Lost stars

di ShioriKitsune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro + Atto I ***
Capitolo 2: *** Atto II ***
Capitolo 3: *** Atto III ***



Capitolo 1
*** Intro + Atto I ***


Il giorno del suo sedicesimo compleanno, Jeongguk lo passò fissando l'interno del proprio polso sinistro, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un attimo. Troppa la paura di perdere il momento esatto in cui, sulla sua pelle, sarebbe apparso il nome della persona che avrebbe amato per il resto della vita.

 

Il giorno del suo sedicesimo compleanno, Jeongguk saltò la scuola. Salutò i suoi e uscì di casa troppo in fretta per non destare sospetti, dirigendosi verso il parco in cui amava passare gran parte del suo tempo per sedersi all'ombra del vecchio salice sul quale da bambino era solito arrampicarsi. Diceva che da lì poteva avere una visione ottimale dell'ambiente circostante. Inoltre – e, al pensiero, un sorriso gli sfuggiva sempre – il suo migliore amico, Park Jimin, era troppo basso per riuscire ad arrampicarsi su quell'albero: era facile vincere a nascondino contro di lui, in quel modo.

Appoggiò la schiena contro il tronco e lasciò che la sua mente si divertisse un po' nell'immaginare come la sua anima gemella sarebbe stata: magari una dolce ragazza dai lunghi capelli color del miele? O con degli occhi così belli da togliergli il fiato? E, soprattutto, quanto tempo sarebbe passato prima di poterla incontrare? Accanto al nome, sarebbe dovuto apparire anche un timer. Jeongguk sperava davvero di non dover aspettare troppo. In fondo, non era mai stato un tipo molto paziente.

Strofinava con delicatezza le dita su quel lembo di pelle ancora immacolato, e alzando gli occhi al cielo si accorse che stava calando la sera. A breve sarebbe dovuto rientrare a casa, e sua mamma lo avrebbe guardato con gli occhi speranzosi di chi non vede l'ora di ascoltare una bella notizia. Forse, quel lato romantico di sé lo aveva ereditato proprio da lei.

 

Ma, il giorno del suo sedicesimo compleanno, Jeongguk ricevette due delusioni.

La prima: il nome che, una sillaba alla volta, gli aveva marchiato il polso era quello di un ragazzo. E a questo poteva anche sopravvivere.

La seconda, e peggiore, era che accanto al nome non vi era nessun conto alla rovescia.

 

 

 

김태형

00.00.00.00.00

 

Kim Taehyung

Zero anni, zero mesi, zero giorni, zero ore, zero minuti

 

 

 
















 




°*° Lost Stars °*°

 

Atto I

 

 

Le prime settimane passarono con la speranza che, ad un certo punto, il timer partisse. Forse c'era stato solo un piccolo ritardo (chissà, magari neanche il destino è così puntuale e preciso) e le cose si sarebbero aggiustate da sole. Ma le settimane si trasformarono in un mese, un mese in due, due in tre e tutti iniziarono a pensare che il timer di Jeongguk non sarebbe mai più partito.

Questo non fece altro che fargli guadagnare sguardi carichi di tristezza da parte di sua madre (che inizialmente sosteneva che doveva esserci una spiegazione, ma che aveva finito per sospirare ogni volta che il polso sinistro di Jeongguk appariva dall'orlo di una delle sue maglie a maniche lunghe) e da tutte le persone che, direttamente o non, erano venute a conoscenza della sua storia.

Qualcuno aveva anche formulato un'ipotesi in proposito: probabilmente, l'anima gemella di Jeongguk era morta in un incidente ed era per questo che il timer non partiva. Non avrebbe potuto, perché Jeongguk non avrebbe mai potuto incontrare qualcuno che non era più in vita.

Altri si chiesero perché, visto che questo ragazzo era morto prima che Jeongguk compisse sedici anni, l'universo (o qualunque fosse la forza che governasse questa cosa delle anime gemelle) non gli avesse donato un'altra persona con cui avere la possibilità di essere felice, ma la risposta è che c'è solo un'altra metà di noi stessi al mondo: se quella viene spazzata via, l'unica alternativa è rimanere incompleti.

Jeongguk aveva fatto le sue ricerche sull'argomento: non era l'unico al mondo il cui timer non era mai partito o, peggio, a cui un bel giorno si era bloccato senza più andare avanti.

I casi erano rari, è vero, eppure ognuno di loro era documentato: l'anima gemella di un tizio in America aveva attraversato la strada in un momento sbagliato e non c'era stato modo di salvarla; quella di una donna in Italia si era infortunata sul lavoro e quel tizio francese era rimasto fulminato da un cavo scoperto. Ogni metà rimasta in vita, anche se nella sua malaugurata sorte, aveva delle risposte.

Ma non Jeongguk.

Questo Kim Taehyung sembrava essere sparito nel nulla, e nessuno sapeva dirgli se fosse vivo o morto.

Aveva cercato il suo nome in ogni comune di ogni città della Corea del Sud, fino a quando non aveva trovato una corrispondenza nella città di Daegu: un Kim Taehyung nato il 30 dicembre del 1995, ma le informazioni terminavano lì: nessuna foto, nessun certificato di morte o di incidenti.

Kim Taehyung sembrava semplicemente sparito nel nulla.

Non aveva senso struggersi per qualcosa che non avrebbe mai avuto, si disse. Perché aveva cercato quel ragazzo in ogni dove, aveva sperato e pregato, ma la situazione non era cambiata.

Così, un mese dopo il suo diciottesimo compleanno, Jeongguk mise definitivamente una pietra sopra la faccenda, facendo promettere a familiari e amici di non tirare mai più fuori l'argomento.

E tutti, anche se con un groppo in gola, concordarono sul rispettare la sua scelta.

 

°°°

 

«Jeongguk-ah, Terra chiama Kookie! Ehi, mi stai ascoltando?».

Una mano gli venne sventolata davanti agli occhi ed in quel momento si rese conto di essersi distratto di nuovo.

Sbatté le palpebre e mise a fuoco la figura imbronciata davanti a lui. «Scusa, Jimin, non stavo ascoltando».

Questi sospirò, crollando sulla sedia. «Me ne sono accorto». Un attimo di pausa, in cui il maggiore sembrò voler dire qualcosa prima di tornare sui suoi passi, mordendosi l'interno della guancia. «Ti stavo chiedendo se ti andrebbe di venire con me e Hobi-hyung a guardare un film, oggi pomeriggio».

Jeongguk storse il naso.

A scanso di equivoci: amava la compagnia dei suoi hyung, ma fare il terzo incomodo non era tra i suoi passatempi preferiti. Sapeva che i suoi amici cercavano di non farlo sentire escluso da nulla (certe volte anche mettendolo in mezzo a situazioni davvero... inopportune), ma a volte voleva solo staccare la spina, stare per i fatti suoi invece che dover osservare coppie fare... cose da coppie.

Certo, era felice che tutti i suoi amici – o quasi – avessero trovato la loro anima gemella. Questo però non voleva dire che guardarli scambiarsi sguardi adoranti o carezze rubate non lo facesse sentire a disagio: in fondo, era come avere un gigantesco post-it attaccato sulla fronte a ricordargli costantemente ciò che lui non poteva avere.

«Uhm, ho già un impegno oggi pomeriggio, mi dispiace».

Jeongguk forzò un sorriso, per fare in modo che Jimin non si sentisse in colpa (non che lui avesse alcuna colpa in quella situazione, ma quel ragazzo tendeva a prendersi carico di ogni cosa) e tornò alla ricerca che stava scrivendo.

Il maggiore non fece altre domande e ripresero a studiare in silenzio.

Jimin aveva circa due anni più di Jeongguk e si conoscevano praticamente da sempre: nessuno dei due poteva ricordare un momento senza l'altro, anche se Jimin si divertiva a stuzzicare Jeongguk sostenendo che i due anni prima che quest'ultimo nascesse fossero stati i migliori della sua vita e Jeongguk, di tutta risposta, si rifiutava di chiamarlo hyung, dicendo che era troppo stupido per essere davvero il maggiore tra i due.

Lui aveva incontrato la sua anima gemella, Hoseok, il primo anno di liceo: la loro era una storia un po' particolare, perché si conoscevano (e, segretamente, amavano) già prima che sui rispettivi polsi apparisse in modo indelebile il nome dell'altro. Dopodiché era bastato un solo sguardo per far esplodere tutti i sentimenti tenuti malamente a bada fino a quel momento.

Jeongguk aveva osservato la scena in tempo reale (non perché li avesse stalkerati o cosa, ma perché frequentavano tutti la stessa scuola, anche se in anni diversi, e quei due davvero non avevano idea di cosa significasse la parola intimità) e il suo primo pensiero fu “che schifo”, accompagnato da un'espressione che era tutta un programma.

A distanza di sette anni da quel momento, il ricordo delle lingue dei suoi migliori amici che s'intrecciavano pubblicamente gli faceva ancora venire i brividi. Era fermamente convinto che quello sarebbe rimasto il trauma più profondo dei suoi quattordici anni.

Nonostante ciò, voleva davvero bene a quei due.

Soprattutto dopo il suo sedicesimo compleanno, gli erano sempre stati accanto senza mai farglielo pesare, prendendosi silenziosamente cura di lui e rinunciando al loro tempo da soli per aiutare Jeongguk con le sue ricerche o semplicemente fornirgli un orecchio e un sorriso quando ne aveva bisogno.

Ma Jeongguk sapeva che, Jimin in particolare, era molto preoccupato per lui. Specialmente da quando aveva deciso di chiudere l'argomento Taehyung in un cassetto recondito della sua memoria.

I suoi tentativi di spingere Jeongguk a parlare erano stati tutti terribili e, alla fine, sembrava essersi arreso. Anche se, come in quel momento, spesso i suoi sguardi sembravano voler dire più di quanto le sue parole concretamente facessero.

La mattinata trascorse in silenzio e, intorno alle quattro, Jimin annunciò che stava uscendo.

Jeongguk lo salutò con un sorriso e qualche provocazione prima di rimettersi a studiare, accorgendosi solo dopo un'abbondante mezz'ora che aveva solo letto e riletto la stessa frase.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Il college non era una passeggiata come aveva inizialmente creduto (la sua media scolastica era sempre stata piuttosto alta, quindi aveva – ingenuamente – creduto che al college le cose sarebbero andate nello stesso modo: massimi risultati ma minimi sforzi. Ovviamente, si era sbagliato di grosso) ma condividere la stanza con il suo migliore amico rendeva tutto più semplice. Anche affrontare una specializzazione in economia di cui non gli importava assolutamente nulla solo per accontentare sua madre.

Aveva preso quella decisione (nonostante i consigli di Jimin alla “Ti prego, tutto ma non quello”) dopo essersi reso conto che sua madre sembrava quasi più distrutta di lui per tutta la situazione dell'anima gemella (aveva preso piuttosto bene anche il fatto che fosse un ragazzo: la sola cosa che le stava a cuore era la felicità di suo figlio). Non che fosse colpa di qualcuno, ma era come se volesse fare ammenda per il dolore che le aveva arrecato, concedendole almeno una soddisfazione in ambito accademico.

Quando guardò nuovamente l'orologio notò che erano passate le diciotto (non era sicuro di quanto tempo avesse speso studiando e di quanto vagando con la mente) e che era arrivata l'ora di chiudere i libri e procacciarsi del cibo.

Afferrò qualche soldo e le chiavi, s'infilò le scarpe e chiuse la cerniera della felpa fino al collo, perché era ormai ottobre inoltrato e l'aria iniziava a farsi pungente sulla pelle.

Uscì di casa rendendosi conto di non aver veramente voglia di cucinare qualcosa, e che quindi avrebbe potuto optare per del cibo da asporto, magari da mangiare in quel parco un po' distante dal centro urbano di Seoul ma che gli ricordava terribilmente quello di casa sua, a Busan.

Avrebbe dovuto prendere un autobus e camminare per qualche chilometro, ma quel giorno si sentiva un po' troppo malinconico per bocciare l'idea così su due piedi.

Infatti, un'ora più tardi, stava camminando verso l'ingresso del suddetto parco con una busta del McDonald's tra le mani (di certo molto poco salutare ma decisamente il cibo più veloce che gli fosse venuto in mente).

Quello era di certo più grande rispetto al parco in cui era solito passare i suoi pomeriggi da bambino, ma aveva comunque qualcosa che lo rendeva familiare, che gli rendeva facile associarlo istintivamente a ricordi e sensazioni positive.

Si sedette tra l'erba bagnata dalla rugiada, gambe incrociate e sguardo rivolto verso lo stagno dentro il quale, sapeva, avrebbe potuto vedere le oche e forse perfino qualche tartaruga.

Ma la sua attenzione fu catturata quasi immediatamente da uno sprazzo di arancione del tutto fuori posto, facendogli aggrottare la fronte.

Nell'acqua infatti, sembrava esserci qualcuno che stava tranquillamente nuotando, come se lo stagno non fosse profondo soltanto poco più di cinquanta centimetri e non avesse un colorito del tutto poco invitante.

«Ehi, che diavolo- Ehi, tu? Che ci fai lì dentro?»

Jeongguk si alzò, avvicinandosi alla riva e fissando, con aria sempre più sconvolta, la persona che adesso faceva il morto sulla superficie stagnante del laghetto. «A meno che tu non voglia sviluppare qualche tipo di potere radioattivo, ti conviene venire fuori!».

L'ultima affermazione sembrò catturare l'interesse di quello che si rivelò essere un ragazzo che, a prima vista, sembrava anche più giovane di Jeongguk: sgranò gli occhi, tornando in posizione eretta (e oh mio Dio, ma era nudo?!) e fissando Jeongguk con occhi carichi di aspettativa.

«Dici che potrebbe succedere?»

Non fu solo la sua voce (profonda e calda, in netto contrasto con il viso pulito e infantile – ma non per questo poco attraente – che lo sconosciuto possedeva. In quel momento, i suoi grandi occhi scuri – che, anche a quella distanza, gli ricordavano due luminosi fari - erano puntati in quelli di Jeongguk. Sembrava un cerbiatto – il suo colore di capelli non aiutava, perché erano arancioni e ispidi e gli ricordarono la pelliccia di Bambi) a fargli aggrottare la fronte, ma il tono che usò per pronunciare quella frase: non sembrava avesse colto il sarcasmo.

Jeongguk si guardò intorno, non sapendo che fare. Se qualche guardia del parco avesse beccato quel ragazzo a fare il bagno nudo nello stagno, blaterando cose su poteri radioattivi, probabilmente lo avrebbero portato direttamente in prigione.

O in manicomio.

«Ne dubito fortemente. Ehm, penso sia il caso che tu esc-».

«Peccato», lo interruppe questi, portandosi le mani sui fianchi. Per qualche ragione, Jeongguk non riusciva a guardare l'altro – nudo, in mezzo allo stagno, con l'acqua che gli arrivava a malapena sopra le ginocchia – senza arrossire, così iniziò a cercare qualsiasi altro punto da fissare che non fosse il corpo del ragazzo, che adesso gli stava rivolgendo un sorriso rettangolare che lo faceva sembrare ancora più giovane di quanto già paresse.

Ci fu un momento di silenzio tra i due, in cui Jeongguk si schiarì la voce e contemplò seriamente l'idea di allontanarsi e far finta di non aver visto nulla. Ma qualcosa – quel sorriso, il calore che trasmetteva il suo sguardo o forse il semplice fatto che, almeno un po', quel ragazzo dall'aria stralunata gli faceva pena – lo spinse a restare. Sospirando (e maledicendosi, perché se avessero beccato anche lui in quella situazione compromettente – fare il bagno nello stagno non era esattamente permesso – sarebbe stato nei guai) si sfilò la felpa ed entrò nell'acqua, avvicinandosi allo sconosciuto e posandogliela sulle spalle. Per fortuna aveva l'abitudine di indossare felpe parecchio più larghe della sua taglia: riuscì così a coprire il ragazzo fino alle cosce, chiudendo la zip e facendo attenzione a non toccare nessun lembo di pelle scoperta.

«Ti prenderai un malanno», si giustificò, rendendosi conto che adesso anche lui necessitava di abiti asciutti.

L'altro si strinse nelle spalle, guardandolo di sottecchi senza smettere di sorridergli. «Cedi i tuoi vestiti ad ogni estraneo che fa il bagno nel lago?»

«Uhm, beh, non è qualcosa che mi capita ogni giorno», rispose Jeongguk con un velo di sarcasmo. Per un momento pensò di averlo offeso, ma questi non cambiò espressione. Evidentemente vedeva nella situazione una comicità che a Jeongguk sfuggiva.

Riuscì, alla fine, a farlo uscire dall'acqua e farlo sedere sulla riva accanto a lui. «Che diavolo stavi facendo là dentro?»

L'altro ridacchiò. «Nuotavo. Non è ovvio?».

Lo era davvero? Jeongguk sollevò un sopracciglio. A questo tizio manca qualche rotella.

«Dove sono i tuoi vestiti?».

La chioma arancione si spostò a destra e sinistra, guardandosi intorno, prima di indicare un punto dall'altra parte dello stagno. Perfetto.

Jeongguk sospirò. «Va bene, aspetta qui, vado a recuperarli».

Optò, ovviamente, per la strada più lunga – senza tagliare per il lago come aveva suggerito l'altro: aveva già rischiato abbastanza tirandolo fuori da lì – e quando tornò (con un maglione rosso con la stampa di un gattino – Un gattino? Pensò Jeongguk. Davvero? - e un pantalone nero tra le mani – non trovò nessun capo di biancheria, ma decise di non porsi domande), trovò sorriso-rettangolare ad ingozzarsi delle sue patatine. Aggrottò la fronte.

«Oh, erano tue?», domandò con aria innocente, mordicchiandone un'altra.

Di bene in meglio.

«Non ha importanza», sospirò, porgendogli i suoi eccentrici capi di abbigliamento. «Puoi mangiarle».

Dopo che si fu rivestito – e non senza che Jeongguk insistesse affinché questo avvenisse nell'immediato – sedettero l'uno affianco all'altro dividendo ciò che era rimasto nella busta del fast food.

Quando il cibo finì, Jeongguk rivolse lo sguardo all'altro. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, perso in chissà quali pensieri, intonando un motivetto ogni tanto e lamentandosi del freddo.

Beh, gli aveva detto Jeongguk, nessuno ti ha obbligato a fare il bagno nudo. Questi aveva ghignato.

«Come ti chiami?».

La domanda sembrò prenderlo per un momento alla sprovvista. Batté le palpebre, inclinando il capo. A Jeongguk sembrò un cagnolino incerto sul comando dettatogli dal padrone.

«Mi chiamo V», rispose dopo un po'. «Beh, non mi chiamo V ma puoi chiamarmi in questo modo». Ghignò, e di nuovo Jeongguk decise di non fare domande. «Tu?».

«Jeon Jeongguk».

«Oh».

Si scambiarono uno sguardo confuso. Che razza di risposta era “Oh”?

Jeongguk non ebbe il tempo di formulare la domanda, perché V si alzò e gli porse la mano. «Beh, Jeon Jeongguk, non so tu ma io mi sto congelando. Che ne dici di qualche vestito asciutto e un po' di calore?»

 

Si scoprì ben presto che l'idea di V di calore e vestiti asciutti non era altro che la lavanderia a gettoni.

Jeongguk si fermò prima di entrare, aggrottando la fronte. «Uhm, cosa...?».

V si fermò a sua volta, guardando prima lui poi l'ingresso. «Cosa?».

«Pensavo stessimo andando a casa tua». Tradotto in: non ho nessuna intenzione di restare in mutande in una lavanderia a gettoni mentre i miei pantaloni si asciugano. Che problemi aveva questo ragazzo col tenere i vestiti addosso in luoghi pubblici?

L'altro si dondolò un po', a disagio. «Ah, quello. Beh, il fatto è che-».

«Ehi tu, ragazzo!»

V non terminò la frase, ed entrambi si voltarono verso la voce.

Un uomo dalle fattezze abbastanza spaventose (ben piazzato, tatuaggi e barba, sguardo minaccioso) gli stava andando incontro a pugni stretti. Fu quello l'esatto momento, notando lo sguardo vagamente terrorizzato di V, che Jeongguk si domandò in che razza di guaio si fosse cacciato tirando fuori quel ragazzo dallo stagno. Ma non ebbe il tempo di dare voce alle sue preoccupazioni, perché l'altro lo afferrò dal polso ed iniziò a correre.

«Fermi!»

«Che diavolo succede?!»

«Risparmia il fiato, Jeon Jeongguk! Conserva le domande per quando la nostra pelle non sarà in pericolo!»

«Vorresti dire la tua pelle?! Io non ho niente a che fare con i tuoi casini!».

V si voltò, lanciandogli un ghigno da sopra la spalla. «È decisamente troppo tardi per questo».

Che io sia dannato, pensò Jeongguk, ma decise che per il momento sarebbe stato davvero meglio conservare il fiato.

Corsero per troppo tempo, svoltando in vicoli e facendo slalom tra macchine e biciclette, fin quando Jeongguk non avvistò l'autobus che lo avrebbe ricondotto al campus. Afferrò V e se lo trascinò dietro, riuscendo ad entrare nel mezzo poco prima che questo ripartisse, lasciando il loro inseguitore urlante a terra.

Dopo un sospiro di sollievo, collassarono su due sedili vuoti cercando di riprendere fiato.

V si affacciò dal finestrino, cacciando la lingua e mostrando il dito medio all'uomo che aveva avuto tutta l'intenzione di ammazzarli – e chissà per quale ragione. Questi, di tutta risposta, gli promise una morte lenta condita da epiteti che Jeongguk era certo di non aver mai udito in vita sua.

«Chi accidenti era quel tizio?!»

Il ragazzo dai capelli arancioni si voltò nuovamente verso l'altro, un ghigno malefico sul viso. «Il proprietario di una bancarella al mercato. Una volta gli ho rubato qualche mela e un po' di pane e se l'è legata al dito».

La confessione ammutolì Jeongguk. Perché V aveva bisogno di rubare del cibo dal mercato? Chi era questo ragazzo?

Lo osservò, rendendosi conto che, stranezze caratteriali a parte, non sembrava un giovane fuori dalla norma. I suoi vestiti, per quanto brutti, erano puliti e intatti e sembrava fisicamente in salute.

«Dove stiamo andando?», gli chiese di punto in bianco, e Jeongguk si rese conto che era stato in silenzio più tempo di quanto avesse immaginato. Guardò fuori dal finestrino, riconoscendo la prossima fermata come quella del suo dormitorio.

«A casa mia»

 

Quando entrarono nella stanza, di Jimin non v'era traccia. Probabilmente il cinema non era l'unica cosa in programma quel pomeriggio e Jeongguk fu silenziosamente grato per aver declinato l'invito.

Si tolsero le scarpe, mentre V si guardava intorno con aria curiosa.

«Il bagno è da quella parte», indicò Jeongguk. «Puoi farti una doccia, ti presterò dei vestiti puliti».

L'altro non se lo lasciò ripetere due volte e si fiondò in bagno senza neanche prendersi la briga di chiudersi la porta alle spalle.

Quando Jeongguk sentì il rumore dell'acqua, tirò un sospiro di sollievo e si lasciò sprofondare sul divano. Perché quella giornata ordinariamente monotona si era trasformata in qualcosa di così bizzarro? Lui amava la sua routine. Inoltre, qualcosa gli diceva che quel tipo non gli avrebbe procurato altro che guai. Nonostante questo, non riuscì a reprimere un sorriso.

Era un ragazzo particolare, questo lo aveva assodato, ma il solo stargli accanto metteva allegria: possedeva una di quelle personalità raggianti che colorano tutto ciò a cui si avvicinano. Inoltre, si ricordò di aver sentito una specie di scossa lungo tutto il corpo quando V l'aveva afferrato per scappar via dall'inseguitore...

«Dove sono i miei vestiti?».

Jeongguk si voltò, preso alla sprovvista, e per la seconda volta in meno di due ore si ritrovò a fissare V nudo.

Per carità, era bello da guardare, solo che... «Arrivano, arrivano, non pensavo fossi così veloce. Non hai nemmeno un briciolo di pudore, tu?», borbottò, coprendosi gli occhi con una mano e approfittandone anche per nascondere il velato rossore che gli imporporava le guance.

«Affatto», ghignò l'altro. «Se siamo nati nudi ci sarà un motivo. Inoltre, siamo entrambi ragazzi: non vedo quale sia il problema».

Jeongguk sospirò; tentare di confutare le sue tesi sarebbe stata solo una perdita di tempo.

«Piuttosto», iniziò, rovistando nell'armadio alla ricerca di qualcosa che potesse stargli bene addosso. «Quanti anni hai?».

V sembrò pensarci su. «Tu quanti me ne daresti?».

Sinceramente? Tre. «Uhm. Diciannove?».

«Bu-buu», esclamò, formando una X con le braccia. «Sono abbastanza sicuro di averne circa ventidue».

E questa che razza di risposta sarebb-«-ventidue? Vorresti dire che sei più grande di me? Non è possibile!»

«Cosa c'è di tanto impossibile in questo?».

«Beh...» forse il fatto che agisci come un ragazzino delle medie? O che il tuo viso è così carino che dimostra circa...eh? Cosa? Ho appena pensato la parola “carino” associata a quello stramboide? «Nulla, lascia stare. Ma non ti chiamerò hyung».

V si strinse nelle spalle, come se delle formalità gli importasse poco e niente. Poco dopo Jeongguk gli lanciò dei vestiti (e della biancheria, che l'altro infilò con una smorfia) e la discussione terminò quando il minore andò a sua volta a farsi una doccia.

Ma non ebbe il tempo di uscirne che, dal salotto, avvertì due urla ben distinte: la prima apparteneva a V; l'altra, un po' più acuta, non poteva che essere di Jimin.

S'infilò velocemente un paio di pantaloni e una maglia a maniche lunghe e, non appena mise piede nella stanza principale, V si aggrappò alle sue spalle a mo' di koala. «Jeonggukie! Un folletto!».

L'altro lo guardò come se fosse impazzito – il che, in effetti... . Jeonggukie? «Eh?».

Ovviamente, il dito lungo di V, puntava proprio in direzione di Jimin, che a sua volta ricambiava lo sguardo terrorizzato. Jeongguk dovette mordersi l'interno della guancia per non ridere.

«Io sarei un folletto? Sarai cosa, cinque centimetri più alto di me? Chi diavolo sei, piuttosto?». Poi si accorse della presenza di Jeongguk. «Chi diavolo è?».

Il primo compito del minore fu calmare un apparentemente spaventato V. Lo costrinse a sciogliere la presa mortale, poi lo trascinò davanti a Jimin tenendolo per le spalle. «Guardalo bene, non è un folletto. È un essere umano come te e me. Sì, è un po' basso» e qui si beccò una delle occhiate glaciali di Jimin «ma non così tanto. Il suo nome è Jimin, è il mio compagno di stanza e migliore amico». Poi si rivolse all'altro. «Jimin, lui è V». E se questi si aspettava una descrizione più dettagliata su chi questo V fosse, sarebbe rimasto molto deluso. In fondo, non è che Jeongguk sapesse altro di lui.

I due si scrutarono per un po', fin quando non decisero che la presenza dell'altro non creava poi tanti problemi. Jimin fece spallucce, chiudendosi in camera sua senza aggiungere altro.

Così, furono di nuovo soltanto V e Jeongguk.

Wow, breve ma intenso.

«Uhm...»

V si accomodò sul divano senza troppe cerimonie, stendendo le gambe e incrociando le braccia dietro la testa. «Questo divano è comodissimo! Molto meglio della panchina su cui ho passato le ultime tre notti!».

La nonchalance con cui rivelò quell'informazione lasciò Jeongguk vagamente basito. Batté le palpebre un paio di volte prima di riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. «Perché hai passato tre notti su una panchina?».

L'altro fece spallucce. «Sono stato buttato fuori dal mio appartamento perché non avevo i soldi per pagare l'affitto. Il mio datore di lavoro mi ha licenziato perché dice che spavento i clienti». Si sollevò di scatto, un dito ad indicarsi il viso e il labbro inferiore che sporgeva appena. «Ho la faccia di uno che spaventa i clienti?».

Non è la faccia il problema, pensò il minore, ma decise di tenerlo per sé. «Perché non sei tornato a casa dei tuoi?».

Ma Jeongguk si pentì di quella domanda non appena uscì dalla sua bocca. L'espressione dell'altro si rabbuiò per qualche istante, poi affondò nuovamente tra i cuscini del divano.

Il senso di colpa che Jeongguk provò in quel momento lo fece quasi arrossire. Si disse che non aveva nessun diritto di fare una domanda tanto particolare (seppur innocente, in un certo senso) ad un tizio che conosceva solo da poche ore e che probabilmente non aveva nessuna intenzione di condividere i dettagli della sua vita con un perfetto estraneo. Si guardò intorno cercando di cambiare argomento, o magari di articolare delle scuse, ma finì solo per andare nel pallone: non era mai stato bravo a gestire le situazioni difficili.

Per un attimo pensò che V si fosse offeso, che sarebbe andato via senza rivolgergli un altro sguardo e la cosa stranamente gli trasmise un certo senso d'angoscia (solo perché ti senti in colpa di avergli rovinato l'umore con la tua invadenza, si disse), ma ad un certo punto questi iniziò ad emettere strani sbuffetti, fino a quando quello che era un silenzioso ridacchiare si trasformò in una vera e propria risata, con tanto di rotolata tattica sul pavimento.

Il cambio d'atmosfera lasciò Jeongguk spiazzato per l'ennesima volta, e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di ciò che aveva fatto scaturire quell'eccesso di risate.

Non c'era niente di particolarmente divertente a vista e questo non fece che confondere il minore ancora di più. Stava per chiedere a V di spiegargli cosa ci fosse di così divertente quando, avvicinandosi al tavolino da caffè, notò che Jimin aveva lasciato lì il cellulare, e che lo schermo era sbloccato, mostrando lo sfondo in tutto il suo splendore.

E Jeongguk conosceva quella foto fin troppo bene.

Sentì il rossore salirgli dalla punta dei piedi fino alle orecchie mentre si affrettava a lanciare il telefono di Jimin dall'altra parte della stanza.

Jimin.

Lo avrebbe ucciso lentamente, perché più di una volta gli aveva chiesto di cancellare quell'orrore. “Non la vedrà mai nessuno”, gli aveva detto. “Il mio telefono è più sicuro di una cassaforte!”.

Nessun posto al mondo, invece, sarebbe stato abbastanza sicuro per nascondere lui. «Posso spiegare».

Ma V non lo ascoltava nemmeno, troppo impegnato ad asciugarsi le lacrime con la manica della maglietta e a mantenersi la pancia, piegato su se stesso in posizione fetale.

La foto sotto inquisizione ritraeva un più che ubriaco Jeongguk con una succinta minigonna e dei tacchi alti; le labbra, di uno sgargiante rosso, sollevate come a voler mandare un bacio a chiunque fosse dietro la fotocamera. Qualsiasi essere umano con un po' di pudore avrebbe preferito dieci anni di carcere piuttosto che la divulgazione di quella fotografia (V invece, probabilmente l'avrebbe mostrata a tutti come soddisfazione personale, ma lui il pudore non sapeva neanche dove fosse di casa).

«Non ero in me e Yoongi-hyung ha davvero un pessimo senso dell'umorismo. Ehi, smettila di ridere!».

Ma V smise effettivamente di ridere soltanto quando Jeongguk gli assestò un pugnetto sulla testa. Questi si voltò di scatto, massaggiandosi la parte lesa e guardando il suo assalitore con il tradimento negli occhi. Jeongguk quasi si pentì del suo gesto.

«Perché l'hai fatto?».

«Perché continuavi a ridere di me!»

«Non ridevo di te, Jeonggukie! Anzi, trovo che quel rossetto ti doni particolarm-ouch! Ehi!».

quasi, appunto.

Rimasero in silenzio per un po', V che ogni tanto sghignazzava e Jeongguk che gli lanciava occhiatine, fin quando il maggiore non allargò le braccia, sbadigliando. Jeongguk guardò l'orologio e si accorse che era scattata da poco la mezzanotte.

V fece per alzarsi, lanciando furtive occhiate nella direzione dell'altro, vagamente indeciso sul da farsi.

Anche Jeongguk, dal canto suo, era indeciso: poteva davvero lasciarlo andare via, dopo che l'altro gli aveva confidato di non avere un posto in cui tornare? Era vero che di lui non sapeva nulla, ma qualcosa gli diceva che quel ragazzo non era pericoloso, che poteva dargli la sua fiducia. Non sapeva bene come o perché, ma era come se il suo sguardo gli trasmettesse... familiarità, sì. Al momento non riusciva a trovare parola più adatta.

Si schiarì la voce. «Senti, V, uhm... puoi restare a dormire qui se vuoi. A Jimin non dispiacerà e nessuno occupa il divano, quindi non darai fastidio». Si strinse nelle spalle, come a voler minimizzare la sua offerta, che però il maggiore non si fece sfuggire. Gli rivolse un sorriso rettangolare e il breve momento d'imbarazzo svanì prima ancora di iniziare.

«Speravo che me l'avresti chiesto! Inizia a fare un po' freddo lì fuori», constatò, accoccolandosi sul divano con un braccio sotto la testa.

Jeongguk si allontanò un attimo per procurargli una coperta e, quando tornò in salotto, V sembrava essersi già addormentato. Il minore si avvicinò, coprendolo con cura e sorprendendosi nel pensare che, accovacciato in quella posizione, quello stramboide dai capelli color zucca trasmetteva un qualcosa di... tenero.

Sospirò, scacciando quei pensieri e raggiungendo l'interruttore della luce. Fu solo quando stava per chiudersi la porta alle spalle che udì la voce dell'altro.

«Grazie per avermi permesso di restare qui, Jeonggukie».

Il sussurro dava un'intensità alla sua voce che a Jeongguk era sfuggita. Annuì, sorridendo appena, ma l'altro lo bloccò di nuovo.

«Per quanto riguarda la tua domanda di prima... non è che non voglio tornare a casa della mia famiglia. Il fatto è che... non ho la più pallida idea di dove casa della mia famiglia sia». A quelle parole, Jeongguk si gelò sul posto. Per la prima volta un accenno di malinconia macchiò la voce di V, e il minore fu grato del fatto che le luci fossero spente.

«Non ricordo quasi nulla della mia vita, neanche il mio nome. So solo che un giorno ho aperto gli occhi senza sapere chi fossi o dove mi trovassi. Tutto quello che c'è stato dopo è stato un mero voler sopravvivere».

Quella serietà, quella tristezza, Jeongguk decise che non si adattavano a V. E quella dichiarazione lo colpì nel profondo, più forte di quanto avrebbe dovuto, facendogli impiegare troppo tempo per formulare una risposta.

Quando mosse la bocca per parlare, si accorse che il maggiore si era già addormentato.

 

*°*°

 

La mattina seguente, Jeongguk fu svegliato dalla luce del sole.

Grugnì, maledicendosi per aver dimenticato di chiudere le tende, e si voltò dall'altro lato. Era mercoledì, ciò significava che non avrebbe dovuto frequentare nessun corso e che quindi avrebbe potuto beare del tepore delle coperte per tutto il tempo che voleva. Ma c'era qualcosa, in un angolo della sua mente, che a tutti i costi sembrava volerlo spingere ad aprire gli occhi. Ignorò il fastidio, tirandosi le lenzuola fin sopra la testa e prendendosi qualche momento per rimettere insieme i fatti che, disordinatamente, gli ronzavano per la mente. Il viso di un ragazzo con una disordinata matassa di capelli arancioni fece capolino dietro le sue palpebre chiuse, e Jeongguk pensò che il suo cervello avesse davvero una fervida immaginazione per creare dal nulla un viso così cari-

Oh

Aprì gli occhi di scatto, rotolando giù dal letto mentre la consapevolezza che gli eventi del giorno prima non erano stati una mera invenzione del suo inconscio si faceva strada dentro di lui.

Aveva davvero permesso ad uno sconosciuto mezzo matto di dormire sul suo divano? Ma cosa diavolo gli era passato per la testa?

Poi ricordò le confessioni, quelle ultime parole di V prima che il sonno lo rapisse, e gli si formò un groppo in gola.

A quanto pareva, V aveva perso la memoria a causa di un incidente: non ricordava nulla della sua vita e non aveva un posto in cui tornare. Jeongguk si domandò come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento senza essere arrestato. Sospirò.

Si concentrò, tentando di cogliere qualche rumore provenire dal salotto – erano appena le otto del mattino, probabilmente V dormiva ancora e non sarebbe stato di certo Jeongguk a svegliarlo – e dopo poco udì una voce – quella di V, impossibile confondersi – intenta a discutere animatamente con qualcuno. Jeongguk aggrottò la fronte: era piuttosto certo che Jimin avesse un corso da frequentare a quell'ora e che in casa non ci fosse nessun altro. Così, senza fare il minimo rumore, aprì la porta e si avviò in cucina in punta di piedi.

La scena che gli si presentò davanti agli occhi gli fece mettere in discussione la sua stessa sanità mentale.

«Ti dico di no, G-Dragon! Sono piuttosto convinto che sia proprio come dice Seungri. La luna è fatta di formaggio, altrimenti perché dovrebbe avere tutti quei buchi? Crateri, dici?Impossibile. Ah! Guardate, Jeonggukie si è svegliato! Coraggio, Kookie-ah, perché non dici la tua?».

Jeongguk sbatté le palpebre.

V indossava un grembiule rosa – da dove fosse venuto fuori, Jeongguk non ne aveva idea – ed era intento a cucinare quelle che avevano l'aria di essere frittelle. A tavola, dietro di lui, cinque pupazzi di pezza – questi Jeongguk sapeva da dove fossero venuti fuori: Hoseok-hyung aveva questa strana abitudine di regalare un peluche a Jimin ad ogni occasione importante... - attendevano il cibo con tanto di vettovaglie dinanzi. C'erano due posti vuoti a tavola, che Jeongguk suppose fossero destinati a lui e V.

«Hai dato i nomi dei membri dei BigBang a dei pupazzi?».

E quella era davvero la cosa meno grave di tutta la situazione ma Jeongguk sapeva che, se si fosse soffermato sul resto, avrebbe finito col dare di matto.

V gli rivolse uno sguardo divertito, sfoggiando il suo sorriso rettangolare e Jeongguk cercò di ignorare il modo in cui il suo stomaco si strinse.

È matto, si disse. Resta con i piedi per terra.

Con molta cautela, e senza distogliere lo sguardo dai peluche – forse sarebbe stato corretto dire che la situazione lo aveva un po' sconvolto – si accomodò ad uno dei due posti vacanti.

«Uhm. Credo che G-Dragon abbia ragione».

Sbarrò gli occhi non appena si rese conto che quelle parole erano uscite proprio dalla sua bocca. Ma che diavolo?! Sto impazzendo davvero?

Lo sguardo sul volto di V mutò in uno di delusione pura e Jeongguk per un istante desiderò rimangiarsi ciò che aveva appena detto. Capelli-arancioni posò la forchetta con la quale stava sbattendo le uova sul ripiano, voltandosi completamente verso il minore.

«Vorresti farci credere che la luna non è fatta di formaggio? E che quindi in Francia non preparano una speciale fonduta con pezzi provenienti direttamente dalla sua superficie?».

Jeongguk rimase a bocca aperta: improvvisamente la sua mente si era svuotata di qualsiasi idea e qualsiasi logica. Tutto ciò che voleva era far sparire quello sguardo dal volto dell'altro.

«B-beh, siamo due contro due, no? Vediamo cosa dicono gli altri e, per alzata di uhm, zampa, la maggioranza vince».

V fissò i peluche uno ad uno, in silenzio. Dopo un minuto circa, il suo grido di esultanza spaventò Jeongguk al punto da farlo quasi cadere dalla sedia.

«Ah-ah! Abbiamo vinto! Mi dispiace Jeonggukie, ma l'unico a condividere la tua folle teoria è G-Dragon».

Jeongguk non osò controbattere.

Quando la colazione fu pronta, anche V si sedette a tavola. Il minore si domandò chi avrebbe mangiato tutto quel cibo in più, ma non diede voce ai suoi dubbi. Cercò di concentrarsi sul pasto – inaspettatamente gustoso – ignorando la conversazione silenziosa di V, anche quando questi iniziava a ridere all'improvviso a causa di qualche battuta che solo lui e i suoi amici di peluche potevano sentire.

 

V parlava molto e di tante cose.

Jeongguk si rese conto che ascoltare le sue teorie bizzarre era piuttosto divertente (e, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, alcune avevano anche il loro senso) e quando alzò lo sguardo per controllare l'orario, si rese conto che era passata più di un'ora senza che se ne rendesse conto.

La cosa non lo lasciò del tutto indifferente, perché Jeongguk non era un tipo estremamente socievole e per di più non amava chiacchierare del nulla. Eppure, seduto a quel tavolo in compagnia di V e di cinque peluche, era stato totalmente assorbito dal momento.

«A che pensi?».

Jeongguk distolse lo sguardo dal punto che si era ritrovato involontariamente a fissare e lo puntò in quello dell'altro. «Uh?».

V ridacchiò. «Sembravi essere su un altro pianeta, quindi mi sono chiesto a cosa stessi pensando».

«Oh».

Non avrebbe potuto dirgli che stava pensando a quanto gradisse la sua compagnia, quindi optò per la prima cosa che gli passò per la testa. «Pensavo al fatto che, tra i membri dei BigBang, G-Dragon è quello che preferisco».

V sorrise. «Ecco perché andate così d'accordo».

Il suo sorriso era contagioso e Jeongguk si ritrovò, anche se con meno convinzione, a ricambiarlo.

«Sai, sei la prima persona che non mi guarda con disgusto dopo avermi visto parlare con oggetti inanimati».

La confessione spiazzò il minore, che si ritrovò a corto di parole.

«Da quando ho memoria – ovvero sette anni all'incirca – sono sempre stato solo. E la solitudine è davvero orribile, soprattutto quando tutti pensano che tu sia strano e quindi nessuno ti si avvicina. Questo è il mio modo di sconfiggere la solitudine, di rimpiazzare le figure che potrebbero esserci state nella mia vita, di cui però non ho ricordi».

Il suo sorriso era triste, ma non per questo meno sincero. Jeongguk avvertì l'irrefrenabile impulso di stringerli una mano per confortarlo, quindi le infilò entrambe nelle tasche della felpa.

C'erano così tante domande che gli ronzavano nella testa... domande a cui non si aspettava di ricevere risposta, ma che non riuscì a trattenersi dal porre.

«Come...cioè, quando-cosa...?».

«Cosa mi è successo?».

Jeongguk arrossì, annuendo appena.

«Sinceramente? Non ne ho idea. Mi sono svegliato sulla riva di un fiume, solo e senza documenti. Non c'era niente nelle vicinanze che avrebbe potuto far pensare ad un incidente, ma la mia testa sanguinava ed era tutto confuso...

Sono svenuto e mi sono risvegliato qualche ora dopo, e tutto il corpo mi faceva più male di prima. Onestamente, ero certo che sarei morto. Ma non volevo morire, così mi sono fatto forza e mi sono tirato su. Ho camminato a lungo prima di incrociare qualcuno. Poi questa signora mi ha caricato in macchina, disse che mi stava portando in ospedale ma faceva così tante domande a cui non sapevo risponderle... probabilmente cercava solo di farmi restare sveglio. Mi chiese cosa fosse successo, come mi chiamassi, quanti anni avessi... era preoccupata, lo capivo, ma no potevo risponderle...».

Sospirò, massaggiandosi le tempie come se ricordare quegli eventi gli procurasse ancora dolore fisico.

«Probabilmente svenni di nuovo, perché quando riaprii gli occhi era tutto bianco e la faccia barbuta di un dottore mi fissava sorridente.

“Sei sopravvissuto a delle ferite non indifferenti, ragazzino. Puoi considerarti un vincente!” Vincente, disse, e mi piaceva il suono di quella parola. Così, dato che nessuno conosceva il mio nome, da quel momento iniziai a farmi chiamare V».

Il sorriso gli illuminò il viso per un brevissimo istante.

«Scoprii di essere rimasto incosciente per circa tre giorni. Avevo più o meno 15 anni e l'ospedale aveva già dato il via alle pratiche per l'affido. Sarebbe stata una famiglia o l'orfanotrofio, e sinceramente non mi andava bene nessuna delle due opzioni.

Così, quella stessa notte, scappai e decisi che sarei riuscito a cavarmela da solo.

Non volevo essere adottato. Ero convinto, in un certo senso, che prima o poi i miei genitori sarebbero venuti a cercarmi. Ovviamente, così non è stato».

Abbassò lo sguardo suo suo piatto vuoto e quel punto Jeongguk si allungò sul tavolo per stringergli la mano, al diavolo tutte le restrizioni che si era auto imposto: quel ragazzo stava soffrendo e meritava di sapere che non era solo... non più.

V sorrise appena, ricambiando la stretta di mano senza però incrociare lo sguardo del più piccolo. Sospirò, poi riprese a raccontare.

«Li avrei cercati io, se avessi potuto. Ma senza un nome o qualsiasi altra informazione è un po' difficile rintracciare qualcuno. Così ho aspettato e aspettato, ma mai nessuno è venuto a riprendermi. E poi, a sedici anni...».

Dopo quello, ci fu una pausa significativa che costrinse Jeongguk ad alzare lo sguardo. Il minore sapeva che V stava valutando qualcosa. Lo sentiva. Come se l'informazione che era indeciso se dare o meno fosse più importante di tutto il resto. V incrociò lo sguardo dell'altro, ma solo per una frazione di secondo.

«...a sedici anni trovai un lavoretto e un posto economico in cui stare. E la mia vita è andata avanti in questo modo fino a poco fa...».

La mano del maggiore sgusciò via dalla presa di Jeongguk, mentre si alzava per mettere i piatti nel lavello – e conservare il cibo non mangiato in frigorifero.

Jeongguk invece rimase lì, immobile, cercando di processare tutte quelle informazioni e pensare a qualcosa da dire che fosse coerente e non banale. Non si sarebbe mai aspettato che V gli rivelasse il suo passato con tanta facilità, anche se sapeva che c'era qualcosa che aveva preferito tenere per sé.

Non aveva indagato e non lo avrebbe fatto: il maggiore aveva tutto il diritto di omettere pezzi della sua storia, se così si sentiva di fare. In fondo, quella era la sua vita e Jeongguk non c'entrava niente e inoltre si conoscevano da meno di 24 ore, anche se più volte durante quella mattina al minore era passato di mente. Come se lui e V si conoscessero da sempre.

«Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare», mormorò, cercando il suo sguardo. «Non posso neanche immaginare quanto dev'essere stata dura».

V si strinse nelle spalle, accennando un sorriso. «Il passato è passato, non si può cambiare. Quello che è davvero importante è vivere il presente e costruire un futuro che valga la pena di essere vissuto. E, a questo proposito, dovrei trovarmi un nuovo lavoro».

Jeongguk sorrise a sua volta, accettando il cambiamento d'argomento e d'atmosfera. «Quanti lavori hai cambiato? Non sembri il tipo che riesce a dedicarsi alla stessa cosa per troppo tempo», ghignò, alzandosi per raggiungerlo.

«Ti sbagli! Amavo il mio lavoro da aiuto cuoco, ma evidentemente il mio lavoro non amava me».

Il minore non poté non ridere a quell'affermazione.

«Che diavolo hai combinato per farti cacciare?».

«Beh, diciamo solo che riacquistare tutti i piatti che rompevo iniziava a costare più del mio stesso stipendio, quindi...».

«In questo caso», iniziò il minore, sorridendo. «Lascia che ti aiuti a lavare questi. Non ho così tanti piatti, né soldi per ricomprarli».

E senza pensarci, Jeongguk fece una cosa che non faceva mai: sollevò le maniche della felpa, lasciando scoperto il punto più vulnerabile di se stesso. Lo aveva fatto con leggerezza e V aveva seguito i suoi movimenti come ipnotizzato. Fu proprio quando notò lo sguardo dell'altro sul proprio polso che qualcosa scattò nel suo cervello, facendogli prendere coscienza delle sue azioni. Ma era troppo tardi, perché V lo aveva visto e sicuramente avrebbe fatto domande alle quali Jeongguk non voleva rispondere.

Ma, inaspettatamente, ci fu solo silenzio dopo quel momento.

Il minore iniziò a lanciare sguardi confusi all'altro, perché era la prima volta che qualcuno non gli domandava nulla del suo contatore bloccato, e Jeongguk proprio non riusciva a capire il motivo di quel silenzio.

Fu solo quando l'espressione di V iniziò a diventare sempre più cupa, ed il silenzio troppo opprimente, che Jeongguk dimenticò i suoi drammi interiori e concentrò la sua attenzione sull'altro.

«Ehi, tutto bene?».

Quello sussultò, come se avesse completamente dimenticato la presenza di qualcun altro nella stanza.

«Eh? Ah, sì, ho solo – ho solo bisogno di fare due passi», disse in fretta, asciugandosi le mani sul grembiule rosa per poi sfilarselo dal collo.

Jeongguk si morse l'interno della guancia, osservando V che quasi correva verso la porta, infilandosi le scarpe.

Si sentì in colpa per averlo spinto a parlare di cose che evidentemente gli provocavano ancora dolore, rimproverando se stesso per la sua curiosità e invadenza. Non sapeva come articolare le sue scuse, così optò per qualcosa di più semplice.

«Torni, più tardi? Ti offro il pranzo».

Gli sorrise incoraggiante, il senso di colpa negli occhi. Il maggiore ricambiò appena. «Certamente, Jeonggukie».

Così Jeongguk attese.

Ma V non tornò più.

 

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Capitolo 2
*** Atto II ***


La fine di ottobre portò con sé le foglie ingiallite, e i rami spogli vennero ben presto imbiancati dalla neve di metà dicembre.

Assieme alla neve, un'atmosfera natalizia che alla Corea del Sud apparteneva poco, e quell'occasione veniva vista e festeggiata più che altro come un secondo San Valentino, ancor più in pompa magna della già di per sé noiosissima giornata di febbraio.

Jeongguk sbuffò annoiato, facendo zapping tra i canali anche se in realtà non stava neanche prestando attenzione a ciò che trasmettevano. La neve aveva bloccato un sacco di strade e fuori faceva discretamente freddo: questo lo obbligava a passare le sue appena iniziate vacanze rinchiuso nel dormitorio a far nulla.

Jimin, assieme a Hoseok, era tornato a Busan per salutare la famiglia.

Anche se la signore Jeon aveva pregato suo figlio di tornare a casa per le feste, Jeongguk non ne aveva volito sapere. Preferiva restare chiuso nella sua stanza a Seoul, invece che essere costretto ad osservare le coppiette dare il meglio di sé in quel periodo dell'anno che, per lui, non aveva nulla di speciale.

«Siamo rimasti solo io e te, G-Dragon», sospirò, accarezzando la testa del peluche al suo fianco.

Non aveva smesso un solo giorno di rivolgersi a quei pupazzi con i nomi che V aveva affibiato loro. Come se questo gli permettesse di ricordarsi più vividamente di quello strambo ragazzo dai capelli arancioni, che in 24 ore gli aveva raccontato tutto di sé e poi era sparito.

Dopo quella mattina di metà ottobre, V era letteralmente sparito nel nulla.

Jeongguk continuava a sentirsi in colpa e sarebbe una bugia bella e buona affermare che l'incontro col ragazzo non gli avesse smosso qualcosa.

E l'aveva cercato, Jeongguk. L'aveva cercato al parco, alla lavanderia a gettoni e girando per quella zona; aveva fermato qualche passante che però aveva scosso la testa chiedendo scusa. Aveva persino sperato di incontrare il tipo inquietante che li aveva inseguiti quel giorno, ma nulla.

V era scomparso e Jeongguk, alla fine, se n'era fatto una ragione. Anche se continuava a parlare con i pupazzi.

Ma anche se l'aveva in qualche modo accettato, voleva delle risposte: perché aprirsi in quel modo e poi sparire? Si era forse pentito di essersi fidato di Jeongguk? Il minore non pensava di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Poi, la sera, arrivavano i pensieri e gli scenari peggiori: e se a V fosse accaduto qualcosa di terribile? Nessuno lo avrebbe mai saputo.

Andava a letto con una sorta di angoscia e si risveliava con la consapevolezza che V aveva vissuto sette anni senza nessuno a prendersi cura di lui ed era sopravvissuto. In qualche modo, quindi, sapeva cavarsela.

Aveva solo deciso di scomparire e Jeongguk non avrebbe mai scoperto il perché.

 

Le giornate passavano lente, senza Jimin a fargli compagnia. Più di una volta pensò che forse sarebbe stato meglio tornare a casa, ma puntualmente bocciava l'idea classificandola come “la peggiore che gli fosse mai venuta negli ultimi dieci anni”, che era parecchio tempo.

La Vigilia era ormai alle porte e Jeongguk non aveva piani speciali per quella data. Magari sarebbe andato a prendersi un cappuccino e l'avrebbe sorseggiato fissando il nome tatuato all'interno del suo polso sinistro, senza pronunciarlo perché non aveva senso godere della musicalità che Kim Taehyung possedeva, se mai lo avrebbe usato per chiamare la sua metà. Sospirò – aveva perso il conto di quante volte lo aveva fatto in quelle ultime settimane – e afferrò il cellulare quando la vibrazione lo avvertì della presenza di un nuovo messaggio.

 

»» Da: Jiminnie

“Portrei averti organizzato un appuntamento al buio per domani ;) ;) ;) Non c'è bisogno di dirmi grazie, sono il migliore e lo so”.

 

Jeongguk grugnì.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Scordatelo”

 

»» Da: Jiminnie

“Kookie!!!!!!! Non fare l'asociale. È solo per fare amicizia!!!!”

 

Jeongguk odiava gli appuntamenti al buio, e Jimin glieli rifilava da circa due anni. Di solito erano con gente che sì, aveva un'anima gemella, ma che magari cercava... un'altra persona con cui condividerla. E Jeongguk non era proprio in quel giro.

Jimin, troppo innocente per il mondo, pensava davvero che i tipi o le tipe con cui gli organizzava incontri cercassero un'amicizia, e il minore non voleva rompere l'idillio del suo mondo ideale dove tutti si amano e la gente è buona, così non gli aveva mai detto la verità. Certo, qualche volta aveva ceduto ad un tipo o due, ma era l'inizio e aveva voglia di sperimentare. Quando aveva capito che gli incontri di una notte e la condivisione del partner non facevano per lui, si era rinchiuso nella sua bolla fatta di studio, Jimin e autocommiserazionem senza mettere piede fuori casa se non per ragioni di mera sopravvivenza e guadagnandosi la nomina di “asociale d'oro” del gruppo. Gruppo, sì, perché in effetti un gruppo di amici lo aveva. Ma, oltre a quei pochi, non permetteva a nessuno di avvicinarsi troppo a lui.

Beh, fatta eccezione per V.

Sbuffando, digitò velocemente la risposta diretta a Jimin.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Ora e luogo?”

 

Non gli interessava davvero, perché non ci sarebbe andato, ma se questo bastava a mantenere alto l'umore del suo migliore amico, si sarebbe quantomeno finto interessato.

 

»» Da: Jiminnie

“18.00, caffetteria del campus. la ragazza si chiama kyomi e porterà la sua anima gemella, harumi. sono giapponesi in vacanza non è fighissimo?!?!”

 

Jeongguk roteò gli occhi. Fighissimo? Due ragazze in vacanza: non sarebbe potuta andare peggio di così.

 

»» Rispondi a: Jiminnie

“Va bene, ci andrò. Grazie Chim-Chim”

 

L'altro non rispose ma il minore sapeva che stava sorridendo dietro lo schermo. Era una noia quel ragazzo, ma non poteva che essere felice di averlo nella sua vita.

Quella sera Jeongguk si addormentò sul divano, e un ragazzo mezzo matto dalla capigliatura arancione popolò i suoi sogni.

 

*°*°*

 

Jeongguk rispose al telefono senza neanche controllare chi lo stesse chiamando, ma non ebbe il tempo di spiccicare parola.

«Jeon Jeongguk, dove diavolo sei?!»

«Uhm». Jeongguk lanciò uno sguardo all'orologio del televisore: le 18.34. «Ehm, la linea è disturbata crrr-scusa Jimin, non ti sentcrrr-».

«Non usare questi trucchetti con me, moccioso! La mia amica Kyomi mi ha telefonato chiedendomi dove tu fossi! Avevi intenzione di lasciare due ragazze ad aspettarti all'infinito? Che immagine vuoi dare al mondo di noi coreani?»

Il tono indignato di Jimin quasi lo fece sentire in colpa.

«Senti, Chim-Chim...»

«Non chiamarmi “Chim-Chim”, Jeongguk! Lo fai sempre quando vuoi accattivarmi! Se non sarai alla caffetteria entro le 19.00, giuro sui miei adorati pupazzi di peluche che ti accompagnerò mano nella mano ad ogni prossimo incontro che ti fisserò!»

Oh, pensò Jeongguk. Quella sì che sarebbe stata una tragedia.

Sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.

«Va bene, va bene, dì loro che sto arrivando».

Un “Sarà meglio per te” in tono minaccioso fu l'ultima cosa che udì prima che la chiamata venisse interrotta.

Borbottando, chiuse la zip della felpa e s'infilò le scarpe, uscendo di casa in tutta fretta.

Avrebbe detto alle ragazze che non era interessato a quello che loro avevano da offrirgli – magari pregandole di non dire la verità a Jimin, povera anima innocente – e sarebbe tornato a casa a far nulla.

Fortunatamente la caffetteria in questione on era poi molto lontana dal suo dormitorio, quindi non avrebbe dovuto patire il freddo troppo a lungo. Quando entrò nel locale, strofinando le mani tra loro per generare un po' di calore, due ragazze dall'altra parte del locale gli puntarono lo sguardo addosso.

Jeongguk sospirò, andando verso quel tavolo: dovevano essere loro Kyomi e Harumi.

«Jeongguk-sshi?», cinguettò una delle due, attorcigliandosi una ciocca di capelli al dito. «Sei ancora più carino di quanto ci aveva detto Jimin!».

Il ragazzo roteò gli occhi, a rischio anche di essere scortese – ma poco gli importava, sinceramente – infilando le mani nelle tasche anteriori dei jeans. «Grazie. Ehm, mi dispiace ragazze, ma io...».

Quello che successe dopo, Jeongguk non se lo sarebbe mai aspettato. Rimase a bocca aperta, seguendo con lo sguardo il cameriere dai capelli arancioni che scompariva dietro una porta riservata ai dipendenti.

«...devo andare».

Terminò la frase in fretta e furia, senza concedere alle due nemmeno un altro sguardo.

Non sapeva se le ragazze avessero detto qualcosa dopo oppure no, perché i suoi piedi si erano mossi da soli verso la porta che, riaprendosi, gli arrivò dritta in faccia.

«Mi dispiace!».

Jeongguk si coprì il naso con le mani, controllando che non stesse sanguinando e abbassando il capo, mentre il cameriere continuava a scusarsi e, dal suo tono, sembrava quasi che avrebbe potuto gettarsi in ginocchio implorando perdono da un momento all'altro. «Mi dispiace così tanto, signore! La prego, non si lamenti con il direttore, le offrirò qualsiasi bevanda lei desideri ma la prego! Ho bisogno di questo lavoro e sembra che quel vecchio stia solo cercando un pretesto per buttarmi fuori!». Poi spalancò gli occhi, mettendosi le mani sulla bocca. «Non le dica neanche che l'ho chiamato vecchio! Le offrirò da bere per una settimana, per favore!».

Fu quello il momento in cui Jeongguk sollevò il viso ed i loro sguardi s'incrociarono.

«Jeon Jeongguk». E il suddetto non poté impedire al suo stomaco di aggrovigliarsi quando l'altro pronunciò il suo nome.

Il silenzio si protrasse per qualche attimo di troppo, così come quell'intenso scambio di sguardi. Poi il maggiore chinò il capo stringendosi il vassoio al petto, e fece per andare via. Jeongguk, in un riflesso involontario, gli afferrò il polso per bloccarlo.

«V, aspetta un attimo».

«Devo lavorare».

«Allora aspetterò io. È la Vigilia di Natale e non ho niente di meglio da fare».

A quelle parole, il maggiore alzò lo sguardo. I suoi occhi erano criptici e, diversamente dall'ultima – e prima – volta, erano quasi... spenti. Eppure, il calore era ancora lì da qualche parte.

«Va bene. Stacco tra poco, puoi sederti a quel tavolo», disse, idicando un punto in fondo al locale, fortunatamente dalla parte opposta rispetto alle due ragazze – che, in ogni caso, sembrava stessero andando via. «Ti offrirò da bere, per scusarmi della porta in faccia», e Jeongguk pensò che quella fosse l'ultima cosa di cui V dovesse scusarsi. «Cosa vuoi?».

La domanda poteva essere intesa in tanti modi diversi, ma il minore optò per la risposta più semplice in quel momento. «Un caramel macchiato, grazie».

«Ricevuto».

V sparì dietro il bancone e Jeongguk prese posto al tavolo indicatogli, mentre una vocina nella sua testa gli domandava insistentemente che cosa diavolo avesse intenzione di fare adesso.

L'ordinazione gli fu portata da un'altra cameriera, a cui Jeongguk sorrise educatamente.

Era chiaro che volesse sapere perché V fsse sparito così, senza una parola, ma non era sicuro di sapere perché gli interessasse così tanto saperlo. Più volte aveva ricordato a se stesso che V era un estraneo e non gli doveva nulla, che aveva tutto il diritto di sparire se era ciò che voleva e che lui non era nessuno per chiedergli una spiegazione. Eppure sentiva il bisogno di averne e, nel caso, di chiedergli scusa.

Si disse, quasi autoconvincendosi, che era proprio quella la ragione alla base di tutto: voleva scusarsi se e per averlo turbato, chiedendogli di raccontare del suo passato. E, in fondo, magari accusarlo per averlo fatto preoccupare a causa della sua sparizione.

No, si ripeté. Non puoi accusarlo, non hai ragioni di preoccuparti per lui.

Sospirò, prendendo un sorso del caramel macchiato e beandosi del suo tepore dolce. Jeongguk non era un amante dei dolci, ma quella bevanda gli ricordava casa, la sua infanzia e i pomeriggi passati a studiare, interrotti dal quieto bussare di sua mamma che, chiedendogli se andasse tutto bene, gli posava sulla scrivania una tazza della calda bevanda.

Il calore era ormai solo un ricordo quando il ragazzo riusciva finalmente ad alzare la testa dai libri, ma il gusto dolce del caramello gli sarebbe rimasto sulla lingua fino all'ora di cena.

Jeongguk sorrise.

«Hai un bel sorriso quando non sei impegnato a tener su la tua facciata da duro».

Il minore sussultò, notando che l'altro si era liberato dalla divisa in favore di un largo maglione beige che gli lasciava scoperte le scapole, e che era seduto proprio di fronte a lui con una tazza fumante tra le mani.

«E tu sembri quasi una persona seria, sul posto di lavoro».

V sorrise e Jeongguk dovette mordersi l'interno della guancia per non emettere squittii imbarazzanti. Non sarebbe stato da lui, non importava quanto V fosse bello quando sorrideva.

«Visto? Non capisco perché il mio vecchio datore di lavoro mi abbia licenziato: sono il dipendente modello!».

Ci fu un momento di silenzio in cui entrambi abbassarono lo sguardo, immersi ognuno nei propri pensieri e alla ricerca delle giuste parole da usare. Quando parlarono, lo fecero contemporaneamente.

«Senti, V-».

«Jeongguk, mi-».

Si bloccarono, sorridendo, ed il maggiore fece segno all'altro di continuare.

«Mi dispiace per essere stato invadente, non volevo costringerti a-».

«No, dispiace a me per essere sparito senza una parola. Non hai detto niente di sbagliato, è che...», sospirò, indicando il polso sinistro di Jeongguk. «la vista di quello mi ha turbato. Non che sia colpa tua o cosa, ma...».

E qui V esitò, come quella volta nella cucina di Jeongguk, trattenendo il fiato. Ritirò il dito che quasi aveva sfiorato l'interno del polso di Jeongguk e nascose la mano sotto il tavolo. «...non mi piace l'idea di questa storia dell'anima gemella, sai. Di queste cose scritte nelle stelle e roba del genere. Perché se penso al fatto che ci sia un destino da seguire e che la nostra vita è già scritta e tutto il resto... beh, quello che ha scritto la mia è proprio un grande str-».

Si bloccò, portandosi una mano alla bocca e sgranando gli occhi, come shoccato dal fatto che avesse quasi detto una parolaccia. In effetti, Jeongguk proprio non riusciva ad immaginarselo mentre ne diceva una.

Fu quello l'esatto momento in cui lo sguardo del più piccolo cadde sull'interno del polso sinistro di V, rivelando nessun nome e nessun timer. Solo un'orrenda cicatrice guarita male, come se in quel punto V avesse cercato di strapparsi la pelle fino alle ossa. Jeongguk comprese quanto profondamente l'altro credesse nelle parole che stava pronunciando.

«Capisco».

Aveva di certo capito che nessuna domanda, per nessuna ragione al mondo, doveva essere posta a V su questo argomento. Evidentemente per il maggiore era un tasto dolente più di quanto lo fosse per lui.

V inclinò il capo, un velo di curiosità negli occhi, e Jeongguk si ritrovò a parlare prima ancora di avere la possibilità concreta di fermare il proprio flusso di parole.

«Neanche io credo tanto in questa storia. Cioè, beh, ci credevo... prima di rendermi conto che la mia “anima gemella” sembra essersi rifugiata in un'altra dimensione o qualcosa del genere».

Il minore si passò una mano dietro il collo, cercando di alleggerire la tensione con una risatina imbarazzata.

Per un brevissimo istante, gli occhi di V si riempirono di tristezza.

«Quello che voglio dire è che nessuno, neanche questo fantomatico destino, dovrebbe decidere per noi. Dovremmo essere liberi di innamorarci di chi vogliamo, di stare insieme a qualcuno perché lo abbiamo conosciuto, imparando ad accettare i suoi difetti ed ammirare i suoi pregi, e non a causa di uno stupido nome tatuato sulla pelle da qualche tipo di forza maggiore».

V sorrise. «Siamo simili, io e te, non credi? Per un motivo o per un altro nessuno di noi due è schiavo di quello che gli altri chiamano fato».

Jeongguk annuì incerto e il sorriso di V si allargò. Sorseggiarono ognuno la propria bevanda per un po', prima che il minore si schiarisse la voce.

«Allora... è tutto okay? Tra me e te intendo... siamo a posto?».

Una domanda celata malamente dietro una più banale: possiamo vederci ancora?

Il maggiore sfoggiò il suo ghigno rettangolare, incrociando le mani sul tavolo.

«Sì, Jeon Jeongguk, siamo a posto! Più che a posto, adesso siamo amici!».

E, nell'udire quelle parole, Jeongguk proprio non riuscì a reprimere un sorriso.

 

*°*°*

 

Essere amico di V voleva dire passare più tempo con lui che con se stesso. Dopo quel giorno in caffetteria, il maggiore aveva insistito per incontrarsi il pomeriggio dopo e quello dopo ancora. Avevano chiacchierato di tutto e di niente, come la prima volta e, alla fine, V aveva sottratto il cellulare a Jeongguk per salvare il proprio numero.

«Niente applicazioni bizzarre di messaggistica istantanea, questo rottame non ha la connessione dati», aveva poi ghignato, mostrando il vecchio cellulare a Jeongguk. «L'ho comprato ad un prezzo misero da un nonnetto che mi guardava in modo strano. Non sarà il massimo, ma meglio di niente».

Ma il minore non avrebbe mai immaginato di dover impostare l'apparecchio in perenne modalità silenzioso a causa degli sms agli orari più impensabili.

 

»» Da: V-hyung

“Jeonggukie!!! Stai studiando?? Cosa fai?? Ho appena finito di lavorare e mi annoio!!!!! :D :D :D”

 

Jeongguk si coprì la testa con il cuscino, aspettando gli altri millemila messaggi che sarebbero arrivati nel giro di qualche minuto.

 

»» Da: V-hyung

“Jeonggukie???”

“Jeon Jeongguk, rispondimi subito!!!!!”

 

Jeongguk grugnì, lanciando un'occhiata all'orologio sul comodino. Il quadrante digitale segnava le 02:38.

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Hyung, sono quasi le tre di notte. Dovresti tornare a casa a dormire”.

 

»» Da: V-hyung

“Stai proponendo un pigiama party? Ci sto! Come la vuoi la pizza?”

 

Sospirò, sorridendo appena.

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Salame”

 

Così era iniziata la loro amicizia e, in tutta onestà, a Jeongguk andava più che bene.

 

 

Quel pomeriggio di fine gennaio, i due lo avevano passato sul divano di Jeongguk, una ciotola di popcorn a dividerli, mentre commentavano il film senza staccare gli occhi dal televisore.

«È assurdo che tu preferisca questo al primo, hyung. Insomma, il primo è su un livello decisamente diverso».

«Come puoi dirlo? È qui che si mette davvero alla prova l'amicizia di BuzzLightYear e Woody. È toccante il modo in cui da nemici siano diventati quasi migliori amici».

Jeongguk roteò gli occhi. «Guarda che diventano amici già nel primo film, quando restano bloccati a casa del-».

«Okay», lo interruppe l'altro, infilandosi una manciata di popcorn in bocca. «Okay, ma penso che quella trama fosse decisamente ovvia. Di certo Woody non avrebbe potuto lasciare che Buzz saltasse per aria: che razza di insegnamento avrebbero dato ai bambini?».

Il minore roteò gli occhi, afferrò un popcorn e glielo lanciò dritto in faccia. «”V” sta per stupido».

E V si girò, lanciandogli a sua volta un popcorn. «Nerd. Se devi citare Jinx, almeno fallo con il giusto tono di voce».

Jeongguk aprì la bocca per replicare, ma fu interrotto dal trionfale ingresso di Jimin. «Toy Story e League of Legends? Davvero? Dio, che sfigati». I suddetti sfigati gli lanciarono un'occhiataccia. «Chim-Chim, te l'hanno mai detto che è da maleducati origliare?».

«Origliare? Non lo chiamerei origliare, quando sono state proprio le vostre irritanti voci a svegliarmi. Adesso, voi due perdenti, che ne dite di sfilarvi il pigiama e venire a fare un giro con me e Hobi-hyung?»

Jeongguk e V si scambiarono un'occhiata.

«Non ho vestiti adatti per andare in giro», borbottò V.

«Kookie-ah può prestarti qualcosa. O se preferisci posso prestarti qualcosa io».

«Uhm, Jiminnie, ho superato la taglia 10-12 anni da un po', ma grazie lo stesso».

Lo sguardo dell'altro divenne di fuoco: era sempre sensibile ai commenti riguardanti la sua statura. «Aish, fottuto-», si bloccò, sospirando per mantenere la calma. «In ogni caso, vi concederò esattamente due minuti prima di prendervi a calci in culo e-».

«Okay, okay! Andiamo a vestirci, noiosissimo nano da giardino!».

Jimin diventò rosso di rabbia. «È “hyung” per te!».

Ma Jeongguk aveva già chiuso la porta della sua stanza alle loro spalle, senza degnare l'altro di considerazione.

V aveva già iniziato a spulciare tra i cassetti del minore, cercando qualcosa da indossare; Jeongguk si limitò ad afferrare un jeans e una maglia nera già scartati dall'altro. Si voltò per cercare un paio di calzini e, quando tornò a guardare nella direzione di V, questi si era già liberato della maglia del pigiama e si accingeva a calarsi i pantaloni.

«Who-oh! Aspetta!», esclamò il minore, mettendosi per riflesso le mani davanti agli occhi. «Perché diavolo fai sempre...così?». Il suo tono, partito come un grido, andò affievolendosi sempre di più, fino a diventare un mero sussurro. Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi e Jeongguk si ritrovò a fissare V come un idiota.

Il maggiore non aveva un fisico muscoloso, anzi le sue fattezze erano piuttosto femminee. Questo però non faceva che renderlo ancora più attraente.

Quando l'espressione vagamente confusa di V si trasformò in un ghigno, Jeongguk si rese conto di quanto dovesse risultare inquietante il suo fissare in quel momento. Arrossendo, afferrò i vestiti e annunciò che sarebbe andato a cambiarsi in bagno.

Cosa diavolo mi succede?, pensò, rinfrescandosi il viso sotto il getto d'acqua del lavandino. Da quando ho iniziato a considerare V attraente?

L'aveva definito carino, una volta, ma solo perché lo era... oggettivamente, s'intende. Considerarlo attraente era totalmente diverso e gli creava un certo imbarazzo. Loro erano amici, no?

Istintivamente, lo sguardo gli cadde sul polso sinistro.

Non poteva sentirsi in colpa nei confronti di un nome perché provava attrazione per qualcun altro, eppure era proprio ciò che stava provando in quel momento.

Si rivestì velocemente e, quando uscì dal bagno, trovò Jimin impegnato a sistemare la matassa ribelle di capelli di V. E diamine, Jimin aveva fatto proprio un bel lavoro.

Non fissare, Jeongguk, si impose, passando accanto ai due con nonchalance.

«Quanto sei carino, Jeonggukie!», cantilenò V, sfoggiando il suo sorriso rettangolare.

Il più piccolo incrociò lo sguardo divertito di Jimin – che sembrava aver capito la situazione più dei due soggetti in questione – prima di borbottare un “grazie” e affondare tra i cuscini del divano.

 

Una decina di minuti dopo - ovvero quando Jimin fu totalmente soddisfatto del suo lavoro con i capelli di V - i tre uscirono di casa e iniziarono a camminare verso il pub in cui avrebbero dovuto incontrare il resto dei loro amici.

Jeongguk era felice del fatto che V si fosse integrato così bene tra di loro e in così poco tempo: lui, V e Jimin erano ormai un trio quasi inseparabile, la maknae line della loro comitiva, e anche Hoseok e Seokjin sembravano aver preso a cuore il nuovo arrivato. In fondo, era difficile che a qualcuno risultasse antipatico V: era un po' fuori di testa, certo, ma se era riuscito a sciogliere anche i cuori – apparentemente duri - di Yoongi e Namjoon, allora non esisteva davvero anima al mondo che potesse resistere alla sua allegria e positività.

Namjoon-hyung e Seokjin-hyung erano anime gemelle, di qualche anno più grandi del resto di loro e conviventi da circa due anni, ed erano quasi i genitori – ovvero quelli vagamente più responsabili – del gruppo. Seokjin cucinava meglio di qualsiasi madre esistente e per questo, almeno una volta al mese, si riunivano per mangiare qualcosa tutti insieme a casa loro.

Yoongi-hyung era il più burbero, ma era un tipo abbastanza cool. Non aveva ancora incontrato la sua anima gemella ma la cosa non sembrava preoccuparlo più di tanto. Lui, Namjoon e Hoseok spesso si divertivano nel comporre musica e rappare, chiedendo certe volte la partecipazione degli altri.

Era un gruppo assortito, ma che funzionava bene. E V sembrava essere proprio il tassello che mancava per rendere il tutto più armonioso.

Quando arrivarono, erano già tutti lì. Jimin si fiondò immediatamente tra le braccia di Hoseok e Seokjin li accolse con un sorriso caloroso.

Iniziarono a parlare del più e del meno, bevendo e mangiando in allegria.

«Jeonggukie, non ci hai mai detto come hai conosciuto V», disse Namjoon ad un certo punto. «Ce lo stavamo chiedendo un po' tutti, prima che arrivaste».

Jeongguk tossì, imbarazzato, le guance rosse a causa dell'alcol. «Non è una storia interessante», e nella sua mente apparve l'immagine di V che faceva il bagno nel lago, nudo. Arrossì ancor più vistosamente.

«Allora perché sei diventato rosso fino alla punta delle orecchie?», lo stuzzicò Hoseok e tutti risero.

V lo guardava divertito dalla situazione ma, conoscendolo, probabilmente non avrebbe trovato nulla di strano nel raccontare come erano andati i fatti. L'imbarazzo in fondo non gli apparteneva neanche un po'.

Ma Jeongguk decise di tenere quel ricordo per sé, cambiando discorso così velocemente che, con la mente annebbiata a causa dell'alcol, nessuno se ne rese conto.

La serata continuò tra risate e scherzi, fino a quando V non si alzò per andare in bagno; a quel punto, il tavolo si ammutolì e tutti gli occhi furono puntati sul minore.

«Dovresti chiedergli di uscire».

Jeongguk quasi sputò la birra che stava bevendo. «...siamo già fuori, hyung».

Hoseok roteò gli occhi. «Tutti si sono accorti di come lo guardi e visto che... beh, visto che entrambi non avete un'anima gemella, forse dovresti... sai, chiedergli un appuntamento».

Soltanto l'idea gli fece battere il cuore più velocemente. Ma perché? A lui non piaceva V in quel senso. Erano ottimi amici, tutto qui. E a V sicuramente non sarebbe interessato uscire con lui: sarebbe stato strano e imbarazzante e non avrebbe mai fatto nulla che potesse rovinare la loro amicizia. Non che ci stesse seriamente pensando, s'intende.

«Avete preso un granchio, ragazzi. Io e V non-...».

«Io e te cosa, Jeonggukie?».

Silenzio.

«Non, uhm, amiamo bere troppo quindi non ci uniremo a loro per il giro dei pub notturno».

Wow, Jeongguk, ottima capacità di salvare la situazione.

V sorrise. «No, credo di aver già bevuto abbastanza per stasera».

«Allora dovresti accompagnarlo a casa, Kookie», suggerì Jin. «Conoscendo V, prenderebbe l'autobus sbagliato e si ritroverebbe dall'altra parte della città».

Era un suggerimento innocente, in apparenza, ma Jeongguk conosceva i suoi hyung e sapeva cosa nascondevano dietro quel sorrisetto compiaciuto. Roteò gli occhi, senza farsi vedere da V.

«Okay allora, V, andiamo».

«Uhm, 'Gukie, tu puoi rimanere se vuoi, io-».

«Non preoccuparti, tanto ero stufo di guardare le facce di questi idioti ubriachi».

«Yah! Moccioso! Modera il linguaggio con i tuoi hyung!».

Lo riprese Jimin, ma Jeongguk si limitò ad alzargli il medio e spingere via V prima che qualcuno dicesse altro.

L'aria fredda della sera lo fece rabbrividire e dopo qualche passo si accorse che V stava letteralmente tremando. Così si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle.

V guardò verso di lui, inizialmente sorpreso. Ma la sorpresa si tramutò in un sorriso riconoscente.

Nessuno disse nulla fin quando non furono davanti all'appartamento di V. Questi si sfilò la giacca e la porse al suo legittimo proprietario. «Grazie per avermi accompagnato, Jeonggukie».

Il minore si strinse nelle spalle, regalandogli un sorriso.

La situazione divenne improvvisamente imbarazzante, mentre si guardavano senza sapere cosa dire. V spostò il peso da un piede all'altro, giocando con le chiavi di casa, mentre Jeongguk si passava una mano tra i capelli. «Allora... a domani?».

L'altro annuì e il minore fece per voltarsi ed andarsene, ma V lo bloccò afferrandolo dal polso. Esitò. «Jeongguk, ascolta...».

Jeongguk aggrottò impercettibilmente le sopracciglia: erano rari i momenti in cui V si rivolgeva a lui con il suo nome intero, e quando lo faceva voleva dire che era serio.

L'altro aprì la bocca per dire qualcosa, ma proprio in quel momento il cellulare del minore squillò, rompendo il silenzio.

«Uhm, dovresti rispondere».

Jeongguk guardò il cellulare: era Jimin. C'erano altri 4 messaggi più l'ultima chiamata e sembrava che avesse dimenticato le chiavi di casa, e che quindi avesse bisogno di Jeongguk per entrare. Questi non rispose, infilando nuovamente il cellulare nella tasca. «È solo Jimin, è rimasto chiuso fuori. Cosa volevi dirmi?».

V sorrise. «Dovresti andare, fa freddo e Jiminnie si prenderà un malanno se resta troppo a lungo fuori. Ne parleremo un'altra volta».

Jeongguk non era molto d'accordo, ma se c'era una cosa che aveva imparato di V era che non bisognava forzarlo, quando non voleva dire qualcosa.

«Va bene. Buonanotte allora».

«Buonanotte Kookie».

V si chiuse la porta alle spalle e Jeongguk rimase a fissarla per qualche minuto, prima di voltarsi e andare via.

 

*°*°

 

Da quella sera in poi, era come se fosse stato premuto un interruttore nella sua testa: non riusciva più a guardare V nello stesso modo, a pensarlo nello stesso modo, trovandosi continuamente a domandarsi “cosa succederebbe se”. E questo era male, ripeteva sempre a se stesso. Molto male.

Lui che non amava particolarmente il contatto fisico, con V si ritrovò a cercarlo, le volte in cui il suo cuore batteva troppo forte in sua presenza stavano diventando decisamente troppe e Dio, quelle labbra, così invitanti e rosee...

Jeongguk guardò il suo riflesso nello specchio, certo di non essere mai stato così patetico in tutta la sua vita.

«È tutta colpa vostra. Avete condizionato la mia mente».

Jimin, accanto a lui, sollevò un sopracciglio. «I sentimenti non possono essere condizionati, Jeongguk. Ti sei preso una cotta per V e la cosa più semplice da fare è ammetterlo e chiedergli di uscire».

Il minore sospirò. Beh, a quel punto non c'era poi molto da negare, ma questo non cambiava le cose: V era sicuramente non interessato e poi Jeongguk...

«Smettila di pensare a Kim Taehyung», sbroccò Jimin, lo sguardo serio. «È solo un maledetto nome, coprilo con un altro tatuaggio. Quella persona non ha nessun valore nella tua vita».

Jeongguk serrò le labbra in una linea sottile. «Per te quel nome significa tutto».

«Io amavo Hoseok prima di tutta questa storia, lo amavo prima di scoprire che lo amassi. Se il suo nome non fosse stato sul mio polso, lo avrei amato comunque».

Il minore non credeva affatto a quell'affermazione ma decise di non contestare, concentrandosi invece sul resto della conversazione. Jimin non aveva tutti i torti, in fin dei conti: Jeongguk aveva bisogno di andare avanti con la sua vita, di dire al destino “Ehi, anche se ti sei preso gioco di me, posso essere felice lo stesso”, di innamorarsi perdutamente di qualcuno che aveva scelto lui.

«E se mi dicesse di no?»

«Andrai avanti, Jeongguk. Non cascherà il mondo se ti dice di no e sono certo che V vorrà continuare ad essere tuo amico. Ma sono convinto – e non solo io – che non accadrà».

«Parlate sempre della situazione sentimentale degli altri, voi coppie formate?».

Jimin sghignazzò. «Non ne hai idea».

 

Passò un'altra settimana e il giorno di San Valentino si affacciò carico di rosa, cuori e stucchevole amore. Jeongguk decise, per il bene della sua sanità mentale, di barricarsi in camera lontano da qualsiasi contatto col mondo.

Ovviamente, non aveva fatto i conti con i desideri della sua cotta.

 

»» Da: V-hyung

“Jeongguuuukieeeee!!!!”

 

»» Rispondi a: V-hyung

“Cosa”

 

»» Da: V-hyung

“dove sei??”

 

»» Rispondi a: V-hyung

“In un'altra galassia”

 

Jeongguk sorrise, immaginando V che roteava gli occhi.

 

»» Da: V-hyung

“Sto arrivando!!!!!”

 

Non passarono che pochi minuti da quell'ultimo messaggio all'udire della porta che sbatteva.

«Cosa ti ha fatto di male quella porta dal meritare una tale brutalità?».

Ma non ci fu bisogno di una risposta, perché V entrò in camera di Jeongguk e le sue braccia erano stracolme di scatole di cioccolatini.

Jeongguk sollevò un sopracciglio.

«Ho dovuto fermarmi e mollarli per scriverti, ero terrorizzato che qualche passante me li rubasse!».

«Da quando in qua sei così popolare? Chi ti ha dato tutta questa cioccolata?».

V fece spallucce, lasciando cadere tutte le scatole sul letto. «Le clienti del bar dove lavoro».

Al che, Jeongguk avvertì un moto di gelosia farsi strada dentro di lui... e di certo non perché V aveva delle ammiratrici e lui no.

«E le hai accettate tutte?»

«Certo!», affermò il maggiore, contento. «Così avrei potuto dividerle con te».

All'udire quella frase, il suo stomaco si strinse e non riuscì a mascherare del tutto il sorriso.

Si sedettero sul letto, l'uno di fianco all'altro, scartando i cioccolatini e parlando del più e del meno, del lavoro e delle dichiarazioni che V aveva ricevuto quel giorno.

«...e poi si è dichiarata ma ho cercato di essere il più gentile possibile nel rifiutarla».

«Perché l'hai rifiutata?», domandò Jeongguk cercando con tutto se stesso di non far trasparire il suo sollievo. «È una ragazza carina».

V si portò il cioccolato alle labbra, distogliendo lo sguardo. «Uhm, sì lo è, credo. Però a me interessa qualcun altro».

Jeongguk poté giurare che il suo cuore si fermò per un istante. «Davvero? E...uhm», abbassò lo sguardo, focalizzando la sua attenzione sul cioccolatino che stava scartando. «chi è?».

Ci fu silenzio per qualche attimo, la tensione cresceva e il cuore del più piccolo batteva sempre più freneticamente, mentre si preparava ad ascoltare il nome della persona che avrebbe portato V via da lui senza dover battere ciglio. Ma quando i momenti divennero un minuto, e un minuto due, Jeongguk fu costretto ad alzare lo sguardo.

V lo stava fissando con una luce negli occhi che poche volte gli aveva visto, le labbra dischiuse e un accenno di sorriso. Non era mai stato così bello, probabilmente.

«Credevo di essere io lo stupido tra noi due, Jeonggukie».

Ma questi non ebbe il tempo di replicare, perché le parole morirono quando le labbra di V catturarono le sue.

Durò troppo poco, il calore era andato via e Jeongguk non aveva neanche avuto il tempo di rispondere al bacio. Puntò lo sguardo in quello del maggiore, cercando qualcosa da dire e provando anche ad emettere suoni, ma al terzo tentativo V scoppiò in una fragorosa risata.

«Sei tutto rosso, Kookie-ah».

Jeongguk avrebbe voltuto dire che no, non era arrossito perché lui era un uomo e gli uomini non arrossiscono, ma la sua mente era annebbiata e tutto ciò che voleva era bearsi del calore delle labbra di V ancora una volta. Ancora cento volte, se possibile.

«I-io... t-tu, non avevo capito c-che...-».

V gli posò un dito sulle labbra, sorridendo. «Sei così adorabile quando sei imbarazzato. Neanche io ero certo che tu ricambiassi, Jeongguk, ma poi ho visto il tuo sguardo quando ho detto che mi interessava qualcuno e mi sono detto che provare non sarebbe costato nulla. Ho fatto bene?»

Jeongguk riuscì ad annuire, stringendo la mano che V aveva posato sulla sua gamba.

Stava succendendo davvero? Non stava sognando? Jeongguk non riusciva a crederci.

«E adesso?».

«Adesso penso che tu debba chiedermelo come si deve. Visto che il primo passo l'ho fatto io, adesso tocca a te», ghignò il maggiore.

Jeongguk arrossì nuovamente, il cuore che gli batteva a mille. «V-hyung, vuoi...cioè, vorresti. Vorresti essere... vorresti diventare, cioè, vorresti...».

«Oh, al diavolo le formalità!».

E le loro labbra s'incollarono di nuovo.

 

Jeonggukie, vorresti essere il mio ragazzo?”

... ma non avrei dovuto chiederlo io a te?”

Eri troppo lento, non voglio invecchiare senza che tu me lo chieda”.

Sei troppo impaziente. Un uomo ha bisogno dei suoi tempi per certe cose”

Allora?”

...sì, hyung. Voglio essere il tuo ragazzo”.

 

*°*°*

 

Jeongguk e V come coppia non erano molto diversi da Jeongguk e V come amici. Facevano le stesse cose, dicevano le stesse cose con la differenza che c'erano un sacco di baci in più.

I loro amici, seppur ricordandogli ogni secondo quanto erano disgustosi e quando non avrebbero voluto vedere le loro lingue intrecciate ogni cinque minuti, erano davvero contenti.

La vita non era stata gentile con nessuno dei due e meritavano un po' di felicità.

Passarono mesi e tutto andava bene. Il fatto di non essere anime gemelle non li toccava poi tanto e spesso gli altri se lo dimenticavano, nel vederli così affiatati.

Era Jeongguk, però, a non riuscire a dimenticarselo. Accantonava quei pensieri in un angolo della sua mente e andava avanti, perché ora c'era V ed era tutto ciò che contava.

V era perfetto per lui, sotto ogni aspetto. Ma certe volte non riusciva a non domandarsi “come sarebbe stato se”.

 

Quel giorno pioveva e faceva freddo, clima piuttosto insolito per quel periodo.

Jeongguk era seduto sul letto – aveva rinunciato a studiare da qualche ora – e guardava fuori con aria assente. Con movimenti distratti si accarezzava l'interno del polso sinistro, senza pensare a nulla in particolare. Così preso dal nulla, non si accorse neanche che V era entrato e si era seduto accanto a lui, prima che questi si schiarisse la voce.

«Ehi». Gli sorrise, ma V non sembrava neanche lui. Se ne accorse quando focalizzò l'attenzione sul suo viso e notò le profonde occhiaie che lo decoravano e le sue labbra, costantemente piegate all'insù, non mostravano un accenno di sorriso.

«Ehi, V, tutto bene?».

Questi si alzò, dandogli le spalle. «Jeongguk, devo dirti una cosa».

Ed era mortalmente serio.

«Ma prima», si voltò. «devo farti una domanda».

Jeongguk scese dal letto, alzandosi per avvicinarsi a lui. «Che succede?».

«Se...», abbassò lo sguardo, sfuggendo a quello del minore. «Se Kim Taehyung tornasse. Se comparisse magicamente dal nulla. Tu mi lasceresti?».

Jeongguk si paralizzò, la sua mente completamente in black out.

Era da V essere così diretto, lo sapeva bene, ma non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere. Nonostante lui stesso ci avesse pensato più e più volte, non era mai riuscito a darsi una risposta. Rimase lì, con il braccio a mezz'aria, fissando un punto dietro l'altro.

«Jeongguk».

«...non lo so».

Aveva optato per la sincerità perché se avesse mentito V lo avrebbe capito subito, ma allora perché si sentiva così tremendamente in colpa?

Il volto dell'altro si svuotò di qualsiasi residuo di emozione ci fosse, mentre le braccia gli cadevano dritte lungo i fianchi.

«Capisco».

«V, perché mi hai fatto questa domanda? Cosa c'entra adesso Kim Taehyung?».

«Kim Taehyung c'entra, Jeongguk! Perché tu stai con me ma continui ad essere legato ad un nome! Mi lasceresti per una persona che non conosci neanche!».

Jeongguk realizzò quanto grave fosse la situazione proprio in quel momento. V non si arrabbiava. V non gridava, mai. Ed in quel momento stava facendo entrambe le cose.

«Calmati, hyung. Ho detto non lo so, cosa-».

«Sì che lo sai, Jeongguk. Non prendiamoci in giro».

Calò il silenzio per qualche istante.

«Mi ami, Jeongguk?».

Non se lo erano mai detto.

Il minore alzò lo sguardo, gli occhi sbarrati.

«Perché io ti amo, ma inizio a pensare che questo non basti più».

«V, ma cosa stai dicend-».

«Tu non ami me. Tu non ami me come persona, per come sono fatto. Mi ameresti di più se mi chiamassi Kim Taehyung?».

«Smettila».

«Mi ameresti di più se quello fosse il mio nome? Se fossimo la stessa persona?».

«V, basta così! Stai dicendo un sacco di stronzate!». Adesso anche Jeongguk stava gridando, e si sentiva male ad ogni parola urlata in faccia all'altro. Non avevano mai litigato così, prima d'allora. «Perché oggi stai tirando fuori il discorso Kim Taehyung? Cosa ti è preso?».

Il voltò di V si trasformò in una smorfia. «Cosa mi è preso, eh?».

Fece qualche passo indietro, afferrando il pomello della porta come se fosse pronto a fuggire. Jeongguk gli era di fronte, i pugni stretti e le labbra serrate.

«Probabilmente mi avresti amato di più, se lo avessi saputo da subito, no? Forse avrei dovuto dirtelo la prima volta che ti ho visto, o quando ne ho avuto la conferma. Ma mi ero illuso che tu potessi innamorarti di me, non del mio nome. Non perché qualcun altro ha deciso che tu dovessi farlo». La sua voce si era abbassata così tanto da divenire un sussurro. Scosse la testa, una risata triste a riempire il silenzio. «Sono stato uno sciocco a credere che qualcosa del genere potesse accadere, non è vero?».

Jeongguk era rimasto immobile, confuso. «Non ti seguo, V, cosa stai cercando di dirm-».

«Jeongguk, sono io Kim Taehyung».

E detto questo, uscì dalla stanza senza guardarsi indietro mentre Jeongguk, bloccato sul posto, avvertiva il suo intero mondo che gli crollava addosso.

 

Sono io Kim Taehyung.

 

Jeongguk rimase lì per tutto il resto del giorno e per tutta la notte, senza muoversi e senza parlare. Senza pensare, quasi, perché era tutto troppo confuso.

Soltanto la mattina dopo si sarebbe reso conto che il suo cellulare aveva squillato per tutta la notte.

Soltanto la mattina dopo avrebbe letto uno dei centosettantuno sms che aveva ricevuto.

 

»» Da: Jiminnie

“V ha avuto un incidente, devi correre in ospedale”.

 

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Capitolo 3
*** Atto III ***


Atto III

 

Era successo troppo in fretta.

Normalmente, V non era tipo da concentrarsi su quello che faceva – neanche nell'attraversare la strada metteva un po' d'attenzione – ma forse quel giorno non sarebbe proprio dovuto uscire di casa.

In fondo però, non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così.

Si stava asciugando le lacrime con la manica del maglione e non si era accorto del semaforo che era diventato rosso.

Alla guida, qualcuno era stato troppo distratto dal cellulare per rendersi conto del ragazzo che attraversava correndo l'incrocio.

V alzò gli occhi quando la luce accecante dei fari lo illuminò e il rumore dei freni gli fece salire il cuore in gola.

Ma era troppo tardi.

 

*°*°

 

«Non è in pericolo di vita».

Jeongguk, Jimin e il resto del gruppo sospirarono. Si erano riuniti tutti lì la sera prima, cercando di contattare Jeongguk e aspettando il resoconto dei medici. Nessuno aveva avuto il coraggio di fare un passo fuori dalla struttura, neanche per andare a prendere dalle orecchie il minore che non rispondeva a telefono, perché avevano avuto paura. Paura che non ci fosse più speranza. Paura di doversi sostenere l'uno con l'altro, se la cosa fosse finita male.

Ma V aveva superato la notte, Jeongguk era arrivato e le cose sembravano un po' meno terrificanti.

«Ma potrebbe avere problemi di memoria... non ne siamo ancora certi, potremo dirlo concertezza quando si sveglierà. L'unica cosa su cui mettiamo la mano sul fuoco è che il vostro amico è stato salvato da chissà quale miracolo: l'impatto del cranio con l'asfalto è stato così forte che ci sorprende che non si sia frantumato. Deve avere proprio la testa dura, questo ragazzo».

Il medico riuscì a strappare un accenno di sorriso a tutti.

«Comunque sia, questa notte non c'è stato tempo per le scartoffie, ma adesso dovrei compilare la cartella clinica», il dottore s'infilò gli occhiali, aprendo il fascicolo che aveva in mano e tirando fuori una penna dal taschino. «Nome, cognome, data e luogo di nascita?».

Calò il silenzio.

L'uomo, alzando un sopracciglio, li guardò in attesa.

«Uhm», iniziò Jimin, incerto. «Dottore, il fatto è che-».

«Si chiama Kim Taehyung. Daegu, 30 dicembre 1995. Purtroppo non so dirle altro», s'intromise Jeongguk, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.

Il dottore prese nota. «Va bene così. Allora io vado, mi trovate in reparto se avete bisogno. Potete andare a trovare il vostro amico, ma non più di due alla volta».

Infilando nuovamente la penna in tasca e facendo un cenno di saluto al guppo, si avviò verso il suo studio.

Il silenzio era assordante: il più piccolo riusciva a sentire i pensieri dei suoi amici e gli sguardi che gli stavano lanciando anche dietro i suoi occhi chiusi.

Namjoon fu il primo a parlare. «Jeongguk, perché hai-».

«Cosa diavolo ti salta in mente?! Perché hai detto al dottore che V si chiama Kim Taehyung? Hai battuto la testa anche tu, per caso? Sai quanto V non sopporti quel nome, quando scoprirà che tu-».

«Uhm, Jeongguk...Jimin ha ragione, perché-»

«Basta, ragazzi. Lasciatelo respirare, ci spiegherà tutto con calma».

Seokjin gli posò una mano sulla spalla e Jeongguk aprì gli occhi, una lacrima a rigargli la guancia.

Yoongi era stato l'unico a rimanere in silenzio, un po' più lontano dal gruppo. Stava guardando anche lui Jeongguk, ma il suo sguardo era diverso da quello del resto dei loro amici.

Il minore abbassò lo sguardo, non sapeva bene da dove iniziare per rispondere a tutte quelle domande.

«V... lui, l-lui...», prese un respiro profondo, serrando le mani a pugno. «V è Kim Taehyung. Me lo ha detto lui e abbiamo litigato. È successo poco prima... poco prima di...».

Se fossero stati parte di un cartone animato, probabilmente Jimin e Hoseok avrebbero dovuto raccogliere la loro mascella dal pavimento. Seokjin e Namjoon erano sorpresi, ma più contenuti nelle reazioni. Yoongi invece, era un'altra storia.

«Non è possibile».

In effetti, la situazione era al limite dell'assurdità.

«Jeongguk, vieni a fare due passi», disse Yoongi, sorprendendo tutti. Di solito non era il tipo che si prestava a risolvere i drammi degli altri, a causa del suo carattere un po' burbero e solitario, ma i suoi occhi stavano parlando prima ancora che le parole uscissero dalla bocca.

Il minore si alzò, camminando al fianco di Yoongi fino al giardino. Si sedettero su una panchina, rimanendo in silenzio per qualche minuto.

«Lo sapevi, Yoongi-hyung». E non era una domanda. «Perché lo sapevi?».

L'altro sospirò.

«V... Taehyung, aveva bisogno di parlare con qualcuno, glielo si leggeva in faccia. Ma non sarebbe mai andato a chiedere aiuto a delle coppie felici del loro imprinting, soddisfatte della loro condizione. Quindi è venuto da me, perché sapeva che io avrei capito».

«Come, hyung? Come lo sapeva?».

A quella domanda, un velo di tristezza s'impadronì dello sguardo del maggiore ed era cosa rara. Abbassò lo sguardo sul suo polso sinistro iniziando ad arrotolare la manica della felpa, e Jeongguk sussultò perché Yoongi non aveva mai permesso a nessuno di vedere cosa ci fosse scritto.

«Una sera eravamo a cena a casa di Jin. Io ero andato a lavarmi le mani e avevo dimenticato di chiudere la porta del bagno. Taehyung era entrato e... beh, l'ha visto. Ma gli ho fatto promettere di non parlarne con nessuno e devo dire che quel pivello ha mantenuto la sua parola».

Sorrise appena, porgendo il braccio al minore che per poco non rimase impietrito alla vista del nome.

 

박지민

13.06.2013 08:57

 

(Park Jimin

13.06.2013 08:57)

 

Jeongguk non sapeva cosa dire.

«Al destino piace giocare brutti scherzi, non è vero?», rispose semplicemente Yoongi alla domanda che non gli era stata posta. «Taehyung sapeva di potersi fidare di me, di avere il mio appoggio contro questa stronzata chiamata fato».

Jeongguk continuava a guardare il nome del suo migliore amico, seguito dalla data e dall'ora in cui lui e Yoongi si erano incontrati per la prima volta, mentre gli occhi gli si riempirono di lacrime che non sarebbero cadute.

Non era giusto.

«Anche io ero emozionato, all'inizio. È durato poco però, perché ho incontrato Jimin nello stesso giorno in cui ho incontrato Hoseok... e ho capito subito. Poi è bastato uno sguardo ai loro polsi per confermare la mia teoria, e da quel momento... da quel momento ho capito che è tutta una grande e assurda bugia. Il destino, la vita, l'amore eterno tra due anime gemelle. Non esiste nulla del genere. Ci si convince di star bene con quella persona anche se tutto va male, perché lo dice una scritta. Ci si convince di non avere altre possibilità, migliori magari. Ci si convince che sia una cosa normale. Non è normale che qualcun altro prenda decisioni al posto mio. Perciò, quando Taehyung mi ha confidato tutto e mi ha detto come intendeva agire, io l'ho appoggiato». Fece una pausa, perdendosi nell'osservare il vuoto. «anche se non pensavo che sarebbe finita così».

Nella testa di Jeongguk vigeva il caos più totale.

«Senti, Jeongguk, devo farti una domanda».

Il minore annuì.

«Tu ami Taehyung? Non perché tu debba farlo. Ami V? Perché questo è quello che conta. Non è un nome ciò di cui ti devi innamorare. E in questo periodo lui era convinto che tu non provassi nulla per lui».

«Non è così, hyung, io-».

«Lo so. Non è a me che devi dirlo, comunque, volevo solo una conferma. In fondo, saresti uno stupido a non farlo. Quel ragazzo è...». E sorrise, scuotendo appena il capo. «Cerca di fargli capire quello che tu spero abbia finalmente capito e cercate di far funzionare le cose».

Jeongguk annuì, cercando il suo sguardo. «Hyung, posso... posso farti io una domanda, ora?».

L'altro restò in attesa.

«Tu lo ami? Ami...Jimin?».

Yoongi aprì la bocca più volte, prima di riuscire a pronunciare concretamente una frase.

«È complicato, Jeongguk».

E quella fu l'unica risposta che riuscì ad ottenere.

 

 

*°*°*

 

 

«Taehyung! Devi restare sveglio! Taehyung!».

Il ragazzino si guardò intorno, cercando di esaudire il desiderio di sua madre che in quel momento stava concentrando tutte le sue energie nel cercare di slacciare la cintura di sicurezza di suo figlio.

«Dove siamo...mamma? Cosa...».

Le lacrime rigavano il viso della donna, l'ansia nella sua voce era palese. «Abbiamo avuto un incidente, Taehyung, ma non c'è tempo per parlare. La macchina è caduta nel fiume e dobbiamo uscire in fretta da qui!».

Taehyung non era certo di aver capito bene. Voltò il capo in avanti, rendendosi conto di quanto doloroso fosse stato compiere quel movimento, e fissò lo sguardo sul sedile del conducente. «Perché papà non si muove?».

La donna non rispose. «Ti prego TaeTae, concentrati adesso. Devi uscire di qui subito!».

Ma gli occhi del ragazzo si facevano sempre più pesanti, le forze che scivolavano via dagli arti. «Ho tanto sonno, mamma...tanto sonno».

«No! No tesoro, non è il momento di dormire».

Si udì un tac e Taehyung fu libero dalla cintura di sicurezza. Sua madre, con uno sforzo non da poco, riuscì a spalancare lo sportello e Taehyung si svegliò di colpo.

Acqua. C'era acqua che entrava troppo velocemente rendendo l'abitacolo sempre più pesante.

«Taehyung, devi nuotare fino a riva. Vaì, subito!».

«Non voglio lasciarvi qui!».

Il ragazzo, aggrappato al sedile, guardava sua madre con le lacrime agli occhi.

«Ti prego, ti prego, devi andare adesso o non ce la farai. Ti prego Tae, fallo per me. Ti prego!».

«Omma...»

«Vai!».

E Taehyung andò, mentre le lacrime sul suo viso si confondevano con l'acqua del fiume, nuotando il più velocemente possibile. Ma ad un certo punto si fermò, guardandosi indietro.

E poté vedere la scena di quando sua madre chiuse gli occhi, mentre l'acqua le arrivava fin sopra la testa. Poté vedere come, smettendo di combattere, strinse la mano di suo padre.

Dopo quello, non vide più nulla.

 

 

*°*°*

 

Bip.

Bip.

Bip.

Bip.

Jeongguk sospirò, osservando con impazienza la macchina collegata a Taehyung. Non c'era niente che facesse presagire un suo risveglio immediato, ma lui aveva bisogno di sperarci ugualmente.

Sedeva accanto al suo letto, stringendogli una mano, parlandogli. Gli parlava di tutto e di niente, un po' come facevano prima che la situazione sfuggisse loro dalle mani, ma la situazione non sembrava subire mutamenti.

Taehyung era incosciente da ormai quattro giorni ed i suoi amici facevano a turno per non lasciarlo mai solo. Jeongguk, soprattutto, non si allontanava da quella stanza di ospedale se non per cose strettamente necessarie. Non avrebbe mai voluto che Taehyung si risvegliasse da solo e confuso, non per la seconda volta.

La conversazione con Yoongi lo aveva turbato, ma gli aveva anche dato da riflettere: era convinto di ciò che provava per Taehyung, per V, e glielo avrebbe detto non appena questi avesse aperto gli occhi.

Qualcuno bussò e Jimin entrò silenziosamente, porgendogli una tazza fumante di caffè.

Il minore sorrise appena. «Grazie, Chim-Chim».

L'altro fece spallucce. «Come sta?»

«Stabile», sospirò Jeongguk. «Non capiscono perché non si sia ancora svegliato».

Jimin si morse il labbro, prendendo la mano libera di Taehyung tra le sue. «Forse non è ancora pronto».

«Già, forse non lo è».

 

*°*°*

 

«Taehyung! È pronto!».

«Un attimo, mamma! Sono convinto che manca pochissimo!».

Sua madre entrò nella stanza, le braccia incrociate e un sorriso stampato sul volto. «Tesoro, non puoi passare tutto il giorno a guardarti il braccio. Quando apparirà te ne accorgerai, nel frattempo puoi mangiare».

Il ragazzo la guardò, sporgendo il labbro inferiore. «C'è la torta?».

«Ovvio che c'è la torta, è il tuo compleanno! Non si compiono tutti i giorni 16 anni!».

Taehyung sfoggiò uno dei suoi adorabili sorrisi rettangolari, e nel momento in cui stava per alzarsi iniziò ad avvertire un formicolio lungo il braccio sinistro.

Lo fissò, mentre le sue labbra assumevano la forma di una O, fino a quando il nome e il timer non furono chiaramente leggibili

 

전정국

06.05.07.19.42.02

 

Jeon Jeongguk

(6 anni, 05 mesi, 07 giorni, 19 ore, 42 minuti, 02 secondi)

 

«Sei anni?! Sei anni!», si lamentò Taehyung ad occhi sbarrati. «Sei anni sono lunghissimi!»

Sua madre rise. «Passeranno velocemente, vedrai»

E a quel punto Taehyung sorrise.

Jeon Jeongguk, pensò. Non vedo l'ora di incontrarti.

 

 

*°*°*

 

 

«Taehyung! Avrei dovuto capirlo, ti sta così bene! Taehyungie!»

Jeongguk roteò gli occhi. «Probabilmente lo apprezzerebbe».

«Lo so benissimo», rispose Hoseok, sghignazzando.

Erano tutti lì, quella sera. Jimin e Hoseok parlavano a Taehyung; Namjoon, Yoongi e Seokjin se ne stavano un po' più in disparte chiacchierando tra di loro.

Jeongguk, ovviamente, era accanto a Taehyung.

«Kookie-ah, forse dovremmo raccontare a Tae qualche ridicolo episodio di quanto eri bambino», propose Jimin con un ghigno malefico. «Magari prenderà forza dal tuo smisurato imbarazzo».

Il minore lo fulminò con lo sguardo.

«Ad esempio... Hobi-hyung, ti ricordi quando Kookie ha chiamato la maestra “mamma”? Quella storia è circolata tra i corridoi per mesi».

«Tutti i bambini lo fanno».

«Oppure quando è salito sull'albero perché aveva paura di quel grosso cane e poi aveva troppa paura per scendere? Dovemmo chiamare suo fratello».

A quello, tutti ridacchiarono.

«O ancora, di quando doveva andare urgentemente in bagno e-».

«Okay, Jiminnie, basta così»

«Ma la parte divertente non era ancora arrivata!».

«Non interessa a nessuno».

«Tu dici? Bene, alzi la mano chi vuole sentire il resto della storia».

«...Mi piacerebbe alzare la mano, ma non credo di averne la forza».

Silenzio assoluto.

I ragazzi si guardarono, per essere certi di ciò che le loro orecchie avevano sentito, prima di voltarsi ad occhi sgranati verso Taehyung.

E se qualcuno urlò, nessuno se ne rese conto: Taehyung li guardava con occhi assonnati e un mezzo sorriso dipinto sul volto.

«Oh mio Dio».

In quell'istante di caos generale, tutti si lanciarono verso il letto.

«Idiota! Guarda dove vai la prossima volta!», iniziò a piagnucolare Hoseok, stringendo il ragazzo.

«M-mi dispiace...».

Taehyung era ancora troppo debole per rispondere a tutto ciò che gli stavano chiedendo, ma quando voltò il capo ed incrociò lo sguardo di Jeongguk, ogni domanda e possibile risposta fu dimenticata.

Gli sorrise appena e Jeongguk, un po' incerto, ricambiò. E per quel breve attimo tutto il resto scomparve.

Poi la porta venne aperta e un dottore e due infermiere fecero il loro ingresso nella stanza, mandando tutti fuori per controllare i valori del ragazzo appena sveglio.

Il cuore di Jeongguk batteva forte: aveva la possibilità di sistemare tutto.

 

*°*°*

 

I giorni seguenti furono un via vai dall'ospedale, per i ragazzi: Taehyung era ancora sotto osservazione ma i dottori erano estremamente positivi sul fatto che si sarebbe ripreso in fretta.

Hoseok e Jimin erano sempre presenti, e avevano contribuito a migliorare non solo la salute di Taehyung, ma anche il suo umore: in presenza di quei due, in fondo, era impossibile non sorridere.

 

Taehyung venne dimesso circa due settimane dopo il suo risveglio e, piano piano, tutto iniziò a tornare alla normalità.

Durante quelle settimane, lui e Jeongguk si erano comportati come se nulla fosse successo, come se le cose si fossero fermate a prima di quella lite. Non avevano ancora avuto modo di parlare da soli, ma era arrivato il momento di chiarire le cose.

Il minore aveva chiesto all'altro di incontrarsi al parco, quello in cui si erano visti per la prima volta.

Quando arrivò, Taehyung era già lì.

Jeongguk gli si avvicinò porgendogli una margherita. «Ehi».

«“Ehi” anche a te, Kookie».

Rimasero in silenzio per un po', seduti uno accanto all'altro mentre osservavano lo stagno.

Faceva caldo, più caldo della prima volta in cui si erano incontrati in quello stesso posto, eppure sembrava solo ieri.

Jeongguk fu il primo a parlare.

«Ricordo di aver pensato che ti mancasse qualche rotella, quando ti ho visto per la prima volta», sorrise. «Ma ricordo anche di aver perso un battito, perché eri il ragazzo più bello che avessi mai visto.

Ricordo di aver avvertito da subito un desiderio di protezione nei tuoi confronti, e ricordo quanto ti abbia cercato dopo quel primo giorno. Ricordo la mia sorpresa, piacevole sorpresa, quando ti ho rivisto. E ricordo perfettamente il momento in cui ho capito di essermi innamorato di te».

Taehyung incrociò il suo sguardo, le labbra dischiuse.

«Ti amo, Kim Taehyung. O meglio, ti amo V. Non m'importa come ti chiami, non mi importa cosa c'è scritto sul mio polso. Ti avrei amato anche se ti fossi chiamato in modo diverso. Perché ho scelto io di innamorarmi di te. Ho scelto io di averti al mio fianco, prima ancora di sapere chi tu fossi.

Mi dispiace di averci messo così tanto a capirlo».

Una lacrima solitaria rigò la guancia di Taehyung, in netto contrasto con il sorriso dipinto sulle sue labbra e nei suoi occhi. Afferrò la mano del minore, portandosela al petto.

«Ti amo anche io, Jeonggukie».

E poi si abbracciarono, forte, come se da ciò dipendesse la loro stessa sopravvivenza.

Un'incontro di labbra a marcare le parole già dette perché, in quel momento si resero conto, nessuno dei due avrebbe potuto vivere senza l'altro, ormai.

Non perché qualcuno lo avesse deciso per loro, ma perché si erano trovati.

E non era in fondo questo, il senso dell'avere un'anima gemella?

 

*°*°*

 

Omma...

Mi dispiace di averti dimenticato, per un po'.

Mi dispiace di aver pensato che, ovunque fossi, tu non volessi ritrovarmi.

Tutto questo mi ha portato a Jeongguk, vero? Era tutto scritto, vero? È triste che tu non possa incontrarlo, ti sarebbe sicuramente piaciuto e tu saresti piaciuta a lui.

Gli parlerò di te, di voi, quando sarò in grado di farlo. Ci sono così tante cose che mi stanno tornando in mente...

Omma...

Grazie per avermi dato una seconda possibilità, invece di darla a te stessa.

Grazie per avermi salvato.

Ti vorrò bene per sempre.


 

Fin.
 




Note dell'autrice:

Salve a tutti! Vi ringrazio se siete arrivati fino a qui, leggendo questa cosetta. Era nata per essere una One Shot, ma le cose si stavano dilungando troppo e ho deciso di dividerla in tre parti, anche se la terza è molto breve rispetto alle altre.
Credo che ci fossero troppe cose da dire, in questo ultimo capitolo, ma che non fosse il "posto giusto" per farlo. Ad esempio, ho in mente di scrivere uno spinn off legato alla storia tutto su Yoongi (e quindi Jimin e Hobi), perché la sua storia merita di essere raccontata. E sicuramente ci sarà qualche spinn off su Taehyung e Jeongguk, per vedere come se la sono cavata dopo tutto questo casino!
In ogni caso, sono davvero felice del riscontro che questa storia ha avuto, non mi aspettavo tanti apprezzamenti: ringrazio dal più profondo del mio cuore chiunque l'abbia recensita, seguita o anche solo letta.
Senza dilungarmi troppo, ancora grazie e alla prossima... spero!

 

 
 

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