C'è una strada piccola, affannosa e ripida...

di Elisir86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 31 dicembre -Capitolo 1 :Preparativi- ***
Capitolo 3: *** 31 Dicembre -Capitolo 2: Prima di mezzanotte- ***
Capitolo 4: *** Gennaio -Capitolo 1: Incontrarsi- ***
Capitolo 5: *** Gennaio -Capitolo 2: Fratelli- ***
Capitolo 6: *** Gennaio -Capitolo 3: Zero, nada, nulla...- ***
Capitolo 7: *** Gennaio -Capitolo 4: Notte- ***
Capitolo 8: *** Gennaio -Capitolo 5: La colazione- ***
Capitolo 9: *** Gennaio -Capitolo 7: Un taglio amaro- ***
Capitolo 10: *** Gennaio -Capitolo 6: Il fratello- ***
Capitolo 11: *** Gennaio -Capitolo 8: Momenti d'imbarazzo- ***
Capitolo 12: *** Gennaio -Capitolo 9: Questioni familiari- ***
Capitolo 13: *** Gennaio -Capitolo 10: Torta a tre piani- ***
Capitolo 14: *** Gennaio -Capitolo 11: Attimi- ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


C'è una strada piccola, affannosa e ripida…


 


 

Prologo


 

Il sole colpiva il parabrezza riscaldando leggermente l'auto. Non c'era nulla da dire, per essere il venti novembre era veramente una giornata insolitamente calda.

Si sbottonò con nervosismo i primi bottoni del capotto nero.

Anche quel giorno faceva caldo.

Si, se la ricordava calda, di quel caldo torrido che sudi anche stando davanti a un ventilatore.

Lui e Feliciano stavano in giardino sotto un albero di fichi, suo fratello di appena cinque anni era seduto ad osservare una fila di formiche.

Portavano briciole di pane.

Era stata la loro merenda. Pane con burro e zucchero. Lovino ancora poteva sentire il dolce profumo del pane appena sfornato, la gonna ampia della nonna sporca di farina e il suo sorriso birichino “Mi raccomando, non ditelo al nonno, altrimenti lo vorrà anche lui.”

Nonno li vedeva sempre uscire in giardino ridendo. Faceva finta di leggere il giornale sportivo o di dormire.

Anche quel giorno li aveva visti, ne era sicuro, li aveva guardati con la coda dell'occhio e il giornale che gli copriva il viso.

Perché portano così tanto cibo?” era stata la domanda di Feliciano, e lui che di anni ne aveva sette si sentì il dovere di rispondere, infondo lui era grande e andava alle elementari...sapeva tutto!

Almeno così pensava. “Per mangiare, anche la mamma fa la spesa, no?”

Lovino sorrise lievemente al ricordo di quella conversazione. Era continuata per molto, con tante, moltissime domande di Feliciano.

Schiacciò sull'acceleratore con un moto di stizza. Aveva comprato quella stupida macchina da un vicino di casa. Era vecchia e scassata, ma almeno lo avrebbe portato dove gli interessava. Sua madre lo aveva pregato di non fare lo scavezzacollo e di tornare a casa sano e salvo.

Mamma ha i capelli di un castano scuro. Si disse mentre sorpassava un camioncino del latte.

Quel giorno aveva il sole sulla schiena, l'abito azzurro corto e la borsa del supermercato piena di verdura e frutta.

Lo aveva chiamato o forse no, Lovino non se lo ricordava, sapeva che aveva lasciato Feliciano in giardino ed era corso in casa.

Ah, no...mi ero fermato...

Si, il bagliore del sole contro il vetro colorato di una biglia. Quella mattina ci aveva giocato con suo fratello e il papà, una era ruzzolata giù per i tre scalini di marmo finendo nel prato. Lui, bambino, fu felicissimo di averla ritrovata, aveva sorriso e urlato di gioia richiamando l'attenzione di Feliciano che in un attimo lo aveva raggiunto.

Si erano entusiasmati per una stupidissima biglia.

Lovino accelerò ancora superando il limite, il rosario che portava appeso allo specchietto tintinnava pericolosamente. Non era molto religioso, ma sua madre si. Lei con quel rosario ci era cresciuta ed era certissima che l'avesse protetta per tutti quei anni e le aveva donato la cosa più bella della sua vita: lui.

Che cazzata! Sua madre era una brava donna, ma lui ben poco sopportava tutte quelle idee religiose.

Dov'era Dio quel giorno?

La risposta l'ingoiò come un boccone amaro. Si non era religioso, ma certe cose era meglio non imbrattarle...nemmeno con il pensiero.

Accelerò di nuovo con rabbia.

Il diavolo è ovunque!

E lui – cazzo!- lo sapeva. Lo sapeva benissimo!

Quel giorno probabilmente il demonio aveva adocchiato la loro casa. O forse era giorni che aveva perseguitato papà facendolo impazzire oppure mamma facendola peccare.

Non importava!

A Lovino non poteva fregare di meno di chi era la colpa originaria. Perché l'unica cosa certa era il ricordo di lui e suo fratello, il nonno che li aveva portati lontani, nonostante l'età…

…nonostante il sangue…

Di sangue, ce ne era tanto sulla camicia di nonno.

Lui, quello non se lo sarebbe mai scordato.

 

Carla sedeva nella propria macchina rossa, un bastoncino di liquirizia si muoveva tra le labbra e degli occhiali da sole calati sugli occhi chiari.

Aspettava da alcuni minuti in quella strada isolata il suo cliente. Si ricordava che era un ritardatario, anche al loro primo appuntamento era arrivato con ben trenta minuti di ritardo. E non aveva nemmeno chiesto scusa.

Lei lo aveva perdonato solo per quel faccino e per quel broncio, perché era affascinante anche se da quella bocca uscivano una marea di parolacce e veleno.

Si mosse leggermente, sistemandosi la minigonna gialla e lisciandosi il capottino bianco. Si guardò allo specchietto retrovisore, le labbra colorate di rosa si distesero in un sorriso. Con la mano destra si ravvivò i corti capelli biondi.

Sentì un motore avvicinarsi, guardò oltre il suo riflesso e vide la macchina del cliente. Correva e lei dubitava che si fermasse senza alzare un polverone.

Ragazzini!

Lo vede rallentare leggermente e parcheggiando accanto alla sua vettura, una nube di polvere si alzò e Carla ringraziò di avere i finestrini chiusi.

Dall'auto scese un ragazzo, capelli castani, capotto nero e pantaloni di jeans strappati sulle ginocchia. Bello e trasandato.

Peccato che avesse quindici anni in meno di lei. Certo, lui sembrava un tipo per cui l'età non aveva importanza, ma a lei quel particolare irritava e parecchio.

Abbassò il finestrino “Buongiorno!” sorrise ammaliante. Lui annuì abbassandosi, dai bottoni aperti si intravedeva la camicia bianca, “Sono tre mesi che non ti fai sentire...” lo vide guardare i vari fascicoli che stavano sul sedile del passeggero.

“Vuole entrare nell'auto?” mosse il bastoncino di liquirizia con fare maliziosa, “Preferisco stare all'aperto.”

Lei alzò un sopracciglio scettica, ma se a lui andava bene parlare di certe cose senza preoccuparsi degli altri, “Ma se lei vuole farmi qualche servizietto extra...”

Bello e senza il minimo di buone maniere.

Lei schioccò la lingua sul palato prima di prendere il primo fascicolo. Era leggero, molto meno grosso rispetto a quelli che riguardavano i tradimenti.

Sorrise ancora mentre rovistava tra le varie carte, “Ho trovato suo fratello!” gli allungò una busta “Qui ci sono tutte le informazioni a riguardo.”.

Lui allungò la mano ma subito Carla gli tolse la busta e la ritirò nell'auto. “Ricorda quando la volta scorsa l'avevo avvertita che era probabile che suo fratello non la cercasse?” il ragazzo annuì “È così.”

 

Non c'era da stupirsi. Lovino lo aveva messo in conto dal momento in cui aveva deciso di chiamare un detective privato.

Un ghigno si disegnò sul suo viso e allungando la mano per la seconda volta verso il finestrino riuscì finalmente a prendere quella dannata busta.

“Per quel che mi frega!” e si era messo l'involucro di carta in una tasca del capotto mentre dall'altra tasca fece uscire un plico di euro ripiegati.

“Con questi abbiamo chiuso.” Carla li prese contandoli con velocità. “A mai più signor Vargas.” e rise richiudendosi nel veicolo.

Lovino rimase fermo a guardarla mentre si allontanava.

Anche la macchina che gli aveva portato via Feliciano era rossa. Lui l'aveva guardata dalla finestra della stanza da letto con le lacrime agli occhi e le mani strette in pugno.

Feliciano se ne era andato dopo solo qualche mese che erano finiti in quel orfanotrofio e lui era rimasto solo per molto tempo.

Ci aveva pensato ogni giorno a quella macchina rossa che si allontanava con suo fratello. A diciott'anni aveva lasciato la scuola e aveva iniziato a lavorare, l'idea era racimolare i soldi per poi andare di persona a cercarlo.

Che idea assurda!

Scosse la testa entrando le proprio veicolo. Si sedette e prese una sigaretta dal pacchetto abbandonato sul sedile accanto.

A vent'anni aveva visto un articolo di questi detective privati, si era informato sui costi e dopo un paio di anni era riuscito a rimediare abbastanza...

Il fumo della sigaretta riempì l'abitacolo e lui decise finalmente di aprire la busta.

Lesse alcune righe dove c'era la vita di Feliciano.

Studiava all'università di belle arti a Venezia. La famiglia che lo aveva adottato era molto ricca e gli aveva comprato un appartamento tutto per lui.

E che cazzo!

Lui a ventidue anni era obbligato ad abitare con sua madre nonostante facesse di tutto per essere indipendente.

Poi vide l'invito a una festa privata: Un party per la vendita di qualche dipinto di suo fratello. Il ricavato sarebbe andato in beneficenza.

Io non capisco un cazzo di arte!

Carla probabilmente aveva pensato che era stata un idea per fargli rivedere Feliciano.

Sospirò lanciando i fogli sul sedile insieme alla sigarette.

Se lui non vuole vedermi, io non andrò a trovarlo!

 

 

Angolo dell'autrice:

Premetto che non conosco molto ne l'anime ne il manga, ma spero di non andare troppo nel occ.

Questa fanfic è una long e spero di portarla a termine in poco tempo. Vi prego di essere clementi se la trovate troppo lenta nell'esporre le varie situazioni e i personaggi.

Devo dire che Axis Power Hetalia mi sta facendo superare i miei limiti sulla descrizione di alcune scene.

Il Rating è arancione ma penso che lo alzerò a rosso. Chiedo scusa in anticipo.

Perdonate anche il mio lessico disordinato e i miei errori di scrittura e punteggiatura.

Grazie anticipatamente a tutti coloro che decideranno di seguire questa storia.

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Capitolo 2
*** 31 dicembre -Capitolo 1 :Preparativi- ***


31 Dicembre

1
Preparativi


Blu.
Lo sguardo dell'uomo vagava nella piccola sala addobbata a festa. Vi era un lungo tavolo a ridosso della parete di destra e tanti bicchieri di varie misure messi in un ordine metodico che era tipico di quel ragazzino.
A sinistra vi stavano ben dieci opere.
Dieci, non una di più… Marco masticò quelle parole nel pensiero mentre guardava il giovane artista sistemare uno dei suoi quadri.
Feliciano gli aveva promesso che non avrebbe portato nulla di sconveniente e in apparenza quelli sembravano dipinti semplici e con solo alcuni accenni alla sensualità.
Adorava quel ragazzino per questo aveva accettato di affittargli una stanza, un tempo ci teneva vari utensili per il giardinaggio, poi il giardino condominiale era diventato un parcheggio. Non credeva che nel giro di poco più di un mese potesse subire un cambiamento del genere.
Blu. Fu l'unica parola che riuscì a formulare per i primi interminabili 5 minuti.
Feliciano aveva dipinto le pareti di bianco con decorazioni di un blu scuro sparse su tre delle pareti. Tre, perché a sinistra vi erano già i dipinti con tutte le gradazioni possibili di quel colore.
Perfino la tovaglia di un splendido tessuto -ci scommetteva che valeva più della sua giacca elegante- era di un blu opaco.
Marco arricciò il naso muovendo il primo passo all'interno, la sua stanza degli attrezzi -chissà dov'erano finiti- era diventata improvvisamente una variegato al puffo.
Feliciano si voltò verso di lui accorgendosi della sua presenza solo in quel determinato momento. Il suo sorriso s'ampliò, illuminando la stanza.
“Signor Cavaleri!” la voce una nota allegra in quella giornata fredda, “Cosa ne pensa?” allargò le braccia sfiorando appena una tela.
Marco diede un occhiata con la coda dell'occhio: una donna con un velo blu sul corpo nudo.
Blu.
Sorrise a sua volta. “È molto bello Feliciano.” Non gli piaceva tutto quello, in quel colore che aveva scelto il giovane non c'era calore, ma una sorta di malinconia.
“Ti sei dato da fare, è raro vederti lavorare così duramente.” parlava come un nonno e Feliciano un po' gli ricordava quel suo nipotino che ormai era troppo cresciuto per andarlo a trovare. Lo vide fare un broncio, ma quel viso così delicato non riusciva a trasformarsi e si vedeva la sua allegria anche dietro a quelle labbra corrucciate.
Brontolò qualcosa, tipo un “Io lavoro quando serve...” e un “E quando si tratta di arte non è faticoso...” ma Marco non lo ascoltò avanzando ancora nella stanza.
Piantonò i suoi grandi piedi nel centro e alzò lo sguardo sul soffitto. Per sua grazia era rimasto bianco. “Oh, mi ero quasi scordato!” aveva esclamato in quel momento il ragazzo, sbattendo le mani tra di loro, produsse un rumore che riecheggiò per qualche istante, “Devo andare a prendere il lampadario!”
L'uomo alzò un sopracciglio bianco, “Perché cos'ha che non va questo?” e sapeva che era una domanda inutile “Non è in tema signor Cavaleri.” si sentì rispondere “Ci metterò una mezz'oretta...” e a quel punto Marco capì che Feliciano non parlava più con lui.
Gli artisti, giovani o vecchi sono sempre pazzi.
“Mi raccomando per stasera...” iniziò tornando sui suoi passi, il ragazzo lo seguì in silenzio “...Sarà anche l'ultimo dell'anno ma preferirei pochi schiamazzi...” continuò sentendo la chiave chiudere la porta “Non si preoccupi!” trillò l'altro superandolo “Ho insonorizzato l'ambiente!” e detto questo si precipitò lungo il corridoio.
Marco sbatté un paio di volte le palpebre mentre vedeva il capotto candido del giovane venir ingoiato dalla luce fredda delle lampade.
Feliciano aveva sprecato più soldi del dovuto per quella stanza. Avrebbe dovuto dargliela gratis. Scosse la testa e con un sospiro si avviò verso le scale.
Ah, quel ragazzo!


Feliciano arrivò al negozio di antiquariato infreddolito. Il capotto aperto e il maglioncino chiaro con lo scollo ampio. Il collo pallido lasciato alla mercé del freddo, così come le mani. Guardò la tasca: i guanti azzurri la riempivano.
Sospirò portandosi una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio sinistro.
11.50
Dieci minuti prima della chiusura. Matthew lo avrebbe odiato. E dire che lo aveva raccomando di arrivare per le 10.30.
Entrò estraendo dalla tasca dei jeans chiari un fazzoletto di pizzo bianco. Lo sventolò come fosse una bandiera “Scuuusaaaaaamiiiiiiii!” fu la lamentosa parola che gli uscì dalle labbra. Il commesso alzò lo sguardo dall'oggetto che stava ripulendo. Gli occhiali riflettevano la luce del lampadario posto sopra il bancone.
L'altro sorrise posando il pesante fermacarte del 1940 e il tessuto che di bianco aveva davvero poco. “Feliciano, hai avuto molto da fare?” era sempre cortese Matthew, anche quando lo si insultava…
L'artista annuì, “Stavo sistemando i dipinti e...” si leccò le labbra al ricordo di aver praticamente fatto sesso nell'ascensore con la sorella della vicina di casa “...altro.” Era meglio non precisare.
Conosceva Matthew da due anni – da quando praticamente aveva aperto quel negozietto- ma non avevano fatto altro che conversare di arte.
Di fidanzate e avventure non ne avevano parlato.
Di lui sapeva solo che aveva quasi vent'anni e che era canadese da parte di madre. Il resto sfumava in ricordi che probabilmente erano troppo dolorosi, come i miei.
Non aveva indagato oltre.
Matthew poi sembrava così timido che quasi si stupiva che avesse avuto il coraggio di aprire un attività.
A momenti arrossiva solo nel salutare.
“L'hai sistemato?” chiese appoggiando i gomiti sul bancone posando il mento sulle mani, gli occhi nocciola si soffermarono su quel fermacarte a forma di falco.
L'altro annuì abbassandosi e Feliciano si domandava quante cose avesse sotto quell'enorme tavolo. Ogni volta sembrava sparire, inghiottito da un mucchio di scatoloni e carte.
“Come promesso ho fatto il possibile per tenere più parti originali...” borbottò da sotto il banco, l'italiano si domandò quanto fosse pregiato quel legno lavorato e levigato. Matthew lo teneva maniacalmente anche se non era in vendita.
Il biondo sbucò come una molla, era alto e teneva le spalle curve, “Eccolo!” e con delicatezza gli porse l'oggetto di vetro con intarsi blu.

“Il mondo è blu! Anche tu sei blu!”

°°°°°°°°°°

Le labbra di Francis erano qualcosa di divino. Un assaggio del nettare degli dei e lui compiva un sacrilegio a baciarle.
Il francese probabilmente non ne era consapevole, visto che la sua bocca non solo toccava il suo corpo ma anche quello di un altro…
Il diavolo.
Aveva pensato al terzo uomo in quel modo la prima volta che lo aveva visto, con gli occhi di quel rosso sangue.
Aveva pensato a Gilbert come il diavolo anche la prima volta che lo aveva baciato, perché se le labbra di Francis erano divine, quelle del tedesco erano l'inferno.
Antonio ansimò quando l'albino si posizionò in mezzo alle sue gambe, i capelli bianchi furono catturati da una delle sue mani. La vista di quel contrasto, chiaro e scuro, lo eccitava ancor di più. Lasciò che la lingua calda, peccaminosa di Gilbert strusciasse all'interno delle sue cosce con lentezza esasperante e che la punta stuzzicasse ogni tanto il suo membro.
Francis si spostò, strusciando il suo corpo su quello dello spagnolo. Le labbra incollate sul suo collo, lasciando una scia umida fino allo sterno, poi su dall'altra parte.
Lo sentii tremare al suo tocco e a quello di Gilbert.
Antonio era stato l'ultimo ad unirsi al loro gruppo, ma non aveva esitato a buttarsi in quel gioco. Piano piano erano diventati anche amici inseparabili e oltre al sesso condividevano anche altri interessi.
Francis adorava gli occhi di Antonio, gli ricordavano quelli di lui ma non facevano male. Li amava e ogni volta ci si affogava. E lo spagnolo lasciava che lui ci morisse nel guardarlo, nel baciarlo e nel possederlo.
Gilbert aveva una predilezione per i suoi capelli scuri, li accarezzava ogni volta che gli era possibile. Li annusava. Qualche volta li tirava con stizza. E Antonio lasciava fare, come se non sentisse dolore o fastidio, come se fosse normale.
Interessi che in quel momento erano scesi in secondo piano.
Non si amavano, ma anche quello non contava quando facevano sesso.
Lo diceva la parola stessa: sesso, non amore. Sesso.
Il loro non era altro che un momento di gioco, lasciare il mondo fuori dalla porta e darsi piacere a vicenda.
Nessun legame al di fuori dell'amicizia.
Antonio non era geloso se loro scopavano qualcun altro e viceversa. Ogni tanto si scambiavano perfino gli amanti.
Francis si allungò, lasciando che fossero le labbra e la lingua dello spagnolo a creare una scia sul suo mento, collo, petto e addome.
Si fermò solo quando fu in ginocchio con il membro che svettava a pochi millimetri dal viso di Antonio. Lo guardò negli occhi languidi prima di sorridere, gli agguantò con entrambe le mani il capo, intrecciando le sue lunghe dita tra quella chioma ribelle.
Schiacciò il viso sul suo membro e l'unica cosa che l'altro poté fare fu eseguire la richiesta. Dalle labbra del francese uscì un gemito.
Gilbert si decise finalmente di lambire quel pene gonfio e duro, lo sentì fremere sotto la lingua. Alzò gli occhi incontrando il sedere di Francis che si muoveva in un ritmo moderato. Dalla bocca dello spagnolo uscì solo un mugolare sconnesso mischiato alla saliva.
Sorrise perverso mentre si allungava su di lui, una mano a impugnare la sua erezione e la lingua che dalla pelle scura di uno passava a quella chiara dell'altro.
Francis trattenne il fiato nel sentire l'alito caldo del tedesco proprio , insieme l'umido della saliva. Inclinò il capo all'indietro, i lunghi capelli biondi sfiorarono la schiena e subito, forte – crudele – la mano dell'albino si arpionò su di essi.
Si sentì strattonare e la sua schiena si incurvò pericolosamente, qualcosa di caldo s'insinuò dentro di lui. Gemette di dolore e piacere.
Quando delle dita sostituirono la lingua Francis aumento il ritmo del bacino e Antonio accettò senza protestare il membro nella sua gola.
Ancora...ancora…
Gli occhi verdi di Antonio sembravano dirgli solo quello quando lui si svuotò nella sua bocca.
Ancora...ancora…
Oh, se avrebbe voluto vedere quello sguardo su di lui! S'inchinò a baciarlo.


Gilbert mordeva senza pietà la pelle delle sue cosce lasciandogli segni rossi. Si muoveva lui, tremando di aspettativa e tormento, cercando di chiudere le gambe e pretendere qualcosa di diverso.
Le mani di Francis che gli tenevano larghe le cosce con una salda presa. La sua bocca sul collo come a volergli alleviare il dolore.
Le mani di Antonio, scure, di nuovo sui capelli del tedesco, tiravano quei fili bianchi incitandolo ad andare aventi, allontanandolo da quella tortura.
Voleva assolutamente che quella bocca maledetta finisse sul suo membro, che lo succhiasse a dovere!
Sussultò trattenendo in gola l'imprecazione sentendo i denti graffiare la pelle del suo pene. Non era delicato Gilbert, non lo era mai stato. Non chiedeva mai il permesso e si prendeva il suo tempo, il suo ritmo e ciò che voleva.
“Cazzo!” gorgogliò lo spagnolo sentendo finalmente la bocca inghiottirlo. Reclinò il capo posandolo sulla spalla di Francis lasciandogli via libera su tutta la lunghezza del suo collo. Le mani del francese lasciarono la presa sulle cosce, salirono lungo l'addome accarezzando i muscoli, graffiando leggermente con le unghie, per infine arrivare ai capezzoli.
Gemette.
Antonio non capii quanto durò il tutto, ma era al limite, strinse con più forza il capo di Gilbert sul suo membro cercando di muovere il bacino a un ritmo più veloce.
Fu in quel momento che il dolore lo invase.
Francis, seduto sotto di lui si aggrappava ai suoi fianchi. Le dita candide lasciavano dei segni sulla pelle abbronzata. Il respiro affannato, “Rilassati...” sussurrò all'orecchio, lo spagnolo masticò qualche parola incomprensibile mentre sentiva il pene dell'amico farsi strada con fatica.
Gilbert alzò il capo sorridendo deliziato, lasciò che il biondo si prendesse tutto il tempo necessario e intanto lui muoveva in una lenta carezza una mano sull'erezione del moro.
Quando vide il francese smettere di fare pressioni capì che era completamente all'interno di Antonio, rise alzandosi sulle ginocchia. Baciò prima l'uno poi l'altro, soffermandosi sulle labbra di Francis. Si sedette sul bacino dello spagnolo e con lentezza si fece penetrare.

°°°°°°°°°°

Con un movimento impacciato che quasi gli costò una storta alla caviglia, Feliciano prese l'ennesima teglia dal forno.
La appoggiò sul ripiano di marmo bianco. La guardò critico, come un pasticcere esperto, non voleva che ci fosse un solo biscotto, involtino o pizzetta con imperfezioni. Per sua fortuna gli scarti erano davvero pochi, non riempivano nemmeno una ciotola.
Sorrise, prendendone uno, la crema pasticcera era di un blu tendente al verde, ma non importava, l'importante era che ci fossero almeno dei riflessi blu.
“Feliciano...” iniziò una voce dall'altra parte della cucina, una ragazza del suo corso stava preparando delle bevande, “Non credi che ci sia troppo blu a questa festa?”
Si voltò mostrando il viso paffuto, gli occhi grandi grigi e un sorriso dolce. Non si truccava Domenica, era una ragazza che tutti definivano “bruttina” perché aveva qualche chilo in più rispetto al canone predefinito.
I capelli biondicci li teneva in due trecce infantili e indossava abiti larghi, in maniera che non aderissero sulle sue rotondità ed era alta più del normale.
Lui al primo anno di università l'aveva convinta a farsi ritrarre. Quel quadro era poi stato comprato da un amico di famiglia che lo aveva posto nel suo ristorante.
Domenica non ne sapeva niente.
“Anche, mamma lo trova strano!” rise portandosi una mano sporca tra i capelli “Certo non ho mai usato così tanto blu come oggi...”
Lei tornò a mescolare le bevande, “Sarà, ma dopo questa notte mi sa che vedrò grande puffo ovunque!” e ridacchiò.
Perché ridere apertamente era una cosa che attirava attenzione, come il trucco.
Eppure era simpatica.
“Ehi!” ancora una volta la sua voce, alta, ma solo perché lui sembrava distratto. Ora era voltata completamente, i pantaloni della tuta neri e la felpa dell'identico colore. Le mani impasticciate di blu, perfino sotto il naso aveva del colore, “Hai già deciso cosa indosserai?” il viso leggermente inclinato.
Domenica non era una ragazza snob, ma era una donna e come tale doveva essere curiosa su qualcosa. Lei aveva migliaia di riviste di moda in camera sua -perché viveva ancora con i suoi- e il suo armadio traboccava di stoffe che lei non avrebbe mai usato per qualche suo abito.
“Di blu...” e lei sospirò scuotendo il capo, le trecce le ricaddero sul petto “Del tutto?” Feliciano si portò una mano sotto il mento, non ci aveva ancora pensato a dire il vero, ma era più che sicuro che non avesse una camicia blu.
“Mah, non saprei...” mormorò infornando un'altra teglia di pizzette. Anche esse avevano una strana salsa blu. Sembravano qualcosa di alieno.
Forse aveva ragione Domenica, aveva esagerato…
...Eppure lui credeva ancora il mondo fosse blu.

“Non dire stupidaggini! Io non sono blu!”

 

°°°°°°°°°°

Francis era mollemente sdraiato sul lato destro del letto, la testa appoggiata sul muro e una sigaretta tra le dita.
Antonio era sdraiato accanto, avvolto per metà dal copriletto, il giallo contrastava con la pelle abbronzata, lo guardava con quei occhi verdi e un sorriso divertito sulle labbra. Rideva anche Gilbert dall'altro lato, seduto e completamente nudo. Una mano che reggeva il capo e una sigaretta nell'altra.
Il francese corrugò la fronte, con fin troppa grazia si grattò l'interno coscia ancora appiccicoso. Sapeva cosa faceva sorridere quei due, con la coda dell'occhio guardò la sveglia che stava sul comodino.
14.06
Era in ritardo di due ore. Se aggiungeva la doccia e magari un secondo round nel bagno, da due sarebbe arrivato a tre e mezzo.
Imperdonabile!
Sospirò portandosi la sigaretta sulle labbra, lui però perdona sempre. Lo avrebbe fatto anche quella volta, non era ne la prima ne l'ultima volta.
Francis non era sicuro che sapesse dei suoi passatempi. Era però sicuro che non lo avrebbe perso per nulla al mondo. Lui era cosi accondiscendente.
Il tedesco si voltò verso la finestra “Il tuo cagnolino si starà domandando che fine hai fatto!” la voce irrisoria, perché Gilbert non riusciva a prendere niente e nessuno sul serio. Il biondo si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Non penso nemmeno che sappia pensare...” mormorò con disprezzo. Perché Matthew non era niente di più di un oggetto...era solamente l'altro...
Sorrise, alzando le spalle, non era importante. Aveva di nuovo voglia di farlo, passò la sigaretta ad Antonio, “Vado a lavarmi...” mormorò a pochi centimetri dal suo orecchio.
Lo spagnolo schioccò la lingua strusciando le gambe su quelle di Gilbert “Cos'è?” chiese malizioso “Un invito?”

 

Era sicuro di trovarlo al negozio dietro al balcone intento a pulire chissà quale bizzarro oggetto. Lo guardò dalla vetrina, era chino su un soprammobile dall'aria aristocratica, con le mani grandi e magre sfioravano gli intarsi come se stesse accarezzando il corpo delicato di una donna.
Diede un'occhiata all'orologio sul polso, le sedici esatte.
Sospinse la porta sorridendo come un ebete. “Mon amour!” esclamò alzando le braccia in maniera plateale, mentre l'altro alzò lo sguardo su di lui.
“Sono in ritardo, lo so...” la voce alta e giovale, come a sottolineare a che lui non fregasse molto, ma che probabilmente a Matthew sembrava significare “Mi dispiace!”
“Avrei dovuto chiamarti...” avanzò verso il balcone, dove il canadese aveva posato allarmato l'oggetto antico.
“Ma non mi ero accorto dell'ora e ho continuato a...” si leccò le labbra al ricordo del sapore di Gilbert e qualcosa in mezzo alle gambe sembrava gradire quel pensiero “...lavorare.” mentì.
Il canadese aveva abbassato il capo e ripreso a studiare il soprammobile. Sul volto un sorriso mesto. “Non importa. Sarà per la prossima volta.” la voce un sussurro con un retrogusto...Amaro.
Francis scacciò quella parola in un batter baleno, non era possibile. Matthew era sempre benevolo e non faceva mai caso alle sue bugie o forse non capiva che erano tali.
Il francese scosse il capo facendo ondeggiare la coda, “Per farmi perdonare ho pensato di venire da te domani...”
Matthew sospirò prendendo il suo fidato telo di cotone e iniziò a tamponare l'oggetto antico, “Ho ospiti.” disse cercando di sembrare convincente, “Te l'ho detto l'altra volta...” vide con la coda dell'occhio l'altro, aveva corrugato la fronte e portato la mano sinistra sotto il mento, probabilmente se ne era dimenticato. Non era la prima volta, sembrava quasi che lui parlasse al muro.
“Ah!” l'esclamazione lo riportò alla realtà, cercò di non sobbalzare e si costrinse a corrugare la fronte, “Beh, allora sarà per un'altra volta!” e vedere il sorriso luminoso di Francis gli fece sperare che la sua pazienza era stata ripagata.
E poco importava che il corpo del francese sapesse di un profumo diverso dal solito, che lo avesse lasciato solo per tutto il pranzo solo per stare con qualcun altro…
...Non importava che sul suo lungo collo pallido spiccava l'impronta di un morso.
Ora Francis sorrideva solo a lui e sembrava promettergli amore.

 

 


Angolo dell'autrice:
Primo capitolo arrivato più tardi del previsto, ma date la colpa al caldo inteso che si è impadronito dell'Italia.
Scriverlo è stato piuttosto difficile, non solo per il caldo, il computer che non c'era praticamente mai, ma anche per il trio…
...mah…
Comunque spero che sia stato di vostro gradimento.
Un abbraccio!

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Capitolo 3
*** 31 Dicembre -Capitolo 2: Prima di mezzanotte- ***


31 Dicembre

2

Prima di mezzanotte

 

20.30

Feliciano sospirò sistemandosi i polsini della camicia. Bianca, perché Domenica aveva insistito: di blu ce ne era fin troppo.
Le uniche cose di quel colore era la cravatta e i gemelli. Passò il polpastrello dell'indice destro su quella superficie liscia, suo padre glieli aveva regalati al suo quindicesimo compleanno. Erano di quel colore che ossessionava i suoi capodanni e lui aveva pensato – stupidamente- che fosse il suo colore preferito.
Sospirò.
Domenica lo guardava seduta sul letto, le gambe accavallate, la punta della scarpa sinistra picchiettava sul pavimento pregiato.
Lui le lanciò uno sguardo critico, se lui era fissato con il blu, lei lo era con il nero. Anche quella sera vestiva di scuro con pantaloni sformati e camicia maschile. I capelli per una volta erano legati in una unica treccia, dei ciuffi ribelli erano scappati dall'elastico e sembrava più uno spaventapasseri.
“Smettila di fissarmi e vedi di sistemarti quei capelli!” il piede smise di battere mentre lei s'allungava sul letto verso il comodino. Era pieno di matite mangiucchiate e un blocco di disegno.
Uno nuovo.
Quello vecchio probabilmente era nel cassetto della scrivania. Con delicatezza iniziò a sfogliare le pagine.
Uomini e donne si alternavano tra schizzi e disegni bene definiti su sedici fogli differenti. Uno rappresentava un professore delle superiori di lui.
Lo sapeva perché quando si era conosciuti lui gli aveva fatto vedere ben dieci album fotografici e altrettanti blocchi da disegno.
“Non è un po' troppo giovane?” aveva chiesto lei indicando quel ragazzo, ma Feliciano aveva riso facendola vergognare e quando aveva scoperto che lui di anni ne aveva ben 26 era diventata ancora più rossa.
“Hai per caso...” iniziò lanciandogli uno sguardo malizioso “...Una cotta per il tuo ex-professore?” Feliciano spalancò gli occhi, sbiancando, come se la ragazza di The Ring fosse uscita dal suo specchio.
“Veeeeh?” la voce più alta del dovuto “Stai scherzando, vero?” voltò il capo facendo scrocchiare il collo “Mi faceva paura!”
Domenica alzò un sopracciglio, la pagina aperta ancora su quell'uomo così infelice, Feliciano sapeva disegnare meglio di qualsiasi persona dell'università. Aveva provato subito un senso di smarrimento, un dolore che stringeva il cuore, difficile da contenere in un foglio di carta…
Sorrise dolcemente conciliante facendo ritornare il respiro al suo amico.
“Eppure lo disegni spesso.” lo vide illuminarsi, “Oh, è un soggetto interessante. Ha un bel viso.”
Lei abbassò lo sguardo, il volto dello sconosciuto era veramente bello.
Chiuse con un colpo secco il blocco “Non importa!” con un balzo s'alzò dal letto e si sistemò la camicia. Il petto abbondante si poteva notare anche così, ma non era per niente volgare.
“Ora dobbiamo andare, Feli, sono quasi le nove e non abbiamo ancora portato le bibite!” lui sorrise, sbatté con forza le mani facendo sembrare più maturo un bambino di dieci anni.

°°°°°°°°°°

Antonio rise divertito mentre le mani di Gilbert s'intrufolavano sotto la maglietta, le sue labbra incollate sul collo, salivano e scendevano in una striscia continua di baci e leccate fugaci.
“Sembra quasi, che non lo fai da un mese!” la voce cristallina s'infranse sul muro umidiccio del bagno, “Lo abbiamo già fatto due volte oggi...” l'albino lo morse con forza facendolo sobbalzare.
“Non sono in astinenza, figurati se una persona magnifica come me possa rimanere senza un compagno per anche solo dieci minuti!” con le mani scese alla cintura dello spagnolo mentre appoggiava con irruenza il bacino contro il sedere.
Jeans contro jeans.
Le dita pallide di Gilbert arrivarono ai bottoni dei pantaloni, il pollice sfiorò appena la zona dove dormiva il pene dell'amico. “Infatti, Antonio, tu non mi resisti...” sussurrò all'orecchio leccandolo. Lo spagnolo sospirò, non aveva ne la forza ne la voglia di allontanare quel maniaco di un tedesco.
Inclinò la testa e inarcò la schiena in modo d'avvicinare ancor di più il sedere alla semi erezione dell'altro.
“Potrei dire la stessa cosa...” le labbra tirate in un ghigno, le sue mani schiacciate sul muro scivolavano. Aveva terminato da pochi minuti la doccia e ancora si sentiva il vapore acqueo al profumo di pino.
Il trillo di un telefono riempì la stanza, Gilbert lo ignorò passando un palmo sul fianco abbronzato dell'altro e scendendo con l'altra mano all'interno dei jeans. Antonio sospirò nel momento in cui sentì una carezza più vigorosa sul membro.
Il cellulare smise di suonare. Il silenzio stordì leggermente i giovani, le labbra dell'albino si spostarono dal collo alla spalla, con i denti strattonò la stoffa bianca. Si senti un piccolo strappo.
Di nuovo lo squillo echeggiò nella stanza e i pantaloni di Antonio scivolarono verso il pavimento. “Spegnilo...” boccheggiò inarcandosi nel tentativo di sfregare con più forza il pene sulla mano dell'amico. Il tedesco rise.
Di nuovo il suono cessò. Gilbert allontanò le mani dall'iberico per slacciare i propri di jeans, questione di pochi secondi che già era attaccato alla schiena dell'altro. Strusciò l'erezione sul solco dei glutei...
Di nuovo la melodia del cellulare e questa volta il tedesco si fermò. Con un ringhio mollò la presa sul moro, si sistemò la maglia e i capelli -come se la persona potesse vederlo-.
Rispose.
“Pronto? Qui Gilbert il magnifico!” sorrise.
Falso!
Antonio lo pensò leccandosi le labbra, si voltò lentamente ad osservare l'amico.
Rabbrividì al contatto della schiena con il muro.
Si portò una mano sul petto, accarezzandosi come faceva con un amante, le dita dell'altra si muovevano piano tra l'elastico dei boxer e la pelle.
Gilbert lo guardò con eccitazione, si morse il labbro inferiore e con le dita andò a sfiorarsi appena l'inguine: una muta richiesta di continuare.
Solo quando vide lo spagnolo abbassarsi quel che bastava i boxer per far uscire il suo pene bello duro si accorse che dall'altra parte del cellulare nessuno aveva ancora parlato.
Alzò un sopracciglio guardando il movimento ipnotico della mano di Antonio, “Pronto..?” ripeté sempre con voce alta -perché lui era meraviglioso e tutti dovevano notarlo- ma meno squillante di prima.
L'iberico avvicinò il viso a quello del suo amico, baciandolo delicatamente sul mento e sulla gola, le labbra si mossero in un “Facciamolo ora”.
La mano sinistra dell'albino tirò i capelli scuri dell'amico, lo strattonò fino a guardarlo negli occhi. Lo baciò sulle labbra con prepotenza.
Un sospiro che s'infranse nel cellulare, il respiro di un uomo.
Gilbert s'irrigidì e il respiro gli si bloccò nella gola. Per un attimo nella sua mente rimbalzò un nome. Un nome molto lontano.
Si staccò da Antonio come se scottasse, la mano -di nuovo libera- andò sulla cerniera dei jeans tentando di chiuderla. Come se volesse cancellare quello che lui aveva iniziato.
Lo spagnolo lo guardò allibito bloccando perfino il movimento sulla propria erezione.
Infine lo sconosciuto decise di parlare, “Gilbert, sono io...” e il tedesco si fermò, la mano ancora sui pantaloni in cerca del bottone, la bocca secca e gli occhi sgranati.
Non era propriamente la persona che aveva creduto di sentire, ma era comunque una voce che non udiva da tanto, tanto tempo.
Deglutì prima di riuscire a muoversi di nuovo, voltò lo sguardo verso la porta del bagno. Con un paio di falcate era già lì, una mano sulla maniglia e la fronte corrugata.
“...Ludwig.” mormorò prima di uscire e sbattere la porta.

 

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21.23

Matthew guardò con occhio critico la stanza completamente blu. Dal soffitto scendeva delicato il suo lampadario. Suo, perché per lui ogni oggetto che era passato dal suo negozio diventava una parte di se.
Era il primo. Vicino al tavolo Feliciano e una ragazza erano intenti a sistemare dei vassoi, “Veeeh!” l'esclamazione riecheggiò per tutta la stanza “Pensavo che non saresti venuto!”
Il canadese sorrise mesto come a scusarsi, era rimasto indeciso fino a quel pomeriggio, in un certo senso aveva sperato che Francis lasciasse a bocca asciutta i suoi amici e fosse rimasto con lui.
In tre anni che si frequentavano non avevano mai passato insieme una sola festività. Lui sapeva che per il francese probabilmente era solo un passatempo, ma sperava…
Non importa con il nuovo anno tutto cambierà.
“Domenica!” il pittore si volse verso la sua amica rischiando di sbattere con l'anca sul tavolo “Lui è Matthew, te ne ho parlato...” lei smise di sistemare e decise finalmente di guardare l'ospite.
Era alto, tendeva ad ingobbire le spalle e lo sguardo non stava mai fermo da nessuna parte. Feliciano le aveva raccontato di quel ragazzo che aveva aperto un negozio d'antiquariato. Lo aveva immaginato più vecchio.
“Piacere!” sorrise avvicinandosi, era alto più di lei e questo le fece allargare il sorriso. Lui le strinse la mano con forza.
Matthew non sapeva come comportarsi, era arrossito ed era sicuro che le sue mani stavano sudando. Non era abituato a presentarsi, non era abituato nemmeno ai sorrisi dolci e candidi come quelli di quella ragazza.
“Feliciano mi ha parlato di te e del tuo lavoro!” il suo cuore fece una capriola, era strano – stranissimo – che qualcuno si ricordasse di lui dopo che era uscito dal negozio.
“Matthew Williams.”

°°°°°°°°°°

Gilbert era già al suo quarto boccale di birra mentre guardava l'orologio da polso. Quel orologio che sua madre -santa donna- gli aveva regalato quando lui appena quindicenne aveva deciso di andare a studiare in Francia.
“Perché vai in Francia?”
Non aveva dato la risposta che voleva a suo fratello, si era arrampicato sugli specchi dicendo frasi fatte. Grande errore. Il suo fratellino aveva si tre anni in meno di lui, ma era un fottuto genio. Dire che capiva quando uno mentiva a distanza di un chilometro non era una enfatizzazione.
Non gli aveva rivolto la parola per anni. Per quella stupida, stupidissima bugia.
Per dieci fottutissimi anni, lui aveva mandato regali di ogni tipo, per qualsiasi occasione. Ai quali Ludwig aveva risposto con insignificanti email di ringraziamento. E ora lo chiamava!
“Possiamo vederci?”
Ah, ma ti sembrava il modo di rovinargli una bellissima serata! Ma Ludwig probabilmente non si era nemmeno ricordato che era il 31 dicembre, che era festa e che non gli parlava da così tanto tempo…
O forse, semplicemente sperava di cancellare tutto quel silenzio con una chiacchierata di un paio d'ore?
Ringhiò bevendo un altro lungo sorso.
Antonio sedeva accanto a lui, lo guardava allarmato ma incapace di spiaccicare parola. Appena era iniziata la conversazione Gilbert se ne era andato dal bagno sbattendo la porta. Era sbiancato, come se dall'altra parte dell'apparecchio ci fosse un fantasma.
Lo aveva sentito borbottare qualche incomprensibile parola in tedesco e quando lo aveva raggiunto l'albino lo aveva praticamente trascinato in quel bar.
Niente sveltina in bagno e sicuramente niente divertimento nemmeno per quella sera.
Lo spagnolo spostò lo sguardo sull'entrata nel momento in cui venne aperta per l'ennesima volta. Ma del francese nemmeno l'ombra.
Sbuffò sorseggiando la birra e in quel momento il suo sguardo cadde sul balcone. C'erano per di più persone anziane che rinvangavano il tempo passato. Ridevano forte e cantavano canzoni che dire antiche era un complimento.
Tra di loro pochi giovani, lì ad aspettare la mezzanotte o per un aperitivo prima di chissà quale festa.
“Ehi!” una voce alta e chiara “Dammi una fottuto drink che non sappia di piscio!” Antonio serpeggiò tra i volti che li circondavano ed ecco a due persone di distanza vi era la persona a cui apparteneva quella voce.
Dei capelli castani scuro, un naso dritto e una bocca corrucciata. Una bocca a dir vero molto bella. Non lo vedeva bene, stava di profilo e la frangia gli copriva gli occhi, ma il mento era delicato e il collo era sinuoso, latteo -meraviglioso- usciva da un colletto nero.
La camicia nascondeva il resto del corpo -a dire il vero anche il signore che sedeva sullo sgabello accanto lo copriva quasi del tutto-. Sul balcone la mano pallida picchiettava impaziente. “Mi hai sentito?” parlò di nuovo con voce ancora più alta, più astiosa e acida “Dammi qualcosa da bere che non faccia cagare!”
Il barista si voltò con lo sguardo accigliato, s'alzò gli occhiali sul naso, “Si, arrivo!” l'altro sbuffò ma non commentò oltre.
Gilbert urtò con il gomito il boccale di Antonio “Voglio un'altra birra!” tuonò sbattendo il boccale. Il rumore sordo fece girare molti cliente, tra cui il ragazzo poco educato.
Occhi verdi.
Di un verde chiaro che ricordavano le olive.
Lo spagnolo sorrise affabile socchiudendo appena lo sguardo, ma non abbastanza per evitare il dito medio alzato nella sua direzione contornato da un bastardo digrignato tra i denti.

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22.49

Quasi le undici.
Lovino si era seduto in un angolo nascosto del locale per evitare quel pervertito che lo aveva osservato per un tempo superiore al necessario – che per lui equivaleva a tre secondi-, con un drink tra le mani, bevibile ma non buono abbastanza per essere di suo gradimento.
Guardava in continuazione l'orario sul cellulare. Era indeciso, cazzo, se andare o no a quel party di suo fratello.
Era arrivato a Venezia il giorno prima con il treno, aveva passato tutto il viaggio con mille pensieri e preoccupato.
Sua madre Concetta non aveva obbiettato quando lui gli aveva detto che avrebbe passato la fine dell'anno con amici.
“Starai fuori tutta la notte?” lei si preoccupava sempre. Lui aveva digrignato i denti e chiuso le mani in pugni, aveva ventidue anni dopotutto. Lei a quel punto aveva solo abbassato lo sguardo sulla tovaglietta e aveva continuato il ricamo di Cristo in croce.
Fedele.
Nonostante tutte le sofferenze che la vita gli aveva riservato…
“Starò via qualche giorno!” e con quelle parole era uscito di casa. “Fatti guidare sempre da Dio.” fu la vaga risposta che sentì dietro alla porta.
Sospirò, sorseggiando il drink e lanciando uno sguardo alla sala. C'era molto chiasso.
Lui era entrato in quel bar solo perché era sulla strada che lo avrebbe portato da Feliciano. Il dubbio di aver fatto una colossale cazzata lo aveva obbligato a fermarsi.
Per un mese intero si era detto che non avrebbe preso parte a quel party, che non sarebbe andato a Venezia e che se suo fratello non voleva vederlo non si sarebbe presentato da lui.
E invece eccolo lì, in un locale affollato, dove canzoni pop si mischiavano all'inno italiano con in mano una bevanda indegna di esistere, pieno di paura.
Voleva vedere Feliciano?
Si
Voleva parlargli?
Si
Voleva conoscerlo?
Si
La ragione sembrava fare tutto semplice. Era il cuore, che tremava alla sola idea che suo fratello si fosse perfino dimenticato di lui o peggio ancora che lo odiasse.
Lasciò la bevanda sul tavolino, gli occhi vacui e ben poca voglia di festeggiare.

 

Francis fece il suo ingresso spalancando la porta a vetri con ben poca grazia, il sorriso malizioso e i bei capelli lasciati sciolti sulle spalle in contrasto con il capotto rosso.
Il barista si sistemò gli occhiali guardando il nuovo arrivato con aria di rimprovero. Sperò con tutto se stesso che la porta non si fosse spaccata e si domandò dove era finito Berwald, il proprietario.
“Spero di non avervi fatto attendere molto!” la voce alta -perché Francis doveva essere notato- e squillante. Le mani si muovevano intorno a lui come farfalle. “Ho fatto il prima possibile...” si avvicinò ai suoi amici ignorando completamente gli sguardi scocciati dei avventori.
Gilbert alzò la testa di scatto, gli occhi rossi languidi per il troppo bere e una smorfia stampata sul viso. “Cos'è?” urlò allungando il collo verso il francese “Il tuo cane non ti lasciava uscire?” e rise, come se avesse fatto la battuta migliore del mondo.
Francis corrugò la fronte portando le mani sui fianchi in quel movimento da maestrina che tanto irritava il tedesco “Per tua informazione il mio cane...” e qui si sedette dando una leggera spinta del bacino a una borsa posata su uno sgabello “...è rimasto solo, soletto a casa. Come avevo previsto si è bevuto la storia del lavoro e non mi ha nemmeno chiesto di stare con lui stasera!” sorrise allegro.
Antonio rise a sua volta “E che ne sai se lui è a casa davvero da solo?” la voce un po' alticcia. Il biondo gesticolò con la mano davanti al volto come a schiacciare un insetto “Sciocchezze!” sentenziò “Non sarebbe in grado!”.
Si voltò raggiante verso il barista, gli stava di spalle, ma lo vedeva alto e magro, “Vorrei un drink...” esclamò con quel suo modo civettuolo “...cosa potresti consigliarmi?” il ragazzo si girò mostrando un volto carino, pallido e con un paio di occhiali rettangolari.
Ed era un ragazzino!
“Scusi?” chiese il giovane ignorando palesemente lo sguardo sconvolto del biondo e quello divertito dei suoi amici, “Non importa...dammi un drink qualsiasi.”  lo squadrò come se vedesse un pazzo “Se vuole le consiglio qualcosa di molto leggero...”.
Francis sbuffò mentre i suoi amici sghignazzavano come iene. “Non è divertente...” mormorò lisciandosi un ciuffo di capelli.

 

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23.37

“Quello che hai organizzato Feliciano è meraviglioso. I bambini saranno felici di ricevere l'attrezzatura nuova.” Ada era una donna bassa e magra, dei capelli rossi raccolti in una crocchia e due occhi grigi che ricordavano il cielo prima del temporale.
Sorrideva allegra, mentre osservava le varie opere, molte avevano già il cartellino rosso che equivaleva che erano state vendute.
Era rimasta scioccata entrando nella stanza, il blu era ovunque e sembrava non terminare mai. Lei indossava un abito verde e per un attimo si era sentita fuori posto. Poi aveva notato i dipinti, tutti blu.
Meravigliosi!
Le figure -nonostante il colore- erano così reali, le loro espressioni così ben studiate che sembrava averle accanto. C'era uno in particolare che le piaceva: due bambini in una stanza, in un angolo stava una enorme poltrona. Uno, il più alto muoveva un finto aeroplano, le guance gonfie piene d'aria e le labbra aperte in una piccola o. Il più piccolo alzava le mani cercano di raggiungere il gioco e sorrideva divertito.
“Spero di poter guadagnare abbastanza da potere a quei bambini una speranza in più.” Ada portò lo sguardo sul ragazzo che le stava accanto.
Feliciano era la persona più maldestra e scansafatiche che aveva conosciuto in tutta la sua vita, ma aveva un animo davvero benevolo.
Era davvero felice di averlo incontrato qualche mese prima a casa dei suoi genitori. Quando lei aveva parlato -per sfogarsi- dei pochi fondi che avevano e che i bambini disabili avrebbero dovuto arrangiarsi con apparecchiature vecchie e malandate, Feliciano si era indignato e si aveva proposto un party di beneficenza.
Lei non ci aveva badato molto.
Eppure lui lo aveva fatto. Ed eccola lì a vedere 10 opere dipinte in quei tre mesi e sette di esse erano già vendute.
“Andrà bene.” disse docile posandogli una mano sulla schiena, perché Feliciano era altro ben venti centimetri in più di lei.
Volse lo sguardo alla stanza. Tra tutte quelle persone di varie età c'era uomini e donne d'affari, amici dei genitori di lui e alcuni ragazzini ricchi e viziati.
Ada si domandava come un ragazzo dolce e ingenuo come lui conoscesse certe persone.
Infine in quel gruppo di individui c'erano amici universitari e professori. Una parvenza di normalità.
“Lo spero.” Feliciano aveva lo sguardo sull'opera che aveva rapito lei, aveva uno sguardo distante e triste. “Stare in un orfanotrofio non è bello e starci senza nemmeno attrezzature adeguate per la loro disabilità, deve essere terribile.”
Ada spostò l'attenzione sul suo profilo, qualsiasi cosa fosse che lo struggeva così tanto era nascosta dietro a quel sorriso che regalava a tutti.
Ed ecco che di nuovo sul volto del giovane si dipinse un splendido sorriso, “Vuole bere qualcosa, signora Longhi?”

°°°°°°°°°°

Antonio aveva rivisto il ragazzo di prima seduto in un angolo. Non lo aveva visto per tutta la sera e proprio quando usciva dal bagno lo aveva intravisto con la coda dell'occhio.
Era seduto con le gambe accavallate, i jeans neri come la camicia aderivano perfettamente a quelle gambe snelle, di sicuro faceva palestra.
Sorrise leccandosi le labbra, era veramente un bello. Con quella pelle liscia e quel viso così attraente che sembrava opera di Michelangelo, chissà com'era bello quando godeva.
Con un passo sensuale, perché lui se doveva conquistare lo faceva in tutti i modi possibili, si avviò nella direzione opposta al bancone.
Lovino si alzò in piedi nell'esatto momento in cui il moro arrivò davanti a lui.
Si mise velocemente il capotto nero e la sciarpa bianca, ignorò completamente il nuovo arrivato, non riconoscendolo nell'idiota di prima e menefreghista del saluto appena accennato.
Andrò solo a vederlo. Non mi fermerò e non mi vedrà. Un'occhiata per vedere se davvero sta bene e che non siano solo cazzate!
L'aria fredda lo colpì in viso appena uscì dal locale. Si chiuse velocemente il capotto e con passo sicuro s'avviò verso il party.
Antonio lo guardò allontanarsi allibito prima e incazzato poi. Com'era possibile che quel ragazzino lo ignorasse?
Lui non poteva essere ignorato! Era impossibile!
Ringhiò con rabbia mentre marciava verso i suoi amici, sbatté i palmi sul banco con forza “Non la passerà liscia!”
Francis alzò un fino sopracciglio e Gilbert rise ormai completamente ubriaco “Oh, qualcuno qui ha ricevuto un due di picche!”
Lo spagnolo gli diede una gomitata che lo fece cadere con il viso sul balcone “Torna a deprimerti stronzo!”
Il tedesco scoppiò a ridere seguito dal francese.

 

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23.59

“DIECI!” la voce di Feliciano si alzò improvvisamente da un angolo della stanza. In mano un bicchiere di spumante.
“NOVE!” Domenica sorrise unendosi alla voce dell'amico.
“OTTO!” Ora era un insieme di voci, femminili e maschili che contava ad alta voce.
“SETTE!” Matthew guardò il lampadario, pochi secondi al nuovo anno. "Si, andrà bene!" Se lo sentiva nel cuore.
“SEI!” Lovino si era fermato un attimo davanti all'ingresso. Era quasi mezzanotte e l'indecisione gli aveva fatto visita di nuovo. Ma quel sei gridato con forza lo spinse a mettere la mano sulla maniglia.
“CINQUE!” la porta della stanza si aprì e sbatté con forza, nessuno ci fece caso mentre alzavano i propri bicchieri.
“QUATTRO!” Lovino spalancò gli occhi. Incredulo da quanta gente ci fosse, sarebbe stata un'impresa trovare Feliciano. Poi notò le pareti...
“TRE!” “Il mondo è blu!”

 


Angolo dell'autrice:

Chiedo perdono per il ritardo. Ma da quando la mia “dolce metà” ha deciso di portarmi via il computer per tutta la giornata non ho quasi mai tempo per scrivere. Se non quelle due ore la sera che però si trasformano stranamente in una mezz'oretta.
Ma spero di non avervi deluso con questo secondo capitolo. Ci ho messo tanto anche perché volevo far vedere diverse situazioni, ma non tirarla per le lunghe perciò uno spezzone qui, una là…
...ed ecco il capitolo concluso!
Va beh!
Grazie di cuore a tutti coloro che mi seguono!
Un abbraccio!!!

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Capitolo 4
*** Gennaio -Capitolo 1: Incontrarsi- ***


Gennaio

1
Incontrarsi



 


“Lovino!” la voce allegra di Feliciano chiamava suo fratello dall'altra parte della stanza. Lovino era seduto sull'ampia poltrona di loro padre con le gambe incrociate, tra le mani un libro di avventura regalatogli a natale.
“Lovino!” di nuovo Feliciano, l'allegria che lo caratterizzava da sempre, lo scalpiccio delle scarpe eleganti -che loro madre aveva obbligato entrambi ad indossare- “Il mondo è blu!” urlò da dietro la poltrona sperando nel suo piccolo di riuscire a spaventare suo fratello. “Non è vero, il mondo non è solo di quel colore!” la risposta borbottata dietro a quelle pagine troppo importanti per potersi distrarre da una cosa così insignificante.
“Si, invece!” Feliciano si era spostato e si era praticamente arrampicato sul bracciolo della poltrona, sprofondando con le ginocchia nella morbida imbottitura. Si allungò con il busto verso il viso del fratello “Il mondo è blu!” ridacchiò a pochi centimetri dall'orecchio sinistro dell'altro “Anche tu sei blu!”
Lovino alzò un sopracciglio cercando di rimanere concentrato sul racconto. Non voleva essere disturbato, non quando gli rimanevano solo un'ora prima che arrivassero gli ospiti e di conseguenza sarebbe iniziata una lunghissima e noiosa cena.
“Non dire stupidaggini! Io non sono blu!”  annoiato voltò il capo con le sopracciglia aggrottate verso Feliciano per farlo smettere di dire sciocchezze.

 

“AUGURI!!!”
Le persone attorno a lui avevano alzato i calici verso il soffitto, alcuni tintinnarono. Lovino alzò il capo guardando il riflesso della luce su quei cristalli, lì faceva brillare come gemme preziose. Abbassò le palpebre socchiudendo appena gli occhi, la strana sensazione di essere a casa, in quel salotto…
…Il blu era simile a quello di quella sera…
Le risate continuarono a formarsi, aumentando e diminuendo in continuazione, come se fosse stato tutto studiato.
Gli uomini e le donne più anziani erano i peggiori. Lovino, aveva individuato il loro status solo sentendone la risata. Lanciò uno sguardo a chi gli stava accanto, con quei vestiti costosi, quei gioielli vistosi e le capigliature costate chissà quanto.
Storse il naso, fanculo sono finito in un covo di ricchi del cazzo!
 

Il bicchiere per l'acqua appoggiato sul tavolo difronte a ogni commensale era blu. Feliciano faticava ad arrivarci, allungava le sue manine nel vano tentativo di sfiorare appena il vetro. Suo nonno Romano, un uomo di guerra -generale d'esercito con medaglia al valore durante la seconda guerra mondiale- sedeva accanto e con gesti che sembravano irrilevanti riusciva sempre ad avvicinargli il bicchiere.
Lovino che sedeva dall'altra parte invidiava quelle attenzioni che il nonno dava al fratello minore, con lui non si era mai comportato in quel modo.
“Gli uomini riescono a fare tutto da soli!” era solito dirgli.
Lui infatti non aveva mai avuto bisogno di nessuno. Aveva imparato ad allacciarsi le scarpe da solo -guardando come la nonna allacciava il grembiule dietro la schiena-, sapeva andare in bici senza rotella all'età di quattro anni e riusciva a colpire una lattina di coca-cola distante sette metri con la fionda.
Lovino reputava tutte quelle cose delle conquiste da uomo. Anche se i complimenti per lui esaurivano presto, mentre quelli per Feliciano erano eterni.

“Feliciano ha parlato!” e “Feliciano ha camminato!” oppure “Feliciano sa contare fino a 10” e così via.
Suo fratello non doveva fare nulla da solo.

Lovino perciò si riteneva più forte e coraggioso del fratellino, eppure era ancora un bambino a cui piaceva far dispetti, giocare e mangiare dolci fino a farsi venire mal di pancia.
Sospirò. Le persone a tavola erano tutte di una certa età e nessuno aveva portato figli o nipoti. Loro madre sembrava non farci caso così come loro padre intenti com'erano a ridere e scherzare con i loro ospiti.
I bicchieri per l'acqua erano blu.
Abbassò il capo leggermente per poterci vedere attraverso, vedeva il visino annoiato del fratello. I loro sguardi s'incrociarono. Lovino mosse leggermente le labbra: “Sei blu!”
Feliciano sorrise allegro e subito imitò il fratello.


 

Nel vano tentativo di non essere notato Lovino si era spostato in un lato della stanza. Si era ritrovato davanti a dieci dipinti con varie sfumature di blu.
Inarcò un sopracciglio, Feliciano si era dato da fare con quel colore, riempiendo perfino quelle tele. Nell'angolino in basso vi era un cartellino rosso, segno che erano state comprate.
Lovino guardava quei dipinti senza sapere esattamente cosa pensare. Erano belli, quasi reali, anche se erano blu.
Passò al quinto quadro che rappresentava una donna incinta, la dolcezza che emanava il suo volto aveva di che d'incredibile. Sembrava dire ti amo a quella enorme pancia.
Il ragazzo la superò per posare lo sguardo su uno più piccolo dove due bambini giocavano. Per un attimo il suo cuore smise di battere.
“Ti prendo, ti prendo!” la voce infantile di suo fratello gli riempì la testa, rimbalzando da una parte all'altra come una palla impazzita.
Si portò due dita alla tempia cercando di controllare un inizio di mal di testa, ma era dannatamente difficile annullare quella voce che allegra lo chiamava per poter giocare.
“Le piace?” chiese qualcuno dietro di lui, preso com'era nei suoi ricordi non si era accorto di essersi fermato davanti a quel dipinto.
Non si voltò e digrignò i denti, “Non capisco un cazzo di arte!” l'altro rise di gusto “Oh, ma l'ottanta per cento delle persone presenti non ha la minima idea di cosa vuol dire arte.”
Lovino alzò le spalle, per quel che gli fregava potevano essere tutti dei grandi idioti. “Allora, che ne pensa di questo quadro?”
“È orribile...” mormorò girando il volto da una parte per distogliere lo sguardo, l'altro non proferì parola “...Fa venire tristezza.”
Lo sconosciuto lo affiancò, era un uomo di mezz'età, i capelli neri striati di bianco, le labbra tirate a formare una linea retta.
“Esattamente...” lo sentì soffiare come se non volesse esprimere quel pensiero. Lovino indietreggiò silenziosamente.

Lovino si stava annoiando proprio come suo fratello.
Stare zitti ad ascoltare i discorsi degli adulti non era divertente.

Feliciano sgambettava avanti e indietro, tra la cucina e il salotto cercando qualcosa da fare. Non riusciva a stare fermo.
Si sistemava perfino la finta cravatta che sua nonna gli aveva fatto mettere. Sbuffava in modo che l'alito gli sollevasse la frangetta e camminava tra tutte quelle persone.
Lovino lo guardava seduto sulla propria sedia con la fronte corrugata. Con l'irritazione di vederlo muoversi in continuazione decise di alzarsi.

Lo raggiunse in cucina, era lì che si guardava intorno con quei occhioni da cucciolo spaesato. Era la prima volta per Feliciano stare così a lungo sveglio durante una festa. Per quell'anno sua madre aveva dato il consenso di poter aspettare la mezzanotte. Un anno prima rispetto a quando lo aveva concesso a lui.
“Fratellone!” piagnucolò il più piccolo aggrappandosi al suo braccio “Voglio giocare!” Lovino era si grande, ma ancora un bambino e senza pensarci prese un bicchiere abbandonato sul balcone. Un bicchiere blu, lo posizionò sull'occhio destro e chiuse il sinistro. “Puoi chiamarmi Capitano!” esclamò battendosi un pugno sul petto facendo ridere di gusto Feliciano.
“Si!” fu l'esclamazione di pura gioia.
E il mondo si colorò di nuovo di blu.

Qualcuno andò sbattere contro di lui e Lovino mandò mentalmente a fanculo quella persona. “Oh, mi scusi!” la voce di chi sembrava davvero dispiaciuto.
Il castano sospirò o meglio ringhiò cercando di calmarsi prima di voltarsi. Gli mancò il fiato mentre posava lo sguardo sulla figura dell'imbranato.
Capelli ambrati e occhi marrone scuro, un sorriso sgargiante e lo sguardo da sognatore.
Deglutì rumorosamente cercando di trovare il suo sangue freddo, ma colui che aveva cercato per tutto quel tempo era lì, a pochi passi da lui e non riusciva più a ragionare.
Mosse le labbra in piccoli balbettii silenziosi, improvvisamente si sentiva il palato secco, riuscì solo a pensare a quel nome: Feliciano…
Lo pensò ma non lo pronunciò.
S'irrigidì quando vide il giovane posare -finalmente- lo sguardo su di lui. Il sorriso si spense lentamente riconoscendolo.
Gli occhi castani si spalancarono così come la bocca. Feliciano si ritrovò a tremare impercepibilmente, s'intrecciò le mani e si morse il labbro inferiore cercando di calmarsi.
Respirò a fondo e ingoiò almeno una decina di volte, chiuse perfino gli occhi credendo di avere un'allucinazione. Forse aveva bevuto troppo oppure era stato il tiro che aveva dato allo spinello di Gionata.
Suo fratello però era rimasto lì, rigido come una statua.
“Lo...” deglutì rumorosamente, sciolse la presa delle mani e andò a stringersi le braccia “Lovino...”

Il bicchiere si frantumò sul pavimento in mille pezzi. Feliciano lo guardava con aria sconsolata, delle lacrime iniziarono a sgorgare dagli occhi. “Mi dispiace...” mormorò “Non l'ho fatto apposta...”
Lovino sospirò paziente avvicinandosi, gli asciugò con la mano le lacrime “Va bene! Non ti preoccupare!”
Guardò i pezzettini sul pavimento che riflettevano la luce facendo un disegno sul soffitto di puntini blu e azzurri.
Il loro mondo blu era sparito.

Feliciano guardò la schiena di Lovino piegarsi per raccogliere i cocci.
La porta della cucina s'aprì di scatto, facendo sobbalzare entrambi. Romano li guardava severo, “Cosa succede?” chiese con quel tono forte e autoritario. Il maggiore guardò il fratello, teneva lo sguardo basso e continuava piangere.
“Ho rotto un bicchiere...” iniziò cercando di essere convincente “Stavo giocando e mi è scivolato...” l'uomo aggrottò le sopracciglia “Giocavi con un bicchiere in mano?” lui annuì.
Lo schiaffo gli arrivò forte sul viso facendolo voltare di lato, Feliciano sobbalzò alzando lo sguardo sul suo profilo. Aprì le labbra per dire qualcosa, per bloccare il nonno, ma Lovino ritornò a guardare l'uomo con odio “Non è successo nulla!” l'uomo lo prese per il colletto “Potevi fare male a tuo fratello! Potevi...” non finì la frase che la voce alterata e piena d'ira del bambino riecheggiò tra le quattro mura “Ma non è capitato, non si è fatto male!”
Il piccolo si portò le mani al petto, non era giusto che il nonno punisse Lovino, la colpa era sua…

…È colpa mia! Avrebbe voluto urlarlo. Ma il nonno gli faceva paura quando si arrabbiava. Singhiozzò.
Romano scosse la testa lasciando la presa sul colletto del maggiore, posò le sue forti mani sulle spalle del minore e lo attirò a se. Gli occhi fissi su Lovino l'accusavano di quelle lacrime.
Quando sentirono la porta aprirsi di nuovo capirono che per loro la festa era terminata.

 

 

Angolo dell'autrice:

Ed ecco a voi il terzo capitolo nonché il primo del mese di Gennaio!
Spero di non farvi venire troppo mal di testa e credo che con questo capitolo vi abbia fatto capire abbastanza della mania del blu di Feliciano.
Comunque non è ancora terminata la fanfic e ci sono ancora molti ricordi/segreti da scoprire.
Tanto per chiarire, so che il nonno non si chiama Romano, ma mi sembra azzeccato. Se qualcuno sa il vero nome vi prego di dirmelo, modificherò il capitolo.

Spero di non avervi deluso e di poter ricevere un vostro commento.
Comunque sia un grazie enorme a chi m'incoraggia e a chi legge soltanto!
A presto!

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Capitolo 5
*** Gennaio -Capitolo 2: Fratelli- ***


Gennaio

2
Fratelli



 

Lovino sentii per davvero il rumore di quel bicchiere infranto, come se fosse caduto proprio in quell'istante.
Come allora anche in quel momento il mondo blu si era dissolto. Per entrambi.
La voce di suo fratello tremava mentre pronunciava il suo nome. E il ricordo di quelle urla, di quei schiaffi e delle sue lacrime prepotente invase la sua mente.
Guardò gli occhi di Feliciano, così caldi…Erano sempre sorridenti, ma erano solo immagini di un passato troppo lontano; lì difronte a lui c'erano occhi smarriti.
Cazzo!
Si sentiva un vero cretino e se fosse stato un vero uomo – e lui cazzo lo era – non avrebbe avuto problemi a parlare. Nella sua misera vita ha sempre avuto la risposta pronta -anche con quelli per niente raccomandabili-.
In un attimo capì che aveva fatto una colossale cazzata e si sentì ancora più stupido di quanto già sembrasse.
Si portò una mano sui capelli respirando profondamente, con dita tremanti si sbottonò i bottoni della camicia -gli mancava l'aria-.
Una soluzione…
Veloce come un lampo un pensiero gli attraversò la mente e senza nemmeno rendersi conto si voltò dando le spalle a suo fratello e iniziò a camminare velocemente.
Feliciano spalancò gli occhi rendendoli ancora più grandi, la schiena di Lovino si stava allontanando da lui, ancora una volta…
Come quel giorno…
Non seppe il perché lo inseguii. “Lovino!” urlò cercando di bloccarlo.
Non sapeva se essere furioso o felice per averlo trovato lì, aveva il cuore spaccato in due dai ricordi belli e quelli invece brutti, non sapeva proprio cosa avrebbe fatto una volta raggiunto, ma sentiva che se non lo avesse fatto se ne sarebbe pentito per tutta la vita.
Allungò un braccio cercando di afferrarlo, la mano si artigliò al cappotto, lo strattonò ma un movimento del  busto più forte della sua presa perse il contatto.
“Lovino!” la voce di Feliciano si confondeva con il chiasso che li circondava. Il maggiore d'altro canto non voleva fermarsi.
Era stato un errore andare lì, vederlo e sentire la sua voce… Merda!
Dava spallate a chi non si spostava al suo passaggio, le donne traballavano sui loro tacchi, gli uomini lo guardavano stizziti, ma a lui non poteva fregare di meno.
Camminava con un passo pesante, sbattendo le scarpe da ginnastica nere come a voler intendere che era incazzato.
Lo era.
Il viso sempre corrucciato era una maschera distorta di rabbia, la fronte aggrottata e gli occhi assottigliati.
Se avesse saputo che vedere suo fratello gli avrebbe paralizzato la lingua non si sarebbe spostato da Napoli.
Col cazzo!
“Lovino, aspetta!” Feliciano faticava stargli dietro, sentiva gli sguardi degli invitati sulla sua schiena, come se vedessero un fantasma o roba simile.
Ignorava le proteste e i borbottii che suo fratello lasciava dietro di se e cercava di aumentare il ritmo del suo passo per poterlo raggiungere.
Si diede uno slancio con la gamba destra e allungò la mano, quel che bastava per colpirlo alla spalla. Lo buttò letteralmente a terra cadendo insieme a lui.
Si ritrovò sulla schiena di Lovino, “Finalmente...” mormorò sedendosi e continuando a bloccarlo “...Sei veloce!” e rise felice di averlo raggiunto.
“Scendi immediatamente idiota!” il ringhio del maggiore arrivò soffocato dalle proprie mani, che si era portato sul viso come a volersi proteggere dalla caduta. L'altro da canto suo non lo stava ascoltando, si era sdraiato di nuovo sulla sua schiena ridacchiando.
Quel cretino si stava divertendo.
“No. Non scendo finché non parlerai con me!” sussurrò al suo orecchio in modo che lo sentisse solo lui.
Lovino alzò gli occhi, le persone avevano formato un cerchio intorno a loro e li guardavano con occhi sgranati, come se una cosa del genere fosse inaudita.
Sospirò, stava facendo la figura dell'idiota.
Strinse le mani in pugni, appena posso gliene mollo uno!
“Ok...” s'arrese “...scendi e parliamo come persone civili...” sentì la risata di Feliciano farsi ancora più allegra.


 

L'appartamento di Feliciano era enorme. Metà di un piano di un palazzo settecentesco. Aveva più di  ventidue stanze e lui ne usava circa la metà.
Lovino aveva timore di spostarsi su quei pavimenti antichi e decise di rimanere fermo all'ingresso. Guardò il lampadario di cristallo che illuminava quella ampia stanza, sulla destra c'era l'attaccapanni e sulla sinistra un mobiletto bianco, sopra ci stavano mille cianfrusaglie.
Feliciano appoggiò lì le chiavi e invitò il fratello a seguirlo in una stanza accanto. Entrarono in un piccolo salottino.
È grande quanto la cucina e il salotto di casa mia!
“Siediti...” la mano del più giovane indicò un divano che aveva l'aria di essere nuovo. “Preferisco stare in piedi.” il suo tono era aspro, come se gli desse fastidio di essere lì.
Dire che era così non era affatto una bugia, non gli piaceva trovarsi in quell'appartamento, con quello sfarzo…
…Gli ricordava che sua madre e lui non abitavano in una casa, ma in un appartamento di periferia con quattro stanze in tutto.
Feliciano sorrise mesto abbassandosi per aprire delle ante di un mobiletto “Vuoi bere qualcosa?” chiese estraendo due bottiglie di birra. Alzò lo sguardo per incrociarlo con quello verde del fratello, lo osservava tristemente.
“Perché sei venuto?” la domanda in un sospiro, gli faceva male la sua presenza, gli ricordava quel lontano giorno in cui se ne era andato. Lovino non lo aveva nemmeno salutato.
Aveva ancora la sensazione delle lacrime che gli rigavano il volto mentre si voltava ad osservare il vialetto nella speranza di vederlo correre verso la macchina.
E invece il viale era deserto.
“Mi dispiace...” la voce di Lovino lo fece sobbalzare, “...Volevo solo vederti. Non volevo disturbarti…” strinse la presa sul pomello dell'anta facendo scricchiolare il legno, “Cazzo!”
Lo vide portarsi una mano sui capelli spettinandoli, lo sguardo basso e poteva sentire benissimo che era a disagio, almeno quanto lui.
“Mi spiace...” mormorò di nuovo portando di nuovo gli occhi sulla figura ancora inginocchiata di suo fratello “...Non volevo darti fast...”
“Non è così!” la voce allarmata di Feliciano bloccò le faticose scuse di Lovino. “Non mi dai fastidio!” nascose ancor di più il capo dietro l'anta. “Sono felice che tu sia venuto, lo sono per davvero...”  la voce che piano piano si affievoliva “...ti ho inseguito apposta, però fa anche male...” prese un profondo respiro “...è difficile da spiegare.”
Lovino spalancò gli occhi incredulo, cercando di capire quelli che erano diventati borbottii incomprensibili.
Ridacchiò nascondendo le labbra dietro a una mano facendo alzare l'altro “Cosa c'è di divertente?” si portò una mano sui suoi capelli cercando di camuffare la risata in un tipico colpo di tosse “E che...” iniziò le labbra ancora stirate in un sorriso felice “Sei uguale a quand'eri un moccioso!”


Feliciano porse la birra, la risata di pochi attimi prima ancora impressa sul suo volto e su quello del fratello.
Era strano – fin troppo – sentiva nel suo petto un peso immenso, un dolore che lo graffiava con forza facendolo sanguinare anche dopo tutti quei anni, eppure era felice come non lo era da tanto.
Lovino gli assomigliava, anche se aveva gli occhi del loro padre, era ancora un testardo -lo constatava benissimo, bastava vedere che pur di non sedersi sul divano si era appoggiato alla parete- eppure era anche cambiato.
Sembra irritato.
Sorseggiarono la birra in silenzio, guardando ostinatamente il pavimento, chi una piastrella chi l'altra. Feliciano seduto su quel divano costosissimo con le gambe accavallate e strizzato in quel vestito firmato sembrava uno snob, e forse poteva capire che a suo fratello tutto quello dava fastidio.
Ma lui era quello: era il tappeto persiano che stava nel soggiorno principale, era i quadri alle pareti dipinti da lui, era i vari lampadari di cristallo che pendevano in tutte le stanze, era le pareti pregiate e raffinate, era tutti quei completi firmati e costosi che stavano nel suo armadio…
…Insomma era tutto ciò che lo circondava.
Si domandò com'era la casa di Lovino, abitava da solo o aveva una ragazza? Che musica gli piaceva? E l'arte?
…Forse i graffiti…
“Tu...stai bene?” Feliciano alzò lo sguardo incontrando per l'ennesima volta quello del fratello, era carico di apprensione, sorrise allegro rassicurandolo con un cenno fin troppo positivo della testa.
Lovino sospirò con quella risposta suo fratello lo aveva svuotato.
Stava bene.
E io non servo…
Tornò a guardare il pavimento per qualche secondo poi si staccò dal muro, “Credo di averti rubato abbastanza tempo.”
Posò la bottiglia di birra ancora mezza piena sul tavolino di legno chiaro che stava difronte al divanetto. “Perché?” la voce preoccupata di Feliciano lo bloccò nell'atto di alzarsi, “Puoi restare qui...” balbettava come se gli costasse parlare “Io ho...molte...” si contorceva le mani insicuro e a Lovino faceva male vederlo così. “Ho pagato una stanza, non mi piace sprecare i soldi.”
Forse la voce era uscita troppo acida -ma lui non era in grado di modificare quel tono rabbioso- e forse aveva parlato troppo velocemente, ma si ritrovò a fissare il viso pallido del fratello minore.
Sorrise -ma era più una smorfia- “Beh...” esclamò prendendo i guanti di pelle nera dalle tasche del capotto “...È stato bello rivederti!”


Feliciano non sapeva quanto fosse stato fermo ad osservare la birra che teneva in mano. Di certo quelle frasi pronunciate da suo fratello erano molto più carine di quel giorno.
“Non capisci proprio niente?! Sei così stupido che non ci arrivi?” la voce forte e chiara di Lovino ancora bambino gli colpì la testa procurandogli fitte immaginabili “Mi fai schifo!” un altro urlo, un altro ricordo.
Si portò le mani tra i capelli e quello spintone si ricordava perfino quanta forza ci aveva messo suo fratello: aveva sbattuto contro il muro…
Alzò lo sguardo, suo fratello se ne stava andando, sentiva chiaramente i suoi passi all'esterno della stanza.
Tremò sul posto, se Lovino se ne andava lui poteva tornare alla sua vita di sempre, lui poteva scordarsi quella conversazione. Magari avrebbe fatto qualche dipinto cupo, come capitava ogni volta che il caldo era insopportabile, poi tutto sarebbe ritornato alla normalità.
Sentì la porta chiudersi.
Ha chiuso la porta.
Era un pensiero così banale ma il suo cervello non riusciva ad elaborare altro, era bloccato su quel concetto.
Ha chiuso la porta.
Lasciò la presa sulla bottiglia, sentì il rumore del vetro infrangersi sul pavimento.
Ha chiuso la porta!
S'alzò senza badare ai cocci che scricchiolarono sotto le suole, e si diresse all'ingresso. Fu tutto molto veloce, soprattutto il precipitarsi lungo le scale rischiando di cadere almeno una decina di volte.
“LOVINO!” urlò uscendo in strada, vide la figura scura del fratello bloccarsi “LOVINO!” urlò di nuovo correndo verso di lui.
Non capiva il perché lo stesse facendo, era la seconda volta in quella mattinata che lo inseguiva per bloccarlo, il motivo era quella sorta di dubbio di perdere un'occasione…
E poco importava che suo fratello lo aveva fatto soffrire, gli avesse vomitato addosso parole orribili  o che non fosse felice di vederlo, lui non lo avrebbe lasciato andare.
Perché se Lovino era arrabbiato con il mondo, Feliciano era innamorato del mondo e dava sempre una possibilità -la maggior parte delle volte anche due, tre o quattro- per rimediare e per far vedere di essere migliore di quel che l'apparenza dava vedere.
Lo raggiunse che aveva il fiatone, si piegò e posò le mani sulle ginocchia “Veee...” iniziò tra un respiro e l'altro “...Non correvo così dai tempi delle medie!” e rise, se si poteva chiamare risata, era più che altro uno sbuffo di fatica e divertimento.
Lovino lo guardava con occhi sbarrati, “Possiamo fare colazione o pranzo insieme...” le parole del fratello minore faticavano ad avere un senso logico nella sua testa “Oppure, se preferisci la cena!” la voce s'era alzata di tono e se non ci fosse stata tutta quella confusione tra le vie qualcuno si sarebbe girato a guardarli.
“Tu...” mosse le labbra ancora incredulo “Tu hai fatto una corsa per chiedermi di cenare con te?” gli occhi si assottigliarono come a voler scrutare il viso arrossato dell'altro, ma più lo studiava più vedeva che non c'erano doppi fini.
Sospirò prendendo tra le mani la sciarpa, gliela mise al collo “Va bene...” mormorò prima di voltarsi e allontanarsi di qualche passo “Ci vediamo domami mattina alle dieci...” e di nuovo una smorfia si disegnò sul suo viso. In quel momento iniziò a nevicare.
“Feliciano, vai al tuo party...” il minore guardò con la coda dell'occhio il palazzo “Sei in camicia...” “Oh cavolo! È di Gucci!” urlò saltellando fino al portone. Quando fu al riparo si voltò ma di Lovino non c'era nemmeno l'ombra.


 

 

Angolo dell'autrice:

Secondo capitolo di Gennaio concluso.
Spero che sia di vostro gradimento e che i due fratelli non siano troppo OCC. Il fatto che i personaggi siano contraddittori è voluto, insomma entrambi hanno paura, odio e amore che si mischiano nei loro cuori.

Grazie a tutti quanti.

A presto
Elisir

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Capitolo 6
*** Gennaio -Capitolo 3: Zero, nada, nulla...- ***


Gennaio



3
Zero, nada, nulla...


 

Matthew tambureggiava con le dita della mano sinistra sul tavolo della cucina, il viso appoggiato sul dorso di quella destra.
La tazzina del servizio francese posata davanti a lui, il caffè freddo non era stato toccato.
Guardava l'uomo seduto difronte a lui con noia.
“Non capisco, signor Williams, chiunque sarebbe interessato a questa proposta...” il ragazzo sospirò conscio che tutto quello era solo una farsa e lo dimostrava il fatto che a casa sua si fosse presentato uno sconosciuto e non suo padre.
“Beh, ammetto che sono affascinato da...” la mano che picchiettava si mosse verso le cartelline ordinate nel bel mezzo della tavola “...questo.” con un dito spostò un foglio “Ma non fa per me.”
L'uomo corrugò la fronte, il suo capo gli aveva assicurato che si sarebbe trovato davanti a un ragazzino remissivo e che non avrebbe posto obbiezioni.
Doveva solo accettare, firmare e poi si sarebbe goduto la vita.
Anche lui -che nella vita aveva faticato- avrebbe firmato senza nemmeno leggere. “Mi scusi, ma non riesco ancora a capire...”
Matthew sorrise docile socchiudendo gli occhi, smise di picchiettare e portò entrambe le mani sul grembo, alcune ciocche gli cascarono sul viso.
Aveva un'aria serena, quasi confortevole ed era bello. Sembrava uno di quei dipinti di santi, quelli che ti facevano sembrare una schifezza in confronto loro...
L'uomo ingoiò a fatica l'amaro, mentre il giovane non smetteva d'osservarlo con quei occhi di un blu scuro – come l'oceano – lo stava mettendo in soggezione. Sembrava rincuorarlo e nel contempo lo terrorizzava. Ma cos'aveva di strano quel ragazzino?
“Io non potrei mai, accettare la proposta di mio padre...” e il sorriso sparì “Se vuole chiarimenti, gli dica di presentarsi di persona.” la voce era qualcosa di estremamente distante.
L'uomo rabbrividì, se prima aveva l'impressione che difronte a se ci fosse un santo pronto a scagionargli qualsiasi peccato, ora, gli sembrava di avere davanti un giudice imparziale e freddo.
Si decisamente quel giovane aveva qualcosa che non andava.
“Non è esattamente quello che sperava il signor...” Matthew posò di nuovo una mano sul tavolo e tornò a picchiettare, “Non m'interessa. Gli dica che ho di meglio da fare.”
L'uomo sbiancò, non poteva credere alle proprie orecchie, cosa poteva chiedere di più un ragazzino di diciannove anni se non diventare erede di un patrimonio di tale entità? Insomma potevano vivere di rendita anche i nipoti dei nipoti -forse-.
“Inoltre...” continuò Matthew con quell'aria da uomo pio, “...Non voglio che si convinca che bastino i soldi per cancellare tutto ciò che ha fatto!” il sorriso dolce tornò ad illuminargli il viso, “Comunque c'è sempre mio fratello, perché non prova a parlare con lui?”
L'uomo sorrise appena, trovava quel giovane inquietante. E comunque non avrebbe riferito una sola parola di quell'incontro al suo capo. Fossi matto!

 

°°°°°°°°°°
 

Francis si svegliò che erano le undici passate. C'era un peso sul suo petto, come se qualcuno lo stesse usando come cuscino, incerto -ancora con gli occhi appiccicosi dal sonno- tastò cosa effettivamente poteva esserci.
Si ritrovò ad affondare le dita tra dei capelli, lunghi, scese lentamente sul collo e infine su una spalla. Qualcuno borbottò qualcosa d'incomprensibile -in una lingua strana-, decise di fare uno sforzo e sollevare appena una palpebra.
La prima cosa che notò furono i filamenti dorati che gli ricoprivano il petto, non si ricordava di aver rimorchiato qualcuno nel bar, nessuno di biondo per lo meno.
Poi sentì le coperte tirare dalla parte opposta e ancora mezzo addormentato seguì il movimento, ci stava un'altra figura dall'altra parte completamente coperta. Francis alzò un fino sopracciglio, se non si ricordava di uno figurarsi di due, ma quando gli fu chiaro che la terza persona non era quella che stava reclamando un po' calore si svegliò completamente.
Spalancò gli occhi e si mise seduto, l'ospite sul suo petto si lamentò alzando il busto per metà. Aveva un viso diafano, quasi femminile e una pelle pallida che poteva far concorrenza con quella di Gilbert. Gli occhi verdi socchiusi che lo accusavano di quella sveglia forzata, gli disse qualcosa in quella lingua che lui non capiva, poi si sistemò in modo di dargli le spalle e abbracciare il baco.
Ok. Devo aver bevuto parecchio...
Si prese alcuni secondi nei quali constatò di non essere nella sua stanza, c'era troppo rosa per i suoi gusti.
Corrugò la fronte cercando di ricordarsi dove e soprattutto quando aveva rimorchiato il biondino. Di sicuro dopo che Gilbert era collassato sul pavimento del bar, si ricordava di aver aiutato Antonio a trasportare il loro amico fino all'appartamento e di essere tornato indietro per andare a casa.
“Dammi qualcosa di forte...” Oh, si quello era un ricordo alquanto vago si era fermato di nuovo in quel bar. A quanto sembrava quel barista era riuscito a dargli qualcosa di veramente micidiale, se non ricordava altro.
E poi? Cosa è capitato dopo?
Sospirò alzandosi, un fastidio al sedere lo fece bloccare sul posto. Non era possibile che avesse fatto il passivo, concedeva quel privilegio solo ai suoi amici, e di sicuro quelli in quel letto non erano conoscenti.
Lanciò un occhiata a quel groviglio di coperte e corpi. Chissà chi erano, due di loro erano praticamente nascosti, si potevano notare le sagome e qualche arto -quello che aveva tirato la coperta la teneva forte con una mano- l'unico che si lasciava guardare era quello biondo.
Non era difficile capire perché lo avesse scelto, aveva quei splendidi occhi verdi che gli ricordavano lui e a quel colore non poteva resistere.
Matthew li ha blu, così maledettamente banali...così simili a quelli di quell'idiota!
Scosse con forza la testa, non era il momento di pensare a certe cose! Veloce e in assoluto silenzio raccattò i sui vestiti e uscì dalla stanza.
Si ritrovò in un salotto con un divano immacolato e pieno di cuscini di varie tonalità di rosa, chiunque fosse il proprietario doveva avere una mania per quel colore.
Evitò accuratamente di soffermarsi nel studiare l'ambiente, prese il capotto -che per fortuna era stato appoggiato sull'attaccapanni- e se ne andò.
Chiunque siano quei tre, non li vedrò mai più.
Venezia non era poi così piccola.
 

°°°°°°°°°°


Quando chiuse la porta dell'appartamento, Matthew riuscì finalmente a respirare. Quel avvocato lo aveva riempito di scartoffie e nonostante il suo rifiuto continuava a cercare di convincerlo ad accettare.
Certo che suo padre doveva far paura parecchio ai suoi dipendenti tanto da farli lavorare anche il primo di gennaio.
Sentì i passi dell'uomo che scendevano le scale, in qualche modo aveva vinto quella battaglia ma per vincere la guerra aveva bisogno di un alleato.
Sospirò guardando l'orologio, erano le una del pomeriggio. Suo fratello probabilmente non era ancora sveglio, gli avrebbe mandato un messaggio.

Appena puoi chiamami: è urgente!

Mise il cellulare sul tavolo dove quell'uomo gli aveva lasciato delle copie “Così potrai leggere con più calma...” come a volergli dire “Tornerò!”
Sospirò ancora portandosi una mano tra i capelli, era sicuro che prima di quella sera suo fratello non lo avrebbe chiamato.
Tamburellò con le dita indeciso sul da farsi, prese a guardarsi intorno, il suo caffè era ancora nella tazzina -freddo come la temperatura esterna- una smorfia si disegno sul suo volto.
E se ci fosse stato qualcuno lì con lui sarebbe rimasto pietrificato sul posto, ma nella stanza c'è solo lui e una tazzina ancora piena.
Farò dei biscotti…


Andare da Matthew in quelle condizioni non era mai successo. Aveva il viso ancora tutto assonnato, i capelli spettinati e puzzava. Non che emanasse cattivo odore -infondo i suoi bellissimi vestiti ancora profumavano dal giorno precedente- ma lui lo sentiva l'odore del sesso, di vari tipi di sudore e di sperma.
Ma quando era uscito dall'appartamento aveva capito di trovarsi lontano dalla sua dolce casa e che invece Matthew abitava lì, nei paraggi, non gli avrebbe negato una doccia.
Saliva mesto le scale, rimuginando ancora sulla serata passata, non era mai capitato che lui e i suoi amici finissero l'anno in quel modo e cosa ben più grave lui non aveva mai iniziato l'anno nuovo con un vuoto di memoria!
Francis si stava ripetendo per l'ennesima volta la scusa da propinare al canadese quando andò a sbattere contro qualcuno. Alzò lo sguardo offeso -perché la colpa non era mai sua- trovandosi difronte un uomo di bell'aspetto, alto e magro con occhi verdi -di un verde che ricordava tanto il mare-.
Lo vide sorridere gioioso prima di superarlo. Deglutì mentre lo osservava scendere le scale, aveva un fisico da sportivo, un sedere che avrebbe fatto innamorare perfino un etero e cosa più importante era bellissimo.
E lui era in uno stato pietoso! Ringhiò qualcosa prima di fare quei pochi scali che mancavano alla casa di Matthew.
Chissà da dove veniva quella visione, di sicuro da quel piano perché oltre c'era solo la soffitta ed era chiusa a chiave.
Bussò alla porta del canadese continuando a fare congetture, oltre quell'appartamento ce ne erano altri tre. Doveva scoprire dove abitava, un bocconcino del genere non lo poteva lasciare andare!
 

°°°°°°°°°°
 

Feliks sorrise abbracciando il ragazzo accanto a lui, sotto le coperte quest'ultimo appoggiò il capo sul suo petto, “Se ne andato...” mormorò allacciando le braccia alla vita magra dell'amico “Allora?” la voce camuffata dalle coltri “Tipo, potresti anche uscire da lì!”
Non che Toris volesse stare avvolto da quella pesante trapunta per sempre, ma gli era difficile farlo per ovvie ragioni, una di quelle era il suo amico Feliks che probabilmente non aveva ancora capito cos'era successo quella notte.
Un altro motivo era quello che stava a pochi centimetri da lui, anche se lì sotto era buio poteva benissimo distinguere il profilo calmo e rilassato di Eduard. Dormiva ancora ed era strano vederlo così, senza quella perenne espressione da cervellotico che gli causava non pochi problemi a scuola.
Sentì le dita di Feliks muoversi leggere lungo il suo fianco destro in una lenta danza che sembrava voler sedurre -allora si ricorda!-, ed ecco perché aveva sperato di svegliarsi prima di lui. Perché dopo tutta quella storia aveva bisogno di scordarsi cosa aveva effettivamente fatto con i suoi due amici.
Ma si poteva bere a tal punto di finire a letto con due compagni di scuola -uno dei quali era ancora minorenne!- e uno sconosciuto?
E quelle dita che si muovevano in quel modo non sembravano voler smettere, così non riusciva a concentrarsi e a trovare una scusa plausibile per andarsene da lì senza farla sembrare una fuga.
Un bacio sul collo e lui s'irrigidì, non si era accorto che Feliks lo avesse raggiunto, lo sentì ridacchiare lievemente “Tipo, dopo tutto quello che hai fatto ieri, non dovresti essere, tipo, in imbarazzo!”
“Smettila!” sibilò per non svegliare Eduard ma a quanto pare le sue premure non servivano perché sentì una terza mano sulle sue cosce muoversi leggera.
Guardò davanti riuscendo a intravedere solo i capelli spettinati dell'amico prima che lui lo baciasse sulle labbra.
Ok, devo fare qualcosa per evitare un altro sbaglio!
E con una forza di volontà -che non sapeva di avere- s'alzò di scatto ribaltando Feliks e lasciando di stucco Eduard.
Nudo lasciò la stanza “Ehi!” la voce del più giovane lo richiamò, “Dove vai Toris?” il castano decise d'ignorarlo e proseguì, nel salotto trovò le scarpe e il giaccone, se li infilò e uscì dall'appartamento.
“Ma, tipo, è uscito nudo?” Feliks guardò il più giovane distendersi sul letto “Temo che sia così!”
 

°°°°°°°°°°
 

“Non avevi detto che avevi ospiti?” Francis uscì dalla doccia dopo un tempo indefinito con addosso un accappatoio bianco e morbidissimo.
Matthew annuì posando sul tavolo un vassoio pieno di biscotti appena sfornati, “Infatti, se ne sono andati poco prima che arrivassi, li hai mancati per un pelo.”
E meno male se no avrei fatto la figura del barbone!
Il francese sorrise, “Non tornano?” era una domanda per riempire il silenzio ma se ne pentì, vide l'altro stringere con più forza del dovuto la tazza di tea spaccando il manico -non credeva che fosse possibile- e di conseguenza far cadere il resto sul pavimento.
“Qualcosa non va?” chiese alzandosi per dargli una mano, Matthew scosse la testa “No, no. Stai fermo, sei scalzo e rischi di farti male.” eppure nei suoi gesti c'era qualcosa di diverso.
Era nervoso.
Per un attimo pensò che era per quella piccolissima bugia che gli aveva detto per scusarsi delle sue condizioni. Che avesse capito?
Impossibile!
Ridacchiò da quanto era ridicola quell'ipotesi.
“Comunque...” lo sentì mormorare mentre tornava dalla cucina con il necessario per pulire, “...Se vuoi, puoi rimanere qui a cena...”
Francis sorrise dolcemente, era raro che Matthew lo invitasse a mangiare -di solito era lui ad organizzare- “Perché no?”


 

Angolo dell'autrice:
Ecco a voi altri personaggi che si aggiungono a questa fanfic -grazie a Francis- e che potrebbero essere un po' occ, ma insomma mi servivano così ai fini della storia.
Per quanto riguarda Matthew ho letto da qualche parte che è molto forte e probabilmente gli farò rompere un po' di cose involontariamente per via della rabbia repressa. XD

Grazie a tutti e a presto
Elisir

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Capitolo 7
*** Gennaio -Capitolo 4: Notte- ***


Gennaio





 

4

Notte





 

Il film horror che Francis aveva scelto non stava dando i risultati sperati, Matthew non si era spaventato, non aveva gridato e non si era messo al riparo tra le sue braccia.

Cose che di solito capitavano.

In quel momento il canadese se ne stava con lo sguardo fisso sulla televisione senza nemmeno notare la scena, lo si capiva dalla fronte appena aggrottata.

In tre anni di frequentazione, Francis non aveva mai visto Matthew in quello stato. Era di cattivo umore e nemmeno la sua presenza sembrava fargli effetto.

Allungò un braccio dietro la schiena del ragazzo avvicinandosi leggermente a lui, la mano destra sfiorò il collo in un tentativo di carezza ma fu malamente allontanato. Alzò un sopracciglio, “È successo qualcosa con i tuoi ospiti?” la voce modulata come sempre per rassicurare quel giovane insicuro “No, cosa vuoi che sia capitato?” e quei occhi blu si posarono nei suoi.

Francis odiava il colore di quelle iridi più di quanto avesse mai pensato ma probabilmente Matthew lo aveva capito, dal fatto che nei loro amplessi non le volesse vedere. Ora però lo stava guardando con uno sguardo limpido, tranquillo…

Sorrise portandogli una ciocca di capelli dietro l'orecchio, “Sei strano...” mormorò ignorando completamente le urla del film e scivolando con le dita sul collo del canadese, lo sentì tremare leggermente, “...Sembri nervoso...” e si sporse con il viso gli occhi ancora fissi in quelli blu -che facevano invidia all'oceano- lo baciò lievemente sulle labbra e non riuscì trattenere un tremito: non lo aveva mai baciato guardandolo.

Matthew sospirò di disappunto quando con una lieve spinta al petto Francis lo fece sdraiare sul divano, “...Mi vuoi forse lasciare?” gattonò su di lui bloccandogli i polsi “NO!” l'esclamazione fece ridacchiare il francese.

Era ovvio che non lo volesse lasciare -nessuno lo aveva mai lasciato- lui era troppo bello per essere scaricato da uno qualsiasi come Matthew.

Al massimo lo lascio io.

Lo baciò di nuovo sulle labbra leccandogliele con la punta della lingua, chiudendo questa volta gli occhi, immaginandosi di essere altrove, con qualcun altro.

Con lui.

Le labbra si schiusero trasformando quel bacio in qualcosa di più umido, di più profondo...più sensuale.

Una musica molto più fastidiosa delle urla di terrore s'intromise tra loro, il canadese si svincolò dal bacio “È il cellulare...” mormorò come scusarsi. Si mosse leggermente facendo solo aumentare la pressione delle mani del francese “Chiameranno domani...” lo sentì soffiare sull'orecchio prima di avvertire la lingua sapiente di lui percorrerglielo, represse un sospiro.

Avrebbe voluto davvero ignorare quel suono prolungato e continuare a riceve certe attenzioni da parte di quello che lui definiva il suo ragazzo, ma aveva aspettato tutta la giornata quella chiamata…

“Non posso...” sussurrò mentre la mano di Francis si era insinuata nel suo maglioncino, “...È importante...” ormai sembrava privo di capacità di formare una frase, il bacino del francese si era messo a strusciare sul suo aumentando l'eccitazione di entrambi.

Oddio! Si divincolò rosso in viso e con gli occhi colmi d'eccitazione, “Devo rispondere!” esclamò cercando di darsi contegno. Francis si bloccò alzando quel che bastava il busto per poterlo osservare, Matthew in quello stato era bellissimo e ogni volta che poteva vederlo così avrebbe voluto che tutto non finisse mai.

“Puoi chiamare dopo...” ma con uno strattone l'altro si divincolò del tutto e buttandosi praticamente sul tavolino prese il cellulare.

Prese fiato, aveva sbattuto con troppa forza sul pavimento “Non riattaccare!” la voce piena d'ansia “Ero in doccia...scusa….” e alzandosi s'avviò verso la camera da letto.

Francis lanciò uno sguardo al pendolo antico -possibile che quasi tutti i mobili lì fossero vecchi?- le 23.50, chi poteva chiamare a quell'ora?

E perché tanta agitazione nel rispondere?

 

E che ne sai se lui è a casa davvero da solo?”

 

La voce di Antonio lo colpì di punto in bianco. Lui aveva liquidato con una sventolata di mano quell'ipotesi il giorno prima era pressoché assurda, ma in quel momento con Matthew rinchiuso in camera a parlare con uno sconosciuto -o sconosciuta- non gli sembrava illogico.

Eppure prima quel no urlato con preoccupazione come se temesse davvero di perderlo gli era sembrato sincero.

E poi chi poteva solo accorgersi Matthew? Era banale, una persona che si nascondeva in vestiti larghi ed era talmente timido che tendeva a stare fermo e zitto in qualsiasi situazione, era impossibile notarlo!

Tu l'hai fatto!

Scosse la testa, lui era una eccezione e lo aveva visto solo perché assomigliava a quel cretino. Gli era venuto naturale dirigersi verso di lui con rabbia urlandogli di ritornarsene in America.

Perciò lui aveva un motivo più che valido per averlo visto!

 

°°°°°°°°°°

 

 

 

 

 

Feliks era solitamente una persona timida. Non amava i contatti con gli altri e soprattutto non era solito fare certe cose con degli sconosciuti, in realtà per lui era stata la sua prima volta. Non si vergognava certo di essere vergine alla sua età e il motivo che aveva fatto ciò era solo perché lì con lui c'era Toris -il suo migliore amico!-

E poi, sinceramente, non gli era dispiaciuto Toris in quel modo, il suo ansimare nelle sue orecchie, i baci e le carezze. I suoi movimenti erano così sensuali ed era erotico vedere come accettasse d'essere toccato e baciato da Eduard e quel biondino – come, tipo, si chiamava? -.

Ma soprattutto Toris gli aveva dato tante di quelle attenzioni, quei sorrisi angelici e quel sussurrargli parole dolci che si frangevano sulla sua pelle...si era sentito amato.

A quanto pare per Toris non era stato lo stesso.

Era da quando Eduard se ne era andato che aveva iniziato a mandare messaggi di scuse e in quel momento -mezzanotte- aveva iniziato a dubitare di ricevere risposte.

Sono, tipo, il peggiore amico del mondo. Totalmente orribile!

 

 

 

 

 

Eduard guardava una precisa finestra del secondo piano di un condominio da venti minuti buoni. Toris non si era affacciato nemmeno una volta e lui iniziava a sentire freddo, si portò una mano tra i capelli, nell'altra aveva il cellulare pronto a inviare altri messaggi per convincerlo a scendere.

Dovevano chiarire quella situazione, lui doveva parargli!

Era stato geloso di Feliks a cui Toris aveva dato molte più attenzioni e se durante quella pazza notte non aveva riflettuto sul perché, durante quella giornata era arrivato a un solo motivo: gli piaceva Toris.

Non era sicuro che lo amasse, nei sui diciassette anni non aveva provato nulla che superasse l'amicizia.

Ma il fastidio che aveva provato nel vedere l'amico baciare -con così tanta passione- quel polacco era ancora lì nel suo petto e gli veniva voglia di grattare quel punto fino a far sparire quella sensazione.

Sospirò portando lo sguardo sul marciapiede, se ritardava ancora un po' sua madre avrebbe chiamato i carabinieri.

“Oh!” l'esclamazione lo fece scattare sull'attenti, alla sua sinistra comparve una sagoma parecchio più bassa di lui, “Stai...provando a fare una serenata?” si voltò ad osservare l'intruso della situazione.

Sgranò gli occhi nel constatare che era solo un ragazzino, molto più giovane di lui che teneva lo sguardo sulla facciata del palazzo. “Dov'è la principessa?” la voce un po' tremante come quando hai bevuto più del dovuto ma non sei ancora ubriaco.

Eduard alzò un sopracciglio ritornando ad osservare la finestra della stanza di Toris, lo sconosciuto ridacchiò “Oh, allora è un lui!” l'esclamazione era alta e questa volta il più grande arrossì. “Se permetti certe informazioni sono personali.” iniziò sistemandosi gli occhiali “Non so nemmeno chi sei!” e lanciò uno sguardo a quella finestra che rimaneva chiusa.

L'altro sorrise mestamente e con una camminata incerta s'avviò verso il portone di quel condominio, “Ciao!” salutò alzando una mano e incurvando le spalle.

Eduard si sentì morire, probabilmente quel ragazzino aveva capito chi stava attendendo…

Il cellulare vibrò nella sua mano facendolo sobbalzare, guardò il mittente e per un attimo il suo cuore smise di battere.

 

 

 

 

 

Entrò in casa cercando di fare meno rumore possibile. Lanciò uno sguardo sulla poltrona, suo padre si era addormentato con una bottiglia ancora mezza piena in mano.

La televisione accesa su un programma erotico, lo guardò disgustato, aveva il cazzo moscio e sporco di sperma ancora fuori dai pantaloni.

Spense l'apparecchio e si diresse in camera, si spogliò e rimase per un attimo nudo con l'aria fredda che entrava dalla finestra.

La spalla gli faceva ancora male, ma almeno con un po' d'alcool in corpo riusciva a sopportare il dolore.

Chiuse la finestra senza degnarsi di vestirsi, con la coda dell'occhio vide che il ragazzo di prima se ne stava andando.

La serenata non è andata a buon fine.

 

°°°°°°°°°°

 

Matthew tornò in sala trovandola vuota, “Francis?” chiamò allungando il collo verso l'entrata, il capotto rosso del francese era ancora appeso.

Entrò in cucina, trovandolo seduto nell'ombra a mangiucchiare i biscotti di quel pomeriggio, sembrava arrabbiato.

Si sedette difronte.

La luce del lampione esterno illuminava a malapena i loro volti, “È stata una telefonata lunga...” Francis ingoiò la sua vera domanda: “Chi era?” , cercando di camuffare la voce scontrosa con il masticare lento. “Eh si, mio fratello ha avuto un po' di problemi...” fu la risposta limpida e per un attimo si sentì in colpa di aver creduto che quel mite ragazzo avesse un amante.

Aspetta, fratello?

Matthew non gli aveva mai parlato di un fratello. E se non si nominava nemmeno una volta un parente di tale portata le soluzioni erano tre:

Poteva essere morto, ma visto che quella sera aveva chiamato era impossibile.

O avevano litigato, ma Matthew non sapeva nemmeno come s'iniziava a litigare.

Oppure non esisteva e quel ragazzino lo stava prendendo per il culo.

“Tutto bene?” la voce del canadese lo riportò alla realtà, aveva portato una mano sulla sua, con la poca luce poteva vedere il sorriso dolce che gli dipingeva il volto. Annuì distrattamente, poteva una tale visione mentire?

Matthew accarezzò lento il palmo pallido del francese, sapeva che l'altro si stava facendo mille dubbi sul perché lo aveva lasciato proprio in un momento del genere, sospirò “Ti ricordi che ti ho parlato di lui, vero?” dallo sguardo sorpreso dell'altro capì che no, non aveva la più pallida idea di quando si fosse affrontato l'argomento fratello.

Francis socchiuse gli occhi e annuì, sapeva di mentire e probabilmente lo sapeva anche Matthew ma voleva chiudere quel discorso al più presto.

S'alzò seguito dall'altro, si diresse verso l'uscita e con la coda dell'occhio vide il canadese andare a spegnere la televisione. Da lì non lo poteva vedere ma sentiva chiaramente che stava sistemando il dvd nel cassetto.

Aspettò almeno cinque minuti nei quali aveva aperto e chiuso il capotto almeno una decina di volte, poi, non vedendolo arrivare andò a salutarlo lui.

Si bloccò nel trovarlo sdraiato sul divano, il maglioncino leggermente alzato in modo da vedere quei addominali che adorava tanto, le mani che si muovevano languide sul petto e sul viso, i pantaloni slacciati dai quali si intravedevano i boxer neri. Sarebbe bastato quello per farlo restare lì per tutta la notte, ma Matthew si era anche bendato, aveva nascosto quei occhi tanto odiosi e gli lasciava il permesso di fargli ciò che voleva.

Francis si leccò le labbra estasiato, non era nemmeno quello uno spettacolo di tutti i giorni e si domandò perché il canadese lo avesse fatto. Scacciò il pensiero quando lo vide portarsi una mano sotto il maglione alzandolo di più e andando a stuzzicarsi i capezzoli da solo. Si avvicinò piano, togliendosi il capotto e abbandonandolo sul pavimento. Ad ogni passo si slacciava un bottone o della camicia o dei pantaloni.

Matthew intanto aveva sposta una mano in mezzo alle proprie gambe, muovendola leggera in una danza che era tutto fuorché casta, sospirò più forte del solito quando diede una strusciata più forte sul pene semi eretto.

Francis deglutì togliendosi anche le scarpe e lanciandole da qualche parte del salotto. Dio era già eccitato!

Lo raggiunse e intrufolò la sua mano sui boxer, il canadese emise un mugolio e alzò il bacino, a quanto vedeva il cucciolo ne aveva voglia almeno quanto lui. Lo baciò sulle labbra e da quel momento annullò ogni pensiero.

 

 

Il corpo sotto di lui gemeva di piacere sempre più forte ad ogni spinta. “Arthur...” ansimò baciandolo di nuovo sulle labbra che lo accolsero senza esitazione, impazienti quanto lui.

Spostò una mano dal fianco del ragazzo per afferrare deciso l'erezione, “Arthur...” mormorò stringendo e muovendo con forza, seguendo le spinte. Un gemito da parte del compagno, le unghie che gli graffiavano la schiena e le gambe, forti, che si serravano sul suo bacino e la voce smorzata dal piacere “Francis, io...”. Non lo fece proseguire, non voleva sentire il suo tono: gli rubava l'illusione, lo baciò con foga, mordendogli il labbro inferiore per rimproverarlo.

L'altro mugugnò dal dolore improvviso, il francese decise d'aumentare le spinte e scese con la bocca sul collo mordicchiandolo lievemente.

Le gambe sui suoi fianchi si strinsero con molta più forza, le mani affondarono tra i suoi capelli tirandoli, “Francis...” un sussurro lasciato scappare.

Una spinta ancora e anche lui venne nel corpo caldo e accogliente, socchiuse gli occhi inarcandosi lievemente verso l'alto “Artur!”

Si lasciò cadere esausto sul corpo dell'altro per prendere fiato, sospirò alzando lo sguardo sul viso dell'amante trovandolo bendato. Per un attimo aveva sperato di vedere per davvero quelle iridi verde piene d'amore e trovando invece il nulla, quel pezzo di stoffa scuro che risaltava sulla pallida pelle, si ritrovò di nuovo nella realtà.

Sospirò abbassando il capo sul petto, ascoltando il battito cardiaco del canadese socchiuse gli occhi.

Quando faceva sesso con gli altri rimaneva a fissarli per molto tempo negli occhi -soprattutto se erano verdi come quelli di Antonio- e si lasciava avvolgere dalle loro braccia forti mentre magari lui lasciava dei nuovi baci a stampo sulle loro labbra. Ridacchiava e perfino fumava una sigaretta a letto.

Con Matthew faceva l'amore pensando che il suo corpo fosse di un altro e la sensazione che provava quando capiva che la commedia era terminata era talmente devastante che non riusciva far altro che ignorarlo.

Si girava dall'altra parte e si stendeva a dormire sperando che quel vuoto nel petto sparisse presto. Anche quella sera avrebbe fatto la stessa cosa, si stava solo ricaricando. Spostò la mano che ancora teneva il pene del canadese sul petto.

Il cuore di Matthew batte forte…

Con un moto d'irritazione si alzò e con passo veloce entrò nel bagno.

Matthew rimase fermo in silenzio per interminabili minuti, tremante si portò le mani al volto, le dita sfiorarono la benda, nella mente solo quel maledetto nome Artur e faceva male.

 



 

 

Angolo dell'autrice:

Ok, abbiate pazienza, so che i capitoli sono corti e forse mi sto dilungando un po' troppo ma non posso farne almeno per me bisogna dare i giusti spazi ai momenti e non andare troppo in fretta.

So che probabilmente perderò molti lettori per questo mio rilento ma non ho intenzione di saltare delle situazioni solo per arrivare più velocemente al sodo.

Per chi lo avesse notato ho modificato la frase d'introduzione sottolineando che non è un incesto (perciò se lo speravi mi dispiace) e ho messo anche l'unica coppia presente fin'ora: Francis x Matthew, man mano che verranno create le coppie le inserirò.

Ora passiamo al capitolo, ho introdotto un altro personaggio che per ora non avrà un gran ruolo ma mai perdere la speranza.

Potrete pensare che non sia successo molto, ma in realtà in ogni capitolo c'è qualcosa che si ricollegherà con capitoli futuri. Come ho detto prima, abbiate pazienza e vedrete.

Spero che sia di vostro gradimento, -se è si fatemelo sapere!-

A presto
Elisir

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Capitolo 8
*** Gennaio -Capitolo 5: La colazione- ***


Gennaio

 

 

 

5

La colazione


 


 

La sveglia del cellulare trillò facendo saltare Lovino nel letto. La coperta tirata fin sopra la testa gli scivolò facendogli scoprire un occhio appena dischiuso, la mano destra tastò sul comodino alla ricerca della causa di quel rumore. Rabbrividì al contatto con la superficie liscia e fredda, i polpastrelli strisciarono aumentando la sensazione di freddo nel suo corpo facendo passare una scarica lungo il braccio fino al collo.

Non amava il freddo Lovino -il cado era decisamente più consono a lui- e mai avrebbe pensato di ritrovarsi in pieno inverno in una regione del nord Italia. Certo era sotto a due coperte pesantissime con addosso un pigiama di flanella -ringraziò mentalmente sua madre di averglielo regalato qualche anno prima- in una stanza riscaldata a dovere, ma il solo pensiero di dover uscire lo faceva gelare.

Fuori, per quanto si vestisse, tremava dal freddo. Non aveva pensato molto ai vestiti quando aveva preso il suo ex-zaino di scuola per riempirlo con le prime cose che gli erano capitate sott'occhio.

Lui non badava molto a quelle cose, forse doveva ringraziare di avere una madre che gli sistemava l'armadio e i cassetti della biancheria con cura maniacale se era riuscito a portarsi vestiti invernali e non estivi -lui il cambio di stagione non lo faceva mai, era uno spreco di tempo!-.

Sospirò uscendo con tutta la testa dalle coperte e aprendo definitivamente entrambi gli occhi. La mano destra che ancora cercava il telefono a tastoni. Sbadigliò guardandosi intorno, la stanza era piccola: ci stava a malapena il letto e l'armadio.

La sveglia smise di suonare e per un attimo Lovino pensò di ritornare a dormire. Perché infondo aveva pagato caro quel letto, ma c'era qualcosa nella sua mente che cercava di far capolino e desistere dal suo intento. Il castano aggrottò la fronte con rabbia era come avere una presenza molesta nella propria testa!

Quando il trillo del cellulare tornò a tormentare le sue orecchie Lovino decise di alzarsi e andare a fracassare quel aggeggio infernale sul muro.

C'era da dire che lui non era mai di buon umore appena sveglio, soprattutto se era in vacanza, sua madre diceva che scambiava il giorno per la notte e viceversa. Lui ne dubitava, semplicemente gli piaceva dormire.

Due passi e inciampò in un mucchio di vestiti, li aveva lanciati lì la mattina precedente e si era scordato della loro presenza. Sbadigliò vistosamente, adocchiando il cellulare lì, appoggiato con ben poca cura sulla camicia nera.

Il giorno prima aveva chiamato -appena sveglio- sua madre per sapere come stava e dopo aver posizionato la sveglia lo aveva praticamente lanciato su quel cumulo informe. Lo prese e finalmente riuscì a far cessare quel rumore.

Il disegno di una campanella lasciò spazio allo sfondo del display -una foto del suo amato mare- e l'ora scritta in caratteri enormi: 08.45.

Che cazzo di ora è questa???

Non era nemmeno sicuro che fosse legale potersi svegliare così presto!

L'idea di ributtarsi nel letto lo fece retrocedere di un passo ma poi quel pensiero molesto tornò fastidioso a bloccargli i movimenti.

Possiamo fare colazione o pranzo insieme...” aveva promesso a Feliciano una colazione. Sorrise e per un attimo sul suo volto si dipinse un espressione dolce e serena.

 

°°°°°°°°°°

 

Le mani di Feliciano sembravano essere nate per creare qualsiasi cosa, che fosse un dipinto, una scultura o del cibo.

In quel momento mentre aveva le dita immerse nell'impasto, intente ad unificare i vari ingredienti, si domandava da chi aveva preso un tale dono.

Non aveva molti ricordi dei suoi genitori e ancor meno dei nonni. Era un viaggio corto nelle sue memorie, era un ammasso confuso quello prima dei suoi tre anni e anche nei due anni a seguire non c'erano molti ricordi.

Per un lungo periodo aveva avuto il timore di scordarsi il viso di sua madre, quel sorriso così dolce e gli occhi così simili ai suoi. In quel periodo Lovino lo sgridava sempre, “Non si può dimenticare la mamma!” finché stanco delle sue lacrime gli aveva regalato l'unica fotografia che gli avevano concesso: li ritraeva tutti e sei sorridenti, la mamma e il papà avevano lo sguardo carico d'amore…

Scosse la testa, tornando a impastare con più forza, non era certo il momento più opportuno per rivangare certi ricordi!

Lovino sarebbe arrivato da lì a un'ora e lui aveva tutta l'intenzione di preparagli una colazione degna della sua fama. Sorrise terminando l'impasto, deve riposare un poco… Anche nonna Augusta era solita dirlo -ne era sicuro- ogni volta che lui l'aiutava a fare i biscotti.

Scosse la testa, doveva smettere di fare certi pensieri! Con passo leggero uscì dalla stanza, intonando un motivetto.

Chissà se gli piace ancora la marmellata all'albicocca.

 

°°°°°°°°°°

 

“Non mi piacciono i dolci, preferisco il salato.” Lovino aveva detto quella frase con il suo tono acido mentre si accomodava -a malavoglia- su una sedia imbottita del secondo salotto di quella casa -si domandava se ce ne fossero altri, ma non aveva assolutamente voglia di scoprirlo-.

Aveva indosso un maglioncino rosso con lo scollo ampio, talmente largo che ci potevano stare dentro due di lui, ma non gli interessava di sembrare un barbone, quello era uno dei suoi primi regali che aveva ricevuto dopo tanti anni di orfanotrofio, era il suo portafortuna.

Feliciano si era come congelato sul posto con il sorriso ancora stampato sul volto e le guance rosse, “Cosa scusa?” articolò quella domanda con un tono leggermente più alto del dovuto, come se ciò che Lovino gli aveva confidato fosse stato terribile.

Il maggiore guardò i vari vassoi, di solito a colazione mangiava qualche fetta biscottata con marmellata oppure una barretta al cioccolato -perché lui era sempre di corsa- e non si era mai soffermato ad assaggiare qualche delizia in più.

Prese un biscotto guardandolo sospettoso “Non mangio molti dolci.” disse con voce distratta continuando ad osservare quel pezzo di pasta frolla rotondo, come se potesse mettersi a parlare da un momento all'altro.

“Veeeeeh!” Feliciano sbatté le palpebre interdetto come se non avesse capito bene, “Ma come fai senza una fetta di torta al giorno?” si portò una mano sullo stomaco, lui senza un dolcetto dopo i pasti e tra una lezione all'altra non sarebbe riuscito a sopravvivere.

Lovino alzò un sopracciglio incredulo di essere davanti a suo fratello dopo tanti anni e di affrontare un argomento così stupido, si porta il biscotto alle labbra, addentandone un pezzetto. Era friabile, buono e si scioglieva in bocca, era uguale a quelli che cucinava loro nonna.

 

Nonna, nonna!” chiamava Lovino trascinando una sedia vicino al bancone dove Augusta aveva posato i vari ingredienti per preparare i biscotti, dietro di lui Feliciano con molta più fatica lo imitava.

M'insegni a fare i biscotti?” chiese saltando sulla sedia e raggiungendo la nonna d'altezza. “Sono abbastanza grande per poter rompere le uova e impastare!” disse sicuro di se, aiutando il fratellino a salire sulla propria seduta e avvicinandolo meglio al banco.

La donna rise di gusto posando sulla sua testolina la mano magra e rovinata, “Certo, certo, penso proprio che hai raggiunto l'età per sapere la ricetta segreta di famiglia.”

Lovino spalancò gli occhi e la bocca in una maniera buffa che fece ridere perfino Feliciano. Dietro di loro si aprì la porta che portava sul giardino nel retro.

Augusta si girò sorridendo “Romano, i nostri nipotini oggi faranno i biscotti!” ridacchiò contenta.

 

Feliciano guardò per tutto il tempo l'espressione accigliata del fratello, forse si stava trattenendo dal vomitare per fargli solo un piacere.

“Non serve che mangi!” aveva esclamato preoccupato quando lo vide dare un altro morso con una faccia a dir poco cupa. S'alzò di scatto per afferrarlo, ma ancor prima che potesse sfiorare il biscotto Lovino se lo aveva infilato tutto in bocca.

“È buono, cazzo!” aveva mugugnato cercando di non sputacchiare, sul fratellino che lo guardava pallido come un lenzuolo.

 

Nonno Romano lo aveva allontanato dalla cucina facendolo cadere quasi dalla sedia. Feliciano li aveva seguiti con lo sguardo e la nonna aveva sospirato sconsolata.

Cucinare non è da uomini!” aveva esclamato Romano facendolo trascinandolo lungo le scale che portavano nella cantina dove aveva ricavato un piccolo angolo per le sue preziose armi.

Lovino aveva paura di quel luogo: era buio e puzzava di muffa. Si ritrovò con il braccio libero dalla presa del nonno solo quando erano giunti in quella che lui e Feliciano chiamavano “la stanza segreta”.

Romano aveva aperto la porta e aveva spinto il nipote all'interno, accese la luce e sorrise orgoglioso del suo arsenale, lo teneva maniacalmente, ogni giorno ripuliva le armi e le posava sui vari cuscini di seta blu.

Con questo...” aveva afferrato un fucile vecchio e inceppato ma impeccabile, “Ho sparato per la prima volta e sempre con lui ho preso il mio primo coniglio!” accarezzo l'oggetto come se fosse di porcellana, poi lo diede in braccio al nipote.

Lovino lo teneva con angoscia, spaventato di toccarlo e rovinarlo, con occhi grandi guardava il nonno non capendo cosa dovesse fare. Lui voleva solo andare dalla nonna e fare i biscotti!

Alla tua età io avevo già imparato a sparare!” aveva esclamato l'uomo con voce autoritaria “E tu non riesci nemmeno a tenere un fucile come si deve!” Lovino chiuse gli occhi, il nonno sembrava arrabbiato con lui.

 

“La vuoi smettere di fare quella faccia da idiota?” Lovino aveva mangiato il suo terzo biscotto, ma non era sicuro di riuscire il quarto anche se erano buoni. Il dolce in fin dei conti non era per lui.

Sorseggiò il caffè e appoggiò il viso sul dorso di una mano, Feliciano non smetteva di sorridere e gli dava sui nervi, come si poteva tenere le labbra stirate in quel modo per così tanto tempo?

Corrugò la fronte spostando lo sguardo infastidito su un quadro a caso, era una riproduzione di un antico palazzo. Sicuramente non italiano.

“Questa è la mia faccia, tu piuttosto perché sei così indispettito?” Feliciano era difficile da abbattere, Lovino lo capì in quel momento mentre portava di nuovo lo sguardo su quel sorriso tranquillo e puro.

“Non sono irritato e solo...” aveva iniziato guardando la tazzina, ormai quasi vuota corrugando di più la fronte “...la mia espressione…” suo fratello rise.

“NON RIDERE!” si era alzato dalla sedia e come un bambino aveva sbattuto le mani sul tavolo, solo che lui non era piccolo e quel movimento aveva fatto rabbrividire il minore. Sbuffò ritornando seduto “Non mi piace quando la gente ride di me.” aveva borbottato guardando di nuovo il caffè.

Lovino non era affatto semplice e Feliciano lo capì in quell'istante. Si domandò perché era diventato tanto diffidente della gente, nei suoi vaghi ricordi suo fratello rideva e i suoi occhi verdi brillavano di felicità.

 

Quando Lovino tornò in cucina, la nonna e Feliciano non avevano ancora iniziato a preparare i biscotti e la sua sedia era ancora lì che lo attendeva.

Nonno gli aveva raccomandato di non cucinare, ricordandogli che quello era compito delle donne, eppure a Feliciano non lo impediva.

Strinse una mano sul braccio che Romano aveva stretto tanto forte, gli faceva ancora male.

Sei pronto Lovino?” aveva chiesto Augusta sorridendogli, lui scosse il capo, le lacrime agli occhi e le labbra tremanti, “Non ne ho più voglia...” e se ne era andato in giardino.

 

Feliciano sparecchiò in poco tempo, da quando era iniziata quella colazione, lui e suo fratello avevano parlato solo un paio di volte, per quel motivo, quando ormai erano agli sgoccioli iniziò a parlare a raffica.

Gli raccontò dell'università, di Domenica e del perché avesse scelto arte e non qualcosa che gli avrebbe dato una base più solida per il proprio futuro.

Lovino era rimasto seduto ad ascoltarlo, senza bloccarlo nemmeno una volta. Sul viso aveva un'espressione annoiata ma gli piaceva sentire la voce di Feliciano e quel suo strano verso che da bambino non aveva era una nota simpatica che ogni tanto spuntava nelle sue frasi.

“Papà, ha una fabbrica in America, una tra le più famose. Avrebbe voluto che diventassi il suo vice, ma non sono portato per le cose serie...” rise divertito “...Non capisco niente di economia!”

Lovino, avrebbe voluto ascoltarlo per sempre.

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Chiedo scusa per ritardo, ho avuto un po' di problemi...ma eccomi qui!

Come promesso ecco un altro capitolo di Feliciano e Lovino, non sono teneri?

Dunque cosa dire su questa scena? Beh, che i biscotti di mia sorella senza dubbio sono stati di grande aiuto per poter descrivere la colazione XD

E scusate tanto per gli errori, ma ho scritto questo capitolo di getto e non ho avuto ne tempo ne voglia di rileggerlo XD

Ringrazio tutti coloro che mi seguono e quelli che lasciano perfino una recensione, grazie, grazie perché nulla è meglio di leggere i commenti.

 

Ci vediamo al prossimo capitolo che è già del tutto concluso e perciò non dovrei tardare a pubblicarlo, sempre se non si presentano mille impegni com'è capitato con questo ^_^

 

A presto

Elisir

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Capitolo 9
*** Gennaio -Capitolo 7: Un taglio amaro- ***


Gennaio

 

 

 

 

7

Un taglio amaro



 

Feliks veniva spesso scambiato per una ragazza per via dei suoi lineamenti delicati, le labbra carnose e quelle lunghe ciglia bionde che contornavano dei meravigliosi occhi verdi, senza contare che si era lasciato crescere i capelli e che spesso per comodità li legava in una coda. Da quando era morta la madre due anni prima, aveva iniziato a indossare abiti rosa o femminili e si truccava lievemente il viso.

Toris non aveva fatto una piega nemmeno quando lo aveva visto con una minigonna scozzese e dei collant, non si era stupito nemmeno di averlo trovato a farsi la ceretta alle ascelle e all'inguine. E quando aveva colorato i muri della camera di un rosa confetto, lui semplicemente aveva alzato un sopracciglio, ma non aveva commentato.

Dunque Toris si stava domandando perché non avesse colto quei segnali che inconsciamente Feliks gli stava lanciando, ma soprattutto perché lui era finito in mezzo?

Si ricordava che Eduard stava per scaricare in strada quel francese -che poi da dove uscisse un tizio del genere nessuno lo sapeva- e che Feliks mosso a compassione decise di portarlo nel suo appartamento e farlo dormire sul divano. Da lì, la decisione dei due amici di restare con lui e poi?

Tutto era degenerato…

Era sicuro che se lui non fosse stato brillo non avrebbe mai e poi mai provato rabbia nel vedere le labbra di qualcuno altro su quelle del suo migliore amico, e non si sarebbe azzardato a baciarlo pensando di poter cancellare il sapore dell'altro con la propria lingua…

Era certo che avesse pensato che gli sembrava di aver stretto a se una ragazza.

Ricordava che aveva baciato anche Eduard e il francese preso dalla foga...dall'eccitazione, ma aveva fatto sesso solo con Feliks, ed aveva continuato a pensare che fosse una donna.

Si era vergognato da morire per quei pensieri e se ne vergognava in quel momento mentre il suo migliore amico se ne stava seduto davanti a lui.

In quei sette gironi Feliks è andato a trovarlo almeno una decina di volte e tutte le volte lui si era rifiutato di vederlo, non riusciva nemmeno a rispondergli ai messaggi figurarsi potergli parlare di persona! Con Eduard era stato più semplice, gli aveva mandato un messaggio lunghissimo dove lo pregava di dimenticarsi quello che era successo, che la loro amicizia era importate e cose simili. L'altro gli aveva risposto con un semplice OK , va bene ci aveva messo tre ore a scrivere quelle due lettere, ma era sempre una risposta positiva.

Toris aveva preparato un messaggio simile per Feliks che però era rimasto nella cartella bozze del cellulare.

Come poteva dirgli di restare amici, quando lui per primo lo aveva usato per sfogare la sua frustrazione sessuale? Quando per tutto il tempo dell'amplesso aveva immaginato di aver sotto di se una ragazza…

Era decisamente meglio evitarlo, chiudere tutto e semplicemente andare avanti come se Feliks non fosse mai entrato nella sua vita. Peccato che però l'altro non aveva la minima intenzione di smettere di frequentarlo.

Quel pomeriggio Feliks aveva suonato per la decima volta a casa sua e sua madre, stufa del suo comportamento -infantile- lo aveva trascinato fuori dalla sua camera e portato in cucina. “Vi preparo un tea e poi vi lascio da soli.” aveva detto con un sorriso, poi prima di uscire di casa aveva posato un dolce in mezzo alla tavola invitando il polacco a mangiarne quante ne voleva.

Ed eccoli lì, Toris e Feliks seduti in silenzio -ai due lati opposti del tavolo- davanti a una tazza tea fumante e immensamente imbarazzati.

 

°°°°°°°°°°

 

Francis osservava il ragazzo seduto accanto a lui, non trovando nessuna assomiglianza con il suo migliore amico.

Figo lo era, dall'altra parte Gilbert aveva sempre detto che tutti nella sua famiglia vantavano una bellezza assoluta.

Alto: l'altezza era un punto fondamentale anche se lui non amava avere uomini più alti di lui -Matthew era un'eccezione-, sembravano sempre guardati altezzosi.

Biondo: che dire l'uomo biondo era sempre il più affascinante, non per niente lui lo era e la sua chioma era di sicuro la più morbida e ben curata del mondo!

Muscoli: oddio si! Ne aveva da far invidia a un lottatore professionista! Nemmeno il maglione -e lui ne era veramente felice- li camuffava soprattutto quelli delle braccia! Avrebbe voluto toccarli e perché no, anche leccarli…

Occhi: di un azzurro che ricordava tanto il cielo d'inverno, così belli che ti ci potevi restare ore a fissarli se solo non fossero stati così freddi.

Ecco la pecca, quel ragazzo sembrava essere uscito da una cella frigorifera! Francis non ci aveva creduto quando Antonio al telefono gli aveva detto “Non è umano. È un cybort, sai come Terminator...” beh ora poteva dire che si, quel film era tratto dalla realtà.

“Allora, Ludwig...” sorrise prendendosi una ciocca di capelli tra le dita arrotolandola “...Che cosa studi?” il biondo alzò lo sguardo sul fratello che sedeva comodamente sulla poltrona “Studiavo scienze politiche.” il tono freddo quanto gli occhi fece assottigliare lo sguardo al francese, un brivido gli percosse la schiena e il sorriso si congelò sul volto.

“Studiavi?” tentò di nuovo portando le mani sulle cosce e guardando l'albino che sghignazzava divertito della scena “Si.” fu la lapidaria risposta.

Sembrava troppo bello per essere vero, un difetto solo in un uomo era impossibile, lui era un eccezione -una meravigliosa eccezione-

Pecca numero due: non parlava. Che avesse problemi nel muovere la lingua nel palato era da escludere, Gilbert aveva descritto suo fratello come un genio e che conosceva bene otto lingue differenti senza contare il tedesco. Ma restava il fatto che non comunicava e se lo faceva usava un tono che metteva i brividi.

Antonio nel frattempo era entrato in salotto con un vassoio con ben quattro cioccolate calde, “Ah, Ludwig non sapevo quanto zucchero mettere perciò...” il tedesco prese la tazza che lo spagnolo gli porgeva “Va bene così...”

Francis inorridì, no, non poteva essere il fratello minore di Gilbert! Lui ci metteva molto, molto zucchero…

“...Grazie.” e lì il francese era sicuro che sarebbe morto. Grazie? Tale parola non era nemmeno nel libro degli appunti di Gilbert e invece suo fratello la conosceva! E sapeva pronunciarla!

Antonio sorrise titubante “Sicuri di essere geneticamente parenti?” si sedette sull'altra poltrona rimasta libera.

I due in questione alzarono lo sguardo su di lui e senza farlo apposta risposero insieme un sicuro “Si.”

 

°°°°°°°°°°

 

Feliks si sistemò per l'ennesima volta il maglione rosa, appiattendolo sul collo pallido come se avesse paura che si fosse arricciato. Gli occhi messi in risalto con un po di eyeliner e matita nera, erano fissi sulla tazza che ancora non aveva toccato, si torturava le labbra -colorate con un filo di gloss pesca- con i denti bianchi.

Era difficile iniziare un discorso, lui non era nato certo per quello, perfino quando era a scuola nelle interrogazione s'interrompeva spesso e farciva i suoi pensieri con la parola tipo in continuazione. In quel momento però voleva disperatamente chiedere scusa nel migliore dei modi e cercava le parole giuste, ma nonostante la sua buona volontà l'unica cosa che gli veniva in mente era scusami, scusami, scusami!

“Scusa...” mormorò torturandosi le mani sotto il tavolo e continuando a fissare i decori della tazza, “...Avrei dovuto evitare tutto quel...” si morse di nuovo il labbro inferiore insicuro di come definire ciò che era successo a capodanno “...casino...” e si forse era la parola giusta, l'unica con cui definire quei corpi in cerca di calore…

Una ciocca scappò dall'elastico scivolando sul volto, subito la portò dietro l'orecchio, notando solo in quel momento che aveva le mani gelate. Rimase per qualche attimo fermo in quella posizione, con le dita che gli torturavano il lobo e la sensazione di freddo che gli scendeva lungo il collo fino al petto.

Toris da canto suo non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle guance leggermente arrossate e da quelle labbra alla mercé dei denti.

Era dannatamente bello in quel momento, e lui aveva la strana, stranissima, sensazione di volerlo abbracciare e baciar…

Conficcò le unghie nel palmo della mano cercando di cancellare quel pensiero.

Feliks riportò la mano sotto il tavolo “Se, tipo...” si bloccò di nuovo, ecco che i suoi buoni propositi andavano già a quel paese, tossicchiò “Se, tipo, non vuoi più vedermi...” e qui la voce si fece più sottile “...Io lo capisco...”

Toris spalancò gli occhi, incredulo di sentire quella frase, si era aspettato una difesa, una qualsiasi scusa...o che lo accusasse d'essere stato lui a baciarlo per primo, a iniziare tutto…E invece, Feliks non aveva fatto nulla di tutto quello, si era limitato a chiedere scusa, come nei duecento messaggi che gli aveva mandato in quei giorni.

Non sentendo nemmeno una parola provenire da quello che lui ancora considerava il suo miglior amico, il biondo alzò lo sguardo per posarlo sul volto dell'altro, gli occhi verde scuro che lo fissavano come a volerlo studiare e le labbra serrate in un'espressione rigida.

Abbassò di nuovo il viso, giudicando abbastanza il tempo che aveva trascorso in quella casa decise di alzarsi, lo fece in silenzio, si mise i guanti bianchi, la sciarpa di tre tonalità del rosa, il capottino chiaro e un para-orecchi tutto con estrema lentezza, sperando che Toris lo fermasse, che gli dicesse che era tutto passato….

Sperò almeno in un addio, ma quando si rese conto che lui non aveva altro da mettersi e che l'amico non si era spostato di un millimetro, capì che non avrebbe avuto nessun'altra possibilità.

 

Difronte all'entrata, Feliks indugiò fermando i suoi passi e rimanendo con la mano appoggiata alla maniglia, con una vana e stupida speranza di sentire un solo rumore provenire dalla cucina. Non seppe quanto tempo rimase lì, trattenendo il fiato e pregando che tutto quello finisse con un abbraccio, ma per quei interminabili minuti nella casa regnò il silenzio.

Quando aprì la porta si sentì gelare, non tanto per il freddo stagionale, ma perché se ne stava andando senza riceve nemmeno un ultimo saluto.

Niente di niente.

Le lacrime iniziarono a scendere nel momento in cui chiuse l'uscio.

 

°°°°°°°°°°

 

Feliciano saltellava da un piede all'altro mentre attendeva che Lovino salisse sul treno -fermo da più di venti minuti-, suo fratello accanto a lui stava appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo freddo.

“Tua madre sarà felice di rivederti!” iniziò il più giovane, “La mia, ogni qualvolta che ritorno a Milano da lei mi stringe con forza e mi riempie di baci!” sorrise al pensiero.

Lovino sbuffò, vedere Feliciano così felice nei suoi ricordi lo irritava e confortava contemporaneamente, in un malefico tira e molla che gli stritolava il cuore, portandolo a un'esasperazione che si tramutava in gesti violenti e risposte velenose.

“Mi dispiace che tu vada...” continuò l'altro smettendo di saltellare e andandogli vicino fino a quasi sfiorarlo “...Avrei preferito che fossi rimasto qui...con me...” gli occhi bassi ad osservare la sciarpa bianca con cui Lovino lo aveva riscaldato al loro primo incontro.

Il maggiore fissò lo sguardo su un cartello che segnalava il pavimento bagnato, “Lo sai che non è possibile, oltre a mia madre ho anche un lavoro...” sciolse le braccia per affondare le mani nelle tasche del capotto, “Sono stato a non far niente per troppi giorni e poi...le ferie devo pur guadagnarmele...”

Feliciano annuì mesto. In quei giorni avevano passato tanto di quel tempo insieme che lui non aveva preso in mano nemmeno un colore, si era detto che dovevano recuperare tutti quei anni passati separati e che sarebbe tornato a dipingere una volta che suo fratello fosse tornato a casa sua. Ma, al momento di dirsi addio, Feliciano sentiva uno strano dolore allo sterno, un dolore che aveva provato solo anni prima quando si era voltato indietro e non aveva visto suo fratello.

Lovino si staccò dal muro, “È il caso che salga a trovar posto, mi sembra che si stia affollando.” gli diede una pacca sulla spalla, perché lui non sapeva far di più, non abbracciava nemmeno sua madre in pubblico. “È stato bello vederti, ma vedi di essere meno stupido o rischi di ritrovarti qualche pervertito in casa!” prese lo zaino e s'avviò verso il treno.

Feliciano lo raggiunse con una piccola rincorsa abbracciandolo da dietro, appoggiò la fronte sulla sua schiena e strinse ancor di più la sua presa per paura che l'altro si volesse svincolare. “Mi è piaciuto stare in tua compagnia, ti prego...” artigliò il capotto con le dita gelate “Ti prego torna presto!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

 

Ok, capitolo corto e in ritardo, ma scusatemi ero troppo depressa e volevo un capitolo allegro…

E niente, come avrete visto non ci sono riuscita a scrivere quello che avevo in mente, perciò ecco cosa ne è uscito fuori…

Cosa dire di questo capitolo?

Nulla mi sembra abbastanza comprensibile.

 

Siamo solo al sette gennaio e già alcune situazioni si stanno modificando, non me lo aspettavo XD

 

Va bene, come sempre vi ringrazio per essere arrivati fin qui, spero che continuerete a seguirmi.

 

A presto con il prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** Gennaio -Capitolo 6: Il fratello- ***


Gennaio



 

6

Il fratello



 

Cosa vuol dire?” la voce di Kalus era alterata e la si udiva perfino nelle stanze del piano superiore, figurarsi cosa poteva sembrare a suo figlio che giocava a pochi passi da lui. Sua moglie Annika gli stava difronte allibita da tale reazione, le mani delicate che si stringevano nervose “Non sei felice?” chiese con filo di voce quasi spaventata dall'uomo che aveva sposato, “Felice?!?” l'urlo fu ancora più forte di prima.

L'indice accusatore indicava il viso paffuto del bambino che lo guardava con i suoi occhioni innocenti, “L'ultima volta mi hai dato quello!” ringhiò facendo sobbalzare sia la moglie che il figlio.

Non parlare così difronte a lui...” iniziò Annika irrigidendo i muscoli facciali “In lui non c'è nulla di sbagliato!” avanzò di un passo “È sano e sveglio!”

Klaus batté la mano sulla libreria, il bambino iniziò a piangere “È un mostro! I suoi occhi sono iniettati di sangue!” la donna si portò le mani al volto, tremava di rabbia “Smettila con queste stupidaggini!” strillò facendo azzittire il marito.

Nella stanza il pianto sommesso di loro figlio divenne più forte, per un attimo Klaus si sentì in colpa davanti a quelle lacrime, abbassò lo sguardo “Non voglio un altro figlio. Non così.” e con passi pesanti uscì dal salotto.


 

Gilbert non amava parlare di quel giorno, era un ricordo sfumato uno dei primi che gli era rimasto. E se da una parte era doloroso ripensare a quelle parole dall'altra era il motivo di tutta la sua gioia durante l'infanzia: l'arrivo di un fratellino.

Qualche anno dopo -ormai grande per negare che suo padre in lui non vedeva niente di buono- avrebbe modificato quel ricordo, con una madre sorridente e un padre che orgoglioso lo teneva in braccio. Su un tema scolastico aveva descritto quella bugia nei minimi dettagli, aumentando e gonfiando tutto come se fosse stata la realtà.

Per molto tempo aveva ridipinto la sua infanzia con immagini fasulle, credendo a loro e non più a quello che lo circondava.

Gilbert guardò l'orologio da polso, era in anticipo di qualche minuto rispetto l'orario che suo fratello gli aveva mormorato al telefono il giorno prima.

Era stata dura rispondere di nuovo a quel numero sapendo che era della persona che aveva dato tanti veri ricordi felici.

Alla fine eccolo lì all'aeroporto ad aspettarlo.


 

Gilbert non aveva fatto altro che trottare dietro a sua madre e chiederle in continuazione quando sarebbe arrivato suo fratello.

A maggio sua madre gli aveva dato la notizia che era proprio un maschietto e che lui da bravo fratellone avrebbe dovuto aiutarlo, sempre.

Gilbert non capiva perché papà non fosse felice, perché indicasse in continuazione lui e dicesse che lui non era un bambino. Non capiva perché mamma urlava e tanto meno perché piangesse in silenzio abbracciandolo.

Un bambino di tre anni certo cose non le capisce, ma sa lui sapeva che mamma era triste e papà arrabbiato, che quel fratellino non era niente di buono. Nonostante questo lui continuava a seguire la madre per tutta casa chiedendo ansioso quando sarebbe arrivato e se poteva giocare con lui.

Annika rideva sempre sentendolo parlare in quel modo buffo e magari cercare di pronunciare il nome del fraello. “Lud...Lud...wi..giiiiiiiiiiii...” urlava alzando le manine ogni volta che suonava il campanello nella vana speranza che arrivasse.

Poi era arrivato il caldo e per Gilbert il suo fratellino si era perso o aveva bussato nella casa di fronte alla sua, non serviva niente che sua madre gli dicesse che era ancora presto, che mancavano alcuni mesi e perciò tanti, tantissimi, giorni. Lui voleva suo fratello.

Fu quando le foglie iniziarono a cadere dagli alberi in giardino che sua madre urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Gilbert si era alzato e era andato verso le scale, “Mamma...” chiamò avanzando tra i vari vestiti caduti chissà come sul pavimento. I suoi occhi grandi e pieni d'innocenza si posarono sul corpo riverso tra quei panni profumati, il viso pallido e il sangue che le macchiava il vestito giallo.

Mamma...” chiamò piano inchinandosi, la donna respirò a fatica posando i suoi teneri occhi azzurri su di lui, stiracchiò un sorriso stanco e affannato e gli accarezzò con le punta delle dita la guancia paffuta.

Signora!” la voce spaventata della cameriera fece sobbalzare il bambino “Signora!”


 

Gilbert accavallò le gambe sistemandosi meglio su quella sedia di plastica che era tutt'altro che comoda.

Il ritorno di suo fratello stava portando a galla ricordi infelici, che nei suoi diari e nei racconti ai suoi amici erano camuffati in qualcosa di bello.

Ad esempio per tutti quel giorno sua madre si sentiva che suo fratello volesse nascere in anticipo e che era andata in ospedale da sola attendendo pacifica l'arrivo delle contrazioni.

Gilbert a forza di raccontarla in quel modo si era quasi scordato di quella scena, di quanto avesse odiato Ludwig in quel momento e di quante lacrime aveva versato lui quando un'ambulanza aveva portato via sua madre.

Guardò il tabellone degli arrivi, l'aereo era atterrato, ancora una quarantina di minuti su per giù e avrebbe rivisto suo fratello dopo tanti anni.
 

 

Gilber aveva aspettato per tutta la mattina stretto al suo panda di peluche davanti alle scale d'ingresso, che la cameriera aveva ripulito dai vestiti e dalle macchie di sangue.

Era rimasto lì a guardare la porta sperando che sua madre tornasse sorridendo, ma all'ora di pranzo, quando il maggiordomo lo aveva preso in braccio e portato fino al tavolo per mangiare, nessuno aveva era rientrato a casa.

Nemmeno suo padre rientrò, lui ritornato sulle scale era rimasto fermo, con i suoi occhioni rossi a fissare l'entrata per tutto il pomeriggio.

Quando era sera inoltrata, il maggiordomo aveva deciso di chiamare qualcuno, perché ne lui ne la cameriera riuscivano a spostarlo da lì, ne con le buone ne con le cattive.

Nonno Augustus entrò in casa poche ore dopo, giusto il tempo per preparare una piccola valigia e partire dalla campagna. Lo trovò ancora seduto abbracciato al peluche e con lo sguardo serio rivolto alla porta.

Gilbert spostò finalmente l'attenzione su qualcos'altro, lasciò andare il panda e allungò le braccia verso il collo del nonno. Augustus non era mai stato particolarmente affettuoso nemmeno con sua figlia Annika, ma con suo nipote era diverso. La prima volta che lo aveva visto era stato una settimana dopo la sua nascita, sua figlia era andata da lui per passare un paio di giorni lontana dal marito che considerava loro figlio disgustoso.

Appena posò i suoi gelidi occhi su quella creaturina pallida e indifesa se ne innamorò. Inutile dire che fu proprio una sua visita a sorpresa a far mettere la testa e soprattutto la lingua a posto a Klaus.

Gilbert era un bambino sveglio per la sua età perciò Augustus aveva deciso di spiegargli tutto. Gli aveva detto che sua madre aveva preso una brutta botta e che probabilmente non avrebbe potuto camminare per un po, gli aveva spiegato che bisognava avere pazienza e sperare che si trovasse una soluzione ma che lui non doveva far pesare la faccenda ai suoi genitori.

Infine con un dolce sorriso gli aveva annunciato la nascita di suo fratello, in anticipo di un mese e mezzo.

Gilbert aveva riso felice per urlare subito dopo quel nome troppo difficile “Lud...wi...giiiiiiiiiii!” e la sua allegria contagiò anche il nonno.


 

L'albino si alzò dalla sedia dopo trentacinque minuti, si sistemò il capotto lungo e nero, il cappello altrettanto scuro e la sciarpa di un bel rosso acceso che gli aveva regalato quello stupido di uno spagnolo.

Si diresse verso le transenne che costeggiavano le porte scorrevoli, da lì sarebbe uscito suo fratello: chissà com'era cambiato in quei dieci anni. Sua madre ogni tanto gli mandava piccoli scatti fatti con quel cellulare che lei faticava ad usare, erano immagini sfocate o storte e non lo ritraevano mai completamente.

Aveva visto il suo viso squadrarsi sempre di più, il taglio dei capelli cambiare e soprattutto lo sguardo diventare sempre più serio.

Sua madre diceva sempre che si assomigliavano, in qualche modo, anche se erano completamente differenti d'aspetto.

Sciolse la sciarpa per l'ennesima volta, troppo agitato per quell'incontro. Le mani gli tremavano leggermente e il cuore gli batteva talmente forte che sembrava un tamburo. Nello stomaco una strana sensazione che lo faceva piegare in avanti.

Gilbert non era mai stato un tipo che faceva vedere i propri sentimenti -solo una volta- e per quanto gli era difficile rimase fermo con la schiena rigida e lo sguardo tagliente puntato su quelle uniche vie di uscita.


 

Notarlo non fu difficile: era alto, lui si trattenne nell'urlare “Ma quanto cazzo ti sei alzato?” e grosso, non grasso -perché non c'era un filo di ciccia in quel corpo- ma muscoloso, e si domandò che cavolo di sport praticasse per avere muscoli così definiti che -cavolo!- si notavano anche sotto quel pesante maglione.

Rise divertito, non c'era che dire quel piccolo scricciolo era diventato un grande uomo.

Ludwig da canto suo, aveva notato subito suo fratello, non era cambiato per nulla -a parte l'altezza- ed lo vedeva chiaramente che si stava trattenendo nel dire qualcosa. Nei suoi ricordi Gilbert parlava tanto e per la maggior parte delle volte da quella bocca uscivano scemenze di prima categoria.

Lo raggiunse con pochi passi, le tre valige sollevate da terra senza un minimo sforzo e la giacca buttata sottobraccio per il troppo caldo all'interno dell'aeroporto.

“Ciao!” il primo a parlare fu Gilbert con un ghigno stampato in faccia e gli occhi pungenti fissi su quelli freddi del minore “Sei diventato un gigante! E pensare che prima dovevo abbassarmi per guardati in faccia!” e rise divertito dalla situazione.

Ludwig alzò un fino sopracciglio “Ora è il contrario.” rispose atono facendo smorzare l'allegria dell'altro e facendo nascere un broncio infantile “Come sei cattivo! E pensare che volevo offrirti un caffè nel miglior bar di Venezia!” iniziò muovendo le braccia in maniera spropositata come era solito fare da bambino.

Il biondo non fece una piega, ma vederlo in quel modo gli aveva tolto quell'ansia che aveva nel petto, lo fece rilassare -anche se forse nessuno riusciva a notarlo-.


 

Sua madre rientrò a casa due settimane dopo su una sedia a rotelle, tra le braccia un neonato e sul volto un bel sorriso.

Gilbert l'aveva raggiunta saltandole sulle gambe rischiando di schiacciare quel piccolo bambino, “E fai attenzione!” fu il ringhio rabbioso del padre che stava dietro alla sedia, “Non vedi che c'è tuo Ludwig?!”

Il bambino allora aveva posato gli occhi su quello più piccolo, aveva un ciuffo di capelli biondi e grandi occhi chiari, non era come lui ed anche se era un pensiero causale lo disse ad alta voce. Incredulo che fosse di quelle dimensioni e che non riuscisse ancora a camminare non badò alla risposta del padre e tanto meno alla discussione che avvenne dopo.

Suo fratello era lì, che lo guardava curioso ed era la cosa più bella che avesse visto. Sorrise “Lud...wi...giiiiiiiiiii!!!” esclamò facendo calare il silenzio tra i due genitori e ridacchiare il maggiordomo.


 

Erano rimasti in silenzio per tutto il tragitto, cercando in un modo o nell'altro di non sembrare troppo goffi o curiosi.

In silenzio si erano anche seduti al tavolo di quel bar -dove Gilbert aveva fatto l'ultimo dell'anno in depressione- e avevano ordinato i caffè senza riuscire a proferir parola.

Infine quando le tazzine erano state poggiate davanti a loro il maggiore decise di smorzare quella tensione che lo stava facendo impazzire: “Ti stai trasferendo?” chiese indicando con lo sguardo le valige e facendo arrossire un poco il minore.

Ludwig aveva sperato di riuscire a intavolare il discorso con calma, sospirò iniziando a mescolare, “Papà mi ha cacciato di casa...” la voce atona come se non fosse nulla d'importante, Gilbert alzò entrambe le sopracciglia incredulo “Perché?”

Ora se avesse saputo che quella domanda avrebbe fatto tornare muto come un pesce il fratello l'avrebbe evitata, ma a quanto pare lui non aveva il dono di prevedere il futuro. Dopo ben dieci minuti buoni di silenzio l'albino sbuffò “Al magnifico me puoi dirlo, chi meglio del tuo perfetto e meraviglioso fratello potrebbe capirti?” socchiuse gli occhi color rubino indicandosi il petto orgoglioso. In fondo suo padre aveva fatto di tutto per allontanarlo da casa e lui ne aveva approfittato tanto da farsi comprare un appartamento e un ristorante.

Ludwig abbassò lo sguardo sentendosi a disagio, non parlava con suo fratello da dieci anni e si rifaceva vivo solo perché aveva disperatamente bisogno di aiuto. Si morse il labbro inferiore mostrando per la prima volta un cedimento nella sua aria austera “Ho lasciato l'università.”

Gilbert sospirò rilassandosi sulla sedia, accavallò le gambe e iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, tirare fuori le informazioni da suo fratello era difficile, voleva sapere perché l'avesse fatto e cosa pensasse di fare in quel momento.

Deciso a non lasciare che il silenzio s'impadronisse ancora di loro iniziò con una semplice domanda che poteva avere anche una risposta positiva “Centra una ragazza?” un ghigno divertito sul viso “No!” Ludwig lo disse con forza facendo sbattere la tazzina sul piattino in malo modo. “Non sono così!” continuò abbassando la voce ma corrugando ancor di più la fronte: davvero indignato, lui non scappava dai suoi problemi, non era un tipo di quel genere. Gilbert rise divertito “Scherzavo, scherzavo...” sventolò la mano davanti al viso, facendo uno strano verso con la lingua sui che sembrava un kesekesekese.

Calò di nuovo il silenzio, questa volta meno teso, “Ho bisogno di un posto dove stare...” la voce di Ludwig era tornata atona, i suoi occhi fissi sulla sciarpa del fratello -ma davvero va in giro con quella?- “Solo finché non trovo un appartamento. Solo qualche giorno.” volle precisare, alzando lo sguardo su quelle iridi rosse che aveva adorato tanto. Si sentì come quando da bambino era incapace di fare qualcosa e chiedeva aiuto a lui, pentendosi quando l'altro iniziava uno sproloquio su quanto fosse magnifico e di come fosse indispensabile.

Gilbert rimase a fissarlo a lungo, tanto che l'ansia che aveva avuto per tutta la durata del viaggio era tornata a riempirgli il petto, sperò che i sentimenti di suo fratello verso di lui non fossero cambiati e che lo perdonasse per quel suo mutismo.

Da parte sua l'albino stava valutando la situazione, Ludwig non gli aveva rivolto la parola per ben dieci anni evitando perfino di mandargli email -se non per ringraziarlo dei regali-, ma se era lì, davanti a lui, dopo tanto tempo un motivo più che valido ci doveva essere. Prese un sospiro, appoggiò il capo sulla mano sinistra puntando lo sguardo in quello azzurro del fratello.

Assomiglia a nonno Augustus…

Sorrise dolcemente come non faceva da anni, “C'è una regole a casa mia: Il magnifico me ha la precedenza su tutto.”

 




 

 

Angolo dell'autrice:

Gilbert può sembrare un cretino di prima categoria ma ama molto suo fratello! ^_^

Ed ecco il capitolo sei di Gennaio, me lo sono immaginata ambientato nel giorno della befana, anche se non ci ho fatto alcun accenno, ma insomma e un capitolo incentrato su due uomini con un certo orgoglio…

Comunque, spero di non avervi deluso con questa piccola parte. Se vi piace lasciate un commento che se no mi deprimo :p

Un abbraccio a tutti!

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Capitolo 11
*** Gennaio -Capitolo 8: Momenti d'imbarazzo- ***


Gennaio

 

 

 

 

8

Momenti d'imbarazzo

 

 

 

 

Eduard era appoggiato al muro della scuola con un libro aperto davanti al viso, come sempre ripassava quello che già sapeva a memoria.

Attorno a lui i compagni del liceo ridevano e scherzavano raccontandosi delle vacanze natalizie, cosa che lui stava cercando di dimenticare, ancora gli bruciava la faccenda del messaggio che gli aveva mandato Toris.

Amicizia lui dubitava di poter restare solo amico, perché nonostante il suo ok scritto con -estremo- sacrificio lui non poteva dimenticare quanto gli era piaciuto baciare Toris.

Sospirò girando pagina, gli occhiali scivolarono un poco sul naso dritto. Il fatto che avesse accettato era solo perché quei due erano gli unici amici che aveva, gli unici che si sedevano accanto a lui a pranzo o che restavano ore in biblioteca semplicemente per fargli compagnia.

Per quello aveva mandato quel maledettissimo ok perché non poteva tornare a non avere nessuno intorno come tre anni prima, sarebbe stato troppo perfino per lui che alla solitudine era abituato.

Spesso si domandava se al suo ultimo anno sarebbe riuscito a muoversi senza la presenza silenziosa di Toris e quella allegra e colorata di Feliks.

Ma quel ok ancora bruciava così come quel messaggio di amicizia che ancora teneva nei salvati del cellulare.

Alzò lo sguardo in tempo per vedere Toris avvicinarsi con aria cupa, il che era già insolito, ma capì che qualcosa non andava nel momento in cui realizzò che accanto a lui non c'era Feliks.

“Buongiorno.” lo salutò chiudendo il libro, si sistemò la tracolla nera sulla spalla e infine alzò -nel suo gesto abituale- gli occhiali. “Feliks sta male?” chiese mentre varcavano l'ingresso. Mancavano pochi minuti all'inizio delle lezioni, poi lui se ne sarebbe andato nella sua classe, invidiava spesso i suoi due amici che avendo la stessa età avevano avuto la fortuna sfacciata di finire nella stessa sezione.

Toris arrestò il passo e abbassò lo sguardo, aveva dormito poco quella notte e i suoi occhi erano rossi dal pianto, ma non voleva sfogarsi con Eduard: si sentiva così stupido.

“No, oggi mi sono svegliato tardi quindi...” iniziò torturandosi le mani, sentiva lo sguardo serio dell'amico sulla testa -si domandava perché fosse così alto, metteva ancor più soggezione-, “...Siamo venuti separati...”

Eduard non era stupido anche se a volte lo sembrava -forse per quell'aria di assoluta tranquillità anche nei momenti di crisi o perché l'aria da tonto era impressa sul suo viso- perciò non ci mise molto a collegare il fatto di quella serata allo stato di Toris in quel momento, non doveva nemmeno sforzarsi troppo per capire che in quei due amici tanto uniti qualcosa si era rotto.

Da una parte era felice: ciò significava che Toris avrebbe passato più tempo con lui e forse si sarebbe accorto che anche un secchione poteva essere interessante...forse poteva avere una possibilità ancor più elevata senza Feliks.

Dall'altra parte gli dispiaceva perché da che mondo e mondo non si era mai visto Toris senza Feliks e vice versa, erano così affiatati che sembrava impossibile vederli distanti e per molti era inconcepibile solo pensare che dormissero separati. Ed era sicuro che nessuno dei due sarebbe stato lo stesso…

“Va bene. Io vado in classe, mancano solo un paio di minuti...” Eduard non era stupido e nemmeno insensibile e decise di togliere dall'imbarazzo l'amico. “Ci vediamo a pausa!” lo salutò avviandosi con passo spedito lungo il corridoio.

 

 

Il banco di Feliks -accanto al suo- non era stato occupato, non c'era nessun astuccio color rosa e nessun quaderno con disegnati mille cuoricini.

Non c'era nemmeno il profumo delle varie caramelle che si portava sempre dietro e che si confondeva con quello dolce che si metteva addosso.

Nessun “Tipo” pronunciato in continuazione e nessun abbraccio improvviso durante i cambi delle ore.

Niente di niente.

Feliks non si era presentato ne nelle prime tre ore ne quelle a seguire.

Eduard aveva azzardato a pensarlo ammalato. Ma Feliks non si ammalava praticamente mai, in cinque anni che lo frequentava lo aveva visto con un misero raffreddore solo una volta.

Il motivo di quell'assenza poteva essere solo la loro conversazione -se si poteva chiamare così- della sera precedente e lui si sentiva tremendamente in colpa, talmente tanto che gli aveva inviato un messaggio.

E non aveva ricevuto risposta.

Non sapeva nemmeno se lo avesse letto o se lo avesse cancellato appena letto il mittente, sempre se aveva tenuto il suo numero.

Stupido, idiota, stupido!

Si era detto in continuazione mentre le ore passavano in preda a un'ansia che non sapeva di poter provare. Guardava l'orologio sulla parete sperando di poter muovere le lancette più velocemente così da andare a constatare lo stato di Feliks.

Ma tutto sembrava andare più lento del previsto.

 

°°°°°°°°°°

 

La risata di Feliciano era limpida e genuina, non era costruita e faceva capire subito che quel ragazzo era puro d'animo.

Feliks rimase deliziato ad ascoltare quella risata, inclinò leggermente il capo facendo scivolare di poco il capello di lana rosa. Nelle mani teneva la tazza di cioccolato caldo bianco.

“E io che ti avevo scambiato per una ragazza!” Feliks sorrise delicatamente mettendo una mano a coprirgli le labbra lucide, Feliciano non era il primo che ci provava con lui pensando appunto che fosse una donna ma era il primo che lo invitava a bere qualcosa anche se aveva scoperto che lui era un ragazzo.

Era stato carino fin da subito e lui ne era rimasto abbagliato, oltre ad aver un carattere socievole aveva anche un bel viso, un corpo longilineo e sembrava essere un bravo ragazzo.

Gli era venuto naturale accettare l'invito e si era sfogato con lui dicendogli ogni minima cosa era capitata al primo dell'anno e il giorno prima.

Tutto. Gli aveva raccontato tutto, perfino il fatto che il suo cuore aveva iniziato a battergli all'impazzata quando Toris lo aveva baciato la prima volta o quando era entrato in lui si era sentito inspiegabilmente sereno e completo.

Feliciano lo aveva ascoltato in silenzio mentre disegnava qualcosa sul tovagliolino di carta del locale -lo stesso dove Eduard lavorava durante le vacanze e nei fine settimana-, poi come niente fosse era scoppiato a ridere.

“Ma anche se tu lo fossi non saresti libera...” stava continuando a ridacchiare senza nessuna malizia, con gli occhi appena socchiusi che trasmettevano calore. Feliks lo ascoltava con attenzione, non capendo perché provava tale fiducia in uno sconosciuto.

Feliciano smise di ritrarre quel giovane tanto bello quanto triste, la sua storia era simile a molte altre e poco interessante, ma forse per il fatto stesso che fosse banale quel ragazzo la trasformava in qualcosa di affascinante.

“È ovvio che sei innamorato di questo Torren...Tori...Tony...” si incupì pensieroso cercando di ricordarsi il nome esatto “Toris?” venne in suo soccorso Feliks che incredulo lo guardava come se vedesse un asino volante. “Io non posso amare Toris!” continuò categorico, corrugando quelle sopracciglia perfette e formando dei piccoli solchi sull'attaccatura del naso.

Il castano sorrise prendendo un altro tovagliolino e tornando a ritrarre quella singolare espressione di sbigottimento, “Perché mai?” l'altro appoggiò la tazzina con estrema cura, “Beh, siamo amici!” rispose sicuro.

E forse fu proprio quell'aria battagliera che si poteva vedere nello sguardo o il fatto che avesse detto una frase così sciocca a far ridere Feliciano per la terza volta.

“Ma se l'hai detto tu che l'ami!” esclamò allegro, portandosi la penna dietro l'orecchio, “Parlandomi delle sensazioni che hai provato mentre vi baciavate o mentre facevate l'amore...”

Feliks tossì imbarazzato, non aveva mai pensato a ciò che aveva provato: troppo preso a chiedere scusa a Toris e tanto meno si era posto tale problema, per lui era stato così naturale andare a letto con il suo migliore amico…

Scosse la testa energetico “No, non lo sono.” Feliciano sorrise enigmatico prima di tornare al suo disegno “Mi sarò sbagliato io!”

 

°°°°°°°°°°

 

“Mamma, non sto dicendo che la sua presenza mi da fastidio!” esclamò irritato Gilbert al cellulare in quella che stava diventando la chiamata più difficile di tutta la sa vita.

Lui con sua madre ci andava d'accordo e la chiamava almeno due o tre volte alla settimana, quel giorno però lei non sembrava voler capire il motivo della sua chiamata.

“No, davvero, è qui solo da tre giorni come può aver combinato qualcosa?” esclamò facendo cadere la ciotola dei biscotti sul divano, guardò irritato le briciole sul tessuto di velluto bianco, “Mamma, potevi comunque chiamarmi e avvisarmi di questa...” mosse le mani come se la donna potesse vederlo “...cosa! Insomma, che è successo di così grave da far lasciare Ludwig sulla strada!”

Annika dall'altro capo del telefono non sapeva cosa rispondere, non tanto perché non volesse mettere al corrente Gilbert, ma nemmeno lei aveva la più pallida idea di cosa fosse successo.

Semplicemente un giorno -di mattina- Ludwig aveva dato la notizia che non volesse più continuare a studiare Scienze Politiche e poi era scoppiato il caos, suo marito che urlava e suo figlio che rispondeva come mai era successo.

Ludwig aveva perfino alzato un braccio probabilmente voleva colpirlo, ma si era fermato. Con i muscoli che aveva poteva stenderlo suo padre, ma non lo aveva fatto, Klaus invece lo aveva colpito al petto con un pugno -che non lo aveva scalfito minimamente- e lo aveva buttato fuori di casa.

E ci stava mettendo tutta se stessa per farlo capire al figlio maggiore che però sembrava non contento della spiegazione.

“Mamma, voglio solo sapere, perché non mi hai avvisato quando è capitato tutto!” Gilbert amava alla follia sua madre, ma perché non avvertirlo dell'arrivo del fratello?

Ed ecco che dall'altra parte la donna aveva iniziato a raccontargli la seconda parte della storia, Ludwig era semplicemente andato da loro nonno per un periodo di tre mesi, dove aveva lavorato la terra e imparato a mungere…

Insomma nonno Augustus lo aveva messo sotto!

Poi era arrivata una lettera di lavoro dall'Italia inaspettata, lui non aveva fatto domande per l'estero, ma era un buon lavoro e per giunta lontano dal padre che continuava a tartassarlo. Sua madre gli confidò che era stato il nonno a convincerlo ad andarsene, che magari Klaus si sarebbe calmato e lo avrebbe riaccolto in casa. E sempre lui gli aveva dato il suo numero per avere un appoggio -il fatto che il lavoro fosse a Venezia era tutta una causalità- ma Gilbert stava iniziando a sospettare che fosse tutta opera del nonno.

Ecco spiegato il motivo del perché era lì, si chiese quando avrebbe iniziato a lavorare e soprattutto dove, ma se Ludwig non glielo aveva detto non sarebbe stato lui a iniziare l'argomento.

Ma ancora non capiva il motivo del perché avesse deciso di lasciare l'università.

Annika sospirò stanca, era la prima volta che Gilbert faceva così tante domande riguardanti a suo fratello, di solito si limitava a “Come sta Lud? E a scuola?” ogni tanto se ne usciva con “Ma non ha la ragazza?” o “Non lasciarlo studiare troppo, dovrebbe uscire come ogni ragazzo della sua età!”

Non che a lui non interessasse, mandava a Ludwig regali che nel corso degli anni erano sempre stati utili per lo studio e lei sapeva che erano stati scelti con molta cura.

“Centra forse una ragazza? Perché Lud non mi da una risposta. Ha magari messo incinta la figlia di un professore?” questa volta Annika sibilò un no che poteva far gelare il sangue a chiunque -quando si arrabbiava assomigliava molto a suo padre-.

Dopo qualche attimo di silenzio lei tornò a parlare di quanto ci aveva provato a capire Ludwig, andando a trovarlo ogni qualvolta le era possibile, infine era stato proprio suo padre a farla demordere “Te ne parlerà quando avrà fatto chiarezza nella sua mente. In questo momento nemmeno lui sa darti una risposta.”

Quello era tutto.

Lei non sapeva altro.

 

“Va bene mamma, non ti preoccupare, guardo io a Ludwig! No, non lo farò uscire spesso e si gli dirò di coprirsi...” alzò gli occhi al cielo certe volte le madri sapevano essere esasperanti. Alla quarta raccomandazione Gilbert perse la pazienza “Mamma, ha ventidue anni! Saprà che non deve dare confidenza agli sconosciuti!”

Dopo quaranta minuti di chiamata Gilbert era riuscito a chiudere la conversazione. Era stanco quanto lo era dopo una corsa campestre alle medie.

Antonio entrò in quel momento con una busta della spesa, era da solo. “Dov'è Ludwig?” chiese mentre lo spagnolo si toglieva giacca e sciarpa “Sta aiutando una signora anziana a portare la sua di spesa!” rise “Non mi avevi mai detto di avere un fratello così bravo.”

Gilbert gli lanciò una ciabatta in testa “Lui non si tocca, maniaco!” esclamò con fin troppa convinzione.

 

 

Ludwig chiuse piano la porta cercando di dare meno disturbo possibile, anche se tutti svegli magari stavano studiando o leggendo.

Fece qualche passo in salotto corrugando la fronte alla vista delle briciole sul divano e sul tappeto, possibile che a nessuno interessasse la pulizia in quella casa?

Alzò un sopracciglio quando sentì un gemito provenire dalla stanza accanto. Gli era sembrato un “Oh si!” ma era impossibile, in quel momento nell'appartamento c'erano solo lui, Gilbert e Antonio. Si azzardò a fare qualche passo, dalla cucina si sentiva il rumore di padelle che sbattevano con forza e mugolii maschili che sembravano tutto tranne che di dolore.

Il biondo arrossì fino alla punta delle orecchie, quei suoni li aveva sentiti solo in quei video porno che si era guardato nella sua adolescenza -e che poi si era vergognato di aver visto-.

Possibile che suo fratello e Antonio stessero facendo sesso?

Non gli era sembrato che tra quei due ci fosse qualcosa di tenero, Gilbert gli aveva presentato lo spagnolo come un amico che si era trasferito lì per “...Staccarsi dalla vita universitaria” o meglio si era preso un anno sabbatico. Ma a sentire quei ansimi così poco casti sembrava proprio che tra loro due ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia.

Ritornò indietro sui passi cercando di calmarsi, magari aveva immaginato tutto, Gilbert stava solo cercando una pentola -ed ecco spiegati i rumori- ed aveva sbattuto la testa imbranato com'era -svelato il mistero dei gemiti-.

Un esclamazione in spagnolo pronunciato in un modo talmente erotico -che avrebbe fatto un baffo agli attori porno- lo fece arrossire come un pomodoro maturo, agitandolo ancor di più.

Doveva uscire! Con passi veloci uscì da casa chiudendo silenziosamente l'uscio. Non voleva essere beccato proprio in quel momento, che figura ci avrebbe fatto?

E soprattutto avrebbe dovuto guardare in faccia suo fratello… Oddio! Non era sicuro di riuscire a guardarli senza immaginarli a fare certe cose!

Si appoggiò alla porta con le spalle respirando come se avesse fatto sollevamento pesi.

 

Da domani vado alla ricerca di qualche appartamento.

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

 

Altro capitolo corto e forse potevo unirlo a quello prima, ma volevo far iniziare la scuola.

In caso non si fosse capito Feliks e Toris frequentano la quinta (e quest'anno fanno gli esami…) mentre Eduard è in quarta.

Ho letto che Polonia e Italia sono amici (ciò non mi stupisce visto i personaggi -_- ) perciò ho pensato d'inserire quest'amicizia anche qui e di farla iniziare proprio nel momento di rottura tra Feliks e Toris.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

 

NOTA BENE: Se entro i prossimi due capitoli non leggo almeno due recensioni per capilo, chiudo poiché non ho la certezza la fanfic piaccia.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Gennaio -Capitolo 9: Questioni familiari- ***


Gennaio

 

 

 

9

Questioni familiari

 

 

 

Era snervante cercare un appartamento con suo fratello alle calcagna. Gilbert aveva sempre da ridire sul prezzo, sulla grandezza del salotto, sulla finestra troppo piccola o su quanto cigolasse la porta d'entrata.

Ludwig non si ricordava suo fratello così pignolo e la sua testa stava iniziando a dolergli.

“Cosa sarebbe questa cosa?” il dito pallido di Gilbert indicò il bagno, “La toilette...” la donna sorrise stanca, quasi quanto il suo cliente di quelle lamentele.

Nel giro di cinque giorni, lei li aveva portati in lungo e in largo per Venezia, facendo visionare ben sedici appartamenti, ma quel ragazzo -bello da farle mozzare il fiato- le aveva smontato pezzo dopo pezzo la pazienza.

Il sopracciglio dell'albino si inarcò lievemente “Davvero?” la lingua guizzò sulle labbra screpolate “Lei questo lo chiama bagno?” il sorriso di lei s'incrinò lievemente, “Se uno deve fare i suoi bisogni dove le mette le gambe?”

Ludwig sospirò emettendo un gemito di frustrazione, si portò due dita sulla tempia cercando di frenare la rabbia, ma suo fratello non si vergognava?

“Non ci starebbe nemmeno un nano da giardino!” la donna si spostò incerta la ciocca di capelli neri dietro l'orecchio “Quello dell'altro appartamento vi sembrava troppo grande e io...” l'altro la liquidò con un movimento della mano “Comunque direi che anche questo non va bene. Il bagno è un buco e Lud non entrerebbe nella cucina nemmeno se sgonfiasse i muscoli!”

“Gilbert, non dire sciocchezze...” il biondo scosse la testa disperato. Ma perché suo fratello si era intestardito ad aiutarlo?

L'albino ridacchiò portandosi una mano sui capelli “Beh, anche questo è scartato!” si avviò verso la porta “Ed è ora di cena!”

 

 

Ludwig si sedette al tavolo nervoso. Non solo suo fratello gli stava mandando in malora tutti i suoi tentativi per andarsene da lì, ma ancora doveva convivere con la consapevolezza che quei due avessero una relazione.

Antonio era un bravo ragazzo, rideva sempre e metteva a proprio agio le persone -per non parlare della sua cucina- non aveva nulla contro di lui, ma non gli andava di fare il terzo incomodo.

Senza contare che suo fratello ancora non gli aveva accennato al suo stato di convivenza, probabilmente si vergognava o aveva paura che lui non capisse. Va bene, lui non sapeva esattamente cosa vuol dire amare e non aveva mai avuto una relazione -cosa che poteva far vergognare un qualsiasi ragazzo della sua età- ma ciò non voleva dire che era un troglodita.

Gilbert posò sul tavolo il vino che si era fermato a comprare poco prima di andare a visionare il quindicesimo appartamento “Dovevi vedere che catapecchie ci ha proposto oggi!” esclamò allo spagnolo che stava portando in tavolo una teglia piena di pesce, “Degne di un film dell'orrore!”

Ludwig sospirò stringendo la forchetta “Si può sapere perché continui a lamentarti?” chiese guardando l'ispanico sedersi accanto al fratello “Ci devo andare ad abitare io, non tu!”

Antonio sorrise, come ogni qualvolta che loro iniziavano una discussione più o meno pacifica, “Gilbert si sta solo preoccupando per te...” iniziò versandosi da bere “...Non vuole che ti ritrovi in una situazione scomoda.”

Il biondo alzò un sopracciglio cercando di mantenere la sua aria più diplomatica, di sicuro in quel momento si sentiva a disagio -insomma si stava intromettendo tra loro due-.

“Io mi domando perché non vuoi restare qui con me?” chiese il maggiore portandosi ben due pesci saporiti nel piatto “Insomma, non dovresti pagare l'affitto e poi il tuo lavoro durerà solo fino al prossimo anno! Senza contare che potrai beneficiare della presenza del Magnifico Me!”

Antonio rise “Credo che per voi sarebbe un bel modo per conoscervi meglio!” sorseggiò il vino “Se è per la mia presenza, non ti devi preoccupare alla fine di quest'estate torno in Spagna!”

Ludwig osservò la reazione divertita di Gilbert, non sembrava rattristito -non come un fidanzato dovrebbe essere- “Già e mi lasci qui da solo!” ridacchiò l'albino.

 

°°°°°°°°°°

 

Francis ne aveva piene le scatole di quel presunto fratello di Matthew. Ogni volta che lui era lì puntualmente chiamava facendo sparire il giovane per parecchi minuti.

Quella sera era già la seconda volta.

Matthew si era ritirato in camera ancor prima di rispondere e lui sinceramente non trovava un motivo per cui dovesse nascondere la conversazione.

E che ne sai se lui è a casa davvero da solo?”

Ancora la voce di Antonio gli fece eco nella testa facendolo mandare in paranoia.

Possibile che Matthew avesse trovato qualcun altro? Esisteva un uomo migliore di lui? Più bello e interessante?

Lui lo trovava impossibile, insomma chi poteva eguagliare la sua meravigliosa persona?

Eppure Matthew riceveva chiamate da un fratello anonimo -perché non lo aveva mai chiamato per nome- che per quanto ne sapeva lui poteva essere un ragazzo di colore.

Francis sospirò spostando l'attenzione dalla porta di legno scuro della camera sullo scaffale che occupava l'intera parete dietro il divano, su qualche ripiano c'erano delle foto, ma rappresentavano solamente Matthew da piccolo da solo o con sua madre, mai in compagnia di quel fratello.

Le aveva studiate perfettamente durante tutto il tempo della chiamata precedente, ma non aveva trovato nulla che facesse crede all'esistenza di un terzo. A pensarci bene, Matthew parlava spesso di sua madre -anche se lui non ascoltava i discorsi- e magari di sua nonna. Nei suoi racconti non c'era ne un padre ne un fratello.

Sbuffò portandosi una mano tra i folti capelli biondi, non che lui fosse geloso -di quel ragazzino poi!- ma non gli piaceva essere preso per il culo!

Insomma se lui non era più gradito glielo deve dire!

 

 

Matthew tornò in cucina con il cellulare in mano e il morale a terra, suo fratello non gli aveva dato buone notizie “Papà non vuole ricevermi. Il suo segretario continua a propinarmi la scusa delle riunioni...”.

Ah, non era facile poter parlare con loro padre perfino per loro che erano i figli, ma conosceva suo fratello e sapeva che non si sarebbe fermato davanti a nulla.

Fai presto...Non voglio continuare a subire questa situazione...” gli aveva mormorato prima di chiudere la conversazione.

Francis lo guardò dubbioso mentre si versava il quinto bicchiere di vino, “Tuo fratello non sta bene?” chiese sorseggiando “Sta benissimo...” lo vide sorridere stanco “Ci sono solo dei problemi familiari...”

Il canadese si sedette accanto all'ospite, si prese un bicchiere di vino bevendolo tutto in un fiato. Quella situazione non gli piaceva per niente, senza contare che quel avvocato gli si era presentato di nuovo davanti quella stessa mattina per convincerlo a firmare quelle dannate carte.

Oh, aveva una gran voglia di farci un falò!

“Se hai bisogno di tornare in Canada, io ti capisco e non farò capricci...” aveva iniziato Francis assottigliando lo sguardo cercando di capire nei pochi gesti dell'altro se gli stesse mentendo.

Matthew strinse con forza il bicchiere rompendolo, il francese sobbalzò guardando le schegge conficcarsi nella mano del giovane. Non lo aveva mi visto comportarsi in quella maniera -frantumare un bicchiere roba da pazzi!- e tanto meno aveva visto quello sguardo così confuso sul suo viso.

Matthew abbassò il capo ignorando completamente le fitte di dolore “Francis...” lo chiamò con un sussurro, lo sentì deglutire rumorosamente, “Tu mi odi così tanto?”

 

°°°°°°°°°°

 

Gilbert non si aspettava nessuno e tanto meno Francis. Gli aveva detto che sarebbe stato con il suo cane per quella sera, “Ho bisogno di scopare Arthur!” aveva urlato uscendo dal suo appartamento dopo una sessione di ginnastica mattutina -e lui aveva ringraziato che Ludwig era a lavorare-.

Francis però in quel momento era davanti a casa sua e non dal quel cane -di cui non ricordava nemmeno il nome- e sembrava turbato.

“Non dirmi che quello sfigato ti ha dato buca...” lo fece entrare voltandogli le spalle. Non aveva mai conosciuto quel tizio e non gli interessava, Francis gli aveva raccontato che era il classico ragazzino privo di personalità e che potevi raggirare come volevi.

Il francese entrò nel salotto dove la luce era soffusa, la televisione accesa su un fermo immagine di una tizia con la faccia contorta dal terrore.

Antonio sedeva in un angolo del divano, le gambe strette al petto e i piedi nudi, la testa inclinata sullo schienale.

Sospirò confortato che Ludwig non fosse nei paraggi e si sedette accanto allo spagnolo.

Gilbert si mise comodo dall'altra parte, lanciando chissà dove le ciabatte e prendendo tra le mani una manciata di salatini aspettando una spiegazione da parte dell'amico.

Francis li guardò entrambi confuso sul perché fosse andato proprio lì, da loro che non avrebbero capito il suo stato d'animo.

...mi odi così tanto?” la voce di Matthew ancora riecheggiava nella sua mente come un'accusa. Lui non lo odiava, la risposta era così semplice, eppure non era riuscito a dirglielo.

Si era spaventato nel vedere quella consapevolezza in quei occhi, nel vedere quella mano sanguinante che ancora rimaneva inerme a mezz'aria.

Quello non era Matthew.

“Allora?” Antonio si era avvicinato guardandolo con quei meravigliosi occhi verdi, era preoccupato non era da lui restare tanto in silenzio.

Francis stiracchiò un sorriso falso “Mi ha chiesto se lo odio.” le reazioni dei due fu un coro di “Eh?” che si unì a due domande urlate a pochi centimetri dalle sue orecchie: “Mentre lo stavi scopando?” “Che cosa?”.

Gilbert si prese un'altra manciata di salatini infilandoseli in bocca, “Durante il sesso non si dovrebbero esserci solo sospiri e gemiti?” chiese tra una masticata all'altra “E ovvio che non lo stessimo facendo, razza di cretino!” il biondo gli lanciò un cuscino in faccia.

Antonio rise divertito, strisciò i piedi sul divano fino a sfiorare la coscia dell'amico, “E tu? Cosa hai risposto?” e vedendo lo sguardo rattristirsi si pentì di quella domanda. “Non gli ho detto niente, sono rimasto in silenzio...”

Francis sospirò portandosi una mano tra i capelli, era rimasto fermo per un tempo indefinito mentre osservava l'altro raccogliere le schegge del bicchiere e poi andare in bagno a pulirsi la mano.

“E...” continuò l'ispanico cercando di convincerlo a dare una spiegazione “Niente, me ne sono andato...” Gilbert sputacchiò “Sei scappato come una ragazzina?!” un altro cuscino e una ciabatta lo colpirono in viso “CRETINO!”

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

 

Scusate il ritardo!

Capitolo super corto ma non sapete che faticaccia scriverlo. Non starò qui a spiegarvi quanto sia oscuro questo periodo per me perciò vi prego di avere clemenza.

 

Devo ringraziare i commenti ricevuti nel capitolo passato che mi hanno invogliata a scrivere questo (diciamo che un capitolo di spiegazione) e quello che posterò -spero- la prossima settimana.

 

Ora spero che continuerete a seguirmi anche se ci metterò un pochino a postare.

 

Un abbraccio!

Elisir

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Capitolo 13
*** Gennaio -Capitolo 10: Torta a tre piani- ***


Gennaio


 

 

 

 

10

Torta a tre piani

 

 

 

Antonio era rimasto a bocca aperta alla vista della torta che Ludwig aveva preparato, i tre piani di Sacher erano decorati a meraviglia con la glassa rossa e bianca.

Non c'erano scritte di augurio, era come una di quelle torte che si trovava sulle riviste o che finivano sulle tavole di aristocratici.

L'ispanico era -stra- convinto che fosse buonissima.

Francis accanto a lui la guardava con un misto di venerazione -lui adorava tutto ciò che era esteticamente bello- e odio -perché quella torta lo avrebbe fatto ingrassare!-.

Si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, “Non sapevo che avevi questa dote...” e mosse una mano con fare altezzoso verso il tavolo imbandito.

Ludwig annuì rimanendo con il viso serio e le mani intrecciate dietro la schiena, non era di certo una persona che andasse in giro a vantarsi della sua dote di fare dolci e anzi non ne preparava quasi mai.

L'ultima volta che aveva acceso un forno per cuocere una torta era stata più di due mesi prima, quando era dal nonno, quel giorno suo padre si era presentato alla fattoria intimandogli di tornare indietro, che l'anno non era perduto e che lui poteva fargli fare gli esami privatamente e altre cose del genere. Così quando il nonno lo aveva allontanato dalla sua proprietà, lui si era messo a fare una torta di carote e yogurt.

Buonissima...” eppure mentre la preparava era solo arrabbiato.

Antonio sorrise “Davvero stupenda!” aveva esclamato con quel suo accento spagnolo. Ludwig non fece una piega nemmeno a quel complimento, quando aveva iniziato a decorarla si era posto l'obbiettivo che dovesse essere perfetta.

Nulla di più.

Lui raggiungeva sempre la meta qualsiasi fosse e in quel caso era fare una torta degna di suo fratello. Voleva ringraziarlo per tutto l'aiuto che gli stava dando e scusarsi per quel lungo silenzio che lui aveva creato.

 

 

La torta di suo fratello non era come la sua. Era stata fatta in casa e non sembrava per niente buona.

Ludwig aveva seguito sua madre per tutto il tempo in silenzio, lei era così felice del risultato che la sua risata contagiò anche lui.

Mamma posso mettere le candeline?” la donna annuì mettendolo seduto sullo sgabello e porgendogli una a una le candele.

Erano tante, lui le contò ad alta voce, “Uno...Due...” cercava di posizionarle al centro e di fare un bel cerchio rotondo “...Sei...Sette...” voleva che qualcosa in quella torta fosse bello.

A suo fratello piacevano i cerchi? Se lo chiese dubbioso, sapeva che gli piacevano le aquile, ma si potevano disegnare con le candeline?

...Dieci!” urlò battendo le manine e facendo ciondolare i piedini.

 

Ludwig lasciò scivolare le mani lungo i fianchi. Quella fu la prima volta che comprese il divario fra lui e Gilbert. Era un ricordo come tanti altri, ogni anno si era ripetuta la stessa storia e sempre lui e suo fratello finivano per mangiare due fette di quelle -terribili- torte.

Quando finalmente poté prepararlo lui il dolce di compleanno Gilbert aveva già iniziato ad uscire con gli amici e successivamente se ne era andato in Francia.

“Come mai lo tieni nascosto questo talento?” la voce di Francis gli arrivò ovattata all'orecchio, lui lo guardò per lunghi attimi in silenzio mettendolo a disagio.

Non gli piaceva molto quel ragazzo, era altezzoso e narcisista, per non parlare del sua innata capacità di trovare un doppio senso in qualsiasi cosa.

Una paio di mattine prima lo aveva visto uscire dalla camera degli ospiti completamente nudo, Inutile dire che si era vergognato come una scolaretta a quella visione, per carità era un bel uomo, ma lui non era abituato a vedere qualcuno oltre se stesso senza vestiti.

Schioccò la lingua sul palato scacciando quel ricordo.

“È per Gilbert.”

 

°°°°°°°°°°

 

Gilbert entrò in casa dopo un'ora passata al supermercato a cercare una spezia. Sapeva che era solo una scusa da parte dei suoi amici per allontanarlo dall'appartamento, per poter organizzare la sua festa di compleanno.

L'anno precedente era stato un party sensazionale, con ragazzi conosciuti e non, birra a volontà, musica...parecchio sesso…

Non ricordava nemmeno quanti uomini si era fatto!

Sorrise al ricordo di quella notte e sicuro di trovare una situazione simile a quella aprì la porta. La musica lo frastornò per un secondo, si tolse il capotto e si diresse in salotto.

La festa era già incominciata e vedeva già molti sederi dimenarsi al ritmo della canzone sparata a tutto volume. Alzò gli occhi sul tavolo e tra i vari stuzzichini regnava un'enorme torta. Tre piani giganti di Sacher! Gli si illuminarono gli occhi, il suo dolce preferito in formato XL!

Era la prima volta che si ritrovava una torta a tre piani, l'aveva sognata da quando aveva visto quella per i sei anni di suo fratello.

Non aveva mai parlato di quel desiderio lo trovava un po infantile -come quello di andare un giorno a pesca con suo padre- e forse si era detto era solo invidia per quel fratellino che poteva avere tutto.

Volse lo sguardo verso la finestra, Ludwig guardava fuori con la sua solita aria da io sono un duro che allontanava chiunque volesse parlargli, dava le spalle agli invitati segno che tutta quella confusione non gli piaceva affatto.

Gilbert decise di muovere il primo passo quando si sentì avvolgere le spalle da un braccio tonico, Antonio gli sorrise allegro.

“Oh, un attimo di attenzione!” la voce dell'ispanico si alzò facendo voltare alcuni dei loro amici, “È arrivato il festeggiato!” tutti urlarono qualcosa tipo “Yea!” e alzarono i bicchieri, Antonio rise stringendo con più forza le spalle con un braccio “Che la fiesta cominci!!!” esclamò schioccandogli un bacio sulla guancia.

Ludwig distolse lo sguardo imbarazzato, ancora non aveva capito cosa ci fosse tra loro due o meglio loro tre -visto che Francis in quel momento aveva posato le sue labbra molto vicine a quelle di suo fratello- ma di una cosa era certo: Gilbert era gay.

E per una strana ragione si sentiva immensamente sollevato, come se gli avesse tolto un peso dallo stomaco, quell'orribile senso di colpa che non lo aveva mai lasciato si stava man mano dileguando.

“L'ha fatta tuo fratello!” la voce del biondo gli solleticò l'orecchio, mentre con la mano gli accarezzava il petto. Lui osservò ancora quei tre piani di dolcezza, stranamente si sentì euforico.

 

 

Gilbert stava in sala, seduto su una costosa sedia, strisciava i piedi sul pavimento. Sua madre aveva decorato la stanza con qualche palloncino e aveva messo sul tavolino da caffè una torta fatta in casa.

Non era per niente come quella del compleanno di Ludwig, era piccola, senza decori e le candeline erano azzurre: suo fratello aveva ricevuto una torta a piani, con immagini dei suoi cartoni preferite e la candela era una sola a forma di 6.

Nulla in quella stanza era paragonabile alla festa fastosa che suo padre aveva organizzato in ottobre. Aveva invitato tutta la classe di Ludwig e ingaggiato un prestigiatore per intrattenere gli ospiti.

Per Gilbert, Klaus non aveva organizzato niente, gli aveva anche vietato di invitare qualcuno, “Non hai bisogno di queste cose!” e lui semplicemente aveva annuito.

Per qualche giorno aveva pensato che lo avesse detto solo per fargli una sorpresa come aveva fatto per Ludwig.

Ci aveva sperato fino a che non era arrivato pomeriggio e si era accorto che la sala non era decorata e che ci stavano solo qualche palloncino sparpagliato qui e là.

Dieci anni, nessuna festa.

Sua madre aveva fatto di tutto per non farlo sentire inferiore a suo fratello, si era messa d'impegno lei stessa a preparare la torta preferita e aveva gonfiato i palloncini fino a diventare rossa in viso. Ludwig non era uscito con papà ed era rimasto lì per festeggiare con lui.

Perfino i due domestici avevano abbandonato il loro lavoro per partecipare. “Diciamo che è una festa privata!” aveva iniziato sua madre “Come quelle dei divi di Hollywood!”

Gilbert inclinò la testa di lato guardando quella torta che sembrava più un ammasso di crema insicuro che fosse mangiabile. Gli attori erano persone bellissime e importanti, si era detto nell'ingenuità della sua età mentre faceva strisciare ancora i piedi a terra.

Aveva alzato gli occhi rossi in quelli azzurri della madre che lo guardava con estrema dolcezza, “Si!” disse sorridendo.

 

Gilbert mangiò la sua terza fetta di torta sotto lo sguardo divertito dei suoi amici, “Continua così è metterai su pancia!” scherzava Antonio anche lui alle prese con il dolce. “Mangiate ancora un'altra fetta e farete scoppiare i bottoni dei pantaloni!” rimbeccava Francis che con suo disappunto evitò di mangiare ancora -la linea prima di tutto!-

Con gli occhi rossi cercava suo fratello tra la folla, aveva visto Ludwig allontanarsi dalla finestra con il suo passo marziale dirigersi verso di lui.

Si era distratto alla battuta dei suoi amici per il regalo che loro avevano preparato in camera da letto e quando la sua attenzione era tornata dove prima c'era suo fratello lui era sparito.

“Senti, Gil...” la voce di uno degli invitati, un loro amico da quando erano in Italia, “...Penso che Luca abbia traumatizzato quel gran pezzo di tuo fratello.”

In silenzio i tre guardarono allibiti l'amico “Perché, che ha fatto?” l'altro rise grattandosi una guancia “Nulla di ché, gli ha proposto un pomino e gli ha toccato il pacco!”

A Gilbert andò di traverso la torta, ecco perché Ludwig era scomparso! “Credo che si sia chiuso in camera...” tossicchiò.

 

Quando se ne andarono tutti Gilbert era stanco e decisamente molto ubriaco. Si lasciò trascinare lungo il corridoio da un Francis voglioso che continuava baciarlo, mentre Antonio gli sbottonava la camicia e i pantaloni.

Non gli importava se suo fratello lo vedesse in fondo lui era Il Magnifico…

Entrarono nella stanza, spogliandosi a vicenda, con l'urgenza di sfamare il loro appetito sessuale.

Gilbert si era tolto i pantaloni quando notò qualcosa dietro alla tenda, si avvicinò “È questo il vostro regalo?”

Francis con le mani sui fianchi dello spagnolo “No, tesoro...” si allunga verso il letto e prende in mano un tanga maschile di pelle rosso e un frustino “Questo è nostro regalo...”

L'albino alzò un sopracciglio scostando la tenda trovandosi davanti un telescopio con sopra una busta.

Trattenne il respiro, non un telescopio qualsiasi, ma quello che gli aveva regalato sua madre per i suoi quindici anni. “Così potrai vedere le stelle tutte le volte che vorrai!”

Suo padre glielo aveva rotto al culmine di una litigata, ancora si ricordava le lacrime che aveva versato sopra quei numerosi cocci.

Lo accarezzò timoroso -con la paura che potesse rompersi di nuovo- sentendo sotto i polpastrelli le imperfezioni della colla.

Prese la lettera, dentro poche parole:

 

Scusa se ti ho fatto attendere.

Ludwig

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

 

Scusatemi, dovevo postarlo la settimana scorsa, ma ho avuto un bel po da fare!

Allora spero che vi sia piaciuto questo capitolo e che attenderete il prossimo, non so quanto ci metterò ad aggiornare, sto passando un momento un pochino brutto, perciò abbiate pazienza!

 

Grazie

Elisir

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Capitolo 14
*** Gennaio -Capitolo 11: Attimi- ***




Gennaio

 

 

 


 

11

Attimi


 


 

Toris camminava affianco a Feliks per raggiungere la scuola, lo guardava di sottecchi come a volersi assicurare che tutto andasse bene, che la sua presenza non gli desse fastidio.

Si erano parlati poco in quei giorni, come due persone sconosciute e Toris non era riuscito a dirgli ciò che veramente pensava.

Con un sospiro spostò infastidito una ciocca di capelli dietro l'orecchio, le mani ghiacciate cercarono l'elastico che tratteneva i capelli per rifarsi la coda e mentre faceva quell'operazione sentì una delicata carezza sulla nuca.

Lanciò uno sguardo alla sua sinistra, trovandosi il viso sorridente dell'amico “Faccio io...” sussultò nel sentire le dita scivolare lungo i capelli cercando di unirli tutti in una sola mano. Arrossì senza nessun motivo, non era la prima volta che Feliks gli faceva la coda e anzi tutte le sue carezze che gli lasciava sulla testa gli lasciavano sempre una bella sensazione, ma in quel momento sembrava qualcosa d'intimo.

“Ho sempre adorato i tuoi capelli...” continuò il biondo avvicinando il viso per poter sentirne il profumo, quanto gli erano mancanti quei momenti in quei giorni.

Quando si era ritrovato Toris davanti a casa l'unico giorno in cui aveva deciso di marinare il cuore gli era scoppiato nel petto e aveva accettato le sue scuse senza remore, a lui interessava solo riaverlo accanto!

Certo c'era ancora quella questione del sesso, ma se per rimanere amici quel ricordo così bello doveva essere dimenticato lo avrebbe fatto.

Toris alzò lo sguardo sulla via, la signora del pane -dove loro prendevano solitamente una brioche per la ricreazione- li osservava con uno sguardo indecifrabile. Si domandò cosa potesse pensare nel vedere due ragazzi fermi in mezzo alla strada intenti a farsi acconciature.

La mano di Feliks si posò sulla sua e lui sussultò arrossendo ancor di più, le dita dell'amico scivolarono tra le sue con estrema delicatezza facendolo irrigidire: quel tocco era bollente e gli dava stranissime scosse lungo la colonna vertebrale. Il tutto durò pochi attimi, quelli che bastarono a Feliks per prendere l'elastico e poter così creare la coda.

“Fatto!” sorrise il biondo guardando orgoglioso il suo lavoro. Prese i guanti dalla tasca del giubbotto rosa -dove li aveva messi qualche minuto prima-erano color rosa acceso e decorati con qualche strass, se li mise con lentezza mentre tornava a camminare.

Toris si ficcò le mani nel capotto cercando di togliersi quella strana sensazione che gli riempiva il petto “Grazie...” mormorò affiancandolo.

 

 

°°°°°°°°°°

 

Matthew stava sistemando un vecchio orologio risalente ai primi del novecento, gli occhiali gli scivolarono sulla punta del naso, li sistemò senza distogliere lo sguardo sugli ingranaggi, la fronte corrugata e la lunga frangetta fermata ai lati con due pinzette.

Erano giorni che stava su quel oggetto senza fare nessun progresso non che fosse complicato -insomma non era mica il primo orologio che gli finiva tra le mani- ma non riusciva concentrarsi, il pensiero ritornava sempre a quella sera in cui aveva chiesto a Francis se lo odiava.

Non aveva avuto una risposta ma era ovvio che di sicuro per lui non provava amore, c'era sempre Arthur nel suo cuore e lui era stato uno stupido a pensare di poter prendere quel posto.

Sospirò sconsolato, Francis non si era più fatto sentire da quella dannata sera e beh lui era stufo di stare ad aspettare. Quella mattina presto gli aveva scritto un messaggio dicendo che voleva vederlo a pranzo, non era sicuro di quello che sarebbe successo, ma dovevano parlare e chiarire la loro situazione.

Guardò il cellulare appoggiato vicino all'orologio erano le nove del mattino e non aveva ricevuto nessuna risposta, sospirò pesantemente.

Il campanello della porta lo obbligò ad alzare lo sguardo, “Ciao!” un sorriso caldo e una massa di capelli biondi entrarono nel negozietto. Matthew sorrise a sua volta “Domenica è un piacere rivederti!” non si vedevano da capodanno e sinceramente lui pensava che lei si fosse scordata di averlo conosciuto come capitava spesso.

“Ti avevo promesso che sarei passata, mi dispiace solo che con i vari impegni non sono riuscita a venire prima...” fece un paio di passi “È carino qui!” sorrise.

Matthew la raggiunse “Dici sul serio?” e per una volta non ingobbì le spalle cercando di sembrare più basso, in fondo Domenica era alta e in quel momento indossava anche dei tacchi -di pochi centimetri- e poteva chiaramente guardarla in viso.

“Feliciano mi ha raccontato di te e del negozio così tante volte che ho come la sensazione di esserci già stata!” ridacchiò spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Comunque, volevo passare a fare un saluto prima di andare all'università!”

Lui continuò a seguire i suoi movimenti domandandosi cosa l'avesse portata lì oltre al fatto che sembrava voler fare amicizia, cosa che lui era ben disposto a dare visto che la trovava simpatica e sinceramente erano poche le persone con cui riusciva a interagire.

Sorrise scortandola vicino al balcone “Vuoi un caffè?” chiese indicando una macchinetta nascosta da una miriade di scatoloni “Volentieri!”

 

°°°°°°°°°°

 

Francis aveva avuto l'insana voglia di una sigaretta e di conseguenza aveva guardato il cellulare, il messaggio di Matthew gli aveva messo malumore.

Gilbert acciambellato sul petto di Antonio stava aspettando che gli passasse il pacchetto, “Cosa c'è? Il tuo cane richiede la tua attenzione?” ridacchiò.

Il biondo sbuffò accendendosi una sigaretta “Vuole vederci a pranzo...” lanciò il pacchetto in testa all'albino che non smetteva di ridere, “Vorrà parlare...” ma lui non ne aveva voglia, cosa poteva dirgli?

Ciao! Sai sono scapato perché...” era patetico!

Antonio sbuffò prendendosi una sigaretta “È normale, sei praticamente uscito di nascosto e non ti sei più fatto sentire...”

Francis guardò il cellulare indeciso erano le undici e mezza, poteva farsi una doccia veloce, cambiarsi -per sua fortuna erano a casa sua- e andare da Matthew oppure ignorare completamente il messaggio e così chiudere definitivamente quella assurda storia.

Gilbert si sistemò con la schiena su due morbidi cuscini lasciando finalmente libero di muoversi Antonio, lanciò al biondo uno sguardo divertito “Senti, se il tuo cagnolino non si è mai lamentato sul fatto che lo chiami Arthur quando fate sesso cosa vuoi che ti dica per la tua fuga? Al massimo ti farai perdonare con una sana scopata!”

Ci fu un attimo di silenzio prima che il sospiro di Francis riempì la stanza.

“Ma si...infondo potrei anche andare a pranzo da lui...”


 

°°°°°°°°°°

 

Eduard capì che qualcosa era cambiato nel rapporto tra Toris e Feliks nel momento in cui si sedettero su una panchina.

Durante il pranzo erano rimasti in silenzio come ogni giorno da quando era ricominciata la scuola e sinceramente, per quanto non amasse il rumore, gli mancavano i gridolini di Feliks e le frasi imbarazzate di Toris.

In quel momento -mentre aspettavano di tornare a scuola per le lezioni pomeridiane- vedeva chiaramente che i suoi due amici seduti più vicini del solito, nello spazio tra di loro ci stava benissimo la trilogia di Le cronache del Mondo Emerso con l'aggiunta di una bottiglietta d'acqua, ma erano vicini.

Stranamente non si sentiva felice come avrebbe dovuto, in fondo quello era il primo passo per poterli vedere ancora amici, ma ciò significava anche che Toris avrebbe riportato le sue attenzioni su Feliks e lui non avrebbe più avuto la possibilità di diventare qualcosa di più di un amico.

“Tipo, ho deciso di fare, tipo, la tesina sui sul sistema solare, tipo, mettendo tutta quella cosa sull'acqua...” Eduard sospirò era la terza volta che Feliks ricominciava da capo la tesina, il fatto era che il suo amico si entusiasmava per ogni cosa e se sentiva qualcosa di totalmente fantastico si metteva a fare ricerche su ricerche.

Toris alzò lo sguardo dalle proprie mani per posarlo sul profilo del biondo, non si era accorto che si era sistemato i lunghi capelli con delle forcine facendolo sembrare ancor più femminile e forse era per quello che il signor che gli aveva serviti al bar lo aveva salutato con “Arrivederci cara!”

Quello e il suo abbigliamento che quel giorno era completamente sui toni del rosa.

Il fatto era che lo trovava bellissimo e questo lo metteva a disagio.

“E tu, Toris, hai deciso su cosa fare la tesi?” il castano sbatté le palpebre per qualche secondo, cercando di ritornare dai suoi futili pensieri, “Si...si...ehm...” abbassò lo sguardo ad osservare di nuovo le sue mani, arrossì nel sentire gli sguardi dei suoi amici su di se “E sul mio paese, la Lituania.”

Feliks sorrise allegro “Ma è totalmente geniale!” esclamò portando le mani guantate sulle guance “Tipo, avrei dovuto pensarci anch'io, tipo, la Polonia ha un sacco di storia...” si avvicinò di poco a Toris “Ma non lo farò, sarebbe troppo lunga, tipo, una cosa di trecento pagine, tipo, un'esasperazione”

Eduard, notò che la distanza si era notevolmente ridotta e che il libro delle Le cronache del Mondo Emerso sarebbe entrato a malapena in quello spazio, corrugò la fronte cercando di non dar ascolto a quella vocina che gli diceva di prendere Toris e spostarlo vicino a se.

“Anch'io ho già scritto la mia tesina...” iniziò con fare noncurante “...È dall'anno scorso che ci sto lavorando, ma non ho ancora terminato.”

Feliks si voltò di scatto verso di lui “Oh, lo sapevo che sei, tip, un secchione Ed! Ma, tipo, goderti i pomeriggi come ogni ragazzo, tipo, ti è difficile?”

Toris si ritrovò a ridacchiare mentre vedeva il più giovane dare uno scappellotto all'altro.


 

°°°°°°°°°°

 

Francis sedeva sul divano dopo aver mangiato, un bicchierino d'amaro in mano e il dolce sul tavolino, Matthew era sulla poltrona, lontano da lui.

“Te ne sei andato senza salutare...” la voce flebile del canadese destò il biondo dal tepore che lo stava invadendo, forse avrebbe dovuto dormire un po' di più quella notte invece di darsi alla pazza gioia con i suoi amici. “Beh...” si leccò le labbra cercando delle parole “Non era nelle mie intenzioni andarmene, ma tu...” sorseggiò l'amaro “Eri strano...”

Matthew sospirò alzando con l'indice gli occhiali “Ti ho spiegato che ho dei problemi in famiglia, è un periodo un po strano e io forse ho esagerato quella sera.” il cellulare iniziò a suonare, il giovane guardò il display sul quale figurava il nome di suo fratello, lo nascose con la mano e alzò lo sguardo sul fidanzato.

Francis appoggiò il bicchiere “Fammi indovinare, è tuo fratello.” una smorfia sul viso “Certo che ha un tempismo...” Matthew si alzò per dirigersi in camera, “Aspettami...” sussurrò camminando velocemente nel corridoio, prima di chiudere la porta schiacciò il tasto di risposta “Pronto...No, non ero al lavoro...”

Il francese guardò con rabbia quella porta chiudersi e così celare per l'ennesima volta la conversazione, cosa aveva da nascondere poi?

Spostò lo sguardo sul bicchierino, sarebbe rimasto ma non aveva nessuna intenzione di continuare il discorso di prima e nemmeno dei problemi in famiglia.

Voleva divertirsi...non pronunciava il nome di Arthur da troppo tempo…

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

 

Scusatemi per la lunga attesa! Sono ritornata dopo un lungo periodo nero, che ora è diventato grigio scuro, ma almeno respiro più di prima.

E con questo capitolo si chiude Gennaio e con il prossimo arriva Febbraio e ritornerà tra i capitoli Lovino!

 

Ho iniziato un'altra fanfic per chi la volesse seguire s'intitola Il filo rosso

Un abbraccio e a presto!

Elisir

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