'Cause I'm falling to pieces

di Weleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***







29/11/1998 Copenaghen
 
Entrai nel pub, come al solito in ritardo anche se quella sera io ed Erik non ci eravamo dati un orario preciso, avevamo soltanto deciso di vedere la partita fuori, magari cercando compagnia. Erik era il mio migliore amico, ed eravamo all'ultimo anno della biennale, eravamo entrambi patiti di calcio e quella sera ci sarebbe stata la finale di campionato e ci era sembrato penoso passarla a vederla nel catorcio di tv a casa di Erik.
Il pub era già parecchio affollato e ci misi un po' a trovarlo, ma alla fine riuscii anche a sedermi di fianco a lui. Si girò a guardarmi male:
-Sei in ritardo come al solito, Clara.- mi disse cercando di mantenere un'aria offesa prima di ridermi in faccia.
-Parli tu poi, sei l'unico inglese che conosco a essere sempre in ritardo.-
Il primo giorno di lezione sia io che lui eravamo in ritardo, era così infatti che ci eravamo conosciuti, eravamo entrati insieme in aula sotto gli occhi torvi del professore che però non disse niente e poi ci eravamo seduti in due posti rimasti vuoti a metà dell'aula tra risate varie. Era impossibile rimanere seri per noi, ogni volta che ci vedevamo ci bastava guardarci e scambiarci occhiate complici per ridere.
Guardai lo specchio che stava dietro il bancone. Starci insiemei era come ritrovare un fratello che non sapevo neanche di avere, mi capiva sempre e ormai non riuscivo a immaginare la vita senza di lui. Era naturale vedere ogni giorno quei capelli castani, gli occhi scuri dietro agli occhiali quadrati. Ed era anche facile vedermi sempre al suo fianco, con i miei occhi verdi e i capelli rossi, scalati fino alle spalle con i tratti italiani.
-A quanto stiamo quindi?- gli chiesi.
-1 a 1, ma il primo gol l'hanno rubato.-
Mi lasciai sfuggire una risatina:-Come sempre.-
Feci scorrere il mio sguardo tra la gente del bar e dall'altra parte del bancone c'era un ragazzo castano che mi fissava con i suoi occhi azzurri. Abbassai lo sguardo, non seppi neanche perchè,dato che di solito ero molto sfrontata, appena lo rialzai lui era ancora lì a guardarmi e mi fece un piccolo sorriso.
-Non è con noi al corso di matematica?- mi chiese Erik, riportandomi alla realtà.
-Chi?-
-Il ragazzino carino, e chi se no?- mi disse con una voce da idiota per prendermi per il culo.
-Si.- ammisi, quasi con dispiacere.
-Si cosa?- mi chiese
-Si, è nel nostro corso di matematica.- dissi svogliatamente,prima di prendere un sorso di birra dalla sua bottiglia. Alcune volte, non spesso, passavo dall'essere felice all'essere triste e malinconica senza un ragione precisa, e adesso era uno di quei momenti.
-Si, è anche carino e si chiama Christian.- disse prima di ordinare un'altra birra, dato che io mi ero impadronita della sua.
-Dovresti provarci, non hai nulla da perdere.- continuò. Una delle cose belle di avere un amico come Erik era che sia io che lui potevamo parlare della nostra vita privata liberamente e senza filtri.
-Non sono dell'umore giusto stasera.- mi appoggiai al bancone, facendo finta di guardare la partita, mentre i pensieri mi vorticavano in testa.
-Dai, su con la vita e passati una bella serata, senza pensare ad altro per una volta.- Non gli risposi.
-Tu ci pensi troppo, Clara. L'hai sempre fatto da quando ti conosco, ti fai delle terribili seghe mentali e ti complichi le cose semplici.-
- Lo so, ma cosa posso farci?-
- Io tra un mezz'oretta vado a vedermi con Hanna, tu hai due possibilità: o vai a parlare con lui oppure te ne vai a casa a deprimerti. Per una volta fai come ti dico e vacci a parlare, divertiti.-
-Perchè vai da Hanna?- Essendo al secondo anno, la maggior parte di noi finiti i corsi se ne andavano, ovviamente quasi tutti noi non eravamo di Copenaghen e laureati tornavamo a sparpagliarci per il mondo.
-Domani parte, e anche se ci siamo lasciati, vado ad aiutarla a finire le valigie e...-
-E fammi un favore e risparmiami i dettagli.- dissi con una risata.
Il tempo passò più in fretta del previsto e mi ritrovai da sola a valutare se andare Christian o no. Era vero non avevo niente da perdere, ma non è che avessi proprio una ragione valida per provarci. Ma lui ci aveva già pensato, perchè lasciò i suoi amici e si venne a sedere di fianco a me, ordinando altre due birre.
-Ciao, sono Christian.- mi disse sorridendo e passandomene una.
-Ciao, mi chiamo Clara.- risposi,sorridendo leggermente imbarazzata. Non avevo mai del tutto creduto che una ragazzo potesse notarmi,senza che io facessi niente.
-Allora cosa studi, Clara?- chiese.
-Manegement internazionale. Tu invece?-
-Macro-Business.-
Pensai un attimo a cosa potergli chiedere per evitare che calesse un silenzio imbarazzante.-Cosa vuoi quando avrai finito qui?-
-Quando avrò preso la specialità torno a New York e vado a lavorare nell'azienda di mio padre.-
-Ah, sei americano. Io italiana.-
-Esattamente di dove?-
-Desio, vicino Milano,ma non so se ci tornerò dopo, non so cosa farò.-
Mi prese la mano con naturalezza,senza farci troppo caso come se mi prendesse per mano ogni giorno, mentre mi guardava fissa negli occhi:- Sono certo che troverai qualcosa da fare, un lavoro.-
-Come fai a esserne così sicuro? Mi conosci a malapena.-
-Sei intelligente, e poi non passi proprio inosservata.- Lo fissai dritto negli occhi cercando di capire se lo pensasse davvero o se lo dicesse soltanto per portarmi a letto quella notte. Sembrava sincero e io volevo credergli. Dal secondo esatto in cui si era seduto di fianco a me non avevo fatto più caso a nulla, nè alla partita, nè alle altre persone, tutto quello a cui riuscivo a pensare era la sua mano sulla mia e a ogni altro centimetro di pelle che toccava la sua. Sembrava un sogno,tutto così surreale che non davo importanza neanche a quello che dicevo, ma continuavo a pensare a cosa sarebbe potuto succedere dopo. Il cuore mi balzò in gola, mentre lui cercava di portare avanti una conversazione, io lo ascoltavo solo parzialmente e dissi qualcosa ogni tanto. Perchè ero così nervosa? Perchè gli davo così tanta importanza? Stamattina era solo un altro uomo nella mia stessa classe di matematica, l'avevo notato a mala pena fino ad adesso, e ora mi sembra che fosse l'unica cosa che contasse in quel momento.
- Usciamo a fare un giro?-disse ad un tratto.
All'improvviso tutta l'incertezza sparì e sempre tenendoci per mano uscimmo dal bar. Dopo aver fatto neanche qualche passo, lui mi tirò verso di lui e mi baciò e fu come se il tempo si congelasse e sarebbe potuta capitare qualsiasi cosa che in quel momento non me ne sarei minimamente accorta. Dopo rimanemmo abbracciati per qualche minuto, avrei voluto che quel momento non passasse mai, con la testa sepolta nel suo petto.
-Si sta facendo tardi.- disse ad un tratto lui.
-E allora?-
Soffocò una risatina e mi diede un bacio sulla fronte, poi ci allontanammo mano nella mano mentre io mi stringevo a lui.
 
 
 


---Spazio dell'autrice.
Sono tornata!! Se ci ho messo tanto è perchè questa è una storia a cui tengo molto e volevo finire di scriverla prima di pubblicarla, ma la stavo tirando troppo per le lunghe...
Comunque spero che questo primo prologo vi sia piaciuto e lasciatemi un commento per dirmi cosa ne pensate. :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***





17/07/1999 Copenaghen
Avevo appena iniziato a cercare di organizzare le prossime settimane senza deprimermi, mi ero diplomata da qualche giorno, ma l'affitto scadeva tre due settimane e non avevo idea di cosa fare. Avevo sempre pensato che finita l'università, sarei stata finalmente libera di fare quello che volevo,ma ci misi poco a scoprire che non sapevo cosa volevo fare, o dove volevo stare. Il citofono suonò e svogliatamente mi alzai dal divano per andare a rispondere.
-Chi è?-
-Sono io, mi apri?- mi disse Erik, che sembrava stranamente euforico.
Gli aprii il portone e aprii anche la porta che dava sul pianerottolo. Stavo al secondo piano di una palazzina di piccoli appartamenti che venivano affittati perlopiù a studenti. Sentii Erik salire le scale di corsa e quando arrivò si chiuse la porta alle spalle con una busta in mano che poi mi porse.
-è appena arrivata.- mi disse con il fiatone- E non ho il coraggio di aprirla. Sono venuto subito qui.-
Presi la busta e la guardai, riconoscendo subito il simbolo su essa.
-La Apple ti ha risposto?!-
Erik si era laureato col massimo dei voti e aveva inviato il curriculum a varie aziende, che però non sempre rispondevano.
-Non ho mai scritto alla Apple.- mi risponde lui, ma se lui non gli aveva mai scritto allora c'era soltanto una risposta. 
Aprii velocemente la busta, facendo scorrere lo sguardo sul testo, cercando di capirne veloce il contenuto.
-Ti vogliono. La Apple ti vuole!- Quasi gli urlai in faccia. 
Mi abbracciò facendomi roteare in aria,mentre lanciava un grido di vittoria,poi mi rimise giù con un sorriso da ebete continuandosi a ripetere:-La Apple mi vuole.-
-Ahah sei tanto carino così, ma dovresti calmarti.- gli dissi.
-Okay, okay ti va bene se mi stravacco un po' sul tuo di divano?- disse mentre si lanciava su di esso.
-Non ti andrebbe bene se sapessi cosa succede su quel divano..-
Quasi cadde facendo un salto per scendere:- Sul serio?! Che schifo!!- Urlò mentre io mi mettevo a ridere alla sua faccia.
-Ahahah, continua a fare la spiritosa... Quando lo rivedi Christian?- mi chiese.
-Fra un po' esco con lui.-
-Ormai lo vedi ogni giorno.-
-Vedo anche te ogni giorno. Tra poco si parte e chissà quando ci rivedremo.-
-Tranquilla anche se mi trasferissi in California troverei il modo di romperti le palle. Da quanto state insieme?-
-Quasi 8 mesi.Bhe io devo prepararmi, tu cosa fai quindi?-
-Tra poco esco ero venuto a salutare e per la lettera.-
-Tanto è inutile dirti fai come se fossi a casa tua.-
 
 
 
Mi sedetti sulla panchina pochi minuti prima che lui arrivasse, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate davanti al volto. Per quanto fossi felice per Erik, non potevo neanche fare a meno di essere un po' gelosa di lui. Non era solo per il lavoro, aveva lavorato duramente e se lo era guadagnato. Era per tutto il resto, per la famiglia perfetta, perchè lui aveva solo l'imbarazzo della scelta sul dove andare.
-Sembri pensierosa.-  mi disse Christian sedendosi di fianco a me e mettendomi un braccio sulle spalle. Non mi ero neanche accorta che fosse arrivato.
-Sono pensierosa.- Non serviva neanche che gli dicessi perchè, lui soltanto mi strinse più forte, ma io rimasi immobile.
-Ti sbagliavi.- mi girai a guardarlo e vidi lo sguardo interrogativo che mi stava rivolgendo. Gli spiegai: - La prima sera che ci parlammo mi dissi che sicuramente avrei trovato qualcosa da fare... E invece eccomi qui.- dissi aprendo le braccia in un gesto plateale. - Un diploma in mano e non so cosa farmene.- Era tutto dannatamente frustrante. Lui iniziò a accarezzarmi i capelli. -Clara, guardami.- Non gli diedi retta.
-Clara.- Alzai gli occhi al suo viso, ed era serio.
- Clara... Tu sei una delle donne migliori che io abbia mai conosciuto, sicuramente la più coraggiosa.-
-Solo perchè non ho avuto molte possibilità di dimostrare questo coraggio.- dissi poco convita.
-Clara, se tu vuoi qualcosa puoi averlo.... Sei abbastanza forte e determinata e capace di prendertela da sola.- 
Feci scorrere lo sguardo attraverso il parco cercando qualcosa, senza neanche sapere cosa. Mi prense il mento e mi fece voltare la testa verso di lui.
- Sul serio, non lo dico solo per consolarti o perchè dovrei, quando dico che sei una delle persone più forti che io conosca, lo intendo per davvero.-
-Posso avere tutto quello che voglio?-
-Nei limiti del possibile.-
-C'è solo una cosa che voglio con certezza adesso.-
-E sarebbe?-
-Sei tu.-
Sorrise, con uno di quei sorrisi ampli che fin dall'inizio mi avevano colpito e fatto impazzire.
-Ma tu mi hai già.- disse dandomi un live bacio sulla fronte, dolce e per farmi ricordare che lui in fondo c'era.
Sorrisi anche io, lui era capace di farmi sorridere sempre, mi accoccolai al suo petto e mi lasciai cullare dal ritmo del suo respiro.
-Hai sentito tua madre?-
Avevo sempre voluto andare all'estero e la mia condizione familiare non mi aveva certo trattenuta a casa: i miei avevano divorziato quando avevo cinque anni e mio padre si era trasferito in un altro paese senza lasciarci modo per contattarlo, mia madre si era risposata, ma il problema non era lui. Marco mi voleva bene ed era sempre dalla mia parte, mentre mia madre considerava una catastrofe tutto il primo matrimonio, me compresa. Ora erano felicemente sposati e con loro viveva ancora  la mia sorellastra, che stava finendo il liceo, e ora si occupavano anche dell'altra sorellastra piccola di 5 anni. Stavo benissimo in famiglia, se non fosse stato appunto per mia madre, che voleva impedirmi di fare tutto perchè  non mi riteneva all'altezza.
-Si, stamattina. Ha detto che non le interessa dove vada, mi aiuterà con le spese per quattro mesi poi o mi sarò trovata un lavoro da mantenermi da sola o dovrò tornare a casa, in Italia..-
Mi accarezzò i capelli: - Mi dispiace. Hai già pensato a cosa fare?- 
-Bho, magari potrei rimanere qui e trovarmi un lavoro.-
-Stavo pensando... se tu non dovessi pagare la casa risparmieresti soldi.-
-Si, certo, anche molti, ma non posso dormire sotto un ponte.-
-No certo.- disse con una risatina nervosa.-Mi chiedevo, puoi anche dirmi di no se vuoi, lo so che sarebbe presto, ma puoi venire con me a New York e stare da me, e poi potresti trovarti un lavoro lì.-
Ci misi un po' a capire cosa stesse dicendo e a  metabolizzarlo. Voleva che io andassi con lui a New York. Ed era una delle più belle proposte che mi avessero mai fatto. 
Lo baciai entusiasta, potevo piangere dalla felicità.
-Ti basta come risposta?-
 
 
------Spazio dell'autrice
Hola, spero vi piaccia come capitolo, fatemi sapere le vostre impressioni positive o negative in un commento ;).
P.S. sta entrendo in cantiere anche il seguito di "I'm Trusting You" che si chiamerà "One Last Fight Together"
------Adieu

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



 
11/01/2001 New York
Alzo lo sguardo ancora verso la sveglia per guardare l'ora. Erano solo le 2.26 della mattina e la sveglia non avrebbe suonato prima delle 6.30. Christian mi teneva abbracciata da dietro e dormiva profondamente, mentre io non riuscivo a chiudere occhio da almeno mezz'ora. La sera prima eravamo tornati a casa dall'Italia, varie cose erano cambiate negli ultimi mesi e avevamo bisogno entrambi di una pausa, perciò mi ero presa una settimana di ferie e eravamo andati a trovare la mia famiglia.
Lentamente mi alzai dal letto cercando di non svegliarlo e mi vestii velocemente, se dovevo rimanere sveglia tanto valeva che facessi qualcosa
-Dove vai?- mi chiese Christian con voce molto assonnata, alzando la testa per vedere l'ora.-È prestissimo.-
-Non posso dormire con il jet-lag,esco a fare due passi.-
-Non ti passerà mai il jet-lag se non dormi.- disse mentre affondava la faccia nel cuscino.
-Buonanotte.- gli risposi sorridendo.
Uscii nella notte, con il cielo stellato e con passo risoluto,abitavo un una via minore di Manhattan, a solo un quarto d'ora da dove lavoravo. Finalmente avevo trovato un buon lavoro stabile, mentre Christian si era licenziato dall'azienda del padre, dopo una furiosa lite, oggi avrebbe avuto un colloquio di lavoro in una delle aziende del World Trade Center, dove sperava vivamente di essere preso. Quando era tornato a casa arrabiato dopo aver lasciato il padre, avevo cercato di prendere le ferie il prima possibile, ed eravamo partiti per casa mia, dove al contrario che qui sembrava regnare un pace assoluta. Con mia madre le cose andavano meglio e per qualche giorno io e Christian l'avevamo aiutata a stare dietro alla mia sorellastra più piccola che aveva ormai 7 anni. Avevamo passato dei momenti bellissimi in Italia e per staccare dal caos di New York, un cittadina semisperduta era quello che ci voleva.
Ci misi poco ad arrivare all' hotel e la proprietaria si stupì di vedermi dirigere verso il bancone.
- Potrebbe chiamare Erik Steven dicendo che Clara lo vuole vedere.-
-Il signor Steven sa della sua visita?- disse dubbiosa mentre alzava la cornetta del telefono per chiamare in camera.
-Si.- Lui non lo sapeva, anche se probabilmente se lo aspettava che a prima o poi sarei arrivata.
-Ha detto che scende subito.- Mi rispose cortese la signora.
-Grazie.-
Mi appoggiai al bancone mentre aspettavo. Ieri era arrivato a New York anche Erik, che doveva fermarsi qui per due settimane prima di partire per andare a lavorare a Londra. Lavorava ancora per la Apple e fino adesso era stato in California, ma ora gli avevano messo in mano un biglietto di aereo per andare a lavorare nella Sede della Capitale inglese a casa.
-Clara- mi senti chiamare e di scatto alzai la testa per vederlo, sorridendogli perchè dovevo ammetterlo, mi era mancato molto. Feci due passi per andargli in contro e ci abbracciammo prima di uscire dalla hall.
Era cambiato dall'ultima volta che lo avevo visto, ora si era tagliato i capelli più corti e appariva più sicuro di se. Uscimmo a fare un giro per le strade della città, anche se era notte faceva abbastanza caldo dato che ancora non si sentiva l'inizio dell'autunno.
-Come stai? Come è andato il viaggio?- gli chiesi.
-Tutto bene, anche se oggi pomeriggio devo già attendere a due meeting e lavorare non poco prima di ripartire, non credere che non mi faccia piacere la tua visita, ma saresti potuta venire anche durante il giorno, come fanno tutte le persone normali.- disse scherzando.
-che io ieri e Non avevo sonno, tanto valeva fare qualcosa di producente, no?-
-Producente?- ripeté con tono interrogativo, mentre sbadigliava.
Quando qualche ora prima era tornata a letto Christian l'aveva tenuta abbracciata fino a quando non si erano entrambi addormentati, invece adesso al mio risveglio non c'era. Probabilmente era andato a correre, lo faceva sempre. A me invece pieceva prendermela con calma, una doccia calda e dopo essermi vestita preparava il caffè per entrambi e lo sorseggiavo mentre aspettavo il suo ritorno per fare colazione. Mi affacciai alla finestra, il sole era ormai alto e splendeva su New York, si potevano vedere in alto nuvole sciogliersi e scolorirsi.
Sentii la porta dietro di me aprirsi:- Buongiorno.- mi disse la voce familiare di Christan. Qualche passo su pavimento e poi le sue braccia mi cinsero la vita mentre incastrava il mento nell'incavo del mio collo.
-Ogni giorno sembra sempre più bella.-dissi guardando il profili di vetro e cemento che si stagliavano contro l'azzurro del cielo. Lo sentii sorridere e lo guardai. Aveva i capelli sudati in alcuni punti, ma mi sorrise, lo faceva sempre, ogni volta come la prima, un sorriso a cui forse mi sarei dovuta abituare, ma che ogni volta che lo guardavo, mi faceva sentire viva e felice.
Avrei potuto rimanere così per sempre, perchè mi faceva sentire al sicuro tra le sue braccia muscolose e soprattutto mi faceva anche sentire speciale. Dopo tanto tempo forse avevo trovato il posto giusto per me. Mi girai verso di lui, mettendogli le braccia intorno al collo e dandogli un breve bacio sulle labbra.
-Sarebbe meglio che ci preparassimo per andare.-


------Angolo Della Scrittrice
Okay, dal prossimo capitolo si entra nel vivo della storia, ma ora fatemi sapere cosa ne pensate in un commento.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





New York 11/09/2001
Arrivai al lavoro alle 8:30 quella mattina, avevo delle pratiche da sbrigare prima di pranzo,ma non avevo troppo da impazzire per essere appena tornata. Non avevo un ufficio tutto mio, semplicemente una scrivania vicino alla finestra con dei pannelli divisori che condividevo con delle colleghe. Anche semplicemente girando la testa verso sinistra riusciva a scorgere il panorama mozzafiato di New York dall’ottantacinquesimo piano.Io mi trovavo vicino a una serie di finestre quando successe, senza pensieri, un plico di fotocopie in una mano e una tazza di carta piena di caffè da sorseggiare.  -Che giorno è oggi?- chiesi sovrappensiero, scorrendo con lo sguardo i moduli da compilare.-L'undici settembre.- rispose qualcuno e come se quelle parole avessero dato un muto via, tutto tremò e venimmo tutti scaraventati a terra.Cadendo sbattei forte la testa sul lato sinistro e l'orecchio da quella lato prese a fischiare fastidiosamente. Tutto smise di tremare e sulla finestra davanti a me le fiamme divamparono e sembró che cercassero di entrare.Bruciano il carburante, bruciano il fuoco, bruciano loro stesse e poi si ritirarono in una colonna di fumo nero lasciando di nuovo libera la visuale sulla strada. Non ebbi il coraggio di guardare in alto, perchè prima vi avevo intravisto solo il nero e il buio. Non c'è più traccia del fuoco, le uniche cose che lasciano intendere che fosse successo qualcosa erano le crepe nel vetro dove non aveva retto la temperatura e l'asfisiante calore che si trovava intorno alla finestra.-E quello cos'era?- urla qualcuno, ma le voci si perdono, indistinguibili l'una dalle altre.Ci fù un altra scossa che fece ridurre tutte le persone del mio piano in un silenzio tombale, poi l'intera torre iniziò a scricchiolare, sembrò che il mondo intero cigolasse e che non ci fosse altro suono nell'universo. Apparte le urla. Urla di centinaia di persone sopra di noi.Il tempo sembrò dilatarsi in secondi infiniti, mentre cercavo di capire cosa fare. Una mia amica mi aiutò ad alzarmi in piedi, mi stava parlando ma non capii bene cosa mi stesse dicendo, anche se il fischio all’orecchio stava iniziando piano piano a diminuire.-Clara. Clara! Forza alzati dobbiamo andarcene.-Aveva ragione, qualsiasi cosa avesse causato quel fuoco, di certo da qualche parte stava ancora bruciando.Guardandomi in giro mi resi conto che almeno metà della gente del mio piano se n’è già andata e anche quelli rimasti si stavano avviando verso le uscite confusi e riescii a sentire alcuni stralci delle loro conversazioni.-Il centralino del 911 mi mette in linea.--Dobbiamo solo andarcene, potrebbe essere pericoloso rimanere.--Ma cos’era? Una bomba forse.--Io ho visto un aereo che veniva incontro alla torre. Ne sono sicuro.--Un aereo?? Non è possibile.-Finalmente riuscii ad arrivare nella tromba delle scale, dove era nettamente più caldo, dal pianerottolo del piano superiore davanti alla porta era crollato almeno un metro e mezzo di pavimento che era andato a ostruire le scale nella rampa di sotto dove già alcune persone stavano cercando di aprire un varco.Stavo per scendere quando mi bloccai d’istinto, e mi girai a guardare la porta del piano superiore. Mi era sembrato di sentire qualcosa venire da quella direzione. Quasi subito la porta si spalanco e si affacciò una donna che tossendo fece un passo indietro non appena notò la mancanza di pavimento. Corsi su per le scale per aiutarla, quando arrivai sul bordo del buco notai che l'intero piano era in fiamme, che si stavano avvicinando anche alla porta.-Salta!- le dissi. Mi guardò sorpresa, probabilmente non mi aveva notata prima, e fu sul punto di saltare, ma poi tornò a guardare di sotto e si fermò, forse impaurita.-Forza! Ti prendo io.-Dopo alcuni secondi si decise e saltò, io feci del mio meglio per prenderla e riuscii a tenerla su. Si accasciò a terra ricominciando a tossire.-C’è qualcun’altro?- da quanto tossiva forte credetti che non mi avesse neanche sentito.-C’è qualcun’altro?--Non lo so.- riuscì infine a dire.-Andiamo.- dissi aiutandola a tirarsi su.
 
Ormai ci stavamo muovendo in un gruppetto di una quindicina di persone, alcuni avevano bisogno di aiuto, altri parlavano confusi in cerca di sostegno morale, altri ancora camminavano in silenzio nervosi. Non si era ancora capito bene cosa fosse successo, molti supportavano la teoria che fosse stato un aereo, ma tutti, qualsiasi cosa credessimo, scappavamo. Stavamo costeggiando una fila di finestre che dava sulla torre sud, quando lo vedemmo. Un aereo che volava decisamente troppo in basso,stava più o meno all’altezza dei nostri occhi che ci trovavamo all’ottantunesimo piano. Continuava a venirci incontro senza accenare a un cambio di rotta o ad altro continuava in un viaggio indisturbato. Ci voleva poco a capire dove volesse andare, ma sembrava tutto dannatamente surreale. Accadde tutto in pochi attimi, l’aereo si schiantò sull’altra torre e io mi sentii quasi mancare mentre centinaia di galloni di carburante fuoriuscirono da vetro e dal cemento in un globo di fuoco che si espanse e bruciava. Bruciava la storia. Guardavo attonita mentre un misto di emozioni esplodeva dentro di me.Il suo nome mi sfuggì dalle labbra come un sussurrò, poi mi lanciai in una folle corsa giù per le scale.
 
 
------Spazio dell'autrice
Okay, bando ai convenevoli, la frase scritta in corsivo è direttamente presa dal libro N.Y. 11 Settembre Diario di una guerra di Gianni Riotta.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***




Alzai lo sguardo sul numero del piano che si trovava dritto di fronte a me. Cinquantottesimo. Avevo fatto solo una ventina di dannatissimi piani ed ero già senza fiato. Mi appoggiai un attimo alla ringhiera per recuperare un minimo la stanchezza. Ripresi a scendere lentamente, non potevo fermarmi per troppo, dovevo arrivare giù e trovarlo. Christian.

Tre piani più sotto le scale diventarono completamente inagibili, e per arrivare alle altre bisognava attraversare l’intero piano. Subito mi feci avanti e aprii la porta che dalle scale conduceva alle stanze centrali del piano. Riuscii a distinguere poco della  camera quasi totalmente al buio, parte del soffitto era crollato rivelando tubature e cavi. Al centro della stanza vi era un filo elettrico piuttosto spesso, che penzolava dal soffitto e si dimenava come un serpente sospeso a mezz’aria, ancora attraversato dalla tensione. Scesi i due gradini che conducevano dentro della stanza e mi ritrovai subito zuppa fino alla metà del polpaccio, con acqua gelata a lambirmi la gamba. Oh mio Dio. Se il cavo avesse toccato l’acqua anche solo per un millesimo di secondo sarei morta. In più riuscivo a malapena distinguere il contorno dei mobili che si trovavano nella stanza. Mi avventurai lentamente verso il lato opposto della stanza, dove potevo scorgere la finestrella della porta che conduceva ad un pianerottolo con gli ascensori. Mi fermai quando avevo ormai passato la metà del mio percorso, qualcosa mi aveva toccato la gamba. Il cuore mi balzò in gola, ero terrorizzata. Lentamente guardai in basso e vidi una figura che galleggiava in acqua a faccia in giù. Era un uomo o forse una donna, ma riuscivo a distinguere l’acqua impregnata dal sangue che usciva da una ferita alla base della nuca. Lanciai un grido, e il piú in fretta possibile, quasi correndo mi fiondai sulla porta, la spalancai e mi appoggiai a una scrivania che si trovava li vicino, cercando di trattenere il conato di vomito. Mi sembrava ancora di sentire la sua pella toccarmi. L'acqua inizió a riversarsi anche in quella stanza ed io cercai di ricompormi mentre i brividi ancora mi scorrevano su per la schiena. Dovevo muovermi, dovevo continuare la discesa della torre.


Vidi la luce in fondo alle scale e capii che ce l'avevo fatta. Mi appoggiai allo stipite della porta, mentre osservavo il paesaggio intorno me.
Fu quasi stupefacente vedere che la scena più desolata che avessi mai visto era dannatamente affollata. La polizia cercava di tenere lontani civili e curiose, mentre in alto le torri vomitavano fumo nero denso e acre. Una ragazza con la pettorina da Croce Rossa  mi venne incontro, sembrava stranamente giovane per poter curare qualcuno, forse era anche più giovane anche di me.
-Signorina la prego di seguirmi.-
-Perché?-
 -Bisogna fare identificazione e poi credo che quel taglio avrà bisogno di almeno un paio di punti.- mi disse facendo cenno alla fronte. automaticamente portai la mano dove mi aveva indicato poco sopra il sopracciglio sinistro e vi trovai un lungo taglio che dalla quale fuoriusciva del sangue che colava sulla tempia sulla guancia.
-Non te ne eri accorta?Probabilmente l'effetto dell'adrenalina ed pra che è scomparso potrebbe iniziare a farti male.-
Mi condusse attraverso la piazza dirigendosi con passo sicuro verso il World Trade Center 5, un edificio più piccolo che si trovava subito sotto la Torre Sud.
-Scusi per caso visto un ragazzo? È  alto, moro con gli occhi azzurri sì chiama Christian Cooper dovrebbe essere arrivato dalla torre sud.-
-Mi scusi, ma non credo di aver visto e anche se l'avessi visto ho parlato con un migliaio di persone solo nelle ultime due ore. Ma teniamo un elenco di chiunque sia sceso che sia stato in grado di identificarsi, potrà chiedere lì dopo che l'avrò ricucita.-
-Credevo che aveste una specie campo di feriti.- le dissi quando notai che ci stavamo allontanando molto dalle torri.
-Infatti il campo allestito oltre il World Trade Center 5, bisogna attraversarlo.-
-Come mai così lontano? Come fate se arriva qualcuno di grave e non riesce ad arrivare fino là?-
-Gravi ne arrivano pochi. Se non riescono a camminare sulle proprie gambe non riesco neanche scendere. Quelli che portano giù pompieri la polizia vengono portati in barella. Non potevamo allestire il campo nell'immediata vicinanza delle torri. Tutti dicono il contrario, ma c'è ancora il rischio di crollo, dobbiamo fare in modo che niente ci cadi in testa.-
Entriamo finalmente nel World Trade Center 5 e la cosa che più mi sorprese fu vederlo stranamente spopolato, non mi era mai capitato di vederlo cosí.
 La galleria dei negozi era solitamente gremita di gente, ma ora la sua popolazione sì riduceva ad alcuni gruppi di persone isolati.
Le uniche persone che provocavano un po' più di rumore degli altri erano dei pompieri che stava attraversando la galleria con un carrello pieno di attrezzatura. A uno sanguinava la testa e anche abbastanza, ma sembrava che non gli importasse continuava a spingere il carrello lamentandosi e come mai non salissero subito. Il più anziano forse il comandante disse che prima bisogna avere le attrezzature. Per il resto c'era solo gente normale, forse persone che erano scese dalle torri. Una signora sconvolta era svenuta per terra e dei ragazzi la stavano aiutando. Quando arrivammo dall'altra parte subito fummo inondati dal rumore di quello che poteva essere definito un campo feriti di guerra. La ragazza mi portò una tenda che era rimasta apparentemente vuota e mi fece sedere su una barella. Finita la medicazione mi diede un modulo da compilare, non c'era molta scrivere: nome, cognome, se avevamo avuto medicazioni ed il piano e la torre da qui eravamo venuti. Mi trattenne almeno mezz'ora tra la burocrazia e la ferita e quando mi lasció andare mi indicò quello che è un banco con una fila eterna dietro dicendomi che gli potevo chiedere per le persone che erano scese.
Mi trattenne almeno mezz'ora tra la burocrazia e la ferita e quando decise di lasciarmi andare mi indicò un bancone con dietro una fila eterna dicendomi che li potevo chiedere per chi era sceso dalle torri.
 Mi misi in fila e ogni secondo che passava, l'ansia aumentava. Dov'era? Era già sceso? Mi aveva cercata? Forse era ancora intrappolato? Magari stava ancora scendendo le scale, in fondo lui era molto più in alto di me, anche se io ero giù da quasi un'ora. 
Quando finalmente riuscì ad arrivare  mi chiesero chi stessi cercando e da che piano arrivasse.
- Christian Cooper dal 96º piano della torre sud.-
Sì mise a controllare marea di carte e passò quella che mi sembra un'eternità, alla fine mi disse:
-Mi dispiace, ma nessuno è arrivato da un piano così alto.-
 Su come ricevere un pugno allo stomaco e rimasi un attimo attonita,mentre mi appoggiavo balcone finché lui non richiamò la mia attenzione dicendo:
-Scusi signorina, ma le devo chiedere spostarsi oppure la fila che si sta creando diventerà ancora più lunga.-
 Mormorai qualcosa che sembrava un sì certo certo poi mi allontanai mentre pensavo a una soluzione che forse poteva essere anche suicida, però attraversai di nuovo il World Trade Center cinque di corsa, verso le fondamenta delle torri.
 Corsi così finché non mancò il fiato e poi continuai a correre lo stesso.
Un gruppo di pompieri si stava organizzando per andare su equando mi videro di dirigermi verso l'entrata della torre sud cercarono di  bloccarmi.
Non mi importava continuavo a correre. Dovevo trovarlo.
Un uomo mi si parò davanti, mettendosi tra me e la porta e iniziò a trasciarmi via tenendomi per le spalle. Mi misi a scalciare e urlare, finchè non mi ordinò di calmarmi con un tono che non ammetteva repliche.
-Lasciami passare! Tu non capisci! Io DEVO trovarlo!- gli urlai praticamente in faccia.
-Okay, calmati ora, io sto salendo a aiutare la gente. Come si chiama?-
-Christian Cooper. È il mio fidanzato.-
-Io sono Gleen Winuk, non sono un pompiere, ma ti prometto che farò tutto quello che è in mio potere per riportare giù Christian.-
Detto questo si allontanò senza neanche aspettare la mia risposta e notai solo allora che l'unica cosa che indossava erano una camicia con le maniche tirate su e dei pantaloni da lavoro. Niente tuta da vigile che lo proteggesse dal fuoco. Niente elmetto che lo riparasse dalle cose che cadono. Rimasi a fissarlo, mentre scompariva su per le scale. 

------Angolo della scrittrice:
Lo so che non aggiorno da mesi, spero almeno di riuscire a continuare ad aggiornare con una certa regolarità ora che la storia sta per finire. Comunque fatemi sapere cosa ne pensate in un commento :D

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 
 
 
 

Mi misi a girare per le strede limitrofe senza una meta precisa, e senza uno scopo preciso, forse cercavo soltanto un volto familiare. Mi sentivo estraniata dal mio stesso corpo, i piedi andavano avanti, uno davanti all'altro, eppure sembrava che non fossi più io a controllarli, avevo perso ogni forza di volontà ore prima.

Mi fermai di fianco a un bar.Dentro il propritario stava distribuendo acqua gratis, la tv accesa collegata con la CNN, che parlava delle torri, di altri possibili attacchi e del pentagono. Avevano tirato giù una delle pareti di uno degli edifici più sicuri del mondo.Stava cadendo tutto a pezzi.

La gente quando aveva sentito del pentagono non ci poteva credere, ma era la dura, semplice, crudele verità della storia che diventa cronaca e sangue. Credo che nessuno di noi potesse comprendere fino in fondo come la nostra vita non serebbe mai stata più uguale. Come le nostre esistenze, individuali e di comunità, erano per sempre cambiate.

Restai seduta lì per almeno dieci minuti prima di vederlo. Era un bambina, piccola e da sola, che come quasi tutti guardava in altro verso le torri, l'espressione imbambolata. Una donna urlò qualche metro più avanti e la gente intorno fare molto trambusto mentre indicava ancora una volta le torri in alto. Cercaii di capire il motivo del loro stupore, non ci misi molto e quando lo capii il cuore mi balzò i gola. Un uomo stava precipitando, anche un altro stava cadendo. Per un attimo pensaii che fossero scivolati o che fossero caduti per un incidente. Fino a che più in alto non si gettarono nel vuoto anche altri due, si tenevano per mano. Non ci misi molto a capire perchè lo stessero facendo. Se non fossi riuscita a scendere l'avrei fatto anche io. Meglio cadere piuttosto di bruciare vivi. Meglio poter avevere ancora una scelta davanti ed era meglio morire perchè lo si aveva deciso, ogniuno con proprio termini, come con un sinistro patto con la morte stessa, piuttosto che lasciarsi andare alla disperazione data perchè qualche idiota ti aveva fatto schiantare un aereo addosso, cercando di uccidere più gente possibile. Per un attimo pensai che anche Christian potesse aver deciso di buttarsi noi vedendo via di uscita. Potevo quasi riuscire a immaginarmi lui che si lasciava cadere nel vuoto, in una discesa che durava secondi per finere a schiantarsi sul cemento o magari sul tetto di un palazzo. Riuscii quasi a vedere i suoi occhi azzurri, ma spenti come il ghiaccio, circondati dal rosso intenso del ghiaccio. Cercai di scacciare il pensiero, mi alzaii e andai in contro alla bambina.

Mi inginocchiai davanti a lei e la girai per non farle vedere la gente che continuava a buttarsi.

-Ehi piccolina, come ti chiami?-

-Riley Blue-

-E dimmi, Riley, dov'è la mamma?-

-Lassù- mi disse indicando le torri. Cercai di non farmi trapelare sul viso la paura che forse avrebbe invaso anche lei, se solo fosse stata abbastanza grande per capire.

-E papà?-

-Era qui con me prima, poi mi sono persa.-

La presi in braccio:- Che ne dici se ti aiuto a trovarlo, si?-

Annuì, iniziai quindi ad avanzare fra la folla.

-Hai idea di dove possa essere andato?-

-Parlava di cercare la mamma e poi non l'ho più visto.-

-Da quanto l'hai perso?-

-Poco credo.-

Dopo qualche minuto che camminavamo, a qualche isolato di distanza dalle torri si senti un forte botto, come una bomba. La gente in giro si guardava intorno spaventata cercando qualcuno che avesse risposte, mentre l'unica cosa che riuscivo a pensare io era:"Ancora? Non ce la faccio più." E non lo pensavo con rabbia, ma con tristezza, erano solo le dieci del mattino e il mondo era stato stravolto. Guardai le torri ancora una volta, quella che non sapevo che sarebbe stata l'ultima per me, e vidi la cima della torre sud incassarsi dentro se stessa in unesplosione di fumo e cenere, e iniziare la discesa verso terra sempre più veloce. Il fumo sta perraggiungere la terra quindi corsi direttamente in un vicolo laterale curvando alla curva, e carcai di riparami il viso e mi premetti in viso di Riley sul petto cercando di proteggerla il più possibile dalle ceneri. Fotunatamente essendoci riparate in un vicolo stretto e secondario arrivo meno fumo da noi, che rimanemmo ricoperte solo da una sottile patina di cenere marroncina, ma appena tornammo sulla strada principale mi resi conto di quanto molto più grave fosse la situazione. Nell'aria aleggiava ancora una specie di nebbia e non viera colore diverso dal grigio, a terra vi erano fogli sparsi caduti dalla torre. Quando tornai a guadare il volto della bambina, la vidi molto più preoccupata e sull'orlo delle lacrime.

-Hey piccola Riley, tranquilla andrà tutto bene.- non mi rispose continuando a guardarsi intorno.

- Sai dove lavora la mamma? In quale torre?-

-Nella sud.-

Il cuore mi balzò in gola, ma in fondo c'era ancora speranza che anche lei fosse scesa in tempo.

-Allora dobbiamo andare a chiedere ai volontari se l'hanno vista, scommetto che anche il tuo papà è lì.- Prima che potessi finire la frase si mise a scalciare indicand un un seduto uomo seduto su un gradino. Senza pensarci due volte mi avvicinai per parlargli:

-Scusi è...- Quando alzò la testa vidi che le lacrime che gli sciolavano dalle guance gli pulivano il viso dalla polvere. Mi sentii quasitrafitta dal suo sguardo di immenso dolore, guardò Riley e aprì le braccia per accogliela in un abbraccio

-Vieni, mia piccola Riley.-

-Dov'è la mamma?-

-Shhh, andrà tutto bene.-

Me ne andai senza dire una parola, mentre gli occhi mi iniziavano a bruciare. Dallo sguardo che mi aveva dato suo pade la mamma di Riley era morta, e lei veniva dalla torre sud, proprio come Christian. Mi misi a corre verso il banco per chiedere di nuovo di Christian sperando con tutto il cuore che loro sapessero qualcosa.

Quando arrivai un uomo stava salendo su un tavolo con un megafono in mano:- È con immenso dolore che vi informo che dalla torre sud non è arrivato nessuno da sopra il 60°piano, pertanto tutte le persone che si trovavano al di sopra vengono considerate cone disperse. Le ricerche e i soccorsi sono già iniziati sebbene le macerie siano ancora instabili...- Non lo ascoltai più, mi venne un capogiro e poi una forte nausea, mi appoggiai al muro con gli avambracci. Non credo diessere mai stata così male in tutta la mia vita, sia fisicamente che mentalmente. Perchè? Perchè tutto questo era successo a me? Perchè era successo a lui? Strinsi un pugno e urlai mentre lo scaglia forte alla parete, aprendomi una ferita e lasciando una macchia di sangue sul muro. E continuai fino a che qualcuno non mi tirò indietro, io per risposta lo spintonai via andandomene. Potevo sentire gocce di sangue che gocciolavano dalle ferite pusanti e cadevano a terra. Altre esplosioni arrivarono dalla torre nord e quando vidi che cadeva anche quella non feci niente per scappare, semplicemente continuai a camminare in direzione opposta coprendomi il viso con le mani. Il movimento d'aria che mi investì mi fece quasi cadere a terra, e per vari secondi continuò a spingermi.

Quando cessò mi tolsi le mani dal viso e mi guardai intorno in un silenzio assordante, la città che non taceva mai, ora non osava neanche emettere un suono. Intorno a me continuavano a cadere fogli,documenti, lettere che fino a qualche secondo fa si trovavano sulla cima delle torri. Tutto era ricoperto dalla cenere e assumeva un colore grigio marroncino, e mentre io tossivo per la polvere che mi è andata in gola e mi faceva lacrimare gli occhi, in alto scorsi per un attimo uno stralcio di cielo azzurro e limpido come lo era stamattina, come se nulla fosse successo. Lassù sembrava un paradiso, qui tutto monocolore era un triste purgatorio, qui dove tutto aveva un sapere di terra, ma il vero inferno era sulle torri, dove tutto bruciava. Qui noi dobbiamo fare i conti con quello che rimane, e molto di più con quello che non c'è più. Le torri non ci sono più. Christian non c’è più. Non aveva neanche potuto dirmi addio. Solo qualche ora fa ho detto che le torri non potevano crollare. Mi sbagliavo. Niente è costruito per rimanere. Le persone non sono fatte per rimanere. Mi appoggio a una macchina lì vicino mentre si ricominciano a sentire alcuni suoni e io inizio a piangere. In lontananza si sente una radio che manda in onda una canzone di speranza. Ma dov’è la speranza adesso? Un camion dei pompieri arriva da dietro l’angolo e alcuni newyorkesi iniziano il coro: - U.S.A!U.S.A!-

Eccola la speranza, racchiusa in un coro di persone che ancora credono in qualcosa. Non ce la faccio a unirmi al gruppo però, è troppo difficile anche solo pensare di muovermi, mentre sento la terra mancarmi sotto i piedi. Inizio a singhiozzare e mentre la realtà che ormai conoscevo si sgretolava intorno a me, piangendo tra la cenere, mi accasciai sull’auto e mi misi a sedere lentamente nella strada desolata, cadendo a pezzi.

------Nota dell'autrice.

Eccomi con un imperdonabile ritardo di un mese. e con il capitolo che avete appena letto dubito sarete più propensi a perdonarmi. Almeno sono riuscita a pubblicare l'11 settembre.

Ci tengo a dire che per scrivere questa storia mi sono informata bene sulle vicende e alcuni personaggi che ho fatto comparire solo esistiti realmente. Mi chiederete perchè sono andata a cercare persone vere dato che potevo benissimo inventarmele. La risposta è che nel mio piccolo voglio fare qualcosa per ricordarli, dato che almeno qui sembra che non se ne parli quasi più e la cosa mi fa molta rabbia.

Ci vediamo al più presto con l'epilogo.

la canzone a cui mi riferisco verso ilfinale è Song of the century dei Green Day (https://www.youtube.com/watch?v=y2leZ75VKg0)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



 

New York 11/09/2001

*Erik’sPOV*

Scesi per la strada per fare una passeggiata prima del meeting e tutto ciò che vidi fu la strada stranamente deserta con alcune persone che correvano e il cielo oscurato dal fumo.Quando mi avvicinai a una donna e le chiesi cosa stesse succedendo, mi guardò attonita:- Le torri gemelle stanno cadendo.-

Le torri gemelle stavano cadendo? Possibile? Mi stava solo prendendo in giro, non era possibile che le torri cadessero.In ogni caso non indugiai un secondo e iniziai a correre ripercorrendo la strada che avevo attraversato la scorsa notte con Clara.

Guardando verso l’alto potevo distinguere la sagoma di una delle torri ancora circondata dal fumo, sembrava terribilmente sbagliata la vista del grattacielo senza la sorella. Arrivai dietro a un posto di blocco allestito dall’ambulanza,lì vicino un uomo in piedi su un tavolo urlava attraverso un megafono:- Dalla torre Nord non è arrivato nessuno da sopra il 60° piano…- Fui invaso dal sollievo, Clara era nella torre Sud, bene probabilmente era lì in giro.

Mi avvicinai a un volontario chiedendo se ci fosse un posto dove chiedere per chi era sceso.

-Si, mi segua.-

Lo segui verso un tavolo vicino all’uomo che stava ancora parlando:- Vi chiediamo pertanto di stare indietro e di lasciare lavorare i soccorritori, ma…-

Pensai a quando tre anni prima le dissi che mi avevano contattato dalla Apple e di come fosse stata felice per me,quello fu il momento in cui mi ero accorto di amarla, subito dopo averla spinta nelle braccia di Christian.

Erano così felici insieme, ma io avevo pensato e forse anche sperato che fosse solo la foga del momento e che poi sarebbe passato, invece erano stati affiatati come il primo giorno.

Erano felici e forse la cosa peggiore era che lo accettavo; volevo che lei fosse felice.

-Chi sta cercando? Se lo sa mi dica anche piano e torre- mi chiese il volontario riportandomi alla realtà.

-Clara Di Martini piano 88° piano della Torre Nord.-

Cercò per vari secondi mentre io aspettavo nervoso.

-È scesa, le sono stati messi alcuni punti alla testa ed è andata via.- lesse da un foglio.

Era viva! Mormorai delle scuse e corsi cercando di farmi spazio tra la folla, fino a quando arrivai davanti a un muro che sembrava grondare sangue, poco lontano si sentiva una ragazza protestare rabbiosa.

Mi guardai intorno, poteva essere ovunque,ma non sarebbe tornata a casa senza Christian. Forse si erano ritrovati, nella mia testa si dipinse l’immagine di Christian che le teneva la mano e le accarezzava i capelli mentre le mettevano i punti.

E se non si fossero incontrati affatto?

E se fosse morto?

Non avevo pensato a chiedere anche di lui.

Si sentirono delle esplosioni provenire dalla torre sopravvissuta, tutti si zittirono e ciò che si sentì fu il rumore di una nave che affonda, il cigolio del metallo stanco che non reggeva più il proprio peso. La gente iniziò a correre e fuggire terrorizzata.

Io mi infilai in una strada laterale e mi inoltrai in un labirinto di vicoli, mi tappai le orecchie quando sentii l’inizio del crollo; non dovevo essermi allontanato di molto perchè il rumore fu insopportabile e le orecchie mi fischiarono per alcuni momenti.

Fui accecato dalla coltre di fumo che discese nella strada.

Quando finalmente il suolo smise di tremare iniziai a ripercorrere la strada a ritroso cercando di tornare da dove ero venuto, ma più mi avvicinavo, più il fumo si addensava. Mi tirai il collo della maglietta sul naso per cercare di respirare meglio. Nel polverone potevo solo vedere poche figure indistinte, in lontananza quella che sembrava la sagoma del muro della torre si alzava solitaria solo per un paio di metri. avanzai allontanandomi da ciò che rimaneva, tenendo la mano destra appoggiata al muro, il che sembrava impossibile dato che pochi secondi prima aveva un’altezza vertiginosa. L’atmosfera intanto si era riempita di urla di persone che cercavano i propri cari e rincuorati dalla riunione esaltavano felici o cercavano ancora smarriti. L’aria iniziava a pulirsi e il polverone si diradava mano a mano che mi allontanavo

Quando finalmente la raggiunsi non la riconobbi subito , era ricoperta dalla testa ai piedi di polvere, si teneva una mano sul grembo mentre singhiozzava e le guance tracciavano solchi che pulivano la pelle. Si appoggiò alla macchina che aveva di fianco e iniziò a scivolare per terra. Mi avvicinai per tirarla su. Lei mi guardó con gli occhi spalancati, come se non riuscisse a vedermi davvero: “Christian. Non è tornato.È morto, lo so.” Mi disse.

E io non potei fare altro che inginocchiarmi di fronte a lei e stringerla nel più disperato degli abbracci. Mentre intorno a noi, nella coltre di fumo e polvere, ognuno esprimeva la propria preghiera.  

--------Angolo dell'autrice

Faccio schifo in termini di aggiornamenti, lo so. Questo mini-capitolo non è l'epilogo, non ancora.

Ringrazio, come quasi sempre ormai, _candor che riempie i miei spazi vuoti e traduce tutto in italiano.

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