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di DorotheaBrooke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo contatto ***
Capitolo 2: *** Invano ***
Capitolo 3: *** Punti di vista ***
Capitolo 4: *** Dies Irae ***
Capitolo 5: *** Esperimenti fallimentari ***
Capitolo 6: *** Demoni ***
Capitolo 7: *** Una passeggiata notturna ***
Capitolo 8: *** Due vampiri, un cinghiale e un bacio. ***



Capitolo 1
*** Primo contatto ***


-Cosa vi succede? –

“Un altro vampiro, solo un altro vampiro. Un fratello, sì, ma senza alcuna abilità, senza alcun dono a renderlo speciale”
Questo ti dicevi mentre, con un grazioso sorriso, ti apprestavi a stringere la mano che con splendida inconsapevolezza ti veniva porta.

-Cosa vi succede? –

Rifletti, Aro, ricorda quante mani hai sfiorato, vecchie e giovani, mortali e immortali? Quante menti hai scrutato, sottoponendole a un implacabile giudizio?
Non lo ricordi.
Troppi anni, troppe esistenze incontrate e spente.
È più facile uccidere se i pensieri delle vittime sono poco più che una spezia rara e ricercata, un po’ dolce a un po’ amara, che si mescola al sapore delizioso del sangue per poi svanire in fretta, bruciando nella gola con l’ultima, inebriante goccia.
Quanto ricordi di ciò che hai visto?
Poco, perché pochi sono gli eletti che meritano la tua attenzione.
Hai sempre saputo di essere speciale. La tua forza, il tuo intelletto e i tuoi innumerevoli doni ti danno il diritto di decidere delle altrui sorti. Sei un dio, ora benevolo, ora terribile. Le sorti dell’umanità intera non contano nulla di fronte a un tuo solo, piccolo desiderio.

-Cosa vi succede? –

Eppure il tocco di questa mano così candida ti toglierebbe il fiato, se lo avessi ancora.
Amore, amicizia, dolore. Pensieri tediosi, cui hai fatto l’abitudine, per averli scorti fin troppe volte nelle riflessioni degli altri. Un flebile brusio di sottofondo a questioni più importanti, che infastidisce, stanca e nausea come il continuo ondeggiare tenue di una barca su un lago increspato dalla brezza.
Rammentalo, Aro, rammentalo. Tutto ciò non significa nulla per te. Tutto ciò è cenere e polvere per te. Una flebile luce di candela che puoi spegnere con un soffio.

- Cosa vi succede? –

Eppure l’insignificante contatto di questa inutile, piccola, bellissima mano ti abbatte e ti commuove.
Pensavi che un vampiro non potesse essere altro che malvagio, che la sua natura fosse irrimediabilmente segnata dall’empietà, che non potesse fare altro che portare l’Inferno sulla terra.
Ti sbagliavi.
Curioso, è una cosa che ti accade di rado.
Ma quanto profondamente erravi questa volta.

- Cosa vi succede? –

Con un solo tocco il suo passato ti si disvela. Il vampiro che ti sta di fronte prova troppo amore, troppa pena, troppa comprensione. Prova troppo e tanto basta.

Vedi la sua bontà.
Lo guardi mentre assale ogni sorta di animale, evitando il sangue umano che solo potrebbe alleviare completamente la sua sete.

Vedi la sua disperazione.
Lo osservi mentre si lancia nel vuoto, si lascia sprofondare negli abissi del mare. Guardi le sue labbra tremare nello sforzo di sopportare la fame. Vorresti soccorrerlo. Se solo avessi il dono di invertire il tempo e baciare quelle labbra buone e sofferenti.

-Cosa vi succede? –

Ti chiede e sfiorandogli la mano comprendi che dietro la domanda non c’è angoscia per la propria sorte, come spesso hai visto nei pensieri di quelli sottoposti al tuo giudizio.
La sincera preoccupazione che il quesito cela ti atterra e ti ferisce, come se il tuo cuore battesse, come se fossi vivo, come se non fossi un mostro.

- Cosa vi succede? –

La mano libera del vampiro si muove verso la tua guancia, la sfiora delicatamente, prolungando il contatto che ti lacera.
- Cosa vi succede? –

Vorresti urlare. Respingere quel fratello che ti somiglia così poco, la cui bontà ti acceca e ti disorienta. Invece rimani impietrito, incapace di lasciare la piccola, candida mano che già ami.

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Capitolo 2
*** Invano ***


“Vanitas vanitatum et omnia vanitas”*

Tutto è inutile.
L’eternità è agonia e sete inestinguibile.
Tutto ciò che posso fare, non sarà mai abbastanza.
Per quante vite io posso salvare, non potrò mai porre rimedio ai peccati della mia specie, di coloro di cui condivido il male.
Dovrei combatterli, ribellarmi, ma quanto mi è cara la compagnia dei miei simili.

Questo castello è maledetto.
 Mi sembra che le sue mura siano fatte di sangue e ossa. Anche quando un silenzio pregno di morte grava sulle sale lussuose, nella mia mente riecheggiano le urla strazianti di coloro che qui incontrano la fine.
Questo castello è maledetto, eppure sa di casa. 
Coloro che vi abitano sono assassini, eppure appaiono come fratelli.
Posso combatterli? Ribellarmi? Posso fare questo… a lui?
Mai. Io non lo tradirò mai. È la mia fedeltà a dannarmi per sempre.
Ma se l’inferno è il mio destino, almeno non sarò solo fra le fiamme eterne.

Dovrei andarmene, allontanarmi da chi mi trascina verso le tenebre.
Invece indugio con loro, tentando di convincerli che ci sia un’altra via, che la mia non sia solo un’illusione, che io non sia solo un folle che gira e rigira su una spettrale giostra di pena e angoscia, senza mai giungere da nessuna parte.
Se almeno potessi dar ascolto a te che leggi nella mia mente e conosci la mia pena. Se fossi in grado di arrendermi finalmente alla mia natura, gettandomi in un abisso di sangue e sollievo.
Mi dici che siamo tutti mostri senz’anima, allora perché il cuore mi duole in questo modo? Perché la mia coscienza urla fino a rendermi sordo alle tue dolci parole?
Toglimela, fa male, è un tormento senza fine.
Mentre mi sfiori la mano e il tuo viso è rischiarato da un sorriso bellissimo e mortifero, mi trovo a un bivio fra due diverse forme di dannazione.
Non c’è salvezza.
L’eternità è agonia e sete inestinguibile.
Tutto è inutile

“Vanitas vanitatum et omnia vanitas”






*citazione dal Quoelet: "vanità delle vanità, tutto è vanità"
 

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Capitolo 3
*** Punti di vista ***


Nda: nella fanfiction si fa riferimento alla "Deposizione dalla Croce" di Rosso fiorentino, opera che fino al 1788 si trovava nella cappella della Croce di Giorno. Oggi è possibile trovarla nella Pinacoteca di Volterra.
Rosso-Fiorentino-Deposizione-Volterra-1



Seduto su una panca nella cappella della Croce di Giorno, Aro sorrideva placidamente al suo singolare amico. Nessuno avrebbe detto che il piccolo edificio, cui si accedeva tramite un piccolo corridoio laterale dalla chiesa di San Francesco, potesse essere il luogo più commuovente di Volterra, ma il vampiro conosceva troppo bene la sua amata città per sottovalutare l’effetto della pala d’altare dipinta da quel bizzarro e capriccioso Rosso.

-Allora, cosa ne pensi? – Chiese con tono ingenuo, come se non potesse semplicemente stendere la mano e ottenere la risposta voluta.
-È strano, diverso dalle forme armoniose che sono abituato a osservare, eppure non meno espressivo e tragico- Il dottor Cullen aveva parlato senza distogliere gli occhi dal dipinto. La sua immobilità non era turbata da un solo respiro o battito di ciglia al punto che la voce piana e musicale, che per un attimo aveva riecheggiato per la cappella fino a svanire nel silenzio, pareva essere giunta da una statua bellissima e senza vita.

-Mi compiaccio del tuo senso estetico- annuì Aro, soddisfatto – questo però pone inevitabilmente un quesito, non ti pare? –
La domanda riuscì a scuotere Carlisle dalla sua assorta fissità, al punto di fargli voltare il capo verso il suo interlocutore con uno sguardo interrogativo.
-Se ha fatto questo a Suo Figlio, cosa credi che ne sarà di noi? - finì il capo dei Volturi, con un sorriso obliquo sul volto, preparandosi a godere dell’effetto che tali parole avrebbero suscitato nell’amico. Un animo delicato come il suo, con tutta quell’incredibile sensibilità e penetrante intelligenza, non avrebbe potuto che essere scosso da tali affermazioni. Si sentiva quasi in colpa a tormentarlo così… quasi era spesso la parola chiave nella sua esistenza.
Era talmente sicuro del risultato che avrebbe ottenuto che fu turbato quando il dottor Cullen proruppe in una risata acuta. Era abituato a vedere le labbra dello strano vampiro incurvarsi lievemente di rimando alle sue battute in un sorriso che sembrava celare una profonda amarezza, un’invisibile ferita. Tuttavia non ricordava di averlo mai sentito veramente ridere prima d’ora. Era un suono strano, quasi folle –E questo cosa vorrebbe dire? – chiese, lottando contro la tentazione di prendere violentemente le mani del suo interlocutore fra le proprie e chiarire una volta per tutte il mistero celato da quella mente.
-Oh Aro, devi perdonarmi… - Iniziò Carlisle nell’evidente sforzo di sopprimere gli ultimi spasmi dell’interminabile risata, la bocca ancora deformata da un ghigno –È che sei proprio incorreggibile, sai? Davvero, davvero pessimo-

Non era abituato a sentirsi giudicare, fosse stato un qualsiasi altro vampiro, probabilmente si sarebbe limitato a staccargli la testa senza una parola per un tale affronto. Eppure il dottor Cullen era sempre così coerente con la rigida morale che si era imposto, così schietto e tuttavia discreto nei suoi sguardi di disapprovazione, che sentirlo esprimersi con tale franchezza non riusciva a suscitare il minimo rancore o risentimento. Si limitò a corrugare le sopracciglia e assumere un’espressione che voleva apparire imbronciata –Sai che potrei offendermi, vero? –
-Non era mia intenzione- replicò l’altro, assumendo il tono pacato di sempre –È solo che… guarda meglio. Il Cristo, bello come solo la morte può essere, rischia di scivolare fra le rudi mani di quei tristi operai, sui cui volti non c’è pietà, né compassione. L’indifferente e impassibile macchina della morte viene smontata meccanicamente in un triste cigolio di legno e tendersi di corde. Tutto ciò crea un terribile contrasto con la Madonna che si accascia sfinita, la Maddalena che si protende disperata verso di lei, il Giovanni piegato dal dolore. E tu ti preoccupi di noi? Possibile che il tuo egocentrismo arrivi a tanto?–
-Carlisle, amico mio, di cos’altro dovrei mai preoccuparmi? – Aro alzò le spalle –Dovrei forse essere in pena per delle immagini dipinte, stupende sì, ma inconsistenti-
-Ciò che rappresentano dovrebbe angosciarti. Per quanto dolore un vampiro possa infliggere nell’atto di uccidere, non è chi muore la vera vittima. Sono loro… - L’indice di Carlisle si protese verso gli astanti alla deposizione – La morte colpisce soprattutto chi resta. Lo strazio insanabile di una madre, la solitudine inguaribile degli amaci, il miserabile tormento di un orfano. Il peso di tutte quelle felicità mutilate per sempre, possibile che la tua coscienza non l’abbia mai sentito? –

Non c’era bisogno di sfiorare l’amico per verificarne la sincerità, eppure tale franchezza questa volta non dava nessuna soddisfazione al capo dei Volturi –Temo che la mia coscienza si sia atrofizzata per il lungo disuso- Si limitò a rispondere e avrebbe voluto sorridere sarcasticamente, per mostrare al compagno che tutto ciò non lo sfiorava, che era superiore a tali patetiche riflessioni. Fu frustrante quando le labbra non vollero obbedirgli.

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Capitolo 4
*** Dies Irae ***


Nda: scritta sulle note del requiem in D minore di Mozart, da cui sono tratti i frammenti di testo. https://www.youtube.com/watch?v=sPlhKP0nZII 


~~Dies irae, dies illa,
Solvet saeclum in favilla,
Teste David cum Sibylla.

Quantus tremor est futurus,
Quando Judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus(1)

Ceneri.
Ceneri.
Ceneri.
Questi che vivevano ora sono morti. Questi che mi somigliavano ora sono polvere. Quanti ancora seguiranno il medesimo destino?
Aro, mio solo giudice, mio più grande tormento, tu che tutto vedi e tutto sai, dimmi: dove potrebbe mai rifugiarsi un misero vampiro per sfuggire alla tua ira, se anche i meandri più profondi e oscuri della mente non sono un luogo irraggiungibile per te?
Non c’è rifugio.
Il tuo sguardo penetra ovunque.
Non c’è scampo.
La tua mente affonda come un pugnale in ogni cuore.
Non c’è salvezza.
Il tuo giudizio calerà implacabile su tutti noi.
Il tuo sorriso è per me amabile.
Il tuo sorriso è per me terribile.
Nei tuoi occhi si riflettono le fiamme e i corpi smembrati, mentre la tua mano si chiude attorno alla mia in una morsa invincibile.
Ciò che io sono, essi erano. Ciò che essi sono, io sarò?
Ci saranno fiamme anche per me?
Cosa sono mai io per te, se non un inutile balocco da rompere capricciosamente?
A cosa potrei mai servire se non ad alimentare il fuoco che tutto divora e che eternamente continua ad ardere nei miei ricordi?
Ti diverte giocare con me come un gatto troppo annoiato per uccidere la preda?
Ti detesto.
Ti desidero.
Il tuo abbraccio è per me morte.
Il tuo bacio è per me vita.
Avidamente allargo le braccia reclamando la mia pena e la mia ricompensa, sospeso in un limbo di pena e delizia.

Confutatis maledictis,
Flammis acribus addictis,
Voca me cum benedictis.

Oro supplex et acclinis,
Cor contritum quasi cinis,
Gere curam mei finis. (2)

 Non c’è pietà, ma forse potrebbe esserci amore.
Forse potresti desiderare qualcosa di più del potere. Forse un giorno...
No. È un’illusione. Non ci sarà mai nient’altro che il trono.
Amico mio, la tua casa è ricolma di potenza, ma cosa te ne farai, quando capirai che la corona sarà l’unico conforto con cui dovrai affrontare l’eternità?
I giorni nasceranno e moriranno. I secondi spireranno l’uno dietro l’altro in un lento e inesorabile strazio. Morirà il sole. Allora rimarrai tu a ergerti contro la luce morente. Solo nella tua gloria.
Non è troppo tardi.
Se non puoi salvarmi, almeno lasciati salvare.
Se non puoi amarmi, almeno lasciati amare.
Tu tieni la mia mano, come potresti non vederlo? Non importa se tu sei incapace di amore, nel mio cuore ce n’è abbastanza per entrambi.
Distogli il tuo sguardo irato dalle colpe dei tuoi nemici e guardami. Ti chiedo solo di vedermi. Sono appeso alle tue labbra. Un tuo sorriso sarebbe per me il Paradiso. Riuscirai mai ad accettare che qualcuno nutra per te altro che odio, timore o rispetto? Io ti desidero nel modo in cui coloro che stanno morendo di sete anelano all’acqua. Anche se tu mi facessi a pezzi, anche se mi gettassi nel fuoco, continuerebbe a tormentarmi la brama di te, questa fame inestinguibile. Donami il tuo bacio. Dammi oggi il mio pane quotidiano.
Saziami. Salvaci. Salvami.

Lacrimosa dies illa,
Qua resurget ex favilla,
Judicandus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu, Domine,
Dona eis requiem. Amen.(3)

Tutto è un vano delirio. La sete mi tormenta, ma non c’è acqua a dare sollievo alla mia gola riarsa, solo fuoco.
Le tue mani sfiorano le mie guance cadaveriche, le tue labbra si inclinano in un sorriso crudelmente perfetto.
Pregusti già il momento della fine? Sai già che verrà il giorno in cui su questa farsa grottesca che è la nostra amicizia dovrà calare il sipario?
Sono indifeso di fronte a te e lo sarò sempre. Un giorno diverrò solo l’ennesima vittima, uno degli innumerevoli colpevoli su cui inarrestabile ricade il tuo giudizio.
L’orrore. La disperazione. Tutto per nulla. Tutto per il tuo abominevole divertimento.
Tu leggi i miei pensieri, ma puoi capire quanto profondamente io ti detesti? E quanto perdutamente io ti ami?
Il mio cuore mi incatena a te. Sarò per sempre incapace di fuggire? Riuscirò un giorno a liberarmi e ad allontanarmi dalle grida delle tue vittime, il cui sangue mi sembra ricadere anche sulle mie mani? Sarò mai abbastanza forte da respingerti?
Mio amatissimo Aro, troppo grande è la distanza che ci divide. La nostra amicizia è nata già morta e noi continuiamo a indugiare di fronte alla sua tomba. Io, incapace di accettare la verità, tu, troppo deliziato dalla mia follia per infrangere la mia illusione. Forse saremo ancora qui, il giorno in cui giungerà un giudice più grande di te. Quel giorno terribile e bellissimo, che Egli possa avere pietà del mio patire e fare in modo che la tua pena sia la mia, unendo per sempre i nostri destini nella medesima dannazione.

(1) Giorno d'ira, quel giorno
distruggerà il mondo in faville,
com'è attestato da Davide e dalla Sibilla.
Quanto grande sarà il terrore
quando verrà il giudice
a valutare ogni cosa severamente
(2) Confutati i maledetti
e condannati alle fiamme ardenti,
chiamami tra i benedetti.
Ti prego, supplicando e prostrandomi,
il cuore ridotto quasi in cenere,
prenditi cura della mia fine.
(3) Giorno di pianto quello
in cui risorgerà tra le faville
il colpevole, per essere giudicato.
Abbi pietà di costui, o Dio.
Pio Gesù, Signore,
dona loro l'eterno riposo. Così sia.

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Capitolo 5
*** Esperimenti fallimentari ***


~~Quando si vive in eterno, la noia è una sgradevole compagna con cui ci si deve spesso confrontare. Ancora oggi ci sono momenti in cui il sangue, la giustizia e la ricerca di tesori non sono sufficienti a ricolmarmi di ebrezza. Allora un nauseante senso di vuoto emerge come un fiume carsico da chissà quale infernale luogo della mente e affrontare il lento scorrere delle ore è un compito particolarmente detestabile. In tali momenti mi affido al mio ingegno per trovare nuove imprese grazie alle quali ubriacarmi di gloria e terrore, come un miserabile che cerca nel vino scadente di una squallida taverna qualche attimo di oblio. Devo tuttavia ammettere che non sempre il risultato dei miei piani è particolarmente brillante. Quel giorno fu a dir poco catastrofico.

-Jane, mia cara, che ne diresti di provare i tuoi poteri su di me? - Riponendo il volume di “La filosofia nel boudoir” nello scaffale ligneo della biblioteca, sorrisi placidamente, mentre gli occhi rossi dei presenti fiammeggiavano nella mia direzione.
-Ma... ma… Maestro…. Io… - Balbettava. In piedi a pochi passi da me Jane, la più terribile e letale arma nelle nostre mani, farfugliava in modo penoso. Gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta, le sopracciglie inarcate, tutto in quel volto angelicamente perverso comunicava un cieco sgomento. Il resto dei presenti non era da meno: Felix e Demetri si guardavano stupefatti, mentre Alec si limitava a osservare la sorella impietrito.
-Ah… Ah… Ah…- dissi, mentre mi voltavo, scuotendo l’indice in aria in segno di diniego –Non vorrai mettere in discussione la mia autorità? Sai come divento quando qualcuno mi nega qualcosa. Soddisfa questa mia piccola curiosità. – Tornando a sedermi su una poltrona ricoperta di velluto nero, a stento potevo trattenermi dal ridere osservando lo stupore degli astanti. Mi congratulai con me stesso per la reazione spassosa che avevo suscitato.
Jane si ricompose in un istante -Molto bene- disse, tornando ad assumere il tono distaccato di sempre, mentre si raccoglieva alla ricerca della concentrazione.

Strinsi con forza i braccioli della poltrona. Il dolore sarebbe giunto, ma io dovevo rimanere impassibile come una statua. Non potevo gridare o supplicare come quei miserabili traditori che regolarmente subivano il nostro giudizio. Dopotutto ero stato io a chiedere di sottopormi a un tale esperimento. Ero un architetto geniale che tutto aveva sotto il proprio controllo. No. Il capo dei Volturi non avrebbe mostrato il minimo segno di debolezza. Così pensavo, mentre attendevo che Jane portasse a termine il suo compito.

Mi sbagliavo.

Fu una fortuna che Caius e Marcus non fossero presenti. La vergogna non mi avrebbe più abbandonato se avessero assistito allo spettacolo indecoroso che offrii.
La pena si rovesciò acuta e improvvisa come un lampo.
Migliaia di aghi incandescenti trafissero il mio corpo.
In un battito di ciglia persi il controllo di me stesso e, contorcendomi con violenza, rovesciai la poltrona di lato, ritrovandomi rannicchiato e tremante sul pavimento di marmo. La bocca mi si spalancò e dalla gola emerse un suono che non avrei mai creduto di poter emettere. Mentre il dolore mi percorreva la schiena come una scossa elettrica, mi resi conto di star urlando. Se fossi stato più lucido, se fossi stato in grado di pensare, avrei provato rabbia e disgusto per ciò che ero diventato. Quel patetico essere che gemeva in posizione fetale, dimenandosi e boccheggiando come un pesce fuor d’acqua, non era degno di portare il mio nome ed essere capo dei Volturi. La sofferenza mi toglieva la ragione, trasformandomi in una bestia rabbiosa prigioniera di un mondo di agonia a angoscia.
 Il mio strazio era così grande da non sentire che la massiccia porta di legno intarsiato della biblioteca veniva sfondata con un sol colpo.

Il sollievo giunse con la stessa velocità del dolore. Per un istante rimasi stordito sul pavimento, incapace di ragionare e di spiegarmi il conforto inatteso.  Il sorriso di gioia che stava per rischiarare il mio volto tuttavia si spense sul nascere.
Udii di nuovo delle urla, ma non ero più io a gridare. Era qualcun altro. Qualcuno il cui dolore non mi procurava alcun divertimento.
In un secondo fui di nuovo in piedi. La scena che si mostrò ai miei occhi era assurda e inspiegabile. Perché Carlisle urlava in ginocchio, mentre Jane si concentrava su di lui? Perché, anche in preda all’agonia, il dottore continuava a tenersi aggrappato alle mani della ragazzina immortale, che dimenava i polsi furiosa nel tentativo di liberarsi? Perché la porta era stata scagliata contro la parete opposta a diversi metri di distanza?
Fu solo quando, tremando fra gli spasmi di dolore, il mio singolare amico riuscì ad articolare poche ingenue, strazianti, splendide parole che capii –Aro… Scappa… La tengo io…-
Mi guardai attorno. Felix, Demetri e Alec osservavano l’agonia del dottore divertiti. Io invece ero ben lontano dal rallegrarmi. Io da solo con alcuni componenti della guardia che urlavo, mentre nessuno interveniva a fermare Jane. Era fin troppo evidente come poteva essere apparso a un osservatore esterno: una ribellione, un colpo di stato.

Rimasi impietrito. Molti avevano sofferto a causa mia, ma nessuno mai per la mia salvezza. Carlisle stava patendo per me, era disposto a sacrificarsi per me. Una sensazione sconosciuta mi pervase: gratitudine. La sublime delizia di quando al primo morso il sangue caldo di una vittima si riversava a fiotti nella bocca in un istante di selvaggio sollievo. L’inenarrabile soddisfazione di quando un nuovo potere si aggiungeva alla mia corte, un nuovo tesoro alla mia collezione. L’indicibile diletto di vedere un nemico piegato e sconfitto. Quegli istanti che fino ad allora avevo chiamato felicità, ora apparivano insignificanti. Era stato lo sciocco, ingenuo, sconsiderato gesto di uno bizzarro vampiro a ridurli in cenere. Ora sapevo cosa significava sentirsi amati e nessun piacere avrebbe mai potuto eguagliare quella sensazione. Era una gioia folle e inebriante. Un fuoco che tutto riscalda, tutto illumina e nulla divora. Non volevo che finisse. Volevo che Carlisle continuasse ad amarmi più di se stesso, a combattere per me, a lasciarsi straziare per me.

-Aro… Che aspetti? Fuggi! -  Gridò disperato, chiudendo gli occhi e mi accorsi di quanto il suo volto contratto per il dolore fosse luminoso, quasi accecante.
 Dovevo ordinare a Jane di smettere di tormentarlo… ma non subito. Mi lasciai deliziare ancora per qualche istante dalle urla di Carlisle, incapace di smettere di assaporare quella spezia pregiata che il mio più caro amico mi stava offrendo.

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Capitolo 6
*** Demoni ***


~~Una volta da bambino feci un’esperienza spaventosa. Mi trovavo a metà strada fra il sogno e la veglia e un improvviso senso di oppressione mi colse. Desideravo alzarmi, mettermi seduto sul letto per guadagnare un po’ di respiro, ma il mio corpo era paralizzato. Allora mi resi conto di non essere solo nella stanza, una figura ammantata di tenebre si muoveva nella penombra, si avvicinava inesorabilmente. Tentai di chiedere aiuto, ma riuscii solo a mugugnare debolmente. La presenza minacciosa mi raggiunse e si sdraiò sopra di me, esercitando una tremenda pressione sul mio torace con l’intendo di rubarmi il respiro e soffocarmi. Tentai di oppormi, ma più cercavo disperatamente di muovermi, più l’angoscia e l’oppressione aumentavano. Furono istanti interminabili, ma all’improvviso tutto scomparve e, riemergendo come da un sogno, mi ritrovai da solo, illeso e perfettamente in grado di muovermi. Quando ne parlai mio padre, si fece il segno della croce e mi disse che ero stato vittima di una succube, una servitrice di Lilith, venuta per uccidermi o indurmi a peccare. Fui costretto a passare la notte successiva barricato nella piccola chiesa in cui predicava, in ginocchio di fronte alla statua dell’arcangelo Michele. Il demone non si ripresentò.

Mi chiedo se ora non mi stia accadendo lo stesso. Lo stile di vita di questi vampiri mi terrorizza. Mi opprime la consapevolezza di tutto il sangue che scorre nel loro palazzo, eppure non sono in grado di chiedere aiuto, né di fuggire. Ma sto davvero lottando? Voglio veramente oppormi alla morte che qui impera? Mi sto solamente illudendo, nell’attesa di cedere finalmente alla fame che mi strazia?

Aro, tu amministri la giustizia, ma riconosci l’autopreservazione come unica legge. Non c’è nient’altro per cui valga la pena lottare? Sì, lo riconosco. I viventi si dividono in due categorie: quelli che sanno che non c’è nient’altro e quelli che non lo sanno. Entrambi apparteniamo alla prima, per questo ci riconosciamo e ci amiamo come fratelli.

Se esiste un dio, egli non è dalla parte dei giusti. L’ho saputo, fin dai tempi in cui mio padre mandava al rogo donne innocenti con l’accusa di essere streghe. Fin dalla prima volta in cui le fiamme hanno crepitato di fronte ai miei occhi e le grida strazianti di aiuto si sono levate verso un cielo crudelmente sereno, assolutamente vuoto. Si è divertito? Perché non ha fermato gli empi che massacravano innocenti, riempiendosi la bocca del Suo nome? Perché non riversa le sue fiamme su questo palazzo maledetto, annientandoci tutti come fece a Sodoma e Gomorra? La mano di Abramo si leva contro Isacco, ma non c’è nessun angelo a fermarlo.

Aro, entrambi conosciamo la verità, ma solo tu la accetti. Entrambi siamo lupi, ma solo io patisco la fame.  Se c’è un cosa realmente voluta da Dio a questo mondo è che il predatore sbrani l’agnello. Potrò mai accogliere la mia natura? No, non mi piegherò al mio orrendo istinto. Se nella verità non è contemplata la pietà, preferisco comunque servire la pietà piuttosto che la verità. Mio caro amico, forse in realtà sei tu l’arcangelo ai cui piedi pregai da bambino, fedele e soddisfatto della propria natura, pronto ad amministrare la giustizia del Padre senza alcuna compassione.

 Sai Aro? Da bambino non comprendevo perché Lucifero si fosse ribellato al Signore. Non capiva di non avere alcuna speranza di fronte a chi era tanto più grande di lui? Solo ora lo capisco. Il mondo è terribile, un incubo in cui il forte costantemente si ciba del più debole. La rivolta, sebbene vana, è troppo giusta per non essere tentata. Non potrò mai a essere come te, mio splendido angelo. Sarò sempre il demone che si ribella al progetto divino, desideroso di sovvertire l’ordine magnifico della realtà. Quanto ti bramo! La mia natura rifiutata desidera solo arrendersi a te, ma io non mi inginocchierò mai più ai tuoi piedi. Cancella il sorriso benevolo dalle tue labbra e amministra l’inappellabile giustizia del Dio che ti ha creato. Mentre attendo che finalmente tu rivolga la tua ira su di me, spero solamente che le fiamme dell’Inferno, estinguano la tremenda sete di te che lacera la mia gola.
 

Nda: per il racconto iniziale di Carlisle, mi sono ispirata alla paralisi nel sonno, un fenomeno per cui, sebbene il soggetto sia sveglio, persiste per alcuni istanti lo stato di atonia muscolare che si verifica durante il sonno REM. Tale paralisi può essere accompagnata da illusioni ipnagogiche, allucinazioni in cui di solito si percepisce un individuo minaccioso al proprio fianco. Tali presenze nel passato venivano di solito interpretati come dei demoni o delle streghe e ispirarono il quadro “L'Incubo”, di Johann Heinrich Füssli.

 

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Capitolo 7
*** Una passeggiata notturna ***


I vicoli di Volterra sono silenziosi. Scivolo fra le cenciose viuzze dei quartieri poveri. Sono un’ombra mortifera di cui gli abitanti delle misere case, vinti dal sonno e dalla fatica, non hanno consapevolezza. Senza il minimo rumore raggiungo la mia destinazione. Solo il respiro regolare di un mendicante assopito sul ciglio della strada turba la quiete della notte. Quel fievole e ostinato segno di un’inutile vita mi distrae e mi infastidisce. Vorrei porre fine all’esistenza di quel miserabile, farlo a pezzi. Non sarebbe difficile con il favore delle tenebre di una notte senza luna rubargli il palpito, ma esporre la mia razza, violando le mie stesse leggi, non sarebbe un atto degno di me.

Seccato mi concentro sull’obiettivo della mia passeggiata notturna. L’umile casa di fronte a me ha le finestre aperte, posso senza difficoltà discernere ciò che accade all’interno.
La fievole luce di alcune candele illumina il pallido volto di un uomo dai capelli d’oro. Accosta l’orecchio alla schiena di un bambino seduto su un giaciglio. Il piccolo sembra tollerare a malapena lo sforzo di rimanere in tale posizione senza lasciarsi ricadere sul letto. Il suo volto è meno pallido di quello del dottore e tuttavia appare infinitamente più malato. I colpi di tosse lo scuotono come un terremoto sconquassa un castello di carte e io, pur da questa distanza, riesco a sentire distintamente l’odore di sangue che impregna il suo fiato infantile. Il dottor Cullen si affretta ad abbandonare l’auscultazione per ripulire con un candido fazzoletto dalle labbra tremanti del paziente le tracce dell’emottisi. Quel debole sentore basta a risvegliare la mia sete, le labbra mi si piegano in un ringhio, mentre la gola riarde. Serro i pugni mentre stento a trattenermi dall’irrompere nell’abitazione e fare scempio di quella piccola e ben poco desiderabile preda. Carlisle invece non sembra subire la tentazione del seducente aroma, come se avesse appena deterso acqua e non sangue dalla bocca del giovane umano. La fronte lattea si corruga, ma non è la sete che turba il suo sguardo. Non fatico a distinguere nei tratti del mio amico un sentimento già in passato scorto nei suoi pensieri: la compassione. Si volta e proferisce alcune parole, una donna si fa avanti da un angolo. Poche rughe solcano il suo viso e non ha ancora perso la bellezza della gioventù, ma i capelli raccolti in una treccia sfatta sono ormai argentei. Mentre stenta a trattenere i singhiozzi, non è difficile capire come il dolore e gli stenti l’abbiano precocemente invecchiata. Con gli occhi gonfi di lacrime non versate osserva il dottor Cullen mentre ne ascolta il responso, quindi si limita ad annuire, come se non trovasse la forza di rispondere.

Stanco di quella scena patetica, mi allontano. Maledico in silenzio la mia curiosità. Ero ansioso di sapere dove si recasse il mio gradito ospite, quando si allontanava dal palazzo senza una parola. Caius aveva suggerito che, nonostante le sue belle prediche, egli fosse vinto dalla fame e andasse a nutrirsi dove il nostro sguardo non poteva cogliere la sua vergogna. Sarebbe bastato un mio semplice tocco per verificare tale ipotesi. Tuttavia carpire la verità tramite i miei poteri avrebbe significato ammettere che, dopo tutto questo tempo, ancora non ero in grado di comprendere il vampiro singolare che ero giunto a chiamare amico. Mi mordo furiosamente le labbra in preda alla rabbia e alla vergogna. Speravo che Caius avesse ragione. Quanto desideravo cogliere in fallo Carlisle per mostrargli infine la vanità dei suoi buoni sentimenti! Una volta messa a nudo la sua debolezza, avrebbe potuto finalmente lasciarsi vincere dalla sua natura e unirsi a me nella cruenta gloria dei signori dei vampiri. Avrei dovuto capire di star delirando. Maledetto! Non gli bastava evitare di uccidere, doveva anche precipitarsi in soccorso di quelle insignificanti vite. Più lo invito a cedere alla brama di sangue, più lui rimane saldo nei suoi principi. Sono stanco. Il diavolo che tentò Gesù nel deserto fu costretto ad arrendersi di fronte alla sua caparbietà. Sarà il mio destino? Perché non può cambiare? Perché non può capire che se c’è una cosa giusta e saggia nell’ordine delle cose è che i forti prevalgano sui deboli? La sua bontà mi strazia, è un eterno monito dei miei peccati. Perché non può essere come tutti gli altri?
Un sorriso senza felicità deforma il mio viso. Se Carlisle fosse come tutti gli altri non sarei più vittima del suo incanto. Disprezzo la sua compassione, ma essa mi attira a lui. Odio il suo amore, ma solo perché non è rivolto a me soltanto. Lo desidero perché lui è ciò che io non potrò mai essere. È un tesoro che non posso possedere senza corrompere. Mi fermo e appoggio la schiena contro un muro, stanco di amare ciò che non posso possedere.

Alzo gli occhi al cielo, l’oscurità sembra inghiottire la luce delle stelle.
Un pensiero mi tortura e mi delizia. I farisei, non potendo cogliere Cristo in fallo, furono costretti a metterlo a morte. Forse anch’io un giorno dovrò uccidere Carlisle per mettere fine alla mia pena, rompendo il gioco con cui non posso baloccarmi.

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Capitolo 8
*** Due vampiri, un cinghiale e un bacio. ***


Il sole era calato dolcemente sui boschi vicino a Volterra, creature crepuscolari di ogni tipo abbandonavano le proprie tane in cerca di cibo. La fitta vegetazione, come ogni notte, celava il pullulare di predatori silenziosi, famelici e letali.  Un anziano cinghiale scandagliava con il grugno il terreno umido del bosco alla ricerca delle ghiande cadute dalle maestose querce e dai lecci. Era un esemplare possente dal manto scuro, probabilmente il peso raggiungeva il quintale e mezzo. Solo la vita condotta all’esterno di qualsiasi branco e una leggera zoppia alla zampa anteriore destra testimoniavano l’avanzare dell’età. Sarebbe potuto essere un avversario temibile per qualsiasi cacciatore avesse avuto la malaugurata idea di provare a ghermirlo. Essere caricati da quell’animale, dotato di furia cieca e muscoli vigorosi, con i canini che fuoriuscivano dalle fauci a formare zanne pronte a sventrare il nemico, non era un’esperienza che si sarebbe potuta facilmente raccontare. Un paio di metri sopra l’animale tuttavia, appollaiato su un ramo robusto di un rovere rigoglioso, lo osservava un predatore tanto insolito, quanto pericoloso.
Assomigliava a un uomo nel fiore della gioventù e solo il pallore mortale della carnagione avrebbe potuto rivelarne la natura. Sottili riccioli aurei incorniciavano un volto d’alabastro in cui solo i profondi e febbrili occhi neri tradivano l’angelicità dei tratti. Indossava una semplice giacca di velluto verde, che cadeva morbidamente fin sotto al ginocchio, lasciata aperta sul petto per rivelare un panciotto poco più corto di seta marrone in cui l’applicazione di una decina di piccoli bottoni-gioiello dorati era l’unica concessione alla frivola moda del tempo.
Carlisle Cullen sentì le labbra piegarsi verso il basso in un ringhio. Da giorni riusciva a malapena a trattenersi dall’assaltare il primo essere umano che gli si fosse parato davanti. Gli ignari abitanti di Volterra gli sembravano danzare al ritmo delle pulsazioni incessanti delle loro carotidi mentre la brezza autunnale sollevava il profumo inebriante del sangue che non chiedeva che scorrere. Aveva rimandato troppo la sua abituale battuta di caccia. Gli sembrava che la sua gola tormentata dalla sete fosse sul punto di squarciarsi. Per una frazione tutti i suoi muscoli si tesero all’unisono prima del balzo mentre il ramo che lo sosteneva scricchiolava sotto i suoi piedi, poi come una folgore piombò sulla preda ignara del pericolo, atterrandola con una sola mano. Il cinghiale, a stento consapevole dell’accaduto, si dibatteva invano con tutte le forze per divincolarsi dalla presa invincibile sopra il suo capo, grugnendo pietosamente. Con la mano libera Carlisle massaggiò la gola della bestia, percependone la pulsazione accelerata sotto le sue dita, quindi vi si gettò sopra squarciandola con i canini affilati. Subito il sangue caldo dal sapore amaro, così diverso dal profumo dolce delle vene umane, proruppe nella gola del vampiro e il cinghiale dopo pochi istanti non si mosse più. Quando ebbe prosciugato le ultime gocce vitali dalla carcassa, il vampiro si staccò dall’animale e, messosi in piedi, indietreggiò di qualche passo finché non ebbe la schiena contro il tronco bruno del rovere che poco prima era stato il suo punto di osservazione, percependo con piacere la morsa della fame allentare la propria presa.

- Una nottata incantevole per far scorrere del sangue, non è così dottor Cullen? Anche se per un pasto così umile…-Una voce familiare aveva spezzato il silenzio del bosco. Carlisle Cullen si rese immediatamente conto di non essere più il predatore più pericoloso nei dintorni. Voltando il capo di lato, vide un vampiro dai capelli corvini avvicinarsi pigramente verso di lui. I tratti eleganti, scolpiti nel viso marmoreo, riflettevano in modo soprannaturale i tenui raggi di luna che filtravano attraverso il fitto fogliame, mentre gli occhi cremisi fiammeggiavano in direzione dell’interlocutore. Era vestito di nero, ma i suoi abiti erano molto più ricercati di quelli di Carlisle. Elaborati tratteggi asimmetrici, orientaleggianti, erano ricamati in oro sia sulla giacca che si allargava dalle spalle verso le ginocchia, sia sul panciotto. Era come se una rara pianta autunnale si fosse arrampicata sopra i morbidi abiti del nuovo giunto.  

- Buonasera Aro- salutò Carlisle con un cenno del capo – i pasti umili sono i miei preferiti-Aro scosse la testa sospirando drammaticamente – i gusti sono gusti, amico mio – aggrottò le sopracciglia – ma temo che i tuoi gusti ti indeboliranno-

- Sono commosso dalla tua preoccupazione per il mio stato di salute, ma ti assicuro che sono in perfetta forma – gli occhi del vampiro avevano assunto una dolce tinta d’ambra, quasi a confermarne le parole.Il capo dei Vulturi sembrò non sentirlo neanche – Davvero un pessimo stile alimentare – borbottò distratto, mentre il suo sguardo curioso esaminava il bosco circostante.

-Credevo che non lasciassi mai il palazzo da solo- il dottor Cullen provò a cambiare argomento, lasciandosi scivolare con grazia lungo il tronco, finendo seduto sulle tortuose radici della quercia. - E in ogni posso chiedere che bisogno c’era di seguirmi di nascosto fino a qui? Sai che non mi dispiace un po’ di compagnia durante la caccia… -Il vampiro, in piedi di fronte a lui, lo sovrastava. Carlisle sapeva che il capo di Volturi apprezzava la possibilità di assumere una posizione di dominio, anche se puramente formale, e sperava che questo l’avrebbe indotto alla sincerità

-Io non sono da solo, amico mio, sono con te – Aro fece una breve pausa, gustando l’espressione sbigottita del compagno, le cui labbra ceree si erano dischiuse alla risposta inaspettata – e comunque trovo che lo spettacolo sia più divertente quando l’attore non sa di essere osservato-
In un istante il suo biondo interlocutore fu in piedi. Il viso non mostrava rabbia, sebbene lo sguardo serio e le ciglia aggrottate manifestassero un certo turbamento - Attore? Spettacolo? – Carlisle scosse la testa – non credo di averti mai offeso, perché mi ripaghi trattandomi come un fenomeno da baraccone? -

Il capo dei Volturi inclinò il capo di lato, quasi incuriosito dalla reazione del suo amico – Non era mia intenzione offenderti, ma capirai da solo di essere una rarità alquanto insolita…-

- Oh e tu le rarità insolite le collezioni nel tuo palazzo, non è per questo che ti circondi di vampiri dotati di ogni sorta di poteri? - il tono del vampiro era calmo, ma freddo e distaccato – Temo però che il tuo fiuto per le stranezze ti stia ingannando, io non ho nulla di speciale-

Le labbra di Aro si allargarono in un ampio sorriso, una fessura nel volto mefistofelico perfetta e vermiglia, come una gola lacerata – oh ma tu sei il più speciale di tutti, amico mio, tu sei come me…-

Le parole furono seguite da un lungo silenzio disturbato solo dal frusciare delle foglie che ondeggiavano alla brezza lieve. Carlisle guardava il proprio interlocutore come se si trovasse di fronte a un folle in preda alla mania. –Amico mio, ti sei dimenticato che io non leggo nel pensiero? -

A quella risposta il bel volto di Aro si contrasse, scosso dagli spasmi di una risata, che risuonò nel silenzio della vegetazione – Oh no, non potrei di certo, ma tu sei così ingenuo, mio caro Carlisle - rispose non appena ebbe recuperato in parte il controllo di sé – Io non sto parlando di poteri - levò il dito in aria, scuotendolo in segno di diniego – vediamo… come posso farti capire? – prese a camminare lentamente intorno al proprio interlocutore, come uno squalo che gira intorno alle preda – Dimmi qual è la prima qualità necessaria per regnare?- chiese inclinando il capo di lato impaziente di ascoltare la risposta

-È la fame, la volontà di appropriarsi del prossimo per pura avidità– rispose prontamente Carlisle – ma dove vuoi arriva…

-Ah… ah… ah…- con la velocità soprannaturale concessa dalla condizione di vampiro Aro si accostò a Carlisle ponendo l’indice sulle sue labbra per farlo tacere – Non essere impaziente, stai alle mie condizioni, sarà più interessante, vedrai– le parole erano cortesi, ma il tono non ammetteva rifiuto. Gli angoli della bocca del vampiro fremevano, come se fosse un gatto che sta giocando con un topolino – In ogni caso hai dato una risposta intelligente, da te non mi aspettavo niente di meno- sorrise soddisfatto scostando il dito dalle sue labbra– Molti che nel cuore sono profondamente malvagi avrebbe risposto la giustizia, la pietà o l’abnegazione. Non c’è limite a ciò che un ipocrita oserebbe dire. Ma tu, invece – si accostò ancora di un passo al punto che i suoi occhi vermigli non erano che a pochi centimetri di distanza  da quelli dorati del vampiro che gli stava di fronte – tu sei buono, amico mio – sorrise e, per una volta, Carlisle ebbe l’impressione che non si trattasse di un’espressione di scherno o di cortesia – Sei la prima anima buona che vedo da secoli e non è che ne veda poche – alzò quasi inconsciamente la mano come a indicare il tocco attraverso il quale era solito giudicare i testimoni – eppure hai nominato un qualità tanto indegna... Tu sei buono, mio caro amico, ma sai benissimo di non vivere in un mondo altrettanto buono – aggrottò le sopracciglia – Dev’essere un tale fardello, una tale maledizione desiderare così ardentemente il bene e sapere che il mondo è dei malvagi…- sorrise portando le mani al proprio petto - … come me –

Gli occhi di Carlisle erano sgranati, incapaci di distogliersi da quelli di Aro, ma la voce che uscì dalle sue labbra aveva il tono gentile di sempre– La tua analisi è chiara, anche se penso che tu stia ingigantendo il mio… ehm … tormento. Ti assicuro che non passo le mie ore a trastullarmi con elucubrazioni filosofiche –

- Oh lo so– Aro portò la mano alla guancia del suo insolito amico, sogghignando mentre questi si irrigidiva a quel contatto – io so tutto – mormorò prima di lasciarla ricadere la mano lungo il proprio fianco – c’è così tanto da fare per un vampiro tanto buono in un mondo tanto cattivo…- sospirò ironicamente – ma torniamo a noi. Hai dato una risposta molto centrata, ma non è la più corretta- fece una pausa drammatica, sorridendo – la qualità più importante per dominare è la volontà di distruggere il mondo pur di ricrearlo a propria immagine e somiglianza. –

Carlisle, che fino a quel punto era rimasto immobile, tollerando la stretta vicinanza che Aro aveva imposto, scosse la testa e si voltò, guadagnando un po’ di distacco - Forse, ma questo cosa avrebbe a che fare con m…– Seppe di aver commesso un errore a dare le spalle a un avversario così temibile ancor prima di finire la frase. Aro gli piombò repentinamente addosso, afferrandolo per la braccia e costringendolo a girarsi  – Perché? – ebbe soltanto il tempo di soggiungere, prima di iniziare a lottare per divincolarsi

- Perché mi devi ascoltare… - rispose Aro, con gli occhi folli accessi da un bagliore sinistro. Le mani strette saldamente intorno alle braccia irrequiete di Carlisle, mentre le loro due forze sovrumane si eguagliavano nel confronto creando una situazione di stallo – mi devi ascoltare attentamente, perché io e te siamo uguali, anzi tu sei molto peggio di me – a queste parole, il dottor Cullen smise di dibattersi restituendogli uno sguardo attonito – io non devo poi impegnarmi così tanto – continuò senza abbandonare la presa nonostante la mancanza di resistenza – il mondo già mi somiglia molto, devo solo annientare qualcuno per poterlo dominare, ma non devo compiere alcuna rivoluzione, tu invece…- scosse la testa, guardano la luce dorata di quegli occhi che nessun potere avrebbe potuto rendere letali – tu daresti questo mondo empio e corrotto alle fiamme, se questo significasse veder scendere dal cielo la Gerusalemme Celeste, non è così? - sorrise amaramente – tu sei un comandante molto più temibile di quanto io potrò mai essere e i tuoi seguaci, se mai ne troverai, saranno più inarrestabili dei miei. Mai sottovalutare la forza degli idealisti. – sorrise amaramente – se solo tu potessi abbandonare il tuo sogno caparbio per il mio… - disse con gli occhi purpurei colmi di un desiderio disperato – ah… mio amatissimo amico, saresti davvero delizioso.-

Paralizzato da quelle parole, Calisle non ebbe modo di reagire. Il temibile comandante dei Volturi, il vampiro più oscuro e spietato di tutti, avvicinò dolcemente il proprio volto al suo come per baciarlo, ma subito quel momento di tenerezza si trasformò in un gesto primordiale colmo di bramosia, mentre la bocca di Aro gli avvolgeva il labbro inferiore per morderlo avidamente.
Carlisle chiuse gli occhi per secondi che sembrarono eterni. Quando li riaprì, scoprì con angoscia di essere solo. Avrebbe creduto di aver sognato, se non fosse stato per il ricordo vivido del sapore di sangue umano di cui erano intrise le labbra che si erano congiunte alle sue.

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