In vino veritas

di Alphabet Loser
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 9 Settembre 2015 ***
Capitolo 2: *** 29 Settembre 2015 ***
Capitolo 3: *** 31 Ottobre 2015 ***



Capitolo 1
*** 9 Settembre 2015 ***


Petra sostituì il bicchiere di Coca-Cola con quello pieno di patatine più tre popcorn che aveva tra le gambe. Era la prima festa-da-universitari-come-quelle-dei-film a cui avesse partecipato. Non era mai stato un'amante delle feste, e quella le stava riuscendo particolarmente fastidiosa. La musica era troppo alta, nonché orribile, le ragazze succinte nonostante il clima non particolarmente tiepido, i ragazzi sboroni, metà degli invitati a rischio di coma etilico. Le scale, lontane dalle casse, lontane dai bagni, lontane dalle camere da letto, un po' a metà rispetto a tutto, le offrivano una silenziosa e gradita compagnia. Da lì aveva modo di osservare i festeggiatori allo stato brado, chiedendosi chi, tra lei e loro, avesse bisogno di aiuto psicologico. Se era lì, in quell'habitat a cui non apparteneva, era a causa di una sua amica, il cui ragazzo era un felice frequentatore di qualsiasi evento offrisse alcol gratuito, o ad un prezzo modico. Conosceva forse tre persone in tutto, e non essendo troppo incline a socializzare, aveva optato per le scale. Ogni tanto le sue esigue conoscenze venivano a scambiarle due parole, o quelli che salivano o scendevano le chiedevano perché fosse lì. «Non ho nient'altro da fare» rispondeva lei, bevendo un sorso di Coca-Cola o sgranocchiando una patatina, per far sembrare che l'attività gastronomica la stesse impegnando intensamente. Si riforniva regolarmente di cibo e bevande (solo bibite, l'alcol le faceva schifo), pensava ai fatti suoi, stava seduta, magari dava un'occhiata a qualcosa su internet sul cellulare. Quell'improvvisa occasione mondana non turbava la sua placida esistenza. Finché un ragazzo non capitombolò accanto a lei. Aveva sentito un rumore paragonabile a "corpo umano che rotola per una decina di gradini" e poi si era ritrovata un tizio completamente sconosciuto a privare lei e le scale della loro intimità.

«Heeeeeey»

Era evidente che facesse parte della metà di invitati a rischio coma.

«Come va?»

Aveva un sorriso da idiota, puzzava di alcol come un senzatetto la notte della vigilia e parlando le si era avvicinato un po' troppo alla faccia. Strinse le labbra. Il ragazzo sembrava abbastanza svampito da non pretendere necessariamente una risposta, per sua fortuna. Lui rise, poi si corrucciò per un attimo.

«Hey. Cos'hai lì nel bicchiere?》 chiese curioso. «Coca»

La guardò perplesso.

«Cola» specificò lei.

La sua espressione si distese. Il suo sguardo si perse momentaneamente in un vuoto cosmico che sembrava avere tutte le risposte ai grandi quesiti della vita.

«Oh»

Rise. Petra interpellò lo spirito di Gandhi, chiedendogli dove avesse sbagliato. Dopo due secondi di tregua, lo sconosciuto la scrutò attento e partì di nuovo all'attacco.

«Sai...» si avvicinò pericolosamente, e lei si schiacciò contro il muro, perplessa. Intimorita? Forse anche. «Non prendermi per uno che diventa gay da ubriaco, però... per te farei un'eccezione anche da sobrio»

Si esibì in quello che probabilmente sarebbe dovuto essere uno sguardo sensuale, e Petra aggrottò le sopracciglia.

«Cosa?» «Sei etero?» chiese. «Dai, sei troppo carino per essere completamente etero» «Sono una ragazza»

Il tipo inclinò la testa con un'espressione da ebete.

«Ah?» «Sono una femmina»

Lui allungò una mano incerto, per andarla a piazzare con proverbiale grazia sulle di lei tette. Petra si limitò a guardarlo male. Per lo meno, il ragazzo sembrava troppo scemo per essere pericoloso, o troppo fatto.

«Hai le tette» «Eh» «Senti ma...»

Aggiunse anche l'altra mano, evidentemente gli serviva un contatto più approfondito per sincerarsene.

«...sicuro che non sei, tipo, un ragazzo trans?» «Sicura» «Mh»

Piegò la bocca. Niente, non riusciva a convincersi.

«Se lo dici tu. Come ti chiami?» «Petra» «È un nome strano» «Sono ungherese» «Oh. Sono fighe, le ungheresi?»

Petra un po' rise, nonostante si sentisse a disagio. «Beh, sono stata in Ungheria solo una volta, io sono nata qui, e non mi pare che siano più fighe delle francesi»

Lui rise. Va bene. Non si stava dimostrando eccessivamente molesto. Avrebbe potuto tollerarlo ancora per qualche minuto.

«Io sono Nicephore»

Le allungò la mano, con un sorriso largo, un po' da ubriaco.

«È un nome strano. Più del mio, intendo» «Vero. Ma puoi chiamarmi Bastien» «Perché?» «È il mio secondo nome» «Ah»

Il silenzio evidentemente non gli garbava, trenta secondi dopo disse: «Allora, non hai niente da dirmi?» «Mh, no?»

Ma cosa voleva, quello.

«Io sono ubriaco, non puoi aspettarti che sia io a fare conversazione. Tu non lo sei.»

«Già»

Forse non aveva voglia di conversare con lui?

«Che cosa significa il tuo nome? Nicephore» «Ah, non ne ho idea. Dovrebbe significare qualcosa? Boh»

Petra si rassegnò a deludere le sue aspettative di sobria conversatrice.

«Senti, io vado a prendermi da bere»

Petra non rispose, semplicemente fece quel piatto sorriso di cortese assenso, mentre Nicephore si alzava facendo forza su una mano. E va bene. Prese una manciatina di patatine dal bicchiere, e le ingurgitò con quello charme che in genere riservava ai cereali. Quel tipo doveva essere fuori come una pianta di basilico sul balcone, o gli avevano passato roba buona. Ma poi mise da parte il suo lato sarcastico e asociale, quello predominante, e pensò che in fondo non si era comportato in modo così strano. Tranne l'inizio. Quello era stato strano. Accarezzò lo scalino sotto di lei. "Ora non c'è più nessuno a frapporsi tra di noi, scala-chan" Si sbagliava. Nicephore tornò trionfante, con una lattina di birra tra le dita, spalmandosi vicino a lei.

«Non mi dai un bacio di bentornato?» «Temo di non essere abbastanza virile per te»

Nicephore rise, e Petra pensò che l'avrebbe fatto nello stesso modo se non fosse stato ubriaco.

«Touché»

Aveva la voce un po' impastata, strascicata. Fluida, però. Petra si domandò se era così che ci si faceva amici, magari anche così che la gente rimorchiava.

«Vuoi?»

Allungò la lattina, con un'espressione innocente, da bambino.

«No grazie»

Rise ancora.

«Cos'è, sei l'amico che guida?»

Non lo corresse.

«No, è che non mi piace l'alcol.»

Nicephore rimase a bocca aperta, scandalizzato.

«Cosa- come? Perché» «È solo che, boh, non mi piace. È solo amaro. Non è buono» «Ma è alcolico. È quello il punto»

Petra rise un po', così, per non ignorarlo del tutto. Si ricordò di una cosa, e tirò fuori il cellulare.

«Nicephore significa portatore di vittoria»

In fondo quel tipo sembrava simpatico. Ed era carino. Tutti sono sensibili alle persone carine. Lui si girò verso di lei, sorridente.

«Eeehi. Perfetto. Non mi è mai piaciuto abbastanza. Mi calza a pennello»

Poi le mise la testa tra le ginocchia, rovesciandola all'indietro per guardarla dalla sua posizione, seduto sotto di lei.

«Sei davvero carino, Peter» disse sorridendo, con un'espressione un po' persa. «Falso» «Perché?» «Vari motivi. Tra cui quello che io sono Petra e non Peter»

Lui si morse il labbro, pensieroso.

«Non sono ancora sicuro di questo»

Petra rise, più sinceramente. A essere onesta, voleva andare a casa. Aveva sprecato lì già più di un'ora, e iniziava ad avere sonno. Si bevve un sorso di Coca-Cola mentre Nicephore si scolava la lattina che, una volta vuota, gli scappava dalla mano e rimbalzava giù per i gradini fino al pavimento. Si era fatto silenzioso, e gliene era grata. Stese le maniche della camicia su tutte le braccia, iniziava ad avere un po' freddo. Un tizio salì le scale accanto a loro toccandosi fugacemente il cavallo dei pantaloni con mediocre discrezione. Petra pensò che le feste fossero davvero una palla. Passò lì ancora qualche minuto e vide solo lingue avventurose, mani in avanscoperta, imbecilli che forse erano pure convinti, di star ballando. Nicephore le tirò l'orlo dei jeans.

«Petra» «Mh» «Devo vomitare»

Petra sospirò.

       

Pensò che avrebbe potuto scegliere un lavandino. Anche solo un cesso, come nei film. Ma no. Lui doveva vomitare sotto il giovane albicocco del giardino. Rigurgitava mentre lei gli teneva i capelli indietro, sentendogli la fronte sudaticcia. Quando finì si sedette, con la felpa storta e le spalle appena tremanti.

«Ho freddo. Dov'è il bagno?» «Non potevi chiedermelo prima?» disse mentre lo tirava su. «Eh?» «Dico, non potevi andare a vomitare in bagno? Proprio nel prato?» «E va be'. Sarò mica l'unico» «Non so cosa sperare francamente»

Lo sbattè nel bagno al piano di sotto, dove lui con deliziosa nonchalance si mise a pisciare davanti, gemendo come se qualcuno l'avesse costretto, a bere come un pirla senza cervello. «Fine» mormorò Petra, ammirata, senza che lui la sentisse. Si lavò le mani e diede una sciacquata alla faccia. Ebbe ancora un paio di conati di vomito, ma per fortuna si limitò a quello. Era triste vederlo piegato sul lavandino, le mani a stringerne i bordi, era triste vederlo star male. «Da quant'è che sono qui?» «Qui alla festa?» «Mh» «Non so, è iniziata da più o meno un'ora. Un'ora e un quarto, forse» «Wow, ho sboccato dopo solo un'ora» esclamò ridendo. «Non è un record» aggiunse poi serio, guardandosi nello specchio. Petra rise, per sperare un istante dopo che lui avesse almeno in parte scherzato.

«Credo di dover andare a casa» «Già» «Tu resti qui?» «No, penso che andrò anch'io» «Fico»

Nicephore sorrise.

«Mi accompagni?»

       

Attraversarono la folla festante, sgraffignando da un tavolo lui una fetta di torta e lei una di lizza. Nicephore le aveva detto di abitare lì vicino, entrambi erano a piedi e anche la casa di Petra non distava molto da lì. Arrivati all'ingresso, lei si girò a scrutare gli invitati.

«Devi salutare qualcuno?» chiese lui. «Mmh. No. Non importa, tanto adesso non li vedo»

Uscirono, passando davanti all'albicocco contaminato. L'aria si era fatta fresca, il cielo era nero punteggiato di nuvole grigie. Nicephore si avviò verso quello che Petra aveva detto essere il suo indirizzo, e lei lo seguì. A un certo punto, mentre camminavano, lui le si appoggiò su una spalla, portandosi una mano alla tempia.

«Che c'è?» «Niente. Mi gira la testa» «Casa tua è dopo la mia?» «No. L'abbiamo già passata» «Ah»

Petra si arrestò.

«E perché non l'hai detto?» «Pensavo di accompagnarti e poi tornare indietro» «Oh. Be', non è il caso»

Era gentile, l'alcolizzato, non se l'aspettava. Lo fermò una volta arrivati davanti al suo condominio.

«Vivi da sola?» «Con una mia amica. Sono venuta qui per studiare» «E cosa studi?» «Legge» «Uuh, impegnativo. Non ho violato nessuna legge, vero? Non mi denuncerai?» «Anche se lo facessi non credo che ti condannerebbero» rispose Petra ridendo. Lui fece un faccino da beagle abbandonato. «Tranquillo, non ho intenzione di farlo» «Va bene. Allora ci vediamo un'altra volta, forse» «Già, forse»

Lui sorrise, con le mani nelle tasche della felpa e un'espressione un po' da sciroccato.

«Buonanotte, Peter» «Buonanotte»

Petra lo vide allontanarsi, girarsi per salutarla con la mano, e tornare a guardare davanti.

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Capitolo 2
*** 29 Settembre 2015 ***


L'aveva solo intravisto, quella sera. A dir la verità, tornando a casa, si era chiesta se non si fosse sbagliata, se non fosse stato solo qualcuno che gli assomigliava.

Era uscita con Juliette, erano andate a cena fuori e poi al cinema, perché il film che volevano vedere era solo alle dieci. Sapevano entrambe che sarebbero state morte di sonno alla fine dello spettacolo. Dopo, avevano camminato in quel quartiere per una ventina di minuti, prima di decidersi a tornare all'appartamento che condividevano. C'era, nella piazza del Comune, un gruppo abbastanza folto di persone. Era una sorta di festa di paese, versione città. Erano stati disposti dei tavoli coperti da tovaglie di carta bianche e circondati da panche di legno, con due stand, uno più grande e l'altro più piccolo. Dal primo, ormai vuoto, probabilmente avevano servito la cena. Il secondo, invece, distribuiva bevande, ed era ancora nel pieno degli affari. Per terra si vedevano i classici grossi bicchieri di plastica usati in quelle occasioni. Gli avventori erano più o meno della loro età, un po' più giovani o un po' più grandi.

C'era un gruppo di ragazzi che ridevano e si spintonavano amichevolmente a vicenda. Nel centro, verso sinistra, vide per un istante un profilo non completamente illuminato.

Sì, in effetti, pensò tornando a casa, forse si era sbagliata, forse era solo qualcuno che gli assomigliava, ma aveva quello stesso naso un po' appuntito, e ridendo aveva socchiuso gli occhi e messo la lingua tra i denti. In un modo che aveva visto solo poche volte, quella sera, e poi non più, ma le sembrava per qualche motivo particolarmente caratteristico. Si infilò i pantaloni del pigiama mentre Juliette finiva di lavarsi i denti, e pensò che sarebbe stato bello, se ogni tanto le fosse capitato di vederlo di sfuggita, camminando per strada. Le sarebbe bastato. Le avrebbe semplicemente ricordato di qualcuno che era stato suo amico per una sera.

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Capitolo 3
*** 31 Ottobre 2015 ***


Non era propriamente una discoteca, quel posto, era solo un locale. Ché fa figo, chiamare i posti locali, fa metropoli. Petra lo chiamava locale perché non sapeva come altro definirlo.
Fuori il clima era freddo ma per fortuna non pioveva, come invece era stato annunciato. Probabilmente la pioggia avrebbe ritardato di qualche ora. La festa si svolgeva sia fuori che dentro il "locale", e tutto lo spazio era gremito di gente. Petra cercava di farsi largo tra la folla per seguire le due amiche che accompagnava. Per fortuna una delle due era alta, e la sua testa era ben visibile. Era lì da circa tre minuti e già ne aveva le palle piene. Con una mano in tasca e l'altra davanti a naso e bocca per coprire uno starnuto che sembrava non voler arrivare, cercava di non farsi uccidere dalla ressa, maledicendo i suoi geni per averla fatta così piccola.
 
«Vieni, ché entriamo» disse l'amica alta.

Non era stata una buona idea. All'interno c'era un bar a sinistra, dei divanetti e dei tavolini a destra, e in centro, la cosiddetta pista da ballo. Petra strinse la mano dentro la tasca. Pauline l'amica alta si girò verso di lei.

«Scommetto che non vedi l'ora, eh di ballare?»
«Smanio»
«Ma prima non possiamo, tipo, prenderci qualcosa da bere?»
«Sì, sì, certo. Andiamo a ballare dopo»

L'amica di dimensioni medie, Chloé, aveva messo d'accordo l'amica alta e l'amica piccola.
Si diressero verso il bancone a forma di semicerchio circondato da sgabelli bianchi alti più o meno come Petra.
Chloé prese un rum e pera*, e Pauline la imitò. Non era una grande esperta di alcolici, ma andare in posti del genere e non prenderne le sembrava fuori discussione, così si limitava ad affidarsi a chi ne sapeva un po' più di lei. Petra chiese una Coca, in lattina. Ce l'avevano solo in bottiglia o al bicchiere, altrimenti c'era la Zero in lattina. Optò per la seconda scelta, per non doversi accontentare di 125 millilitri né dover aver a che fare con mezzo litro, anche se la Coca-Cola Zero non le piaceva molto. Aveva un gusto strano accentuato dalla consapevolezza che non aveva zucchero ma era piena di dolcificanti artificiali. Gliela diedero senza cannuccia. Petra si arrese.

«Allora,- chiese aprendo la bibita -cos'avete in programma per questa formidabile serata? A parte bere alcol e ballare, ovvero le cose che io non ho intenzione di fare?»
«Certo che tu non vuoi mai divertirti, eh?»
«Diciamo che ho altri modi di divertirmi»
«Tipo?»
«Boh»
«Ecco. Comunque non so. Adesso stiamo qui e poi vediamo»
Petra bevve un sorso direttamente dalla lattina, una delle tante cose che non le piaceva fare.
«Ma dai, Petra, balla anche tu!» la esortò Chloé.
«Ma non sono capace!»
«Ma neanche io!»
"Allora cosa lo fai a fare?"
«È solo per divertirsi» continuò.
«Lascia stare, è un caso disperato»
«Petra, o balli o ti cerchiamo un fidanzato!»
«Cercate pure, chi cerca trova. E comunque, non fareste meglio a trovarne prima uno per voi?»
Dio, in che situazione terribile era finita, costretta a posare le labbra su quella lattina.
«Allora ne troveremo tre!» esclamò Pauline, e forse era persino seria.
«Come dobbiamo cercarlo?» chiese Chloé.
«Eh?**»
«Come dev'essere, il ragazzo? Biondo, bruno...»
«Oddio»

Non poteva essere vero.

«Non ne ho idea, santo cielo. Ma se proprio ci tenete, in generale preferisco i capelli scuri a quelli chiari, a meno che non siamo rossi, tinti di un colore strano, bianchi o biondi chiarissimi. E mossi. Né lisci né troppo ricci. E gli occhi... mah, neri, verdi o grigi. Voi invece avete fatto l'identikit dell'uomo ideale che verrà a prendervi sul cavallo bianco?»
«Oh, be'- Pauline spinse le mani in avanti -deve essere alto. Più alto di me. Pensa che brutto, se in una coppia il più basso dei due è il ragazzo»
«Razzista. Poi magari scoprite di essere lesbiche»
«Be', io sono bisessuale» disse Chloé.

Petra la conosceva da sei anni e non era ancora riuscita a capire se era bisessuale per davvero o se faceva solo finta. Pauline, invece, preferì indignarsi. Tanto per cambiare.

«Ma piantala con 'ste cose! Secondo me sei tu quella lesbica»
«È vero. Lo ammetto. La figa è il mio credo»
«Se volevi attirare qualche ragazzo potevi vestirti un po' più elegante»

Petra abbassò gli occhi sui propri vestiti. Un paio di pantaloni rossi di una qualche stoffa un po' lucida e una felpa senza cerniera nera su cui aveva disegnato le ossa del torso e delle braccia e tra le costole, la granata a forma di cuore di American Idiot.

«Primo: io non voglio attirare le persone, e se anche volessi farlo userei un furgoncino nero coi vetri oscurati che suona la musichetta dei gelati che, per inciso, non so nemmeno quale sia, perché 'ste cose esistono solo in America. Secondo: non voglio attirare ragazzi. Terzo: sono vestita divinamente.»
 «Se lo dici tu»

Pauline si alzò e prese la sua borsetta.

«Noi andiamo a ballare»
«Sì, sì»

Chloé la salutò sorridendo e Petra le fece un cenno con la mano. Si rigirò verso il bancone, e finalmente si concesse di sospirare sonoramente. In certi momenti le veniva voglia di tramare arditi e meschini piani per umiliare vergognosamente chiunque conoscesse e mettere così fine troppe (si fa per dire) inutili amicizie. Quello era uno di quei momenti. Adesso, seduta al bancone di stupido bar in uno stupido locale, con una Coca-Cola Zero aperta davanti, cosa poteva fare?
Certo, c'era sempre l'opzione "iniziare una brillante carriera di prostituzione a dieci euro a botta", perché non poteva pretenderne molti di più. Venti euro per la prima perché era vergine. Ma non si sentiva pronta a imboccare quella strada*. Si alzò e costeggiò il balcone finché non trovò un contenitore di cannucce in un punto non troppo affollato, così da potersi avvicinare senza rischiare di rimetterci una rotula. Ne pescò una e la scartò. Rosa. Ottimo. Si arrampicò su un altro sgabello e cercò le sue amiche con lo sguardo. Che stile, che grazia avevano. Che sex appeal. Sorrise a se stessa, fiera della sua empietà. Appoggiò i gomiti sul tavolo e bevve un lungo sorso dalla sua nuova cannuccia color vestito della figlia di Barbie (o sorella minore?).

Pensò che sarebbe stata lì per qualche minuto, non più di venti, giusto per fissare un tetto, e poi sarebbe uscita. E fanculo i locali e le discoteche. Si sarebbe fatta un giro in città aspettando le due ballerine scatenate. Nel frattempo, sarebbe stata in balia degli eventi e delle persone. Guardò i camerieri lavorare indaffarati nella luce viola del locale, seguendo i movimenti dei loro polsi mentre shakeravano il ghiaccio dei cocktail. La musica sembrava rimbombarle nel cranio, e si chiese se fosse l'unica a cui dava fastidio quando era così rumorosa.

«Ehi bello» fece una voce familiare dietro di lei, mentre sentiva una mano posarsi sulla sua spalla destra. Si girò in quella direzione, ma non c'era nessuno, allora si voltò istintivamente a sinistra. Lo vide sedersi tutto sorridente accanto a lei, con una bottiglia di birra in mano.
«Ci siamo già visti prima?» chiese indicandola. «Questa è solo in parte una frase da rimorchio»
«Ehm, sì. Ci siamo già visti»

Lui spalancò gli occhi.

«Davvero? Pensavo di essermelo sognato. Oddio, non è che di solito sogno di conoscere persone che poi incontro davvero, tranquillo, però... Ma comunque dove? Quando?»
«È già da un po'. A una festa a casa di una tipa che si chiama Amelie. E mi hai scambiato anche quella volta per un ragazzo»

Nicephore sputacchiò come un innaffiatore da giardino la birra che stava bevendo, e Petra distolse lo sguardo, imbarazzata.

«Cazzo. Merda, scusa. Non volevo, cioè, è ovvio che non volevo, è che... è buio e... probabilmente ero ubriaco e...»
«Sì, eri ubriaco, ma tranquillo, davvero, non mi sono mica offesa»
«Be', di solito le persone si offendono per queste cose, anche se in realtà non ho mai scambiato una lei per un lui, e nemmeno un lui per una lei, ma è una di quelle cose che fanno offendere la gente, voglio dire, credo che io mi offenderei se qualcuno mi scambiasse per una ragazza, ma magari quel qualcuno conosce solo ragazze alte e... virile mi sembra esagerato persino per me, ma capisci cosa intendo, no?»

Parlando gesticolava, apriva le mani e le muoveva avanti e indietro. Petra sorrise: la prima volta non le era sembrato così loquace.

«Oh, sì, scusa- disse sventagliando una mano -a volte parlo un po' troppo. Ma sei da sola, tu?»
«No, con due mie amiche, ma loro stanno... ballando»

Lui rise leccandosi le labbra. 

«Perché lo dici con quel tono? Non sanno ballare?»
«Non penso che lo sappiano fare molto meno di buona parte del resto della gente»
«Wow, sei spietata. E questo loro lo sanno?»
«Mh, più o meno»
«Sì, anche qualcuno dei miei amici è lì in mezzo. Tipo quello con la maglia rossa, è abbastanza imbarazzante in effetti»

Petra scorse un tizio che si dimenava per terra.

«Lui dice che se fai così le ragazze pensano che sei simpatico, poi ti metti a strusciare contro le loro cosce con sguardo ammiccante e loro capiscono che sei divertente ma anche sensuale, testuali parole, e le tipe cadono ai tuoi piedi»
«Sì, devo ammettere che è incantevole»
«Già»

Nicephore sorrise dolcemente, sotto la luce rosata i suoi occhi avevano un colore strano.

 «E poi, boh, ci sono altri in giro a fare non so cosa. Probabilmente tentare pateticamente di rimorchiare o farsi una sega dell’ultimo minuto in bagno»

Petra annuì, come per acconsentire.

«Scusa, non volevo essere volgare»
«Non sei volgare»
«Meno male. Tu vieni spesso in questi posti?»
«Mai. Li odio. Mi hanno trascinato qui con la forza»
«Oh, mi dispiace. Sai, spero che parta un lento. È bellissimo vedere lo sguardo perso di tutti quelli che non sanno con chi accoppiarsi»
«Poi sono io quella spietata. Il tuo amico ha di chi accoppiarsi?»
«Ha me»

Nicephore strizzò un occhio.

«Ti auguro che mettano un lento, allora»
«Mh, già sento i suoi fianchi sotto le mie mani»
Petra rise e sentì la Coca-Cola frizzarle nel naso. Non era pronta.
«Non ti ho chiesto come ti chiami»

Le tese la mano.

«Io sono Nicephore B-»
«Bastien, lo so, il portatore di vittoria»
«Eh?**»
«Il tuo nome significa portatore di vittoria. Nicephore, intendo. Te l’ho detto l’altra volta»
«Oh. Fico. Sono successe altre cose degne di nota, quel giorno?»
«No. Hai solo vomitato nel prato. Comunque sono Petra. È un nome poco comune perché è ungherese. Come me»
«Non stiamo ripetendo la conversazione dell’altra sera, vero?»
«No, per la maggior parte no»

Nicephore si appoggiò coi gomiti al bancone, coprendosi gli occhi con un braccio.

«Petra. Carino»

Tenne gli occhi chiusi per qualche secondo, poi si rianimò. Il cellulare gli aveva vibrato nella tasca dei jeans. Lo tirò fuori e vide che c’era un messaggio.

“Dove sei pirla? Stai offrendo pompini a pagamento nei bagni?”

Digitò velocemente una risposta, sorridendo tra sé e sé.

“Per te faccio un prezzo di favore ;)
Sono al banco del bar di fianco al coso delle cannucce”


«Credo che stiano per venire dei miei amici» le disse lui rimettendosi il telefono nei pantaloni. Petra annuì.
«Vado, va’. Non voglio che ti facciano domande imbarazzanti. Ci vediamo più tardi»

Scivolò giù dallo sgabello e si allontanò, mentre lei lo salutava con la mano. Si spostò i capelli dagli occhi, chiedendosi se quel “più tardi” avesse un significato preciso.

Diede un’occhiata alla zona divanetti. Capì che non ci avrebbe mai messo piede volontariamente. Aveva intravisto un paio di persone a cui preferiva rimanere a distanza di sicurezza, e comunque se avesse voluto accoppiarsi con degli sconosciuti si sarebbe iscritta ad un sito di appuntamenti online, oppure avrebbe messo un lento.
Quando decise che si sentiva un po’ troppo stupida a stare lì da sola a quel bancone, abbarbicata allo sgabello come un barbagianni, mandò un messaggio alle sue amiche dicendo che sarebbe andata fuori. Si riprese la giacca dal guardaroba e una volta fuori si rese conto di puzzare di fumo. Rabbrividì per il cambiamento di temperatura, e si tirò su la cerniera del giubbotto. Attraversò lo spiazzo davanti al locale, e si allontanò. Non faceva ancora così freddo da rendere spiacevole una breve passeggiata, così cominciò a camminare intorno all’isolato. Passò vicino all’ingresso del metro che a volte usava, costeggiò l’ampio complesso dell’Università, così austero nel buio della notte, e ne approfittò per dare un’occhiata ai film al cinema. Niente che le interessasse, per il momento.

Sentì il cellulare suonare quando ormai si stava già riavvicinando alla discoteca. Era Pauline che la chiamava.

«Ehi»
«Ehi, dove sei? Sei andata via?»
«Sono andata a farmi un giro, ma fra tre secondi arrivo, sono a due passi da lì»
«Va bene, ciao»
«Ciao»
 
Non passarono molto più di tre secondi, effettivamente. Una volta arrivata, però, non le vide. Un sospetto si fece largo nella sua mente.

“Ma siete ancora dentro?”
“Sì, tu dove sei??”

Sbuffò, e si avviò verso l’entrata. Esibì di nuovo la carta d’identità e si rituffò all’interno. Le pareti erano umide di sudore. Chloé e Pauline la aspettavano lì vicino.

«Divertite?»
«Sì, certo, e tu?»
«Da morire. E adesso?»
«Io direi di stare ancora qui per un po’» propose Pauline.
Chloé era d’accordo con lei: «Ma sì, ci prendiamo qualcosa da bere»
«E sia» disse Petra sbadigliando e seguendole di nuovo verso il bar.

«Tu cosa prendi?»
«No, io passo. Non ne ho voglia. Si mise il giubbotto sulle ginocchia e cominciò a cercare di captar qualcosa della conversazione tra le altre due.
«Avete rimorchiato?» chiese smangiucchiando delle arachidi salate.
«Purtroppo no»
«No, e tu?»
«Non per me, ma ho trovato due tizi che farebbero proprio al caso vostro»
«Davvero?»
«No»
«Che simpatica»
«Lo so»

Si persero di nuovo in chiacchiere di poco conto, finché Chloé non disse:
«Vi va se andiamo a sederci a un tavolo di là?»
Petra ripensò alla promessa fatta poco prima. Ma vide che quella zona si era un po’ spopolata, quindi decise che poteva anche accettare. Così si trasferirono, e i cocktail rosa e verde delle sue amiche si poggiarono su un basso tavolino. Le luci iniziarono a cambiare colore, a spegnersi e ad accendersi, e questo durò per alcuni minuti, durante i quali la sala divenne più rumorosa di prima.

Nel bel mezzo di un importante discorso su quanto tutte loro odiassero una ragazza che conoscevano, vennero interrotte da un allegro “Ciao!”, preceduto da un viso che si era velocemente avvicinato ai loro. Alzarono gli occhi, e videro un ragazzo davanti a loro, con una fascia in testa a tenergli indietro i capelli spettinati e con in mezzo qualche dreadlock.  Si rivolse a Petra e disse:
«Tu sei l’amica di Bastien, vero?»
Ci mise un attimo per capire di chi stesse parlando.
«Uhm, sì, più o meno. Cioè, lo conosco»
Lui le tese la mano.
«Io sono Ange. Tu sei Petra»
Gli strinse la mano, un po’ titubante, e lui si sedette con disinvoltura accanto a loro.
«È un piacere conoscerti. Bastien ci ha parlato molto di te»
Rise. Poi si guardò indietro, e un attimo dopo arrivarono altri tre ragazzi, e dietro di loro Nicephore, con un’espressione sofferente.

«Non è colpa mia, okay?» le disse.
Petra cercò di affondare nella sua sedia. Chloé e Pauline si guardavano semplicemente intorno perplesse. Soprattutto Pauline, ovviamente. Ange le si avvicinò e le parlò con fare cospiratore all’orecchio.

«In realtà non ne ha parlato molto, l’abbiamo costretto noi!»

E rise di nuovo. In fondo era amico di Nicephore.
In un intrico di mani e saluti, Petra e le sue amiche scoprirono che il ballerino con la maglia rossa si chiamava Jean, quello con gli occhiali e gli occhioni azzurrissimi François, e il biondino con l’aria da teppistello era Laurent. Nicephore disse semplicemente “Nicephore Bastien, potete chiamarmi Bastien” come faceva sempre quando si presentava.
Tutti lì, in piedi, a svettare sulle loro teste. 

«Okay, sarò breve e chiaro» cominciò Jean.
«Lo sappiamo che sei breve» fece Laurent.
«Tu lo sai» rispose Ange.
Jean continuò imperterrito:
«Non ci sono abbastanza sedie, c’è troppo casino, a casa ho delle birre e il mio coinquilino non c’è quindi non ce le può fregare. Non possiamo andare a farci un giro?»
I ragazzi acconsentirono.
«Vi va di venire, ragazze?» chiese Ange.
«Ma sì, veniamo»

Chloé evidentemente era stata conquistata dal suo faccino. Petra era abbastanza neutrale, non aveva nulla in contrario. A Pauline, invece, l’idea non andava molto. La cosa la perplimeva un po’. Ma alla fine decisero di andare.
Quando uscirono Petra sentì suonare la mezzanotte.
 











Note:
*Ma che cavolo ne so io di alcolici. A volte i miei compagni di classe parlavano di 'sta roba. Spero che non sia troppo forte.
**Forse "Eh?" sarà il loro per sempre.

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