-9 (mesi)

di Egomet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 -parte 1- ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 -parte 2- ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era una splendida mattinata di marzo, e il cielo mostrava in tutto il suo splendore un azzurro magnifico, che ti apriva il sorriso solo ad osservarlo.
La sala d’attesa della clinica era accaldata e resa fastidiosa dall’umidità che regnava sovrana all’interno. Le seggiole celesti poggiate alle pareti erano tutte vuote, eccetto che per l’ultima della fila di sinistra.
Una ragazza era seduta lì, tenendo lo sguardo basso, e sembrava perduta e concentrata nell’osservare le mattonelle del pavimento come se fossero la più bella delle opere d’arte.
Teneva un gomito poggiato sul ginocchio, e nella mano aveva raccolto il mento, pensosa.
Di tanto in tanto, come in preda ad un tic nervoso, si mordicchiava il labbro inferiore.
Aveva i capelli biondo scuro spartiti in due dalla riga, e una frangia le cadeva ordinatamente sulla fronte senza mai sfiorarle gli occhi.
La maglietta che indossava aderiva benissimo al suo corpo, le spalle piccole e la statura non da giocatore dell’NBA. Alla mano destra, le cui dita tamburellavano frenetiche sulla guancia, era infilato un anello argentato.
Passato un quarto d’ora a rigirarsi ansiosa nella stessa posizione, Francesca si alzò con un sospiro seccato, poi cercò nella tasca dei jeans scuri un po’ di monete e si diresse al distributore.
Comprò una barretta al cioccolato, scartata e divorata in brevissimo tempo, poi la porta che stava guardando prima finalmente si aprì.
Ne uscì fuori un dottore vestito con un camice sbottonato, con degli occhiali sul naso e un sorriso sulle labbra.
Francesca sapeva già cosa voleva dirgli.
 
Un ragazzo con un cappello ben calato in testa stava scrivendo sul muro con una bomboletta. La agitò velocemente, impaziente di scrivere, masticando una chewing-gum.
Poi incominciò a tracciare delle parole sul muro.
Francesca, seduta sul muretto di fronte a lui, abbassò lo sguardo per vedere cosa stava facendo.
Compiaciuta che quelle parole fossero per lei.
-Visto come sono bravo?-
Lei sorrise e scese giù con un salto, portandosi accanto a lui.
Guardò la scritta dedicata a lei, colorata e rotonda, saltava subito all’occhio ed era impossibile che passando non si notasse. I colori che lui aveva scelto per scrivere quel ‘Francesca ti amo’, erano vividi impressi nel muro, come la prima pennellata su un quadro, e luccicavano.
La ragazza si morse un labbro, contenta e col cuore che le andava a mille, poi lo abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia, che ben presto si trasformò in qualcosa di più avventato.
Francesca si staccò, e guardandolo bene negli occhi col sorriso sulle labbra, disse
-Non possiamo più stare insieme-
Quello forse pensò che fosse uno scherzo, perché rise e le diede un bacio sulla testa bionda.
-E perché mai?- chiese, sempre ironico, credendo che facesse finta, che fosse un gioco.
Lei non cambiò il tono, né la voce. Continuò a fissarlo.
-Sono incinta di due mesi-
 
 
Davide indossò velocemente il suo grembiule bianco sul quale era stampato a grandi caratteri il nome di una birra, se lo allacciò in vita e cominciò a lavare i bicchieri sporchi lasciati sul bancone.
Erano le undici meno dieci e la clientela non accennava a diminuire. Un uomo vicino a lui continuava a chiacchierare con quello che stava seduto sullo sgabello dalla parte opposta, un uomo molto mogio e triste.
E quegli uomini, aveva imparato, erano la maggiore fonte di guadagno.
Finiti di sciacquare i boccali, prese subito un taccuino, una penna e oltrepassò il banco per dirigersi ai tavoli.
C’era una coppietta nella zona che doveva servire, e si preoccupò di prendere subito le ordinazioni.
Una ragazza mora gli passò accanto, trascinandolo per un braccio via dal suo tavolo.
-Che fai? Non avevo finito!- domandò.
Lei lo prese per la maglietta e lo tirò nel retro.
Quando furono soli la ragazza, vestita da cameriera, si fermò a parlare.
-Potrei anche pensare male, sai?- commentò lui, ma si era fatto rosso.
Quella alzò un sopracciglio come a dire ‘Ma che diavolo dici?’ e lui smise subito l’espressione che aveva assunto.
-Non posso fare il mio giro di ordinazioni stasera!-
-Perché?-
-Perché la mia zona è presidiata da un sacco di maniaci ubriaconi! Non sono abituata a certi commenti, io!- disse lei, gonfiando il petto con aria di superiorità –sai, sono una ragazza per bene!-
Fu Davide ad alzare il sopracciglio stavolta, ma badò bene di non farsi vedere da lei.
La cameriera sfoderò gli occhi dolci che disponeva per convincerlo.
Lui sbuffò seccato. Poi si rassegnò; non era capace a dire di no alle persone.
-E va bene, va bene…-
Non finì nemmeno di dirlo che lei strillò di gioia e gli saltò al collo dandogli un bacio sulla guancia.
Un uomo alto e muscoloso comparve sulla soglia del retro.
-Niente tresche sul lavoro!- tuonò e prendendo il ragazzo per la maglia lo ributtò fuori a lavorare.
Quella sera sembravano averlo preso tutti per un sacco di patate.
Davide si incamminò verso l’altra parte del locale, dove effettivamente vide un tavolo piano di ragazzi grandi che probabilmente erano i consumatori delle varie bottiglie vuote che giacevano sul legno.
Ignorando i loro volgari commenti, sorrise fra sé. Forse una di quelle sere sarebbe riuscito a convincere Silvia ad uscire con lui; la bella cameriera aveva delle gambe perfette invidiate dalle clienti e generosamente apprezzate dalla fauna maschile che si rifugiava a passare il tempo in quel bar.
Davide sospettava, ma non si azzardava a formulare ipotesi concrete, che anche Bruto si fermasse qualche minuto ad osservare come svolazzava la ragazza fra i tavoli. E il motivo non erano i cocktail che stava servendo.
Bruto era un po’ come un secondo padre per lui: da quando lavorava nel suo locale, ovvero da un anno e mezzo, gli aveva insegnato tutti i segreti per avere successo con quel lavoro. E a lui piaceva molto, si divertiva a farsi trascinare nella mischia eccitata di ragazzi, uomini e donne che si fermavano volentieri a passare la serata nel pub.
Ormai conosceva tutti gli abituali clienti.
Una signora anziana, piccola e composta, che veniva solo la mattina e ordinava abitualmente la colazione; un paio di studenti del liceo a pochi metri, che quando marinavano la scuola portavano lì con loro anche alcune amiche carine.
Un barbone che si faceva vedere solo tardi, e veniva lì a spendere i soldi elemosinati in birre che lo rendevano molto sbronzo.
Non si poteva dire che le cose andassero male.
D’altra parte, aveva già il suo piccolo appartamento ed era certo che Bruto gli avrebbe lasciato continuare il lavoro. Era certo che si fosse affezionato a lui.
E quale cosa migliore se fosse riuscito a mettersi insieme a Silvia?
A dir la verità, era già riuscito ad ottenere un “appuntamento” ben mascherato.
Era una sera, dopo un pomeriggio trascorso all’ospedale per un presunto caso di meningite nella zona e relativo vaccino preventivo.
 
-Che cavolo di pervertiti! Non mi hanno mica solo vaccinato, il mio dottore mi aveva preso per una bambola vodoo!- Silvia esclamò stizzita massaggiandosi il braccio e infilandosi il suo grembiule.
Davide scoppiò a ridere, ma si interruppe quando vide Bruto comparire sulla soglia del retro, le braccia grandi e muscolose incrociate.
-Ancora qua voi due?-
-Beh mica le birre si servono sole- rispose rapido il ragazzo, facendo spallucce.
L’uomo li guardò mentre si preparavano.
Emise un brontolio disinteressato, poi disse con quella voce grossa
-Oh andatevene via! Stasera non ho voglia di vedere le vostre facce tutto il tempo!-
Silvia lo guardò a bocca spalancata. Davide si accigliò.
-Non avete capito?-
Li prese per il colletto delle maglie e li portò all’uscio del locale.
-Fuori!- disse e li spinse.
La ragazza si voltò sorpresa, poi si mise a ridere.
-Ma che culo! Abbiamo la sera libera!-
Ma Davide era certo di aver visto un sorriso spuntare sotto i baffi dell’uomo, poco prima che li gettasse via.
Le parole poi gli erano uscite quasi senza che se ne accorgesse.
-Ti va di andare a ballare?-
Qualche minuto dopo si trovavano chissà come in una discoteca affollata e caotica.
Lui si era seduto impacciato ad uno sgabello, guardando la bella cameriera servire altri ragazzi tutti ammucchiati per sbirciare la sua scollatura. Ma sapeva che faceva tutto parte del gioco.
Silvia lo aveva trascinato a ballare, e non che lui fosse riluttante, tutt’altro, ma non era affatto preparato a quello.
Cercò di non fare la figura dello stupido, ma era comunque difficile trovarsi a stretto contatto con quella ragazza e non essere in imbarazzo.
Ricordava anche di aver visto poi entrare un gruppo di ragazzini nel locale, probabilmente alle prime volte in una discoteca, tutti eccitati ed esaltati.
Poi c’erano stati vari bicchieri vuoti che scorrevano sulla sua parte di banco, e la vista che mano a mano si annebbiava e tutto diventava più confuso.
 
Gli sembrava di aver visto una chioma bionda ballare vicino a lui,ma di quella sera non ricordava null’altro se non che si era svegliato la mattina nella sua macchina, con i muscoli indolenziti e la schiena che minacciava di spezzarsi a metà.
Oltre ovviamente ad un bel mal di testa. Probabilmente, aveva ricostruito, si era ubriacato. Ma non gli sembrava di aver provocato chissà quali danni, e non aveva nessun segno rosso sul collo, o livido, che testimoniasse una notte brava. Dedusse che aveva fatto, anche nell’inconscio, il bravo ragazzo.
 
 
Francesca stava appollaiata sulla sedia accanto al telefono fisso, picchiettando con le dita smaltate col lucido sulla tastiera numerata. Aveva nell’altra mano un foglietto con su scritto un numero di telefono, ma non si azzardava a comporlo.
Il telefonino in tasca le vibrò, era certamente un altro messaggio di quel ragazzo carino, quello di un paio di giorni fa che aveva mollato con quella spiacevole quanto inevitabile verità.
Erano esattamente due giorni che la martellava di sms, domande e parolacce. Lei aveva provato a spiegarsi, a cancellare il suo numero, ma niente. Non ne voleva sapere di sparire. E per lei le persone, quando si mettevano contro di lei, dovevano solo scomparire dalla sua vita per sempre.
Anche con le maniere forti.
Lesse più volte il numero che aveva fra le mani e ricontrollò l’orario. Erano le quattro, e le sembrava abbastanza decente; né troppo presto, né troppo tardi.
Respirò per calmarsi, ripassando a mente tutto il discorso che si era preparata.
Se lo ricordava. L’importante era apparire sicura e non farsi sbattere il telefono in faccia.
Abbassò il copri tasti e iniziò a digitare, le dita che le tremavano per il nervoso.
Finalmente iniziò a squillare.
La porta della stanza era chiusa a chiave, nel caso di ospiti indiscreti. Il respiro pesante contro la cornetta testimoniava quanto era agitata.
 
Davide salì sbadigliando le scale fino ad arrivare al suo appartamento.
Aprì la porta gettando con un colpo secco il mazzo di chiavi sul mobiletto, e appena si tolse la giacca sentì il trillo del telefono.
Scavalcò velocemente il divano con un balzo e allungò una mano per prendere la cornetta. La alzò e la portò all’orecchio.
-Pronto?-
 
La ragazza sobbalzò sentendolo rispondere con voce più grande. Ebbe un attimo di panico e rapidamente chiuse il telefono.
Era diventata tutta rossa e agitata. Riguardò il numero che aveva composto, e lesse il nome sopra scarabocchiato.
“Davide Ferri”.
Provò a farsi nuovamente coraggio.
Riprese in mano la cornetta e fece daccapo il numero. Squillò di nuovo e dopo pochissimo la voce maschile di prima rispose.
-Pronto?-
Lei trasse un respiro.
-Parlo con Davide Ferri?-
Davide, dall’altro capo, ascoltando il tono di voce femminile e il modo formale con cui lo aveva chiamato, si accigliò e si drizzò a sedere.
-Sì, sono io. Cosa è successo?-
Già temeva qualche incidente a persone care.
Francesca mancò la risposta pronta, perché il nervosismo la impallava come un virus col computer.
-Forse tu non ti ricordi di me- esordì mordendosi un labbro preoccupata.
Ma ormai doveva andare avanti.
A questa uscita il ragazzo pensò ad uno scherzo. Cosa significava tutto quello?
-Scusi ma chi parla?- domandò alzando un sopracciglio.
Lei arrossì di più.
-Mi chiamo Francesca Daniele. Io… anzi noi ci siamo già conosciuti-
Le sembrò un pessimo discorso da fare ad uno sconosciuto e pregò che non la prendesse per matta.
Davide, perplesso, scavò nella memoria per trovare un qualcosa che gli ricordasse quel nome. Ma non gli suggeriva nulla.
-Mi spiace, forse ha sbagliato persona- rispose più cortese.
Francesca si animò.
-No no!- si affrettò a dire –ecco… non ho sbagliato persona!-
Sbuffò, capendo che così non avrebbe ottenuto nulla.
-Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta-
Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”.
-Beh, tanti auguri,  mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione.
Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco.
-Sono incinta di te-
-Cosa?-
Francesca intuì dal suo tono che non le credeva. Incespicò sulle parole.
-Senti… possiamo vederci? Avrei bisogno di parlarti di persona-
Il ragazzo scosse la testa.
-Scusa io non so chi sei, né so di cosa tu stia parlando… perciò…-
Ma la bionda parlò sulle sue parole.
-Sto parlando della sera in discoteca!-
In discoteca?
Davide rifletté lentamente su quella parola. Di quale discoteca stava parlando quella ragazza? Forse di quella serata… no, era impossibile. Così impossibile che poteva essere vero?
Decise di ascoltarla.
-Possiamo vederci?- ripeté quasi con tono di supplica.
La situazione era strana fino all’inverosimile, ma al ragazzo non sembrava tanto una cosa da riderci.
Esitò un momento prima di rispondere e fece un sospiro.
-Mi assicuri che non è uno scherzo? Non è uno stupido scherzo telefonico? Guarda che se è così, rintraccio il numero e ti vengo a cercare-
Non gli piaceva essere preso in giro, e quella gli sembrava una balla bella e buona.
-Sì, ti prometto, giuro, ti faccio un patto col sangue se vuoi-
-Cosa vuoi da me? Seriamente- domandò, stavolta più tranquillo.
Francesca si portò una ciocca bionda dietro l’orecchio.
-Voglio parlare con te, a quattr’occhi. Ti prego- aggiunse.
Se prima lo sembrava, ora ne era certo.
Quella storia era una pazzia.
Ma com’è che aveva letto da qualche parte? È sempre meglio assecondare i pazzi.
-D’accordo, d’accordo…- assentì.
La ragazza sospirò di sollievo.
-Possiamo vederci… che ne dici al bar? Quello dietro il classico-
Che poi sarebbe quello dove lavoro io, aggiunse mentalmente lui.
-Ehm… d’accordo. Domani?-
-Domani all’una e mezza-
-D’accordo-
-Grazie-
-Ma figurati-
Appoggiò la cornetta, chiudendo la conversazione.
Stette un momento sul divano riflettendo. Poi ripensò alle parole della ragazza.
“Sono incinta di te”.
Gli scappò un sorriso che si trasformò in una breve risata.
Ma che stupido scherzo idiota. Si alzò dal divano e andò a farsi una doccia.
Quella sera aveva intenzione di uscire con Silvia.
 
Francesca poggiò il telefono mentre il battito del suo cuore si placava lentamente; non credeva di avere il coraggio di fare una cosa del genere, ma evidentemente si era sottovalutata.
Come era diventata sua abitudine, si strofinò il palmo della mano sulla pancia e la osservò.
Piatta come sempre, o quasi a parte qualche piccola onda che la increspava.
La causa di tutto era stata quella sera.
 
Il ragazzo dai capelli castani infilò le mani sotto la sua maglia, alzandogliela un po’. Francesca sospirò mentre sentiva la sua lingua accarezzarle il collo. Cercò nuovamente la sua bocca e desiderò di sentirlo con un contatto più intimo.
Quella era la sua sera; sapeva che le sue amiche la stavano guardando ballare e baciarsi con quel bel ragazzo; sapeva che la invidiavano.
Voleva sentirsi grande.
Così si staccò e prese una mano al ragazzo, cercando di uscire dalla calca che impazzita affollava la pista.
Uscirono fuori e una volta lì, non aveva idea di cosa fare. Ma il ragazzo non sembrava pensarla allo stesso modo. La attirò a sé e prese possesso delle sue labbra, mentre avanzava verso una macchina.
Si staccò per aprire lo sportello posteriore e la fece sdraiare con malagrazia, quasi di forza.
Francesca cercò di adattarsi ai suoi movimenti, e tutto sommato, a parte il fatto che probabilmente lui non aveva idea di chi lei fosse e di cosa stesse facendo, poteva accontentarsi.
-Silvia…- lo sentì dire mentre scivolava dentro di lei.
Ma nemmeno lo ascoltava più, anche lei in preda al delirio.
Dopodiché fu intenso, rapido e al sapore di alcol.
 
Ricordava le sue mani affannate e impazienti che le scorrevano sulla pelle e il sapore forte di alcol che impastava la sua bocca. Ripensò al suo volto, ai tratti di un paio di mesi fa che riusciva a ricordare, per dare un volto alla voce che aveva appena sentito.
E se lo ricordava bene, eccome. Certo la prima volta poteva andare meglio, ma se la ricordava molto bene.
Quel viso magro, i capelli castani e gli occhi grandi. Grandi, verdi e intensi.
Non provava alcuna attrazione per lui, semplicemente aveva creduto che fosse un bel ragazzo, e una volta che si era spinto troppo in là aveva tanta voglia di crescere che non aveva badato a sciocchezze come il posto, la persona, e se lui fosse realmente cosciente e padrone delle sue azioni.
Aveva parlato con voce adulta. Chissà quanti anni poteva avere?
Più di venti all’incirca. La sua voce era sicura e gentile, mai offensiva.
Aveva avuto la sua prima volta con un ragazzo che non conosceva nemmeno.
E quel ragazzo, alla prima occasione, aveva fatto centro.
 
 
Il bar era gremito di gente, quella sera alle otto. Tanta gente che non si riuscivano a distinguere fra loro e sembravano formare un’unica macchia variopinta e ciarliera. Davide reggendo in alto un vassoio piatto si fece largo sgomitando fra la calca e raggiunse una zona. Aveva da consegnare due birre: una ad un ragazzo seduto con i suoi amici, ed un’altra alla ragazza bionda al tavolo all’angolo.
Stava seduta mogia mogia, con una mano che sorreggeva il mento e girava il cucchiaino nel suo frappé.
Il ragazzo arrivò davanti a lei e le posò la birra sul tavolo di legno.
Notando che non aveva cambiato espressione, e cioè che rimaneva scura in volto, fece un gran sorriso.
-Ehi, sorridi!- le disse.
La ragazza alzò lo sguardo incontrando i suoi occhi e automaticamente stirò le labbra. Ma un secondo dopo sgranò gli occhi, riconoscendo il suo volto.
Lui se n’era già andato.
Francesca era certa di non sbagliarsi. Era il ragazzo con cui aveva parlato al telefono qualche ora prima. Seguì con lo sguardo la sua sagoma che tornava al banco.
Doveva assolutamente parlargli; faccia a faccia gli avrebbe creduto di più.
Intanto lui, tornato dietro il banco, stava riempiendo un boccale con un cocktail ordinato dal signore davanti a lui.
Bruto lo superò reggendo una bottiglia.
-Vai a cercare Silvia- ordinò burbero.
-Aspetta che…-
-Vai a cercarla- scavalcò la sua opposizione con tono fermo e che  non ammetteva repliche.
Allora il ragazzo, servito il cocktail, sgusciò fuori da quella ressa. Probabilmente stava telefonando ad una sua amica o si stava facendo una sigaretta di nascosto da Bruto.
Ma quello che vide quando uscì fuori gli fece più male di uno schiaffo.
Silvia era aggrappata con tutto il suo impegno al maglione di un tizio alto che la sosteneva, ed era impegnata ad allietarlo con la sua bocca. Fu come se gli fosse caduto un mattone sullo stomaco. Davanti a quella scena non poteva fare nulla, e gli sarebbe sembrato da scemi interromperli. Così tornò dentro, rattristato.
Bruto lo vide rientrare, solitario, e lo stette a fissare mentre si impegnava a servire un altro signore. Gli sembrò che fosse successo qualcosa che lo aveva reso triste, e non gli era difficile immaginare cosa.
Pensò di rilanciargli una battuta sarcastica, ma poi la folla di persone che si affannava per ordinare lo fece desistere.
 
Francesca si alzò dal tavolo e si diresse decisa verso il banco. Prese posto su uno sgabello, e decisa aspettò che le rivolgesse attenzione.
Davide osservò rientrare, con un sorriso compiaciuto sul viso, Silvia e prendere servizio; non potendo digerire così presto la scenetta a cui aveva assistito prima, si spostò verso l’altra parte della folla che attendeva.
Così facendo si trovò di fronte a lei. E lei lo riconobbe subito.
Era strano, pensò Francesca, vederlo così tutto preso dalle sue bibite, e ricordarlo mentre sudato ed eccitato provvedeva a farle provare quella che in teoria doveva essere la sensazione più bella di tutte. Lei ancora non conosceva abbastanza quel mondo e le mani del ragazzo erano state la sua guida impacciata.
-Che prendi?- domandò spiccio lui, seccato da qualcosa.
-Non voglio ordinare- rispose la bionda.
-Beh allora libera il posto ad altri che devono consumare- ribatté il ragazzo.
Non c’era dubbio. La voce profonda era quella, non poteva sbagliarsi; la stessa che aveva udito quel pomeriggio attraverso la cornetta. Anche a Davide parve familiare quel tono, ma aveva altro per la testa e non poteva preoccuparsene.
-Voglio parlare con te-
Quella frase gli suonò stranamente familiare, come se l’avesse già sentita. E una volta che ebbe collegato i due momenti, alzò un sopracciglio.
-Tu sei quella di oggi pomeriggio?-
La ragazza annuì.
-Ma cosa cavolo vuoi da me?- domandò stufo.
-Tu mi hai messo incinta, cavolo! Voglio almeno che tu lo sappia!- ribatté irritata lei.
Il ragazzo iniziò a stufarsi davvero di quella storia.
Bruto aveva osservato lo scambio di battute che c’era stato fra i due, e intervenne.
-Se mi permettessi di spiegarmi forse…- insisteva lei.
Bruto afferrò Davide per il laccio del grembiule e lo spinse fuori dal banco a parlare con lei.
-Basta, hai finito stasera. Facciamo lavorare un po’ la ragazzina- borbottò.
Lui si ritrovò scaraventato di lato, e subito dopo una bionda gli si parò contro minacciosa.
Lo afferrò da un polso e se lo trascinò fuori.
 
-D’accordo, è una pazzia. Ora mi dici chi sei- incrociò le braccia, immusonito, con ancora la tenuta di lavoro addosso.
-Te l’ho detto! Mi chiamo Francesca, a proposito… piacere-
Davide non rispose ma la invitò a proseguire.
-Noi ci siamo incontrati due mesi fa, una sera in discoteca-
-In discoteca? E quale?-
-Quella in via Aldo Moro- rispose pronta la ragazza.
Il ragazzo rifletté. Era la stessa, se non sbagliava, dove era andato quella sera con Silvia.
-E che avrei fatto? Io non ricordo nulla-
-Ci credo, eri ubriaco fradicio- commentò lei.
-Abbiamo ballato… tu avevi una maglietta nera, a righe, e un giubbotto pure nero-
Lui ci pensò su, e scavando fra i ricordi ammise a se stesso che le versioni collimavano.
Una stanza illuminata ad intermittenza, tante grida esaltate e una ragazza bionda che lo accompagnava sulla pista. Che avesse ragione lei?
-Sai che forse…? Ma come fai a ricordarti tutte queste cose?- chiese curioso.
Francesca si morse un labbro e arrossì; spostò a terra lo sguardo prima di rispondere con voce flebile e timida.
-Me lo ricordo perché abbiamo fatto l’amore-
Questa risposta fece avvampare anche lui.
-Sei sicura?- chiese esitante
-Sì. Era la mia prima volta- confidò tornando a guardarlo.
A questa uscita Davide si sentì quanto mai imbarazzato; non era certo da lui fare cose del genere, andare a farsi una ragazzina per un rapporto che sarebbe durato solo una notte.
Come se un peso gli gravasse improvvisamente sullo stomaco, aggiunto a quello di prima.
Fu preso dai sensi di colpa.
-Mi dispiace- disse serio.
La guardò, cercando di incrociare i suoi occhi.
Era notevolmente più piccola di lui, e si notava.
-Non devi scusarti, e non è questo il problema- proseguì la ragazza, con tono più deciso.
Prese fiato e si decise a vuotare il sacco.
-Il problema è che sono incinta di due mesi-
 
Un terzo mattone piombò sul suo stomaco. Fu tentato di ridere, e di scuotere la testa. Credeva fosse tutto un terribile scherzo.
-Non è possibile-
-Oh sì che lo è- confermò Francesca.
-Non può essere-
-è da due mesi che non ho più le mestruazioni, e ho fatto pure il test. L’unico ragazzo che può avermi… cioè, l’unico con cui può essere successo sei tu-
D’improvviso Davide ebbe bisogno di sedersi perché la testa gli girava e le gambe minacciavano di cedere.
Così fece, appoggiandosi alla panchina dietro di loro. Subito Francesca si sedette affianco a lui.
-Allora?- domandò.
-Allora che?-
-Allora che ne pensi?-
-Cosa ne penso?- ripeté il ragazzo; sorrise ironico.
-Penso che sia tutta una pazzia. È una cosa troppo impossibile. Io non ci credo se non vedo-
Rispose continuando a tenerla sott’occhio.
 
 
Se anche fosse successo come diceva quella, come poteva essere che lui avesse scordato tutto? Che non ricordasse nemmeno un particolare che potesse confermare le sue parole?
Caspita, e poi possibile che nell’unica serata che aveva deciso di divertirsi un po’ dovesse capitargli quell’intoppo di dimensioni gigantesche?
Se fosse stato così, ne era certo. Era pura sfiga.
Si azzardò a fare una domanda dopo che erano rimasti in silenzio a riflettere ognuno sui suoi pensieri.
-Ma sei sicura che sono proprio io? Che sono io che ti ho messa incinta?-
Forse un po’ spudorato ma che cavolo, meglio essere sicuri, no?
Francesca si mise a giocherellare con un orecchino argentato che aveva attaccato al lobo.
-Non sono mica una che la dà a tutti-
A lui venne voglia di sorridere.
-Scusa eh… ma fartela con uno che manco conosci?- disse come se dovesse spiegare una cosa molto semplice ad un bimbo testardo.
-Ricordo che è stata anche colpa tua. E devi farti un esame-
-Cosa?-
Due erano le cose, a quel punto: o era tutto un enorme scherzo sciocco, oppure quella ragazzina aveva seri problemi al cervello.
-Senti io non ho tempo da perdere con queste sciocchezze….- la liquidò alzandosi.
La bionda saltò su immediatamente mentre il ragazzo si stava allontanando.
Sentì i nervi saltargli e ogni buonsenso andare al diavolo.
Si fece rossa e gli gridò dietro
-E se invece fosse tuo figlio non te ne importerebbe niente? Mi lasceresti così? Rifiuteresti il tuo bambino?-
Davide si voltò di scatto. Quella pazza stava urlando troppo per i suoi gusti, e a quell’ora ne passava ancora di gente, che sentendola si era voltata curiosa nella loro direzione. Tornò da lei, premendole una mano sulle labbra.
-Scema, che cavolo ti urli?- la sgridò. Lei si scrollò la sua mano di dosso e accigliata riprese
-Tu sei solo un egoista. Non ti importa nulla di me, bastardo! Prima ti diverti e poi non accetti le conseguenze! Ma cresci un po’!-
-Ma che cosa stai dicendo?-
-Perché non mi vuoi credere?- all’improvviso lei cambiò tono e passò da carnefice a vittima.
Lui la guardò un po’intimorito.
Forse faceva davvero sul serio.
La ragazza attese una sua risposta con apprensione, evidentemente ci teneva.
Il ragazzo tentennò un po’ sotto il suo sguardo fiducioso. Gli occhi tremendamente azzurri lo fissavano carichi di fiducia e supplica.
Indeciso sbuffò.
-E va bene. Andrò a fare l’esame, se questo può tranquillizzarti- acconsentì stringendosi nelle spalle larghe.
Francesca emise un sospiro di sollievo.
-Ti ringrazio. Che ne dici se andiamo domani? Tanto dopo la scuola io vengo sempre a mangiare qui-
-Non ho il turno all’ora di pranzo- disse lui.
Ecco perché non l’aveva mai vista, pensò fra sé.
Però qualcosa, forse la sua espressione mista alla tenerezza che gli faceva a vederla così bisognosa di una sua risposta, lo indusse ad accontentarla.
-Domani, all’uscita di scuola. Va bene?-
-Va bene-
-Se non fossi io il padre del bambino?- domandò quando stavano per separarsi.
-Mi scuserei tanto per il disturbo- ribatté svelta, e poi si allontanò lungo la via illuminata dalle vetrine e rumorosa per i gruppi di persone che ci passeggiavano.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


L’ora di arte non era mai stata tanto noiosa quanto quella di quel giorno. Francesca si guardava attenta e scrupolosa nello specchietto ben nascosto dietro l’astuccio, aggiustandosi i capelli con cura e infilandosi un piccolo fermaglio per fare stare ferma quella frangia bionda che non voleva saperne di lasciarla in pace.
La ragazza dai capelli neri accanto a lei, sviando lo sguardo della professoressa, si protese verso di lei.
-Per chi ti fai bella?- domandò curiosa, senza mancare di darsi lei stessa un’occhiata nello specchio.
-Devo andare a fare una cosa con uno, dopo scuola-
-Hai trovato quel ragazzo?-
-Sì-
L’altra scattò su.
-E non mi dici niente? Cosa ti ha detto?-
Francesca era concentrata per rendere carina quella capigliatura dritta e liscia che si trovava in testa. Come invidiava i bei riccioli scuri dell’amica.
-Non voleva crederci, ma alla fine mi ha ascoltato-
-Gli hai già detto cosa vuoi fare?-
A questa battuta lei si irritò, come le succedeva facilmente.
-No, e non ne ho l’intenzione. Tanto i maschi sono tutti così stupidi che farà il mio gioco senza accorgersene-
La sua amica non fu così stupida da replicare.
-Come va?- disse alludendo alla pancia della bionda.
-Ho vomitato solo una volta questa settimana. E per sfortuna, ca**o, proprio quando c’era lui. Mi ha chiesto cosa avevo e gli ho risposto che era solo mal di pancia. Così ora mi tocca pure mangiare in bianco, quando invece ho una fame…-
Un ultimo filo biondo finì imprigionato nella morsa di quell’unico fermaglio, e Francesca sorrise per questo soddisfatta.
Suonata la campanella e scesa rapidamente nel cortile, avvistò quello stesso ragazzo col cappello calato che un paio di settimane prima aveva il potere di farle battere fortissimo il cuore. Non era proprio il momento di mettersi ad urlare (perché lo avrebbe fatto di sicuro) contro di lui perdendo tempo prezioso, così svicolò infilandosi fra la calca che affollava il cancello.
Sgusciò via inosservata e si incamminò a passo veloce verso il bar.
Chissà se quel ragazzo sarebbe venuto.
Davide per l’appunto stava seduto a braccia incrociate sulla panca fuori dal locale, imbronciato si domandava che esito avrebbe avuto quella strana giornata. Già la sua notte era stata tormentata da una bionda di sua conoscenza, ed era abbastanza sicuro che anche il giorno avrebbe risentito della sua presenza.
La stava aspettando, controllando di tanto in tanto l’orologio al polso, avvolto nel giubbotto verde scuro.
Se non altro, sarebbe stato puntuale.
Erano l’una e venti: tra poco sarebbe arrivata.
Era immerso nei pensieri più strani, procurati da quella ragazzina la sera prima, e quasi non si accorse che un’altra ragazza lo stava chiamando.
-Davide?-
Silvia lo fissava dalla soglia della porta. Lui alzò lo sguardo per incontrare quello della mora, e il suo stomaco sprofondò.
Non aveva proprio voglia di parlare con lei.
Ma la ragazza gli si sedette accanto, incurante del suo stato d’animo.
-Cosa fai qui? Non sei a casa?- chiese.
-Sto aspettando una persona-
Poi preso dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, aggiunse
-Una ragazza-
Silvia lo osservò incuriosita.
-Quella ragazza bionda con cui ti ho visto parlare ieri? È la tua ragazza?-
Quelle parole lo nauseavano peggio dell’odore di vino della cantina. Scosse la testa.
-Ma che dici? È solo un’amica-
-Quanti anni ha?-
Lui scattò infastidito da tutta quella invadenza, si strinse nelle spalle e borbottò
-Uno ora non può nemmeno farsi i fatti suoi?-
La mora rimase stupita da quel suo atteggiamento restio e poco socievole. Inarcò un sopracciglio.
-Va bene, scusa… non volevo dire nulla. Ci vediamo stasera-
E si allontanò indispettita, sotto lo sguardo imbronciato di lui.
-Str***a- le sibilò senza farsi udire.
Come se non bastassero i suoi pensieri doveva complicarsi pure la sua vita sentimentale.
Francesca lo osservò per un po’, incerta se chiamarlo o meno. Lo aveva visto scambiarsi qualche parola con quella cameriera, e poi lei se n’era andata via; lui pareva arrabbiato.
-Davide?-
Un tono di voce diverso, più limpido attirò la sua attenzione.
Fissò la biondina che stava in piedi davanti a lui, con lo zaino piccolo sulle spalle, il giubbotto bianco aperto.
Subito si alzò, superandola in altezza. Cambiò l’espressione che aveva da arrabbiata ad incerta.
-Andiamo?-
Lei annuì e incominciò a camminare.
Dopo un po’ che procedevano in silenzio, lei commentò
-Non credevo saresti stato puntuale. Pensavo mi avresti piantato in asso-
Davide scrollò le spalle, finto indifferente.
La verità era che quella storia lo aveva fatto stare in pensiero e ora voleva vederci chiaro; dopodiché avrebbe deciso il da farsi.
-Non sono così bastardo sai?-
Lei alzò velocemente gli occhi al cielo senza farsi vedere.
 
La clinica era a pochi passi dalla scuola; era piccola e vi lavoravano pochi medici, ma non aveva pensato ad altro posto dove poter chiedere aiuto.
Entrarono dentro, avvicinandosi alla dispensatrice di informazioni.
-Cosa posso fare per voi?-
La bionda parlò, alzandosi leggermente sulle punte.
-Mi chiamo Francesca Daniele. Ho un appuntamento col dottor Martino- disse facendosi rossa.
L’assistente controllò le carte che aveva nascoste sul bancone, poi si alzò.
-Ora ve lo chiamo-
E si allontanò di corsa.
Davide la guardò perplesso.
-Scusa ma i tuoi? Non si preoccuperanno se non torni a casa a mangiare?- chiese.
-Fatti miei- rispose lei, poi si sedette su una seggiola, aspettando il dottore.
Lui la imitò, osservandola. Perché doveva essere così?
Notò che sbuffava spesso, e batteva il piede contro il pavimento.
Si mordicchiava morbosamente il labbro inferiore e continuava a gettare occhiate alla porta di una stanza.
-Cos’hai? C’è qualche problema?- domandò stavolta con più gentilezza.
-Nessun problema-
Fece un lungo e rumoroso sospiro, poi si abbandonò al piccolo schienale, raggomitolandosi e mettendo le gambe sul sedile.
-Mi prendi qualcosa da mangiare per favore?- domandò porgendogli delle monete.
-Cosa vuoi?- fece il ragazzo alzandosi.
-Tutto va bene, sto morendo di fame-
Dopodiché appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.
Davide le comprò una merendina qualsiasi, poi tornò al suo posto.
Nel frattempo la porta che stava osservando prima lei si aprì, e ne uscì un uomo alto, dai capelli lunghi e col camice sbottonato.
-Ciao Francesca- sorrise nella sua direzione.
La bionda si rizzò immediatamente e si mise composta.
-Buongiorno- mormorò.
-Come va? Tutto bene?- porse la mano prima a lei e poi a Davide, che la strinse sospettoso.
-Abbastanza-
-Allora, c’era qualcosa che volevi dirmi?-
-Veramente sì, una ci sarebbe-
-Andiamo nel mio studio, vieni….- sorrise lui, e la condusse verso la porta da cui era uscito.
Francesca si voltò a guardare Davide che era rimasto zitto, bellamente ignorato da entrambi.
-Aspetta qui- gli disse piano per poi sparire dietro la porta insieme al dottore.
Ci mettevano un po’ troppo tempo quei due, a suo avviso, pensò mentre stava seduto silenzioso su quelle seggiole. E quel dottore gli aveva fatto una pessima impressione.
Finalmente poi uscirono, e non mancò di notare che la bionda aveva il viso tutto rosso, come quando ieri sera si era arrabbiata con lui.
Il dottore rivolse un sorriso anche a lui, che si alzò.
-Allora, dobbiamo solo farti un esame. Niente di preoccupante, se vuoi seguirmi-
Lui lo fece, e mentre la superava cercò di incontrare lo sguardo di lei, ma la ragazza teneva lo sguardo basso e andò a sedersi senza dirgli nulla.
Chiusasi la porta, perduto nei suoi pensieri non si accorse di quello che stava dicendo il dottore.
-………abbiamo bisogno di un campione dei tuoi spermatozoi per controllare che tutto vada bene. Potresti essere portatore di qualche malattia e potresti avergliela trasmessa. Ora, niente di cui preoccuparsi- ripeté, trafficando con degli strumenti sul ripiano.
Gli consegnò una provetta e gli spiegò brevemente cosa doveva fare.
Davide arrossì vistosamente.
Ma in che razza di situazione si era cacciato?
Fece un gesto con la testa per dire ‘va bene, se proprio si deve fare…’.
Il dottore gli indicò il bagno e lo fece entrare.
Davide, perplesso, non si mosse. Poi fece scattare la serratura.
Lo specchio che aveva davanti gli rimandava l’immagine sconcertata che aveva.
Negli ultimi giorni gli stavano capitando cose davvero strane.
Guardò la provetta che aveva in mano. Ma guarda tu…
Ma guarda tu cosa gli toccava fare.
Sbuffò seccato. Prima si inizia e prima si finisce.
Enormemente imbarazzato, si calò i pantaloni.
 
Aprì la porta del bagno e la richiuse, tornando nello studio. Con grande sorpresa c’era Francesca seduta ad una delle sedie. Quando lo vide il suo sguardo si posò immediatamente sulla fiala riempita che reggeva, e sorrise maliziosa.
-Ci hai messo poco tempo, Davi- commentò sfacciata.
Davi? Da quando in qua erano passati a così tanta confidenza?
Ma non poteva farla vincere stavolta.
-Come ben sai, i miei spermatozoi non sono affatto pigri-
Lei non ribatté perché in quel momento il dottor Martino entrò nella stanza. Sorrise quando vide il ragazzo porgergli la provetta.
-Molto bene, datemi giusto il tempo di controllare, cinque minuti…-
I ragazzi uscirono, Davide con la pancia che brontolava e Francesca togliendosi il giubbino bianco.
Si sedettero alle sedie nella sala, uno affianco all’altro.
-Senti…- cominciò il ragazzo.
-…qualunque cosa succeda dopo di questo… avrei una cosa da dirti-
-Spara- fece lei, mentre accaldata appoggiava il capo contro il muro e socchiudeva gli occhi, stanca.
-Penso che dovresti cambiare dottore- sussurrò lui.
-E perché?- lei voltò di un poco il volto verso il ragazzo.
-Non mi piace questo qua- abbassava la voce in modo da non farsi sentire.
-Che, ora sei pure frocio?- domandò lei strafottente.
-Non mi piace come ti guarda-
Francesca sbarrò gli occhi, voltandosi stavolta del tutto a guardarlo. Arrossì un po’, poi schiuse le labbra.
-Sei geloso?-
Davide si imbronciò e infilò le mani in tasca.
-Guarda che lo dicevo per te, sai?-
La bionda sorrise.
-Ma è successo qualcosa fra di voi?- domandò lui, sicuro di ciò che diceva.
La ragazza non rispose, mordendosi un labbro e continuando a tenere ostinata lo sguardo davanti a sé.
Forse lui si era spinto troppo in là, e magari non aveva voglia di rispondere; forse era troppo personale.
-Tieni- disse allungandole la merendina che le aveva preso prima.
Lei la afferrò mormorando un ‘grazie’.
L’aveva già finita quando il dottor Martino uscì dalla stanza, un gran sorriso stampato sul volto.
Quello stupido sorriso non faceva presagire nulla di buono, pensò il ragazzo.
Si mise davanti ai due, esitando a parlare.
-Allora?- lo incalzò Francesca.
-Complimenti, ragazzi- disse euforico –è sano come un pesce. Aspettate un bambino-
Il peso della notizia fece colare a picco la mascella del ragazzo che stette per un po’ così, con sguardo ebete.
-Ne è sicuro?- balbettò riprendendosi.
Quello annuì.
-Porca miseria…- imprecò.
Detto da lei era una cosa, ma sentirlo pronunciare dal dottore che lo aveva esaminato, era tutta un’altra cosa.
Fece scivolare una mano fra i capelli, per sostenersi la testa; sconsolato fissava il pavimento.
Francesca non sembrava particolarmente turbata dalla notizia, perché si infilò il giubbino e salutò molto fredda il dottore, alzandosi.
Sarebbe diventato papà.
-Andiamo a mangiare qualcosa?- chiese lei.
 
Qualche minuto dopo erano seduti al tavolino esterno di un bar, l’una che mangiava vorace il suo panino, e l’altro che aveva la testa fra le mani. Davide non aveva toccato cibo.
Non poteva levarsi dalla testa i pensieri che lo affliggevano.
Sarebbe diventato papà.
-Non lo mangi?- chiese la bionda, già pronta a rimediare.
Ma non le rispose.
-Davi?-
Stavolta alzò lo sguardo quando sentì il buffo modo con cui l’aveva chiamato.
Spinse da parte il panino, porgendoglielo.
Era tutto così assurdo.
-Ma non dici nulla?- incalzò Francesca mentre addentava anche l’altro panino.
-Cosa dovrei dire?-
-Stai per diventare papà- fece lei con un piccolo sorriso.
-Lo so- la voce si perse in un sospiro rassegnato, come di quelli che fanno i condannati a morte.
La ragazza lo fissava attenta, in attesa della sua reazione.
-Non posso crederci-
-Ora cosa pensi di fare?-
Lasciò andare il panino che stava mangiando per concentrarsi sulla sua risposta, ansiosa.
Lui ci rifletté sopra.
Era da un giorno che quella ragazzina lo stava preparando a quella notizia e lui l’aveva bellamente ignorata. Si sentì un po’in colpa per questo. E poi… la cosa strana era che non l’aveva affatto premeditato.
Guardò Francesca, seduta davanti a lui.
Non sapeva nulla di lei. Non sapeva quanti anni aveva, non sapeva se andava a scuola, se era brava. Non sapeva cosa ne pensava lei di quel suo bambino, non conosceva i suoi genitori. Non ricordava né la sua faccia, né alcun particolare di quella serata lussuriosa trascorsa con lei mesi addietro.
Non conosceva il suo mondo, e ora era stato catapultato al suo interno senza preavviso.
Aveva detto che era stata la sua prima volta.
Chissà come era stata; chissà se si era comportato bene; chissà se l’aveva fatta stare bene.
Ne dubitava un po’, perché a quanto gli aveva detto era ubriaco fradicio.
Ma stranamente non gli aveva rinfacciato nulla, si era solo e semplicemente preoccupata di fargli avere quella notizia.
Era una cosa da apprezzare.
-Beh, niente… dovrai andare a farti i controlli… ma non da quello lì-
-Ma perché no?- domandò la ragazza, riprendendo a masticare il suo pranzo.
-Te l’ho già detto. Tu……… lo hai detto a qualcuno?-
Francesca assottigliò le palpebre. La conversazione scivolava verso un argomento che non aveva voglia di trattare e si allontanava da ciò per cui lo aveva cercato.
-Sì. Ma tu, cosa hai intenzione di fare?-
Puntò gli occhi celesti nei suoi verdi, impedendogli di sfuggire il suo sguardo.
Era quella la risposta che le premeva di conoscere.
Davide ricambiò in silenzio l’occhiata che gli stava dando.
-I tuoi genitori cosa dicono?-
-Niente-
-Come niente?-
-Niente-
Non sembrava che avesse voglia di approfondire la questione, così lui lasciò perdere.
-Non posso tornare a casa, se continuo così. Se andiamo avanti tutti cominceranno a fare strane domande…- disse finalmente.
-Non gliel’hai detto?-
Lei scattò arrossendo a questa domanda.
-E che gli dico? Che sono incinta di uno che nemmeno conosco? Ma fammi il piacere-
Continuò a rimanere rossa in viso anche dopo, e subito per smorzare il suo imbarazzo afferrò la lattina di Coca-cola sul tavolo, la stappò e bevve un sorso lungo.
-Cosa vorresti fare? Prima o poi lo noteranno i tuoi genitori… insomma, quando…-
Francesca non rispose a quella affermazione. Giocherellò con una carta, poi lo guardò negli occhi.
-Non vuoi tornare a casa?-
-No-
Quella sillaba troncò la conversazione, e fece fermare entrambi a riflettere.
Poi dopo averci pensato su un bel po’, disse
-Se vuoi, io ti rispetterò. Puoi venire a stare da me per un po’, tanto io sono sempre fuori il giorno. Poi decideremo il da farsi-
La bionda alzò il capo, vittoriosa e il suo sguardo splendeva di soddisfazione. Era la risposta inaspettata che però arrivava molto gradita.
-Sul serio?- chiese per averne la conferma, un sorriso che già le spuntava sul volto.
-Beh…… dopotutto ce l’ho anche io delle responsabilità da prendermi in questa storia-
Pazzesca, aggiunse mentalmente.
-Puoi venire a dormire da me, se non vuoi tornare dai tuoi. Però non mi devi impicciare in nessuna faccenda. Trovati una scusa o quello che ti pare, ma non mi mettere nei casini, che già…-
-D’accordo, d’accordo, non c’è problema- fece lei, sovrappensiero.
-Devo andare a casa a prendere le mie cose, però. Tu hai una macchina? Tanto quello che mi porto è solo una valigia-
Lui annuì.
 
Francesca stava racimolando tutte le sue cose in uno zaino consumato che aveva trovato da qualche parte; ci gettò dentro una fotografia, facendo attenzione a non farla piegare. Poi qualche reggiseno che non entrava in valigia, una felpa con la cerniera, e lo chiuse.
La valigia era già pronta, sistemata vicino la porta, e lui era sotto con l’auto che l’aspettava.
Si fermò sulla soglia a guardare la casa.
Chissà come sarebbe stato, si domandò, se avesse avuto davvero dei genitori a cui confidare quel piccolo segreto che cresceva nella sua pancia.
Purtroppo, si ricordò malinconicamente, lei genitori non ne aveva.
Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto dirlo a nessuno. A meno che non si considerasse qualcuno quell’uomo alto, bello ed aitante che l’aveva adottata.
Ma lei non era sua figlia, né lo era mai stata.
Tutte le sue amiche la invidiavano.
-Che bell’uomo che è tuo padre!- dicevano.
A lei veniva da piangere a volte, sentendo quelle false parole.
Eppure lui non era un patrigno tanto male, aveva cercato di convincersene più volte, che  non le aveva mai fatto mancare nulla, che era pronto ad ascoltarla e ad aiutarla con la scuola.
Ma qualcosa di più potente, nel suo animo, nella sua testa, rifiutava di provare affetto per quell’uomo, arrivando a farla disgustare della sua presenza.
Certe volte odiava il suo sorriso gentile e le sue mani che accarezzavano i suoi capelli, come farebbe qualsiasi padre con sua figlia.
Ma lui non faceva parte della sua vita.
E andare via di casa era l’unico modo per farlo sparire.
Perché per lei, le persone che non le andavano a genio, dovevano sparire dalla sua vita.
E quale occasione migliore?
Scrisse due righe formali e con la richiesta di non cercarla, che l’avrebbe vista a scuola. Gli disse che andava a stare da una sua amica, tanto per infoltire la scusa.
Non aveva intenzione di farsi comandare ancora.
Staccò le chiavi di quella casa dal suo portachiavi e chiuse sbattendo il portone dell’appartamento.
 
La casa di Davide si trovava al terzo piano di un bel palazzo, e quando Francesca entrò pensò che le rassomigliava tanto ad un ristorante esotico.
Subito, appena entrati, si trovava il salotto.
Mobili di legno scuro, che poi erano solo una libreria e il mobiletto posto a reggere la televisione.
Un divano in pelle scura si trovava davanti a questa, ai suoi piedi un tappeto rosso.
Un lampadario in stile moderno si trovava all’angolo, acceso dato che si era fatta sera. Tutta la parete frontale era occupata da lunghe tende, rosse anche quelle.
-Eccoci qua- disse il ragazzo, vergognandosi un po’ per le cianfrusaglie sparse che non gli facevano fare certo una bella figura.
Avanzò portando la sua valigia in camera da letto. Francesca si guardò attorno sbalordita. Era proprio bella quella casa.
Guardò interessata il soprammobile di legno scuro posto sul mobiletto nero basso, una specie di corallo in legno, inciso da piccoli solchi. Che bello, si trovò a pensare.
Il tutto creava una certa atmosfera.
Girò la testa a destra e vide l’entrata per una camera.
Il letto era basso, con un lenzuolo bianco steso sopra. A parte un armadio e un comodino non c’erano altri mobili in quella stanza. Alla parete che dava sulla strada erano attaccate ancora quelle tende rosse.
Davide osservò la bionda per capire se le andava bene quella sistemazione.
-Come ti sembra?- chiese.
-Che bella- commentò lei guardando attenta la stanza.
-Dormirai tu qua, io mi metto sul divano- disse subito lui.
La ragazza non ribatté, ma si sedette di colpo sul letto. Era morbido, pensò. Accarezzò con una mano il lenzuolo perfettamente liscio, increspandolo come un’onda nel mare.
-Questo letto è abbastanza grande per tutti e due- disse, immersa nei suoi pensieri.
-Dici? Pensavo ti facesse schifo dormire con me-
-Tanto non mi toccherai-
-Non oserei mai farlo- precisò il ragazzo.
-Perché ti prenderei a pugni- proseguì la ragazza, senza ascoltarlo.
Poi si alzò, annuendo per confermare la sua approvazione.
-Okay, mi piace. È pure vicina alla scuola-
 
La luce della cucina era accesa e due ragazzi, seduti ad un tavolo spigoloso, mangiavano in silenzio il cibo che Davide aveva trovato in frigo.
Ovvero, due pacchi di wurstel insaporiti dal ketchup, un’insalata scondita.
Francesca mangiava in silenzio, senza lamentarsi.
Lui smise di mangiare e la osservò.
-Quanti anni hai?- domandò.
Lei alzò lo sguardo.
-Diciassette ad ottobre- disse, pulendosi il muso con un tovagliolo.
-E che scuola frequenti?-
-Lo scientifico. È vicino qui, non so se lo conosci-
-Sì, lo conosco-
Era tutto così strano.
Così inverosimile. Una pazzia, per farla breve. Solo l’altro giorno lui era uno scapolo che viveva nel suo bell’appartamento da solo, andava a lavoro e aspirava ad uscire con la bella cameriera che faceva impazzire i clienti del bar.
Il giorno dopo si era trovato una ragazzina in casa, estremamente determinata e poco propensa ad essere amichevole. E la cosa più grave era che questa ragazzina portava in grembo quello che probabilmente era suo figlio.
Era molto strano.
Dopo che ebbero finito tutto, il ragazzo gettò i piatti di plastica che aveva usato e infilò le posate in lavastoviglie.
Francesca si era seduta, quasi sdraiata sul divano, e stava giocando con quello che c’era nel suo zaino. Invitò il ragazzo a raggiungerla accanto a lei.
Lui lo fece, ma stette zitto.
Non aveva idea di cosa dirle.
Non sapeva se doveva scherzare, se doveva fare domande o di che accidenti dovesse parlare.
Non gli era mai capitato di trovarsi in una situazione simile.
Si schiarì la voce per spezzare il silenzio.
La ragazza sbadigliò e si appoggiò contro lo schienale, chiudendo gli occhi.
-Se hai la fidanzata diglielo che tu questo figlio non lo vuoi e che io non sono qui per entrare nel tuo letto. Non intendo farmi dare della pu**ana e se non vuoi che le rompa qualcosa a pugni prendi le precauzioni-
-Tanto non ce l’ho la donna-
-Lo immaginavo- commentò lei.
A questa frase lui si accigliò.
-E perché mai?-
-Uno che in discoteca va con una di sedici anni non deve avere molte risorse-
Teneva sempre gli occhi chiusi e aveva un’insopportabile aria di superiorità che fece andare fuori dai gangheri Davide. Dopotutto era lui il maggiore fra di loro.
-Ti ricordo che ero ubriaco. Molto ubriaco- marcò bene la parola.
Lei non accolse la provocazione, limitandosi a fare un sospiro stanco.
Ci fu una pausa di silenzio, poi la bionda disse
-Dicevi sempre Silvia-
Il ragazzo non afferrò subito il senso della frase.
-Come?-
-Dicevi sempre il suo nome, mentre facevamo l’amore-
Lui arrossì distogliendo lo sguardo da lei.
-Chi è, la ragazza che ti piace?- domandò con una punta di sarcasmo Francesca.
-No-
-E allora perché dicevi il suo nome?-
-E che ne so io- fece lui, sempre più imbarazzato.
Maledetta Silvia che rompeva le scatole anche quando non c’era.
Poi ripensò alle parole che aveva detto lei. Ciò significava che aveva consumato un rapporto con lei pensando ad un’altra. E questo era terribile per qualsiasi persona.
Voleva scusarsi, ma non sapeva cosa dirle. D’altronde, non sembrava avere molta importanza per lei, così lasciò perdere.








Grazie a chi ha recensito il primo capitolo, i vostri commenti mi hanno fatto molto piacere.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Quando la mattina dopo si svegliò, era appoggiato con la schiena al divano. Si stropicciò un occhio assonnato e si alzò. Aveva tutti i muscoli tesi e indolenziti per la scomoda posizione.
Lo zaino che la sera prima era sul divano accanto a lui, non c’era più. Probabilmente Francesca era andata a scuola.
Che strana ragazza, pensò.
Non sembrava intimorita da quello che doveva affrontare. Va bene che non si erano mai spinti a parlare “a cuore aperto”, però non si era mai mostrata fragile.
O almeno, questa era l’impressione che dava.
Il professore stava scrivendo alla lavagna il testo del problema che i ragazzi avrebbero dovuto risolvere. Il pennarello blu scorreva veloce sulla superficie bianca, tracciando parole e lettere. Infine un triangolo rettangolo in basso a sinistra, bello grande e preciso.
Il professore si allontanò dalla lavagna, chiudendo il tappo del pennarello e sedendosi alla cattedra.
I ragazzi stavano ricopiando la traccia e quando tutti ebbero finito, calò il silenzio, segno che tutti erano concentrati per risolverlo.
Francesca guardò il suo problema, un triangolo rettangolo disegnato accanto al testo. Per prima cosa segnò gli angoli ai vertici, indicandone l’ampiezza.
Diede un’occhiata alla figura e scrisse le incognite che doveva trovarsi.
Poi, infilata la matita fra i denti e sollevatala in aria come se fosse una sigaretta, rifletté cercando di ricordarsi le formule.
La sua amica, Paola, alla sua destra, scarabocchiava figure ai margini e sembrava avere già intuito cosa bisognava fare.
Francesca sapeva risolvere quel problema, credeva di aver trovato la soluzione.
Iniziò, presa dall’eccitazione e dall’entusiasmo di ottenere un bel voto, e scrisse la formula principale.
Poi cominciò a calcolarsi il primo cateto con i dati che aveva e poi…
Si bloccò improvvisamente.
Un senso di nausea, fortissimo, le salì lungo lo stomaco, fino all’esofago per poi arrivare alla bocca. O cavolo.
Si scostò bruscamente dal banco, chiuse gli occhi tentando di non farsi prendere dall’agitazione; provò a dimenticarsi della nausea che l’aveva assaltata senza preavviso. Guardò di nuovo il suo triangolo rettangolo.
Ma non ci riusciva, sentiva che non avrebbe resistito.
Cercò lo sguardo della sua compagna, ma lei era tutta presa dal risolvere quell’esercizio.
Lentamente alzò la mano.
-Professore?- lo chiamò, pregando che facesse in fretta.
L’uomo dietro la cattedra, sorpreso, alzò lo sguardo fissandola ragazzina.
-Professore, non mi sento molto bene, potrei andare al bagno?-
A quella battuta tutta la classe si voltò a guardarla. Ma nessuno, eccetto Paola che le rivolse uno sguardo più preoccupato del solito, sembrava veramente in pensiero; la bionda la tranquillizzò con un veloce sguardo, si alzò e percorse a passo svelto il tragitto dal suo posto alla porta.
Una volta fuori, si precipitò al bagno, si infilò in un cubicolo e chiuse forte la porta.
Le scritte ricoprivano tutto il muro, alcune marcavano persino la superficie del gabinetto.
Francesca si inginocchiò e aggrappò le mani alla tavoletta.
Deglutì a vuoto, incominciando a sudare e protendendosi in avanti.
Fece dei piccoli respiri per calmarsi, pregando che succedesse tutto in fretta.
Sentiva il voltastomaco crescere e arrivare quasi alla bocca, ma era come se si fermasse proprio alla fine.
Stette in attesa, respirando forte per un paio di minuti. Ma niente.
Quanto detestava quando succedeva così.
Quando non si voleva decidere, e intanto lei rimaneva sempre con quel suo senso di nausea che la faceva sentire uno schifo.
Mentre pensava questo, tutto d’un colpo il rigetto le arrivò in bocca, e lei sputò fuori il vomito.
Il conato fu abbastanza normale, anzi meno dell’altra volta. Una volta finito il primo, ebbe qualche attimo per riprendersi, e poi arrivò puntuale il secondo.
Stavolta vomitò molto di più.
Quando anche quello terminò, disgustata di vedere il colorito verde, arancione e giallo che aveva gettato, schiacciò con una mano il pulsante dello scarico.
Tremava tutta, e aveva ancora in bocca quel sapore vomitevole. Respirando forte, a scatti, si alzò in piedi. Le gambe facevano Giacomo-Giacomo, e per non cadere dovette reggersi al muro.
Raccolse i capelli dietro le orecchie e sputò ancora un po’ di rigetto. Sentì bussare alla porta, disse
-Occupato-
-Scema sono io-
Riconosciuta la voce aprì subito la porta.
Paola la guardò preoccupata mentre andava verso i lavandini.
-Fatto?-
-Fatto-
Francesca aprì il getto dell’acqua e si sciacquò la bocca come meglio poteva; prese un fazzoletto e si asciugò la fronte bagnata di sudore, ed era pronta a tornare in classe.
-Sei tutta bianca- commentò l’amica, sempre osservandola a distanza.
-Tanto non si nota- decretò sicura la bionda, sistemandosi i capelli.
-Comunque il problema se vuoi te lo faccio io. Perché non ti fai venire a prendere? Dici a tuo padre che ti sei sentita male- suggerì Paola.
L’altra si irritò.
-So farlo benissimo il problema, è solo che all’improvviso mi ha preso il vomito. E poi da mio padre non voglio farmi venire a prendere-
Uscirono dal bagno e tornarono in classe. Disse che si sentiva meglio, anche se quello non era affatto vero; aveva tanta voglia di andare a dormire.
Però si sedette composta al suo posto e riprese il problema da dove l’aveva lasciato.
La verità era che, avendo lasciato casa, era andata a vivere da quel ragazzo lì. Non voleva l’aiuto né di colui che si professava suo padre, né di quell’altro. Poteva farcela benissimo da sola.
E non le importava se era una stupida testarda. Era fiera di esserlo.
 
Quando la campanella suonò la ressa di studenti si precipitò fuori. Paola si affiancò all’amica e le domandò
-Se ti va puoi venire a mangiare a casa mia oggi-
La bionda scosse la testa.
-Non posso, oggi torno a casa-
-Casa quale?-
-Casa mia. Mi sono scordata una cosa-
Nemmeno quella era la verità. Ma ormai era diventata così abile nel dire bugie, dato che le raccontava spesso, che risultava molto credibile.
In realtà andava a casa sua per dire la verità al suo, diciamo così, tutore. Ci aveva pensato tutta la sera e la mattina, e aveva deciso che per una volta dire la verità sarebbe stata la cosa migliore.
In brevissimo tempo fu sotto al portone; lui doveva essere in casa, perché riconobbe la macchina parcheggiata sotto. Sbuffò, scocciata per doverlo affrontare ancora. Poi premette il campanello.
-Sono io- disse, e il portone si aprì. Ripassò mentalmente il discorso che si era preparata mentre saliva le scale.
Trovò la porta già spalancata e un uomo che la aspettava.
Damiano si precipitò immediatamente sulla soglia, osservandola.
-Cosa significava quel biglietto di ieri?- chiese subito.
-Posso entrare a mangiare?-
-Certo-
Così dicendo, si spostò e la ragazza entrò nell’appartamento, superandolo impassibile.
Damiano richiuse il portone e si voltò ad osservarla.
Francesca lo guardò.
Gli occhi, azzurri come i suoi, saettavano preoccupati sul suo viso, cercando di capire cosa le fosse successo.
-Damiano, devo dirti una cosa-
Lui si sedette al tavolo e la bionda fece lo stesso. Iniziarono a mangiare il pranzo che aveva preparato l’uomo.
Lui non ci riusciva, però. La fissava incantato come se non credesse di vederla lì di fronte a sé.
-Non puoi sparire così e non tornare a casa. Mi hai fatto preoccupare-
Sai quanto mi importa, aggiunse lei mentalmente, ma non rispose.
-Dove sei stata a dormire?-
-A casa di un’amica, te l’ho detto-
-Potevi dirmelo-
Lei ingoiò i maccheroni e li masticò lentamente, guardandolo negli occhi. Sembrava preoccupato e sollevato al tempo stesso.
Preoccupato per esser tornato dal lavoro e non averla vista, e sollevato perché era tornata a casa. D’altronde non era la prima volta che lo faceva; ricordò con un sorriso forse illegittimo, che a dodici anni si era rifiutata di stare a casa da lui perché l’aveva vista baciarsi col suo primo fidanzatino; Damiano aveva fatto il diavolo a quattro come qualsiasi padre e cominciato a dire che doveva lasciarlo perdere.
Lei orgogliosa come sempre, preso zaino e pigiama, era andata per davvero a dormire dalla sua amica. Credeva di sfidare il mondo e che quella fosse una cosa importante.
Forse ora sì che lo era.
-Cosa c’è, è un altro fidanzato?- domandò con un sorriso tirato.
-Non proprio-
Tenne ostinatamente lo sguardo fisso sul piatto.
-è che… è successa una cosa importante e volevo che la sapessi. Perché dopo non possiamo più continuare così-
Quelle parole resero pallido Damiano.
-Ma insomma che è successo?-
La sua voce aumentò di tono, facendosi più severa. Lei temeva che si mettesse ad urlare. Ma tanto non sarebbe mai tornata indietro.
-Ho conosciuto un ragazzo, sai…-
Doveva dirglielo.
-…e?- incalzò lui.
Francesca alzò finalmente i suoi occhi in quelli dell’uomo, teoricamente suo padre.
-Io aspetto un bambino-
Ecco, gliel’aveva detto.
Damiano schiuse lentamente le labbra, guardandola perplesso.
-Cosa?- fu tutto quello che riuscì a dire dopo un attimo di smarrimento.
Lei non disse altro, ma tornò a mangiare il suo pranzo.
-Cosa significa che aspetti un bambino?- l’uomo smise di mangiare e alzò davvero la voce.
La bionda si fermò, imitandolo. Ora iniziava sul serio a rompere.
-Cosa significa? Significa che ho scopato con uno, i suoi spermatozoi hanno fecondato il mio ovulo e ora ho un bimbo nella pancia! Sei sconvolto? Ti ha bloccato la crescita? Non le sapevi queste cose?- gli gridò contro.
-E ti sembra una cosa normale? Vieni a dirmelo ora?-
Damiano parve accorgersi solo ora che stava urlando; si calmò, deglutendo.
Poi chiese di nuovo, quasi in un sibilo
-Chi è questo ragazzo?-
-Uno-
-Smettila di fare l’arrogante con me-
Francesca alzò lentamente lo sguardo su di lui, stringendo gli occhi; quella non era mai una buona cosa, aveva imparato Damiano.
Lasciò perdere il cibo e si alzò in piedi.
-Altrimenti cosa mi fai?- disse, scandendo bene le parole e pronunciandolo con strafottenza.
Anche l’altro si alzò, superandola di molto e incrociando le braccia.
Gli tremavano le labbra.
-Basta. Non puoi dirmi una cosa del genere così. Da quant’è che lo sai?-
-Due settimane. Sono al secondo mese-
-E quand’è che pensavi di dirmelo? Sono tuo padre!-
Questo era troppo, per i suoi nervi pronti a scattare. Le fiammeggiarono gli occhi quando pronunciò con tutto il disprezzo che riusciva a mettere insieme
-Tu non sei mio padre-
Damiano si immobilizzò.
Poi uno schiaffo volò in faccia alla ragazza, che però non indietreggiò.
-Come ti permetti di dire questo? Dopo tutto quello che ho fatto per te! Io ti voglio bene come se fossi mia figlia!-
-Ma io no. Forse è meglio se te ne cerchi un’altra, che ti voglia bene magari-
La situazione era degenerata.
-Lasciami in pace, Damiano-
Lo superò, ignorando tutto quello che le diceva, e uscì da quella casa. Era l’ultima volta che vi avrebbe messo piede. Quante volte aveva desiderato che un bel giorno, venisse all’orfanotrofio una coppia di signori.
L’una sarebbe stata bionda come lei, e avrebbe avuto un gran sorriso. L’uomo sarebbe stato alto, con i suoi occhi azzurri, e molto bello.
Che fantasia sciocca da bambina, pensò dandosi della stupida.
Subito dopo però, inspiegabilmente, le pungevano gli occhi, come se volesse piangere.
 
Davide aveva finito il suo turno al bar. Lei ancora non si era vista; incominciava a chiedersi che fine avesse fatto. Gli aveva detto che dopo la scuola andava al bar dove lavorava.
Ma quella mattina non si era fatta vedere. Che fosse nuovamente tutto un ridicolo scherzo?
Stava salendo le scale del suo condominio, e arrivato al suo piano, si bloccò.
-Era ora. Dove sei stato?-
Francesca stava lì, seduta a terra, col broncio sul viso e ora lo guardava.
-Potrei farti la stessa domanda- rispose lui, mentre infilava la chiave nella toppa.
La ragazza lo seguì entrando dentro.
-Hai già mangiato?-
-Sì, sì……- lei agitò una mano con fare annoiato, poi si fermò mentre andava di là.
-Posso andare di là?-
Davide fu sorpreso dalla richiesta formulata con tanta gentilezza, tanto che si accigliò.
-Ah sì, certo!- si affrettò ad aggiungere.
La guardò andare di là, e sparire nella stanza da letto.
Chissà cosa le era successo; di certo non avrebbe osato domandarglielo.
Si cucinò qualcosa di veloce, tanto non aveva molta fame.
Quella mattina, prima di andare a compiere il suo turno al bar, era passato con la macchina all’ospedale. Se non ricordava male, un suo amico gli aveva detto che si era trovato particolarmente bene con un certo ginecologo che aveva assistito la moglie. “Un tipo molto professionale, serio e disponibile”. Gli sembrava adatto.
Così, giusto per farsi un’idea, aveva domandato un appuntamento, fissato per la prossima settimana.
Ora restava un problema non meno grave, cioè dirlo a Francesca e convincerla a farsi visitare.
Pensò che fosse meglio farlo prima.
Quasi un’ora dopo, si sentiva così in pace, in quel silenzio che regnava sovrano, che si era dimenticato di avere un’ospite in casa.
Sentendola così silenziosa si insospettì e andò verso la stanza da letto.
La scena che gli si presentò lo fece leggermente stupire.
La bionda stava sdraiata sul letto girata su un fianco, gli occhi chiusi e un braccio messo sotto la testa. Che strano spettacolo, pensò lui.
Temendo di svegliarla, si ritirò di là chiudendo la luce e la porta.
Un’altra ora dopo, fatta la doccia e indossando i suoi jeans nuovissimi, stava seduto sul divano a leggere il giornale. Nemmeno si accorse che la ragazza gli era arrivata alle spalle, finché non sbadigliò e si sedette accanto a lui.
Francesca afferrò il suo zaino, e ne estrasse un libro con aria stanca.
-Buongiorno- disse lui –avevi sonno?-
-Veramente ce l’ho anche ora il sonno… è solo che dovevo farmi i compiti…-
Così dicendo aprì una pagina e iniziò a leggerla, appoggiandosi allo schienale.
Davide controllò l’orologio.
-Senti, io fra un po’ dovrei andare al bar-
-Posso stare con te? Non voglio rimanere da sola- chiese.
Aveva i capelli un po’ arruffati e le palpebre stanche; non aveva la solita aria distaccata.
-Sicura? Guarda che poi ti annoi- l’avvertì.
-Tanto poi esco con le mie amiche-
Qualche minuto dopo camminavano affiancati lungo la strada. Il ragazzo pensò fosse il momento buono per dirglielo.
-Sai, ho fissato un appuntamento per te la prossima settimana-
-Che appuntamento?- domandò lei brusca.
-Dal ginecologo-
-Tu hai fatto cosa?-
Ebbe l’impressione di non aver fatto esattamente la cosa a lei gradita.
-Quindi…… tu vuoi andare in fondo a questa storia? Ma sei sicuro?-
-Sicuro di cosa?-
-Be’- iniziò la bionda, spostando lo sguardo altrove –un bambino ti complicherebbe le cose, immagino-
-E che devo fare? Mica possiamo gettarlo in mezzo alla strada- sorrise lui, un sorriso ironico ma teso.
Cosa voleva significare quel discorso?
-Sei stato gentile ad ospitarmi- disse –ma io non voglio mica farti problemi. Se tu questo non lo accetti non c’è problema sai….-
-Ah, senti una cosa eh…- la fermò mettendole una mano sul giubbino.
-Forse ci siamo capiti male. Io non voglio farti abortire-
Francesca lo guardò strana.
Troppo strana. Quasi quasi avrebbe potuto dire stupita. Era certo che il suo cervello, sotto quella testa bionda, stesse lavorando parecchio.
-Veramente?- chiese infine.
-Veramente- ripeté.
Ricominciarono a camminare. Lui di tanto in tanto la guardava curioso; non aveva ribattuto nulla ma quella risposta sembrava l’avesse turbata.
Lei intanto rifletteva rapida. Una risposta del genere non se l’aspettava proprio.
Si morse la lingua, imprecando mentalmente.
Possibile che proprio a lei dovesse capitare uno gentile e premuroso?
Porca miseria.
 
Francesca scriveva veloce sul suo piccolo quaderno con la penna blu, seduta sullo sgabello appoggiata al bancone alto, di legno. La superficie era liscia, e un bicchiere mezzo pieno di acqua era poggiato accanto al quaderno.
Nel frattempo, nel retro una ragazza si stava guardando in uno specchietto. Per essere le sei del pomeriggio il locale era già pieno di gente; occasione per farsi dare un bel po’ di mance.
Silvia aveva già adocchiato un paio di uomini, da soli, seduti ai tavoli, e possibili dispensatori di soldi se avessero trovato una donna disponibile e sorridente. Quella donna era lei.
Si stampò sul viso un sorriso, gonfiò il piccolo petto ed entrò nel locale.
Aveva in mano un blocchetto e una penna. Volse uno sguardo alla biondina che stava scrivendo al bancone. La riconobbe come l’amichetta di Davide.
Troppa carne sui fianchi, si disse e compiaciuta di non avere quel problema, avanzò sicura nella sala.
-Ciao Davi- cinguettò allegra mentre gli passava davanti e gli diede un bacio sulla guancia. Lui arrossì impacciato e balbettò qualcosa. Lei oltrepassò il banco e si diresse ai tavoli.
Involontariamente (e come si poteva fare altrimenti?) Davide le fissò incantato il perfetto fondoschiena di cui era provvista e le belle gambe scoperte dalla gonna.
-Patetico- sibilò una voce.
-Come?-
-Sei patetico- Francesca alzò lo sguardo e lo fulminò strafottente –le hai guardato il culo tutto il tempo-
Il ragazzo arrossì e rispose qualcosa come ‘ma che ti impicci tu?’.
Lei scosse la testa e riprese a scrivere.
-E dovresti essere il padre di mio figlio- aggiunse sarcastica.
-Pensa la madre…- disse lui sottovoce.
-Cosa?-
-No niente-
Non convinta, continuò a fissarlo indispettita.
-Come si scrive ‘soprattutto’? Con tre o quattro ti?- domandò succhiandosi il cappuccio.
Davide ci pensò su.
-Quattro-
-Sicuro?-
-Boh, non lo so…- fece, perplesso; poi cercò con lo sguardo la bella cameriera che svolazzava per il locale.
-Silvia!- la chiamò –Con quante ti si scrive soprattutto?-
Lei lo guardò con un’espressione sorpresa.
-Tre- gli gridò di rimando, sorridendo.
-Che scema. Si può dire in tutti e due i modi, ignorante- commentò altezzosa la bionda.
-E allora se lo sai che cavolo chiedi a fare?- disse lui imbronciandosi e stringendosi nelle spalle, offeso per aver fatto la figura dell’ignorante. Ma che poteva farci?
Lui non era andato oltre i cinque anni della ragioneria, e se aveva ottenuto il diploma era già gran cosa.
-D’un tratto Francesca si illuminò e alzò la testa, con un sorriso poco promettente.
-è lei Silvia? Quella che chiamavi mentre…-
Ma non finì la frase perché il ragazzo le mise una mano sulla bocca.
-Non dirlo!-
-Avevo ragione! È quella che ti piace…- commentò sorridendo maliziosa e soddisfatta.
-Stai zitta! Va bene, lo ammetto…- si incurvò verso di lei, sussurrando per non farsi sentire –lei mi piace-
La bionda per tutta risposta avanzò col viso fino a toccargli la punta del naso col proprio.
Si morse un labbro.
-Ciao Davi- disse imitando la voce un po’ più bassa della mora.
-Smettila- ma intanto era arrossito.
Lei continuò ad ostentare quel sorrisetto compiaciuto che lo mandava in bestia.
Ad un certo punto chiuse il quaderno con uno scatto e balzò giù dallo sgabello.
-Esco un po’. Tanto dopo torno, quindi aspettami prima di andare a casa. Non voglio rimanere chiusa fuori di nuovo-
-D’accordo. Desidera altro, sua altezza?- domandò imbronciato lui, ancora irritato perché l’aveva preso in giro.
-No grazie. Ciao Davi-
Disse così, poi mentre stava andandosene si voltò sorridendogli maliziosa, sorriso che il ragazzo ricambiò triste. Che razza di seccatura.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La bionda stava ascoltando il motivetto intonato dalla radio mentre la macchina si parcheggiava nel grande spiazzo fuori l’ospedale.
Francesca sbuffò scocciata.
Davide spense il motore e la guardò, cosa che lei non fece, continuando testarda a guardare fuori.
-Senti è inutile che fai così, capito?- provò a mostrarsi deciso.
-Io non vado da nessuna parte- ribatté lei imperterrita.
Il ragazzo chiuse gli occhi; gli stava facendo perdere un sacco di tempo. Ormai era una settimana che si era trovato suo malgrado a convivere con la ragazza. Tuffato controvoglia in un mondo che non gli apparteneva, e ora era costretto a sopportare quel suo carattere impossibile.
Inutile dire che ci aveva provato, sul serio. Ci aveva provato a capirla.
Poteva capire che fosse turbata da tutto quello che le stava accadendo, quel bimbo che le cresceva nella pancia e la tempesta che le si era abbattuta addosso.
Ma non capiva assolutamente perché dovesse essere sempre così scontrosa.
Sempre; non l’aveva mai vista ridere.
Quando l’aveva trovata piegata in ginocchio nel bagno, tutta bianca e sporca di vomito ai lati della bocca, si era preso davvero un bello spavento.
 
-Ma cosa credevi di fare? Perché non me l’hai detto?-
-Io non devo dirti proprio nulla! Non provare ad impicciarti, capito? Sono solo fatti miei!-
I due continuarono ad urlarsi addosso finché lei non si sedette stanca sul divano, chiudendo gli occhi.
-Lasciami in pace-
 
Davide allora non sapeva se mandarla al diavolo oppure aiutarla.
Così, indeciso sul da farsi, l’aveva lasciata per davvero in pace. La sera poi, tornato dal bar e trovandola davanti alla televisione, le aveva chiesto scusa.
Ma senza ottenere risposta.
Aveva notato che il cibo che mangiavano era sempre molto scarso; ci aveva riflettuto molto, su questo. Chissà se a casa sua era abituata così. Lei non si era mai lamentata di nulla.
Non che per il resto parlassero molto, solo la sera, qualche battuta su come era andata la giornata.
Quella sera, per farsi perdonare di averla potuta offendere in qualche maniera, si era messo d’impegno e aveva preparato una bella cenetta sostanziosa, con tanto di bistecca.
Certo, un po’asciutta.
Sorrise al ricordo della sua faccia stupita, quando aveva trovato quella piccola sorpresa. Non aveva detto nulla, naturalmente, ma lui aveva colto il momento d’imbarazzo sul suo viso e di meraviglia.
Non era riuscito a capirla.
Aveva provato a sfondare la sua resistenza chiusa in tantissimi modi. Con le gentilezze, con le attenzioni, con delle parole, con le urla, ma niente.
Non aveva intenzione di stabilire un qualsiasi legame con lui.
Stava pensando di gettare la spugna.
Certo non era possibile convivere con una persona per nove mesi e non parlarsi mai. O quantomeno diventare amici.
Davide sbatteva ripetutamente la testa contro il suo muro di freddezza che lo lasciava confuso.
Ma quella volta, oltre che del suo bene, ne andava di quello del bambino.
 
Sospirò, e anche la ragazza lo sentì.
-Dai Francesca, per favore- la supplicò.
-No, non ci voglio andare-
-Questo dottore è bravissimo. Sono sicuro che ti piacerà- la invogliò.
-Non mi importa, io non mi muovo-
Lui si fece più vicino al suo viso, scavalcando il cambio.
-Ascolta, facciamo un patto-
La ragazza si voltò verso di lui, a braccia incrociate.
-Sentiamo-
-Tu vai a farti la visita. Se non ti trovi bene, ti prometto che torniamo dal dottore Martino. Ma per favore, provaci almeno, eh?-
Lo disse con tono incoraggiante e premuroso. Se non altro, non voleva mostrarsi cattivo, perché con lei non si otteneva nulla.
Francesca guardò l’ospedale davanti a sé. Fece un piccolo sospiro rassegnato.
-Ho la tua parola?-
-Promesso-
-E va bene-
Così dicendo la bionda aprì lo sportello e scese fuori, abbottonandosi il giubbino bianco.
Davide si infilò il suo verde e la condusse all’entrata. Dentro sé, era soddisfatto; almeno qualcosa aveva ottenuto con quella testa dura.
La ragazza, infilandosi le mani nelle tasche, camminava con aria annoiata.
Non era del tutto convinta di aver fatto bene, d’altra parte però, essendo quello un ospedale più grande e con molte più possibilità rispetto alla piccola clinica, c’era probabilità che trovasse quello che cercava.
E avrebbe tenuto buono quel buffo ragazzo.
Insieme si infilarono nell’ascensore, lei dondolandosi avanti e indietro, lui con le mani in tasca.
La osservava triste, con la testa piegata di lato.
Desiderava tanto riuscire a capirla, a saperla prendere per il verso giusto. Ma non ne era capace, e lei non lo aiutava di certo.
L’ascensore si fermò al piano dove erano situati gli ambulatori di ginecologia, fisiologia, neonatologia e ortopedia.
Passarono il reparto di ortopedia e seguendo le indicazioni arrivarono a quello che cercavano.
La saletta d’attesa prima dello studio del dottore era occupata da una donna, un’anziana e infine una ragazza con un prominente pancione.
Incuriosita da quella visione, Francesca la guardò un po’ meglio. Non poteva avere che due anni in più di lei. Mordicchiandosi il labbro, continuò a fissarla.
-Allora?-
La voce del ragazzo la richiamò al presente. Subito distolse lo sguardo e gli disse, con tono totalmente diverso da quello che aveva prima
-Senti, ho un po’ di fame. Mi compri qualcosa da mangiare?-
-Ancora? Hai ancora fame?-
-Per favore, Davi- strinse un po’ gli occhi e alzò le spalle.
Lui sbuffò ma acconsentì a prenderle qualcosa al distributore, allontanandosi dal reparto.
Soddisfatta, la bionda si sedette accanto alla ragazza col pancione.
Lei, annoiata e distaccata, masticava una chewing-gum alla fragola, a giudicare dall’odore.
-Ciao- esordì la più piccola, tentando di attaccare bottone.
-Ciao- rispose quella, senza guardarla.
Francesca osservò la porta dove probabilmente era lo studio del dottore.
-Conosci questo dottore?-
-è la quinta volta che vengo qui-
-Cioè? Sei al quinto mese?-
-Ottavo. Ad aprile dovrei partorire-
Lei le osservò il prominente pancione, quasi disgustata. Anche lei avrebbe avuto tutta quella ciccia fra qualche mese?
E pensare che aveva sempre avuto un bel fisichetto magro.
Spalle piccole, statura non molto alta e fianchi ben ondulati.
L’altra ragazza parve capire cosa pensava la bionda e disse, sorridendo ironica
-Non ti preoccupare. Dopo un po’ ti abitui a vederti così allo specchio-
-Non credo che ci riuscirò mai- commentò lei.
L’altra, che sfoggiava una bella capigliatura corta e mora, ghignò e chiese
-A che mese sei?-
-Quasi al terzo e già non ne posso più. Vomito dappertutto, e mi scassa le pa**e andare ogni mese a farmi prendere il sangue. Mi sento tutta rincog*****ta-
La mora rise.
-Con chi è successo?- domandò.
-Con quel ragazzo lì- rispose indicando col capo il corridoio dal quale era sparito Davide.
-Quello alto che ti ha accompagnato?-
-Sì-
-Carino- commentò con un sorrisetto.
-è uno stupido sfigato- decretò sicura e acida la bionda.
-A me non sembra male. Se vedessi il mio…-
-Non è peggio del mio, credimi-
La mora alzò la testa verso un uomo panciuto che stava discutendo dall’altro capo della stanza con una dottoressa.
Francesca lo guardò e storse il naso.
-Il tuo almeno è giovane, carino e gentile. Il mio è vecchio e rozzo-
-Forse hai ragione tu…- acconsentì la ragazza.
In effetti, si disse, se le fosse capitato un tipo come quello a far da padre a quella “cosa” che teneva nella pancia, ci sarebbe stato da suicidarsi.
-Come resisti?- domandò alla mora.
Lei alzò le spalle.
-Il bimbo è tutto quello che mi interessa. Non vedo l’ora che nasca, così lo lascio davvero quello lì-
-E allora perché non lo lasci adesso, scusa?- domandò curiosa.
-Per il tuo stesso motivo- rispose la mora, sorridendo perfida.
La bionda sorrise a sua volta, complice dell’altra.
-Comunque se non ti interessa proprio, posso farci un pensierino?-
-Non ti conviene, se non vuoi avere il bis. Pare che i suoi spermatozoi siano parecchio scattanti-
La mora ridacchiò, infilandosi la cicca fra i denti e gonfiandola formando un palloncino che poi scoppiò.
-Ti trovi bene con questo dottore?- chiese.
-A dir la verità questa è la prima vista che faccio- confessò l’altra.
-è il ginecologo più bravo della città. Per farmi portare qui ho combattuto un sacco di tempo-
-A me andava benissimo quello di prima. È lui che ha voluto cambiarlo-
La ragazza dai capelli bruni fece un sorriso.
-Dovresti essere contenta allora. Non è che costi proprio poco qui, eh?-
-Fatti suoi- ribatté aspra Francesca –Io non ci volevo venire-
-Sei fortunata, tu- commentò con un velo di malinconia ben celata l’altra.
Allo sguardo interrogativo che le rivolse la bionda proseguì, sicura delle sue parole.
-Almeno lui ci prova, a fare il buon papà-
Su questa affermazione cadde un silenzio, scandito solo dal rumore della gomma che stava masticando al ragazza mora. Francesca rifletté su quello che le aveva appena detto.
Ricordò, fra le altre cose, una bella cenetta preparata con cura, forse per scusarsi.
Poi lo vide ritornare, a testa bassa che contava le monete, col giubbino verde sbottonato.
Gli angoli delle labbra le si incurvarono di un millimetro.
Davide si gettò, stanco, sulla sedia affianco alla bionda.
-Salve, uomo dagli spermatozoi scattanti- lo salutò con un ghigno la ragazza.
Lui si limitò a gettarle sulla pancia la merendina che le aveva preso, mormorando
-Zitta e mangia-
Poi appoggiò il capo contro il muro, chiudendo gli occhi, assonnato.
Nel frattempo era arrivato il turno della ragazza mora col pancione.
-Muoviti, tocca a te-
Lei e l’uomo adulto con una pancia quasi più prominente della ragazza sparirono dietro la porta.
Erano da soli nella saletta. Lei avvertiva un minuscolo senso di rimorso farsi strada dentro di sé.
Il ragazzo stava dormendo alla tesa, o quasi, perché la bionda sentiva il suo respiro ancora abbastanza presente.
Con un dito gli spinse il torace per farlo svegliare.
Lui aprì un occhio.
-Non dirmi che non ti piace, sai? Vattela a prendere tu una- disse, chiudendo nuovamente la palpebra.
Lei voleva farsi perdonare, sul serio, ma naturalmente alla sua maniera.
-Sto morendo di fame. Speriamo che si sbrighi- commentò lui.
La ragazza fissò la merendina fra le sue mani.
Poi guardò lui.
-Se vuoi ti do la mia-
Davide aprì nuovamente un occhio.
-Dov’è la fregatura?- domandò.
-Devi guadagnartela, la mia merendina- continuò la bionda con un ghigno stampato sulla faccia.
Lui alzò un sopracciglio, perplesso e sorpreso. Cos’era ora tutta quella confidenza?
Però aveva davvero fame, e magari quella sarebbe stata un’occasione per avanzare di un punto nella scaletta che indicava il loro grado di amicizia.
-Cosa devo fare?-
-Se mi tieni la mano per più di venti secondi, hai vinto-
Sempre più meravigliato del fatto che avesse preso in mano la conversazione, non per urlargli contro, il ragazzo pensò che non sarebbe stato gentile rifiutare quello strano tentativo di comunicazione.
Così stendette la mano a palmo aperto verso di lei.
Francesca fece scorrere la sua sul suo avambraccio fino ad intrecciare le dita fra le sue.
Ha le mani sudate, pensò lui.
Passarono circa tre secondi prima che si rendesse conto delle vere intenzioni della ragazzina.
La bionda infatti lo guardò innocente negli occhi, e mentre le spuntava un sorrisetto sul volto, strinse forte la mano attorno alla sua.
Dannazione, imprecò lui.
Davide ricambiò la stretta forte, deciso a non farla vincere così facilmente.
Ma lei inarcò le dita e grattò sulla sua pelle con le unghie.
Ora aveva capito il trucco.
-Str***a- sibilò divertito lui.
Lei invece di irritarsi, contro ogni sua aspettativa gli sorrise, un sorriso di sfida che lui ricambiò.
Il ragazzo sfregò forte il suo pollice privo di unghie contro il dorso morbido e piccolo della mano di lei, facendo pressione per indurla ad allentare la stretta.
Cercava di divincolarsi con le altre dita, ma la bionda lo teneva imprigionato.
Il medio e l’indice della ragazza lo graffiarono talmente forte che alcuni tratti si fecero rossi, togliendosi la pelle.
-Così non vale però- mormorò lui.
La ragazza si morse un labbro, la bocca stesa in un mezzo sorriso.
Continuarono così per circa venti secondi.
Davide, ormai preso da quel gioco e non intenzionato a smettere il contatto, invece di fare forza contro la sua pelle chiara, prese a muoversi contro la sua mano in maniera dolce.
Lei sobbalzò e per tutta risposta strinse ancora con più veemenza le unghie, ma non era sufficiente per farlo smettere.
Ad un tratto lui sciolse le loro dita intrecciate, scivolando via.
-Ho vinto, testa dura-
Francesca rise un po’, facendosi rossa in viso. Quando accadde quello, Davide smise il sorriso e la guardò stranito, incredulo.
-Hai riso- commentò.
La bionda distolse lo sguardo per non dargli la soddisfazione, ma spezzò a metà la sua merenda.
Lui l’accettò in silenzio, compiaciuto di quel momento passato in maniera rilassata e complice. Era soddisfatto di aver compiuto un passo avanti, e non aveva intenzione di rovinare tutto parlando troppo e rischiando di tornare al punto di prima.
Nel frattempo si guardò la mano, tutta piena di graffi sul dorso e dalla quale colava una strisciolina di sangue.
Sorrise mentre lo faceva e mangiava la sua parte, pensando a cosa significasse davvero quella mano graffiata.
 
Francesca si affiancò al lettino, vestita solo di una camicia da notte bianca. Tremava di freddo sotto l’indumento e certo il corpo piccolino che aveva non l’aiutava.
Il dottore aveva chiamato l’infermiera, pregandola di accendere la macchina che si trovava accanto a lui.
Sorridendole incoraggiante, le disse di sdraiarsi.
La ragazza si issò sopra il letto, per poi sdraiarsi più comoda che poteva. Incrociò lo sguardo del dottore, e riluttante aprì un poco le gambe.
Sentì uno sbuffo divertito, e intuendone la provenienza alzò lo sguardo rabbiosa verso il ragazzo che stava in disparte, appoggiato al muro della stanza.
L’occhiata omicida che gli lanciò bastò a farlo zittire.
Davide la osservò.
Mentre il dottore e l’infermiera azionavano la macchina lei li osservava imbronciata. Sapeva che non voleva sottoporsi all’esame.
D’un tratto i loro occhi si incrociarono e lui fece un piccolo sorriso che voleva essere d’incoraggiamento.
Lei lo interpretò male e scosse la testa.
Aveva pagato a caro prezzo il fatto di averla battuta prima.
-Allora, Francesca- cominciò il dottore avvicinandosi a lei con la sedia –è la prima volta che fai questo esame?-
La bionda annuì, stavolta meno sicura.
-Non c’è assolutamente nulla di cui aver paura, tranquilla. Non ti farò niente-
-Io non ho paura- si affrettò a precisare la ragazzina.
Davide alzò gli occhi al cielo, rassegnato.
-Bene, ne ero convinto. Ora, sdraiati……-
Titubante, la ragazza si stese sullo scomodo materasso mentre il dottore le alzava la maglietta dal ventre.
-Sentirai solo un po’ di freddo- la rassicurò.
Francesca si morse un labbro. Il cuore le batteva forte mentre il dottore le scopriva la pancia, ancora piatta.
Si impose di non tremare, perché avrebbe rivelato la sua agitazione, e fece un bel respiro, rilassando i muscoli.
Il dottore intinse la mano in un barattolo e le spalmò sulla pancia un liquido denso. Sobbalzò un po’ per il freddo, ma diede uno sguardo al dottore per fargli capire che poteva continuare.
Lui le stese il gel su tutta la superficie della pancia, ma lentamente per non farla preoccupare.
Quando ebbe finito, l’infermiera gli porse uno strumento provvisto di una estremità lunga.
Davide, curioso, si avvicinò di più alla scena.
-Non provare a guardarmi- sibilò piano la ragazza al suo indirizzo.
Fu costretto a tornare alla sua postazione, ma era curioso di vedere cosa sarebbe comparso sullo schermo.
La sonda si impuntò sulla pancia della ragazza, per poi spostarsi a destra e a sinistra; lei irrigidì il ventre al contatto con lo strumento.
-No, no, devi stare rilassata- disse il dottore, gettando uno sguardo allo schermo.
Come cavolo faceva, con un coso che le si ficcava nella pancia? Pensò rabbiosa lei.
Lo schermo lampeggiò e comparve una figura. Davide scavalcò il limite che la ragazza aveva imposto, disinteressandosi di lei e guardando lo schermo.
-Ecco, ora si vede- il dottore indicò col dito lo schermo.
Francesca non si girò nemmeno per vedere; invece sembrava molto più presa dalla faccia che aveva il ragazzo.
-Ah sì, si vede!- fece ad un tratto lui.
-Esatto, vedi? Questa è la pancia, e questo nero… nel mezzo, è il bambino. Cioè, ora è ancora in stato embrionale, però…-
-Guarda- la invogliò il ragazzo, ma la bionda annoiata disse
-Ho già visto-
Anche se non era vero.
Finita la visita, i due camminavano verso la macchina fianco a fianco. Notando la sua espressione un po’ triste, le domandò
-Cos’hai? Non sei contenta? Il bimbo cresce normalmente, ha detto il dottore-
Lei alzò le spalle.
-Immagino di sì. Comunque voglio tornarci, da questo dottore-
Lui la osservò alzando stupito un sopracciglio; era la seconda volta che lo ascoltava, in quella giornata.
-Davvero?-
-Sì-
Alzò la testa verso la macchina alla quale erano arrivati.
-Beh, che aspetti?-
Il ragazzo aprì gli sportelli e vi si infilò dentro.
Non riusciva a crederci, ma, come aveva imparato, era meglio stare zitto e incassare la vittoria in silenzio.




Grazie a tutti i coloro che hanno messo la storia nei preferiti, e ringrazio Nells che ha recensito. Mi fa piacere che trovi la mia storia 'interessante e coinvolgente' e che apprezzi il mio modo di scrivere.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quella sera, piuttosto calda per essere in aprile, la tv dava un programma, una specie di reality show, e la bionda stava sdraiata sul lungo divano nero guardando più o meno interessata lo schermo.
D’improvviso storse il naso, voltandosi su un fianco e mugugnando qualcosa. Aveva avuto un’improvvisa fitta alla pancia.
Era sola in casa, perché Davide aveva il turno al bar, ed erano due ora che passava il tempo guardando la televisione.
Si lasciò andare sui sedili, prendendo a giocare con un orecchino; cosa che presto la stancò.
Andò in cucina, cercando qualcosa che soddisfacesse la sua fame. Davide le aveva espressamente detto di non toccare nulla che fosse nel frigo. Ma quei cioccolatini fondenti che aveva appena trovato non erano nel frigo, si disse. Teoricamente non faceva nulla di male.
Era sera ormai quando l’ultimo cioccolatino sparì giù per l’esofago della ragazza, che tornò a sdraiarsi con aria annoiata sul divano.
D’un tratto sentì suonare il campanello.
Perplessa, si alzò dalla sua rilassata postazione; non poteva essere lui perché si era portato le chiavi.
Aspettò per vedere se avessero suonato ancora. Così accadde, e un nuovo suono secco e penetrante invase l’aria apatica dell’appartamento.
Si alzò lentamente in piedi, e accigliata andò verso la porta. Sentì dall’altra parte il respiro e la presenza di una persona, e guardando nello spioncino riconobbe la sagoma di una donna.
Oh la miseria. Sobbalzò e rimase lì dietro, in attesa che se ne andasse. Continuava di tanto in tanto a osservarne i movimenti finché la donna fuori dalla porta non estrasse dalla borsa un cellulare e fece un numero.
La tasca di Davide vibrò facendolo trasalire. Dopo aver servito ai ragazzi davanti al bancone quello che avevano ordinato, si appartò nel retro ed estrasse il vecchio cellulare.
Leggendo il numero imprecò fra i denti.
Poi incerto, rispose.
-Perché non apri la porta?-
-Non sono a casa, ma’-
-Sicuro?-
-Certo, sto al bar-
-Ah giusto! Che testa, cominciavo a preoccuparmi! Tanto da qualche parte qui dovrei avere le chiavi. Allora non ti dispiace se ti faccio trovare la cena pronta?-
-No, no… ci vediamo fra poco-
Chiuse la conversazione. Poi fu un lampo, un’intuizione. Ma non aveva molto tempo.
Fece velocissimo il suo numero e pregò che rispondesse in fretta.
Francesca sentì il rumore delle cose che sbattevano nella borsa della donna, probabilmente alla ricerca delle chiavi. Si preoccupò: chi era, e soprattutto che voleva?
Dannazione, proprio quando lui non era in casa!
La suoneria iniziò a squillare e spaventata che potesse sentirsi anche fuori dalla porta, afferrò subito il telefono e schiacciò tasti a caso, pur di farlo smettere. Nel frattempo un rumore metallico dall’altra parte e una mano che si appoggiava alla porta.
Chiunque fosse quella, stava per entrare.
Non si accorse che aveva risposto alla chiamata finché non le arrivò una voce stizzita e profonda dall’altro capo.
Subito indietreggiò verso il salotto, rispondendo.
-Qualunque cosa tu stia facendo, nasconditi, ti prego-
La bionda non fece domande, ma si limitò a dire
-Guarda che qui fuori c’è una donna!-
La porta, mentre diceva questo, si aprì con uno scatto.
-Ca**o e sta entrando!- sussurrò con veemenza.
-Nasconditi, se ti fai trovare ti ammazzo!-
Francesca chiuse il cellulare e subito, cercando di non far pesare il suo passo sul pavimento liscio, saltò il divanetto e si precipitò nella stanza da letto.
La donna entrata avanzò nell’ingresso e dal rumore frusciante che sentì, la ragazza pensò che avesse delle buste di plastica con sé.
Si mise dietro la porta della stanza, in ascolto, finché il rumore di passi che si avvicinavano non la fecero sobbalzare.
L’avrebbe  trovata sicuramente in quella posizione. Rotolò velocemente sul letto, scostando le coperte fino a gettarsi dall’altra parte del letto. E proprio in quel momento, la donna entrò nella stanza. La prima cosa che fece vedendo il letto che la ragazza aveva appena disfatto, fu di congiungere le mani e farle oscillare, esasperata.
-Mio figlio non ha proprio il senso dell’ordine- sospirò, e incominciò a stendere le pieghe che aveva fatto con le mani esperte.
Francesca, nascosta dall’altra parte, si rannicchiò e intanto elaborò nuovamente quella frase in mente.
“Mio figlio”. Non appena comprese il senso di quella parole, ebbe una tremenda e incontrollabile voglia di ridere.
Quella era sua madre.
Si morse il labbro per non farsi sfuggire un risolino.
Aspettò paziente che la donna finisse di sistemare il copriletto, poi quando uscì dalla stanza, probabilmente diretta in cucina, si alzò.
Sbirciò dalla porta, e constatando che non c’era nessuno in salotto, piano piano arrivò al portone e altrettanto cauta lo aprì.
Quando poi fu fuori, nelle scale, si premurò di non farlo sbattere.
 
Si sedette a terra, giocando col telefono, finché dei passi affrettati che risuonavano nell’ingresso e provenivano dalle scale del palazzo la informarono dell’arrivo di Davide.
Preparandosi le battute, si alzò e si mostrò sorridente quando lo vide comparire dall’ultima rampa, senza fiato.
Lui si appoggiò sulle ginocchia, riprendendo fiato.
La bionda, con un sorrisetto, gli si avvicinò.
-Hai fatto presto- commentò.
-Ti ha visto?-
-No. Che tragedia per la mammina scoprire che il caro figliolo ha le ragazzine in casa-
Dopodiché non si trattenne e si mise a ridere, gettando la testa bionda un po’ all’indietro.
-E io che pensavo fosse chissà chi!- rise, indicandolo con un dito divertita –Pensavo fosse la tua ex, o la tua amante, e… e invece è tua madre!-
Davide si strinse corrucciato nelle spalle.
-Beh e allora?- fece.
Lei sorrise, un sorriso che non gli aveva mai visto addosso, e si avvicinò al suo viso.
Con due dita gli pizzicò la guancia, scherzosa.
-Cocco di mamma!- disse, tirandogliela.
Il ragazzo si allontanò, respingendola.
-Ascolta, ci sta preparando la cena. Promettimi una cosa- disse, facendosi serio.
-Dimmi pure-
Si affiancarono davanti al nero portone.
-Prometti che ti comporterai bene e da persona educata. Capito?-
Lei alzò un sopracciglio.
-Vuoi fare bella figura?-
-Guarda che non scherzo. Niente parolacce e niente musi da bambina-
-Io non faccio nessun muso da bambina- ribatté alzando un po’ la voce.
-Prometti?-
-Uff, sì, prometto! Che sarà mai….?-
-Sarà mia madre, e io le voglio bene. Tu alla tua non gliene vuoi?-
Francesca perse di colpo tutta la strafottenza e l’aria compiaciuta che aveva prima, rabbuiandosi.
-Sì, certo- mormorò, distogliendo lo sguardo.
Davide se ne accorse, ma preferì non insistere. Avendo ormai imparato che la ragazzina era peggio di una fiammella in una tanica di benzina, estremamente litigiosa e pronta subito ad infiammarsi, non era saggio farla infervorare quando subito dopo avrebbe dovuto presentarla a sua madre.
Trasse un gran respiro e infilò la chiave nella toppa.
La porta si aprì, e prima che cambiasse idea, lui afferrò il polso della bionda e se la tirò dietro.
-Ciao ma’- esordì.
A Francesca scappò un sorrisetto, ma fu demolito dall’occhiata truce del ragazzo.
La donna spuntò fuori dalla cucina con un bel sorriso.
-Appena in tempo, è quasi pronto!- disse, poi i suoi occhi andarono a posarsi interrogativi sulla ragazzina che stava alle spalle del figlio.
-Lei è una mia amica, e stasera ho pensato che poteva mangiare qui. I suoi sono fuori casa-
La madre del ragazzo rimediò subito alla sorpresa, rivolgendole un sorriso gentile.
-Certo, come no! Meno male che avevo comprato più pasta, allora!-
Poi tornò in cucina.
Lui sospirò, infilandosi le mani in tasca e sedendosi sul divano. Lei si avvicinò, incerta e gli rivolse uno sguardo.
Davide la guardò compiaciuto, e con il capo le indicò la cucina.
-Vai- le sussurrò.
Gli occhi celesti della bionda si strinsero e scosse il capo.
-Muoviti, dai- ripeté indifferente al suo disagio.
-Come preferite la pasta? Corta o lunga?-
La ragazzina scosse più forte il capo e lui fu costretto ad alzarsi e darle una spintarella.
Una volte comparsa sulla soglia, non poteva tirarsi indietro.
Il ragazzo tornò a sedersi soddisfatto. In un modo o nell’altro, doveva pur prendersi una rivincita.
Francesca sentì su di sé lo sguardo attento della donna, e impacciata balbettò
-è la stessa cosa, per me va bene tutto-
Sospirò e fu costretta a sedersi ad uno sgabello, simile a quelli che c’erano nel bar dove lavorava Davide, sotto gli occhi verde-nocciola della donna.
Non aveva idea di cosa dire e non sopportava quel silenzio che regnava, rotto dal rumore delle pentole e del vapore.
D’un tratto la signora aprì un barattolo di vetro contenente del sugo, e il profumo di questo si irradiò inevitabilmente nelle narici della ragazza.
Si dirizzò a sedere composta, osservando il sugo colare nella pentola.
-Cos’è che fa un odore così buono?- domandò senza accorgersene.
-è il sugo di peperoni con insieme melanzane tagliate a quadretti e prezzemolo- spiegò la donna, finendo di versarlo tutto.
-Sembra buonissimo- commentò, ispirando ancora una volta quel buonissimo odore che proveniva dal barattolo.
-Ti ringrazio- la donna accese il fuoco –l’ho fatto io-
Stupita e incuriosita sinceramente, la bionda si sporse per osservare tutte le fasi di cottura di quel pranzo fantastico, coordinato dalle esperte mani della donna. Chissà quante volte l’aveva fatto.
Aveva sempre desiderato imparare a cucinare qualcosa. Ma purtroppo, chi poteva farle da insegnante? Damiano?
Anche se ne avesse avuto la voglia non ci sarebbe stato certo il tempo, e poi lei non avrebbe mai accettato di farsi aiutare da chi si spacciava per suo padre.
Con la sua amica avevano solo provato a fare una torta, e fra risate e dosi sbagliate quello che ne era uscito fuori non era proprio meritevole di un premio alla cucina.
-Mi passi la pasta per favore?- domandò gentile la signora, indicando le buste posate sul tavolo.
La ragazzina scivolò giù dallo sgabello e andò a cercare fra le buste. Prese in mano le scatole contenenti gli spaghetti e li porse alla signora. La sua attenzione fu poi catturata da un busta lucida e piccola poggiata sul tavolo.
Sbirciò senza farsi notare il titolo e senza volerlo, come se ne fosse attirata da una calamita, lo sfilò via dalla busta.
Sbalordita, guardò il libro, lo girò e ne lesse la citazione sul retro.
Era un libro di medicina, più precisamente trattava un unico e ampio argomento.
La gravidanza.
La donna si accorse che lo stava fissando interessata e disse
-Quel libro me l’ha chiesto una mia amica-
Francesca sobbalzò e divenne tutta rossa d’un colpo. Allontanò la mano dal libro come se avesse preso la scossa.
-Che poi, chissà a che gli servirà mai…- proseguì lei.
La bionda tossicchiò un poco, per schiarirsi la gola.
-Puoi leggerlo, se vuoi-
Aveva colto nel segno.
La ragazzina abbassò lo sguardo imbarazzata, balbettando
-No, è che…… mi sembrava che ce l’avesse anche mia madre quel libro-
-Non mi stupirebbe. Ma avevo intenzione di lasciarlo qui-
Lei alzò gli occhi azzurri sulla donna che la guardava come se avesse perfettamente intuito il suo pensiero.
-Puoi prendertelo, tanto a me non serve più- concluse.
-Davvero?- domandò incredula la bionda.
-Davvero. Alla mia amica ne darò un altro, anzi è meglio comprarglielo nuovo. Avrebbe dovuto essere un regalo, ma con questa crisi è meglio risparmiare su tutto. In ogni caso, puoi prenderlo se ti va-
Francesca fece scivolare le mani attorno alla copertina rossa del libro, studiandolo.
-Grazie-
Davide era comparso sulla soglia, incredulo dopo aver ascoltato quello scambio di battute.
Due ore dopo la signora oltrepassò il portone salutando il figlio e la ragazza bionda. In quelle due ore Francesca aveva imparato che Davide quando era piccolo voleva fare il poliziotto, che la sua sorellina aveva la stessa età di lei, che non bisognava esagerare con il prezzemolo e che era un vero peccato che lui lavorasse in un bar dopo cinque anni di studio.
Era stata infilata a forza nei pettegolezzi di famiglia per poi scoprire che un loro lontano parente abitava in Australia, che l’appartamento posseduto dal ragazzo era stato lasciato in eredità dallo zio, e che per scegliere l’arredamento si erano fatti aiutare dalla sorella.
-Tua sorella ha davvero molto buon gusto- commentò lei, andando verso la camera da letto.
Lui non rispose, ma la seguì; arrivato davanti alla porta si arrestò e la chiuse, dato che probabilmente si stava cambiando.
Gli venne in mente una cosa.
-Ti è piaciuta mia madre?-
-Sì, tantissimo- rispose lei, la voce soffocata dalla porta che era chiusa.
-E la tua, quando me la fai conoscere?-
Non ottenne nessuna risposta; chiedendo il permesso, e ottenendolo, entrò nella stanza con già il pigiama addosso.
La ragazza si sedette sul bordo del letto a fianco delle tende, senza dargli lo sguardo.
Davide si infilò sotto le coperte.
-Allora?-
-Allora che?-
-Me la farai conoscere tua madre?- incalzò.
Francesca non voleva guardarlo negli occhi perché era certa che se lo avesse fatto si sarebbe in qualche modo tradita. Ed era l’ultima cosa che voleva.
-Non fare domande cretine- disse, girandosi sotto le coperte dalla sua parte.
Incrociò il suo sguardo perplesso.
-Tua madre non sa nemmeno chi è il padre del suo nipotino?- provò a sorridere.
Ma fu un errore, un grossissimo errore.
La bionda inarcò entrambe le sopracciglia e sibilò
-Tu non devi provare ad entrare nella mia vita. Non sono affari che ti riguardano-
Detto questo si voltò dall’altra parte, scontrosa. Serrò le palpebre, determinata a prendere sonno.
Un’ultima cosa le rimase sulla lingua e non tardò a gettarla fuori.
-E poi non sarebbe felice del padre. Uno sfigato che si fa preparare la cena dalla madre- sogghignò perfida, certa di avergli fatto male.
Così fu, perché il ragazzo si rabbuiò; anche lui si girò dall’altra parte, imbronciato e chiuse gli occhi.
-Stro**a- disse al nulla, quando ormai lei si era addormentata.
 
Francesca seguiva senza interesse l’interrogazione noiosa del suo compagno di classe, ignara di quello che stava avvenendo alle sue spalle.
Arianna era alta, coi capelli scuri e abbastanza grossa, come corporatura, ed in quel momento aveva in mano un foglietto.
La sua penna, a righe verdi e bianche, scorreva sulla carta con una scrittura rotonda e pulita.
Appena ebbe finito, attenta a non farsi vedere, lanciò la carta sul banco che aveva davanti.
La bionda, con la testa rintronata e posata inerte sulle braccia, sdraiata sul banco come se con la forza dell’immaginazione quello si potesse trasformare in un letto, non colse subito che era destinata a lei.
In realtà vide la cartuccia che era piovuta sul suo banco, ma non si diede pena di aprirla.
La ragazza del banco dietro, notandolo, le diede una pizzicata al fianco che la fece star dritta.
-Che c’è?- bisbigliò assonnata.
L’altra indicò la carta.
Francesca tornò alla sua posizione pigra e prese fra le mani la carta, dispiegandola sul banco.
Lesse le parole che erano impresse sul biglietto.
“è vero che aspetti un bambino?”.
Non appena l’ebbe letto, si accigliò preoccupata e l’ansia iniziò a farsi sentire.
Cosa ne sapeva lei di quello? Chi gliel’aveva detto?
Subito lo sguardo le andò verso la sua compagna, Paola, che stava scarabocchiando sul diario; era l’unica alla quale avesse confidato quel suo segreto intimo e personale.
Socchiuse gli occhi, come quando era arrabbiata, ma preferì esserne sicura.
Scrisse la risposta.
“Non dire cavolate” e rimandò indietro il biglietto.
In attesa di una risposta che le rivelasse chi era la traditrice, spostò lo sguardo a destra. La fila di banchi era occupata da quattro ragazzi che annoiati giocavano ai cellulari o guardavano filmati compromettenti di nascosto dai professori, e due ragazze che chiacchieravano sottovoce.
D’un tratto una di loro ricambiò il suo sguardo e le fece un gran sorriso. Il che non era un buon auspicio, no, per niente.
Il bigliettino tornò alla bionda con la risposta di Arianna.
“Guarda che non c’è niente di cui vergognarsi”.
La storia era ormai chiara; se lei si azzardava a fare queste considerazioni, non era semplicemente un pettegolezzo detto per parlare male, ma era qualcosa che avevano potuto confermare. Ma brave, sparlate di me, eh?, pensò, infiammandosi.
“Ma chi ti ha detto una sciocchezza simile?”.
Lo rimandò, facendolo passare sotto il banco, alla bruna.
Era preoccupata della risposta; l’unica che poteva confermare che aspettasse un bimbo era solo ed esclusivamente Paola, ma Francesca non voleva credere che dopo tutti quegli anni di amicizia lei avrebbe potuto diffamarla così.
La risposta non si fece attendere.
“Elena giura che ti ha visto con un ragazzo più grande, che vivi a casa sua, e che ci stai perché aspetti un bambino!”. La bionda impallidì, anzi, si fece rossa di rabbia.
Come giustamente aveva pensato, non poteva esser stata Paola. No, era lei, la stupida pettegola.
Si voltò a destra a guardare la ragazza che prima le aveva fatto un gran sorriso; quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente lei rifece lo stesso sorriso finto che le aveva rivolto l’altra prima.
Gliel’avrebbe fatta pagare, oh sì.
In quel momento, a metà della sesta ora, il cellulare le vibrò. Lo estrasse e nascondendolo sotto il banco lesse il messaggio che le era arrivato.
“Non posso tornare a casa a pranzo. Ti ho lasciato la copia delle chiavi sotto lo zerbino, e anche se non ci vai prendile lo stesso”.
Bene, grazie sfigato, si disse in mente.
“Ok” digitò, e lo infilò nuovamente in tasca.
Stette a riflettere mentre la professoressa spiegava qualcosa di non definito, ma certamente con delle proprietà soporifere incredibili.
Certa che non avrebbe passato guai, si sporse a destra.
-Ele?- la chiamò.
La ragazza si voltò, sorpresa.
-Che?-
-Ti va di venire a mangiare a casa mia dopo?-
L’altra fece una faccia incredula, ma annuì convinta.
-Magari ci trovo quel figo di tuo padre- sorrise.
-No, lui non c’è. Non c’è nessuno-
Ritornò alla sua posizione appena in tempo per non venire sgridata, e congiunse le mani.
Sul volto le scappò un ghigno cattivo, e soddisfatta si morse il labbro.
Un’ora dopo, le due ragazze, zaino in spalla e aria affamata, salirono le scale del palazzo. Francesca sperò tanto che il ragazzo non avesse deciso all’ultimo momento di tornare, perché anche se era sua intenzione farle un piacere, l’avrebbe solo intralciata.
Arrivate all’ultimo piano, dove c’erano solo due appartamenti, la bionda si chinò a terra, scostando lo zerbino, e trovò il mazzo di chiavi di riserva.
Lo prese, facendolo tintinnare, e nel frattempo inviò un messaggio.
“Ho trovato le chiavi”.
Nel frattempo aprì la porta, spalancando alla vista dell’altra quel bell’appartamento.
Veronica avanzò a bocca aperta, guardandosi intorno beandosi dei bei colori esotici che aveva la casa.
-Bellissima! Ma sul serio vivi qua?-
La bionda chiuse forte il portone, e sentì la tasca vibrare.
Si tolse il giubbino, gettandolo sul divano e lo lesse.
“Se hai fame c’è l’insalata di riso”.
Stupita, si precipitò in cucina e vide davvero una ciotola grande ricoperta da una pellicola. Però… conveniva vivere con uno sfigato, si disse.
Veronica la seguì nella cucina, e insieme si mangiarono più che una bella metà di quella insalata. Francesca continuava a fissare l’altra, come se volesse coglierla in flagrante.
Parlarono del più e del meno, finché non si fecero le quattro ed Elena non si rese conto che era ora di andarsene. Mentre si abbottonava il giubbino, Francesca strinse gli occhi e si decise.
-Cosa andrai a raccontare ora?-
-Come scusa?- domandò l’altra, perplessa.
-Oltre al fatto che sono incinta, dirai che vivo in casa da sola e che pago l’affitto prostituendomi?-
Elena la fissò stranita, e tentò un sorriso per sdrammatizzare, ma non rispose. Come per Davide la notte scorsa, quello fu un errore anche per lei perché la bionda andò fuori dai gangheri.
-Perché hai detto ad Arianna che aspetto un bambino?-
-Io? Ma che dici?-
-Dico, dico! E che sarebbe questa storia che mi hai visto con un ragazzo più grande?-
Elena incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio.
-Non so di che tu stia parlando e se è uno scherzo è di pessimo gusto-
Questo funse da demolitore per l’ultima briciola di calma che aveva la bionda. Subito le afferrò un polso e lo tirò in alto.
-Lo so che ti fai il mio ex, cosa credi?- disse rabbiosa.
-E allora? Che, è vietato?-
-No, non è vietato. Ma non mi va che tu vada a dire in giro ca**ate su di me, capito?-
L’altra cercò di divincolarsi ma la presa della bionda era troppo forte.
-E poi non sono manco bugie! Me l’ha detto Bruno che vi siete lasciati perché aspetti un bambino!-
D’un colpo lei le lasciò il polso. Ecco da dove proveniva tutto. Era stato quella sottospecie di animale a cominciare il giro.
Rifletté rapida, e poi sorrise cattiva.
-Se tu vai in giro a dire tutto questo, io dirò a Manuela che sei stata tu a farla lasciare col suo ragazzo-
-Manuela è la mia migliore amica, non ti crederà mai!-
-Ma io ho le prove, ho la foto tua e di Daniele che vi baciate. Ma ce l’hai di vizio, di farti i ragazzi delle altre?-
Stettero a squadrarsi per un po’, in silenzio, poi si sentì la serratura scattare.
Davide comparve sulla soglia e si fermò a metà strada, notando le due ragazze.
-Ciao- disse la bionda per rompere il silenzio.
Il ragazzo spostò interrogativo lo sguardo sull’altra, che fissatolo per un attimo lo superò.
-Sei proprio una pu**na- sibilò all’indirizzo della bionda, sibilo che venne ricambiato a voce molto più amplificata.
-Ti ho avvisato, io! Poi non piangere!- le gridò dietro.
Così dicendo chiuse la porta e vi si appoggiò.
Davide la guardò, agitando una mano come a dire ‘ma che fai?’.
-Scusa, mi spieghi?-
-No, fatti miei-
-Chi era quella?-
-Una mia amica-
-Non dirmi bugie, ho sentito come vi siete salutate- lui incrociò le braccia e si mise davanti a lei.
-D’accordo, è una str***a-
Siccome stava per aggiungere altro, Francesca lo scansò con una mano e andò verso il salotto.
-Oh, senti non ti impicciare!-
Il ragazzo la guardò andare via senza una spiegazione, poi scosse la testa, stufo.
-Tu sei tutta matta, io ci rinuncio- disse, facendosi sentire.




Grazie alle persone che leggono, che hanno inserito la storia nei preferiti e a tutti quelli che hanno recensito: Jiuliet, Devilgirl89, vero15star, FeFeRoNZa, OOgloOO. Grazie.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quei pomeriggi passarono a velocità esasperante. Le ore e i minuti, persino i secondi parevano protrarsi all’infinito. Quel noiosissimo giorno della quasi metà di aprile, in particolare, Francesca finì di scrivere il risultato dell’equazione, e soddisfatta chiuse il quaderno degli esercizi.
Notò che le serviva il computer per fare una stupida ricerca per una stupida professoressa riguardante uno stupido argomento di storia.
Sbuffò, scocciata. Detestava dover chiedere aiuto a qualcuno.
-Davide!- lo chiamò forte.
Lui comparve sulla soglia della cucina, luogo che lei aveva scelto per farsi i compiti in santa pace, con una maglietta bagnata e i capelli che colavano acqua.
-Che è successo?- domandò preoccupato, frizionandosi la testa con un asciugamano.
-Mi serve un computer. Tu ce l’hai?-
Il ragazzo, insospettito, strinse gli occhi.
-A che ti serve?-
-Ricerca di scuola-
-Alla tua età fai ancora ricerche?-
-La mia prof ha voglia di rompere le pa**e- concluse la bionda, in attesa di una risposta.
Non del tutto convinto, lui entrò nella cucina e si diresse verso un mobile che la ragazzina non aveva mai notato.
In alto a questo, il ragazzo aveva messo una borsa blu scuro, una cartella, e alzandosi sulle punte la afferrò per portarla giù, sul tavolo.
La ripulì dalla polvere e fece scorrere la cerniera.
Una volta aperta, un portatile nero fece la sua comparsa. Davide tirò fuori mouse, alimentatore e lo accese. Francesca si fiondò subito sulla sedia accanto alla sua.
-E questo da dove salta fuori?- chiese, guardandolo ammirata.
-Fatti miei- borbottò lui mentre collegava i fili, alzava lo schermo e lo accendeva.
Si sedette accanto alla ragazza, tenendola d’occhio.
-Girati, che devo mettere la password-
Lei esitò, ma poi cedette al suo sguardo perentorio; sbuffando seccata girò il capo dall’altra parte.
Osservò involontariamente i capelli bagnati di lui che si appiccicavano alla nuca, grondanti di acqua. Così sembravano molto più lunghi. Poi intercettò con lo sguardo una gocciolina solitaria che cadde a picco dentro il colletto della sua maglietta, sulla schiena. Essendo anche quella bagnata, la pelle aderiva precisamente al tessuto.
Osservò con un filo di raccapriccio la sua colonna vertebrale spuntare di tanto in tanto. Le faceva impressione e così si voltò dritta.
-Cosa devi cercare?-
-Mmm?- domandò, dimentica dello scopo per cui aveva chiesto un computer.
-Hai detto che dovevi fare una ricerca- spiegò il ragazzo accigliandosi.
Vedendo che non reagiva si spazientì un po’.
-Dai muoviti che tra mezz’ora devo andare a lavoro-
-E vacci, guarda che lo so usare un computer- ribatté risentita lei.
-Non mi fido a lasciarti col mio-
Entrambi strinsero gli occhi, scrutandosi attenti come fanno due lottatori prima del match, ognuno deciso a trovare i punti deboli dell’avversario. Infine parvero stabilire una tregua.
Francesca gli dettò il testo dell’argomento e insieme decisero quale era la pagina più adatta da salvare; dopo molti dibattiti conclusero che avrebbero provato un altro motore di ricerca.
-è proprio tuo stò computer?- chiese lei curiosa.
-Sì- rispose atono il ragazzo.
-Come fai a pagartelo in rate se lo stipendio che guadagni è una miseria?-
Davide si indispettì.
-Ma cosa ne sai tu? Stai zitta…-
Riprese a cliccare con il mouse.
Ma Francesca non si diede per vinta. Osservò la marca, il tipo di processore, e ricordò quello che aveva spiegato il suo professore a scuola.
-Deve costare veramente tanto però- si azzardò a dire.
A quel punto lui sospirò seccato e smise di guardare lo schermo per concentrarsi sulla bionda alla sua sinistra.
-Se proprio vuoi saperlo, l’ho vinto con una borsa di studio- disse un po’ imbronciato.
-L’hai vinto?-
-Sì. E ora vorrei sapere una cosa però-
Si girò completamente dalla sua parte con tutto il busto, trovandosi vicinissimo a lei.
La quale non si fece intimorire affatto, ma sostenne il suo sguardo serio.
-Tu dici sempre che io non mi devo impicciare della tua vita. E allora perché tu vai curiosando nella mia?-
-Sai a me quanto me ne frega di te- ribatté acida la ragazza.
-Che ne sai tu che io guadagno una miseria? E poi che ti impicci dei miei soldi, eh?-
Forse l’aveva fatto arrabbiare.
-Ma cosa dici? A me non m’importa proprio nulla dei tuoi problemi, che già sto per cavoli miei, quindi…-
-E perché allora……-
D’improvviso lui tirò fuori dalla tasca una busta bianca, stracciata nella parte superiore e accartocciata.
-…questa, che in teoria dovrebbe essere roba mia, l’hai presa tu, e nascosta?-
-Frughi nelle mie cose?-
-Quando nelle tue cose c’è roba mia sì-
Francesca arrossì sia di rabbia, sia d’imbarazzo perché l’aveva scoperta.
Giorni fa aveva suonato alla porta, una mattina che non era andata a scuola, il postino per consegnare delle lettere. Aveva trovato lei e si era fatto dare una firma.
La ragazza si era trovata fra le mani una scatola impacchettata e avvolta da nastro adesivo robusto, tenuta insieme anche dallo spago.
Non aveva osato aprirlo, cedendo alla curiosità, perché lui certamente se ne sarebbe accorto, ma quella lettera l’aveva così dannatamente incuriosita che non aveva resistito.
Aperta col vapore, richiusa abilmente o almeno così credeva, e aveva curiosato nella sua vita; intendiamoci, non che la ragazza volesse far la spia… era semplicemente curiosa di lui.
Letta la bolletta, non troppo eccessiva a dir la verità, aveva fatto due calcoli per capire a quanto ammontasse il suo stipendio. Ed era una cifra che non gli permetteva certo il lusso di avere tante cose sfiziose.
-Perché l’hai aperta?- domandò lui.
La bionda sbuffò e non rispose, ma quando lui ripeté la domanda più forte si irritò e le saltarono i nervi.
-Che ne so! Credevo che non avessi abbastanza soldi- sparò a caso, per coprire la mancanza di una motivazione valida.
Davide distolse lo sguardo da lei, scuotendo la testa con vigore e disappunto, mangiandosi le risposte fra i denti.
Scelse la pagina che gli sembrava migliore, gliela salvò su un floppy disk e le disse di sbrigarsela da sola.
Lei rimase così, col dischetto in mano, mentre lui riponeva il portatile e se ne andava di là a prepararsi.
Non andava bene così, però. C’era un’atmosfera troppo tesa fra di loro. Sentì il portone sbattere forte quando il ragazzo uscì per scendere al bar, e ancora un po’ arrabbiata per prima, si infilò il giubbino, prese il cellulare e uscì anche lei. Almeno avrebbe potuto parlare con la sua amica di questi piccoli problemi di convivenza.
 
Davide continuava a maledire, nella sua mente, quella serata in discoteca e a darsi dello stupido per essersi preso in carico quella strana ragazzina.
Era tutta matta, quella.
Gli piombava nella vita, in mezzo ai piedi dicendo di essere incinta. Lo faceva commuovere, gli procurava sensi di colpa e lo costringeva implicitamente a darle in qualche modo un aiuto.
Ma non era normale, dopo tutte quelle gentilezze, dopo tutto quello che faceva per lei, esser trattato come un imbecille.
Oltre che si faceva carico delle spese economiche che comportava, del fattore psicologico di diventare di lì a pochi mesi padre di un bambino, doveva sopportare il suo carattere irascibile.
Non riusciva a capirla proprio.
Lo aveva cercato lei, lei si era preoccupata che sapesse del bambino, che ne fosse informato e non aveva esitato ad accettare il suo aiuto. Poi, d’un tratto, diventava fredda, irritabile e menefreghista.
Non gli permetteva di domandare come andasse col bambino, con la scuola; non parlavano mai di quel piccolo segreto custodito nella sua pancia.
Non cercava un contatto con lui, un dialogo che fosse basato sui loro problemi, anche se ce ne sarebbero stati molti da discutere.
Va bene che non erano una coppia, che fra loro intercorrevano quattro anni di differenza, che non erano amici ma solo estranei accumunati da una cosa.
Ma quella cosa a Davide pareva troppo importante per escluderlo da tutto; dopotutto, pensò, se quel bambino era, così diciamo, nato, era anche merito suo. Magari non era stato proprio voluto, non era nei loro piani perché a malapena conoscevano il nome dell’altro, ma in quei giorni aveva più volte pensato a cosa sarebbe successo dopo.
Dopo tutto, dopo quei nove mesi.
Si era trovato una ragazzina in casa, e secondo i suoi calcoli, ad ottobre, sarebbe nato il bimbo.
E dopo?
Francesca sarebbe rimasta a vivere con lui? Purtroppo tutte le domande che la implicavano non potevano avere una risposta.
Sarebbe forse tornata a vivere con i suoi? E poi cosa ne sarebbe stato di lui? Del papà?
Dimenticato, relegato in un angolo?
Eppure lui aveva il diritto di dire la sua; non è che non lo volesse, quel bambino; visto che ormai c’era, non si poteva mica buttare. Anzi, anche lui aveva diritto ad avere dei genitori.
E come si sentirà quando gli rimarrà solo la mamma? Non si chiederà mai da chi ha preso quel naso, quel colore dei capelli e quel carattere?
Forse non avrebbe mai avuto una risposta a quelle domande, si disse malinconico mentre spingeva la porta.
Quella non si aprì; provò ancora, e ancora, ma niente, rimaneva ferma dov’era.
Fece mente locale, deviando dai pensieri filosofici che gli erano balzati in mente.
Poi si ricordò: non era giorno di lavoro, né orario di apertura. Ma come aveva fatto a scordarselo?
Forse davvero, aveva troppi pensieri per la testa.
Tornò a casa, ma non trovò la bionda ragazzina.
“Per fortuna” pensò malignamente per poi contraddirsi.
Esausto anche se era solo pomeriggio, si gettò sul letto e chiuse gli occhi.
Rotolò verso sinistra, nella parte dove dormiva lei, e afferrò con una mano il cuscino.
Il suo ventre toccò qualcosa di duro; storse il naso, infastidito, e si sporse per vedere cos’era l’artefice del suo disagio.
Lo zaino della bionda.
“Rompe anche quando non c’è”. Si voltò a pancia in su, e lo prese distrattamente fra le mani.
Poi vide che era aperto.
Esitò, con la mano a mezz’aria. Tanto lei non c’era, si disse, e infilò le lunghe dita dentro la cerniera.
La prima cosa che toccò, tastando, fu una felpa. La estrasse e la lanciò sul letto, di lato.
Tornò dentro lo zaino, spingendosi più in fondo. Trovò un diario scolastico e lo esaminò.
Sdraiato, se lo poggiò sul petto.
Era bianco, griffato dalla marca di qualche catena di abbigliamento, ma annerito dalle cadute e dalle matite che ci avevano scritto sopra. Era enorme e quasi non stava in una mano, perché era imbottito di carte.
Francesca aveva provato a tener insieme la copertina col nastro adesivo, ma non ci era riuscita.
Il dorso si sfaldava, gettando ovunque pezzetti minuscoli di carta. La copertina era consumata agli angoli, e distrutta sul retro, come se ci avesse giocato a calcio.
Davide girò fra le mani il piccolo diario bianco.
Chi sei, Francesca?
Appoggiandosi meglio alla testata del letto, iniziò ad aprire cauto la prima pagina.
Non ci aveva scritto nulla, e così iniziò a cercare altrove.
 
Fu come se si fosse aperta una finestra, un video in tempo reale su quello che era il suo mondo. Sfogliando quelle piccole pagine quadrettate aveva accesso alla sua vita, entrava dentro i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Rapito dalla scoperta di quel segreto, come ipnotizzato iniziò a girare le pagine, cercando curioso qualunque cosa la riguardasse.
La prima cosa che gli scivolò in grembo fu una foto 13x15.
Dimentico del diario, la prese e la osservò.
I banchi della classe erano stati spostati per far posto ai ragazzi. Ventidue bocche digrignavano sorridendo i denti, più o meno puliti. Erano undici ragazzi e altrettante ragazze.
Francesca si riconosceva subito per via dei suoi capelli biondi e di quel broncio che imperterrita teneva sul viso. Ma stavolta non era quel broncio rabbioso e testardo che le aveva sempre visto, era una smorfia quasi di rassegnazione, come ‘che ci sto a fare io con questi?’.
Accanto a lei si ergeva un’alta ragazza dai capelli neri, lisci e freschi di trattamento con la piastra forse, che sorrideva tranquilla, con un braccio attorno alla vita della bionda.
Poi riconobbe la ragazza che si era trovato un giorno a casa, seduta dietro su un banco e anche lei avvinghiata ad un’altra.
Voltò dall’altra parte la foto e ne osservò il retro.
Era tutto cosparso di firme; chi con la penna nera, rossa, blu e anche verde aveva lasciato il suo segno indelebile su quella fotografia.
‘Francesca Daniele’ era scritto proprio al centro dell’immagine, circondato da altri. La sua scrittura era non troppo rotonda e non proprio ordinatissima. Spaziosa e larga.
Davide ripose la foto nel diario e cominciò a leggere.
Sembrò quasi di essersi ritrovato cinque anni più giovane, ancora fra i banchi della ragioneria, insieme a tutte quelle voci, quell’allegria, quegli scherzi, parolacce e risate che rendevano così tanto bello l’andare a scuola.
Tante scritte colorate, evidenziatori e pennarelli per scrivere dediche su quel diario e lasciarle per sempre alla ragazzina.
Anche ragazzi vi avevano scritto sopra.
‘Ti amoo… dai scherzo! By Nazario’. ‘Ma questa non muore mai? Tvttttb Francy!!’.
Poi disegni, compiti scritti frettolosamente, e piccole filosofie sull’amore, scopiazzate da chissà quale pagina web.
Poi qualche canzoncina sconcia, una battuta.
Ma ciò che colpì Davide fu una pagina scritta in stampatello maiuscolo fitto fitto, ripiena di parole che davano all’occhio per quanto erano perfettamente della stessa grandezza.
Incominciò a leggere.
‘…aiuto, fra due ore ho l’interrogazione e non ho studiato. Potrei studiare adesso, ma proprio non ce la faccio. È che ho la testa piena di lui, lui, lui, lui… uff. è proprio bello, anzi, bellissimissimo, col superlativo assolutissimo.
Il fatto è che è così strano dopo quella sera lì, in discoteca con quel tipo. Ma sono grande adesso, e lui lo sa. Almeno sarà per una giusta causa che non ho studiato!!!’.
Continuava ancora ma lui si fermò lì. Lesse ancora altre dediche, altre parole, altre firme.
Allora non era sempre così… difficile, con gli altri.
Chiuse il diario e stette un po’ a pensare.
Forse era lui che stava sbagliando atteggiamento? Forse aveva scelto il modo sbagliato di iniziare?
Continuava, per ogni direzione che scegliesse, a sbattere la testa contro un muro che sembrava invalicabile dalla sua parte.
Magari doveva solo aggirarlo, il muro. E magari cercare di farla parlare un po’ di sé.
Rimise a posto il diario, ma mentre lo faceva la sua mano sfiorò il bordo accartocciato di qualcosa. Nuovamente catturato dalla curiosità, tirò fuori quello che aveva urtato.
Le sue dita estrassero un’altra fotografia, molto diversa dalla prima.
Raffigurava tanti bambinetti, tutti dritti in fila disposti su più piani.
Indossavano tutti quanti un grembiule grigio chiaro, sia i maschi che le femmine, e affianco alla fila c’erano due signore, probabilmente le maestre, che sorridevano.
Davide pensò che fosse una foto risalente alla scuola materna, ma poi girò la carta e lesse sul retro.
‘Orfanotrofio, 1995’.
Questa parola gli diede molto da pensare; orfanotrofio?
Tornò a guardare i bambini, e inevitabilmente riconobbe fra di loro la ragazzina. Ma quella era un’associazione che non avrebbe mai voluto fare. Si drizzò a sedere, guardando ora la bambina, ora la foto che stava prima nel diario.
La bambina era tutta seria e composta, indossava il suo grembiule e guardava fisso l’obiettivo della macchina fotografica. La Francesca sedicenne aveva una smorfia e si faceva tirare dalle compagne.
Il ragazzo non volle assolutamente credere che quelle due bambine, fossero le stesse. Eppure gli occhi azzurri come il cielo, i capelli biondi, erano gli stessi. La terribile verità lo schiacciò con la forza di un macigno.
D’un colpo capì perché non voleva fargli conoscere la sua famiglia. Perché i suoi non avessero saputo niente del bambino. Perché l’altro giorno, quando sulla porta di casa le aveva domandato se volesse bene a sua madre, si era leggermente incupita.
Non è che non volesse dire del bambino ai suoi genitori.
È che non c’era nessuno a cui dirlo.
Anche lui si sentì come un mostro che pentito desidera rigurgitare tutto ciò che si è mangiato.
Posò con cura le due foto sul fondo dello zaino, e lo chiuse, ancora scosso e perso nei pensieri; tutte quelle malignità che aveva pensato sul suo conto gli ritornarono su come vomito, e pentendosi di quello che le aveva detto era deciso a rimediare.
Non poteva credere che le avesse detto tutte quelle cose, e che quando avrebbe potuto benissimo rinfacciargli tutto mostrandogli quella orribile verità, di quanto la vita fosse stata ingiusta con lei, fosse stata invece zitta.
Si sentì umiliato dalle sue stesse azioni.
Ma era deciso a rimediare. O almeno, ci avrebbe provato.
 
Il campanello suonò, e dietro la porta si rivelò la ragazza bionda, che senza guardarlo in faccia oltrepassò la soglia e andò a posare il giubbino bianco sul divano.
Lui la guardò attento mentre andava di là, forse in cerca delle sue cose.
Chiuse la porta, preparandosi a dar battaglia. Perché sapeva che qualunque cosa avesse intenzione di dire, non sarebbe stato affatto semplice.
Si grattò la testa, incerto su cosa dire, e come primo passo la raggiunse in camera da letto.
Francesca, come aveva immaginato, stava rovistando nel suo zaino alla ricerca di cose sue e non gli prestò granché attenzione. Davide si sdraiò sul letto a pancia in su, arrivando fino a lei.
La ragazza, stupita da questo, girò la testa verso di lui interrogativa, ma poi subito la riportò al suo zaino.
Lui non aveva idea di come iniziare. Si sentiva nervoso, molto nervoso, come quando i primi tempi doveva parlare con Silvia e invece i suoi occhi cadevano inevitabilmente più in basso.
Imbarazzato e con la paura di essere umiliato, ecco come si sentiva.
-Dove sei stata?- domandò piano, guardandola da sotto in su.
Che sciocca domanda, si ammonì mentalmente, ma ormai era fatta.
La bionda non lo guardò neanche per un attimo, ma estrasse il suo diario dallo zaino, e prese a guardarlo.
-In giro- rispose fredda.
Bum. Aveva sbattuto per la prima volta in quella serata contro il suo muro.
Riprovò ancora a farla parlare un po’.
-Cosa ti va di mangiare stasera?-
La ragazza scrollò le spalle.
-Quello che vuoi-
Riprese a sfogliare il diario, noncurante del ragazzo sdraiato accanto a lei.
D’un tratto un foglietto scivolò via dalle pagine quadrettate, posandosi fra le pieghe del lenzuolo.
Davide lo afferrò immediatamente, portandoselo davanti agli occhi. Vi era disegnato uno stemma ovale a strisce bianche e nere.
Alzò un sopracciglio.
-Non mi dire che tifi Juve- commentò stavolta con tono sarcastico.
-Si perché, hai qualche problema?- ribatté dura lei, per poi riprendersi dalle sue mani, stizzita, il foglietto e infilarlo daccapo nel diario.
-Certo che ce l’ho, ma dai, non ti facevo juventina a te-
Ma non ottenne risposta, andando un’altra volta a sbattere contro il muro.
C’era bisogno di un’azione diretta, con lei; di una testata più forte, visto che le precedenti, più leggere e contenute, non avevano scalfito di un millimetro la sua resistenza.
Allungò un braccio verso di lei, in un gesto apparentemente casuale, e strinse fra le dita la foto di classe, sfilandola via.
Francesca scattò su e alzò la voce.
-Che fai? Dammela!-
E immediatamente si sporse verso di lui con l’intenzione di afferrare la fotografia.
Lui la tenne lontana, impedendole di prenderla, e domandò tranquillo
-Questa è la ragazza che è venuta l’altro giorno?-
Col pollice indicò il volto di Elena.
-Non sono fatti tuoi, e ridammela, non mi fare incavolare!-
Provò varie volte a riprendersela con la forza, ma visto che non sembrava avere chance di vittoria, si mise in ginocchio, imbronciata seria, con gli occhi ridotti a fessure e la mano tesa.
-Dammela immediatamente- sibilò.
Il ragazzo se la portò davanti agli occhi, noncurante della sua rabbia, e la osservò di nuovo.
-E questa con un sorriso storto sei te- commentò calmo.
-Ti ho detto di ridarmela- disse fra i denti lei, con le labbra contratte dalla rabbia.
Senza scomporsi, lui gliela restituì e si appoggiò al cuscino con le mano dietro la nuca, guardando il soffitto.
-Tanto l’avevo già vista- disse.
-Cosa?- chiese lei, temendo di non aver capito bene.
-L’avevo già vista quella foto- ripeté con lo stesso tono di prima.
-Hai frugato anche tu nelle mie cose?-
La bionda alzò la voce e siccome non ottenne alcuna risposta, lo interpretò come un sì.
Gli tirò un pugno sul ventre.
-Brutto idiota! Chi ti ha dato il permesso di impicciarti?-
Stava per tirargliene un altro, ma d’un tratto la mano ferma e decisa del ragazzo le bloccò il polso.
Stretta nella sua morsa non poteva muoversi, e cercò di divincolarsi senza successo.
Davide si drizzò a sedere, guardandola bene dritta negli occhi, e prese lo zaino.
Ora o mai più.
Cercò la fotografia ignorando le domande e le proteste di lei, e gliela sbatté in faccia.
Di colpo la lasciò andare.
Francesca sbuffò e si portò le ciocche bionde dietro le orecchie prima di guardare la foto. Quando poi la riconobbe, divenne silenziosa e impallidì. Spostava veloce lo sguardo ora da lui ora alla foto, come terrorizzata.
Non era nei suoi piani. Non era quello che voleva. Aveva faticato tanto per custodire quel segreto, e ora le era sbattuto in faccia.
Visto che non diceva nulla, Davide si avvicinò di più a lei.
-Perché non me l’hai detto?-
La bionda deglutì, incapace di fissarlo negli occhi, e invece si concentrò sulla foto. La bimba bionda di ben tredici anni fa la guardava triste.
-Da quanto tempo lo sai?- chiese, cambiando totalmente tono di voce. Se prima era arrabbiata e furiosa, ora tutta la sua grinta era svanita per lasciare il posto alla paura, all’imbarazzo e alla vergogna.
-Da oggi. Perché non me l’hai detto?- ripeté imperterrito lui, ma con calma.
La ragazza afferrò la fotografia e saltò in piedi; respirando forte fece qualche passo verso la porta e poi stracciò in quattro pezzi la foto.
-No! Ma che fai?-
Anche Davide saltò in piedi, preso in contropiede dal suo gesto, e la raggiunse nel salotto. Le prese una mano e la costrinse a voltarsi.
-Lasciami!-
-E tu parlami! Parlami, dimmi qualcosa!-
Francesca si sedette, cadendo a peso morto sul divano e rannicchiò le gambe contro il petto. Rifletteva rapida.
Aveva scoperto il suo segreto, lui era la prima persona che ne veniva a conoscenza, e ora le cose si complicavano. Non aveva mai detto a nessuno la sua storia vera, aveva sempre tenuto in piedi quella messinscena, all’insaputa di Damiano e di tutti gli altri. Nemmeno Paola sapeva che la sua migliore amica non aveva mai potuto chiamare ‘mamma’ qualcuno.
E ora il suo brillante castello era crollato, crollato miseramente come fosse di carta, spazzato dal soffio del vento. Ora lui conosceva il suo segreto.
E questo la metteva in agitazione, a disagio.
Non aveva mai rivelato a nessuno la verità, perché non voleva che la trattassero con compassione. Desiderava essere messa al pari degli altri, e non considerata come una poveretta bisognosa di aiuto.
Magari era proprio da qui che nasceva il suo carattere scontroso e difficile, dal desiderio di non essere da meno degli altri, e di fare tutto da sola.
Non aveva mai potuto contare su di nessuno, e le scocciava domandare aiuto alle persone. Non era altro che una ragazzina testarda, che teneva la sua vita sulle proprie spalle, e a cui ora si aggiungeva quella del piccolo essere che dormicchiava placido nella sua pancia.
-Cosa devo dirti?-chiese retorica, guardando altrove.
Stufo di vedere il suo sguardo fuggire, il ragazzo si sedette accanto a lei, bloccandole una spalla con un braccio.
-Tua madre è morta. E anche tuo padre- disse.
Ci stava provando, in tutti i modi doveva riuscire a distruggere quel suo muro.
-Lasciami in pace- mormorò poco convinta dalle sue parole.
-Non ce l‘hai una mamma, e nemmeno il papà-
-Smettila, stai zitto!- si sbatté forte le mani sulle orecchie, ben decisa a non ascoltare nient’altro.
Si era nascosta lei stessa a quella verità per tanto tempo. Quasi quasi si stava convincendo anche lei di averceli ancora, entrambi i genitori. E ora, con quelle sue parole pronunciate con voce calma, ma dure per il significato, stava crollando tutto. Tutto il suo mondo, tutto il suo segreto, la sua sicurezza.
Si stava sgretolando piano piano su se stessa, schiacciata dalla bugia che si era inventata per sopravvivere.
Scosse pianissimo la testa, cercando di sfuggire dal ragazzo.
Lui fece forza con la mano e la tenne ferma per non farla andare via; di forza le tolse le mani dalle orecchie.
-Perché dici bugie?-
Quella domanda la fece tremare; era una sensazione nuova per lei, era raro che si trovasse così scoperta, così indifesa, senza riserve. Era solo lei adesso, non lei e quel suo dannato muro di superiorità e menefreghismo.
Davide, capendo che forse l’aveva messa a disagio, lasciò la presa ma non si allontanò. Invece poggiò un gomito sulla schiena del divano, avvicinandosi di più alla ragazza.
-Sei scappata dall’orfanotrofio?- domandò.
La bionda scosse la testa, lo sguardo rivolto al basso.
-Allora da dove?-
-Devo essere per forza scappata?-
La sua voce era traballante, ma non si stava incrinando come quella di chi sta per piangere. Non voleva piangere, era solo scossa.
Lui stette in una fiduciosa attesa, certo di aver sbloccato qualcosa in lei, di aver toccato qualcosa dentro che la ragazzina bionda non poteva più ignorare.
-Mi hanno adottato. Anzi, mi ha- decretò.
-Perché sei scappata se ce l’avevi una casa?-
-Perché……- lei stava per rispondere sì, ma quelle parole le rimbombarono nella testa come un eco.
Una casa… lei non aveva mai avuto una casa. Almeno, si era convinta di questo.
 
Un signore alto, di bell’aspetto, stava discutendo con una signora in un ufficio. Una bambina bionda, dai capelli sciolti e lunghi, e gli occhi azzurri, stava non vista dietro la porta, osservando i due adulti.
Ricordava il volto di quell’uomo. Era lo stesso signore che l’aveva fatta giocare nei giorni precedenti, e che l’aveva portata a fare un giro fuori. E ora, come capì molti anni dopo, era venuto per portarsela via, a casa sua.
D’altronde ci era cascata, che poteva saperne? Aveva solo tre anni.
La porta si aprì, e il signore alto ne uscì con un sorriso sfavillante sulle labbra; l’aveva alzata e presa in braccio, facendola ridere. D’altronde, che poteva saperne lui?
Era solo un uomo di ventisette anni che voleva tanto bene a quella piccola bimba.
 
-Ma poi, a te cosa importa?- domandò più convinta, più forte, temprata da quel flashback.
Davide la guardò intenso, triste, e per la prima volta in quella serata difficile i loro occhi si incontrarono, gli uni tristi e pensosi, gli altri deboli ma che volevano mostrarsi forti.
-Sto provando a capirti, testa bionda- disse con tono triste, senza abbandonare il suo sguardo.
Francesca lo ricambiò, ma non disse nulla.
-è difficile se non mi aiuti- concluse.
La guardò da sotto in su. La bionda incrociò inevitabilmente le iridi verde scuro di lui, cariche di fiducia e non di scherno, di comprensione e non di rimprovero.
Per la prima volta si rese conto che lui non era qualcuno che voleva qualcosa da lei, che voleva usarla oppure distruggerla. Desiderava solo aiutarla, per quanto gli era possibile, e cosa più importante e nuova per lei, senza che la forzasse troppo o la costringesse.
Cedette sotto il peso del suo sguardo. La sua mente, senza averlo premeditato, elaborò la risposta al perché avesse ceduto.
Le dava sicurezza.
Sospirò, e scosse un poco la testa.
-No, non… tanto che ti importa?- balbettò, ormai persa la sicurezza abituale.
Lui, paziente, allargò il palmo di una mano.
-Allora fai finta che non sono io. Fa finta che sono quel dottore che ti piace tanto- sorrise.
In altri tempi, forse in altra situazione, Francesca si sarebbe inalberata a quel sorriso;stavolta riuscì a contagiarla, e anche i suoi lati della bocca si alzarono.
Sciolse le gambe dalla presa rigida e scivolò a terra, senza tremare o essere arrabbiata.
Il suo prezioso zaino giaceva a terra, lo raccolse e da dentro estrasse una fotografia, un’altra ancora e tornò a sedersi accanto a lui.
Davide la prese in mano, senza dire nulla e fare commenti; l’immagine raffigurava un uomo dai capelli castani e occhi molto azzurri tenere in braccio una bambina di circa sette anni, dai capelli biondi, come se fosse un trofeo da mostrare. Un qualcosa di cui andare orgogliosi.
-Questo è tuo padre- disse.
-No. Lui è solo Damiano- spiegò lei, riprendendosi la foto –e in teoria dovrebbe esserlo-
L’altro non ribatté nulla, preoccupato della reazione che poteva avere, e di essersi spinto troppo oltre, tanto da non poter più tornare indietro ormai.
-Io non ce l’ho un papà- decretò alla fine, alzando la testa, orgogliosa della sua affermazione.
-Allora sei scappata da casa sua?-
-Non sono scappata, me ne sono solo andata- precisò la bionda.
-E lui lo sa del bambino?-
-Sì che lo sa, sono andata a diglielo-
Il ragazzo avrebbe voluto rispondere immediatamente qualcosa, ma temeva che questo l’avrebbe fatta nuovamente perdere le staffe, e non lo voleva di certo.
Cercò in mente un modo di formulare il pensiero che suonasse più delicato, meno brusco.
-Non pensi che sia preoccupato per te?-
Francesca incrociò le gambe e si appoggiò il mento sulla mano, pensosa.
Alzò le spalle, insaccando la testa e guardandolo.
-Boh. Che mi importa? Non sono fatti suoi-
Certo che quella ragazzina era proprio strana, pensò lui. Voleva tutto e allo stesso tempo niente. Davide era sicuro che anche quell’uomo che sorrideva nella foto, come lui in queste settimane, avesse dovuto inevitabilmente scontrarsi col suo carattere impossibile e da come ne parlava lei, non era riuscito a capirla.
-Ma tu dici sempre così? Cioè, non conosci altre parole? Non sono fatti tuoi, non ti impicciare…- sbottò un po’ scocciato.
-Beh io non mi spreco a parlarne con te- fece per alzarsi.
Il ragazzo la guardò sicuro mentre si allontanava e le disse
-Però prima ti sei sprecata a parlare-
Francesca si voltò e avanzò lentamente, stringendo gli occhi (e non era un buon segno) verso di lui, fino ad arrivare allo schienale del divano.
Sorridendo mormorò piano, strafottente
-Cosa ca**o te ne fo**e? Ti piace di più così?-
Non voleva essere provocante, ma inevitabilmente lo risultò, con quel tono basso e il sopracciglio alzato.
-Ma quanto sei stro**a- le sibilò in faccia, arrabbiato, scuotendo la testa.
-Io? Lo str***o qui sei tu!- ribatté infervorata, le mani sui fianchi.
Lui si alzò con un rapido scatto, per fronteggiarla meglio.
-Ma la smetti? La smetti di comportarti così? Guarda che io cerco di aiutarti!-
A quella affermazione la ragazza bionda non rispose se non con un’occhiata storta; in realtà non era stupida, affatto, e sapeva che era lui ad avere ragione. Ma era troppo orgogliosa per domandargli scusa.
 
Più tardi, in seguito a quella turbolenta conversazione, entrambi stavano ai capi opposti del tavolo a rimuginare sulle novità emerse. D’un tratto lei alzò lo sguardo e domandò
-Mi fai mettere su msn?-
-Come?- fece lui, più che sorpreso per la richiesta.
-Su msn. Mi. Fai. Mettere?- scandì bene come se dovesse spiegarlo a qualcuno duro d’orecchi.
-No-
-Dai-
-No-
-Perfavore-
-Chiedi scusa per prima-
Francesca sbuffò, abbandonandosi contro lo schienale e incrociando le braccia al petto.
Non disse null’altro, ben decisa a non dargliela vinta.
Finito di mangiare i due ragazzi si separarono. In seguito alla discussione di prima, Davide aveva fatto notevoli passi avanti per quanto riguardava conoscere la ragazzina. In quasi un mese di convivenza, questa era stata la massima apertura che avevano raggiunto. Il che era tutto dire, perché non era stata certo la ragazza ad iniziare la conversazione, ma il tutto era nato dalla sua indiscreta curiosità.
Comunque in un modo o nell’altro, almeno si parlavano di nuovo.
Stava seduto sul letto a leggere un libro, con la schiena appoggiata alla testata, quando sentì il materasso inclinarsi sulla destra.
Un fruscio di lenzuola e il piccolo respiro lo informarono, senza che dovesse alzare gli occhi dalla pagina, che la ragazzina si era seduta sul letto.
Francesca lasciò che la frangia bionda le calasse davanti agli occhi, nascondendola alla vista di lui.
Appoggiò il mento sul ginocchio, incurvando la schiena, e lo fissò per una buona manciata di tempo.
Era indecisa se cedere alla sua volontà o continuare a mantenere l’atteggiamento distaccato.
Dopotutto, ragionò fra sé, non poteva ignorare questa sua intromissione nella vita; non ora che lui era l’unico ad avere scoperto il suo segreto. Ma come aveva fatto ad essere così sciocca?
Aveva lasciata incustodita sia quella foto, sia lo zaino. Che poi continuava a chiedersi perché l’avesse conservata, quella dell’orfanotrofio e quella di Damiano. Avrebbe dovuto distruggerle entrambe, però l’aveva sempre rimandato quel momento, chissà perché.
Indecisa prese a mordersi il labbro, che recava i segni dei suoi incisivi, per quante volte ripeteva quel gesto come fosse un tranquillante alla sua ansia.
Lo guardava di tanto in tanto, da sotto il suo ciuffo, come fa un predatore che adocchia la sua cena e non attende altro che un movimento sbagliato.
-Scusa-
D’improvviso quel bisillabo le salì alle labbra e non poté reprimerlo. Come se avesse pronunciato chissà quale bestemmia, non lo guardò, imbarazzata, e tenne ostinatamente gli occhi fissi su una piega del lenzuolo che in quel momento sembrava più interessante di ogni altra cosa.
Davide alzò gli occhi, soddisfatto del risultato ottenuto; scelse un segnalibro e segnò la pagina alla quale era arrivato, poi chiuse il libro e lo porse alla ragazza.
Lei alzò gli occhi celesti e incontrò perplessa il suo sorriso.
-Tieni un attimo-
Dopo che lo ebbe afferrato, lui si alzò e uscì dalla camera.
Francesca non poté evitare di leggere il titolo, e ne fu sbalordita.
Era lo stesso libro sulla gravidanza che aveva portato la madre del ragazzo molti giorni prima; siccome non era certo scema, si domandò se lui lo stesse leggendo sul serio, prima. Era una cosa di cui dubitava grandemente, ma non disse nulla.
Il libro era aperto all’indice degli argomenti, e la ragazza non poté evitare di buttarci l’occhio. Lesse il primo titolo, il secondo e poi arrivò al terzo. Lì si fermò e immediatamente afferrò i lembi della pagine portandoli vicino agli occhi.
Sentì i passi del ragazzo tornare verso la camera e lo chiuse di scatto, riposandolo sul letto e facendo finta di nulla.
Davide tornò con il portatile sottobraccio, si sedette e lo accese.
-Vieni qua-
Lei si avvicinò, osservandolo mentre digitava sui tasti veloce e cliccava col mouse.
-Tieni, fai tu- glielo porse e spense la luce. Francesca se lo mise sulle gambe, mentre lui si infilava sotto le coperte e chiudeva gli occhi.
La ragazza stette per mezz’ora su Internet, finché non fu certa dal suo respiro che si fosse addormentato; dopodiché afferrò il libro e lo sfogliò febbrilmente fino al capitolo che le interessava, e trionfante lo lesse per un po’ alla luce del monitor.
Ad ogni riga il suo sorriso si ingrandiva, certa di aver finalmente trovato una svolta in quella che considerava una situazione senza speranza.
Anche se aveva sonno, ebbe il tempo di digitare le ultime parole su msn.
“Forse ci siamo, finalmente ho trovato quello che cercavo”.





Grazie a chi continua a leggere e recensire la mia storia.

olimpia93: grazie per la recensione, son felice che ti incuriosisca.

Devilgirl89: grazie dei complimenti. Beh direi che una situazione del genere deve per forza trovare uno sbocco, in qualsiasi modo. Poi che questo sia positivo o negativo è n'altra cosa. E hai ragione, forse Damiano è il personaggio più 'buono' che abbia mai creato.

wanda nessie: oh...caspita. La storia ed io ti ringraziamo molto. Povera Francesca, pensi davvero sia tanto cattiva?

00glo00: idem come sopra, Povera Francesca. Non è tanto semplice essere nei suoi panni, direi. Non so se quei due andranno d'amore e d'accordo...o meglio, lo so ma penso che tu preferisca continuare a leggere per vedere che succede, no?

Aletta92: grazie per la recensione e per i complimenti.

MissQueen: O...Dio. Sai che farò? Credo che stamperò la tua recensione, me l'appenderò sopra al letto, in camera mia, e ogni volta che la mia autostima avrà bisogno di essere risollevata (e questo accade spesso) la leggerò.
Tu esageri, esageri, eccome se esageri. Mi sopravvaluti. Efp è tanto grande e son sicuro che ci sono un sacco di storie molto più belle della mia. D'altra parte un commento del genere non può che farmi piacere. Ergo, grazie.
E n'altra volta, povera Francesca. Come vedi, per farla aprire, Davide ha dovuto prima sfondare il suo muro di strafottenza.




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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Qualche giorno dopo, erano nuovamente in macchina, lui che guidava tranquillo e lei che era agitatissima. Fece un respiro pesante, ripetendosi il discorsetto che si era preparata.
Lo ricordava tutto e le sembrava abbastanza dignitoso.
Davide, piacevolmente sorpreso dal fatto che fosse stata lei ad insistere per quella visita extra parcheggiò nel piazzale dell’ospedale e la guardò.
-Andiamo?-
-No- fece lei, appoggiandosi allo schienale.
Aveva abbandonato il giubbino, essendo ormai aprile inoltrato, e la maglietta aderente ne risaltava le piccole forme da ragazza.
Non poteva fermarsi ora, non adesso che aveva quasi raggiunto il suo obiettivo.
Ma si vergognava terribilmente.
Del tutto ignaro dei pensieri che passavano per la testa della bionda, il ragazzo aprì lo sportello e scese giù, aspettandola.
Poco dopo anche lei si decise a scendere e a percorrere assieme a lui il viale e il corridoio dell’ospedale fino ad arrivare al reparto. Come l’altra volta, la sala d’attesa era semi vuota eccezion fatta per una sola signora. I due ragazzi si sedettero e aspettarono pazientemente che arrivasse il loro turno.
Quando arrivò il momento Francesca si affrettò verso la porta e sulla soglia si girò.
-Senti…- iniziò incerta guardandolo e tentando di apparire convincente –non c’è bisogno che vieni anche tu… aspetta qua-
-Sicura?-
-Sicurissima- confermò fiduciosa lei, annuendo.
Un po’ stupito e preso in contropiede, Davide accettò, tornando a sedersi.
Una volta che lei fu scomparsa dietro la porta, poi, iniziò a rimuginare su quello strano comportamento. Perché l’aveva lasciato fuori questa volta?
Cosa aveva da nascondergli? Non l’avrebbe mai scoperto.
Passò circa mezz’ora, e ancora lei non si faceva vedere.
Il ragazzo si insospettì parecchio e si domandò se non fosse stato il caso di controllare; quel dottore gli era stato raccomandato per professionalità, perché era uno dei migliori, e non costava nemmeno poco. Ma che cavolo stavano facendo quei due là dentro?
A dir la verità un mezzo sospetto, il più terribile, ce l’aveva ma desiderò che non si avverasse.
Oltre a tutti i problemi che gli creava la ragazzina, ci si aggiungeva pure un dottore maniaco, come quello di prima.
E va bene, non aveva potuto fare a meno di constatare, in quel mese, che la ragazza bionda con la quale si era trovato a convivere non era affatto brutta.
Anzi, era l’esatto contrario della bruttezza.
A parte quando faceva quei bronci o si faceva rossa per la rabbia, in tutti gli altri momenti della giornata era estremamente carina per la sua età.
I bei capelli biondi, lisci e luminosi, erano tenuti in una riga laterale in modo che si formasse una frangia verso sinistra. Si sapeva tenere bene, diciamo, vestiva né troppo appariscente né trasandata, ma la osservava spesso quando si preparava per la scuola. E chissà se aveva il suo fidanzatino per cui farsi bella, comunque ci teneva quanto bastava.
E che begli occhi che aveva; non avrebbe mai osato dirglielo naturalmente, ma aveva veramente dei bellissimi occhi azzurri. Insomma, a farla breve era una bella ragazza e il fatto che fosse in una situazione così difficile induceva di pensare che qualcuno avrebbe potuto approfittarsene.
Se quel suo dottore di prima non l’aveva già fatto, si disse mentalmente.
La sua carrellata di pensieri venne interrotta dalla porta, che si aprì facendo uscire la ragazza bionda, che pareva soddisfatta, e il dottore, un po’ crucciato. Quando questo incontrò lo sguardo interrogativo del ragazzo, gli sorrise.
-Tutto a posto- lo rassicurò.
Perplesso, molto perplesso e sospettoso, Davide guardò la bionda.
Francesca fece un respiro sollevato, dopodiché sorrise, cosa rarissima.
-Dove vai ora?-
-Al bar-
-Vengo con te-
Dopo che furono passati a prenderle i libri per farle fare i compiti, i due oltrepassarono la soglia del locale, spingendo la pesante porta munita di una vetrata.
Davide andò nel retro a cambiarsi, mentre la ragazza si issò su uno sgabello, stese sul lungo e liscio banco i suoi quaderni e prese una penna.
Bruto, un omaccione alto e provvisto di bei muscoli evidenti, da far concorrenza ad un culturista, la guardò male.
Aspettò un po’ per vedere cosa avesse fatto, e poi le si avvicinò.
-Cosa ordini?- domandò.
-Niente, non ho soldi-
Francesca alzò gli occhi e si trovò davanti il muso duro dell’uomo, che teneva gli occhi neri fissi su lei.
-Se non mangi, niente posto- proferì burbero, senza staccarle gli occhi da dosso.
La bionda aveva tutt’altri pensieri per la testa, così non si scompose né si arrabbiò.
-Davide ha detto che posso restare qui- disse calma.
Bruto sembrò spiazzato dalla notizia, e stringendo sospettoso gli occhi si allontanò.
Il ragazzo, ignaro di tutto ciò, chiacchierava amichevolmente con Silvia riguardo un qualcosa che era successo la sera prima.
-Quello stupido continuava a spogliarsi…-
-E ballava anche da schifo tra l’altro… certa gente non sa cosa inventarsi pur di farsi notare…- rise la ragazza.
Stava riponendo in un vassoio tanti bicchieri alti e griffati dalle marche di birre.
Anche lei era molto bella.
I capelli scuri, lisci e quel giorno aggiustati con una schiuma che li rendeva mossi, la scivolavano con grazia sulle spalle. La sua maglietta era provvista di una scollatura, e mancavano sempre alcuni centimetri alla sua gonna perché potesse rientrare nella norma della decenza.
Davide non si era reso conto che era rimasto a fissarle ebete il fondoschiena ben tornito finché due dita gli afferrarono la nuca, sollevandolo leggermente in alto.
Gridò di sorpresa e girandosi si trovò il mento del suo capo, crucciato e arrabbiato.
-Perché c’è una ragazzina che sta seduta senza mangiare nulla?-
Ancora inebetito dall’esame delle curve della mora, lui non comprese subito il senso della frase. Poi allargò gli occhi, comprendendo.
-Oh andiamo!- esclamò, liberandosi della sua presa –Può stare lì, lei è con me!-
-Chi non mangia non occupa i posti!-
-Sì però al suo ragazzo l’hai fatto stare quanto voleva!- ribatté imbronciandosi lui.
Quel che è giusto è giusto.
Bruto gettò un rapido sguardo a Silvia, che gli sorrise.
Non seppe ribattere nulla, poi quando la ragazza gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla, la sua espressione si sciolse.
-Dai, non è gentile trattare così la fidanzatina di Davide!- sorrise raggiante lei.
-Ecco appunto, e poi non è la mia fidanzata!- precisò rapido lui.
-Certo, certo…- commentò sarcastica la mora, prima di sparire dietro la tenda.
Bruto guardò Davide, decidendo il da farsi.
Non disse nulla ma tornò di là, e lui, rimasto senza risposta, lo interpretò come un assenso.
Anche lui tornò nel locale, e si sedette davanti alla bionda.
-Complimenti, a momenti mi facevi licenziare. Meno male che c’era Silvia- le disse sottovoce.
La ragazzina alzò lo sguardo dal libro e osservò la cameriera dirigersi verso un tavolo.
-Ma chi, quella?- chiese scrutandola accigliata.
Che razza di poco di buono, pensò immediatamente osservando i suoi movimenti.
-Secondo me…- cominciò con tono saputo mentre il ragazzo dietro al banco alzava gli occhi, esasperato. Notandolo, lei si interruppe e lo fissò accigliata, ma lui rispose con un gran sorriso.
-Dicevo- continuò, tenendolo d’occhio –che mi sembra proprio una di quelle cameriere dei film, quelle bionde americane tutte tette e niente cervello-
A questa affermazione Davide arrossì un po’ sulle guance, e sbuffò scettico.
-Perché scusa, mi vorresti dire che oltre a servire bicchieri, sventolare le braccia, alzare la gonna e aprire le gambe quella sa fare altro?- ribatté acida.
-Sei un po’ troppo dura nel giudicare chi non conosci, non credi?-
-Ah e saresti tu quello che la conosce? Quello che mentre fa l’amore dice il suo nome?- sogghignò la ragazzina, sicura di aver vinto.
Lui si fece ancora più rosso e sibilò in fretta, stizzito
-Zitta e fai i compiti-
Lei riprese a guardare il libro, ma con aria soddisfatta e sorridendo.
Lui la fissò imbronciato perché aveva perso, e nel frattempo aprì una busta di arachidi e le versò in un contenitore di vetro che posò sul banco.
Francesca lo notò e subito ne afferrò una manciata con la mano, ficcandosele in bocca.
-Ehi quelle non sono per te!- la rimproverò.
-Beh, scusa, ho le voglie da incinta!- sorrise lei, masticando.
Mentre ingoiava le venne in mente un pensiero furbo.
-Ciao Davi- sorrise provocante, per stuzzicarlo.
Lui tolse il porta arachidi dalla portata della sua mano, che già stava per afferrarne altre, e la fissò scocciato.
-Ti diverti a prendermi in giro?- domandò.
-Tantissimo- e eludendo la sua buona guardia, fece scorta di altre arachidi che si mise subito in bocca.
Alla sua occhiata di rimprovero alzò le spalle.
-Tanto offri tu, vero?-
Sorpreso e incuriosito, lui la guardò appoggiare una mano sulla tempia e leggere il rigo del paragrafo.
-Mi sbaglio oppure oggi sei contenta?- domandò cauto.
Lei alzò gli occhi e annuì.
-E… si può sapere perché?-
La ragazza bionda alzò un sopracciglio, apposta maliziosa e accattivante e scosse la testa.
-Mi spiace, no-
Davide sospirò, scuotendo la testa ma sorrise, felice che fosse meno propensa alla lotta quel giorno.
Il tempo passò scandito da commenti poco educati a proposito dei suoi compiti, di una bevanda rovesciata a terra nel tentativo di sbirciare meglio la scollatura di Silvia, e del conseguente quarto d’ora passato a ripulire il pavimento con lo straccio.
-Sei patetico, lo sai?-
-Taci, ragazzina- sbuffò imbronciato il ragazzo chino a terra.
-Cioè, ti rendi conto, vero, che quella non ti filerà mai?- continuò imperterrita e spietata lei, girandosi verso il centro del locale, dove Davide era chinato a terra, intento a ripulire.
-Ma tu non ti fai mai i fatti tuoi?- chiese, ma era una domanda retorica, stizzita.
Raccolse con cura un vetro da terra e lo gettò in un secchio prima di domandare
-E poi scusa, tu cosa ne sai? Non si può mai sapere-
-Caspita, sei proprio cotto. Sei così rincitrullito che le permetti di non lavorare, coprendola con quello lì-
Con “quello lì” la bionda si riferiva a Bruto che si era momentaneamente assentato. Il bar era chiuso, avrebbero aperto fra mezz’ora, e lì dentro c’erano soltanto lei, lui, e la bella cameriera.
Stufo delle sue provocazioni, Davide lanciò lo straccio nel secchio con un rumore secco, e la guardò accigliato, una mano sul ginocchio.
-Senti saputella, non ti permetto di parlarmi così. Sono più grande e devi portarmi rispetto-
Francesca non si scompose a quella battuta, anzi lo rimbeccò con rinnovato entusiasmo, ormai presa dalla voglia di giocare a stuzzicarlo.
-Pensa un po’ se lei sapesse che ti piace…- si mordicchiò un labbro, maliziosa e del tutto dimentica dei compiti.
-Non oseresti-
Davide si alzò a fronteggiarla, stringendo gli occhi sospettoso.
La bionda avanzò con la sedia in modo da trovarsi vicina a lui. Abbandonò l’aria strafottente e si fece seria d’un tratto.
Sorrise piano, senza derisione, malizia o null’altro.
-Sicuro, Davi?- mormorò piano, guardandolo negli occhi.
Sconcertato dal suo cambio di posizione, prese un po’ di colore sulle guance per l’imbarazzo in cui si trovò. Era tanto vicina a lui, come non era mai successo prima d’allora.
-Ehi Davi, mica sai dove sono…?-
La voce di Silvia e il rumore delle sue scarpe che tamburellavano sul pavimento riscossero i due dall’ambigua posizione.
La mora li guardò con aria divertita.
-Ops, scusate… ho interrotto qualcosa?-
-Non hai interrotto nulla- si affrettò a precisare il ragazzo che subito afferrò il secchio e andò nel retro del negozio.
Francesca scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalla cameriera, che invece le si avvicinò.
-Piacere, Silvia-
-Francesca- le sorrise giusto per ricambiare forzatamente al suo sorriso cordiale.
Le due si guardarono fintamente gentili per un po’, poi chiesero all’unisono
-Tu e Davide state insieme?-
La bionda fu sorpresa dalla domanda che le rivolse; non aveva nemmeno lontanamente sfiorato l’idea di poter essere considerata in qualche modo la sua ragazza, tanto che per un momento ebbe la tentazione di scoppiare a ridere. Ma anche solo il fatto che gliel’avesse domandato significava che ad un occhio esterno potevano veramente sembrare fidanzati. Il che la spaventò.
-Senti, io e Davide non siamo fidanzati. Lui è… diciamo… un mio amico- la buttò lì per troncare ogni sospetto.
-Amico?- chiese con una punta di ironia calcolata.
-Amico- ribatté sicura e un po’ accigliata la ragazzina, tornando a chinarsi sul suo libro.
Dopodiché, mentre Silvia si allontanava, lasciandola in pace, Davide tornò da lei.
Si sedette accanto a lei, stavolta, guardando spasmodico la cameriera.
-Cosa ti ha detto?-
-Ha detto che sei proprio bono, non vede l’ora di sbatterti su questo bancone… dice che sei proprio bello quando ti metti la divisa…- 
Mordendosi il labbro, compiaciuta del rossore provocato sulle sue guance, un secondo dopo scoppiò a ridere di gusto, facendo ondeggiare la chioma bionda.
Lui appoggiò i gomiti sul banco e si rivolse al pavimento.
-Te l’hanno mai detto che sei incredibilmente sadica e perversa?-
-Caspita, un complimento del genere non me lo perdo- commentò, sorridendo e guardandolo.
Francesca non l’aveva mai considerato nulla più che uno sfigato senza speranze, ma forse perché quel giorno era molto allegra, forse perché si erano sbloccati e iniziavano a scoprire più cose l’uno dell’altro, notò per la prima volta qualcosa di carino in lui.
Il broncio triste che aveva assunto ora; sorrise semplice, un sorriso largo e gli si avvicinò.
-Secondo me non dovresti perderci tempo addietro-
-Perché no? Non sono alla sua altezza? Grazie mille lo so già…- fece depresso.
-Secondo me lei si fa il tuo capo- decretò convinta.
-Ma che dici?- disse il ragazzo dopo un attimo di smarrimento per l’assurdità dell’informazione.
-Ti dico di sì-
-Ma che vai dicendo? Bruto non si farebbe mai Silvia, e lei non andrebbe mai a letto con lui! Ma figurati-
Francesca sospirò teatralmente, guardandolo persa nei suoi pensieri.
-Tu ti fidi troppo delle persone-
Davide ricambiò arrabbiato lo sguardo.
-Beh, e tu ti fidi troppo poco-
Rimasero a guardarsi, l’uno depresso e corrucciato, e l’altra tranquilla e sorridente.
Poi ad un certo punto la bionda spinse il suo libro in grembo a lui.
-Che fai?-
-E ora renditi utile, ascoltami mentre ti ripeto la lezione-
Così fece, e quella sera oltre al fatto che c’era un modo di far sciogliere quella ragazzina e renderla più spontanea nei gesti, nelle parole e nei sorrisi, imparò che Carlo Magno era francese e che, ahimè, era stato lui a favorire la diffusione della scuola.
 
Purtroppo il ragazzo pagò a carissimo prezzo quell’allegra e più rilassata giornata passata con lei. Infatti al sorriso scherzoso e a quella complicità strafottente, che dopotutto non era malaccio e anzi li avvicinava, si sostituì, già dalla mattina dopo, un broncio cupo e nuvoloso accompagnato da risposte sgarbate.
Davide aveva potuto conoscere il motivo del suo comportamento lunatico come il tempo a marzo solo la sera, quando più che mai arrabbiata lei aveva gettato stizzita la forchetta nel piatto.
-Che, non ti piace?- domandò lui cauto.
-Mi fa schifo. Mi fa schifo tutto. Vai al diavolo e non rompere!- esclamò gettandosi contro lo schienale a peso morto, come se volesse romperlo, lei.
Lui sbuffò impercettibilmente quando udì l’ultima di una lunga serie di rispostacce.
-Scusa…- disse alzando le mani verso l’alto e levandole il piatto da davanti.
Francesca attaccò a mordersi il labbro freneticamente, come fosse un sacco da pugile contro cui sfogarsi.
-Stupido… stupido idiota…- diceva mentre con le sopracciglia sottili, unite, si mangiucchiava le mani.
Lui sentì quello che diceva ma non fu tanto stupido da arrischiarsi a domandare informazioni ulteriori.
Ma non ce ne fu bisogno, perché un attimo dopo, come se non potesse reprimere la sua rabbia, iniziò a parlare fra sé, ma ad alta voce.
-Che idiota! Che stupido! Ma sai quanto ca**o me ne fo**e se lui si è messo con quella… str***o…-
Il ragazzo roteò gli occhi mentre sciacquava le stoviglie, curandosi di non farsi vedere.
La bionda continuò la sua arringa, aggiungendovi epiteti poco cortesi, finché non arrivò il capolinea del suo sfogo.
Allorché alzò lo sguardo lentamente, intensa sulla sua schiena dalle spalle larghe e forti.
-Pensi che sia una stupida, vero?- domandò, con la voglia da attaccabrighe.
Davide, riposte le posate e i piatti sul ripiano, si voltò a guardarla.
Non era, come aveva sospettato lei, insofferente o ironico, sarcastico divertito dal suo essere ancora troppo bambina per lui.
Era semplicemente serio, a braccia incrociate e soppesava la ragazzina con lo sguardo mezzo preoccupato, mezzo concentrato e pensoso.
-No- disse con un sospiro che non voleva significare noia, poi si grattò il mento coperto da un piccolo strato di barba.
-Non penso che sei stupida- aggiunse, sempre guardandola dritto negli occhi azzurri, pensieroso –penso che un ragazzo ti ha fatto qualcosa di male-
La bionda si dondolò nervosa contro il tavolo, ballando sulle gambe della sedia, ondeggiando pericolosamente sospesa fra la caduta e la salvezza.
-Puoi dirlo forte- commentò, la faccia indurita e corrucciata.
Erano così diversi, anche negli atteggiamenti, nelle reazioni e nel tono che assumevano. Davide era molto calmo, come persona e carattere, non esternava facilmente le sue sensazioni più intime, ma a differenza di Francesca, che non lo faceva per principio, era forse perché aveva paura del giudizio altrui.
Quando doveva rapportarsi con gli altri, lo faceva con timore, forse un po’ timido.
Non perdeva mai la calma messa certamente a dura prova dalla ragazzina, e risultava sempre paziente, disposto a perdonarle tutti quegli scatti d’umore che la rendevano quasi odiosa.
Francesca era simile in questo, ma tutta diversa in altro.
Anche lei, timida e insicura con le nuove persone, aveva bisogno di tempo per svelare qualcosa di più riguardo se stessa ad una persona; per questo le sue amicizie, quelle vere e sincere, erano pochissime.
Arrossiva a complimenti esterni, non era certo una che andava a mettersi in mostra con gli altri, benché ne avesse molte, di qualità da mostrare.
Bellezza, intelligenza, un po’ di buonsenso e seduzione, quando voleva erano armi non indifferenti per farsi apprezzare dai ragazzi e invidiare dalle ragazze.
Ma non era tipo a cui interessava questo, ed era da ammirare.
D’altra parte, quello in cui erano opposti, proprio agli antipodi, bianco e nero, era il carattere.
Se uno era calmo e tranquillo, lento ad arrabbiarsi e a scatti impulsivi, l’altra era fuoco sulla benzina.
Nel senso che bastava un nonnulla per farla accendere e scatenare la sua furia, dirompente peggio di un uragano. Sapeva distruggere con le parole, e menava forte come un maschio pur di difendersi e fare male nel vero senso della parola.
Quando qualcuno non le andava affatto a genio, o l'aveva ferita in qualche modo, non aveva speranze di ottenere il suo perdono, e non aveva altra scelta che sparire per sempre dalla sua vita.








Jiuliet: grazie della recensione. Si beh, certo Davide non getta la spugna, anche se non so quanti, di fronte al carattere di Francesca, avrebbero fatto altrettanto. Continua a leggere

00glo00: sia chiaro, anche se tu attaccassi Francesca, credo che lei saprebbe bene come difendersi! Saprai cosa ha letto Francesca... beh se continui a seguire la storia. Grazie d'aver recensito.


Devilgirl89: che bella domanda. Cosa sta cercando Francesca? In effetti, credo che le persone dall'animo buono siano in genere quelle che vengono più maltrattate da tutti. Però si può sempre cambiare atteggiamento (riferito a chi maltratta).


wanda nessie: d'accordo, proverò a rispondere... 1 e 2: cosa sta pianificando Francesca? beh...................viva l'intuito, ma non ti dirò nulla. 3: fatto. 4: spiacente di doverti correggere, ma sono un ragazzo.


Mary____02: (spero d'averci messo i giusti trattini) grazie. Temo che per sapere qualcosa in più di Davide la situazione si debba prima risolvere un po'...


MissQueen: dannazione, ti devo una brioche allora... Grazie per i nuovi complimenti, mi lusinga molto che tu pensi queste cose. Ma se continui mi monterò la testa. Grazie d'aver recensito.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Era un giorno della prima settimana di maggio, quando comincia a far caldo e il sole ti illude che sia veramente arrivato il tempo di sbizzarrirsi divertendosi, oppure ti rende schiavo da dietro una finestra facendoti arrabbiare perché te ne stai rinchiuso, costretto a lavorare ancora. Era probabilmente questo lo spirito che indusse Francesca a guardare ripetutamente dalla finestra, sperando di cogliere chissà quale sollievo ad una giornata passata nei banchi.
Disegnava distratta con la matita, stretta fra le dita sottili e che lasciava con la grafite segni imprecisi sul foglio.
Paola la osservò attenta, poi abbassò lo sguardo.
-Non si vede per niente- sussurrò.
La bionda la guardò quasi malinconica, sospirando.
-Il dottore ha detto che dovrebbe crescere piano piano a cominciare da adesso…- poi detto questo tracciò un’abbondante linea curva sul foglio bianco.
-Ti capita mai di avere le voglie?- domandò curiosa Paola, del tutto dimentica della lezione.
Francesca alzò le spalle, stringendosi in esse pensierosa e mordendo l’estremità della matita.
-Una volta, un pomeriggio all’improvviso aveva una voglia pazzesca di fragole, ma Davide non me le ha date. Forse perché non c’erano…- sorrise.
-Poi un’altra volta mi sono fatta un bel po’ di caffè, tutto in un pomeriggio, e gli ho consumato un sacchetto che stava a metà-
-Caspita, chissà se al bambino gli spunterà una voglia marrone!- disse concitata l’amica.
La bionda cambiò il suo sguardo da tranquillo a cupo, accigliandosi e guardando altrove.
Paola capì subito dove aveva sbagliato.
-Scusa scusa, scusami non l’ho detto apposta!....... senti perché non vieni a mangiare a casa mia oggi?- chiese per sviare l’argomento.
-No... – sospirò la bionda, tornando a voltarsi verso di lei con la testa poggiata in una mano  -voglio vedere come fa Davide il pranzo che gli ho comprato, così semmai posso sfotterlo…-
Paola assunse un cipiglio invitante.
-è carino questo fantomatico ‘papà’?- domandò.
-Boh-
-Come boh? Se non lo sai tu che ci vivi!-
-Pare che io lo guardo in quel modo? Ma nemmeno per sogno!- sorrise come se fosse ovvio la ragazza.
-Secondo me…… un pensiero ce l’hai fatto…- la stuzzicò l’amica.
-Manco sotto tortura- rise la bionda.
Paola tornò nella sua parte di banco, prese un foglio a righe e lo dispose sul banco orizzontalmente.
L’ora di storia era molto proficua per coloro che amavano il fanca**ismo, perché la professoressa si perdeva solitamente in lunghe digressioni e aneddoti inutili ma efficaci per far passare l’ora senza fare molto. Così Paola fece scorrere la cerniera dell’astuccio e prese vari colori, a matita e a spirito.
Incominciò con la matita a tracciare linee ben definite e non vaghe come quelle che faceva prima la sua compagna di banco.
Francesca appunto, curiosa, si sporse.
-Che disegni?-
Ma l’altra ritirò il foglio per non farle vedere.
-Mo aspetti- le disse, furba.
Dopo circa dieci minuti, mentre stava passando il pennarello nero sui contorni, la bionda si rese conto che era una scritta a mo’ di graffito.
-Me lo fai vedere allora?-
-Un attimo… che ho quasi finito…- diceva mentre terminava di ripassare.
Così, soddisfatta, si allontanò e lo porse all’amica.
-Tieni, te lo regalo-
Francesca lo prese in mano e lo guardò, meravigliata da come la ragazza sapesse scegliere le giuste combinazioni e dosi di colori per rendere molto più bello l’insieme.
-Che artista- commentò alzando un sopracciglio.
-Ti piace?-
Lei sorrise e annuì, ridendo piano dopo.
Sul foglio a righe erano tracciate linee nere, verde evidenziatore e arancione elettrico, che si univano per formare il seguente testo: Davide&Francesca=love4ever.
L’insieme era davvero carino e alla bionda dispiacque di buttarlo e rovinare l’impegno che ci aveva messo la sua amica.
Così scosse la testa, ma invece di strapparlo lo ripiegò e lo infilò con una graffetta fra le pagine del suo diario imbottito.
 
Quella sera tornata a casa, assaggiato uno dei migliori cocktail preparati con cura da Davide, giusto per provare a sentirsi grande, la testa le girava un pochettino.
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, persi ognuno nei propri pensieri, quando d’improvviso lei ruppe il ghiaccio.
-Oh ma oggi è il sette maggio!- esclamò come riscuotendosi da un torpore.
-Benvenuta sulla Terra- commentò lui senza alzare gli occhi dal suo giornale.
-Allora stasera…- proseguì ignorandolo -…stasera c’è quel programma…-
Di scatto si alzò, diretta verso il salotto, quando anche Davide saltò in piedi.
-Eh no, eh! Ferma dove sei, la tv è mia!-
Lei si voltò a metà strada, le sopracciglia aggrottate.
-Cosa?-
-La tv è mia. C’è una partita importante stasera-
-Nemmeno per sogno! C’è un bellissimo programma e io devo guardarmi un bellissimo ballerino!-
I due si sfidarono con un’occhiata intimidatoria, nessuno deciso a perdere.
La bionda si avvicinò al ragazzo, fronteggiandolo a testa alta e con cipiglio altezzoso.
-Non si discute, la tv è mia-
Anche lui la guardò allo stesso modo, incrociando le braccia.
-Non se ne parla. È mia-
Entrambi persistevano nel loro intento, senza demordere.
-D’accordo… c’è solo un modo per risolverla…- cominciò lei, ghignando in una maniera per nulla promettente.
-Sarebbe?-
-Braccio di ferro-
A questa affermazione lui rise di gusto, tenendosi il fianco.
-Cosa c’è, che ti ridi?- lo aggredì la ragazza, sedendosi al tavolo e alzando il braccio –Muoviti e vieni-
-Ma fai sul serio?-
-Muoviti, stupido- sibilò a denti stretti.
Un po’ intimorito, un po’ divertito Davide accettò di sedersi davanti a lei e di far intrecciare le dita delle loro mani. La bionda lo fissava dritta negli occhi, e li strinse sorridendo perfida quando lui rafforzò la presa nella sua mano.
-Preparati a perdere- lo minacciò.
Dopodiché, all’improvviso senza avvertire strinse la presa e iniziò a spingere verso destra con decisione. Lui, che non era preparato, lasciò che la mano cadesse, ma appena in tempo prima che toccasse il tavolo irrigidì il muscolo e riuscì a farla restare sospesa.
-Sei morto- ansimò la ragazza, stringendo gli occhi e mettendoci più forza.
Sentendo la sua pressione abbastanza forte lui si preoccupò.
-Non posso farmi battere da una femmina, dannazione!- fece il ragazzo.
Così con uno sforzo che sembrava immane, sollevò nuovamente le due mani, riportandole in situazione di parità.
Ma Francesca non gettò la spugna, anzi riprese a spingere con maggiore intensità.
-Ti ammazzo Davide!- boccheggiò ridendo, e aggiunse un altro braccio per spingere.
-Fallo, fallo! Arbitro, espulsa!- rise lui, e dovette metterci anche lui il suo sinistro per compensare la forza dall’altra parte ed evitare di cadere sconfitto.
La lotta non voleva cessare ed entrambi non volevano perdere.
-Dio…… ma quanta forza c’hai?- esclamò lui, fra il divertito e il sorpreso, perché la ragazzina non accennava a desistere e non sembrava essere stanca.
-Sono brava, vero?-
Era tutta rossa e con i capelli scompigliati dalla fatica, ma resisteva ancora, quella testa dura!
Ad un tratto, presa dall’ispirazione, Francesca digrignò in denti in una smorfia e calciò forte sullo stinco del ragazzo, sotto il tavolo.
Lui sobbalzò per il dolore e ovviamente smise di opporre resistenza; il suo braccio scivolò a massaggiarsi la parte colpita e la sfida fu vinta da lei.
-Ahio!-fece il ragazzo, mentre si alzavano e lei trionfante accendeva la televisione.
-Hai imbrogliato!- la rimproverò, sedendosi accanto a lei.
-Avevamo forse deciso regole?- domandò saputa.
-No… però…- si difese lui.
-E allora zitto e basta. Ho vinto io-
Sbuffò, si appoggiò allo schienale del divano e premette il pulsante del telecomando.
Davide gemette e arrovesciò la testa all’indietro.
-Per favore, dai me la fai vedere la partita?- chiese ad occhi chiusi.
-No, devo vedere il mio ballerino- rispose netta la ragazzina, gli occhi fissi sullo schermo.
-Ma che te ne frega? Tanto pare che ci finisci a scopare…- commentò l’altro.
A questa affermazione la bionda non rispose subito, impegnata a seguire con le iridi azzurre i movimenti del ragazzo sullo schermo.
-Tanto anche in quel caso… - ribatté piccata –non avrei potuto, mi fa male-
-Cosa ti fa male?- domandò lui, rialzando la testa e fissandola perplesso.
-Secondo te? La fi*a- rispose senza imbarazzo.
Lui arrossì, e gli scappò un sorriso, poi ci pensò su.
-Beh… ed è normale?- domandò preoccupato.
-Che ne so… è normale?- gli rigirò la domanda, ancora presa dallo schermo della televisione.
-E che ne so io! Insomma…… è roba tua, no?-
Dopo quelle parole cadde un silenzio imbarazzato. Francesca si voltò lentamente a guardarlo, mordendosi un labbro, incerta se ridere.
-Oddio non posso credere che l’ho detto…- mormorò lui senza guardarla.
La ragazza non riuscì a reprimere una risata, che soffocò il momento dopo fra i denti, mordendosi forte le labbra.
Rosso in volto, il ragazzo si reggeva il mento con una mano e guardava da tutt’altra parte.
-Okay, dimentica l’ultima cosa che ho detto….-
-Sì, certo- disse senza trattenere il tono divertito.
-Eh non l’ho fatto apposta! Volevo dire un’altra cosa…-
-Sì sì- assentì la ragazzina, prima di scuotere la testa.
 
Dovette riconoscere che aveva fatto di notevoli passi avanti con lei, e ora erano arrivati ad uno strano rapporto di convivenza, non più tanto forzata ma nemmeno gradita. C’erano giorni in cui, soprattutto a lei, la luna girava storta e non le si poteva dire nulla senza incappare nella sua ira. Altri giorni, come quella sera della partita e dello spettacolo, la conversazione si manteneva su un tono strafottente, mai gentile, eppure più rilassato e complice.
Lui ormai ci aveva fatto l’abitudine, a quella furia bionda che vedeva ogni mattina, girata verso la finestra nel suo letto.
E ogni mattina, dopo che era stato seduto per dieci buoni minuti a svegliarsi, la guardava dormire beata, silenziosa e raggomitolata fra le lenzuola. Finché il ragazzo non guardava l’orologio e la svegliava.
 
-Francesca…?- la chiamò, scuotendole la spalla.
Ma non ottenne risposta se non un brontolio confuso.
-Francesca?- richiese paziente.
Stavolta gli sembrò che avesse aperto un occhio pianissimo, come se temesse di farsi vedere dal nemico.
-Guarda che è tardi- la informò senza tanto entusiasmo lui.
A questa uscita ottenne un gemito represso nel cuscino morbido. Ripeté i soliti incitamenti che faceva ormai spessissimo, fino a che lei alzò la testolina bionda.
Lo guardò assonnata, con la vista annebbiata e gli occhi semichiusi, girò la testa dall’altro lato e sprofondò di nuovo nel letto.
-Devi andare a scuola. Non posso firmarti il permesso di entrare alla seconda ora- spiegò, togliendole ogni prospettiva di scamparla.
Francesca mugugnò qualcosa di insensato, si rivoltò a pancia in su e disse
-Ti odio... str***o-
-Ah be’, non è colpa mia se sono le otto e un quarto- proseguì incurante dei suoi insulti.
La bionda d’un tratto si rizzò a sedere. Il lenzuolo non le copriva che il petto, mentre lasciava fuori le spalle e le gambe. Subito saltò giù, come presa da una scossa.
-Cavolo, cavolo… accidenti a te!- esclamò andando alla ricerca dei suoi vestiti, frenetica.
-Ah certo… è sempre colpa mia tanto…- esalò lui in un lungo sospiro, sdraiandosi di nuovo fra le lenzuola.
-E non provare a guardarmi, sai?- lo informò aggressiva.
-Non ci tengo a morire- rispose senza pensare, e forse fu un grosso errore.
Infatti subito dopo, rabbiosa, la ragazzina bionda gli lanciò contro il suo paio di jeans, colpendolo quasi in viso.
-Ahio ma sei scema? Potevi cecarmi!- le gridò contro, tornando di scatto a sedersi.
-E ringrazia che ho una mira del ca**o altrimenti stavi già all’altro mondo!- ribatté acida, avvicinandosi per riprendere l’indumento.
Se lo fece scorrere su per le gambe lunghe e giuste, allacciandoselo davanti ai suoi occhi.
-Dai lo so che sei bella- mormorò con voce roca stendendosi un’altra volta sul materasso lui, e affondando la testa nel cuscino.
-...certo- commentò lei sarcastica.
-Sei più bella di Miss Italia... davvero, soprattutto con quei brufoli sulla faccia, i fianchi rotondi, i capelli in disordine...- ridacchiò divertito, parandosi il viso con una mano per sicurezza.
Francesca infilò le scarpe ai piedi e prese il suo zaino.
-Giuro che quando torno da scuola ti uccido-
 
A quella furia bionda che guai a contraddirla o a intralciarla.
 
-Come sarebbe che vuoi andare ancora dal ginecologo?- chiese Davide.
-Sarebbe che ci voglio andare. Oh senti, il problema è mio!- ribatté Francesca ostinata.
-Ma ci sei stata appena una settimana fa!- obiettò il ragazzo.
-Embé? Fatti miei e del dottore se ho dei problemi!-
Si mise la mani sui fianchi e gli tenne testa, orgogliosa.
Lui si grattò il capo, perplesso e non del tutto convinto.
-Senti...ma mi spieghi come mai questo cambiamento? Prima non ci volevi andare manco costretta e ora sembra che ti manchi!-
La bionda scosse la testa.
-è che mi piace questo dottore, idiota- sibilò cattiva –e poi ho bisogno di visite regolari, no?-
-E come mai d’un tratto sei così esperta?- domandò sospettoso il ragazzo.
-L’ho letto nel libro che mi ha dato tua madre- ribatté ostinata, mostrandoglielo.
-Tu leggi troppo quel libro, mi sa...- fece rabbuiato, ma la accontentò.
 
A quella furia bionda che, alla fine dei conti, era provvista di molto, molto buonsenso e non era proprio cattiva.
 
Silvia passeggiava per il locale, reggendo vassoi ora pieni di dolci, ora di cornetti e cappuccini e così via.
Davide la osservava incerto, timoroso.
-Allora, mi raccomando...- gli disse la bionda seduta di fronte, con un sorrisetto che le scappava dalle labbra.
-...non devo rivolgerle la parola- continuò, non convinto il ragazzo.
-Esatto- Francesca se la rideva, sforzandosi di trattenere la risata.
-Ma così non è peggio per me?- chiese preoccupato.
-No, ma che dici...-
Poi scoppiò a ridere, incapace di trattenersi; lui si imbronciò.
-Smettila di prendermi in giro!- le intimò.
La ragazzina si ricompose e gettò uno sguardo divertito, mordendosi il labbro, alla cameriera.
-Tu fai quello che fai normalmente, sii gentile come sempre e andrà tutto bene- lo rassicurò.
-Non ce la farò mai- scosse la testa lui.
 
A quella furia bionda che sapeva essere sincera e diretta.
 
-Com’è andata?- Francesca si rizzò sul divano, osservando attenta il ragazzo appena entrato dalla porta.
-Uno schifo- commentò lui appoggiando l’ombrello a terra, zuppo.
-Che è successo?-
Davide si sedette accanto a lei, guardando il televisore spento con le sopracciglia aggrottate.
-Stavo lì per chiederle di andare a farsi un giro al nuovo centro commerciale che hanno aperto, vado per parlare e le squilla il telefono. Lei risponde e...-
-Ed era il suo ragazzo- terminò la bionda, appoggiandosi allo schienale.
-Esatto- proseguì rabbioso lui –e se ne esce con ‘scusa, ma devo andare col mio ragazzo. Conosci il centro commerciale nuovo, che hanno aperto da mo? Magari qualche volta ci andiamo...’- scimmiottò la sua voce femminile e si lasciò andare anche lui contro lo schienale.
-Povero Davi...- la ragazzina gli batté una mano sulla spalla, comprensiva ma strafottente.
 
Oltre al fatto che avevano avuto modo di conoscersi, dopo la scoperta che aveva fatto lui, il bambino cresceva.
Davide era abbastanza contento di come stavano andando le cose. La scuola le era quasi finita, mancavano più o meno due settimane, e poi durante l’estate, nel periodo critico che avrebbe dovuto attraversare con la gravidanza, sarebbe stata più tranquilla senza l’imbarazzo di dover andare a scuola col pancione.
Era contento anche di lei, iniziava a crederci davvero in quella storia di avere un bambino. E la cosa straordinaria era che non dovevano impegnarsi in una relazione, ma solo essere dei buoni conviventi legati da un patto, come un segreto che solo loro sapevano.
Davide aveva riflettuto anche su questo, se dirlo o meno a sua madre. Tante volta aveva pensato di domandare a Francesca cosa ne pensasse, cosa avesse deciso di fare una volta che fosse nato il bambino. Ma non osava domandarglielo, perché notava che ogni volta che si toccava l’argomento lei non rispondeva e cercava di sviare.
Probabilmente non voleva parlarne e basta, e il ragazzo non si affaticò a cercare di capire il perché.
Ma affianco a queste piccole conquiste, rimaneva sempre un chiodo fisso nella sua mente, e cioè il motivo per cui la ragazzina volesse spesso andare dal ginecologo.
Era sicuro che avesse letto il libro di sua madre, e poteva capire che volesse accertarsi che andasse tutto bene, ma cinque visite in tre settimane gli sembravano un po’ tante.
Dapprima non se ne era preoccupato anzi ne era felice, convinto che avesse cominciato a mostrare maggiore interesse per il bambino, ma ora il pensiero lo tormentava.
Non gli permetteva di accompagnarlo dentro la sala, e anche se dopo ogni visita parlava col ginecologo che lo rassicurava, aveva la netta impressione che quei due gli stessero tenendo nascosto qualcosa.
Purtroppo per lui e non solo, scoprì in un modo del tutto brutale cosa stava succedendo.
 
Davide tornò dal lavoro alle otto e quarantacinque, piuttosto in anticipo a dir la verità, la sera del diciassette maggio, con addosso solo la giacca nera. Aprì la porta, poi gettò con un colpo secco il mazzo di chiavi sul divano, e chiuse il portone alle sue spalle. Avvertì subito, dal primo momento, che c’era qualcosa che non andava.
Senza chiamarla, cercò Francesca con lo sguardo nel salotto, nella cucina e nella camera da letto, ma non c’era.
Poi gli venne in mente di controllare nel bagno, e senza far rumore si avvicinò alla porta, che era accostata e dalla quale proveniva una luce.
Che diamine stava facendo lì dentro?
Insospettito, spinse con due dita la porta per vedere all’interno cosa succedeva: Francesca era seduta sul lavandino e teneva in mano qualcosa, nell’altra un bicchiere d’acqua.
Inevitabilmente si accorse della sua presenza, e quando lo fece alzò gli occhi azzurri piantandoli quasi terrorizzata nei suoi verdi.
-Che stai facendo?- chiese lui accigliato.
-Niente- la ragazzina saltò subito giù dal lavandino e posò una scatola bianca su di esso, sperando di non essere vista; a Davide invece quel gesto non sfuggì affatto.
Sempre più insospettito dalla strana situazione, e credendo che gli stesse nascondendo qualcosa, la guardò negli occhi.
Era preoccupata lei e molto. L’attimo dopo, con uno scatto agile afferrò con la sinistra la scatoletta che lei aveva cercato di nascondere dietro di sé, e la bionda cercò di fermarlo senza successo.
Davide la mise fuori dalla sua portata e prima di guardarla si concentrò su di lei.
-Cos’è questo?-
-Pillole per il mal di testa- disse subito lei, componendo un’espressione noncurante e indifferente –avevo un po’ di male... e così ho visto se ne avevi...-
Ma il ragazzo, per qualche strano sesto senso, avvertiva che in tutta quella situazione c’era qualcosa che non andava. Forse perché i suoi occhi azzurri saettavano ansiosi dalla scatola a lui, forse perché aveva preso a mangiarsi il labbro come faceva quando era nervosa o incavolata, forse perché non gli sembrava che per prendersi una pillola per il mal di testa bisognasse stare rinchiusi in bagno con aria cospiratrice.
-Come mai sei già a casa?- domandò la ragazza, per spezzare il silenzio teso.
-Ho finito prima-
Non si aspettava che tornasse così presto.
Qui c’era sotto qualcosa, e qualcosa di brutto, pensò Davide.
-Ridammi la scatola- ordinò lei, tendendo il palmo.
-No- ribatté deciso il ragazzo.
-Davide, ridammela- la bionda si avvicinò, ora con l’ansia in viso.
Lui si decise a guardare la scatola, e mentre lo faceva la bionda sospirò e gemette.
 
Il cuore le batteva forte e rapido nel petto come se dovesse sfondarlo, mentre guardava spasmodica Davide che leggeva le scritte della medicina. Si spaventò, si spaventò tanto e di colpo impallidì. Ora non restava che da vedere la sua reazione, ma era certa che non sarebbe stata nulla di buono.
Davide lesse le scritte veloce, e si irrigidì. Fu come se uno schiaffo gli fosse piovuto addosso, paralizzandolo lì. Non riusciva nemmeno a parlare.
Poi, lentamente, alzò la testa.
-Queste non sono pillole per il mal di testa- mormorò.
Francesca incontrò i suoi occhi verdi nei propri azzurri, e lo guardò gettare nel secchio la scatola.
Si fissarono per un lungo attimo, che parve un’eternità, fino a che lei non poté più reggere il peso di quegli occhi che ora sapevano, sapevano tutto.
-Cosa volevi fare?- domandò, ma il suo tono non era curioso, o ignorante. Era serio, carico di ansia e gravoso, quasi duro.
Lei respirava forte, tenendo gli occhi fissi sullo stipite della porta, tormentandosi le mani.
D’un tratto lo superò, andando nel salotto.
Davide subito le fu dietro, e richiese più forte, con voce più autoritaria
-Cosa volevi fare?-
Nemmeno stavolta lei rispose, ma tirò dritta per il piccolo corridoio.
Al che lui perse la pazienza, le afferrò un polso e la sbatté forte al muro.
La ragazzina gridò di sorpresa, ma il suo lamento fu zittito quando vide lo sguardo che aveva assunto lui. Continuava a stringerle il polso destro.
-Ti ho fatto una domanda- le sibilò, rabbioso.
Lei ebbe un momento di smarrimento e fu incapace di replicare quando vide l’espressione furiosa sul suo viso; per una volta, l’aveva sopraffatta.
Diavolo, l’aveva fatto arrabbiare sul serio.
E quando gli altri si arrabbiavano, non poteva soccombere, ma reagiva sempre.
-Non l’hai capito? Sei stupido?- gli ringhiò in faccia, iniziando a farsi rossa.
-Volevi uccidere il bambino?- domandò a voce alta il ragazzo, ormai incavolato.
Francesca non rispose a questo, ma tenne alto lo sguardo.
I loro respiri sbattevano, caldi, ma non di passione.
-Non avrei ucciso nessuno, io- soffiò a pochi centimetri dalla bocca dell’altro.
-Volevi uccidere il bambino? Non ti importa nulla di lui? E allora cosa sei andata a fare dal ginecologo?-
-Mi sono fatta consigliare per abortire!- ribatté la ragazza.
-Volevi davvero uccidere? Uccidere il bambino?- lui sgranò gli occhi, disgustato e al tempo stesso avido di saperne di più.
Fu come se alla ragazza crollasse il mondo addosso; sentirlo uscire dalla sua bocca accentuava all’ennesima potenza il significato. Ma la rabbia le salì su per lo stomaco, le invase le arterie e anche le guance si fecero rosse; un brutto, bruttissimo segno.
Esplose come una bomba.
Scosse il braccio stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu sei uguale a tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te importa solo di quello stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide ascoltò quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza di un mattone.
-Cosa?- mormorò sconcertato.
Francesca lo guardò orgogliosa.
-Ancora non l’hai capito? Io un figlio non lo faccio-
Rimasero in silenzio, l’uno davanti all’altro, la ragazzina schiacciata contro la parete e lui che le teneva il polso; nel frattempo si guardavano, l’una rabbiosa e ferita, l’altro incredulo.
-Lasciami, mi fai male- disse lei piano.
La mano di Davide scivolò lenta sul suo braccio, lasciandola andare e allontanandosi.
 
-Da quanto tempo è che...?- chiese, le braccia stese sui fianchi, guardandola serio.
-Da sempre. Da quando ti ho cercato-
-E tu già pensavi di abortire?- domandò accigliandosi.
Lei annuì, incrociando le braccia.
Davide la fissava, passando dal meravigliato al disgustato. Sentì la delusione farsi strada dentro di lui, inesorabile.
Boccheggiò tentando di trovare qualcosa da dire.
-E io allora? A che ti servivo?- riuscì a dire alla fine.
La bionda non gli rispose, ma guardò un punto indefinito del pavimento; lui interpretò la mancanza di risposta come la mancanza di una ragione, di un motivo valido. E questo bastò a fargli capire.
-Mi hai solo usato- concluse a voce atona, ma fissandola stringendo gli occhi in un modo che non indicava certo gioia.
Incapace di guardarla negli occhi, anche lui incrociò le braccia al petto, offeso e tremendamente...deluso.
Aveva speso un mese, tutte le sue energie, per dedicarsi a quella ragazza.
Ci aveva dato il sangue, l’appartamento e una cospicua parte di soldi.
Aveva cercato di aiutarla.
E lei, così testarda, all’apparenza un’ingrata, che nascondeva una storia terribile, ora lo aveva ingannato. Lui si era dedicato a lei, l’aveva conosciuta meglio, ci aveva giocato e rarissime volte scherzato, parlato, urlato, litigato e scambiato sguardi per nulla amichevoli, ma ci aveva, nel bene o nel male, vissuto insieme. Aveva creduto che le importasse del bimbo, che il suo interesse per il ginecologo fosse dovuto al bambino, e invece no.
Si sentiva umiliato, deluso, devastato da quella spiacevole novità.
Vedendo che non apriva bocca Francesca disse
-Ti sei arrabbiato?- ma il suo tono non era preoccupato, anzi irritabile come prima, già pronta ad una nuova lotta.
Lui alzò lo sguardo, la fissò dritto negli occhi azzurri, e prima di parlare le scoccò un’occhiata arrabbiata, con le sopracciglia aggrottate.
-Non sono arrabbiato- fece una pausa, poi prese fiato e proseguì –sono molto deluso-
Avanzò di qualche passo.
-Pensavo che fossi diversa. Che avessi la forza di affrontare i problemi. E invece cosa fai? Scappi, scappi pur di non sentire-
La bionda ascoltò in silenzio, guardandolo astiosa.
-Credevo tu fossi una donna coraggiosa-
Davide fece un’altra pausa e le rivolse un’occhiata sostenuta, scuotendo la testa.
-Sei solo una ragazzina-
Cadde il silenzio, il più lungo che ci fosse mai stato fra loro e non per la durata, ma per quello che lasciava in sospeso, per le parole che si trascinava dietro, per le occhiate che si scambiavano. Rumoroso come il fulmine che strazia il cielo, divideva come un confine i due.
La ragazzina non rispose a questa frase, finché lui non andò di là, e tornò subito dopo con le sue cose in mano.
Le poggiò a terra.
-Cosa hai intenzione di fare?-
-Vattene- indicò con un dito e un tono autoritario, severo che non ammetteva repliche il portone.
-Vattene, non ci voglio avere niente a che fare con questa storia-
Francesca si imbufalì, facendosi rossa.
-E a me che diavolo me ne frega? Sai quanto mi importa di te? Anzi, anzi...- prese le sue cose e andò verso la porta.
-...me ne vado io. Ma va******lo!-
Prima che sparisse definitivamente, il ragazzo la inseguì, per così dire, e le gridò dietro
-Spero tanto che un giorno sentirai il rimorso! Sentirai il rimorso di aver ucciso una creatura!-
Ma lei, forse o almeno così pensò lui, non lo sentì, troppo impegnata a sbattere forte la porta d’ingresso.
 
E adesso mi odierai.






Grazie a tutti quelli che seguono la storia e mi lasciano recensioni, molto apprezzate.

Marty McGonagall: ho girato sul tuo account e ho scoperto che sei una betareader. Questo ovviamente non può che farmi piacere e mi sento onorato, grazie mille per la tua recensione. Grazie, grazie veramente anche se non posso fare a meno di dire che forse mi sopravvaluti.

Devilgirl89: credo che con questo capitolo sia tutto più chiaro. Ma ti prego di non smettere di leggere, visto che sei una persona dalla mente libera dai pregiudizi, e dai una possibilità a Francesca. Grazie per la recensione.

Miss Queen: okay d'accordo, ci accorderemo per la brioche. Mi fa piacere che la storia ti incuriosisca e ti invogli a continuare. Credo che questo capitolo, che è un po' lo snodo della storia, contenga le risposte alle tue domande. Ma forse ne scatena altre.

Jiuliet: oh, viva una che apprezza Francesca! Ma sai, certe volte si hanno come dei paraocchi che ti impediscono di vedere davvero quello che più ti sta vicino.

Emily Doyle: il nuovo capitolo è arrivato. E abbiamo scoperto che combinava Francesca. Grazie per la recensione.

OOgloOO: ecco, mi sa che questo capitolo ti ha chiarito le idee, vero?

wanda nessie: ahahaha non ti preoccupare, ma ti pare, cose che capitano...grazie d'aver recensito.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Stette immobile, a fissare la porta, come se quel legno scuro potesse in qualche modo cancellare quanto accaduto. A Davide non piaceva litigare con le persone, e non era certo un tipo da attaccabrighe, infatti quanto successo gli cadde addosso come pioggia, gelida, pesante, paralizzante.
L’aveva cacciata di casa; diamine, l’aveva fatto per davvero. Ora non c’era più, se n’era andata. Non gli piaceva affatto il mattone che teneva sullo stomaco, ma non sapeva come liberarsene.
Provò a convincersi che ora aveva un problema in meno, che non doveva più preoccuparsi di quell’assurda storia. Ma non era un insensibile, e purtroppo per lui, il rimorso anche se non era proprio in errore, lo sentiva. Lo sentiva eccome.
 
La ragazzina bionda camminava a passo veloce per la strada, e sapeva che era semplicemente ridicola con quello zaino e il borsone, contenente tutte le sue cose, appresso. Ancora arrabbiata per prima, incapace di sbollire se non sfogandosi contro qualcosa, ad un certo punto gettò a terra il borsone, accanto una panchina, e si sedette.
Strinse forte le mani e piantandosi le unghie nei palmi sbatté i piedi a terra. Si fissava le scarpe accigliata, la fronte corrucciata. Sapeva che sarebbe stata incapace di pensare a qualsiasi cosa se prima non avesse sfogato la sua rabbia.
Così si mangiò letteralmente il labbro inferiore finché non le fece male, poi incrociò le braccia, imbronciata, e borbottò fra sé insulti.
Quando credette di essersi sfogata abbastanza, pensò al da farsi.
Era sola, in mezzo alla strada, sbattuta fuori di casa. E per giunta iniziava a farle male la testa.
Quello non era proprio il momento di mettersi a fare i capricci.
Il problema principale era, in quel momento della giornata, trovare un posto dove dormire, anche perché l’indomani aveva scuola.
Dove sarebbe potuta andare?
La prima ipotesi che formulò aveva il nome di Damiano, ma questa venne immediatamente scartata dalla sua mente, ben decisa a chiuderla con lui.
Però ne aveva bisogno in fretta, di una casa.
Ma per quanto provasse a pensare a chi potesse aiutarla, le tornava in mente sempre lo sguardo che il ragazzo le aveva rivolto poco meno di un’ora fa.
Al che, ricordandoselo, ebbe un momento in cui vacillò. Tentennò e non si sentì più così tanto sicura. Ma l’attimo dopo, avvertendo che era vulnerabile, subito provvide a scacciare quel pensiero che le stava scomodo.
Voleva farlo sparire. Sparire, ridurlo in cenere.
Ma prima aveva altre faccende più urgenti da sistemare.
Prese dalla tasca del giubbino bianco il suo telefonino e fece il numero.
-Ciao Pa’- incominciò, la voce incerta.
Dopo un rapido scambio di convenevoli educati, le domandò
-Senti ho un problema. Un grosso problema. Posso dormire da te stanotte?-
La voce dell’amica che le dava il consenso funse meglio di un ricostituente per i suoi nervi.
Almeno, se non altro, aveva un posto dove dormire.
Qualche ora dopo, consumato un buon pasto caldo, era infilata tranquilla sotto le coperte di un letto a castello, nel materasso inferiore.
-Cosa è successo?- domandò Paola, quando la guardia della madre si fu abbassata, sporgendosi verso sotto.
-Ho litigato con Davide- rispose la bionda, girandosi nel materasso.
-Come mai?-
-Ha scoperto che volevo abortire- confessò senza mezzi termini.
Paola si girò a pancia in giù per guardare l’amica negli occhi, per osservarne la reazione.
Francesca non era arrabbiata come prima, non era triste. Era tranquillamente infilata sotto le coperte e sbadigliava piano.
-E ora?- si azzardò a domandare la ragazza dai capelli neri.
-Ora niente. L’ho lasciato perdere-
Stettero entrambe in silenzio, l’una troppo timorosa per parlare, l’altra decisa a eliminare quel nome per sempre.
-Tanto non mi serviva più, oramai... sai che penso di fare?-
-Cosa?-
-Rimettermi con Bruno-
-Ma sta con Elena-
-No che non ci sta. Lo so che si sono lasciati. Devo solo far finta che in questo mese non sia successo nulla- spiegò la bionda.
-Insomma, non è che non sia successo nulla...-
-Sì, ma non ha importanza- ribatté subito e aggressiva Francesca, rivolta al materasso superiore –Domani parlerò con Bruno e vedrai. Tanto i suoi gli hanno regalato un appartamento per i diciannove anni, vero?-
-E ci credo, sono ricchi quelli...-commentò Paola, che già cominciava ad addormentarsi -comunque davvero farai finta che non sia successo nulla?- chiese ancora.
La risposta arrivò, come prima, fredda e secca.
-Certo. Non ha significato nulla per me-
Paola si rassegnò e si limitò a chiudere gli occhi. Ormai aveva imparato a sue spese che, quando l’amica rispondeva così, o era troppo incavolata per ragionare, oppure non voleva ammettere una cosa.
Ma era anche lei troppo stanca per decidere quale fosse la verità nascosta dietro quel suo tono.
Erano le otto e cinque, e lei era già lì, seduta sul muretto di pietra, appoggiata al cancello, a guardare due sue amiche fumarsi una sigaretta prima di scuola.
Si controllava costantemente in un piccolo specchio, aggiustandosi i ciuffi biondi per acconciarli meglio.
Francesca, al sentire il motore di una macchina parcheggiarsi, e riconoscendo il profilo che tante volte si era sognata ad occhi aperti, fissò lo sguardo sul ragazzo che stava scendendo.
Lui e la sua auto, lui e la sua giacca nera, lui e il suo viso bello.
Quante volte aveva desiderato potergli anche solo parlare, quando era più piccola. Ma lui era solo uno studente del quinto. E poi, il miracolo.
Quella serata finita per caso con un bacio. E poi un altro, e un altro ancora.
E come era bello sentirsi dire quelle cose, in un sussurro o poco più, capaci di scaldarti il cuore. Come era bello sentirlo abbracciato, sentirsi invidiata dalle sue amiche.
Quei due mesi passati insieme a lui, ora dimenticati, le tornavano utili.
Francesca non voleva assolutamente rimettersi insieme a lui, né provava ancora qualcosa per quel ragazzo che ora le gettava uno sguardo.
Ma aveva imparato a mentire benissimo, e a rigirare le cose, quando serviva, a suo vantaggio. Perché non bastava avere le potenzialità per ottenerle, bisognava anche saperle chiedere.
Decisa a compiere quel passo, saltò giù dal muro e si avvicinò a lui.
Bruno si liberò dei suoi amici quando lei gli domandò se potevano parlare.
-Cosa c’è?-
La bionda lo fissò negli occhi marrone scuro, vedendoli fiduciosi e per nulla arrabbiati o sospettosi.
-Sai, ho pensato tanto in questi giorni-
Bruno non ribatté, ma si sedette e la ragazza si avvicinò.
-Forse...-
Se una delle sue qualità era l’intelligenza, la caparbietà e l’essere testarda e tenace, possiamo aggiungere all’elenco che la ragazzina sapeva dire bugie.
-...volevo parlare un po’ con te. Sai, ho fatto un po’ di scemenze in questo mese-
-No, ma dai...- sorrise il ragazzo.
-...tra cui trattarti malissimo- proseguì astuta e finta dispiaciuta lei. Lo guardò negli occhi; sapeva qual era l’espressione che lo faceva sciogliere.
E Bruno si sciolse.
Inclinò la schiena avanti in modo da esserle più vicino.
-Dici che posso provare ancora?- mormorò, facendosi sempre più vicino.
-Credo di sì- rispose piano la ragazza.
Dopodiché Bruno congiunse le loro labbra.
Francesca tentennò al suo gesto, incerta se ricambiare o meno. Poi, pensando che sarebbe sembrato sospetto il contrario, protese anche lei le labbra per baciarlo.
Ma era un bacio acquoso, impacciato, come di chi non sa bene dove mettere le mani. La bionda non voleva davvero baciarlo, ma ci fu costretta. Impacciata fra le sue mani forti che la tenevano ferma, cercò di staccarsi. In quel momento le tornò in mente l’ultima frase di Davide.
‘Sono solo deluso’.
E d’improvviso si sentì falsa, ipocrita e sporca. Quella sensazione non le piaceva affatto, e immediatamente fece pressione sul torace del ragazzo per spingerlo via. Lui si staccò e le sorrise, ricambiato.
Almeno sapeva fingere.
 
Davide si svegliò di soprassalto, quando erano ancora le otto della mattina; guardò l’orologio e subito disse
-Oh mi sa che fai tardi se non ti muovi-
Non ottenne alcuna risposta, e perciò ancora rintontito dal sonno si voltò a destra. Ma non c’era nessuna ragazzina addormentata che gli avrebbe risposto male. Meditò per un po’ sulla situazione finché non ricordò come stavano le cose.
Di prima mattina non era certo molto sveglio, ancora intorpidito dalla dormita.
In un’altra parte, in un’altra casa, in un altro letto ma alla stessa ora, una chioma bionda scapigliata si rigirò nel cuscino.
Incontrò col braccio un corpo accanto a sé, e prima di potersi rendere conto di chi fosse, venne avviluppata da un braccio.
-Buongiorno- le mormorò qualcuno all’orecchio, incominciando a baciarla sul collo.
Francesca si contorse leggermente sotto la sua pseudo tortura.
Non era abituata a ricevere attenzioni che entrassero nel contatto intimo, in fondo era un mese che non baciava un ragazzo e dovette ammettere che l’intrusione sul suo collo le dava fastidio.
Davide non aveva mai osato toccarla, rispettando fedelmente i suoi spazi.
Si rannicchiò contro la propria spalla, mugugnando versi senza senso.
Bruno rise e la lasciò stare, mettendosi su un fianco. Quando la ragazza riemerse dal cuscino vide che lui la fissava sornione, col petto scoperto.
-Che ore sono?- domandò per prima cosa.
Lui si chinò su di lei, dandole un bacio e staccandosi con uno schiocco leggero.
-Ora di baci- rispose.
Ma prima che ricominciasse, Francesca lo spinse su e si sedette. La maglietta larga del pigiama le calò giù per le spalle.
Assonnata, si passò una mano fra i ciuffi biondi sbadigliando, poi guardò l’orologio.
Bruno, eccitato dalla vista della pelle delle sue spalle scoperte, si precipitò a baciarla anche lì.
La bionda lo lasciò fare, ma poi si accorse che era tardi. Terribilmente tardi.
-Oddio!- esclamò, spingendolo via e scivolando giù dal letto.
-Dove vai?-
-A scuola- rispose, affrettandosi a vestirsi. Ma perché diamine la mattina doveva fare sempre così tardi?
Anzi, era molto tardi, più delle altre volte.
-Che pa**e, eddai...- Bruno cercò di tirarla nuovamente sul letto, ma lei si oppose. Vedendo che lui persisteva, iniziarono a saltarle i nervi.
Si girò verso di lui, rabbiosa.
-Senti se tu non ci vuoi andare fatti tuoi, ma io ci tengo e ci vado!- rispose stizzita, liberandosi dalla sua presa e afferrando le scarpe.
Il ragazzo si ritirò fra le lenzuola.
-Scusa, scusa... calmati...- fece insaccando la testa nelle spalle.
Lei detestava che le dicessero di calmarsi. Anzi, era peggio perché si incavolava ancora di più. Le salì alla lingua una brutta risposta, che però trattenne mordendosi a sangue il suo labbro inferiore ormai provato.
Non era lo scenario più adatto per litigare con il ragazzo che la ospitava.
Infondo, tutto quello che doveva fare, era liberarsi del bambino e far finta che fosse innamorata di lui.
 
Gli ultimi giorni di un maggio caldo scivolavano via, assieme con le fatiche che comportava quell’ultimo sforzo prima del traguardo. La scuola ed i professori esigevano sempre più attenzione in vista delle valutazioni finali. Francesca era preoccupata anche di questo, poiché temeva che Damiano potesse venire a scuola a controllare i suoi voti. Inoltre il caldo la rendeva isterica e spossata, e andava a letto sempre più tardi nel tentativo di finire i compiti.
Prendeva sempre buoni voti, ma il crollo fisico fu evidente.
Come le fece notare Paola una mattina, la sua pancia stava lentamente iniziando ad arrotondarsi, cosa che la spaventò tantissimo. Non ci teneva affatto che il mondo sapesse il suo segreto.
Bruno le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto pur di far finire quella storia il prima possibile, e per ora la bionda sapeva soltanto che era andato a parlare con un dottore.
Dopodiché, nessuna notizia incoraggiante per lei.
Affianco alla minima crescita della pancia, come per un rapporto inversamente proporzionale, si andava sempre più sciupando.
Il caldo, i troppi pensieri forse, le facevano passare l’appetito con un conseguente deperimento; perse ben cinque chili in una sola settimana, e per lei che era stata sempre di piccola costituzione, non era una bella notizia.
Bruno cercava di non farle mancare nulla, ma molte volte era costretto a rimediare una cena scarsa, o un pranzo alla buona. Non era un gran cuoco.
Lei stringeva i denti e teneva duro, era certa che con lo scomparire del bambino, sarebbero scomparse anche tutte le sue fatiche.
Ma non sapeva fin quando avrebbe potuto reggere.
Capitò che un giorno si sentisse all’improvviso mancare la forza, la testa le girava tantissimo senza un perché. Il vomito meno frequente aveva lasciato il posto a piccole perdite, che non miglioravano il suo morale.
Mano a mano che andava avanti, scaricava tutte le colpe di quel suo stato debole, fragile, stanco e improduttivo che assumeva.
Come se già non bastassero questi suoi problemi, iniziò a sentirsi un po’ sola e incompresa.
Paola la rassicurava, la sosteneva e passava molte tempo con lei capendo il suo momento di disagio e sofferenza.
Ma non poteva certamente capire come ci si sentiva, con quel peso nella pancia. Il bambino le sottraeva energie fisiche e mentali, rendendola ancora più debole.
Anche se non lo dava a vedere, e non voleva ammetterlo, Francesca sarebbe presto crollata.
Aveva bisogno d’aiuto.
Era seduta al tavolo a farsi i compiti, quando sentì la porta aprirsi. Bruno le si avvicinò alle spalle.
-Usciamo stasera?- domandò allegro.
Ma la bionda scosse la testa, tornando a guardare il suo libro.
-Devo studiare-
Il ragazzo sbuffò sonoramente, e le circondò le spalle con un braccio, schioccandole affettuoso un bacio sul collo.
-Ma stai sempre a studiare, secchiona?- le domandò con un sorriso.
La ragazza si lasciò abbracciare e baciare, ma non vi partecipò con tanto entusiasmo. Poi si sciolse dal suo abbraccio.
-Sono stanca. Sono stanchissima, non ce la faccio più-
Bruno si fece serio e la guardò negli occhi.
-Ho parlato col dottore. Ha detto che fra una settimana ci fa sapere-
Francesca si lasciò andare con la schiena contro il suo torace, delusa. La faccenda era troppo lunga.
-Non può sbrigarsi, pure lui?- chiese seccata.
-Non dipende da me. Ancora una settimana, bimba-
Lei chiuse gli occhi al nomignolo, imponendosi di non rispondere. Lasciò che le mani di lui vagassero alla ricerca delle sue forme, provando a scacciare la malinconia e la stanchezza che la attanagliava.
Quella sera si trovò sdraiata nel letto, avvolta dalle lenzuola e dalle mani del ragazzo. Lo stava baciando, o per meglio dire cercava di farselo piacere. Le sue mani si infilarono sotto la maglietta larga del pigiama, alla ricerca della pelle.
Bruno provò ad osare di più, infilandole la lingua fra le labbra.
Francesca si staccò, girandosi dall’altra parte.
-Ho sonno...- mormorò chiudendo gli occhi.
Lui brontolò seccato, cosa che la innervosì tanto da farle rispondere.
-Senti te l’ho detto! Non mi va di farlo!-
-E ma scusa che ca**o, non ti posso baciare, non vuoi essere toccata, cosa sto a fare io qua?- domandò lui.
La ragazza bionda avrebbe potuto rispondergli la verità, ma non ritenne proficuo farlo perché poi non avrebbe più avuto un posto dove andare.
Contro ogni suo principio aveva provato a chiamare Damiano, ma non ottenendo risposta. Il tutto stava, per lei, nel far scomparire il problema principale. E farlo il più presto possibile.
 
-Vacci tu!-
-No vacci tu, mi vergogno!-
-E va bene, ci andrò io!-
Una ragazza si alzò dal tavolo del bar, quasi vuoto di prima mattina, e avanzò verso il bancone. Arrivata lì ordinò, con voce incerta e arrossendo, tre frappé al cioccolato.
Davide, senza nemmeno alzare lo sguardo, afferrò tre bicchieri e incominciò a preparare l’ordinazione.
La ragazza, più che il frappé, guardava lui.
Quando finì e gliene porse due, si offrì di portare il terzo al tavolo.
-Grazie, sei molto gentile- gli sorrise la ragazza.
Davide alzò un sopracciglio, perplesso. A lui tutto ciò non interessava.
La maglietta nera si stava appiccicando al suo torace, e da una tempia colava un rivolo di sudore.
Fatto il suo lavoro, si allontanò aggiungendo un sorriso extra. Quel che non sapeva era che le tre ragazze continuavano a guardarlo anche se se n’era andato.
Lo specchio grande e lucido posto dietro il banco gli restituì la sua immagine. Era serio e scocciato, del tutto preso dal lavoro di riporre con ordine le bevande sullo scaffale alle sue spalle.
Al posto del mento rasato e pulito si faceva vedere un filo di barba che non guastava affatto, almeno secondo le tre ragazze. Non era un tipo mingherlino, anzi aveva due spalle larghe e un torace non magro ma ben tornito.
Se non altro, non era da buttare.
Tornò ad occuparsi del suo bancone in attesa che Bruto portasse le nuove scorte. Nemmeno un attimo dopo Silvia si sedette ad uno sgabello e mantenendosi la testa con una mano sorrise
-Hai fatto colpo, a quanto vedo-
Il ragazzo, meno che mai stupito e meravigliato in primis di tutta quell’attenzione rivolta a lui, la osservò sospettoso.
-Ma che dici?- commentò imbronciato, certo che lo stesse prendendo in giro.
-Peccato che non sappiano che sei fidanzato con quella ragazzina, Francesca-
A quella uscita lui fissò con sguardo serio e penetrante la ragazza di fronte a sé. Gli venne quasi da ridere.
-Io e Francesca non siamo mai stati insieme- decretò deciso e sicuro.
Fidanzati? Ma come le veniva in mente? Per quelle poche volte che erano stati insieme al bar, non gli sembrava che avessero dato in atteggiamenti che facessero sembrare il tutto equivoco. Non facevano mica la coppietta felice. Anzi, sottolineò in mente, era tutto il contrario, perché di solito era il luogo dove lei si divertiva a sfotterlo e prenderlo in giro più spesso.
Per quanto Silvia non fosse un genio, non credeva che quei loro comportamenti facessero pensare che stessero insieme.
Ma la frase che lei disse dopo lo meravigliò ancora di più.
-Allora se non è così lei non si arrabbia se ti invito a cena fuori una di queste sere?-
E quello cos’era? Un invito a cena? Un appuntamento? Il mondo era per caso impazzito?
Lei era Silvia. Silvia, la ragazza perfetta, con i fianchi ondulati, le forme pronunciate, ammirata da tutti i clienti; la stessa ragazza che un mese fa aveva visto baciarsi appassionatamente con un tipo.
-Scusa ma tu non hai il ragazzo?- domandò sospettoso.
-Sì, ma mica lui deve saperlo per forza-
Davide non rispose nulla, sbigottito. Stette zitto finché Silvia, vedendo che non accennava a risponderle, si alzò dallo sgabello dicendo
-Beh non devi rispondermi subito. Pensaci, tanto io sto qua-
Così si allontanò.
Il vecchio Davide si sarebbe preso a cazzotti per non aver approfittato di una simile occasione. Era quello che aspettava da quando l’aveva conosciuta, era quello per cui aveva tanto faticato, il momento che aspettava da mesi e mesi.
E non era nemmeno stato lui a domandare, ma l’aveva cercato lei.
Attendeva quel momento da una vita.
Ma stranamente, per una strana legge del fenomeno fisico chiamato amore, che non segue né formule, né regole o misure, Davide scoprì, con grande delusione, che non gliene importava nulla.
Ciò che un mese addietro gli avrebbe provocato le guance rosse, ora lo lasciava totalmente indifferente. Ciò che avrebbe dovuto dargli alla testa peggio di un vodka, lo rendeva sobrio e anzi gli scivolava addosso come acqua.
Quelle forme che gli facevano perdere la testa, ora le guardava come troppo oscene e grossolane. Meglio qualcosa di più umano, no?
Si stupì di quel suo pensiero, e per non pensarci più continuò con più impegno a lavorare.
 
Una ragazza era seduta al tavolo, e mangiava con gusto il suo piatto.
-Davide ti giuro... sei più bravo di mamma a cucinare!-
Il ragazzo sorrise, osservandola mangiare il suo piatto soddisfatto e contento, seduto sul mobile della cucina.
-Visto che quell’estate con zio è servita a qualcosa?-
-E pensare che ti ho sempre preso in giro, scusami!-
Miriam si pulì il muso con un tovagliolo.
-Non dimenticherò mai che sono stato il primo capace di farti mangiare gli spinaci!-
-Vero- concesse la ragazza con un sorriso –quelli di mamma erano immangiabili-
-Grazie-
Davide osservò la sorellina versarsi da bere, poi domandò
-Come va a casa?-
Miriam finì di bere, poi non sorrise.
-A dir la verità, mamma non sta tanto bene- confessò.
-Come mai?- chiese preoccupato il fratello.
Lei alzò le spalle.
-Sai, penso che si senta sola. Rosario è andato all’università, tu qui da solo, papà...- lasciò cadere la frase nel nulla con un’espressione malinconica.
Una foto di un uomo sorridente campeggiava sul mobile della cucina, infilata fra i vetri.
Loro padre era deceduto qualche anno fa per una malattia al fegato, lasciando tre figli ormai grandicelli e la moglie.
Davide era il primo della famiglia, poi veniva Rosario e infine la femmina più piccola, di sedici anni, Miriam.
Ciò che accomunava i tre fratelli erano gli occhi, verdi, anche se il maggiore, Davide, era quello che li aveva più vivi e belli.
Gli altri due si limitavano a degli occhi chiari, mischiati con il marrone.
Rosario era il secondo fratello; aveva frequentato il liceo classico ed era stato ammesso alla Cattolica di Roma, facoltà di medicina.
Lui si differenziava dagli altri due per i capelli ricci.
Miriam infine era l’unica femmina, con gli occhi più scuri e i capelli lisci. Lei e Davide erano molto legati, forse proprio grazie alla differenza di età che li separava.
Era stata sempre la piccolina di casa, ma non per questo non si era meritata le attenzioni particolari che le rivolgevano. Otteneva sempre buoni risultati a scuola.
-Sai, mi ha raccontato che hai una ragazza- sorrise.
Davide inevitabilmente arrossì, accigliandosi.
-Chi, io?-
-Sì sì, tu fratellone- proseguì scherzandolo –dice che ha la mia stessa età-
In un primo momento smarrito, poi riuscì a trovare il filo del discorso e il senso, e allora capì.
-Ah...- disse –no, ma che dice, non è la mia ragazza...-
-Mamma dice che avete mangiato insieme tutti e tre-
-Sì... che imbarazzo...- si mise una mano sugli occhi, sospirando.
-Ti capisco. Ora che sa che ho il fidanzato non fa altro che starmi addosso...-
Davide scosse la testa, complice della sorellina.
-Ma perché non si preoccupa di Rosario, che non ce l’ha mai avuta una ragazza?-
-Ottimo argomento- assentì convinto il ragazzo.
-Mi dispiace per mamma- aggiunse poi, dopo un attimo di silenzio.
-Beh, ovviamente è contenta che Rosario va a Roma, perché...- Miriam si interruppe a metà frase, guardando preoccupata il fratello e temendo di aver detto troppo.
Ma Davide completò la frase, malinconico.
-Perché io non sono stato capace di farlo-
Cadde un imbarazzato silenzio.
Quel fatto gli aveva sempre pesato sulla coscienza come una colpa; ogni volta che guardava suo padre negli occhi era come se vi leggesse un dispiacere, un rammarico. D’altra parte, avevano di che consolarsi con il secondo fratello: sempre ottimi voti, una personalità del tutto diversa.
Se Davide era un tipo tranquillo, buono e calmo, Rosario era ambizioso e competitivo.
Sapeva che quando era morto suo padre, per lui era stata una grande consolazione il fatto di essere riuscito a dargli soddisfazione. Mentre invece lui, il maggiore, lo aveva solo deluso.
D’un tratto, riscuotendosi dai suoi pensieri, disse
-Mi piacerebbe fare qualcosa per mamma. Lo so che è anche colpa mia-
Miriam si sedette sul mobile affianco a lui con un salto.
-No, ma che dici?-
-Sì invece. Lei è dispiaciuta perché invece di fare come Rosario che è andato all’università, io ho solo un misero lavoro con un misero stipendio e in più vivo da solo-
Di nuovo silenzio. Quelle erano cose, antichi dispiaceri, per cui non bastava una risata o una parola buona per scacciarli, e Miriam sentiva che erano questioni troppo grandi, cose che il fratello doveva risolvere da solo. Si limitò ad osservare
-Guarda che mamma ti vuole bene. Davvero, te ne vuole tanto ed è sempre preoccupata di te. Sai, era molto contenta l’altra volta, quando è tornata a casa, che avevi una ragazza-
-Davvero?-
-Sì. Ha detto che finalmente le facevi capire qualcosa di più della tua vita, che eri un po’... scomparso...-.
-Mi dispiace che si sia illusa. Ma vorrei davvero fare qualcosa-
Stettero in silenzio, poi Miriam scese dal mobile.
-Torno a casa, devo studiare. Domani ho l’ultima interrogazione-
Davide salutò la sorellina, ancora perso nel discorso di prima, e anche quando la porta si fu chiuse dietro la ragazza restò a rimuginarci su. Ma che poteva fare?






Grazie mille a chi ha messo la storia nei preferiti e anche a chi la legge solamente.

MissQueen: mi dispiace per il nodo allo stomaco. è vero, Francesca è solo una ragazzina, e cosa dovrebbe fare? E cosa tante altre ragazze fanno? Insomma, il succo è che questa è la soluzione che a volte prendono un po' tutte. Francesca però è confusa, non ha le idee tanto chiare, soprattutto ora. "Tanto forte fuori, e tanto fragile dentro". Ottima sintesi.

Emily Doyle: Non voglio anticipare nulla, perciò continua a leggere.

Marty McGonagall: Hai ragione anche tu, ci si trova ad un bivio ma Francesca, anche se fuori sembra tanto sicura, non ha ancora ben deciso quale delle due strade vuole imboccare. E tra parentesi, certo che mi sopravvaluti.

wanda nessie: è la seconda volta che mi fai morir di risate. Bé, per ora la situazione si mantiene in stallo, ma per sapere che succede devi continuare a leggere. Grazie per i complimenti.

Jiuliet: come altre volte, riesci sempre a capire quello che voglio comunicare scrivendo. "Come fai a capire così bene cosa può sentire una donna da riuscire a scriverlo?": non lo so come faccio. Guardo. Osservo. E ascolto, tanto. Sono felice che ti sia piaciuto in particolare questo capitolo, è un momento importante della storia.

Devilgirl89: no, ma dai. Ripeto, anche se Francesca ha deciso così (e per fortuna che stava Davide altrimenti addio bimbo) ora si trova da sola. Confusa. Ma tu continua a leggere per sapere come finisce.

FeFeRoNZa: grazie mille, ma di sicuro io non farò mai lo scrittore. Grazie comunque. Francesca-testa-dura? Leggiti il capitolo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 -parte 1- ***


Ho deciso di spaccare questo capitolo in due parti, perchè altrimenti succedevano troppe cose tutte ad una volta.



Durante quei giorni si erano presentate novità anche al bar. Bruto aveva comunicato ai due che intendeva aprire un nuovo locale, ma in un’altra parte della città, e così decideva di lasciare questo a uno dei due ragazzi. Al che Davide, con un minimo di orgoglio umano, aveva pensato che sarebbe spettato a lui: era un maschio, più grande di Silvia e teneva già l’inventario, ogni mese, delle merci che vendevano. Insieme all’uomo decidevano i prezzi più giusti, e avendo molta dimestichezza con la matematica, aziendale e non, lo aiutava a far quadrare i conti. Silvia invece era solo una cameriera, certo molto abile con i clienti, attrazione non indifferente, ma il ragazzo credeva che si potesse fare a meno di lei.

In realtà, ad essere un po’ più maligni, queste sue considerazioni erano dettate dal fatto che ormai da un po’ si era accorto che non provava più nulla per lei, e iniziava a vederla sotto una nuova luce.
In quei giorni, entrambi si davano da fare come non mai, tentando di conquistare l’ammirazione e la fiducia di Bruto, sempre impassibile e imperscrutabile come al solito. I due insomma, si giocavano le proprie carte nella speranza di avere riservato un lavoro.
Se da un lato Davide insisteva nell’aiutare Bruto a tenere il bilancio, a fare i conti e a scaricare le casse di rifornimenti che arrivavano, Silvia, che non era mai stata una lavoratrice né assidua ma nemmeno svogliata, si presentava a lavoro con mezz’ora d’anticipo e insisteva nel servire immediatamente tutti.
Se fosse solo un trucco psicologico per aumentare le vendite, non lo sapremo mai, ma quelle salirono, eccome.
La “gara” procedeva senza passi falsi o colpi bassi; o almeno, così sembrava.
Un giorno infatti, Davide notò una cosa non indifferente. Facendo un po’ di calcoli e curiosando impropriamente fra le carte di Bruto, aveva trovato fatture di debiti da saldare; e anche senza sapere a quanto ammontasse la sua fortuna, era certo che non se li potesse permettere. Insospettito e domandandosi se non ci fosse qualcosa sotto, prese in mano quelle carte con le prove per chiedere spiegazioni.
Stava percorrendo il retro, per arrivare dove si trovava l’uomo, quando da dentro la porta avvertì dei rumori.
Accigliato, la spinse leggermente in avanti, e la poca luce ch filtrò al suo interno bastò a fargli distinguere due figure.
La prima teneva saldamente ancorata al suo bacino una ragazza, l’altra era in grembo all’uomo e lo stava baciando, senza apparente voglia di smettere.
Inorridito, Davide la richiuse immediatamente e si tenne a distanza.
Solo dopo che ebbe messo un po’ di distanza fra quella visione e se stesso, ripresosi dalla sorpresa elaborò quello che aveva visto.
Alla faccia della competizione pulita e onesta.
E così, pensò rabbioso, Silvia aveva trovato la maniera di farsi dare il lavoro; semplice, senza fatica e se visto da un certo lato pure piacevole.
Limonava col capo. Ma che brava. Beh, almeno sapeva usare bene le capacità che madre natura le aveva dato, e che capacità!
Il tutto gli suonò così sporco, disonesto e cattivo che non riuscì nemmeno a trovare le parole per definirlo. Praticamente lo stavano prendendo in giro, tutti e due; quando ormai già sapevano a chi spettava il lavoro, e non certo per merito. E non certo perché ci teneva. E non certo perché aveva lavorato duro.
Era semplicemente impotente.
Impotente davanti a quella tresca, a quell’imbroglio, e non poteva farci nulla. In un primo momento fu preso dalla rabbia ed ebbe voglia di vendetta, giusta ed appagante.
Tornò carico di astio nel locale, non curandosi di servire la gente presente, e aprì la cassa.
Perché non poteva semplicemente prendersi i suoi soldi, quello che gli spettava di diritto? Bruto non se ne sarebbe mai accorto, troppo preso dalla sua nuova... compagna.
Solo il pensiero lo faceva andare in bestia. E pensare che l’uomo sapeva della sua passione per Silvia, confidata tanto tempo fa davanti ad una serie di cocktail. E nonostante tutto, se la faceva senza problemi.
Dopo il primo momento di impulsività, la ragione gli suggerì la via migliore.
Ne sarebbe uscito da vincitore, in un modo o nell’altro.
 
Francesca uscì dal bagno asciugandosi le mani ancora bagnate; quel giorno era fastidiosa, come sempre le succedeva in quel periodo, ma in particolare sentiva la testa girarle peggio di una centrifuga.
Quando era così, non riusciva a fare nulla, e questo la deprimeva ancora di più.
Si sdraiò lentamente sul divano, stringendo i pugni ed esclamando con rabbia
-è tutta colpa tua, stupido idiota!- rivolta chiaramente a Davide.
Bruno era uscito come di solito faceva il pomeriggio e così era da sola nel piccolo appartamento. Mancavano due giorni alla fine della scuola, e lei non vedeva l’ora. Primo perché non avrebbe più dovuto alzarsi la mattina presto, e per secondo perché il dottore aveva detto che in quel periodo le avrebbe fatto sapere quando si poteva fare l’intervento.
-E tu...- ringhiò alla sua pancia, leggermente più tonda del solito, ma non evidente se non ad un puntiglioso esame.
-...è anche colpa tua! Tutta colpa tua-
Afferrò il suo zaino, ormai diventato il centro di tutto il suo mondo, in quanto vi era contenuto tutto ciò che le era più caro.
Dal diario scivolò via un foglio ripiegato. Lei lo aprì.
Davide&Francesca=love4ever.
Quelle parole la fecero arrossire, non si sa se di rabbia o di imbarazzo.
Fatto sta che lo gettò ammucchiato nello zaino, incrociando le braccia al petto.
-Io non ho bisogno di te! Io non ho bisogno di nessuno!-
Ci sono certi momenti, certi attimi nella vita che cambiano il corso degli eventi.
Una parola, una frase, un’immagine, un pensiero, può determinare un cambiamento. Può farti sentire meglio, o peggio. Può indicarti la via d’uscita da un tunnel, o indurti ad entrarvi.
Francesca non aveva mai davvero considerato la creatura che stava dentro di lei, che silenziosa le dormiva nella pancia. E lui, il bambino che fosse, non si era mai fatto sentire, forse spaventato giustamente dal carattere infuocato della sua mamma naturale.
Quella mamma che non lo voleva. Quella mamma che lo considerava un impiccio. Quella mamma che voleva ucciderlo.
Ma all’improvviso, come una forza che arriva piano piano per poi esplodere con tanta energia, quel bambino si svegliò dal suo sonno.
Forse la mamma era troppo testarda per capire. Era troppo spaventata.
Forse quel bambino aveva capito che la sua mamma era troppo sola.
Un sussulto nella pancia la fece arrestare nella posizione dove stava.
La bionda rimase immobile, del tutto nuova a quella sensazione. Si appoggiò piano allo schienale, d’improvviso turbata.
Guardò la sua pancia, ancora piatta.
Era certa che il colpo fosse venuto da lì. Ma ciò che la fece impaurire, era che quel colpo non proveniva dall’esterno. Veniva da dentro.
Respirò forte, in silenzio come se volesse cogliere altri rumori.
Era spaventata. Quel bambino non si era mai fatto sentire.
Lei spesso nella sua mente si riferiva a lui, ma era più un concetto astratto, non reale.
Come se in realtà non esistesse, come se non fosse nel suo corpo ma in quello di un’altra.
Invece ora le aveva dato uno scossone.
Non lo aveva mai sentito così vivo.
E d’un tratto ricordò le parole che le aveva detto Davide:
‘Spero che un giorno sentirai il rimorso di aver ucciso una creatura!’.
Molto turbata, si chiese per la prima volta se stesse veramente facendo la cosa giusta. In quei mesi, troppo infastidita da tutto ciò che le girava intorno ed impaziente di liberarsi di quel peso, aveva dato per scontato che avrebbe abortito. Ed ecco che ora faceva capolino quel dubbio che avrebbe dovuto insinuarsi in lei molte tempo addietro, ma meglio tardi che mai, dopotutto.
Mentre era ancora tutta presa dal turbine di domande e dubbi che l’avevano accerchiata, Bruno rientrò a casa.
Aveva un largo sorriso sulle labbra.
-Ho una bellissima notizia-
-Eh?- lei a malapena si accorse che era rientrato.
-Il dottore ha detto che va bene per domani-
-Domani cosa?-
-Domani l’intervento-
Vedendo che la sua reazione era stata scarsa, Bruno si sedette accanto a lei, abbracciandole una spalla.
-Allora? Non sei contenta?-
-Sì...-
Ma in realtà, l’unica cosa che aveva capito era che doveva decidere in fretta. Anzi, subito.
 
La mattina, a scuola, il tempo voleva passare in fretta, incitato dai tanti ragazzi che attendevano il suono della campanella; esso infatti avrebbe sancito l’inizio delle vacanze estive.
Francesca non voleva assolutamente che finisse quella giornata. O meglio, spieghiamoci bene, lei non voleva affrontare quello che sarebbe successo nel pomeriggio.
Per la prima volta forse, era agitata. Quella notte aveva avuto fastidi di vario genere e aveva dormito poco. Era molto agitata, e non sapeva assolutamente che fare.
Paola notò che spesso si fissava tormentata le mani e la pancia, e approfittando di un’ora di supplenza, la prese in disparte, sedendosi sul davanzale di una finestra e iniziò a domandarle.
-Che hai? Non sei felice che fra due ore siamo in vacanza?-
L’altra scosse la testa, poi sospirò e si poggiò gemendo la testa sulle ginocchia. Siccome era molto raro che accadesse, si preoccupò.
-Che succede?-
La bionda riemerse sconsolata, ma non per scherzo. Era veramente disperata e in difficoltà. In breve le raccontò del bambino, della sera con Davide, del dottore e dell’intervento che doveva fare quel pomeriggio. E poi che non ce la faceva più, che era stanca e che le faceva di continuo male la testa.
-Non ce la faccio più, non vedo l’ora che finisca tutto- gemette, quasi con le lacrime agli occhi.
Quello era un segno inequivocabile che era una cosa seria.
Paola osservò l’amica rimettersi in ordine i capelli, il viso magro e gli occhi stanchi. Si dispiacque molto.
-Cosa hai pensato di fare?-
-Boh. Non lo so. È la prima volta che mi succede. È la prima volta che sento il bambino- disse, e all’ultima frase abbassò di colpo la voce, temendo di essere sentita.
-E l’intervento?-
-è per oggi pomeriggio...ma non so...- di nuovo sospirò infelice –non sono più tanto sicura-
Guardò con occhi imploranti la sua amica, come se in qualche modo potesse tirarla fuori da quella situazione.
Paola ci pensò su; non le piaceva vedere la sua amica ridotta in quello stato, anche se era più unico che raro vederla così, chiedere aiuto.
-Cosa devo fare?- la domanda arrivò disperata, ma sentirla pronunciare dalle labbra della ragazza era sintomo che la situazione era sfuggita di mano e che veramente aveva bisogno d’aiuto.
-Devi farlo per forza l’intervento?- domandò l’amica, in cerca di qualcosa che la facesse stare meglio.
-Altrimenti Bruno non mi vuole-
La domanda successiva suscitò un senso di trionfo nella ragazza dai capelli neri, perché aveva indovinato il corridoio giusto.
-Tu lo vuoi Bruno?-
Francesca non ebbe dubbi nel rispondere a quella domanda, e scosse la testa.
Paola sorrise piano.
-Coraggio- si avvicinò a lei, circondandole la spalla col braccio e facendole forza –sai già cosa devi fare-
-Sì ma dopo?- chiese la bionda, triste.
-Sai, certe volte le persone che ci vogliono più bene sono quelle che ci fanno stare più male-
A questa uscita filosofica la ragazza non colse subito il senso della frase.
-E allora perché lo fanno?-
-Perché sono le uniche che ci dicono le cose per come stanno-
Lei allora capì cosa intendeva, e si tirò su con la schiena, guardando l’amica malinconica.
-Non posso. Cosa gli dico?-
-Non importa, basta che lo fai-
Ma era ancora indecisa. Paola lo notò e si spazientì.
-Non importa cosa dici, vedrai che sul momento ti verrà in mente. L’importante è che sei convinta di quello che devi fare-
-Io voglio fare solo la cosa giusta-
Quella frase le procurò un abbraccio vero, sincero e caldo. E in quell’ultimo giorno di scuola, una ragazza temeva come il giorno del giudizio il suono della campanella.
 
Davide si infilò la giacca nera, raccattando le chiavi dal mobile e preparandosi a scendere le scale del palazzo. Ormai aveva preso la sua decisione, e non era disposto a tornare indietro per nulla.
Non era né semplice, né complicato. Il tutto stava nel decidersi a farlo, a compiere il passo per andare oltre; non che ci volesse chissà quale grande sforzo o forza di volontà, ma semplicemente bisognava essere convinti. E lui, dopo circa un anno, aveva preso la decisione che avrebbe segnato una svolta. Che poi questa fosse positiva o negativa, non poteva determinarlo. Almeno poteva dire di averci provato.
E al posto di continuare a tenersi un inutile motorino in ricordo dei begli anni dell’adolescenza, un mazzetto di soldi non guastava. Il meccanico era stato ben felice di comprarlo a un prezzo onesto, anche perché era stato tenuto in condizioni buone.
Con quei soldi, Davide avrebbe potuto pagarsi le lezioni. C’era bisogno di una scossa, ebbene, quella era arrivata; e se non era il generatore a procurarla, bisognava assolutamente provvedere.
Con quello spirito determinato, il ragazzo percorse il marciapiede largo che costeggiava la strada, e sul quale erano situati vari negozi. All’angolo poi c’era la porta vetrata del bar.
Lui entrò spingendo la porta quando era già aperto. Non andò nel retro, come avrebbe fatto in altri casi, ma tirò dritto fino al bancone.
-Ehi!- attirò così l’attenzione di Bruto, che lo fissò interrogativo.
-Che fai ancora lì? Perché non vai a cambiarti?-
-Tieni-
Davide gli porse un po’ di banconote.
L’altro lo guardava sempre più perplesso, finché il ragazzo non aggiunse
-I soldi per quella cassa di birre. Ho saldato il debito-
Disse così e stavolta andò a cambiarsi. Era il giorno che ritirava lo stipendio, per cui, ragionamento furbesco ma intelligente, perché comportarsi da fesso pur facendo la cosa giusta?





Grazie a tutti quelli che leggono, hanno messo la storia tra i preferiti e che recensiscono.

Jiuliet: oh sì, è straordinariamente vero che sapete bene come complicarvi la vita. E povera Francesca, che come vedi alla fine è crollata. Spero di aver reso bene i suoi pensieri.

Marty McGonagall: Buonasera a te. Credo che in questo capitolo Francesca si sia rivelata più umana del solito, ed è comprensibile credo, dopo tutto quello che le è capitato... come vedi "l'effetto Silvia" si è ritorto contro di lui. Senti che vale la pena continuare a seguirmi? Ne sono onorato e ti ringrazio.

Emily Doyle: grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, molto graditi........e sì, ho una sorella e dieci cugine femmine di primo grado più o meno tutte nell'età adolescenziale. Uno spasso... scherzi a parte, sono molto felice che riteniate che descriva bene il mondo femminile, forse sto incominciando a capirlo... grazie per la recensione.

Miss Queen: sesto senso? Boh forse era scontato. Sono contento che parteggi per Damiano, nonostante non sia il personaggio principale.
(Risposta che non c'entra niente: mi fa molto onore che "la macchina del capo ha un buco nel...motore" ti sia piaciuta tanto ma non credo assolutamente che continuerò "Vernice fresca". Non è riuscita la storia che avevo in mente io).

Devilgirl89: ma quale perfezione...? Non so cosa è peggio, far cambiare idea a Francesca o ricevere la tua mail piena di parolacce? ... mmm... dovrò accontentarvi tutte e due.
Evviva i fan di Damiano! Grazie d'aver recensito.


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Capitolo 11
*** Capitolo 10 -parte 2- ***


-Andiamo allora?-
Bruno prese le chiavi dal mobiletto, in attesa che la ragazza si presentasse alla porta.
La bionda era nella camera da letto, in contemplazione della sua immagine riflessa nello specchio. Come rigenerata, aveva il viso duro ma forte. Di chi sa che deve far la guerra, ma sa anche che sta per giocarsi tutte le sue carte migliori. Di chi sa già che soffrirà, ma le farà bene.
Spostò l’ultimo capello biondo verso destra, le tracce di smarrimento e disperazione di quella mattina del tutto scomparse, o forse abilmente nascoste. Nascoste in attesa di rivelarle sì, ma a chi meritava davvero di conoscerle.
Soddisfatta del suo operato, si mise in spalla lo zaino e il borsone.
Vedendola tornare così agghindata, Bruno si meravigliò.
-Dove stai andando?-
-Via- decretò lei andando verso la porta.
-Come via? Dobbiamo andare in ospedale-
La ragazza sospirò e lo guardò bene negli occhi; era duramente provata, ma i suoi principi rimanevano gli stessi: le persone che non le andavano a genio, dovevano sparire dalla sua vita. Per sempre.
‘Scappi, scappi pur di non sentire’.
Non più ora.
-Non può funzionare-
-Non può funzionare cosa? L’intervento? Ma se ci ho passato una settimana ad assicurarmi che...- Bruno lasciò la frase nell’ovvio, allargando stupito le lunghe braccia, stupito.
-Non l’intervento. Non può funzionare. Tra di noi, intendo.-
Il ragazzo accolse quelle parole come un qualcosa di ridicolo. Sbuffò sconcertato e incredulo, fissandola come alla ricerca di un particolare che rivelasse lo scherzo.
-Cosa?-
-è finita. Anzi, per dir la verità non è manco iniziata. Ciao-
Lo disse come se stesse dando le previsioni del tempo, senza emozione, rimorso o dispiacere; così era la vera Francesca menefreghista e tosta che in quell’ultimo mese aveva vacillato.
E mentre si subiva le grida da lontano del ragazzo, questa Francesca aveva compiuto l’ultimo sforzo. Forse ora aveva davvero esaurito tutta la sua carica esplosiva; ora aveva smesso di condurre il gioco e non sapeva cosa fare. Come da copione non doveva mostrarlo, anche se il tutto si faceva molto difficile adesso. Era il momento decisivo; o dentro o fuori; bianco o nero; vittoria o sconfitta.
Se avesse fallito anche quella occasione, non avrebbe saputo più che fare.
La pressione di tutta quella storia, la responsabilità, le colpe che avrebbero dovuto gravare su di lei fin da subito, le sentì sulla sua pelle in quel momento.
Ne fu schiacciata.
Forse in precedenza aveva sempre avuto qualcuno su cui scaricare queste cose, in modo da non fregarsene e mantenere il suo carattere orgoglioso. Ora però non c’era nessuno a farle da scudo, a sostenerla e ad aiutarla. Nessun Damiano, nessun Davide. Era più sola che mai, e sotto il peso di questa verità i suoi occhi brillarono come per piangere.
 
Quando il ragazzo uscì per portar fuori una busta di spazzatura, scoprì che non era l’unico a starsene fuori, seduto a beccarsi l’afa di giugno.
Silvia era seduta a terra, proprio sul marciapiede, e stava con la testa poggiata fra le mani. Stupito, lui si avvicinò.
-Silvia?- la chiamò.
La ragazza alzò la testa, e lui scoprì che aveva gli occhi rossi, forse e probabilmente reduci di lacrime.
-Ciao- mormorò lei, tirando su col naso.
-Che hai?-
Davide cercò nella tasca del grembiule un fazzoletto e glielo porse. Poi stette in attesa della storia.
Silvia si soffiò il naso, per poi iniziare a parlare con voce tremante.
-Il mio ragazzo mi ha lasciata-
Terminò la sua frase con un altro singhiozzo e poi guardò tristemente il marciapiede, poggiandosi la testa su una mano.
Il ragazzo non fu granché stupito della notizia: una che si faceva un uomo di quarant’anni e passa, e invitava ad uscire il suo collega cameriere (e barman), non si poteva definire l’esempio di donna fedele.
Quasi poteva concordare con lo sconosciuto che aveva lasciato Silvia, che era stato preso in giro e imbrogliato ingiustamente. Lo stesso sconosciuto che, per ironia della sorte, aveva tante volte odiato e maledetto, ora lo capiva e lo appoggiava silenziosamente nella sua decisione.
-Mi dispiace- disse atono, giusto per non parere insensibile.
Lei si alzò in piedi, ancora vestita di quella minigonna che tanto piaceva ai clienti, e a quanto pareva, anche a Bruto.
Tornandogli alla mente quel particolare, al ragazzo venne voglia di smascherarla, ma non lo fece. Se Francesca era un tipo molto impulsivo, vendicativo e cattivo quando voleva far del male ad una persona, Davide era diverso.
Dopo il primo, logico impulso di vendetta, aveva riflettuto molto; ne sarebbe uscito a testa alta e con dignità, prendendosi le sue piccole vittorie. Una, l’aveva già avuta con Bruto, pagandogli il debito e dimostrando che sapeva mantenere le sue promesse. Un’altra, doveva vincerla con Silvia.
Doveva ammettere che tutta quella storia di Francesca e del bambino qualcosa gli aveva insegnato: non era mai stato un ragazzo ambizioso, frenato anche da quel suo carattere un po’ timido, e le sue esperienze nel mondo non erano andate a buon fine tanto che lo avevano convinto di non essere abbastanza in gamba da potercela fare.
Inconsciamente, e solo dopo che la ragazzina se n’era andata, si era reso conto che stava scappando, proprio come l’aveva incolpata di fare, da tutte quelle che erano responsabilità.
Gli ci era voluto un po’ di tempo, forse troppo per capirlo, ma la storia della bionda l’aveva come riscosso dal suo stato passivo.
 
Il mondo non si cambia da solo, e non puoi lamentarti di una vita da schifo, se non hai mai provato a cambiarla.
È vero, il mondo è cattivo, ma nessuno ti compatirà per non aver ottenuto nulla, se non cerchi di stare al passo con gli altri. Magari potrai anche cadere. Ti prenderanno in giro, ti schiacceranno, ti insulteranno.
Ma se sarai onesto e tenterai con tutte le tue forze, avrai vinto l’unica battaglia in cui vale la pena di combattere.
Quella con te stesso.
E una volta che l’avrai dimostrato a te stesso, anche gli altri se ne accorgeranno.
E sarai un uomo.
 
-Grazie Davide. Sei sempre così gentile-
La ragazza gli rivolse un sorriso acquoso, triste, ma sincero.
Forse per la prima volta era riuscito ad ottenere un complimento sincero, grato. Era troppo tardi perché potesse suscitare qualche emozione in lui. Così come quella mattina, scoprì che il suo complimento e l’occhiata gentile che in altri tempi l’avrebbe fatto squagliare, lo lasciava totalmente indifferente.
Invece quella minigonna e il segno che vide con un guizzo spuntare sul suo collo, lo accesero di rabbia a tal punto che anticipò tutte le sue mosse.
D’un tratto posò, o per meglio dire gettò a terra il sacco, senza portarlo a destinazione.
-Beh allora ciao- disse.
Silvia si accigliò.
-Come ciao? Dove vai?-
-Me ne vado- disse lui risoluto, incominciando a slacciarsi il grembiule.
-Dove vai? Non è finito il tuo turno!-
-Me ne vado. Me ne vado per sempre-
Gettò il grembiule nero in grembo a lei, iniziando ad allontanarsi.
Silvia lo osservò stupita e sconcertata, e fu con lo stesso tono che un attimo dopo disse
-Ma non puoi andartene! Che farai?-
Davide, che già aveva cominciato ad allontanarsi, si voltò camminando all’indietro.
Ci pensò su un momento, poi rispose, allargando le braccia.
-Forse comprerò una barca, e me ne andrò a pescare. Forse mi metterò a costruire modellini in scala. Oppure farò quel corso per ragionieri che non ho mai fatto-
I due ragazzi si guardarono, e prima che lei dicesse altro lui le sorrise.
-Ci vediamo Silvia-
Si voltò di nuovo verso la strada, e le mani in tasca si allontanò dal bar, dalla ragazza che per un anno aveva tormentato i suoi sogni, all’uomo che aveva creduto suo amico e che invece l’aveva pugnalato indirettamente alle spalle. D’altronde, com’è che si dice?
Se uno vuole cambiare la sua vita, è meglio farlo alla grande.
Non si voltò indietro per darle un ultimo sguardo, completando così la sua vittoria su tutta la linea.
Aveva vinto senza dargli la soddisfazione di averlo battuto.
 
Francesca era seduta a terra, accanto allo zerbino, a braccia incrociate e gambe rannicchiate contro il petto.
Stava lì, in silenzio ad aspettare, senza sapere nemmeno lei cosa avrebbe detto o fatto; non aveva più nulla a cui appigliarsi, e come un allenatore che vede scivolare le speranze della sua squadra, buttava dentro il campo tutti i suoi attaccanti nella convinzione che non aveva nulla da perdere. Ed era così; non aveva più niente da perdere e quella era la sua ultima possibilità. Il palazzo era stato silenzioso, ostile ad offrirle qualsiasi aiuto, e lei stava zitta in quel silenzio assordante.
Mordeva il suo labbro inferiore come da copione, tentando di calmarsi.
Ma non ci riuscì; d’un tratto il rumore del portone, tre piani più sotto, e dei piedi che sbattevano sugli scalini le annunciarono l’arrivo di Davide. Si riscosse, si drizzò con la schiena e si preparò al discorso. Prima che lui arrivasse al secondo piano lei se lo ripassò ben bene.
Quando però incominciò a sentire i passi avvicinarsi, arrossì e agitata si scordò tutto, andando in panne. Inizialmente aveva pensato di andargli incontro, ma non riuscì a tenere fede al suo proposito. Si rese conto, con grande agitazione, che non era in grado nemmeno di guardarlo negli occhi.
Così non appena sentì che stava camminando su quel piano gettò immediatamente lo sguardo a terra, tesa.
Davide ritornava a casa da un giro fatto per il corso, a rilassarsi un po’ e a pensare al da farsi. Aveva una giacca nera aperta dalla quale tasca risuonavano le chiavi del portone. Camminò lungo il pianerottolo illuminato con le mani in tasca, sfilandole solo per afferrare il mazzo e farlo tintinnare. Arrivò nei pressi della sua porta.
Fu inevitabile non vederla. Il suo primo istinto fu quello di salutarla, parlarle. Ma in un secondo momento prese una rapida decisione.
Tirò dritto, tenendo la testa alta e fissa contro la porta. Troppo fissa per non far capire che cercava di ignorarla. La ragazza sentiva i suoi passi farsi vicinissimi e le guance avvamparle, e continuò a non guardarlo, osservando la pianta nel vaso dall’altra parte della porta.
Davide arrivò davanti al portone, e fece scivolare la chiave verso la serratura.
Francesca ascoltò il rumore senza alzare gli occhi, e capendo che la stava ignorando deliberatamente, strinse le palpebre; si decise a voltare di poco la testa, mandandola a cozzare contro una sua gamba. Dentro di sé, pregava tanto che la guardasse almeno.
Proprio quando stava per infilarla dentro, lui fermò il braccio.
Stette un po’ in silenzio a riflettere, chiedendosi quale fosse la cosa giusta da fare.
Se l’orgoglio maschile ferito gli suggeriva di mandarla al diavolo, la sua indole buona e paziente gli diede l’impulso di cedere.
E cedette.
Appese la chiave alla maniglia, poi lentamente, con molta calma, si abbassò.
Si chinò sulle ginocchia, scendendo scendendo fino a che non arrivò alla sua altezza. Voleva fare in modo che i loro occhi si incontrassero.
Il ragazzo appoggiò i gomiti sui ginocchi, lasciando penzolare le braccia. Poi le rivolse uno sguardo serio, da sotto in su.
Lei alzò finalmente il suo, unendo i loro occhi verdi e azzurri; timorosa e incerta sulla mossa da fare, aspettò che fosse lui a parlare.
Davide, sempre con molta calma, piegò la testa da un lato.
D’un tratto aveva tante cose da dirle, ma non gliene veniva alle labbra nemmeno una.
-Ciao- disse con voce calda e bassa.
Come se fossero solo due amici che si salutavano dopo tempo.
Francesca tenne gli occhi nei suoi, si drizzò di più avvicinandosi.
-Ciao-
Pronunciata quella parola, stette zitta, incapace di dire altro, dimenticandosi completamente di tutto ciò che aveva pensato. Teneva come un grosso magone, proprio all’altezza della gola, e sentiva che sarebbe scoppiato in poco tempo.
Continuarono a guardarsi. Davide pensò che la situazione rasentava il ridicolo. Dopotutto non erano mica due bambini.
Se era tornata, evidentemente aveva qualcosa da dirgli, e dalla faccia seria e preoccupata che aveva, non era una scemenza.
Un ciuffo biondo cadde sulla sua fronte, ostacolando il loro contatto visivo; lui glielo riportò a posto, reggendolo col pollice. Francesca era incapace di staccarsi dai suoi occhi.
Cercò di farla parlare.
-Ti sono mancato?- disse piano, continuando a tenere la mano poggiata sul capello che non voleva stare al suo posto.
Lei avvertì che il groppo saliva sempre più e gli occhi iniziavano a pungerle. Come quando si ha qualcosa di importante da dire, e non si riesce a parlare se prima non ci si è sfogati. E lei, che si era tenuta tutto dentro e non ne aveva parlato con nessuno, ora che aveva deciso di aprirsi e cercare aiuto, vedeva sovrapporsi tutte le cose, tutti i problemi convergere e confonderla.
Quando parlò, fece un grosso respiro per non incrinare la voce.
-Non è per te-
Orgogliosa fino alla fine, non voleva parlare di quello continuando a fissarlo, perciò spostò gli occhi sul pavimento grigio.
-è il bambino- disse in poco più che un sussurro, quando ormai non riusciva più a trattenersi.
Strinse gli occhi, respirando forte, e dalle palpebre serrate iniziarono a colare alcune gocce.
Il ragazzo, sentendo quelle parole e osservando la sua strana quanto inattesa reazione, andò subito a pensare ad una disgrazia.
-Il bambino? Perché, cos’ha?-
Francesca incrociò le braccia, stringendole forte, e lo guardò di nuovo. Ma il suo sguardo non era duro, forte e battagliero, strafottente e superiore come l’aveva conosciuto lui. Ora era acquoso, tremulo e debole. Stava per piangere.
Il che lo rendeva nervoso e agitato.
Lei alzò lo sguardo su di lui, senza nemmeno provare a nascondere le lacrime ormai evidenti.
-Gli mancavi- disse, facendo una smorfia e facendosi colare due lacrime lungo le guance.
Detto questo, iniziò a piangere.
La mano che il ragazzo aveva tenuto sulla testa si bagnò piano piano e questo lo fece scuotere. Incerto sul da farsi, turbato dalla sua reazione improvvisa, perché non si aspettava certo che si mettesse a piangere, si allontanò.
La guardò singhiozzare del tutto impotente, e si alzò lentamente; stupito, incredulo, spiazzato.
La ragazzina bionda piangeva, ma silenziosa, lasciando che le lacrime le colassero giù, non strillò, né urlò.
Era scossa da fremiti che a tratti, improvvisi, la colpivano e per quanto tentasse di trattenersi, le sfuggì solamente un singhiozzo più forte.
Davide non aveva la benché minima idea di cosa fare. Ma sapeva che non gli piaceva quella situazione.
Non gli erano mai piaciute le persone che piangevano, e non perché le considerasse pappamolli o robe del genere; semplicemente perché quando si trovava appunto, in una situazione del genere, non sapeva assolutamente che fare. Non sapeva se una persona voleva essere lasciata in pace, se voleva essere abbracciata, detta parole di conforto.
Trovandosi a disagio, desiderò che la smettesse.
-D’accordo, basta- disse deciso, le mani in tasca.
Ma lei non smise, e continuò a versare lacrime in silenzio.
-Basta, smettila di piangere- riprovò lui.
Ma non ci riusciva. Ricordò allora che le volte che non sapeva mai come prendere la ragazza, la prendeva a muso duro, per farla scuotere e riflettere. Pensò quindi di usare  lo stesso metodo in quella situazione.
-Smetti di piangere-
Questa volta lo disse quasi scocciato, arrabbiato, alzando di più la voce. La bionda lo guardò, interrompendosi e alzando la testa. Schiuse la bocca, impaurita d’un tratto che lui la cacciasse.
Aspettò che parlasse.
-Alzati, forza- proseguì lui, tendendole la mano.
Lei afferrò il palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di fronte a lui.
Come se in quel momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce, irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò ancora. Stavolta non fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi, riempiendoli di lacrime.
Un fremito la travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il torace del ragazzo per reggersi in piedi e ricominciò a piangere. Davide non la fermò o la accolse o la respinse. Metabolizzò lentamente le lacrime che ora gli bagnavano la maglietta, e la ragazzina che gli piangeva addosso.
Francesca aveva trattenuto per un mese e oltre tutte le emozioni che le suscitavano i fatti. Il bambino, Damiano, la serata in discoteca, la paura che gli altri scoprissero il suo segreto, i dolori, il vomito, la testa che le girava. Nessuno, nessuno l’aveva aiutata a parte lui.
Nessuno si era preoccupato di sapere come stesse, cosa ne pensasse.
E poi quella fatica, la sensazione di impotenza e debolezza che le impediva di fare tutto.
Bruno che faceva di tutto per sbrigarsi a far morire il bambino. E poi quella parole che gli aveva gridato:
‘Scappi, scappi pur di non sentire’, ‘Credevo tu fossi una donna coraggiosa’, ‘Sei solo una ragazzina’.
Sembrava che non le importasse, ma al contrario ci aveva tanto pensato. Tanto tanto. E mentre avveniva dentro di lei quella devastante tempesta di emozioni, fuori era sempre la stessa, o almeno provava ad esserlo, per non mostrarsi debole e vulnerabile.
Quella era una cosa che poteva controllare, avendo una straordinaria testardaggine e forza di volontà. Ma piano piano, dai lati del muro, le tante crepe avevano incominciato ad allargarsi. Allargarsi sempre più fino a che il muro stesso non aveva cominciato a scricchiolare.
Poi il bambino aveva dato il suo personale segnale, facendosi sentire da dentro la pancia dalla mamma. E lei, la ragazzina, era rimasta totalmente confusa e in balia di se stessa.
Incapace di prendere una decisione, aveva bisogno di qualcuno a cui importasse veramente; di qualcuno che la sostenesse; o magari semplicemente di uno che la ascoltasse e consolasse.
Perché dopo le tante crepe, il suo muro si andava lentamente sgretolando, e Francesca aveva paura a scendere in campo senza il suo scudo.
Davide non la abbracciò, come forse avrebbe dovuto fare, ma guardava dritto la porta di casa, ascoltando il suo pianto impercettibile; quel pianto lo faceva stare male.
Sentiva che, in qualche modo, ne era lui la causa e non poteva sopportarlo.
Forse aveva capito la sua muta richiesta.
Lasciò che si sfogasse per un altro poco, finché non sentì il suo pianto scemare e le lacrime diminuire. Il respiro affannato e spezzato che batteva contro il suo petto divenne mano a mano più regolare, segno che stava un po’ meglio.
Quando la sentì calma, pensò al da farsi.
Lentamente poggiò una mano, la sinistra, sul suo fianco, e la destra la fece scorrere piano fra i suoi capelli fino ad arrivare al collo.
Fece pressione per spingerla via, e la allontanò di poco.
Lo guardò intensa, aspettando la sua mossa, ma poi Francesca abbassò lo sguardo, pronta ad un rifiuto.
Ma Davide si abbassò, continuando a tenere la mano sul suo collo, in modo da vedere i suoi occhi. Incontrandoli la fissò per un lungo momento.
Poi, come se avesse preso la più difficile e sofferta delle decisioni, disse piano, con la stessa voce calda e bassa che aveva usato prima
-Non farlo più-





Ecco, siamo arrivati a metà storia. Grazie a chi legge, chi commenta e chi ha inserito la storia nei preferiti.

MissQueen: D'accordo, analisi logica:
1)"Sei un genio": ....macchè....  2) "apetto che Francesca e Davide tornino insieme": come direbbe Davide 'io e Francesca non siamo fidanzati!'. Ma questo è quel che crede lui. 3)"Non sai quanto mi è dispiaciuto x quella storia di Silvia e Bruto... povero Davide...": ebbene sì, che infami che sono stati.
4)"Ke dire, amo qst FF!": beh, ti ringrazio molto. Grazie d'aver recensito.
P.S.: mi dispiace per 'Vernice fresca', avevo anche pensato di cancellarla però...

Jiuliet: Credo che risponderò in modo molto diplomatico, e cioè che l'uomo non sarebbe niente senza una donna, è vero, ma anche le donne hanno bisogno degli uomini. Come vedi si sono ritrovati ed è andata anche abbastanza bene, direi...

FeFeRoNZa: grazie per i complimenti. Visto? Ogni giorno s'impara qualcosa... non so se è merito delle mie cugine se riesco a descrivere il mondo femminile abbastnza bene, ma sono molto contento di esserci riuscito.

wanda nessie: ma no, dai, che vuoi che sia? Non mi sono mica offeso! Ok, anche io risponderò con sette parole per non fare figuracce: grazie d'aver recensito. Continua a leggere.

Devilgril89: Damiano non è ispirato ad una persona reale come i due protagonisti. Sono contento che abbia i suoi fans perchè facendolo nascere nella mia mente volevo creare un 'papà', un po' diverso. Insomma, in tante storie i genitori che adottano i bambini sono persone orribili, ma non sempre è così, anzi, a volte sono i 'figli' ad essere cattivi con loro. Credo che da questo momento Francesca non potrà fare altro che migliorare, perchè il fondo l'ha già toccato, no?  [ma quale MR.Perfezione....?]

Emily Doyle: beato fra le donne non è corretto, perchè ho un fratello e altri undici cugini maschi di primo grado, quindi siamo pari... allora... evviva Davide!


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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Erano seduti sul divano, un’ora dopo, e parlavano animatamente, senza smettere mai di guardarsi. La ragazza gli aveva raccontato tutto quello che era successo in quelle due settimane circa. Di Bruno, della scuola, del bambino che aveva sentito muoversi nella sua pancia.
-...quando ho sentito il bambino ho avuto... paura- spiegò, stringendosi nelle spalle –non ero più tanto sicura di volerlo fare-
-Questo glielo hai detto?- domandò serio e attento lui.
-No- scosse la testa –me ne sono solo andata. Ma in caso non avrei saputo davvero cosa dirgli. Non lo so... è che- sospirò e fece una smorfia –...non ci capisco più niente. Non so più cosa devo fare-
Davide finì di ascoltare paziente le sue parole e quando vide che era in attesa di una sua risposta o di un parere, si passò una mano sul mento, riflettendo.
Non era una cosa semplice da dire.
-Che ne pensi?- domandò ansiosa.
Lui sorrise per sdrammatizzare.
-è...è un po’ difficile-
Allora anche lei sorrise, un sorriso breve.
-Tu dimmi tutto quello che pensi-
Si guardarono un attimo. Lui non voleva deluderla, metterla a disagio più di quanto non lo fosse già; si vedeva che non sapeva più dove sbattere la testa.
Però era anche convinto che prima o poi quel problema avrebbe dovuto affrontarlo, e anzi, era già un po’ tardi.
Si passò la lingua sulle labbra brevemente.
-Io... penso che non devi uccidere il bambino- disse.
Francesca aggrottò un po’ le sopracciglia.
-è facile a dirlo per te. Non sei tu che lo devi far nascere-
-Ma di che hai paura?-
-E me lo chiedi?-
La bionda deglutì un attimo, prima di rispondere convinta.
-Di tutto. Non c’ho più una casa. Non ho una famiglia. Non ho i soldi. Non ho niente. Ho solo questo bambino. Io... io ho paura di che succederà dopo-
Si interruppe per vedere se lui volesse interromperla, ma Davide stette zitto ad osservarla. Era stato, per tutto il tempo del suo racconto da quando l’aveva fatta sedere lì, a guardarla e ascoltarla attento. Di tanto in tanto interveniva, ma per la maggior parte era silenzioso e attento, interessato.
-...ho paura di quello che diranno le persone- confessò triste.
Davide non poté biasimarla per questo.
-Capisco-
-No, non capisci-
-Sì invece-
Lei abbassò lo sguardo, triste.
-No, non credo che tu capisca. Tu... non sai. Io ho sempre nascosto tantissime cose agli altri, come per esempio- e qui gli rivolse un’occhiata rapida –che sono orfana, che mi hanno adottato...-
Fece una pausa, poi riprese.
-Se mi va a pu**ane anche una sola di queste bugie, non so che fare. Non so che penseranno gli altri di me. Anzi...- aggiunse con un sorriso malinconico –una ragazza già voleva dire tutto ai miei amici. Non so dove, ma mi ha visto che stavo con te, e sa che sono incinta-
-Se gli altri le avessero creduto... sicuramente avrebbero pensato male di me, e da cosa nasce cosa...-
Concluse il suo discorso appoggiandosi alla poltrona, incrociando le braccia al petto, triste.
Sentiva di essere arrivata al capolinea, da dove non si poteva più scappare.
Davide la osservò triste anche lui; gli dispiaceva veramente.
-Dimmi allora, cosa vuoi fare?-
-Boh- alzò le spalle lei.
Lui si avvicinò col corpo.
-Se... se tu non mi dici qual è il problema, come faccio ad aiutarti?-
Francesca alzò lo sguardo, voltandosi a destra e lo guardò.
-Tu non vuoi davvero aiutarmi-
-Perché dici questo?-
-Perché non hai motivo di preoccuparti di me-
-Allora che sei venuta a fare qua?-
Lui le sorrise quando la ragazza si imbronciò, sentendosi ferita nell’orgoglio.
-Non ti scaldare... volevo solo dire che se sei venuta qui, almeno un po’ credi che io ti aiuterei-
Prima di rispondere la bionda sorrise accigliata.
-Dovevo aver preso una botta di sole-
-Io ti voglio aiutare, sul serio. Tu- sorrise –non so perché, ma pensi sempre che il mondo vada contro di te e che a nessuno importi nulla. Ma non è vero...-
-...è vero che ci sono quelli che se ne sbattono degli altri, ma tu sei solo una ragazzina. Non puoi pensare di combattere contro tutti da sola- proseguì, più serio.
-In fondo quel bambino è anche colpa mia, no? Sempre se tu vuoi, io sono pronto a prendermi le mie responsabilità e a provarci. Non è mai facile-
-Ma a volte è troppo difficile- disse lei, continuando a guardarlo e ascoltandolo.
Stettero in silenzio per qualche minuto, poi lui si decise a parlare, a dire una cosa che lo imbarazzava un po’.
-Sai... le prime volte che parlavamo, appena ci siamo conosciuti... pensavo che fossi... forte-
Quando lei lo fissò interrogativa, lui spiegò
-Nel senso... sai, sapevi sempre cosa fare. Avevi già programmato tutto. Questo... mi piaceva, perché mi aspettavo che tu dovessi piangere e cadere in una crisi-
Si sorrisero, poi Francesca disse
-Beh, allora meno male che la crisi mi è venuta dopo-
-Ma poi...-
-...ho rovinato tutto. Mi dispiace, non volevo deluderti-
Davide a quelle parola alzò la testa sorpreso. Arrossì anche un po’, imbarazzato: non credeva che lei avesse preso in considerazione le sue parole, ma a quanto pareva si era sbagliato. Ci aveva pensato eccome, e forse le avevano fatto male, il che gli dispiacque.
La guardò a lungo e disse
-Be’, magari potremmo ricominciare daccapo-
-Mi piaceva stare in questa casa- confidò la ragazza con un sorriso, guardandosi intorno –tu cucini meglio di Bruno-
Davide rise di gusto, assaporando la ritrovata atmosfera rilassata.
Francesca ci pensò su molto, incerta se dirglielo o meno, e poi alla fine optò per la prima ipotesi.
-Sai, ho deciso- disse, alzandosi in piedi.
-Terrò il bambino, ma non lo faccio per lui-
Arrossì e spostò lo sguardo a terra.
-Lo faccio soltanto per te-
Lui la guardò, e arrossì a sua volta. Forse quella bionda testarda era cambiata davvero.
Lei sospirò e si allontanò per andare di là, poi a metà strada si voltò.
-Se dici a qualcuno che ho pianto, ti uccido-
Davide scosse la testa.
Non era cambiata affatto. Ma forse era meglio così.
 
Due ragazzi correvano veloci per il corridoio semideserto della scuola, l’una avanti, che cercava freneticamente la bacheca, e l’altro che le arrancava dietro.
Francesca arrivò nell’atrio e si precipitò al muro.
C’erano parecchie file di schedari, recanti il nome di classi, sezioni, alunni e materie. Lei cercò il corso F, nella seconda classe, scorrendo col dito. Accanto a lei c’erano altri ragazzi, chi accompagnato dai genitori, chi da solo; chi esultava strillando, chi sbuffava triste a testa bassa.
Era l’undici giugno, giorno dei quadri.
La bionda cercava febbrilmente senza successo il suo nome in mezzo a quel marasma di ragazzi. Davide le arrivò alle spalle, e subito individuò il nome.
Seconda F, lettera D.
Daniele Francesca.
-Eccoti-
Piantò il dito indice contro la casella che la racchiudeva, indicandola. Lei lo notò e chiuse gli occhi, sospirando.
-Non ce la faccio, dimmi tu quanto ho preso-
Nel frattempo incrociò le dita e stette in attesa, voltandosi.
Lui strinse gli occhi e per vedere meglio si avvicinò, sovrastandola. Fece scorrere l’indice verso destra finché non incappò nei primi voti.
Sbalordito, schiuse la bocca. Portò lo sguardo attonito dai numeri alla testolina bionda che sotto il suo braccio alzato, poggiata al suo torace, stava ad occhi chiusi.
-Allora?- lo incalzò impaziente, tenendo serrate le palpebre.
Riscotendosi dalla sorpresa, il ragazzo lesse la materia.
-Italiano...-
-Sette- disse lei, già pronta.
-Otto- mormorò lui, in estasi.
-Otto?-
Francesca aprì gli occhi e lo spostò, maldestra, di lato per vedere. Quando confermò con la vista le parole udite, sorrise e gridò felice.
-Sì! Ca**o... leggi ancora!- disse mettendosi una mano sulle labbra.
Davide spostò l’indice ancora verso destra.
-Matematica... nove- e qui lei strinse i pugni e allargò il suo sorriso.
-...Scienze naturali otto, Arte otto, Fisica sette, Storia otto, Inglese sette, Ed. fisica sette...-
Il ragazzo qui si mise a ridere.
-Com’è, di tutta la carica che hai non la usi in palestra?-
-Macché, mi ha abbassato il voto perché sto sempre in giro- precisò la bionda, ma senza perdere il sorriso –dai, vai avanti- lo incitò.
-...Latino otto-
Lui fece scivolare l’indice giù, alla fine della fila, e la guardò ammirato.
Francesca rilesse i suoi voti e ogni volta si convinceva che erano veri. Sorrise e poi sbirciò anche quelli dei suoi compagni, così per curiosità.
-Ehi, genietta- le sorrise il ragazzo –ma allora...-
Le afferrò scherzoso la testa con una mano e le frizionò i capelli biondi, impendendole di divincolarsi.
-...allora questa testa dura la usi, ogni tanto-
-Ah ah ah- fece lei, liberandosi e sgusciando via dallo spazio creato dal corpo del ragazzo e la bacheca nel quale prima era stata rinchiusa.
Davide infilò le mani in tasca e guardò nuovamente i voti della ragazzina. Caspita, era vero che certe materie non le aveva mai studiate, però era certo che quei voti non fossero affatto pessimi.
A parte matematica, nella quale era sempre stato molto bravo, gli altri voti non riusciva assolutamente ad eguagliarli, se si voleva fare un paragone con i propri del liceo.
E considerando i problemi e le difficoltà che aveva avuto, si sentì, diciamo, orgoglioso della ragazza; fiero che nonostante tutto avesse ottenuto buoni risultati: evidentemente ci teneva alla scuola.
Le diede un buffetto sulla spalla, e lei si girò, radiosa come poche volte l’aveva vista.
-Brava- le disse con sincero trasporto.
-Grazie- rispose la bionda, compiaciuta del suo complimento.
Arrossì un po’, poi disse
-Aspetta, vado a cercare dei miei amici. Aspettami in macchina-
Così fece, allontanandosi con le mani in tasca e uscendo dall’edificio. Il cortile era pieno di ragazzi e lui si infilò nella sua macchina, abbracciandosi le maniche della sua t-shirt e aspettando la ragazza.
Nei giorni passati avevano provato a ricominciare tutto daccapo, tenendo il bambino, e fortunatamente per entrambi, il carattere della bionda era migliorato. Forse perché ora non aveva più nulla da nascondergli, il loro rapporto si manteneva stabile o quasi su un livello civile, senza più musi imbronciati o silenzi cupi, scherzando, prendendo tutto alla leggera forse contagiati dall’atmosfera estiva ormai alle porte.
Se con l’inverno e la primavera sembrava che tutto andasse male e non vi fosse alcuna soluzione, dopo che entrambi si erano messi in chiaro senza nascondere all’altro più nulla, l’estate frivola, fresca e spensierata li aveva contagiati.
Se era vero che il bambino c’era sempre, e cresceva rapido nella sua pancia, ora questo non sembrava avere tanta importanza da impedirle di trascorrere una vita normale.
Certo c’erano sempre i brutti momenti in agguato.
Francesca chiacchierava assieme alla sua amica Paola col suo professore di matematica, fiero di entrambe e carico di complimenti, quando videro passare vicini due delle disgrazie peggiori che le fossero capitate in quei mesi.
Bruno, riappropriatosi del suo cappello di tela e della giacca nera, ed Elena, che al contrario del ragazzo, che tirò dritto, le rivolse un’occhiata velenosa.
Alla bionda non piacque affatto, e appena poté liberarsi del professore inseguì i due; aveva un po’ di conti da regolare.
Mentre passava accanto ad un bagno, sentì la pancia sussultarle e si fermò un attimo, per controllare che andasse tutto bene. Questo le costò caro: mentre usciva incontrò davanti a sé la ragazza tanto odiata.
Elena si avvicinò con l’intenzione di attaccare battaglia.
-Tutto bene i quadri?- domandò falsa gentile.
-Fa****o- rispose dura lei, facendo per sorpassarla.
-Come va il bambino?- chiese, impedendole di passare.
-Che bambino?-
-Il tuo bambino. Cosa credi, che siamo tutti cretini? Che non ce ne siamo accorti?- disse con un’espressione cattiva.
Francesca preferì fare l’ignorante, tanto, pensò fra sé, era nell’ambiente giusto.
-Io non so di che tu stia parlando...- alzò le spalle e uscì dalla porta.
Sfortunatamente però, alzando lo sguardo riconobbe la giacca nera che nei mesi addietro tanto le era piaciuta.
Bruno la aspettava alla fine del corridoio, e per non parere codarda, fu costretta a passargli davanti.
Non lo salutò, e mentre lo oltrepassava sperò che non facesse nulla.
Purtroppo il ragazzo, colto da uno scatto vendicativo, le afferrò un braccio e la tirò a sé.
-Cos’è questa ca**ata del bambino? M’hai raccontato una bugia!- le sibilò arrabbiato.
-Ahio!- si divincolò lei, storcendo il braccio –Lasciami, ma che sei stupido?-
-Perché mi hai raccontato una bugia?-
-Ma che bugia?- ringhiò la ragazzina, affrontandolo a muso duro.
-M’hai detto che avevi un bambino. E ora ti sento che vai a dire che non è vero. A che gioco stai giocando, eh?-
Lei non poteva rispondere, perché accanto a loro sapeva che c’era quella pettegola che avrebbe spifferato tutto. Non poteva dire sì, altrimenti Elena avrebbe sentito, e non poteva dire no, perché a Bruno aveva raccontato del bambino. Non c’era via di scampo.
Ma per sua immensa fortuna il suo professore, attirato forse dal suo grido precedente, si precipitò lì.
-Tutto a posto?- domandò inquisitore.
Bruno non poté fare altro che lasciarla andare e borbottare un ‘sì’. Lei sorrise grata al professore e se ne andò.
Tornata in macchina, si massaggiava il polso e Davide lo notò.
-Che hai?-
-Niente- disse, osservandolo farsi rosso –uno str***o. Cose che capitano-
-Se lo dici tu...- fece lui, prima di accendere il motore.
 
Giugno era ormai inoltrato e l’estate col caldo, l’aria di vacanza e di ca**eggiamenti vari sempre presente a regnare sovrana, i vestiti corti, le maniche sbracciate e tutte le sere ad uscire stando fuori fino a tardi era arrivata, dopo essersi fatta attendere parecchio.
Lui e Francesca, quando lei non voleva uscire a passeggio con le sue amiche, andavano a bere una birra, una coca cola, un tè o qualunque cosa fosse fresca e in lattina seduti su un muretto al parco. Un posto come un altro per passare la sera insieme, divertirsi a guardare le coppiette, seduti o stravaccati sulle panchine di pietra.
Tutto era nato dal suo desiderio espresso una delle prime sere del mese.
 
Davide stava per uscire, quando un lamento simile ad un vagito si alzò dal divano.
-Dove vai?-
-Esco- rispose il ragazzo, prendendo chiavi e portafoglio. Una chioma bionda emerse dal divano, tutta scompigliata.
-Aspetta, posso venire anche io? Non mi porti mai insieme a te...-
Lui piegò di lato la testa.
-Oh andiamo...devi proprio?-
-E dai!- la ragazza si alzò, andando verso di lui –Dai, io qua mi annoio a morte, non ho niente da fare!-
Il ragazzo sospirò e ci pensò su.
-E va bene- concesse –ma promettimi che farai la brava, eh?-
Mezz’ora dopo, la bionda era seduta intorno ad un tavolo di plastica. Un uomo di quarant’anni stava mischiando le carte.
-Allora... – iniziò, scrutando gli altri.
Davide e Francesca erano seduti vicini, l’una che osservava gli altri ragazzi e lui che annoiato beveva una birra.
C’era un ragazzo abbronzatissimo, molto carino a detta di lei, che impaziente sfogliava delle banconote.
-Dai andiamo, che Debora mi aspetta-
-E aspetta, che tanto aspetta in buona compagnia- fece un altro, sogghignando e seguito da altre risate.
-Oh chiudi quella ca**o di bocca!-
Poi guardò scocciato quello che teneva in mano il mazzo.
-Zio muoviti!-
-E n’attimo, Marcolì, me lo vuoi dà il tempo?-
L’uomo spartì le carte fra i giocatori.
-Allora, facciamo io con Marco, Giuseppe e Gigi, la signorina gioca?- domandò gentile.
-Lei gioca con me- Davide si batté una mano sul petto.
Quando ognuno prese in mano le proprie carte, Francesca si chinò verso il ragazzo.
-A che giochiamo?-
-Scopa. Sai giocare?-
-Più o meno- alzò le spalle lei.
-Bene, e ora fuori i soldi della posta- ricordò il ragazzo abbronzato chiamato Marco.
Poco tempo dopo, Davide raccoglieva estasiato un bel po’ di soldi, sorridendo alla ragazza.
-Brava biondina-
-E sì ma non vale, eh! Se lo sapevo mi ci mettevo io con lei!- commentò un ragazzo scontento, guardando i suoi soldi andare via.
-Eh no, troppo facile. Lei sta con me- sorrise furbo l’altro.
Poi invitò la bionda ad alzarsi e a seguirlo fino ad una panchina senza schienale, accanto ad un muretto.
-E ora?- domandò lei, sedendosi.
-E ora niente. Ci si fa una birra-
 
Da quella sera, scoperto l’incredibile talento per le carte di lei, se la portava sempre a giocare con quel piccolo circolo di amici; ogni sera poi, quando vincevano, si spartivano il ricavato e compravano birre, gelati, caramelle e stavano per tutto il tempo a campare seduti sulla panchina, in santa pace.
Parlavano, giocavano a carte, e qualche volta invitavano anche gli amici di lei.
Francesca si accostò la bottiglia alla bocca, inclinandola e ingoiando la birra; poteva apparire un gesto apposta provocante rivolto a qualche bel ragazzo, ma in realtà era solo una scommessa contro Davide.
Quando finì di bere, tre ragazzi più grandi che erano con lei, e una ragazza le fecero un coro d’approvazione. La bionda guardò mordendosi un labbro il ragazzo seduto davanti a lei, con indosso una maglietta scura e un mazzo di carte in mano.
Gli rese la bottiglia che lui afferrò e terminò di bere, per poi poggiarla con cautela e precisione sul muretto. Subito un ragazzo dai capelli all’aria, tutti spettinati, saltò giù.
-Scommetti che la prendo al primo colpo?- propose alla compagnia.
-See...- gli fecero eco tutti, scettici.
Lui controllò con la suola un pallone vecchio e consumato, poi lo calciò malamente, mandandolo fuori traiettoria.
-Che mira!- lo scherzò Paola, seduta sulla panchina accanto all’amica. Dopo che i ragazzi ebbero sfottuto lo spettinato, si alzarono.
-Noi andiamo. Vieni?- domandò la ragazza all’amica bionda.
-No, rimango qua-
-Ok ciao-
Davide guardò Francesca avvicinarsi a lui e sorrise, iniziando a dare le carte.
-Uffa ho voglia di un’altra birra...- disse piano lei, sorridendo al ragazzo, invitante.
Lui scosse la testa, senza abboccare.
-No basta. Ti fanno male poi-
-Ma che dici? Eddai, per favore-
Afferrò le sue tre carte con una mano e non smise di guardarlo.
-No, e gioca, tocca a te per prima-
Francesca lo batteva in ogni singolo gioco a cui si sfidassero, carte, scacchi, dama; l’unica cosa che non avevano provato era la briscola, e lui, deciso a batterla, ci si stava mettendo d’impegno.
La bionda stava seduta di fronte a lui, concentrata sulle carte che aveva in mano, e ne buttò in campo una. Era un sette di bastoni.
Davide gettò un due di denari, concedendole quelle due prime carte.
Ma non furono le ultime che le concedette. Costretto a darle l’asso di spade e il tre di denari, prese la sua rivincita giocando l’asso di coppe, la briscola, e guadagnando un tre di bastoni.
-Dai, me la compri una birra?- chiese ancora supplichevole.
-No, ti fa male-
-Perché?-
Lei giocava carte apparentemente senza pensare, mentre lui era concentratissimo.
-Fa male al bambino- rispose senza troppo entusiasmo, calando un'altra carta.
La bionda sbuffò, ma si consolò giocando perfettamente l’ultima mano.
Davide lasciò andare le carte che aveva vinto, rinunciando a contare i punti, sapendo già che aveva vinto la ragazzina.
Questa non fu soddisfatta finché non ottenne il punteggio preciso e schiacciante.
-Un’altra, Davi-
-Oh e non rompere...- mugugnò lui, sdraiandosi e chiudendo gli occhi.
-Strip poker?- propose maliziosa, avvicinandosi.
-E fammi dormire- brontolò seccato, mettendosi un braccio sugli occhi.
-Paura, eh?- sogghignò, mischiando le carte e avvicinandosi.
Lui storse il naso ma non rispose.
A Francesca piaceva stare lì, seduti fino a tardi, senza dire niente o fare niente, ad aspettare che arrivasse la mezzanotte per ritirarsi. Il parco era frequentato da coppiette che insieme si divertivano a sfottere, di ragazzi simpatici che giocavano a carte con loro, e che venivano puntualmente battuti, e da anziani, bambini, tutti gettati nel parco a cercare un po’ di riparo dal caldo.
Davide era capace di dormire per tutto il tempo, stando seduto su quella panchina a sonnecchiare e di tanto in tanto a partecipare pigro alle partite. Stava attaccato a quella birra per un po’, poi la offriva alla ragazzina e se la riprendeva. Passavano così le loro serate.
Aveva conosciuto un po’ dei suoi amici, tutti maschi eccetto Paola, e qualche volta, come quella sera, si fermavano a giocare con loro. Francesca aveva spiegato, mentendo, che lei e Davide erano amici da tanto tempo, e loro lo avevano accettato senza troppe domande.
Agli amici del giro delle carte, Davide aveva detto che era un po’ come una sorellina, che si portava dietro a giocare per non farla annoiare. Insieme alle carte, le avevano insegnato a bere le marche di birra migliori, ed era diventata l’unica femmina del gruppo, rispettata dai maschi.
Anche perché a carte era imbattibile.

Francesca non era l’unica ad aver cambiato qualcosa. Anche Davide si era messo d’impegno per mettere una svolta nella sua vita, e combinare qualcosa di buono.
Aveva lasciato il lavoro al bar, e da un paio di settimane andava ogni due giorni a frequentare un corso per ragionieri.
La ragazza bionda stava guardando la tv, quando sentì rumore di chiavi e dei passi verso l’ingresso. Era troppo tardi perché lui stesse andando al bar, ed era troppo presto perché stesse per uscire fuori, al parco solito. Anche perché in quel caso avrebbe portato anche lei. Si coprì la pancia in eccesso che usciva fuori dalla maglietta e si tirò su a sedere.
-Dove stai andando?- domandò.
Davide si strinse nelle spalle, nascondendo le chiavi.
-Da nessuna parte-
-Ma chi vuoi fregare? Dai, dove vai?- lei sorrise furba e si alzò in piedi, andando verso di lui. Il ragazzo non voleva dirle del corso, perché aveva paura di essere preso in giro.
-Da nessuna parte, vado a comprare un po’ di cose- disse svelto.
-Mmm- lei si morse un labbro e scosse la testa.
-Allora perché hai lasciato il portafoglio sul mobile?- domandò trionfante e strafottente, indicandolo.
Lui arrossì, ma si riprese subito.
-Eh, che sbadato! Grazie- lo prese e le sorrise, andando verso la maniglia.
Ma Francesca non era intenzionata a smetterla e soprattutto una bugia così evidente non l’avrebbe mai bevuta.
-Io lo so che succede...- sentenziò, sapendo che lui si sarebbe fermato.
Così fu infatti e Davide impallidì osservando la ragazzina.
-Davvero?- domandò, chiaro ed inequivocabile segno che nascondeva qualcosa.
-Sì sì-
Lei lo guardò bene dritto negli occhi, sapendo che lo metteva in imbarazzo. Indossava una larga maglietta azzurra, adatta a coprire la rotondità che si andava formando sul suo ventre.
-Hai una fidanzata!- salì sulle punte per dargli un pizzico lungo sulla guancia.
-No...- il ragazzo sorrise di sollievo e la spinse via piano.
-Com’è, com’è? Ci sei già andato a letto? Me la fai conoscere?- cominciò a sparare domande a destra e a manca, e lui, per eluderle, uscì di casa.
Ma perché doveva essere tanto testarda? Se poi anche avesse avuto una ragazza, sorrise fra sé, non le avrebbe mai fatto conoscere lei. Lei... beh, sarebbe stata sicuramente un impiccio alla relazione. Non credeva che ad una ragazza piacesse sapere che il fidanzato viveva con una che era incinta di lui. Non parlavano mai del bambino nemmeno ora che si erano riappacificati, e Davide supponeva che la bionda ancora facesse fatica ad accettarlo.
Le stava cominciando a crescere la pancia. E come per reazione, lei si ostinava a nasconderla; mentre prima indossava indumenti che le aderivano perfettamente al corpo, ora a volte prendeva in prestito sue magliette. Davide non era stupido e poteva capire perfettamente il suo disagio, provocato dall’improvviso cambiamento nel suo fisico, ma non riteneva che si dovesse sentire per questo inferiore ad altre ragazze. Anzi, pensò arrossendo leggermente, era il contrario.
Quando dopo un bel po’ tornò a casa, scoprì che la su curiosità non si era placata. Dal momento in cui varcò la porta d’ingresso a quello in cui si gettò morto sul letto, non smise di bombardarlo di domande.
-Allora com’è andata? È carina? L’hai portata a mangiare fuori? Hai già conosciuto la sua famiglia? Da quanto tempo state insieme? L’avete fatto? È mora, vero?-
-...Smettila- mormorò con la voce ovattata dal materasso, girandosi verso destra.
Francesca gli strisciò vicino come fa un gatto, sdraiandosi di fianco in modo da guardarlo negli occhi.
-Dai me lo dici come si chiama?- chiese piano, con voce invitante.
Lui avrebbe anche potuto reggersi il gioco solo per il gusto di vedere quanto si sarebbe spinta in là e cosa veramente volesse sapere, ma non ci riuscì.
-Non si chiama perché non esiste- mugugnò stanco, desideroso di levarsela dai piedi.
-Non ci credo-
-E non ci credere- esalò il ragazzo stanco, girandosi a pancia in su.
La bionda stette a contemplarlo per un po’, riflettendo sulla situazione. Era convinta che avesse una fidanzata anche da prima che lo sorprendesse ad uscire. E aveva anche le prove.
-Sì che ce l’hai una fidanzata. Si nota- insistette.
Davide sbuffò seccato, e decise che se non le avesse risposto in modo esauriente, non avrebbe mai smesso.
Si voltò dalla sua parte, di fianco e senza entusiasmo.
-E perché si nota, sentiamo?-
-Be’, tanto per cominciare ti vesti molto meglio- disse con tono saputo lei, appoggiando la testa al braccio.
-Poi ti fai la barba poche volte, perché finalmente hai capito che con un po’ di quella sei molto più bello- proseguì noncurante del suo imbarazzo: infatti a queste sue ultime uscite lui si era fatto rosso, sorpreso. Significava forse che lo guardava?
Notando il suo rossore lei si avvicinò di più, facendo apposta un po’ di scena.
-Perché, non è vero? Scommetto che preferiresti che ci fosse lei al mio posto, vero? Così le daresti un bacio- disse guardandolo provocante e con quanta più strafottenza riusciva a mettere insieme nelle sguardo.
Davide arrossì di più, ma non era affatto perché lei aveva scoperto il suo segreto, dato che non ne aveva. Erano forse quelle parole a farlo imbarazzare, pronunciate poi con quello sguardo e quel tono saccente. Forse non era la bella ragazza della porta accanto a farlo arrossire, ma la ragazzina incinta che ora lo stava guardando negli occhi in quel momento. Il ragazzo capì in tempo che doveva tirarsi fuori da quella situazione in fretta se voleva conservare un po’ di dignità.
-Ma io non ce l’ho la ragazza- ripeté per l’ennesima volta, scivolando via dalla situazione scomoda. Francesca non si arrese.
Rimase nella posizione di prima, e guardandosi le unghie smaltate disse
-Mica sarà ancora quella Silvia? E a proposito, non mi porti più al bar?-
Davide sorrise spostandole la testa bionda con una mano, buffamente.
-Silvia è solo una gran pu**ana-
-L’hai capito finalmente- commentò svelta lei, guardandolo da sotto in su bene dritto negli occhi.
Lui la guardò che si sdraiava, e nel farlo vide la maglietta che indossava alzarsi, e da sotto comparire una pancia rigonfia e rotonda, non di molto ma certamente non normale. Ad un’occhiata si sarebbe capito subito che non era grasso quello.
Si ricordò che gliel’aveva detto, un po’ di tempo fa, che Silvia se la faceva con Bruto. Ma lui non le aveva creduto.
-Vuoi capirlo o no che non ce l’ho la ragazza?- domandò, sperando di farla smettere.
-Bugiardo-
-Ma è vero-
-E allora dove sei andato stasera?- tornò alla carica guardandolo scettica.
Che seccatura, pensò fra sé il ragazzo. Decise, per evitare altri interrogatori da sfinimento, di dirle la verità.
-A scuola-
-Se- commentò sarcastica, facendo schioccare la lingua.
-Veramente. Guarda-
Davide si alzò, scese dal letto e prese un quaderno posato sul comodino, porgendoglielo.
Francesca, prima dubbiosa, lo prese in mano e lo aprì; poi subito dopo lo guardò perplessa.
-Che sarebbe stà roba?-
-Matematica, non si vede?-
Lei stupita sfogliò le pagine. Erano tutte scarabocchiate da una penna nera, in alcuno punti da frasi scritte con grafia piccola e lunga, nella maggior parte invece da equazioni, funzioni, grafici e bilanci. Che ne occupavano almeno i due terzi. Lei si fermò su una semplice equazione di matematica finanziaria, osservandola. Guardava corrucciata i numeri, le x, il delta complicato. –Hai sbagliato- disse sicura, dopo averci riflettuto un po’.
-Sì? E tu che ne sai?-
-Stupido guarda...- gli sbatté il quaderno sotto il naso così vicino che non riuscì a leggere e dovette allontanarlo
-Cretino, guarda qua-
Adorava essere nel giusto sugli altri e non esitava a primeggiare quando poteva permetterselo. Lui si strinse nelle spalle larghe e prese una penna, correggendo l’errore e scherzandola con finto tono sprezzante
-Ah adesso è arrivata la genietta-
Per tutta risposta si beccò un pugno sulla spalla.
-Non chiamarmi così-
Aspettò un po’ prima di dirlo, ma si decise, senza guardarlo in faccia.
-Allora non ce l’hai la fidanzata?-
-L’hai capito finalmente- sorrise lui, restituendole la battuta di prima.
Aveva un’altra cosa da dirle, e gli sembrò che fosse il momento adatto.
-Devo dirti una cosa importante- confessò guardandola.
Lei alzò la testa dal quaderno e ricambiò l’occhiata; dal modo in cui piantò le iridi azzurre nelle sue verdi si intuiva che aspettava qualcosa di veramente importante. Lo era, ma forse non era quello che si aspettava lei.
-Come sta tuo padre?-
La ragazza fu così delusa che piegò d’un tratto la testa da un lato, chiudendo gli occhi e sorridendo.
-Boh. Chi se ne frega?-
Ma la domanda la mise a disagio, perché chiuse il quaderno e scivolò giù dal letto.
Davide aveva capito e sapeva che in fondo, anche se con le persone che non le piacevano voleva mostrarsi così, non era cattiva e menefreghista. Anche lei aveva i rimorsi e la coscienza, perciò il ragazzo pensò di far leva su quello per convincerla di fare la cosa giusta, così come aveva fatto col bambino.
Infondo avrebbe fatto bene sia a lei, che a suo padre.
-Sì sì. E allora perché hai la sua foto?- cominciò, sorridendo sornione e guardandola curioso della reazione.
Come prevedibile quella fu violenta.
-Oh senti! Ce l’ho perché mi scoccia a togliermela!-
-Sì certo, come no- proseguì strafottente.
L’avrebbe fatta esplodere, e lo sapeva. Era quello che voleva. Francesca era un concentrato di emozioni e pensieri e sensazioni che venivano trattenute a forza in una morsa. Quando per un qualche motivo queste venivano liberate, la reazione era certamente, nel bene o nel male, esplosiva. Che si trattasse dei sentimenti che provava per un ragazzo o di una tirata contro qualcuno, c’era da star sicuri che sarebbe esplosa.
Infatti, come previsto, lei si avvicinò rabbiosa, facendo una smorfia.
-Senti non cominciare, eh? Non iniziare a rompere i co*****i-
Davide sorrise storto guardandola negli occhi per nulla preoccupato, anzi piuttosto tranquillo.
-Non essere volgare. Lo sai che non mi piace sentirti dire queste cose-
-Ah perché ora sei te che mi dici cosa devo e non devo fare?- sbottò, infiammandosi nel vero senso della parola, perché diventò rossa.
-E sennò chi te lo dice?-
-Nessuno. Io faccio quello che mi pare-
Lui sapeva che ciò che stava dicendo era dettato solo dall’irruenza e dall’orgoglio del momento. La bionda, se stuzzicata in temi che non le piacevano, poteva benissimo rispondere male e ferire le persone. Ma lui aveva imparato che quello che diceva durante le sue incavolature era limitato al momento. Ovvero, una volta sbollita la rabbia spesso si rimangiava le parole ed era costretta a chiedere scusa. Non che quello che dicesse fosse una balla tanto per ribattere. Ma quando l’istinto prendeva il sopravvento, diceva cose ingigantite che al 70% non pensava.
-Ti manca. Ti manca tanto-
Francesca adottò la tattica dell’indifferenza e provò a cambiare discorso.
-Allora vai ad un corso per ragionieri? Quanto dura?- domandò.
-Due mesi. E comunque dai, ascoltami per una buona volta! Sempre di testa tua devi fare, permalosa- la derise sperando in una reazione.
Okay, aveva lanciato la bomba.
Tre.
Francesca alzò la testa finora rimasta fissa sul lenzuolo verso di lui.
Due.
Lo guardò con i suoi occhi azzurri stringendo le palpebre.
Uno.
Prese fiato respirando lentamente.
Boom.
-Tu, brutto idiota!- si lanciò (non in senso figurato) contro il povero malcapitato, tirandogli colpi dove riusciva ad arrivare. Poi si fermò per proseguire il suo discorso.
-Imbecille, deficiente, sfigato. Ma vai a quel paese, vacci e muori!-
Davide osservò incredulo la sua reazione.
-Non ti permettere di dirmi così capito? Che a me non mi comanda nessuno. E tantomeno tu, cretino stupido! Ma vai affan...-
Non poté finire la parolaccia perché lui le tappò la bocca con una mano; sotto le sue mute proteste le si avvicinò.
-Shh, zitta...- anche la sua voce si spense prima di finire la parola.
Francesca non si era resa conto di aver alzato di parecchio la voce durante il suo monologo. Ora come se d’improvviso quella tempesta si fosse placata, il silenzio calò nella stanza. Erano inginocchiati sul letto l’uno di fronte all’altro, la mano di lui che ancora le copriva le labbra.
Lentamente la tolse guardandola divertito negli occhi.
-Cosa urli? Io sto qua, mica dall’altra parte del mondo- disse, e il suo tono basso e ridente contrastava con l’espressione imbronciata della ragazzina.
-Parliamo come due persone civili, d’accordo? Stai buona-
Lei lo guardò dritto negli occhi verdi, e fece scivolare le sue braccia prima giù, poi incrociate al petto.
-E poi, ti pare il caso di insegnare queste parole al bambino?- aggiunse con un principio di sorriso lui. La bionda non avrebbe voluto ricambiare, perché orgogliosa voleva averla vinta e litigare, ma vedendo la sua faccia un angolo della bocca le si arricciò in su, sciogliendo l’espressione dura che aveva.
Davide sorrise, e anche lei lo fece, incapace di continuare a tenergli il muso.
-Finito l’uragano?- domandò piano.
Francesca non badò più al fatto che si era arrabbiata con lui; le piaceva il modo in cui la stava guardando.
-Sì ma se non stai attento torna-
Siccome prima erano inginocchiati, si sedettero a gambe incrociate, sempre l’uno davanti all’altra.
-Perché non vai a parlare con tuo padre?- cercò di invogliarla.
-E perché devo scusa? Poi lui non è mio padre-
Prima di continuare lui la osservò con un minimo di rimprovero scherzoso negli occhi. Poi la buttò sullo sfottò.
-Anche se vuoi fare tanto la figa...- sorrise sornione -...io lo so che ti manca. E ti manca pure tanto. Io ti posso fare da amico, da chef, da fratellone, ma il papà... tu ce l’hai ed è lui-
-Ah perché, tu m’avresti fatto da fratello?- deviò l’argomento scherzando la bionda.
Il sopracciglio alzato di lui la fece sbuffare seccata.
-Uffa ma che ti devo dire? Lui a me non è mai piaciuto-
Davide roteò gli occhi in un gesto esasperato.
-Allora, lo so che non sei sciocca. Lo sai che alcuni bambini adottati finiscono fra le mani di uomini orribili? Che non gli vogliono affatto bene? Tu sei fortunata-
-Non mi pare-
-Tuo padre ti ha sempre fatta contenta- proseguì sicuro di ciò che diceva –non ha manco fatto resistenza quando te ne sei andata di casa-
Lei ricordò uno schiaffo, il primo che le avesse mai dato, e una frase lapidaria pronunciata con cattiveria.
Tu non sei mio padre.
Caspita, ci voleva un bel coraggio a dirglielo in faccia, pensò fra sé, del tutto dimentica del ragazzo che stava davanti a lei. Sorrise come un’ebete, ricordandosi la mattina del suo sedicesimo compleanno.
 
-Non voglio alzarmi!- protestò una testa bionda, rinfilandosi sotto le coperte calde e morbide, al riparo dal freddo.
-Dai andiamo. Hai sedici anni e ti comporti come se ne avessi sei!-
-Esatto. Ancora non vado all’asilo io!-
Damiano sorrise e d’un tratto scoprì il letto, privandolo delle coperte, e alzando la serranda lasciò che i raggi del sole ormai sorto penetrassero nella stanza e sbattessero sul volto di lei.
Francesca borbottò proteste vane, che non vennero ascoltate.
L’uomo si sedette sul materasso, vestito di tutto punto e pronto per l’ufficio, e le spinse un qualcosa sotto il cuscino.
Francesca sbatté il naso, arricciandolo, contro qualcosa di duro e questo la convinse ad alzare il capo. Damiano sorrideva e lei andò alla ricerca di ciò che le aveva dato fastidio. Era una scatola impacchettata.
-Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Francesca...- canticchiò piano lui, dandole un bacio sulla testa. Lei si rizzò a sedere, e vergognandosi ormai delle sue forme, si nascose sotto il pigiama.
-Per me? Grazie- sorrise scartandolo. Un cellulare nuovo, ultima generazione.
-Ti piace? Ho scelto il più leggero, il migliore-
-Grazie Damiano- disse contenta, abbracciandolo sciogliendosi in un sorriso raro ma grato e sincero.
 
Francesca si toccò la tasca e ne fece scivolare fuori un cellulare un po’ ammaccato. Lo guardò a lungo. Davide in tutto quel tempo che aveva riflettuto era stato zitto, osservandola incantato mentre guardava l’oggetto. Ma chissà a che stava pensando, quella testa bionda.
Sorrise quando la vide in qualche modo combattuta.
Se una parte di lei rivendicava l’orgoglio, i presupposti egoisti e i principi che si era imposta, l’altra, ormai provata da tante cose, scaldata dalle parole che aveva detto il ragazzo prima, non riuscì a trattenere la nostalgia, e l’improvviso dispiacere. Triste guardò Davide, che sembrò capirla.
-Decidi tu- disse.
Ma sapeva che almeno qualcosa aveva smosso. Com’era difficile quella ragazzina, così testarda!
-Non lo so- disse, guardandolo incerta e facendo una smorfia.
Se aveva detto così significava che ci stava pensando, rifletté Davide compiaciuto che quella discussione fosse andata a buon fine. Anche se avevano delle discussioni ogni tanto e in quelle l’indole arrabbiata di lei usciva sempre fuori, il ragazzo aveva imparato come prenderla, come riuscire a calmarla. Non era poi così difficile, una volta capito il trucco.
Le diceva di star buona, e lei ci stava, dopo aver sfogato la rabbia iniziale.
-Allora dov’è che sbagliavo?- domandò, porgendole il quaderno.

 











Un enorme grazie a chi segue la storia, l'ha messa nei preferiti, e a chi l'ha recensita.

GinTB: "Testarda di una ragazza..". Una sintesi perfetta della personailtà di Francesca, pronunciata con un sibilo di disapprovazione.
Dunque, rigraziamo la tua curiosità che ti ha trattenuta dal cliccare sulla x rossa a destra. Ho letto il tuo profilo e credo che tu e lei siate piuttosto simili, se non di più. Grazie per i complimenti, non ti sei dilungata troppo, anzi, m'ha fatto molto piacere la tua recensione.

FeFeRoNZa: dunque, facciamo due rapidi calcoli... tu adori Davide, che è molto (se non di più, con i diritti e i copyright) ispirato al sottoscritto, perciò... Cos'è, una proposta di matrimonio?
...e ora chi lo dice a mia madre? Ma soprattutto... chi lo dirà a Francesca? Mi ucciderà. Ah, che seccatura...
Scherzi a parte, sono felice che ti sia piaciuto il capitolo e il modo in cui si è comportata Francesca.

Rebellious_Angel: ti ringrazio molto per i complimenti. In effetti anche la mia prof d'italiano dice che ho un grande "potere di sintesi" e sono molto "ermetico, ma scorrevole". Lei pensa di farmi rodere di rabbia ma non sa che ne vado molto fiero, alla faccia sua. Grazie ancora, complimenti molto graditi.

vero15star: Cosa intendeva Davide con 'Non farlo più'? "Piangere,scappare via,aver intenzione di uccidere il bambino". Ti sei risposta da sola.

Jiuliet: dannazione, no. è banale? è banale, dimmi la verità. Io detesto essere banale e scontato. E non ti preoccupare se ti sembra di essere ripetitiva, mi hai già detto tutto quello che mi basta. Grazie.

MissQueen: Salve fanciulla! Certo, hai ragione, è proprio quello che serviva a Francesca, e anche lei lo sapeva. Un bacio? Un abbraccio? Ovvio, sì che stai sognando... Non ti prendo affatto per un'insensibile, se hai ritenuto giusto farlo tanto basta. Dopotutto mi pare che l'insensibile sia stato lui. O sbaglio?

Marty McGonagall: mi spiace, mi sa che devi riporre il kit da ultras della Curva Nord, ma ti prometto che potrai usarlo in tempi migliori. Buonasera a te, Martina!
Che bello, mi sono proprio "scialato" a leggere la descrizione del comportamento di Francesca, perchè è corretta, ed è gratificante quando qualcuno sa cogliere quello che vuoi comunicare. Grazie per gli auguri, spero tu abbia passato una buona Pasqua.

bribry85: grazie per la recensione, grazie dei complimenti, se poi ti va di dirmi perchè ti piace tanto, ne sarei anche più felice. Ma va bene così.

Devilgirl89: sesto senso oppure era così scontato? Spero per la prima. Sono contento che Francesca inizi a piacerti. "Sì, perchè tu sai la verità!". Sembrava tanto una minaccia... scherzo. Grazie. Mr X fa tanto fighetto con gli occhiali da sole, ma preferisco il mio vero nome. Io e il camposcuola familiare (a cui tra l'altro sta per aggiungersi un nuovo pargolo) ti ringraziamo per gli auguri.


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


g Giugno era scivolato via liscio, veloce e rapido senza inconvenienti, anzi alternando piacevoli momenti ad importanti svolte. Luglio fu anche meglio, a parte il caldo che implacabile iniziava a farsi sentire.
La loro vita di convivenza si manteneva su un rapporto stabile, dettato da regole ben precise: ognuno dei due conosceva la vita dell’altro, ma non vi si intrometteva, non si impicciava e non faceva domande strane. Davide di tanto in tanto la stuzzicava un po’ su suo padre, ma perché pensava che fosse l’unico modo per convincerla a farci pace. I primi mesi non aveva detto nulla perché non erano proprio amiconi, anzi, ma ora che iniziavano ad affiatarsi di più, doveva dirglielo. Non stava bene che non parlasse con suo padre, e che addirittura non lo considerasse tale.
-Ma a te cosa importa?- domandò nervosa.
-è giusto così, per te. Lui è tuo padre, e gli vuoi bene-
-Ti sbagli, a me non importa nulla di lui- ribatté ostinata, incrociando le braccia e guardandolo torva.
-Sì che ti importa- insistette lui.
Francesca lo guardò per un attimo lungo, facendo incrociare i loro occhi. Preparava una discreta contromossa, a quanto pareva.
-E tuo padre?-
-Cosa?- domandò il ragazzo distratto, chiamato in causa.
-Sì, tuo padre. Non mi parli mai di lui- disse osservando la strana reazione che aveva avuto.
Davide distolse lo sguardo, portandolo a terra; si appoggiò allo schienale del divano, incrociando le braccia e facendosi cupo.
-Non ne voglio parlare- disse.
La bionda notò il suo turbamento improvviso, ma questo, nonostante fosse insolito per Davide, non le impedì di rinunciare al suo vero scopo.
-Allora se non me lo dici io non faccio proprio un bel niente-
-Cosa dovrei dirti?-
-Di tuo padre-
-Non ho alcuna intenzione di parlarne con te- ribatté scorbutico.
-E allora io non vedo perché dovrei fare una cosa solo perché me la dici tu- replicò la ragazza.
Entrambi si guardarono male, poi distolsero lo sguardo, irritati ognuno nel suo modo. Lui perché lei gli aveva risvegliato brutti ricordi, lei perché lui non aveva ceduto e si era arrabbiato.
Per il bene del quieto vivere, tralasciarono l’argomento, promettendosi di riprenderlo in tempi migliori.
Una fotografia annerita con delle macchie bianche era sospesa a mezz’aria, reggendosi solo alle due dita del dottore.
Questo stava mostrando a Francesca, stesa come ogni mese sul lettino, la prima fotografia del suo bambino.
-Volete sapere se è un maschio o una femmina?-
Davide stava per rispondere di sì, ma la bionda scosse subito la testa.
-No grazie. Non mi interessa- disse –allora va tutto bene?-
-Perfetto. Sta così comodo che un altro po’ ci può mettere la tv e il divano là dentro-
Questa voleva essere una battuta mirata a sdrammatizzare, ma nessuno colse l’ironia.
La bionda si sedette, il camice che non riusciva a coprirle le gambe lisce. I capelli biondi le cadevano scomposti sulle spalle, alcuni ciuffi sul volto anche, e le due braccia che si poggiavano sul lettino erano anch’esse scoperte. Alcuni bottoni della camicia erano aperti, solo quelli sulla pancia per permettere l’ecografia.
Davide non voleva davvero guardarla, ma gli fu impossibile.
Osservò come se non avesse mai visto nulla del genere le gambe nude di lei che parlava interessata col dottore; risalì lentamente, come se la vedesse in un filmato, con la musica pure, fino ad arrivare a quei bottoni aperti.
Da sotto faceva la sua bella mostra un piccolo pancione rigonfio; era perfetto: rotondo, liscio, morbido almeno all’apparenza. Ormai non potendolo nascondere, era stata costretta ad accettarlo. Forse ci aveva provato, ma la ragazzina non ci era certo riuscita.
Ma i suoi occhi proseguirono la tournée salendo ancora più su.
Non era mai stato un maniaco, uno di quelli che si dilettano su Red Tube, con i giornaletti e i filmati. Certo non era mica un ingenuo ignorante, qualcuno se l’era pure visto, ma non era tipo da certe cose.
Ma ora il suo assopito istinto si riaccese come un fuoco, e dalle ceneri si infiammò più potente di prima. Erano cambiate le situazioni, e le cause.
Prima lo faceva perché era quasi naturale, ora perché semplicemente se n’era accorto.
Prima la causa erano splendide modelle bionde, more, rosse; assolutamente perfette, ritoccate magari, ma che avevano il chissà quale potere nello sguardo che ti rimbambiva totalmente il cervello, e ti accendeva stimoli mai provati prima.
Ora la causa era una ragazzina. Una ragazzina bionda, testarda, scorbutica, acida. Ma Dio, che belle gambe che aveva.
Non voleva pensare affatto male quando lo sguardo gli salì più su della pancia. Quest’ultima, chissà perché, invece di fargli ribrezzo, lo eccitava parecchio. Le guance gli si tinsero di rosso, e si riprese in tempo per notare che lei gli stava mostrando la fotografia.
Subito, ma rimanendo rosso in viso, si sedette sul lettino per guardare. Caspita, era suo figlio quello!
Beh, per il momento era un piccolo fagotto che dormiva, pensò lui. Piccolo, bianco, raggomitolato. Ma chissà se era comoda, la pancia. Chissà se lui poteva sentirlo.
In quel momento, se avesse potuto parlargli, gli avrebbe detto ‘ehi, caspita che bella mamma che hai’.
Francesca purtroppo, furba e maliziosa, notò il rossore sulle sue guance.
Non disse nulla però.
Davide nel frattempo, spostatosi di nuovo di fronte al lettino, riprese il viaggio di prima. Era arrivato a sopra la pancia. Preferì non immaginare cosa ci fosse e andò più su. Lei stava silenziosa, con una smorfia concentrata e attenta sul viso, e guardava il dottore, che le stava gesticolando e sorridendo. I capelli, come aveva visto prima, le stavano sciolti sulle spalle. Lui si incantò e come un flash arrivato all’improvviso, desiderò trovarsi da solo, con lei e su quel letto. Ma non per farle un qualsiasi caspita di esame, no. Il desiderio tutto nuovo di toccarla e di sentire da vicino il suo respiro, ma non arrabbiato invece ansante, lo investì in pieno.
Si riprese ma non del tutto quando la vide alzarsi e recuperare le sue cose, dirigendosi verso la porta. La bionda si voltò accigliata, tirandolo per una manica.
-Ehi, ci sei? Andiamo?- domandò.
-Eh?- fece distratto, ma poi strinse la mano al dottore e la seguì fuori.
Mentre tornavano alla macchina, lei lo osservava sospettosa, notando che era distratto e assente.
Il ragazzo cercava di scacciare quella imbarazzante fantasia di poco prima; non erano pensieri da farsi e totalmente inopportuni. Non provava nessuna attrazione per lei, la considerava un’amica, ma allora che significavano quei pensieri?
-Davide è tutto a posto?-
Si sedettero nell’abitacolo, con lei che lo guardava strana.
-Eh?- si accorse che lo stava fissando e arrossì.
-No niente... pensavo...- liquidò l’argomento con indifferenza simulata.
-Come mai sei tutto rosso?-
-Boh. Eh forse...faceva troppo caldo là dentro-
Il che era vero, sotto alcuni punti di vista.
La bionda non fece altre domande, ma continuò a tenerlo d’occhio. Intanto aveva altro a cui pensare: teneva fra le mani la piccola foto, la prova concreta che il bambino esisteva, come le ricordava ogni mattina lo specchio nel quale si guardava. E questo, implacabile, le restituiva un corpo ingrassato, rotondo, morbido e non più esile, aggraziato e piccolo.
Non si piaceva più.
Prima, quando usciva, camminava a testa alta sapendo che era bella, ma non per vanità. Si sentiva sicura di sé per quei mezzi, anzi doni, che la natura le aveva fatto. Ma ora, con quell’ingombrante peso che le gravava sulla pancia, non si sentiva a suo agio.
Aveva iniziato a vestirsi più larga in modo da nascondere la pancia anomala, ma ora era così grande e sporgente che si vedeva lo stesso. Si vedeva. Così anche se aveva ripreso ad indossare gli abiti suoi consoni, si vergognava. Si vergognava terribilmente quando era costretta ad uscire e infatti cercava scuse su scuse per rimanere in casa. Sapeva che chiunque l’avesse vista con quel pancione l’avrebbe additata come una di quelle ragazze madri, disprezzata e non le piaceva.
Loro non sapevano tutta la storia. Loro non sapevano nulla.
Eppure si permettevano di giudicare.
Era ormai una mamma da sei mesi inoltrati, e si avvicinava il momento. Da quando aveva deciso di tenersi il bambino si era un po’ più rilassata, ripetendosi che ci voleva tempo. Un mese e più dopo, non la pensava allo stesso modo. Il momento si stava avvicinando, e lei aveva una paura matta.
Ma non l’avrebbe ammesso per nulla al mondo.
 
Faceva caldo, molto caldo e loro due erano nel letto. L’uno, vestito solo di maglietta e pantaloncini, dormiva sdraiato a destra, poggiato su un braccio, e respirava strano.
Francesca era a sinistra, avvolta nel pigiama cortissimo e largo, e stretta fra le lenzuola. Guardava il soffitto, buio tranne per la luce soffusa e bassa che lo rischiarava. Si girò dalla parte del ragazzo, osservandolo dormire. Aveva la bocca schiusa e perciò ne usciva il respiro, pesante. Lo invidiava da morire in quel momento, lui addormentato beato fra le braccia di Morfeo, lei infelice insonne. Come detestava non dormire. Tutto era immobile e silenzioso e per quanto guardasse l’orologio quello non ne voleva sapere di avanzare con le lancette. Sbuffò, girandosi dall’altro lato. Non poteva manco mettersi a pancia in giù, e questo, anche se sembrava una sciocchezza, era un sacrificio pesante.
Si tormentò un poco i biondi ciuffi che aveva sulle spalle.
Ricordava che una volta un ragazzo le aveva affibbiato un buffo soprannome per via dei suoi perenni fermagli. Ma che poteva farci? Quei dannati capelli la tormentavano in qualsiasi modo se li aggiustasse.
Rassegnata, li lasciò andare e la sua mano scivolò lenta fra le lenzuola. D’un tratto avvertì un piccolo crampo alla pancia.
Sorrise divertita, poi si toccò la pancia con le mani.
-Manco tu riesci a dormire?-
Scosse la testa, sorpresa dall’assurdità della sua azione, e si sdraiò meglio. Sarebbe molto meglio, almeno per me, se non ci fossi bambino, pensava.
Di pensiero in pensiero, andò stranamente a ricordare la dedica che Paola le aveva fatto su un foglio.
Davide&Francesca=love4ever.
Non seppe mai come, ma in qualche modo chiuse gli occhi e senza pensarci si addormentò.
Sognò un sogno strano. Sognò Bruno, sognò Elena, e anche il suo professore di matematica. Sognò una sala d’ospedale buia, e un medico che le apriva le gambe con forza. Sognò Damiano che le urlava contro, e un corridoio lunghissimo che non era altro che lo stesso del suo orfanotrofio. Lei correva e ad un certo punto, aperta la porta vide...
Non ricordò cosa avesse visto, ma si spaventò tanto da svegliarsi di soprassalto.
Si drizzò a sedere, sudata e ansimante, con un scatto così veloce che sorprese anche il silenzio. Non urlò né gridò, ma il movimento fu così brusco e il suo respiro così forte e spaventato nel buio della stanza che anche Davide si svegliò.
-Oddio...- mormorò, capacitandosi che era stato un sogno, lei.
-Che c’è?- mugugnò assonnato lui, rivoltandosi. Si protese in avanti, i capelli tutti arruffati e gli occhi pesanti.
-Che hai, Fra?- domandò mezzo addormentato guardandola.
-Un brutto sogno- disse piano la ragazza, riprendendo un respiro regolare.
Poi lo guardò, tutto assonnato e con gli occhi chiusi come se fossero pesti continuava ad osservarla, a metà fra la preoccupazione e irritazione di essere stato svegliato.
-Dai dormi...- fece, rituffandosi fra i cuscini, affondandoci la faccia. La sua mano si poggiò sulla sua spalla, tirandola giù, e scivolò giù verso la mano. La tirò a sdraiarsi senza mollare la presa, e prima che se ne rendesse conto si era già riaddormentato.
Francesca si ristese, appoggiandosi stanca e con la fronte sudata contro il cuscino. La sua mano era chissà come tenuta distrattamente fra quella di lui.
Si addormentò subito.
Francesca aprì gli occhi poche ore dopo, stanca e seccata perché non aveva dormito molto quella notte. Guardò l’orologio ed erano le sette e mezza. Abbastanza tardi per potersi finalmente alzare da quel letto. Mosse la mano che stava poggiata su quella di lui, che ancora dormiva, e la sfregò sul suo palmo. Lo guardò dormire, aveva gli occhi chiusi e il corpo gli si abbassava ritmicamente scandito dal respiro.
Lei si mise su un fianco, verso di lui, e gli prese la mano nella sua, intrecciando le loro dita. Ancora assonnata, si sdraiò sul cuscino bagnato e chiuse gli occhi. Come faceva a dirgli che Damiano le mancava, le mancava tanto e che aveva ragione lui? E soprattutto che non aveva la minima idea di che cosa fare?
Lo guardò a lungo senza paura di essere scoperta.
Lui faceva sembrare tutto così facile e tranquillo; da quando lo aveva conosciuto, senza forse rendersene conto, le aveva risolto moltissimi problemi che altrimenti sarebbero rimasti perennemente irrisolvibili. E si fidava a confidargli le sue emozioni, i suoi pensieri, perché sapeva che avrebbe saputo dargli buoni consigli. Ciò che le piaceva di lui era il fatto che la sapesse ascoltare e poi dopo non abbandonarla lì così, indifferente. Tutti gli altri, conoscendo la sua indole facilmente infiammabile, la assecondavano nella maggior parte delle cose, quelle difficili e complicate, facendole credere che aveva ragione per non incappare nella sua ira. Davide non si era fatto problemi a dirle veramente cosa doveva fare, a consigliarla nel modo giusto. Lei, testarda, i primi tempi non gli voleva dar retta per niente, ferma nella convinzione di avere ragione. Ma poi, da quando avevano litigato e se n’era andata, si era accorta che seguendo quello che le diceva le cose andavano meglio, per lei e per gli altri.
Sapeva consigliarla bene, e lei si fidava di lui.
In realtà non glielo diceva espressamente perché si vergognava e poi aveva il suo orgoglio, ma lo ascoltava molto.
Le dava sicurezza.
Davide non ricordò cosa avesse sognato quella notte, come spesso gli succedeva, ma sapeva solo, quando riprese coscienza, che era sudato e rotolato nel letto. Detestava quel caldo soffocante che regnava in città e opprimeva il cielo come una cappa. Alzò una palpebra, svogliato, e la richiuse. Poi la riaprì, e anche l’altra, stando per qualche minuto in stato di coma. Vedeva solo le lenzuola aggrovigliate e spostate, e poi la tenda che copriva la finestra. La ragazzina si era alzata. Lui si girò lentamente sull’altro fianco, e poi la vide.
La bionda era in piedi, vestita solo col pigiama davanti allo specchio, e si guardava attenta e seria. Il ragazzo aprì meglio gli occhi, strizzando più volte le palpebre, per distinguere meglio le figure.
C’era un lungo specchio, attaccato alla parete, proprio affianco al letto, e lì Francesca si stava esaminando.
Sollevò la maglietta del pigiama, scoprendo la pancia gonfia. Lei sbuffò, girandosi a destra e a sinistra per trovare un profilo che le andasse bene; ma a quanto pareva, non ne esistevano. Seccata e delusa, lasciò cadere la maglietta sulla pelle. Poi si guardò di lato per vedere di quanto sporgeva la pancia. Si notava.
Lei scosse la testa, tastandosela infastidita di non poter fare nulla.
-Ma cosa fai?-
La voce arrochita e divertita di Davide le arrivò alle orecchie.
Arrossì e lo guardò, smettendo di fissare il suo riflesso.
-Niente-
Lui fece un gran sorriso divertito, e capendo che avrebbe iniziato a sfotterla lei aggiunse, tornando a guardarsi
-Sono grassa-
Si morse il labbro prima di sedersi sul pizzo del letto, lasciando cadere le speranze. Triste teneva piegata la testa di lato, fissandosi le gambe che, almeno, erano dritte e tornite come erano sempre state.
Si sdraiò di schiena, mettendosi le braccia dietro la nuca.
-Non sei grassa. Sarebbe strano il contrario- disse lui, alzandosi sui gomiti per guardarla.
-Parli bene tu che sei uno stecco- ribatté lei.
Ma il ragazzo non si scompose, tirandole scherzoso il cuscino. La ragazza lo afferrò e ci si nascose dentro.
-Stanotte non hai dormito per niente. Ma a che pensavi?-
-A niente- disse con voce ovattata.
-Sì certo-
Francesca si tirò a sedere e gattonò lenta fino ad arrivare a lui, poi si appoggiò alla testata del letto e lo guardò. Aveva le gambe rannicchiate contro la pancia e le mani a sorreggersi. Lui invece stava giù, sdraiato e tirato su dai gomiti.
-Allora stavo pensando a tutto- disse.
-A tutto?- il ragazzo la guardò scettico.
Poi si fece serio.
-E raccontamelo questo tutto, dai-
Lo aveva detto con quel tono di voce profondo, serio, maturo che tanto le piaceva e sembrava capace di sciogliere un iceberg.
-Mi chiamo Francesca. E sono orfana di mamma e papà- cominciò per scherzo lei sorridendo.
Davide si stese sul materasso, con le mani dietro la testa, in attesa di una lunga storia.
-Mi ha adottato uno che si chiama Damiano- proseguì, poi guardò lui, furba –ora tu-
-Io? E che devo dire?-
-Tu sai quasi tutto di me. Parlami di te-
Si girò verso di lui, stando sempre seduta.
Si guardarono negli occhi, ma non aprirono bocca; Francesca non voleva perdere l’occasione e insistette
-Tua madre ha detto che hai una sorella-
-Sì. Si chiama Miriam- rispose lui.
Quando la vide sorridere capì che aveva fatto il suo gioco e allora si rassegnò. Cominciò a raccontare.
-Nella mia famiglia siamo tre figli. Io, mio fratello e Miriam. Lei ha la tua stessa età, mentre mio fratello ne ha circa ventuno, mi sa- elencò, contandoli sulle dita.
-Si chiama Rosario. Fa l’università adesso, a Roma-
-La Sapienza?- domandò lei.
-No, alla Cattolica. È una specie di genio. La mamma è molto contenta di lui-
-E tuo papà? Com’è?-
Davide deglutì, lasciando in sospeso la frase. Poi si ricordò che lei, la ragazzina, era l’ultima persona a cui poteva dire di avere una vita migliore. Mosso a compassione, sorrise, ma un sorriso triste, e rispose.
-Mio padre faceva il medico. Ha sempre pensato che uno di noi dovesse seguire le sue orme. Lui voleva che io andassi al liceo, ma di latino e greco io non volevo capirne nulla. La matematica era l’unica cosa che mi piaceva-
-Così poi ho fatto la ragioneria. Papà non la prese bene, ma stava attento a non farsi vedere da me. Io ero bravino, a scuola. Poi però...-
-Però?- incalzò Francesca.
-...poi mio fratello andò al liceo. E allora iniziò a prendere ottimi voti. I miei scomparivano a confronto dei suoi. D’un tratto, andare a scuola non mi piaceva più. Anche se prendevo buoni voti, lui se ne arrivava sempre con altri migliori. E papà era più contento di lui-
-Poi un giorno, io e papà litigammo. Litigammo di brutto. Io non volevo andare all’università a prendere medicina. Io volevo diventare un perito informatico o un ragioniere, come mio zio. Ma lui non voleva. Allora litigammo. Ci siamo detti tante di quelle cose, mia madre che ci diceva di stare zitti, mio fratello studiava in camera sua e mia sorella piccola ci guardava. Alla fine io me ne andai in camera mia, volevo andarmene via-
Davide sorrise furbo d’un tratto prima di riprendere a parlare.
-Mia sorella preferiva me. Dopo la litigata venne in camera mia; stava seduta sul letto e mi guardava mentre tutto incavolato cercavo le mie cose-
-Aveva solo undici anni. Mi ha guardato e mi ha detto: “Non te ne andare, altrimenti mamma si mette a piangere”. Lo aveva detto così convinta, così seria che le ho creduto. Chiesi scusa a mio padre-
Il ragazzo si interruppe, arricciando le labbra in una smorfia.
-Scusa- sorrise alla ragazza bionda che aveva ascoltato in silenzio senza battere ciglio –ti sto annoiando-
-No no- si affrettò a rispondere Francesca –continua- gli sorrise.
Davide arrossì un po’, poi guardò le lenzuola che lo coprivano e parlò a loro
-Finita la scuola non ce la facevo più a stare a casa. Mio padre mi guardava e vedevo che era deluso. Non volevo essere il suo fallimento, ma l’avevo deluso. Così sono andato a dormire per una settimana da un mio amico. Tornavo a casa quando lui aveva il turno in ospedale-
-Poi un giorno ho provato a cercar lavoro. Ho trovato quel bar. Io non sapevo fare nulla, ma Bruto mi prese lo stesso a lavorare. Diceva che lui mi avrebbe insegnato tutto, e in effetti per me era tutto, quel lavoro. Me ne andai di casa a diciannove anni compiuti da poco, in questa casa. Era di mio zio, quello che faceva il perito informatico-
-E poi... tre anni fa, quando mio fratello è stato ammesso all’università, mio padre ebbe un attacco-
-In che senso?- chiese lei.
-Aveva un problema al fegato. Ma lui non ci badava, diceva che era solo una sciocchezza per tranquillizzare mia madre. Ma quella volta fu grave. Fu così grave che lo ricoverarono con urgenza-
-Sono ormai tre anni che è morto-
-Tu sei andato a parlarci, dopo che te ne sei andato di casa?-
-Sì. Ma anche se mi ha abbracciato si vedeva che non era proprio felice che io lavorassi solo in un misero bar, con una misera paga-
-Il mio rimpianto è quello di non essere riuscito a renderlo fiero di me- concluse malinconico, abbassando lo sguardo.
Francesca stava in silenzio ad assimilare quella triste storia, e guardava lui, sdraiato accanto a lei ma così distante e scoraggiato. Pensò che ci volesse qualcosa per tirarlo su.
-Sai Davide... quando ti ho conosciuto, pensavo fossi solo uno sciocco ragazzo, uno stupido che va in discoteca con le ragazzine solo per divertimento e non combina nulla nella vita-
-Ma non è vero- si affrettò ad aggiungere –non solo non sei uno stupido ragazzino, ma non è vero nemmeno che non hai combinato nulla nella vita. Guarda me. Senza di te chissà come avrei fatto. Sei così buono- sorrise.
Visto che lui non sorrideva, ma era sempre triste, fece scorrere piano una mano fra i suoi capelli, costringendolo così a guardarla negli occhi.
-Anche io vorrei essere buona come te- disse sorridendogli affettuosa.
Stavolta Davide sorrise.
-Tu non sei cattiva- disse, tirandosi su, accanto a lei.
-Ma non sono buona- replicò con un sorriso la bionda, facendo tornare la mano al suo posto.
Ora toccava a lei, che fece un bel respiro prima di cominciare.
-Mi ricordo soltanto poche cose dell’orfanotrofio. Mi ricordo che una volta la suora mi disse che ero una bambina davvero bellissima, e che ero la più brava delle femmine. Ma non era vero- sorrise –io non sorridevo mai, e spesso facevo i dispetti ad un bambino. Gli tiravo i capelli- rise.
-Perché?-
-Boh. Lui un giorno mi aveva rotto una scatola di colori. Erano belli, sai, erano tutti miei perché ero stata la più brava a fare un qualcosa... boh. Comunque lui me li aveva rotti, e non gliel’ho mai perdonato. Così gli facevo i dispetti-
Francesca scivolò più giù, immergendosi nei suoi ricordi.
-Poi un giorno arrivò Damiano. Era gentile con me, e mi portava con lui. Sai, noi non potevamo uscire fuori, ma lui mi portava in giro. Mi piaceva stare con lui molto più che con le suore, perché ascoltava tutto quello che dicevo. E mi faceva mangiare tante cose buone, che noi alla mensa nemmeno ce le sognavamo. Avevo quattro anni, o forse cinque...-
-Un giorno arrivò e disse, entrando in camera mia: “Oggi ti faccio conoscere la mia casa”. Mi portò a casa sua, e a me piacque tantissimo. Stetti a dormire lì per una notte, e non volevo andarmene, perché sai... all’orfanotrofio quelle suore dovevano ascoltare a milioni di bambini. Invece lui era mio, era venuto solo per me. E le cose che mi diceva, che mi faceva vedere, erano solo per me e non per gli altri bambini-
-Mi sentivo, per la prima volta... non so...-
-...a casa- completò Davide con un sorriso gentile.
Lei arrossì, e precisò
-Lo so che sembra una storia strappalacrime, ma è la verità!- sorrise.
-Eh ma io non ho detto nulla. Continua dai- si voltò su un fianco e stette in attesa del resto.
-Comunque...- sospirò prima di riprendere.
Non era triste, ma ricordava tutto con un certo divertimento, compiaciuta di aver vissuto quelle esperienze. Non era in cerca di compatimento, cercava solo qualcuno che la ascoltasse.
-Sai, siccome anche Damiano ha gli occhi azzurri, per un periodo avevo veramente creduto che lui fosse mio padre- sorrise imbarazzata. Com’era più bella quando sorrideva e quando arrossiva, presa alla sprovvista, pensò Davide, incantandosi per un attimo.
-Ci rimasi malissimo quando scoprii che non era lui il mio papà. Ci avevo sperato sul serio- qui piegò la testa da un lato, intristendosi un attimo.
-Avevo sempre pensato che mia madre avrebbe dovuto avere dei capelli biondi come i miei, ma nessuna signora bionda veniva a cercarmi, così ci persi le speranze. Damiano non mi ha proprio adottato. Lui si conosceva con la direttrice e siccome gli stava simpatico lei lasciò che mi prendesse così, fidandosi di lui-
-Da quando, circa ad otto anni, scoprii che non era mio padre, smisi di considerarlo tale. Prima lo chiamavo Damiano, forse per rispetto... boh... ma non l’ ho mai chiamato papà-
-Il resto direi che più o meno lo sai-
Davide restò in silenzio a guardarla.
-Hai mai pensato a come potessero essere i tuoi genitori veri?-
Francesca ricambiò il suo sguardo.
-No, e sinceramente non mi importa nulla- rispose decisa –una mamma non l’ho mai cercata. Gli amici li ho e li ho avuti. Un papà...- lasciò cadere la frase nel nulla.
Era un argomento un po’ personale, forse troppo e il ragazzo preferì deviarlo.
-Ti invidio molto, lo sai Francesca?-
-Perché?-
-Non è vero che non sei una donna coraggiosa. Tu sei più coraggiosa di tutte le altre donne messe insieme che io abbia mai conosciuto. Anche se hai una storia difficile, non ti lamenti mai. Non vuoi essere commiserata-
-Perciò non voglio che i miei amici e nessuno sappia che sono orfana. Non voglio che siano miei amici solo perché gli faccio pena. Come credi che mi sentirei?-
-Questo l’avevo capito- le sorrise.
-Avrei voluto avere il tuo stesso coraggio mentre parlavo a mio padre, testa bionda- le disse.
Cadde il silenzio fra loro due. La mattina sembrava secoli fa, quando ormai si erano inoltrati l’uno nei pensieri più intimi dell’altra. Si erano detti tutto, davvero tutto.
-Sei la prima persona a cui dico tutto questo. Nemmeno i miei fidanzati sapevano tante cose di me- confessò arrossendo la ragazza.
-Anche tu. Non avevo mai raccontato questo a nessuno- anche lui diventò rosso.
E imbarazzati stettero in silenzio.
Davide fece un respiro.
-Allora andiamo da tuo padre?- domandò rivolgendosi a lei.
Francesca si spostò una ciocca bionda che come sempre la tormentava. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli verdi del ragazzo.
Si fidava di lui. Non le avrebbe mai fatto nulla di male.
-Sì-












Come avete notato, ora la storia è un po' meno...intensa per quanto riguarda le situazioni, il che è legato anche al cambio di stagione. Io credo sia anche un po' così, perchè l'estate ti fa vedere tutto in modo più rilassato, no?

Dunque ringraziamo tutti i lettori, i preferiti, e le recensitrici.

Jiuliet: ti ringrazio. No, non sei sconclusionata, mi fa piacere che Davide e Francesca siano espressi in maniera così viva da farteli immaginare quasi "reali". Grazie, per gli auguri di Pasqua che ovviamente ti rimando, anche se in ritardo. Grande, allora siamo due sudisti...e sì, da bravo meridionale ho anche io una famiglia numerosissima.

wanda nessie: sì vero, Francesca si è un attimo rilassata... il finale ti ha sorpreso? In che senso?

GinTB: ecco Francesca 2 -la vendetta-... Scherzo. Buonasera. Cos'è che intravedi? Perchè non si può mai sapere. Ma cercherò di intravedere anche io quello che intravedi tu, non vorrei mai causare uno scatto omicida. Felice anche io che tu sia felice. Ah ma tu avvertimi sempre, se combino guai.

Marty McGonagall: ti perdono, ti perdono e non hai di che scusarti, perchè non sei l'unica ad essere smielosa (ora posso usare anche io questa parola neonata?).
Sì, l'estate sta arrivando ma considera che io scrivevo questa parte a metà febbraio, quindi immagina quanto mi sentivo frustrato...

marghepepe: "Questa ff tocca l'anima!". Allora, commento molto esagerato ma graditissimo...credo proprio che alla fine il mio ego ne uscirà incredibilmente (e ingiustamente) ingigantito. "Una storia del tutto originale e non scontata, ed, in certi punti, ironica". Ti ringrazio tanto di questa analisi.

vero15star: ti prego dimmelo se non riesco ad esprimere bene le situazioni. Sarebbe una pecca enorme e io desidererei tanto correggerla. Grazie per la recensione.

FeFeRoNZa: Ci ho pensato, ci ho pensato e...caspita, devo ammettere che è davvero un bel piano, soprattutto considerando che io non finisco tra le grinfie di Francesca (perchè credimi, è pericoloso e sconsigliabile). Però non hai calcolato una cosa: io soffro di vertigini! Ho una paura terribile dell'altezza quindi non credo sosterrei il volo... Va bè, mi fa piacere che apprezzi così tanto Davide, anche se non sono proprio uguale a lui, e come vedi in questo capitolo la situazione Damiano si è sbloccata...



Emily Doyle: temo che dovrai aspettare un poco...";">

MissQueen: la pratica Damiano comincia ad avviarsi, come puoi leggere. E grazie nuovamente per la recensione. Davide non è proprio uguale a me... è un ritratto uscito molto più bello. Cavoli, credo di essermi immischiato in una brutta situazione... com'è? All'inizio avevo solo una fidanzata. Ora ho una fidanzata, una moglie e pure l'amante?
E il bello è che io non ho fatto assolutamente nulla... ma dov'erano questi superpoteri quando mi servivano?
(wow non credevo di poter ricevere complimenti anche per come rispondo alle recensioni......)

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14 La macchina si parcheggiò accanto al marciapiede, e Davide spense il motore. Era una mattina di luglio tardo, e loro due stavano sfidando il caldo, il sudore, l’afa e l’umidità, vestiti lui con un jeans tutto appiccicato alle gambe e una maglietta, e lei di un pantalone corto, nero e una maglietta aderente, anch’essa appiccicata al suo petto.
-Non ce la posso fare. Cosa gli dico?- domandò mordendosi il labbro la ragazza.
-Ma sì che ce la fai-
-Che devo dirgli?-
Il ragazzo sbuffò, lasciando andare il braccio fuori dal finestrino a bruciarsi sul metallo rovente.
-Mi hai fatto questa domanda una ventina di volte e la mia risposta sarà sempre la stessa. E ora andiamo-
Scesero giù, e per fortuna il portone del palazzo era già aperto, così non dovettero suonare al citofono.
-Sicura che è in casa?- domandò lui salendo le scale.
-Sì che è a casa. C’è la macchina- Francesca gli faceva strada, quasi arrampicandosi sui gradini, stanca.
Il cuore le batteva molto forte ed era tutto un tremito. Era agitata, agitatissima. E oltretutto si vergognava da morire. Aveva paura di quello che avrebbe potuto dire Damiano, dopo due mesi che non si faceva vedere; poteva trattarla male e non ci era abituata, da parte sua.
Salirono le scale finché non arrivarono al secondo pianerottolo; lì c’era un solo appartamento, e il corridoio era buio, con una sola finestra rotta che chiusa impediva alla luce di entrare.
Il palazzo era vecchio e in rovina; da fuori, le mura presentavano crepe e all’interno l’umidità avanzava tanto da coprire più di mezza parete. In più, l’elettricità sembrava non esistere nell’atrio.
Davide si guardò intorno critico.
-Caspita che bel palazzo- commentò ironico.
-Non fare lo snob, questo c’è e di questo ci si accontenta- ribatté nervosa la ragazzina.
Lei temporeggiava davanti alla porta, senza il coraggio di suonare al citofono.
-Non ce la faccio- disse sbuffando.
-Sì che ce la fai- ripeté paziente lui.
Sembrò che per un attimo lei si fosse decisa ad andare, ma si fermò nell’atto di premere il campanello, lasciando cadere a terra il braccio.
-Perché non vieni anche tu con me?- domandò rivolta al ragazzo che stava seduto sul davanzale della finestra, al buio, e la osservava.
Francesca gli si avvicinò.
-Perché no. è una cosa che devi fare da sola- rispose serio e irremovibile lui.
La bionda sbuffò e fece una serie di buffe facce che volevano convincerlo; ma nemmeno la più strana di esse lo commosse e infatti Davide restò seduto sul davanzale, nel buio del pianerottolo. Allora lei sospirò e rassegnata si voltò a guardare la porta. Stette indecisa per almeno dieci minuti, finché il ragazzo non perse la pazienza.
-Ancora a zero stai? Eh no, eh!- scivolò giù e la afferrò di peso.
-No, no fermo!- si oppose, ma invano.
L’indice di lui era già saettato verso il campanello e un attimo dopo un trillo suonò all’interno dell’appartamento.
I due ragazzi rimasero in silenzio religioso, in attesa di una risposta dall’altra parte, Francesca imprigionata e spinta in avanti da lui.
-Chi è?- una voce adulta chiese da dietro la porta.
I due si guardarono, l’una terrorizzata e incapace di dire nulla.
Davide le scoccò uno sguardo irritato, ma visto che non accennava ad una reazione, le pizzicò un braccio.
-Ahio!- gridò lei ad alta voce, fissandolo furente. Poi capendo che ormai si era tradita, prese fiato e disse tutto ad un tratto
-Damiano apri!-
Sentirono la serratura che scattava e la porta aprirsi, così lui lasciò andare la ragazzina e si ritirò nell’ombra, lasciandola sola con suo padre.
Un uomo alto, dalla barba fatta e gli occhi azzurri che spiccavano, guardò la ragazza dalla soglia.
Lei fece altrettanto, fissandolo senza spiccicare parola.
Al ragazzo venne voglia di batterle un colpetto per farla scuotere; ma per fortuna non ce ne fu bisogno, dato che lei balbettò, con lo sguardo a terra
-Ciao-
Damiano la osservava chiaramente sbalordito, ma la prima cosa che notò, inevitabilmente, fu il pancione ormai prominente che le sbucava da sotto la maglia.
-Che hai fatto?- chiese indicandolo.
-Te l’avevo detto- rispose la bionda, nervosa perché lui non sembrava proprio accogliente.
L’uomo la guardò negli occhi, e cercò di parlare. Non ci riuscì e indicò la porta.
-Entra dai-
Francesca lo seguì impacciata e non del tutto sicura di ciò che stava facendo.
Prima di farlo volse uno sguardo al ragazzo che stava seduto sul davanzale, e questo le rivolse uno sguardo di incoraggiamento, come a dirle ‘dai, puoi farcela’.
Poi chiusero la porta e Davide si ritrovò solo. Caspita, pensò, se lei non aveva la minima idea di cosa dire, e quelle tre parole erano le uniche cosa che era riuscito a dirle suo padre, si prospettava un dialogo misero. Chissà se avrebbero concluso qualcosa.
Nel frattempo, all’interno del’appartamento, una volta che Francesca fu entrata e la porta si fu chiusa, calò il silenzio totale.
Lei capì che doveva fare la prima mossa, ma temeva di dire la cosa sbagliata e farlo arrabbiare.
Si decise a fissarlo negli occhi.
-Ti devo domandare scusa- cominciò con voce sottomessa.
-Per cosa?- domandò lui.
-Mi dispiace di essermene andata di casa senza dire nulla- continuò, sempre tenendo gli occhi bassi.
Damiano la osservava e le labbra gli tremavano, come se avesse tutto da dire ma in quel momento niente che riuscisse a mettere insieme in una frase di senso compiuto.
Le si avvicinò, ma nei suoi occhi non c’era rimprovero, cattiveria, ma al contrario una gioia celata ben bene.
Allungò una mano e a metà la fece cadere come aveva fatto prima lei.
Francesca notò il suo gesto, e si sentì sollevata: non voleva né picchiarla, né dirle male parole.
-Damiano, mi dispiace, sul serio- disse con voce pentita, alzando per la prima volta gli occhi.
Ma lui non diceva nulla, perciò triste fece per girarsi.
Damiano le prese gentilmente un braccio, facendola voltare verso di lui.
-...come stai?- domandò con una voce leggera e preoccupata che non gli aveva mai sentito.
La ragazza alzò le spalle.
-Bene- disse, più interessata alla sua reazione.
-Ma... questo?- indicò il pancione.
-Aspetta, sediamoci, che ti racconto-
Così fecero, si sedettero su un divano e lei cominciò a raccontare per l’ennesima volta quella storia così impossibile, così strana e inverosimile da essere vera. Damiano la ascoltava, la ascoltava attento e mentre lei parlava incominciava a capire molte cose. Francesca con lui era sempre stata scontrosa, cattiva a volte, ma lui credeva fosse comprensibile visto che infondo lui era solo un surrogato mal riuscito dei genitori che non aveva mai potuto avere.
Verso aprile però questa reticenza iniziò a trasformarsi in qualcosa di più. A volte, parlandoci, la sentiva così distante che pensava che avesse incominciato ad odiarlo.
Invece capì tante cose, cose a cui non avrebbe mai potuto arrivarci con la sola immaginazione. Poverina, pensò triste. Lei era così, aveva questo problema e lui non se n’era né accorto, né l’aveva aiutata. Non aveva provato a capirla, a domandarle cosa c’era che non andava per paura delle sue risposte cattive.
Si sentì talmente colpevole, talmente spregevole, che gli venne voglia di interromperla per chiederle scusa, scusa di tutto, scusa per non essere riuscito a fare il genitore.
Ma visto che per la primissima volta era lei, lei a parlare e a raccontargli cosa veramente provava in quella testolina bionda che tante volte aveva baciato e accarezzato, ciò lo rese incapace di prendere l’iniziativa, restando come imbambolato ad ascoltarla.
Quando ebbe finito, lei alzò lo sguardo triste su di lui. Damiano in un primo momento si controllò, poi la strinse forte, forte in un abbraccio. E mentre l’abbracciava lei poteva sentire mormorate al suo orecchio tante parole, tante scuse.
Francesca sentì per la prima volta come un soffio nel centro del petto mentre lui la abbracciava, e si rese conto di cos’era.
Ricambiò l’abbraccio, grata.
-Ti voglio bene, papà- disse piano.
Anche se aveva fatto forza per non piangere, sentì distintamente una lacrima colarle sulla guancia, proveniente dalla testa. Ma non era sua.
 
Francesca lo prese per mano, conducendolo verso il portone.
-Voglio farti conoscere Davide-
Aprì il portone.
Davide era ancora seduto sul davanzale, a guardare tutto perso il poco cielo che si vedeva dalla finestra quasi chiusa. Se quei due ci mettevano così tanto, significava che stavano parlando, in un modo o nell’altro. A lui non restava che aspettare, aspettare e aspettare. Quando sentì la serratura scattare, scoprì che non vedeva l’ora che quella biondina tornasse con lui. Non seppe mai se era gelosia o cosa, perché non ebbe il tempo di pensarci.
Comunque, dalla porta uscì lei che tirava per mano Damiano.
Il ragazzo saltò giù dal davanzale, aggiustandosi i jeans e osservando i due.
-Lui è Davide- sorrise Francesca, complice al ragazzo.
Damiano lo guardò bene per un attimo. Lui era il ragazzo che l’aveva messa incinta; ma come gli aveva spiegato la ragazza, non era solo questo: lui era quello che l’aveva aiutata, che l’aveva capita e l’aveva convinta a non abortire. L’aveva ascoltata e non le aveva voltato le spalle, ma al contrario si era fatto carico delle sue paure. In sostanza Damiano aveva capito che era stato quel ragazzo la causa del cambiamento di lei.
Francesca domandò ad un tratto
-Senti mi fai scendere un attimo in macchina? Devo prendere una cosa-
Davide, preoccupato dallo sguardo del padre, non comprese subito il senso, ma poi impacciato le diede le chiavi.
-E attenta di non rompere nulla- le raccomandò.
Lei scese scoccandogli un’occhiata furba, e lui comprese troppo tardi cosa significava.
Deglutì perciò e osservò nuovamente l’uomo davanti a sé.
-Salve- disse, e pensò che sarebbe stato educato tendere la mano.
Damiano la strinse, ma non sorrise.
-Piacere. Io sono Damiano. Sono il padre di Francesca. Ma penso che tu lo sappia già-
Lui era preoccupato: infondo era stato lui a togliere, in una notte di ubriachezza, la verginità alla figlia. E come se non bastasse, l’aveva pure messa incinta. Se non altro, non avrebbe potuto, nemmeno a farlo apposta, dargli un’immagine peggiore.
Quindi non disse nulla, pronto alle parole e forse alle botte.
-Io devo ringraziarti-
Questa frase fu così inattesa che lui stupito e incredulo domandò
-Ah sì?- con tono scettico. Poi però si corresse in tempo aggiungendo –perché?-
-Francesca ha un carattere difficile. Non parla mica delle sue cose con tutti. Prima di oggi, non ne parlava nemmeno a me-
-Sì, lo so- commentò il ragazzo.
Damiano sorrise e lui si sentì sollevato.
-Ti devo ringraziare perché lei è cambiata. è cambiata ed è tutto merito tuo-
-Mio?-
Forse lui pensava che le avesse fatto chissà quali discorsi e prediche morali. Ma Francesca non era affatto cambiata. Si incavolava ancora, eccome. Soltanto, si fidava di lui e perciò si sentiva di potergli confidare tutto.
-Francesca non è cambiata. E io non ho fatto nulla. Io l’ho solo ascoltata- disse, chiarendo bene.
-E ti pare poco?- domandò l’uomo.
Ci fu una pausa e i due, il ragazzo e l’uomo si guardarono.
-Devi essere una persona speciale, tu. Se Francesca si fida di te, devi essere speciale. Non un ragazzo qualunque-
A questi insoliti e inaspettati complimenti lui arrossì parecchio, non disse niente ma sorrise timido a Damiano.
Per fortuna arrivò la ragazza bionda a spezzare la tensione creatasi.
Francesca salì le scale che la separavano dai due e si rivolse al ragazzo.
-Dai andiamo!-
Lui la guardò, enormemente sollevato che fosse tornata a portarlo via da quella situazione. Lo prese per mano e lo tirò verso le scale.
-Ci vediamo qualcuno di questi giorni- disse a Damiano.
-Salve- salutò imbarazzato lui, avviandosi sotto.
-Se vuoi io sto sempre qua-
Quando tornarono in macchina, la bionda sorrise a Davide.
-Grazie. Grazie. Grazie-
-Oh pure te? Mi basta tuo padre che mi ringrazia- commentò scherzoso.
-Se non fosse stato per te non ci sarei mai venuta qui. E non sai quanto mi sento meglio- disse, avvicinandosi e facendogli una faccia invitante.
-E cos’è ora quella faccia?-
-Niente. Volevo vedere se diventavi rosso-
-Ma smettila- borbottò lui, che rosso ci era diventato comunque.
 
Da quella prima ecografia, quella piccola foto nera che testimoniava il loro bambino, se n’era aggiunta un’altra. Agosto, il caldo torrido e soprattutto la città che si svuotava erano giunti prima che i due se ne rendessero conto.
Francesca ascoltava i suoi compagni raccontare di vacanze, mare, sole, abbronzature e divertimenti. Lei, col suo pancione di quasi otto mesi, era costretta a stare in casa. Ora non usciva più, perché si vergognava troppo del bambino. Davide non aveva ribattuto su questo punto, ma per lei era un grande sacrificio: ora non poteva nemmeno andare a giocare a carte la sera, con gli amici di Davide, e rimanere su quella panchina a dormire fino a mezzanotte. Le mancava, ma soprattutto ora lui usciva molto spesso. Quel suo corso per ragionieri lo impegnava parecchio.
Spendeva buona parte della mattinata lì, per poi tornare a casa e studiare sui libri formule e cifre di matematica aziendale.
Francesca di tanto in tanto si sedeva in cucina, dove lui studiava, e stava in silenzio, semplicemente guardandolo studiare. Di tanto in tanto poi, seduto a torso nudo per il troppo caldo, lo vedeva scrollare la testa e abbandonarsi all’indietro; ciò era quando non capiva qualcosa. E lei era contenta, perché si poteva permettere di disturbarlo, provando lei stessa a risolvere quel concetto. Al 30% ci riusciva, mentre al 70% ci ridevano sopra e bevevano una coca cola, un tè, una birra o qualunque cosa uscisse dal frigo, ghiacciata.
La sera, alle otto, puntuale come un orologio svizzero, lui si vestiva e usciva per andare a giocare a carte, lasciandola sola almeno fino a mezzanotte. E la stragrande maggioranza delle volte, quando lui tornava lei già dormiva.
Stavano insieme solo il pomeriggio, e le sembrava troppo poco. Prima non poteva vederlo e odiava la sua presenza, ora non riusciva a farne a meno.
Il caldo la deprimeva particolarmente, e per tutta la mattina non aveva la minima idea di cosa fare. Di uscire non se ne parlava, con quel pancione.
I suoi amici ad agosto andavano in vacanza, così addio compagnia. Perciò era contenta e stava bene quando c’era lui.
Sentiva sempre più vicino, come una scadenza da rispettare, l’avvicinarsi del temuto nono mese. E lei, per quella scadenza, non aveva preparato alcun progetto.
Non voleva ammetterlo né a se stessa, né tantomeno a Davide, ma aveva una paura matta; una paura così grande che a volte si sorprendeva a sperare che il bambino morisse così, di punto in bianco. Era solo per Davide, solo per lui che aveva deciso di tenerlo. Perché altrimenti la sua posizione non mutava.
A volte la mattina, quando non sapeva proprio cosa fare, osservava il suo ventre rotondo e gonfio. Guardava le fotografie del bambino, un fagotto raggomitolato, come diceva il ragazzo. Ma non era contenta, o fiera; lei voleva che quel momento del parto non arrivasse mai. Avrebbe desiderato che quei nove mesi non finissero mai.
 
Davide tornò presto, una di quelle calde mattine, e la prima cosa che fece fu togliersi la maglietta sudata, così da rimanere solo con i pantaloni.
Andò in camera da letto per cambiarsi, quando trovò una sorpresa. Francesca stava seduta sul letto, respirando ansante come quando si arrabbiava, e osservava il comodino della sua parte. Lui fece lo stesso, e si accorse con stupore che là dove avrebbe dovuto trovarsi un vaso di terracotta, non c’era nulla. Preoccupato, guardò a fianco del letto, e vide infranti sul pavimento tanti pezzi marroncini. Il vaso si era rotto.
Perplesso, spostò lo sguardo sulla bionda.
-Ma che...?- non finì manco di pronunciare la domanda, che subito lei scattò.
-Non lo so! Non lo so, va bene?- sbottò, infiammata –Non lo so che è successo! Stavo lì, e ho tirato la tenda e quello stupido vaso si è rotto!-
Si alzò in piedi e avanzò minacciosa verso il ragazzo che la osservò preoccupato e incredulo.
-Ma sai che ti dico? Sai non me ne frega niente! Non me ne fo**e un ca**o se si è rotto!-
E mentre lo diceva gli tirava del piccoli colpi contro il braccio.
Davide capì che era una giornata storta, e non disse nulla; cercò di attutire i suoi colpi con le mani. Me lei, a maggior ragione e spinta da chissà quale forza, continuava a dargliene. Si calmò solo quando lui le afferrò piano le mani, togliendole.
La guardò negli occhi, e lei sbuffando sfuggì lo sguardo e tornò a sedersi sul letto.
Cauto e sospettoso, Davide si infilò una maglietta a caso fra quelle che erano nel tiretto, e le si avvicinò piano.
Si chinò a raccogliere un coccio spezzato, esaminandolo, e poi tornò a sedersi accanto a lei.
-Non importa se si è rotto. A me manco piaceva- disse sorridendole.
-Se se- commentò ironica e rabbiosa. Non si capiva se era arrabbiata con lui, o con se stessa perché l’aveva rotto.
Lui pensò che forse non erano questi i motivi per cui era arrabbiata.
-Guarda che davvero, non mi importa. Non valeva nulla- cercò di calmarla.
Ma la ragazzina gli mollò un altro colpo, seguito da un altro, e da un altro pugno ancora. Il ragazzo si riparò con le mani, ma lentamente, come un allenatore di pugili contrasta i guantoni che gli piovono addosso.
-Che hai?- domandò con la voce bassa e calda che aveva quando dovevano parlare di cose importanti.
-Non ho niente! E non sono fuori di testa!- gli tirò un pugno più forte che gli fece male, stavolta.
Riuscì a prenderle gentilmente i polsi e a poggiarli giù.
Francesca sbuffò seccata, respirando forte come se avesse corso.
-Cos’hai?- ripeté.
Lei chiuse gli occhi, abbandonando le mani strette a pugno nelle sue. Poi lo guardò triste.
-Non lo so. Non sapevo che fare, mi annoiavo-
-Scusa- sciolse le loro mani e si chinò per raccogliere i pezzi del vaso, ma il ragazzo la tenne su.
-T’ho detto che non importa. Dimmi che hai-
-Mi annoiavo e non sapevo che fare- ripeté lei –okay, pensa che sono pazza- aggiunse.
Lui sorrise gentile, e con una mano le spostò i capelli che le cadevano davanti agli occhi.
La sua destra sfiorò la fronte della ragazza, permettendogli così di guardarla bene.
-Tu devi essere una specie di santo- disse con un sorriso malinconico la bionda, ricambiando il suo sguardo –o forse un angelo-
Davide di nuovo le spostò i capelli dalla fronte, in un gesto affettuoso, poi la fissò serio.
-Eh no- disse –troppo facile a dire così. Io non sono un santo. Io ti conosco. Lo so come sei-
-Una che si inca**a un secondo sì e l’altro pure-
Davide sorrise divertito e continuò a tenere gli occhi verdi nei suoi azzurri.
-Sei tu- disse, soppesandola scherzoso –e anche se volessi non credo che riuscirei a cambiarti-
Francesca lo osservò intensa per un attimo, poi sciolse le labbra in una smorfia divertita che lo contagiò.
-E poi sai, a me avevano detto che gli angeli avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri-
-E chi te l’ha detto?- chiese ormai calmata lei, sorridendogli.
-Beh tu hai mai visto un angelo coi capelli scuri?-
-E poi- aggiunse la bionda –gli angeli non fanno pensieri sconci sulle cameriere-
Davide rise di gusto, poi si fece finto offeso.
-Perché io faccio pensieri sconci sulle cameriere?-
-Certo e anche sulle infermiere-
E anche su di te, pensò improvvisamente eccitato lui. Aveva negli occhi quell’espressione seria, intensa, liquida.
-E comunque quando sei qua non c’è pericolo. Io sono bruttissima. E pensa te, pure grassa come una balena- disse alzandosi.
Davide la guardò camminare in silenzio, troppo preso dai suoi pensieri, poi senza riflettere mormorò, stavolta con voce calda per l’eccitazione
-Non sai quanto ti sbagli-
Per fortuna lei non lo udì, perché continuò ad andare di là senza fermarsi.
Il ragazzo si riprese dal momento di deviazione e iniziò a raccogliere i cocci del vaso. Si era annoiata. Caspita.
 
La prima settimana del mese era passata così, senza eventi particolarmente emozionanti, ma da quella mattina Davide si era messo in pensiero. Si annoiava. Poverina, pensò, in effetti stare da soli, senza nessuno a casa, e senza poter uscire non doveva essere il massimo. Poi lei era una ragazzina, quasi diciassette anni. Insomma, era come se stesse in prigione. Qualche volta la accompagnava dal padre, ma sapeva che anche lì non si divertiva tantissimo. Dopotutto, le sarebbe piaciuto avere i suoi amici con cui passare il tempo, ma purtroppo erano tutti in posti troppo lontani da raggiungere, e per giunta con le famiglie. Il problema  principale era però che lei non voleva uscire con quel pancione. Siccome quello non sarebbe sparito prima di ottobre, non c’erano molte altre soluzioni.
Impegnato fra i bilanci delle aziende, il cibo da preparare, e la ragazza a cui stare attento, gli venne un’idea.
Sotto casa sua c’erano dei box; lui non ne era il proprietario, però aveva ottenuto uno spazio chiuso, una specie di garage, dove teneva alcune cose che non servivano. Per lo più erano mobili, e di tanto in tanto roba che a sua madre non serviva più.
Un giorno, senza farsi vedere, scese giù per cercare ciò che gli serviva. Passò più di un’ora a rovistare fra la polvere e il sudore, i ragni e l’odore di chiuso, ma alla fine, proprio quando aveva incominciato a pensare che sua madre l’avesse buttato, un lungo palo, e il suo corrispondente pezzo di sopra saltarono fuori.
Lo tirò fuori, e poi lo caricò nel bagagliaio, nascondendolo bene e stando attento che il portellone si chiudesse.
Tornò sopra, eludendo le sue domande con un abile dribbling e facendosi perdonare cucinando un bel pranzo.
Trovò il resto in casa, senza faticare troppo, ma ora arrivava la parte difficile.
Si era risparmiato un po’ di soldi e ora aveva intenzione di usarli.
Pregò intensamente che quel negozio non avesse deciso di andare in ferie, perché altrimenti sarebbe stata la tragedia.
Per sua immensa fortuna era aperto. Imbarazzatissimo come poche volte gli era capitato, entrò nel negozio. Domandò, esaminò e scelse, alla fine. Non era proprio sicurissimo di ciò che aveva fatto, ma ormai... era fatto.
Tornò in macchina sentendo ancora lo sguardo divertito della commessa.
Arrivò sotto casa.
Ora era la parte più difficile. Stette per dieci minuti in macchina a decidere il suo discorso, ma quando arrivò alla porta se l’era già scordato.
Entrò in casa, e trovò la bionda sdraiata sul divano scuro, la testa arrovesciata all’indietro e una mano che annoiata le tormentava la pancia.
-Ciao- lo salutò.
Davide le si avvicinò, tenendo una mano in tasca del bermuda.
Mandando il buonsenso e la timidezza a quel maledetto paese, le lanciò un sacchetto.
Francesca se lo vide arrivare accanto al viso, si tirò su e lo esaminò.
Lui si avvicinò al divano, osservando la sua reazione. Lei cercò dentro, guardandolo nel frattempo stupita.
Quando poi ne estrasse un reggiseno nero e il suo corrispondente pezzo di sotto, anch’esso nero, prima arrossì e poi spostò lo sguardo su di lui.
-è per te- spiegò, anche il ragazzo rosso in faccia.
-Per me?-
Lei arrossì, facendo una buffa espressione e schiudendo la bocca. All’improvviso sentì il cuore sbatterle sul petto, come se avesse deciso, in pieno agosto, di farsi una corsa.
-Ti servirà- aggiunse il ragazzo, desideroso di chiarire l’equivoca situazione.
-Perché?- domandò la biondina, facendosi scorrere il tessuto morbido fra le dita.
-Oggi andiamo a mare-
Quando, dopo qualche secondo, capì la sua affermazione, il suo volto si illuminò ad un tratto.
-Davvero?- esclamò, alzandosi di colpo.
-Sì-
-Ma quando?-
-Adesso. Dai vedi come ti va e poi scendiamo- le sorrise, compiaciuto della sua allegria.
Lei non se lo fece ripetere due volte, e si fiondò in camera da letto a provarlo.
Lui la aspettò dietro la porta, caricandosi la borsa col mangiare e quella con gli asciugamani  in spalla.
-Fatto-
La ragazza uscì dalla stanza e improvvisamente gli si seccò la gola. Francesca uscì senza nulla addosso, se non il costume; il quale non poteva evitare di mostrare la pancia rigonfia, ma nemmeno le belle gambe lisce e dritte che aveva, o le spalle piccole. O i capelli biondi che le cadevano sul corpo e sulla schiena. O il pezzo di sopra che non riusciva a celare del tutto le due rotondità che da sotto facevano capolino.
Non seppe dire quanto tempo rimase a fissarla estasiato, ma senza dire nulla, finché purtroppo una gonna corta e bianca, e una maglietta chiara le coprirono il corpo.
-Aspettami, ho quasi fatto!- gli disse, temendo che se ne stesse andando. Ma lui era imbambolato lì, ancora troppo stordito e sorpreso dalla visione precedente.
Quando poi si riprese, lei era ormai pronta, e soprattutto vestita.
Insieme scesero le scale, e anche se la ragazzina tutta contenta voleva aiutarlo a portare le borse, lui non glielo permise.
-Mi piace il costume. L’hai scelto tu?- chiese riparandosi gli occhi con una mano dal sole, mentre lui infilava le cose dietro.
-Sì-
-E perché proprio nero? Non c’erano altri colori?-
Davide arrossì a questa domanda e preferì rispondere con la verità.
-Mi piace come ti sta il nero- alzò le spalle.
Si fece molto rosso, ma per fortuna il sole cocente delle undici e mezza diede l’impressione che fosse solo colpa del caldo.
Poi si sedettero in macchina e partirono.
Davide era già un po’ colorito, in quanto passava le sue giornate al 50% fuori, e spesso con canottiere o addirittura senza maglietta, per il troppo caldo opprimente. Anche in viso era leggermente abbronzato, grazie alla sua abitudine di sedersi sempre accanto alla finestra durante le lezioni del suo professore.
Francesca invece, stando sempre in casa, all’ombra a causa del caldo, aveva la pelle bianca, chiara. Non certo aiutata dal fatto che, essendo bionda con gli occhi azzurri, la sua pelle più che abbronzarsi si scottava, non poteva permettersi di passare tanto tempo al sole.
I due finestrini anteriori, aperti, lasciavano scorrere sui loro volti sudati l’aria violenta, che se non era proprio fresca, almeno dava loro un minimo di respiro.
Davide teneva lo sguardo sulla strada, e un braccio fuori dal finestrino, annoiato. Che seccatura, organizzare tutto quello; cercare tutto il necessario, scegliere il giorno adatto, non farle capire nulla per cosa poi? Per una giornata a mare, estremamente spossante per lui che avrebbe voluto volentieri stare a dormire tutta la mattina nel letto, senza fare nulla.
Francesca, contenta di non dover passare la mattina a casa, ad annoiarsi fino al suicidio, lo guardò, poi disse
-Ma tu non odiavi viaggiare?-
Lui sorrise, sarcastico, senza smettere di fissare la strada.
-Io non odiavo. Io odio viaggiare- precisò.
-E allora come mai hai deciso che oggi dobbiamo andare a mare?- domandò con una punta di malizia nella voce, conoscendo già la risposta ma desiderando umiliarlo.
Lui infatti arrossì e arricciò il naso, facendo una smorfia altezzosa.
-Oh quante cose che vuoi sapere...-
Lei rinunciò ad ottenere quella confessione, ma dentro di sé gli fu enormemente grata. Distrattamente, come un tic a cui non ci si può opporre, con la mano sinistra si accarezzò la pancia.
 









Grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono, e hanno messo la storia nei preferiti.

Ergo, vediamo un po'...
vero15star: Caspita, che bel commento, grazie davvero. "è come se ci credessi sul serio in quello che scrivi" come se tutto questo fosse realtà... ecco, devo dire che questa frase mi ha veramente fatto piacere, mi hai fatto dei complimenti che farò fatica a scordare. Grazie per averla condivisa con voi? Oh no, sono io che vi devo ringraziare.

FeFeRoNZa: eh bé, che vuoi farci, è la vita... se la scena di prima è stata romantica? ah boh, non saprei, tu puoi vederci quello che ti pare... Io credo che tu abbia un'idea parecchio "positiva" di Davide, parecchio parecchissimo... bè giudica tu come s'è comportata Francesca.

Devilgirl89: ciao Domizia. Mi vorresti abbracciare forte-forte? Stà attenta di non stritolarmi... "il rapporto tra Fra e Davi?" Davi? Come sarebbe a dire Davi?  

Come puoi leggere Damiano ha perdonato largamente Francesca... e sì, lei era pentita di averci litigato. Grazie dei tuoi complimenti, e no, gli amici delle carte non sono i miei veri amici. Come ti ho detto solo i due protagonisti sono ispirati...

marghepepe: quando aggiorno tu fai "tarzan sulle tende"? ahahaha che forza, ma tua madre sarà d'accordo? io quand'ero piccolino ci provavo ma lei non era un granchè contenta...

Inizi ad adorare Francesca? Oh che bello, e pensare che lei vi aveva tutte contro all'inizio. Non so se i capitoli sono l'uno più bello dell'altro. Anzi, sicuramente non lo sono, ma mi piace credere a quello che hai detto.

Marty McGonagall: sua massima bontà mi concederà anche di conoscere il suo parere per questo capitolo? Lo spero tanto e spero che non ecceda nell'essere smielosa...

"Il caro e innocente Davidino"? Come sarebbe a dire Davidino? Andiamo, non lo trovi...... orribile? Credo che Davide non sarebbe un uomo se non iniziasse a fare questi pensieri...no? Wow, tu accendi il pc due volte al giorno per controllare? Mi sento onorato. Ah certo, tieni pronte le trombette, gli striscioni e i fumogeni...

wanda nessie: da cani e gatti ad angeli? Beh... non saprei se sono proprio angeli... eh già, c'è voluta una bella fatica per convincere quella testa bionda, ma ce l'ha fatta ed è un bel traguardo non credi? Ehm... io? Bambini? La prossima volta che metterò queste due parole vicino sarà tra molto molto molto molto molto molto tempo...


Miss Queen: Buongiorno fanciulla. Visto che alla fine Francesca non è così cattiva? Beh magari solo un poco... Grazie d'aver recensito.


Jiuliet: che bello che tu abbia apprezzato quella frase, ed è molto profondo quello che dici. "Ora deve perdonare se stesso per un peccato che non ha commesso e essere un padre per suo figlio ed un compagno per la sua Francesca." Wow, neanche io che l'ho scritto sarei stato capace di trovare questa sintesi. Brava, e grazie. Sono felice che ti piaccia come loro si 'trovano'.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


14 -Qui va bene?-
-No, troppo lontano-
Davide arrancava nella sabbia, sentendo i granelli che si infilavano fastidiosamente nelle scarpe, con in spalla due borse, e infilato fra la spalla e il gomito l’ombrellone che avrebbe dovuto montare.
Francesca, qualche metro più avanti, decideva il posto dove montarlo.
-Qui- decretò, indicando un punto nella sabbia.
Il sole delle dodici e mezza sbatteva pericoloso e cocente sulle spalle dei due, invogliandoli a sbrigarsi.
Lui lasciò cadere a terra tutto, poi piantò nella sabbia il palo.
Qualche minuto dopo, Davide era steso beatamente in santa pace su un asciugamano lungo, col petto scoperto, un cappello messo a caso sul volto. Gli occhi verdi chiusi, al riparo dai raggi invadenti e le braccia dietro la nuca. Il petto si alzava e si abbassava regolare, e dal respiro tranquillo che si percepiva sotto il cappello, si poteva presumere che stesse dormendo.
La ragazzina bionda lo osservava attenta, spalmandosi quintali di crema sulle spalle e sulle braccia.
Si alzò in piedi e gli si avvicinò. Il cappello venne sollevato e la luce intensa del sole penetrò le sue palpebre chiuse, inducendolo a lamentarsi.
Un gemito debole seguì questa azione.
-Cappello- riuscì a dire, riparandosi con gli occhi.
-Tu niente crema?- domandò lei.
-No. Dammi il cappello- mugugnò, allungando la mano per riprenderselo.
Lei glielo concesse, poi si sedette su un asciugamano accanto, finendo di mettersi la crema. Davide voltò leggermente il capo a destra, nella sua direzione, e schiuse un occhio, senza farsi notare. Le sue mani, piccole da ragazza, si incrociavano e scorrevano sulla sua pelle; era ancora più liscia e morbida di quanto non lo fosse già prima.
-Non sarà troppa?- domandò con voce roca.
-Non voglio bruciarmi. Che non sai quante estati è successo. Stavolta non mi faccio fregare- rispose mentre seria e tutta concentrata procedeva a proteggersi anche il petto e la pancia.
Lui la osservò. Senza vestiti, solo col costume, quel pancione si metteva in bella mostra e già qualche persona lì vicino la osservava curiosa.
Il ragazzo non gradì che la guardassero tutti, anche perché sapeva che era di questo che lei si vergognava.
Era molto buffa però, con quelle spalle piccole, il corpo esile e le belle gambe lisce, e poi a stonare quel pancione enorme che non c’entrava nulla col resto.
Finì di spalmarsi la crema e gettò il tubetto verso l’ombrellone.
-Hai intenzione di rimanere qui a dormire?-
-Sì-
-Pigro-
-Lasciami in pace-
-Se volevi dormire potevamo restare a casa- disse, cercando di invogliarlo ad alzarsi.
-Vai a farti un bagno- replicò mezzo stizzito, mezzo divertito.
La bionda si alzò sulle ginocchia, sovrastandolo.
-Non so in che senso l’hai detto, comunque...-
Si alzò in piedi e camminò verso la riva.
Lui alzò il cappello solo per assicurarsi che se ne fosse andata, poi lo calò di nuovo e riprese a dormire.
Francesca marciava, mezz’ora o forse più tardi dopo, verso l’ombrellone saltellando di tanto in tanto per via della sabbia ardente. Quando arrivò a destinazione si inginocchiò sull’asciugamano accanto a quello del ragazzo. Quello non si era mosso di un millimetro, pensò rassegnata lei, scuotendo la testa. Si scostò i capelli biondi tutti bagnati dalla spalla, portandoli sull’altra, e provò a pettinarseli. Vedendo che ne ricavava solamente le mani bagnate e capelli che se ne venivano via, decise di sfruttare questo effetto. Raccolse con le mani l’acqua che stillava dalle ciocche e che le colava sulle spalle. Poi, prima che evaporasse, provò a svegliare il ragazzo.
Con la mano destra bene aperta risalì sul torace di lui.
Al contatto con la mano fredda, e soprattutto inaspettata, il ragazzo sobbalzò, ritirando la pancia, ma non riuscì a fermarla.
Sedendosi più comoda sull’asciugamano accanto, e sorridendo furba, compiaciuta di averlo infastidito, salì più su. Percorreva veloce e allo stesso tempo indugiando sui lineamenti tutto il torace. Ma non le bastò: la mano salì anche sul viso, privandolo del cappello e spalmandogli l’acqua salata dappertutto, sul naso, sulla fronte, sulle labbra.
Finito il suo lavoro in poco più che tre secondi, lei ritirò la mano, mordendosi un labbro curiosa della sua reazione.
Davide aprì gli occhi e stupito, meravigliato di quel gesto si tirò lento a sedere. Osservò schiudendo la bocca la ragazzina.
Lei però riprese a pettinarsi i capelli.
-Perché guardi me? È stato un cane- si difese. Ma si tradì allo stesso tempo con un sorriso furbo che le spuntò sulle labbra l’attimo dopo.
-Ah un cane?- commentò scettico lui, iniziando ad alzarsi, rinunciando ormai al sole.
-Sì un cane- rispose lei, ma nello stesso tempo si alzò, divertita e fintamente spaventata.
-Non dovevi farlo- fece il ragazzo, prima di inseguirla sulla sabbia, ignorando le sue proteste.
Correvano come pazzi sulla sabbia cocente, incuranti delle pietre che trovavano. Davide la costrinse a scappare sulla riva, dove l’acqua bagnava le caviglie. La rincorse per mezza spiaggia, ma lei non accennava a fermarsi.
-Fermati!- le gridò dietro, divertito, accelerando per afferrarla.
-Mai! A costo di buttarmi in acqua!- gli rimandò la ragazza, ma ormai stava per essere raggiunta.
Il ragazzo la spinse a rifugiarsi dove cominciavano gli scogli, dove era pericoloso tuffarsi.
Ad un certo punto con uno scatto improvviso riuscì a fasciarle con una mano la vita. Era difficile tenerla ferma, così usò anche l’altra mano, imprigionandole le spalle e sollevandola da terra.
-Lasciami!- gridò protestando la ragazza.
Ma non aveva speranze contro la presa ferrea delle braccia forti del ragazzo.
Davide la sollevò di più centimetri, facendola oscillare.
-Vuoi farti un bagno?- le domandò, accennando al mare sotto gli scogli.
-No Davide!- gridò preoccupata –Non buttarmi!-
Lui scherzò, facendo finta di lanciarla e facendola aggrappare per questo ancora di più a sé.
-No! Non fare lo stupido! Non mi lasciare!-
Davide rise al suo orecchio, tenendola più forte.
-Non ti lascio. E chi ti lascia?- domandò divertito ma con voce bassa.
-Se mi fai cadere...- minacciò la bionda.
-Oh tranquilla...- disse parlando al suo orecchio, ansimando per la corsa -...non ti faccio cadere-
-Non farmi cadere- lo pregò stavolta con voce più calma.
-Non ti faccio cadere- ripeté paziente.
Ora entrambi riprendevano fiato, stanchi per la corsa di prima, ansimando l’una stretta all’altro.
Davide la fece scendere piano piano giù, permettendole di poggiare i piedi a terra, ma non si allontanò.
-Perché non esci un po’, quando sei a casa?- le domandò piano all’orecchio.
Francesca sospirò, voltandosi di poco per cercare i suoi occhi.
-Mi vergogno- confessò.
-Qui non ti vergogni?-
-Qui non c’è nessuno di importante. Nessuno che conosco- rispose sincera.
-Sei contenta?- le domandò, ancora abbracciato alla sua schiena.
Lei sorrise e ci pensò su prima di rispondere.
-Nemmeno a sognarlo avrei immaginato che mi portavi qua-
Rimasero in silenzio.
Davide non voleva sciogliersi dall’abbraccio, aveva il corpo bagnato dall’acqua che si appiccicava al suo come incollato. Poi aveva una grandissima voglia di accarezzarla, ma doveva trattenersi. Doveva.
Francesca era appoggiata al suo torace e sentiva che, al contrario del suo, era liscio, magro e forte; inoltre era caldo, lui.
-Come sei caldo...- disse, chiudendo un attimo gli occhi.
Il ragazzo arrossì, poi la bionda aggiunse
-Ma quanto tempo sei stato come una lucertola?-
Per non cadere sconfitto dovette ribattere.
-E tu in acqua? Sembri una tartaruga...-
Un colpo all’altezza del ventre lo fece piegare in due, ma non la lasciò andare.
Rise divertito e aggiunse
-Sei tutta bagnata...-
Lui non aveva intenzione di lanciarle il doppio senso, ma non essendo sciocca e ingenua lei lo colse benissimo. Colse sia il doppio senso, sia un rossore eccitato che le salì dal ventre fino alle guance, facendole arrossare.
Di conseguenza, sorpresa da quella nuova sensazione, si sciolse dalla sua stretta e lo guardò. Il lanciatore della battuta si era reso conto troppo tardi della situazione estremamente equivoca che aveva creato, ma non gli era rimasta indifferente. Anzi, il familiare calore e l’eccitazione improvvisa che lo coglieva alle spalle da un po’ di tempo lo assalirono scorretti.
Se nella ragazza si erano tradotti nel rossore delle sue guance, evidentissimo peraltro, in lui si manifestavano in modo un po’meno giustificabile.
Infatti per non essere colto sul luogo del delitto, le sorrise e si tuffò dallo scoglio in acqua.
Il mare freddo e congelato, per lui che era riscaldato e arrostito anche, furono uno shock tremendo. Infatti riemerse annaspando e scrollandosi i capelli dal volto mentre brividi violentissimi lo scuotevano, e stavolta non erano causati dall’eccitazione purtroppo.
Francesca lo osservò stupita nuotare, immergersi e tornare su e poi guardarla divertito.
-Sei pazzo!- gli gridò dallo scoglio, e tornò all’ombrellone.
Quando Davide la raggiunse, più tardi, i suoi spiriti bollenti e traditori erano ormai sepolti. Afferrò un asciugamano e iniziò a strofinarsi il petto e i capelli per asciugarsi. La ragazza si spostò all’ombra e iniziò a cercare nelle borse
-Ho fame. Ma fame non di cracker, ho fame proprio di brutto-
Lui posò l’asciugamano e ancora grondante acqua si infilò all’ombra.
-Lo so, lo so che sei ingorda, perciò...- schivò un pugno che lo stava per centrare ed estrasse una grande ciotola. L’insalata di riso venne girata e versata in due piatti.
-Buon appetito-
Francesca addentò il suo pasto affamata, manifestando il suo apprezzamento.
-Se io fossi una donna ti sposerei solo perché cucini come un dio- disse, continuando a ingoiare cucchiaiate di riso e sottaceti.
-Perché, te non sei una donna?- chiese il ragazzo, con la bocca impastata di cibo.
-No, io sono una ragazzina. E non ci tengo ad essere donna-
Doveva sempre averla vinta, pensò rassegnandosi lui, e non replicò.
Qualche minuto, secondo o forse ora dopo, la ciotola di riso si era estinta per i suoi tre quarti, e la bionda ragazzina stava seduta, appoggiata alle borse per crearsi uno schienale, e con una penna si cimentava a risolvere un gioco di qualche rivista.
Davide avrebbe potuto essere morto, per quanto il suo respiro era fioco. Era tornato a sdraiarsi sull’asciugamano come una lucertola, beandosi dei raggi del sole che picchiavano e infastidivano gli altri bagnanti. Stavolta però era messo a pancia in giù, sempre però col cappello a coprirgli la nuca, e teneva gli occhi chiusi. Francesca gli lanciò un rapido sguardo, preoccupata.
-Davide?- lo chiamò.
-Eh?- ribatté lui, senza muoversi.
-Ma sicuro che non ti fa male tutto stò sole?- domandò lei, avvicinandosi.
-No- rispose atono.
-è da quando siamo arrivati che te ne stai al sole. Vieni un po’ all’ombra-
-Sembri mia madre- le disse sperando di farla arrabbiare e desistere.
Ma non successe, perché lei invece cercò la crema solare e gliela lanciò vicino, sollevando sabbia.
-Mettiti la crema, che poi ti scotti-
Al che lui, irritato perché stava interrompendo il suo sonno, alzò la testa.
Il cappello gli cadde involontariamente sulla testa, come se l’avesse infilato.
-Io non mi scotto, mi abbronzo! Non come te, che hai la pelle più bianca del latte- disse, stavolta esagerando per farla arrabbiare; il sonno era il momento in cui non voleva essere disturbato e se non riusciva a dormire diventava irritabile.
La bionda si indispettì seriamente a quelle parole, e gli scoccò uno sguardo irritato.
-Vaf******o- gli rispose, scontrosa, riprendendo a leggere.
Soddisfatto di aver ottenuto la pace, lui sorrise, si sistemò il cappello e chinò la testa. Appoggiò la guancia contro l’asciugamano e chiuse gli occhi. Chissà se avrebbe potuto dormire un po’.
 
Secondo il suo telefonino ben custodito nella borsa, erano le cinque passate. Francesca decise che era troppo anche per lui e che infondo non poteva essere così perfida da lasciarlo cuocere al sole. Perché in effetti, secondo lei, a mettere un po’ di carne sulla sua schiena si poteva fare una bella grigliata.
Così gattonò sulla sabbia finché non arrivò a lui, poi lo scosse leggermente. Ritrasse la mano per quanto era caldo.
-Svegliati!- gridò.
Lui storse il naso e si mosse un poco. Poi si girò sul fianco, stropicciandosi un occhio.
-Che ore sono?- domandò assonnato.
-Le cinque. Tu devi essere matto, e ora vieni all’ombra- lo tirò di peso a sedersi sulla sabbia fresca. Il ragazzo contrariato osservò il mare, col vento che gli scompigliava i capelli. La bionda gli guardò la schiena, e scosse la testa.
-Che hai fatto fin mo?-
-Mi sono rotta- rispose, ancora arrabbiata per prima.
Davide se ne accorse e sorrise, cercando di abbracciarle la testa.
-E dai, sei ancora arrabbiata?-
-Puoi tenertele le tue scuse. E vaf******o- si scansò, indossando la maglietta.
Ancora inebetito dal sonno, non calcolò bene la misura della strafottenza inserita nella sua affermazione.
-Perché ti metti la maglietta? Ti vergogni? E chi ti deve guardare?-
Normalmente non era così con lei, ma quel pomeriggio sembrava aver scordato quanto poteva diventare pericolosa la bionda se ci si metteva. Lei lo fulminò con lo sguardo, assottigliando le palpebre.
-Aspetta e vedrai, lucertola del ca**o- gli sibilò.
Vedendo che non c’era possibilità di perdono, lui si alzò e si infilò la sua, di maglietta. Poi raccolse le cose.
-Dai andiamo, che si fa troppo tardi poi-
 
La porta si aprì, lasciando entrare una ragazzina irritata e con il broncio. Lei andò in camera da letto, si spogliò dei vestiti e subito prese possesso del bagno, gridando
-Prima io la doccia!-
Davide entrò molto dopo, trascinando le borse, tutto carico. Le lasciò cadere brutalmente a terra e chiuse la porta. Sentendo lo scroscio dell’acqua immaginò che ci fosse lei sotto la doccia. Anche lui si spogliò della maglia e delle scarpe tutte insabbiate.
Dio ma che schifo, pensò guardando la casa, devastata come da un tornado. Ora gli toccava pure farci venire sua madre a pulire.
Che seccatura.
Avvertiva un certo pizzicore alle spalle, ma preferì non badarvi e dedicarsi invece a rimettere a posto abiti e borse.
Dannato me e il giorno che mi è venuta in mente st’idea, pensò.
Francesca uscì poco dopo dal bagno, avvolta in un accappatoio bianco; frizionandosi i capelli avanzò nella camera alla ricerca dei vestiti, quando la testa del ragazzo sbucò da dietro la porta.
-Posso fare io?- domandò col tono più gentile possibile.
-Suppongo di sì- rispose lei, che era tutta impegnata ad esaminare la biancheria intima a sua disposizione; poi gli gettò un’occhiata e alzò un sopracciglio.
Che bella tonalità, pensò. Rosa e sfumato rosso, sorrise celando il movimento delle labbra.
Sentì scendere il getto della doccia, e sorrise, pronta alla prossima scena.
Per un po’ procedette tutto normalmente, finché il getto non terminò. Davide indossò i jeans, e poi fece per infilarsi la maglia.
Un grido di dolore echeggiò per la casa. La bionda, ormai vestita, si precipitò di là, ma non era preoccupata; aveva invece un bel sorriso sulle labbra.
Davide uscì dal bagno lentamente, con solo i jeans addosso.
Camminava rigido, con passo buffo.
Vedendolo lei scoppiò a ridere forte, appoggiandosi al divano.
-Non ridere- le sibilò lui, irritato e rosso anche in faccia, oltre che sulle spalle.
Dopo che si fu sfogata, lei, totalmente dimentica della rabbia, gli fece il verso.
-Io non mi scotto, mi abbronzo. Io ho la pelle mediterranea, mica come te che ce l’hai più bianca del latte- lo canzonò facendo smorfie.
-Ben ti sta, cretino!- rise ancora.
Umiliato e con, peggio ancora, le spalle bruciate e doloranti, il ragazzo fu costretto a supplicare.
-Francesca ti prego...- disse, con sguardo invitante.
Ma lei scuoteva la testa, sorridendo e mordendosi il labbro, godendosi la vendetta.
-...per favore. Ti prego dai...- inclinò il capo a destra, le spalle alzate per non procurarsi dolore.
-Ripetilo- disse la bionda, scendendo dal divano e avvicinandosi.
-Ti prego. Sono un co*****e. Ti prego-
Questo parve bastarle, e preferì non umiliarlo oltre; andò di là a prendere un qualche cosa che potesse andar bene contro le scottature, pensando che però gliel’avrebbe fatta pagare per quella frecciatina. Dopotutto, non poteva lasciarlo andare così.
Tornò in camera con la crema, e lo trovò sul letto, seduto al bordo.
Si teneva le mani sulle ginocchia e la aspettava facendo smorfie.
Lei chiuse la porta e avanzò verso di lui.
-Che roba è?- domandò il ragazzo.
-Boh. L’ho trovata nello scaffale- rispose, poi voltò il tubetto e lesse l’etichetta.
Salì anche lei sul letto, inginocchiata e continuando a leggere si mise alle sue spalle.
Constatando che almeno gli avrebbe dato un minimo sollievo, stappò il flacone.
Maliziosa, gli poggiò le mani sulle spalle.
-Mi dica dove ha male- disse, apposta provocante.
-Smettila- disse lui -e muoviti, ho male sul serio-
-Ah come sei impaziente- sorrise, reggendosi la commedia.
Sospirò e si versò un po’ del gel sulle mani.
Ma ora doveva vendicarsi. Fece comparire sul volto un ghigno che non preannunciava nulla di buono.
-Allora, qui ti fa male?-
Gli sbatté una manata fortissima fra le scapole, proprio nel mezzo, e Davide si ficcò una mano fra i denti per non imprecare pesantemente. Sobbalzò, scansandosi e sentendola ridere si voltò.
-Ma sei matta?- alzò la voce, dolorante. Lei lo guardò negli occhi.
-Ah scusa, era qui- sempre fissandolo gli batté una mano sulla spalla destra.
Lui stavolta non si trattenne e disse una parolaccia ad alta voce, allontanandola o almeno provandoci.
-Str***a- le sibilò, massaggiandosi la spalla, ora ancora più rossa.
Francesca si portò vicinissima al suo viso.
-Che hai detto?-
E mentre lo diceva, gli prese un lembo di pelle fra pollice e indice, storcendolo. Lui gemette di dolore, ma lei non smise.
-Che hai detto? Ripetilo!-
-Scusa scusa scusa!- si affrettò a dire, sfuggendo la sua presa.
Quando lo lasciò andare la osservò imbronciato.
-A questo punto faccio da solo. Non mi serve un’assassina- commentò. Lei di nuovo gli afferrò una spalla, e sempre rimanendo dietro di lui gli parlò vicina alla sua bocca.
-Non è colpa mia, cretino. Io te l’avevo detto che ti bruciavi- disse infastidita prima di allontanarsi del tutto e scendere giù dal letto.
Notando che non voleva aiutarlo, lui accettò di supplicarla.
-Francesca ti prego...- disse. Poi colto da un improvviso lampo di ispirazione, aggiunse
-Ho bisogno di te-
La bionda si voltò a metà strada, le mani ancora sporche di crema. Sogghignò e si morse un labbro, seria.
-Cretino- disse, ma risalì sul letto.
Stavolta accettò di spalmargli la crema sulle spalle e sulla schiena, anch’essa abbondantemente rossa.
Le sue piccole mani si sfregavano contro la pelle arrossata, appoggiandoci sopra la crema.
-Ti faccio male così?- domandò con tono totalmente diverso da prima.
-No- rispose inespressivo il ragazzo.
Davide in realtà aveva notato il cambiamento del tono, e lo si poteva notare anche nei gesti.
Se prima i suoi schiaffi gli avevano fatto una male infernale, ora le sue carezze, anche se non dettate dall’affetto, lo rilassavano.
E di nuovo, a tradimento, quella sensazione lo assalì; lui, senza difese, si lasciò conquistare.
Non era proprio il momento adatto di eccitarsi, pensò. Non con lei così vicina e con le mani che lo accarezzavano... Dio.
L’aveva pensato ormai.
Sentì l’adrenalina crescere e salire più su, eccitata dalle sue carezze. Che poi in realtà non erano carezze, ricordò a se stesso, gli stava solo spalmando la crema. Solo una maledetta stupidissima crema, e Dio, lo stava facendo impazzire.
Francesca percorreva diligente tutta la linea della spalla, dei muscoli, dei lombi. Caspita, pensò arrossendo. Aveva delle spalle larghe e forti; non voleva far la provocante, ma mentre faceva lentamente salire la mano da sotto verso sopra non poté evitare di arrossire per quanto stava facendo e perché le piaceva, in fondo. Certo non poteva sapere che il ragazzo, dall’altra parte, si mordeva un labbro a sangue per non lasciarsi sfuggire il minimo fiato. Perché se avesse avuto la libertà di parola, i suoi gemiti sarebbero stati estremamente convinti.
Cavoli, non poteva più nascondersi ormai, anche lui l’aveva capito. Quella bionda testarda gli piaceva; e gli piaceva da morire.
Ma non poteva, non doveva azzardarsi a sfiorarla, per via di quel bambino, del loro rapporto stabile, della sua situazione, di quello che aveva fatto per lei e non voleva venisse frainteso. Chiuse gli occhi, si inclinò leggermente all’indietro poggiandosi al materasso con le mani.
-Francesca?- la chiamò con voce roca.
-Sì?- rispose lei.
-Sei ancora arrabbiata?- domandò.
Lei sorrise e lui poté benissimo intuire, nel silenzio, il movimento delle sue labbra che si stiravano e si sentì più rilassato. Non gli piaceva litigare con lei, e come se non bastasse farlo era estremamente stancante.
-Diciamo che ho avuto la mia vendetta- replicò, mordendosi un labbro e non dandogliela vinta.
Finì di massaggiare le spalle, mettendoci su altra crema, e poi si lasciò andare, sedendosi sul letto.
Era finito troppo presto, pensò Davide, ma comunque si alzò in piedi.
-Grazie-
-Figurati. Ora- si alzò e lo stese, letteralmente, sul materasso a pancia in giù –tu stai fermo. Te lo faccio io il mangiare-
Era inutile ribattere, perciò il ragazzo si accomodò sul materasso, tirando a sé il cuscino e chiudendo gli occhi. Gli sembrava una cosa gentile da parte sua, forse un modo per farsi perdonare. O forse, ipotizzò l’attimo dopo, un tentativo di omicidio.
Nel tempo che lei stette in cucina a preparare la cena, lui rifletté su quella strana attrazione sbocciata repentina e prorompente negli ultimi mesi. Perché?
Ci pensò sopra.
All’inizio lei era scontrosa con lui, lo considerava uno sfigato; non voleva che entrasse nella sua vita, e ricordò come, quasi ingiustamente, lui avesse sbirciato e cercato per forza di capirne qualcosa. Voleva solo capirla. Lei era forte, coraggiosa e non si faceva spaventare. Con le persone nuove era timida e rispettosa, ma se stuzzicata si accendeva all’istante, con risultati disastrosi.
Molto volubile, negli ultimi tempi assieme al suo comportamento più rilassato e gentile c’erano sempre quegli sbalzi d’umore. Forse erano solo tipici della sua età, dopotutto aveva solo sedici anni.
Sedici anni... quasi diciassette. Caspita, cinque in meno di lui.
Forse erano troppi. Però non gli era mai capitato di essere legato ad una donna... pardon, ad una ragazza, in quel modo. Loro due, uniti da quel segreto che ormai era cresciuto nella sua pancia, accettato a fatica ma portato avanti col suo aiuto. Poi suo padre, quel nodo della sua vita che non voleva sciogliere, e adesso manteneva anche con lui un rapporto migliore di prima. Prima, all’inizio, l’aiutava perché si sentiva responsabile di quel bambino e della sua situazione. Da un po’ di tempo, forse da quando aveva scoperto la sua situazione familiare, perché sentiva un certo affetto verso di lei. Insomma, le voleva bene.
Nel frattempo della sua riflessione, forse si era anche addormentato un po’, ma venne prontamente risvegliato da uno scrollone.
-Buon appetito-
Davide si alzò sui gomiti e si sedette sul letto; la bionda gli aveva portato un piatto di quella che voleva essere della semplice pasta al sugo.
Ma l’odore non lo convinceva.
-Sono quattro mesi che ti guardo cucinare ogni giorno. Qualcosa avrò imparato- disse, in attesa di un suo giudizio.
Esitante non voleva assaggiare, ma notando la sua espressione fiduciosa e ansiosa preferì tentare. Nel peggiore dei casi, sarebbe morto avvelenato.
Così infilò la pasta fra i denti della forchetta, bagnandola col sugo, e se la infilò in bocca.
La prima cosa che notò furono i suoi denti che cozzarono contro le penne. La pasta non era cotta bene.
Per secondo, quel sugo era...grumoso, bruciato (e il sapore ne risentiva parecchio) e i pomodori, forse acidi, coronavano il tutto.
Masticò lentamente e ingoiò.
-Com’è?- domandò curiosa la ragazzina.
-Beh...- immaginò che la espressione forzata facesse dedurre che non era un piatto da cinque stelle, così disse la verità.
-Forse i pomodori non erano buoni...- cominciò, evasivo.
-Cioè? Fa schifo?-
-No! beh...- alzò un sopracciglio ma si impose di non rispondere.
-Insomma ti piace sì o no?- domandò lei incrociando le braccia al petto.
Davide non rispose, perché non voleva litigare ancora; infondo avevano appena fatto pace e non ci teneva a vederla ancora col muso.
La bionda iniziava a scaldarsi, e per evitare l’esplosione lui le imboccò un po’ del suo piatto.
-Assaggia tu-
Francesca masticò la pasta, aggredendola a morsi, ma svanito l’entusiasmo iniziale la sua espressione mutò da furiosa a disgustata. Ingoiò anche lei a forza la forchettata.
Poi non disse nulla, sapendo di essere in torto, e non lo guardò.
-Forse c’è rimasta un po’ di insalata di riso- propose.
-E speriamo- commentò lui.













Grazie ai preferiti, a chi legge soltanto, e a chi recensisce. Oh certo, e anche a chi "segue" la storia.

thatsamore: temo che per la nascita bisognerà attendere un altro po'. E... ti ringrazio ma sono un ragazzo.

FeFeRoNza: dunque... ebbene sì, Davide l'ha portata a mare, ma sarà stato forse per evitare la distruzione del suo appartamento in caso che Francesca si fosse annoiata di nuovo? Beh, a noi piace pensare che lui l'abbia fatto per lei, no?
Il Davide Fan Club non è cosa fattibile, e ti dico subito perchè: non credo che Francesca sarebbe molto entusiasta di avere delle rivali... e sai, potrebbe "annoiarsi" di nuovo e io non garantisco alcuna incolumità...

Jiuliet: Salve. ....ma come fai? Guarda, è incredibile. Io sospetto che tu sappia leggere il pensiero.
Come fai a capire ogni santa volta quello che voglio esprimere? Francesca contemporaneamente ragazzina e donna. O meglio, una ragazzina che non vuole essere una donna ma è costretta a diventarlo troppo in fretta. Sì, credo che loro siano una famigliola, come dici tu, ma non se ne rendono conto. O forse, lo sanno ma non vogliono ammetterlo. Ma certo che li meriti i complimenti.

vero15star: che bella recensione. Sai...non c'è alcun bisogno che tu mi faccia una statua (e non me la merito affatto) perchè mi basta già tutto quello che mi hai detto. è vero, anche io spesso leggendo trovo come dici tu "finali scritti in fretta,conclusioni banali,capitoli futili" e io credevo di non esserne immune. Sapere che la mia storia ti prende così tanto da cambiare piega al tuo pomeriggio è... bello. Ho cercato di metterci il meglio di me, e sapere questo che mi scrivi mi gratifica molto.
Cercherò di scrivere ancora capitoli veri anche solo per ringraziarti.

MissQueen: ciao Valentina! Mi spiace se t'ho fatto attendere troppo. Per la verità, ho cercato di far del mio meglio con tutta la storia e se questo traspare leggendo i capitoli è un bel traguardo. Felice d'averti fatto felice. Naturalmente anche Davide spera che l'attrazione prima si concretizzi, e poi diventi altro...ma ci sono un bel po' di cose da risolvere ancora! "E poi te hai questa capacità di fare vedere le scene al lettore"... oh dannazione, tu vieni da Firenze?
Beh, se non altro, facendoti 'vedere' le scene, ti risparmio i soldi per il cinema... sto sicuro che tu dica la verità, tranquilla. Non m'hai annoiato.

Marty McGonagall: ciao Martina! Io imploring di non chiamarlo mai 'Davidino' per piacere... trovane un altro ma non questo... L'incontro con Damiano è stato strano?
No, tu dimmelo sempre se sbaglio qualcosa... sei o non sei una betareader? Se sbaglio fammelo notare, altrimenti come imparo campando solo di complimenti?
Eh... se 'Fra' l'avesse sentito... mmm, difficile immaginare che sarebbe successo. No, certo che non è male essere smielosi, credo... basta non eccedere. E poi, tu che hai inventato la parola, devi essere orgogliosa degli smielosi. Grande la curva Nord... se segue il tuo fiuto stiamo certi che tra un po' fanno la ola...

Devilgirl89: va bè, Davi te lo puoi permettere, sempre meglio di 'Davidino'... visto che hai fatto bene? Ma io sospetto che tu lo sapessi già. Ah che bello, sei stata nel Salento, nella mia seconda regione... beh, se dici che rendo bene il clima della mia terra, spero di aver fatto una buona pubblicità. Sì è vero, Francesca non ha ancora accettato il suo bambino, ma non si può pretendere un cambiamento così radicale. Ci vuole tanta pazienza per quello.

EmilyDoyle: beh, non importa tu abbia saltato due capitoli. Son felice che tu abbia apprezzato il gesto di Francesca. Starà forse cambiando?



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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Davide si era faticosamente steso a pancia in su, spogliato del pantalone e vestito di maglietta e pantaloncini, e ora fissava stanco il soffitto, con le palpebre che si chiudevano a tratti. Era così stanco da non avere nemmeno la forza di tenere aperti gli occhi.
Sfregò il naso e il volto contro il cuscino, provando a dormire.
Francesca rientrò a casa con un gran fracasso; reggeva fra le mani due buste, e facendo dondolare le chiavi si precipitò in camera, sul letto. Ci si sdraiò sopra, arrivando al viso del ragazzo. Lui ormai dormiva già.
Prendendo una birra dalla busta che aveva portato in casa, Francesca si sedette contro la testata del letto e iniziò a berne un sorso.
Era troppo fredda e così dopo un po’ si stancò e la poggiò sul comodino. Si passò una mano fra i capelli biondi sudati, chiudendo gli occhi e accostando la testa al muro.
Sentiva che quella notte non sarebbe riuscita a dormire e ciò la infastidiva. Se non dormiva, la mattina seguente si sarebbe alzata nervosa e irritata, e a farne le spese sarebbe stato lui.
Stanca ma seria, con un broncio sensuale sulla faccia, lo guardò dormire e passò una mano fra i suoi capelli, accarezzandoglieli. Doveva dormire, a tutti i costi.
Lentamente, non sapendo bene perché lo stesse facendo, si sfilò il pantalone che indossava, restando in maglietta; poi scivolò sul materasso, avvicinandosi a lui.
Sbadigliò e passò un braccio attorno alla sua vita.
Poi chiuse gli occhi e infilò il naso sotto la sua guancia, sfregandosi sul suo collo. Davide si mosse leggermente, e aprì un occhio.
Forse ancora addormentato, non distinse bene quello che succedeva, però sentì un respiro accanto al suo. Non ci badò più di tanto e tornò a dormire.
Francesca notando che non si era accorto di nulla, si intrecciò ancora di più a lui, incrociando le loro gambe.
L’unico problema era quella maledetta pancia che si ritrovava, che le impediva di dormirgli abbracciata.
Dannazione al bambino. Pure in quelle situazioni doveva intromettersi, maledizione.
Un rumore di ruote che sfrecciavano sull’asfalto annunciò l’arrivo di un’ora presentabile per alzarsi. Davide riacquistò lentamente la percezione dei propri sensi.
Non appena lo fece, sentì subito che accanto a lui stava dormendo la bionda ragazzina. Ma non stava dormendo dall’altro lato, come sempre aggrovigliata fra le coperte che sembrava ci avesse fatto la guerra. Stava dormendo attaccata, no, abbracciata a lui.
Essendo ancora mezzo intontito dalla dormita, non ebbe il tempo di reagire alla situazione e non se ne preoccupò. Tornò ad appoggiare la testa sul cuscino, ma così facendo sbatté piano il naso e la fronte contro le sue.
Francesca si svegliò giusto in quel momento, aprendo le iridi azzurre e alzando la testa. Le palpebre strette e cispose non focalizzarono immediatamente chi le stava accanto, ma una volta che lo riconobbe emise un gemito assonnato e lamentoso e si rituffò giù.
Lei si trovava con la testa contro il materasso, in modo da essere più sotto di lui, e da potergli sfregare il collo col volto.
Quando però lui, ripresosi dal sonno, capì che era lei che si stava addormentando di nuovo contro di lui, inizialmente ebbe un tuffo al cuore, trasformato poi nella solita sensazione.
E come si faceva ad ignorarla in quel momento?
Si sentì all’improvviso più caldo e aveva una voglia tremenda.
Senza bisogno di specificare di cosa avesse voglia, Davide mosse il braccio sinistro che era abbandonato inerte sul corpo della ragazza, avvicinandoselo di più in modo da avvertire il contatto fra le loro gambe, il torace e quella pancia enorme.
Al pensiero sorrise e Francesca notandolo si allontanò dal collo per guardarlo in faccia.
-‘ché ridi?- domandò rintronata dal sonno.
-No, così- rispose evasivo.
Le spostò i capelli che le stavano tutti appiccicati sull’orecchio, guardandola negli occhi.
Cosa gli costava, in quel momento perfetto, intimo, dove nessuno poteva vederli, sentirli o sarebbe venuto a cercarli, darle un bacio?
Uno solo, non chiedeva tanto; lei lo guardò con un’espressione che non era né arrabbiata, né maliziosa, né triste, allegra o altro. Lo stava fissando intensa, come se con il solo sguardo volesse fargli una richiesta.
Era facile dopotutto, non era complicato. Semplicemente prendere il coraggio a due mani e annullare la peraltro poca distanza fra le loro bocche.
Ma non ci riuscì.
Sul più bello, quando stava per farlo, gli venne in mente l’ipotesi che lei non volesse. Allora ebbe paura e si allontanò da quel pericoloso contatto.
-Oggi dove andiamo?- domandò la bionda, apparentemente ignara dei pensieri che avevano affollato poco prima la mente del ragazzo.
-Ho l’esame del corso-
-Oggi?-
-Sì-
Era vero, e se l’era anche scordato. Per di più non aveva studiato molto.
Poi gli venne in mente che aveva ancora qualche esercizio da fare, e qualche definizione teorica da ripassare.
Si allungò fuori dal letto con un braccio, afferrando il quaderno che stava sul comodino.
Lo prese e iniziò a sfogliarlo.
Francesca curiosa si issò sulle braccia per guardare, poi fermò ad una pagina.
-Dai ti interrogo- disse, cercando una domanda.
-Tanto non ti rispondo- sorrise lui.
-Paura?- fece provocante.
-No, è un mio metodo personale-
-Sarebbe?- domandò improvvisamente interessata lei, afferrando il quaderno dalle sue mani.
-Studio fino ad un certo punto il giorno prima, e poi basta. La mattina dopo niente ripetere-
-Io quando ho compito ripeto anche mentre il prof distribuisce i fogli...- disse la ragazzina, sdraiata a pancia in su, girando le pagine del quaderno.
-Genietta- disse pianissimo il ragazzo, quasi in un gemito, tuffandosi con la testa contro il suo collo.
-T’ho sentito sai?- fece la bionda con tono sgarbato, ma poi sorrise e ricominciò a sfogliare le pagine.
Davide stette in silenzio, senza voglia di alzarsi. Si stava così bene in quel letto, impacciati sotto le lenzuola che più che coprirli davano fastidio con quel caldo, con il sole che iniziava ad alzarsi alle otto della mattina, ma soprattutto sentire il suo corpo caldo, morbido e rotondo contro il suo.
Gli piaceva il contatto fisico con la ragazzina, lo faceva sentire bene e da tanto tempo non gli capitava di trovarsi a letto con una donna. Questo pensiero, il fatto di considerare quei momenti alla pari dello svegliarsi dopo una notte passata a fare l’amore con una, lo fece sentire strano.
Anche Francesca aveva interpretato nel modo giusto quel bisogno di contatto con lui che l’aveva spinta a dormirci assieme. Probabilmente quello che voleva da lui era più una semplice amicizia. E mentre il ragazzo le stava abbracciato anche lei si sentiva bene.
Ma si stava facendo tardi, piuttosto tardi e anche se nessuno dei due voleva interrompere quel momento intimo il ragazzo doveva alzarsi.
Quella strana situazione in cui si erano trovati quella mattina era buffa, perché non si erano mai permessi un contatto più intimo fra di loro, ma lo stare insieme senza obiettare significava che entrambi lo avevano sempre desiderato, senza il coraggio di ammetterlo.
Davide si mosse un poco, allontanandosi.
Non avvertendo più quel contatto caldo contro il corpo del ragazzo, lei si infastidì e si girò.
-Dove vai?- domandò, leggermente delusa.
-Te l’ho detto, stamattina ho l’esame-
Francesca gli restituì il quaderno e lo osservò vestirsi. Che illusa, pensò fra sé. Lui era più grande di lei e certamente la sua prima scelta, qualunque fosse, non sarebbe stata certo una ragazzina bionda, dagli occhi azzurri e grassa.
Pensando questo, triste, lo guardò mentre prendeva il suo zaino e si avvicinava al letto.
Davide, incerto su cosa dire, optò per un qualcosa che fosse abbastanza ambiguo da garantirgli una certa copertura. Si chinò sul letto e le diede un bacio sulla testa bionda.
-Spero che mi porti fortuna, genietta- le disse sorridendo.
-Spero anche io- ricambiò il sorriso.
Quando uscì dalla stanza, la sensazione delle farfalle nello stomaco non si era ancora esaurita. Avrebbe tanto voluto che quel bacio fosse stato centimetri più giù.
 
L’esame, come previsto, andò bene, anzi molto bene. Non sapeva ancora i risultati ma confrontandosi con gli altri Davide era certo di aver fatto un buon lavoro. Per questo, tornato a casa di ottimo umore, aveva preparato un bel pranzo.
-Dove stai andando?- domandò Francesca più tardi, notando che lui aveva preso le chiavi dal mobile.
-Vado a casa di mia madre. Vuoi venire con me?-
-No, assolutamente- disse categorica.
-Sicura? Non so a che ora torno- l’avvertì con la mano già pronta sulla maniglia.
-Non credo che riuscirei a nascondere questo- si indicò con le mani il pancione –e relative domande-
Davide si girò un momento verso di lei, che ne approfittò per chiedere
-Hai intenzione di dirlo a tua madre?-
-Non so. Pensavo, ma solo se tu vuoi...-
La ragazzina ci pensò un momento su e considerò che prima o poi, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto dirlo almeno alla famiglia, che stava per diventare papà.
Meglio poi che prima, aggiunse.
Decise che se proprio doveva farlo, sarebbe stato lui a dirlo, senza immischiarla. O quantomeno, non direttamente.
Non le andava di essere guardata male dalla madre, dalla sorella che aveva la sua stessa età, e poi di essere scocciata con tutte quelle attenzioni. Questo mai, si disse. Già non sopportava l’idea, figuriamoci con tanta gente che le ronzava attorno fastidiosa. Lei voleva che il bambino nascesse (almeno questo Davide era riuscito a ottenerlo) e che tutto succedesse in privato. Che a saperlo fossero solo lei e lui, e basta.
Così alzò le spalle.
-Se proprio devi, ma io non ci vengo a casa di tua madre-
-Quindi posso dirglielo?-
La bionda di nuovo alzò le spalle, in un gesto indifferente, e andò ad attaccarsi al computer.
Davide le gettò un ultimo sguardo, non ricambiato, e chiuse la porta.
Francesca stava su Internet, legata da un timer che le stabiliva un massimo orario, e chattava con alcuni suoi compagni.
“Beati voi che siete in vacanza” scriveva triste e mogia, preparandosi a trascorrere un altro pomeriggio in completa noia, afa e calma piatta. Era così deprimente, passare le giornate in quel modo e mangiare tanto per ingannare il tempo.
Come se non fossi già abbastanza grassa, si rimproverò mentre ingoiava un altro cucchiaio di gelato. Delusa del fatto che non sapesse resistere a quella tentazione, ormai incapace di guardarsi ad uno specchio e trovarsi carina come prima, aveva rinunciato anche alla vita sentimentale.
Non che avesse possibilità di impegnarsi in un relazione; no, non era proprio il momento. Intanto seguiva più o meno interessata le chiacchiere della sua amica che le raccontava la tormentata storiella estiva che stava vivendo. La invidiò tantissimo perché non solo aveva la possibilità di essere notata da un ragazzo, ma lo otteneva pure. Lei non aveva la possibilità, né credeva di interessare a lui.
Perché lui era molto serio, maturo e responsabile, ma soprattutto totalmente diverso da lei. Per quanto la ragazzina era irascibile, lui era paziente.
Tanto lei era volgare, lui educato. Tanto piccola e complicata, lui grande e con un atteggiamento piuttosto semplice.
Francesca si era domandata un’infinità di volte riguardo la sua vita sentimentale passata e attuale. Lei non lo sapeva, ma chissà se si vedeva con una donna. Non gliel’avrebbe mai ammesso, ma avrebbe pagato per sapere cosa combinava di sera. Prima era diversa, pensava solo a divertirsi e quando usciva con lui non le interessava se guardava le donne. Gli ultimi tempi, quando il ragazzo usciva la sera e lei restava a casa, troppo timida per farsi vedere in giro con quell’immenso pancione diventato il suo incubo, provava grande rimorso per non poter essere lì con lui.
Chissà con chi giocava a carte; anche se le portava spesso la birra, o un tè o qualcosa di fresco la sera tardi, se la trovava ancora sveglia, e le raccontava che i ragazzi sentivano la sua mancanza e lui soprattutto (perché non vinceva più) non poteva invidiare tutte quelle ragazze come lei che la sera si trovavano al parco. E in quella città c’e n’erano parecchie, di belle ragazze.
Lui era il suo esatto opposto, e come per la solita legge fisica più infallibile di una formula matematica, gli opposti si attraggono.
Che tristezza, pensò fra sé mentre chiudeva la finestra di Internet e si disconnetteva.
Poi un piccolo ma improvviso lampo la attraversò.
Aveva a disposizione il suo computer, perché non approfittarne?
Subito, incuriosita ma allo stesso tempo con un certo rimorso, indugiò sul desktop.
Poi mandò all’aria le esitazioni e iniziò ad aprire cartelle.
C’erano film, un sacco di musica, nemmeno una canzone che conoscesse. Poche foto.
Qualche ragazza, e chissà se erano le sue ex. Tutte dai capelli scuri, notò, ed era un altro punto a suo sfavore.
Erano belle ragazze, si disse, e certo nessuna di loro aveva tra il petto il basso ventre una montagna curva e tonda. Inoltre osservò che il loro reggiseno era decisamente più pieno del suo. Guardò un attimo in basso. Okay, non che possedesse proprio le misure da velina, ma non era tanto male. Poi a dir la verità, con la gravidanza e l’aumento degli ormoni e tutta quella roba lì, un vantaggio era che almeno rimediava un po’ di sostanza lì.
Più le guardava e più si deprimeva, così irritata spense il computer. Tutto le ricordava che era grassa, tutto; o almeno così le sembrava.
Nel frattempo Davide aveva trascorso un pomeriggio in compagnia della sorella e di sua madre.
Questa aveva cercato di convincerlo in tutti i modi di venire qualche sera a cenare da lei; lui aveva rifiutato più e più volte. Come avrebbe fatto a presentarle Francesca? Non poteva mica lasciarla sola.
Anche se si era prefissato di raccontare la verità, al momento di rivelarla si sentì impacciato ed ebbe paura delle conseguenze, così stette zitto.
Il pensiero di aver avuto paura di dire la verità lo tormentò in silenzio per tutta la sera. Ora capiva come si doveva essere sentita la bionda ragazzina, con tutti quei segreti.
Compensò questo suo tormento interiore ottenendo sguardi contenti e parole compiaciute per il corso che stava seguendo. Sua madre fu felicissima che finalmente il figlio avesse deciso di sfruttare quegli anni di studio in qualche modo, e anche se non lo disse Davide immaginò che avesse pensato “Se ci fosse stato tuo padre...”.
Purtroppo, e a questo non c’era alcun rimedio, suo padre non avrebbe mai saputo né del corso, né del bambino.
 
Davide tornò a casa molto più tardi, quando le nove e mezza erano passate e la lancetta lunga del quadrante dell’orologio si apprestava a superare il numero tre.
Silenzioso, perché sospettava che Francesca stesse dormendo, poggiò le chiavi, un pacco di dolci regalati dalla mamma, e iniziò a spogliarsi sedendosi sul letto.
Si era appena tolto scarpe, maglia e cintura che una sagoma emerse da dietro le tende.
Francesca era anche lei svestita, con indosso il solo pigiama: una maglietta larga e dei pantaloncini molto corti. I capelli biondi sudati le cadevano sulle spalle in due parti perfettamente uguali, spartiti dalla riga, eccetto che per quel ciuffo ribelle sul davanti che tanto la faceva dannare.
Lei dopo tutto quel pomeriggio passato a rimuginare sull’aspetto fisico e quelle ragazze trovate nel suo computer, sorrise delusa e nello stesso tempo incapace di staccare gli occhi dal suo corpo. Avrebbe tanto desiderato, pensò avvertendo una certa conosciuta sensazione in basso, che il ragazzo la prendesse e la facesse sedere su di lui. Poi l’avrebbe baciata. Ma che sciocchezza, si ammonì un secondo dopo.
Lui la guardò per un po’ sorpreso di trovarla sveglia, poi parlò per spezzare il silenzio.
-Mi dispiace se ti ho lasciata sola tutta la giornata-
-Non fa nulla- fece lei con un sorriso triste, sedendosi incrociando le gambe sul letto.
-No, sul serio. Devi esserti annoiata a morte- il ragazzo strisciò sul letto per avvicinarsi alla bionda –Cos’hai fatto?-
Lei fu sorpresa da tutto quell’interesse: non gliel’aveva mai domandato e forse significava che era veramente dispiaciuto.
-Beh, ho guardato la tv. Sono stata su Internet. Ho provato anche a cucinare la cena, ma non ci sono riuscita e allora ho mangiato quello che avevi preparato tu-
-Sei proprio negata- commentò scuotendo la testa lui.
-Stupido!- la ragazza provò a tirargli un pugno ma lo mancò.
Allora finta offesa si girò dall’altra parte, dandogli le spalle. Davide sorrise divertito e fece per avvicinarsi, per chiederle scusa, quando lei parlò.
-Ah e poi tanto c’era il bambino che mi faceva compagnia-
Lui allargò il sorriso a quella frase, ma si fece serio, arrossendo a quella successiva.
-Vuoi sentire?-
-Cosa?- domandò perplesso, parlando alle sue spalle.
-Il bambino-
Stupito in un primo momento ma poi lusingato dalla richiesta, si incuriosì di quelle sue parole e decise di vedere fin dove voleva arrivare.
-E come si fa?- chiese.
Francesca rise un poco, poi tornò seria e voltò la testa per guardarlo, senza girare il busto.
-Vieni-
Aveva sul volto un broncio sensuale, invitante e dannatamente eccitante.
Ormai incatenato e preso dallo sguardo che gli aveva lanciato, Davide si inginocchiò dietro di lei.
La ragazza bionda gli prese le mani e le portò piano sulla sua pancia rigonfia, tenendole ferme.
-Se sei fortunato lo senti pure calciare- disse.
Come erano piccole le sue mani rispetto a quelle del ragazzo, si disse. Quelle di lui potevano contenerle senza sforzo.
Davide si avvicinò di più a lei, abbracciandola da dietro.
-Soffri il solletico?- disse poggiando davvero le mani sul pancione.
-Ti piacerebbe vero?- lo schernì la ragazzina, però divertita dalla situazione. In realtà lei non credeva davvero che lui avrebbe accettato di sentire il bambino, ma visto che aveva acconsentito tanto valeva approfittarne. Chissà che in quel momento il bambino che tante volte la tormentava, di notte soprattutto, non decidesse di sferrare un bel calcio sulle mani del papà. Questo per sua sfortuna non accadde, ma più di tanto non le importava.
Davide prima si vergognava anche solo di toccarlo, quel pancione e non perché gli facesse schifo, ma perché lo considerava come un qualcosa di sacro, inviolabile e delicato. Ma adesso che ci aveva preso confidenza, lentamente iniziò ad accarezzare la pelle.
Francesca smise di sorridere e si fece seria quando sentì che le mani di lui non si stavano limitando solo a sentire. Era una sensazione veramente piacevole, stare lì in silenzio, senza nessun rumore che non fosse il loro respiro, e sentire le mani del ragazzo massaggiarle quel suo incubo.
Veramente piacevole.
E nella stanza piccola, buia eccetto la luce bassa che veniva dalla lampada e dava al tutto un’atmosfera più intima, la tensione si stava trasformando lenta, come un vino a riposo che lievita, in eccitazione.
Francesca arrossì e non per vergogna quando sentì le sue dita sfiorarle, seppur da sopra la maglietta l’ombelico. Chiuse gli occhi e inclinò leggermente la testa indietro, godendosi appieno la sensazione.
Anche per il ragazzo, i movimenti ora non erano più dettati dalla semplice e pura affettuosità, ma dall’eccitazione di percorrere finalmente con le proprie mani quel corpo che tantissime volte si era trovato ad osservare languido.
La bionda ad un tratto girò la testa verso di lui. Non aveva gli occhi aperti, ma socchiusi e il suo respiro stavolta non caldo per la rabbia sbatteva contro le labbra di lui.
Davide rimase stupito.
Francesca cercava la sua bocca.
 
Il primo bacio fu quasi timido, come se entrambi avessero paura di farlo. Poi lei gli bloccò le mani sul ventre e appoggiò le labbra alle sue. Davide non fu così bravo come prima a reprimere l’eccitazione e la voglia che si sentiva addosso da un sacco di tempo.
Più convinto, più voglioso ed eccitato le mise gentilmente una mano fra i biondi capelli, facendoseli scorrere fra le dita lenti, e congiunse le loro bocche in un bacio vero.
Sembrava che quel momento fosse stato programmato da tanto tempo e che finalmente fosse venuto il momento di metterlo in scena.
Quanto tempo era che Davide non provava l’ebbrezza di sentirsi unico insieme a una donna, insieme a lei, ma era deciso a recuperare tutto il tempo perso.
Si staccarono lentamente, con i respiri che ansanti si sovrapponevano. Come se entrambi non ci credessero, stettero fermi, in attesa di qualcuno che gridasse ‘no, fermi!’. Ma nessuno sarebbe venuto a fermarli.
Davide non riuscì a stare buono per molto tempo; non ora, non adesso, non con lei.
Come era buona la sua bocca, pensò distrattamente eccitato ricominciando a baciarla.
Francesca ricambiava di buon grado le sue attenzioni, girandosi di più e lasciandosi toccare. Nemmeno lei sapeva cosa esattamente stesse succedendo e come fosse successo, ma di certo le piaceva e non voleva smettere.
Non seppero come, ma poco dopo lei era sdraiata fra le lenzuola del letto e lui le stava sopra.
Davide non sapeva bene come muoversi con quel pancione ingombrante; così stava, un po’ scomodo, piegato sulle ginocchia e la sovrastava.
Per la prima volta si guardarono negli occhi e il suo era liquido, intenso mentre quello della ragazza quasi indecifrabile. Ad un tratto lei si alzò per prendergli il viso fra le mani, baciandolo veloce sulla bocca più volte, tirandolo giù, su di sé.
Il ragazzo era costretto ad incurvarsi per non pesarle, il che procurava fastidio. Francesca sorrise e sempre tenendogli le mani sul viso iniziò a mordere e succhiare il suo labbro inferiore.
Tutta l’eccitazione, le emozioni, gli sguardi, i pensieri che aveva provato in quei mesi, esplosero in Davide con la stessa forza di un fiume in piena, che rotti gli argini non trova più ostacoli e investe la ragione senza darle possibilità di appello.
-Sei bellissima- le ripeteva in un sussurro roco, come un mantra e la spogliava lentamente, senza fretta ma godendosela tutta.
Lei sospirò di piacere mentre lo sentiva scendere giù a coprire di attenzioni i suoi seni, resi più turgidi e rossi come le guance della ragazza che lui tanto si divertiva a schernire.
Il ragazzo ebbe un’idea improvvisa e si tirò leggermente indietro col corpo. Poi incominciò a ricoprirle di baci semplici, leggeri il basso ventre, salendo sulla pancia. Piano piano poi scese, percorrendone tutta la curva. Di nuovo la ragazzina sospirò arrossendo di piacere. Faceva terribilmente caldo ora in quella stanza, ma aveva l’impressione che ciò non fosse determinato dalla temperatura esterna.
Lui risalì lento, soffermandosi a lungo, sentendola gemere soddisfatta e ansimare vogliosa e impaziente. Arrivò in cima, baciandole il collo e sdraiandosi accanto a lei.
Francesca si girò per quanto poteva, attirandolo a sé e baciandolo sulla bocca.
Lui le accarezzò i ciuffi biondi, lasciandola fare. E forse per una notte, entrambi desideravano non addormentarsi mai.
 
La mattina dopo erano ancora nella stessa posizione, ancora impegnati a baciarsi appassionatamente come se volessero recuperare tutto il tempo perso, per paura che stesse per finire.
-Non ho detto nulla a mamma- disse all’improvviso lui.
-Cosa?- fece la ragazza, ancora impegnata a baciarlo.
-Non le ho detto nulla- ripeté.
Francesca si staccò e lo fissò perplessa, aggrottando le sopracciglia. Le ci volle qualche attimo di più per capire di cosa stesse parlando il ragazzo, tutta presa dalla nuova situazione.
Quando capì a che si riferiva, rimase un poco delusa.
-Perché non gliel’hai detto?- domandò.
Davide evitò accuratamente di guardarla mentre diceva
-Mi sono vergognato-
Lei alzò un sopracciglio.
-‘A**o- incominciò facendo ruotare in cerchio la mano, come a dire ‘caspita’ in senso ironico –a me mi fai tutta la morale, le prediche e poi non sei nemmeno capace di mettere in pratica quello che dici-
Improvvisamente irritata si allontanò da lui e si sedette, riaggiustandosi i capelli.
Davide si rese conto tardi di aver procurato un guaio.
-Oh senti non è così facile! Che penserà di me sapendo cos’è successo?- aggiunse, raggiungendola.
-Ah certo. Però quando ho dovuto dirla io la verità, era tutto facile vero?-
Non gli piaceva affatto il discorso che stavano incominciando, e conoscendo la sua indole facilmente irritabile doveva affrettarsi a mettere a posto le cose prima che lei si incavolasse.
-Va be’ dai... glielo dirò...-
-Quando?-  la bionda lo guardò seria e scettica.
Maledicendo il suo carattere scontroso e volubile, fu costretto però ad acconsentire.
-Presto- disse.
-Davvero?- lei era sarcastica e non credeva affatto che lui volesse farlo.
-Promesso. Davvero-
Lei scivolò giù dal letto con uno sbuffo ironico e si alzò in piedi.
Davide si accigliò, irritato dalla sua aria di superiorità.
-Senti tu ce l’hai fatta, e sei stata bravissima, ma per me è più difficile-
Francesca alzò un sopracciglio, guardandolo.
-Per te è difficile? E per me che non vedevo Damiano da tre-quattro mesi?-
Totalmente sconfitto, vedendo che non voleva ragionare o incoraggiarlo, lui alzò le mani e scese dal letto senza guardarla, con un broncio irritato sul volto.
La ragazza notò il suo atteggiamento e perplessa ci pensò su, quando il ragazzo uscì dalla stanza.
Aveva forse esagerato? In fondo era solo quello che pensava. L’aveva mica offeso?
Non era proprio nei suoi principi, ma forse sarebbe stato carino chiedergli scusa; non voleva litigare, non adesso.
Vestitasi lo cercò, trovandolo seduto davanti al computer.
Mordicchiandosi il labbro si avvicinò e si schiarì la voce.
Davide alzò lo sguardo e rapido lo abbassò, tornando a guardare lo schermo.
-La colazione sta sul tavolo- la informò.
Caspita, se l’era presa sul serio. E poi era lei quella suscettibile e permalosa.
Gli scivolò in grembo, costringendolo a fissarla.
-Dai scusa, forse ho esagerato un po’- cominciò.
Lui alzò un sopracciglio, quasi incredulo, sentendo le sue scuse.
Vedendo che non rispondeva, lei riprovò.
-Mi spiace se ti ho detto così, dai... non volevo- aspettò un po’ e lo fissò di sottecchi –ti sei arrabbiato?-
A quella domanda prima il ragazzo si mostrò indifferente, ma poi non riuscì a trattenere un sorriso.
-Non mi sono arrabbiato. Non crederai che sia così facile farmi arrabbiare?- la stuzzicò, ma ormai non era più offeso.
Francesca fece un gran sorriso, sollevata, e gli scoccò un bacio sonoro sulla guancia.
-Ti alzeresti per favore?- domandò Davide.
-Perché? Che, ti vai a vedere qualcosa di porno?-
-No è che sai, pesi-
Questo non doveva dirlo perché anche se lei si alzò, gli mollò un pizzico sulla spalla che ancora un po’ gli bruciava.
Questa fu la prima di una lunga serie di piccoli litigi, seguiti però puntualmente da una pace, anche se temporanea. Non avevano alcuna intenzione di arrabbiarsi l’uno con l’altra, tutt’altro, invece passavano un sacco di tempo nel letto. Ma era come un gioco, una sfida fra i due, per vedere chi cedeva prima.
Chi lasciava vincere chi.
A volte Davide perdeva apposta, umiliandosi, solo per il gusto di vederla smettere quel broncio dalla faccia. Le dava quasi sempre la vittoria anche perché una volta iniziata la sfida, era estremamente faticoso sostenere il confronto con lei. E Davide si domandava cosa sarebbe successo allora quando non avrebbe avuto più quel pancione a farle da ostacolo.
Francesca sfogava tutta l’ansia per il bambino, per il giorno che sempre più si avvicinava, stuzzicando il ragazzo, sia fisicamente che a parole, e passandoci tutto il tempo insieme.
Settembre sembrò volare, tanto che arrivò il giorno di tornare a scuola.
Damiano venne a trovare i due ragazzi un giorno, e insieme decisero che lei avrebbe continuato la scuola.
Il ginecologo, nell’ultima visita mensile, aveva predetto che il bambino sarebbe nato i primi di ottobre, come la mamma d’altronde.
Per un paio di giorni la ragazzina era andata a dormire a casa di Damiano, era andata a scuola, non senza polemiche e vergogna, solo per il primo giorno. L’uomo parlò con il preside, i suoi insegnanti e spiegata la situazione la bionda prese tre presenze e per il resto del mese si decise che sarebbe stata a casa.
Proprio una sera di settembre si trovavano a casa tutti e due. Davide era incollato allo schermo per seguire una partita di calcio.
Francesca diceva che lui era un tifoso atipico. Mentre lei, giusto per passare il tempo, si piazzava insieme a lui davanti allo schermo, sceglieva sul momento la squadra per cui tifare (di solito l’avversaria di quella di Davide) e si esaltava, infuriava e scattava per quello che accadeva, lui no.
Davide stava in silenzio, concentrato sullo schermo e senza dire una parola. Che segnassero gli avversari o la sua squadra non faceva una piega.
-Ma che stupido quel portiere oh, non ne piglia una ca**o!- esclamò irritata.
Quella volta tifavano entrambi per la stessa squadra, evento raro, e lei era seduta sulle sue gambe abbracciata da lui.
Davide la trovava molto fastidiosa perché lei che gli si strusciava addosso e i suoi commenti poco educati e pronunciati a voce alta, gli impedivano di seguire il gioco.
-Oh ma che significa? Perché l’arbitro va alla panchina?- domandò perplessa indicando la maglia giallo fosforescente.
Il ragazzo la abbracciò e si appoggiò sulla sua spalla, spiegando paziente
-Ha espulso l’allenatore-
-Ah sì? E che mi rappresenta? Cioè... mica gioca!-
-Ha protestato troppo-
-Eh va bè...-
Lui sorrise sornione.
-Tu non potresti fare mai l’allenatrice. Ti espellerebbero ad ogni partita e saresti tu ad infortunare i giocatori negli allenamenti-
-Però vincerebbero- precisò sorridendo anche lei.
Poi iniziò a prendere di mira i giocatori e l’arbitro, aggiungendo insulti su insulti. Davide faceva fatica a tenerla buona, e l’unica maniera di farla star ferma era dedicarle il maggior numero di attenzioni.
Il problema era che una volta offerta la mano, lei si prendeva tutto il braccio. Ovvero da piccoli e affettuosi baci sul collo si arrivò a stare sdraiati sul divano, dimentichi della partita.
Il ragazzo cercò di divincolarsi ma invano, tirato giù maliziosamente e con forza soprattutto.
-Lasciami guardar la partita- protestò debolmente lui, tutto succube della bionda.
Non lo ascoltò, tornando a seviziarlo più per dispetto che per voglia, con un piccolo ghigno sulle labbra.
-Ma come si fa a liberarsi di te?-
Inavvertitamente schiacciò col gomito un tasto del telecomando, girando dal campo verde di gioco sul quale si disputava la partita ad un canale locale. Sul quale si stava per l’appunto trasmettendo una chat erotica, con tanto di numeri in sovraimpressione.
Francesca alzò la testa da lui, puntandola sullo schermo. Sorrise maliziosa e guardò il ragazzo.
-Cos’è, non ti basto più? Vuoi le conigliette?-
-Ma che dici...- borbottò Davide imbronciato, affrettandosi a cambiare.
A metà strada lo fermò.
Stupito e accigliato la osservò sederglisi in braccio per coprirgli la visuale, poi prendergli il viso fra le mani e baciarlo lenta. Questo, aveva imparato, come quando le si stringevano gli occhi era un segno. Aveva voglia di qualcosa.
Si sfregò contro il suo naso e mormorò
-Facciamo l’amore?-
Davide arrossì e interdetto dal calore, dall’innocenza con cui l’aveva chiesto non rispose subito.
Si staccò lento dal suo bacio e anche controvoglia, poi sorrise.
-Ma cosa dici?-
La bionda lo guardò piegando la testa da un lato.
-Cosa vuoi dire?-
-Che voglio guardare la partita-
Con un rapido scatto afferrò il telecomando e riportò sul campo da gioco. Scoprirono entusiasti che la squadra per cui tenevano era in vantaggio e si precipitarono a seguire il match. Davide la abbracciò e le diede un bacio fra i capelli sudati. Come gli piaceva essere preso in giro da lei.
 











Ah, la Curva Nord sarà felice ora... grazie a tutti quelli che seguono e commentano la storia.

FeFeRoNzA: bene, accontentata, il loro rapporto si è evoluto. O è rimasto tutto come prima infondo?                                                                                                          

Marty McGonagall: mmm... credo di aver capito cosa vuoi dire, Martina. Significa che magari ci sono passaggi che 'trascinano' la scena, che sembrano messi lì solo per occupare le righe? 
In effetti il precedente capitolo era, forse, il più inutile di tutti; non aggiungeva molto alla trama. Ecco, mi preoccupa che la storia e i personaggi siano coerenti e che non risultino troppo "finti". Ehm... Non so se mi sono espresso bene.
Mi fa tanto piacere che apprezzi il modo in cui descrivo, e pensare che era una delle cose che mi erano più difficili. Questo fatto di descrivere 'a mo' di film' beh, non sei l'unica che lo ha detto,  quindi forse sarà vero? Ora però devi farmi la ola...eh...

GinTB: certo che mi mancava la tua opinione. E hai ragione, meglio tardi che mai. Grazie d'aver recensito.

Jiuliet: d'accordo, farò tesoro di questo segreto, e sono felice che tu riesca a capire Francesca meglio che Davide (poi mi insegnerai come si fa?) perchè significa che l'ho descritta bene, in modo soddisfacente e reale. Credo.

Devilgirl89: e mi sa che a metà dobbiamo fare, sì. C'ho pensato, ho riflettuto, e posso concludere che Davi è sempre meglio di Davidino. Ergo sì, puoi usarlo.  Bene, spero che il ricordo che ti ho risvegliato sia un ricordo felice. Grazie dei complimenti.

MissQueen: Valentina... non puoi dirmi che odi la matematica. No. Perchè tutti odiano la matematica? (Ecco la mia, di domanda esistenziale). Se potesse aiutarti sono certo che Davide sarebbe ben felice di farti ripetizioni, a meno che nelle ripetizioni tu non nasconda un secondo fine... uhm... Sai credo che Francesca non sia come Davide, cioè come puoi leggere i suoi sentimenti 'esplodono' tutti ad una volta. Immagino che se stessero insieme... giudica tu come si comportano

Emily Doyle: 'Crescono insieme'. Questa sì che è una bella frase e sono felice che i personaggi si ''evolvano'' piano piano.

Urdi: Tu. Dio. Dannazione.
Tu hai commentato un sacco di capitoli, anche se potevi recensire soltanto l'ultimo. Innanzi tutto ti ringrazio per i complimenti (forse esageri, eh, ma fa piacere lo stesso ovviamente). Mi sono letto con molta attenzione tutte le tue recensioni, e vedrò di riassumere le frasi che mi sono piaciute di più.
"Non finisci mai in sbrodolature sentimentali patetiche e scrivi senza tanti fronzoli di cose anche spinose." Questo è ciò che dice anche la mia professoressa d'italiano, che non mi perdo in chiacchiere (ma lei lo fa con tono dispregiativo). Ricevere tante recensioni è bello anche perchè ognuna di voi riesce a cogliere sfumature diverse di un capitolo. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato come ho descritto la parte in cui Francesca vomita. "francesca vede o tutto bianco o tutto nero," ed è anche questo esatto.
La mia paura era che Francesca non risultasse 'reale'. "Di sicuro se una ragazza legge quello che scrivi rimane con gli occhi sgranati, perché è qualcosa che prende allo stomaco, da quanto è ben raccontato."
Forse è insolito, ma rende l'idea. Grazie.
"quasi brilla di luce propria!" Che bella frase. Ma come ho detto anche a lei, tu esageri dicendo che è la migliore storia di Efp, perchè non è assolutamente vero, andiamo. Per scrivere il pezzo che ti ha colpito nel capitolo 10 -parte 2-, mi sono un poco ispirato a " Se", di Rudyard Kipling, a dir la verità.
"Francesca piano piano è cambiata e si sta rivelando una vera donna. Mi è piaciuto molto il fatto che sia "cresciuta" tanto rispetto all'inizio della storia " ecco brava, hai colto nel segno. Francesca cresce e si trova donna prima ancora che sia il momento giusto.  Contento che ti piaccia anche Davide, e per amor suo, non fare la bastarda come Francesca col tuo ragazzo. Un'ultima frase mi ha colpito. "hai descritto lei così bene che mi è venuta voglia di disegnarla!". Wow ma ora, ti prego, devi farlo... per favore. Se l'hai detto...
Dunque, mi hai lasciato 7 recensioni. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


17 -Non ho capito perché si semplifica questo con questo-
Francesca indicò un pezzo della disequazione scritta sul quaderno.
Paola sbuffò scocciata.
-Ancora? È la terza volta che te la spiego- disse, guardandola.
La supplicò con lo sguardo di lasciarla andare. La bionda aggrottò le sopracciglia, tutta concentrata sui numeri.
-Cioè... ho capito che si fa così e si sommano questi- con la matita segnò due parentesi –e poi?-
-E poi niente, moltiplichi- spiegò semplicemente l’altra.
-Non era dividi?- chiese perplessa.
-Scema, moltiplichi per l’inverso-
Ad un momento di perplessità seguì l’illuminazione e l’imbarazzo.
-Ma vedi tu se ti devo ancora spiegare ste’ cose- disse Paola semiseria.
-Si sì scusa... ero un po’...- gesticolò sorridendo imbarazzata per aver sbagliato.
-Distratta, sì, e so anche da chi-
Sorrise furba e gettò uno sguardo alle sue spalle.
Le due si trovavano nel salotto, sul divano e chine sul suo quaderno di matematica.
Paola veniva ogni due-tre giorni per spiegare all’amica le novità di scuola. Anche se poche perché erano solo all’inizio, le era comunque utile per stare al passo. E ovviamente insieme le raccontava tutto quello che succedeva.
Davide invece quando loro studiavano si chiudeva in cucina e anche lui faceva i suoi “compiti”. Il suo corso era finito e per entrare nell’azienda doveva soltanto passare qualche altro esame. La prospettiva di un lavoro non era più così irraggiungibile, però.
-Si va bè- Francesca cambiò al volo discorso e afferrò un nuovo libro –facciamo biologia-
-Cambi discorso?- la stuzzicò.
-E dai!- fece arrossendo la bionda. Non le andava molto di parlare di Davide, ogni volta che la sua amica le faceva domande arrossiva e si rifiutava di rispondere.
-Lo sai, a parte gli scherzi sono contenta. Mi piace, mi sembra un tipo...-
-Un tipo come?- domandò curiosa lei.
-Non so...- Paola si curò che non la sentisse -...uno precisino, intellettuale...-
-Ma chi, Davide?-
Francesca rise di gusto, appoggiando le mani sul pancione.
-Macché, ma se è un pigrone... una testa di rapa...-
In quel momento lui entrò nel salotto ed entrambe si fecero rosse, tossendo per dissimulare il discorso precedente.
-Che croce- disse rivolto a Paola –è una testa così dura che non so come fai-
La bionda fece una smorfia ironica.
-Ah ah ah, co****ne. Torna da Silvia, vai-
Rinunciando a combattere Davide si allontanò verso la porta d’ingresso, afferrando la giacca.
-Dove vai?-
Francesca mutò totalmente il tono e si rizzò seduta, in attesa ansiosa della risposta.
-Esco. Vado da Silvia- le sorrise gentile lui e fece per uscire fuori.
Lei si morse un labbro e strinse gli occhi.
-St****o- disse seria, con un sorriso cattivo sulle labbra, prima di tornare a fissare il libro.
Paola la osservò e sembrava stupita.
-Meno male che state insieme- commentò.
-Ah e questo è niente-
Francesca sorrise compiaciuta e stette a pensarci per un attimo.
-Diciamo che io e lui siamo proprio diversi. Io mi arrabbio molto spesso, lui mai-
-Ma è per questo che mi piace tanto- aggiunse dopo con un sorriso, né malizioso, né cattivo o strafottente.
Semplicemente emozionata e felice.
 
Francesca rotolò sul fianco, lasciandosi abbracciare dal ragazzo. Il letto era troppo ampio a loro giudizio, e quindi avevano preso l’abitudine di dormire sempre su una parte, insieme.
Davide le sistemò i capelli, divertendosi ad accarezzarle la fronte e la testa.
-Sono contenta che sono tornata- disse lei, chiudendo gli occhi e lasciando che lui facesse quello che voleva.
-Com’è andata ‘sti due giorni?- domandò lui.
La bionda ragazzina alzò le spalle; aprì gli occhi azzurri e intrecciò una mano con la sua, sfregandogli il dorso.
-Insomma... sai, va bene che ora abbiamo fatto pace e tutto... però...-
-Però cosa?-
-Lui... beh proprio non mi capisce. Anche se ci prova, non mi capisce. Sembra che viviamo su due pianeti diversi- spiegò seria tenendo gli occhi sulle loro mani.
-Ma tu, almeno, ci hai provato?- domandò cauto il ragazzo.
Davide continuava come incantato a far scorrere le sue dita fra i capelli biondi di lei; poi si chinò di più per guardarla negli occhi.
-Certo che ci ho provato! Ma se uno è negato, niente!- precisò immediatamente la bionda con fervore.
Davide sorrise scuotendo la testa. Francesca era stata per tre giorni a dormire da Damiano, e ora si stavano raccontando come era andata, dopo tre giorni che si erano visti poco o nulla.
-Mi scoccia dormire lì-
-Oh dai! Nemmeno un mese avete fatto pace e già rovini tutto?- fece il ragazzo.
-Senti mi hai rotto!-
La ragazza afferrò un lembo delle lenzuola e ci si avvolse.
Davide la osservò immobile. Per tre giorni era stato senza sentire una parolaccia, senza grida o biondine per casa. Per quanto volesse provare a negarlo, erano stati i tre giorni più lunghi di sempre.
-Ma almeno ti sono un po’ mancata? O mi hai già tradito?- chiese voltandosi poco con la testa lei.
Capendo che aveva il permesso di avvicinarsi Davide si infilò sotto le lenzuola, accanto a lei e si intrecciò al suo corpo.
-Magari con una senza pancia...- proseguì la bionda in attesa di una sua risposta.
-Perché proprio con una senza pancia?-
-Beh sai, io non sono certo uno stecco. Sono piuttosto una balena, come mi ricorda lo specchio- disse con una punta di tristezza.
Davide cominciò a baciarla, poi la guardò serissimo negli occhi.
-Non ascoltarlo-
Quella voce calda, seria e roca a Francesca piaceva da morire e la faceva sciogliere come ghiaccioli nel deserto.
-Non sa quanto si sbaglia-
Stettero a giocare sfregandosi fronte contro fronte e naso contro naso; Davide era capace non solo di farla sentire desiderata e amata come ragazza, ma di capirla, consigliarla e ascoltarla come amico.
E anche di farla piangere, consolarla e aiutarla sempre come un angelo, si diceva sempre.
 
Davide chiuse gli occhi, infilando la testa sotto il cuscino, stringendolo e deformandolo come voleva per consentire alla sua testa di poggiarsi bene.
Scalciò leggermente per tirarsi le lenzuola, era settembre inoltrato e iniziava a far fresco. Accanto a lui, dall’altra parte del letto una figura si girava puntualmente ogni due minuti, inquieta. Francesca si tormentava i capelli sudati, ansimando per il caldo che sentiva e cercando un po’ d’aria. La pancia le faceva male a tratti, impedendole di dormire tranquilla, e perciò, ora che l’orologio segnava le tre di notte, si prospettava un’altra notte insonne.
Dal giorno prima la pancia le doleva sistematicamente e questo, oltre al dolore fisico, aggiungeva un’ansia mentale pazzesca. Il tanto temuto giorno si avvicinava, ottobre stava arrivando e il bambino avrebbe potuto nascere anche prima. Dall’ultima ecografia era ormai totalmente formato e difatti lei si sentiva più debole che mai. Il dottore diceva che questo era normale, perché ora che era più grande il bimbo necessitava di più cibo. Le aveva consigliato di mangiare regolarmente e di non reprimere le voglie che le venivano, ma la ragazzina testarda, ferma nella sua convinzione di essere grassa e non volendo aggravare la situazione si rifiutava.
Ma ora la pancia le faceva male, non per la fame, e avrebbe potuto piangere di disperazione.
Non voleva, si rifiutava e impotente si agitava, ma non c’era nulla da fare. Il momento di partorire si avvicinava a gran velocità.
Davide non diceva mai nulla su questo, pensando che dovesse sbrigarsela da sola, e lei non voleva succedesse.
Di tanto in tanto tornava a leggere il libro sulla gravidanza. Faceva male, faceva male e avrebbe sofferto tantissimo.
Tutte dicono che fa male, ma poi la gioia del bambino compensa tutti gli sforzi.
-Ca**i- gemette lei tra i denti, nascondendo la faccia nel cuscino.
Non era vero nulla, a lei non fregava niente del bambino, le importava solo della sofferenza che avrebbe provato.
Tentava di convincersi che mancava un secolo, un’eternità; questo suo ragionamento aveva vacillato il giorno prima quando aveva cominciato a farle male la pancia, e la paura si era fatta strada facile in lei.
Ansimava sia per il caldo che per l’agitazione, e non riusciva a prendere sonno.
Ad un tratto si voltò di fianco per ghermire con le braccia il corpo dormiente di lui.
Davide sussultò e mezzo assonnato balbettò frasi senza senso.
-Che?- chiese al buio, riconosciuta la provenienza del fastidio.
-Non voglio farlo, non voglio farlo!-
Si lamentava piagnucolosa come un’anima in pena che non trova pace ed è a un passo dalla morte.
Il ragazzo gemette stanco, gettando la testa all’indietro.
-Sono le tre di notte ca**o..... cosa c’è?- domandò un po’ irritato.
-Mi vuoi bene Davide?- fece lei, abbracciandosi al suo braccio.
-Certo-
-E allora uccidimi!-
Con un vagito si nascose contro il suo corpo, scossa da un singhiozzo finto.
Lui intorpidito, assonnato, intontito, in una parola rinco*******o la guardò.
Francesca si girava, si toccava la pancia, prima rannicchiava le gambe e poi le stendeva, senza fermarsi.
La avvolse con un braccio e poggiò la testa contro la sua.
-Ti fa male la pancia?-
-Sì-
Sbadigliando in silenzio ma spalancando la bocca come un leone, Davide la abbracciò tutta e cominciò a massaggiarle il ventre gonfio e morbido.
La bionda smise di contorcersi e provò a calmarsi sotto le sue carezze; sembrò quasi che dopo una decina di minuti non provasse più dolore (Davide dormiva di certo), ma all’improvviso tornò ad ansimare preoccupata.
Gemette sconsolata, sedendosi sul letto per vedere se le dava più sollievo.
Stranamente il ragazzo notò il suo movimento, e per quanto non fosse al top della reattività capì che stava davvero male.
-Fra?-
La chiamò, allungando un braccio per toccarla.
-Francè?- ripeté.
La trovò e scivolò con le mani sulla sua schiena.
-Vuoi che chiamo il dottore?- domandò premuroso e un po’ preoccupato.
-No, il dottore no!-
Se avessero chiamato lui certamente avrebbe proposto di andare in ospedale, di ricoverarsi o peggio ancora avrebbe sentenziato che il bambino stava per nascere.
-Vieni qua dai...-
Anche lui si sedette e le mani che prima stavano immobili sulle sue spalle scivolarono giù, accarezzandole la schiena. A questo si aggiunsero baci distratti sulla nuca e sul collo. Davide aspettò il suo consenso per continuare, come facevano sempre, e quando lei spostò i capelli dall’altra parte del collo, lasciandogli più spazio, capì che poteva continuare.
Dopo che si fu divertito un po’ sulla sua pelle calda e morbida, arrossandola, mordicchiando piano e senza farle troppo male il collo, sorrise.
La ragazza intercettò nel buio il suo sorriso e stirò le labbra a sua volta.
-Io ti uccido biondina... sono le tre di notte!-
Risero piano, in silenzio e lei acconsentì a sdraiarsi sul materasso.
Forse la pancia le faceva ancora male, ma chissà perché ora, stretta abbracciata al suo torace, si addormentò come se fosse la sedicenne più felice del mondo.
 
Ormai di notte era una consuetudine svegliarsi, guardarla agitarsi e tornare a dormire per Davide. Quasi quasi, sapendo dalla sera prima che non avrebbe dormito perché la bionda si sarebbe svegliata nel cuore della notte, andava a dormire molto presto per compensare le ore passate da sveglio a calmarla.
Quella era la parte divertente. Farla star buona e calmare la sua agitazione, di solito abbracciandola, baciandola e dedicandole il maggior numero di attenzioni gli piaceva ed era uno dei rari momenti in cui sembrava veramente che stessero insieme. A Davide non piaceva star tutto il tempo a pomiciare, preferiva dormire, e Francesca riteneva che lui dovesse sudarseli, i suoi baci.
Ma infondo lei era pur sempre una ragazza, e ogni tanto, anche se non lo ammetteva e cercava di nascondere questo suo lato affettuoso, le piaceva sentirsi dire quelle sciocchezze che si dicono gli innamorati.
-Sei bellissima...mi fai stare così bene...- le diceva il ragazzo baciandola e nello stesso tempo facendole il solletico.
La ragazzina rise, cercando di sfuggirgli, ma si faceva prendere apposta.
-Quante ca**ate che dici...- disse con un sorriso ben nascosto.
-Però ti piacciono le ca**ate- osservò furbo lui.
Francesca esitò un attimo, poi lo guardò.
-Dimmelo di nuovo- si morse un labbro, poi rise assieme a lui.
Il giorno 27 settembre arrivò molto presto, troppo presto, ma nessuno dei due ragazzi avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo.
Davide, la sera del ventisei, tornò a casa tutto stanco per le compere che aveva fatto dall’altra parte della città e Francesca era molto nervosa perché la pancia aveva ricominciato a farle male, male forte ad intervalli regolari.
-Senti secondo me dovremmo chiamare il dottore- disse lui mentre poggiava le buste pesanti sul tavolo.
-E invece no! Non ho bisogno del dottore, sto benissimo e posso fare da sola!-
La biondina era particolarmente agitata, e perciò tendeva a scattare alla minima cosa; il ragazzo non fu così stupido da replicare e quindi lei non ebbe occasione di sfogare la sua rabbia. La serata sembrava tranquillissima, a parte l’umore focoso e incavolato della ragazza.
Faceva smorfie ad intervalli regolari, quasi avesse incorporato un timer, e ogni ora un lamento molto più forte.
Mangiarono in silenzio la cena, poi Davide andò presto a dormire. Invece Francesca, sia per il dolore che per il nervosismo, non riuscì a dormire come ormai accadeva sempre da una settimana. Il che le procurava altro stress, come se non ne avesse già abbastanza.
Non riusciva a stare tranquilla, e per quanto cercasse di convincersi, in base alle precedenti esperienze, che Davide l’avrebbe fatta star calma, sentiva che questa volta era diverso.
Non sapeva dire da dove le venisse tale sicurezza, ma aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. E questo la metteva ancora più in ansia.
Andò in camera da letto e si stese, giusto per provare ad addormentarsi.
Stranamente, qualche minuto dopo il suo respiro era regolare e il dolore alla pancia era solo un lontano ricordo, oscurato dal sogno che stava facendo.













Mille grazie ai preferiti, a chi segue la storia e chi la legge solo.

Marty McGonagall: ma quale modesto parere? I tuoi modesti pareri mi aiutano molto, invece. Oh certo, i battibecchi fra loro due temo che rimarranno sempre. Ecco bene, forse hai ragione tu, avrei dovuto parlare un po' di più del ritorno a scuola. Mhm... mmm... beh, ormai è un po' tardino per inserire altro, visto che si profila all'orizzonte un nuovo evento... Mea culpa, allora. Caspita, dopo una ola del genere ti dovrebbero dare il premio per la miglior tifoseria... complimenti la Curva Nord sì che è un esempio di tifo intelligente.

wanda nessie: dannazione, non so cosa risponderti... sono anche io senza parole. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.

bribry85: bene, in primis ti ringrazio dei complimenti, e in secundis sì, ti dò ragione, Francesca e Davide stanno diventando più complici.

GinTB: bene, e io sono ufficialmente orgoglioso di averti reso felice. Beh, non so se la mia storia ha effetti collaterali allucinogeni... dovrò controllare.

FeFeRoNzA: sono molto onorato che questa sia la tua prima recensione lunga... "tu sai descrivere la dolcezza che il bisogno di un abbraccio o di un bacio sa trasmettere a chi ama e a chi, come me, adora questi momenti." Caspita spero di essere all'altezza dei complimenti. Ahahaha sì, esattamente, hai colto nel segno, Francesca ci ha proprio preso gusto...

Urdi: Eh sai, non lo capisco manco io, e altro che bannarla, io la manderei direttamente a... beh, insomma... grazie dei rinnovati complimenti, sei molto gentile. Per il disegno: ma figurati, io non intendevo che devi farlo seriamente, è solo che è un commento che mi ha colpito molto. Deve piacerti tanto disegnare, allora. Ti auguro un buon proseguimento di settimana.

Nor: dunque... tu dici che è troppo presto perchè loro due si scoprano innamorati? Dovevo aspettare ancora un poco? Bene, vedrò di farti vedere un Davide così nei prossimi capitoli. E hai detto una cosa giusta... il parto si avvicina...

MissQueen: Buonasera a te. Oh che bello, grazie, ora so la radice quadrata di 166679044,8871, il che è molto utile. Va bene, d'accordo, non posso pretendere che tu -essendo una letterata- adori la matematica, come me. Va bé.
Ahaha sei un po' gelosa di Davide? Attenta che non ti senta Francesca... sì sì, ho capito che vuoi dire, beh grazie. Anche se ancora non hanno fatto nulla. Beh, come mi ha detto giusto stamattina una certa persona, "se qualcuno dedica anche solo un'ora della sua giornata, sicuramente ha molto tempo da perdere...". Dunque, secondo ciò, perderesti il tuo tempo. Ma fa piacere sentir dire certe cose.

_diable_: bene, meglio tardi che mai, e grazie tante dei complimenti. Non so se proprio da quei tempi del bar quei due erano innamorati... forse era troppo presto, almeno per Francesca.

Emily Doyle: dannazione, lo so, lo so che il Napoli ha vinto... purtroppo lo so... argh. Beh, dopo il fuori programma calcistico, eh, manca solo la nascita del bambino. Hai detto niente...

Jiuliet: Ciao. "Cresce ad ogni capitolo, come il pancione di Francy". Che bel paragone. E comunque, c'è sempre da imparare nella vita.

Devilgirl89: ma certo che San Marco è sempre lì... ci mancherebbe...dunque, bentornata. Ma quale scrittore nato... cosa c'è di me nel capitolo precedente?

ambris: grazie mille, spero di meritare questi complimenti...

Anomis: mamma mia che onore, quanti complimenti... onerosi e spero di non deludere le aspettative adesso. Caspita, grazie, grazie mille.  "questa storia con ogni capitolo che scrivi mi lascia dentro qualcosa, emozioni spesso anche contrastanti, mi lascia amarezza,simpatia,dolcezza...". Caspita, non ho parole. grazie.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Passò qualche ora, e il 27 settembre era cominciato.
Francesca dormiva silenziosa e tranquilla accanto a Davide, ormai immerso nel mondo dei sogni da tanto tempo.
La scenetta era insolita per le loro abitudini, eppure entrambi si erano addormentati subito.
Arrivò un evento inaspettato a rovinarla.
Francesca storse il naso nel sonno, infastidita da qualcosa. Mosse le palpebre, segno che aveva ripreso coscienza, e aprì gli occhi azzurri.
Sulle prime sentì solo una fitta dolorante e stavolta ben marcata alla pancia, che la fece gemere.
Però si sentiva strana, e dopo poco si accorse che era bagnata fra le gambe. Sussultò e sorpresa, messasi a sedere sul materasso, guardò giù.
Il lenzuolo era ornato ora da una macchia ben grande, fresca. Lei si spaventò e il secondo dopo capì cosa stava succedendo.
Il bambino stava arrivando.
Le si erano rotte le acque.
-Oddio!- esclamò a voce alta, e quel suo spavento suonò fortissimo nel silenzio notturno.
Subito, agitata ma lucida, scosse forte il corpo che stava accanto a lei.
-Davide? Davide?-
Frenetica e ansiosa lo rivoltò a pancia in su.
Il ragazzo gemette nel sonno, borbottando qualcosa.
-Davide il bambino!-  
Lui non rispose subito, ma prima sbadigliò; non aprì nemmeno gli occhi ma si limitò a dire con una voce bassissima e stanca
-Sì arrivo...-
-Davide!-
Notando che non aveva alcuna intenzione di alzarsi, Francesca si innervosì e come sempre, fece la prima cosa che le passò per la mente con l’intenzione di fargli male.
Afferrò la bottiglia d’acqua che stava sul suo comodino, veloce svitò il tappo e la rovesciò tutta sul ragazzo.
Davide, al sentire quella cascata gelida sulla schiena, colto alla sprovvista e tutto caldo per la dormita, gridò di sorpresa e si alzò immediatamente sui gomiti.
-Ma sei pazza? Che ca**o ti prende?- le urlò, senza badare ad abbassare la voce.
-Idiota, il bambino!-
-Il bambino che?-
-Sta arrivando ca**o!-
I due non si erano accorti di aver urlato tutto il tempo come se si trovassero agli estremi di un campo, per giunta nel bel mezzo della notte.
Davide non realizzò subito il senso della frase, troppo infastidito perché era stato svegliato di soprassalto. Quando però collegò le informazioni, impallidì.
-Oh ca**o! Oh porca pu**ana!- imprecò e nella foga di sbrigarsi scivolò giù dal letto.
Francesca sentiva il dolore farsi strada dentro di lei, e anche qualcos’altro, ma per fortuna, si disse, era riuscita a svegliarsi subito.
Il ragazzo si vestì a casaccio con le prime cose che gli capitarono sottomano, poi fra le proteste di lei impazzì letteralmente per trovare le chiavi della macchina e di casa.
Stavano facendo un tale casino che lui fu certo che i vicini avrebbero chiamato la polizia se non se ne fossero andati subito.
Francesca gemette molto più forte e fece una smorfia sofferente, ancora sdraiata sul letto, reggendosi il pancione.
-Dai forza...-
Vedendo che non ce la faceva a stare in piedi, Davide le avvolse con un braccio la schiena e con l’altro le prese le gambe, reggendola in braccio.
-Sbrigati!- lo incitò la ragazzina, sentendo il dolore acuirsi sempre di più.
-Ma perché diavolo ci sono tre piani di scale?- domandò lui al nulla, sforzandosi di essere veloce e di non farla cadere nello stesso tempo. Gli fu un po’ difficile anche perché la bionda continuava a contorcersi e agitata, e quelle dannate scale volevano a tutti i costi buttarlo giù.
Inoltre, dettaglio non trascurabile, lei non era certo una piuma.
Questo però, saggiamente, pensò di non dirglielo.
La bionda respirò forte per non gridare, chiudendo gli occhi e stringendo forte la maglietta di lui.
Finalmente scesero le scale e non senza imbarazzo uscirono fuori dal palazzo.
Il sole non era sorto e non sapevano che ora fosse, ma di certo era notte inoltrata. Il buio era avvolgente e non servivano i lampioni sparsi qua e là a farlo scomparire. La strada deserta non era invitante, ma per fortuna la macchina del ragazzo era parcheggiata sotto casa. Veloce lui aprì con una mano lo sportello e premuroso si assicurò che si sedesse comoda.
Poi corse dall’altro lato, salì e mise in moto.
Il rumore delle ruote che sgommavano per far retromarcia risuonò per tutto il quartiere, ma non se ne curarono.
Francesca chiuse d’istinto le gambe, sapendo che doveva trattenersi, ma gridò molto più forte delle altre volte.
Questo mise in agitazione, oltre che lei, anche Davide che premette di più sull’acceleratore.
-Se mi fai partorire in macchina giuro che è la volta buona che ti uccido!- rantolò sudata e tremante lei, ma ottenne comunque l’effetto minaccia.
-Più di così non posso! Vuoi morire per caso?- replicò irritato lui.
-Non me ne fo**e di quello che fai, basta che fai in fretta ca**o!-
-Ecco, abbiamo il premio Nobel all’educazione...- commentò il ragazzo.
-Stai zitto ti prego...-
Poteva sembrare quasi un’invocazione eccitante e oscena, ma il tono ansimante e supplichevole non era dovuto agli ormoni in subbuglio purtroppo. Lei si abbandonò respirando sempre più veloce allo schienale, chiudendo gli occhi.
Davide rinunciò a rispondere, vedendo che stava male sul serio e cercò di sbrigarsi.
L’ora anomala garantiva che per le strade non c’era anima viva. Era anche bello vedere la città così, dormiente e silenziosa, ed essere l’unico padrone delle strade; purtroppo non era possibile in quella situazione.
La macchina sfrecciò indisturbata fra le vie, dirigendosi in periferia dove si trovava l’ospedale.
Mentre oltrepassavano la rotatoria e imboccavano il viale fuori città, la bionda gridò di nuovo di dolore, mordendosi contemporaneamente il labbro. La grande costruzione bianca già si vedeva da lontano.
-Dai che siamo arrivati... dai forza...- le gettò un rapido sguardo molto preoccupato.
La macchina attraversò il casello con la sbarra e subito trovarono un posteggio vicino all’entrata, proprio davanti.
Davide spense la macchina e come prima fece il giro.
Anche se le mani gli tremavano ed era forse più agitato di lei, non poteva farsi vedere in difficoltà altrimenti per la ragazzina sarebbe stato peggio. Così anche se non aveva idea di dove mettere le mani la riprese in braccio.
La biondina indossava solo il pigiama, ovvero una maglietta a maniche corte slargata, e il pantaloncino arancione, ora tutto bagnato e umido.
Ciò la imbarazzava un poco, ma non le sembrava il momento più adatto per replicare e far capricci.
Davide entrò nell’atrio dove una donna sedeva dietro un banco; questa non appena li vide immediatamente si alzò in piedi.
Giusto in quel momento Francesca ebbe una nuova contrazione, più forte e dolorosa. La donna senza far domande capì subito la situazione e il ragazzo gliene fu molto grato.
Afferrò senza scomporsi il telefono che aveva sul banco.
-Dottor Sorrentino, in sala travaglio, c’è una ragazza che è appena arrivata-
Dopo qualche attimo una triade di infermiere li attorniarono e una di loro spingeva un letto.
Fecero sdraiare la ragazza sul letto, e parlando fra loro in termini che il ragazzo nemmeno ascoltò, chiamarono a gran voce un’altra donna.
Questa aveva i capelli racchiusi in un cappello bianco e indossava un camice. Davide non appena la vide sperò fosse una ginecologa, ma quella disse solo
-Presto dai, veloce!-
Francesca, da sopra il letto voltò il capo e guardò il ragazzo. Il suo sguardo era quasi implorante di non lasciarla sola con loro, di seguirla, di starle vicino e dagli occhi lucidi probabilmente presto le sarebbe colata qualche lacrima.
Ma lui, del tutto impotente e spaesato, non disse una parola mentre le infermiere cominciavano a trasportarla per il corridoio.
Però ricambiò il suo sguardo, seguendola finché poteva, finché non scomparve dietro un corridoio. Ebbe l’impressione che proprio alla fine lei avesse avuto un nuovo spasmo di dolore.
Si ritrovò improvvisamente solo, solo nel corridoio illuminato e senza la minima idea di cosa fare.
Un rumore di passi affrettati lo fece voltare, e vide un uomo, probabilmente un dottore perché aveva il camice, correre affannato per il corridoio, superandolo.
Quando gli passò accanto sentì una parolaccia accompagnata dalla frase
-Sala travaglio... dall’altra parte dell’ospedale-
Detto questo scomparve anche lui dietro lo spigolo del corridoio.
Davide non poté fare altro che sedersi su una delle tante sedie vuote laterali, e mettere un po’ d’ordine fra i pensieri. Immaginò ciò che stava succedendo.
Francesca era in sala travaglio; le infermiere l’avevano fatta sedere sul letto, dandole acqua e se voleva regolandole lo schienale del lettino; l’ostetrica la faceva aprire le gambe e il ginecologo controllava la situazione.
Poi rivide come in un flash il suo sguardo supplicante, lucido, sofferente. Poverina, si disse.
Era come se l’avesse abbandonata.
Abbandonata e lei testarda non l’avrebbe mai ammesso. Ma come per le cose importanti, ad un certo punto doveva riconoscere che non ce la poteva fare da sola e si aggrappava a lui come ultima salvezza.
Ebbe un momento di smarrimento.
Francesca l’aveva guardato. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva bisogno di lui.
E lui l’aveva lasciata sola.
 
E sarai per me tutto.
 
Fu come se uno schiaffo lo avesse colpito in faccia e scosse la testa per riprendere coscienza.
Poi si alzò immediatamente, sfregandosi i palmi sul jeans.
Si diresse verso la donna dietro il banco.
-Mi scusi sa dirmi dove...-
-La mappa è lì- fece quella annoiata, indicandogli una pianta a lato dell’ingresso. Lì dove c’erano le macchinette delle merendine e delle bibite, Davide lesse veloce, scorrendo sul dito i nomi degli ambulatori, sala parto. Era all’opposto di dove si trovava lui.
Continuando a guardare il punto per non scordarselo indietreggiò verso lo spigolo da cui erano spariti il dottore e le tre infermiere.
Superato quello, prima andava a passo veloce. Poi dopo un po’ cominciò a correre.
I passi delle sue scarpe sbattevano forte contro il pavimento dell’ospedale. Tutte le stanze che sorpassava erano chiuse, alcune a chiave, altre che lasciavano intravedere l’interno. Ebbe l’impressione che una o due volte alcuni infermieri si fossero girati dalla sua parte, attirati dal rumore che faceva percorrendo a passo di corsa l’ospedale, e gli avessero rimproverato qualcosa.
Lui però non si fermò ad ascoltarli, proseguendo a correre.
Arrivò nel reparto.
Corse per tutte le sale finché non trovò quella chiusa.
Poi all’improvviso gli balenò in mente un’idea.
Afferrò il cellulare e premette veloce, quasi alla cieca, i tasti.
-Pronto?-
Una voce sonnacchiosa e grande gli rispose.
-Mi scusi se la disturbo a quest’ora, dottore. Sono... il ragazzo di Francesca, Francesca Daniele- spiegò in fretta, battendo il piede a terra per l’agitazione.
-No, non importa- subito la voce del dottore si accese d’interesse –che succede?-
-Ecco, le si sono rotte le acque-
-Che aspettate? Portala in ospedale-
-Siamo già qui. E adesso è in sala parto-
-Arrivo subito-
Il dottore troncò la conversazione. Il ragazzo non poteva capacitarsi di come uno, a quell’ora della notte, potesse essere così sveglio e pronto. Lui, per esempio, non ci sarebbe mai riuscito.
Probabilmente, si disse, quel dottore ci era abituato, a queste chiamate. Non sapeva se aveva fatto bene a chiamarlo, ma credeva che fosse importante per la ragazza avere accanto, soprattutto ora che non sapeva a chi rivolgersi, una persona di cui fidarsi.
Guardò la porta.
Non poteva entrare forse, ma da fuori si sentivano lamenti e voci concitate.
Riconoscendo come la sua voce un grido di dolore più forte degli altri, Davide ruppe gli indugi e aprì di slancio la porta.
La sala era piccola, e un letto era posto al centro. Lì era sdraiata Francesca, con la testa poggiata contro un cuscino; le gambe aperte e una coperta sopra. Era attorniata da una donna, probabilmente l’ostetrica, che le parlava e provvedeva ad eseguire gli ordini del medico. Lui, quel dottore che aveva visto prima corrergli affianco, aveva le mani sotto il lenzuolo e parlottava concitato con l’ostetrica.
-Forza dai, spingi adesso- la invogliò la donna con sguardo fiducioso.
La bionda sul letto strinse gli occhi, lasciandosi cadere due lacrime sulle guance già bagnate, poi contrasse il viso e diede la spinta, gridando forte per il dolore.
Davide subito aggirò il letto e si precipitò accanto alla ragazzina.
-Ehi- le prese una mano e la strinse nella sua –sto qua-
Lei lo guardò e grata provò a sorridere. Però una nuova contrazione le fece fare una smorfia. Strinse forte la mano di lui aggrappandovisi come se ne dipendesse la sua vita.
-Scusi non si può stare qui- un’infermiere provò a spostarlo, ma il ragazzo, già provato dal sonno e da tutti quegli avvenimenti successi troppo in fretta, vedendo la ragazzina bionda così sofferente e con le lacrime agli occhi, si alterò.
-Oh non mi rompere eh!-
-Lascialo, lascialo...- si affrettò a dire il dottore, togliendo di mezzo l’infermiere.
Il bambino doveva essere ormai infiltrato per l’uscita, si disse Francesca; quel dolore era inumano, insostenibile e lei non vedeva l’ora che tutto finisse. Ma per quanto provava a spingere, a far forza sui muscoli e pregasse dentro di sé che quel maledetto bambino uscisse fuori in un modo o nell’altro, sembrava che la cosa non fosse tanto semplice. Aveva visto il dottore (uno sconosciuto che non sapeva manco chi fosse) scoccare sguardi preoccupati all’ostetrica. La donna, per quanto la invogliasse fiduciosa, non pareva molto convinta.
Ebbe la conferma alla sua teoria quando il dottore disse
-Non ce la farà mai. Non ce la fa a passare-
Davide guardò prima il dottore e poi vide il volto della biondina diventare bianco e la sua mano tremare. Si arrabbiò non poco.
Insomma, lei stava partorendo ed era così in confusione, e quel medico le dava il colpo di grazia dicendole che non ce l’avrebbe mai fatta?
Si chinò di più su di lei.
-Dai Francesca... dai...- l’ostetrica le rivolse un sorriso –respira-
La bionda non sapeva se piangere o gridare; sentiva un groppo all’altezza della gola che non voleva sgonfiarsi, e tutte quelle parole, quelle sensazioni, quel dolore erano insostenibili.
Provò a chiudere gli occhi per respirare, ma di calma non esisteva la minima traccia.
-Ha i fianchi troppo piccoli- sentenziò il dottore, abbandonando l’esplorazione della vagina – il bambino non ce la fa-
Poi ci pensò e disse
-Possiamo provare con l’episiotomia-
I due ragazzi erano sempre più spaesati e impotenti davanti all’operato del medico. Lui stava trafficando con arnesi, siringhe, aiutato dagli infermieri. Francesca ebbe una nuova contrazione e sentì distintamente che il bambino voleva uscire, con la testa. Forse ce l’avevano fatta.
Un attimo dopo, prima che potessero scoprire cosa fosse l’episiotomia, la porta si aprì.
Il ginecologo che aveva visitato la ragazza nei mesi precedenti osservò la situazione, e senza perdere tempo spiegò al collega
-Me ne occupo io, è una mia paziente-
Lui fu ben felice di lavarsene le mani, e mentre se ne andava Davide gli scoccò uno sguardo truce, rabbioso.
-Allora tutto a posto?-
-Mi fa malissimo- gemette fra le lacrime la biondina.
Il dottore si chinò per controllare la situazione, e il ragazzo ne approfittò per parlare con lei.
-Dai, puoi farcela. Dai amore. Forza- le spostò i capelli sudati dalla fronte.
Francesca lo guardò con gli occhi rossi, lacrimanti e con un’espressione sofferente in viso. Strinse forte il suo braccio.
-Non mi lasciare- disse.
Forse per la prima volta, oltre al sentimento passionale che provava per lei, si fece largo in lui un qualcosa di più profondo. Un qualcosa di più. E quando ascoltò le sue parole capì che forse era più dell’attrazione fisica, più del bambino stesso a legarli. Per questo pensiero profondo, per quello che vedeva, poco ci mancò che anche a lui colasse una lacrima sul viso.
Le prese la mano nelle sue e ne baciò il dorso.
-E chi ti lascia?-
Si scambiarono uno sguardo, un’occhiata velocissima, ma così intensa e intima che lei fece un piccolo sorriso e l’attimo dopo spinse con più vigore di prima.
Il dottore la incoraggiava a spingere, diceva che mancava poco.
L’ostetrica la rassicurava e intanto osservava il bambino che premeva per uscire.
Davide era solo uno spettatore impotente ed emozionato, che non faceva nulla ma desiderava sentirsi partecipe del suo dolore.
Francesca sentì il bambino uscire con la testa e convinta di essere arrivata alla fine, pensando che più doloroso non poteva essere, desiderò nient’altro che spingere e assecondò l’istinto. Ma fu doloroso. Si sentiva spaccata in due, voleva finisse tutto subito e infatti gridò di dolore, forse il più forte che avesse fatto finora. Non ce la faceva più, voleva che fermassero tutto.
-Dai dai... eccolo!-
-L’ultima spinta!-
Chiuse gli occhi e prese fiato, ormai tutta un tremito per gli spasmi, le contrazioni. Spinse fortissimo, reggendosi alla sbarra del letto e alla mano di Davide, il quale gemette per la presa ferrea.
-Eccolo eccolo!-
L’ostetrica, con le mani abili e allenate dall’esperienza, aiutò il piccolo bimbo a farsi strada fuori. Tutto ad un tratto lo tirò via.
Per la bionda fu come liberarsi tutto ad una volta dell’ansia, della pressione, del dolore e si tutto. Esalò un respiro e si appoggiò contro il cuscino, chiudendo gli occhi.
Il pianto del bambino suonò come musica dolcissima nella stanza. Tutti gli infermieri applaudirono forte e l’ostetrica portò immediatamente il bimbo al primo bagnetto.
Davide si alzò, curioso di vedere il bimbo e sgomitando fra la gente.
Lasciò la mano di lei.
 
Poi a metà strada si ricordò.
 
Scosse il braccio stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu sei uguale a tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te importa solo di quello stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide ascoltò quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza di un mattone.
-Cosa?- mormorò sconcertato.
Francesca lo guardò orgogliosa.
-Ancora non l’hai capito? Io un figlio non lo faccio-
 
Quei medici che ora esultavano per la riuscita del parto, che l’avevano incoraggiata durante le doglie, non sapevano quanto le era costato. Non sapevano cosa si celava dietro quel bambino, quel pancione. Non sapevano quanto le era costato farlo.
Si girò e la osservò seduta sul lettino. Aveva le gambe aperte e non voleva nemmeno immaginare quanto martoriata fosse là sotto. Aveva gli occhi gonfi di pianto, rossi e le guance bagnate. Ma soprattutto sul viso aveva un’espressione stanca, sofferta di chi ha dato tutto ed è arrivato al traguardo.
Immaginò fosse distrutta.
Gli occhi fissi nei suoi lasciò perdere il bimbo neonato e le si avvicinò.
Si sedette sul letto e aspettò la sua mossa.
Francesca si gettò letteralmente contro di lui, la fronte schiacciata sulla sua spalla e le braccia che gli stringevano la maglia.
Respirava forte, ansimante e presto Davide sentì la maglietta bagnarsi di lacrime.
 
-Alzati, forza- proseguì lui, tendendole la mano.
Lei afferrò il palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di fronte a lui.
Come se in quel momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce, irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò ancora. Stavolta non fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi, riempiendoli di lacrime.
Un fremito la travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il torace del ragazzo per reggersi in piedi e ricominciò a piangere.
 
Stavolta non ebbe esitazioni e la abbracciò con forza, sfregandosi contro la sua maglia sudata. Francesca pianse tutte le lacrime che si era trattenuta, tutto il dolore e l’agitazione che aveva provato, ben nascosta dal ragazzo.
Lui le accarezzò i capelli, baciandola sulla tempia e sussurrandole parole all’orecchio.
-Sei stata bravissima amore...-
Sentendo che la ragazza si stringeva di più e respirava più forte, anche lui la abbracciò di più. Quasi quasi poteva sentire il suo cuore battere agitato come lei, che piangeva silenziosa.
-è finita. È finita, ce l’hai fatta...-
Lei ebbe un singulto maggiore e Davide chiuse gli occhi; la sentiva, la sentiva sua.
-Il bambino è nato. Ce l’hai fatta-
Aspettò un altro bel po’ prima di lasciarla andare, assicurandosi che fosse tranquilla, e poi si sciolse dalla sua presa. Lei si asciugò con una mano le lacrime e respirò per calmarsi, scossa dai singhiozzi. Alzò gli occhi sulla scena alle loro spalle.
L’ostetrica reggeva fra le mani una coperta calda, e dentro quella era rannicchiato un piccolo fagotto gonfio. Stava aspettando il momento giusto per metterlo fra le braccia della mamma.
Davide si allontanò da lei, osservando curioso e in soggezione la coperta, rendendosi conto che era una scena sacra e inviolabile.
Francesca si mise più dritta e anche lei incapace di dire nulla guardò il piccolo bimbo che le veniva messo fra le mani.
Non ritrasse le mani quando la donna glielo porse, ma lo prese senza quel tipico sorriso delle madri che appena partorienti non vedono l’ora di stringere il loro bambino fra le braccia.
Lei era esitante, non sapeva come fare, ma accolse il peso che le passava la donna.
Davide osservò col respiro trattenuto la ragazza e il bambino.
-È una femmina- disse con un sorriso l’ostetrica.
Errata corrige, ergo.
Davide osservò col respiro trattenuto la ragazza e la bambina.
Improvvisamente gli venne la tremenda paura che lei la rifiutasse. Dopotutto l’aveva sempre detto che il bambino non lo voleva. Cosa avrebbe fatto ora?
Sembrò che tutta la stanza si fosse fermata in attesa di una sua reazione.
Francesca fissò le iridi azzurre sulla bambina che teneva fra le mani.
La bimba era avvolta da quella coperta ma l’effetto di non farle sentire freddo non avveniva, perché cominciava ad avere le labbra violette. La pelle aveva ancora qualche residuo del liquido embrionale in cui era stata rinchiusa, e la testa era cosparsa di capelli scuri, sparati in tutte le direzioni, appiccicati alla cute.
Teneva gli occhi chiusi, la piccola bocca schiusa che dava i primissimi respiri, e le braccine abbandonate sul petto, i pugni stretti.
Quel momento in cui la bionda ragazzina fissò la bimba sembrò infinito, come imperscrutabile era il suo viso. Non si riusciva a capire cosa stesse pensando, se fosse contenta o desiderasse solo liberarsene al più presto. Lui immaginò che nemmeno lei riuscisse a capacitarsi di cosa teneva in braccio.
Ad un certo punto sollevò il braccio sinistro, su cui era poggiata la testa,  per veder meglio il corpicino. Chissà cosa le passava per la testa, si domandò Davide, ma ancora non si poteva dire che fosse finita.
Finalmente la lunga attesa finì, e con quale finale migliore, quando Francesca alzò la testa verso la sala e poi guardò lui, sulle labbra un gran sorriso
-È bellissima, assomiglia tutta a me!-
L’intera sala ed equipe di infermieri, il dottore e l’ostetrica cominciarono a battere le mani, e Davide e Francesca si guardarono.
Lui scosse la testa divertito, ma lei ostentò un’espressione strafottente, delle sue solite. Nemmeno ora osò avvicinarsi, temendo di rovinare quel momento che sembrava così perfetto, naturale.
La biondina guardò nuovamente la bimba, tornando a mettere sulle labbra quel sorriso dolcissimo che il ragazzo, anche se non lo diede a vedere, invidiò un po’.
Invidiò perché non era lui la causa di esso, e perché un sorriso così non gliel’aveva mai visto addosso. Nei successivi confusionari minuti lei non lo degnò di un solo sguardo, troppo impegnata ad occuparsi della bambina.
Un infermiere domandò come si chiamasse.
Entrambi si guardarono, un po’ sorpresi.
-Come?-
-Il nome della bambina- spiegò l’infermiere.
Francesca guardò Davide e Davide guardò Francesca.
Poco ci mancò che non si mettessero a ridere.
Possibile che non ci avessero minimamente pensato, al suo nome?
Non si erano mai posti questo problema. La bionda arrossì molto, imbarazzata.

-Ehm...- cominciò lui, facendosi scappare un sorriso da sotto le labbra.
Un nome gli era venuto alla mente, immediato come se esistesse da tempo, ma incerto fissò la ragazzina. Voleva dirlo, ma al momento di pronunciarlo stette zitto.
Sorrise.
Credeva che spettasse, dopo tutta la fatica fatta, decidere a lei. Provò a farle capire con lo sguardo che aveva carta bianca. Lei intercettò i suoi occhi verdi.
Poi stette un attimo in riflessione.
-Emanuela- decretò.
Davide non udì che il suono della sua voce, senza realmente capire subito il nome che aveva deciso. Fu solo felice e fece un gran sorriso.
Felice di avergliela data vinta per quella volta. E aveva intenzione di farla vincere ancora, e ancora.







Dunque, ringraziamo i preferiti, i recensori, quelli che leggono soltanto e chi segue la storia.
Per scrivere al meglio questo capitolo mi sono avvalso di un tomo di medicina.

Emily Doyle: non è che non sono tifoso del Napoli, anzi essendo una squadra del sud la prendo in simpatia, il fatto è che giocava contro l'Inter, capisci? Va be', chiuso argomento fuorviante. Esattamente, il povero Davide è stato costretto a svegliarsi nel cuore della notte.

Devilgirl89: una statua alta 30 metri? Ahahaha scusa se rido ma se ci penso... per quanto è alta basterebbero un metro e cinquanta. Ecco il nuovo personaggio, e io... non so, continua a leggere e poi dimmi tu a chi assomiglia.

Marty McGonagall: grazie mille, Martina. Be', vedi un po' tu com'è andata col bambino... anzi, bambina.

MissQueen: dunque, ho letto un libro al riguardo... roba di mia madre, e ne sono rimasto talmente schifato (perdonami la parola) che ho immaginato come si dovesse sentire Francesca (secondo il mio punto di vista, naturalmente). Beh, per una "letterata" come te mi pare che sette non sia un cattivo voto in matematica. Sei una genietta... (dove l'ho già sentita sta frase?)


Urdi: felice di averti rallegrato la giornata, grande artista! Davide e Francesca? te li puoi prendere quando vuoi, la smetteranno di rompermi almeno. E se vuoi ti regalo anche la bambina. Grazie di aver recensito.


FeFeRoNzA: Buonasera a te. "Povera Francesca che doloooreee" è esattamente ciò che penso io. Ora dimmi che ne pensi del 'fatidico' capitolo.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Un braccio giaceva abbandonato sul materasso di un lettino d’ospedale, illuminato solo dalla luce della lampada.
Al polso del braccio era legato un piccolo braccialetto color carne, recante una targhetta numerata e con un nome.
Francesca Daniele.
Al di là del letto, addormentata placida nella culla, una bambina aveva lo stesso bracciale.
Emanuela Ferri.
Quella stanza era la più silenziosa del reparto. Il sole era probabilmente già sorto e alto nel cielo, ma la biondina stesa sul letto non sembrava avere l’intenzione di volersi alzare. Anzi, persisteva a dormire, stanca come se avesse corso la maratona, distrutta come se avesse combattuto una battaglia. E in effetti, una battaglia con se stessa l’aveva combattuta, e vinta.
Ora da bravo soldato si concedeva il meritato riposo.
Le coperte erano avvolte attorno al corpo della ragazza e le serrande erano abbassate. Emanuela era nata tra le due e le tre della notte, e la sua mamma dormiva dalle quattro e mezza senza interruzioni. Sul comodino c’era il suo cellulare, una bottiglia d’acqua e un bicchiere, fazzoletti.
Poi un pigiama pulito. Davide aveva fatto l’andirivieni per tutta la notte fra casa e ospedale, e possiamo immaginare che anche lui stesse dormendo indisturbato.
L’orologio segnava le dieci passate da un po’.
Due colpi alla porta, e nessuno rispose da dentro, ovviamente.
Allora la porta si aprì. Il contrasto fra la stanza e il corridoio era lampante, infatti da fuori entrò una luce violentissima che investì la ragazzina in pieno volto.
Davide, non volendo svegliarla, la richiuse in fretta e si infilò dentro. Poggiò una busta che teneva in mano sulla sedia, poi si avvicinò lento al letto.
Sotto gli occhi due occhiaie testimoniavano quanto poco aveva dormito; ma anche se a casa ci aveva provato, non era comunque riuscito ad addormentarsi, troppo eccitato e preso dai pensieri. E non sopportava di dover essere lì da solo mentre le sue due ragazze stavano in ospedale. A quel pensiero arrossì e si diede dello stupido da solo.
Non era opportuno.
Così si sedette al pizzo del letto e posò una mano sulla gamba di lei.
Lento la fece salire più su, con un andamento così leggero da non svegliarla.
Quel giorno non voleva finire mai, ed era appena cominciato.
Guardò la culla a fianco del letto. Chissà se dormiva, la bambina.
Lui forse era l’unico, fra i tanti che avevano assistito al parto, a non aver visto per bene la bimba. La figlia, per meglio dire.
Ancora non riusciva a capacitarsi che sul serio, era diventato papà. Poi un pensiero malinconico, triste e guastafeste si impadronì di lui.
E se Francesca avesse deciso di andare a vivere con la bambina da Damiano?
Aveva visto il suo sguardo mentre teneva in braccio la bambina. Forse non l’aveva mai vista tanto felice.
E ora che la bimba era nata, lui non gli serviva più.
Francesca aprì gli occhi lenta e assonnata, girando la testa dalla parte opposta.
Si tolse un ciuffo biondo che le ostruiva la vista e sorrise al ragazzo.
-Ciao-
Lui ricambiò il sorriso e si spostò fino a raggiungere il suo viso, stando seduto. Con una mano la aiutò a risistemarsi i capelli.
-Come stai?- domandò gentile.
-Ho tanto sonno- rispose incrociando le braccia dietro la testa.
La bionda allungò una mano per toccargli il viso; lui la lasciò fare e disse
-Ti ho portato qualcosa da mangiare-
-Ma tu non hai dormito per niente- osservò lei.
Poi girò la testa verso l’orologio e si alzò a sedere bruscamente.
-Ehi ma è tardissimo!-
Scivolò giù dal lettino e si avvicinò alla culla.
Emanuela aveva aperto gli occhi e impotente osservava tutto ciò che le stava intorno. Muoveva lenta le piccole braccia e quando la ragazza la prese in braccio spalancò gli occhi.
Occhi che non avevano colore, occhi indaco, che ancora non sapevano vedere.
Francesca si sedette sul letto con in braccio la bambina, poi si slacciò i bottoni della camicia da notte.
-Sicura che sai come si fa?- la scherzò lui, in realtà con la gola secca e incantato per lo spettacolo che gli veniva offerto.
-Certo, mica sono scema-
Lei prima di scoprirsi il seno gli rivolse un’occhiata sospettosa, poi gli permise di guardarla mentre allattava la bambina.
Emanuela sembrava sapesse perfettamente come muoversi, perché dopo un paio di tentativi andati a vuoto, cominciò a bere.
La ragazzina la osservava sorridente e con un’espressione dolce, affettuosa che Davide non le aveva mai visto. Lui stette in silenzio a contemplare la scenetta finché lei non ruppe il silenzio.
-Stanotte dopo che te ne sei andato l’hanno fatta stare nell’incubatrice; aveva troppo freddo-
Non si guardavano, come se entrambi fossero imbarazzati e non trovassero nulla da dire. Quella notte erano successe così tante cose, ne erano cambiate tante che ancora non avevano metabolizzato le novità. Non sapevano quasi cosa dirsi, eppure il ragazzo ne aveva tante, di cose da chiederle.
Come stai? Cosa vuoi fare? Perché Emanuela? Cosa hai provato? Cosa provi per me? Mi ami ancora?
Ecco, forse l’ultima era la più inquietante e al tempo stesso quella che voleva farle per prima.
-Non dici niente...- commentò lei, alzando gli occhi su di lui mentre con una mano aiutava la bambina a bere meglio.
-Cosa devo dire?- replicò alzando le spalle. Era un po’ triste, un po’ felice. Felice ovviamente per la bambina, per la gioia che provava Francesca. Triste perché non sapeva cosa sarebbe successo dopo. Aveva visto sia i suoi occhi piangere e chiudersi per il troppo dolore, sia brillare di felicità quando aveva preso in braccio la bimba.
-Beh non so... da quando è nata lei non hai detto nulla...- qui si fece seria e smise di sorridere –cosa stai pensando?-
Anche la biondina aveva paura della sua risposta, ma fece comunque la domanda. Sentiva che qualcosa in lui non andava, che si stava tenendo dentro un dubbio. O forse una verità.
Improvvisamente si guardarono l’uno spaventato dell’altra.
Sembrava che da un momento all’altro si dovessero dare una brutta notizia. Francesca come al solito fu la prima a parlare e a dire quello che le passava per la testa.
-Cosa pensi? Cosa pensi della bambina?-
Davide abbassò lo sguardo su Emanuela che stava ancora bevendo dal seno della mamma.
-È molto bella- disse.
Francesca la staccò, riprendendola in braccio e lasciando che tornasse a dormire. Tremava tutta perché era certa che lui non stesse dicendo la verità. Credeva che volesse abbandonarle entrambe. Il solo pensiero riusciva a renderla agitata.
Poi ebbe un’idea.
-Tieni-
Gli allungò la bimba che aveva chiuso di nuovo gli occhi.
-A me?- chiese stupito, indicandosi.
-E a chi? Ma che, hai paura?- gli fece un ghigno strafottente che celava la paura che improvvisamente si era impossessata di lei.
-Macchè...-
In realtà, se doveva dir la verità, un po’ di paura l’aveva; non aveva mai tenuto in braccio un neonato prima di allora. E se l’avesse fatta cadere?
Non voleva mostrarsi insicuro, specie davanti a lei, così allungò le mani per prenderla in braccio.
Esitante lasciò che la ragazza la poggiasse sulle sue mani. Impacciato perché non sapeva come fare, Francesca se ne accorse
-Non ti preoccupare lo so che non sai nemmeno prenderla in braccio. Ma tanto non cade, sta’ tranquillo-
Davide si fece rosso per l’imbarazzo e si imbronciò, ma sistemò meglio la bimba fra le mani, un po’ più sicuro.
Emanuela si era pacificamente riaddormentata, gli occhi chiusi e il piccolo respiro che fuoriusciva dalla bocca. Aveva della pelle screpolata sulla fronte, così lui pensò di toglierla. Il suo dito, rispetto alla fronte e al naso e alla bocca e a tutto pareva enorme. Le spostò anche un ciuffo di capelli scuri dalla fronte, mandandolo di lato. Sorrise involontariamente quando la vide fare una smorfia.
Francesca non aveva perso una sola mossa ed era più tranquilla ora; forse si era semplicemente sbagliata e lui non voleva lasciarle sole. No, si disse, lui non era così e ormai l’aveva imparato.
-Mettila nella culla prima che quei ca**o di medici la sveglino- disse, sbadigliando forte.
Il ragazzo fece come gli aveva detto, non senza difficoltà. Una volta che l’ebbe stesa sul piccolo materasso la guardò dormire dall’alto. Era così piccola e indifesa, gli venne da pensare spontaneamente. Ora erano soli.
Non voleva voltarsi, non voleva parlarle perché già sapeva che gli avrebbe detto: “Voglio tornare a vivere da mio padre”. Non sarebbe stata la stessa cosa, e già lo sapeva. Lui non voleva essere solo il suo amico, no, lui voleva qualcosa di più. Ormai non era pronto a rinunciare a lei.
Per cui non si girò, ma fece finta di osservare la bimba finché non lo chiamò.
-Davide?-
Anche Francesca aveva paura che si voltasse e le dicesse: “Non posso tenere la bambina”. Allora che avrebbe fatto?
Il ragazzo si girò, fissandola dritto negli occhi.
Ti prego non dirlo.
Ti prego non farlo.
Entrambi non volevano sentire uscire dalla bocca dell’altro quelle parole, ma entrambi volevano affrettare quel momento.
-Mi vuoi lasciare?-
Davide si avvicinò al letto.
Francesca schiuse le labbra sorpresa; di certo non si aspettava quella domanda.
-Io no. Tu?- ansiosa stette in attesa della risposta.
Anche il ragazzo fu stupito della richiesta.
-Io no!-
Si fissarono per un attimo, sorpresi dalle risposte e dalle domande. Poi la bionda sorrise e lo tirò a sedersi accanto a lei.
-Credevo che tu mi avresti lasciata in mezzo alla strada- confessò arrossendo.
-Ma che dici? No! Io credevo che tu volessi lasciarmi e andare a vivere da tuo padre!-
Tutti e due capirono di aver frainteso le intenzioni dell’altro e sorrisero, un po’ stupiti.
-Non voglio andare a vivere da mio padre!-
-Oh ma che stupido... scusa, non volevo dire questo... cioè io credevo che...- aveva paura che lei si arrabbiasse per la mancata fiducia che le aveva dato.
-Scusami...non volevo dubitare di te...- sorrise storto e incerto, poi la guardò con espressione esitante.
-Mi perdoni?- domandò.
Francesca non voleva perdonarlo, perché non aveva nulla di cui scusarsi: anche lei aveva dubitato di lui. Non voleva perdonarlo, ma solo ringraziarlo. Non aveva scordato le parole che le aveva detto mentre sofferente minacciava di mollare tutto, e come invece di precipitarsi dalla bambina si era preoccupato di come stesse lei appena dopo partorito. E non solo, l’aveva consolata e pure fatta innamorare.
Credeva che non servisse altro per giustificarlo.
Senza ascoltare quello che stava dicendo, gli infilò le mani fra i capelli e lo baciò. Aveva così voglia di sentirlo, di farlo suo che per poco non lo travolse, facendolo cadere per l’impeto.
Davide si trovò impreparato al suo assalto, ma fu ben felice di rispondere adeguatamente.
Aveva così voglia di lei da non calcolare la forza messa nel trasporto.
La stese sul letto, riprendendo a baciarla più piano, più dolce, più eccitato o forse tutto insieme.
Come si era innamorato di lei non lo sapeva.
Erano due cose totalmente diverse, due entità separate, opposte, che forse proprio per quello erano perfette insieme.
Semplicemente perfette.
C’era sempre stata, nella sua vita qualcosa di più importante di una ragazza.
La famiglia, il lavoro, gli studi.
Forse adesso, davvero, non esisteva nulla più importante di lei. Niente.
Francesca non desiderava altro che essere tutta sua; voleva essere l’unica, la sola capace di farlo sciogliere così. E sentirsi importante, sentirsi amata.
La faceva stare così bene, finalmente al sicuro da ogni paura, preoccupazione tanto da poter essere felice.
Quello che Davide era stato per lei, nessuno; nessuno era stato capace di capirla, di ascoltarla come faceva lui. Con la stessa semplicità che aveva lui. Con lo stesso sguardo, e la stessa voce che aveva lui.
Questo pensiero molto profondo, e intimo, e irrazionale e detto con sincerità, la fece tremare e gli occhi cominciarono a pungerle.
Non sapeva perché, ma mentre lo stava baciando alcune lacrime scivolarono dagli occhi alle guance, per poi disperdersi in mezzo alle loro labbra.
Quando Davide avvertì il sapore salato inequivocabile si staccò di poco. Aspettò che lei dicesse qualcosa. Francesca schiuse le palpebre, rivelando due occhi azzurri e umidi.
-Vedi?- domandò facendo in modo di guardarlo negli occhi. Imbarazzata cercò di asciugarsi e di far cessare le lacrime. Il ragazzo le spostò quella frangia bionda che le cadeva sul davanti.
La bionda sorrise e di nuovo due lacrime bagnarono il suo viso.
-Sei l’unico capace di farmi piangere- disse in poco più che un sussurro.









Perdonate il capitolo corto. Grazie a tutti quelli che leggono questa storia e la recensiscono.

GinTB: già, penso anche io che sia una cosa insita in ogni ragazza... anche nella più orgogliosa del mondo. Grazie della recensione.

FeFeRoNzA: beh, grazie tante. Non volevo che il parto fosse tutto rose e fiori, e tutti felici e contenti. Volevo descrivere come anche se sia doloroso lei abbia avuto il coraggio di farlo. E quante mamme partoriscono col cesario (non voglio nemmeno pensarci). Insomma, non è facile. però ne vale la pena, no?

Nells: ciao a te! Ti ringrazio molto dei complimenti che mi fai, sei molto gentile e spero di meritarmeli. L'essere riuscito a trasmettere bene le emozioni è un gran risultato. E grazie a voi, per aver letto.


Marty McGonagall: Buonasera, Martina. Oddio, non ho vissuto un'esperienza del genere, e non la vivrò mai. Mentre leggevo il libro di medicina immaginavo quanto dolore si potesse provare. E non volevo che partorire fosse una cosa facile per Francesca.

P.s: sì, Davide aveva un altro nome in mente. Dunque, lui avrebbe preferito chiamarla... Miriana. Sì, credo proprio che sia così.

Nor: emanuela? Boh non so, m'è venuto sul momento, ero molto indeciso. La storia è autobiografica solo e unicamente per il carattere di Davide. Non ho mai vissuto una situazione così incasinata.


vero15star: sono certo che non hai affatto bisogno del mio aiuto per trovare un ragazzo del genere. Ecco, ti cito una parte di una recensione che mi hai lasciato:

"Francesca non è la semplice ragazzina quasi 17enne che si ritrova incinta e allora scoppia la tragedia. Francesca è una ragazza che sa essere forte e fragile allo stesso momento come tante persone in questo mondo. In questo forse mi assomiglia. A lei non piace sentirsi debole,non le piace cadere e non sapere rialzarsi,non le piace chiedere aiuto.E in questo credo di assomigliarle troppo,forse è anche per questo che all'inizio non mi piaceva. Avevi in un certo senso descritto la parte del mio carattere che io detesto,e non lo sopportavo. Ora invece questa nuova Francesca mi piace molto. Perchè adesso non ci sono solo "difetti"ma ci sono anche pregi."
Esattamente, è così. Ed è bello che tu l'abbia capito. Grazie dei bei complimenti che mi fai ogni volta.

Oasis: grazie per la recensione, felice che ti piaccia.


Jiuliet: eh sì, era ora, credo che si fosse stancata di star sempre chiusa nella pancia di Francesca. Grazie mille.


Emily Doyle: ahahah beh mi dispiace che non ti piaccia il nome Emanuela. Tu come l'avresti chiamata? No, però non mi puoi dire che ti ho fatto passare la voglia di avere figli. Ce l'avrei sulla coscienza.


wanda nessie: viva la vita sì. Era d'obbligo farla nascere femmina. Certo che continuerò, che faccio, la lascio proprio ora che è quasi finita?


Devilgirl89: sua "Altezza" ti ringrazia dall'alto del suo broncio orgoglioso. Una donna già mamma? Caspita, non so se è un complimento questo... beh sai, ho raccolto informazioni da film, da libri, dai racconti (estenuanti) di mia madre, mia nonna e le mie zie... e poi sai quante volte ho fatto la veglia in sala parto?

Argh, una cena tutti insieme... che bello... non so se sarà realizzabile

MissQueen: beh, fortunata tua madre, e brava tu che hai fatto presto ad uscire. Forse bisognava anche farla soffrire a Francesca.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


-Eccola-
Francesca mostrò con un gran sorriso la camera da letto a Paola, camera dove era stata aggiunta una culla adesso. L’amica subito si precipitò a guardare.
-Mio Dio che bella!- esclamò sorridendo entusiasta.
-Vero? Vero che mi assomiglia?-
-Caspita...-
Il suo era un sussurro quasi di venerazione, incredula di quello che stava ammirando. Emanuela, rinchiusa con sapiente gusto in un vestitino bianco, era ficcata sotto le coperte rimboccate e, come suo consueto, dormiva.
-Un po’ ti assomiglia, direi...- commentò.
-Il dottore ha detto che gli occhi ancora non sono del colore giusto. I capelli si vedrà dopo, quando questi le cadranno...-
Con un gesto affettuoso si sporse e le aggiustò un lembo del colletto.
-A lui? A Davide non ci assomiglia?-
-Sì, l’unica cosa che ha preso da lui è che dorme sempre- sorrise strafottente la bionda.
Paola rise e poi tornò a guardare estasiata la bimba.
-Non ci posso credere... non ci posso credere che hai una bimba!- disse.
-Per dir la verità manco io-
L’altra osservò prima il viso, poi la pancia dell’amica.
-Sbaglio o sei dimagrita?-
-Seee...- fece la ragazzina bionda, scettica. Neanche osava guardarsi allo specchio.
Però una cosa doveva ammetterla.
-Una cosa è vera... sto mangiando di meno. Sai, le uniche cose che mi fanno bene sono i broccoli... il dottore ha detto che fanno bene alla bambina. Vietato mangiare cetrioli...- ricordò –e poi io e Davide ci siamo organizzati-
Sorrise al ricordo.
-Io dormo all’incirca alle otto e mezza, subito dopo che lei ha mangiato. Davide va a letto più tardi. Poi la notte, di solito alle quattro, sua maestà- scoccò uno sguardo di rimprovero alla culla –si sveglia, e piange... Io mi sveglio e la faccio calmare, poi torniamo a dormire tutte e due-
-E come fai a rimanere sveglia a scuola?- domandò con curiosità.
Beh, una volta si era addormentata sul banco, durante la spiegazione del professore di fisica, ma a parte quello non dava segni di cedimento. Il che era sbalorditivo, secondo Paola.
-Boh. Poi prima di andarmene a scuola mangia di nuovo. E la tiene Davide tutta la mattina-
-Caspita. Certo che siete bravi, eh...-
La culla dove dormiva Emanuela aveva le sbarre in legno, colorate di un verde chiaro. Dentro erano ammucchiati vari sonagli, carillon e pupazzi portati da Damiano. Erano appartenuti a Francesca una volta, quando era più piccola. La culla era stata un gentile regalo della mamma di Davide, che una volta saputo il fatto fu ovviamente entusiasta. A Francesca scappò un sorriso divertito ricordando come erano andate le cose.
 
Davide esitava sulla soglia della cucina e Francesca gli scoccava ripetute occhiate eloquenti e minacciose, seduta sulla poltrona. La signora era tutta felice e stava preparando un vassoio di biscotti da abbinare al tè. Miriam, la sorella di Davide, osservava divertita la ragazzina bionda, della sua stessa età, dare ordini al fratello.
-Se non glielo dici ti ammazzo stasera- sibilò al suo indirizzo, a denti stretti per non farsi sentire.
Il povero ragazzo aveva detto alla madre che loro due stavano insieme. Per quanto la differenza d’età fosse ampia, lei non aveva detto nulla e si era precipitata in cucina a far da mangiare, dopo aver obbligato la figlia a rimanere nel salotto. Ma c’era un’altra cosa, non proprio indifferente, che non le aveva detto, e cioè di Emanuela.
Ora erano seduti l’uno di fronte all’altra, e Miriam accanto al fratello.
-Scusa la mamma. È che non le capita spesso che i miei fratelli portino a casa ragazze- disse lei, rivolta a Francesca, per spezzare la tensione.
La bionda sorrise e spostò gli occhi su Davide.
-Beh, non posso biasimarla...-
Che faccia d’angelo, si disse lui in senso ironico, arrossendo imbarazzato.
-Beh scusa, non mi risulta che tu abbia mai portato fidanzati- ribatté.
-Il fatto che non li ho presentati a mamma non significa che non ne ho- concluse sua sorella, sorridendogli.
-Rassegnati Davide...- iniziò Francesca.
-...non sei un playboy- completò Miriam.
Lui spostò lo sguardo incredulo dall’una all’altra. Ma che avevano contro di lui quelle due?
Sua madre tornò nel salotto, carica di un vassoio e del tè.
-Scusate il ritardo... ma il gas non si accendeva... – incominciò, interrotta a metà dalla figlia.
Miriam scambiò un’occhiata complice con Francesca e disse
-Vabbé ma’, non credo che gli interessi. Piuttosto, Davide deve dirti una cosa... una cosa molto importante-
Il ragazzo sbiancò. Come faceva sua sorella a sapere?
Guardò con gli occhi stretti la biondina, che si curò di non incontrare il suo sguardo, servendosi il tè. Poi quando vide la faccia che aveva fatto, poco ci mancò che scoppiasse a ridere.
Quelle due l’avevano fregato.
-Ehm...  – fece, imbarazzato e soprattutto senza avere la minima idea di come iniziare.
Francesca posò la tazza sul tavolo e lo fissò con sguardo penetrante.
-Cosa devi dirmi?- incalzò sua madre.
Dannazione, si disse, gettando una rapida occhiata alla sorella. Non c’era via di scampo.
-Muoviti- gli disse a denti stretti la bionda, irritata.
-Ecco...-
I suoi occhi azzurri accesi di cattiveria e minaccia erano decisamente più spaventosi di qualunque cosa avesse potuto dire sua madre.
-...ecco... io e Francesca...ehm...-
-Abbiamo una bambina-
Oddio, l’aveva detto. Abbassò gli occhi, e imbarazzato all’ennesima potenza arrossì. Ora arrivava il peggio.
Francesca guardò con apprensione sua madre. Miriam lo sapeva già, ed era anche venuta a trovarla. Ma ora, che diamine avrebbe detto sua madre?
-E che aspettavate a dirmelo?- saltò fuori, dando un’occhiata ammonitrice al figlio.
Lentamente Davide alzò il capo e Miriam lo salvò.
-Sai, voleva farti una sorpresa. Anche perché è una bimba bellissima!-
-Tu lo sapevi?- domandò sconcertata alla ragazzina.
-Beh...-
-E non mi hai detto nulla?- tuonò la signora.
Davide e Miriam si strinsero nel divano, indietreggiando impauriti dallo sguardo della madre. A Francesca veniva da ridere, ma pensò di trattenersi perché non era il caso, e perché non voleva perdersi la scena.
-Davide... come puoi pensare di venirtene qui e dirmi una cosa del genere?- si alzò in piedi e i due fratelli indietreggiarono contro lo schienale.
-Volevo dirtelo... ma non sapevo come fare!- si giustificò.
Sua madre si era avvicinata e lui chiuse gli occhi, pronto ad uno scappellotto. Era cresciuto, ma non aveva scordato quanto potevano essere pesanti le mani di sua madre. Fra i tre, lui era quello che si era preso più botte di tutti, perciò non dubitava della forza della donna. Inoltre uno schiaffo preso da una mamma fa sempre una certa impressione.
Invece l’attimo dopo se la ritrovò abbracciata, che lo stringeva.
-Sono felicissima! E ora dov’è?- disse, sorridendo.
-Ce l’ha suo padre- disse, indicando la bionda.
Francesca si mordeva un labbro convulsamente, per trattenere le risate. Doveva farcela, si impose. Non poteva ridere davanti a sua madre.
Qualche manciata abbondante di minuti dopo, il ragazzo stava caricando nel bagagliaio della macchina i pezzi sfusi della culla. Tornato in macchina la biondina gli sorrise maliziosa.
-Cocco di mamma- gli pizzicò una guancia.
Davide arrossì e divenne imbronciato, afferrando il volante.
-Oh, smettila!- la rimbeccò.
Vedendo che sembrava irritato più del normale gli disse
-Bravo. Sei stato bravo sai?-
-Perché con tuo padre è stato tutto così facile?- domandò.
-Perché mio padre è mio padre, e tua madre è tua madre- rispose semplicemente, accendendo il cellulare.
Lui era un po’ seccato e non rispose, mangiandosi la replica acida.
-Amore- lo chiamò scherzosa, allegra e contenta.
-Eh sì... quando ti fa comodo, amore, sennò idiota, co****ne...-
 
Francesca era abbastanza contenta di come stavano andando le cose. Emanuela dormiva e mangiava, ma questo non le impediva di svolgere una normale vita da diciassettenne. Il suo compleanno era passato e Davide aveva portato a  mangiare fuori tutte e due. Era stata una bella serata.
 
Davide era seduto al tavolo, indossando una camicia nera che gli conferiva un’aria diversa dal solito. Il tavolo era adornato da una tovaglia bianca, lucida e da una candela accesa. Oltre ovviamente a fiori, posate, piatti e il sale e il pepe.
Francesca indossava un bel vestito nero, con le ballerine e una borsa verniciata. Sorrideva imbarazzata; aveva i capelli biondi resi mossi dalla spuma, un nuovo paio di orecchini e un filo di trucco sul viso. Era veramente bellissima. Emanuela stava accanto al suo posto, nella carrozzina e osservava la mamma con gli occhi aperti. Questi saettavano curiosi, beandosi di quei giochi di luce che creavano i lampadari di cristallo, delle voci concitate dei presenti e delle risate del papà.
-Caspita è bellissimo questo ristorante!- sussurrò ammirata, osservando il bel panorama a lato.
-Lo so-
-Deve costare molto- osservò poi, mordendosi un labbro.
Davide sorrise gentile e si appoggiò allo schienale.
-So anche questo-
-Non dovevi portarmi a mangiare qui- disse poi lei, tormentando la borsetta.
-Sì che dovevo. Mica si compiono tutti i giorni diciassette anni- sorrise sornione.
-Anche questo è molto bello-
Francesca allungò la mano sul tavolo: all’anulare ora era infilato un piccolo cerchietto d’oro bianco.
-Eh beh... volevo farti un bel regalo-
-Grazie- si fece strafottente e aggiunse –stupido. Non hai i soldi per pagare-
-Anche se fosse? Ce ne andiamo via prima- le fece l’occhiolino, mettendo le mani dietro la nuca.
Francesca si arrese e spostò gli occhi azzurri sulla bambina.
-Buona sera- le sorrise aggiustandole le coperte. Lui la osservò; era bellissima quella sera ed era bellissima con quel sorriso dolce addosso. Ma era bellissima anche con il suo sorriso strafottente sulle labbra.
Un cameriere passò oltre il loro tavolo e gli occhi di Emanuela subito scattarono a catturare il movimento. La biondina abbassò la voce e disse
-Caspita, già ti piace quello lì?- si girò per guardarlo –Mah... non mi ispira. Meglio l’altro-
La prese in braccio, permettendole di guardare il ragazzo.
Davide chinò la testa da un lato e la guardò attento.
-Amore- disse con un gran sorriso.
-Che?- domandò Francesca guardandolo.
-No, mica a te dicevo... dicevo alla bimba. Altrimenti avrei detto ragazzina-
-Ah sì? Bello st****o!- fece.
L’attimo dopo però si fece scappare un sorriso che la tradì.
 
Andava a scuola regolarmente, un po’ più stanca forse, ma Davide era sempre pronto ad aiutarla se qualcosa non andava. Poi lei era bravissima, non aveva problemi con lo studio. E trovava anche il tempo di uscire con le sue amiche.
Davide invece aveva terminato il corso; aveva fatto domanda per essere preso a lavorare in un’azienda, ma ancora non aveva ottenuto risposta. Nel frattempo si era trovato un lavoretto part-time. Anche se non era il massimo non poteva continuare a vivere di rendita. Damiano pagava di tanto in tanto qualche spesa, ma non gli piaceva dovere essere dipendente da lui.
Francesca non lo capiva, diceva che non doveva preoccuparsi, che ci avrebbe pensato Damiano. Ma a Davide non piaceva l’idea di fare da parassita; soprattutto con lui poi.
Francesca ormai diciassettenne aveva smaltito il 50% della pancia accumulata durante la gravidanza. La biondina non era mai stata una dal fisico robusto, anzi il suo corpo era sempre stato esile, e non esitò a ritornare più o meno alla forma originaria. Così aveva ricominciato a guardarsi allo specchio, non più a disagio nell’incontrare le persone, e ad indossare quegli abiti attraenti che indossano le ragazzine.
Stupita e imbarazzata aveva ricevuto tantissimi complimenti, più o meno educati e graditi, da molti ragazzi del liceo. Lei non si era mai considerata come bella, semplicemente passabile e modesta non sfoggiava gli attributi; essi, aveva imparato però, potevano essere una notevole e utile arma, a volte.
Non aveva più rivisto Bruno, e non le importava nulla. Elena non esisteva ormai: surclassata in tutto, a scuola come nell’amore, questo la faceva stare bene, sentire al sicuro e serena.
Cresceva, e stava diventando una donna fantastica.
Soltanto che aveva ancora una cosa da prendersi, una cosa che desiderava tantissimo. Una cosa per cui sarebbe valsa la pena faticare molto. E aspettare con pazienza. Ma sapeva che una volta arrivata, sarebbe stata la sensazione più bella di tutte.
Le mancava ancora qualcosa per essere felice.
Davide era seduto apprensivo sul divano, le braccia abbandonate fra le gambe allargate, gli occhi fissi sullo schermo. La sua squadra stava perdendo, (tanto per cambiare, si disse) ma lui non aveva per questo abbandonato le speranze. Francesca lo osservava mentre teneva in braccio Emanuela, da lontano. Non si capacitava di come si potesse seguire una partita di calcio sapendo già il risultato. Insomma, la sua squadra perdeva sempre, ad ogni stramaledetta partita, e non capiva perché lui si ostinasse a soffrire.
Si avvicinò al divano, sempre tenendo in braccio la bambina.
-Ti va di uscire stasera?- domandò.
-No-
Non aveva nemmeno staccato gli occhi dallo schermo, tutto concentrato.
-Allora la mantieni tu Emanuela mentre io esco?-
-Sì-
Non desiderava altro che essere lasciato in pace e guardare la partita.
Il commentatore parlò con voce esaltata quando un avversario cadde proprio nel mezzo dell’area di rigore.
-Intervento al limite dell’area... attenzione, l’arbitro si avvicina... e indica il dischetto! Calcio di rigore a mezz’ora dalla fine!-
Davide alzò un braccio, dicendo una parolaccia grossa. Per nulla sbalordita, Francesca si avvicinò di più. Il replay dell’azione parlava chiaro.
-Non per dire, eh... ma quello era rigore sacrosanto- commentò.
-Ma che vuoi capirne tu?- ribatté irritato.
Un attimo dopo il portiere mancò la parata e l’avversario segnò il rigore. Seguito da un’altra parolaccia.
-Capirai, con un portiere come quello...- disse strafottente.
-Senti, okay, la tengo io Emanuela, basta che ti levi dalle scatole!-
Allungò le braccia per prendere la bimba e imbronciato si risedette sul divano. La partita era così deprimente, che a guardarla veniva la disperazione. La biondina tirò uno schiaffo sulla nuca al ragazzo.
-Imbecille! Invece di perdere tempo così perché non prepari la cena?-
Una nuova parolaccia gli morì in gola e sorrise forzatamente.
-Vai amore, esci...-
Irritata per essere stata presa in giro lei gli menò un nuovo pugno sulla schiena e poi uscì a testa alta, orgogliosa.
Davide scosse la testa, massaggiandosi la spalla colpita. Prese in braccio la bambina, tornando a guardare la partita. Lei fissava impotente il papà, che a sua volta era tutto concentrato sullo schermo. Una delle mani di Davide cadeva proprio accanto a quelle di Emanuela. Lei attirata dal movimento delle dita allungò le piccole braccia. Afferrò un dito nel pugno e lo strinse più forte che poteva. Il ragazzo si distrasse per un attimo e osservò la bambina che si dilettava a stringere il suo dito; le sorrise e lei di riflesso stirò le labbra in un sorriso stranissimo. Allora il ragazzo rise.
Ma guarda tu. Riusciva perfino a farle dimenticare che la sua squadra stava perdendo.
Francesca ritornò molto più tardi, e silenziosa avanzò nell’appartamento. Trovò i due nel letto.
Davide dormiva da parecchio probabilmente, ed Emanuela era messa accanto a lui, sul materasso in mezzo al suo corpo e ad un cuscino rovesciato. Lei era sveglia, con gli occhi aperti osservava il papà che dormiva e agitava le mani troppo piccole.
Intenerita, la bionda dimenticò che era arrabbiata con lui e ancora vestita, si sdraiò sul letto. Precisamente dietro al ragazzo, abbracciandolo. Cominciò a baciarlo per farlo svegliare.
Questo non accadde, stranamente e solo dopo vari tentativi, dopo che si fu strusciava lasciva sul suo corpo, dopo che l’ebbe chiamato in tutti i vari modi possibili, si rassegnò.
O non voleva parlarle ed era ancora arrabbiato per la storia della partita, oppure sul serio era così stanco da non volersi svegliare.
Preferì pensare che fosse la seconda opzione, così si spogliò e si addormentò accanto a lui.
 
La mattina dopo il ragazzo aprì gli occhi. Si trovò intrappolato da dietro, dalle braccia di Francesca, e sul davanti aveva la bambina addormentata. L’avevano fregato.
Si mosse per far svegliare la ragazzina.
La bionda aprì gli occhi assonnata.
-Svegliati- le disse lui.
Era ancora un po’ irritato per la storia dell’altra sera. Dopotutto, non bastava che la sua squadra perdesse da sola, ci si metteva anche lei a sfottere!
La ragazzina nascose il viso contro la sua schiena, mormorando parole stanche.
-Ti sposti? Ho caldo- fece Davide, cercando di divincolarsi.
Lei per tutta risposta si allacciò di più a lui, baciandogli un punto sotto l’orecchio
-Sei ancora arrabbiato?- domandò strafottente, ma si curò di mascherare quel tono sotto uno languido.
-Sì. Non dovevi dirlo-
Non era veramente così arrabbiato, in fondo era una sciocchezza, ma ci teneva ad essere un po’ orgoglioso, visto che la ragazzina aveva sempre la meglio fra loro due.
Eppure anche lui sapeva che sfidandola, sarebbe stato certamente umiliato.
-Tanto non ce la farai mai a rimanere arrabbiato- lo stuzzicò, conoscendo bene le sue debolezze. Con un gomito si alzò in modo da arrivare a sovrastarlo. Per risposta il ragazzo si voltò su un fianco.
-Chi te lo dice? Invece sì-
Nemmeno lui era troppo convinto di ciò che aveva detto.
Francesca sorrise, accettando la sfida e proseguì
-Invece no. So benissimo che non ce la farai mai-
-E come farai?- in realtà non vedeva l’ora di essere sottomesso e comandato. Per quanto ci tenesse al suo orgoglio, desiderava ancora di più essere umiliato, purché a farlo fosse lei.
La ragazzina intrecciò le loro gambe e soffiò al suo orecchio
-Forse dicendoti che sono nuda-
Davide arrossì. Ecco, porca miseria, non era durato nemmeno cinque minuti. Si impose di non cedere, di resistere e di allontanare quei pensieri che al momento meno opportuno lo assalivano.
Come se ciò non bastasse, a conferma delle sue parole Francesca infilò una mano sotto la sua maglietta. Gliela alzò scherzosa, maliziosa e desiderosa di vincere. Poi afferrò la sua mano e la portò sul suo corpo. A quel punto stette in attesa della sua reazione, totalmente padrona del gioco.
Davide deglutì. Non se n’era mica accorto, ma era davvero nuda. La sua mano era stata sapientemente poggiata su una sua gamba, e invitata ad accarezzarla.
Non voleva cedere, ma non voleva che smettesse. Era tra due fuochi.
-Amore...-
L’ unico scopo della ragazza era quello di umiliarlo, perciò non esitò a sfoderare tutte le armi a sua disposizione. Pronunciò quella parola al suo orecchio con artificiosa voce languida, ansimante ed eccitata.
Lui capì che non aveva via di scampo e che stava per cedere da un momento all’altro. I suoi baci traditori sulla nuca gli impedivano di trovare una via d’uscita. Fortunatamente all’ultimo l’occhio gli cadde sull’orologio.
-Guarda che è tardi- iniziò, trionfante per non aver ceduto –farai tardi a scuola se non ti muovi-
Francesca si stupì che lui fosse riuscito a trovare un minimo di lucidità, e lo sentì distintamente ghignare di soddisfazione. Ma non l’avrebbe mai battuta.
-Ma oggi è domenica...-
Sconfitto. Era stato battuto su tutta la linea.
Irritato si imbronciò mentre lei rideva di gusto.
-‘Fa****o, sei una fo******ima st****a!-
Aveva vinto lei, un’altra volta.









Il prossimo capitolo sarà il penultimo; ne mancano solo due, insomma.
Grazie mille a chi legge, ai preferiti, a chi segue la storia e recensisce.

FeFeRoNzA: caspita che analisi profonda che ci hai trovato. Mille grazie per i complimenti.

Valentina78: che brava in tre righi mi hai detto tutto senza esagerare o perderti in digressioni. Grazie.

Nells: Buonasera a te. Ovvio che una recensione in più mi fa piacere, anche perchè come ho già detto ricevere varie recensioni è bello perchè ognuna di voi interpreta le situazioni a suo modo, ci vede cose diverse, e mi fa piacere sentire tanti pareri diversi. Eh beh, non può mica durare per sempre 'sta storia.

vero15star: l'essere sincera sempre e comunque ti fa molto onore ed è una buona qualità, direi. Sono molto, molto felice che Francesca all'inizio ti fosse antipatica ma poi col passare del tempo tu abbia cominciato ad apprezzare anche i pregi della sua personalità. In effetti penso che sia lei la vera protagonista della storia. Sono contento anche del fatto che Francesca ti sembri una persona reale. è importante che i personaggi non risultino troppo finti e costruiti. Se tu sei più o meno uguale a Francesca, stà sicura che lo trovi il tuo Davide. Forse non subito, però...

Emily Doyle: mi sto scervellando su come possa essere un diminuitivo di Cassiopea. Beh, tua figlia avrà un nome che certamente non si dimentica! Grazie per la recensione, e beh, potresti farti pagare come baby-sitter, no?

Marty McGonagall: Buonasera, Martina. Oh sì, lo so che sei estremamente 'smielosa'. A dir la verità, Juno non l'ho visto, ma ne ho letto parecchi articoli sul giornale e mi sono fatto un'idea della trama. No, non ho mai pensato che Francesca avrebbe 'venduto' Emanuela, per lei era o aborto o parto. senza mezzi termini...
Grazie dei complimenti.

Maghetta25: ciao a te. Grazie dei complimenti e apprezzo particolarmente che tu dica che l'intreccio è verosimile. Ti ringrazio.

Devilgirl89: abbiamo già appurato che entro cinque anni diventerai mamma di due gemelli... ma a condizione che tu partorisca a San Giovanni. Così almeno ti posso venire a trovare! Vabbè... Fiero di aver interpretato bene lo strano e complicato universo femminile. Ps: ehm, no, non credo sia ancora assolutamente tempo per 'Emanuela'...

GinTB: grazie dei complimenti, non so se l'ho scritto meglio degli altri, ma se lo dici tu sarà vero.

bribry85: il parto lungo e doloroso ci voleva per Francesca. Insomma, non può mica essere tutto così facile?

Jiuliet: eh già, sono testoni. Okay, su due nomi non ne ho azzeccato manco uno.. e va bé, la figlia è di Francesca. Figurati non ti preoccupare del ritardo anzi, grazie mille.

_Laura_: ciao Laura. In effetti è così complicata ed è difficile descriverla. spero di esserci riuscito bene, è importante per me. Grazie per la recensione.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


21 Il libro sulla gravidanza era aperto e poggiato sul lavandino, in modo che ci si potesse leggere sopra. Francesca era seduta sul bordo della vasca, indossando solo un misero accappatoio bianco e morbido. Le gambe tornite e ora liscissime facevano bella mostra, scoperte fino al fianco. Era trascorso più di un mese dalla nascita di Emanuela, era novembre. Lei si trovava nel bagno, rinchiusa lì dentro da più di un’ora. I punti di sutura applicateli dopo l’intervento erano ormai chiusi e, si sperava, riparati. Per la prima volta da sei mesi, la biondina si alzò in piedi e si guardò nello specchio del bagno, a lungo e con attenzione.
Sorrise compiaciuta.
Sotto l’accappatoio troppo largo le sue forme facevano mostra, catturando l’occhio con voluttà. I capelli biondi, dopo un pomeriggio passato dal parrucchiere, erano belli, lucenti e non più stepposi, pieni di doppie punte. Lentamente si azzardò a sciogliere la cintura dell’accappatoio. Le prime volte le faceva quasi impressione guardarsi, non riconoscersi in una taglia non sua, con quei fianchi enormi, la pancia rigonfia e dalla quale pendevano brandelli di pelle. Ma ora, sottoposta ad una ferrea dieta, e al suo metabolismo abituale, la curva morbida dell’anca saliva più su senza vergogna, in perfetta armonia con la pancia. Il ventre non era piattissimo, naturalmente, ma non più gonfio e sproporzionato al resto del corpo. Un paio di onde lo increspavano, ma onde normali e non anomale, irreparabili.
Aveva un fisico normale, né magro né grasso.
I suoi occhi azzurrissimi si posarono più su. Ecco, quella era la parte di sé che le piaceva di più in quel momento, insieme agli occhi. Il suo seno era alto, pieno e turgido, aiutato dalla bambina e dall’allattamento e da tutta quella roba lì. Ciò che le importava era che era desiderabile, finalmente.
Essendo magra, piuttosto snella, non aveva mai avuto un seno prosperoso. Ed ecco che miracolosamente, assieme al grasso accumulato sui fianchi, ora ben torniti e ampi, faceva capolino un petto più florido e consistente. Allora tanto valeva prenderlo, qualche chilo, se poi quelli erano i risultati.
Sapeva che era una sciocca a pensare quello, così arrossì e si coprì, come se si vergognasse di quei pensieri così poco da lei. Si avvicinò al lavandino con l’intento di sfoltirsi le bionde sopracciglia, e nel frattempo gettò l’occhio sulle pagine del libro.
In particolare un paragrafo catturò il suo interesse.
Metodi naturali.
Lesse qualche riga, tanto per vedere. La loro vita, diciamo, di coppia non era certo il top dell’entusiasmo. Francesca ci aveva pensato tanto, tantissimo, ma non aveva osato dirgli nulla. A parte quella timida proposta avanzata la sera, su un divano mentre lui guardava la partita, non si era spinta oltre. Incominciava a credere che il ragazzo non volesse affatto spingersi oltre, per nulla; il che era deprimente. Dopotutto, che facevano se non uscire la sera, mangiare a casa, andare lei a scuola e lui al suo corso e al lavoretto part-time? Non era il massimo.
L’apice lo raggiungevano la sera, quando a volte, rarissime e brevi, si concedevano una mezz’ora a stare nel letto. E non era nemmeno questo il massimo.
D’altra parte non è che avessero tutto quel tempo libero: la scuola, la bimba, i compiti, uscire con le amiche non davano spazio ad altro.
Però lei, da quando si era scoperta attratta da lui, non vedeva l’ora di farci l’amore.
C’erano varie ed eventuali complicazioni che si aggiungevano a quelle elencate sopra.
In primis il sospetto che Davide non avesse l’intenzione di fare quel passo avanti; la cosa un po’ la innervosiva, ma non osava farglielo presente. La innervosiva perché se pensava alla facilità con cui l’aveva fatto da ubriaco, senza conoscerla, non si capacitava di che ci trovasse di difficile ora che era la sua ragazza.
Per secondo forse era inibito dal fatto che lei era stata fisicamente provata. Preferiva pensare che stesse aspettando il momento adatto.
Ecco, magari ci voleva una situazione un po’ più eccitante. Cosa che certamente non sarebbe mai avvenuta.
Il libro era interessante, pensò Francesca, afferrandolo e sfogliandone le pagine, e quell’argomento sembrava fatto apposta per lei.
Stette per una buona mezz’ora a leggere, capire e riflettere. Alla fine era soddisfatta. Ghignò maliziosa, poi chiuse il libro. Le era venuta in mente un’idea ed eccitata scivolò giù dal bordo della vasca.
 
Davide si trovava con enorme disappunto a casa di sua madre, che aveva insistito per fargli carico di una marea di vestiti per Emanuela. Così calzini, magliette, scarpe che non sarebbero bastate nemmeno a vestire due dita del ragazzo, body, cappellini, giubbotti.
Miriam, del tutto dimentica dei compiti, si era affacciata alla porta e controllava la selezione degli abiti.
-Ma sei pazza? Pensi veramente che Francesca lascerà che si metta questo?- chiese con tono scandalizzato la ragazza, prendendo tra le mani un vestito che la mamma aveva infilato nella cassa da far portare al figlio.
Lo girò fra le dita, esaminandolo alla luce del lampadario.
-Beh perché? Cos’ha che non va?- domandò sua madre.
-Allora... per prima cosa è un vestito da maschio-
-Non è vero!-
-Ma sì! C’è ricamato Rosario sul lato...-
E le mostrò il lembo del vestito celeste.
-Ah è vero! Che scema, scusami, scusami Davide!- sua madre imbarazzata lo ripiegò e lo mise a posto nell’armadio.
Davide stava appoggiato allo stipite della porta, con aria seccata e annoiata, sbadigliando di tanto in tanto. Che noia, si ripeteva.
Per lui un vestito valeva l’altro, tanto poi era sempre Francesca che vestiva la bambina. Paola le aveva regalato un bel vestito, tutto bianco e sapientemente ornato, nuovissimo ed era certo che la bionda preferisse quello.
Il ragazzo non si capacitava invece di come la madre potesse conservare ancora vestiti di vent’anni fa, tutti in perfetto ordine e come nuovi.
-Questo no, ti prego!-
-Perché no? Era tuo e c’è una foto che sei un amore- ribatté la donna, dispiegando il tessuto.
-Lo so benissimo- arrossì Miriam -infatti è per questo che ti dico di no. è osceno per gli occhi!-
Le due discutevano su un vestito estivo. Il fondo era bianco, con dei pois rossi belli grandi.
A lui non faceva né caldo né freddo, così si limitò a osservarle indifferente, pregando che la tortura finisse.
-Facciamo decidere a lui!- disse ad un certo punto sua madre.
Davide alzò all’improvviso lo sguardo, confuso e spiazzato, chiamato in causa.
-Che ne dici di questo? Non è bello?-
Lui guardò il vestito a pois rossi, del tutto incerto su cosa dire. Poi intercettò da dietro sua sorella che scuoteva la testa e si infilava per finta due dita in bocca, simulando vomito.
Fidandosi molto di più di Miriam, del suo buon gusto che si rispecchiava anche nell’arredamento di casa sua, lui fece una smorfia.
-Veramente a me non è che tanto piace, ma’...- si limitò a dire evasivo, alzando le spalle.
-Ecco vedi che nemmeno a lui piace?-
Miriam lo strappò dalle mani della madre e lo gettò nell’armadio.
-Quella fotografia sarà sempre il mio incubo! Come quella dove siamo io e Rosario nudi come vermi!-
-Tu avevi un anno e lui quattro! Eravate bellissimi!- obiettò la donna.
Davide sbuffò lentamente, chiudendo gli occhi e abbandonando il capo contro lo stipite; quelle due non avrebbero smesso tanto presto, evidentemente. Pensò con nostalgia al divano di casa sua, alla sua bella bambina e al programma per quella sera.
Sarebbero usciti tutti e tre a farsi un giro, col passeggino e tutto, come se fossero una vera famiglia.
Lui sorrise a quel pensiero e desiderò trovarsi già a casa.
Dopo molti abiti, scartati o approvati caldamente, dopo che mamma e figlia si furono messe d’accordo, dopo che erano passate le otto di sera, dopo che Davide si era stufato di starle a sentire parlare di sciocchi vestiti per bambini, il ragazzo si trovava a salire le scale del suo palazzo, aggravato dal peso di uno scatolone stracolmo.
Arrivato finalmente al terzo piano e aperta non con poche difficoltà la porta, posò lo scatolone sul divano.
Esausto chiuse la porta e si tolse il giubbino.
Marciò peggio di uno zombie verso la camera da letto e si gettò a peso morto sul materasso, che sobbalzò per il colpo.
Non gli andava più di uscire, e pregò tanto di trovare Francesca in stato di grazia. Chissà, magari le era andata particolarmente bene qualche interrogazione, o aveva perso uno o due chili, insomma sperò in qualcosa che la tenesse di umore abbastanza felice.
-Fra?- la chiamò, stupito di non averla vista.
-Qua sto- gli rispose una voce dalla cucina, e un rumore di passi attutito dal pavimento suggerì al ragazzo che si stava avvicinando, scalza però.
Emanuela piangeva, ma evidentemente la ragazzina era riuscita a placare i suoi singhiozzi perché non erano molto forti, come un pianto convulso.
-Perché piange?- domandò totalmente apatico lui.
Lei fece una piccola risata.
-Perché stavo facendo il caffè, e me lo sono dimenticato. Allora ha iniziato a fischiare, lei stava in cucina e si è spaventata. Non sai che ci è voluto per farla smettere di piangere-
Sentì il rumore di un bacio che veniva dato sulla testa della bambina, e di sbieco la vide poggiarla dentro la culla.
Ottimo, si disse, sembrava di umore abbastanza allegro.
Francesca, una volta messa la bimba a dormire, ormai tranquilla, si voltò verso di lui.
Si morse un labbro e arrivò al bordo del letto.
-Stasera non mi va di uscire, Davi-
Quello fu meglio di un tonificante per il ragazzo, che sollevato confessò
-Nemmeno a me. Stavo per dirtelo io-
La bionda sorrise, poi giocherellò incerta con la cintura bianca dell’accappatoio candido che indossava ancora.
Non sapeva come cominciare.
 
Scosse i capelli biondi e si mostrò sicura.
-Cosa sono io?-
Sorrise e gli tirò su con una mano la testa, in modo da poterlo guardare in faccia. Davide sorrise di rimando e si sedette sul letto, mezzo confuso. Portandosi una mano a scompigliare i capelli rispose
-Una ragazzina- con un sorriso furbo.
Era stato al gioco.
Con artificiosa espressione innocente, in modo che si fidasse, Francesca lentamente gli si sedette in braccio. Gli diede un bacio leggero prima sulla fronte, poi sulle labbra.
-Cos’è che ti piace di questa ragazzina?- sussurrò, apposta ingenua.
La sua bocca sulla sua pelle era piacevole, si disse lui, e lasciò che gli baciasse il collo quanto voleva.
-Dai rispondi- lo incitò ridendo un poco lei, riemergendo dalla sua occupazione.
Non volendo mutare il suo umore, lui ci pensò un momento, leggermente confuso dal lavoro della sua bocca.
-Beh, non lo so...- cominciò incerto, chiudendo gli occhi quando la ragazzina baciò avidamente un punto preciso sotto il mento, succhiando.
-Per esempio... i tuoi capelli...- sparò la prima cosa che gli venne in mente, accarezzandoglieli affettuoso.
Non le bastava e lo morse scherzosa per farlo continuare.
-Ahio! Ok, ok, d’accordo... allora ehm...- rise il ragazzo –mi piace come ti imbronci-
Lei si mangiò il sorriso e la battuta conseguente, concentrandosi sulla sua guancia che stava risalendo lenta. Smise di baciarlo, soffiandogli il suo respiro caldo sulla pelle. Le mani della ragazzina si infilarono sotto la maglia di lui.
Salirono su, curiose e non più tanto innocenti. Davide non pareva essersi reso conto delle sue attenzioni esplicite fino ad allora.
Pensò che volesse semplicemente giocare, e le permise così di spogliarlo della maglietta.
Francesca si allontanò dal suo volto, ma non prima di avergli mormorato all’orecchio con voce calda
-Continua-
I baci della bionda si fecero più invitanti, più studiati, più convinti così come il tocco delle sue mani.
Davide arrossì involontariamente, sentendosi sfiorare sulla schiena.
Quelli non erano semplici baci. E non era la solita Francesca innocente.
-Mi piace come sei- stavolta il ragazzo si lasciò trascinare ed emise un sospiro roco, caldo, eccitato.
Capendo che poteva bastare lei si staccò di botto. Lo invitò a guardarla negli occhi azzurri, poi lo baciò sulla bocca.
Nel frattempo le dita scorrevano nei suoi capelli castani, e lenta lei gli si allacciava di più. Non era la prima volta che assumeva quella posa, ricordò lui. Voleva qualcosa.
Francesca si staccò per poggiarsi contro la sua fronte. Poteva sentire il suo respiro sufficientemente eccitato contro le proprie labbra; con mani che le tremavano andò a slacciarsi la cintura che teneva legato l’accappatoio.
Davide teneva gli occhi bassi, non ben consapevole di quello che stava accadendo. Poi ad un tratto la vide mentre si apriva quel semplice tessuto di spugna, bianco, rivelando cosa c’era sotto.
Gli si seccò la gola e improvvisamente sentì più caldo che mai. Ed erano a novembre.
Involontariamente la aiutò a spogliarsi con le proprie mani, facendo scivolare l’accappatoio sul lenzuolo.
Ed ora le sue mani, curiose come lo erano state quelle della ragazza prima, la toccavano lungo la linea della colonna vertebrale, sulle spalle, sulla schiena e sulle gambe lisce.
Francesca arrossì, mezza per vergogna, mezza per eccitazione. Ora non solo si sentiva insicura e impacciata, ma ebbe paura di non essere così attraente come aveva creduto. Niente di peggio se lui ora l’avesse spostata e lasciata così.
Ma Davide era di tutt’altro avviso: se la voglia che aveva di lei era così grande in quel momento, si stupì di come fosse riuscito a trattenerla in quei mesi. Ma ora, forse nel trovarsi quel corpo sbattuto davanti, corpo sul quale aveva dormito, sul quale si era divertito a fantasticare spesso, gli spiriti bollenti repressi erano resuscitati, più forti di prima.
L’accappatoio finì per terra, e la bionda si trovò completamente nuda, nuda sotto i suoi occhi attenti e avidi. Lei tremava sia per il freddo che per i brividi causati dalle sue mani.
Davide smise di pensare e ruppe gli indugi. La abbracciò dalla vita, attirandola a sé, e prese a baciarla sulla bocca. Lei sospirò, inarcandosi con la schiena.
Che bello finalmente sentirlo sulla sua pelle, senza più alcun vincolo a frenarli, liberi di amarsi nella maniera più naturale, pura e profonda.
Le lenzuola furono avvolte attorno ai loro corpi rovesciati sul letto.
Lui si inginocchiò, stando sopra a sovrastarla; allungò una mano verso l’interruttore, spegnendo la luce, facendo calare il buio nella stanza, e pregò che Emanuela non decidesse di svegliarsi proprio in quel momento.
Istintivamente, timida e inesperta, lei chiuse le gambe.
Davide si chinò e iniziò a baciarle il ginocchio, e lentamente, con movimenti leggeri per non forzarla insinuò una mano nel mezzo. Ubbidiente, facendosi per una volta comandare da lui la ragazzina le schiuse. I suoi baci scivolarono mano a mano più giù, coraggiosi, e lei incerta lo lasciava fare. Sentì arrossarsi di più le guance e il desiderio crescere, crescere ancora, e non ce la faceva più ad aspettare, così gli prese con una mano la testa per guardarlo negli occhi, prima di dire
-Prendimi. Adesso-
Nudo anche Davide tornò su, sorreggendosi sulle braccia forti, e scambiandosi uno sguardo carico di eccitazione con lei la baciò.
Un gemito non represso uscì dalle labbra di lei, accompagnato dalle palpebre serrate e il corpo irrigidito. Tremò insicura, sentendosi spaccata e respirò veloce.
Era tesa, agitata e lui lo notò. Con quanta più dolcezza poteva tentò di tranquillizzarla, ricominciando a baciarla.
La testa gli si riempiva di sensazioni nuove, emozioni da far spaccare l’anima, e non voleva far altro che assecondarle. Le domandò se andava tutto bene.
Francesca chiuse gli occhi, poi si strinse più forte al suo corpo, avvolgendosi a lui. Era dentro di lei ed era la cosa più bella del mondo.
Stava vivendo l’emozione più bella della sua vita, e l’unico con cui volesse condividerla era lui.
Non sapeva tanto bene come fare, ma tutto le sembrò così naturale, come se avesse sempre saputo farlo. Ed era bellissimo.
Davide le insegnava a muoversi, facendolo piano e stando attento che non si facesse male.
-Ah...-
Il sospiro voluttuoso di Francesca fece eco ad un gemito convinto del ragazzo, e le sue unghie graffiarono senza cattiveria le sue spalle.
Arrivò un punto che entrambi non capirono più né dove fossero, né chi fossero, né perché lo stessero facendo, tale era il trasporto che li animava.
Il delirio annebbiava le loro menti, impedendogli di formulare qualsiasi sciocco pensiero, impegnati solo a volerne ancora, ancora e ancora, ingordi e a non volersi fermare più.
Lei arrovesciò la testa all’indietro, stringendo le mani attorno alle lenzuola, ansimando.
Ecco, era così che doveva essere; senza pensare, senza sapere, senza domandare. Stava davvero facendo l’amore.
Davide si muoveva dentro di lei, la sentiva, si sentiva una sola cosa con lei. Non sapeva dove finisse l’uno e iniziasse l’altra.
Quando tutto il turbine di sensazioni divenne talmente forte e travolgente da non poterlo sostenere, era ormai tardi per provare dolore o rimorsi.
Davide era Francesca e Francesca era Davide.
Non c’era nient’altro intorno a loro.
 
Una mano attraversò sicura le lenzuola, andando a raggiungerne un’altra. Con garbo si allacciò a questa. La mano era piccola, chiara, con le unghie ben curate, rivestite dallo smalto trasparente, perlaceo.
L’altra era più grande, la ricopriva e senza sforzo, le lunghe dita affusolate intrecciate con quelle più femminili, forte nella presa e al tempo stesso gentile.
Davide era steso a pancia in giù, il corpo aggrovigliato con le lenzuola, e gli occhi che minacciavano di chiudersi definitivamente da un momento all’altro. Francesca si era voltata verso di lui, anche lei stanca, assonnata. Nell’aria aleggiava uno strano silenzio, stanco, intimo.
Il silenzio di chi non ha nulla da dirsi e si capisce con un’occhiata; il silenzio timido di chi non vuole disturbare l’altro, per paura di seccarlo e perdere quella complicità tanto faticosamente costruita.
La biondina sorrise dolcissima, abbracciando il ragazzo e gli diede un bacio sulla testa.
-Credo che ti sei meritato di dormire, stavolta- disse cingendogli il corpo con le braccia, sul viso un’espressione che lui paragonò a quella che aveva mostrato la prima volta che aveva visto Emanuela.
E forse quella volta era nei suoi pensieri al primo posto, il che gli procurò un certo compiacimento. Stavolta fu lei ad addormentarsi all’istante.
Guardarla dormire dava una sensazione di tranquillità, di affetto, di intimità; Davide non sapeva come spiegarlo, ma era come se ora il loro rapporto si basasse veramente su un legame intimo, profondo, oltre il sesso.
Era così spossato, stanco come se avesse corso chilometri e chilometri, o combattuto strenuamente fino a che non si fosse consumata l’ultima goccia di sangue. Era quella stanchezza piacevole, che ti induce a dormire all’istante, dormire però beato e felice per aver compiuto il tuo dovere. In questo caso era felice, felice di quell’amore che aveva diviso con lei.
Quel momento non poteva essere meglio di così: era perfetto, entrambi in silenzio, addormentati insieme, nudi, stanchi e senza bisogno di dir nulla si capivano perfettamente.
Lui si svegliò ad un certo punto della notte, imprecisato ma era abbastanza sicuro che fosse ancora molto presto.
Gli venne un’improvvisa voglia e si alzò in piedi. Emanuela dormiva ancora nella culla.
Forse Francesca aveva ragione a dire che quella bimba dormiva troppo. Chissà da chi aveva preso?
In ogni caso lui, stando bene attento di non farla svegliare, perché dormiva così bella e gli sembrava un peccato, se la caricò sulle braccia.
Lei storse un poco il naso, ma non si svegliò. Davide si infilò di nuovo sotto le lenzuola, riscaldate dai loro corpi e nascondiglio perfetto dove si erano amati, poggiando la bambina sul materasso.
Così Emanuela aveva a destra la mamma, che dormiva tranquilla e indisturbata, e a sinistra il papà, sveglio che si era incantato di guardarla.
Davide ricoprì i loro corpi con le lenzuola, per non farle sentire freddo, e poggiato su un gomito si chinò sulla bambina.
Poverina, sorrise; magari era stata spettatrice imbarazzata della loro performance di prima. Anche se così fosse stato, era da apprezzare che non avesse fiatato per nulla. Affettuoso le diede un bacio leggerissimo, non come quelli che dava a Francesca, che nemmeno si sentiva. Era davvero una bambina bellissima. Ora che erano passate un po’ di settimane, un paio di mesi quasi, due occhi azzurri come zaffiri avevano fatto mostra di sé. Era tutta paffuta, rotonda a cominciare dal pancino e le braccia, i pugni ora stretti e abbandonati ai lati della testa. Non sapeva che quel pomeriggio era stata causa di uno scontro fra madre e figlia e della seccatura del padre.
Lui non seppe mai per quanto tempo stette così, a guardarla dormire in silenzio, ma ad un certo punto lei schiuse piano un occhio.
Poi l’altro e Davide sorrise.
-Ciao amore- disse, piano per non svegliare Francesca.
Diede un altro bacio sulla fronte di Emanuela, e uno sulla guancia. Sorrise e le prese in bocca, fra le labbra, le dita della mano per farla ridere.
Lei vedendo il papà sorridere allegro, contagiata fece un sorriso senza denti. Bellissimo peraltro.
Ore, minuti e secondi dopo, quando la luce del sole cominciava ad entrare dalla serranda della camera, Francesca mosse un braccio.
Rischiò di andare a colpire la bambina ma per fortuna Davide le prese la mano, conducendola fuori portata. Dopo un sonoro sbadiglio si stiracchiò e voltò il capo verso sinistra. Con gli occhi chiusi sorrise al ragazzo.
Si protese oltre la bambina per baciarlo sulla bocca,  i capelli che arruffati dalla dormita le stavano cespugliosi in disordine.
-Ti amo- disse staccandosi.
Il ragazzo si affrettò a ricambiare il bacio.
-Anche io se è per questo-
Trasformò il semplice bacio sulle labbra in qualcosa di più, scompigliandole i capelli biondi più di quanto non lo fossero già. Soddisfatta lei si allontanò, sdraiandosi nuovamente sul materasso e abbracciando Emanuela. La bimba probabilmente aveva fame, e per evitare che scoppiasse a piangere e rovinasse la quiete che sonnacchiosa si era stanziata nella stanza, la ragazzina provvide subito a farla mangiare.
Poteva occuparsene sola, pensò lui e si stese a pancia in giù, il volto contro il cuscino ma girato per poterla osservare.
-Stanotte è stato bellissimo- confessò ad un certo punto lei, arrossendo e precipitandosi a fissare la bambina.
Davide sorrise scettico.
-Per la cronaca era ieri sera. E poi lo so che non è vero...-
-Cosa non è vero?-
-Che veramente ti è piaciuto-
La bionda si accigliò perplessa.
-E perché non dovrebbe essermi piaciuto?-
Lui riemerse stanco dal cuscino.
-Beh non lo so... magari... magari eri abituata meglio- qui le rivolse un sorriso furbo e la ragazzina si allungò bruscamente per tirargli uno schiaffo.
-Non devi dirle nemmeno per scherzo queste cose...- disse seria, tornando ad occuparsi della bambina.
Più gentile e intenerito il ragazzo si avvicinò in modo da poggiarle la testa sulla spalla.
-Allora veramente dicevi?- domandò modesto, sorridendo timido.
-Certo- confermò lei senza guardarlo –quando ti dico una cosa buona, è vera-
-Allora per questo non me ne dici mai cose belle...- si schernì sorridendo e baciandole il collo.
Francesca sorrise e quando Emanuela finì di bere la fece star seduta sul materasso.
Davide si rannicchiò contro di lei.
-Io non mi alzo prima delle undici- decretò, chiudendo gli occhi.
Francesca, tenendo ferma Emanuela che voleva girarsi, la tirò a sé e pure si appoggiò a lui.
-Io sono fuori servizio fino all’anno prossimo-
A quel punto la bimba aprì la piccola bocca in uno sbadiglio colossale e sonoro.
La bionda e il ragazzo, sentendola, risero.
-Beh- commentò Davide –almeno siamo una famiglia unita-
Quelle parole fecero sorridere Francesca in modo bellissimo.
-Sì è vero-
 











Il prossimo sarà sicuramente l'ultimo capitolo, senza dubbio. Grazie ai preferiti, a quelli che seguono la storia e la recensiscono.

Urdi: dannazione, no. Mi sono scordato di risponderti! Scusami tanto, starò diventando cieco... sappi che non è stato assolutamente un gesto intenzionale, anzi mi era piaciuta la tua scorsa recensione.
Caspita, mi sento un emerito st****o. Mi dispiace, sul serio.
Dunque, ecco, riguardo la recensione precedente volevo dirti che sei stata brava a trovarmi una pecca, e cioè che la scena non è molto originale (ahimè) ma che l'ho saputa descrivere. Grazie mille. Eh beh, abbiamo scoperto a cosa pensava quella matta di Francesca. Argh, scusami ancora per favore...

Devilgirl89: come già detto, non c'è alcun messaggio subliminale. Esattamente, se la tiro troppo immagino che poi diventa noiosa.

vero15star: Francesca lo prende in giro semplicemente perchè... è Francesca! Non ti devi scusare se mi racconti qualcosa di te, niente affatto, perchè se lo fai probabilmente è perchè ti rivedi nella storia, credo... non è un male, perchè è importante che la storia risulti 'vera, reale' e non troppo costruita. Insomma, a farla breve, ti ringrazio. Ancora una volta.

Emily Doyle: forse ora sì, sono diventati una vera famiglia, eh? Beh, era ora. Ma sai, secondo me se la faccio andare avanti ancora poi è noiosa.

Vale 728: non è mai troppo tardi, Valentina. O Valeria? Il fatto che tu dica che la mia storia sembra essere vera è per me motivo d'orgoglio. Ciò che volevo comunicare, insomma, come dire, il messaggio, è che bisogna appunto prendersi le proprie responsabilità. Anche se è difficile. E loro due, Davide e Francesca, credo siano cambiati mano a mano che la situazione cambiava.
"da tutta questa storia hanno saputo maturare e anche migliorare il loro comportamento". Esattamente, brava.

GinTB: oh, non vorrei mai privarti di un'uscita per recensire la mia storia. Grazie.

lilly95lilly:  ti ha incuriosito dal titolo? Caspita, il titolo sono le cose (e non dico di essere bravo nel resto) in cui faccio pena. Grazie per avermi detto che è una storia scritta bene, ma ce ne sono tante altre molto migliori. Grazie dei tuoi complimenti, molto graditi.

Nells: aha, che bella l'espressione 'tra le sue due donne'. Grazie, ma forse non sono così brillante.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


22 Due anni dopo
 
Una mano spostò dei capelli biondi da una fronte.
Francesca era seduta su una sedia bassissima, tutta concentrata, e sulle gambe teneva una bambina. Emanuela teneva le mani della mamma fra le sue piccole, seduta obbediente e si lasciava sistemare. Indossava un vestito che le arrivava alle ginocchia, con un motivo scozzese e una maglietta bianca sotto. Lo scamiciato lasciava scoperte le gambe, infilate in due collant blu e le scarpe, nere.
La ragazza stava sistemando, con un sorriso gentile, i capelli della bimba.
Quella invano tentava di afferrarle le mani, ridendo sola dei suoi mancati tentativi.
Emanuela aveva sul capo tanti bei riccioli biondi, ora sapientemente pettinati dalla mamma, e di tanto in tanto diceva
-Mamma...-
-Che?- domandava allora la ragazza.
-Papà-
-Ora arriva-
Davide era stato per due giorni fuori, assieme ai colleghi dell’azienda che l’aveva assunto, ad un congresso importante, a quanto pareva. Nei due giorni la bambina non aveva fatto altro che chiamarlo per casa, come se sperasse che si fosse solamente nascosto.
Lei la stava preparando perché di lì a poco sarebbe tornato, e voleva che la trovasse bellissima. Più cresceva, più assomigliava a lei e di questo Francesca era tanto contenta. Guardando la bambina vedeva lei, anche se i capelli ricciolini provenivano dalla famiglia del ragazzo.
Ad un certo punto la serratura del portone scattò e si sentì il rumore di un mazzo di chiavi.
Subito Emanuela se ne accorse e scivolò giù dalle gambe della mamma.
-Papà!- esclamò storpiando un po’ le parole.
Corse, tutta contenta, verso il salotto ridendo e si precipitò contro il ragazzo.
Lui, di spalle perché stava chiudendo la porta non si accorse del suo arrivo.
La bimba si catapultò ridendo buffamente in mezzo alle sue gambe.
Francesca si affacciò sulla soglia della cucina sorridendo e osservando la scena.
-Aiuto! Attentato!- sorrise lui, girandosi e chinandosi per prenderla in braccio.
Mentre lei rideva contenta il ragazzo le diede un bacio sulla guancia, sollevandola in alto sulle braccia.
-Ciao Manu!- le disse abbracciandola e dandole un sonoro bacio sulla testa.
Poi la poggiò a terra e lei scappò via, con un gran sorriso sulle piccole labbra.
Davide prese in mano le valigie ma prima di poter arrivare a posarle in camera da letto venne placcato dall’altra bionda.
Francesca si aggrappò al suo collo, baciandolo sulla bocca con impeto. Lui nella fretta di rispondere lasciò cadere per terra quello che aveva in mano, per abbracciare anche lei, e si affogò pur di non interrompere il contatto. Poi si staccarono ansimanti, e lei sorrise sulle sue labbra.
-Ti sei tenuto in allenamento eh?-
Il ragazzo sorrise a sua volta.
-Sì ma pensavo lo stesso a te-
-Che bugiardo-
Stavolta si baciarono più dolcemente. Staccati solo da Emanuela che fece forza fra le loro gambe, minacciando di piangere.
-In b’accio!- protestò e Francesca la accontentò.
-Lo sai... oggi le ho messo i calzini blu... allora lei si è guardata i piedi, c’ha pensato un momento e si è messa a piangere- sorrise baciando la tempia della bimba.
-Tutta matta come la mamma- commentò lui, aprendo una valigia.
Francesca poggiò sul letto la bambina, guardando attenta il ragazzo che cercava qualcosa. Emanuela disobbediente scivolò giù veloce e uscì dalla stanza.
Quando furono soli lei disse
-Allora? Com’è Roma?-
Davide si voltò, sorridendole furbo e complice stette al gioco.
-Bellissima. Ma sai, per tutti e tre i giorni io non ho capito un cavolo di quello che dicevano-
-Questo non mi sorprende- sorrise la bionda e si sedette in braccio a lui come prima aveva fatto Emanuela su di lei.
-Tipo, loro dicevano ‘il bilancio è in rosso e dobbiamo trovare nuovi finanziamenti...’ e io sì, sì...- mimò il gesto di assenso con la testa –oppure ‘Bisogna attuare una nuova strategia di marketing, sfruttando il feedback ottimo della campagna...’ e io sì, sì. O anche ‘Stanotte non posso uscire a cena con voi, devo andare a trovare la mia amante’ , e io sì, sì-
La bionda rise di gusto, tirandogli un pizzico.
-Che cretino che sei. Razza di leccapiedi!-
-Però sull’ultima ho dato la mia personale consulenza- disse lui, sornione e apposta provocante.
-Sarebbe?-
-Ho consigliato il prodotto. C’era la segretaria dell’hotel che era una cosa... madonna...-
-A letto com’era?- domandò apparentemente non turbata lei.
-Eh beh, fantastica. Ci siamo fatti una ripassata tutti quanti-
-Non sembri propriamente soddisfatto-
-Si bé, sai era una bionda. Io ne avrei preferito una mora-
Voleva farla arrabbiare anche se sapeva che le conseguenze sarebbero state devastanti.
-E perché io come sono?- si indicò una ciocca di capelli.
-Tu non sei bionda. Tu sei castano scolorito, oppure biondo sporco-
Questo parve offenderla più di qualsiasi altra cosa. Gli tirò brusca uno schiaffo, alzandosi immediatamente.
-Ma vaf******o, va’! Vattene dalla segretaria!-
Indispettita si alzò da lui, curandosi di tirargli un calcio e si allontanò verso la cucina. Sul viso aveva messo quel broncio seccato e incavolato di sempre.
Emanuela, sentendo gridare la mamma, fece la sua comparsa sulla porta; Davide le sorrise colpevole e la invitò a venirle in braccio.
Lei mormorò qualcosa di incomprensibile, tutta concentrata a guardare la valigia aperta sul letto.
-Cosa hai detto?- domandò con una finta vociona il ragazzo, alzandosi in piedi e facendola rovesciare per metà a testa in giù. Emanuela lanciò una risata argentina, proprio da bimba e gridò di sorpresa.
Poi Davide la mise diritta sul letto, inginocchiandosi in modo che fossero alla stessa altezza.
Notò che ai piedi non aveva più le scarpe, così le domandò, avvicinandosi al suo viso
-E le scarpe?-
-Non c’è le scarpe- pronunciò tutta contenta, sorridendo dello sguardo furbo del papà.
Lui si allontanò di botto, tenendola sempre sott’occhio per farla ridere, e si slacciò giacca e camicia.
Una volta vestito più comodo, infilatesi le scarpe da tennis se la issò sulle spalle, tenendola per non farla cadere all’indietro.
Emanuela rideva e diceva parole incomprensibili, valide solo per lei che le pronunciava e con le mani tentava di toccare gli architravi delle porte, senza riuscirci.
-Manu mi sa che l’abbiamo fatta arrabbiare alla mamma- sussurrò sbirciando la cucina.
Francesca tutta indaffarata armeggiava con pentole, barattoli e sacchi di pasta.
-Ha deciso di cucinare. Aiuto- scambiò un’occhiata con la bimba, rovesciandola e mettendola giù. Lei subito corse dalla mamma e tirò il jeans che indossava.
-Colori- comandò, tirando più forte per convincerla.
La bionda si alzò le maniche della maglietta e stanca la fece sedere su una sedia.
-Sono qui i colori amore- le indicò una serie di pastelli e matite che erano sparse sul tavolo, in aggiunta a vari fogli scarabocchiati.
-Evviva!- esclamò con tale enfasi da far sorridere anche la ragazza, che datole un bacio sulla testa tornò ad occuparsi del pranzo.
Davide la osservava con un mezzo sorriso sul volto, appoggiato allo stipite della porta, chiedendosi quale fosse il modo migliore per iniziare.
Avanzò nella cucina, apparentemente ignorato da lei, che proseguì nel fare da mangiare come se nulla fosse.
Incerto si sporse sul tavolo, per osservare la bambina prendere in mano un pastello tutto storto; poi concentrata come non mai Emanuela premette sul foglio e disegnò uno scarabocchio rosso, una linea discontinua che svoltava bruscamente, senza forma. Poi afferrò con la manina il ciuccio e se lo mise in bocca tenendolo fra i denti.
-I’ sole!- sorrise al papà, che girando il foglio non poteva nemmeno con la più fervida fantasia immaginare che quello fosse un sole. Comunque sorrise alla bambina, ridendo per la buffa faccia che aveva fatto.
Gettò un’occhiata di sbieco a Francesca che non aveva detto una parola, sperando di cogliere almeno un abbozzo di sorriso. Se c’era, questo era ben nascosto.
Francesca non era più solo una bionda ragazzina. In quei due anni erano cresciuti tutti, ma lei ormai era una donna. Non tanto alta di statura, con un viso bellissimo in quel momento stanco, più affettuosa ed equilibrata in quello che faceva, ma sempre con quel ciuffo biondo che a volte le ricadeva sul davanti, oscurandole i bellissimi occhi azzurri.
Emanuela doveva essere molto legata alla mamma; era sempre la ragazza che la calmava se piangeva, o che la vestiva. E quello, anche se ad un occhio esterno poteva sembrare una cosa indifferente e senza importanza, univa molto la mamma con la figlia.
Francesca sceglieva con molta attenzione cosa far indossare alla bimba, e le faceva provare tanti vestiti; le domandava quale le piacesse di più. Inoltre, a differenza di Davide conosceva molto bene il suo linguaggio. Sapeva così che quei mezzi suoni pronunciati a bassa voce significavano qualcosa di ben preciso.
Davide faceva in genere mangiare la bambina, la portava a passeggio quando la bionda doveva studiare, la faceva ridere giocando con lei.
Lui non sopportava di non parlarle, soprattutto dopo quei giorni in cui gli era mancata tantissimo.
-Fra?- chiamò.
La ragazza non si girò, indifferente.
-Francé?- riprovò. Rinunciò all’orgoglio, accettando di umiliarsi purché lei gli concedesse un sorriso.
-Francesca?-
Si alzò in piedi e le si avvicinò da dietro.
La bionda non si voltò, imperterrita voleva vedere fin dove si sarebbe spinto. Voleva, come sempre, vincere lei.
-Amore?- provò divertito, lasciandosi scappare una risata.
A quel nome lei si girò di poco.
-Che ca** vuoi?- domandò, irritata ma con un sorriso che tradiva tutta la messinscena.
Due braccia forti la abbracciarono, senza stringerla ma avvolgendola e un mento si poggiò sulla sua testa.
Davide cercò le sue mani per accarezzarle.
-Come sei bella...-
Francesca voltò la testa per impedirgli di darle un bacio, e scansandosi sbuffò scocciata.
-Lasciami- intimò.
-Sei arrabbiata?- domandò divertito lui.
-Sì, e tanto-
Anche se il suo tono era minaccioso e sembrava che non volesse essere seccata, gli permise di abbracciarla. Il ragazzo chiuse gli occhi e lasciò che il suo profumo lo inebriasse e che il proprio corpo godesse delle sue forme armoniose.
 -Quanto ti ha messo matematica?- domandò, ancora in estasi.
-Otto e mezzo. Che poi tra l’altro non avevo sbagliato tutta l’ultima, ho solo sbagliato a fare l’ultimo passaggio- precisò orgogliosa, impegnata a versare il barattolo del sugo nella pentola.
-Genietta- le disse all’orecchio, sorridendo.
-Smettila cretino. Così non riesco a cucinare- ribatté scontrosa.
Ma invece di lasciarla Davide si aggrappò ancora di più al suo corpo.
-Io ti amo anche se sei testarda come un mulo- e le diede un bacio sulla tempia.
Francesca inclinò il capo in modo da guardarlo negli occhi e sorrise sarcastica.
-Embé? Io ti amo anche se sei un perfetto imbecille-
 
Non c’era nulla da fare.
-Sai Davide pensavo... magari un giorno di questi potevamo andarcene a mare, tutti e tre insieme-
Lei non sarebbe mai cambiata.
-Da soli? Ho capito che tu vali per due, amore, ma io non reggo sia te che Emanuela. Due bionde insieme...-
Così testarda.
-Rompipa**e che non sei altro! Invece ho deciso, ho pure scelto i giorni di scuola che posso perdere e noi andremo a mare!-
Così orgogliosa.
-Non vuoi andare a trovare la tua famiglia? Avevi detto che Damiano si era trovato una fidanzata-
Ma anche tanto ragazzina.
-Sei tu la mia famiglia-
Quel che Davide amava di lei non era il corpo, i capelli biondi o gli stupefacenti occhi azzurri, no. Quel che l’aveva fatto innamorare era lei. Lei e i suoi sbalzi d’umore, lei e quel suo caratteraccio volubile.
Francesca e il suo orgoglio; Francesca così forte da non piangere mai; Francesca così coraggiosa da affrontare a muso duro i problemi; Francesca così ragazzina da aver bisogno di qualcuno che la aiutasse; Francesca e il suo sorriso grato e le sue lacrime calde e quelle mani piccole che potevano stare comodamente in una delle sue.
Semplicemente Francesca.
Per questo a Davide non importava di vincere, o perdere, o di mostrarsi un imbecille con lei.
Tutti quei problemi passati, tutte quelle litigate, quelle serate buie e i silenzi che non finivano mai. Tutte quelle lacrime, quelle confessioni tenute dentro per troppo, quel suo essere fragile solo con chi si fidava.
Tutta la sua forza nel dimostrare al mondo intero che poteva farcela da sola. Il coraggio di tenere con sé Emanuela. La gioia mai provata di avere una mamma.
Tutto ciò ora aveva un senso, un risultato ottenuto faticosamente che ora più sfavillante che mai faceva morir d’invidia gli altri.
Lei, timida e modesta, arrossiva e negava di esser stata lei a fare tutto quello. Sosteneva che una buona parte fosse di Davide.
Ma Davide sapeva, perché la conosceva meglio degli altri, che in quel corpicino esile e dietro quegli occhi azzurri si nascondeva una donna bellissima e forte, una mamma bella e affettuosa, una ragazzina carina e testarda.
Lei era così.
E non c’era nient’altro da dire.
















Suppongo che, arrivato alla fine, sarebbe educato fare un po' di ringraziamenti.
Dunque, grazie mille ai 71 che hanno messo la storia nei preferiti,


ai 35 che la seguono


e anche ai lettori di cui non conosco il nome.

Grazie anche alle lettrici che mi hanno recensito solo per un capitolo, clodina 85, fruminella89, olimpia93, Aletta92, Mary___02, Rebellious_Angel, thatsamore, _diable_, Anomis, ambris, Oasis, Maghetta25, _Laura_.  (e perdonatemi se ho scordato qualcuno).

A OOgloOO, bribry85, marghepepe, che m'hanno lasciato a metà strada e ringrazio lo stesso tanto, e a MissQueen (ovvero Valentina) che anche se non mi ha più recensito volevo ringraziare perchè mi ha fatto uno dei complimenti più belli che io abbia mai ricevuto "Scrivi incredibilmente bene, per tutto il tempo ho creduto di star leggendo un libro"; per cui grazie pure a lei.

Poi dunque, andiamo avanti, grazie ...
A Valentina78,  che ringrazio dei complimenti per il precedente capitolo.
A Nor, cui ho procurato una notte di sonno tranquillo (ne sono felice) e che ha sovrapposto i caratteri di Davide e Francesca a sue due conoscenze .
A FeFeRoNzA, che ha tentato di sposarmi e purtroppo a causa della mia paura del volo non ha realizzato il suo desiderio (peccato pechè un matrimonio a Las Vegas sarebbe stato forte). Grazie per i complimenti sulla scena nel letto del capitolo precedente, e sono contento che non la trovi volgare.
A Marty McGonagall, ovvero Martina, che ha inventato una nuova parola e mi ha dato il permesso di usarla, e a cui tra l'altro volevo chiedere di 'betare' un'altra mia storia(ma non so se leggi anche storie omosessuali). In realtà mi è mancato il tuo parere sul capitolo 20, ma non importa. Grazie di dirmi che sono cresciuto 'letteriamente parlando', mi fa molto piacere. Spero che il tuo silenzio sulla scena di sesso sia un silenzio... come dire, non indignato, insomma. Un saluto grande grande anche a te.
A wanda nessie, a cui devo dire di non essere assolutamente uno scrittore, nè piccolo nè grande. E che mi ringrazia di questo regalo, ma non sa che sono io a dovervi ringraziare.
A vero15star, che si ritrova nel carattere di Francesca (o sbaglio?), e che non deve preoccuparsi di avermi scritto un'autobiografia. Non la userei mai a scopi malvagi. Ti ringrazio di ogni singolo commento che mi hai lasciato.
A Vale728, ovvero Valentina, che può star sicura che scriverò ancora, (indole seccata e accidiosa permettendo) e spero che la fine ti abbia soddisfatto.
A Urdi, con cui mi scuso ancora per non averle risposto nel precedente capitolo, che ringrazio di tutte le recensioni che mi ha lasciato. E meno male, sono felice di essere il tuo antidoto allo stress.
A Devilgirl89, ovvero Domizia, che fra cinque anni incontrò in ospedale, nella sala parto. Beh, forse è esagerato dire che è il capitolo più bello ed emozionante che tu abbia mai letto. Mhm, mi fa piacere che i tuoi genitori si amino ancora tanto, ma io per scrivere questo non mi sono affatto ispirato ai miei. Argh, che pensieri orrendi che mi vengono in mente, non dovevi dirlo...
A lilly95lilly, che ringrazio dei complimenti anche sul titolo, e spero che il capitolo finale ti sia piaciuto.
A Emily Doyle, caspita, spero di non aver deluso le tue aspettative sull'ultimo.
A Jiuliet, che capisce sempre ciò che voglio comunicare.


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