l’era presa per il trattamento che aveva ricevuto prima, ormai ci era abituata.

«Come hai detto che si chiama?» incalzò di nuovo Louis, un po’ sospettoso.

«Lydia!» gli rispose la cameriera stranamente gioisa, «E non prendertela, è fatta così, un po’ misteriosa. In questi anni mi ha solo detto il suo nome, figurati. Magari tu sarai più fortunato! Buona giornata!» gli disse infine, dirigendosi verso un tavolo con dei nuovi clienti.

«Buona giornata un corno...» bisbigliò di infine il ragazzo, sospirando pensieroso. 















Stasera sarò poco loquace, promesso. 
Ho avuto la sessione esame e ora sono iniziati i corsi, ecco perchè sono così lenta ad aggiornare. Però poi anche la poca affluenza mi destabilizza un poco ma come sempre sono fiduciosa, o almeno cerco di esserlo! 

Dite tutti ciao a Lydia, la nostra ragazza del mistero che avrà tanti segreti da svelare e tante cose da insegnare a Louis! Spero vi piaccia sia come personaggio sia come presenza nella storia in genere, ci tengo molto :) 

Quindi che dire? Grazie a tutti in anticipo e buona lettura!
A presto, bacio. 

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Capitolo 4
*** III. ***






III. 
 

Run, run like you do, I'm chasing you
I'm on your tail, I'm gaining fast


 

Lydia rientrò nella sua stanza del dormitorio con passo felpato e allarmata, quasi temendo che qualcuno la stesse inseguendo o pedinando. Stupide paranoie, è colpa di Ginny!, pensava mentre apriva lentamente la porta.
Non che avesse granché cose da nascondere – o forse si – ma al resto del mondo non doveva di certo importare. Cosa faceva, come lo faceva e perché lo faceva era affar suo, a prescindere da tutto quanto.

Non appena Ginny la sentì rientrare balzò sulla sedia e si finse imbronciata, con uno sguardo che però faceva trasparire un’apparente tranquillità ritrovata.

«Ti avevo chiesto di avvisarmi quando te ne stai in giro per ore! Lo sai che ti aspetto, e io sono una persona ansiosa!»

Lydia strizzò gli occhi, subendo la strigliata dell’amica impassibile e dispiaciuta; d’altra parte sapeva bene di meritarla tutta quanta.

«Hai ragione, scusami.»

«Che palle. Dove sei stata?»

«Dopo la fine dei corsi mi sono fermata in biblioteca e poi sono passata al solito cafè, per mangiare qualcosa, ma me ne sono andata senza aver ordinato...»

«E perché?» incalzò di nuovo la ragazza, piuttosto incuriosita.

«Oh, Ginevra! Sei sempre tu quella che mi dice di non parlare con gli sconosciuti, e di non accettare favori da estranei, o no? Ecco! C’era un estraneo fastidioso!»

Ginevra sospirò, e una volta chiuso il libro di chimica che aveva usato fino a qualche minuto prima, si strinse nelle spalle, un po’ dispiaciuta. In effetti lei aveva uno strano modo di relazionarsi col mondo, e a lungo andare questo aveva condizionato anche la sua compagna di stanza, ovvero Lydia. All’inizio non si piacevano neppure, anzi, la loro era una convivenza forzata, ma volenti o nolenti avevano imparato a rispettare l’una gli spazi dell’altra e finalmente si erano capite.
Ginevra era paranoica, per usare un eufemismo. Da sempre aveva questa diffidenza nei confronti del mondo e del genere umano che l’aveva portata ad essere iperprotettiva in tutto, soprattutto con se stessa e con le persone a lei vicine, parenti e non. Era una ragazza estremamente riservata, chiusa, per certi aspetti taciturna e a volte sospettosa, ma fondamentalmente una brava ragazza.
Aveva avuto pochi contatti con gli umani in genere, e volendo escludere i genitori e la sorellina di sei anni, tutto ciò che le rimaneva era Lydia, la sua compagna di università nonché coinquilina, e qualche sporadico amico del liceo che non si era dimenticato di lei. Triste, vero, ma sempre meglio di niente.

«Mi dispiace! Lo sai che sono fatta così, sto in pensiero.» borbottò poi in risposta, sfoderando i suoi occhioni da cucciolo dispiaciuto.

«No, hai ragione tu, avrei potuto mandarti un sms. Però sai che mi dimentico, devi avere un po’ di pazienza con me...» le rispose Lydia, mentre srotolava lentamente l’avvolgente sciarpa che portava al collo, per poi appendere il giacchino sull’attaccapanni.

«Non è che per caso devi farti una doccia?» incalzò di nuovo, riallacciando il discorso con l’amica.

«Ehm... suppongo che tu debba chiamare quel non-so-chi di cui non mi parli mai, e non vuoi che senta niente. Giusto?»

«Mi dispiace!» esclamò di nuovo la ragazza, «Un giorno te lo dirò, promesso, ma per ora non posso. Ho bisogno che questa cosa rimanga così... un po’ segreta.»
Ginevra sospirò di nuovo, e poi si trascinò fino al cassetto dove teneva ordinatamente la sua biancheria intima. Afferrò qualche indumento e poi prese l’accappatoio, continuando a strascicarsi come se fosse in fin di vita.

«Ok... ci metterò più o meno dieci minuti. Fatteli bastare.» le rispose poi, mentre si chiudeva in bagno e avvitava la serratura.

Lydia si sentì terribilmente in colpa, ma aveva bisogno di consultare Giselle. Se non l’avesse fatto subito, probabilmente il tutto sarebbe slittato al giorno successivo, e lei avrebbe potuto rincontrare quel ficcanaso che tanto la angustiava, e la cosa non le andava per niente a genio.
Così compose in fretta e furia il numero della ragazza, boccheggiando d’ansia con il passare di ogni squillo.

«Ehi, com’è che mi chiami a quest’ora?»

«Ho un problema, G, un problema bello grosso. Ma non tanto alto, con gli occhi azzurri e un caratteraccio, e questo problema mi sta seguendo. Voglio dire, mi sta cercando.»

Dall’altra parte del telefono nessuno proferì parola. Questo silenzio stava pian piano distruggendo tutte le speranze che Lydia aveva riposto in Giselle e nel suo buon cuore. Speranze che, molto probabilmente, erano solo nella sua testa.

«... E lo conosci?»

Il tono della domanda era sommesso, pacato, ma indagatore. Lydia cominciò a muovere freneticamente il piede, in preda all’ansia.

Si. No. Più no che si. O forse un po’. Ma è comunque si. Ma anche no. Lo conosco o no?

«Di vista... direi.» rispose, fin troppo angustiata, «E’ quel ragazzo che mi ha riportato lo scialle quella sera, te lo ricordi? Non so perché mi stia cercando, pensavo avesse già parlato con te...»

«Ma almeno conosci il suo nome?»

«No, Giselle... te l’ho detto, pensavo avesse parlato con te prima.»

Dall’altra parte della cornetta cadde il silenzio per la seconda volta. Giselle era più grande, era più esperta, e forse era proprio questo il motivo per cui Lydia soffriva così tanto la sua soggezione. Allo stesso tempo però si era rivelata un’ottima amica, pronta a tenderle la mano – e a salvarla – nel momento più critico della sua vita.

«Come pretendi che possa capire se ha già parlato con me se non sai nemmeno dirmi il suo nome?» incalzò furiosa la ragazza, rompendo il silenzio.

«Non lo so, ti ho chiamata per questo! Dimmi cosa devo fare, ti prego G.»

Giselle dall’altro lato sospirò, piuttosto sconsolata. Era snervante riparare i casini delle principianti ansiose come Lydia, ma doveva ammettere che si era dimostrata fin troppo all’altezza delle sue aspettative, e ormai non poteva più rinunciare a lei.

«Cercalo tu, la prossima volta. Voglio che ti dica chi è, perché ti cerca e cosa vuole da te, o da me. Devo farglielo dire, Lydia. Lo sai che la discrezione è tutto.»

«Lo farò, Giselle; promesso. Ti ringrazio.»

«Chiamami appena sai qualcosa, a meno che non ci sia la necessità di risentirci prima. E ti prego, tranquillizzati e dormi serena. Un bacio.»

Non appena cadde la linea, Lydia si sentì immediatamente sollevata. Il pallore che il suo viso aveva acquistato durante la conversazione stava diminuendo di secondo in secondo, e i suoi valori stavano tornando nella norma.
Pura e semplice soggezione, o forse vero e proprio terrore: non sapeva dire cos’era quella cosa che provava nei confronti di Giselle, ma sapeva che di lei c’era da fidarsi sempre e comunque. Era una tipa con le palle, ed era vergognosamente in gamba.
Qualche secondo più tardi, quando Ginny incominciò a trascinare di nuovo il suo corpo fuori dal bagno, Lydia la guardò storto e le tirò un’occhiataccia, un po’ contrariata.

«Avevamo accordato dieci minuti, signorina!»

«Oh senti! Non lamentarti, eh! Dimmi dove la trovi un’altra compagna di stanza che si fa la doccia a comando!» protestò Ginevra imperiosa, mostrando una marcata insofferenza. 

«Si, hai ragione, scusa.» rispose poi Lydia, di nuovo dispiaciuta, «Ma comunque non lo dico per me, lo dico per te. Sappi che se mai dovessi trovarti immischiata in questo affare dovrò ucciderti.»

L’amica si voltò all’improvviso, semi sconvolta. Con lei si perdeva persino il gusto di fare gli scherzi, dato che praticamente cinque volte su cinque avrebbe creduto a tutto. Balle improbabili comprese.

«Sto scherzando! Guarda come sei sbiancata!» esclamò Lydia, ridendo di gusto.

«Una di queste volte ti ritrovi a dormire in corridoio, Didi.»

«Non chiamarmi Didi.»

«Perché non posso? Tuo fratello lo fa.»

«Tu non chiamarmi così.»

«E tu non prendermi per il culo.» affrettò ancora Ginny, mentre riassettava la sua metà della stanza.

«Ok, promesso. La prossima volta ti dirò la verità, ammesso che tu la voglia sapere...» concluse Lydia, facendo trasparire un velo di tristezza dalle sue parole.
 
 



«L’ho trovata alla fine, sai?»

Niall lo guardò storto, prima di rispondere un po’ svogliatamente alla domanda di Louis. Non che la cosa non gli interessasse, lui amava fare conversazione, solo che quel momento era il momento sbagliato. Diciamo, assolutamente sbagliato.

«Chi?»

«La ragazza, quella che stavo cercando qualche sera fa. Hai presente? Tu che rubi il cinese di Harry, e ti addormenti sul nostro divano, no?»

«Ah, quella.» rispose di nuovo Niall, stralunato, «E come hai fatto?»

«Questo è il bello. Non ho fatto assolutamente niente. E’ come se lei fosse venuta da me.»

A quel punto Liam si schiarì la voce in modo lento e forte, per richiamare la loro attenzione. I due amici si voltarono all’unisono e, mentre abbassavano lo sguardo colpevole, ammisero di essere stati beccati in pieno.

«Voi due che fate comunella, diteci cosa ne pensate.»

Louis guardò Niall e Niall guardò Louis. Dire che non avevano la minima idea di quello di cui gli altri tre ragazzi avevano discusso fin’ora era un eufemismo bello e buono. Harry, Liam e Zayn, infatti, avevano appena sprecato gli ultimi quaranta minuti delle loro vite a ragionare e ragionare su cosa fare del contratto e di tutte quelle clausole ad esso annesse, senza però cavarne un ragno dal buco.

«Ehm... io sono d’accordo» ribadì Louis con tutta la nonchalance che aveva, mentre fingeva di aver seguito la conversazione.

«Seh» sbottò Harry in risposta, sarcasticamente.

«Che hai da ridire?»

«Non hai ascoltato un cazzo fino ad adesso, Louis. Come puoi essere d’accordo?»

Louis incrociò le braccia e le portò al petto, assumendo la sua classica posizione da prima donna imbronciata col mondo.

«Sono d’accordo nel non firmare il contratto.»

I ragazzi rimasero in silenzio, un po’ angosciati. Si chiedevano perché si fosse intestardito così tanto su quella decisione che sembrava aver preso, ma di cui in realtà non era sicuro nemmeno lui.
Era semplicemente il solito Bastian contrario, come era sempre stato negli ultimi anni a questa parte. Si lamentava sempre del fatto che ormai le sue giornate fossero vuote e noiose, non avendo niente di meglio da fare e non avendo la necessità di trovarsi un lavoro, ma comunque questo non gli aveva fatto cambiare idea. Così continuava a ciondolare, e a rifiutare quella piccola via d’uscita che sembrava essersi piazzata nella loro strada.

«La maggioranza avrebbe deciso di firmare, però...» azzardò Liam un po’ sottotono e timoroso.

«Si, lo so. Cosa ci posso fare io?»

«Puoi cambiare idea, per esempio!» esclamò Harry palesemente infastidito, «Dato che se rinunci tu, fai rinunciare anche noi non ti pare il caso di ripensarci un po’ su?! Devo rileggere il contratto o te la ricordi la clausola del “o tutti o nessuno”?!»

Louis sbuffò, palesando per l’ennesima volta il suo malumore. Perché dovevano stargli tutti così addosso e innervosirlo? Infondo lui non stava facendo niente di male, e cercava sempre di non rompere a nessuno, secondo il suo motto: “Vivi e lascia vivere”.

 «Mi fate innervosire.» sbottò poi, senza muovere un solo muscolo del suo corpo, con tono freddo e distaccato.

«Ti stiamo solo chiedendo di pensarci su ancora un po’. Fino a domani sera, Louis. Noi ci teniamo.»

Zayn non era mai stato uno di grandi parole, anzi, lui preferiva di gran lunga i gesti ai bei discorsi, e questo rendeva il suo intervento ancora più intenso e commovente, come se quella voce da cucciolo maltrattato che sfoggiava al momento giusto non bastasse.

«La cena è domani sera, non è vero?»

Di nuovo tutti i ragazzi annuirono all’unisono, con un barlume di speranza negli occhi e le espressioni meno tese.

«Ok, perfetto. Starò in silenzio stampa fino a domani sera. Non voglio che nessuno di voi mi parli fino ad allora, perché solo domani saprete cos’ho deciso. Intesi?»

«Nemmeno io?» azzardò Harry, quasi scherzando, «Io e te viviamo insieme. Qualcosa dovrai pur dirmi!»

«Si. Buongiorno, e buonasera. Fine della storia.» rispose Louis piccato, e di nuovo irrimediabilmente infastidito.

Harry scrollò le spalle piuttosto noncurante, e poi prese Liam sottobraccio, mentre Zayn faceva strada agli altri per uscire dal suo appartamento.
Ormai lo conosceva a memoria, come le sue tasche: non c’era bisogno di scannarsi  quando fingeva di essere perennemente arrabbiato col mondo, Louis era fatto così, ma sbolliva nel giro di mezz’ora scarsa. Matematico, come le lancette di un orologio; e questo Harry lo sapeva bene.
A quel punto Louis, rimasto indietro e ancora seduto sulla sedia a braccia conserte, sospirò piuttosto abbattuto. Poi prese la sua immancabile felpa rossa e se l’infilò sbadatamente, senza assicurarsi che fosse messa bene o che non fosse spiegazzata.
Doveva ammettere che faceva fatica a stare loro dietro. Sembravano essere tutti così entusiasti, e felici, e di nuovo allegri, come se le fatiche e le delusioni del passato non fossero mai accadute. Lui invece non ci riusciva, non sapeva farlo: non sapeva dimenticare. Si, certo, si era divertito a girare il mondo e riempire arene e teatri, ma il prezzo da pagare per tutto quello era sempre stato troppo alto, e quando finalmente si era liberato da tutto ciò, era riuscito a tirare un sospiro di sollievo, cosciente del fatto che avrebbe potuto riprendere il controllo della sua vita.

Mentre camminava distrattamente verso casa, si rese conto di aver preso la strada più lunga, che solitamente lo porta al cafè che a lui piace tanto. Alle dieci di sera però non l’avrebbe di certo trovato aperto, sarebbe stata una cosa folle.
Fermo immobile davanti alla vetrata, invece, scorse la solita cameriera indaffarata a riassettare i tavoli, mentre una collega altrettanto indaffarata lavava il pavimento qua e la, senza essere troppo scrupolosa.
Quando la ragazza alzò lo sguardo e lo vide, subito gli fece cenno di rientrare per parlare con lei. Louis aggrottò un sopracciglio e poi entrò, stranamente incuriosito.

«Oh, ciao. Non pensavo di vederti così presto! So che passi spesso di qua ma pensavo di trovarti qui solo domani, ma meglio così.»

Louis, ancora indeciso se intraprendere una conversazione si o no, si infilò le mani in tasca e annuì, quasi a farle capire che la stava ascoltando. Stranamente.

«Beh, non so come tu ci sia riuscito, ma l’hai colpita.»

«Ho colpito cosa?» le chiese il ragazzo più che mai confuso.

«Non cosa, chi! Lydia! Sto parlando di lei...» iniziò la cameriera con una irrefrenabile voglia di spettegolare, «E’ passata prima, nel tardo pomeriggio, per lasciarmi una cosa per te!»

«Per me?!»

«Si, per te! E’ strano, non è vero? Quando l’ho vista entrare di nuovo ho pensato che avesse dimenticato qualcosa, dato che non erano passate nemmeno due ore, ma invece voleva te!»

Louis strabuzzò gli occhi, completamente stranito da quello che stava sentendo. Da quando in qua si erano invertiti i ruoli? E cosa voleva da lui? Aveva incominciato lui questo gioco, e non era previsto un cambio di regole. Non senza il suo permesso.

«E cosa ti ha dato, per me?»

«Un foglietto, e tre sterline. Ha detto che il latte che prenderai domani lo offre lei...»

«E chi l’ha detto che domani verrò qua?» sbottò di nuovo il ragazzo, ritornando ad essere il solito maleducato.

«Lei! Ti aspetta qui, vuole rivederti. E’ scritto tutto qui.» gli rispose poi la cameriera, frugando nell’enorme tascone del grembiule alla ricerca del famosissimo bigliettino.
Non appena riuscì a trovarlo, subito lo porse a lui che lo afferrò furtivo, come se quella cosa non dovesse vederla nessun’altro.

«Beh, ora, se non ti dispiace stiamo chiudendo. Mi raccomando, non darle buca! E’ la prima volta che non fa la misteriosa con qualcuno... potresti essere il fortunato!»

Louis abbozzò un sorriso forzato e poi uscì dal locale di buon grado, salutando le due ragazze con un cenno della mano piuttosto frettoloso.
La curiosità lo stava divorando, ma doveva resistere. Avrebbe aperto quel bigliettino solo una volta arrivato a casa, psicologicamente e mentalmente pronto a leggerne il contenuto – neanche fosse stata una bomba ad orologeria –.
Percorse la strada a ritroso in tutta fretta, con lo sguardo basso e le mani in tasca, attento che nessuno intralciasse il suo cammino.  Prese l’ascensore del suo condominio e scandì il passare dei piani con un ticchettio delle dita, che sembrava essere una via di mezzo tra una sindrome nevrotica e un semplice tic nervoso.
Tolse le scarpe e appurò che in casa non ci fosse nessuno, come previsto. Probabilmente Harry sarebbe rimasto fuori con uno degli altri tre compagni d’avventura a passare il resto della serata a sputtanarlo come era abitudine tra loro; ma poco gli importava: lui doveva leggere quel biglietto, il resto era superfluo.
Si accomodò sul divano e incrociò le gambe mentre estraeva il bigliettino dalla tasca sinistra della felpa. Non sapeva bene per quale motivo lo stesse trattando come una sorta di reliquia o reperto archeologico di massima importanza, ma finalmente l’aveva per le mani, e poteva leggerlo in santa pace.

 



«Sei un ficcanaso, e io detesto i ficcanaso; ma siccome detesto di più
essere la preda e non il cacciatore, ho deciso che si fa a modo mio.

Domani pomeriggio, solito tavolo, solito posto. 5.00 pm.
Fatti trovare o verrò a scovarti proprio come tu hai cercato
di fare con me. E sappi che a nascondino ero imbattibile...
sapevo nascondermi come pochi e stanavo sempre tutti quanti.


xoxo, la finta Giselle»













 

Tadaaaaaan. Risorgo dalle ceneri della mia assenza come le fenici, solo che io sono decisamente meno figa delle fenici. Ma questo è un altro paio di maniche. 
Dunque, passiamo alle cose serie: mi scuso immensamente per questo increscioso ritardo. Non mi era mai successo, se devo essere sincera, ma di questi tempi non ho nemmeno il tempo per respirare, figuriamoci per scrivere! Ad ogni modo farò del mio meglio, e cercherò di essere più regolare. 

Di nuovo vi introduco un tassello in più nella storia, che in realtà spaventa tutti, e che quindi gasa l'autrice (aka me). Vi prego di calmare gli animi e vi garantisco che tutto vi sarà più chiaro a tempo debito - ammesso che non vi stanchiate di me prima! - 
Quindi, mi fermo qui e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Recensite e/o preferite/seguite, lo sapete che mi rimepite di gioia :)

Un bacio grande, 
Giuls

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Capitolo 5
*** IV. ***





IV
 

maybe that's what happens when
a tornado meets a volcano


 

Quando Louis finalmente riuscì a scorgere un angolo dell’immensa vetrata del solito cafè - posto che ormai stava seriamente iniziando a dargli noia -, il suo ritardo poteva quantificarsi con nove minuti esatti. Non che lui amasse essere in ritardo, però per cause di forza maggiore era sempre portato ad esserlo, e, già che c’era, aveva deciso di far aspettare la povera Lydia giusto un po’, considerata la sua frenesia e la sua fretta nel volerlo incontrare.
Tutto nella norma, quindi: era il solito Louis Tomlinson che esprimeva al suo massimo potenziale la sua innata insolenza.
Entrando nell’ampia sala centrale, scorse Lydia di spalle al solito tavolo che tamburellava con fare isterico sul ripiano, mentre una tazza di cappuccino davanti a lei aveva smesso di fumare da chissà quanto.

«Ciao.» le disse in tono serio, mentre si spogliava del giaccone e lo appendeva ordinatamente all’attaccapanni dietro di lui.

«Sei in ritardo. Di undici minuti. Io odio i ritardatari.» sentenziò Lydia in risposta, per niente scherzosa.

«Temo che il tuo orologio sia avanti di qualche minuto, io ne conto solo nove.»

La ragazza inspirò profondamente e deglutì l’abnorme rospo che aveva in gola, decidendo - saggiamente - di non attaccare rissa con quel perfetto sconosciuto.

«E poi comunque mi hai chiesto tu di venire qui, no? Quindi credo che dovrai sopportare la cosa.» continuò Louis accomodandosi sulla sedia, estremamente calmo e rilassato.

«Bene, non importa. Tanto sarà una cosa rapida e indolore.»

«Hai degli impegni?» incalzò il ragazzo, fingendosi interessato.

«No, ma ad ogni modo non è affar tuo.»

«Beh, io si. Ho una cena più tardi, quindi arriviamo al punto e tanti saluti.»

Lydia deglutì rumorosamente, ingoiando di nuovo un po’ di rabbia. Se sua madre fosse stata lì, in quel momento, sarebbe stata assolutamente fiera del suo autocontrollo, il quale era la proverbiale dote di famiglia ma che lei non aveva chiaramente ereditato. O per lo meno, non fino a quel momento.

«Perfetto. Una sola domanda: cosa sai di me?»

Louis indietreggiò con il capo, un po’ guardingo, e rimase in silenzio. Ma che razza di persona era mai quella? Era antipatica, un po’ troppo sbruffona, decisamente astuta, e... fin troppo bella. Ma la cosa non lo sconvolgeva granché; aveva già avuto a che fare con presunte modelle un po’ montate, ammesso e non concesso che lei fosse una modella.

«Bene.» iniziò di nuovo il ragazzo, incrociando le mani sopra il tavolo, «So che ti chiami Lydia, non so quanti anni hai, ma so frequenti l’università qui dietro, anche se non so dire precisamente dove abiti. Poi, posso dire con sicurezza che sei antipatica e un po’ troppo altezzosa per i miei gusti, ma non credo che questo sia riportato nella tua carta d’identità.»

«E Giselle? La conosci?»

«Per me eri tu Giselle, se vuoi proprio saperlo.»

«E chi te l’aveva detto?»

«Il cameriere.»

«Che cameriere?»

«Mi sto annoiando.» concluse poi Louis, cambiando bruscamente l’argomento della conversazione.

Lydia sbuffò e incrociò le braccia, piuttosto infastidita. In genere lei era brava con le persone, riusciva subito ad entrare in contatto con loro, a capirle; come mai non riusciva a capire lui? Se lui la riteneva antipatica, la cosa era senz’altro reciproca. Anzi, più che reciproca.

«Mi hai detto che hai un impegno, e io sto facendo in fretta.» obiettò la ragazza, mentre con un gesto chiamava la cameriera qualche tavolo più lontana.
Louis la fissò con la coda dell’occhio, piuttosto annoiato. Aveva una dannata voglia di alzarsi e andarsene senza aggiungere altro, ma purtroppo la cosa non gli sembrava affatto consona. E poi, per qualche perverso motivo, si stava anche quasi divertendo.

«Me l’aveva detto il cameriere del ristorante, quello in cui ci siamo visti la prima volta, quando ti ho riportato l’affare che usavi come soprabito. O qualcosa del genere.»

«Si chiama scialle!»

«Ecco brava, quello.»

«Capisco...» continuò Lydia, pensierosa, «Vuol dire che dovrò cambiare ristorante.»

«Fai un po’ come ti pare.» la canzonò Louis, del tutto indifferente.

«E perché mi segui?»

«Io non ti seguo. Ti ho trovata per caso, è diverso; e ti ho trovata proprio quando avevo smesso di cercarti. Il che è strano, ma non che ci faccia attenzione.»

Lydia si lasciò scappare un sorriso, realizzando che ormai la situazione era distesa e tranquilla. Cominciava a sentirsi a suo agio, anche se quel soggetto un po’ la intimidiva, particolare com’era.

«Sei buffo.» aggiunse poco dopo, nascondendo una risata con una mano.

«Io non sono buffo! Sei tu che sei una stramba!»

«Sai cosa mi ripete sempre la mia compagna di stanza? Di non parlare con gli estranei, ma io continuo a cascarci.»

«Dovresti darle retta, allora»

«Lo so, ma che ci posso fare? Amo perdere i pomeriggi parlando con estranei buffi.»

«Io non sono buffo!» ripeté di nuovo Louis, con il medesimo tono di voce di qualche minuto prima.

Dopo aver annotato con cura gli ordini precedenti, la cameriera si avvicinò al loro tavolo, sorridente e compiaciuta. Era come se si prendesse il merito di quell’incontro, quando in realtà lei aveva semplicemente consegnato quel famoso bigliettino.

«Cosa vi porto?»

«Per me niente, grazie» si affrettò a rispondere Louis, con un gesto della mano.

«Un cappuccino» rispose invece Lydia, sorridendo, «Extra latte per favore. Il mio amico lo preferisce così.»

La cameriera sorrise e annotò sul suo fedele block notes l’ordine, mentre con la coda dell’occhio riusciva a vedere chiaramente Louis che, tutto imbronciato, incrociava le braccia per palesare il suo dissenso nei confronti di quel cappuccino che lui, chiaramente, non voleva.

«Perfetto; vi serve dell’altro?» aggiunse ancora, risollevando il capo e fissando a turno prima Lydia e poi Louis.

«No, ti ringrazio; a posto così» le rispose Lydia, sorridendo e inclinando leggermente la testa.

La ragazza fece per andarsene, allontanandosi di qualche passo, e poi tornò indietro bruscamente, come se avesse dimenticato di comunicare qualcosa di tremendamente importante.

«Comunque... siete carini. Voglio dire, voi due insieme. Siete carini.» ripeté di nuovo, mentre questa volta si allontanava tranquilla e soddisfatta.

«Impicciona» sbottò Louis, fermo immobile nella sua posizione di perenne diva incazzata con l’universo mondo. A pensarci bene, qualcuno avrebbe seriamente potuto dargli un premio o una medaglia, considerando la velocità con cui si arrabbiava e poi se la faceva anche passare da solo.

«Non essere così sgarbato; cercava solo di essere carina.» gli rispose Lydia, per niente indisponente.

Louis liberò le braccia, e si mise a fissarla, senza nemmeno essere troppo discreto. Cos’aveva di particolare quella ragazza? Tra una cosa e l’altra, aveva già passato mezz’ora in sua compagnia, eppure per tutto il tempo aveva avuto la sensazione di essere appena arrivato. Forse erano le sue risposte a brucia pelo, o forse questo suo modo di essere schietta ma spigliata, rude ma posata, che lo confondevano. Non sapeva bene dirlo, e, pensandoci bene, non sapeva neanche come affrontare questo tipo di persone.

In ventiquattro lunghi anni di vita, lui era sempre stato quello simpatico, musone, ma anche pazzo e un po’ troppo saccente. Non c’era mai stato nessuno in grado di mettergli i piedi in testa, o di farlo sentire a disagio fino ad ora. Ma non che si sentisse a disagio con Lydia, certo che no, Louis Tomlinson non si sente mai a disagio con nessuno, però.. qualcosa c’era. Forse un qualcosa di piccolo e insignificante, ma pur sempre un qualcosa.

«Posso sapere perché hai tutti questi segreti?» le chiese poi di punto in bianco, cambiando radicalmente discorso per intavolare una conversazione piuttosto seria.

«Io non ho dei segreti. E’ solo che mi piace essere riservata, e per conto mio. Quello che faccio e perché lo faccio non deve essere di dominio pubblico, non deve interessare a nessuno al di fuori di me. Non sembra una cosa così scriteriata, non ti pare?»

«Ma dove hai imparato a parlare così?» replicò di nuovo Louis, azzardando l’ennesima domanda un po’ troppo personale.

«Mia madre, lei è fissata con queste cose. Dice che un medico è giudicato, in principio, per il suo lessico. Non si può diagnosticare ad un paziente una febbre chiamandola solo febbre: a suo parere bisogna usare un linguaggio adeguato, che non faccia intendere al paziente subito e per inciso la sua patologia. “Bisogna colpirli alla prima impressione, ma con classe”, dice lei, e io non sono del tutto in disaccordo.»

«Wow» sentenziò a quel punto il ragazzo, piuttosto basito, «Sei una ragazzina di alto borgo, quindi.»

«Primo: non sono una ragazzina; secondo: non sono per niente una figlia di papà, credimi. Non sono neppure inglese.»

«Questo l’avevo notato. E poi, comunque, di certo non puoi essere più vecchia di me, quindi rimani comunque una ragazzina, ragazzina

Lydia sorrise. Il suo era uno di quei sorrisi furbi e calcolati, che fanno intendere il mondo senza nemmeno aggiungere una parola; uno di quei sorrisi disarmanti, pieni, misteriosi.
Non avrebbe voluto di certo farlo sfigurare usando una delle sue risposte piccate, quindi rimase al gioco, continuando la conversazione come se niente fosse.

«Forza, sentiamo: quanti anni avresti, signorino rivendico-la-mia-anzianità?»

«Ventiquattro.» scandì Louis, annuendo un poco e accentuando il peso di quella parola. Non che fossero tanti, quei ventiquattro anni, ma erano comunque sufficienti sotto tanti punti di vista. Per esempio bastavano per farlo sentire vecchio quando andava a prendere le gemelline all’uscita del liceo; bastavano per farlo sentire fuori luogo in uno di quei cinema all’aperto dove davano per l’ennesima volta I Pirati dei Caraibi, il suo film preferito da sempre; bastavano anche per farlo sentire maturo rispetto ai suoi amici e, soprattutto, maturo rispetto a lei, che su per giù, non avrà avuto di più di diciannove anni.

«Andiamo! Non dirlo come se fossero un centinaio più di miei! Pensavo peggio, e invece hai solo tre anni più di me.»

«Uh...» biascicò il ragazzo stralunato, «Hai l’età di Harry.»

«Chi è Harry?» gli chiese la ragazza, avvicinandosi un poco e arricciando il naso.

«Il mio coinquilino, nonché migliore amico, nonché la persona più cara che ho al mondo. Dopo mia madre, s’intende.»

«Doooolce»

«Smettila!!»

«Che ho detto?»

«Non usare il sarcasmo con me, ragazzina

Lydia si portò una mano alla bocca e soffocò una risata, temendo di sembrare troppo scortese nel caso avesse dovuto ridergli in faccia.
Era divertente. Quel ragazzo era divertente. Ma la cosa più divertente del suo essere divertente è che non lo faceva a posta, lo era e basta. Il suo roteare gli occhi nei momenti più sbagliati, i cambiamenti d’umore repentini, le risposte a brucia pelo e del tutto fuori luogo. Erano tutte cose divertenti. Anzi no, spassose.

«Bene, ora devo andare. Grazie per avere risposto alle mie domande comunque, ehm...»

Louis la guardò, incuriosito. Era come se avesse capito che stava per dire qualcosa, ma non capiva cosa.

«Che c’è?»

«Non so il tuo nome.» annunciò Lydia un po’ delusa, realizzando solo in quel momento che aveva assolutamente trascurato quel particolare.

«Ah già. E’ vero.» le rispose Louis a sua volta amareggiato, convinto - per qualche ragione a lui sconosciuta – che lei lo conoscesse già, «Mi chiamo Louis.»

«Bene... Louis. Grazie per essere venuto; grazie per aver risposto alle mie domande; e prego, offrirti il cappuccino è stato un piacere.»

A quel punto il ragazzo si alzò dal tavolo, riassettando un poco il maglione dai lembi spiegazzati, e alzò le spalle, quasi a dirle “Non c’è di che”.
Con lo sguardo seguì in silenzio Lydia che si rivestiva: la vide attorcigliare la sciarpa color burro al collo, indossare il giacchino blu notte, e indossare il berretto di lana che si abbinava perfettamente al colore della sciarpa, facendola sembrare una versione reale di Barbie Va in Montagna.
La ragazza gli sorrise di nuovo e poi si allontanò, con passo sicuro ma tranquillo. Poteva ritenere la sua missione compiuta, aveva scoperto quello di cui aveva bisogno.

«Aspetta!» esclamò Louis da dietro, «E se io trovassi Giselle, e le chiedessi di te, cosa succederebbe?»

«Probabilmente ci rivedremmo di nuovo!» esclamò in risposta Lydia, raggiunta ormai l’entrata.

«E mi dirai chi sei, a quel punto?»

«Forse, non lo so! Dovrai guardagnartelo, ragazzino!» gli rispose di nuovo la ragazza, lanciando un sorriso complice per poi uscire dal cafè.

Louis sospirò, si risedette al tavolo, e poi iniziò a fissare il cappuccino davanti a lui. Era diventato freddo, e berlo significava andare contro ogni sua regola morale contro il caffè, ma ormai era già stato pagato; perché sprecarlo?
 
 





Era in ritardo. Di nuovo.
Due appuntamenti in una giornata, uno di relativa importanza e l’altro di vitale importanza, e lui si era presentato in ritardo ad entrambi. In sua discolpa, però, Louis poteva assolutamente biasimare quella ragazzina che tanto lo stuzzicava e la decisione importante che si era trovato di fronte. Insomma, mica pizza e fichi.
Mentre camminava a passo spedito verso il solito ristorantino italiano che aveva scelto il discografico, tutto bardato e ben coperto dalla sua sciarpa in lana merinos, intravide Harry che camminava avanti e indietro come un pazzo, in preda al panico.

«Guarda che farai il solco se continui così.»

Harry si bloccò all’improvviso, lanciando un’occhiata fugace all’interno del ristorante per controllare che Liam e Niall stessero ancora intrattenendo il discografico, e poi si precipitò furente verso di lui.

«Venticinque minuti, Louis! Venticinque cazzuti minuti! Ma si può sapere dove sei stato?!»

«A pensare.» rispose il ragazzo piccato, glissando del tutto il tono di voce – e il rimprovero – dell’amico.

«E’ tutto il pomeriggio, anzi no, ma che dico? Tutta la settimana che non fai niente, e ti sei ridotto a decidere oggi?! Sei un cretino!» esclamò di nuovo Harry, al massimo della sua incazzatura.

«Si Harry, ti voglio bene anche io, ma ora credo sia meglio entrare.» gli rispose Louis, sorridendo beffardamente e prendendolo sotto braccio.

Harry strinse violentemente i pugni, facendo svanire in un secondo quell’impeto di rabbia, e assecondò l’amico che ormai sembrava aver preso il controllo della situazione.
Non aveva nemmeno il coraggio di chiedergli cos’aveva deciso, era troppo prematura la cosa, e poi lui non voleva avere nessun tipo di privilegio nei confronti degli altri membri della band; su questo era sempre stato irremovibile.
Quando Liam li vide entrare, tirò il più grande sospiro di sollievo di tutta la sua vita, e invitò il discografico ad accomodarsi, mentre anche gli altri prendevano posto.

«Mi scuso per l’increscioso ritardo,» azzardò Louis, tentando di mettere una qualsivoglia pezza alla situazione, «ma sono passato a fare visita a Zayn, giusto per controllare come stava. Tutto sotto controllo, si riprenderà presto.»

Il discografico arricciò il naso, poco convinto della scusa che gli era appena stata propinata, ma fece finta di crederci per il bene dell’affare che – forse – stavano per concludere.

«Ne sono felice, ma ad ogni modo la presenza del signor Malik non è vincolante ai fini della conclusione del contratto. Se la sua firma è già presente, la sua presenza qui è del tutto irrilevante.»

Liam roteò gli occhi, infastidito da quell’affermazione. Zayn Malik non era irrilevante, per l’amor del cielo! Lui era più che rilevante, era rilevantissimo; secondo il suo modesto parere, ovviamente. 

«Si signore, la sua firma è già presente.» rispose Harry, allungandogli la copia del contratto redatta appositamente per Zayn.

«Molto bene. Se volete consegnarmi anche le altre quattro copie.»

In quel preciso istante tutti si voltarono verso Louis, impauriti. Dov’era la sua copia del contratto? L’aveva firmata? L’aveva portata? O forse l’aveva strappata?
Louis sorrise a tutti, con fare ironico, e poi dalla tasca del giaccone fece uscire un cumulo di fogli spiegazzati e pure un po’ usurati, ma per lo meno intatti. I tre ragazzi tirarono un sospiro di sollievo, già un po’ eccitati per il nuovo capitolo delle loro vite che stava per cominciare.

«Però...» azzardò il ragazzo, con voce piuttosto acuta, «Avrei un’altra richiesta. Non trattabile.»

Di nuovo, tutti si voltarono verso di lui – discografico compreso – con espressione basita, scioccata, sconvolta, e chi più ne ha, più ne metta.

«Che tipo di richiesta?» incominciò l’uomo, mentre apriva la sua stilografica di oro zecchino.

«Vorrei aggiungere una clausola al mio contratto, se possibile. E come ho detto la cosa non è trattabile: o viene aggiunta, o io non firmo.»

«Louis, che clausola?» sbiascicò Liam, non sapendo più che pesci pigliare.

«Una clausola riguardante la privacy; voglio dire, la mia privacy, non quella del gruppo.» gli rispose il ragazzo, assolutamente serio e irremovibile.

«E... di cosa si tratta?» chiese di nuovo il discografico, piccato e del tutto inanimato.

«Voglio avere il pieno controllo sulla mia vita privata.» spiegò Louis, annuendo, «Voglio poter fare, dire e frequentare chi voglio, senza nessun tipo di vincolo o limite. Non voglio che questa venga in nessun modo strumentalizzata o commercializzata per nessun motivo a me sconosciuto o no. Non voglio essere assoggettato a limiti di tempo o durata di nessun genere, e, cosa più importante, voglio che la cosa rimanga privata fin quando io stesso lo riterrò opportuno.»

Liam, Niall e Harry spalancarono le bocche all’unisono, sconvolti dalla sua richiesta e dal suo lessico così perfetto. Il discografico invece, che aveva trascritto il tutto parola per parola non batté ciglio e rimase in silenzio.
A quel punto Louis alzò le spalle, quasi a volersi giustificare, e poi rivolse l’attenzione al discografico che sembrava aver preso una decisione; bella o brutta che fosse.

«Molto bene. Affare fatto; la clausola verrà aggiunta al suo contratto.»

«Perfetto. In questo caso sarà mia intenzione passare nei vostri uffici nella giornata di domani per firmare il contratto con le modifiche apportate.»

«Voialtri, invece, avete qualcos’altro da aggiungere?»

Di nuovo all’unisono i tre ragazzi scossero le tre teste come se non ci fosse un domani, ancora intontiti e increduli per quello che era appena successo.

«Allora posso ufficialmente ritenere la fase di negoziazione conclusa. Porterò io stesso i documenti in archivio per far presente che il contratto è stato concluso, e lei, signor Tomlinson, si ricordi di passare a firmare il suo contratto modificato o l’intero affare salterà. Detto ciò, con permesso signori. E’ stato un onore fare affari con voi; a buon rendere.»

I quattro ragazzi si alzarono in piedi e, a turno, strinsero la mano al discografico, senza proferire parola.
Non appena l’uomo fu abbastanza lontano, Liam, Niall e Harry si voltarono verso Louis, a metà fra l’arrabbiato e il felice, per chiedere delle spiegazioni.
Il ragazzo in risposta sorrise beffardo, e poi prese la bottiglia di prosecco e riempì i quattro calici quasi fino all’orlo. Poi li prese uno ad uno e li porse agli amici, invitandoli a brindare.

«Allora, festeggiamo si o no?» chiese poi, alzando il suo calice al soffitto. 















Eccomiiiiii. E ci terrei a sottolineare che, ragazze mie, ho fatto prestissimo!
Bene, quindi. Il fatidico incontro, il fatidico contratto; è tutto scritto qua nero su bianco. E' come ve lo aspettavate? Meglio, peggio, orrendo? Ditemi voi, sono completamente e assolutamente pronta ad ascoltarvi! 
Se mi date del tempo la storia si farà più intensa, ma d'altronde siamo solo al quarto capitolo. No?

Vvb, e grazie a tutti quelli che hanno recensito/preferito/seguito.
Besos,
Giuli.

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Capitolo 6
*** V. ***





 

V.

don’t let the world cave in,
just tell me that you’ll stay.





«Com’è che stai sempre appresso a quel computer?»

«Ho da fare.» rispose Louis piccato, intento a fissare lo schermo del suo portatile che cambiava ogni due secondi a causa delle sue ricerche.

«Hai intenzione di dire qualcos’altro, non so... riguardo al contratto, per esempio? Perché hai aggiunto quella cosa?»

«Ho già detto tutto quanto. Mi sembrava di essere stato chiaro.»

«Louis.»

«Sì, Harry; quello è il mio nome. Ti dispiace lasciarmi in pace due secondi? Ho una cosa urgente da sbrigare.»

Harry roteò gli occhi, piuttosto infastidito. Ci provava sempre, in continuazione; voleva instaurare una conversazione il più civile possibile con lui, soprattutto perché per qualche strana ragione gli mancava il suo migliore amico, ma ogni volta che pronunciava quella parola, “contratto”, Louis diventava intrattabile. Eppure ormai aveva firmato, la cosa era ufficiale, perché continuare ad atteggiarsi da ragazzina frustrata?

«Devo forse inviarti una richiesta per iscritto per avere una conversazione semi-umana? Ho solo bisogno di scambiare due parole, non mi sembra così assurdo.»

«Si, ma non adesso. Ho da fare, Harry. E adesso vado a prendere un po’ d’aria, ci si vede dopo. Però quando torno parliamo; promesso.»

Che Louis fosse una persona suscettibile era risaputo; l’unica cosa che però non si riusciva mai a capire era quale fosse il suo limite di suscettibilità, e molto probabilmente in quel momento era fin troppo basso. Ad ogni modo era sua abitudine cercare di rimediare a quel suo caratteraccio cercando di sganciare qualche parola dolce ogni tanto, soprattutto con Harry, nella speranza che quest’ultimo, affettuoso com’era, gliela prendesse per buona. Inutile dire che ci riusciva praticamente quasi sempre.
A quel punto Harry scrollò le spalle, senza badarci troppo, e lo lasciò andare via, mentre lo osservava raccattare le sue scartoffie e il suo computer per uscire piuttosto pensieroso. Volendo, poteva anche già immaginare dove sarebbe andato, tanto lo conosceva bene, ma la cosa era del tutto priva di importanza. L’importante era che, presto o tardi, sarebbe tornato; e possibilmente di buon umore.
 
 



Mentre aspettava impaziente fuori dall’uscio della porta, Louis se ne stava solo soletto con il suo computer sotto l’ascella e continuava a dondolarsi sulle punte dei piedi, in attesa della risposta.
Quando Zayn, piuttosto sorpreso, gli aprì la porta, il ragazzo entrò in fretta e furia in casa, senza nemmeno chiedere il permesso o se, magari, fosse impegnato.

«Sei contagioso?» azzardò invece, annusando un po’ di qua e di la e sorprendendosi che l’aria sapesse di buono; brezza marina, gli sembrava.

«No, il peggio è passato. Ho solo un po’ di tosse e raffreddore, ma niente vomito ormai» rispose Zayn, chiudendo la porta precedentemente spalancata.

«Siamo sicuri?»

«Guarda che te ne puoi anche andare, eh, sei hai così tanta paura..»

«Come sei scontroso! L’influenza ti ha reso rachitico! E poi non ho paura, è solo che odio il vomito di qualsiasi genere, specialmente quello da influenza.»

«Ma ti ho detto che mi è passato! E poi mia madre è stata qui ieri, e ha spalancato le finestre.. non c’è più un germe neanche a pagarlo.»

«Perfetto; allora posso stare qui.» concluse Louis, togliendosi il giubbino in jeans per sedersi a gambe incrociate sul divano.
L’appartamento di Zayn era poco lontano dal suo, su per giù una decina di minuti a piedi, motivo per cui era uscito di casa senza nemmeno recuperare il giaccone pesante.
Londra in quei giorni non si lasciava scappare più nulla, e le temperature si erano abbassate fin troppo. Ma ormai si sapeva, Natale era vicino e quel freddo semi polare non faceva più paura a nessuno.
Zayn si diresse in cucina per allungare un bicchiere di succo all’arancia all’amico, mentre sorseggiava il suo che si era preparato prima per evitare di berlo freddo da frigo. In realtà non aspettava visite, e molto probabilmente nemmeno ne voleva, ma ormai Louis era da considerarsi di famiglia, e alla famiglia non si dice mai di no.

«Litigato con Harry?»

«No; però ho bisogno di fare delle cose e lui continua a starmi addosso, ma gli voglio bene lo stesso.»

«Come ti pare...» gli rispose di nuovo, mentre riponeva il suo bicchiere vuoto nel lavello, «Senti, io stavo per farmi un bagno con quei sali miracolosi di mia madre, o balle varie. Se chiama un tizio americano, tu rispondi; è una cosa importante. Ok?»


Louis si voltò stralunato, non tanto dalla richiesta dell’amico che comunque un po’ gli pesava, ma più che altro dal resto della frase. Che tizio americano? Per quale motivo?

«Cos’è, ti fai arrivare l’erba buona dall’America?» commentò Louis, scoppiando in una risata isterica.

«No, coglione! E’ il regalo di compleanno per mia madre, sono mesi che ci sto dietro. E poi comunque anche se fosse a te non dovrebbe interessare!»

«Seh seh, vai a farti il bagno che si sente che sono giorni che non ti lavi!»

Zayn si guardò intorno e poi si annusò l’ascella, un po’ allarmato: lui non puzzava, giusto? Perché Zayn Malik non puzza; anche dopo una settimana di intensa influenza intestinale e sinusite, giusto?
Senza dare risposta, Zayn si avviò piuttosto impacciato verso il bagno, mentre lo sguardo vigile di Louis controllava ogni suo passo: prima lo sentì riempire la vasca, per scaldare l’acqua; poi lo vide tornare in camera per prendere dei boxer puliti e quella che sembrava essere una di quelle felpe che non metteva più dai tempi di X Factor, cosa che gli stappò un sorriso nostalgico; e infine lo vide tornare in bagno per spargere i sali che Trisha gli aveva comprato chissà dove, e poi la porta si chiuse.
Louis tirò un sospirò di sollievo, e iniziò le sue ricerche.
Aveva questa voglia matta di trovare questa Giselle per riuscire a vedere di nuovo Lydia e quindi essere in grado di dirle “Ehi ragazzina, lo vedi che infondo non sei così introvabile come credi?!”, ma in realtà sapeva bene che non sarebbe andato da nessuna parte considerando i risultati della sua ricerca la prima volta; ma tanto valeva provare.

Aveva iniziato da poco a scartabellare quando il cellulare di Zayn iniziò ad illuminarsi, poco lontano da lui. Una volta afferrato, comprese che il tizio americano aveva anche un nome, che risultava essere Arthur Collins, e poi si decise a rispondere piuttosto diffidente.

«Pronto?»                           

«Signor Malik? Si sente meglio, oggi?»

«Si, salve.. io non sono il signor Malik, ma sono un suo carissimo amico incaricato di rispondere al telefono nel caso in cui lei avesse chiamato. Quindi, mi dica.»

«Oh, buon pomeriggio. Non era niente di importante, volevo solo far sapere al mio cliente che sono atterrato a Londra una mezz’ora fa, e potremmo già incontrarci nel pomeriggio, qualora fosse libero da impegni.»

«Si figuri, che impegni vuole che abbia! E’ appena uscito da un’influenza intestinale, ed è ancora piuttosto pallidino, ma la aspettiamo volentieri nel pomeriggio! Arrivederci signor Collins!»

Così, una volta congedato il famoso tizio americano, ritornò sulla sua ricerca dai risultati assolutamente discutibili e, visto e considerato che Zayn non avrebbe impiegato meno di una quarantina di minuti per uscire dal bagno, si mise tranquillo in attesa di trovare qualcosa. Certo, partiva piuttosto svantaggiato, ma purtroppo o per fortuna sperava in una di quelle botte di culo epocali che capitano una volta nella vita, o quasi.
 
 



«Prego, si accomodi pure!» esordì Zayn, comportandosi da buon padrone di casa mentre apriva la porta al tizio americano ormai giunto a destinazione.

«Buon pomeriggio, spero di non disturbare..» rispose l’uomo piuttosto titubante, con il suo impermeabile al braccio e la fidata ventiquattrore nella mano.

«No, anzi, la stavo proprio aspettando.. il compleanno di mia madre si avvicina.» replicò Zayn, indicando all’uomo l’elegante attaccapanni in ferro battuto affinché potesse appoggiarci ciò che voleva, «E non si preoccupi del mio amico, ha promesso che rimarrà in silenzio per tutta la durata del nostro incontro!»
Louis, sentendosi preso in causa, distolse la sua attenzione dallo schermo del computer e con un cenno salutò l’uomo, quasi a volergli far capire che la persona con cui aveva parlato al telefono qualche ora prima era proprio lui.

«Posso fare una domanda? Poi giuro che sto zitto» chiese poi, voltandosi prima verso Zayn e poi verso il signor Collins.

«Si certo, chieda pure.» gli rispose l’uomo, sorridendo un poco.

«Niente, volevo solo sapere perché lei è qui... voglio dire, di cosa si occupa.»

Il signor Collins lo guardò con aria perplessa, chiedendosi se il signor Malik fosse davvero così riservato o se, semplicemente, avesse preferito tenere tutto segreto fino alla fine delle trattative.

«Io gestisco una galleria d’arte moderna a New York, poco distante da Central Park. Il signor Malik ha richiesto la mia consulenza qualche mese fa, affinché io potessi trovare un quadro di arte moderna da regalare a sua madre per il compleanno; e queste cose richiedono molto tempo, ecco perché sono atterrato a Londra proprio questa mattina, così da esporre al mio cliente tutte le soluzioni che ho trovato. Ma noi ci conosciamo da diversi anni; ricordo anche la vostra ultima visita alla mia galleria, qualche giorno dopo il vostro concerto sold out al Square Garden. Bei tempi, immagino.»
Zayn annuì un po’ rammaricato, ripensando a quel concerto per cui si erano preparati settimane di fila, nonostante fosse piuttosto inutile considerando il  costante allenamento vocale a cui erano sottoposti.
Louis, invece, si limitò ad annuire convinto, come se ricordasse esattamente quella volta in cui aveva messo piede nella sua galleria, nonostante l’arte fosse una di quelle cose che lo annoiavano di più in assoluto.

«Ah, capisco! Beh allora sono sicuro che avrà trovato esattamente quello che Zayn stava cercando.»

«Ti sembra una cattiva idea? Intendo, il regalo per mia madre.» intervenne Zayn, un po’ spaesato dalla reazione piuttosto taciturna dell’amico. In effetti era strano che Louis non avesse fatto nemmeno un commento a riguardo, dato che lui aveva sempre da ridire su tutto.

«No, per niente! Se a tua madre piacciono queste cose mi sembra una trovata geniale.»

Zayn, piuttosto sollevato dalla risposta, sorrise euforico e poi fece strada al signor Collins per dirigersi nell’open space poco lontano, dove avrebbero potuto parlare in tranquillità senza essere disturbati da Louis e dal suo confabulare.
Mentre discutevano dei dettagli, l’uomo d’affari appoggiò distrattamente il suo prezioso Blackberry sul bracciolo del divano, prima di allontanarsi a passo sicuro, piuttosto immerso nella presentazione delle caratteristiche di questo sconosciuto artista proveniente dai sobborghi del Queens che lui aveva prontamente già contattato.
Louis seguì la scena con la coda dell’occhio, curioso com’era, e poi riprese tranquillo a fare le sue ricerche. Continuava a pensare a questa botta di culo che desiderava più che disperatamente, ragionando sul fatto che, magari, l’aveva già avuta, considerando che era stato ammesso a X Factor e poi era stata fondata la band, e bla bla bla.
Perso nei meandri del suo ragionamento quasi gli sfuggì di vista il telefono del signor Collins che si era improvvisamente illuminato. La suoneria era disattivata, cosa piuttosto strana per un uomo d’affari, e Louis pensò che forse era il caso di prendere in mano il telefono e comunicare il nome della persona che stava chiamando. Così afferrò il telefono e ne fissò le schermo per qualche secondo, mentre la vibrazione del palmare continuava a scuotergli la mano senza tregua.

Quante possibilità c’erano? Una su un milione, forse? No, probabilmente anche meno. Le probabilità che quella fatidica botta di culo lo colpisse proprio in quel momento sfioravano un numero piccolissimo tendente allo zero; eppure capì che qualcosa stava succedendo quando sul piccolo schermo illuminato comparve il nome “Giselle E.”
 






Quel pomeriggio era appena diventato il pomeriggio più assurdo di tutta la sua esistenza, per dirla tutta.
Aveva rubato il numero di quella Giselle dal cellulare del signor Arthur, correndo tutti i rischi che la cosa comportava. Con una scusa aveva poi liquidato Zayn e l’americano, senza avvisarlo della chiamata persa per non dare nell’occhio, ed era ritornato in fretta e furia a casa, dove, per sua fortuna, Harry non c’era. Per qualche secondo si era chiesto dove si fosse cacciato quel malandrino, ma poi, senza troppi indugi, si era deciso a chiamare quel numero nella speranza che i pochi indizi che aveva portassero alla giusta conclusione.
Ci aveva riflettuto parecchio, prima di premere il pulsante verde: era una cosa da psicopatici, e molto probabilmente anche da galera, ma si era anche convinto del fatto che avrebbe sempre potuto ammettere di aver sbagliato numero, fingendosi spaesato o magari improvvisando la sua mediocre cadenza francese; e poi aveva chiamato.
 
 




Piccadilly Circus non gli era mai sembrata così desolata.
Da solo, in mezzo a quel piazzale, continuava a fissare l’uscita della metro, ben sapendo che, se fosse uscita, lei sarebbe uscita da lì. O almeno così gli era stato detto. Un luogo pubblico, all’aperto, e sotto gli occhi di tutti: tipico posto dove i criminali aspettano altri criminali per compiere i loro traffici loschi; e il solo pensiero gli dava la nausea. Non era una persona paurosa, ma se si fosse cacciato in un guaio bello e buono, che avrebbe fatto? Meglio non pensarci, concluse tra sé.
Non era nemmeno sicuro fosse la persona giusta, e per questo esatto motivo si era dato dell’idiota prima e dopo la chiamata, e anche mentre raggiungeva il posto che gli avevano indicato. In effetti, non aveva elementi per affermare di esserne certo: la telefonata con questa Giselle era stata piuttosto vaga. Si era limitato a chiedere se fosse possibile restare nell’anonimato, e incontrare Lydia, promettendo che la cosa sarebbe stata piuttosto rapida. La ragazza all’altro capo del telefono aveva esitato qualche secondo, e poi aveva chiesto chi gli avesse fornito quel numero; a quel punto Louis aveva asserito di essere un conoscente del signor Collins e aveva garantito la massima discrezione, sperando che non venisse riferito niente al povero uomo d’affari; e poi si era ritrovato lì, a pensare.
Quando una figura cominciò a farsi sempre più nitida, mentre saliva le scale della metro, sentì il cuore in gola e le palpitazioni aumentare. In preda al panico gli sembrò anche di recitare un Padre Nostro, cosa del tutto insensata e inusuale per lui e, mentre rimaneva in attesa per gli ultimi secondi finali, sentì una voce familiare.

«Cos’è, uno scherzo?»

Quante probabilità c’erano? Una su un milione?

«No, nessuno scherzo.»

«Ma si può sapere che vuoi? Sei uno psicopatico o cosa?»

«Lo sai che non lo sono, altrimenti non saresti venuta.»

«Non mi avevano detto che avrei trovato te qui; altrimenti non sarei venuta di sicuro.»

Louis rimase in silenzio, un po’ sconfortato: era vero, aveva chiesto a Giselle di non comunicarle il suo nome; se n’era completamente dimenticato.

«Come stai?»

«Cosa vuoi, Louis?»

Il ragazzo tirò su col naso, ormai piuttosto raffreddato, e poi si avvicinò per vederla meglio. Era proprio lei; quella possibilità su un milione.

«So chi sei.»

Lydia sgranò gli occhi, e per un momento la paura nei suoi occhi fu così palese che sembrava quasi le fosse stata dipinta in faccia. “Negare ad oltranza”, era la regola da usare in quel momento.

«Senti, non so cosa sai o cosa pensi di sapere, ma credo che tu abbia qualche serio problema e che quindi tu abbia bisogno di un aiuto concreto. Stammi lontano, non voglio avere niente a che fare con te, e soprattutto fatti vedere da qualcuno.»

«So cosa fai.» ripeté Louis, del tutto noncurante delle minacce che gli erano appena state rivolte.

«Basta. Me ne vado.» sentenziò di nuovo la ragazza, mentre si  allontanava con passo sicuro e cadenzato.

«Ti prego, Lydia rimani; per favore. Dammi solo cinque minuti, non lo dirò a nessuno.»

La ragazza si fermò e si voltò, senza proferire parola. L’aveva chiamata per nome, questa volta. Lo conosceva poco, o meglio, per niente, ma si era già così abituata a sentirsi chiamare ragazzina che il suo nome pronunciato da lui quasi le sembrava il nome di un’altra persona.
Sentiva il cuore sbalzarle fuori dal petto, ed era la prima volta che le succedeva qualcosa di simile. La paura di essere scoperta non era mai stata così grande; ed ora doveva affrontarne le conseguenze. Conseguenze che lei pensava – e sperava – non sarebbero mai arrivate.
Era chiaro ormai: lui sapeva
Poco o tanto che fosse, lui sapeva. E non c’era cosa al mondo più spaventosa di quella. I suoi segreti avrebbero dovuto rimanere tali, e lei non gli aveva permesso di entrare nella sua vita, ma ormai non c’era più niente da fare, se non sperare che si spaventasse e se ne andasse da solo. Era un perfetto estraneo, ed ora stava per sottoporsi al suo giudizio senza nessuna riserva. Esisteva davvero qualcosa di peggio?


















Lasciatemi dire solo due cose veloci.
La prima: sono in ritardo, me ne rendo conto, ma sono stata risucchiata da quella cosa chiamata vita e non sono stata in grado di liberarmi fino a questa settimana, e mi dispiace; la seconda: questo e il prossimo capitolo sono piuttosto tosti, e delicati, e vanno scritti bene - per quanto sia possibile alla sottoscritta! -, quindi abbiate fede e vedrete che tutto si risolverà. 
Il capitolo VI, quindi il successivo, sarà la svolta. Ciò significa che molte di voi se ne andranno dicendo "Ommioddio, questa è una pazza sclerata!" - e avete anche ragione! - e altre di voi cominceranno a pensare "Questa è l'idea più malsana e geniale di tutta la storia", perchè io stessa non ricordo di aver letto fan fiction con storie simili. Quindi.... vedremo. 

Ps. se avete voglia, il mio nuovo progetto a-data-da-destinarsi, "Frammenti", vi aspetta senza paura! 

Vi adoro perchè mi ispirate; grazie infinite,
Giuli

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Capitolo 7
*** VI. ***




VI.


money is the anthem; God you're so handsome
money is the anthem of success

 


Camminando a passo spedito fra la folla, Harry si rese conto di essersi completamente dimenticato di lasciare una nota a Louis dove spiegava dove fosse andato, inventando la bugia di turno.
Ci aveva provato tante volte, a dirglielo. Qualche volta ci aveva passato l’intera notte per cercare le parole giuste, neanche fosse l’annuncio di una malattia grave o di un tumore, ma non ci era mai riuscito. In fondo la questione era semplice: si era iscritto all’università. Lo fanno molti ragazzi della sua età che dopo qualche anno sabbatico dalla vita finalmente si convincono, o quando invece finalmente riescono a prendere quel maledetto diploma dopo essere stati rimandati troppe volte; era una cosa normale, sana, ponderata. Eppure non era mai riuscito a dirglielo; mai.

Ehi Louis... mi sono iscritto all’università, lo sapevi?”, no. “Louis... ho bisogno di parlarti... sono uno studente universitario, adesso”, peggio ancora.

C’era però da ammettere che lui non gli aveva di certo semplificato le cose a lungo andare; anzi, si era fatto dei filmini mentali su come lui fosse diventato un forsennato estimatore del sesso femminile senza che lui avesse il tempo materiale di aprire la bocca per dire “no”, e poi aveva anche iniziato a farci quelle irresistibili battute sopra, cosa che Harry odiava e amava allo stesso tempo.
Però ormai Louis ci era troppo fissato, e gli dispiaceva far crollare tutti i suoi castelli da ragazzino arrapato, così alla fine aveva rinunciato nell’impresa sperando in un periodo più propizio. E poi era tornata la casa discografica, il contratto; poi era entrato in gioco questo suo fastidioso assenteismo, e poi il nervosismo, e di conseguenza ci aveva rinunciato definitivamente: era una guerra persa in partenza.
Ma lui aveva i suoi esami da sostenere, ora che era riuscito a prendere il ritmo e ci si era abituato, e per dirla tutta era anche piuttosto bravo. Riusciva ancora a ricordare il giorno della sua audizione dove davanti ai giudici aveva detto che avrebbe tanto voluto studiare legge, business, sociologia e chi più ne ha più ne metta; e così aveva fatto. L’indirizzo che aveva scelto, Business e Marketing del Mercato Europeo, gli piaceva parecchio e si era rivelato anche piuttosto utile, considerando come i discografici li avevano assediati per quanto riguardava tutte le clausole del contratto che riguardavano i guadagni, la pubblicità e tutte quelle cose. Ma lui era preparato; non era più un ragazzino sprovveduto, ora era un uomo: un uomo colto, preparato e maturato. O almeno amava pensare fosse così.
Uscì dalla caffetteria in tutta fretta, con il suo vassoio, dopo aver ordinato un the caldo macchiato e una cioccolata calda con un po’ di cannella sopra, come piaceva a lei.

Ci aveva messo un po’ a capirla, era piuttosto criptica come ragazza. Se poi ci aggiungiamo il fatto che sapeva benissimo chi fosse Harry Styles, e per due mesi abbondanti non si era capacitata del fatto che lui frequentasse la sua stessa università (anche se in un corso di studi diverso dal suo) e avesse parlato proprio con lei, la cosa diventava ancora più comica. Lui, ad ogni modo, aveva rispettato i suoi tempi e le sue condizioni, purché la studentessa più brillante dell’università lo aiutasse ad ambientarsi ed a passare i primi test attitudinali che avrebbero definito le sue conoscenze basilari e le sue capacità. Inutile dire che era riuscito a trovare il tutor più bravo dell’intero universo, considerando i risultati che aveva ottenuto.
Forse era il suo secondo anno alla facoltà di Medicina che la rendeva così capace, brillante e in gamba; o forse lo era sempre stata senza mai rendersene conto; questo lui non lo poteva sapere.
Quando la vide davanti l’entrata della biblioteca, con i suoi libri al petto e la berretta di quel corallo che non aveva mai visto prima, sorrise. Era davvero buffa ma non l’avrebbe mai cambiata con nessun’altra al mondo.

«Non ammazzarmi; sono solo dieci minuti!»

«Sei a casa tutto il giorno, Harry Styles! Spiegami perché arrivi sempre in ritardo! Odio le persone in ritardo.» gli rispose la ragazza, arricciando il naso all’insù.

«Si lo so, ed è per questo che ti ho portato la cioccolata calda. Con la cannella sopra, come piace a te.» le rispose a sua volta Harry, piegando un po’ la testa.

«Oh. Vedo che a lungo andare qualcosa hai imparato su di me. Quasi quasi mi commuovo!»

Harry scoppiò in una sonora risata, e poi staccò la tazza di cartone dal piccolo vassoio per porgergliela, mentre lei sorrideva di buon grado.

«Ha un profumo meraviglioso...» farfugliò la ragazza con gli occhi chiusi mentre annusava il fumo che usciva a piccoli ciuffi dal buchino della copertura di plastica sul tappo.

«Sono andato nel caffè qua di fianco; ormai conoscono il mio ordine a memoria, e mi trattano bene.»

«Forse stanno solo facendo i lecchini...»

«Piantala, testolina intelligente! Non tutti si ricordano di me, e soprattutto non tutti mi riconoscono ora che i miei ricci sono sempre soffocati da questo bellissimo berretto di lana.»

«Ma la tua faccia è sempre quella! Io ti avrei riconosciuto in ogni caso, sai. Anche se avessi avuto un burka, o un passa montagna, o la calza come i ladri di banche!»

«Si, questo lo so. Quante volte avevi detto di aver scaricato il singolo di One Thing? Dodici, non è vero?»

«Smettila di prendermi in giro! Quando ho saputo che vi avevano licenziato ci sono rimasta malissimo, e il mio amore è scomparso in un battito di ciglia! E comunque no.... erano quattordici, le volte.» sibilò di nuovo la giovane, abbassando un poco lo sguardo.

«Ma senti un po’! Quattordici, addirittura!» continuò Harry, prendendola in giro, «Ma ad ogni modo grazie, è stata una cosa carina. Ti piacevamo davvero così tanto?»

«Si...... sfido a trovare qualcuno a cui non piacessero gli One Direction; siamo seri, Harry.»

«Si, forse hai ragione...» commentò il ragazzo, ricordando i bei tempi di gloria. Gli costava davvero molto non dirle che in realtà tutte quelle cose stavano per tornare, doveva ammetterlo, anche perché pensava che lei ne sarebbe stata davvero felice. Presto o tardi gliel’avrebbe detto comunque, non sapendo se sarebbe riuscito o meno a proseguire gli studi, cosa che tra l’altro lo rammaricava parecchio.

«Bene. Ora possiamo entrare, playboy

Harry alzò le sopracciglia, rimanendo sul tono giocoso, e sbatté le palpebre più volte, fingendosi sorpreso. Amava prenderla in giro, e ancora di più amava seguire le sue buffe reazioni.

«Come hai detto? E tu che ne sai?! Ma pffffff» le rispose di nuovo, tirandole un buffetto sul fianco.

«Che fai? Tocchi? Lo vedi! Sei un playboy!»

«Ma smettila!» piagnucolò Harry, aprendo la porta vetrata della biblioteca di facoltà, «Entra, e muoviti anche! Si gela qui fuori.»

La ragazza sorrise e lo sorpassò mentre, con passo sicuro, stringeva i suoi libri forte al petto. Fece una panoramica dei tavoli e, con sua grande gioia, notò che quel pomeriggio non c’era praticamente nessuno in biblioteca a studiare, cosa a loro favore considerando che meno gente vedeva Harry, meglio era.

«Visto? Non c’è nessuno. Saranno tutti da Winter Wonderland.» commentò infine, scegliendo un tavolo e poggiandoci sopra la cioccolata calda ormai quasi finita, e i suoi libri.

«E ti credo! E’ una figata; tutti aspettano con ansia il Natale solo per quello, qui a Londra.»

«E per gli sconti da Harrods!»

«Harrods fa gli sconti? Da quando?» replicò Harry scioccato, «E comunque anche con gli sconti non tutti si possono permettere una sciarpa da 399 sterline, anziché 499.»

«Tu si.»

Il ragazzo si voltò verso di lei, un po’ indispettito. Doveva proprio ricordagli che il suo conto in banca era quello dei suoi genitori moltiplicato per dieci volte ogni cinque minuti? Doveva davvero? No, non doveva.

«Ti prego, non ripetermi per l’ennesima volta quanto io sia ricco sfondato; è snervante.»

«E’ un dato di fatto, non prendertela con me! Però un po’ ti rispetto, alla fine. Anche se hai una marea di soldi sei comunque alla mano, e soprattutto non te la pensi come di solito fanno i figli di papà; questo ti fa onore.»

«Io non sono un figlio di papà.» obiettò Harry, di nuovo scombussolato.

«Ma hai tutte le credenziali adatte! Sei di bell’aspetto, dalle buone maniere, con un fondo fiduciario spaziale, e in procinto di laurea. Beh... tra qualche anno in procinto di laurea; ma hai capito il senso.» borbottò di nuovo la ragazza, mentre gesticolava animatamente.

«Pensi che sia di bell’aspetto?» le chiese Harry, sorridendo sotto i baffi. Adorava metterla in difficoltà con queste domande estremamente banali, di cui, per altro, già conosceva la risposta. Da buona fan quale era stata, aveva sicuramente avuto un piccola cotta per ognuno di loro, solo che non aveva ancora capito quale fosse stata quella più forte delle cinque; e forse quello era il momento della verità.

La ragazza arrossì e abbassò repentinamente lo sguardo, mentre srotolava la sciarpa color burro che indossava. Perché continuava ad arrossire? Ormai lo conosceva da un po’, e lui era una persona del tutto normale e voleva essere trattato come tale; quindi perché arrossire? Era una cosa stupida, come la sua cotta. La sua colossale, gigantesca cotta da liceale mai cresciuta.

«Sarei una stupida ad affermare il contrario...» borbottò poi, rimanendo sul vago nella speranza che il discorso finisse lì.

«Dai, testolina buffa, siediti e iniziamo questo ripasso. L’esame è vicino.»

La ragazza annuì, palesemente sollevata, e poi si accomodò davanti a lui, mentre apriva al suo posto il libro di Economia Aziendale per interrogarlo sulla catena del valore, dare e avere, e cose simili. Cose di cui lei non sapeva praticamente niente ma che lui avrebbe dovuto sapere come l’Ave Maria, a dire del suo professore.
Così prese una pagina a caso e gli porse una domanda, seguendo con lo sguardo tutte le sue mosse. Mentre lo guardava scrivere sul foglio bianco uno schema per fornire una risposta il più esauriente possibile, si rese conto di una cosa. Qualcosa che probabilmente già sapeva, e aveva anche sempre saputo, ma che aveva appurato solo conoscendolo di persona e da vicino.

Però, è davvero bello e gentile, e dolce....

Persa nei meandri della sua adorazione/contemplazione, non si era nemmeno resa conto che Harry aveva iniziato ad esporle l’argomento della risposta, facendo attenzione ad usare un linguaggio il più specifico possibile.

«.... quindi fondamentalmente questo è il significato e il ruolo del leasing. Ti sembra che sia stato chiaro e preciso? Eh?»

«Si si; mi è sembrato di si.» gli rispose poi, tornando in sé all’improvviso.

«Bene, mi fa piacere. Ah, a proposito, mi sono dimenticato di dirti una cosa.»

«Che cosa?»

Harry sorrise, e poi allontanò il foglio tutto scarabocchiato per capovolgerlo e usare il lato ancora bianco per rispondere alla domanda successiva.

«Grazie mille, Ginny
 
 







«Quindi... come, come vi chiamate voi...?»

«Guarda che non siamo una razza aliena. Avevi detto che sapevi tutto, eppure mi sembri scioccato.»

«Sto elaborando! Credi che sia facile? Sono un casino di informazioni queste, e sono sconvolto» obiettò Louis, mentre giocherellava con delle monetine nella tasca del giaccone, tenendo lo sguardo basso.

«L’hai voluto tu. Se fosse stato per me ognuno sarebbe andato avanti con la sua vita, e tante care cose.»

«Lydia.»

La ragazza alzò lo sguardo, ancora stranita. Avrebbe dovuto smettere di farci caso, avrebbe davvero dovuto, ma il suo nome di battesimo non faceva altro che metterla a disagio. Tutto era migliore quando lei era solo “ragazzina”, ed erano due perfetti estranei senza segreti torbidi che li legavano. Se avesse potuto sarebbe tornata al loro primo incontro in un battito di ciglia, giusto per correggere le cose, o magari semplicemente ignorarlo.

«L’hai voluto tu; non lamentarti.»

«Smettila di essere sgarbata, tu non sei così.»

Ma come si permetteva? Era entrato nella sua vita senza nemmeno chiedere il permesso, si era imposto, ed ora voleva anche dettare le regole del gioco? Peccato che questo non fosse più un gioco.

«Escort.» sentenziò la ragazza sicura, quasi a volerlo ferire, «Veniamo definite così la maggior parte delle volte; e no, non faccio e non ho mai fatto sesso a pagamento, se te lo stai chiedendo.»

Louis scosse la testa, mentre si massaggiava le tempie con fare isterico. A dire la verità non l’aveva esattamente capito, ma gli indizi erano sempre stati davanti ai suoi occhi e lui non ci aveva messo molto a fare due più due; soprattutto quando, durante la telefonata, Giselle gli aveva chiesto come preferiva addebitare il denaro, se tramite carta di credito, bonifico bancario o magari dando le banconote al momento a Lydia.
Uno shock.
Sembrava così per bene, sembrava tutto tranne che.. una di loro. Non riusciva nemmeno a dirlo, a farne lo spelling, a pensarci; perché ci era rimasto così male? Infondo era colpa sua: si era intestardito su quella ragazza, aveva desiderato intensamente scovarla e scoprire cosa aveva da nascondere così gelosamente, ed ora che aveva la verità davanti questa quasi lo rivoltava. Perché non l’aveva capito da subito? La cena con due uomini più anziani, questa sua dipendenza da Giselle, la sua irreperibilità... era tutto sotto il suo naso; eppure non aveva capito.

«Questo dovrebbe rassicurarmi?» sentenziò scettico e indispettito dalla sua tranquillità mentre confessava una cosa del genere.

«Non lo so cosa dovrebbe fare. Tu mi hai fatto una domanda, io ti ho risposto. Questo è il mio lavoro: sono una escort; ciò significa che esco con uomini del tutto sconosciuti per presenziare con loro ad eventi, cerimonie, o soltanto per un’uscita come una cena o un pranzo. E per questo vengo pagata.»

«Perché lo fai?»

«Per soldi, cos’altro? Mi servono; le spese universitarie non si pagano da sole.»

«Stronzate.» asserì Louis piuttosto arrabbiato, «La tua famiglia è ricca, non ne hai bisogno.»

«Pensi questo? Davvero? Pensi che questi vestiti me li paghi mia madre? Sbagli. Tu non sai niente.»

«Spiegamelo allora.»

«E secondo te io dovrei spifferarti tutto come niente fosse? Sai già troppo per i miei gusti, e non so cosa tu possa volere ancora.»

«Con chi esci, di solito?»

Lydia alzò lo sguardo, che fin’ora era rimasto a fissare le sagome sfocate dei passanti, e si voltò verso di lui. Era così lontana da lui che non riusciva nemmeno a percepire la sua presenza, o a vedere i suoi occhi di quell’azzurro cristallino. Eppure lui era proprio davanti a lei, ma era come se ci fosse un burrone tra loro.

«Imprenditori, uomini d’affari, politici.» iniziò poi, in tono calmo e calcolato, «Sono tutti uomini che viaggiano molto per lavoro, e si sentono soli. Le loro famiglie o sono troppo lontane o li opprimono, e loro non sanno da chi andare per un po’ di compagnia. Così chiamano Giselle, e lei li aiuta. Ti sorprenderesti nel vedere quanto si sentono apprezzati se qualcuno li ascoltasse veramente, come facciamo noi. Per la maggior parte delle volte non c’è nemmeno un briciolo di malizia, ma solo tanta solitudine repressa.»

Louis continuò a scuotere la testa. Ad ogni parola che usciva dalla sua bocca rimaneva doppiamente scioccato, paralizzato, inerme. Da come ne parlava lei sembrava che non ci fosse niente di sbagliato, quando invece era tutto sbagliato.

«E come vi trovano?»

«Passaparola, nei limiti della massima discrezione. Sanno perfettamente che è anche nel loro interesse se non viene divulgato niente.»

«E non ti senti mai... sporca

La ragazza deglutì rumorosamente, incassando quel colpo che temeva sarebbe arrivato ma che la prese comunque alla sprovvista. Era difficile da accettare, lo sapeva bene; ed era per questo esatto motivo che da quasi due anni non aveva un fidanzato e teneva tutte le persone a lei più care fuori da quella faccenda, a costo di farle uscire dalla sua vita.

«Non è come pensi, te l’ho detto. Non faccio niente che non voglio fare, e questa è una mia prerogativa. Non c’è niente che possono costringermi a fare; assolutamente niente.»

Louis calciò un sassolino poco lontano, mostrando la sua predisposizione involontaria per il calcio. Era rabbia, quella? O repulsione? Non sapeva dirlo, ma era decisamente qualcosa che lo turbava.

«Non ti capisco; dovresti smetterla, nessuno ti obbliga a farlo. Avresti potuto fare la cameriera, o la commessa, e sarebbe stato lo stesso.»

«Una commessa non guadagna duemila sterline al mese; io si.» rispose la ragazza, con estrema schiettezza.

«Questa è follia. Pura follia.» sentenziò di nuovo Louis, aprendo le braccia e avvicinandosi a lei. Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma sentiva l’estremo bisogno di vederla meglio, di controllare che non fosse la persona sbagliata.

«Se ti faccio così tanto schifo, perché continui a parlare con me? Lasciami andare, io di certo non insisterò per restare e nemmeno ti implorerò di rimanere qui al freddo a spiattellare i miei segreti. Quindi davvero Louis, lasciami andare via. Non hai mai voluto niente se non avere la soddisfazione di sapere la verità; bene, ora la sai. C’è qualcos’altro che posso fare per te? Ne dubito, quindi addio.»

La sua rassegnazione e la vergogna impregnavano l’aria. Nonostante fossero in un luogo pubblico e tutti potessero vederli parlare, era come se ci fossero solo loro due; loro, i loro segreti, le loro emozioni contrastanti, e nient’altro.

«Due mesi, per trentamila sterline.» annunciò Louis rimanendo immobile, con lo sguardo fisso su di lei.

«Che significa?» chiese Lydia palesemente spaventata e spaesata. Era una ragazza intelligente, e probabilmente aveva già realizzato quale fosse il punto del discorso.

«Ti offro trentamila sterline per stare con me due mesi.» ripeté il ragazzo pacato, «Dirò a tutti che sei la mia ragazza; e nessuno potrà toccarti, cercarti, o uscire con te. E’ più di quanto guadagneresti da sola in due mesi, non è vero?»

«Non accetterò, Louis. Credi che non sappia chi sei? Mi ricordavi qualcuno ma non riuscivo a capire chi, finché un giorno ho capito. Sei un personaggio pubblico, e io non posso espormi. Questa richiesta è inaccettabile.»

«Cosa c’è di inaccettabile? Ho bisogno che tu lavori per me, e sono disposto a spiegarti tutto se accetti. Ti pago più di quanto tu stessa chiedi, e non ne farò parola con nessuno. Voglio che tu accetti.»

Non ci aveva neanche pensato; le parole gli erano semplicemente uscite di bocca, e solo una volta uscite aveva realizzato quanto quella cosa gli avrebbe procurato dei guai. Ma non era sicuro che fosse una cattiva idea, per certi aspetti era da considerarsi geniale, e lui non si sarebbe tirato indietro; non a quel punto.

«E’ rischioso! Chi ti credi di essere per mettermi in una tale situazione, eh? Tu non sei nessuno!»

Louis scostò lo sguardo e poi le prese i polsi, riscoprendo il tatuaggio che aveva visto la prima volta quando si erano incontrati. Era quello che lui voleva, e lei doveva accettare.

«Trentamila sterline, e due mesi con me; non ti chiedo nient’altro. Non ti chiederò di fare sesso, non ti bacerò e non ti sfiorerò; voglio solo la tua compagnia. Prendere o lasciare.» le ripeté di nuovo, fissandola dritta negli occhi.

Riusciva a vedere la sua paura brillarle nelle iridi ma sapeva che quella luce che aveva negli occhi non poteva essere un guaio. Magari si sbagliava, magari era davvero il guaio più grande della sua vita, ma quella poteva potenzialmente essere anche la cosa più bella di tutta un'esistenza. 






















Ok. Vi devo delle spiegazioni. 

1) Ci tengo a sottolineare che questa fan fiction è tutta puramente INVENTATA e non ha nessun riferimento a persone che esistono nella realtà (a parte Louis e i ragazzi, s'intende)

2) L'idea me l'hanno data un film e il personaggio di un telefilm, rispettivamente Pretty Woman e Annie di 90210. Se avete visto il film almeno una volta o avete seguito la serie sapete di cosa sto parlando! Ovviamente ci saranno delle variazioni perchè la storia che ho in mente è ispirata ma non scopiazzata. 

3) Spero non mi abbiate presa per pazza; semplicemente ho pensato che io in prima persona avrei letto una fan fiction con una trama del genere purchè scritta bene, interessante e soprattutto assolutamente non volgare. E queste sono tutte cose che intendo rispettare senza trasgressioni, su questo non transigo; farò del mio meglio. 

Detto questo, immagino che alcune di voi siano spiazzate, mentre magari altre già lo sospettavano. Ho cercato di immedesimare le vostre reazioni con quella di Louis, che si ritrova sconvolto e scioccato dalla cosa. Avevo lasciato numerosi indizi in giro per la storia, ma mi rendo conto che non fosse facile coglierli al meglio; io stessa molto probabilmente non ci sarei arrivata. 
Ultima cosa! Se qualcuno/a di voi mi segue da prima di questa storia sa che io non lascio niente al caso, ed ecco perchè qualche capitolo fa ho inserito la figura di Ginevra (Ginny) che ora ha preso il suo posto nella storia. Spero la cosa non vi abbia creato confusione; la story board varia continuamente nella mia testa!

Detto ciò me ne vado in attesa dei vostri commenti e delle vostre impressioni, con la speranza che vogliate seguirmi fino alla fine perchè la storia che ho in mente è, a mio parere, molto bella; e per questo motivo vorrei portarvi con me fino alla fine. Non biasimerò chi deciderà di lasciare la storia, capisco e comprendo la vostra decisione. Non è stata mai mia intenzione turbarvi in qualsiasi modo, quindi mi dispiace.

Siete sempre la mia ispirazione, vi adoro in ogni secondo e grazie in anticipo a tutti;
Giuli

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Capitolo 8
*** VII. ***




 



VII.
 

cause all I know is we said hello
and your eyes look like coming home



 
Le capitava spesso ultimamente; forse troppo.

Era come se tutto il mondo intorno a lei sparisse e diventasse solo un cumulo di rumori, percezioni, sensazioni; come se lei non fosse presente, come se stesse vedendo la sua stessa figura con gli occhi di un estraneo. E poi la mente cominciava a pensare, e pensare, e pensare, senza sosta, senza che lei potesse veramente prenderne il controllo e fermarla una volta per tutte.
Era come vivere la sua vita da ospite, con gli occhi di qualcun’altra senza provare nessun tipo di emozione. Anzi, quello non si poteva definire vivere; ma semplicemente stare al mondo.
Ginny l’aveva rassicurata dicendole che non era niente, e che molto probabilmente era solo un momento di stress passeggero, considerando che gli esami si avvicinavano e che aveva sempre troppe cose da fare; ma Lydia aveva semplicemente annuito con poca sicurezza, autoconvincendosi che fosse così per il bene di tutti, il suo in particolare.
Poi invece, quando si ritrovava per l’ennesima volta a fissare il punto alla fine di una frase del suo libro o il paesaggio fuori dal finestrino dell’autobus, capiva che non era quello il problema. Era qualcos’altro; forse era lei.

«Lydia; mi stai ascoltando?»

La ragazza distolse immediatamente lo sguardo dal cartonato della Tour Eiffel appeso al muro e tornò in sé, stringendosi nelle spalle e annuendo pacatamente, sentendosi un po’ in colpa.

«Scusami, mi sono assentata qualche minuto, ma ti sto seguendo.»

«Dimmi a che pensi.»

“Stavo pensando al perché nel salotto di casa tua ci fosse un cartonato della Tour Eiffel, e poi invece ho cominciato a pensare alle baguette, e a tutte quelle cose molto francesi, e poi... e poi ho perso il filo del pensiero. Anzi, mi sono persa e basta.”

«A niente.» asserì la ragazza, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Louis tirò su col naso, poco convinto, e poi si alzò per togliere i filtri del the dalle tazze.
Le aveva lasciato due giorni di tempo per pensare alla sua proposta e quando, il mattino seguente, aveva subito ricevuto una sua telefonata aveva realizzato che ormai era fatta; aveva raggiunto il suo obiettivo. Così l’aveva invitata a casa sua, un posto più intimo e lontano da cameriere indiscrete e da passanti curiosi, per fornirle le spiegazioni che meritava e sentire cos’aveva da dire; ma da quando la ragazza aveva messo piede in casa sua tutto era un po’ strano, teso, innaturale.

«Hai parlato con Giselle?»

«Si. Non posso prendere decisioni di questo genere di testa mia; devo sempre rendere conto a lei prima di fare qualsiasi cosa.»

«E cos’ha detto?»

«Che cercherà di arrangiarsi come meglio può per questi due mesi, nella speranza che nessuno chieda una specifica uscita con me.»

«E in quel caso?» azzardò Louis, posando la zuccheriera sul tavolo, con fare allarmato.

«Non lo so; si vedrà.»

Il ragazzo annuì, un po’ infastidito dal pensiero che avrebbe potuto piantarlo in asso in qualsiasi situazione per correre dietro ad un politico o ad un impiegato da quattro soldi che magari sarebbe anche stato disposto a pagare un occhio della testa solo per lei. Quasi gli venivano i brividi.

«Ma perché dipendi da lei così tanto?»

«Storia lunga, non mi va di parlarne.» gli rispose Lydia, mentre versava il terzo cucchiaino di zucchero nella tazza.

«Ti verrà il diabete se continui ad aggiungerci lo zucchero, però.»

Lydia alzò lo sguardo e lo guardò, realizzando che tutto quello che aveva appena fatto non era stato un gesto volontario. Forse stava diventando un robot, ecco cos’era.

«Avevo perso il conto.» si giustificò poi, iniziando a soffiare sulla superficie della bevanda per raffreddarla.

Louis, piuttosto diffidente, alzò le spalle e fece finta di niente, pensando che qualunque cosa le passasse per la testa non avrebbe di certo potuto saperla; o per lo meno non da lei. Così si accomodò di  nuovo sulla sedia, allungò il suo the con del latte tiepido e iniziò a mescolare, mentre teneva il suo sguardo fisso su di lei.

«Immagino tu voglia delle spiegazioni.»

«Voglio capire perché vuoi ingaggiarmi, tutto qui. Ho bisogno di capire cosa ti aspetti da me.»

«Non mi aspetto niente; o almeno, niente di particolare. Voglio solo che tu passi due mesi in mia compagnia, fingendoti la mia ragazza, per certi versi.»

«Perché, cosa succederà in questi mesi?»

«Tornerò ad essere famoso, stando a quello che dice la casa discografica.» decretò il ragazzo, iniziando a sorseggiare il the, «Ci hanno fatto un’offerta, e noi abbiamo accettato. Questo significa che tra non molto inizieremo ad avere impegni, e molto probabilmente comincerà una lunga serie di nottate passate nelle sale di registrazione per sfornare qualche nuovo motivetto... niente che ti riguardi in prima persona, queste sono tutte cose della band, però voglio che tu mi tenga compagnia per un po’.»

«Ti obbligano a farlo?»

«No; decisione mia.»

«Mi sembra una cosa stupida, e anche rischiosa. Non so, non penso di poterlo fare.»

«Ci penserò io. Nessuno saprà niente di te se non il tuo nome, sempre se tu me lo lascerai dire. Te lo prometto.»

Lydia allontanò la tazza vuota da sé e la sistemò sopra il piattino di porcellana coordinato. Quel servizio aveva l’aria così familiare, eppure non riusciva a ricordare chi altro l’avesse oltre a lui.

«E i tuoi amici?»

«Non lo so, ci devo pensare. Di loro mi fido cecamente, non è quello il punto, è solo che...»

«Non sai come potrebbero reagire sapendo che ti porti in giro una come me

«Non volevo dire quello.»

«Così sembrava.»

«Lydia.»

Il suo nome di battesimo; di nuovo. Quella cosa la stava letteralmente facendo impazzire, ogni volta di più. Come poteva passare due mesi con lui se lui continuava a tenere le distanze? O forse era lei che teneva le distanze?

«Ok; accetto.» gli disse poi, stringendosi nelle spalle, «Quello che c’è da sapere su di me già lo sai, quindi siamo d’accordo.»

A quel punto Louis raccolse entrambe le tazzine e le posò nel lavabo, nella speranza che Jeff l’indomani fosse stato abbastanza volenteroso da lavare anche i piatti, trattandosi di una mansione che non gli competeva e che, di solito, svolgeva Harry.

«Quindi... come posso farti avere i soldi?»

La ragazza arrossì, cadendo in uno sconforto improvviso. Sapeva che era un punto che prima o poi avrebbero dovuto approfondire, in fondo era la ragione per cui aveva accettato, ma non c’era momento peggiore per parlarne; proprio adesso che l’atmosfera si stava scongelando.

«Non ho particolari preferenze,» asserì la ragazza, «mi sta bene tutto: assegni circolari, contanti; non ha importanza.»

«Va bene... ti da fastidio se ti do un anticipo, prima di iniziare a fare il conto alla rovescia?»

«Pensi che io stia tenendo il conto?»

«Non lo so, spero di no; ma rispondi alla domanda.»

Lydia si schiarì la voce e cercò di non pensare a quello che era appena stato detto, convincendosi del fatto che era solo lavoro e che Louis non aveva nessuna opinione particolare su di lei, anche se doveva ammettere che ci credeva ben poco.

«No, l’anticipo va bene. E se lo stai facendo perché hai paura che io ti pianti in asso, stai tranquillo; non scappo

Louis abbozzò un sorriso mentre camminava con passo sicuro verso il comò della sala da pranzo, dove lui e Harry tenevano i blocchetti per gli assegni.
Non che avesse pensato che lei sarebbe potuta scappare, certo che no, però... non si sa mai.
Compilò gli spazi vuoti ad una velocità impensabile e si affrettò a scrivere “10’000” negli spazi vuoti in alto a destra, prima di firmare e consegnarle il foglietto.

«Spero basti così.» annunciò poi porgendole l’assegno, «E comunque non lo faccio per non farti scappare; lo faccio perché voglio che ti fidi di me.»

La ragazza sorrise, e una volta letta la cifra arrossì un poco, realizzando che non aveva mai visto così tanti soldi messi assieme. E pensare che quello era solo l’anticipo.

C’era, però, qualcosa di strano in lui. Qualcosa nel suo sorriso; qualcosa nel suo modo di farla entrare nel suo mondo ma senza farle realizzare a pieno la posizione, come se fosse bendata e lui fosse dietro di lei a darle delle indicazioni. Nessun contatto, nessun approccio, ma un senso di sicurezza; un’azzardata fiducia.
Forse era lei che aveva questa sensazione; forse tutto il resto del mondo avrebbe alzato una barricata e si sarebbe nascosto dietro il pensiero “Solo lavoro, niente legami” per sempre. Ma lei no. Era strana, lo pensava da sempre e glielo dicevano tutti, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che la faceva stare tranquilla. 
Come l’avrebbe presa se gli avesse risposto che già si fidava, e che quell’assegno avrebbe potuto stracciarlo e per lei sarebbe stato lo stesso? Male, molto probabilmente, perché erano due estranei; e gli estranei non si fidano mai l’uno dell’altro, per definizione. Quindi, che fare?

Lydia gli lanciò uno sguardo, e poi si diresse verso il frigo, strappando dall’anta un piccolo foglio attaccato tramite una calamita del Big Ben. L’aveva intravisto poco prima, di sfuggita, e si era chiesta per quale motivo fosse appeso li nonostante fosse del tutto non scarabocchiato.
Così prese una penna dalla borsa e iniziò a scrivere sul foglietto, sotto lo sguardo vigile ma incuriosito di Louis.

«Che fai?»

«Ti faccio una promessa.»

«Che promessa?»

Lydia richiuse la penna e sorrise, porgendogli il piccolo pezzetto di carta color verde sbiadito. La sua calligrafia era elegante, piena, e le parole erano ben scandite e regolari nonostante fossero scritte su una superficie particolarmente piccola.

 

Ti prometto che resterò per due mesi esatti, senza ripensamenti o variazioni.
Ti terrò compagnia e saprai sempre come e dove trovarmi.
Non dimenticarlo mai. 

Lydia"

 
Era strana, e adesso lo sapeva anche Louis. Strana in modo interessante, strana in modo particolare.
E Louis, dopo aver letto il biglietto, prese la calamita e lo riappese al frigo, in bella vista e al centro.
Se mai avesse avuto dei dubbi, sapeva dove guardare. Sapeva come e dove trovarla sempre. Gli sarebbe bastato uno sguardo, una scemenza, per ricordarsi che quella era una promessa, e anche se tutte le promesse vengono infrante prima o poi, quella sarebbe stata sempre lì, davanti ai suoi occhi.
 
 





«Sono a casa!!» esclamò Harry mentre rientrava, appoggiando le chiavi di casa all’interno della solita ciotola sul solito mobile.

«Oh ciao. Ti abbiamo lasciato dei tranci di pizza, se ti va.»

Il ragazzo posò a borsa di plastica sopra il tavolo, sul posto rimasto libero, e poi prese i tre cartoni di latte e finì di svuotare la busta della spesa, come era solito fare.

«Abbiamo?»

Louis si voltò e sorrise, alzando le spalle. Era insolito vederlo alle prese con le stoviglie da lavare e la spugnetta, ma la cosa gli faceva onore considerando che lavava sempre tutto quanto Harry.

«Si. Io e Lydia!»

«E Lydia sarebbe.....?» continuò di nuovo, addentando voracemente il trancio di pizza alle verdure con formaggio extra.

«La mia ragazza.» concluse Louis asciugandosi sul canovaccio, «Da oggi pomeriggio, per la precisione!»

La mandibola di Harry si fermò improvvisamente, smettendo di ruminare. Louis colse la reazione e si sedette al tavolo, mentre gli occhi verdi e impenetrabili di Harry lo squadravano in ogni minima mossa.

«Ok..... so che è un po’ azzardato e improvviso, ma ti ci abituerai, vedrai! Sarà come non averla attorno, invisibile quasi!»

«Louis.»

«Siamo usciti un paio di volte, mi ci trovo bene! Piacerà anche a te, a differenza di Eleanor, vedrai!»

«Louis.»

«Pensa che studia medicina, brava no? E poi è gentile ed educata, non come tutte le sgualdrinelle che si trovano in giro per le strade lerce di Londra. Andrete d’accordissimo, garantito!!»

«Louis!»

«Mon Dieu, arrêt répéter Louis

Harry posò la crosta della pizza sul piatto, con il cervello che quasi fumava per il nervosismo. Non lo infastidiva che Louis avesse una ragazza - figuriamoci, secondo lui era anche ora! -, quanto il fatto che non gliene avesse mai fatto parola fino a quel momento; ed ora, a pensarci bene, molte cose gli sembravano più chiare.

«Non azzardarti a cominciare con il francese! E non dirmi di smetterla!»

«Il n’est pas ma faute! J’aime les français!»

«Piantala! Lo sai che non lo capisco! E poi perche non mi hai mai detto niente? Era per questo che sparivi sempre? Avresti potuto dirmelo, idiota

«Je ne parle pas avec des gens ennuyeux et puis j’adore la France!»

«Adesso le prendi!» esclamò Harry alzandosi in piedi e tentando di afferrare una ciocca di capelli dell’amico.

«Ne fait pas mal ce pauvre type français!» gli rispose Louis a sua volta, schivando il colpo e alzandosi in piedi di scatto per scampare all’attacco.

«A qualcuno piace parlare francese? Je parle français très bien! L’aime depuis que je suis une petit fillie.»

I due ragazzi si bloccarono, incuriositi da quella voce che proveniva dalle loro spalle. Non si erano nemmeno accorti che qualcuno li stesse osservando, tanto erano presi a battibeccare tra di loro. Ma Lydia era uscita dal bagno da una manciata di secondi oramai, e non aveva fatto altro che passare ognuno di essi a trattenere delle risate euforiche; quelle risate improvvise che quasi ti fanno piangere.

«Ecco, mi sono perso dopo “Io parlo francese benissimo”. Cos’hai detto?» le chiese Louis, allontanandosi prudentemente da Harry, che aveva preferito rimanere in silenzio ad osservare.

«Ho detto che mi piace fin da quando ero una bambina; ecco perché l’ho studiato da autodidatta e poi anche al liceo.»

«Wow!» esclamò di nuovo il ragazzo euforico, «Io amo la Francia!»

«Si..... l’avevo intuito.» concluse Lydia avvicinandosi un poco, «Comunque tu devi essere Harry, giusto? Molto piacere, io sono Lydia. Spero di non avervi disturbato.»

Harry si schiarì la voce e si raddrizzò la felpa prima di grattarsi la testa con fare confuso e piuttosto imbarazzato.

«No, nessun disturbo, stavamo solo...»

«Parlando.» esclamò Louis intromettendosi come era solito fare. Se non si metteva in mezzo proprio non era contento, e questo era da sempre il suo problema più grande.
Harry gli tirò un’occhiataccia e poi porse la mano a Lydia, abbozzando un sorriso. Di primo acchito gli sembrava una ragazza per bene ed educata, anche se un po’ esibizionista considerando la sua entrata a sorpresa con l’exploit di francese, ma poco importava.

«Comunque sì, io sono Harry. Piacere mio.»

«Bene, sono contenta di averti conosciuto subito. Odio quelle situazioni imbarazzanti dove una ragazza viene presentata a tre-quarti della famiglia; mi mettono l’agitazione.»

«Anche se tu te la caveresti benissimo.» obiettò Louis, alludendo ad un qualcosa che aveva ben chiaro solo lui.

«Si beh, io e Louis viviamo insieme ma io non sono proprio proprio la sua famiglia. Se c’è qualcuno di cui ti devi preoccupare è sua madre... lei è un mastino!» bisbigliò di nuovo Harry, coprendo con una mano la sua bocca affinché Louis non capisse quello che stavano dicendo.

«Va bene, lo terrò presente. Ti ringrazio.»

Harry alzò le spalle e sorrise alla ragazza, quasi a volerle far intendere che era stato un piacere aiutarla, seppur così poco.
A sua volta Lydia sorrise e si voltò verso Louis, con uno sguardo un po’ assente e spaesato. Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Rimanere, restare, stare zitta, continuare a parlare?

«Beh...» incominciò poi giocherellando con le dita, «E’ meglio che torni al campus, la mia coinquilina sta probabilmente annegando in un mare di ansia dato che non l’ho avvisata. Grazie per la pizza, e Harry.. è stato un piacere davvero. Buona serata.»

Louis le si avvicinò e con una mano le cinse il fianco, mentre le sussurrava qualcosa all’orecchio. Lydia sorrise e non rispose, mentre imbracciava la borsa per uscire di casa di soppiatto e senza indugiare troppo.
Harry, che nel frattempo aveva seguito tutta la scena, si era riaccomodato a tavola per finire il suo secondo trancio di pizza ormai freddo ma comunque mangiabile.
Quando Louis fece ritorno in cucina per finire di sistemare la tavola, cosa praticamente rara, Harry intavolò il discorso di nuovo, rimanendo sul vago e distaccato.  

«Quindi... è carina.»

«Già.»

«E dove l’hai incontrata?»

«Ci siamo scontrati quella sera al ristorante italiano, quando io sono uscito di corsa. Ti ricordi?»

«Ah si, quando ti sei alzato e sei uscito senza dire niente. Abbiamo pensato tutti male, per la cronaca. Ma comunque, poi vi siete rivisti?»

«Si, per caso in quel cafè dietro l’angolo in cui io vado spesso. Ti ho detto che studia medicina, no? Si ferma sempre lì per fare colazione e un pomeriggio ci siamo rivisti. E poi basta.»

«E questo quanto tempo fa?»

«La settimana scorsa...» biascicò Louis, finalmente voltandosi e appoggiando il corpo al bancone della cucina.

«Ed è già la tua ragazza? Wow, piuttosto veloce.»

«Non giudicare, Harry. Per una volta tanto fidati e basta; sto cercando di concludere qualcosa di positivo nella mia vita.»

«Fidanzandoti con una che conosci da due settimane?»

«No.» ribadì Louis piccato, «Ma non importa, capirai più avanti; per ora le cose stanno così. Abituati alla sua presenza perché la vedrai gironzolare per casa spesso e volentieri, nei prossimi mesi.»

«Addirittura.»

«Harry, per favore.»

Il ragazzo roteò gli occhi, mentre si alzava per posare il suo piatto sporco e vuoto nel lavello.
Cosa c’era di male se, per una volta tanto, era un po’ sospettoso e guardingo? Ormai conosceva Louis da diversi anni, forse anche più degli altri, e poteva affermare con certezza che il Louis che conosceva lui non avrebbe mai instaurato una relazione con una persona praticamente estranea. Si ricordava perfettamente che per arrivare a chiamare la sua precedente ragazza “fidanzata” era uscito con lei cinque o sei mesi di fila, e poi si era finalmente convinto. Qualcosa, quindi, non tornava.

«Okay, mi dispiace. E’ solo che non ti facevo il tipo da relazione fissa con una trovatella.»

«Cazzo, Harry, non le ho mica chiesto di sposarmi! Te l’ho solo presentata come la mia ragazza anziché dirti la solita balla del “E’ solo un’amica”. Non mi sembra una tragedia.»

«Come ti pare.»

«No, non è come mi pare! Non ignorarmi, odio essere ignorato. Dammi una buona spiegazione, dimmi perché stai facendo la merda a gratis.»

Harry si asciugò le mani sul canovaccio, dopo aver accuratamente lavato il suo piatto e il suo bicchiere. Era sempre stato un tipo preciso ed ordinato, e lavare i piatti lo aveva sempre rilassato per qualche strano motivo.

«Te l’ho detto, mi sembra solo un po’ tutto di corsa. Ma immagino che in questi mesi vi conoscerete anche meglio, no? Quindi siamo a posto.»

Louis sospirò, un po’ amareggiato. Aveva due opzioni: dire tutto ad Harry e mettere in chiaro che tra due mesi esatti molto probabilmente Lydia sarebbe stata solo un ricordo lontano, o stare zitto e fingere di avere ragione -cosa che gli veniva molto naturale, per altro- e lasciar correre.
L’opzione numero due gli sembrò la scelta più ovvia. Così alzo le spalle e non rispose, chiudendosi in un silenzio fin troppo rumoroso. Stava per chiudere la porta del bagno quando gli venne in mente di gridare un “Mi faccio una doccia” a pieni polmoni, affinché Harry capisse che non voleva essere disturbato.

Harry a quel punto lasciò correre, intento a sbattere la tovaglietta fuori dalla finestra per riporla nel solito cassetto della cucina.
Da quando era rientrato a casa erano successe parecchie cose e non aveva nemmeno avuto il tempo di fermarsi un secondo e guardarsi intorno, giusto per tirare un respiro. Quando finalmente si sedette sulla sedia, da solo, in cucina, si guardò intorno.
Ripensò al giorno esatto in cui l’agente immobiliare gli aveva mostrato la piantina di quel condominio ancora in costruzione, raccomandandogli di non lasciarsi scappare l’attico del quinto ed ultimo piano che, a sua detta, sarebbe diventato un vero bijou. Di getto ripensò quindi all’espressione euforica di Louis quando erano entrati per la prima volta dentro l’appartamento ancora piuttosto grezzo, dopo aver pagato la caparra e un primo acconto: erano quattro muri grigi e spenti, con qualche muro di tramezzo appena iniziato, eppure Louis riusciva a vederci chiaramente la cucina, il salotto, la sua camera che sarebbe stata la più grande, e ovviamente anche la sua, per non parlare di tutte quelle feste che avrebbero potuto dare senza aver paura di disturbare i vicini grazie ai muri insonorizzati.
Sembrava fosse accaduto ieri, invece erano passati già due anni e mezzo abbondanti. In quel momento, però, si rese conto che la casa gli sembrava spoglia, vuota.
Forse la presenza di una ragazza un po’ più loquace e briosa della vecchia Eleanor era davvero quello di cui avevano bisogno, o forse no, considerando che lui ancora sperava in un ritorno degli One Direction in gran stile con tour sold out fino all’alba dei due anni successivi.
Distrattamente, poi, posò lo sguardo sul frigo e notò quel foglietto verde pisello di cui non aveva ricordi antecedenti a quel momento. Così si alzò, lo prese e lo lesse, per capire di cosa si trattava.

«... Ti terrò compagnia e saprai sempre dove e come trovarmi. Non dimenticarlo mai. Lydia» bisbigliò Harry tra se, mentre leggeva a voce alta.

Un biglietto? Sul frigo? Ma che novità era mai quella? E poi “Ti terrò compagnia”? Era una cosa ovvia, è quello che fanno le fidanzate; perché scriverlo?
Qualcosa di strano stava succedendo, ora ne era ancora più sicuro di prima, ma non aveva prove. Certo, un biglietto di cortesia non può di certo essere considerato come una prova schiacciante visto che è un gesto fin troppo fine a se stesso. Quindi, che fare?
Indagare, si rispose tra sé, annuendo un po’.



























Direi che avete aspettato abbastanza, nel bene o nel male. 
Il capitolo dell'altra volta è stato quello che è stato, e vi avevo avvisato, quindi ho pensato che adesso fosse il caso di lasciarvi una tregua per continuare il racconto in maniera rilassata e anche un po' noiosa -forse?!- 
Con l'avvento delle feste ho più tempo libero anche se dovrei studiare, quindi prometto che non ci metterò troppo a scrivere il prossimo, che conto di postare prima del 6 Gennaio ma non faccio promesse! 
PS. Le frasi che ho inserito sono francese molto molto semplice, di base oserei dire, e in sequenza le traduzioni sono: "Mio Dio, smettila di ripetere Louis" - "Non è colpa mia! Io amo il francese!" - "Non parlo con la gente antipatica e poi io amo la Francia!" - "Non fare del male a questo ragazzo francese!" - "Io parlo francese molto bene! Lo amo da quando ero una bambina!"
Per qualsiasi dubbio o chiarimento contattatemi dove vi pare; io leggo sempre tutto!

Leggete, recensite, amate, odiate, insultatemi!
Io vi adoro comunque, 

Giuli

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Capitolo 9
*** VIII. ***




 


VIII.
 

I’ve been roaming around always looking down at all I see
painted faces, fill the places I can't reach

 

Non appena sentì bussare alla porta, Niall si alzò dal divano strascicando i piedi, mentre i suoi calzini ormai indossati a metà davano una sommaria pulita al pavimento.

«Ciao.» gli disse Harry piegando un po’ la testa, inorridito dalle condizioni in cui si trovava l’amico.

«Ehi.» gli rispose semplicemente Niall, mentre faceva marcia indietro verso il divano a penisola rosso porpora regalatogli dalla madre.

«Da quanto tempo sei in stato vegetativo?»

«Boh. Non dormo da un po’.»

«Un po’ è vago, Niall. Un po’ quanto?»

«Non so... un’ora e mezza stanotte e poi... credo quaranta minuti oggi dopo colazione.»

«E adesso sono le tre di pomeriggio. Hai pranzato?»

«No.» asserì di nuovo l’amico, rannicchiandosi su di un fianco con lo sguardo fisso sulla trama della stoffa del suo divano.

Harry scosse la testa, piuttosto preoccupato, e si guardò intorno. Che Niall fosse pigro lo sapevano tutti, persino i suoi vicini, ma ormai il suo appartamento assomigliava fin troppo ad un porcile con cartoni della pizza a destra e a manca, confezioni del cinese ovunque e pure qualche fazzoletto usato sopra i mobili.
Quell’insonnia lo stava piegando, e da quando avevano accettato l’accordo con la casa discografica era anche peggiorata. Considerando poi che durante il giorno non dormiva e alla sera era troppo stanco per mettere un piede fuori di casa, aveva anche smesso di andare in palestra come aveva fatto negli ultimi due anni, e le conseguenze cominciavano a vedersi.
A quel punto Harry decise di fare qualcosa, anche per tenersi occupato e non cadere in una crisi di panico a cause dell’esame della settimana successiva, e decise di chiamare il suo medico di fiducia affinché potesse prescrivergli un sonnifero leggero, uno di quelli che si usano per le emicranie e cose del genere.
Stava per comporre il numero quando Niall si voltò, un po’ arrabbiato, e iniziò a fissarlo senza dire una parola, come se sapesse esattamente quello che stava facendo.

«Mi stai fissando.»

«Tu non chiamare.»

«E’ inquietante, Niall.»

«Tu non chiamare, non voglio medicine.»

Harry sospirò, riponendo il telefono nella tasca posteriore dei jeans.
Insomma, dormire è la cosa più naturale del mondo, e Niall doveva dormire perché lui era Niall Horan e per definizione non poteva fare altro se non dormire, mangiare e cantare. Doveva pur esserci una soluzione.

«Ma perché non riesci a dormire?»

«Non lo so, certe volte capita che chiudo gli occhi e mi viene la tachicardia, e non so perché. Quindi per non avere gli attacchi, non dormo.»

«Non hai mai sofferto di tachicardia o altro; cos’è successo?»

«Niente.» rispose il ragazzo, tornando di nuovo sul fianco a fissare la trama della stoffa del suo divano.

La balla del secolo, ecco cos’era. Dire che non ci credeva neanche se lo pagavano era un eufemismo bello e buono, e quella era probabilmente un’altra cosa a cui doveva venire a capo.
Mentre si infilava dei guanti di plastica -da brava massaia- Harry aprì la mano davanti a sé, inquadrando le sue cinque dita. Dunque: doveva passare il suo esame, pollice; doveva capire quella cosa di Lydia e Louis, indice; doveva trovare un modo per aiutare Niall, medio; doveva vedere il manager insieme a Liam per capire quali erano i piani per il futuro, anulare. Gli rimaneva solo il mignolo, e in quel momento preciso realizzò che forse la sua vita era un tantino incasinata. Non come le vite dei pendolari o dei genitori con quattro figli o dei disoccupati, ma comunque incasinata a modo suo. 
Così decise di iniziare a fare pulizia dalla parte più semplice, che riguardava la pulizia in senso letterale. Una pila di piatti sporchi lo stava aspettando nel lavello, le lenzuola da cambiare, una o due lavatrici da far partire, l’aspirapolvere da passare... e tutto questo per Niall che, anche se era un pigrone cronico, era pur sempre una delle persone più care che aveva.

«Cosa stai facendo?» domando di nuovo Niall, interrompendo la preparazione psicologica e/o pratica di Harry.

«Do una pulita! Abiti in un porcile, praticamente.»

«Sei tu che sei fissato.»

«Io non sono fissato, sono ordinato

«Smettila, per favore.»

«Ma se devo ancora iniziare! Dammi... tre ore! Tre ore e giuro che non metto più piede in casa tua per altre due settimane!»

A quel punto Niall finalmente si levò dal divano, si mise seduto e continuò a fissarlo con lo sguardo inebetito e perso. Solo in quel momento Harry riuscì a vedere completamente le sue occhiaie e il suo viso pallido, che erano rimasti nascosti fino a quel momento.

«E cosa dovrei fare io per tre ore? Dai, non dire cazzate.»

«Non lo so, esci a prendere un po’ di aria magari?»

Niall scosse la testa, un po’ infastidito. Stava così bene davanti alla sua tivù, sul suo divano, a vegetare da solo e nella speranza di prendere un po’ di sonno; perché doveva arrivare Harry a rovinargli la festa? Era una cosa stupida, e fastidiosa.

«Vado a farmi una doccia,» incominciò poco dopo, «Quando esco dal bagno, non voglio vederti in giro. Pensi di poterlo fare?»

«Assolutamente no.» asserì Harry estremamente convinto, mentre asciugava il secondo bicchiere da lui lavato.

Niall non rispose, e con fare stanco e pesante si alzò dal divano per dirigersi in camera sua e poi in bagno, come aveva detto. Quando fu sicuro di essere fuori dalla vista di Harry, prese il suo fedele Blackberry che teneva nella tasca della tuta e compose un sms piuttosto breve ma fin troppo loquace.


Vieni e porta Harry fuori da casa mia. Subito.”

 






«Però te la cavi, con il francese.»

«Grazie! Ci sono andato in fissa l’anno scorso più o meno, quando ho visto in televisione la pubblicità di un corso rapido per principianti.»

«E l’hai comprato?»

«Ovvio! Le quaranta sterline spese meglio della mia vita!»

Lydia sorrise, un po’ pensierosa. Ora sapeva esattamente perché c’era quel cartonato della Tour Eiffel appeso sul muro: Louis glielo aveva appena spiegato.
In realtà era una cosa strana, perché pochissimi inglesi sono così appassionati e incuriositi da una civiltà che non sia la loro, patriottici e orgogliosi come sono. Però lui aveva questo amore per la Francia e ci era stato in vacanza così tante volte che probabilmente avrebbe potuto girare Parigi ad occhi chiusi senza problema, prendendo anche la metro e tutte le coincidenze esatte. Pazzesco davvero.
In fin dei conti però era una cosa carina, questa sua passione; se non altro dimostrava quanto fosse una persona curiosa e aperta alle culture, o forse interessato solo a quella francese. Chi lo sa.

«E quante volte ci sei stato in Francia?»

«Beh, tra lavoro e vacanze nell’arco di questi sei anni, direi... una quindicina di volte, su per giù.»

«E’ pazzesco.»

«Si, lo so. Poi, dopo che ci hanno licenziato, ci sono rimasto per un mese intero, se non di più.»

La ragazza non rispose e appoggiò la testa sul pugno, per sorreggerla mentre ascoltava interessata.
Che persona particolare era Louis Tomlinson. E chi l’avrebbe mai detto, soprattutto. Era come se lui vivesse nel suo universo parallelo fatto di frecciatine, battute, incomprensioni e rappacificamenti, il tutto condito con una buona dose di sbalzi d’umore e cambiamenti repentini di prospettiva. A proposito, ora che ci pensava, sotto certi aspetti avrebbe potuto essere affetto da bipolarità, tanto era lunatico. Era un disagio che aveva studiato la settimana scorsa a lezione, in maniera piuttosto superficiale, ma che gli si addiceva in maniera abbastanza ridicola.

«Perché? Volevi trasferirti?»

«No figurati, non ci ho mai pensato. E’ solo che... mi stavano tutti addosso. Non so quanto tu fossi informata della cosa, ma tre anni fa eravamo letteralmente circondati da giornalisti, fotografi, curiosi, psicopatici e non si riusciva a respirare più. Così quando la casa discografica ha indetto la conferenza stampa per annunciare la fine del progetto One Direction, tutti si sono avventati sulle nostre case e sui nostri genitori, implorandoli di dargli degli scoop e delle interviste a caldo sulla faccenda. E immagina un po’? Nessuno di noi aveva voglia di parlare, soprattutto Harry e Niall. Così ho fatto le valigie e senza dire niente a nessuno sono partito per la Francia, e sono rimasto a Siviglia per quaranta giorni più o meno. Avevo bisogno di respirare, stavo soffocando

«E nessuno ti ha cercato?»

«Mi hanno cercato tutti, per diverse settimane, e poi si sono arresi. Solo mia madre e la mia fidanzata sapevano dov’ero; nemmeno Harry lo sapeva.»

«Avresti dovuto dirglielo, sarà stato in pensiero.»

«Chi, Harry? Figurati! Lui non si preoccupa mai per me perché sa che, se voglio, so restare lontano dai guai. E poi mi ha visto mentre facevo le valigie e mi ha dato ragione. Sapeva benissimo che io non sopportavo più quella situazione da un bel po’.»

Ora che ci ripensava, quella era la prima volta da quando lo conosceva che lo vedeva tranquillo. Nessun schizzo di rabbia, niente parolacce, niente faccia sconvolta; semplicemente una persona tranquilla, ed era bello ascoltarlo mentre parlava di sé e della sua vita.
Così Lydia gli sorrise di nuovo, senza insistere troppo sull’argomento nonostante fosse piuttosto curiosa. Chissà quante cose però aveva da dire, e per una volta tanto a lei interessava stare a sentire.

«E come si chiamava?» azzardò poi, rimanendo sul vago.

«Chi? Mia madre?»

«No, la tua ragazza.»

«Ah, lei...» si corresse Louis, con un tono di voce leggermente più flebile, «Si chiamava Eleanor. L’ho lasciata io, qualche tempo fa.»

«Mi dispiace.»

«Non è colpa tua.»

«Mi dispiace lo stesso.»

«Si.. dispiace un po’ anche a me.» confessò il ragazzo abbozzando un sorriso un po’ spento.

Stava per riprendere il discorso, quando Louis intravide lo schermo del suo cellulare illuminarsi velocemente. Così lo afferrò e lesse l’sms che gli era appena arrivato, corrugando un po’ la fronte in maniera sospetta.

«Abbiamo un’emergenza.» scandì poi, alzando dal tavolo della cioccolateria che li aveva ospitati fino a quel momento, «Mi dispiace ma devo andarmene.»

«E dove vai?»

«A prendere Harry per i capelli.»

«Perché?»

«Perché è un impiccione! Mannaggia a lui e al suo altruismo a gratis.»

«Ha preso da te, allora.»

Louis si bloccò, con il cappotto infilato a metà ed una manica a penzoloni, e le sorrise.
Aveva appena fatto una battuta, del tutto inaspettata, ed era anche stata spiritosa. Stava evidentemente imparando dal migliore, non c’era altra spiegazione.

«Questa era bella! Ora vado però, ma non è niente di che, non preoccuparti.»

«Posso venire anch’io

Irriverente, imprevedibile, misteriosa. Aveva capito tutte queste cose di Lydia da solo, durante le loro uscite che potevano essere contate sulle dita di una mano, ma per lo meno le sapeva.
I suoi attacchi di dolcezza, invece, non li conosceva. Non era sua intenzione catapultarla a piè pari nella sua vita e farle avere a che fare con tutti i suoi amici, conoscenti, annessi e connessi, però se lo chiedeva lei che male c’era? E poi, dovendo essere del tutto onesto con se stesso, un po’ ci sperava.
Non troppo, sia ben chiaro, ma un pochino si. Quel poco che bastava per non restarci male nel caso non l’avesse chiesto, per intenderci. Però in fondo ne era contento, amava gli imprevisti.

«Si, certo.»
 






«Stavo solo cercando di aiutare!»

«Ma Harry, non puoi aiutare qualcuno che non ti ha chiesto niente!»

«E’ un discorso del cazzo, questo! Aiuto gli amici a prescindere, io

«Cosa vorresti dire?» chiese Louis portando la mani ai fianchi e bloccandosi improvvisamente in mezzo al marciapiedi, intralciando la strada dell’amico.

«Hai capito quello che voglio dire! Io volevo solo aiutarlo! Che poi lui sia un sonnambulo incazzoso è un altro discorso, se permetti.»

Louis si voltò rabbioso verso Lydia, come se volesse che la ragazza venisse in suo aiuto, ma lei, in risposta, sorrise e alzò le spalle.
Non era il caso di immischiarsi nelle loro conversazioni, e come se non fosse abbastanza non ne aveva la benché minima intenzione. Conosceva entrambi troppo poco per formulare delle risposte secche come faceva di solito, quindi meglio non rischiare.
A quel punto Harry sorrise spavaldo e sorpassò Louis che se ne stava ancora bellamente imbronciato in mezzo al viale.

«Dove stai andando?»

«A casa! Dove vuoi che vada?» rispose il ragazzo sventolando le chiavi di casa, con la consapevolezza di aver appena vinto quel battibecco.

«E comunque io dico che potevi fare a meno di andare da Niall! Ti ha detto qualcosa?»

«Ma è quello il punto, Louis! Non dice niente, a nessuno! Volevo solo fare qualcosa di carino per lui, per vedere se magari si sbloccava un po’!»

«Lydia, per favore, intervieni.» decretò Louis allora, indicando con il braccio l’amico che, nel frattempo, stava aprendo il portoncino di casa.

«Io.. veramente, ecco.. non vorrei che...»

«Vedi? Ho ragione io! Mettitela via Louis!»

«Balle! Tutte balle, Styles! E’ solo che non vuole mettersi in mezzo, vero Lydia?»

La ragazza annuì in fretta mentre iniziava ad allarmarsi. Il loro rapporto un po’ la spaventava: erano così consapevoli l’uno dell’altro, del loro modo di essere e di parlare, delle loro abitudini e dei loro amici che lei non riusciva bene a capire dove avrebbe potuto collocarsi, tra tutte quelle cose.
Harry infilò un piede tra la porta e lo stipite, in modo da non dover aprire la porta di nuovo, e poi si voltò, incrociando le braccia con sguardo impertinente.

«La verità è che, caro Louis, lei è d’accordo con me perché noi siamo persone altruiste, e quelli come noi sanno riconoscere i segnali di un amico in difficoltà che ha bisogno d’aiuto! Non come certe persone che sono insensibili e hanno la delicatezza di un trattore!»

«Ma non penso proprio.» asserì Louis scuotendo la testa, decisamente troppo convinto.

Lydia si portò una mano alla bocca e soffocò un’altra risata, nel tentativo di non distrarre i due ragazzi.
Se in quel momento avesse dovuto schierarsi con qualcuno si sarebbe probabilmente schierata con Louis, ma solo per una questione di fedeltà, seppur contorta. In fin dei conti, chi lo conosceva questo Niall? Si, l’aveva visto, ora sapeva che era biondo con gli occhi azzurri e delle occhiaie paurose, ma come poteva pensare di conoscerlo?
Tutto quello che aveva fatto durante quel quarto d’ora abbondante a casa del biondo era stato osservare. Aveva capito come il suo gusto in fatto di mobilio fosse molto simile a quello di Louis e Harry; aveva capito che, per qualche ragione, lui non riusciva a dormire ma anche che non aveva assolutamente chiamato Harry per farsi aiutare, anzi, tutt’altro; e aveva infine capito che tutti tenevano molto a quel ragazzo dall’accento decisamente poco londinese, nonostante Harry e Louis fossero andati in terrazza a discutere per non farsi sentire.
Ad ogni modo doveva ammettere che il ragionamento di Harry non era poi così strampalato, e magari, in un giorno futuro, avrebbe anche potuto schierarsi dalla sua parte. Chi lo sa.

«Louis, ho ragione io! Stop!»

«Ma se Niall ha dovuto chiamarmi per mandarti via da casa sua! Quando sono entrato in casa tu avevi i guanti di lattice e stavi passando l’aspirapolvere! Lo realizzi questo, Harry? E’ da pazzi da ricovero!»

«Vedi, non ci siamo proprio.» rispose il ragazzo rivolgendosi a Lydia che, di nuovo, annuiva per non prendere una posizione.

«Basta, entriamo in casa e ciao. Mi sono rotto di discutere.» sentenziò Louis, spalancando il portoncino per precipitarsi all’ascensore e prenotarlo.

Harry lo seguì a ruota, sovrappensiero, e solo quando stava per chiudere si rese conto che la ragazza era rimasta fuori, in silenzio, senza aggiungere una parola. Probabilmente non voleva essere indiscreta ed autoinvitarsi, o almeno così pensava lui, e per cortesia decise di farle un cenno attraverso il vetro un po’ appannato e lei sorrise, mentre si avvicinava.

«Grazie. Non pensavo mi avresti chiesto di entrare.»

«No problem; mi facevi un po’ pena la fuori al freddo.»

Lydia sorrise e, notando che Harry le aveva lasciato il passo, entrò nell’ascensore prima di lui ma dopo di Louis che voleva essere il primo in tutto, per fino in questo.
Il macchinario giunse al quinto piano in un battito di ciglia, mentre dalla vetrata regalava un’ampia vista del Tamigi e del London Eye nel primo imbrunire di quella giornata londinese per niente piovosa.
Louis a quel punto lanciò un sorriso a Lydia e poi le sillabò un “Grazie” sotto voce, mimando un poco. Per cosa la stesse ringraziando non lo sapeva bene nemmeno lui, ma sentiva il bisogno di dirle qualcosa, quel genere di cosa.
Non appena le porte si aprirono, i tre fecero due passi in avanti e si bloccarono immediatamente sul pianerottolo, tutti e tre visibilmente confusi: Harry teneva la chiavi in mano e gli occhi spalancati, stile pesce lesso; Louis aveva la bocca semi aperta, con queste braccia un po’ a penzoloni e immobili; mentre Lydia continuava a fissare quella ragazzina dai lunghissimi capelli biondi e dagli occhi di un verde cristallino, incredibilmente bello.

«Lottie?!» esclamò Louis a gran voce, scavalcando gli altri due ragazzi.

«Ciao Lou! Mamma mi ha mandato a dare una controllata, e così eccomi qua! Avrei voluto chiamarti e dirti che stavo arrivando ma se te lo dicevo che sorpresa era?!»

A quel punto Lydia tamburellò sulla spalla di Harry, chiedendo sotto voce chi fosse questa Lottie. Harry si voltò, paonazzo in viso, e le si avvicinò con fare circospetto, come se non volesse farsi notare.

«E’ sua sorella. E adesso sono cazzi.» sentenziò poi, sorridendo spavaldamente non appena lo sguardo della ragazza si posò su di lui.

«E tu chi sei? Con quale dei due esci?»

Lydia fece per rispondere, ma Louis si inserì nella conversazione come un fulmine e abbracciò la sorella fitta fitta, fingendo una nostalgia repressa.

«Non preoccuparti di lei, amore! E comunque non sta uscendo con me, non è vero Harry?»

Harry spalancò gli occhi, confuso come non mai: ma se Lydia era la sua ragazza, perché aveva appena raccontato una balla colossale a sua sorella? Qua gatta ci cova, pensò.

«Ehm.......... già.»

«E se ne stavano per andare! Vero?» insisté Louis, di nuovo.

«Già.....»

«Quindi, voi andate pure dove dovete andare che io e la mia sorellina facciamo una cena di famiglia, okay? Buona serata!»

Harry guardò Lydia, Lydia guardò Harry. Era una situazione stupida, ridicola, idiota, ma reale e bisognava agire.
Così la ragazza prese Harry sottobraccio e lo riportò verso l’ascensore, sorridendo come se niente fosse. Con un gesto della mano poi salutò Lottie che stava entrando in casa a furia di spintoni che le stava dando il fratello, scapestrato come pochi.
Quando le porte si chiusero di nuovo, finalmente tirò un sospiro di sollievo, sentendo su di sé lo sguardo fermo di Harry.

«Cos’abbiamo appena fatto?»

«Una sceneggiata.»

«Per che motivo?»

«Questo devi dirmelo tu. Conosco Louis solo da due settimane, io.»

«Ah già, hai ragione» disse Harry, convenendo con lei.

«Io non ti piaccio, non è vero?»

Il ragazzo la fissò di nuovo, un po’ spiazzato. Era davvero brava quando si trattava di leggere le persone, o meglio, gli estranei.

«Non è vero. E’ solo che... qualcosa non torna.»

«Vuoi sapere cosa?»

«Già, ma suppongo che tu non me lo dirai mai.»

«Te lo posso dire, ma ad una condizione.» rispose la ragazza mentre fissava il piccolo display che annunciava il piano terra, «Ristorantino italiano, ti va? Sto morendo di fame.»

Harry spalancò gli occhi, di nuovo preso in contro piede. Ma a che gioco stava giocando?

«Andata!» esclamò infine, cedendole il passo per uscire dall’ascensore.

Non gli piacevano i giochetti da quattro soldi, ma per qualche strana ragione sapeva che c’era in ballo qualcosa di grosso questa volta, quindi tanto valeva ballare. 
































Per prima cosa ringrazio tutte le nuove lettrici! Siete adorabili e benvenute, spero che rimarrete fino alla fine! ♥
Poi niente, dopo un capitolo tranquillissimo come quello dell'altra volta, vediamo di mettere un po' di carne al fuoco per vedere cosa ne esce! Chi mi segue da un po' sa quanto io ami complicare la vita ai personaggi e inserire malintesi e altarini vari e improbabili! Non ci dormo la notte per pensarli (non scherzo, sul serio)!

PS. Se i capitoli così lunghi vi danno fastidio o annoiano, fatemelo sapere! In realtà è una cosa assolutamente involontaria, non lo faccio di proposito, ma non abbiate paura nel farmi delle osservazioni se pensate possano essere utili!
Di nuovo grazie mille alle 62 persone che hanno messo IRDTP nelle seguite, come ai preferiti e alle ricordate! Siete meravigliosi. 
Vi avevo promesso un capitolo entro il 6 Gennaio e questa volta sono riuscita a mantenere la parola data. Spero vi sia piaciuto! 
Siete una gioia immensa, 
Giuli

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Capitolo 10
*** IX. ***





IX.

I know we ain't got much to say, before I let you get
away I said: are you gonna be my girl?




Aveva questa piccola particolarità, Harry Styles: fissava le labbra dei suoi interlocutori.
Di che argomento si stesse parlando non era importante; lui lo faceva a prescindere, involontariamente. Amici e parenti ormai lo sapevano, e ci avevano fatto il callo nonostante alcune volte risultasse fastidioso, ma Lydia no.
Non che la cosa la infastidisse, anzi, la tranquillizzava in un certo senso, ma era riuscita a notarlo solo in quel momento, dopo aver passato un’ora abbondante in sua compagnia a parlare del più e del meno mentre si abbuffavano di focacce e mozzarelline fritte, le due specialità di quel piccolo ristorantino italiano.
Era strano però, e allo stesso tempo lusinghiero. Era come se il ragazzo pendesse letteralmente da ogni parola che usciva dalla sua bocca, e questo la incoraggiava a parlare, sentendosi pienamente ascoltata e forse capita.

«Quindi Louis non ti aveva detto di avere quattro sorelle, giusto?»

«No, non ancora. Non siamo arrivati a parlare di cose così serie.»

«Ecco, ora lo sai comunque. Quella era Lottie, diminutivo di Charlotte: la maggiore tra le quattro, ma sempre più piccola di Louis. Ogni volta che si ferma a casa nostra succede qualche casino.»

«Ecco perché mi hai detto “Adesso sono cazzi”?» gli chiese Lydia, imitando in malo modo il suo tono di voce.

Harry abbozzò una risata, scuotendo un po’ la testa. Era davvero pessima nel fare le imitazioni, ma in un certo senso la cosa aveva una sua logica, dato che Louis, invece, era un campione. Opposti, ma complementari.

«Già. E poi è una situazione particolare, la sua presenza mi mette a disagio...»

«Perché? E’ successo qualcosa?»

«No, non direi... è solo che, insomma... lei ha una piccola cotta per me da quando ci conosciamo praticamente, quindi sei anni, solo che io non ho mai ricambiato primo perché è troppo piccola, e secondo perché è la sorellina di Louis. Io non oso nemmeno immaginare di... ah, oddio!» esclamò Harry, mentre sul suo volto compariva un’espressione inorridita.

«Ma hai cercato di farglielo capire, almeno?»

Il ragazzo si guardò intorno, con fare furtivo, e poi si avvicinò a lei di un buon mezzo metro. Aveva intenzione di bisbigliarle qualcosa all’orecchio, Dio solo sa per che motivo poi, dato che nessuno li conosceva in quel posto.

«Come si fa a dire ad una ragazzina di tredici anni che non vi sposerete, quando lei continua a fare dei disegni su di voi che vi tenete per mano mentre stringete un enorme palloncino a forma di cuore?»

«Non glielo dici, non ce la fai.»

«Appunto.»

«Ma davvero lo faceva? Voglio dire, i disegni, i regalini, i bigliettini di San Valentino?»

«.....» bisbigliò di nuovo Harry, piuttosto rammaricato.

«E Louis lo sa?»

«No.....» bisbigliò ancora, con lo stesso tono di voce.

«Se non altro sei un ragazzo educato, e fornito di tatto. La cosa ti fa onore. E poi immagino fosse una cosa particolarmente complessa da fare, ma magari ora che è più grande le è passata...»

«Dubito. Sai, mi guarda ancora con quegli occhioni da gatta ogni tanto, e proprio perché è cresciuta non vorrei mai che... insomma, che fraintendesse

Lydia sospirò, pensierosa. Ora che Lottie era in circolazione per un tempo non ancora determinato avrebbe dovuto aiutare Harry in qualche modo, giusto per evitare delle situazioni imbarazzanti e del tutto indesiderate. Però l’esame di Psicologia era previsto per il terzo anno, e lei di adolescenti e crisi ormonali non ne capiva granché. O almeno non più.

«Se vuoi posso aiutarti. Non so bene come, ma Louis ha detto alla piccola che usciamo insieme, quindi una soluzione dovrà pur esserci.»

Ecco il tasto dolente, pensò Harry che per tutta la serata aveva aspettato questo momento per affrontare questo argomento.

«Ti da fastidio?»

«Che l’abbia detto? No, non più di tanto.»

«Perché no?»

«Louis parla quasi sempre senza pensarci, ma mai a sproposito. Immagino abbia una buona spiegazione anche se non muoio dalla voglia di sentirla. Va bene così, ci conosciamo appena.»

«Ma questo non giustifica la cosa.» obiettò Harry, con un leggero tono di sfida.

«Non divagare, Harry: chiedimelo. So che stai aspettando da quando ci siamo ritrovati da soli nell’ascensore; avanti.»

Harry prese il suo bicchiere e finì la Pepsi che era rimasta al suo interno, quasi d’un fiato, essendo questa ormai quasi del tutto sgasata.
Incisiva, ecco un altro aggettivo che le si addiceva. Questa volta, però, non era complementare a Louis: era una caratteristica comune.

«Come vuoi.» incominciò il ragazzo tranquillo, sforzandosi di guardarla negli occhi, «Ho letto il biglietto, quello attaccato al frigo. Perché dovresti rimanere con lui solo per due mesi? Che significa?»

Lydia si appoggiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe sotto alla tavola, movimento che Harry, però, non riuscì a percepire.

«Ci siamo dati due mesi di tempo, io e lui. Potrebbe volerci anche meno, o forse anche di più, non lo so. Mi ha detto che vuole avermi intorno per questi due mesi, e io ho accettato.»

«Due mesi per cosa?»

«Per conoscerci, suppongo. Sai anche tu come funziona, no? Sei in un locale, in una serata tranquilla e quasi noiosa, e ad un certo punto da un angolo nascosto esce una ragazza che attira la tua attenzione. Decidi di non provarci perché non sei in vena o magari perché sembra essere impegnata, ma il caso te la fa incontrare di nuovo per strada, o in un negozio. E a quel punto tu dici: perché no?»

«Si ma questo cosa c’entra? Non è la stessa cosa.»

«Pensaci bene, ed elimina il bar e il negozio. Mettici il ristorante e il cafè vicino casa vostra, come sostituzioni. Non ti sembra la stessa cosa?»

Harry si prese un secondo per esaminare le sue risposte, così chiare ma allo stesso tempo così calcolate.
Non aveva tutti i torti: infondo si erano incontrati per caso, lei e Louis. E, come se non bastasse, Louis gli aveva anche detto che aveva preferito presentargli subito Lydia per non dirgli una bugia e per non sminuire le loro uscite insieme. La cosa non lo convinceva, ma aveva un senso logico: questo non poteva negarlo.

«Si, ma perché non dirlo a Lottie?»

«Speravo potessi dirmelo tu, questo; te l’ho già detto.»

«Quindi... è tutto qua?» incalzò Harry, piuttosto guardingo e sospettoso.

«Sarebbe troppo facile se fosse tutto qua, non è vero?»

Furba, altro aggettivo da affibbiarle. Di nuovo, però, era una caratteristica in comune con Louis essendo senza ombra di dubbio anche lui piuttosto scaltro.

«Infatti. C’è qualcos’altro che devi dirmi?»

«C’è qualcos’altro che potrei dirti, ma dipende da te.» incominciò la ragazza senza mostrare la minima esitazione, mentre afferrava il suo bicchiere per bere un sorso d’acqua, «Louis si fida di te, e io mi fido di lui, quindi so che potrei dirtelo, se volessi. Il punto è che non so se lo vuoi tu, Harry. Potrei dirtelo e far arrabbiare Louis con entrambi, o meglio, con me ma se devo essere sincera sono sicura che gli passerebbe, prima o poi; oppure potresti aspettare che te lo dica lui quando sarà pronto, che sia domani, fra un mese, o in due ore; oppure potresti semplicemente affrontarlo e chiederglielo, infondo siete buoni amici, no? E’ una tua scelta

Harry rimase prudentemente in silenzio, per evitare di straparlare o fare dei commenti azzardati. Com’era esattamente successo, però? Da quando il manico del coltello era passato dalla sua mano a quella di Lydia? Perché ora era lei che guidava il gioco, anche se non lo dava a vedere.

«Cos’è, un agguato?»

«Assolutamente no.» rispose di nuovo la ragazza, scuotendo leggermente la testa.

Nella sua testa si ripeteva che se solo Harry avesse saputo fino in fondo, le cose per lui avrebbero avuto un senso, e lei non sarebbe dovuta andare a cena con lui per fingere di rivelargli qualcosa quando in realtà non lo stava facendo. Non era sua intenzione aggirarlo, ma Giselle era stata un’ottima insegnante, e sapeva che spostare il punto della questione su un’altra persona era sempre la tattica vincente per non sbottonarsi. L’aveva, a malincuore, provato sulla sua stessa pelle.

«E allora cos’è?»

«Non è niente, Harry. Non siamo in un videogioco, o in un film. Ti ho detto come stanno le cose, e ti ho lasciato carta bianca. Ora sta a te.»

«Ma è qualcosa di pericoloso?»

«No, te lo assicuro. E se mai lo diventerà, a discapito di tutto quello che Louis potrà decidere o meno, te ne parlerò. Promesso

Ormai aveva deciso, Harry Styles: non voleva sapere niente, non in quel momento.
Lydia era una ragazza enigmatica, e un po’ inquietante per certi versi, ma non si poteva certo definirla stupida o imbranata. Si fidava di lei, di una fiducia riflessa più che altro, ma era pur sempre fiducia. A lui bastava sapere che non si erano cacciati in guai grossi, guai che non potevano sistemare da soli e che avrebbero creato casini con la casa discografica e con le loro famiglie. Per fortuna, si prese la libertà di pensare tra sé. 

«Ok, va bene, mi fido. Non chiederò niente a nessuno e rimarrò nell’angolino in silenzio; però sappi che non mi scappa niente.»

«Credimi, lo so.» gli rispose la ragazza, abbozzando un sorriso rilassato e visibilmente disteso.

Se Harry gliel’avesse chiesto avrebbe sicuramente parlato, più che altro per una questione di rispetto, ma poi se ne sarebbe sicuramente pentita. Perché nascondersi dietro a delle bugie per tutto questo tempo, allora? Perché Giselle glielo aveva ripetuto allo sfinimento, durante le fasi iniziali: “Meno cose sanno, più sono al sicuro”; e questa spiegazione le era sempre bastata.
Quindi non era più affar suo, da questo momento in poi. Era una questione che avrebbero dovuto risolvere Harry e Louis, nonostante la cosa riguardasse anche lei. Qualcosa però le diceva che non sarebbe andato tutto liscio come previsto, perché altrimenti sarebbe stato davvero tutto troppo facile.
 







«Oh, ma guarda. Un’estranea è appena entrata nella mia stanza. Che paura.» sentenziò Ginny con un marcatissimo velo di sarcasmo, mentre inquadrava la figura di Lydia che entrava dalla porta.

«Caffè corretto simpatia questa mattina, non è vero?»

Ginny rispose con una smorfia, e chiuse violentemente il libro di Anatomia su cui aveva studiato fino a quel momento.
Non che ci si fosse abituata, ma quasi: la sua predisposizione all’ansietà era sempre presente, ma ora sapeva che Lydia era uno spirito ribelle e ultimamente non aveva fatto altro che studiare e uscire con chissà chi. Routine, insomma.

«Dai, dove sei stata?»

«Sono uscita con un ragazzo.» le rispose Lydia mentre inseriva la chiave nella toppa per dare due giri di serratura. Il campus era un posto sicuro, quello era risaputo, ma non voleva che qualche membro ubriaco fradicio di qualche confraternita facesse capolino in camera loro, disturbandole in piena notte.

«Lo sapevo che c’era qualcuno! Chi è, eh???»

«Un ragazzo.»

«E’ quello che ti inseguiva al caffè? Quell’estraneo insistente? Oddio ma non sarà mica uno stalker! Hai controllato?»

«No, non è uno stalker! Ma come ti viene in mente?!»

«Me l’hai detto tu che ti importunava!»

«Si ma non sono tutti degli stalker a questo mondo, Ginny! E poi ho scoperto cosa voleva, non preoccuparti.» 
Ginevra a quel punto incrociò le braccia e si sedette sul suo letto, incrociando anche le gambe. Era in attesa di spiegazioni, chiarimenti, pettegolezzi, scoop, qualsiasi cosa che Lydia potesse dirle, e sarebbe rimasta in quella medesima posizione fino alla fine del racconto.

«Che fai lì messa così?» le chiese Lydia, togliendo le francesine color cammello per riporle nella piccola scarpiera che condivideva con lei.

«Sto aspettando che tu mi dica tutto quanto

«Eh, va bene. Cosa vuoi sapere?»

«Potresti iniziare con il nome, poi cognome, codice fiscale, estremi della carta di credito, fedina penale, cose così.»

«Ginevra! Ti ho detto che ci si può fidare di lui!»

«Si, va bene, va bene. Stavo scherzando! Avanti, dimmi tutto.»

Lydia le fece una linguaccia e poi si mise a sedere sul suo letto, parallelo a quello di Ginny.
Da dove poteva cominciare? Certe cose non poteva dirle, erano un segreto, quindi era meglio rimanere sul vago e vedere come reagiva.

«Si chiama Louis, è di qualche anno più grande di me, e fa il mantenuto. Voglio dire, si mantiene da solo ma al momento non ha un lavoro, anche se mi ha detto che a breve dovrebbe esserci una svolta. E’ rumoroso, lunatico, un po’ fastidioso e anche permaloso, però mi piace averlo attorno; è come se rendesse le mie giornate un po’ meno noiose, ecco.»

«Ed è bello?»

Era bello? Domanda a cui Lydia non aveva mai risposto, né verbalmente né mentalmente; un po’ perché si era sempre rifiutata di ammettere che ci fossero delle cose belle in lui, e un po’ perché aveva sempre tenuto a mente che la loro relazione riguardava il lavoro, solo ed esclusivamente il lavoro. Di nuovo, quindi, si fermò a pensare e a riflettere su quella domanda sapendo che, questa volta, non le erano concesse scappatoie. E’ bello?
Avrebbe potuto -o voluto- rispondere tante cose diverse, come ad esempio “Si, è carino” oppure “Non è male” o ancora “Si, passabile diciamo”, ma l’unica cosa che le era venuta in mente era una sola parola. La parola più corta ed incisiva per eccellenza, l’unica che non può essere fraintesa, rimangiata o camuffata perché troppo veritiera e immediata.

«Sì.»

Ginny si strinse nelle spalle, tirando un grosso e lento sospiro d’amore, nonostante non fosse lei la protagonista di quella che nella sua testa era già la storia d’amore più bella di tutti i tempi.

«Sei una dolcezza, Lydia. Te lo giuro.»

«Ma smettila! Non ho detto niente di particolare! Mi hai fatto una domanda, e io ho risposto.»

«Avresti potuto dire altre trentamila cose, e lo sai! Sto solo palesando la mia felicità per te; è forse un reato?»

«Ma perché parli così?»

«Sto cercando di imitarti...» rispose Ginevra piccata, mentre fissava l’amica con gli occhi semichiusi e minacciosi.

«Oh, ti prego! Io non parlo così, no, no e ancora no!»

«Non cambiare discorso, signorina. Non mi accontento di quella descrizione stile telegramma che mi hai appena fatto! Voglio sapere di più.»

Lydia incrociò le braccia e poi roteò gli occhi, un po’ infastidita. Cos’altro poteva dire? Menzionare che aveva fatto parte della boy band più in voga dell’ultimo decennio non era una mossa furba, anzi, avrebbe solo complicato le cose.

«Bene. Allora posso dirti che ha una sorella che devo ancora conoscere anche se mi sembra abbastanza sveglia e furba; ha tanti amici, e quando dico tanti significa che sono veramente tanti; e vive con il suo migliore amico di lunga data, che tra l’altro è molto carino e socievole. Basta, non so che altro aggiungere.»

«Farò finta che questo sia abbastanza, per questa volta. Ma adesso voglio sapere un’altra cosa, e vedi di rispondermi!»

«Sentiamo.»

«E’ con lui che passi tutto questo tempo, recentemente?»

«Si, Ginevra. Se non sono a lezione sono in biblioteca, se non sono in biblioteca sono qui in camera a studiare, e se non sono qui in camera sono con lui.»

«Ti tiene impegnata, eh?»

«Mentalmente parlando sì, da impazzire. E’ così difficile stargli dietro, non puoi capire: è come se fosse in continuo movimento, pensa una cosa e ne fa altre dieci, e cambia umore così velocemente che la cosa mi lascia senza parole, e ha una vita complicatissima anche se paradossalmente non fa niente dalla mattina alla sera. Credimi, è travolgente. Tutto quello che lo riguarda è così: travolgente.»

Quando Lydia alzò lo sguardo che fino a quel era rimasto basso per permetterle di concentrarsi sulla formulazione di quel suo discorso a cuore aperto, notò la faccia di Ginevra in preda ad un turbinio di emozioni: teneva gli occhi chiusi e le mani intrecciate, come se stesse ascoltando la lettura di una di quelle poesia strappalacrime scritte da Shakespeare o colleghi.
Così scosse la testa, fingendo di non aver visto niente, fin quando l’amica realizzò che il discorso era finito, nonostante fosse passata un’abbondante manciata di secondi.

«Mi viene da piangere dalla felicità, Lydia.»

«Ti prego, smettila. Ci conosciamo da pochissimo, e credimi: non abbiamo un futuro insieme

La motivazione di quella risposta lei la conosceva bene, era l’accordo, la cui durata era prevista per due mesi e non un giorno di più per permetterle di non infilarsi in guai seri con Giselle, cosa che lei aveva già preventivato prima di accettare. Ginevra, però, non poteva -e non doveva- saperlo.

«Ma non dire così! Sii ottimista una volta tanto! Prendi questa vostra pseudo relazione così come viene, non riempirla di aspettative e tutto filerà liscio; ne sono convintissima!»

«Già...» rispose la ragazza poco convinta, mentre prendeva il suo accappatoio color rosa antico appeso a lato del piccolo armadio condiviso.

«Mi puoi promettere una cosa?» incalzò di nuovo Ginny, alzandosi finalmente dal letto per avvicinarsi all’amica.

«Sentiamo.»

«Promettimi di essere onesta e sincera con lui, okay? Voglio che veda che bella persona sei, aldilà di tutte quelle fisime con cui ti riempi il cervello. Credi di poterlo fare? Se non per lui o per te, fallo per me almeno.»

«Certo che lo posso fare, va bene.»

«Perfetto! Ora posso anche lasciarti in pace! E ricordati che lo vengo a sapere, se non rispetti la promessa.»

«Eccome se lo so!» rispose Lydia, alludendo a qualche episodio passato dove era sempre stata beccata in pieno dall’amica dopo aver detto qualche piccola bugia bianca. Ma col tempo era migliorata, soprattutto considerando le circostanze: questo era poco ma sicuro.
Stava per entrare in bagno per farsi una lunga doccia rilassante, quando il suo telefono cominciò a vibrare per segnalare l’arrivo di un sms.
Ginevra la guardò con occhi sognanti, assolutamente sicura che fosse Louis, e Lydia si costrinse a prendere il telefono per leggere subito quello che c’era scritto, temendo che l’amica potesse spiare tutto quanto.


“Ho bisogno di vederti, domani pomeriggio a casa mia. Dobbiamo parlare.”

 
Un brivido lento le percorse la schiena subito dopo aver letto il mittente che, ovviamente, era Louis.
Lo sapeva, l’aveva sempre saputo e avrebbe dovuto immaginare che Harry sarebbe subito andato a chiedere spiegazioni, legati com’erano. Non era pronta per una strigliata in grande stile da parte di Louis su come avrebbe dovuto mantenere il segreto fino a nuovo ordine, o su come fosse stata  assolutamente imprudente e sconsiderata.
Così gettò distrattamente il telefono sul letto e tirò un sospiro a metà tra il preoccupato e il noncurante. Poi regalò un sorriso a Ginevra per tranquillizzarla, e si chiuse nel bagno, come se volesse lasciare fuori tutti i pensieri che la rendevano irrequieta una volta per tutte. 







































Onestamente parlando, dovete dire grazie a Louis se in questo preciso momento sto postando questo capitolo. Perchè? Perchè ho avuto una settimana davvero davvero pesante, e difficile volendo dire, e non meno di un'ora e mezza fa questo capitolo era solo una bozza da concludere senza capo né coda. Ed ora è un capitolo ufficiale con la C maiuscola tutto perchè questa mattina il signorino ha deciso di comparire a tradimento su Twitter per rallegrarmi la giornata. Quindi adesso sono allegra ;) 
Posso dirvi solo una cosa: sta per succedere. Cosa? Vedrete. Qualcosa di bello? Sì. Porterà confusione? Assolutamente sì!

Quindi rimanete lì dove siete e state pronte! Di nuovo grazie mille a tutte quelle che recensiscono, ai nuovi lettori, ai vecchi e anche a quelli silenziosi che non prendono coraggio per farsi vedere da me! Siete l'ispirazione più grande;

Giuli

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Capitolo 11
*** X. ***




X.


There was a time I met a girl of a different kind, we ruled
the world, thought I’ll never lose her out of sight

 

Quel mattino, Liam Payne e Zayn Malik si erano svegliati di buon’ora per svolgere alcune commissioni piuttosto urgenti insieme.
Anzi, correzione: quel mattino, Liam Payne si era svegliato di buon’ora per andare a svegliare Zayn Malik, il solito dormiglione ritardatario, per svolgere alcune commissioni piuttosto urgenti insieme.
Stavano camminando fianco a fianco, nonostante fuori ci fosse un freddo della malora e nonostante fossero comunque in ritardo, perché Zayn amava fare delle lunghe passeggiate, senza fretta, con la sua solita andatura rilassata.

«Se avessimo preso un taxi a quest’ora saremmo già lì!» piagnucolò Liam piuttosto infastidito, mentre sistemava il cinturino metallico del suo orologio.

«Sssh. Goditi questa camminata di prima mattina.» gli rispose a quel punto Zayn mentre con passo lento continuava a camminare, tenendo gli occhi leggermente socchiusi.

«Ma se avessimo preso un taxi non avremmo dovuto andare a piedi, e prendere tutto questo freddo, e non saremmo in ritardo!»

«Hai voluto tu svegliarmi così presto, e adesso tu ne paghi le conseguenze!» replicò l’amico fermandosi improvvisamente in mezzo alla strada, «E smettila di lamentarti! Ci siamo solo fermati a prendere un caffè, non mi sembra di certo di aver preso una tangenziale.»

«Che c’entra?! Sono venuto a svegliarti presto perché tu sei lento e perché io odio essere in ritardo! Soprattutto se quelli che ci stanno aspettando sono i nostri datori di lavoro!»

«Vuoi sapere come la penso io?»

Liam lanciò un’occhiata minacciosa verso Zayn, intuendo già dove l’amico voleva andare a parare. Lui non era mai stato uno di quelle persone che si fanno mettere i piedi in testa o che patiscono la pressione psicologica: quando arrivava, arrivava; e se loro avevano la voglia e il tempo di aspettarlo, bene, altrimenti pazienza.

«So già come la pensi tu.»

«Beh, te lo ripeto: per quanto mi riguarda possono aspettare fino a dopodomani, visto e considerato che siamo noi quelli che gli fanno guadagnare i miliardi per comprarsi il Porsche e la Jacuzzi.»

«Facevamo guadagnare, Zayn.»

Il ragazzo si voltò verso l’amico e tirò su con il naso, notando la sua espressione piuttosto rammaricata. Perché doveva sempre rivangare il passato? Ormai quel che era stato fatto, era stato fatto; e di certo non si poteva cambiare il passato, quindi tanto valeva andare oltre.

«Perché, che ti credi? Credi che ci abbiano offerto il rinnovo del contratto per carità, o solidarietà, o buon cuore? Avanti Liam, avranno fatto sondaggi su sondaggi in questi anni per capire se le nostre fan sarebbero state ancora lì o no. E ricordati che loro non fanno mai niente per niente: vogliono sempre il loro tornaconto, e bello ricco anche.»

A quel punto Liam sospirò, pensando tra sé e sé che Zayn aveva sicuramente ragione anche se, in cuor suo, aveva sempre faticato un po’ a crederlo. Certo, la casa discografica li aveva fatti sgobbare come dei forsennati per quasi tutta la durata della loro carriera, ma non erano mai stati scortesi né tanto meno bugiardi. A loro piaceva controllare tutto e tutti, ma con una strana educazione che probabilmente era tipica delle persone che lavorano in quel settore. Chi lo sa.
Quando, poi, Zayn buttò il suo caffelatte ormai finito nel cestino, facendo un plateale canestro in mezzo alla folla, Liam ritornò in sé e accantonò i pensieri che lo avevano impegnato fino a quel momento.

«Però sii gentile, Zayn. E non fare una delle tue solite uscite sgarbate!»

«Ma se sto sempre zitto!»

«Beh, allora non stare zitto ma non essere sgarbato!»

«Senti, ho ventitré anni e non ho bisogno della tua consulenza per sapere come devo o non devo comportarmi! E poi, scusa un secondo, se la cosa era così urgente perché hanno chiamato solo te? Lo sanno benissimo che ci muoviamo sempre tutti e cinque insieme, noi.»

«E io che ne so? Hanno detto che dovevano solo comunicarci delle cose, e che io ero il più qualificato per riferirle a tutti gli altri senza farci scomodare per una riunione generale.»

A quel punto Zayn alzò le spalle, ripensando a cosa avrebbero potuto volere quei mangiasoldi umani, e poi aprì l’enorme porta di vetro che indicava l’entrata del complesso super moderno dove avevano traslocato i nuovi uffici della Syco. Liam lo seguì a ruota, salutando educatamente la signora alla reception mentre questa li lasciava passare senza nemmeno fiatare.
Aspettarono l’ascensore in silenzio, di nuovo fianco a fianco, e attesero con impazienza il dodicesimo piano, sede della loro casa discografica.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Rudolph, il portinaio tutto fare, li salutò cordialmente e aprì per loro la seconda porta a vetro che si affacciava direttamente sulla scrivania della segretaria del vice direttore, colui con cui avevano negoziato negli ultimi mesi.

«Buongiorno Katherine.» incominciò Liam, sorridendo educatamente.

«Siete in ritardo, ma siete fortunati. Il vice direttore deve ancora arrivare! Accomodatevi nel suo ufficio nel frattempo. Volete che vi porti qualcosa?»

Liam scosse la testa, declinando gentilmente l’offerta, mentre Zayn invece annuì fermamente, sfoderando un sorriso malizioso.

«Posso avere un bicchiere d’acqua? Frizzante per favore; il caffè mi ha fatto venire sete.»

La donna inclinò leggermente la testa e poi annuì, facendo loro cenno di accomodarsi comunque nell’ufficio poco lontano.
Era sempre stata gentilissima con loro, Katherine; una vera dolcezza, nel senso più assoluto della parola. Forse per il fatto che era una madre e certe cose sapeva capirle o intuirle, o forse perché era davvero portata per il suo lavoro, o forse semplicemente perché li aveva presi a cuore -come il resto del mondo, d’altra parte-.
Una volta accomodati nell’ufficio del vice direttore, i due ragazzi si ritrovarono di nuovo in attesa e in silenzio, fino a quando Liam non decise di sputare il rospo.

«Era proprio necessario che prendessi dell’acqua?»

«Ho sete, Liam! Cosa dovrei fare, morire disidratato?!»

«Lo sai che qui controllano tutto quello che facciamo!»

«E’ solo acqua, cazzo! Non c’è mica del veleno dentro. Anche perché, a quel punto morirei, e non conviene a nessuno.»

«Devo ricordarti per cosa hai usato l’acqua, l’ultima volta?»

«No... grazie. E comunque in quel caso ero incazzato, e sputare l’acqua in faccia a quel fesso mi era sembrata l’offesa più appropriata per vendicarmi.»

«E poi non ti hanno più chiamato per le riunioni!»

«E poi chissene frega!» rispose Zayn a quel punto, chiudendo la conversazione con una delle sue solite linguacce da inguaribile bambinone.

Katherine entrò nell’ufficio qualche istante più tardi, con il suo bicchiere d’acqua e un’espressione sconfortata, come se volesse avvisarli che il gran capo stava per arrivare.
Il vice direttore, infatti, entrò nel suo ufficio in tutta fretta, appoggiando la ventiquattrore sul tavolo di cristallo e allentando la cravatta con entrambe le mani, evidentemente troppo stretta per i suoi gusti.

«Buongiorno signori. Come mai siete in coppia, quest’oggi?»

«Zayn mi ha semplicemente accompagnato perché abbiamo delle faccende da sbrigare insieme, signore. Sono io il referente ad ogni modo, e sono tutt’orecchi.»

L’uomo si schiarì la voce, ordinando alla donna di uscire dal suo ufficio per lasciarli soli. Poi si sedette sulla sua poltrona e prese la stilografica per controllare l’agenda e depennare il suo impegno delle 9.30 AM, ovvero il colloquio che stava avendo.

«Molto bene, allora. Quello che sto per comunicarvi sono le decisioni che sono state prese nell’ultima riunione della scorsa settimana e, anche se non è stata indetta una riunione ufficiale, sappiate che sono assolutamente ufficiali.» incominciò poi piuttosto serio, «Dunque, ho delle buone notizie, o almeno a mio parere. Per oggi pomeriggio è stata indetta una conferenza stampa con varie testate giornalistiche per annunciare ufficialmente il riavvio del progetto One Direction sospeso qualche anno fa. Voi non siete tenuti a partecipare, anzi, siete pregati di rimanere alla larga da questo stabile per evitare coinvolgimenti indesiderati o complicazioni di qualsiasi genere. Tutto quello che dovete fare è prepararvi psicologicamente e fisicamente ai paparazzi che da domani, suppongo, assilleranno voi e le vostre famiglie per avere ulteriori informazioni; ad ogni modo, però, siete comunque caldamente invitati a non fornire alcun tipo di dettaglio previo nostro ordine. Sono stato chiaro?»

«Si- si, signore.» balbettò Liam, irrimediabilmente sconvolto e intimorito.

«Vi prego di non allarmarvi senza motivo. Siete cinque soggetti cresciuti oramai, e sapete come vanno le cose in questo business. E’ quindi nel vostro interesse attenervi ai nostri suggerimenti e consigli per evitare qualche scandalo o fraintendimento. Quindi, signor Payne, questo è quello che lei è tenuto a riferire ai suoi compagni il prima possibile. Ogni dettaglio è fondamentale e spero che sia tutto chiaro; nel caso avesse dei dubbi, però, sono qui a vostra completa disposizione per altri dieci minuti.»

«No signore; tutto chiaro.» rispose di nuovo Liam, questa volta piuttosto serio e pacato.

«Ottimo. Se non vi dispiace quindi vi inviterei a lasciare il mio ufficio, per cortesia. Ho una video chiamata con il signor Cowell in meno di dieci minuti.»

I due ragazzi si alzarono all’unisono, liberando in fretta e furia le loro sedie per poi uscire dall’ufficio silenziosamente e senza dire una parola.
Passando davanti a Katherine le rivolsero un saluto cordiale, agitando le mani in un cenno, e poi si chiusero nell’ascensore che sembrava stesse aspettando proprio la loro entrata.
Solo quando le due porte automatiche si chiusero davanti a loro si sentirono in libertà di dirsi qualcosa. Qualsiasi cosa.

«Quei maledetti bastardi ci hanno appena incastrato!» esclamò Zayn ad alta voce mentre apriva le braccia con fare adirato.

«Beh, non era quello che volevamo?» chiese di conseguenza Liam, analizzando mentalmente la situazione.

«No! Cioè, non lo so, non così! Già me lo vedo Harry incazzatissimo a sbraitare per il salotto di casa sua! Morirò dal ridere, se non si era capito.»

«Si, probabilmente anche io. E’ troppo buffo quando alza la voce!»

«Si, davvero! E poi Louis che gli chiede sempre di non urlare, e alla fine finisce per urlare anche lui!» rispose a quel punto Zayn, finendo la frase con una risata isterica mentre ripensava a delle situazioni del genere del passato.

«Ma come glielo dico?» incalzò invece Liam, piuttosto serio e abbattuto, «Non ci hanno fregati, o per lo meno non ancora, ma stanno correndo troppo! Avevamo tutti dei piani e adesso come facciamo? Quelli se la prenderanno con me!»

«E perché? Ti guardo io le spalle. Infondo c’ero anche io a questa riunione, stranamente.»

Liam sorrise all’amico e, mentre metteva il primo piede fuori dall’edificio, si convinse del fatto che lui era solo il referente e che tutti erano nella stessa barca quindi non aveva senso prendersela con lui o con Zayn. “Ambasciator non porta pena”, giusto?
 
 







Il suono del campanello distolse tutti quanti dalla tivù, perfettamente sintonizzata su ITV2 per un approfondimento del telegiornale.
Lottie seguì Louis con lo sguardo e lo vide alzarsi per dirigersi tranquillo verso la porta, ed aprirla. A quel punto, dopo aver intravisto la figura di Lydia, si voltò di nuovo verso lo schermo a cristalli liquidi e si disinteressò completamente a quello che stava accadendo.

«Ehi.» incominciò Lydia, dondolandosi un poco sulle punte mentre aspettava impaziente un invito ad entrare.

«Ehi. Entra pure, e appoggia il cappotto sull’attaccapanni. Ormai dovresti saperlo, no?»

La ragazza annuì ed eseguì quegli “ordini” in maniera sistematica, mentre Louis la osservava in silenzio qualche passo più avanti.
Lo vedeva tranquillo, non le dava l’impressione di essere pronto a darle una strigliata memorabile. Anzi, c’era qualcosa di confortante in quel suo sguardo vigile ma rilassato che non l’aveva lasciata scappare un solo secondo.

«Tutto bene?» azzardò di nuovo Lydia, indecisa se rischiare il tutto per tutto o fare finta di niente.

«Si, benone. Mi sembri un po’ tesa, c’è qualcosa che non va? Guarda che non è successo niente, ti ho chiamata solo per aggiornarti dato che sono cambiate alcune cose.»

«Che cose?»

«Vedrai.» le rispose Louis, prendendola per mano per invitarla a seguirlo in salotto.

Era una situazione un po’ strana, quella: c’era Harry che se ne stava stravaccato sul divano in silenzio, intento a guardare le immagini che scorrevano veloci sullo schermo del televisore senza capirci un granché -o almeno così sembrava-; dall’altra parte invece c’era Lottie, sulla poltrona con le gambe a penzoloni che giocherellava con cellulare un po’ nervosa, o forse semplicemente infastidita dalla presenza di Harry che le faceva quello strano “effetto”.
Lydia sorrise, ripensando alla conversazione che aveva avuto con Harry la sera prima, quando lui le aveva confidato questa sua difficoltà nel relazionarsi in maniera civile con la sorella di Louis senza fraintendimenti dovuti agli ormoni.

«Perché sorridi?»

Solo in quel momento la ragazza realizzò di avere avuto lo sguardo di Louis fisso su di lei per tutto quel tempo, cosa che un po’ la infastidiva e la lusingava insieme.

«No niente, stavo ripensando ad una cosa stupida.»

«Vediamo, tiro ad indovinare. Stavi pensando al disagio che sta probabilmente provando Harry in questo momento con mia sorella a due passi da lui! Ho indovinato?»

«Ma?! Mi aveva detto che tu non lo sapevi!»

«Chi, Harry? Ti sembra che io non sia al corrente della abnorme cotta che mi sorella ha per lui da quando aveva tredici anni? Sul serio? Non avrei potuto ignorare la cosa neanche volendo! Diciamo solo che non ho infierito come al solito, ma so tutto quanto.»

«Sei un fratello maggiore più in gamba di quanto credessi, allora.»

«Non sbilanciarti troppo, ragazzina. Ancora non sai con chi hai a che fare.» le rispose Louis, facendola accomodare sul divano prima di lui.

«Ciao Harry. Ciao anche a te, Charlotte.»

Lottie si voltò sconvolta, posando improvvisamente il cellulare e togliendo le gambe dalla poltrona, come se volesse alzarsi in fretta e furia.

«Chi ti ha detto il mio vero nome? Lo odio! Chiamami Lottie per favore, o non uscirai viva da questa casa!»

Lydia indietreggiò istintivamente e poi annuì, prima di notare che Harry la stava fissando mentre cercava di soffocare una risata isterica.

«Benvenuta a casa nostra!» bisbigliò poi il ragazzo, nel tentativo disperato di non riderle in faccia.

La ragazza gli regalò una smorfia, notando come Harry in risposta avesse abbozzato un sorriso complice. Non sarebbe stato facile dialogare con la sorella di Louis, soprattutto se la verità fosse saltata fuori, ma non poteva fare altro che sperare che non ce n’è fosse il bisogno.
Una volta accomodatasi nel divano, si voltò verso di Louis che controllava in maniera maniacale il telecomando della tivù continuando ad alzare ed abbassare il volume.

«Come mai siamo tutti qui, insieme?» domandò poi, nel tentativo di distogliere il ragazzo dal suo intento.

«Adesso vedrai.» le rispose Louis, increspando un po’ le labbra.

In realtà Louis non poteva sapere come l’avrebbe presa; poteva solo sperare che la reazione variasse dal bene al malissimo, e niente di più. La conferenza stampa aveva preso tutti in contro piede, e quando Liam e Zayn si erano fermati per pranzo a casa loro per discutere della faccenda, Harry aveva dato di matto per una mezz’ora buona, inveendo contro i manager e perfino contro di loro. Poi, con l’aiuto di Niall che era invece fin troppo tranquillo, si era calmato e aveva metabolizzato la notizia.
Louis, invece, aveva provato uno strano senso di contentezza. Non era propriamente felice della cosa, ma almeno qualcosa si stava muovendo, qualcosa stava cambiando, e la cosa sorprendentemente lo entusiasmava.

«Ma è una cosa seria?» incalzò di nuovo Lydia, un po’ allarmata.

«Punti di vista.» rispose Harry, cogliendola alla sprovvista e inserendosi nella conversazione.

A quel punto Louis fece un cenno ad entrambi, ordinando loro di zittirsi, e portò il volume della tivù da trenta a quaranta.
Stavano fissando lo schermo che mostrava un tavolo vuoto con tre microfoni sopra quando l’inquadratura si posò sull’enorme faccione compiaciuto del vice direttore che, affiancato dal suo segretario e da un altro dirigente, si sedette al tavolo e sistemò ordinatamente le carte che stringeva in mano.

«Buongiorno a tutti,» incominciò questo attraverso lo schermo della tivù, «Questa conferenza stampa vi sembrerà organizzata in fretta e furia, in quanto il comunicato stampa ha tardato ad essere diffuso, ma in realtà sono diverse settimane che noi dello staff ci stiamo lavorando con molto impegno e fatica. La notizia principale, come avrete intuito è una sola: il ritorno del collaudatissimo progetto One Direction che negli anni passati ha fatto così tanto scalpore e successo ma che, ahimè, è stato concluso piuttosto bruscamente e in sordina...»

«Venduto bugiardo...» bisbigliò Harry, commentando quelle mezze verità che erano state esposte.

«Dopo alcuni mesi di trattative che, per inciso, hanno richiesto un lavoro a dir poco certosino del nostro staff, siamo arrivati ad un punto di svolta per tutti quanti ed è stato formulato un nuovo contratto che andrà a riportare sul mercato discografico la boyband One Direction. Naturalmente i nostri baldi giovani ormai sono cresciuti, sono maturati, e speriamo che il loro talento possa ugualmente imporsi nel mercato come era solito fare negli anni passati. Il nostro esempio più grande, nonché fonte d’ispirazione, è stato l’acclamatissimo ritorno della band dei Take That che, come tutti saprete, per moltissimi anni prima e dopo la loro rottura, hanno fatto la storia. La speranza di tutti, quindi, è di ottenere lo stesso strabiliante risultato senza mai dimenticare o contaminare lo stampo con cui la band degli One Direction è inizialmente stata pensata. I ragazzi sono tutti e cinque cresciuti ma hanno conservato le loro splendide voci che, si spera, torneranno in forma nel giro di qualche mese grazie all’aiuto dei nostri preparatissimi vocal-coaches che li hanno seguiti anche negli anni passati. Credo di interpretare la volontà comune quando chiedo se, ad oggi, sono state fissate delle date o delle tempistiche; la risposta alla precedente domanda è no, per ora. Stiamo lavorando a stretto contatto con i ragazzi in prima persona per cercare di capire cos’è meglio per loro e per tutto lo staff che lavora con essi, e questo richiederà indubbiamente del tempo. Prego, quindi, tutti quanti di non diffondere falsi allarmismi o inutili pettegolezzi che non gioverebbero al progetto che sta per rinascere tra le nostre mani. Prego, infine, tutti quanti di non importunare i ragazzi e le loro famiglie per ricevere ulteriori dettagli perché, ad oggi, non sono autorizzati a rilasciare interviste o esclusive di nessun genere...»

«Chi l’avrebbe mai detto...» bisbigliò Harry di nuovo, palesemente contrariato.

«Ringrazio tutti quanti per aver partecipato così numerosi a questa conferenza stampa piuttosto frettolosa ma fondamentale, oserei dire; spero che tutto quello che è appena stato diffuso non venga storpiato o frainteso in nessun modo. Grazie mille di nuovo; arrivederci

A quel punto Louis spense d’istinto la televisione e si lasciò scivolare sullo schienale della poltrona. Poi, con uno sguardo un po’ rammaricato si voltò verso Lydia che era rimasta immobile ed in silenzio, pensierosa.

«Ecco la notizia.» incominciò il ragazzo, con un filo di voce.

«Oh... beh, è una buona notizia, no?»

«Cambieranno un sacco di cose, Lydia; soprattutto se la casa discografica comincia ad accelerare i tempi senza consultarci.»

«Certo, immagino.»

Louis non rispose e continuò a guardarla. Fissava quel suo sorriso tranquillo e sincero, che un po’ lo rassicurava, mentre dentro di sé aveva un milione di dubbi che lo tormentavano senza sosta. Avrebbe tanto voluto poter parlare liberamente di tutta quella faccenda tra loro due, discuterne i dettagli, capire se e cosa sarebbe cambiato d’ora in poi, ma c’erano Harry e Lottie con loro e non era possibile farlo.

«Posso dirlo a mamma? Non gliel’hai già detto, vero?» si inserì subito la ragazzina, pronta a rompere il silenzio.

«No. Chiamala. E dille anche che domani torni a casa.»

«Eddai Louis! Fammi restare almeno fino a sabato, ti prego!»

«Perché, cosa c’è sabato?» chiese Lydia un po’ confusa, mentre osservava Harry che giocherellava in silenzio con le sue stesse dita.

«La festa di compleanno di Louis! Ecco cosa c’è!» le rispose invece Lottie, piuttosto stizzita.

«Nessuno ha ancora detto niente! E poi oggi è giovedì, ormai non verrà più nessuno.» obiettò Louis contando mentalmente tutti i suoi possibili invitati.

«Ma come nessuno? Lo sai che ti basta una telefonata e qui si riempirà di gente e di imbucati! Hai sempre festeggiato Louis, non capisco perché quest’anno dovrebbe saltare!»

Il ragazzo si voltò verso il coinquilino che, già in attesa di un sguardo, scrollò le spalle senza alcuna enfasi, come se volesse dare il suo consenso per quella festa di cui si stava parlando. Poi posò lo sguardo su Lydia che per tutto quel tempo aveva seguito attentamente il loro battibecco, nella speranza di capirci qualcosa.

«Tu che dici?» le chiese di nuovo, in cerca di un onesto e disinteressato parere.

«Dico che se hai sempre festeggiato il tuo compleanno dovresti farlo anche quest’anno, a discapito di quanta gente verrà. E poi avete anche altro per cui festeggiare, no? Che vi piaccia o no, sono sicura che un sacco di gente sta solo aspettando di sapere quale sarà la vostra prossima mossa.»

«Visto? Hai sentito? Vedi che ho ragione io? Eddai Lou!»

Il ragazzo roteò gli occhi, infastidito dall’insistenza della sorella, e poi si voltò di nuovo verso Harry per ottenere una risposta ufficiale ed a voce alta.

«Festa?»

«Festa.» annunciò Harry, scuotendo la testa.
In realtà l’idea non lo entusiasmava granché in quel momento, probabilmente per colpa di quello sbruffone della casa discografica, ma doveva ammettere che il ragionamento di Lydia non faceva una piega: non voleva essere una festa per attirare l’attenzione, non era nel loro stile. Doveva essere una festa interessante, alla moda, ma allo stesso tempo loquace; doveva essere una festa con le contropalle, che sull’invito portava scritto “Ciao a tutti, siamo tornati”.
























Devo dirlo: questo capitolo, purtroppo,  mi è uscito malissimo. Avevo in mente delle cose, carine pensavo, ma in fase di scrittura sono tutte scemate e in compenso è uscita questa cosa non meglio identificata. Mi scuso, ammetto di essere molto più brava quando scrivo il capitolo in un'ora e mezza filata; immagino che tutti abbiano dei limiti. 
Mi scuso anche per il ritardo piuttosto ridicolo, ma ho avuto dei problemi e non sono riuscita a fare meglio e prima di così. Ci tengo comunque a dire che i prossimi due capitoli -unificati o meno- sono i miei preferiti e sono quelli che hanno fatto nascere la storia e che, di conseguenza, mi hanno fatto scegliere questo particolare titolo. 
Grazie a tutti i nuovi lettori (♥), grazie a quelli che non recensiscono ma leggono e grazie anche a chi si ferma un minuto per lasciarmi un commento. Siete tutti una gioia!

Un bacio,
Giuli

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Capitolo 12
*** XI. ***




XI.
 

You know the bed feels warmer sleeping here alone,
you know I dream in colour and do the things I want




«Ma quindi ci sarà molta gente?» continuò Ginevra, mentre cercava di sbloccare la zip di quella camicetta un po’ vintage che le piaceva tanto.

«Non lo so, penso di si.»

«Ma credi che saranno più o meno di cinquanta persone? Così, per farmi un’idea...»

«Credo di più, Louis ha un appartamento spazioso e non dovrebbe essere un problema. In più conosce un sacco di gente, amici di amici e via dicendo.»

«Ma non è un problema la mia presenza? Se do fastidio posso anche rimanere qui, non voglio disturbare, magari vuole stare solo con te...»

«Ginevra, calmati!» le rispose Lydia fermandosi di colpo e lasciando che il leggins le coprisse solo la metà di un polpaccio, «Mi ha chiesto lui di portare una persona, e mi ha anche detto che se quella persona fossi stata tu non ci sarebbe stato nessun problema. E’ curioso, vuole conoscerti. E poi punta a fare le cose in grande, credo che ogni invitato abbia un “più uno” a disposizione, senza tenere conto degli imbucati; quindi davvero, non agitarti per queste cose.»

Ginny annuì animatamente, mentre ripensava alla festa a cui stavano per partecipare. In un certo senso era stata invitata, lo sapeva bene, ma aveva questa strana sensazione di essere una specie di imbucata o qualcosa del genere. D’altra parte, però, era così curiosa di vedere questo Louis in carne ed ossa che tutto il resto passava subito in secondo piano, come se niente fosse.

«E perché ha deciso di fare questa festa?»

«Per il suo compleanno e perché è stato assunto di nuovo dal vecchio datore di lavoro, se si può dire così.» le disse ancora Lydia, trattenendo un sorriso malizioso.

Era vero: omettere la vera identità di Louis, pur avendo detto alcune verità, era una carognata bella e buona. Le era sempre dispiaciuto, in fin dei conti, ma non pensava che si sarebbero mai incontrati loro due. Ma in men che non si dica, invece, si era ritrovata immischiata in quella faccenda, e poi in casa di Louis, e poi a quella festa e chi più ne ha più ne metta. Okay, forse le era leggermente sfuggito il controllo della situazione, ma poteva ancora sistemare le cose, se solo avesse voluto farlo.

«Ah, perfetto allora! Promettimi una cosa, però: non perdermi mai di vista! Allontanati, sbaciucchiati Louis, ma non lasciarmi mai da sola in mezzo a tutta quella gente estranea e losca, o potrei avere un attacco di panico.»

«Sono solo ragazzi, Ginevra. E con ragazzi intendo giovani adulti, non esponenti prettamente di sesso maschile! Ci saranno anche delle ragazze, voglio sperare.»

«E se siamo solo io e te?»

«Beh... pazienza, allora. Saremo solo io e te! Ma non penso proprio; te l’ho detto, Louis conosce un sacco di persone.»

A quel punto Lydia si voltò verso l’amica, posando il piccolo tubetto del mascara sul comò. Non era mai stata una grande consigliera per quanto riguardava l’estetica: trucco, parrucco, smalti e quant’altro non erano mai stati il suo forte e di certo non si era mai permessa di mettere bocca sullo stile e le decisioni altrui, ma doveva ammettere che, quella sera, Ginevra era particolarmente carina.
In due anni di convivenza non l’aveva mai vista indossare quella camicetta un po’ vintage che portava in quel momento, smanicata e con un simpatico girocollo decorato; come non aveva nemmeno mai visto quei skinny jeans slavati e lunghi fino alla caviglia. Aveva del buon gusto, Ginevra, e lei non l’aveva mai saputo.

«Perché mi stai fissando? C’è qualcosa che non va in me? Dì una parola e mi cambio!»

«No, non fare niente! Stavo giusto pensando che mi piaci un sacco vestita così, e se escludiamo il giorno in cui ci siamo incontrate, non ti ho più vista indossare cose di questo genere.»

«Non mi sento molto a mio agio quando mi espongo. Diciamo così.»

«Si, lo immaginavo, però sappi ti donano molto. Dico per davvero.» concluse poi Lydia, mentre finiva di arricchire le guance con un po’ di fard color pesca.

Ginny fece per rispondere ma fu interrotta da tre colpi alla porta che quasi la fecero sussultare tanto erano inattesi.
Non stavano aspettando nessuno e, secondo gli accordi, avrebbero dovuto presentarsi a casa di Louis nella mezz’ora successiva senza che nessuno venisse a prenderle. Chi poteva essere?

Lydia le fece cenno di andare ad aprire mentre lei infilava le ballerine in assoluta tranquillità. Così la ragazza sospirò rumorosamente e si avvicinò alla maniglia, stringendola forte.

«OH MIO DIO» esclamò Ginevra in preda al panico, sbattendo violentemente la porta per richiuderla.

«Che succede?» chiese a quel punto Lydia, a sua volta spaventata ed allarmata.

«Oh mio Dio, Lydia! Perché non me l’hai mai detto?»

«Non ti ho detto cosa?»

«Perché non mi hai detto che il tuo Louis era quel Louis?!»

«Ma era lui alla porta? Ginevra, l’hai chiuso fuori dalla porta?! Aprigli, avanti!»

«Lydia, io sto iperventilando!» esclamò di nuovo la ragazza mentre rimaneva saldamente appoggiata alla porta, come se temesse uno sfondamento da un momento all’altro.

«Okay, calmati. Mi dispiace, davvero, ma non sapevo come dirtelo! Non pensavo vi sareste incontrati molto presto, anzi, non pensavo vi sareste incontrati e basta. Mi è sfuggita di mano la situazione, capisci? Lui è una persona normale, te lo garantisco, e mi tratta come una ragazza normale ed è gentile anche se un po’ lunatico e imprevedibile. Mi dispiace sul serio, non volevo!»

Ginevra prese un lungo, interminabile respiro e poi sospirò. Doveva mantenere la calma, cercare di abbassare il battito del cuore e pensare che infondo non era niente, che era solo Louis Tomlinson. Quello dagli occhi azzurri come l’oceano d’estate, e il sorriso da bambino innocente, e quella voce a tratti dolce ma sexy. Quello a cui aveva sbattuto la porta in faccia dopo un “Ciao, c’è Lydia?” era solo Louis Tomlinson.

«Non ce la posso fare.» sentenziò di nuovo buttandosi a peso morto sul letto.

Lydia sorrise, portandosi una mano alla bocca per soffocare una risata, e poi si avvicinò alla porta e l’aprì.
Louis entrò nella stanza con fare circospetto, quasi intimorito da quella pazza che gli aveva appena sbattuto la porta in faccia, e poi lanciò uno sguardo a Lydia che gli sorrise, mentre indicava il peso morto sul letto poco lontano.

«Mi dispiace per prima; la mia compagna di stanza era una vostra fan e ha sfasato per qualche minuto. Ora le passa, promesso.»

«Sicura?»

«Sicura!» esclamò la ragazza, prendolo per mano per farlo avvicinare all’altra ragazza, «Allora: Louis, quella buttata sul letto è Ginevra, una mia compagna di corso nonché compagna di stanza. Ginevra, questo è Louis, il ragazzo di cui ti avevo parlato e che adesso hai conosciuto, anche se non so per quale motivo sia venuto fin qua, ma non importa.»

Ginny si alzò dal letto con sguardo affranto, avanzando solamente con il busto come le mummie egiziane in quei soliti film di orrore e fantascienza. Da uno a dieci avrebbe sicuramente dato quindici punti a quell’episodio per catalogarlo in “Grandissime figure di merda”, ma fece finta di niente e lo salutò con un cenno.
Louis, in risposta, sorrise un poco. Non voleva sbilanciarsi: le persone con queste reazioni così esagerate lo avevano sempre intimorito in qualche modo.

«Bene, ora che vi siete presentati possiamo andare?» continuò ancora Lydia, nel tentativo di sbloccare quella situazione fin troppo imbarazzante.
 
 







La festa aveva preso decisamente la piega giusta: bella gente, bella musica, cocktail ben fatti e una casa da sballo. Un mix innegabilmente perfetto.
Mentre Louis richiudeva la porta dietro di se, Lydia e Ginevra avanzarono di qualche passo, curiose ma un po’ intimorite allo stesso tempo. L’ultima hit di Calvin Harris e un prepotente vociare accompagnavano il loro ingresso a cui nessuno aveva praticamente prestato attenzione.

«Se volete potete appoggiare le giacche in camera mia, così non vanno perse.» incalzò il ragazzo dopo averle raggiunte in silenzio.

«Meglio di si, grazie.» gli rispose Lydia mentre si sfilava il cappotto, prendendo sottobraccio anche quello di Ginevra.

«Da questa parte, ti accompagno...»

«Okay, un secondo però... Ginevra, appoggio i cappotti nell’altra stanza e torno subito, va bene? Tu non perderti in giro e aspettami. Anzi, se ti va puoi prendere un drink per ciascuna. Che ne dici?»

La ragazza si voltò verso di lei, con gli occhi spalancati e quest’aria palesemente sconvolta: non aveva mai visto così tanta bella gente -fisicamente parlando- nello stesso posto, tutti stipati ma allo stesso tempo incredibilmente divertiti e gioiosi. Aveva la strana sensazione che non sarebbe stata una serata da dimenticare, ma piuttosto una da ricordare.
Così annuì a Lydia, rassicurandola, e poi si avviò in mezzo alla calca per guardarsi un po’ in giro. Così era questo l’aspetto delle feste organizzate dalle celebrità? Si avvicinò al tavolo dei cocktail, indecisa se prendere due bicchieri di quel miscuglio azzurro oppure optare per un azzurro e un rosso, presumendo che il secondo sapesse da fragola, ciliegia o frutti di bosco.
Dopo aver dato la sua fiducia al miscuglio rosso, allungò la mano e prese un bicchiere per riempirlo. Poi una voce fuoricampo la fermò, sganciando una sentenza a bruciapelo.

 
«Non prendere quello, è troppo dolce. Il gusto d’anguria ti fa venire voglia di vomitare dopo due sorsi!»

Ginevra si voltò, chiedendosi come fosse possibile che dopo dieci secondi netti in quella stanza lei fosse già stata presa di mira da uno sconosciuto.

«Grazie del consiglio, ma..... Harry?!»

Il ragazzo sgranò gli occhi, incredulo e piuttosto agitato. Come aveva fatto ad imbucarsi? O meglio, chi l’aveva invitata?

«Ginevra? Ma che ci fai qui? Non puoi rimanere se non sei invitata!»

«Io sono stata invitata, signorino! Solo il “più uno” di Lydia, la ragazza di Louis!»

«E come fai a conoscerla? No sul serio, è uno scherzo?»

«Si da il caso che lei sia la mia compagna di stanza all’università! E poi perché dovrebbe essere uno scherzo? Non sono abbastanza cool per partecipare alle tue feste?»

«Non è questo il punto! Non mi aspettavo di vederti qua, niente di più. Non è che per caso hai detto a qualcuno di quella cosa, vero?»

«No, non ho detto niente. E comunque insisto nel dire che tu dovresti essere a casa a studiare, non alla festa di Louis!»

Harry incrociò le braccia, fingendo il suo disappunto, e poi la prese per un braccio, allontanandosi di qualche passo dal tavolino degli alcolici.

«Tecnicamente io sono a casa.» spiegò un po’ irritato, «Io e Louis viviamo assieme, e siamo ancora amici. Non te l’ho mai detto perché non pensavo fosse importante, ma a questo punto immagino che sarebbe stato meglio dirtelo.»

«E direi di si! Se l’avessi saputo non mi sarei nemmeno presentata e avrei lasciato Lydia con Louis, tanto lei se la cava sempre in qualche modo...»

«Voi due vi conoscete?» chiese l’ennesima voce fuoricampo, riportando i due ragazzi alla realtà.

Louis e Lydia erano tornati nella sala qualche minuto prima, e dopo aver affannosamente cercato Ginevra per tutta la stanza, l’avevano intravista parlare con Harry, ignorando completamente l’argomento della loro conversazione.

«No, macché! Le ho semplicemente detto che il cocktail all’anguria è penoso.» mentì Harry, cercando di sembrare il più tranquillo possibile.

«Quello è il mio preferito.» obiettò Louis mentre fissava l’amico con sguardo accigliato.

«Non è colpa mia se ti piacciono le cose vomitevoli.»

Lydia trattenne una risata, come era solita fare quando Louis e Harry intavolavano una delle loro proverbiali discussioni. Non voleva mettersi in mezzo, non li conosceva abbastanza, ma la situazione diventava sempre troppo comica per non riuscire a ridere.

Prendendo Ginevra sottobraccio, poi, si allontanò dai due ragazzi per lasciarli sbollire in santa pace. Aveva bisogno di staccare il cervello, resettare la sua vita per qualche ora, per prendere una boccata d’ossigeno e schiarirsi le idee sul da farsi.
 
 





Quando Louis spalancò violentemente la porta del terrazzo per uscire, l’orologio segnava le tre meno cinque di mattina. Dopo aver inalato una quantità non indifferente di brezza pungente, prese una sigaretta dal pacchetto appoggiato al davanzale della finestra, dopo essersi ricordato che Zayn era uscito a fumare non più di dieci minuti prima.
La fissò per qualche secondo, indeciso se farlo si o no, e poi prese l’accendino poco lontano e l’accese, mentre scuoteva la testa con fare rassegnato.
Dopo il primo tiro pensò che quel gusto amarognolo gli era decisamente mancato. Con il secondo tiro, invece, si convinse del fatto che la situazione non era così ridicola come sembrava a lui. Dopo il terzo, infine, alzò le spalle e decise di fregarsene e continuare come niente fosse, anche se sentiva la necessità di farsi una bella dormita.

«Non sapevo fumassi...»

Louis si voltò, spegnendo con fare isterico la sigaretta prima di lanciarla nel vuoto.

Non si era accorto di niente; non si era accorto di lei. Eppure era rimasta lì a fissarlo in silenzio per tutto questo tempo, indossando una sua felpa e stringendo il bicchiere vuoto tra le gambe.

«Infatti non fumo. Era solo un tiro, ogni volta è come la prima volta diciamo. Per sentirne il sapore; tutto qua.»

«Mi sembravi un po’ agitato quando sei uscito. Tutto okay?»

Se avesse potuto avrebbe pagato una qualsiasi cifra per avere una domanda di riserva, in quel momento, ma sapeva di non avere questa possibilità. Avrebbe parlato, quindi, senza filtri e senza smorfie, perché di lei sapeva di potersi fidare.

«Una mezz’oretta fa è passata Eleanor, per vedermi. Mi ha fatto gli auguri e si è congratulata per me, per la faccenda del lavoro e tutto il resto, ma lo sai già no? Credevo mi odiasse. Anzi, so che mi odia. Mi odia con ogni parte del suo corpo, gliel’ho sempre letto negli occhi dopo la nostra rottura, eppure continua a comportarsi come se ci tenesse a me. Ma lei mi odia, lo so.»

A quel punto Lydia uscì dall’ombra in cui si trovava, e si avvicinò al ragazzo, appoggiando i gomiti sulla ringhiera del poggiolo proprio come stava facendo lui.

«No che non ti odia, Louis, altrimenti non sarebbe venuta fin qua. Se ti odiasse non avrebbe fatto questo sforzo. Incontrare di tua spontanea volontà una persona che amavi e che non fa più parte della tua vita è davvero uno sforzo, e non può essere motivato da rabbia o dall’odio, ma dall’affetto semmai.»

«Ma tu non la conosci, non sai com’è fatta. Lei è perfetta, lo è sempre stata. Non c’è niente che non vada in lei, o nel suo modo di vestire, di comportarsi, o di amare... è sempre adeguata, in ogni situazione, e credo che non riuscirà mai a capire perché l’ho mollata così su due piedi. Ma non la biasimo, non lo capisco nemmeno io.»

In quel preciso momento, poi, calò il silenzio. I due ragazzi rimasero così, l’uno affianco all’altra a fissare il panorama di quella Londra ancora avvolta dalle tenebre della notte.
Era una sensazione così strana, quella che stava provando: non riusciva nemmeno a spiegarsela da sé, nonostante la sua mente fosse piuttosto lucida. Era una pulsione, un desiderio, la volontà di fare qualcosa per aiutarlo, per togliere quel suo malessere che lo aveva spinto a fumare e che lo aveva reso improvvisamente cupo. Ma lo conosceva così poco, erano solo due estranei.

«E’ sempre stata impeccabile in due anni e mezzo di relazione.» riprese il ragazzo dopo aver preso un’altra buona dose d’ossigeno, «Mai una sbavatura, mai un litigio, mai un battibecco, niente. Una relazione perfetta, liscia come l’olio, invidiata da tutti in ogni momento. Ad un certo punto della mia vita, quando la guardavo, mi ero persino convinto che l’avrei sposata un giorno, proprio io che ho sempre odiato i matrimoni. E poi ad un certo punto ho smesso di sentirla, nel modo in cui si sente la persona che si ama, intendo. Quando eravamo lontani non mi mancava, e ho iniziato ad essere insofferente ed irascibile, brusco quasi, ma non volevo farla soffrire.»

Lydia continuò a rimanere in silenzio, sollevando impercettibilmente i gomiti dalla ringhiera per appoggiarci invece la schiena, fissando così la vetrata oscurata che nascondeva la festa all’interno della casa.
I muri insonorizzati stanno davvero facendo il loro lavoro, pensò, mentre si fermava ad ascoltare il respiro irrequieto di Louis che scandiva il passare dei secondi.

«Così l’ho lasciata andare, l’ho liberata, per vedere come andava a finire. Lei non se lo aspettava proprio, ma non ha pianto; nemmeno una lacrima, nulla, anche se so benissimo che avrebbe tanto voluto strozzarmi in quel momento. Ecco, da quel giorno lei mi odia, e vederla prima mi ha fatto sentire uno schifo perché forse avrei dovuto chiederle scusa e riprenderla con me, anche se non l’ho mai fatto e non so perché. Non mi è mai importato granché del pensiero della gente, ma di lei m’importava. E adesso mi odia.»

A quel punto Louis alzò lo sguardo, e nel buio di quella prima mattinata si voltò verso Lydia. Come aveva potuto anche solo pensare di trovare conforto in lei, che era una completa sconosciuta e che per di più non sapeva assolutamente niente della sua vita?

«Sai cos’ho capito in queste tre settimane?» incominciò invece la ragazza, inaspettatamente, «Ho capito che non ti si può odiare, né dimenticare. Provandoci magari si arriva a qualche conclusione di qualsiasi tipo, non lo so, ma ad un certo punto della giornata suonerà sempre un campanello nella testa che parla di te, o a che fare con te, o ti riguarda. E’ matematico, da lì non si scappa, prendere o lasciare. Quindi, se devo essere del tutto sincera con te riguardo questa cosa, no... lei non ti odia. Forse ci ha provato, sì, ma non ci è mai riuscita. Credo che questa sera, ad un certo punto, il suo campanello sia suonato e abbia sentito il bisogno di dirti quelle cose perché voleva che le sapessi, perché era giusto che capissi che in fin dei conti ancora ci tiene un po’ a te. Fa parte del suo essere così adeguata in ogni situazione, l’hai detto tu; sente sempre il bisogno di fare la cosa giusta al momento giusto, e trovo che sia un bel comportamento da parte sua.»

Louis rimase in silenzio, immobile, di nuovo fisso su quella stella che gli sembrava di aver intravisto mentre fumava la sua sigaretta qualche minuto prima. Non sapeva bene cosa dire, non sapeva se era il caso di rispondere o lasciar cadere il discorso così, senza aggiungere altro. Di nuovo, però, sentì il bisogno di agire senza pensarci, come se dovesse riprendere la sigaretta di prima e fumarla di nuovo.
Così staccò i gomiti dalla balaustra e si fermò davanti al corpo della ragazza, mentre si sforzava di trovare il colore delle sue iridi in quel buio rivelatore.
Le prese una mano delicatamente e la strinse un poco, quasi impercettibilmente, riuscendo a capire che era leggermente raffreddata.
L’aveva persa di vista forse mezz’ora, un’ora fa, e non l’avrebbe mai trovata se non avesse sentito il bisogno di isolarsi proprio come aveva fatto lei. Erano diametralmente opposti, due binari che non sono destinati ad incontrarsi,  ma nessuno poteva immaginare che nelle loro differenze potesse esserci un qualcosa di così buono, sincero, pieno, giusto.

Lydia osservò il ragazzo prenderle la mano, e non si ritrasse. Sentiva le sue dita bollenti infondere un po’ di calore alle sue, ormai raffreddate dal troppo tempo passato su quel terrazzo. Quando poi Louis la strinse in un abbraccio, rimase di nuovo immobile, mentre con la fronte appoggiata al suo petto riusciva a percepire i battiti ormai regolari del suo cuore.
Se avesse potuto avrebbe chiesto al tempo di fermarsi, anche per un solo secondo, per lasciarla da sola a schiarirsi le idee. Non le era permesso affezionarsi ai suoi clienti, non doveva nemmeno passarle per l’anticamera del cervello, eppure in quel momento tutto sembrava fuorché proibito.

«Prima di andarsene Zayn ha visto dei paparazzi, fuori da casa mia. Rimani a dormire, solo per stanotte. Non voglio metterti nei guai.» le disse ancora Louis, senza lasciarla andare.

«Va bene. Rimango.» rispose infine la ragazza, facendo aderire la guancia al suo petto, in cerca di altro tepore umano. 



































Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto. In molte mi avete chiesto quando avrei aggiornato e mi avete detto che la mia storia vi mancava, e di questo vi ringrazio immensamente. Siete sempre dolci e carine con me, e non saprò mai dirvi quanto io lo apprezzi!
Oggi non sono di molte parole perciò vi lascio questo capitolo di "scuse" nella speranza che sia di vostro gradimento e che sia valso tutta l'attesa.
Cercherò di postare il prossimo il prima possibile!
Un bacio  

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Capitolo 13
*** XII. ***


XII.

I’m starting to believe the smell of
your everything fills me somehow

 

Vaniglia.

Il cuscino odorava di vaniglia, o almeno così gli era parso mentre disfaceva il letto per buttare federa e lenzuola nel cesto della biancheria da lavare.
Nonostante fosse andato a dormire verso le cinque, quel mattino Louis fu costretto ad alzarsi comunque presto, dovendo accompagnare la piccola Lottie alla stazione dei treni dove -finalmente- avrebbe preso il fatidico treno che l’avrebbe fatta rincasare sana e salva.
Tornando poi al suo appartamento, l’aveva ritrovato in condizioni perfette: i due sacchi dell’immondizia accuratamente chiusi e legati erano accatastati fuori, in terrazza, e il tavolo era apparecchiato per tre, nonostante mancassero una tazza e un piattino, segno che qualcuno aveva già fatto colazione. Lì per lì pensò si trattasse di Harry, mattiniero com’era, ma dovette ricredersi quando trovò la camera degli ospiti vuota.
Fu in quel preciso momento che decise di disfare il letto per buttare a lavare le lenzuola, quasi con il desiderio di far sparire ogni piccola traccia della sua permanenza in quella camera.
Della sera precedente aveva ricordi nitidi, seppur scomodi, e non era ancora stato in grado di decidere se la conversazione che aveva avuto con la ragazza giocasse o meno a suo sfavore.
Non era pentito: Louis Tomlinson non si pente mai delle sue azioni; era piuttosto imbarazzato, fortemente imbarazzato. Subito dopo aver ufficializzato la rottura si era preso del tempo per elaborare e ripensare alla cosa e  alla sua ex fidanzata, e non ne aveva più parlato con nessuno. Un po’ perché erano fatti suoi, e in quanto tali dovevano rimanere una faccenda privata, e poi perché non c’era granché da dire. Con lei, invece, si era preso la libertà di riflettere ad alta voce su tutte quelle cose che aveva gelosamente tenuto e coltivato per sé nell’arco dei mesi, senza quella paura assordante di essere scoperto o spiato.
E poi quell’abbraccio istintivo, fin troppo loquace. L’ultima cosa che si erano forse detti prima che lei sparisse e lui trovasse una stanza vuota e sfatta al suo posto.
Mentre chiudeva la porta della stanza degli ospiti dietro di sé pensò ad Harry, che probabilmente stava ancora bellamente dormendo ignaro di tutto. Svegliarlo diventò quindi la sua priorità numero uno, nella speranza che non fosse di cattivo umore come accadeva di solito dopo una festa.
Lo spintone che gli regalò all’altezza dei reni non fu spietato, ma non fu nemmeno una carezza. Harry però non fece una piega e rimase nella stessa posizione, con il viso nascosto da una massa ribelle e scompigliata di ricci un po’ troppo lunghi.

«Harry.» dichiarò infine Louis, già stanco dall’idea di dovergli tirare l’ennesimo spintone.

Il ragazzo, di nuovo, lo ignorò assorto com’era nel suo sonno ristoratore. Per un istante sembrò anche parlare, forse riferendosi ad un sogno che stava avendo.

«Harry.» ripeté di nuovo Louis, completamente atono e impassibile.

Dopo essere stato ignorato ancora, decise allora di ricorrere alle maniere forti, togliendo dal letto coperta e lenzuola, lasciando così Harry scoperto e al freddo, nonostante indossasse ancora i vestiti della sera precedente.
Il ragazzo a quel punto mugolò rumorosamente, dando cenni di vita. Stropicciò gli occhi senza muovere un muscolo e poi finalmente si voltò, coprendosi il volto con una mano per non essere infastidito dai raggi di sole che già filtravano dalla finestra.

«Che ore sono?» chiese con voce impastata, mentre cercava di aprire le palpebre che gli sembravano pesanti come macigni.

«Quasi le dieci.» ribatté Louis dandogli le spalle, ancora seduto sul bordo del letto.

«Quindi ho dormito quasi cinque ore?»

«Non lamentarti, anch’io ho dormito poco. Ho accompagnato Lottie a prendere il treno, se n’è ufficialmente andata; puoi tirare un sospiro di sollievo.»

«Lo sai che non mi dava fastidio.» rispose Harry, celando un’indescrivibile senso di sollievo e felicità.

«Si, ma scommetto che adesso stai più tranquillo. E comunque prima di andare via mi ha detto che dovresti allenare di più gli addominali. Consiglio spassionato, diciamo.»

«E lei quando li ha visti i miei addominali?!»

«Non lo so, e non lo voglio neanche sapere!» esclamò Louis allora, mentre si alzava in piedi divertito, con il suo solito sorriso sornione.

«Tu ti diverti con le mie disgrazie.»

«Da quando in qua mia sorella è una disgrazia? Diciamo che è una piattola, ma non una disgrazia.»

Harry si stropicciò gli occhi per l’ennesima volta, questa volta levandosi dal letto per portare le gambe a terra. Voleva buttarle a penzoloni giù deal letto, o almeno questo era il suo intento, ma troppo spesso si dimenticava di quanto fossero lunghe in realtà.

«Senti, perché sei venuto a svegliarmi?»

«Tu la conoscevi già, non è vero? Ginevra intendo.»

«Ehm............. sì.............» borbottò il ragazzo, ancora troppo assonnato per inventare una scusa credibile su due piedi, «Ma non rispondere alla mia domanda con un’altra domanda! Dimmi perché mi hai svegliato.»

«Lydia ha dormito qui, ieri notte.» asserì Louis tutto d’un fiato, come se temesse che l’accaduto potesse essere cancellato dalla sua memoria da un momento all’altro.

«E?»

«E io ho dormito con Lottie, e lei nella stanza degli ospiti. E quando stamattina sono uscito per accompagnare mia sorella alla stazione ho pensato di non andarla a svegliare, per essere cortese, e quando sono tornato lei non c’era. Però la tavola era apparecchiata, ed era tutto in ordine.»

«Sei stato sgarbato? Le hai detto qualcosa di male? Non lo so Louis, ti chiamerà, vedrai.»

Il ragazzo annuì e non rispose, indeciso se continuare la conversazione o rimanere in silenzio. Improvvisamente il loro segreto gli sembrò troppo pesante e imponente per rimanere tale per altro tempo. Era come se il tassello mancante al suo puzzle mentale fosse quello chiamato “Raccontare la verità su Lydia”. Spaventoso, ma reale.

«Dobbiamo parlare.» riprese di nuovo, dopo aver deciso su due piedi il da farsi.

«Sì, hai ragione. Devo dirti una cosa anch’io.» rispose infine Harry, grattandosi un poco la testa mentre ammetteva a sé stesso la fine delle sue bugie.
 
 
 





Zayn squadrò i suoi quattro amici con sguardo impassibile, soffermandosi su ogni più piccolo dettaglio che caratterizzava ognuno di loro. Ormai li conosceva come le sue tasche, ovvio, ma in un certo senso era stato bello vederli maturare proprio come aveva fatto lui; fisicamente parlando, per lo meno.

«Sentite, ma perché dobbiamo fare delle riunioni se non ci sono novità di cui parlare o decisioni da prendere?»

I quattro ragazzi lo inchiodarono con i loro sguardi, sembrando tutti quanti piuttosto infastiditi. Evidentemente lui era l’unico della compagnia alla quale seccava particolarmente sostare per un numero indefinito di ore sul divano di casa Tomlinson/Styles in attesa di questa riunione del piffero che Louis, al telefono, aveva chiamato “Seduta svela segreti”.

«Te l’ho già detto, Zayn: non è una riunione. Io devo dirvi una cosa, Harry deve dirvi una cosa, quindi tanto vale svuotare il sacco una volta per tutte e non se ne parli più.»

«E se io non avessi un accidente da dire?»

Di nuovo i quattro amici lo inchiodarono con i loro sguardi, come se avesse appena detto una cazzata atomica. Ma lui davvero non aveva niente da dire: nessun altarino, nessun segreto, solo una vita pallosa vissuta senza celebrità. Se gli altri avevano dei segreti di certo non era un suo problema.

«Okay, allora inizierò io così magari ti viene voglia di dire qualcosa.» si intromise Liam conoscendolo fin troppo bene, «Quello che voglio dire è una cosa stupida, ma ci stavo pensando da un po’ e non lo sa nessuno, nemmeno mia madre. Bene.... negli ultimi tempi io e Danielle abbiamo avuto qualche problema; lei ha sempre lavorato a pieno ritmo e io me ne restavo a casa a grattarmi, o per lo meno è stato così fino a qualche settimana fa, ma avevo comunque già preso questa decisione anche senza la casa discografica e tutte quelle storie. Comunque.... voglio chiederle di sposarmi. Si insomma, ormai mi sembra stupido continuare a fare i fidanzatini; stiamo insieme da un bel po’ di anni e siamo più che collaudati. Mi sembra la cosa giusta da fare, e poi la amo.»

Harry deglutì rumorosamente, chiedendosi come fosse possibile che Liam stesse già pensando al matrimonio, giovane com’era. A lui non passava nemmeno per l’anticamera del cervello, figuriamoci a Louis, Zayn o Niall.

«Woah. Difficile da battere, questa.» esclamò Niall, quasi riemergendo dal suo stato comatoso di poco prima.

«Non c’è niente da battere, Niall. Voglio solo darle l’anello, farle sapere che un giorno la porterò all’altare, ma niente bambini e niente abito bianco per ora. Prima ci sono delle cose da rivedere, soprattutto in questo momento.»

Louis si chiuse in un criptico silenzio, rifiutandosi di fare qualsiasi cosa che potesse essere un vago cenno di assenso o dissenso rispetto a quello che aveva appena confessato Liam. Eppure di cose sui matrimoni ne avrebbe avute da dire eccome, ma niente: silenzio totale.

«Se volete posso continuare io.» azzardò di nuovo Niall, improvvisamente vispo e attivo. Inutile dire che quel loro incontro all’inizio l’aveva enormemente annoiato, ma che ora, considerando la piega che aveva preso, lo entusiasmava persino troppo.

Zayn acconsentì con un cenno del capo, seguito a ruota da Louis e Liam che lo scimmiottarono inconsciamente. Harry invece non fece una piega, visibilmente intrappolato in un suo discorso mentale che era iniziato con una riflessione sul matrimonio e che poi era rovinosamente andato a parare più in là, includendo anche Ginevra e cose del tutto insensate.

«Okay. Allora vado.» continuò il ragazzo ora un po’ titubante, «Ecco... ve lo ricordate che circa un anno fa sono tornato a casa per due settimane, giusto? E che da quando sono tornato ho iniziato ad avere dei problemi di vario genere che voi conoscete, tra l’altro? Beh, c’è un motivo. Sono abbastanza sicuro che non appena ve lo dirò voi comincerete a dirmi che sono un pazzo e che avrei dovuto curarmi, e bla bla bla ma non importa. Allora... la notte prima di partire sono uscito con Sean e gli altri, per fare un po’ di casino tutti insieme, e tornando mi sono fatto riaccompagnare da un tizio che non ricordo perché io ero troppo ubriaco per guidare. Mi avevano detto che lui non aveva bevuto, o che aveva smaltito per lo meno, invece a metà strada abbiamo investito un cane senza rendercene conto, e con il cane abbiamo ferito anche la padrona. Credo che la ragazza si chiami Lissy o una roba del genere, ma comunque adesso sta bene; fortunatamente si era rotta solo un braccio. Il punto è che ho preso uno spavento, uno bello grosso, e adesso soffro di attacchi di panico incondizionati ogni volta che dormo perché quando abbiamo investito la ragazza io stavo dormendo sul sedile posteriore. O meglio, quando quel tizio ha investito la ragazza.»
Liam, rimasto a bocca aperta per una buona manciata di minuti, si convinse a parlare. In quel momento mancavano le parole anche a lui, nonostante fosse quello saggio e coscienzioso, ma si sentì in dovere di provare.

«Ma non vi hanno denunciati? E sei andato da un medico, ti sei fatto visitare? Niall non c’è da scherzare con questa cosa, devi curarti al più presto!»

«No, niente denunce. Per il resto no: non mi sono fatto visitare perché non pensavo dipendesse da quello, ma quando ho googlato i miei sintomi ho fatto due più due.»

«Voi vi siete tutti bevuti il cervello.» sentenziò Zayn pacatamente, nonostante la sua uscita sputasse veleno da ogni prospettiva la si guardasse.

«Ecco il motivo per cui non ve l’ho detto, ma non preoccupatevi, appena definiamo le cose con l’etichetta mi faccio visitare da un dottore. Voglio essere in forma se dobbiamo incidere della musica, o fare delle performance.»

In quel preciso istante, di nuovo, calò un silenzio piuttosto imbarazzante. Quella più che una seduta “svela segreti” si era trasformata in una seduta “facciamo uscire gli scheletri dall’armadio perché le nostre coscienze ci stanno perseguitando da mesi”.
Harry si alzò in piedi di scatto, decretando che aveva bisogno di un’enorme boccata d’aria, e Louis prese la palla al balzo per mettere dell’acqua a scaldare e gustarsi un buon the in santa pace prima della sua grande confessione. Onestamente parlando doveva ammettere che i loro segreti non erano niente male, anche loro avevano le loro belle gatte da pelare, ma era piuttosto sicuro di fare il botto con il suo di segreto, e per questo motivo aveva deciso di parlare per ultimo, persino dopo di Harry che nonostante fosse incapace di mentire aveva mantenuto un segreto piuttosto ingombrante da farlo agitare all’inverosimile poco prima di sputare il rospo.

«Harry tutto bene?» incalzò Liam poco dopo, mentre guardava con fare isterico l’orologio che segnava le quattro e venticinque del pomeriggio.

Il ragazzo annuì, e dopo aver preso un altro interminabile respiro rientrò in casa, accomodandosi pacatamente sulla poltrona che l’aveva ospitato fino a qualche minuto prima.

«Quindi tocca a me.» incominciò un po’ titubante, impaurito da chissà che cosa, «Beh, ecco..... la mia cosa segreta non è che sia proprio segreta, qualcuno già lo sa.... però insomma non ve l’ho detto perché non lo so, mi sembrava stupido e poi perché volevo fare una sorpresa più o meno e boh, non so a cosa stavo pensando ma comunque-»

L’improvviso stridulo sbuffare della teiera lo fece sobbalzare, costringendolo a spostare lo sguardo verso Louis che era rimasto appoggiato al bancone poco lontano dai fornelli, con le braccia conserte e gli occhi di ghiaccio. Lo vide sciogliere dolcemente le braccia per spegnere la fiamma sotto la teiera, e a quel punto decise di riprendere il suo discorso.

«Allora, stavo dicendo..... a voi sembrerà una cosa minuscola ma per me è stata una decisione importante che ho preso da solo, senza chiedere a nessuno e soprattutto senza fare affidamento su nessuno. Insomma, per farla breve, mi sono iscritto all’università. Facoltà di Business Manageriale e Marketing.»

Il gomito che sorreggeva la testa di Niall scivolò improvvisamente dal bracciolo del divano, facendogli penzolare la testa e lasciandolo a bocca aperta.

«Questa poi è bella!» esclamò invece Zayn, con un ghigno che assomigliava più ad una presa in giro che ad un sorriso.

«Perché, è una cosa così ridicola?»

«No, Harry, al contrario! Hai preso una gran decisione e sono fiero di te.» rispose Liam visibilmente sollevato, mentre con lo sguardo fulminava il papabile malumore di Zayn.

«Si beh, in effetti mi ero preparato al peggio ma alla fine è una bella cosa Harry, quindi sono contento per te. Anche se non ti ci vedo proprio come matricola all’università!» sbottò Niall di nuovo, mentre si ricomponeva per tornare a sedere composto.

«Tecnicamente non sono più una matricola. Il mese scorso ho dato il primo esame del secondo anno, anche se in realtà sono decisamente fuori corso per l’età che ho, ma questo non m’interessa granché.»

Tutti, a quel punto, si voltarono verso Louis, l’unico che finora non aveva nemmeno aperto bocca per sbadigliare o dire una cosa qualsiasi. Lui, infatti, se n’era rimasto in cucina tutto il tempo alle prese con il suo the e le sue tazze nuove, ascoltando il racconto di Harry in religioso silenzio.
Quando poi finalmente uscì dalla cucina con il suo vassoio con i filtri, le tazze, il latte riscaldato e la teiera, sembrò quasi abbozzare un sorriso serafico. Ora ne era certo: il suo segreto era imbattibile, e terribilmente spaventoso rispetto a quelli degli altri.

«Tu non dici niente?» gli chiese Harry a bassa voce, temendo una sua qualsiasi reazione.

«Cosa vuoi che dica? Sono contento per te. Non era di certo quello che mi aspettavo ma è una cosa positiva, e ti fa onore. Non so bene come tu abbia fatto a studiare per tutto questo tempo senza farti beccare da me, ma comunque non importa, sono contento che tu abbia trovato la tua strada a prescindere dalla musica.»

Liam annuì in segno di approvazione, in concomitanza con Niall che faceva lo stesso. Zayn rimase immobile, impassibile, con la solita irrefrenabile voglia di fumarsi una sigaretta in santa pace. Harry, invece, tirò un sospiro di sollievo sentendosi improvvisamente più leggero di almeno due tonnellate.

«Tu non hai niente da confidarci?» chiese poi, ricordandosi dell’affermazione di Louis in mattinata, poco dopo averlo svegliato.

«No.» rispose subito Louis, senza indugiare per un solo istante.

Non erano pronti, glielo leggeva in faccia. Non che lui lo fosse mai stato, anzi, più passavano i giorni e più ammetteva di essersi cacciato in un enorme guaio, ma loro non erano davvero lontanamente pronti a ricevere una padellata del genere in piena faccia. Come avrebbe potuto dirlo, poi? Come si intavola un discorso del genere? No, meglio optare per la ritirata. Meglio temporeggiare e ragionarci su, in solitudine, senza impiccioni.

«Fantastico, riunione finita, vi siete tutti rincoglioniti nel profondo, grazie e arrivederci!» esclamò Zayn alzandosi d’improvviso dalla poltrona, per poi dirigersi verso l’uscio e sparire dietro di esso.

«Non mi abituerò mai a questo suo caratteraccio da uomo vissuto.» protestò Liam visibilmente sconsolato, mentre raccattava la sua giacca per andarsene.

«Ragazzi, vi dispiace se ci sentiamo più tardi? Ho bisogno di chiamare una persona.» s’intromise invece Louis, allontanandosi a passo spedito verso la terrazza, luogo che oramai gli apparteneva di diritto.
Compose il numero in fretta e furia, preparando mentalmente un breve discorso in cui chiedeva perché quella mattina fosse sparita senza dire nulla per poi passare alla questione focale, dove invece aveva intenzione di chiederle gentilmente un suo parere. Quando la voce metallica lo fece rinsavire si rese conto che il meccanismo per prenotare la richiamata era già partito senza il suo consenso, segno che il numero era momentaneamente occupato.
Così riattaccò con fare isterico, piuttosto infastidito, per poi ripetere in maniera sistematica le stesse azioni, quasi avesse bisogno di convincersi che lei avrebbe risposto a quel maledetto telefono perché lui, in quel momento, aveva bisogno di sentirla. Ma tutto quello che ottenne fu la solita tiritera della voce metallica, per l’ennesima volta.

Ma dove si era cacciata? Cosa stava facendo? Perché lo stava (forse) evitando?
 
 







FINE PRIMA PARTE











 

Prima parte di cosa? Lo scoprirete con il prossimo aggiornamento (vedrò di non metterci troppo!). Grazie per l'affetto e il costante supporto, non me lo sarei mai aspettato. 
A presto!

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Capitolo 14
*** --- ***
























Continua.....


































 

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Capitolo 15
*** Isaac ***





1. Isaac

 



“Tu vuoi una rivelazione, vuoi fare la cosa giusta, ma è una conversazione
che non posso affrontare questa sera. Vuoi una rivelazione, un
qualche tipo di risoluzione. Dimmi cosa vuoi che dica.”
(Florence & The Machine)

 





Non appena sentì lo scricchiolio della chiave che girava nella toppa, Ginevra si voltò e posò prima lo sguardo sulla maniglia della porta e poi su di Louis.
Si era limitata a fissare insistentemente il suo libro di fisiologia per due ore abbondanti, non volendo incappare in un’altra figuraccia come quella della sera precedente. Notare che Lydia stava finalmente rientrando la fece tranquillizzare, nella speranza che lei fosse in grado di gestire un più che mai adirato Louis Tomlinson.
Lydia chiuse la porta, sorridente, per poi incontrare lo sguardo dell’amica. Questa, a sua volta, le fece notare la sagoma poco lontana che sedeva sul letto e teneva lo sguardo fisso sulle mattonelle del pavimento e le braccia conserte.

«Mi dispiace...» bisbigliò visibilmente sconfortata, «Ho provato a parlargli ma lui ha voluto sedersi lì ed aspettarti, e poi non ha più aperto bocca. Volevo anche fare due chiacchiere, sai, per allentare la tensione, ma in questo momento parlare con lui è come parlare ad-»

«Un muro.» esordì Lydia, terminando la frase inconsciamente, «Grazie lo stesso, non avresti dovuto farlo rimanere. Adesso ci penso io, non preoccuparti.»

Ginevra annuì prima di avvicinarsi all’attaccapanni per indossare la sua giacca e imbracciare la borsa. Infatti, dopo aver raccattato cinque sterline di spicci da sopra la scrivania, esclamò a gran voce che sarebbe uscita per andare a comprare del latte di soia, spiegando anche che era costretta a bere quello per via della sua intolleranza al lattosio.
Non appena se ne andò, Louis voltò bruscamente la testa, cercando freneticamente con gli occhi la sagoma di Lydia.

«C’è qualcosa che non va?»

Seguendo la direzione della sua voce si voltò ancora di più, ritrovandola appoggiata alla scrivania con le braccia morbidamente incrociate al petto. Il suo viso era rilassato, nitido, tranquillo.

«Sono due ore che ti aspetto. Dove sei stata?»

«Mi dispiace, avevo delle commissioni da sbrigare. Ora sono qui.»

«Ora è troppo tardi.» avanzò il ragazzo di nuovo, con un tono di voce duro e intenso, «Avevo bisogno di te prima, in quel momento, ma tu non c’eri e non mi hai nemmeno richiamato per dirmi per quale stupida ragione te ne sei andata di casa come una ladra, stamattina.»

«Mi dispiace, non volevo che fraintendessi la cosa. Ti ho sentito uscire con Charlotte e ho pensato di togliere il disturbo. Ti avrei richiamato comunque, sai che l’avrei fatto.»

«Non mi hai ancora detto dove sei stata. Ti ho chiamata un sacco di volte e tu non hai mai risposto! Ma dov’eri? Con chi eri?»

«Mi dispiace, avevo il telefono staccato e a volte non prende, non è colpa mia.»

«Smettila di dire che ti dispiace! Voglio che tu mi risponda, adesso!» sbraitò a quel punto Louis, alzandosi improvvisamente in piedi. Aveva gli occhi sbarrati e i pugni chiusi, con una vibrante rabbia che gli scorreva nelle vene. L’aveva sentita crescere per tutto quel tempo e l’aveva covata in silenzio, lasciando che lo consumasse a poco a poco.

«Cosa vuoi che ti dica? Piombi qui senza motivo, per di più incazzato, e pretendi che sia io a darti delle spiegazioni? Senti, hai proprio sbagliato persona! Non ho intenzione di litigare con te, né adesso né mai, quindi sei hai qualche problema quella è la porta.»

Il tono di voce di Lydia si era fatto stridulo e tutta la sua calma era sparita in un secondo per lasciare spazio al nervosismo. Non aveva intenzione di urlargli addosso, non era nel suo stile, ma non poteva nemmeno starsene in silenzio e fingere di essere il suo personale sacco da prendere metaforicamente a pugni.
Louis a quel punto non disse niente, e continuò a fissarla impassibile, quasi come la stesse studiando nel tentativo di capire quale sarebbe stata la sua mossa successiva.

«Ah; ora ho capito.» esordì invece la ragazza, «Mi credevi con qualcun altro, non è vero?»

Il silenzio fu la risposta alla sua domanda.
Louis abbassò lo sguardo, ammettendo a sé stesso che nonostante avesse represso quell’idea per tutto questo tempo, questa era riuscita lo stesso a prendere il sopravvento su di lui. E poi era nata quella gelosia viscerale, ardente, che mai nella vita gli era appartenuta se non in questo momento.

«Sai, non mi stupisce per niente. Sei così diffidente e sospettoso che avrei dovuto immaginarlo, soprattutto dopo ierisera. Te l’ho ripeto per l’ultima volta: non esco con nessun’altro se non con te. Te l’ho promesso e sarà così fino alle fine dei due mesi, perché io mantengo la mia parola. Questo però non significa che sono roba tua. Ho una vita, delle cose da fare, e se queste esonerano la nostra relazione allora tu non sei tenuto a saperle. Vuoi sapere dov’ero? Ero con una persona molto importante per me ma di cui non devi preoccuparti. Era una faccenda di vitale importanza? Sì, lo era, e se vuoi sapere di chi si tratta prendi il giubbotto e seguimi, ma sappi che considero questo tuo comportamento inaccettabile e maleducato perché io, a differenza tua, di te mi fido.»

Per un’abbondante manciata di secondi Louis non seppe cosa fare, dubbioso se lei stesse mentendo o se stesse dicendo la verità. Dove l’avrebbe portato rimaneva comunque un’incognita, il punto interrogativo dell’intera questione, ma qualcosa nella sua testa gli diceva che quello poteva effettivamente essere il tassello mancante.

«Okay, andiamo. Voglio sapere chi era.» annunciò poi con un filo di voce, sentendosi già terribilmente in colpa.
 
 
 
 






«Ma... ma, Lydia cosa ci fai qui di nuovo?» chiese l’allegra signora seduta alla scrivania dopo aver liquidato il suo interlocutore al telefono con tono apatico.

«Lo so, Giuditte, non dovrei nemmeno pensare di essere ancora qui ma ho bisogno di rivederlo, solo per due minuti. Ho una questione da risolvere....» le spiegò la ragazza, accennando un piccolo spostamento del capo verso di Louis che era prudentemente rimasto qualche metro più indietro.

«Ma no, no, no! Lo sai che non posso! L’orario di visite è finito ormai, non mettermi in guai seri!»

«Ti prego, Giuditte. E’ una cosa importante; sai che non te lo chiederei altrimenti.»

La donna si guardò intorno con fare circospetto e poi lanciò un’occhiata fugace al giovane ragazzo che se n’era rimasto in silenzio vicino allo stipite della porta, con un’espressione a metà fra l’assorto, lo sconvolto e lo spaventato.
Dopo essersi accuratamente accertata che nei paraggi non ci fosse nessuno, li fece accomodare per qualche istante sulle poltroncine fin troppo piccole della sala d’attesa. Louis posò lo sguardo su Lydia ma lei continuò a fissare imperterrita l’angolo del muro, come se già sapesse che da un momento all’altro qualcosa o qualcuno sarebbe sbucato fuori di lì.
Se l’aspettava in fin dei conti, questa sua freddezza: era una reazione comprensibile, logica, adeguata. Non poteva biasimarla né rimproverarla per questo; anzi, si riteneva in qualche modo fortunato per via delle conseguenze piuttosto irrisorie. Gli era andata bene: lei non se n’era andata, era rimasta come promesso, nonostante tutto.

Mentre la ragazza tamburellava con le dita sulla sua borsa con fare isterico, Louis si prese qualche secondo per guardarsi intorno: quel posto sembrava uno studio dentistico ma era troppo grande per esserlo, e in più non c’erano quei strani cartonati appesi al muro che spiegano la struttura di un dente o illustrano i pericoli delle carie. Dava l’impressione di essere un unico, immenso appartamento ma con tantissime porte da quanto poteva vedere; come se dietro ad ogni porta ci fossero altre stanze che avevano altri scopi molto diversi da quello che suggeriva l’ambiente che lo circondava. Doveva ammettere, però, che il tutto risultava vagamente accogliente e piuttosto vissuto: dopo l’impatto iniziale ci si stava bene.
Quando notò una fugace occhiata di Lydia tornò subito composto, quasi temendo che lei potesse sparare a zero sul suo comportamento per poi lasciarlo li come un fesso. Ma lei rimase in silenzio, totalmente apatica.

Sentì il battito del suo cuore aumentare quando quella donna, Giuditte, sbucò fuori da quel famoso angolo seguita da un ragazzo che aveva tutta l’aria di essere un attore palestrato appena uscito da un remake australiano di Bay Watch o qualcosa del genere.
Non sapeva neanche perché, ma il battito del suo cuore aumentava ogni passo di più, mentre quella specie di adone si avvicinava pericolosamente a loro. Lo fissò da capo a piedi, intensamente, più del dovuto forse. Tutto quel fissare gli fece capire che era all’incirca una decina di centimetri più alto di lui, più bello, troppo biondo e probabilmente troppo muscoloso: nel complesso un gran figo, non c’era altro da dire.
Nel momento preciso in cui il ragazzo si fermò e allargò le braccia, vide gli occhi di Lydia illuminarsi improvvisamente e quasi gli parve di sentire l’eco del suo piccolo ego che si frantumava in mille pezzi.

«Piccola, che ci fai qua?» esordì il giovane, tenendo Lydia stretta fra le sue braccia.

«Vi prego ragazzi, fate veloce! Io vi adoro e lo sapete ma qui ci sono delle regole che non posso proprio ignorare! Vi do altri tre minuti, non uno di più!» bisbigliò Giuditte guardinga, mentre continuava a guardarsi intorno.

«Promesso Giuditte! Se solo Lydia mi dicesse perché è tornata e chi si è portata dietro...»

La ragazza sciolse l’abbraccio e poi sorrise, indietreggiando timidamente verso di Louis, quasi avesse realizzato solo ora che c’era anche lui e che non se n’era andato.

«Sei sempre stato un po’ troppo brusco. Difetto di famiglia, immagino.»

«Dai dai, non fare la fighetta e dimmi cosa sei venuta a fare! Ci siamo visti due ore fa, e non voglio mettere Giud nei pasticci.»

«Niente... volevo semplicemente presentarti una persona, e se ci pensi bene scommetto che capisci subito di chi sto parlando.»

«Del tipo dietro di te. O no?»

«Si, certo! Ma te ne ho parlato anche oggi, eddai.....»

Il ragazzo incrociò le braccia e incominciò a fissare Louis senza troppo imbarazzo: era come se stesse frugando nella sua memoria fotografica in cerca di una persona che gli somigliasse, e quando finalmente gli si accese una lampadina esitò qualche istante, convinto che la descrizione non combaciasse del tutto.

«Okay, ho capito... onestamente non me lo ricordavo così, ma come il tuo solito mi avrai mostrato una foto del Paleolitico, ci scommetterei!» disse il ragazzo abbozzando un sorriso, «Ma comunque, tu dovresti essere Louis, giusto? Louis Tomlinson. Quel Louis, il suo Louis.»

Louis annuì involontariamente con la testa rimanendo in silenzio, un po’ intimorito: con chi aveva il (dis)piacere di parlare? Qualcuno di sua conoscenza? Qualcuno di cui preoccuparsi? Un rivale, un nemico, un intruso, una spia?

«Bene... mi chiedevo quando Lydia si sarebbe decisa a presentarci. Ah, prima di andare avanti in chiacchiere, ci tengo a ringraziarti sinceramente per quello che stai facendo per lei; la stai praticamente salvando.»

A quel punto Lydia tirò uno spintone al ragazzo, indecisa se rimproverarlo perché aveva parlato troppo o biasimarlo per tutte le domande che le avrebbe rivolto Louis di lì a poco, cosciente della mezza rivelazione che gli era appena stata fatta.

«Dai, di questo ne parleremo un’altra volta, senza fretta. Nel frattempo: Isaac, ti presento Louis, il mio quasi ragazzo; Louis, ti presento Isaac, mio fratello. Gemello

Gli occhi di Louis sgranarono improvvisamente mentre si avvicinava alla mano del ragazzo per stringerla. Tutto adesso combaciava magicamente, e con suo grande stupore dovette persino ammettere che la somiglianza con Lydia non era palese ma decisamente visibile. E lui non se n’era nemmeno accorto; proprio lui che tra le altre cose aveva due sorelle gemelle, e che aveva saputo distinguerle dal primo giorno. Incredibile, impossibile, pazzesco quasi.
Isaac aveva una stretta forte, poderosa, quella che si dice appartenga ai veri uomini e non alle mezze pippe. Chissà com’era la sua di stretta, gli venne da pensare.
Quando la mano del ragazzo ritornò prudentemente nella tasca notò un qualcosa di familiare, qualcosa che fin dall’inizio l’aveva incuriosito: una stella tatuata all’interno del polso, proprio come Lydia, sullo stesso braccio e alla stessa altezza. Doveva avere un significato, una storia, un passato. Loro avevano un passato insieme e lui non era nemmeno il suo futuro. Si definiva uno scorcio di presente, una cosa momentanea, una fase passeggera, un niente praticamente. E in quel momento preciso realizzò che avrebbe tanto voluto essere di più: di più di tutto questo, di più di tutto quanto.

«Ragazzi, sono desolata ma devo davvero separarvi. Se tornate domani potrei addirittura farvi pranzare insieme ma adesso dovete andarvene, è tardi. Mi dispiace.»

Isaac alzò le spalle con fare rassegnato, mentre di nuovo allargava le braccia per stringere la sorella in un altro abbraccio. Louis invece infilò le mani in tasca, come era solito fare, e lasciò che la testa iniziasse a viaggiare per conto suo in cerca di domande a cui dare delle risposte.
Era già immerso nei meandri dei suoi pensieri quando sentì la mano calda di Lydia prenderlo sottobraccio per uscire insieme, subito dopo aver salutato il fratello con un gesto della mano.

Non sentiva freddo, ma non appena il tepore corporeo della ragazza lo raggiunse gli sembrò di stare meglio. Meglio in tutti i sensi; davvero meglio.
Si presero del tempo, fecero la strada a piedi, insieme, in silenzio. Non c’era molto altro da dire, nessuno voleva rischiare di rovinare quel qualcosa di particolare che stavano condividendo. Eppure stavano solo camminando verso casa, lenti ma inesorabili, lontani ma vicini; eppure sembrava qualcosa di più del semplice camminare. Era un’accompagnarsi a vicenda, un capirsi un po’ maldestro, un (forse) reciproco perdonarsi per il pessimo caratteraccio.

Qualunque cosa fosse, ad ogni modo, era qualcosa che non poteva esistere per una sola persona. Era qualcosa da fare in due, insieme.













































Mi scuso per il "capitolo" precendente che voi avete visitato in troppi; in realtà non era un aggiornamento, e non voleva essere nemmeno uno scherzo o altro. Semplicemente volevo avvisarvi che stavo per aggiornare e che non mi ero dimenticata della storia. Questo è il capitolo vero e proprio. 
Lascio a voi i commenti, e come potete notare ho cambiato qualche particolare del layout per rendere ancora più importante il passaggio tra la prima metà della storia e la seconda. Spero vi piaccia. 

A presto. 

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Capitolo 16
*** Parlami d'amore ***







  2. Parlami d'amore

 



“Tu mi racconti del tuo passato credendo che il tuo futuro fossi io.”
(Taylor Swift)            

 




«Allora, Louis si è calmato?»

Harry smise di tamburellare con la matita sul suo libro di Finanza Avanzata e la posò sul tavolo, visibilmente perplesso. Poi alzò lo sguardo e arricciò il naso: ma di che cosa stava parlando?

«Perché, era agitato?»

«Come? Non te l’ha detto? No aspetta, da quanto tempo non vedi Louis?»

«Eeeehm....» incominciò il ragazzo strizzando un occhio a causa dello sforzo mnemonico, «da ieri pomeriggio mi sembra. Sì, direi di sì. Anche perché sono uscito con Zayn per andare a vedere una partita di calcio in un pub, poi abbiamo ordinato del messicano a casa sua, ci siamo sparati una maratona di Dexter, poi lui si è addormentato sul divano e io pure, e stamattina abbiamo fatto colazione, poi sono volato a casa per un doccia – Louis ovviamente non c’era –, ti ho chiamata, abbiamo deciso di studiare insieme dopopranzo e, dopo aver preso i tuoi sandwich preferiti, eccomi qua!»

«Arriva al punto, Harry.» obiettò Ginevra leggermente stremata da quel racconto.

Harry le tirò un’occhiataccia, infastidito dal fatto che lei non fosse minimante interessata a quella dettagliatissima e piuttosto esplicativa descrizione delle precedenti venti ore delle sua vita, e sbuffò; 
«Il punto è che non lo vedo da un po’, non stiamo sempre appiccicati. Perché?»

«Si è presentato al campus arrabbiatissimo ierisera e non ha voluto aprire bocca finché Lydia non è tornata. Non so che cosa si siano detti poi; quando sono tornata erano usciti...»

«Ma se tu dovessi tipo dare un voto alla sua incazzatura, da uno a dieci diciamo, dove uno corrisponde a “bambino a cui hanno rubato il leccalecca” e dieci corrisponde a “trasformazione in Hulk quasi completata”, che voto sceglieresti?»

«Probabilmente undici.» rispose la ragazza piuttosto schietta, assumendo un’espressione abbastanza preoccupata.

«Ahia.»

«Ahia che cosa?»

«Allora era grave.»

«Perché dici che era grave? Ma no, non credo fosse grave! Si sono appena conosciuti ti pare che possano già litigare per cose gravi?! Ma dai, non credo proprio! Grave, tzè!»

«Ginevra calmati! Stai sclerando malissimo!» esclamò Harry di getto, mentre le sventolava il quaderno in faccia.

«Si ma mi dispiace, magari è colpa di uno di noi!»

«Ma figuriamoci, io non centro proprio nulla! Anzi, ora che ci penso, Louis mi aveva accennato qualcosa sul fatto che lei se ne fosse andata via da casa nostra senza dirgli niente...»

«Ma lei è fatta così: silenziosa e riservata. Secondo me hanno fatto pace!»

«Non saprei...» continuò il ragazzo posando finalmente lo sguardo sul libro prima abbandonato.

«Perché non vuoi che facciano pace?

«Ma non ho detto questo! Sto solo dicendo che Louis ha un caratteraccio e bisogna farci l’abitudine... e soprattutto bisogna armarsi di tanta pazienza e comprensione: ha degli sbalzi d’umore davvero pazzeschi.»

«Tu non la conosci, però. Lei capisce le persone al primo colpo, le inquadra subito!» rispose Ginevra abbozzando un mezzo sorriso, «Lei ha quella cosa che non mi ricordo come si chiama, quella caratteristica che ti fa capire il modo di essere delle persone o i loro stati d’animo...»

«L’empatia?»

«Si, ecco! L’empatia! Lei è empatica, e anche se Louis è un osso duro sono sicurissima che ne verranno a capo!»

«Seh....» bisbigliò Harry, inarcando leggermente un sopracciglio, «Senti Empatia ti dispiace se andiamo avanti a studiare? Il tempo stringe! Però mi piace questo nickname: Empatia. Ti dona!»

«Ma non può essere un nickname, è un sostantivo! Non ha proprio senso, è una cosa stupidissima, Harry.»

«Però ammetterai che è carino! Empatia! Ah!»

Ginevra portò le mani al petto, imbronciata, e rimase a fissare Harry con sguardo minaccioso per una manciata di secondi. Erano una sua caratteristica, queste espressioni infantili: le assumeva nei momenti più impensabili, ma a tutti erano sempre risultate troppo carine anche solo per pensare di poterle prendere seriamente.
Harry stava sghignazzando come niente fosse, intento a proseguire la lettura di pagina duecento-trentatré quando un’affermazione della ragazza gli fece andare di traverso la saliva.

«Era Zayn.... il mio preferito nella band. Me lo presenti?»

«Che cosa?» le chiese lui con voce strozzata, mentre cercava di non morire soffocato dalla sua stessa saliva.

«Ti ho chiesto se mi presenti Zayn.»

«No!»

«Perché no?»

«Perché di no!»

«Perché di no non è una risposta» farfugliò Ginevra accigliata, «lo dicono i bambini di cinque anni, e basta.»

«Problemi tuoi.»

«Eddai Harry! Non ti sto chiedendo chissaché... lui è un tuo amico, e io lo voglio conoscere. Semplice.»

«No.»

«Sei una piattola, Styles. Per una volta che ti chiedo un favore io.»

«Oh, quanto mi dispiace, ma dovrai accontentarti di me.» concluse infine il ragazzo, posando minacciosamente la sua attenzione sulla parola “reddito” della quarta riga di pagina duecento-trentaquattro, fin troppo infastidito.  
 
 
 
 
 






Quando il campanello trillò due volte, Louis arrotolò le maniche del maglione e, indaffarato con la piegatura, si avvicinò alla porta per aprirla. Pensò che doveva essere Harry che, non essendo rientrato la notte per dormire, aveva dimenticato le chiavi di casa chissà dove ed era rimasto chiuso per un numero di ore alquanto ridicolo. Trovandosi davanti la figura di Lydia, invece, alzò dolcemente un angolo della bocca e non disse niente; si sentì però sollevato, sollevato dal fatto che lei fosse tornata da lui di sua spontanea volontà.

«Posso entrare?» azzardò la ragazza, ancora nascosta dalla sciarpa arroccata attorno il suo collo.

Louis alzò leggermente le spalle e si scansò, illustrandogli la strada con un gesto fugace. Ormai quella casa non le sembrava più tanto pericolosa ed estranea, e con un gesto meccanico ed inanimato appese il cappotto al solito attaccapanni e posò la borsa al solito posto sul solito divano.

«Stavi pranzando?» incalzò di nuovo seguendo il ragazzo che, nel frattempo, si era nascosto in cucina dietro alla penisola ordinatamente apparecchiata per uno.

«No. Cioè, si... ma non ancora...»

«E pranzi da solo?»

«Già; non mi dispiace però, a dirla tutta.»

Lydia si guardò intorno facendo cadere la conversazione nel vuoto per una manciata di secondi. Per la seconda volta nella sua vita -  forse -  non sapeva cosa dire; o meglio, non era realmente in grado di capire come approcciarlo dopo la sera precedente, dopo quello che gli aveva confessato.

«Io odio pranzare sola. Di solito aspetto sempre Ginevra, o vado da Isaac.»

Louis di nuovo alzò le spalle, quasi per farle capire che l’aveva ascoltata, che le aveva prestato attenzione, ma che non sapeva cosa rispondere precisamente; «A me non dispiace, invece.» continuò poi atono, «Negli ultimi sei anni non ho mai pranzato solo, e la cosa molto spesso mi snervava. Avevo sempre qualcuno intorno, a controllarmi o osservarmi; uno dei ragazzi, il manager, la mia ragazza, mia madre...»

La sua voce era distesa, nitida, perfettamente limpida. Non c’era un accenno di una qualsiasi emozione; non traspariva nulla. Si stava addentrando in un racconto un po’ personale, anche se probabilmente non se ne stava rendendo conto, e Lydia ringraziò mentalmente per quel piccolo scorcio tranquillo e pacato di sé che le stava offrendo.

«...Così quando sono così fortunato da essere solo, me la godo; ma purtroppo non capita mai così spesso da farci l’abitudine; forse è questa la differenza tra me e te.»

«Vuoi che me ne vada?» intimò la ragazza improvvisamente perplessa, leggendo fra le righe un intimo ma non troppo velato invito ad andarsene.

«No, non intendevo quello.» rispose di nuovo Louis, lasciando cadere nel nulla la conversazione che avevano a mala pena ricominciato.

Lydia si sedette su uno sgabello, quello di fianco al posto apparecchiato, e puntò i gomiti sul bancone per sostenere il viso che andò a poggiarsi sui palmi delle mani. Rimase in silenzio a fissare i suoi movimenti sicuri che scandivano il passare dei secondi e dei minuti, senza mai stancarsi di quella visione. Quella fu la prima volta in cui notò quanto in realtà fosse ampia la sua schiena, nonostante non fosse dotato di una grande altezza; quanto fossero magre e toniche le sue gambe; come lui avesse l’abitudine di portare un piede dietro l’altro per reggersi in equilibrio, mentre si perdeva tra chissà quali pensieri o ragionamenti; e infine di quanto fosse effettivamente bello il suo fondoschiena.   
Quando lui si voltò per controllare che fosse ancora seduta lì, Lydia cambiò repentinamente direzione allo sguardo e si mise a fissare un punto non meglio definito oltre la finestra, percependo le guance arrossarsi delicatamente.

«Rimani?» le chiese poi, portandosi un asciugapiatti sulla spalla e abbassando il fuoco al minimo, giusto per evitare di scuocere la pietanza.

«Se ti va...»

«No problem, ho abbondato con il riso. Ti dispiace farmi un favore? Nella ciotola sopra il mobile, quello all’entrata, ci sono dieci sterline scarse, le vedi? Ecco, prendile ed esci dal palazzo; il tizio con il sushi dovrebbe arrivare a momenti...»
Lydia si lasciò scappare una risata maldestra che tentò di nascondere infilandosi il cappotto, ma Louis, che già la stava fissando, se ne accorse ed abbozzò un sorriso quasi a giustificarsi; «Me la cavo ai fornelli, vero, ma per sicurezza ho chiamato i rinforzi... non vorrei mai schiattare avvelenato da me stesso.»

A quel punto Lydia scosse la testa ridacchiando, confermando a sé stessa che sotto quella finta apparenza di un Louis pacato e anonimo c’era sempre la solita testolina buffa che macinava i suoi ragionamenti altrettanto buffi senza mai interpellare nessuno. Stava per uscire di casa quando si fermò improvvisamente sulla soglia, indietreggiando di qualche passo per sporgersi verso la cucina e confessargli qualcosa.


«...Comunque grazie per avermi riaccompagnata a casa ierisera, e grazie per non aver fatto domande.»

Louis fece per voltarsi per dire qualcosa ma non trovò nessuno né in cucina né in salotto; doveva essere uscita di corsa, allora. Per un momento si chiese se quelle parole le avesse sentite davvero, se non fossero solo frutto della sua immaginazione, ma poi convenne che dovevano essere la realtà. Una bella realtà.
 
 

Il pranzo fu consumato tranquillamente, in un silenzio alternato da qualche piccola chiacchiera che riguardava il risotto alle verdure preparato da Louis e il sushi che fu sorprendentemente buono per essere stato comprato in un negozio per asporto.
Non c’era imbarazzo, ma solo un silenzio dettato dalla volontà di entrambi di non invadere troppo gli spazi dell’altro; un silenzio che quasi sembrava urlare “Abbiamo avuto una serata pesante ieri: io ti ho sbraitato addosso e tu mi hai confessato il tuo segreto più grande, ma va bene così, abbiamo tempo, non c’è nessuna fretta”. Sembrava che tutto dovesse procedere in questo modo, quando uno dei due prese l’iniziativa e disse qualcosa di inaspettato...

«No problem, comunque» soffiò Louis tranquillamente, mentre portava il bicchiere colmo di the freddo al limone alla bocca, «per ierisera intendo.»

«Mi hai sentita allora...» bisbigliò Lydia tra sé, un po’ delusa dal fatto che l’uscita di poco prima non gli fosse sfuggita.

«Sì, ti ho sentita, ma davvero.. non c’è bisogno di ringraziarmi. Colpa mia, ho schizzato di brutto e me ne sono pentito il secondo successivo, per la cronaca.»

La ragazza annuì e si portò un ciuffo di capelli dietro un orecchio, dopo che questo era scivolato in avanti qualche secondo prima. Avrebbe potuto farlo in quel momento, era il momento giusto per davvero; restava da capire se voleva farlo si o no. Così prese un respiro abbastanza lungo e poi alzò lo sguardo che fino a quel momento era rimasto fisso sul suo piatto, a fissare in maniera disinteressata l’ultima metà dell’ultimo rotolino di sushi.

«Ha avuto dei problemi di salute... Isaac intendo, ecco perché vive in quella casa-famiglia. Lo stanno tenendo d’occhio, sicuramente meglio di quanto potrei fare io se lui vivesse in un appartamento da solo e io al campus... o in qualsiasi altra situazione, diciamo.»

«Non sei obbligata a parlarmene se non vuoi.» la interruppe subito Louis, appoggiando le posate sul tovagliolo senza fare il minimo rumore.

«Ma io voglio farlo....è solo che la storia è lunga e complessa e non voglio buttartici in mezzo, quindi sarò breve.» ribadì di nuovo Lydia imitando il suo gesto, «Si è ammalato più di un anno fa, e le cure hanno portato via molto tempo ma soprattutto molti soldi; soldi che, per inciso, non avevo e che non ho chiesto né a mia madre né a mio padre. Ce li ha messi Giselle... mi ha fatto un prestito diciamo, e da allora lavoro per lei per restituire tutto quanto, ma la cifra è alta e mi ci vorrà più tempo del previsto...»

«La conoscevi già? Intendo Giselle, se eravate amiche.»

 «No, prima di quel giorno non sapevo nemmeno chi fosse, ma lei conosceva mio fratello e ha deciso di aiutarlo. Non ho chiesto più niente perché non volevo farmi bloccare la crescita con particolari del tutto inopportuni, però mi ha aiutato molto e lo sta facendo anche adesso, ogni giorno. Se non fosse stato per lei mio fratello non sarebbe mai guarito.»

Louis a quel punto rimase in silenzio, in attesa che lei continuasse il discorso, ma quando la vide esitare pensò che ormai erano in ballo e lui voleva sapere più di ogni altra cosa al mondo, ed incalzò con le domande; «Quanto le devi?»

Lydia sospirò sconfortata, come se quella domanda l’avesse costretta a ricordare quanto in realtà fosse ancora ampio il suo debito, ma poi con un guizzo di convinzione rispose alla domanda, nascondendo un po’ di angoscia: «Quando ho iniziato erano ventiseimila e quattrocento sterline... ora dovrebbero essere ventimila e qualcosa, non me lo ricordo. E comunque è questo che intendeva Isaac quando ti ha ringraziato, ieri: con il tuo ingaggio posso saldare il debito e prendere un appartamento dove vivere insieme, io e lui.»

«Ah....quindi tuo fratello lo sa?»

«Non è stato facile convincerlo e anche se all’inizio non era per niente d’accordo, col senno di poi ha capito che era la cosa giusta da fare, e mi ha ringraziata.»

«Quindi avevo ragione io; sei davvero una figlia di papà....cioè, i tuoi li avrebbero avuti questi soldi se glieli avessi chiesti, no?»

La ragazza alzò gli occhi al cielo e poi li roteò, assicurandosi che Louis notasse il suo disappunto; «Provengo da una famiglia agiata, sì, ma nel momento del bisogno, come puoi ben capire, non ho chiesto aiuto a nessuno per tirare mio fratello fuori dai guai. Mi sono arrangiata come potevo.»

«Sai....vi assomigliate, tu e lui. Stesso taglio degli occhi, stessa sagoma della bocca, stesso colore di capelli o quasi; il fatto che siate di sesso diverso trae in inganno, ma vi assomigliate davvero tanto.»

«Lui è più bello di me, l’hai visto no? Sembra uno di quegli attori che vengono ingaggiati solo per i muscoli e il sorriso perfetto per quei telefilm da ragazzine in preda agli ormoni, e la cosa ridicola è che lui è veramente il tipico ragazzo “abbronzatura e surf sono la mia vita!”; o almeno lo era in Florida, a casa nostra....»

«Florida?» ripeté Louis palesemente sorpreso dalla notizia, «Ti facevo più una ragazza da North Carolina o Connecticut.»

«No, per carità! Adoro il posto in cui sono cresciuta... é tutto più bello là, non manca niente: c’è il mare, il sole, le feste in spiaggia, i falò di mezza stagione, i gelati tutto l’anno; è tutto perfetto

Mentre ascoltava in silenzio quell’elenco di ricordi così schifosamente americani, una domanda balenò nella testa di Louis così chiara e forte che per una manciata di secondi non riuscì a smettere di ridere sotto i baffi ripesando a qualche immagine che scaturiva da quella stessa domanda.

«Hai frequentato il liceo in America, quindi?»

«Sì...»

«E hai fatto tutte le cose che fanno le adolescenti americane, quindi?»

Lydia strabuzzò gli occhi, chiedendosi dove volesse andare a parare con quelle sue domandine un po’ troppo vaghe e ampie; «Dipende da cosa intendi ma sì, è probabile...»

«Quindi... si, insomma... tu... tu, ehm, eri una cheerleader

«Sì, lo sono stata» ammise senza vergogna la ragazza, sfoderando un sorriso nostalgico, «non una delle migliori nei balletti, ma una tra le più atletiche di sicuro. Alcuni volte avrei preferito buttarmi da un ponte piuttosto che andare agli allenamenti, sai com’è...troppe aspettative, ma alla fine devo ammettere che mi sono divertita; e poi nella mia scuola era una fonte di crediti extra, ed era molto difficile entrare in squadra.»

Negli occhi di Louis si accese una luce particolare, stranamente perversa, tanto che non riuscì a smettere di ridere sotto i baffi per dire qualcosa, una qualsiasi cosa, e continuare la conversazione. Lydia rimase in silenzio ad osservare la sua particolare reazione, e poi sorrise, facendo affondare il viso nei palmi delle sue mani.

«Io...» biascicò Louis alzandosi di scatto dalla sedia neanche stesse andando a fuoco, «devo assolutamente chiamare Zayn!»

«Per dirgli che ero una cheerleader? Sul serio?»

«Ah! Tu non puoi capire, fidati! Cose da ragazzi, cose da tour!» rispose di nuovo euforico, mentre componeva frettolosamente il numero dell’amico. Lo vide girovagare per la cucina con una camminata eccitata, come se improvvisamente si fosse svegliato da quello stato di pacatezza che l’aveva avvolto per le ore precedenti e, quando finalmente qualcuno rispose all’altro capo del telefono, lui iniziò a ridere sommessamente sillabando qualcosa di incomprensibile che solo all’ennesima ripetizione fu finalmente chiaro: «Questa è una bomba, amico! Reggiti forte! La mia ragazza è una cheerleader, ah! Sganciami la grana, sono tre anni che la aspetto!»

Si riuscì a sentire un sospiro sommesso che proveniva dall’altra parte della cornetta, e poi un Zayn che  si lamentava animatamente proclamando che ormai quella era una scommessa di un secolo fa e che non valeva più. Allora Louis iniziò a scuotere la testa, super contrariato, mantenendo quel suo sorriso beffardo e tremendamente ammiccante; «Un grandissimo paio di cazzi, amico! Una scommessa è una scommessa! Paga e sorridi, caro mio!»

Mentre la loro conversazione continuava, Lydia decise di alzarsi per riassettare il tavolo e lavare le stoviglie, ormai sicura che Louis avrebbe continuato a parlare il telefono per un’altra mezz’ora come minimo. Ripensò per un istante a quello che lui aveva detto, probabilmente senza rendersene conto e sovrappensiero. L’aveva semplicemente chiamata la “sua ragazza”, cosa che tutti credevano vera nonostante fosse una bugia. C’era stato qualcosa in quella frazione di secondo, qualcosa di puro e semplice che le aveva fatto credere che non sarebbe stato male esserlo per davvero; conoscerlo a fondo, imparare a capire i suoi tempi e le sue manie, scoprire i suoi più piccoli modi di fare e i suoi segreti più imbarazzanti; sarebbe stato bello, le sarebbe piaciuto davvero.
Poi, un’ultima esclamazione la fece rinsavire dai suoi pensieri, costringendola a voltarsi spaventata verso il ragazzo...

«Ok ok, facciamo così: chiama tutti quanti e venite a casa mia; ve la presento io la mia cheerleader





























Ispirazione improvvisa, capita anche a me. Ora che ho preso il "via" con la parte della storia che ho sempre amato di più non riesco a fermarmi più, ma purtroppo devo rallentare per esigenze che non dipendono da me! Posterò quanto prima il prossimo, mi auguro. 

Ps. Molte di voi mi hanno abbandonata, comprensibile constatando la lentezza con cui aggiorno la storia; mi dispiace davvero tanto. E per tutte quelle che non hanno mai recensito, vi prego di farlo almeno ogni tanto; ho bisogno di avere riscontri dalle mie lettrici per migliorarmi e capire cosa e dove sbaglio.

A presto!

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Capitolo 17
*** Le luci della ribalta ***





3.    Le luci della ribalta

 

 
“Mi riconoscerai nelle luci scintillanti? Cerco di mantenere il mio battito cardiaco, ma proprio non riesco a farlo bene”
(Emeli Sandé)





 

«Sono tornato! C’è nessuno?!» esclamò Harry a gran voce, estraendo le chiavi dalla toppa della porta per aprirla. Ovviamente nessuno gli rispose, ma dalle fragorose risate che provenivano dal salotto dedusse che qualcuno in casa doveva sicuramente esserci. Così, dopo aver posato le chiavi al solito posto si voltò verso la sua accompagnatrice e la guardò incerto; «Che fai, entri o no?»

Ginevra lo squadrò da capo a piedi, mantenendo quella sua aria da ragazzina sprezzante ed imbronciata, e poi fece due passi in avanti, sorpassando il ragazzo ed avviandosi agli schiamazzi che saturavano l’aria. La scena che le si parò davanti le sembrò strana ma incredibilmente interessante: Lydia, che si trovava seduta al centro del divano, quasi totalmente sprofondata in esso, era per lo più assalita dai quattro/quinti della ormai rinata band che se ne stavano attorno a lei, ordinatamente separati a due a due. Da una parte Louis e Niall che continuavano a confabulare con fare complice, dall’altra parte Zayn e Liam, dove quest’ultimo tentava disperatamente di confortare l’amico che, a giudicare dall’espressione, sembrava sull’orlo di un baratro di sconforto.
Quando una risata alquanto diabolica di Louis riecheggiò nella stanza, Ginevra decise di avvicinarsi di più per capire che cosa stesse accedendo e per quale motivo Louis fosse improvvisamente così euforico.

«Cioè tu ci stai dicendo che una volta sei anche stata la punta della piramide?» ripeté Louis, insistendo su quel punto che la ragazza sembrava aver appena spiegato.

«Sì... cioè, tecnicamente non era il mio ruolo, io eseguivo per lo più diagonali e avvitamenti, ma quando Tiffany – che voi, chiaramente, non conoscete – si è slogata il polso ho dovuto sostituirla io.... ma solo per un paio di settimane!»

«Oh mio Dio! La punta, Zayn! La punta!» sbraitò Louis con un tono di voce incredibilmente alto, «Sei spacciato, amico! Sganciami cinquecento sterline tonde tonde e finiamola con questa umiliazione!»

Il ragazzo interpellato, a quel punto, si passò le mani in volto e sospirò così forte che i suoi polmoni rimasero praticamente semi vuoti, per poi rispondere piuttosto mesto e sconfortato; «Che figuraccia, non mi resta che pagarti.... maledette scommesse da ragazzini arrapati.»

«Posso sapere di cosa state parlando?» intervenne a quel punto Ginevra, costringendo tutti a voltarsi verso di lei che, fino a quel momento, era stata ingiustamente ignorata.

«Ginevra! Per fortuna!» esclamò Lydia in un momento di sollievo, alzandosi frettolosamente dal divano per correrle incontro ed abbracciarla; «Ti prego portami via da questi invasati

La ragazza si lasciò scappare una risata e lasciò che Lydia si adagiasse completamente al suo torace, stringendola così forte che quasi non riusciva a respirare. Solo in quel momento si accorse che Harry era rimasto per tutto quel tempo appoggiato con una spalla al muro, in silenzio e lontano dai loro sguardi. Così, ancora impegnata a stringere l’amica, gli fece cenno di raggiungere i suoi amici, ma lui in risposta alzò le spalle e si ritirò in cucina, ignorando bellamente la situazione che si era creata.

«Che ti stanno facendo?!» chiese a quel punto Ginevra, tentando di nascondere la delusione appena ricevuta.

«Sono due ore che mi fanno tutte le domande possibili e immaginabili sul mio periodo da cheerleader! Ti prego, salvami!»

«Mi sono perso qualcosa.» dichiarò Liam con fermezza, arricciando le sopracciglia mentre fissava Ginevra con aria interrogativa, «Ti conosciamo?»

«No, voi non mi conoscete, ma io conosco voi. Molto piacere, io sono Ginevra, la compagna di stanza di Lydia e la “quasi-tutor” del signorino Styles.»

«Ah già, non vi ho mai presentati.» si rimproverò Louis, «Bene: Ginevra, ti presento tutti. Tutti, vi presento Ginevra! Ora Zayn.... paga e sorridi!»

«Ma non ce li ho i soldi adesso!» piagnucolò il ragazzo sprofondando nello sconforto più totale, mentre Liam continuava ad accarezzargli la spalla per tirarlo un po’ su di morale.

«Paga da bere! Malik paga da bere! Paga da bere! E Malik paga da beeeere!» si intrufolò Niall alzandosi in piedi per eseguire una strana danza con Louis, l’unico che tra tutti sembrava non voler smettere di gongolare.

«Ma mi spiegate cosa sta succedendo?!» incalzò allora la ragazza, scostando l’amica dal suo torace per portare le mani ai fianchi, «Sono tutt’orecchi!»

«E’ una storia lunga, Empatia. Non capiresti.» le rispose Harry che aveva finalmente deciso di uscire da quel suo pragmatico silenzio stampa.

«Che ne sai tu! Almeno provateci a spiegarmelo!»

«Bene, le cose sono andate così:» incominciò Liam schiarendosi la voce, «eravamo in America per registrare il nostro primo album, quindi un secolo fa praticamente, e Louis e Zayn decisero di fare una scommessa dove il primo che abbordava cinque ragazze americane, vinceva. Ovviamente, fosse stato così era troppo semplice, quindi, sotto mio consiglio, hanno complicato le cose ponendo come condizione necessaria che tutte e cinque dovessero essere delle cheerleader...»

«Il che sembra una cosa scontata, penserai. In America sono quasi tutte cheerleader, no?» continuò Niall con sguardo complice, «Beh, si dia il caso che questi due sono così sfigati che hanno pareggiato per tutta la durata della scommessa, facendo sempre due-a-due, tre-a-tre e così via....»

«Poi io mi sono fidanzato con Eleanor, e le cose sono diventate complicate per me... così abbiamo accantonato la scommessa per tutti questi anni, anche perché era diventato quasi impossibile parlare con una ragazza senza che ti aggredisse o ti svenisse davanti... e prima, parlando con Lydia, ho avuto l’illuminazione: boom! Ho vinto!» concluse Louis urlando, accentuando e non poco la parola “boom”.

«Quindi adesso Malik ci porta fuori a cena e paga lui!» concluse Niall stranamente infervorato, mentre strofinava le mani.

A quel punto Ginevra guardò Lydia, inclinando leggermente la testa, realizzando che l’ultima volta che li aveva visti tutti e cinque insieme era stato a Wembley, nel lontano 2014, in uno dei loro ultimi concerti prima della chiusura del contratto. In effetti dire di averli visti era un parolone, considerando che dalla sua posizione sugli spalti saranno stati alti si e no un centimetro e mezzo, ma questo non aveva importanza; la cosa importante era che ora erano di nuovo insieme, a discutere di scommesse idiote, nel loro salotto, uniti quasi come prima.

«Quindi tutto questo casino per una scommessa di questo genere?» sbottò poi contrariata, portandosi le mani ai fianchi.

«Vedi? Avevo detto che non avresti capito» commentò subito Harry avvicinandosi agli altri, «per loro è una questione di orgoglio, capisci? Zayn è sempre stato il vero piacione, e nonostante tutti credessero fossi io, in realtà alla fine se le ripassava tutte lui.»

«Sei brutale. Ed esagerato!» sputò Zayn in risposta, intervenendo attivamente in quella conversazione che l’aveva estraniato fino ad ora.
Louis, allora, prese posizione in mezzo alla stanza, con le braccia aperte e lo sguardo vincente. Forse aveva intenzione di fare un sermone, o semplicemente di tirarsela un po’, ma a nessuno fu chiaro dove sarebbe andato a parare finché non aprì la bocca e con voce trionfante si pronunciò; «Tutti in macchina, si va a Manchester per cena! E ovviamente paga Zayn!»
 
 





«Ti prego, rispiegami la necessità di prendere questa costata da sessanta sterline da mangiare da solo.» commentò sarcastico Zayn all’amico seduto di fianco a lui, che si nascondeva ingenuamente dietro al menù per sghignazzare in santa pace.

«Ho voglia di carne di alta qualità!» rispose allora Louis, voltandosi verso Niall che, paonazzo in viso, non riusciva a prendere fiato da quanto se la rideva.

«Ragazzi, per favore, smettetela. Avete quasi trent’anni!» brontolò allora Liam, solito pacificatore quale era, preoccupato per gli schiamazzi che provenivano dal loro tavolo che disturbavano e attiravano fin troppa attenzione per i gusti del direttore del Rosso’s di Manchester.

«No, non la smetto!» affermò Louis deciso, «Anche perché se questi mi trattano male di nuovo li querelo. Sono solo fortunati che il loro cuoco è un genio.»

«Sgarbato...» obiettò Lydia dall’altra parte del tavolo, quasi volesse riprenderlo per quel suo atteggiamento un po’ troppo sopra le righe.

Louis alzò il mento con fare accigliato, continuando ad inseguire lo sguardo di Lydia con la coda dell’occhio, per poi accomodarsi nella sedia per portarsi alla bocca il calice di vino rosso che aveva precedentemente ordinato, il tutto senza aggiungere altro o ribattere.
La reazione a quella scena fu comica: quattro bocche spalancate all’unisono, e la rimanente bocca sorridente e soddisfatta come se niente fosse. Liam, Zayn, Niall e Harry infatti erano rimasti scioccati dalla semplicità con cui la ragazza l’aveva fatto tornare nel suo piccolo mondo, mentre Ginevra continuava euforica a sorridere, sempre più convinta che i due fossero la coppia perfetta.

«Ti ha ammaestrato» concluse Zayn ancora scosso, «se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto!»

«Ma va, cazzate, è solo che aveva ragione! Ho fatto un commento sgarbato.»

Lydia a quel puntò ridacchiò, sentendosi per un attimo una figura fuori campo. Non si poteva di certo dire che lei aveva una qualsivoglia influenza su di lui, però bisognava ammettere che da sempre si era dimostrato disponibile e comprensivo nei suoi confronti, senza nulla togliere ai tratti di quel suo caratteraccio che non sarebbero probabilmente mai migliorati. Non sapeva dire come esattamente lo vedevano gli altri o come loro avevano imparato a conoscerlo, lei non c’era mai stata, tuttavia poteva ammettere con una certa tranquillità che c’erano delle cose di lui che loro non erano riusciti a cogliere, forse perché non ne erano stati in grado o forse perché non gli era mai stato permesso.
Quando Liam, seduto di fianco a lei, si portò frettolosamente una mano in tasca, fu costretta ad abbandonare quel suo flusso di pensieri per posare l’attenzione su quel telefono che lui aveva appoggiato sul tavolo, lasciando che questo continuasse a suonare in tutta libertà.

«Sei scemo, non rispondi?» aveva commentato Zayn con un velo di acidità, dopo aver seguito la scena.

«Tanto non ho la segreteria, prima o poi si stancheranno» rispose invece il ragazzo, con lo sguardo fisso sul dispositivo che si illuminava e vibrava ad intervalli alternati.

«Ma chi è?» continuò allora Harry, insospettito da qualcosa che forse lui aveva già intuito.

«La casa discografica» rispose risoluto Liam, del tutto atono, «però onestamente siamo a tavola e sono quasi le nove di sera, io non rispondo.»

«Magari è importante» commentò di nuovo Harry, posando uno sguardo minaccioso su Louis che a momenti, ne era sicuro, avrebbe scaraventato quel telefono all’altro capo della sala.

«Magari no» s’intromise Zayn, incredibilmente serio e pacato, con un’espressione sempre più simile a quella di Louis.

Le due ragazze si voltarono una verso l’altra, indecise sul da farsi, finché Ginevra in un guizzo di spontaneità prese il telefono e rispose al posto di Liam, fingendosi la fidanzata. Lo sguardo allibito di Lydia non la lasciò per un solo istante durante tutta la conversazione, quasi volesse rimproverarla di quel sottile confine che lei non aveva semplicemente sorpassato, ma proprio scavalcato a piè pari.
Quando la ragazza, infine, allungò il telefono verso Liam che ancora teneva la bocca spalancata, realizzò che aveva probabilmente fatto una delle più grandi sciocchezze di tutta la sua vita e, mentre si scusava sillabando qualcosa, lasciò che il ragazzo riprendesse la conversazione, dopo aver premuto il tasto vivavoce.

«Buonasera, sir» incominciò poi titubante, «a cosa devo questa telefonata piuttosto improvvisa?»

«Sento uno strano eco.... è per caso con i suoi colleghi? Se lo è tanto meglio, le sarà risparmiata una fatica in più» rispose l’uomo con voce grave, «Volevo semplicemente comunicarle che, essendo lei l’unico membro di cui possediamo il nuovo numero di telefono, è suo dovere informare gli altri ragazzi del fatto che il giorno ventisei Dicembre, in tarda serata, siete tenuti a presentarvi all’aeroporto di Heathrow per salire a bordo di un aereo diretto a Los Angeles, il tutto ovviamente già pagato e prenotato. In settimana ci sono pervenute una decina di nuove tracce con dei testi da adattare, e abbiamo la forte intenzione di farveli registrare per avere un’idea del genere con cui sarete di nuovo lanciati nel mercato. Sono delle buone tracce, orecchiabili, e i testi vanno senz’altro rivisti, ma il Consiglio ritiene che sia un’ottima opportunità di partenza e chissà mai che non possano finire di tutto diritto nel nuovo album della band. E poi il signor Cowell ha già affermato di volere un demo sulla sua scrivania nell’arco di quindici giorni, e non di più...»

«Ma signore, nessuno ci ha interpellati a riguardo. Non c’è stata nessuna comunicazione o avviso, non siamo preparati...»

«Non c’è niente di cui esser pronti, caro Liam; dovete solo dare una spolverata alle vostre corde vocali. Non vi si chiede altro.»

«Mi scusi se mi permetto di nuovo, signore, ma non ho ben capito quando eventualmente saremmo di ritorno.... sa com’è, abbiamo delle cose in ballo, al momento.»

«Non più tardi dei primi di Gennaio» rispose l’uomo convinto, «Il tre, forse il quattro; però questo si vedrà in un momento successivo. Riferisca agli altri che il volo partirà da Londra alle dieci e trenta della sera, e che una macchina vi verrà a prendere intorno alle sette e trenta. Non preoccupatevi di nulla e fate buon viaggio. Ah... Buon Natale.»

A quel punto Liam concluse la telefonata ringraziando, da persona educata qual’era, per poi lanciare il telefono sul tavolo con fare indispettito.
Per vari secondi ci fu un silenzio tombale, a quel tavolo; tutti tenevano lo sguardo fisso sul proprio bicchiere, indecisi se dire qualcosa o continuare a stare in silenzio. Poi qualcuno prese l’iniziativa, e con fare più che mai adirato si alzò dalla sedia lasciandola cadere a terra con un tonfo, per poi dirigersi a passo veloce fuori dal locale senza nemmeno prestare attenzione ai camerieri che giravano per la sala con i loro vassoi.

Harry fece per alzarsi, ma non appena vide lo sguardo di Lydia posarsi su di lui, capì che era giusto rimanere al suo posto per lasciare il posto a lei. Se fosse corso da Louis probabilmente questo gli avrebbe bestemmiato in faccia, rinfacciandogli che il contratto l’aveva firmato solo per lui perché gli voleva bene e perché sapeva quanto amasse fare il cantante, sottolineando invece quanto lui fosse stanco di tutto quanto. Così le fece un cenno di assenso, per poi vederla alzarsi delicatamente e senza fare rumore, raccogliere la sedia caduta di Louis, e infine raggiungere l’uscita con estrema calma, senza dare troppo nell’occhio e prestando molta attenzione.
Era giusto così, però c’era comunque un qualcosa che gli lasciava un indelicato amaro in bocca. La nitida sensazione di essere stato sostituito, pensò, era la causa di quell’amaro.
 
 
 





Una volta uscita dal locale Lydia si strinse nel suo maglioncino per niente pesante, mentre con lo sguardo scrutava il piccolo piazzale che dava sulla strada. Era un ristorante per bene, quello, ed era fornito di un piccolo gazebo con qualche sedia sparsa qua e la, adibito ai fumatori più incalliti. Ritrovò la sagoma di Louis poco lontano, intento a parlare con uno sconosciuto.
Lo vide ringraziarlo con un cenno del capo e poi appoggiarsi ad una colonna poco lontana, appena dietro il piccolo gazebo. La minuscola colonna di fumo che si innalzava dalla sua posizione le fece capire che stava fumando, e che probabilmente quella sigaretta non era nemmeno sua.

«Avevi detto solo qualche tiro, o mi sbaglio?» gli chiese il lontananza, avvicinandosi a lui a passi decisi ma lenti, sempre più stretta nel suo cardigan.

«Sono incazzato.» rispose lui atono, espirando verso il basso e a testa china.

«Non prendertela così, infondo è un’occasione di lavoro.»

«Sono degli stronzi maledetti, e basta.»

«Perché hai firmato, allora?»

Il ragazzo di nuovo portò la sigaretta alla bocca, ormai consumata  per più della metà; «Perché sono un coglione.»

«Non sei un coglione. Tu, se vuoi, sei più furbo di tutti quanti messi assieme.»

Louis accennò un sorriso nell’oscurità, stranamente divertito da quell’affermazione. Sentiva l’amaro sapore del tabacco pervadergli la bocca, dopo che si era sforzato di inspirare più a fondo che poteva. Lo rammaricava ammetterlo, ma quel sapore lo faceva letteralmente impazzire.

«Ho firmato perché lo volevano gli altri, perché non volevo che per colpa mia rinunciassero tutti. Ci avevo pensato di farmi escludere, tanto chissene frega, ma non hanno neanche voluto starmi a sentire.»

«Allora sei un coglione con un cuore... buono a sapersi.» commentò la ragazza, posizionandosi esattamente di fianco a lui, forse in cerca di un tepore umano per combattere quell’aria gelida che filtrava attraverso il suo maglione.

«Che tipo sei. Prima mi dici che non sono un coglione, e poi mi dici che lo sono a metà. Chi ti capisce è bravo....»

«Non stiamo parlando di me, non cambiare discorso. Avanti, dimmi perché hai fatto quella scenata. Saresti potuto uscire tranquillamente, ma no, devi sempre farti riconoscere.»

«Mi è partito lo schizzo!» si giustificò lui, finalmente buttando il mozzicone a terra, «Quei maledetti mi fanno salire il sangue al cervello! Che razza di persone ti chiedono di andare a lavorare il giorno dopo Natale? Eh?! E per di più mi costringono a passare il Capodanno confinato in America, posto che io odio. Dovrebbero spararsi tutti, brutti stronzi del cazzo che non sono altro.»

«Allora non partire.»

«Ma mi hai ascoltato o stai facendo finta?»

«Certo che ti ho ascoltato, ma non credo sia questo il punto della questione. Anzi, ti hanno probabilmente fatto un favore: scommetto che non avevi nemmeno pianificato una festa per Capodanno, e probabilmente saresti tornato a Londra comunque, forse non il ventisei ma il giorno dopo magari sì; o sbaglio?»

«Mi da comunque al cazzo.»

«Cosa, di preciso?»

«Tutto quanto! Il viaggio, quelle canzoni scritte da quattro deficenti che non conosco, il Capodanno lontano da casa, la mia vita di nuovo organizzata da loro!»

A quel punto Lydia rimase in silenzio, un po’ dispiaciuta: avrebbe voluto fare qualcosa per liberarlo da quel risentimento, ma solo in quel momento realizzò che al suo ritorno dall’America, il mese prossimo, sarebbe già stato un mese dal giorno in cui l’aveva ingaggiata. Non sapeva spiegare come il tempo avesse osato passare così velocemente, quasi gli desse fastidio concederle un po’ più di calma.

«Se preferisci possiamo allungare l’accordo di qualche giorno, visto che tu sarai fuori città e non potrai passare del tempo con me come volevi...»

Louis si voltò di scatto, scuro in viso, con un’espressione che tutto lasciava presagire tranne qualcosa di buono. La luce dei lampioni illuminava qualche ciocca dei suoi capelli e creava delle ombreggiature sul suo viso, esaltando in maniera impeccabile gli zigomi e l’incavatura degli occhi, che li faceva sempre due zaffiri della specie più rara.

«Non dirlo mai più. Non sei un giocattolo, non ti prendo e lascio come mi pare e piace. Mettitelo bene in testa.»

La ragazza non rispose, allungando un angolo della bocca in un sorriso. In quel momento ringraziò intensamente la notte per aver nascosto la sua reazione, evidente sintomo di una fragilità che non avrebbe mai dovuto sfiorarla. Per un istante le balenò persino l’idea che lui potesse chiederle di accompagnarlo, ma poi si ritrovò a scuotere la testa tra sé, ammettendo la sua incredibile ingenuità.

«Che fai, parli da sola?» le chiese allora Louis, staccandosi da quella colonna per rendersi più visibile a lei.

«No, niente, era solo un pensiero» gli rispose lei facendo lentamente scendere la mano lungo il suo braccio fino alle dita, che strinse delicatamente, «Ti va di rientrare?»

Louis mantenne il suo sguardo su di lei mentre sentiva il suo tocco leggermente infreddolito sulla superficie della sua maglia. Solo allora si rese conto di aver passato un’abbondante mezz’ora fuori al freddo polare di Londra, lasciando che anche lei si raffreddasse inutilmente. Così le strinse la mano, in segno di assenso, e poi le posò un braccio sulla spalla, quasi volesse restituirle un po’ di calore.

«Sì... rientriamo» concluse poi, tenendola stretta a sé mentre la guidava verso l’entrata del ristorante. 


































Ritardissimo, sia per l'aggiornamento sia per la narrazione dei fatti che all'inizio era contemporanea ma che adesso è indietro di qualche mese. Ma comunque il nostro racconto è un mondo parallelo e futuro a questo, quindi ci può stare, no?
PS. Il compleanno di Louis, ovviamente, non è ancora passato (nel caso non l'aveste capito)
PSS. Il prossimo arriverà presto, o almeno ci proverò

Grazie mille delle recensioni, le leggo sempre tutte e se avete dei dubbi scrivetemelo quando recensite così, semmai, posso chiarirli nel prossimo capitolo! A presto!

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Capitolo 18
*** () ***


  

 

 





 

Ciao a tutti.
Non so quante persone effettivamente leggeranno questa specie di aggiornamento, ma ci tenevo comunque a postarlo. Se pensavate che fosse un nuovo capitolo della storia mi dispiace, non lo è, desolata per la delusione. La verità è che molto probabilmente questa storia non avrà mai una fine, sebbene sia la mia preferita fra tutte le cose che ho scritto e nonostante sia la storia che mi ha dato più soddisfazioni sia nella stesura che nel processo creativo. Perché è stata interrotta, quindi? Eh, bella domanda. Ad avercela una risposta.
La verità è che si è spenta la scintilla, mi sono impantanata in non so cosa e non sono più riuscita a mettere giù nemmeno due righe o, per lo meno, qualcosa che valesse la pena condividere e che fosse all'altezza del pubblico che avevo e della storia che avevo iniziato. Ma ci ho provato, per diverso tempo, senza riuscirci. Così ho rimandato, rimandato, rimandato, e i giorni sono diventate settimane, che sono diventate mesi, che sono diventati due anni (e quasi mezzo). E me ne scuso davvero, sono desolata come ho già anticipato prima.
In molti mi hanno chiesto/scritto quando avrei continuato, quando avrei postato, se avevo intenzione di farlo e, nonostante io abbia letto ogni singola recensione/messaggio ricevuto in questo arco di tempo, non ho mai risposto. Un po' perché non sapevo cosa dire, un po' perché davvero non ne avevo idea.
Considerando che sta finendo anche un altro anno era una specie di mio "buon proposito" mettere un punto a questo silenzio che sapeva moltissimo di irrisolto. Quindi con questo aggiornamento metto un punto. Metto un punto alle attese, ai dubbi, ai "Chissà se ha aggiornato...". Metto un punto a Louis e Lydia. Non per sempre, ma per ora. Mi piace pensare che forse un giorno riuscirò ad animarli di nuovo, magari tramite un'altra storia o chissà, proseguendo questa.
Sono cambiate un sacco di cose in questo lasso di tempo, ma non ho mai mai mai perso la voglia di scrivere, anche se mi sentivo come se avessi smarrito le capacità. Ad ogni modo, ci tengo a ringraziare chiunque abbia letto, visto, sia passato per sbaglio sulla mia storia. Ringrazio chi ha recensito, chi non l'ha fatto, chi mi ha scritto su altre piattaforme e chi non mi ha mai fatto sapere che c'era se non tramite il numero di visualizzazioni che aumentava. Vi ringrazio, singolarmente.
Questa storia, come tutte le altre cose che ho scritto, ha ricevuto fin troppo amore ed attenzione, più di quanto mi sarei mai aspettata. E' stato per me un'enorme piacere condividere con voi i miei scritti anche se ho sempre avuto moltissimo da imparare e, in realtà, pochissimo da raccontare.
In conclusione vi saluto con affetto con un "Arrivederci" perché mi piace pensare che, almeno in queste cose, sia meglio mai dire mai. Un grosso abbraccio e grazie per aver camminato con me in questa breve ma intensa esperienza da pseudo-scrittrice.




Arrivederci.



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Capitolo 19
*** Miraggio ***





4. Miraggio

 

 
“Ho passato tanti anni in una gabbia d' oro, si forse bellissimo, ma sempre in gabbia ero. Ora dipenderò sempre dalla tua allegria, che dipenderà sempre solo dalla mia, che parlerà di te, e parlerà di te. E’ solo che quando non ritorni ed è già tardi e fuori è buio, non c'è una soluzione questa casa sa di te. E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio e ad ogni sguardo esterno perdo l'interesse, e tanto ti amo”
(E fuori è buio – Tiziano Ferro)








Stando a quello che viene scritto nei vocabolari, il miraggio è “quel fenomeno ottico dovuto a rifrazione e riflessione totale di raggi luminosi sugli strati più bassi dell'atmosfera, per cui oggetti lontani appaiono come librati nell'aria o come riflessi in uno specchio d'acqua”. Ancora, in senso figurato, “illusione, speranza effimera”.
Era successo tutto un po’ in fretta, quasi all’improvviso: la telefonata, le valigie, il taxi, l’aeroporto, il volo d’andata. Louis se n’era andato nell’arco di un paio di giorni, forse tre. Non avevano nemmeno parlato granché durante il periodo di lontananza: non che lei se lo aspettasse o lo esigesse, per carità, però le sembrava quantomeno doveroso metterla al corrente degli eventuali spostamenti, dei progressi – se c’erano stati – e delle litigate che era sicura avrebbe intrecciato con gli altri ragazzi. E invece niente, silenzio stampa o quasi.
A pensarci bene venticinque giorni alla fine non sono un periodo di tempo lunghissimo o insopportabile o inaccettabile: sono poco più di tre settimane. Ma lui sarebbe dovuto tornare prima. La cosa che forse la rammaricava di più era la sensazione che il tempo le stesse letteralmente scorrendo davanti agli occhi, come una specie di pellicola invisibile, che procedeva lenta ma inesorabile. Parecchie volte in quei venticinque giorni avrebbe voluto premere l’immaginario pulsante “Pausa” per prendere fiato e capire la situazione. Invece tutto quello che poteva, o doveva, fare era aspettare. Aspettare che lui chiamasse, aspettare che lui rispondesse, aspettare che lui tornasse, aspettare che tutto finisse.
Mentre inseriva la chiave nella toppa a colpo sicuro ripensava a quando quel mazzo di chiavi le era stato consegnato ed alla sicurezza con cui aveva affermato che non le sarebbe mai servito. Si sbagliava.
 
*
 
«Quindi insomma, io parto» le disse Louis con lo sguardo basso e le mani in tasca, mentre si stringeva forte nel suo giubbino in jeans ben foderato, «Non che mi piaccia o che voglia farlo, però ci andrò, credo tu lo sappia già.»
Lydia sorrise, stringendo la sciarpa che le cingeva il collo. Il mese di Dicembre a Londra era forse il mese più critico dell’anno per quanto riguardava il freddo: niente di quello che indossava sembrava darle sollievo contro il freddo pungente, da nativa americana. Avesse dovuto chiedere a Louis invece, il freddo che le indolenziva le ossa sarebbe semplicemente stato definito “arietta”, come diceva spesso.
«Perché ridi?» domandò il giovane, voltandosi a malapena.
«Non rido. Sto ascoltando in silenzio, elaboro.»
«Elabori? Già lo sapevi, sai che novità.»
Lydia sorrise di nuovo senza rispondere. La sua non voleva essere una mancanza di educazione, era solo che, molto spesso, risultava difficile trovare qualcosa da dire in risposta: Louis aveva quella caratteristica vena polemica e vagamente acida che rendeva la conversazione difficile, ma non impossibile.
«Sì, lo immaginavo, ma con te non si può mai sapere. Prima dici bianco, e poi diventa nero. E’ faticoso starti dietro, sai com’è.»
«Mah, non saprei.» rispose lui frugando nella tasca dei pantaloni. In effetti non poteva darle granché torto, dopo una vita passata a sentirsi dire quant’è lunatico, imprevedibile ed infantile. Nel corso degli anni, infatti, si era accorto di aver sviluppato una sorta di esasperata insofferenza per le cose più disparate che, una volta verificatesi, gli procuravano delle incazzature memorabili, come ad esempio gli spaghetti di soia per asporto senza gamberetti quando lui aveva espressamente richiesto che ci fossero; le persone che alla domanda “Cos’hai?” rispondono “Niente” anche se sono chiaramente infastidite da qualcosa; i messaggi da lui mandati, sicuramente ricevuti, letti e mai risposti. Dopo una lunga ricerca, alla fine, riuscì ad estrarre l’accendino dalla tasca ed accese una mezza sigaretta che aveva spento qualche giorno prima, non avendo avuto tempo di fumarla per intero.
«Ma tu non eri quello che aveva smesso?»
«Brava, infatti. Avevo.»
Lydia lasciò cadere l’ennesimo lungo silenzio, come se percepisse che entrambi stavano in realtà continuando la conversazione solo nella loro testa. Un lungo brivido le attraversò le ossa, scuotendola. Nel vedere quei movimenti Louis si voltò, come se in quel momento riuscisse finalmente a percepire l’effettiva aria gelida che li circondava.
«Senti...» riprese tra un tiro e l’altro, «stavo pensando di darti le chiavi di casa, la mia intendo. Non perché vado via per tanto, cioè chissene di quello, ma perché nel caso avessi bisogno di qualcosa che magari non trovi in giro o nel caso tu voglia dare un super festone o altro, tu sappia dove andare. E’ pieno di roba, là dentro: tazze, tazzine, cuscini, letti, robaccia. Ammetto di abitarci poco, forse Harry la abita di più... in senso lato intendo, la sente più casa. Io non so, dopo anni passati a vivere in hotel, l’unico posto in cui sto bene è camera mia a casa di mia madre...»
«Non c’è bisogno che tu mi dia le chiavi. Davvero, credo che starò bene.» gli disse Lydia, riavvolgendo mentalmente il lungo monologo del ragazzo appena terminato.
«Insisto, voglio partire e sapere che le hai tu. Il secondo mazzo lo porterà Harry, non saremo chiusi fuori, se è quello che ti preoccupa. Quando torno me le ridai, mi fido.»
A quel punto Louis, anziché frugare nei pantaloni, iniziò a rovistare nelle tasche interne del suo giacchetto. Qualche secondo dopo tirò fuori un piccolo mazzo di chiavi, lasciandolo penzolare dal dito indice. Era spoglio, con più portachiavi che chiavi effettive, dove tra tutti capeggiava un ciondolo a forma di pallone da calcio bianco e nero. Lydia porse la mano, lasciandola esposta alle intemperie, e prese il mazzo di chiavi.
«Grazie,» disse a bassa voce, «prometto di non perderlo e ti dico già che non mi servirà.»
«Mai dire mai. La mia raccolta di Breakfast Tea è invidiabile.» scherzò lui, gettando a terra il mozzicone che aveva rigirato fra le dita fino a quel momento, «E comunque ti dona.»
«Mi dona? Un mazzo di chiavi mi dona?» domandò Lydia molto confusa. Forse era esattamente a questo che si riferiva prima: prima bianco e poi nero, su tutto.
«No, il tuo fiocco. Mi piace.»
Portandosi una mano ai capelli Lydia sfiorò il piccolo ornamento di raso color rame che indossava e poi scostò una ciocca di capelli che si era liberata dallo chignon, evidentemente un po’ allentato.
«Grazie, piace anche a me. E’ stata Ginevra a regalarmelo, per Natale. Immagino di non essere mai stata un tipo da fiocchi finché non me ne hanno regalato uno.»
«E’ un peccato, ti sta bene» ribadì Louis alzandosi finalmente dal muro che l’aveva finora sostenuto, «Forse è meglio rientrare, adesso. Credo tu sia in ipotermia.»
«Sì, è probabile!» scherzò Lydia imitando i suoi movimenti, per poi seguirlo all’interno dell’edificio.
 
*
 
Per questo motivo, spesso, si era ritrovata a pensare che il suo ritorno potesse essere paragonato ad un miraggio, a qualcosa che le sembrava di vedere ma che allo stesso tempo non era reale. Eppure non capiva: l’aver condiviso momenti, dialoghi, situazioni, cosa implicava? Ed era strano, strano da morire, perché non credeva di essere quel tipo di persona abituata a cogliere determinate cose, come ad esempio il modo di sbattere le palpebre, le parole usate di frequente, la lunghezza di un respiro o quale angolo della bocca si alza durante un sorriso. Ma, stranamente, lo era diventata.
Entrando nella penombra della casa e chiudendo la porta dietro di sé si accorse con grande dispiacere che Louis aveva ragione quando l’aveva definita “poco vissuta”: nell’aria mancava il sentore del suo profumo, non c’era disordine e tutto era perfettamente riposto, come se la casa dovesse essere venduta da un momento all’altro e ci fosse la necessità di farla trovare immacolata in qualsiasi momento di qualsiasi giornata. Lydia poggiò la borsa sulla penisola della cucina, tolse il cappotto, lo appese ad una sedia e spalancò la finestra lasciando che il clima gelido la colpisse in faccia. D’istinto incrociò le braccia, quasi a volersi coprire. Uno strano senso di abbandono e tristezza la avvolse mentre gettava uno sguardo fugace qua e là, dalla cucina al salotto. Decise, a quel punto, di prepararsi un the ed usufruire della collezione di bustine di cui Louis spesso si vantava.
Mentre l’acqua bolliva lavò l’unica tazza sporca rimasta nel lavello, prese il telecomando da sopra il divano e lo avvicinò alla tv, girovagò un po’ a vuoto per tutta la casa, spalancando qualche finestra per scacciare l’aria fastidiosamente satura. Aprendo la porta della camera da letto di Louis sorrise, ricordando l’ultima volta che l’aveva visto all’interno della stanza, chiaramente trafelato.
 
*
 
«Louis?» domandò a voce alta Lydia entrando in casa, «Harry mi ha lasciata entrare. Louis?»
«In camera! Seconda porta a destra, fine corridoio!»
Seguendo le indicazioni la ragazza giunse davanti alla porta, la aprì quel tanto che bastava per infilarci il naso e osservò la situazione, temendo di trovare qualcosa di poco conveniente davanti agli occhi.
«Pensavo di trovarti nudo, meglio così.»
«No, sei sfortunata, quello era stamattina. Harry aveva sbagliato a puntare il termostato e mi sono ritrovato in camera con venticinque gradi: mi sono svegliato in un bagno di sudore.»
«Magari voleva aiutarti, darti un assaggio della temperatura che troverai in America. Sai, per acclimatarti.»
«No, figurati, è semplicemente un pirla! Ha impostato la temperatura così per tutta la casa, ho dovuto tenere le finestre aperte tutta la mattina per rendere questo posto vivibile!»
Lydia si lasciò scappare una risata e si avvicinò a lui, osservandolo incuriosita mentre fissava la cabina armadio con le braccia ai fianchi. Non c’era dubbio che fosse un tipo particolarmente insensibile al freddo, ma mai avrebbe immaginato di trovarlo a piedi nudi e con una maglietta a maniche corte in pieno inverno.
«Posso sedermi?» gli domandò poi, dirigendosi verso il letto a baldacchino. Mentre aspettava la sua risposta si prese qualche istante per guardare la camera nel suo complesso, pienamente illuminata dalla luce esterna: era tutto sommato una camera semplice, anche se il mobilio era di alta qualità. I muri erano color verde pistacchio e davanti al letto, al di sopra di un comò, era stato dipinto uno skyline della città di Londra di colore nero; sul comodino, una cornice rossa racchiudeva una foto di famiglia che sembrava datata ma, nonostante tutto, molto bella.
Non sentendo più nessun movimento, Louis si voltò e la trovò intenta a guardare la foto, mentre scorreva con l’indice ogni volto raffigurato nella foto. Con una coda morbida che le raccoglieva i capelli, Lydia indossava un vestito in maglina rosso bordò e un paio di stivali neri che le arrivavano fino al ginocchio. Si chiese per quale motivo fosse così elegante e poi concluse che forse, per gelosia, sarebbe stato meglio non saperlo.
«Certo, siediti. Ho quasi finito.»
«Sono molto belle le tue sorelle, tutte e quattro.»
«Cinque in realtà, gli ultimi gemelli sono un maschio ed una femmina ma ammetto che era difficile da capire. E comunque grazie, ne sono consapevole purtroppo.»
«Non ti facevo protettivo.»
«Infatti non lo sono! Intendevo che forse sono un po’ troppo spavalde per i miei gusti, ma deve essere una cosa di famiglia.»
A quel punto Lydia ripose la foto al suo posto e si accomodò sul letto. Non c’erano valigie né trolley nella stanza ma un unico borsone riempito a metà ai piedi del letto. Si chiese cosa sarebbe mai potuto entrare in un borsone così striminzito, considerando che sarebbe rimasto per un po’ di tempo.
«Sarebbe la tua valigia?» chiese a quel punto, richiamando la sua attenzione.
Louis si voltò, lanciò una occhiataccia al borsone e poi alzò le spalle con noncuranza, raggiungendo il letto per andare a sedersi vicino a lei. Poi le regalò un sorriso e sospirò, cercando con la mano la felpa che era sicuro di aver gettato più in là poco prima.
«Che posso dire, mi piace viaggiare leggero. E poi se dovesse mancarmi qualcosa la posso sempre comprare in giro. Almeno quelli, i soldi dico, non mi mancano.»
«Perché, cos’è che ti manca?»
Lydia si rese conto di aver fatto un passo falso quando, dopo quella domanda, lui s’incupì e non rispose. Ma non era sua intenzione renderlo triste né tanto meno chiedere qualcosa di fuori luogo; semplicemente a volte le capitava di sentirsi vicina a lui, quasi intima, e questo la portava a voler sapere cosa pensasse, cosa sentisse, cosa lo preoccupasse. A forza di passare del tempo ad osservare lui e la sua vita, i suoi amici e gli eventi che gli capitavano, si era in un certo senso sentita autorizzata a stargli vicino nella maniera più discreta e dolce di cui era capace, sempre se lui glielo avesse permesso.
«Bella domanda,» rispose lui fissando i suoi piedi a penzoloni, «ci penso spesso e a volte lo so, a volte non lo so. Però a dirti la verità non stavo pensando a delle cose materiali, ma a te. Pensavo che domani parto e so già che tornerò, ma non so quando. E se non dovesse esserci più tempo non la prenderei molto bene, anzi ci rimarrei malissimo. Sono egoista, lo so, mi spiace.»
«Non dovresti.»
«Perché?»
«Perché avrai un sacco di cose a cui pensare, un sacco di cose da fare, e dovresti essere libero di concentrarti su questa nuova fase della tua vita. Lo so che non ti fa impazzire, però è positivo, o per lo meno lo sarà.»
«Cosa c’è di positivo nel non parlarti più? O nel non vederti più?»
«Louis…» sospirò Lydia, spostando lo sguardo verso il muro intonacato di verde. Avrebbe voluto dirgli così tante cose che la testa le faceva quasi male, ma non poteva e non doveva farlo. Così si voltò, lo guardo negli occhi e poi prese fra le mani l’orlo del vestito, iniziando a stropicciarlo.
«Lo so, non serve che tu lo dica. Ti dispiace, pensi che potremmo comunque sentirci ogni tanto, magari bere un caffè insieme. Ma nonostante tutto mi auguri il meglio e, questo lo aggiungo io, continuerai ad osservare la mia vita tramite i tabloid, ammesso e non concesso che scrivano qualcosa su di me. Bella prospettiva, non ti pare?»
Questa volta invece fu lei a rimanere in silenzio, colpita un po’ nell’orgoglio. Non si era mai accorta che mentre lo osservava, quasi a volerlo studiare, lui stava in realtà facendo lo stesso con lei. Sì, queste erano le cose che avrebbe dovuto pensare ma non di certo quelle che avrebbe voluto dire. Ad ogni modo ne apprezzava il tentativo: dubitava infatti che lui avesse mai detto qualcosa del genere per qualcun altro nel corso degli anni. Così si voltò di nuovo verso di lui, aspettò che i loro sguardi si incrociassero e poi, senza rispondere, si avvicinò alla sua mano poggiata al letto e la strinse, continuando a sorridere.
Louis la guardò e sospirò, accennando un sorriso in risposta. Forse percepiva tutte le parole nascoste dietro al sorriso che gli era appena stato rivolto, forse quasi le comprendeva, ma per egoismo scelse di nuovo la schiettezza al posto del silenzio. D’altra parte aveva sempre faticato a mordersi la lingua.
«Mi mancherai. Anzi, mi manchi già, anche se sei ancora qui, con me.» le disse infine, decidendo di lasciar finire così la conversazione.
 
*
 
Sentendo la teiera sbuffare richiuse la porta dietro di sé con forza, come se volesse chiuderci dentro anche tutte le cose che le tornavano in mente. Una volta in cucina aprì una delle numerose ante a colpo sicuro, come aveva fatto molte volte prima di quel momento. Prese un the nero alla vaniglia, da sempre il suo preferito, ed assorta attese che il filtro rilasciasse la sua essenza. Pensò che avrebbe potuto chiamarlo ma che non l’aveva mai fatto, che avrebbe potuto scrivergli ma che di nuovo non l’aveva mai fatto, che avrebbe potuto dirglielo ma che non l’aveva mai fatto. E le ore erano diventati giorni, venticinque per la precisione, e ormai non c’era più tempo. Odiava ripensare a quel dannato contratto, al fatto che alla loro relazione fosse stata imposta una data di scadenza prima ancora che cominciasse, ma non poteva ignorare la realtà. “Mai mischiare il lavoro con i sentimenti” erano le parole all’ordine del giorno che si era ripetuta incessantemente, mentre si accorgeva che più passavano i giorni e più diventava difficile staccarsi. Per questo motivo aveva deciso di farlo in maniera decisa, netta, come se fosse una terapia d’urto: al ritorno di Louis lei gli avrebbe chiesto di terminare il loro rapporto in anticipo, raccontando una bugia su un qualche cliente importante che non poteva permettersi di perdere, sottintendendo che questa persona in realtà era più importante; più importante di lui. Ma poi gli eventi avevano fatto il suo corso e avevano scombussolato i suoi piani, rendendo queste intenzioni del tutto vane. Si era ritrovata a fare da sola le cose che erano soliti fare assieme, prendere il caffè nel suo posto preferito, visitare casa sua a giorni alterni sperando di trovarlo dentro a sua insaputa. Non era stato un fulmine a ciel sereno, ad ogni modo: in cuor suo l’aveva sempre saputo che si stava affezionando in un modo che non le era permesso, ma aveva soffocato quella consapevolezza per molto tempo. La sua prolungata assenza non aveva fatto altro che rafforzare questa consapevolezza e, in un certo senso, l’aveva condotta al suo personale limite di sopportazione. Un taglio netto era d'obbligo, quindi.
Bevendo l’ultimo sorso di the si rese conto che non avrebbe più dovuto farlo e che vi era la necessità di fermare queste brutte abitudini. Mentre s’infilava il cappotto si mise a frugare nella tasca, in cerca delle chiavi; una volta trovate osservò il portachiavi a forma di pallone oscillare, e poi le posò sulla penisola. Chiuse le persiane e le finestre che aveva aperto e, di nuovo, perse qualche istante in più in camera di Louis dove, vergognandosi un po’, prese l’unica maglia lasciata sopra al letto. Davanti la porta d’entrata sospirò ed uscì, consapevole che non sarebbe più potuta rientrare.
Strinse la sciarpa attorno al collo e la borsa alla spalla, e si avviò a piedi. Un lembo di maglia penzolava fuori dalla borsetta perché troppo piccola. Anche se in ritardo, con il nuovo anno doveva iniziare ad avere un nuovo modo di passare le giornate, tenendo bene a mente che non avrebbe mai più potuto vederlo senza incorrere in problemi. Appena svoltato l’angolo dell’edificio il telefono trillò, facendola quasi spaventare.
 

“Torno fra 4 giorni, quindi ne rimangono 3.
Non mi sono dimenticato di te.
Aspettami.”



 













Sono perfettamente consapevole di quello che ho, diciamo, pubblicato qualche tempo fa, ma come ho detto in quell'occasione, mai dire mai. Quindi un po' è arrivata l'ispirazione, un po' mi sono fatta "aiutare" e questo è ciò che ne è uscito. Ci tengo a dire solo due cose: la prima è che credo che sia il capitolo finale ed è stato progettato per esserlo, quindi come al mio solito, lascio un finale aperto alla vostra immaginazione ed interpretazione; la seconda è che questa è l'esatta idea che ha dato il via a tutto. Questa storia era stata pensata per avere questo determinato titolo con questi determinati personaggi, questa determinata conclusione ma soprattutto questa determinata canzone che faceva da contorno. Perchè nella mia testa pensare che la frase "E ascolterò i tuoi passi e ad ogni passo starò meglio" fosse un perfetto abbinamento per il titolo "Il rumore dei tuoi passi" aveva molto più che senso, e mi piaceva tantissimo.
Quindi grazie per l'attenzione, vi ringrazio tantissimo e anche se immagino che questa sia veramente la fine, vi saluto con un altro arrivederci. 
A presto.

 

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