Voglia di vivere

di LeoValdez00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 23: *** AVVISO ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La morte non era la cosa peggiore.
Nico lo aveva imparato sulla propria pelle.
La cosa peggiore era sopravvivere.
Se nessuno teneva a lui, si poteva davvero parlare di vita?
Bianca era morta.
E con lei la sua vita.
***
Ridere.
Leo doveva solo far ridere.
Ignorare i demoni, le paure, i sensi di colpa.
Vivere per gli altri, non per sé stessi.
A cosa serviva vivere se a nessuno importava davvero di lui?
***
Nico spalancò gli occhi di scatto non appena sentì la sveglia del cellulare, il cuore che batteva ancora all’ impazzata per il sogno che aveva appena fatto.
L’ incidente.
Sempre e solo quello stupido incidente.
Il ragazzo chiuse ancora un secondo gli occhi, passandosi stancamente una mano sul viso, cercando di dimenticare le immagini e le sensazioni di quella maledetta sera, che si ripetevano incessantemente nella sua testa.
Lui che abbracciava da dietro la sorella, mentre questa guidava il piccolo scooter argentato che aveva appena comprato.
La lite di poco prima, che ancora faceva fremere di ira il ragazzino.
“Non sono più un bambino e tu devi imparare ad accettarlo!” le aveva urlato, lacrime di rabbia che gli salivano al viso, mentre Bianca cercava di farlo ragionare.
In quel momento stringeva forte la sorella, per paura di cadere dal motorino a causa del vento e della pioggia, mentre la ragazza si ostinava in un forzato silenzio.
Poi i fari.
I fari di quel camion che non li aveva visti, che non era riuscito a frenare in tempo, che li aveva colpiti e trascinati per metri.
La sorella che gli veniva strappata dalle braccia, la caduta e quel dolore acuto alla spalla.
Quel senso di intontimento, di non riuscire più a mettere a fuoco nulla, di non sentire più alcun suono.
E quella mano.
Quella mano che aveva infine ritrovato la sua e la stava stringendo forte.
“Nico” un sussurro che arrivò nitido alle orecchie del ragazzo, poi solo buio e silenzio.
Il ragazzo sospirò tremante e si decise a trascinarsi fuori dal letto.
Era comunque il suo primo giorno di università.
***
Un braccio colpì con forza il viso di Leo, che si svegliò di soprassalto.
“La mia faccia non è un sacco da boxe se non te ne fossi accorto!” disse ancora mezzo addormentato, trascinandosi fuori dal letto e massaggiandosi il naso dolorante.
Il ragazzo che lo aveva colpito non si degnò nemmeno di rispondergli, si girò solamente dall’ altra parte con uno sbuffo, raggomitolandosi tra le coperte.
“Bene, si comincia molto bene” borbottò Leo ironico, lanciando un’ occhiataccia al fratellastro, che stava iniziando a russare.
Si sedette sul pavimento sbadigliando, chiudendo gli occhi per cercare di far scomparire le immagini del recente incubo dalla sua mente.
L’ incendio.
Sempre e solo quello stupido incendio.
Sua madre che gli chiedeva di aiutarlo ancora un po’ in officina, con il suo solito sorriso contagioso.
E lui che sbuffò e disse quella frase.
“Non ne ho voglia, torno a casa”
Esperanza che, nonostante tutto lo guardava sorridendo, accennando anche ad una risata.
“Ah, questo nin§o che sta diventando troppo grande per prestare attenzioni a sua madre…” scherzò lei, guardandolo comprensiva.
“Va’ pure, Leo, quando torno però stai un po’ con la sottoscritta ok?”
Quel sorriso, quel meraviglioso sorriso che non abbandonava mai le sue labbra.
E poi, non la vide tornare.
E chiamarono a casa.
E la corsa che fece, corse a perdifiato fino alla centrale, continuando a ripetersi che anche se c’ era stato un incendio all’ officina, lei stava bene.
Che sua madre stava bene.
Poi quel poliziotto, la sua espressione, la sua mano poggiata alla spalla di Leo.
E il cuore del ragazzo che sprofondava.
“Mi dispiace molto, Leo… Tua madre non ce l’ ha fatta…”
No, non l’ avrebbe mai più rivista.
Né lei, né il suo meraviglioso sorriso.
Leo si alzò sospirando.
Doveva smetterla di sognare quella sera, doveva andare avanti.
L’ occhio del ragazzo cadde sull’ orologio e lui spalancò gli occhi imprecando.
Era decisamente in ritardo per il suo primo giorno di lezione.



#AngoloDiLeo
*saltella contenta per la sua prima ispirazione AU*
Ora voglio che voi cari semidei siate sinceri con la sottoscritta...
L' idea vi piace e vale la pena continuare oppure lascio perdere?
-LeoValdez00

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Nico fu il primo a mettere piede nell' aula di Anatomia.
Le luci erano ancora spente e non si vedeva nemmeno il professore.
Entrò guardandosi intorno, osservando le varie carte sulle pareti, e lasciò cadere lo zaino nell' ultimo banco, il più lontano dalla cattedra.
Tirò fuori un quadernetto e una matita, mordendosi nervosamente il labbro.
Era agitato.
Dopotutto era il primissimo giorno di università, non conosceva nessuno.
Ed era ancora scosso da quello stupido incubo.
Strinse i pugni, imponendosi di non pensarci, non era il momento.
Aprì di scatto il piccolo quaderno, scarabocchiando una piccola freccia al margine della prima pagina.
Quando stava ormai disegnando gli ultimi dettagli, si fermò di colpo.
Una freccia.
L' arma preferita di Bianca.
Bianca che non mancava mai la sua lezione settimanale di tiro con l’ arco.
Bianca che arrivava sempre prima nelle competizioni.
Bianca che aveva ricevuto il suo primo arco da lui, per un compleanno di molti anni prima.
Nico deglutì a fatica, la matita che sembrava essere diventata improvvisamente pesante tra le sue dita sottili.
Non doveva pensarci.
Non doveva pensare alla sorella.
Il ragazzo si asciugò frettolosamente una lacrima sfuggita al suo controllo, mentre sentiva la porta aprirsi e gli altri studenti entrare in aula.
***
Leo corse a perdifiato fino alla fermata dell' autobus, pregando ogni divinità che gli venisse in mente al momento di non perderlo.
Forse gli dei non erano così benevoli quella mattina, perché il ragazzo si ritrovò a imprecare in spagnolo contro gli autisti dei bus.
Dopo aver vagliato ogni possibilità, concordò con sé stesso che l' unica soluzione era farsela a piedi fino all' università, ben sapendo che sarebbe già stato un ottimo risultato se avesse incontrato il professore della prima ora.
Si infilò le cuffiette nelle orecchie e si strinse nel leggero giubbino da meccanico, iniziando a camminare a testa bassa verso la scuola.
"Non sono neanche arrivato all' università e già faccio dei casini..." borbottò fra sé e sé, ascoltando in sottofondo una canzone degli AC/DC.
Mentre camminava, giocherellava distrattamente con pezzo di fil di ferro, che, si accorse solo all' arrivo, era riuscito a far assomigliare ad una macchinina.

***
Nico stava abbozzando il disegno di un cuore, rifiniva il ventricolo destro, quando la porta dell' aula si spalancò rivelando un ragazzo trafelato che cercava di riprendere fiato come dopo una lunga corsa.
Il professore interruppe la sua spiegazione, voltandosi verso il nuovo arrivato con un cipiglio scocciato.
"E così anche lei ci degnerá della sua presenza oggi... signor?"
"Valdez" rispose lui battendosi nervosamente le dita sulla gamba, mentre faceva vagare lo sguardo sulla classe.
"Bene, si sieda pure signor Valdez, spero che la mia noiosa lezione non disturbi il suo riposo" disse acido il professore mentre, senza degnarlo di un' altra occhiata, tornava davanti alla lavagna.
Nico guardò distrattamente il ragazzo.
Era bassino, molto magro, la carnagione piuttosto scura e i capelli ricci sparsi disordinatamente sulla testa.
Teneva in mano qualcosa (fil di ferro?) e non riusciva a tener ferme le dita, che si muovevano freneticamente molti banchi davanti a lui.
Un piantagrane.
Un ragazzo come gli altri, un idiota che si sarebbe ben presto aggregato alla cricca dei popolari o a qualche altro gruppo.
Un ragazzo che alla fine sarebbe finito a prenderlo in giro assieme a tutti gli altri.
Nico scacciò questo pensiero con uno sbuffo e tornò ad ascoltare il professore che stava spiegando i funzionamento della valvola mitralica.
***
Leo tolse frettolosamente le cuffiette non appena si sedette nell’ unico banco libero, troppo vicino al professore per i suoi gusti.
Mise telefono e cuffie nello zaino, tirandone fuori un quadernino consunto già precedentemente usato da Beckendorf, il suo fratellastro, e l’ astuccio logoro.
Iniziò a prendere appunti sulla valvola mitralica, mentre con la mano sinistra continuava a giocherellare con il fil di ferro.
Alla quarta riga, si fermò di colpo.
“Arresto cardiaco”
Lo stesso arresto cardiaco che uccise sua madre.
Arresto cardiaco provocato dalle ferite dell’ incendio.
Leo strinse forte i pugni, e chiuse gli occhi.
Non doveva pensarci, stava seguendo il corso di medicina, avrebbe senz’ altro sentito più e più volte quel termine.
Non si poteva permettere di andare ne panico per così poco.
Riprese improvvisamente a scrivere, ignorando le fitte al cuore al solo ricordo del sorriso di Esperanza.
“Sorridi, idiota! E’ il primo giorno, non puoi fare così!” si disse il ragazzo, relegando in un angolo della sua mente i sensi di colpa, che sembravano sempre più prepotenti.
Non seppe come passò quell’ ora di lezione, ma prese il suono della campanella come un miracolo divino.
Mise velocemente nello zaino tutti i suoi miseri averi e cercò di farsi strada per uscire dall’ aula, andandosi a scontrare con un ragazzino, che gli rivolse un’ occhiata irata per poi dargli le spalle e andarsene.
Era quasi più basso di lui, estremamente pallido, i corti capelli neri e gli occhi scuri in netto contrasto con la carnagione chiarissima.
Era completamente vestito di nero e, da quel poco che aveva notato Leo, si era seduto in fondo alla classe senza parlare a nessuno.
No, quel ragazzino lì non era il tipo di gente con cui sperava di poter stare una volta iniziata l’ Università.

 

///


Nico aveva combattuto tutta l' estate per riuscire ad ottenere il permesso di aiutare in obitorio prima dell' inizio dell' Università.
Tutte le visite, il mostrare incessantemente il suo perfetto curriculum scolastico, non avevano sortito alcun effetto.
Fu solo quando suo padre scoprì dove andava tutti pomeriggi liberi delle vacanze e, senza nemmeno avvertirlo, chiamò l' obitorio, che Nico ottenne subito il permesso.
Odiava quando suo padre, Ade, alzava il telefono e otteneva tutto ciò che voleva.
Odiava che qualcuno facesse qualcosa per lui, al posto suo, quasi non fosse in grado.
Accettò comunque, benché infuriato con il padre.
Almeno aveva raggiunto il suo obbiettivo.
Dal 19 agosto, infatti, settimane prima dell' inizio dell' Università, passava ogni pomeriggio dalle due alle otto in obitorio.
La prima volta che ci mise piede, rabbrividì di fronte alle decine di corpi umani avvolte dai teli.
Non era tanto il ribrezzo per un corpo morto, quanto l' orribile rassomiglianza fra il pallore della loro pelle a confronto di quella di Bianca.
Quando Nico guardava il viso di quelle persone, gli sembrava che i loro tratti mutassero lentamente.
Che il loro viso assomigliasse sempre più a quello di una ragazzina, che spuntassero delle piccole efelidi attorno al naso e che avessero dei lunghi capelli corvini.
Il primo giorno all' obitorio, il ragazzo lo aveva passato a vomitare nel bagno, cercando di non piangere e non farsi prendere dal panico.
Di non ricordare quella notte dove il cuore di Bianca si era fermato, o del suo pallore quando, una volta in ospedale, i medici dissero che lei non ce l' aveva fatta.
Mentre lui aveva solo rimediato qualche graffio ed una ferita alla spalla, sua sorella era morta.
Il secondo giorno non migliorò, vedere quella pelle bianca, sentire la freddezza di quei corpi e la loro statuaria immobilità, lo mandava fuori di testa.
La voce dolce della sorella gli risuonava nella mente e ogni volta sentiva una stretta al cuore al pensiero del corpo gelido e diafano di Bianca, prima sul letto dell' ospedale, poi nella bara, il giorno del suo funerale.
Nico iniziò ad abituarsi lentamente a quel luogo di morte, quel luogo che, suo malgrado, continuava a ricordargli sua sorella.
Giorno dopo giorno, il viso di Bianca continuava ad aleggiare sui corpi dell' obitorio, ma il ragazzo resisteva e, sempre puntuale, si presentava per aiutare i medici.
Se dapprima questi lo consideravano un bambino che voleva giocare a fare il dottore, soprattutto dato il malessere dei primi giorni, iniziarono poi a considerarlo un valido aiuto, non appena indossò anche in quel frangente la maschera di indifferenza che lo accompagnava da anni.
Quando Nico entrava nell' enorme sala bianca, reprimeva qualsiasi emozione in un angolo della sua mente, si fingeva indifferente a tutto e a tutti.
Faceva solo il suo lavoro, tenendo il più lontano possibile il ricordo di quella sera in cui la sua vita era andata a pezzi.
La sera, quando tornava a casa, una volta accertatosi che la porta della propria camera fosse chiusa a chiave, affondava la testa nei cuscini e piangeva.
Per pochi minuti, permetteva alla sua parte umana, alla sua parte debole, di sfogarsi, di farsi sentire.
E allora consumava le sue lacrime, finché di lui non rimaneva che un involucro vuoto, quasi privo di emozioni, quasi privo di volontà.
Un involucro vuoto come il corpo di Bianca.
***
Quando avvertirono Leo di aver finalmente trovato i fondi per ricostruire l' officina della madre, lui giurò a sé stesso che non ci avrebbe mai più rimesso piede.
Che non si sarebbe nemmeno avvicinato.
E così aveva fatto, per mesi, tenendosi lontano da quel luogo infernale.
Solo quando, ai primi di luglio, scoprì che il luogo era stato rilevato da un vecchio amico della madre, Efesto, e che lo aveva chiamato "Esperanza" in onore della madre di Leo, lui si convinse almeno a vederlo da lontano.
Uscì di casa ben disposto, convincendosi che era passato troppo tempo, che ormai non gli avrebbe più fatto male.
Quando imboccò la stradina, la stessa stradina che aveva percorso per anni, la stessa stradina che percorse quella sera per tornare a casa senza la madre, si strinse nervosamente nel leggero giacchetto.
Benchè estate, aveva freddo, freddo nell' anima.
Si avviò tremante all' officina e quando scorse le lettere placcate di rosso dell' insegna, che riportavano solo il nome di Esperanza, dovette stringere le palpebre per non piangere.
Infilò la mano destra in tasca e rabbrividì quando sentì il freddo del metallo delle chiavi sulla pelle.
Mise a fatica la chiave nella toppa ed entrò dalla porta sul retro stringendo spasmodicamente i pugni.
L' officina era stata completamente ristrutturata, i muri erano stati ridipinti, gli utensili erano nuovi e brillanti, il luogo pulito e ordinato.
Ma la cosa che più stupì Leo, furono le foto appese.
Foto di Esperanza.
Alcune stentava a riconoscerle, ritraevano una bellissima ragazza, dalla pelle ambrata, bellissimi e lunghi capelli ricci e profondi occhi scuri.
Altre invece gli erano familiari.
Foto di sua madre come la ricordava, con il viso ancora sporco di olio per motori, le unghie annerite dal lavoro e la tuta da meccanico.
Alcune foto ritraevano anche lui.
Esperanza che teneva in braccio un bambino, Esperanza che lo accompagnava a scuola, che prendeva un gelato con lui, che lo abbracciava e lo baciava.
Leo chiuse gli occhi appoggiandosi al muro.
Foto che aveva gelosamente custodito dopo la sua morte, tutte riposte nel cassetto del comodino.
Non si chiese perché fossero appese o dove le avesse trovate il proprietario, l' unica cosa che sembrava esistere era il suo cuore che batteva dolorosamente nel petto, quasi cercando di fuggire da quel luogo che gli ricordava troppo Esperanza.
Così uscì di fretta, dimenticandosi fin di chiudere a chiave, e scappò correndo fino a casa, rosso in viso e ansimante.
Si chiuse in camera per due giorni,  nei quali non parlò a nessuno e non uscì quasi mai.
Si sedette a terra e tirò fuori dal comodino tutte le foto della madre, tutti quei ricordi che aveva rinchiuso nel cassetto per troppo tempo.
E allora, per la prima volta dal giorno dell' incendio, Leo pianse.
Pianse il suo dolore e i suoi sensi di colpa.
Pianse perché Esperanza non meritava di morire, perché ora non aveva più nessuno e perché, in fondo, la colpa della morte della madre, era solo sua.
Guardò e riguardò ogni singola foto, provando un bruciante dolore misto a nostalgia, che quasi lo fece disperare.
Ma non gli importava e lui continuava ad osservare il sorriso che illuminava il volto allegro della donna.
Un sorriso che gli mancava ormai più dell' aria.
Quando riuscì a ricordare a memoria ogni particolare di tutte le foto, chiuse gli occhi, ripromettendosi che sarebbe tornato all' officina.
E che ci avrebbe lavorato.
Per lei, per Esperanza.

 



#AngoloDiLeo
Uff... scrivere AU mi risulta davvero difficile, ma giuro che mi sto impegnando!
Ah, se non si fosse capito, la seconda parte è un flashback di quello che accade in estate...
E ora supplico i semidei che hanno letto questa storia di dirmi che ne pensate, perchè necessito del vostro parere e dei vostri consigli! <3
Spero di non aver deluso le vostre aspettative e spero di riuscire ad aggiornare in un tempo ragionevole.
Un bacio, LeoValdez00
 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


La bianca luce abbagliante ferì gli occhi di Nico, che cercava di svegliarsi.
Si sentiva indolenzito, quasi avesse dormito per giorni, un fastidioso pulsare dalla spalla destra.
Quando aprì del tutto gli occhi, si accorse di non essere nella propria camera, ma in una stanza fastidiosamente luminosa e asettica.
Solo quando vide la flebo attaccata al proprio braccio, capì di essere finito all’ ospedale e cercò di mettersi seduto con uno scatto.
Un dolore bruciante alla spalla lo fece desistere e soffocò un urlo tappandosi la bocca con una mano.
“Che diavolo mi è successo?” si chiese spalancando gli occhi per il terrore.
Cercò di ricordare, ma sentiva la testa girare vorticosamente e non riusciva a mantenere la concentrazione per più di qualche secondo.
Chiuse gli occhi e cercò di ricordare… di ricordare qualunque cosa…
“Io mi chiamo…”
Iniziò a respirare più velocemente, tenendosi il viso tra le mani.
“Nico”
Sì, si chiamava Nico… Sapeva chi era, perciò non era successo nulla di grave.
“Io mi chiamo Nico, Nico di Angelo. Ho quattordici anni”
Cominciò a calmarsi.
“Mi chiamo Nico di Angelo, ho quattordici anni, vivo a New York con mio padre e mia sorella”
Il ragazzino spalancò gli occhi di scatto.
“Bianca” sussurrò.
Si guardò intorno.
“Dov’ è Bianca?”
In quel momento vide una sagoma familiare fuori dalla porta a vetri.
“Papà?” sussurrò tra sé e sé.
Riguardò più attentamente e si convinse che fosse davvero lui.
Stava parlando con un medico che di tanto in tanto accennava alla stanza di Nico.
Mano a mano che parlava, Ade sembrò calmarsi, accennò quasi un sorriso, finché il medico non ricevette una chiamata d’ urgenza e il padre di Nico lo seguì, sottraendosi alla vista del ragazzino.
“Se sono davvero in ospedale, Bianca verrà tra poco a trovarmi” si disse, dopo aver osservato inutilmente la porta per qualche minuto, prima di chiudere nuovamente gli occhi, cercando di ignorare il dolore alla spalla.
***
Nico si svegliò gridando.
L’ incidente.
Sì, aveva avuto un incidente, ora lo ricordava.
I fari abbaglianti, la caduta, la mano di Bianca…
“Bianca!” urlò il ragazzino guardandosi intorno nella stanza vuota.
“Bianca! Dov’ è mia sorella? Dov’ è Bianca?” continuò cercando di alzarsi ma la spalla lo costrinse a letto.
Qualche secondo dopo, una giovane infermiera entrò nella stanza di Nico.
Lui la guardò ad occhi sbarrati.
“Dov’ è mia sorella?” chiese ancora, con un filo di voce.
La donna lo guardò senza rispondere e gli andò affianco per cambiare la flebo.
“Dov’ è Bianca?”
“Stai fermo, devo cambiarti la fasciatura… farà male…” disse l’ infermiera ignorando le sue domande.
“Lei non farà nulla prima di avermi detto dov’ è mia sorella!” gridò il ragazzino con le lacrime agli occhi.
“E’ in questo ospedale”
Nico tacque. Stavano curando anche lei, allora. Era rimasta ferita anche lei nell’ incidente.
“Come sta? Quando posso andare da lei?”
“Non andrai da nessuna parte se non cambio la fasciatura”
Il ragazzino annuì controvoglia alzando di poco la spalla, stringendo i denti per il dolore.
L’ infermiera tolse piano le bende e Nico si impose di star fermo.
“Prima finisce, prima andrò da Bianca” si disse, cercando di non pensare a quella stupida fasciatura.
***
Era passato un giorno da quando Nico si era svegliato in ospedale, e ancora non gli permettevano di andare dalla sorella.
“Devo andare da Bianca!” urlò quando un medico lo venne a controllare.
Lui lo guardò, quasi indeciso se rispondergli o meno.
Il ragazzino lo fissò intensamente in attesa di una risposta e l’ uomo sospirò.
“Vado a prendere una sedia a rotelle e ti porto da tua sorella…” disse uscendo nel corridoio.
Sembrava che nessuno volesse parlare di Bianca, non gli avevano nemmeno detto come stava o cosa le era successo.
Con l’ aiuto del medico, si sedette sulla sedia a rotelle e questo lo portò fino ad una stanza che sembrava identica a quella che avevano assegnato a lui.
Sorrise quando vide la sorella, addormentata tra le coperte, e rimase stupito di vedere anche il padre seduto lì vicino.
Non era venuto a trovare lui nemmeno una volta.
Ma non gli importava, finalmente era riuscito ad andare da Bianca, quindi andava tutto bene.
Il medico lo lasciò di fianco al letto della sorella.
Nico sorrise e le prese la mano, guardandola dolcemente, per poi rivolgersi al padre.
“Da quanto dorme?”
“Bianca è in coma, Nico”

***
Mentre tutti i ragazzi stavano in mensa a mangiare quello che credevano fosse cibo, Nico preferì passare solo dalla caffetteria per prendersi il consueto caffè nero senza zucchero di ogni giorno.
Si sedette su di una panchina nell' angolo del giardino posteriore del campus, a sorseggiare la bevanda e a riguardare gli appunti del primo giorno.
"La valvola mitrale, o mitralica, si trova tra l'atrio e il ventricolo sinistri del cuore. Il suo compito è di regolare il flusso sanguigno attraverso l'orifizio che mette in comunicazione questi due compartimenti cardiaci"
Il ragazzo rilesse tutto, cercando di memorizzare, anche se conosceva già la maggior parte della lezione grazie alle ore passate in obitorio.
"Hey sfigato!" disse qualcuno, accompagnato dalle risate di molti.
Nico strinse i pugni ma non alzò la testa dai propri appunti.
"Hey guardami quando ti parlo, stupida matricola!"
Il ragazzo senti qualcuno che gli afferrava malamente il viso per alzarlo dai fogli.
"Mollami immediatamente" sibilò infuriato.
"Altrimenti? Mi farai del male con i tuoi appunti da secchione?" ironizzò il tipo che si trovava di fronte a lui.
Nico gli prese istintivamente il polso e lo girò di scatto facendo pressione sui nervi.
Sul viso del ragazzo più grande comparve una smorfia di dolore e piegò il braccio sotto la stretta del più piccolo.
"Ti ho detto di lasciarmi in pace idiota" disse Nico furioso, lasciandogli andare il polso che l' altro tenne stretto a sé con un espressione sconvolta e infuriata.
"Credo che al novellino serva una lezione per fargli capire chi comanda in questo campus" disse rivolgendosi ai ragazzi dietro di lui, che fino ad allora erano rimasti immobili.
Due di loro si avvicinarono a Nico e lui ebbe appena il tempo di scendere dalla panchina prima che uno di loro lo spingesse a terra.
Altre risate.
Il ragazzo fece per alzarsi, ma qualcuno lo colpì con un calcio nelle costole che lo fece boccheggiare per qualche secondo, suscitando altra ilarità fra i presenti.
Nico allora si alzò lentamente, cercando di capire se i ragazzi avevano ancora intenzione di colpirlo.
Intercettò un pugno e lo schivò quasi per miracolo, mentre un altro lo colpì al viso, mandandolo di nuovo a terra, la testa che incominciava a girare e nella bocca il sapore metallico del proprio sangue.
"Hey hey hey! Ragazzi ma che state facendo?! Tre contro uno non è leale e poi siamo solo al primo giorno!" disse una voce vagamente familiare.
Il ragazzo che per primo aveva infastidito Nico sbuffò.
"Taci Valdez, a meno che tu non voglia fare la fine di questo qua" disse con aria disgustata accennando al ragazzino che era ancora a terra.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il ragazzo che aveva parlato guardò Nico.
"No, certo che no... Era solo per dire..." disse al più grande alzando le spalle, sedendosi sulla panchina di fianco agli appunti del ragazzo a terra.
***
Forse Leo doveva capire cosa stesse succedendo già quando vide la piccola folla nel giardino sul retro.
Stava raggiungendo i ragazzi della squadra di football che aveva conosciuto quella mattina, quando sentì Brian, il capitano, sbraitare contro una matricola.
In quel momento era seduto sulla panchina, a guardare il ragazzino pallido e smunto che aveva visto a lezione di anatomia quella mattina.
Era a terra, il labbro inferiore spaccato e diversi lividi sul viso.
Dovette fare affidamento su tutto il proprio autocontrollo per non urlare oscenità contro Brian e compagni, per poi raggiungere il ragazzo e portarlo all' infermeria.
Tutta quella situazione era troppo familiare per lasciarlo indifferente.
Vide i due tirapiedi del capitano dare ancora qualche calcio al corpo del ragazzino a terra, che non faceva neanche più resistenza, solo cercava di evitare i colpi più forti.
Leo strinse spasmodicamente i pugni per non intervenire.
Dopotutto cosa avrebbe potuto fare?
Avrebbe potuto aiutarlo, ma in quel caso avrebbero solo pestato anche lui.
Quando finalmente Brian si ritenne soddisfatto, borbottò ancora qualche insulto e poi fece per andarsene con gli altri della squadra.
Leo rimase immobile sulla panchina, lo sguardo ancora sul ragazzino.
"Valdez, tu non vieni?"
Doveva seguirli, doveva andare con loro, ridere alle loro battute e assecondarli.
Doveva far si che non lo prendessero di mira.
"No"
La risposta stupì Leo quanto Brian che, dopo aver fatto una smorfia di disgusto, si voltò per andarsene.
Ormai il danno era fatto, tanto valeva aiutare il ragazzo come voleva fare dal principio.
Scese velocemente dalla panchina e si inginocchiò dietro di lui prendendolo per le spalle, ignorando i suoi gemiti di dolore.
"Piacere, sono Leo Valdez, e tu hai decisamente bisogno di passare dall' infermeria" disse con un sorriso forzato, cercando di sostenerlo.
***
"Guarda! C' è lo sfigato!"
Leo si strinse nel giubbotto, ignorandoli, e continuò a camminare.
Sentì i passi dietro di lui, ma non si voltò e iniziò a correre per andarsene il più velocemente possibile.
"Hey vieni qui idiota!"
Ridevano.
Il ragazzo continuò a correre verso casa senza fermarsi.
All' improvviso si sentì strattonare dallo zaino e cadde a terra con un gemito.
"Avevo detto che dovevi fermarti!" disse un ragazzo ridendo.
Un' altro si affiancò al primo.
"Dove stavi andando? Dalla mammina?" disse facendogli il verso e ghignando.
"Oh no, è vero... Lei è morta" continuò, scoppiando a ridere.
Leo digrignò i denti e fece per alzarsi ma uno di loro iniziò a prenderlo a calci.
Lui si rannicchiò per non farsi colpire, ma si ritrovò comunque a boccheggiare in cerca di aria.
"Quando noi ti diciamo di fare qualcosa, tu lo fai! Sono stato chiaro?" ghignò l' altro.
Leo si allontanò rimanendo a terra, sperando che quei ragazzi l' avrebbero lasciato in pace.
Loro invece si avvicinarono di nuovo a lui e iniziarono a prenderlo a pugni, ai quali non riusciva a sottrarsi in alcun modo.
Solo quando si stancarono e se ne andarono ridacchiando, Leo si ritrovò solo, a terra nel vicolo, cercando di respirare.




#AngoloDiLeo
*saltella felice per l' aggiornamento*
Buongiorno mezzosangue!
Finalmente l' incontro (un po' particolare) dei nostri protagonisti...
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e che mi diciate la vostra opinione per permettermi di migliorare! <3
Un bacio, LeoValdez00

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Nico aprì gli occhi di scatto, la luce abbagliante che gli feriva gli occhi.
Si guardò intorno, sentiva i muscoli indolenziti e la spalla destra che pulsava fastidiosamente.
Era in una stanza luminosa, asettica.
“Bianca…” sussurrò.
No, Bianca era morta.
Ricordava la sua bara calata nella terra il giorno del funerale.
“Finalmente ti sei svegliato, incominciavo a preoccuparmi!” disse qualcuno in tono allegro, entrando improvvisamente nel campo visivo di Nico.
Il ragazzo fece per alzarsi ma sentì un’ improvviso strappo alla spalla e ricadde pesantemente sul lettino.
“Hey! Non fare idiozie, quegli stronzi ti hanno pestato per bene, non ti conviene fare cose avventate”
Merda. Il pestaggio.
Nico appoggiò la testa al cuscino con uno sbuffo chiudendo gli occhi.
“Comunque… tu saresti?” continuò l’ altro.
Il ragazzo aprì un occhio solo, guardandolo di traverso.
“Di Angelo” rispose freddo.
“Uhm…”
Nico contò mentalmente fino a dieci, durante quell’ imbarazzante silenzio.
“Che vuoi?” sbottò alla fine.
“Uhm… nulla… Io comunque sono..”
“Valdez” lo interruppe Nico svogliatamente.
“Oh allora mi hai sentito mentre ti portavo qui” disse l’ altro sorridendo.
“No, sei il ritardatario della lezione di Anatomia” rispose il ragazzo richiudendo gli occhi.
“Ah… Vero…”
Nico aggrottò le sopracciglia e si voltò per guardarlo.
“Mi hai portato davvero tu qui?” chiese con una punta di sorpresa.
L’ altro sorrise annuendo.
“Eh già! Eri messo davvero male dopo quella scazzottata con i tirapiedi di Brian” disse ridendo.
“Grazie per avermelo ricordato, i muscoli doloranti non erano abbastanza come promemoria” rispose stizzito.
Silenzio.
“Perché l’ hai fatto?” continuò allora Nico.
L’ ispanico lo guardò perplesso.
“Dovevo forse lasciarti in mezzo al giardino pieno di lividi e mezzo moribondo? Me lo terrò a mente” disse sbuffando.
“Eri con loro”
Loro, una parola che grondava di disprezzo.
L’ altro ragazzo strinse i pugni a disagio.
“Non mi piace stare con la gente che picchia gli indifesi inutilmente” disse alzando svogliatamente le spalle.
“Davvero credevi che non lo facessero? Sei seriamente così ingenuo?” rispose Nico con crudele sarcasmo.
L’ altro prese un respiro guardandolo negli occhi.
“Ti ho portato in infermeria invece che lasciarti là fuori svenuto, gradirei un minimo di riconoscimento” disse alterato.
“Grazie mille allora, ma la prossima volta evita di patteggiare per gli idioti per poi passare dalla parte degli sfigati” continuò Nico arrabbiato.
Leo sorrise amaramente.
“Sai credevo di farti un favore, la prossima volta ti lascerò lì, almeno non rischio la faccia come oggi” rispose alzandosi dalla sedia dell’ infermeria per andarsene, sbattendo la porta dietro di sé e facendo calare la stanza nel silenzio.
Il ragazzo allora sbuffò e prese un antidolorifico dal comodino, la spalla iniziava a dargli seriamente sui nervi.
***
Continuava a piovere, Nico si stringeva inutilmente nel giubbotto leggero per sfuggire al freddo che gli entrava nelle ossa.
Ma il freddo proveniva direttamente da lui.
La presenza alta e austera del padre di fianco a lui avrebbe dovuto tranquillizzarlo, calmarlo in qualche modo.
Ma gli dava solo la nausea.

“Bianca starà bene, Nico. Te lo prometto”
Il ragazzino chiuse gli occhi.
Lo aveva promesso.
Allora perché erano nel cimitero sotto la pioggia?
Perché erano ore che stavano immobili, davanti ad una delle innumerevoli lapidi bianche?
Perché su quell’ inutile pezzo di marmo era inciso il nome della sorella?
Nico strinse forte i pugni chiudendo gli occhi.
Sentiva il respiro pesante del padre affianco a lui, probabilmente sull’ orlo delle lacrime, ma non gli importava.
Lo aveva promesso.
Quando il ragazzo sentì anche i propri occhi pizzicare, ignorò il freddo e la pioggia e si sedette a terra, sull’ erba umida, portando le ginocchia al petto senza distogliere lo sguardo dalla lapide bianca.
Sentì su di sé lo sguardo indagatore del padre, ma lo ignorò.
Gli aveva mentito, lo aveva ingannato, aveva promesso senza mantenere.
Non gli importava più cosa pensasse di lui.

“La farò curare dai migliori medici. Lei vivrà, Nico. E’ una promessa”
Una promessa.
Una delle tante che Ade non aveva mantenuto.
Nico appoggiò la fronte sulle proprie ginocchia, soffocando i singhiozzi e stringendosi attorno le proprie braccia, per combattere invano contro il freddo che sentiva nel cuore.
Bianca era morta, lasciandolo solo per sempre.
Il ragazzo sentì improvvisamente la grande mano del padre posata sulla sua spalla.
Per anni aveva sognato quel contatto, sognato che Ade lo trattasse con vero affetto, come pensava che ogni genitore dovesse trattare i propri figli.
Ma la sensazione di amore, di protezione, non arrivò mai.
Solo disgusto verso l’ uomo che aveva promesso.
Verso l’ uomo che non aveva mantenuto.
Verso l’ uomo che aveva distrutto la sua famiglia.

Scrollò le spalle per allontanare la sua mano, rannicchiandosi ancora di più su sé stesso.
Cos’ avrebbe detto Bianca se l’ avesse visto in quel momento?
Gli avrebbe detto di stare con Ade, che era un padre buono e gentile anche se non sempre lo dimostrava.
Nico rabbrividì, le gocce fredde della pioggia sul suo volto che si mescolavano alle lacrime bollenti.
Ma Bianca non glielo avrebbe detto mai più.
Perché il padre non l’ aveva salvata.
Perché Bianca era morta.

“Te lo prometto”
Si era fidato di Ade.
Aveva creduto alle sue parole, si era illuso.
E ora tutto ciò che gli rimaneva era un pezzo di inutile marmo.


“Bianca di Angelo
     1993-2011”

Si era fidato.
Ma non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.

***
Leo uscì dall’ infermeria sbuffando e imprecando.
Quel ragazzino idiota!
Lui aveva firmato la sua condanna a morte per aiutarlo e lo ringraziava in quel modo?
“Ma perché mai l’ avrò fatto poi?” si disse arrabbiato buttandosi lo zaino sulle spalle e uscendo dal campus.
Non sapeva rispondersi.
Non era certo il primo ragazzo che vedeva essere pestato, allora perché?
“Perché ero dalla parte sbagliata” si rispose cominciando a camminare verso la fermata del bus.
Non aveva certo voglia di assistere ad un’ altra ora di lezione, nemmeno se era il primo giorno.
Quando quella mattina aveva conosciuto i ragazzi della squadra di football, credeva di essere sistemato anche per gli anni a venire.
Sempre dalla parte dei popolari.
Ma anche lui era stato una vittima.
Leo aveva subito cattiverie, ingiurie e botte.
Di fronte allo spettacolo che gli avevano offerto quel giorno, non era riuscito a restare solo a guardare.
Era rimasto quelle che gli parvero ore, appollaiato su quella panchina ad osservare immobile il ragazzino che si contorceva sotto i colpi dei tirapiedi di Brian.
Senza dire nulla, senza mostrare quanto non riuscisse a sopportare quella situazione.
Alla fine aveva ceduto.
Vedere quel ragazzo, di Angelo, completamente indifeso e alla mercé di Chris e Dave, lo aveva fatto desistere.
Aveva rinunciato alla sua parte, aveva tolto la maschera per un istante, disapprovando pubblicamente le intenzioni di Brian.
Bruciandosi ogni possibilità di rientrare nel loro gruppo e mostrandosi come una possibile vittima.
Di nuovo.
E tutto questo per ricevere poi in cambio solo il disprezzo di quel ragazzino.
“Eri con loro”
Leo sbuffò.
Aveva ragione.
Di Angelo aveva ragione.
Ma non era certo giornata per chiedere scusa.
***
“Vuoi chiamare qualcuno? Tuo padre?”
“Io non ho un padre” singhiozzò Leo.
Il poliziotto lo guardò senza commentare.
“Se vuoi chiamare qualcuno, ti lascio il telefono qui. Io sarà meglio che vada a parlare all’ assistenza sociale”
Leo rimase qualche secondo immobile, dopo che l’ uomo uscì lasciandolo solo, poi prese il cellulare con mani tremanti e compose il numero che ormai conosceva a memoria.
“Pronto?”
La voce sicura di un ragazzo dall’ altra parte.
“Sono io” sussurrò il ragazzino, sull’ orlo delle lacrime.
“Leo? Cosa succede?” chiese preoccupato l’ altro.
Silenzio.
Non riusciva a parlare.
Se lo avesse detto ad alta voce, non avrebbe più potuto illudersi.
“Leo cosa c’ è? Stai bene?” continuò l’ altro.
“Mia mamma è morta, Beckendorf”
Un sussurro, nulla di più.
Ma lo aveva detto, aveva pronunciato quella frase, ora non poteva tornare indietro.
“Oddio… Dove sei ora?” chiese sempre più preoccupato il ragazzo dall’ altra parte.
“Alla stazione di polizia”
Leo sentì altre lacrime bagnargli il viso.
“Stanno parlando di assistenza sociale, io non voglio! Beckendorf non voglio che mi trovino un’ altra famiglia!” continuò tra i singhiozzi.
“Non ti muovere, sto arrivando” disse serio l’ altro ragazzo, per poi chiudere la telefonata.
Leo appoggiò di nuovo il cellulare sul tavolo e si coprì il viso con le mani continuando a piangere.
***
Beckendorf era arrivato.
Leo aveva sentito la sua voce non appena era entrato alla centrale, chiedeva di vederlo, ma evidentemente i poliziotti non glielo permettevano.
Poi una voce diversa, la voce di una donna.
“Charles, prima mettiamo a posto la situazione, prima lo potrai vedere”
Leo si alzò barcollante e appoggiò l’ orecchio alla porta chiusa per sentire di cosa parlavano.
“Mi scusi, quindi lei sarebbe?”
Il ragazzino riconobbe la voce del poliziotto che gli aveva dato il telefono.
“Sono Elena Beckendorf, conoscevo Esperanza” rispose la donna, un’ attimo di esitazione prima di pronunciare il nome della madre di Leo.
Il ragazzino chiuse gli occhi soffocando le lacrime e rimase ad ascoltare.
“Non capisco, signora, quindi vuole prendere in affidamento il figlio della signora Valdez?”
Leo spalancò gli occhi di scatto, troppo stupito per fare qualunque altra cosa.
“Sì, conosco il ragazzo da quando era in fasce, sua madre… era una mia carissima amica. Non posso permettere che si occupi di lui l’ assistenza sociale”
Il ragazzino si allontanò lentamente dalla porta e tornò a sedersi.
Sul suo viso segnato, appariva l’ ombra di un sorriso.






#AngoloDiLeo
*saltella euforica*
*cerca di darsi un contegno*
*non ci riesce*
Allora, adorati semidei, ecco il nuovo capitolo!
Sono sadica per aver fatto subito litigare Leo e Nico? Si lo sono.
Se qualcuno ha contato gli anni sulla tomba o è dagli scorsi capitoli che pensa ci sia qualcosa che non va, bhe ha ragione.
Ho modificato leggermente la storia originale, perciò Bianca muore a 18 anni mentre Nico ne ha 14.
Anche Leo ha 14/15 anni quando avviene l' incendio.
Detto questo...
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto <3
-LeoValdez00

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Nico aveva gli incubi.
Continuava a rivivere l' incidente, con la spietata chiarezza e fantasia dei sogni.
Bianca che cadeva e veniva trascinata per metri, il suo corpo fragile che veniva spezzato, i suoi occhi vitrei.
Quel flebile rantolo.
L' ultima parola che lei aveva pronunciato.
Nico.
Il ragazzino non voleva dormire, non voleva rivedere quelle stesse immagini ogni notte.
Ma la cosa che davvero non sopportava era svegliarsi.
Svegliarsi e scoprire che era tutto vero, che lei non c' era più.
Era tutto un incubo infinito, dal quale sapeva di non poter uscire.
Ma c' era e ci sarebbe sempre stata quella minima speranza che, un giorno, si sarebbe svegliato.
Che un giorno, Bianca sarebbe venuta nella sua camera, a scrollarlo come ogni mattina, dicendogli di andare a scuola.
Che un giorno avrebbe rivisto il suo sorriso incoraggiante.
Che un giorno, scoprisse fosse stato tutto solo un orribile sogno, un sogno dal quale era riuscito a fuggire.
Ma era la realtà, nella sua disperata e degradante chiarezza.
E non si può scappare di fronte alla realtà.
Perciò Nico si arrendeva e si limitava a sopravvivere ogni giorno.
Si svegliava nel cuore della notte, febbricitante e urlante.
I primi mesi dopo la morte di Bianca, Ade li aveva passati a cercare di penetrare nella dura corazza che il figlio aveva creato attorno a sé.
Accorreva sempre, quando si accorgeva che Nico aveva avuto un incubo, ma lui non lo faceva entrare.
Chiudeva la porta a chiave ogni sera, non voleva che il padre lo raggiungesse.
Non voleva essere ascoltato, confortato, capito dalla persona che riteneva più responsabile per la morte di Bianca.
Oltre a sé stesso.
Nico sapeva che la sorella era morta anche per colpa sua.
Lei non era attenta.
Se solo avesse evitato di litigare con lei, se solo avesse smesso di lamentarsi, se solo l’ avesse trattata come la sorella che era…
Se solo…
Ma non era andata così.
E Nico non se lo sarebbe mai perdonato.
Ma Ade… suo padre era ancora il più diretto responsabile.
Perché Bianca era ancora viva!
Lei respirava ancora con quel tubo in gola, il suo cuore batteva attaccato alla macchina…
Ma Ade aveva fatto interrompere il coma, aveva fatto scollegato tutti quei macchinari che la tenevano in vita.
Era lui ad averla uccisa.
“Non c’ è più nulla da fare, Nico… Lei è già morta”

***
Nico scoprì di avere rimediato solo molti, dolorosi lividi, ma niente di più grave.
Perciò riuscì a reggersi in piedi e ad uscire dall’ infermeria solo un po’ zoppicante, buttandosi distrattamente lo zaino sulle spalle, con un gemito di dolore.
Visto che era già maggiorenne, l’ infermiera non aveva neanche dovuto chiamare Ade, cosa che rincuorò molto il ragazzo.
Si avviò lentamente verso la fermata dell’ autobus e lo riuscì a prendere senza grandi difficoltà, anche se appena salito si voltarono diverse persone a guardarlo.
I tirapiedi di Brian lo avevano colpito ripetutamente anche sul viso ed era certo di avere un aspetto orribile con un occhio pesto e la guancia opposta di una sgradevole sfumatura violacea.
Abbassò istintivamente lo sguardo, tirandosi su il cappuccio della felpa scura e mettendosi le cuffiette alle orecchie per estraniarsi da tutto e da tutti.
When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide

Nico canticchiò nella propria testa il testo che ormai conosceva a memoria e in pochi minuti arrivò alla sua fermata.
Così scese velocemente dal bus e si ritrovò davanti all’ obitorio.
***
“Che diavolo ci fai qui?” chiese irritato il ragazzo, allontanandosi di poco dal motore che stava aggiustando, per avvicinarsi a Leo.
“Lavoro Beckendorf, quello che fai tu” rispose lui sbuffando e lanciando in un angolo dell’ officina lo zaino logoro.
Il ragazzo gli puntò un dito contro il petto.
“Tu devi studiare, questo è solo un modo per arrotondare, non dimenticarlo” disse guardandolo severo.
Leo distolse lo sguardo e si tolse la giacca  guardandosi attorno per trovare qualcosa da fare.
“Dovresti essere all’ Università, cos’ è successo?” continuò il più grande.
“Nulla, ho solo saltato una lezione” mentì per poi tirarsi su le maniche.
“Quante volte devo dirti di impegnarti nello studio?” chiese Beckendorf improvvisamente adirato.
“Lo so lo so, non farmi la predica! E’ solo un’ ora e ti ho già promesso che ci avrei provato” rispose lui sulla difensiva.
“Lo sai perché lo faccio vero? Lo sai perché ti assillo ogni giorno? Tu devi studiare e trovarti un lavoro, un lavoro migliore di questo” disse accennando all’ officina.
Leo strinse i pugni mordendosi nervosamente il labbro.
“Beck tu ci lavori! Mia madre ci lavorava! Dimmi cosa ci sarebbe di male!” disse fuori di sé, riprendendo una discussione tra loro che si protraeva ormai da anni.
“Leo basta! Te l’ ho già detto più e più volte, tu meriti un lavoro migliore. Senza contare i sacrifici che stiamo facendo per mandarti all’ Università!” rispose il ragazzo più grande.
Ogni volta che discutevano, il minore doveva arrendersi di fronte a questa spietata chiarezza.
Elena e Beckendorf facevano sacrifici su sacrifici per permettergli di andare a scuola e non poteva ribattere.
Ma Leo era infuriato, non gli importava più nulla.
“Non ve l’ ho chiesto io! Non sono stato io chiedervi di fare tutti questi sacrifici per me! A me non importa, state solo sprecando il vostro il tempo!” urlò, pentendosi subito dopo di quello che avesse detto.
Il ragazzo più grande non mostrò altro che indifferenza.
“Vattene” sibilò dopo qualche secondo di tensione, il tono che tradiva la sua fermezza.
“Beck scusa non volevo dire…” cominciò Leo tentando disperatamente di scusarsi.
“Ti ho detto vattene a casa!”
***
“Ma cosa ti è successo?” chiese Will con una vena di preoccupazione nella voce.
Nico, che stava per incidere il corpo di un uomo per poi asportarne il cuore, non si voltò nemmeno e tirò ancora più su il cappuccio, per coprire i lividi.
Mentre stava per appoggiare il bisturi sul petto del cadavere, l’ altro ragazzo gli prese la mano fermandolo e costringendolo a voltarsi.
Gli tirò via il cappuccio della felpa rivelando gli ematomi che cospargevano il viso del minore, con un’ espressione atterrita.
Nico fece una smorfia dandogli le spalle e coprendosi di nuovo.
“Non sono affari tuoi Solace” sibilò infuriato, per poi concentrarsi sul corpo dell’ uomo steso davanti a lui.
“Mio dio ma chi ti ha fatto questo?” continuò l’ altro imperterrito.
“Lasciami in pace” rispose glaciale il ragazzo,incidendo la pelle del cadavere.
“Nico lo sai che sono un medico, non puoi chiedermi di lasciarti in pace!” disse Will alzando la voce e attirando l’ attenzione di qualche altro chirurgo che stava lavorando.
“Se non abbassi la voce giuro che la prossima volta che entri qui dentro sarai steso su uno di questi lettini, sono stato chiaro?” sussurrò il ragazzo guardandolo furente, gli occhi che sembravano ancora più scuri del solito.
“Vieni” continuò il maggiore prendendolo per un braccio e trascinandolo, sotto lo sguardo confuso degli altri medici, fino ad una stanza adiacente, ancora vuota tranne che per qualche lettino e del materiale medico.
Nico cercò di divincolarsi, ma la presa di Will sul suo braccio era ferrea ed era certo meno forte dell’ altro ragazzo.
Il maggiore lo costrinse a sedersi su una bassa sedia nell’ angolo della stanza, inginocchiandosi di fronte a lui e scoprendogli di nuovo il viso, stavolta con un’ espressione contrita.
Il ragazzo fece per alzarsi e mandarlo al diavolo, ma Will non lo lasciò.
Si allungò per prendere dal muro la piccola cassetta di pronto soccorso e ne tirò fuori della garza e del disinfettante.
“Sono già stato in infermeria, sto bene” disse Nico stringendo i pugni.
“Già e non ti sei nemmeno accorto che il taglio sulla guancia ha ripreso a sanguinare” rispose il maggiore tagliando qualche pezzo di garza e passandogli del cotone intriso di disinfettante sul viso.
Il minore sussultò per il bruciore e no, non si era accorto che si era riaperto il taglio.
Stupide scarpe con i tacchetti.
“Sta fermo, non ti farò male” disse Will applicandogli un piccolo pezzo di garza e fermandolo con del nastro per ferite.
“Lo so, non sono un tuo paziente Solace!” sbottò Nico infuriato.
Il maggiore lo guardò severo e finì la medicazione.
“Per quanto mi riguarda, invece lo sei”
“Ora cosa vuoi? Che ti ringrazi? Non saresti il primo oggi” disse il minore con una smorfia.
“Non voglio niente, spero solo che questa sia l’ ultima medicazione che ti dovrò fare”
“Lo spero anch’io” sibilò Nico per poi alzarsi e finalmente tornare nell’ altra stanza, a continuare il proprio lavoro.
***
Erano passati pochi mesi dalla morte di Esperanza e Leo non capiva.
Non capiva perché fosse diventato ancor più di prima un bersaglio dei bulli, non capiva cosa ci guadagnassero, non capiva le loro motivazioni.
Perché mai qualcuno dovrebbe prendere di mira uno più debole?
Insicurezza.
Sì, dopo molti  mesi e molti lividi, il ragazzo aveva capito.
I bulli erano dei ragazzi insicuri… di loro stessi, della loro vita, delle loro idee.
Erano ragazzi che volevano dimostrare di essere forti.
Di essere i migliori.
Ragazzi che si riducevano a picchiare i più deboli per confermare il proprio dominio.
E più qualcuno era debole, più loro guadagnavano prestigio.
Più qualcuno veniva deriso, schernito, picchiato, più il responsabile acquistava potere.
E Leo sapeva di essere debole.
Era un ragazzino basso, gracile, privo di vera forza fisica.
Ma era debole anche il suo carattere.
Aveva perso sua madre, gli sembrava che il mondo gli fosse caduto addosso, sulle sue spalle gravava il peso dei sensi di colpa.
Ma non voleva più essere il bersaglio dei bulli, voleva smettere di essere considerato la vittima.
Non era forte, ma Leo era intelligente.
Sì, era furbo.
Non poteva cambiare le cose, i bulli ci sarebbero sempre stati.
Il debole sarebbe sempre stato preso di mira.
Ma  sapeva di poter riuscire a passare dalla parte del vincitore per una volta.
Sapeva di poter diventare uno di loro.

***
Leo si allontanò velocemente dall’ officina.
Le mani gli tremavano, gli occhi erano già lucidi.
Come poteva averlo detto davvero?
Il ragazzo si sedette sul bordo di un marciapiede, tenendosi la testa fra le mani.
Come poteva aver detto quelle cose a Bekendorf?
Il suo fratellastro, il ragazzo che lo aveva sostenuto per anni, che lo aveva spronato a diventare il meglio che potesse essere, che aveva sempre creduto in lui, che lo aveva sempre aiutato.
Il ragazzo che, la sera di pochi anni prima, gli aveva salvato la vita convincendo sua madre a prenderlo in affidamento.
Doveva tutto a lui e a Elena.
Loro avevano fatto dei grandi sacrifici e lui li aveva  denigrati in quel modo meschino.
Leo non riuscì a frenare la prima lacrima.
Da quanto non piangeva?
Ormai non se lo ricordava nemmeno più.
Semplicemente non poteva piangere.
“Ormai tanto all’ Università ti sei già rovinato” pensò sorridendo amaramente e passandosi una mano sulla guancia umida.
Risa.
Leo era certo che la via fosse vuota fino a qualche secondo prima.
Alzò la testa di scatto, guardandosi attorno.
“Guarda un po’ chi si rivede!”
Altre risa.
Il ragazzo strinse i pugni e si alzò velocemente, guardando atterrito Brian e i suoi tirapiedi.





#AngoloDiLeo
Buongiorno mezzosangue!
Allora, innanzitutto mi scuso per il leggero ritardo, ma ho avuto qualche problema durante questa settimana e spero non mi vogliate fucilare o tirare pomodori o altro...
Cooooooomunque...
Cosa ne pensate di questo capitolo?
Vi piace il finale?
*schiva le padellate*
Si si ok so di essere crudele!
Ma spero che la storia continui a piacervi e sarei contenta di sapere la vostra opinione!
Un bacio, LeoValdez00

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


"Ti odio, Bianca!" urlò il ragazzino, fuori di sé dalla rabbia.
Non era vero.
Perché lo stava dicendo?
"Nico smettila" rispose calma la sorella.
"No! Tu devi smetterla! Smettila di trattarmi come un bambino idiota! Sono cresciuto e tu lo sai!" continuò il ragazzino irritandosi ancora di più.
"No, per come ti stai comportando ora non sei cresciuto per niente"
Nico iniziò a piangere dalla rabbia.
"E tu chi saresti comunque? Mia madre? No perché lei è morta! E tu non hai il diritto di trattarmi in questo modo!"
Un' alone di tristezza passò sul viso di Bianca.
Nico sapeva che la sorella era sempre stata per lui il proprio punto di riferimento, molto più del padre spesso assente.
Sapeva che Bianca lo amava anche più della sua stessa vita, che lo aveva sempre protetto e sostenuto.
Ma non ritirò nulla.
La guardò arrabbiato, perché ormai era cresciuto, ormai non aveva bisogno di tutte quelle assillanti attenzioni.
Non aveva più bisogno di lei.
"Andiamo a casa Nico" sussurrò lei, ferita.
Il ragazzino ringhiò esasperato e uscì senza aspettare la sorella.
Quando lei lo raggiunse, non lo guardò, non gli disse nulla, salì solo sullo scooter appena comprato dal padre e aspettò che Nico facesse lo stesso.
Il ragazzino si tenne suo malgrado a lei, mentre incominciava a piovere.
Senza sapere che per tutta la vita si sarebbe pentito delle proprie parole.

***
I tagli sul viso bruciavano ancora quando Nico uscì dall’ obitorio, le gambe tremavano appena per la stanchezza, i muscoli delle braccia erano ancora indolenziti e la testa gli girava.
Will aveva insistito per accompagnarlo a casa, ma lui aveva categoricamente rifiutato qualunque offerta di aiuto, da parte sua o di chiunque altro.
Aveva ignorato le occhiate preoccupate del ragazzo più grande, ma aveva acconsentito ad andarsene prima, soprattutto per evitare di svenire in mezzo ad una sala gremita di medici.
Ma no.
Non sarebbe tornato a casa.
Non prima che i tagli si fossero rimarginati e i lividi fossero almeno sbiaditi.
Ade lo aveva avvertito che quella sera, dopo quasi sei settimane, sarebbe stato a casa, e Nico non poteva permettere che il padre lo vedesse in quelle condizioni, non dopo ciò che era successo l’ anno prima.
Il ragazzo mise le mani nelle tasche dei jeans, tirandosi su il cappuccio nero e cercando di passare inosservato mentre barcollava appena per la strada.
Non si preoccupava che Ade avesse potuto arrabbiarsi e mandare qualcuno a cercarlo, sebbene avesse tranquillamente potuto.
Sapeva che lo avrebbe inteso solo come l’ ennesimo messaggio di non volergli stare nemmeno vicino, nemmeno sotto lo stesso tetto.
Non voleva che lo vedesse così.
Non voleva la sua preoccupazione, il suo conforto o anche solo incrociare il suo sguardo.
Non voleva la sua compassione.
Si avviò lentamente verso la casa di Hazel, nella parte più povera della città rispetto a dove si trovava l’ obitorio o la casa del padre.
Hazel, la sorellastra che solo due anni prima aveva scoperto di avere, che Ade non gli aveva mai rivelato esistesse, che il padre cercava di rinnegare con tutte le proprie forze, che non aveva mai aiutato, né lei né la madre.
Sapeva che lei lo avrebbe ospitato, non sarebbe certo stata la prima volta.
La sorellastra era l’ unico contatto umano degno di nota nella vita di Nico, l’ unica persona che gli parlava oltre ad un saluto di circostanza, l’ unica persona di cui il ragazzo sapeva di potersi fidare.
Con Marie, sua madre, invece non parlava.
La donna era stata abbandonata da Ade, che l’ aveva lasciata da sola con una figlia da crescere e diversi problemi economici mentre lui era pieno di soldi.
Non era difficile capire la diffidenza con cui trattava Nico, essendo cresciuto con lui.
Il ragazzo si fermò di scatto a pochi isolati dalla casa di Hazel.
“Guarda un po’ chi si rivede!”
Nico avrebbe riconosciuto ovunque quella voce.
Era Brian.
Si avvicinò cautamente all’ angolo del vicolo, reprimendo a stento l’ istinto di andarsene e basta.
Sbirciò velocemente senza farsi notare e vide un ragazzo alzarsi di scatto ed indietreggiare.
Lo riconobbe all’ istante.
Era Valdez.
***
Leo continuò ad allontanarsi lentamente, gli occhi spalancati, alla disperata ricerca di aiuto.
Non era mai stato fatto per gli scontri diretti, non sapeva difendersi ed era sicuro che non gli avrebbero certo fatto sconti perché lo conoscevano.
Scappare.
Sì, doveva scappare.
Era l’ unico modo per non uscirne come Di Angelo quella mattina, o forse anche peggio.
Leo si guardò attorno, camminando non si era nemmeno accorto di essersi allontanato così tanto dall’ officina.
Non conosceva molto quella zona, era troppo malfamata perché Beckendorf ce lo portasse.
Se fosse solo corso via senza sapere dove andare lo avrebbero raggiunto senza fatica, ma non gli sembrava di avere molte alternative.
Uno dei ragazzi, Dave gli sembrò di ricordare, si avvicinò a lui ghignando.
“Che è successo stamattina Valdez? Eri preoccupato per il tuo amichetto sfigato?”
Leo strinse appena i pugni senza abbassare lo sguardo.
Forse era davvero arrivato il momento di fermarsi.
Di non scappare.
Di affrontare le avversità.
Anche perché il ragazzo era pienamente consapevole del fatto che, in un modo o nell’ altro, lo avrebbero picchiato.
Prese un respiro e indossò l’ espressione più tranquilla che gli riuscì.
“Stavate picchiando in due un ragazzino più piccolo e che peserà la metà di voi… Temo che non possiate esserne orgogliosi” rispose con una smorfia di disgusto.
Dave lo afferrò per il colletto della maglia sollevandolo da terra e togliendogli il fiato.
“Noi facciamo quello che ci pare, credevo fosse chiaro” disse con un sorriso forzato e lo sbattè contro il muretto di mattoni dietro di lui.
Leo sentì una stilettata di dolore partire dalla nuca per poi propagarsi lungo tutta la spina dorsale facendolo rabbrividire.
Il ragazzo lo lasciò di colpo e lui ricadde accasciandosi al suolo, la schiena appoggiata al muro.
“Dave ma che hai fatto? Brutto idiota non hai visto lo spuntone di metallo?! Adiamocene subito via di qui prima che arrivi qualcuno!”
Leo sentì tutto ovattato, uno spiacevole ronzio che sembrava voler coprire tutto il resto, mentre percepiva la vista annebbiarsi velocemente.
Spuntone di metallo?
Alzò lentamente un braccio, che sentiva intorpidito e pesante, fino alla nuca.
Sfiorò appena con la punta delle dita la pelle e ritirò di scatto la mano, ormai intrisa di sangue.
Mormorò un imprecazione e cercò di tenere gli occhi aperti, mentre il mondo iniziava a tingersi di nero e la testa sembrava volergli scoppiare.
***
Nico rimase raggelato sul posto non appena Dave spinse il ragazzo contro il muretto.
Dopo che Valdez si fu accasciato a terra, i tre corsero via spaventati, insultando il compagno per non aver visto il pezzo di metallo che spuntava dai mattoni.
Non perché aveva ferito qualcuno.
Si avvicinò velocemente al ragazzo a terra che si stava guardando la mano insanguinata, ma stava lentamente abbassando le palpebre, esausto.
Nico si accucciò vicino a lui, ignorando il dolore per le ferite di quella mattina e lo alzò il più delicatamente possibile, mentre lui si lamentava appoggiandosi con tutto il peso.
Strinse i denti per la fitta che gli attraversò la spalla sinistra ma si alzò sostenendolo.
Valdez mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre Nico cercava di stare in piedi e di fare qualche passo.
“Non ti preoccupare, starai bene” disse arrancando fino all’ angolo della strada da dove poteva vedere la piccola porta dell’ appartamento della sorellastra.
“Devo portarti in ospedale” continuò, più per tranquillizzarlo che per avvertirlo, ma il ragazzo iniziò, spaventato, a dire di no, di non portarlo all’ ospedale, di fare tutto ma non portarlo in quel posto.
Nico non chiese spiegazioni, l’ altro non era in condizioni di rispondere, ma si fermò per controllargli preoccupato la ferita alla testa, mentre lui continuava a divincolarsi sempre più debolmente, prossimo all' incoscienza, ripetendo di non poter andare all’ ospedale.
“Calmati non ti ci porto! Ora sta fermo!” sbottò riprendendo a camminare verso la casa di Hazel.
***
“Arresto cardiaco.
Entro quattro minuti dall’ arresto, il soccorritore ha discrete probabilità che le manovre di rianimazione abbiano successo.
Per ogni minuto queste si abbassano del 8 %”
Leo non sapeva quanti minuti ci avessero messo i pompieri ad estinguere le fiamme.
O le ambulanze ad arrivare.
O i medici a trovare sua madre sotto il cumulo di macerie.
Ma aveva saputo che era arrivata viva all’ ospedale.
Il suo cuore batteva a stento, i suoi polmoni lavoravano al minimo.
Ma Esperanza era viva quando varcò le soglie del pronto soccorso.
L’ incendio non aveva ucciso sua madre, erano stati i medici a non riuscire a salvarla.
“Arresto cardiaco”
In ospedale il cuore di Esperanza Valdez era andato in tachicardia, poi aveva rallentato.
Lentamente aveva cominciato a smettere di battere, quasi ad arrendersi.
Finché non morì.
“Ora del decesso 21.34”
Così c’ era scritto sul certificato di morte.
Così avevano scritto i medici che non l’ avevano salvata.
Leo tenne gli occhi chiusi tutto il tempo della cerimonia, la mano nella stretta fraterna di Beckendorf, a ripensare a questi dettagli.
Non riusciva a pensare ad altro, ma non voleva vedere la bara calata nella terra, perciò serrò le palpebre.
“21.34 del 12/08/2011”
Da quel momento Esperanza era morta.
Leo non sarebbe mai più entrato in nessun ospedale.
Mai più.
Strinse forte la mano del fratellastro, mentre una singola lacrima sfuggiva al suo controllo.
Backendorf gli lasciò la mano e lo abbracciò stretto, tenendolo vicino a sé con fare protettivo.
“Va tutto bene Leo. Non sei solo”
Allora perché sentiva un vuoto nel cuore?
Se non era solo, perché si sentiva abbandonato?
Si aggrappò alle spalle del ragazzo, l’ unica famiglia che gli rimaneva.
Perché i medici gli avevano portato via sua madre.







#AngoloDiLeo
Ammetto di essere molto molto preoccupata per questo capitolo.
Voglio dire... spero con tutto il cuore che vi piaccia e che non abbia deluso le vostre aspettative.
Mi scuso ancora per il leggero ritardo nell' aggiornamento e spero di riuscire ad accorciare un po' i tempi.
Ora vi chiedo di essere totalmente sinceri nelle recensioni e spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Intanto ringrazio tutte quelle meravigliose persone che recensiscono e seguono la mia storia (vi farei un monumento).
Un bacio, LeoValdez00 <3

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Ormai Nico non ricordava nemmeno l’ esatto motivo, la causa scatenante che lo aveva indotto a prendere la Clomipramina.
Erano ormai diversi mesi che prendeva quell’ antidepressivo, mesi che cercava di combattere contro la depressione post-traumatica che gli avevano diagnosticato e con i conseguenti disturbi ossessivo-compulsivi e gli attacchi di panico.
Il ragazzo aveva sempre creduto che le persone che assumevano questo tipo di farmaci fossero solo deboli.
Deboli perché non riuscivano da soli a combattere contro una cosa che Nico reputava tanto banale come la depressione.
Ma quando lui stesso si era trovato a non riuscire più a dormire, per paura di rivedere Bianca, di rivedere i propri sbagli ogni notte, quando anche solo qualcosa che gli ricordava la sorella riusciva a impedirgli di pensare, riusciva a farlo scattare d’ ira…
Nico tenne gli occhi chiusi, il senso di vertigine che lo assaliva anche da seduto, la schiena appoggiata alla fredda parete del bagno della sorellastra.
Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi, ma le mani tremavano in modo incontrollabile, i muscoli erano talmente indolenziti da non riuscire più a sorreggerlo, il cuore pulsava tachicardico lasciandolo quasi senza fiato.
Sentiva le gocce di sudore freddo scivolare indisturbate sulla schiena e sulle tempie, mentre cercava di controllare il proprio respiro.
Sapeva di avere la febbre alta, forse quaranta, e la testa gli faceva talmente male da voler solo svenire e aspettare incosciente un miglioramento.
Aprì piano gli occhi, la vista offuscata, e sentì salire ancora la nausea.
Era da solo in casa.
Hazel era a scuola, Marie era di turno, Ade nemmeno sapeva dove si trovasse il figlio.
Nico sentì sbattere la porta d' ingresso e spalancò gli occhi di scatto.
Non doveva esserci nessuno.
Se fosse stato un ladro, non avrebbe nemmeno potuto difendersi, o salvare i pochi averi della famiglia della sorellastra.
Spaventato, cercò di puntellarsi sul gomito per alzarsi, ma le vertigini lo lasciarono ancora più debole, facendolo ricadere subito sulle gelide piastrelle, il tutto che iniziava a tingersi di scuro.
La porta del bagno venne aperta di scatto e il ragazzo sentì un urlo trattenuto, il viso ancora a contatto con il freddo pavimento.
Delle braccia esili lo tennero per le spalle, rimettendolo seduto lentamente.
Lui si divincolò debolmente, muovendo la testa a scatti senza riconoscere la piccola figura affianco a sé.
“Sono io, Nico! Sono Hazel!” disse una voce preoccupata e il ragazzo guardò la sorellastra, senza davvero riconoscerne i tratti.
“Bianca…” mormorò prima di cadere nella tanto agognata incoscienza.

***
“Haz lasciami spiegare…” tentò il ragazzo con fare implorante.
“No! Nico ma che diamine ti salta in mente?! Non puoi piombare a casa mia pieno di lividi, sorreggendo un ragazzo svenuto e con le mani sporche di sangue! Semplicemente non puoi!” lo interruppe la ragazza, gettando occhiate preoccupate al ragazzo rannicchiato sul divano.
“Non sapevo dove altro andare…”
“All’ ospedale Nico! All’ ospedale come tutte le persone normali! Lui è ferito! TU sei ferito!” continuò Hazel con lo sguardo spaventato.
“Non sono ferito, sono stato medicato due volte oggi, non ti ci mettere pure te! E lui… Ho controllato, ha preso una brutta botta, ma non è grave. Me l' ha detto lui di non portarlo all’ ospedale, io stavo per farlo” rispose Nico sospirando.
“Tu stai per diventare medico, ma per ora non lo sei. Come puoi essere certo che non sia grave?”
“Non lo è” rispose semplicemente il ragazzo.
“Tu devi ringraziare che non ci sia mia madre in casa, ti avrebbe già sbattuto fuori” borbottò la ragazza.
“Lo so, lo so, lo avrebbe fatto volentieri…” disse Nico sorridendo ironico “ora per favore mi prendi delle bende e del disinfettante?”
Hazel lo guardò sospirando per poi andare verso il bagno.
Il ragazzo intanto si sedette sul bordo del divano e guardò Valdez, raggomitolato sotto la coperta, ancora svenuto.
“Tu mi stai causando una marea di problemi…” disse Nico sospirando.
***
Leo socchiuse lentamente le palpebre, un dolore pungente alla nuca.
Strinse fra i pugni la coperta che gli era stata buttata addosso e si guardò pigramente attorno.
Quando riuscì a mettere a fuoco, spalancò gli occhi dallo stupore.
Quella non era casa sua.
Si mise seduto di scatto, ma sentì una stilettata di dolore e si portò meccanicamente la mano alla nuca.
Ricordava… Dave che lo insultava, lui che rispondeva e poi cadeva a terra, la mano piena di sangue.
E Di Angelo.
Sì, quel ragazzino l'aveva fatto alzare, e l'aveva sostenuto dicendogli di andare all'ospedale.
Dopo quello non ricordava più nulla.
Sì alzò lentamente dal piccolo divano, la testa che gli girava, il battito accelerato e un principio di vertigini.
Almeno non era all'ospedale.
Era già qualcosa.
Si appoggiò al vecchio muro di mattoni prendendo un respiro profondo.
Sì, ma dov'era?
Guardò preoccupato fuori dalla finestra, ma più che gli edifici e le strade, c'era un dettaglio che lo colpì come un pugno allo stomaco.
Era buio.
"Oddio sei sveglio! Ma che ci fai in piedi? Siediti immediatamente!" disse una voce preoccupata.
Leo si voltò piano, per vedere una ragazza che lo guardava con occhi spalancati.
Era carina, aveva la carnagione piuttosto scura, dei riccioli cioccolato trattenuti da una fascia rossa che però le ricadevano comunque sul viso, e degli occhi quasi dorati.
Voleva chiederle chi fosse, come era arrivato lì e che cosa centrasse Di Angelo in tutto questo, ma una domanda più urgente gli uscì dalle labbra.
"Che ore sono?" chiese preoccupato tenendosi al muro.
"Cosa? Sei arrivato a casa mia svenuto e mi chiedi che ore sono?" disse confusa la ragazza, avvicinandosi a lui prendendolo per un braccio e facendolo sedere nuovamente sul divano.
"Ti prego dimmi che ore sono" ripeté Leo preoccupato, guardando insistentemente fuori dalla finestra.
"Le undici... perché?" chiese la ragazza guardandolo.
Il ragazzo imprecò in spagnolo prendendosi la testa fra le mani.
"Hey ma che problema c'è?" chiese lei preoccupata.
Leo sospirò pesantemente e voltò piano la testa per guardarla.
"Mio fratello sarà morto di paura... appena torno a casa mi uccide..." borbottò il ragazzo.
"Mica è colpa tua..." bisbigliò lei.
Leo annuì appena, poco convinto.
"Bene... in ogni caso, tu chi sei?" chiese allora lui.
"Mi chiamo Hazel, Hazel Levesque. Sono la sorellastra di Nico" disse lei accennando un sorriso.
Il ragazzo aggrottò piano le sopracciglia.
"Scusami... ma chi è Nico?”
“Io sono Nico” disse una voce familiare dietro di lui.
Leo si voltò di scatto stupito.
“Oh, ciao Di Angelo”
“Valdez” rispose con un cenno.
La ragazza intanto li guardava interrogativa.
“Se abbiamo finito le presentazioni… Come stai?” chiese preoccupata a Leo.
“Bene, credo… Mi fa male la testa, e ho un po’ di vertigini…” rispose lui, tornando a guardare Hazel.
“Starai così fino a domani, non è grave… considerato ciò che è successo e l’ immensa stupidità di quegli idioti, poteva andarti decisamente peggio…” disse Nico sedendosi sul bordo del divano.
“Bhe, grazie… davvero… inoltre volevo scusarmi per stamattina, sono stato un idiota…”
“Sì lo sei stato, ma credo che tu abbia già scontato la pena no?” rispose Di Angelo, accennando un sorriso.
Leo annuì.
“Grazie”
***
“Leo muoviti! Non fare lo scemo!” lo riprese Beckendorf trascinandolo per la via.
“No! Scordatelo! Io lì dentro non ci vado!” urlò il ragazzo divincolandosi per sfuggire alla presa ferrea del
fratellastro.
“Potresti esserti slogato il polso perciò andrai all’ ospedale, o con le buone o con le cattive!” continuò il maggiore, visibilmente irritato.
“Beck! Beck lo sai perché non ci voglio andare! Ti prego!” continuò Leo, sull’ orlo delle lacrime.
Il fratellastro lo guardò con un sospiro senza lasciare la presa.
“No che non lo so. Davvero credi ancora che la colpa sia stata dei medici?” disse guardandolo triste.
“Sì, è colpa loro” sussurrò il ragazzo.
“Leo… Non tutti i medici sono cattive persone. Fare il medico significa voler salvare la vita di molti, è un’ enorme responsabilità. E non sempre è possibile salvare tutti…” rispose Charles, guardandolo negli occhi preoccupato.
“Io lì dentro non ci vado” disse il ragazzo scandendo bene le parole, guardando serio il fratellastro.
“E va bene… non ti costringerò a farlo… ma ti farò cambiare idea rispetto ai medici” rispose Beckendorf.
“E come pensi di fare? Beck sai perfettamente che non cambierò idea!” continuò Leo irritato.
“Lo farai” disse l’ altro serio, senza dare altre spiegazioni, lasciando la presa sul braccio del minore e cominciando a tornare sulla strada di casa.
Leo lo seguì confuso, voleva delle spiegazioni, ma sapeva che non ne avrebbe ottenute rimanendo ad assillare il fratello, così continuò a camminare tenendosi il braccio dolorante stretto al petto.
***
“Beck, non lo farò. Non mi importa se lo fai per me, per convincermi, per farmi star meglio… Io non lo farò mai. Non sono come loro e non lo sarò per alcun motivo” disse Leo guardando negli occhi il fratellastro.
Charles guardò la madre, Elena, in cerca di supporto.
La donna sospirò e andò di fronte al ragazzo.
“Leo, l’anno prossimo riceverai il diploma… cosa credi di fare dopo?” disse Elena appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Ovvio. Lavorerò con Beck nell’officina di Efesto” rispose determinato, guardando serio la donna davanti a lui.
“Non lo farai” lo interruppe il fratellastro, senza nemmeno guardarlo.
“Invece si, Beckendorf! Certo che lo farò! Tu fai il meccanico, mia… mia madre lo faceva… Perciò lo farò pure io” disse, abbassando la voce una volta nominata Esperanza.
“No Leo…” disse Elena con un filo di voce.
“Tu andrai all’ Università, alla facoltà di medicina e diventerai un medico” continuò Charles.
“Ma…” iniziò il minore spalancando gli occhi dallo stupore.
“Così capirai che non è colpa loro se Esperanza è morta. E,  ovviamente, perché in questo modo avrai una vita migliore di quella che io o mia madre potremmo offrirti se lavorassi con me in officina” lo interruppe il maggiore.
Leo rimase in silenzio, abbassando lo sguardo.
“Non puoi farmi questo Beck…” disse qualche secondo dopo, con un filo di voce, senza guardarlo.
“Lo faccio per te” rispose serio il fratellastro.
“Certo” rispose il minore accennando un sorriso ironico “Lo fai per me… Mi obblighi a non seguire la mia strada, a diventare ciò che più odio al mondo… ma lo fai per me vero?! Solo per me!” continuò arrabbiato, guardandolo con gli occhi lucidi.
“Sì” rispose Charles senza guardarlo.
“Bene… Pensavo che almeno voi avreste voluto il mio bene! Pensavo che mi avreste lasciato fare ciò che voglio, diventare ciò che voglio! Pensavo di aver trovato qualcuno a cui importasse di me!” urlò Leo guardando arrabbiato Elena e il fratellastro.
“Nin§o non dire così…” sussurrò la donna ferita, guardando il ragazzo.
“Non… non mi chiamare in quel modo Elena…” disse il minore evitando il suo sguardo.
Leo alzò piano lo sguardo su Beckendorf.
“Pensavo di potermi fidare di te… Fratelli per scelta, fino alla morte… Ricordi?” mormorò con un filo di voce.
“Lo faccio solo per te” ripetè lui, senza scomporsi.
Leo lo guardò con odio, per poi voltarsi e uscire velocemente di casa senza dare alcuna spiegazione.




#AngoloDiLeo
NON MI FUCILATE PER FAVORE!
*si nasconde in un angolino*
Chiedo umilmente perdono per il ritardo nell' aggiornamento ma ho avuto problemi con il pc...
Spero davvero che questo capitolo sia di vostro gradimento e  che lasciate qualche commento.
Ricordo che sarò ben felice di rispondere alle vostre domande o dubbi riguardo a questa storia.
Un bacio, LeoValdez00

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


“Forza fratellino, guarda qui e dimmi tutto!” disse Bianca sorridendo.
Il bambino si avvicinò piano alla sorella, un po’ perplesso ma con aria determinata.
“Cosa devo dire?” sussurrò a Bianca guardando male la piccola telecamera.
La ragazzina rise e gli sussurrò “Tutto. Dì come ti chiami, quanti anni hai e quelle cose lì, poi ti faccio qualche domanda”.
Il bambino annuì vigorosamente e si posizionò davanti alla sorella.
“Allora, io sono Nico di Angelo, ho otto anni e ho una sorella fantastica” disse sorridendo e scandendo bene le parole, guardando l’ obbiettivo.
Bianca non riuscì a non sorridere.
“Bene piccoletto… cosa ti piace fare?” chiese trattenendo una risata.
Il bambino ci pensò su, aggrottando piano le sopracciglia.
“Mi piace… giocare a Mitomagia con te!” rispose con un gran sorriso, fiero di essere riuscito a rispondere.
La ragazzina rise e fece tremolare appena la telecamera.
“Dimmi un po’ di te… cosa ti piacerebbe diventare da grande?” chiese sorridendo.
Il bambino si morse il labbro e assottigliò gli occhi con espressione pensierosa.
“Io… mh… io da grande voglio essere come te!” urlò contento.
Bianca si sedette a terra ridendo e continuando a filmare, mentre Nico si sedeva di fronte a lei, a pochi centimetri dall’ obbiettivo.
“Nico, così ti si vedrà solo il naso, allontanati un pochino” ridacchiò la ragazza.
Il bambino si portò una mano al viso.
“Ma io ho un bel naso!” replicò offeso.
Bianca rise e spense la telecamera appoggiandola di fianco a sé sul pavimento e prese Nico stringendolo forte tra le braccia.
“Hai un nasino bellissimo, hai ragione” disse con un sorriso e gli diede tanti baci sul viso abbracciandolo stretto.
Il bambino scoppiò a ridere e cercò di divincolarsi dalla stretta della sorella.
“Bianca! Bianca dai lasciami!” urlò Nico continuando a ridere.
La ragazzina lo abbracciò ancora più stretto sorridendo.
“Mai, mio piccolo marmocchio, dovrai sopportare per sempre la tua noiosissima sorellona”
“Non credo ce la farò” ridacchiò il bambino.
“Ah si eh? Mi tratti così? Allora devo vendicarmi!” disse Bianca iniziando a fargli il solletico ridendo.
“NO! No no no, tutto ma non il solletico!” urlò dimenandosi, non riuscendo a smettere di ridere.

***
L’ immagine del viso di un bambino tremolò,  la risata di una ragazza in sottofondo.
Il video era finito.
Nico guardò la pillola di un bianco accecante che teneva in mano, le lacrime agli occhi.
“Allora, io sono Nico di Angelo, ho otto anni e ho una sorella fantastica”
Una pastiglia sparì nella sua gola.
“Mi piace… giocare a Mitomagia con te!”
Aprì con mani tremanti il piccolo barattolo trasparente.
No no no… solo una al giorno…
Un’ altra pillola scomparve.
“Io da grande voglio essere come te!”
Una terza pastiglia.
Una quarta.
Una quinta.
Il ragazzo scoppiò a piangere.
Sentiva freddo, come se tutto il calore fosse scomparso una volta sentita quella risata cristallina.
Si tenne le ginocchia strette al petto, guardando la piccola telecamera abbandonata di fianco a lui.
Il video era ripartito.
La sua voce.
La sua maledettissima voce, che non sarebbe mai riuscito a dimenticare.

***
Hazel chiuse la porta con un sospiro e tornò a guardare Nico.
"Non mi piace che torni a casa da solo, a quest'ora, dopo quello che gli è successo"
Il ragazzo accennò un sorriso.
"Non ti preoccupare Haz, lo hai visto anche tu che sta bene... e poi parli come se non mi fossi offerto di aiutarlo"
La ragazza scosse piano la testa distogliendo lo sguardo.
"Dovevi insistere..."
Nico si sedette sul divano.
"Sa quello che fa. Ma sbaglio o mi sembri molto in pensiero per Valdez?" chiese  guardandola, aggrottando piano le sopracciglia.
"Ti ricordo che era steso svenuto sul mio divano, Nico" replicò fredda la ragazza con una piccola smorfia.
"Ok ok ritiro tutto" rispose lui con un piccolo sorriso, alzando le mani in segno di resa.
Hazel sospirò e si sedette sul divano affianco al fratellastro, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Nico sorrise e passò un braccio attorno alle sue spalle.
"Come lo conosci?" mormorò la ragazza chiudendo piano gli occhi.
"È nella mia stessa classe di anatomia" rispose vago lui, passandole distrattamente una mano fra i capelli.
"Mh... non ci credo neanche un po'... non avresti fatto una cosa simile solo per un tuo compagno di corso..." sussurrò Hazel.
"Diciamo che mi ha aiutato, stamattina. Mi ha portato in infermeria" rispose Nico alzando distrattamente le spalle.
"Mh, ok. Domani... domani che lo vedi dimmi come sta, ok?" bisbigliò lei, raggomitolandosi piano di fianco al ragazzo.
"Lo farò Haz" disse lui sorridendo e la coprì con la coperta lasciata lì affianco.
"Mh, grazie Nico" sussurrò la ragazza sorridendo e si addormentò al suo fianco.
***
“Bianca? Bianca come sta la mamma?” mormorò il bambino guardando la sorella con gli occhi spalancati, ancora in pigiama e con i capelli scompigliati, dopo aver origliato una parte della telefonata del padre.
La ragazzina si voltò verso di lui, un’ ombra di dolore sul viso, gli occhi lucidi.
“La mamma…” esitò “la mamma sta bene, fratellino” accennò un sorriso triste.
Nico si avvicinò piano alla sorella, ancora mezzo addormentato.
Lei lo abbracciò di slancio, stringendolo forte e iniziò a piangere silenziosamente.
“Bianca… dov’ è la mamma?” sussurrò Nico spaventato.
“La mamma… ha avuto degli imprevisti all’ hotel…” rispose la ragazzina e prese in braccio il fratello, portandolo nella propria camera e facendolo stendere sul letto.
“Quando arriva?” mormorò il bambino raggomitolandosi sotto le coperte, seguito dalla sorella.
Bianca lo abbracciò stretto e gli diede un bacio leggero sulla fronte.
“Non lo so, piccolo… tornerà, un giorno rivedrai la mamma, te lo prometto…” sussurrò lei con voce spezzata.
“Un giorno?” chiese confuso lui.
“Un giorno, Nico…” rispose la sorella con un filo di voce, grandi lacrime che le solcavano il viso.
“Va bene… ma perché piangi?” sussurrò il bambino stringendosi fra le sue braccia.
“Perché è un giorno lontano… e già mi manca…” bisbigliò lei.
“Manca anche a me” mormorò piano “ma ci sei tu con me, vero?” continuò guardandola con gli occhi scuri imploranti.
Bianca accennò un vago sorriso.
“Sempre, fratellino” rispose e tenendolo stretto a sé li coprì con il pesante piumone.
“Ora dormi piccolo mio” continuò e gli accarezzò dolcemente i capelli finchè non si addormentò al suo fianco.

***
Leo si strinse nel giubbino da meccanico non appena vide la porta della propria casa rischiarata dal lampione.
Cos'avrebbero detto Beckendorf ed Elena?
Di certo erano preoccupati, perciò non serviva dire cos'era successo quel pomeriggio, avrebbe solo aggravato la situazione.
Il ragazzo tirò fuori le chiavi di casa, un fastidioso senso di intontimento, e le girò lentamente nella toppa.
Entrò e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle, controllando che non ci fossero luci accese.
Beckendorf era seduto sul divano, dandogli le spalle, quasi non si fosse accorto del suo arrivo.
Leo si morse nervosamente il labbro avvicinandosi al fratellastro, sempre senza andargli di fronte.
“Beck…?”
“Non hai trovato un rifugio tutto tuo per poter evitare di vederci? Oppure sei qui solo per fare i bagagli?” disse il ragazzo più grande, in tono neutro.
“Mi dispiace…”
Beckendorf sospirò e rimase immobile.
“Perché, negli ultimi tempi, quasi ogni giorno le tue parole sono queste? Mi dispiace…”
Leo non sapeva come rispondere, decise di non farlo e guardò la figura del fratellastro nascosta nella penombra.
“Mi dispiace… già, belle parole. Ma perdono significato quando sono ripetute fino alla nausea, diventano completamente vuote e prive di valore. Credi che un banale ‘Mi dispiace’ possa ripagare le ore di oggi? Ore in cui, conoscendoti, potevi essere finito in qualche guaio serio. Ore in cui mia madre sembrava svenire dalla preoccupazione, in cui io ti cercavo per le strade vicino all’ officina. Leo, un simile “Mi dispiace” me lo hai detto pochi anni fa, nella stessa situazione. Devo presumere che non ti importi?” continuò allora il fratellastro con una vena di irritazione nel tono apparentemente calmo.
“Beck sai che non è così” mormorò il minore avvicinandosi al divano.
“Lo credevo Leo… ora non ne sono più tanto sicuro” ribattè l’ altro.
Il ragazzo abbassò lo sguardo.
“Hai ragione ok? Hai ragione Beck, sono solo un idiota e un egoista. Non sono capace di pensare agli altri, non sono in grado di fare qualcosa di giusto nella mia vita. Ora che l’ ho sentito anche da te, mi sento decisamente meglio” sussurrò arrabbiato e deluso dalla reazione del fratello, per poi voltare le spalle al divano e correre in camera, chiudendo a chiave la porta.
***
“Beck! Ti prego ti prego, ascoltami! Mi dispiace ok? Mi dispiace tantissimo!” urlò il ragazzo avvicinandosi al fratellastro.
Charles lo guardò ancora un secondo, immobile, prima di abbracciarlo.
“Piccolo idiota, mi hai fatto morire di paura” mormorò il maggiore stringendolo protettivamente a sé.
Leo sorrise lasciandolo fare.
“Lo so… perdonami fratello…” sussurrò.
“Come se non potessi perdonare la mia piccola peste” rise Beckendorf.
“Non vale, non mi chiamavi così dalle elementari” scoppiò a ridere anche lui.
Il maggiore sorrise e si allontanò di poco.
“Beck, riguardo a quello… quello che mi avete detto prima…” mormorò Leo guardando il fratello implorante.
“Ne riparliamo domani ok? Ora pensiamo ad altro…” sorrise Charles.
Leo annuì piano, accennando un sorriso.
Il fratellastro lo guardò con un’ occhiata complice.
“Che ne dici, peste, facciamo una serata messicano e film?” chiese con un ghigno.
Il minore rise piano.
“Come posso rifiutare fratellone?”

***
Leo non riuscì a chiudere occhio.
Tutto si aspettava da Beckendorf, ma non ciò che gli aveva detto.
Lo aveva accusato, insinuando che non gli importasse di lui e di Elena.
Non riusciva ad accettarlo, erano la sua unica famiglia.
“E se avesse ragione?”
Così si rigirò nel letto, senza alcuna speranza di riuscire a dormire per quella notte.





#AngoloDiLeo
Chiedo umilmente perdono a tutti i semidei che seguono la mia storia, scusate se gli aggiornamenti arrivano in ritardo, ma la scuola è pesante in questi ultimi tempi, perciò ho sempre meno tempo per scrivere.
Spero che continuiate a seguirla anche dopo questi imprevisti.
Mi è dispiaciuto davvero molto che lo scorso capitolo abbia avuto solo due recensioni.
Ci tengo molto alle vostre opinioni e spero di ricevere qualche commento per questo capitolo.
Avverto che dal prossimo capitolo o quello dopo (devo ancora decidere) ci saranno accenni di Solangelo e Lazel.
Un bacio, Leo Valdez00

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


“Nico!”
Il ragazzo si fermò perplesso.
Stava per entrare nell’ aula di anatomia, lo zaino sulla spalla meno dolorante, due profonde occhiaie e i capelli spettinati, cercando di rifilare inutilmente le cuffiette nella tasca posteriore dello zaino.
Si voltò di scatto a quella voce familiare.
“Solace?” chiese stupito, trovandosi di fronte il ragazzo che lo aveva medicato il giorno prima.
Il biondino sorrise.
Nico distolse lo sguardo e infilò le cuffiette a caso all’ interno del logoro eastpack.
“Che diamine ci fai qui?” continuò fintamente disinteressato.
Il ragazzo rise avvicinandosi un po’ per lasciare passare alcuni ragazzi che entravano in classe.
“Mi chiamerai mai con il mio nome? Comunque, sono qui perché il professor Brunner ha chiesto se c’ erano degli specializzandi che volevo qualche… ehm… ‘credito’ in ospedale, così mi sono offerto e lo aiuterò durante le sue lezioni. Non credevo fossi un suo alunno” rispose continuando a sorridere.
“Già, che fortuna eh?” rispose lui in tono puramente sarcastico, evitando di guardarlo.
“Wow allora sei veramente così scorbutico fin dal mattino” rise Will, quando venne malamente spintonato da qualche ragazzo che entrava in classe.
Il biondino cadde in avanti verso Nico e appoggiò un braccio al muro, di fianco al viso dell’ altro, per sostenersi.
Mormorò un’ imprecazione ma sorrise.
“Educati i tuoi compagni di corso” disse ironico guardandolo.
Troppo vicino.
Nico rimase immobile, appoggiando la schiena al muro per stare il più distante possibile da lui.
“Già…” mormorò neutro.
“Bene, Di Angelo, sarà un piacere farti da prof nelle prossime settimane, sarai costretto ad ascoltarmi per una volta” rispose Will con un sorriso furbo, allontanandosi di poco.
Nico lo guardò male, stringendosi nell’ enorme felpa scura.
“Allora a dopo, mio alunno” disse il biondino ridendo ed entrò in classe, dirigendosi subito verso la cattedra del professor Brunner.
Il ragazzo sospirò passandosi una mano sul viso, sarebbero state delle settimane davvero lunghe.
“Hey qualcuno è di pessimo umore anche stamattina” disse un’ altra voce alle sue spalle, ridacchiando.
Nico sorrise ironico prima di voltarsi.
“’Giorno anche a te Valdez” disse sarcastico facendo un cenno e poi entrò nell’ aula senza aspettarlo, occupando uno dei banchi dell’ ultima fila.
***  
Leo aveva perso la concentrazione già dopo i primi dieci minuti di spiegazione.
Armeggiava con il solito pezzo di fil di ferro nella mano sinistra, mentre con la destra fingeva di prendere appunti, mentre in realtà scarabocchiava disegnini stupidi ai margini della pagina.
Alzò lo sguardo sullo specializzando che avrebbe aiutato il professore nelle seguenti settimane.
Gli stava istintivamente antipatico.
Appena entrato nell’ aula, tutte le ragazze si erano immediatamente voltate verso di lui, il classico bel ragazzo, biondo con gli occhi azzurri, alto, ben piazzato, abbronzato…
Avrebbe potuto scrivere un libro solo sui suoi pregi.
E non aveva ancora aperto bocca.
“Salve a tutti, mi chiamo Will Solace e vi farò compagnia in queste settimane, come aiuto al professor Brunner”
Si era presentato così.
Tutte le ragazze del corso aspiravano già alla sua “compagnia”.
Leo sbuffò, disegnando sul bordo del quaderno un omino stilizzato impiccato, che casualmente aveva i capelli ricci come l’ aitante aiutante del prof.
Non che Leo avesse trovato qualche ragazza in classe degna della sua attenzione… (o che lo avesse semplicemente notato)
In ogni caso, quella mattina, guardava le ragazze quasi cercando dei capelli di ricci e degli occhi dorati.
“Piantala scemo. Per prima cosa, non la rivedrai più. Poi è la sorellastra di Nico, e tu non vuoi finire in tanti piccoli pezzettini di carne sanguinolenta data in pasto ai lupi. E infine lei non ti guarderebbe nemmeno se fossi l’ unico ragazzo rimasto sulla terra” pensò Leo, mordendosi nervosamente il labbro.
“Il cuore si trova nella cavità toracica e più precisamente nel mediastino medio e anteriore. La base guarda in alto, indietro e a destra, mentre l'apice è rivolto in basso, in avanti e a sinistra. È compreso tra la terza e sesta costa e corrisponde posteriormente alla zona tra la quinta e l'ottava vertebra toracica” stava dicendo il biondino, guardando il fondo della classe.
“Ecco, questo è il ragazzo che potrebbe piacere ad Hazel…” mormorò fra sé e sé con un espressione disgustata, per poi maledirsi mentalmente.
“Smettila smettila smettila e ascolta il biondino” si ripetè, la mente ormai completamente da un’ altra parte.
***
“Ti fidi di me?” chiese la ragazza, guardandolo implorante.
Nico prese un respiro profondo, evitando di guardarla.
“Hazel… non mi fido di nessuno ormai…” mormorò.
Lei si sedette di fronte a lui in silenzio e gli prese la mano.
“Nico, lascia che ti aiuti… non ti chiedo di avere piena fiducia in me, solo… solo un po’” sussurrò guardandolo negli occhi scuri.
Ma lui non poteva, si era ripromesso di non farlo mai più dopo suo padre.
Si era ripromesso che nessuno avrebbe mai avuto controllo su di lui attraverso la fiducia, così che nessuno potesse più tradirlo.
Ma guardando la ragazza negli occhi dorati, che gli erano sempre sembrati così sinceri, non riuscì ad impedirsi di annuire piano.
Hazel sorrise stringendogli la mano.
Forse era davvero il momento di ricominciare.

***
Nico non puntò lo sguardo su Will per tutta la lezione.
Ascoltava ogni parola, si appuntava anche i particolari, ma non lo guardava.
Doveva rimanere concentrato e vedere quegli occhi azzurri non era di aiuto.
Per niente.
“Ei Drew ma lo hai visto lo specializzando?” ridacchio la ragazza seduta accanto a lui, alla sua amica.
“Ovvio, come non potrei…? Fidati, entro il fine settimana sarà mio quel ragazzo” rispose l’ altra con un ghigno malizioso sul viso.
“Non ne dubito” riprese la prima, con non poca invidia nella voce.
Ecco, nemmeno quelle due pettegole aiutavano Nico a concentrarsi sulla differenza fra pericardio ed epicardio.
“Bene ragazzi, per oggi abbiamo finito, ci vediamo alla prossima lezione” disse il professor Brunner alzandosi dalla cattedra.
Solo allora il ragazzo alzò gli occhi.
Solace lo stava guardando.
“Oddio Drew, ma hai visto come ti fissava?” bisbigliò la ragazza qualche secondo dopo.
O forse no.
***
“Devo farti una domanda di vitale importanza”
A Nico quasi cadde di mano il caffè per lo spavento quando gli apparve Leo alle spalle.
“Che diavolo vuoi Valdez?” rispose sospirando, sedendosi su una panchina.
L’ altro si sedette affianco a lui azzannando un panino.
“Sei un essere umano?”
Nico aggrottò le sopracciglia guardandolo male.
“Hai per caso fumato qualcosa di strano di recente?” chiese con una smorfia.
“Dipende da cosa intendi per ‘di recente’” ridacchiò lui.
Il ragazzo lo ignorò finendo il caffè e mettendo a posto alcuni appunti.
“Voglio dire, non mangi, non dormi e prendi appunti” si spiegò Leo “perciò devi ammettere che sei un robot programmato per distruggere l’ intera umanità”
Nico sospirò.
“Solo gli idioti, perciò considerati avvisato”
L’ altro rise e si sedette a gambe incrociate prendendo un foglio degli appunti.
“Ehi sono i miei, Valdez, se volevi appunti stavi attento. Oppure vai a chiederli a qualcun’ altro”
“E a chi? I ragazzi non prendono appunti e tutta la popolazione femminile della classe di certo non stava ascoltando… e non ascolterà nemmeno nelle prossime settimane” replicò ridendo.
Nico fece una piccola smorfia.
“Ti faccio una fotocopia, scroccone”
***
“Mamma, ma dov’ è il mio papà?” chiese il bambino tornando a casa con la madre dal primo giorno di scuola.
Esperanza lo guardò stupita, mordendosi il labbro.
“Oggi a scuola hanno detto che tutti hanno un papà e una mamma… allora chi è il mio papà?” continuò lui imbronciandosi.
La donna lo prese per mano camminando fino alla vecchia auto.
“Leo… il tuo papà non c’è più” mormorò mettendolo sul seggiolino e prendendogli lo zainetto delle tartarughe ninja dalle spalle.
“Ma chi è? E dov’ è?” continuò curioso, l’ espressione corrucciata.
“Non importa piccolo, se ne è andato tanto tempo fa…” rispose Esperanza salendo in macchina, ripromettendosi che il giorno dopo avrebbe parlato con le insegnanti del figlio.

***
“Come stai?” chiese improvvisamente Nico, mettendo via gli appunti.
“Meglio. Davvero, grazie mille per ieri…” mormorò Leo.
Il ragazzo sorrise.
“Nessun problema Valdez, solo che ora mi dovrò aggiornare sui tuoi miglioramenti, altrimenti Hazel mi butta fuori di casa”
Leo sorrise vistosamente.
“Ah si?”
Nico divenne subito serio e lo guardò male.
“Sì, ma tu azzarda solo a pensare di toccare mia sorella e giuro che ti uccido”
L’ altro ragazzo annuì ridendo.
“Immaginavo, Di Angelo, non ti preoccupare”
Stava per controbattere ma suonò il cellulare di Leo, che rispose perplesso alla chiamata.
“Beck..?”
Nico lo guardava distrattamente, mettendo a posto lo zaino.
“Cosa c’è?”
“Di cosa?”
“Beck che c’è?”
“Arrivo” ringhiò infine il ragazzo.
“Tutto bene?” chiese l’altro guardandolo di sottecchi.
“A volte mio fratello è impossibile da capire...” disse sospirando “devo tornare subito a casa perché mi deve parlare… bah… allora ci si vede Di Angelo, salutami Hazel e ricordati le fotocopie!” continuò sorridendo e si caricò lo zaino in spalla.
“Sparisci Valdez”
***
“Beckendorf?” chiese Leo preoccupato entrando in casa.
Il fratellastro era seduto al tavolo della cucina con Elena, stavano parlando, ma si voltarono subito verso di lui non appena chiuse la porta dietro di sé.
Lui li raggiunse buttando per terra lo zaino.
“Sentite, lo so che mi odiate, che sono un idiota menefreghista e tutte quelle belle cose lì, ma mi dispiace seriamente per ieri e…” iniziò lui, ma venne subito interrotto da Elena.
“Non dobbiamo parlarti di questo”
Leo lì guardò interrogativo.
Cosa c’ era di più grave? Era abbastanza sicuro di non volerlo sapere.
“Allora cosa c’è?” chiese comunque, sedendosi al tavolo affianco a loro.
Beckendorf lo guardò nervoso.
“Leo… oggi è venuto qui tuo padre”



#AngoloDiLeo
Buongiorno mezzosangue! *saltella felice perchè ha aggiornato in tempo*
Allooooooooooooora... cosa ne dite di questo capitolo?
Entra nuovamente in scena Will (*-*) e... il padre di Leo *musichetta Tan Tan Taaaaaaaan*
(Tranquilli ora la smetto di fare l' idiota)
Spero tanto che vi sia piaciuto e che lasciate un commentino al vostro Leo, così sa se ha scritto qualcosa di decente o no.
Ve lo giuro, ho taaaaanta paura che il capitolo non vi piaccia perciò vi prego di farmi sapere la vostra opinione.
Un bacio, LeoValdez00

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


-La tua segreteria contiene 1 messaggio. Premere 1 per ascoltare-
La mano di Nico tremò appena, tenendo in mano il cellulare.
-1-
“Nico sono io”
Il ragazzo chiuse gli occhi ascoltando la voce grave ma sbrigativa del padre.
“Non so cosa sia successo ieri sera, so solo che sono tornato a casa ed eri svenuto in bagno tenendo in mano le tue pastiglie”
Nico strinse piano i pugni.
‘Forse se fossi a casa più spesso sapresti che non è la prima volta’ pensò infuriato.
“Non voglio che capiti mai più una cosa simile”
‘Ti odio’
“Perciò vedrai uno psicologo la prossima settimana”
‘Scordatelo’
Il ragazzo chiuse il messaggio vocale prima della fine e mise il cellulare sul tavolino, davanti al divano di Hazel.
Stava per chiudere gli occhi, quando il suo sguardo si posò sul piccolo barattolo trasparente.

***
“Nico?” mormorò la ragazza, scuotendo piano il ragazzo sul divano, gli occhi velati dalla preoccupazione.
Lui si muoveva a scatti, dormendo, mormorando frasi senza senso, mentre la ragazza cercava disperatamente di svegliarlo.
“Nico ti prego…” continuò alzando di poco la voce.
“Bianca… Non farlo… è colpa mia…” mormorò lui raggomitolandosi su sé stesso mentre dal divano cadeva un piccolo contenitore di pastiglie mezzo vuoto.
La ragazza spalancò gli occhi vedendolo e lo raccolse velocemente.
“Merda… Nico svegliati! Svegliati!”

***
“Me lo avevi promesso” sussurrò la ragazza, guardandolo con gli occhi dorati supplicanti.
“Haz… mi dispiace… mi dispiace così tanto…” mormorò lui guardandola mortificato.
Aveva promesso.
Senza mantenere.
Come Ade.
“Mi avevi detto che non avresti più preso quelle pastiglie… mi avevi giurato che ne avresti presa al massimo una se davvero stavi male… UNA NICO! Solo una!” replicò la ragazza sull’ orlo delle lacrime.
Il ragazzo ripensò a quante ne aveva prese prima di addormentarsi… nemmeno se lo ricordava.
Hazel lo guardò in silenzio prima di avvicinarsi e stringerlo in un abbraccio.
Nico odiava il contatto fisico, dopo Bianca non aveva permesso a nessuno di avvicinarsi a lui.
Ma anche la ragazzina dagli occhi dorati era sua sorella alla fine.
Il ragazzo chiuse gli occhi abbandonandosi a quella stretta confortante, che gli mancava più di quanto avrebbe mai voluto ammettere.

***
Nico tornò a casa alla fine delle lezioni, evitando di andare all’ obitorio, dove era certo di incontrare un biondino che quel giorno aveva visto fin troppo.
Si lasciò cadere sul grande divano e affondò il viso fra i cuscini mormorando imprecazioni a caso.
Sospirò e rimase fermo per qualche minuto, chiudendo gli occhi.
Sentiva i muscoli rilassarsi lentamente, ancora indolenziti dal giorno prima e, mentre si stava chiedendo se gli fossero sbiaditi quei segni sul viso, una voce familiare lo riportò alla realtà.
“Ciao Nico”
***
“Cosa c’ è di poco chiaro nella frase ‘me ne vado’?” chiese il ragazzo infuriato, un piccolo zaino sulle spalle.
“Nico non te ne andrai, non senza il mio permesso” replicò Ade, con voce ferma.
“Non me ne frega un cazzo del tuo permesso! Io non ci voglio stare nella stessa casa con te!” sbottò Nico  guardandolo con odio e stringendo la presa sullo zaino.
“Non vuoi rimanere nella Tua casa, Nico? Nella casa in cui sei cresciuto con tua sorella?” disse il padre guardandolo serio.
“NON PARLARE DI LEI! TU NON HAI IL DIRITTO DI NOMINARE BIANCA!” urlò il ragazzo facendo cadere lo zaino a terra.
Si avvicinò ad Ade con gli occhi lucidi, e gli puntò un dito contro al petto.
“Tu non ne hai il diritto” sibilò infuriato.

***
Il ragazzo si alzò di scatto, solo per incontrare lo sguardo serio del padre.
“Cosa ci fai qui?” chiese arrabbiato, coprendosi il viso con il cappuccio della felpa.
“Ti ricordo che è casa mia”
“Ti ricordo che non ci sei mai”
Si guardarono in silenzio, uno sguardo carico d’ odio e uno che sembrava solo stanco.
Ade cambiò immediatamente espressione guardando meglio il viso del figlio.
“Nico che hai fatto in faccia?” chiese con un punta di preoccupazione nella voce.
“Non ho niente, niente che ti interessi” ringhiò il ragazzo cercando di coprirsi.
Il padre si avvicinò prendendogli il braccio e gli tolse il cappuccio, rivelando i lividi del giorno prima con un’ espressione atterrita.
“Nico…”
***
“Chi è mio padre?”
La grande domanda della vita di Leo che non aveva mai avuto alcuna risposta.
“Se ne è andato, non è importante”
“Perché se ne è andato? Chi è? Perché ci ha abbandonato?”
Ma Esperanza non gliene voleva parlare e, una volta aver capito che causava solo dolore a sua madre nell’ insistere, smise di chiedere.
Quasi si dimenticò di lui anche dopo la morte di Esperanza, nemmeno pensò ad un modo per poter trovare il suo padre biologico.
Leo Valdez non aveva un padre.
Questa era una delle poche certezze della sua vita.

***
Il cuore di Leo perse un battito alle parole del fratello.
“C-cosa?” mormorò guardando entrambi.
“Nin§o mi dispiace…” sussurrò Elena guardandolo preoccupata.
“Chi è?” chiese allora lui in tono neutro.
Beckendorf lo guardò serio.
“Efesto”
***
Il bambino spiava la porta d’ ingresso dal breve corridoio, guardava la madre mentre parlava con un uomo che non aveva mai visto.
“No, hai fatto una scelta anni fa, ora non puoi venire qui dicendo che hai cambiato idea” stava dicendo Esperanza, battendo nervosamente un piede a terra.
“Non ho cambiato idea, vorrei solo avere la possibilità di vederlo”
“Poco… E alle mie condizioni Efesto”

***
“Mamma chi era quell’ uomo?”
“Leo lo sai che non devi origliare” ribattè lei, volendo evitare il discorso.
Il bambino ignorò completamente l’ ammonizione.
“Chi era?”
“Un vecchio amico”

***
Leo strinse piano i pugni, ripensando alle poche volte nella sua vita in cui aveva incontrato Efesto.
“Voi lo sapevate?”
L’ occhiata colpevole che si scambiarono fu una risposta più che eloquente per il ragazzo, che si alzò di scatto senza guardarli.
“Nin§o tua madre ci ha sempre pregati di non dirti nulla” iniziò Elena guardandolo preoccupato.
“Diciotto anni! A diciotto anni scopro chi è mio padre, perché voi non me lo avete mai detto” rispose lui arrabbiato, guardando specialmente il fratellastro.
“Non ti importava più dopo la morte di Esperanza” disse Charles sostenendo il suo sguardo.
“Credevo che l’ unica persona che avrebbe potuto dirmelo fosse morta! Credevo che non avessi più possibilità di saperlo!” sbottò il ragazzo.
“Leo, lui vuole parlarti…” mormorò Elena.
Lui la guardò estremamente serio.
“Io invece non voglio parlare con lui. E’ in ritardo di diciotto anni… anzi magari solo di quattro, visto che poteva avere almeno la decenza di farsi vivo dopo l’ incendio. In ogni caso è troppo tardi” replicò infuriato, scandendo l’ ultima frase.
***
“Ciao giovanotto” disse l’ uomo accennando un sorriso e scompigliando i capelli di Leo.
Era abbastanza alto, con una folta barba, occhi e capelli scuri e le mani callose come quelle della madre.
“Salve” mormorò il bambino guardandolo di sottecchi.
“Io sono Efesto, un amico di tua madre”
“Lo so”
Esperanza guardò nervosamente sia il figlio che l’ uomo, quasi dovesse succedere qualcosa di grave.
“Come vi conoscete?” chiese Leo guardando entrambi con aria perplessa.
“Anche io sono un meccanico, ho aiutato tua mamma con il motore di una jeep che si ostinava a non funzionare” rispose Efesto sorridendo al ricordo e gettando un’ occhiata ad Esperanza.
“Ma alla fine ti ricordo che abbiamo vinto noi contro quel motore” aggiunse lei ridendo appena.
Leo non aveva mai visto la madre così felice e non capiva cosa potesse farla ridere in quel modo.

***
“Mamma? Dov’ è Efesto? Oggi non ci viene a trovare?” chiese il bambino sorridendo alla madre.
Esperanza si morse nervosamente il labbro.
“No, Leo… Aveva da fare”
“Quando lo vediamo di nuovo?”
“Non… non presto”

***
Beckendorf alzò lo sguardo su di lui.
“Leo dovresti dargli la possibilità di spiegare…”
“Ha avuto tutto il tempo per farsi vivo e spiegare. Io non lo voglio nemmeno vedere” ribattè il ragazzo infuriato.
“Nin§o… è pur sempre tuo padre” si intromise Elena.
“Io non ho un padre!”
***
Lo aveva fatto ancora.
Se ne era andato, sbattendo furiosamente la porta, senza dire nulla alle uniche due persone che tenevano davvero a lui.
Ma gli serviva aria, gli serviva stare da solo, radunare i propri pensieri.
Ora che vagava per le strade, però, senza curarsi di dove lo stessero portando, sembrava che fosse impossibile riuscire a ritrovare ordine nella sua testa.
Leo Valdez non aveva un padre.
O meglio, aveva un “padre biologico”.
Una persona che non si era mai degnata di stare vicino a lui o a sua madre.
Una persona che lo aveva ignorato.
Ma Efesto si era presentato a casa sua, dopo quasi undici anni, presentandosi come “padre”.
No.
Non poteva, non aveva il diritto di farlo, non aveva il diritto di entrare nella vita di Leo, non a quel punto.
Lui era solo un estraneo.
Un vecchio amico della madre che, dopo essersi guadagnato la fiducia del piccolo Leo, era sparito tanto repentinamente come era apparso.
E una volta che il ragazzo aveva iniziato a lavorare nella sua officina, non si era più fatto vedere.
No.
Non gli avrebbe permesso di rovinargli la vita con un mucchio di stronzate, di finte scuse per giustificare diciotto anni di assenza.
Non poteva giustificare l’ ingiustificabile.
Troppe cose gli giravano nella testa, troppi pensieri che non sapeva come collocare.
E se Elena avesse avuto ragione? Se alla fine Efesto rimaneva comunque suo padre, allora avrebbe dovuto dargli una possibilità.
Ma lui non voleva dargliela.
Non poteva essere tutto così facile per quell’ uomo.
Non doveva avere la presunzione di credere che Leo fosse solo un oggetto.
Se davvero avesse voluto riallacciare un qualche tipo di rapporto con lui, avrebbe dovuto farlo anni prima.
Quando Leo aveva bisogno di una figura paterna, quando tutto sembrava perduto, quando si sentiva come se a nessuno importasse di lui.
“E’ sempre tuo padre”
Queste parole gli rimbombavano nella testa, spingendolo alla follia.
Doveva smettere di pensarci.
Erano ore che camminava, i piedi iniziavano a fargli male.
Forse… forse doveva bere qualcosa.




#AngoloDiLeo
*orgogliosa per l' aggiornamento veloce*
Buongiorno mezzosangue!
Vorrei tanto sapere cosa ne pensate di questo capitolo visto che ho qualche dubbio e la vostra opinione è importantissima per me.
Come andranno a finire le cose fra Nico e Ade?
Cosa farà Leo?
*musichetta Tan Tan Taaaaaaaaaaan*
Si, so di non essere normale, tranquilli!
Perciò... spero in qualche recensione e grazie a tutti quelli che seguono la mia storia! <3
Un bacio, LeoValdez00
 

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


“Chi è stato?” chiese Ade con sguardo vacuo, ma con voce ferma, osservando il viso del figlio.
Nico tolse il braccio dalla stretta del padre con una smorfia.
“Non ti interessa” mormorò guardandolo male.
“Nico sei mio figlio! Certo che mi interessa!”
“Sono tuo figlio solo quando ti viene comodo! Sono tuo figlio solo quando hai tempo di fare il padre!” replicò il ragazzo con uno sguardo pieno di odio.
“Ormai non mi serve più un padre… sei in ritardo di anni” continuò assottigliando gli occhi.
Ade ritirò il proprio braccio continuando a guardarlo.
“Parli come se non ci avessi provato…” replicò lui con una punta di rabbia nella voce apparentemente calma.
“Ma tu non ci hai provato. Dopotutto era Bianca la tua figlia prediletta. Non io, non Hazel… solo lei… e l’ hai lasciata morire” sibilò il ragazzo infuriato.
Ade sbiancò a sentir nominare le due ragazze, ma mantenne un’ atteggiamento distaccato.
“Sai che non è così”
“Invece è andata esattamente così. Perciò non venire da me adesso pretendendo di poterti comportare da padre. Tu non mi sei mai stato vicino, hai fatto solo del male alle persone che ti amavano, non voglio certo fare la stessa fine di mia madre e mia sorella”
Nico si stupì delle proprie parole nell’ istante stesso in cui le pronunciava.
Mai aveva detto una cosa del genere al padre, ma adesso sembrava che tutto ciò che aveva pensato per anni volesse venir fuori.
Ade non rispose nemmeno a queste accuse, guardò solo il figlio con quell’ espressione di finta calma che mal celava la profonda irritazione, la stizza e la delusione che provava verso di lui.
L’ espressione che Nico aveva imparato a capire e odiare negli ultimi anni.
“Anche se a volte può non sembrare, lui ci vuole bene, non dimenticarlo”
Bianca credeva nel loro padre in un modo che Nico non mai era riuscito a capire.
“Vedi, papà, tu non sei capace di amare” continuò lui, una punta di disgusto nel chiamarlo in quel modo.
Ade lo guardò, in silenzio, senza traccia di emozioni sul viso, anche se lui era certo di non aver mai visto quella vena sul collo del padre tanto evidente.
“Tu pretendi. Pretendi rispetto, pretendi risultati, pretendi affetto. Ma non funziona così, io non ho intenzione di chiamare padre una persona che mai mi ha trattato come figlio” finì il ragazzo, quasi sollevato nel dire, per la prima volta dopo anni, la più assoluta verità.
Di dire finalmente la sua opinione.
“Vattene”
Nico guardò Ade con gli occhi sgranati ma non vide alcuna traccia di risentimento sul suo volto segnato.
Lo stava davvero cacciando di casa.
***
Erano passate due settimane dal funerale.
Due settimane dall’ ultima volta che Nico era uscito di casa.
Il ragazzino era sveglio, ancora sotto le pesanti coperte nonostante fosse pomeriggio inoltrato.
Guardava il soffitto mentre ascoltava assorto il proprio respiro regolare.
Erano passati due giorni da quando Ade era ripartito per l’ ennesimo viaggio di lavoro.
Due giorni da quando aveva mangiato l’ ultima volta.
Nico si raggomitolò su sé stesso, chiudendo nuovamente gli occhi.
Il telefono di casa stava squillando, ma lui non si mosse per secondi, minuti, forse ore.
-La tua segreteria contiene 1 messaggio. Premere 1 per ascoltare-
Un respiro.
Il ragazzino allungò la mano sul comodino e si decise a prendere il cordless.
-1-
“Ciao Nico, come stai?”
Lui chiuse gli occhi, già sull’ orlo delle lacrime.
‘Come credi che stia?’ pensò, costringendosi a prendere un altro respiro.
“Mi dispiace essere partito così presto, ma sai che è lavoro”
‘Il lavoro che è sempre stato più importante della tua famiglia’
“Richiamami quando senti il messaggio, non voglio che tu ti senta solo”
Se Nico non avesse avuto l’ istinto di gridare contro il padre, probabilmente avrebbe riso.
Se Nico avesse ancora potuto ridere.
Chiuse il messaggio vocale e ripose il telefono sul comodino.
“Non voglio che tu ti senta solo”
La frase più stupida che avesse mai sentito.
Si girò dalla parte opposta, quasi nascondendosi sotto le coperte, nascondendosi da Ade, dalla solitudine, dal dolore.
Nascondendosi da tutto ciò che non fosse l’ ancora vivido ricordo di Bianca.

***
Nico afferrò la propria valigia, quella nera e argento che gli aveva regalato la sorella tanti anni prima.
La buttò furiosamente sul proprio letto, aprendola di scatto e infilandoci tutti i suoi pochi averi.
Pigiò i propri vestiti in un angolo e prese dalla propria camera il computer, i libri, i CD e tutte le foto della sorella che custodiva gelosamente nel cassetto.
In cima appoggiò delicatamente il piccolo diario nero, il vecchio diario di Bianca.
Chiuse la valigia e uscì dalla propria camera, dalla propria casa senza guardarsi indietro.
Era quello che aveva sempre voluto no?
Potersene andare via da suo padre.
Allora perché ci stava così male?
Nico si costrinse a non pensarci, mentre attraversava la strada, chiamando un taxi.
Senza sapere che Ade lo osservava dalla finestra della sua camera, ormai vuota.
***
“Hazel… posso… potrei venire a vivere da te?” chiese il ragazzo con voce tremante.
“Cosa? Nico ma di che parli?” replicò confusa la ragazza, sentendo la voce del fratellastro al telefono.
“Se me ne andassi di casa, potrei rimanere da te?” ripetè lui, la voce un po’ più convinta.
“Non fare idiozie, non osare andartene” rispose Hazel con una punta di preoccupazione.
Silenzio.
“N-Nico?”
“Sono qui…”
“Nico non andartene di casa. Non farlo, è una cosa stupida, hai solo sedici anni e vedrai che le cose con tuo padre miglioreranno …comunque si, certo che potresti rimanere da me”
“Grazie… per tutto”

***
Leo era rimasto seduto all’ angolo di quel bar per più di tre ore, ordinando di tanto in tanto della coca-cola zero con ghiaccio e limone.
Se la sua idea iniziale era ubriacarsi per non pensare… bhe aveva presto abbandonato, accantonando l’ idea in un angolino del proprio cervello come “totale idiozia visto che non reggi nemmeno una birra”.
Aveva la schiena appoggiata al muro del locale e restava fermo cercando di non pensare a niente che non fosse il pezzo di fil di ferro che teneva in mano.
Continuava a giocherellarci, tagliandosi di tanto in tanto la punta delle dita, ma non gli importava.
Doveva distrarsi e quello era sempre stato un ottimo metodo, metodo che anni prima gli aveva insegnato Beckendorf.
Beck…
Il ragazzo si decise a tirar fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni e controllò che il fratellastro non l avesse cercato.
Sedici chiamate perse e nove messaggi.
Merda.

_14.47_  Leo, ti prego, non fare cazzate.
_ 14.54_ Torna a casa e ne parliamo.
_ 15.02_ Se non vuoi vederlo non ti possiamo costringere.
_ 16.28_ Per favore Leo, torna a casa e parliamone!
_ 16.41_Non fare come al solito, siamo preoccupati per te, la risolviamo insieme come abbiamo sempre fatto.
_ 17.16_ LEO RISPONDIMI!
_ 18.04_ Leo torna a casa.
_ 19.35_ Dove sei?
Il ragazzo sospirò passandosi stancamente una mano sul viso.
[19.51] In un bar.
_ 19.51_Quale bar? Vengo a prenderti.
[19.57] Non serve. Sto tornando.
Si alzò svogliatamente e frugò nella tasca per acciuffare qualche moneta andando verso il bancone, mentre la porta del bar si apriva per far entrare qualcuno.
La barista stava dando il resto a Leo, quando notò l’ uomo che era entrato e gli sorrise.
“Buonasera Efesto, il solito?”
***
“Hey piccoletto fa attenzione con quel cacciavite!” disse l’ uomo ridendo e prendendo l’ attrezzo dalle mani di Leo, sedendosi nuovamente poco distante lui.
“Ma io voglio aiutarti!” replicò imbronciato.
L’ uomo allora gli sorrise e gli fece segno di avvicinarsi.
Il bambino gli andò vicino e lui lo fece sedere sulle proprie ginocchia mostrandogli il motore sul quale stava lavorando.
Leo sorrise afferrando di nuovo il cacciavite.
“So come si usa! Me lo ha insegnato Mamma!” strillò orgoglioso.
“Non ne dubitavo piccolo” rispose l’uomo sorridendo e gettando un’ occhiata ad Esperanza che li guardava dalla porta del garage.
Lei rispose al sorriso e tornò ad osservare Leo che armeggiava con dei bulloni, prendendoli fra le dita con la pretesa di svitarli.

***
Leo perse un battito a sentire quel nome e rimase immobile con le monete in mano.
“Si Lyla grazie” rispose l’ uomo dietro di lui con voce divertita.
Quella voce…
Il ragazzo mise tutto in tasca frettolosamente, cercando di andarsene da quel bar il più in fretta possibile.
Si voltò a testa bassa stringendosi nel leggero giacchetto e andò verso la porta cercando di non farsi notare e tenendosi a debita distanza da Efesto, guardandolo comunque di sottecchi.
Una cameriera gli passò davanti ma non riuscì a fermarsi in tempo così Leo si ritrovò a terra davanti alla ragazza.
“H-Hazel?” chiese stupito.
“Leo! Oddio scusami non ti ho visto!” disse lei imbarazzata raccogliendo il vassoio da terra.
“Non… Non fa niente tranquilla…” mormorò lui alzandosi e sperando di non aver attirato troppa atenzione.
Ma gli occhi dell’ uomo erano puntati su di lui, lo osservavano come fosse un problema di cui non riuciva a capire la soluzione.
Lui ricambiò lo sguardo ma Hazel gli mise una mano sulla spalla.
“Hey… va tutto bene?” mormorò la ragazza.
Leo distolse lo sguardo da Efesto.
“Va tutto a meraviglia… perdonami ma devo andare” rispose guardandola nervoso, quasi sperando di farle capire con quell’ occhiata che non ce l’ aveva con lei e che le avrebbe parlato molto volentieri se non fosse stato in quella situazione.
Hazel annuì appena e fece un cenno di saluto imbarazzata tornando dietro il bancone.
Leo sospirò ma si voltò subito verso la porta sperando che l’ uomo non l’ avesse notato.
Tanto non l’ avrebbe riconosciuto no?
Il ragazzo aveva appena messo piede fuori dal bar quando una mano si poggiò sulla sua spalla, una mano decisamente più grande di quella della ragazza.
***
“No… basta, questa storia non può più andare avanti…” mormorò Esperanza al telefono.
Leo la spiava dalla cucina ma non era riuscito a capire con chi stesse parlando la madre.
“Nulla… non hai fatto nulla di sbagliato… ma non è giusto, specialmente per lui”
“No. E’ mio figlio. Mi dispiace” finì lei poco dopo, chiudendo la chiamata con un’ espressione quasi pentita sul volto.
Il bambino uscì dal suo nascondiglio avvicinandosi a lei.
“Che hai Mamma?”
La donna lo guardò sospirando.
“Quante volte devo dirti di non origliare?”
Come al solito, Leo ignorò il commento.
“Cos’ hai? Chi era al telefono?”
“Nessuno. Nessuno di importante” mormorò lei in risposta.



#AngoloDiLeo
Buongiorno mezzosangue!
Wow, incredibilmente sembra che riesca a tenere dei ritmi di aggiornamento quasi decenti!
Spero continuerò così fino alla fine della scuola ma... con tutte le verifiche che ci sono ho paura di tardare qualche giorno.
Coooooomunque...
Che ne pensate di questo capitolo, adorati semidei?
Sono crudele per aver fatto cacciare Nico di casa? Si lo sono.
Sono crudele per aver interrotto il capitolo prima che Efesto parlasse a Leo? Si lo sono.
Ma pfft... dettagli
Spero di avere qualche recensione e soprattutto che il capitolo vi sia piaciuto!
-LeoValdez00

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Il ragazzo suonò ripetutamente il campanello, aspettando nervosamente che la sorellastra gli venisse ad aprire.
Hazel spalancò la porta infastidita, con ancora la divisa da cameriera addosso.
“Nico ma che diamine…” iniziò lei guardandolo male, quando notò la valigia e l’ aria inquieta del fratellastro.
“Hey ma che significa?” mormorò, facendosi comunque da parte per farlo passare.
Il ragazzo entrò velocemente e appoggiò la pesante valigia affianco al divano.
“Mi trasferisco qui” disse atono senza guardarla, mentre tirava fuori dalla tasca del giubbotto una busta bianca.
“Tieni, questo è per il primo mese d’ affitto”
Hazel era ancora troppo sconvolta per realizzare.
“Cosa… ma…” mormorò con aria corrucciata guardando il fratello e la busta.
Nico, se possibile, indurì ancora di più la propria espressione.
“Due anni fa mi hai detto che sarei potuto venire a stare da te. Se hai cambiato idea dimmelo subito, così mi cerco un hotel” rispose sempre evitando il suo sguardo.
“No… io…” iniziò la ragazza, scuotendo energicamente la testa sospirando.
“Smettila di dire idiozie, metti via quella busta e porta la valigia nella camera degli ospiti” continuò poi guardando negli occhi il fratello.
Nico annuì appena e portò la valigia nell’ altra stanza, per poi lasciare la busta sulla scrivania.
“Se rimango qui, pago la mia parte dell’ affitto, intesi?”
La sorella non rispose e corse ad abbracciarlo stretto.
“Sta zitto per un volta” mormorò sulla sua spalla.
Lui la strinse forte a sua volta rimanendo in silenzio per quella che avrebbe voluto essere un’ eternità.
“Perché?” chiese infine lei in un sussurro.
“Ho parlato con lui. Mi ha cacciato”
***
Il bambino uscì di fretta da scuola con un gran sorriso ad illuminargli il volto.
Corse velocemente nella piccola cartoleria, tirando fuori il portafogli nero con un piccolo teschio che gli aveva regalato bianca poco tempo prima, e cercò il commesso.
Suonò il campanellino sul bancone più volte, divertito, finché non arrivo un ragazzo dall’ aria gentile.
“Ciao piccolo! Come posso aiutarti?” chiese sorridendo a Nico, che intanto faceva vagare lo sguardo per tutto il negozietto.
“Oggi la mia sorellona compie gli anni e le voglio fare un bel regalo! Voglio prenderle un diario” rispose guardando il ragazzo con sguardo pieno di aspettativa.
“Certo… a tua sorella piacerebbe un diario rosa?” tentò guardandolo divertito.
Nico fece uno sguardo disgustato e scosse energicamente la testa.
“Alla mia sorellona non piace il rosa! Le voglio prendere un diario nero!” disse convinto e tirò fuori una banconota.
Il commesso rise.
“E va bene, vado a controllare nelle scorte”
Intanto il bambino si guardava attorno sorridendo soddisfatto per il regalo che le avrebbe preso.
“Mi dispiace piccoletto ma ho solo questo e non credo piaccia a tua sorella” disse il ragazzo portandosi dietro un piccolo diario nero di cuoio, con una chiusura vecchio stile e le pagine di carta riciclata.
“Ma è perfetto!” strillò Nico afferrandolo e rigirandoselo fra le mani.

*** 
Il ragazzo accese la vecchia lampada sul comodino e aprì la valigia iniziando ad organizzare i propri averi.
Appoggiò il consunto diario sotto al cuscino, ma dopo qualche minuto che stava piegando i propri vestiti per metterli nell’ armadio, si fermò lasciandosi cadere sul letto.
Afferrò il diario e lo aprì lentamente e con attenzione, per quella che credeva potesse essere la millesima volta.

“6 febbraio 2005
Caro diario, oggi è il mio dodicesimo compleanno e tu sei il regalo di Nico, il mio fratellino. E’ stato bravissimo a sceglierti, mi piaci tantissimo e non sei rosa! Devo ancora ringraziare bene il mio piccolo mostro, ma so già come fare, domani gli prendo la nuova edizione delle carte di Mitomagia, me lo immagino già che saltella urlando il nome di qualche dio greco che non ricordo. Per me l’ unica dea simpatica e non megalomane è quella tutta argentata con la luna, Artemide credo. Oh si, Nico sarà felicissimo! Domani, caro diario, ti dirò com’è andata… Buonanotte”


“7 febbraio 2005
Il mio mostriciattolo era contentissimo! Continuava a strillare che gli avevo preso la carta di Ade, signore dei morti. Pensare che si chiama come Papà in effetti è un po’ spaventoso. Comunque Nico era felice ed è questo l’ importante”


“10 febbraio 2005
Oggi ci hanno dato un compito bellissimo a scuola, dovevo fare un’intervista ad un mio familiare e ho scelto il mio piccolo zombi. Abbiamo fatto un video, ma non lo userò per scuola, ci sono troppo affezionata. Il mostricciattolo ha detto che da grande vorrebbe essere come me e non c’è soddisfazione più grande per una sorella. Grazie Nico…”


Il ragazzo cercò di rimanere impassibile e continuò a leggere saltando un po’ di pagine.

“14 luglio 2005
Papà è partito di nuovo per lavoro e il piccolo Nico non l’ ha presa bene visto che gli aveva promesso che saremmo andati a Disneyland Paris. Non voglio che il mio fratellino sia arrabbiato con papà… Nico fa fatica a perdonare le persone e non voglio inutili litigi. Forse dovrei parlare con Papà. Oggi per far sorridere il piccolo mostro l’ ho portato in piscina, lui non sa nuotare (ha anche un po’ paura dell’ acqua) ma voglio insegnargli e di certo voglio che il mio mini-zombi si abbronzi un po”


Nico accennò un sorriso triste e si rannicchiò sotto le coperte, girando nuovamente pagina.

“24 dicembre 2005
Domani è Natale! Non vedo l’ ora, sono troppo contenta. Ho già preso il regalo per Nico e per Papà e spero tanto che piaceranno. Dopodomani in più la mia migliore amica Zoe mi ha invitato a casa sua per festeggiare e mi porto dietro il piccolo mostro, ci divertiremo un sacco! Buonanotte caro diario”


“17 aprile 2006
Oggi ho aiutato il mio fratellino a studiare, è un mega secchione e mi ha detto che da grande vuole studiare letteratura all’ Università. Direi che ha le idee chiare! In realtà ce lo vedo, il mio mini-zombi sarà bravissimo”


Nico sentì bussare alla porta d’ingresso, ma non si alzò credendo che fosse Marie di ritorno dal lavoro, con lei ci avrebbe parlato l’ indomani mattina sperando che pagando parte dell’ affitto non l’ avrebbe sbattuto fuori casa.
Il ragazzo andò all’ ultima pagina di diario.

“9 settembre 2011
Non ci credo, Nico è andato a quella stupida festa dei liceali con quel Jackson! Gliel’ho detto milioni di volte di non stare in compagnia con quell’ idiota e ora, a solo quattordici anni, è ad una festa. Quando torniamo a casa mi sente! Odio il fatto che non capisca che lo faccio solo per il suo bene. Se gli succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai…  Dopotutto nessuno può azzardarsi a fare del male al mio mini-zombi, assolutamente nessuno. Vado alla festa, uccido Jackson e porto Nico a casa di peso. Sì, ottimo piano Di Angelo! A dopo caro diario, devo salvare quel tonto del mio fratellino”


Il ragazzo prese un respiro tremante e mise il diario sotto il cuscino sistemandosi meglio sotto le coperte senza cambiarsi.
Sentì Hazel che parlava nell’ altra stanza, ma di certo quella non era la voce di Marie.
***
“Leo…” mormorò l’ uomo alle sue spalle, con voce quasi esitante, tenendogli la mano sulla spalla.
Il ragazzo si allontanò di scatto, come bruciato da quel lieve contatto.
“Non voglio parlarti” disse atono senza voltarsi per non incrociare il suo sguardo.
“Ma io devo parlarti! Devo spiegarti!” tentò Efesto alzando la voce con fare autoritario.
Leo non si scompose, non si mosse, non rispose a tono come avrebbe voluto.
“Se avessi voluto parlarmi non te ne saresti andato, se avessi voluto parlarmi almeno saresti tornato dopo l’ incendio. Ora non mi interessano più le tue ragioni. Tempo scaduto” replicò con un’ innaturale freddezza, tradita solo dal lieve tremito delle mani.
Efesto allora lo fece voltare prendendolo per le spalle.
“Ti prego figliolo lasciami spiegare , poi sarai libero di fare ciò che vorrai, ma ti supplico, dammi una possibilità” disse l’ uomo guardandolo negli occhi con un luccichio di speranza.
Leo si ritrovò a fissare lo sguardo nel suo dopo tanto tempo.
“E’ pur sempre tuo padre” gli ripeteva incessantemente una vocina nella testa.
“Va bene” sibilò infine “ma sappi che nessuna scusa tiene davanti ad anni di assenza”
***
“Tu sei il fidanzato della mia mamma?” chiese Leo con un sorrisetto mentre beveva una lattina di coca cola in officina insieme ad Efesto.
“C-cosa? No, no certo che no, sono solo un amico per Esperanza” rispose l’ uomo evidentemente a disagio.
“Si certo” commentò il bambino ridacchiando e guadagnandosi un’ occhiataccia.
“ Hey non ti arrabbiare! Ma ve lo siete dati un bacinooooooo?” continuò il bambino ridendo divertito e mimando con le labbra un bacio con tanto di schiocco.
Efesto, suo malgrado, si ritrovò a ridere guardando il piccolo Leo che lo stava prendendo in giro spietatamente.
“Niente bacino, non farti idee sbagliate” replicò l’ uomo sorridendo.
“Ma l’ altra sera, prima che tu te ne sei andato vi stavate abbracciaaaaaando” riprese Leo prendendo un pezzo di motore sporco d’olio e stringendolo a sé ciondolando in un’assurda e comica imitazione.
Efesto si coprì il volto con le mani ridendo e scuotendo la testa.
“Gli amici si abbracciano, piccolo” rispose l’ uomo sorridendo e cercando di mantenere un minimo di dignità di fronte a quel diavoletto con i ricci, imbrattato di olio da capo a piedi.
“Si ma non in quel modo!” rise il bambino e si avvicinò coinvolgendo Efesto in un abbraccio sporcandogli la maglietta e il viso.
“Questo è un abbraccio da amici, perché tu sei mio amico. Ma tu abbracciavi mamma in modo fidanzatoso!” ridacchiò e si sedette sulle sue ginocchia afferrando un bullone.
“Fidanzatoso?” chiese l’ uomo sorridendo divertito.
“Esatto” rispose Leo, con aria seria per la prima volta dall’ inizio della conversazione.
“Tu sei il fidanzato della mia mamma?” chiese nuovamente, voltando il viso per incrociare il suo sguardo.
“Lo ero”

***
“Torniamo dentro, così ci sediamo e parliamo”
“Non voglio uno spiegone da scienziato, pieno di stronzate per giustificarti. Vedi di essere breve e conciso, perché devo tornare a casa”rispose Leo con freddezza, evitando accuratamente il suo sguardo.
“Secondo te perché me ne sono andato?” chiese allora Efesto appoggiandogli nuovamente una mano sulla spalla.
“Non lo so! Non ne ho idea, probabilmente avevi altro da fare o ti eri stufato di noi, non lo so! E non toccarmi” sibilò infuriato allontanandosi e ignorando lo sguardo ferito del padre.
“Non volevo andarmene Leo” mormorò l’ uomo abbassando la mano.
“Ovvio che no, ma dovevi salvare il mondo, perciò sei sparito” replicò il ragazzo con amaro sarcasmo.
“E’ stata tua madre a mandarmi via”
“Cosa…? NO! Lei non lo avrebbe mai fatto!” replicò sulla difensiva guardandolo con odio.
“Leo mi dispiace ma è così, non volevo abbandonarvi…” mormorò Efesto guardando negli occhi il figlio.
“Lei non lo avrebbe mai fatto!” ripetè il ragazzo adirato “Anche solo per il semplice motivo che ci sarei rimasto male, molto. Sapeva quanto mi fossi affezionato a te e lei voleva solo e soltanto il mio bene, e non azzardarti a dire qualcosa in contrario perché ti ammazzo!” continuò, finendo la frase in un ringhio.
L’ uomo sospirò scuotendo la testa.
“Non dico questo Leo, lei avrebbe fatto di tutto per te… Mi ha cacciato proprio per questo motivo, lei temeva che tu ti fossi legato troppo a me… e se fossi sparito di nuovo come dopo la tua nascita, ti avrei solo fatto del male. Meno tempo passavo con te, meno avresti sofferto. Così diceva”
Il ragazzo lo guardò con odio, specie perché poteva aspettarsi un comportamento simile dalla madre.
“Ma tu ci hai abbandonato diciotto anni fa, tu l’hai lasciata sola e non posso passarci sopra. Oltre ovviamente al fatto che non hai osato farti vivo dopo l’incendio” sibilò infuriato.
Efesto sbiancò distogliendo lo sguardo.
“Già… che scusa hai per questo?” continuò il figlio con una rabbia che credeva di non aver mai provato, se non il giorno della morte di Esperanza.
L’ uomo si decise a fissare il proprio sguardo in quello del ragazzo.
“Avevo vergogna, paura. Avresti reagito così anche quattro anni fa e non credevo di poterlo sopportare”
“Ma io quattro anni fa avevo bisogno di un padre! Avevo bisogno di te!” sbottò Leo con le lacrime agli occhi “E tu per paura mi hai abbandonato un’altra volta… Ora non mi servi, io non voglio avere più niente a che fare con te, sono stato chiaro? Vedi di sparire dalla mia vita una volta per tutte!”
***
Non poteva tornare a casa, avrebbe dovuto spiegare tutto a Beckendorf e sapeva di non poterlo fare, non quando l’unico istinto che aveva era quello di piangere.
Allora riprese a camminare senza meta, provando inutilmente a calmarsi.
Svoltò una via familiare e sul lato sinistro vide la porta che, forse inconsapevolmente, stava cercando da tutto il pomeriggio.



#AngoloDiLeo
Scusatemi semidei, odio aggiornare in ritardo ma la scuola mi sta uccidendo e lo studio per le verifiche di fine anno mi ha preso molto tempo.
Spero che questo capitolo vi piaccia e soprattutto mi auguro di riuscire a pubblicare il prossimo in un tempo ragionevole.
Un bacio, LeoValdez00

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Hazel aprì la porta con fare svogliato, già in pigiama e con i capelli sciolti leggermenti arruffati sulle spalle.
"Mamma, non dovevi essere qui domatt..." iniziò la ragazza con un sbadiglio, per poi vedere la figura appoggiata allo stipite e avvampare.
"Leo? Che diamine ci fai qui?" chiese lei perplessa, facendogli spazio per entrare e poi richiuse la porta alle loro spalle.
"I-io... Hazel mi dispiace... non sapevo dove andare" iniziò il ragazzo mordendosi nervosamente il labbro e tenendo le mani in tasca.
"Hey calmati non fa niente... anzi è un bene che io sia ancora sveglia, Nico non ti avrebbe aperto" replicò lei accennando un sorriso.
"Immagino" mormorò Leo.
La ragazza continuò ad osservarlo come aveva fatto da quando era entrato.
"Come mai non sapevi dove andare? È successo qualcosa con la tua famiglia?" chiese sperando di non essere troppo indiscreta e si sedette sul bordo del divano, leggermente imbarazzata per il pigiama a pallini colorati che indossava.
Il ragazzo annuì appena, andandosi a sedere vicino a lei.
"È successo un casino... e non credo di riuscire tornare a casa per affrontarlo, in questo momento" rispose Leo senza guardarla.
"Sembra che chi non voglia o non possa tornare a casa, rimanga qui da me... in ogni caso rimani pure se vuoi, basta che domani prima delle undici la casa sia a posto perché torna mia madre... e già dovrò farle digerire che Nico si è trasferito qui" continuò Hazel con tono dolce, accennando un vago sorriso.
"Sei un angelo, grazie davvero... e comunque ho davvero un ottimo ricordo del tuo divano" disse sorridendole e stravaccandosi appena.
"No no no, l'altra volta era un caso particolare, tu non ci dormi sul divano. Non quando nella stanza degli ospiti ci sono due letti, la dividerai con Nico" rispose seria alzandosi.
"Oh, grazie... ma non è che Di Angelo mi spara a vista se entro nella sua camera?" continuò Leo con un lieve sorriso.
"Questo è ovvio Valdez, per questo entro prima io" ridacchiò Hazel entrando nella stanza del fratello.
***
Nico aveva appena messo il logoro diario in pelle nera sotto al cuscino, pronto  ad alzarsi e vedere chi osava scocciare sua sorella a quell'ora, quando la ragazza entrò nella sua camera con un sorriso.
"Hey..." mormorò avvicinandosi a lui.
"Chi era alla porta?" chiese il ragazzo perplesso, guardando Hazel con fare quasi severo.
"Il tuo coinquilino per stanotte... vedi che arrivi vivo a domattina" scherzò la sorella dandogli un bacio sulla guancia.
"Ha avuto un problema in famiglia e non se la sente di tornare a casa, dovresti capirlo..." gli mormorò all'orecchio prima di alzarsi.
"Leo vieni pure" disse la ragazza alzando la voce e un noto ragazzo entrò nella sua stanza.
"Valdez? Ricapitoliamo... tu mi stai davvero chiedendo di dormire con Valdez? Non so se ci sono più probabilità di svegliarmi senza un coinquilino o di non svegliarmi affatto" replicò Nico guardandolo entrare e appoggiarsi distrattamente alla parete con il suo solito sorrisetto.
"Tuo fratello ha ragione Hazel, comunque grazie... grazie davvero" mormorò sorridendo e guardando la ragazza, che rispose al sorriso.
"Si va bene, me la caverò con questo sgorbio... ora Haz, è tardi, va a dormire" disse abbastanza sbrigativo guardando male entrambi.
"Ti ricordo che questa è ancora formalmente casa mia" disse la ragazza con un sorriso ironico, prima di fiondarsi fra le braccia del fratello e lasciargli un dolce bacio sulla guancia.
"A domattina ragazzi, e se la camera non è come ve l'ho lasciata, diventate degli omini delle pulizie, sono stata chiara?" chiese alzandosi, con il suo solito sorriso dolce, un po' inquietante se associato ad una minaccia.
"Ovviamente" le sorrise Leo, guadagnandosi un'altra occhiata da Nico.
"Notte Haz"
***
"Tua sorella è proprio una brava ragazza" disse Leo stravaccandosi sul letto vicino al suo.
"Lo so. E deve rimanere tale" replicò con una punta di amarezza nella voce, guardandolo male.
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa, continuando a sorridere.
"Non farti strane idee, non ho intenzione di fare del male ad Hazel" continuò Leo.
Nico sbuffò nervosamente per poi alzarsi e prendere dall'armadio i pantaloni di una tuta scura e una canotta nera per dormire.
"Mentre vado a cambiarmi, vedi di non dare fuoco alla casa e di non toccare mia sorella" riprese lui chiudendosi a chiave nel piccolo bagno.
Alzò lo sguardo sullo specchio con una leggera smorfia, notando le profonde occhiaie, la pelle innaturalmente pallida e quel cipiglio sul viso.
Odiava guardarsi allo specchio, da sempre.
Bianca gli diceva che lui era bello perché era particolare, perché era diverso.
Quelli che per lei erano complimenti, per Nico erano sempre stati una tortura.
Distolse in fretta lo sguardo.
Allora aveva un coinquilino?
A volte odiava Hazel e la sua mania da Angelo Custode, era troppo ingenua, troppo gentile, troppo perfetta in un mondo di bastardi approfittatori.
Per questo era così protettivo nei suoi confronti, per questo avrebbe sgozzato Valdez se avesse osato guardarla un secondo di più.
Si cambiò in fretta, sperando che quel ragazzo iperattivo dalle tendenze piromani non avesse già fatto qualche disastro, e uscì dal bagno buttandosi stancamente sul letto.
"Hazel esce con qualcuno?" chiese Leo dopo pochi attimi di silenzio.
Lui si limitò a lanciargli un cuscino sul viso, che l'altro afferrò scoppiando a ridere.
"Hey mica ti ho chiesto che taglia porta di reggiseno, calmati!" ridacchiò il ragazzo.
Nico si alzò di scatto tirandogli altri due cuscini.
Leo continuò a ridere.
"Non voglio morire! Non per colpa dei cuscini almeno!"
"Sta zitto, chiudi quella bocca. E non osare pensare a mia sorella in quel modo, anzi non pensare ad Hazel in nessun modo chiaro?" replicò lui con fare nervoso.
"Haz è single allora" sorrise Leo stendendosi sul letto con le mani dietro la testa.
"Se voglio ti sbatto fuori casa in questo istante. Non provocarmi Valdez" disse guardandolo male.
"Come vuoi... " continuò a sorridere l'altro.
"Tu non arrivi vivo a domattina" continuò Nico dopo qualche attimo, accennando un sorriso ironico.
Il ragazzo sospirò teatralmente, guadagnandosi uno sbuffo da parte dell'altro.
Si sdraiò nuovamente sul letto rimanendo in silenzio, finché una domanda gli sorse spontanea e gli uscì dalle labbra.
"Leo...?" chiese lui quasi esitante dopo qualche minuto, voltando il viso per guardarlo.
"Mh?"
"Che ti è successo? A casa intendo..." continuò Nico, palesemente curioso.
Il ragazzo fece una leggera smorfia.
"Mio padre... beh ho saputo oggi che quello che credevo un amico di famiglia in realtà è mio padre e che per 'vergogna' non si è presentato dopo la morte di mia madre, rischiando di farmi finire con i servizi sociali" mormorò Leo guardando il soffitto.
Nico non disse 'mi dispiace' o 'ti capisco' o qualche altra scemenza del genere, sapeva esattamente quanto quelle parole suonassero inutili e vuote in casi simili.
***
"Mi dispiace molto per la vostra perdita" disse un anziano signore stringendo la mano di Ade, lo sguardo basso.
"Condoglianze"
"Ci dispiace per la vostra perdita"
"Sentite condoglianze"
In sottofondo altri mormorii, altre frasi che Nico voleva ignorare.
"Povera ragazza... così giovane..."
"È terribile..."
"Ade deve essere distrutto"
"Solo una ragazza"
Il ragazzino si mise le mani sulle orecchie chiudendo gli occhi.
"Basta basta basta"
Erano solo parole.
E le parole non potevano riportare indietro Bianca.

***
"Tua sorella mi ha detto che ti trasferisci qui... come mai?" chiese Leo ostinandosi a guardare il soffitto.
Nico si morse nervosamente il labbro.
Lui non parlava di sé, confidarsi significava rendersi vulnerabili, permettere a qualcuno di ferirti.
Ma aveva chiesto qualcosa di molto personale a Leo e ora era praticamente in dovere di rispondere.
"Ho litigato con mio padre. Mi ha cacciato" disse con tono neutro.
Il ragazzo si voltò verso di lui.
"Wow amico... non sono l'unico che non va d'accordo con il padre allora" accennò un vago sorriso ironico.
"Già..." sussurrò Nico mordendosi nervosamente il labbro.
"Cosa ti ha fatto?"
Troppo personale.
Era una domanda veramente troppo personale.

"Non è un bravo padre e non lo è mai stato... anche dopo la morte di mia sorella" si ritrovò a rispondere.
"Te la ricordi?"
Da quanto quella conversazione si era incentrata su di lui e sul suo passato?
"Si... è morta quattro anni fa..." mormorò "Era come e più di una madre per me"
Leo annuì appena.
"Vorresti... vorresti dimenticare?" sussurrò il ragazzo qualche secondo dopo, il tono di voce leggermente incrinato.
"No... e in ogni caso non potrei" rispose lui con un gesto nervoso della mano.
"Non hai più nulla di tangibile di lei e della sua morte... quello che hai potresti semplicemente buttarlo o nasconderlo..." riprese Leo, con voce quasi esitante, quasi come sperasse in una risposta affermativa.
Nico lo guardò a lungo, non gli rispose, solo si alzò con calma dal letto e si voltò dandogli le spalle, togliendosi lentamente la canotta nera.
Una lunga e slabbrata cicatrice percorreva il suo corpo magro dalla spalla fino in prossimità delle ultime due costole, deturpando buona parte della schiena.
Benché la pelle del ragazzo fosse estremamente pallida, quella striscia di carne bianca e fragile risaltava enormemente sotto la luce della piccola stanza.
“Questa ti sembra abbastanza tangibile?”
Voleva mantenere un tono distaccato, indifferente, ma dalle labbra gli uscì solo un mormorio cupo.
Sentì l’ altro alzarsi e avvicinarsi a lui, ma si allontanò di qualche passo coprendosi di nuovo con la canottiera.
“Mi dispiace…” sussurrò Leo alle sue spalle.
Il ragazzo non rispose e si sedette sul proprio letto senza voltarsi.
“Ma… come…?” continuò l’ altro esitante.
“Un incidente. Eravamo sul suo motorino e un camion non ci ha visti. Sono caduto sulla maniglia del freno e questo è il risultato. A lei è andata peggio” disse riuscendo a stento a mantenere un tono basso senza lasciar trasparire troppo il dolore in quelle parole.
“Senti ancora male?” sussurrò l'altro ragazzo.
“Tutti i giorni. Un costante promemoria di quella sera, come se tutto il resto non fosse abbastanza” rispose dopo qualche secondo, la voce leggermente incrinata.
"Come vedi, non posso dimenticare"
Questa volta fu Leo a rimanere in silenzio.
Nico tirò su le coperte, infilandosi nel letto e ostinandosi a guardare il muro di fronte a sé piuttosto che incrociare lo sguardo dell’ altro ragazzo.
Sentì Leo imitarlo poco dopo, spegnendo la luce e facendo ripiombare la stanza in un innaturale silenzio.
“Buonanotte Nico”



#AngoloDiLeo
NON SONO MORTA (lo credavate vero?)
Mi dispiace tantissimo, sono imperdonabile, ma con la fine della scuola ho avuto una serie di problemi a trovare un computer con connessione internet che voi non ne avete idea.
Le mie più sincere scuse.
Allora... che ne dite di questo capitolo? Vi è piaciuto? Il primo vero confronto tra Nico e Leo (e un po' di Lazel che non guasta mai *-*)
AVVISO IMPORTANTE: tra le vacanze e tutto quanto potrebbe passare molto (troppo) tempo prima di un prossimo aggiornamento, specie perchè sarò via per la maggior parte di luglio e agosto. Non avete idea di quanto mi dispiaccia, ma non posso farci nulla. Anzi, una cosa posso farla, cioè impegnarmi a scrivere in questi mesi per tornare (nella peggiore delle ipotesi) a Settembre e non farvi aspettare per altri capitoli. Ancora scuse e spero che gli adorabili semidei che seguono e commentano la mia storia non la abbandonino ma aspettino pazientemente che questa povera scrittrice in erba abbia la possibilità di pubblicare.
Un bacio.
LeoValdez00



 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Nico si svegliò presto, come ogni mattina dalla morte di Bianca.
Si alzò lentamente, ben sapendo che mancava almeno mezz'ora alla sua sveglia per l'Università e, non volendo litigare con un piromane mezzo addormentato, rifece il letto in un perfetto silenzio, rotto solo dal leggero russare di Leo, avvolto fra le coperte come in un bozzolo.
Si infilò velocemente una felpa scura di qualche taglia abbondante e uscì sul piccolo giardinetto dietro la casa della sorellastra per fumarsi una sigaretta.
Nico fumava da circa quattro anni, poco dopo l'incidente aveva provato la prima sigaretta.
Odiava l'odore del fumo, gli dava la nausea anche dopo anni, ma l'idea di starsi facendo del male volontariamente attenuava un poco i sensi di colpa.
Il ragazzo era metodico.
Una sigaretta al giorno tutti i giorni.
Alle sette e quarantacinque del mattino.
Preferibilmente nel giardinetto di Hazel o sul tetto di casa Di Angelo.
Ma ormai quella casa non era più sua, perciò quel piccolo spazio di terra arredato con un tavolino di legno mal messo e un paio di sedie traballanti rimaneva la sua unica possibilità.
Si sedette con un leggero sbadiglio e accese la sigaretta.
Hazel disapprovava pubblicamente questa sua abitudine, ma sapeva di non poterlo costringere a smettere e Nico sapeva che non doveva fumarne più di una.
Il loro, pensò il ragazzo sbuffando una leggera nuvoletta di fumo, era un ottimo compromesso.
La porta sul retro della casa della sorellastra venne aperta lentamente con un leggero cigolio e la figura di una Hazel ancora in pigiama e con i capelli completamente scompigliati fece sorridere Nico.
"Ancora quella roba. Giuro che un giorno di questi te le butto tutte nel water" borbottò la ragazza, poco credibile vista la sua voce impastata dal sonno.
"Buongiorno anche a te Haz" rispose lui continuando quel leggero sorriso, ricevendo uno sbuffo infastidito come risposta.
"La camera è in ordine?" chiese la ragazza, cercando palesemente di cambiare discorso e ignorare la sigaretta fra le labbra del fratello.
"La mia parte ovviamente sì ma il piromane non si è ancora svegliato"
Nico notò la sorellastra arrossire improvvisamente e tentare al contempo di nasconderlo facendosi ricadere i ricci scuri davanti al viso.
Il ragazzo accennò un vago sorrisetto ironico.
"So che sei arrossita, non serve nasconderlo"
Lei borbottò qualche insulto a mezza voce avvampando ancora di più.
"Ti piace?" chiese Nico dopo qualche secondo, evitando di guardarla.
"È carino" mugugnò Hazel guardandolo di sottecchi.
"È un idiota"
La ragazza fece una leggera smorfia.
"Come se a te non piacesse nessuno"
Nico si irrigidì appena, i pensieri che vertevano senza il suo consenso sul biondino medico e professore part-time.
"A me non piace nessuno infatti" replicò con voce atona.
"Si certo, a chi vuoi darla a bere fratellino?" sbuffò lei raccogliendosi svogliatamente i capelli in una coda bassa.
"A te e comunque non sono il tuo fratellino" rispose il ragazzo con freddezza.
Hazel lo guardò negli occhi, per nulla intimorita dal suo umore.
"Chi ti piace fratellino?" scandì con un lieve sorriso.
"Non sei mai stata un'impicciona, devi diventarlo proprio ora?" chiese Nico spegnendo la sigaretta ormai finita e sentendo lo strano impulso di accenderne un'altra.
La ragazza lo guardò con un sorriso.
"Tanto lo so che ti piace Will"
***
Quando la canzone degli Imagine Dragons "Demons" risuonò a tutto volume nella piccola stanza, Leo credette di aver avuto un infarto.
Mormorando imprecazioni in spagnolo misto a inglese si trascinò fino al comodino di Nico e spense la sveglia a tentoni, per poi leggere l'ora sul display e ricadere stancamente sul letto.
"Io lo ammazzo" borbottò assonnato e si trascinò stancamente fino al bordo del letto alzandosi lentamente.
Aveva ancora i vestiti della sera prima ovviamente, perciò aprì l'armadio dell'altro ragazzo e tirò fuori uno degli innumerevoli pantaloni della tuta neri.
Benchè fosse ottobre il tempo era ancora piuttosto mite e decise che non sarebbe morto di freddo se non avesse indossato la maglietta.
Tanto Hazel dormiva, non doveva fare bella impressione su nessuno.
Afferò il proprio cellulare malmesso e ignorò completamente le chiamate perse e i messaggi del fratello.
-Sto bene. Sono vivo. Ho incontrato Efesto ieri sera, oggi torno a casa. Mi serviva solo tempo per... riflettere-
Scrisse velocemente il messaggio, cercando di ignorare i sensi di colpa per non aver avvertito prima Beckendorf.
Prese il fil di ferro dalla tasca della propria leggera giacca da meccanico e uscì dalla stanza degli ospiti.
Fece tappa in cucina dove fece una frettolosa colazione a base di latte al cioccolato e poi fece un breve giro della casa.
Vide la porta sul retro e oltre un piccolo giardino.
La aprì svogliatamente trovandosi davanti una Hazel dallo sguardo soddisfatto e un Nico dall'aria atterrita, ancora più pallido del solito, che stringeva nervosamente fra le mani un pacchetto di sigarette.
Finché non si voltarono verso di lui.
***
"Quelli sono i miei pantaloni!"
"Mettiti una maglietta per l'amor del cielo!"
Nico guardò male l'altro ragazzo, sia per aver indossato i suoi abiti sia perché, si era accorto solo ora, non indossava nemmeno una maglietta davanti a sua sorella.
Leo sembrava impietrito nel guardarli, rimanendo perfettamente immobile come se aspettasse lo scoppio di una bomba.
"Non startene lì impalato, mettiti qualcosa addosso e ridammi i miei pantaloni" disse Nico con voce gelida, guardando la sorella di sottecchi.
Hazel guardava ancora Leo, sconcertata ma quasi curiosa.
"Ora" continuò il ragazzo con un tono che non ammetteva repliche.
L'ispanico arretrò in fretta, senza distogliere lo sguardo da Hazel, e rientrò in casa sparendo dalla vista degli altri due.
"Non credi di essere stato troppo brusco?" chiese la ragazza dopo qualche secondo, il tono accusatorio.
"Non credi che fosse troppo svestito?"
Hazel avvampò di nuovo lanciandogli un'occhiata assassina.
"Non ho ancora finito con te, Di Angelo"
***
Merda.
Leo si rivestì con gli abiti del giorno prima ripensando mille e mille volte all'immensa figuraccia che aveva appena fatto.
Davanti a Nico e Hazel.
Che lo guardava sconcertata come se si fosse trovata davanti un orrendo mostricciattolo.
Sapeva di non essere un fotomodello ma non era nemmeno così brutto!
Forse sì per Hazel...
Hazel. Hazel. Hazel.
"Piantala!" sibilò fra sé e sé cercando di pettinarsi passandosi distrattamente una mani fra i capelli.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca e vide il messaggio di Beckendorf.
-Ok ne riparliamo a casa-
Fece un leggero sospiro di sollievo e riprese fra le mani il fil di ferro, tagliandosi leggermente la punta delle dita senza accorgersene nemmeno.
"Ma perché tutte a me?" mormorò con una leggera smorfia.
Se ripensava a Hazel, nel suo pigiama a pallini, con la coda mezza disfatta e lo sguardo sconcertato...
No, meglio non pensarci.
"Ti... ti serve una mano?"
Leo arrossì prima ancora di vederla.
"No grazie... ho finito, devo solo rifare il letto" rispose senza voltare il viso per guardarla e tirando su le lenzuola, lasciando cadere a terra il fil di ferro.
"Ti aiuto"
Hazel si avvicinò e lo raccolse rimettendolo sul comodino e finì di rifare il letto con lui.
"Scusa per prima, credevo dormissi" disse Leo senza guardarla e lisciando nervosamente un cuscino.
"Non fa niente" rispose la ragazza accennando un sorriso e arrossendo appena.
Lui voltò il viso verso di lei.
"Scusa" ripeté.
***
"Oggi pomeriggio torni qui o vai in obitorio?" chiese Hazel al fratellastro con un sorrisetto innocente.
Il ragazzosi irrigidì appena.
"Obitorio, ho già saltato ieri e non voglio che mi buttino fuori" rispose freddo per poi prendere lo zaino e darle un veloce bacio sulla guancia.
"Va bene fratellino" gli sorrise lei.
"Ehm... ancora grazie Haz..." si intromise Leo, un po' imbarazzato, chiudendo a forza la zip incastrata dello zaino.
"Di nulla davvero" rispose lei arrossendo.
Nico sbuffò e afferrò l'altro ragazzo per la manica.
"Siamo già in ritardo, muoviti piromane"
***
"Tu chi sei?" chiese la ragazzina guardandolo sospettosa.
"Mi chiamo Nico di Angelo... tu sei Hazel vero?"
Lei annuì appena incrociando le braccia davanti al petto.
"Come sai il mio nome? Chi sei?"
"È una lunga storia... complicata in verità... posso entrare?" chiese il ragazzo.
Hazel lo osservò.
Doveva avere al massimo un paio di anni in più di lei, era magro, pallido e completamente fradicio di pioggia mentre cercava di ripararsi sotto al portico.
"Sentiamo questa lunga storia" rispose la ragazzina facendogli spazio per entrare.
Nico la ringraziò e cercò il modo migliore per dirle la verità.

***
I ragazzi si salutarono giusto con un vago cenno prima di entrare nella classe di fisica.
Nico si sedette all'ultimo banco e Leo in uno di quelli in mezzo dove è difficile essere notato.
"Buongiorno Classe"
Una professoressa dall'espressione arcigna e decisamente avanti con l'età entrò nell'aula appoggiando sulla cattedra la sua cartella.
La professoressa Dodds, ricordò Nico mentre prendeva a malincuore il proprio quaderno.
Non solo insegnava fisica, il che già la metteva nella lista nera del ragazzo, ma era anche quel tipo di professoressa che gioisce nel vedere i propri alunni fallire e venire respinti agli esami.
Mentre l'arcigna insegnante scriveva qualche formula incomprensibile alla lavagna, Nico ricopiava tutto meccanicamente.
Non stava ascoltando nemmeno una parola, continuava a pensare a quella mattina.
Hazel sapeva che gli piaceva Will, ergo che era gay.
Il ragazzo continuava a chiedersi come avesse fatto a capirlo, non aveva mai fatto parola di questo a nessuno.
Solo a Bianca, anni prima, quando le aveva confessato la sua cotta per Percy Jackson.
Ade non lo sospettava nemmeno, e certo Nico non glielo avrebbe mai detto.
Tanto ora non doveva più nemmeno incontrarlo a casa.
Il ragazzo si morse nervosamente il labbro mentre si perdeva qualche passaggio della formula.
Anche se i lividi sul viso si erano sbiaditi, notava ancora qualcuno guardarlo storto e decise di tirarsi su il cappuccio della felpa dei Black Sabbath che indossava quel giorno.
Ade lo aveva buttato fuori di casa perciò non doveva più pensarci.
Ormai era maggiorenne, se suo padre non lo aveva aiutato anni prima di certo non lo avrebbe fatto in quel momento.
E Nico non aveva più bisogno di lui.
La punta della matita si spezzò per la forza con cui calcò sulla pagina.
Ovviamente poi doveva uccidere Leo per aver scandalizzato sua sorella.
Magari non esattamente scandalizzata.
In ogni caso doveva ucciderlo.
***
Non riuscire a seguire una lezione era normale per Leo, qualunque fosse la materia o l'insegnante.
Era sempre stato un bambino iperattivo e crescendo non era certo migliorato.
Se poi la lezione era quella di fisica con quell'arpia della Dodds...
Il ragazzo non si prese nemmeno la briga di ricopiare la assurda formula o qualunque cosa fosse dalla lavagna, prese il proprio quadernetto e riprese il disegno di qualche giorno prima.
Era il pistone di un motore della audi, nulla di eclatante ma gli piaceva disegnare ingranaggi e parti meccaniche, credeva che fosse l'unica cosa simile ad un talento artistico che potesse avere.
E poi, qualunque cosa che non gli facesse pensare a Hazel era ben gradita.
"Pensa che tu sia uno spogliarellista squinternato" mormorò fra sé e sé notando che sarebbe difficilmente riuscito a non pensarci.
"È bellissima..."
Leo scosse nervosamente la testa.
Basta!
***
Dopo aver passato l'ora successiva alla Dodds a cercare di ignorare l'aiutante del professor Brunner, Nico si chiese cosa avesse fatto di così tremendo nella sua vita precedente.
"Quindi da cosa è fornita l'innervazione simpatica del cuore?"
Il ragazzo stava per alzare la mano per rispondere, una domanda così facile per lui, ma si fermò di colpo.
Will Solace non doveva notarlo, per nessuna ragione.
Il ragazzo non si accorse di avere ancora la mano alzata a metà.
L'aiutante del professore, che stava guardando casualmente nella sua direzione, sorrise.
"Si Di Angelo?"
Oh Merda.
Nico sperò di non essere arrossito come temeva e cercò nella sua mente la risposta che prima era certo di conoscere perfettamente.
"Dalle fibre simpatiche postgangliari provenienti dal tronco simpatico" disse dopo qualche secondo, la voce fredda.
Will sorrise annuendo appena.
"Esatto, in particolare dal ganglio cervicale superiore e medio, dal ganglio stellato e dai gangli toracici sino al quarto"
Nico fece un leggerissimo sospiro di sollievo, ormai certo che la sua carnagione pallida avesse rivelato il suo imbarazzo e si coprì ancora di più con il cappuccio della felpa.
"Stupido biondino" borbottò continuando a scrivere appunti, mentre gli altri ragazzi si chiedevano come l'aiutante del professor Brunner avesse già imparato i loro nomi.





#AngoloDiLeo
Sono viva (incredibile eh!)
Ho trovato finalmente un pc e del sano wi-fi e sono riuscita a pubblicare questo capitolo *si sente inspiegabilmente orgogliosa*
Spero che i meravigliosi semidei che seguivano la mia storia non si siano dimenticati di me e mi dicano la loro opinione.
Spero anche di riuscire ad aggiornare la prossima settimana, altrimenti ci risentiamo a settembre.
Un bacio, LeoValdez00

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


Appena terminarono tutte le lezioni, Leo uscì velocemente dall'aula diretto alla stazione degli autobus.
Quel giorno aveva prestato attenzione ancora meno del solito, la mente da tutt'altra parte.
Hazel, la figuraccia con Hazel, quanto fosse bella Hazel.
E poi anche Efesto e Beckendorf ovviamente.
Salì in fretta sul bus accaparrandosi il posto vicino al finestrino, rubandolo a quello che poteva essere un impiegato d'ufficio di mezza età che lo guardò male borbottando qualcosa sulla gioventù avariata.
Leo stravaccò sul sedile infilandosi le cuffiette e sparando a tutto volume l'intero album degli ACDC che aveva appena scaricato illegalmente da internet.
Mentre canticchiava a mezza voce il testo di "Highway to Hell", cercava di immaginarsi la conversazione con il fratello, l'idea di raccontargli l'incontro con Efesto non lo esaltava particolarmente, ma sperava di ricevere un po' di sostegno.
Magari anche un consiglio dopo l'irrinunciabile litigata.
***
Non appena terminò la giornata di lezione, Nico si precipitò fuori dall'aula pregando qualunque dio gli venisse in mente per non incontrare Will Solace nei corridoi e per potersi godere un caffè nero formato gigante in santa pace.
Dopo aver fatto tappa al bar cercò di uscire velocemente dal campus, lo zaino in spalla e il caffe in equilibrio precario in mano.
"Buongiorno mio alunno"
Stupido biondino.
"Solace" rispose il ragazzo a mo' di saluto.
L'altro si avvicinò a lui sorridendo.
Nico si ritrovò a pensare a quanto stesse bene con i jeans chiari e la giacca blu scuro che era obbligato a indossare quando veniva in università, rischiando di bruciarsi la mano per colpa della bevanda a miliardi di gradi e i pensieri da tutt'altra parte.
"Non credevo stessi attento alle mie lezioni, sono piacevolmente sorpreso di essermi sbagliato" continuò Will con il suo solito sorrisetto.
"Di certo non ascolto te, Solace. Sai, lavorare in obitorio aiuta" rispose il ragazzo con freddezza, affogando l'imbarazzo nel caffè.
Il sorriso dell'altro non vacillò nemmeno per un secondo.
"Sempre di ottimo umore vedo" 
Nico rispose con uno sbuffo, cercando di non guardarlo.
Will si avvicinò ancora e gli mise due dita sotto al mento alzandogli il viso, facendo arrossire immediatamente il ragazzo.
"Ma che diamine fai Solace?" ringhiò cercando di allontanarsi.
"Sta fermo" rispose serio l'altro esaminandogli il viso avvicinando il proprio al suo.
"Allontanati immediatamente se non vuoi finire su uno dei tavoli dell'obitorio" sibilò Nico, inevitabilmente rosso di imbarazzo, cercando di capire perché mai fosse così vicino.
"I lividi stanno scomparendo, ma il taglio no... un paio di giorni e dovrebbe guarire" mormorò Will, quasi fra sé e sé senza accennare ad allontanarsi.
"Non sei il mio medico" rispose il ragazzo scandendo ogni parola, allontanandolo con una spinta, quasi deluso che lo avesse guardato solo per quel motivo.
L'altro abbassò di poco lo sguardo annuendo appena.
"Si certo. Oggi vieni in obitorio?" chiese guardandolo con un accenno di sorriso, come se non fosse successo nulla.
Ma per Nico era successo qualcosa, quel maledetto ragazzo non doveva avvicinarsi così tanto. 
"Si, ieri non sono venuto per... problemi di famiglia" rispose atono "Da oggi dovrei esserci"
"Tanto chi ti butta fuori di lì? Ormai sei una presenza costante, puoi anche permetterti di saltare qualche volta" gli sorrise Will sistemandosi la cravatta blu.
Nico si impose di non guardarlo.
"Da oggi ci sono" ripeté. 
***
Quando Leo entrò in casa, si aspettò di essere assalito da Beckendorf come due giorni prima.
Vedendo il soggiorno vuoto andò in cucina dove vide seduti al tavolo Elena e suo figlio.
"Giorno..." disse il ragazzo per poi buttarsi stancamente sulla sedia libera, psicologicamente preparato al peggiore scenario che la sua mente poteva immaginare.
"Come stai?" chiese Elena guardandolo con aria preoccuoata.
Leo aggrottò le sopracciglia con aria perplessa, di certo non era la domanda che si aspettava.
"Bene... credo..." mormorò in risposta.
"Non è vero"
Il fratellastro lo guardò serio, come poche volte lo aveva visto in passato.
"Sto bene Beck, davvero... avrei preferito non incontrarlo ma sto bene..." disse Leo sospirando e mollando lo zaino sotto al tavolo.
"Cosa ti ha detto niño?" continuò Elena.
Il ragazzo non la corresse neppure per averlo chiamato in quel modo.
"Scuse. Solo stupide scuse" mentì evitando il loro sguardo.
"Leo" disse Beckendorf, il tono accusatorio.
Lui lo guardò male, stringendo appena i pugni.
"Mi ha detto che non era pronto per fare il padre, che mia madre gli ha chiesto di andarsene quando avevo otto anni perché non affezionassi troppo a lui, perché un giorno non mi deludesse come aveva fatto con lei, e che non aveva il coraggio di tornare dopo l'incendio..." mormorò Leo dopo qualche secondo, la voce incrinata.
"Ecco cosa mi ha detto. Solo scuse" continuò guardando il fratellastro con ostentata freddezza.
Beckendorf annuì appena, per poi guardare la propria madre mentre lei non distolse lo sguardo da Leo.
"Non gli credi?"
"Non gli crederò mai" rispose, cercando in ogni modo di convincere sé stesso che fosse la cosa giusta da fare.
***
Nico arrivò in obitorio con largo anticipo e senza salutare o guardare nessuno si mise in fretta al lavoro.
Tutte quelle ore da metà estate e la sua innata bravura avevano portato i medici a lasciargli le autopsie più facili senza il controllo di nessun superiore.
Lavorava molto meglio da solo.
Si nascose meccanicamente sotto al cappuccio della felpa, come se volesse estraniarsi dal mondo circostante.
In quel momento esistevano solo lui e la donna stesa sul tavolo.
Nico dovette concentrarsi per non pensare a chi fosse in vita, a chi le volesse bene, a chi invece la disprezzasse.
Chi era quella donna?
Non lo sapeva, non doveva saperlo.
Per lui bastava che non fosse Bianca la persona stesa sul tavolo.
Le scostò malamente i capelli rossicci dalle spalle scoprendo la pelle da incidere.
Prese il bisturi e tagliò con precisione la consueta Y che aveva imparato ad odiare e ammirare al tempo stesso.
Quella donna era morta, ormai non poteva più esserle fatto del male.
Con quella consapevolezza, Nico iniziò l'autopsia con metodica sicurezza.
*** 
"Ciao mi chiamo Will, sono uno specializzando del secondo anno" sorrise il ragazzo di fronte a lui non appena Nico entrò in obitorio.
Il ragazzo si guardò nervosamente attorno, lo sguardo che finiva inevitabilmente sulle sagome a malapena nascoste sotto i teli bianchi.
"Di Angelo" rispose freddamente rafforzando la presa delle dita sulla spallina dello zaino, fino a far sbiancare le nocche.
"Lo so chi sei, mi hanno incaricato di aiutarti" riprese il biondino con un sorriso cordiale.
"Bene" rispose il ragazzo con voce atona.

***
"Dov'è finito?" chiese Will tornando dall' autopsia di un uomo morto di leucemia.
"Chi?" domandò in risposta Austin, l'unico altro specializzando presente, più grande di lui di un paio di anni.
"Il ragazzo, di Angelo! Dov'è finito?" insistette guardandosi nervosamente attorno.
"L'ho visto andare verso i bagni circa dieci minuti fa... non sembrava sentirsi bene" rispose Austin con un'alzata di spalle.
Will si trattenne a stento dal gettare un'occhiata assassina al collega, per poi raggiungere in fretta i bagni nella stanza adiacente.
Bussò cautamente nell'unico occupato.
"Nico?"
Silenzio.
"Nico so che sei lì dentro. Stai bene?" continuò Will bussando ancora.
Sentì qualcuno muoversi, un pezzo di carta strappato e un respiro pesante.
La porta si aprì pochi secondi dopo rivelando la figura del ragazzo, la pelle estremamente pallida, un leggero strato di sudore, gli occhi scuri infossati e rossi di pianto.
"Sto bene. Non mi serve aiuto" disse Nico con voce leggermente tremante, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta per sostenersi.
Will non replicò ma si avvicinò in fretta mettendogli un braccio dietro la schiena fin sotto al braccio per sorreggerlo.
"No, lasciami! Sto bene!" protestò l'altro ragazzo benché fosse palese che non riuscisse a restare in piedi.
"Scegli: o ti lasci aiutare da me o chiamo gli altri medici. Tutti gli altri medici presenti" replicò Will con inaspettata fermezza.
Nico lo guardò con odio, come se fosse sul punto di ucciderlo, ma rimase immobile.
"Bene" sibilò cercando comunque sostenersi con le proprie forze mentre il biondino lo portava velocemente nell'altra stanza.
"Come ti senti?" gli chiese Will rafforzando la presa su di lui per non farlo cadere.
L'altro ragazzo sentì il peso al petto farsi più grave, impedendogli di respirare a pieni polmoni, il dolore alla testa acuirsi e la vista oscurarsi lentamente.
"Bene... sto bene..." mormorò mentre perdeva conoscenza e si accasciava inerme fra le braccia di Will.

***
Beckendorf uscì di casa non appena Leo andò in camera per 'studiare'.
Si avviò senza fretta verso l'officina, dicendo ad Elena come scusa di aver dimenticato lì il cellulare.
Non appena entrò nella via, vide la luce accesa nell'ufficio al piano superiore e affrettò il passo. 
Se Leo avesse saputo da chi stava andando, probabilmente non gli avrebbe più parlato per il resto della vita, ma sperava di star facendo la cosa giusta.
Entrò in officina e salì fino all'ufficio.
"Charles" disse una voce cordiale ma tesa, mentre Efesto si alzava dalla sedia e gli porgeva la mano.
"Capo" rispose lui a mo' di saluto stringendogli la mano.
"Ti ringrazio davvero... so che siete molto più che amici, quasi fratelli. Per questo devo chiederti Perché. Perché vuoi aiutarmi?" chiese l'uomo guardando Beckendorf con quieta curiosità e tanta speranza, senza nemmeno sentire il bisogno di chiarire di chi stava parlando.
"Perché io l'ho perso un padre. È morto e non tornerà più né da me né da mia madre. Leo non può buttar via la possibilitá di averti, anche se fin'ora sei stata una persona orribile con lui" rispose Charles con inaspettata chiarezza.
Efesto annuì piano, lo sguardo basso.
"Voglio rimediare, voglio essere una persona migliore e un vero padre. Anche se lui è grande ormai, voglio stargli vicino... ma ho bisogno di te"




#AngoloDiLeo
Ma buongiorno mezzosangue!
Intanto ringrazio la mia amica (un po' fuori di testa) che mi ha prestato il computer e ha betato il capitolo.
Grashie mille Sofiita alias NicoDiAngelo99 <3
partiamo dal presupposto che vedere solo due recensioni (per altro di miei amici) nell' ultimo capitolo è stato abbastanza deprimente, spero che questo aggiornamento sia di vostro gradimento e che recensiate la storia.
Un bacio, LeoValdez00

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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


Avendo finito presto con la seconda autopsia, il medico supervisore ne aveva assegnata un’altra a Nico.
“Ragazza, 22 anni, incidente stradale” spiegò questo in fretta scoprendo il viso sconosciuto.
Il ragazzo sentì un peso insostenibile all’ altezza del petto ma rimase impassibile finché il medico non se ne andò e lui ebbe il tempo di guardare il corpo.
Aveva i capelli castano scuro non neri, la pelle non era coperta di efelidi, ma la forma delicata del viso, quell’espressione quasi serena come se gli enormi tagli ed ematomi non la sfigurassero, fecero sentire Nico come la prima volta in cui era entrato all’ obitorio.
Se Bianca fosse stata ancora viva, avrebbe compiuto 22 anni qualche mese dopo.
“Non è lei. Mia sorella è morta quattro anni fa” sussurrò pianissimo e ripeté le stesse parole più e più volte cercando inutilmente di calmarsi.
Doveva solo prendere il bisturi, incidere con attenzione, completare l’autopsia e riferire tutto al medico supervisore.
Ma non ci riusciva.
Uomini, donne, anziani, persino i bambini avevano smesso di farlo sentire così, per quanto il dolore di una morte fosse sempre lì accucciato nel suo cuore.
Ma una ragazza morta in quelle circostanze sembrava risvegliare in Nico tutto ciò che era riuscito ad arginare negli ultimi mesi.
Il bisturi tremava fra le sue dita, la presa insicura che quasi lo fece scivolare, i singoli battiti del proprio cuore che risuonavano nella cassa toracica.
Appoggiò la lama per incidere, ma lui stesso si rendeva conto che non avrebbe mai potuto fare un lavoro pulito se tremava così tanto.
Una mano grande e calda si appoggiò sulla sua fermando il tremore e impedendo che il bisturi incidesse la pelle.
“Nico…” sussurrò una voce alle sue spalle, una nota di preoccupazione.
“Sparisci Solace, lasciami fare il mio lavoro” replicò il ragazzo, senza il solito tono tagliente, la voce stanca ed esausta.
Will gli tolse la lama dalla mano riappoggiandola vicino agli altri strumenti.
“Non puoi. Non so cosa ti stia succedendo ma non puoi” mormorò lo specializzando “E se vuoi evitare che tutti i medici si accorgano che stai per fare una cazzata, vieni con me”
Nico fu davvero tentato di mandarlo al diavolo, di coprirsi con il cappuccio nero e di affrontare tutto da solo, come sempre.
Ma la ragazza sul tavolo era troppo simile a Bianca per poterlo affrontare.
“Vado a casa, non mi sento bene” disse allora stringendo piano i pugni.
Will già lo aveva visto non riuscire a sopportare nulla i primi giorni, non voleva certo dimostrarsi debole un’altra volta.
Lo specializzando lo afferrò per un polso.
“Nico, diamine, vieni e non fare storie” gli sussurrò all’ orecchio per poi trascinarlo nella stanza adiacente, piena di alti scaffali, farmaci e quelli che Nico pochi mesi prima aveva solo saputo definire come strumenti di tortura.
Non voleva certo indagare più a fondo.
Quando la porta alle loro spalle si chiuse, lasciando il corpo della ragazza fuori dal proprio campo visivo, Nico si sentì leggermente sollevato.
“Okay, ora che mi hai rapito cosa ne farai di me, Solace? Intendi torturarmi e poi buttare i miei resti nel fiume? Perché se così fosse, te lo sconsiglierei visto che potresti tranquillamente finire tu nel fiume al posto mio” disse il ragazzo cercando di riprendere quel tono indifferente e menefreghista che lo contraddistingueva.
Will gli si parò davanti senza dar segno di averlo sentito parlare.
“Credevo ti fosse passata almeno un mese fa, mi dici che ti è preso?” chiese lo specializzando osservandolo come a studiarlo.
“No” ringhiò Nico, cercando di nascondersi nella felpa, quel solito senso di fastidio nell’essere guardato misto a qualcos’altro che non riusciva a identificare.
“Cazzo di Angelo, tremavi come una foglia e sembrava stessi per svenire!” sbottò Will guardandolo male e il ragazzo si accorse di non averlo mai sentito dire nemmeno mezza parolaccia, a meno che non si consideri tale ‘diamine’ o ‘per la miseria’.
Nico si avvicinò assottigliando gli occhi e guardandolo con odio.
“Non sono cazzi tuoi Solace, non sei il medico supervisore. Vado a casa”
“No no no! Fermo lì!” sbottò Will avvicinandosi di scatto “Nico per favore, non fare idiozie, non posso farti andare a casa da solo”
“E che vorresti fare? Accompagnarmi a casa facendo la brava mamma chioccia?” replicò il più giovane con ironia, cercando di allontanarsi.
Lo specializzando lo fermò per un polso, pericolosamente vicino a prendergli la mano.
“Esattamente. Ho la macchina fuori”
***
“Muoviti sfaticato, oggi si esce” disse Beckendorf entrando in camera e lanciando addosso al ragazzo la sua giacca da meccanico.
Leo lo guardò stranito ma sorrise.
“Ah si? E dove si va?”
“Giro random e poi ceniamo con un hot dog vicino al parco, ti va?” rispose al sorriso il fratellastro.
“E me lo chiedi pure? Sarà almeno un anno che non andiamo a farci fare un hot dog da Bob!” scoppiò a ridere il ragazzo alzandosi e infilandosi la giacca.
“Lo sapevo che il tuo punto debole è quello, peste” ghignò Charles trascinandolo fuori.
Leo lo seguì ridacchiando senza nemmeno pensare di contestare quel vecchio soprannome, solo contento che Beckendorf non ce l’avesse con lui.
“Su, dimmi qualcosa! Aggiornami sugli ultimi avvenimenti, rimango il tuo fratellone anche se sei cresciuto” disse Charles chiudendo la porta di casa e camminando con l’altro fino al marciapiede.
“In parole povere, vuoi del gossip come fanno le ragazzine” lo prese in giro Leo, evitando per un soffio lo scappellotto.
“Che scemo, parlo seriamente, da un po’ non mi dici più nulla. Sarai diventato un adolescente rompicoglioni in ritardo” ghignò Beckendorf.
Il più giovane sbuffò scuotendo la testa.
“L’ università è tremenda”
“Ragazze?” chiese il fratellastro con un leggero sorrisetto.
Leo arrossì pensando ad Hazel e cercò di non mostrarlo in ogni modo.
“Nada” rispose con finta indifferenza “E ora sembri davvero una ragazzina che sparla di ragazzi”
“E tu sembri un pomodoro… perciò sputa il rospo Valdez”
Leo sospirò passandosi una mano sul viso.
“E’ carina” disse vago continuando a camminare.
“E…” lo incitò Beckendorf dandogli una leggera gomitata.
“Ed è la sorella minore di un ragazzo che mi ucciderebbe se mi avvicinassi troppo a lei” rispose il minore con un lieve sbuffo.
***
“Scherzi vero?” Rispose Nico alzando un sopracciglio con fare scettico.
“Per niente, di Angelo. Ora muoviti e non fare storie”
Will lo ritrascinò fuori sotto lo sguardo stranito e confuso dei medici presenti fino ad arrivare in strada.
Durante tutto il tragitto, il più giovane aveva cercato di coprirsi con il cappuccio della felpa, maledicendo ad ogni passo quello stupido biondino, ma nulla riuscì ad impedirgli una breve risata non appena vide la macchina dello specializzando.
Will lo guardò accigliato, ma con un lieve sorriso
 “Che c’è?” chiese confuso.
“Ti prego, non dirmi che quella è tua. Ti supplico Solace” rispose Nico gesticolando verso l’unica macchina presente, una smart color giallo canarino.
“Cosa volevi? Una Ferrari?” rispose lui con uno sbuffo.
“Gialla. Will ti rendi conto di avere una macchina gialla?” continuò il più giovane con sguardo rassegnato ma un lievissimo sorriso.
Lo specializzando sorrise ampiamente.
“Mi hai chiamato Will, non lo avevi mai fatto”
Nico lo guardò quasi come se fosse stato colpito alla bocca dello stomaco, mentre le sue guance iniziavano a prendere colore.
“Sali. E in fretta, prima che cambi idea” replicò il più giovane con tono piatto.
Will non smise nemmeno un secondo di sorridere mentre apriva la macchina e si sedeva al volante.
***
“Oh… capisco… brutta faccenda” commentò Charles per poi fermarsi in mezzo al marciapiede.
“Che ti prende?” chiese Leo guardandolo storto, mentre notava una ragazza attraversare la strada con le cuffiette nelle orecchie e uno di quegli abiti all’ultima moda che si vedevano solo in televisione.
Beckendorf non rispose né distolse lo sguardo da lei, finché non sparì oltre l’incrocio senza essersi accorta di nulla.
“Beck, chi è quella?”
Il fratellastro distolse immediatamente lo sguardo dalla strada ormai vuota e guardò Leo.
“Non lo so, perché?” mentì mettendosi le mani nella tasca della felpa con un gesto nervoso.
“Perché stavi sbavando. Chi è?” chiese nuovamente il minore senza nessuna intenzione ad arrendersi.
“E’ una ragazza che frequenta l’officina, le ho aggiustato la macchina e lo scooter un paio di volte”
“Mh mh, come si chiama?” chiese Leo con un sorrisetto.
“Silena Boureguard” rispose il maggiore senza pensarci.
Il ragazzo lo guardò ridacchiando divertito.
“Quindi Beck ha una cotta”
“Quindi vedi di star zitto prima che ti anneghi nel laghetto del parco insieme alle anatre assassine” *
***
Nico rimase in perfetto silenzio tutto il viaggio, escludendo le brevi e laconiche frasi per dire allo specializzando dove andare e che vie prendere.
Will non smetteva di sorridere facendo brevi commenti o stupide battute, lo sguardo fermo sulla strada e la cintura allacciata da bravo ragazzo.
Il minore si era riparato sotto il cappuccio, gli occhi ostinatamente a guardare fuori dal finestrino e le mani in tasca.
“Vivi con i tuoi?” chiese improvvisamente il ragazzo più grande, con palese curiosità, senza sapere che era una delle ‘domande proibite’, insieme a ‘sei figlio unico?’.
Nico si irrigidì visibilmente, i pugni stretti.
“No” rispose freddamente.
Will era troppo concentrato sulla strada per notare lo sguardo dell’altro ragazzo.
“E con chi?” chiese sorridendo mentre girava a destra entrando nella parte più povera della città.
“Mia sorella”
A Nico faceva ancora uno strano effetto chiamare Hazel con quel termine, ma sapeva che quella ragazza era fantastica ed era il minimo per ripagarla di ciò che aveva fatto per lui.
“Oh…” sorrise lo specializzando voltando appena il viso per guardarlo.
“Hai altri fratelli o sorelle?” continuò con curiosità.
Nico si ostinò a non guardarlo, il suo viso che perdeva rapidamente colore come in obitorio.
“Non più” si costrinse a dire con voce ferma, mentre voleva solo gridare a quell’imbecille di Solace.
Voleva dirglielo, voleva sfogarsi fino a perdere la voce e la ragione, voleva chiedergli cosa ci fosse di sbagliato in lui perché tutta la sua fosse andata a rotoli.
Non si azzardò a continuare, il silenzio che diventava pesante all’interno della piccola automobile.
“Mi dispiace” mormorò Will dopo quella che all’altro ragazzo sembrò un’eternità.
Cosa se ne faceva del suo ‘Mi dispiace’ quando sapeva che l’unica cosa che l’avrebbe fatto stare meglio sarebbe stato urlargli contro tutta la sua stupida vita per poi scoppiare a piangere?
Il suo ‘Mi dispiace’ non risolveva nulla.




* (Herondale. Herondale everywhere)

#AngoloDiLeo
Chi mi vorrebbe fucilare? *tutti con la mano alzata*
Okok lo so che sono una persona pessima per avervi fatto aspettare così tanto, ma la scuola mi sta già uccidendo.
Spero vivamente di riuscire ad aggiornare presto, intanto mi piacerebbe sapere le vostre opinioni su questo capitolo.
Un bacio, LeoValdez00

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Will parcheggiò di fronte alla casa di Hazel, mentre il ragazzo sul sedile del passeggero rimaneva in un chiuso silenzio, le guance pallide e, lo specializzando lo notò solo in quell'istante, gli occhi lucidi e arrossati.
"Grazie per il passaggio Solace" disse questi con freddezza, scendendo velocemente dalla piccola smart senza voltarsi indietro e raggiungendo la porta di casa.
"Nico no... Aspetta!" rispose il ragazzo più grande scendendo in fretta  e chiudendo la macchina.
"Vattene, hai già fatto abbastanza" replicò l'altro dandogli le spalle, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati.
"Sarò anche un idiota, uno stronzo e un insensibile, ma non ti lascio da solo"
Nico tenne lo sguardo basso, trovando improvvisamente interessante la scritta di benvenuto in francese scritta sullo zerbino.
"Non sono solo, c'è mia sorella in casa. E poi non mi serve la tua pietà o qualunque cosa sia" disse tirando fuori le chiavi di casa dalla tasca dei jeans neri strappati.
Will si avvicinò di scatto appoggiando una mano sulla porta per impedirgli di aprirla.
"La mia non è pietà" rispose lo specializzando con serietà, costringendo l'altro ragazzo a voltarsi per guardarlo.
"Non mi interessa cosa sia, Solace! Ora devo andare da Hazel, sparisci" quasi ringhiò Nico in risposta, guardandolo negli occhi con malcelata rabbia.
"Le imposte alle finestre sono chiuse e non filtra nessuna luce dall'interno. La casa è vuota da ore e tu lo sai"
"Ma si può sapere che cazzo vuoi? Sarai anche più vecchio di me, sarai anche l'aiutante di un professore dell'Università, ma non hai alcun diritto di dirmi cosa fare e di startene lì a giudicare!" replicò con voce alta e irata, tornando ad armeggiare con la serratura.
"Non voglio giudicarti Nico!"
Il ragazzo più giovane aprì la porta entrando in casa.
"Lo stai facendo, lo fanno tutti" rispose con tono piatto, per poi chiudere lasciando fuori lo specializzando, una lacrima, invisibile all'altro, che finalmente sfuggiva al suo controllo.
***
A Leo era mancato passeggiare con Beck nel parco, un hot dog alla mano, a parlare di cazzate e a scambiarsi stupide battute.
"Silena Boureguard..." disse il ragazzo stringendosi nella leggera giacca da meccanico, scandendo ogni lettera di quel nome, le sopracciglia aggrottate in un espressione concentrata.
"È francese?" chiese un attimo dopo guardando il fratellastro come se avesse appena avuto un'illuminazione.
Beckendorf sbuffò con un lieve sorrisetto.
"Sua madre è di Parigi" rispose mettendo le mani in tasca una volta terminato il panino.
"Parigi! París! La città dell'amour!" esclamò allora Leo, il tono volutamente melodrammatico storpiato dall'ultimo boccone di hot dog, facendo ridacchiare l'altro.
"Ora ne sono certo, ho un fratello rimbecillito" rise Beckendorf scuotendo la testa con rassegnazione.
"Ma smettila, cosa faresti senza di mua?" rispose il più giovane fingendo platealmente di svenire, crollando fra le braccia di Charles che lo afferrò al volo.
"Oh grazie mon amour"
"Ma va' a cagare" scoppiò a ridere il fratellastro lasciandolo cadere sull'erba.
"Ahia! Il mio divino fondoschiena ti chiederà i danni morali e materiali!" protestò Leo ridacchiando, pronunciando ogni parola con la R moscia, senza alcuna intenzione di alzarsi da terra.
Beckendorf allora si sedette davanti a lui ridendo.
"Il tuo divino fondoschiena sopporterà" rispose con un lieve sorrisetto, porgendogli parte del suo hot dog.
***
Nico si era rintanato nella camera degli ospiti e si era raggomitolato sotto le coperte senza nemmeno togliersi le scarpe.
Lo odiava. Odiava quello stupido Solace.
Un’altra lacrima che sfuggiva al suo controllo.
Era solo un altro che cercava di capire quello che gli era successo, ma nessuno poteva, nessuno doveva.
Nico di Angelo non poteva dimostrarsi debole di nuovo, non con lui, non con Leo o con Hazel.
Non poteva far vedere che stava di nuovo crollando.
Di nuovo.
Quelle parole pesarono sul suo petto più di quanto si aspettasse, gli rendevano difficile respirare, gli rendevano impossibile pensare.
La mano che strava spasmodicamente stringendo il cuscino in un vano tentativo di calmarsi, rilasciò improvvisamente, gli occhi che si sgranavano leggermente dalla sorpresa.
Perché non ci aveva pensato prima?
Si allungò leggermente fino ad aprire il terzo cassetto del comodino di fianco a lui.
Due CD degli Scorpions, uno dei Doors e uno degli U2, la sciarpa con i teschi che Bianca gli aveva regalato il Natale prima dell’incidente e che lui mai aveva indossato, il diario nero e , sul fondo, nascosta a sguardi indiscreti, la piccola scatola.
Nuova e piena.
Una mano tremante prese una delle pastiglie bianche e la strinse forte fra le dita portandola alle labbra.
Aveva promesso a Hazel che le avrebbe buttate, che non ne avrebbe mai più prese.
Ma cosa poteva saperne lei di come si sentiva? Come poteva sapere ciò che stava provando? Come si poteva permettere di giudicarlo?
Nessuno doveva giudicarlo!
Il ragazzo scagliò la piccola pastiglia al muro con tutta la forza che aveva e la guardò cadere sul consunto parquet, respirando affannosamente.
Perché la sua vita non poteva essere come quella di tutti gli altri? Perché non poteva avere la vita che voleva?
Quasi non si accorse di aver iniziato a piangere e, se ci pensava, non riusciva a ricordarsi il motivo del suo crollo emotivo.
La ragazza all’obitorio? Solace? Il rifiuto di suo padre che ancora gli bruciava dentro?
Probabilmente l’insieme di tutto.
Un suono tanto lieve quanto fastidioso gli arrivò alle orecchie e ci mise qualche secondo per ricordare che quella era la sua suoneria.
Afferrò il cellulare nervosamente e controllò i nuovi messaggi.

Da numero sconosciuto:
(19.07) Nico sono Will. Sono davanti casa tua da più o meno mezz’ora e credo che sia buona abitudine non lasciare le persone fuori al freddo e sotto la pioggia.
(19.08) Lo so che potrei salire in macchina e tornare a casa, forse dovrei farlo. Ma sai che non mi muoverò di qui finché non mi farai entrare perciò per favore vieni ad aprire che sto surgelando.
(19.08) Sono un idiota, lascia almeno che mi scusi
(19.09) Possibilmente prima che io muoia di ipotermia, ovviamente
Stupido biondino.
Nico si asciugò in fretta le lacrime ai lati degli occhi e scese dal letto con stizza andando verso la porta d’ingresso.
***
“Leo…” iniziò Charles una volta usciti dal parco, guardando il suo fratellastro che sorrideva quasi spensierato.
Quanto gli era mancato vederlo così.
“Che c’è?” chiese il minore stiracchiandosi mentre camminava al suo fianco.
“Non credi che… dovresti dargli una possibilità?”
Non serviva chiarire di chi stesse parlando, perché Leo si fermò improvvisamente in mezzo al marciapiede guardandolo stranito.
“Beck, ma che diavolo…? No! Non gli darò l’ennesima possibilità, non dopo quello che ha fatto!” esclamò guardandolo male.
Il ragazzo più grande sospirò appena scuotendo la testa.
“Non prendertela Leo, ma non credi che sarebbe meglio…”
L’altro non lo lasciò finire avvicinandosi di scatto.
“Perché mai dovrei farlo?! Cosa ha fatto lui per me?!” quasi urlò spintonandolo appena, l’atmosfera del pomeriggio appena trascorso ormai distrutta.
Beckendorf lo afferrò per entrambi i polso guardandolo con estrema serietà.
“Tu almeno un padre ce l’hai Leo!”
Il ragazzo più piccolo si allontanò appena, come scottato.
“Non provare a confrontare la mia situazione con la tua Beck, tua madre è fantastica e mio padre è un vile idiota che ha abbandonato me e mia madre tre volte! Tre volte Beck!” gli gridò con rabbia per poi voltarsi furioso e andare verso casa senza aspettarlo.
***
“Muoviti ad entrare prima che cambi idea” disse Nico non appena vide l’altro ragazzo completamente fradicio di pioggia davanti alla porta di casa.
Will gli sorrise ed entrò in fretta rabbrividendo per l’escursione termica, strofinandosi le mani una sull’altra per scaldarle.
“Tu sei un completo idiota Solace, poteva venirti una broncopolmonite” continuò il ragazzo più piccolo andando nella propria nuova camera per cercargli una felpa.
“Anzi, forse avrei dovuto lasciarti là fuori a diventare un ghiacciolo” sbuffò, per poi lanciargli di fretta una felpa XXL del concerto dei Led Zeppelin che gli aveva regalato Hazel l’anno prima.
Will, che lo aveva seguito fino in camera, guardò la felpa con occhio critico.
“Un giorno mi spiegherai perché hai la fobia dei vestiti della tua giusta taglia”
“Non lo farò. E adesso, o prendi quella o rimani con la tua camicia da fighetto fradicia” ringhiò il minore facendo per uscire e tornare in salotto.
Nico attraversò la piccola sala andando in cucina e cercando il necessario per una cioccolata calda.
Bianca gli aveva sempre detto che qualunque problema era risolvibile con del sano cioccolato e in quel momento il ragazzo sperò tanto che fosse vero.
Dopo un paio di minuti senza aver visto Will, sentì uno strano rumore nella sua camera, come un cassetto aperto.
Lasciò immediatamente la tazza sul piano della cucina e corse dall’altro ragazzo con l’aria terrorizzata.
“Che cazzo stai facendo?! Fuori da qui Solace!” sbottò sperando che non avesse trovato ciò che temeva.
Quando il ragazzo più grande si alzò con in mano quella dannata scatola, Nico credette  che la cosa migliore da fare sarebbe stata ucciderlo.
“Metti giù e non commentare. Non osare giudicarmi altrimenti ti butto fuori a calci in culo, sono stato chiaro?”
Will non rispose, strinse la scatola in mano, si avviò in cucina dove aveva prima visto sparire Nico e buttò tutto nel cestino, mentre l’altro lo guardava senza capire e senza osare replicare.
Il più grande verso la cioccolata, preparata prima dall’altro, in due tazze e gliene porse una.
“Da medico, ti assicuro che questa fa molto meglio di quello schifo che ho appena buttato”
Il minore lo guardava ancora a corto di parole, prendendo meccanicamente la tazza con i puffi che apparteneva ad Hazel.
“E ora mi prometti che non troverò mai più quella roba fra le tue cose”
Lui non rispose ma iniziò a bere la cioccolata evitando di guardarlo, la rabbia di prima che si affievoliva di secondo in secondo, rimanendo come una sorda pulsazione alle tempie.
Entrambi quasi si spaventarono quando la porta di casa si aprì di scatto.
“Nico sono a casa!” urlò la ragazza dall’ingresso.




#AngoloDiLeo
*va a nascondersi che è meglio*
Allora... che dire... mi odiate non è vero? *preoccupata*
Premetto che il pc si è preso un virus, che il telefono non ha funzionato correttamente per qualche giorno, che sono stata male per una settimana e che la scuola uccide.
Detto questo, sono certa che il lancio di pomodori non si farà aspettare
Chiedo umilmente perdono e spero che lasciate qualche recensione a questo povero Leo che si impegnerà il più possibile ad aggiornare in tempo regolare
Besitos a todos (non so lo spagnolo ma ignoratemi)
LeoValdez00

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


“Nico non hai idea di cosa mi sia successo oggi a scuola! Sai il prof Chase? Beh…” iniziò Hazel dal salotto raggiungendo in fretta i ragazzi in cucina.
Il più giovane rimase perfettamente immobile per quegli interminabili secondi, finché la sorellastra non li raggiunse.
“Non ci crederai mai ma…”
La ragazzina si interruppe immediatamente non appena vide l’estraneo, con ancora in mano la tazza piena di cioccolata come il fratello.
Hazel non lo guardò un secondo di più, solo si voltò verso Nico.
“Aspetta un secondo. Lui è chi penso che sia?” gli chiese con un’espressione di pura felicità e soddisfazione che inquietò leggermente il ragazzo.
“Non so ancora entrare nella tua testa Haz, non so chi pensi che sia” rispose lui con un’occhiata talmente eloquente alla sorella che lo specializzando per poco non scoppiò a ridere.
“Piacere, sono Will Solace” si intromise porgendo la mano libera alla ragazza, che sorrise ampiamente come se avesse ricevuto i regali di natale in anticipo.
“Molto piacere… sono Hazel Levesque” rispose stringendogli la mano.
“Haz piove ancora?” chiese improvvisamente il fratellastro, guadagnandosi un’occhiata assassina da parte di lei.
“No perché?”
Nico sospirò appena di sollievo e afferrò Will per un braccio.
“Perché ora che avete finito i convenevoli lui può anche andarsene”
La ragazzina sgranò gli occhi e tirò lo specializzando dalla propria parte.
“Non se ne parla! Lui resta qui! Non è vero che volevi restare?” chiese speranzosa guardando il ragazzo più grande con i suoi grandi occhi dorati.
Will però sentiva su di sé anche lo sguardo di tenebra che aveva qualcosa di molto pericoloso.
Era uno scontro fra titani e non voleva rimetterci la pelle.
Doveva scegliere il male minore.
“Rimango volentieri”
***
Leo entrò in casa con evidente nervosismo, senza curarsi della porta che sbatté rumorosamente né del rumore sordo dei logori stivali sul pavimento.
“Charles? Leo?” chiese Elena alzandosi dal divano con un’ espressione confusa quando vide solo il figlio adottato.
“Che succede Niño?” continuò avvicinandosi e guardando la porta preoccupata.
“Nulla. Beckendorf arriverà fra poco. Io stanotte dormo da un amico, ci vediamo domani pomeriggio” rispose il ragazzo dandole un bacio veloce sulla guancia per poi chiudersi in camera.
Non riusciva neanche a pensare di poter affrontare l’argomento con Elena, tantomeno riprovarci con il fratellastro.
Come poteva pensare che avrebbe perdonato Efesto? Ma, soprattutto, perché credeva che avrebbe dovuto farlo?
Facile per lui, aveva un solo genitore, ma quello che aveva lo amava con tutto il cuore, ed era una delle persone migliori che conoscesse.
Non poteva capire. Nessuno poteva capire.
Prese i primi vestiti che gli capitarono a tiro e li infilò nello zaino insieme ad alcuni libri, cercando di fare il più velocemente possibile per non dover incrociare Charles.
Dove poteva andare? Non aveva amici, o quantomeno non aveva amici abbastanza vicini da poter essere ospitato da uno di loro.
Rimaneva un’unica possibilità.
'Di Angelo mi ucciderà'
***
Will scoprì che sopportare lo sguardo omicida di Nico era più difficile del previsto.
Si sedettero tutti e tre sul divano, lui che diventava più imbarazzato ogni secondo che passava e Hazel che sembrava il ritratto della felicità.
Meglio omettere cosa sembrasse il ragazzo più piccolo.
“Allora, Will… sei uno specializzando giusto? Cosa intendi fare?” chiese la ragazza guardandolo trasognata, come se lui potesse essere la soluzione a tutti i problemi dell’umanità.
“Io… sto studiando per diventare chirurgo oncologico… manca un anno alla fine della mia specializzazione e lavorare in obitorio e in Università mi dà crediti con l’ospedale” rispose con un lieve sorriso, evitando accuratamente di guardare il ragazzo alla propria destra.
“Uh…” commentò lei con il sorriso che si allargava sempre di più “Bello e intelligente… Nico, ti voglio bene, ma non ringhiare in casa mia okay?” terminò rivolta al fratello che sembrava volerla uccidere sul posto.
Will arrossì a quello che sembrava un complimento, ma non riusciva a comprendere la dinamica familiare che si stava svolgendo attorno a lui.
“Ehm… grazie” disse esitante affondando le mani nella giacca blu scuro che aveva dovuto indossare per l’ Università.
“Haz posso parlarti in privato per favore?” sbottò Nico visibilmente nervoso e con le guance leggermente arrossate di rabbia.
Probabilmente se ne accorse anche la ragazza, perché annuì stancamente alzandosi con il fratello senza protestare, lasciando solo con i suoi dubbi lo specializzando, che ne approfittò per finire la cioccolata.
***
Quando Beckendorf arrivò al vecchio appartamento in periferia, Leo era uscito da circa dieci minuti e Elena stava rivedendo i suoi appunti di contabile sul tavolo della cucina, evidentemente troppo distratta per riuscire a concentrarsi davvero.
“Charles sei tu?” chiese senza nemmeno alzarsi e il ragazzo la raggiunse in fretta.
“Dov’è? E’ in camera vero? Ti prego dimmi che è in camera!” iniziò subito lui preoccupato.
Elena lo guardò aggrottando le sopracciglia confusa.
“E’ uscito poco fa, ha detto che avrebbe dormito da un amico… ma si vedeva che avete litigato”rispose la donna sospirando appena e passandosi stancamente una mano fra i capelli scuri.
“Io…” cominciò Beckendorf senza trovare il coraggio di finire la frase, mentre si sedeva di fronte alla madre scuotendo la testa.
“Io ho incontrato Efesto, pochi giorni fa… ho intenzione di aiutarlo a riallacciare i rapporti con Leo, ma quel ragazzo è un testone con cui non si può nemmeno cercare di ragionare!” si decise a dire, cercando di non dar peso a quel senso di colpa che già sentiva da qualche giorno.
“E’ una nobile azione tesoro ma sai com’è fatto, ci vorrà tempo. E quando scoprirà che hai parlato con suo padre, ciò che ha fatto oggi sarà nulla in confronto, lo sai vero?” replicò la donna con evidente preoccupazione.
“Non lo permetterò, è mio fratello. Lo farò ragionare in un modo o nell’altro”
Beckendorf si alzò lasciando un bacio sulla guancia della madre e andando nella propria camera, tentando di non pensare al fatto che Leo non avesse amici da cui poter andare.
‘Si farà vivo prima di sera… oppure troverà una soluzione alternativa’
Quest’ultima possibilità lo spaventava più di quanto riuscisse ad ammettere a sé stesso.
***
Quando la porta della camera di Nico si chiuse a chiave, lui si girò verso la sorella fuori di sé.
“Si può sapere cosa cerchi di fare?” chiese faticando a mantenere un tono di voce accettabile per non farsi sentire dal diretto interessato.
“Provo a conoscere una persona importante per mio fratello, non sto uccidendo nessuno” protestò lei con le braccia incrociate al petto e l’espressione seccata.
“Lui non è importante” scandì il ragazzo in un sibilo appena un udibile, i pugni che si stringevano piantando lentamente le unghie nella pelle.
Hazel allora, inaspettatamente, sorrise lasciando ricadere le braccia.
“Sei veramente cieco oltre che ingenuo Nico, lasciatelo dire”
Lui aggrottò le sopracciglia confuso, rilasciando i pugni.
“Che diamine significa?”
“Significa che sembro io quella più grande fra i due” rispose la ragazzina con un sorrisetto divertito “E ora credi di riuscire ad affrontare una conversazione civile?”
“Ti odio quando fai così”
“Anche io ti adoro Nico” rispose lei gettandogli le braccia al collo, coinvolgendolo in un abbraccio che lui non si azzardò a rifiutare.
“Osa solo accennare a quello che mi hai detto stamattina e non sarò più in grado di controllare la mia furia omicida. Sei avvisata Haz” sussurrò al suo orecchio, mentre la ragazza rideva stringendolo forte a sé.
***
Aveva ricominciato a piovere e Leo non poteva più contare sull’ombrello di Beckendorf.
Camminò velocemente per le stradine poco illuminate, cercando di coprirsi il più possibile con la giacca, la speranza di tenere lo zaino asciutto ormai svanita.
Cercava di rimanere vicino ai muri delle case, sia per evitare il grosso di quella pioggia gelida, sia per tenersi sotto la luce dei lampioni.
Iniziava a sentire freddo al collo e giù per la schiena, i vestiti completamente inzuppati e si maledì per non aver preso su qualcosa che potesse coprirlo davvero.
Tanto era quasi arrivato.
Sbagliò strada un paio di volte, fu attaccato da un gatto in cerca di cibo, a cui diede un pezzo del panino che aveva nello zaino da quella mattina, e finalmente arrivò a casa di Hazel.
“E’ anche casa di Nico, ricordatelo” mormorò fra sé e sé.
Stava per bussare quando sentì delle voci all’interno.
“Allora, Will… sei uno specializzando giusto? Cosa intendi fare?”
Quella era indiscutibilmente la voce della ragazza dagli occhi dorati che lo stava facendo uscire di testa negli ultimi giorni.
Ma con chi diavolo stava parlando?
“Io… sto studiando per diventare chirurgo oncologico… manca un anno alla fine della mia specializzazione e lavorare in obitorio e in Università mi dà crediti con l’ospedale”
No. No no no, non poteva essere lui.
“Uh… Bello e intelligente…”
Leo guardò la porta di legno scuro davanti a sé scendendo sullo zerbino beige con una scritta in francese ormai sbiadita.
Si tolse il pesante zaino appoggiandolo a terra e si sedette a gambe incrociate con la schiena al muro, il balcone del piano superiore talmente piccolo che non gli permetteva di stare all’asciutto.
Prese le cuffiette dallo zaino e mise la sua playlist rock a tutto volume per poi chiudere gli occhi sotto la pioggia cercando in ogni modo di non pensare a Hazel e all’aiutante del prof Brunner.
‘E credevi anche di poter avere una possibilità vero? Che stupido illuso’
***
Nico rimase in disparte nell’angolo del divano a fare da spettatore per tutto il tempo dell’interminabile chiacchierata fra Will e sua sorella.
Stava ancora pensando allo specializzando che buttava le sue pastiglie, non sapendo se essergliene grato o doverlo mandare al diavolo perché non si poteva permettere di intromettersi nella sua vita privata, quando Hazel decise che era rimasto fuori dal discorso per troppo tempo.
“Allora… mio fratello è bravo al lavoro?” chiese con un sorriso innocente guardando il ragazzo più grande, mentre Nico tornava improvvisamente attento.
Will guardò entrambi con una lieve confusione, sembrava che stessero aspettando una risposta precisa e che non fosse la stessa per entrambi.
Beh, a lui non importava, non sapeva mentire.
“Molto bravo, altrimenti nessun medico supervisore gli avrebbe lasciato dei casi da solo. Credo sia la prima volta che permettano a un ragazzo così giovane e senza esperienza di lavorare in solitaria” rispose con semplicità, causando un visibile moto di gioia nella ragazzina, che non riuscì a reprimere un sorriso soddisfatto.
Nico si rabbuiò improvvisamente alzandosi di scatto.
“E’ tardi Haz, tra poco tornerà anche tua madre a casa e Solace deve andare” disse con evidente stizza, calcando sul ‘deve’, una breve occhiata allo specializzando.
Prima che la ragazza potesse protestare, Will si alzò con un lieve sorriso.
“Credo che Nico abbia ragione, è meglio che vada. E’ stato un piacere conoscerti Hazel”
Il ragazzo più piccolo si voltò appena in tempo per non vedere il broncio sul viso della sorella e andò alla porta seguito da Will.
“Aspettate, ho lasciato le chiavi sotto lo zerbino oggi e se mamma lo scopre mi uccide!” esclamò improvvisamente la ragazzina seguendoli.



#AngoloDiLeo
Stupiti dell'aggiornamento veloce vero? Beh, anche io *-*
Sono sufficientemente certa che la prossima settimana sarò impossibilitata a pubblicare perciò evito ritardi disumani e pubblico oggi.
Ringrazio le meravigliose persone che mi recensiscono e spero di avere nuovi commenti per questo capitolo anticipato (e un po' più lungo del solito)
Ah, vi avverto che nel prossimo capitolo... anzi no, meglio che non ve lo dica *sorriso angelico*
Besitos (si si, questo saluto spagnoleggiante è stato da me rubato dalla bellissima e adorabile NicoDiAngelo99 e bla bla bla... ti voglio bene anche io)
Alla prossima! LeoValdez00

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***


Probabilmente l’idea di rimanere lì fuori dalla casa di Hazel, dopo averla sentita parlare con l’aiutante del prof, non era delle migliori.
Probabilmente, però, vederli uscire tutti e due insieme a Nico, mentre lui stava sotto la pioggia ad ascoltare a tutto volume dell’ Heavy Metal, era proprio sfiga.
“Spero che tornerai presto a trovarci Wi-“ iniziò la ragazzina sorridendo allo specializzando, quando vide la figura raggomitolata e appoggiata al muro.
“Leo!”
Il ragazzo rimase immobile sul posto, mentre tre persone lo osservavano come fosse un animale in via d’estinzione.
Hazel, dopo qualche secondo di smarrimento, si precipitò da lui quasi inginocchiandosi a terra.
“Oddio starai gelando! Su alzati, entra in casa che c’è caldo” disse preoccupata porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Leo si tolse le cuffiette accettando imbarazzato e alzandosi in fretta, trovandosi pericolosamente vicino alla ragazza, che lo guardava in palese cerca di una spiegazione.
Prima che il ragazzo potesse dire qualunque cosa, Hazel si voltò verso il fratello e lo specializzando.
“Nico, accompagna pure Will alla macchina, io intanto faccio entrare Leo” disse lanciando un’occhiata eloquente al ragazzo più giovane, che guardava in cagnesco prima lui e poi la sorella.
“Forza di Angelo, non vorrai mica farla arrabbiare” rispose lo specializzando con un sorriso accondiscendente, trascinandolo gentilmente lontano da loro.
“Torno tra poco” disse lapidario, guardando Leo con odio.
“Oh no fratellino, fa pure con calma” replicò la ragazza guardandolo con un sorriso lievemente malizioso che l’ispanico non comprese, ma che decise fosse il più bel sorrisetto che avesse mai visto.
***
Appena Nico vide la porta di casa chiudersi, iniziò a imprecare a mezza voce.
“Quell’odioso stupido… con la mia sorellina… se le fa qualcosa lo uccido” mormorò fra sé e sé, senza badare alla figura di Will al suo fianco, che sorrideva divertito.
“Sono certo che Hazel sia più che in grado di cavarsela da sola” commentò ridendo appena, camminando lentamente sotto la pioggia.
“E con questo che vorresti dire?” chiese il più giovane fulminandolo con lo sguardo e fermandosi sul marciapiede.
“Chiunque sia in grado di tenerti testa, di Angelo, ha tutte le carte in regola per sopravvivere ad un eccentrico ispanico” rispose tranquillamente l’altro fermandosi davanti a lui.
Nico emise uno sbuffo fra l’infastidito e l’esasperato distogliendo lo sguardo da lui e riprendendo a camminare verso la fine della via, il cappuccio alzato inutilmente contro la pioggia.
“Muoviti che fa freddo” disse atono stringendosi nella felpa, aspettando però che lo specializzando lo raggiungesse.
Arrivarono in silenzio fino alla smart gialla di Will e il più giovane mormorò un “Beh, ciao, la felpa me la ridarai domani” facendo per andarsene, quando l’altro ragazzo lo afferrò per il polso.
“Hey aspetta…”
Nico si voltò a guardarlo con evidente nervosismo.
“Che c’è ora?”
“Perché tua sorella era così contenta di vedermi?” chiese l’altro con palese curiosità, aggrottando buffamente le sopracciglia.
Il ragazzo più giovane ringraziò il buio e la pioggia perché coprirono il lieve rossore sulle sue guance.
“Avresti dovuto chiederlo a lei. Di nuovo, non so ancora entrare nella sua testa” replicò con inaspettata freddezza.
“Sembrava che… era come se qualcuno le avesse parlato di me…” azzardò lo specializzando, per la prima volta tanto imbarazzato da incespicare nelle proprie parole.
Nico arrossì violentemente ed ebbe il terrore che venisse notato.
“Lo trovo difficile, a meno che tu non conosca qualcuno del suo liceo, in ogni caso se osi allungare le mani su di lei io ti uccido esattamente come ucciderei Valdez” rispose ostentando una sicurezza che non aveva.
Will sospirò appena distogliendo lo sguardo.
“Non ho alcuna intenzione di ‘allungare le mani’ su Hazel, chiaro?” replicò mordendosi nervosamente l’interno della guancia.
“Perché mai dovrei crederti? In fondo potresti sempre usarmi per arrivare a mia sorella, fidati non saresti il primo stronzo a…”
Il ragazzo più giovane non poté finire la frase, perché l'altro lo zittì avvicinandosi di scatto e appoggiando le labbra sulle sue.
La prima cosa a cui pensò Nico, fu che non era mai stato baciato prima.
La seconda, che avrebbe anche volentieri fatto a meno di respirare se poteva continuare a baciare Will.
***
“Nico di Angelo!” esclamò Percy con il solito sorrisetto che non prometteva mai nulla di buono “Non credevo saresti venuto”
Il ragazzino gli sorrise, visibilmente contento di essere stato notato dall’altro in mezzo ai ragazzi, molto più grandi di lui, invitati alla festa.
“Credevi male, non me lo sarei mai perso” replicò sorridendo e, quando il maggiore lo salutò divertito per poi voltarsi verso la piccola folla radunata a casa sua, Nico si permise di ammirarlo per qualche secondo, o forse minuto, di troppo.
Non sapeva quanto fosse passato, o quanti bicchieri di punch gli avessero offerto e quanti ne avesse accettati, quando qualcuno disse ad alta voce un “Chi partecipa al gioco della bottiglia?”
Nico arrossì appena guardandosi attorno lievemente a disagio, finché non sentì Percy rispondere “Io non me lo perdo di certo!”
‘Non può essere così male’ pensò allora il ragazzino, sorridendo appena fra sé e sé, e seguì il gruppo di ragazzi e ragazze che si trasferiva in una delle numerose camere di casa Jackson.
*
Quando la bottiglia si fermò su una ragazza, Nico si ricordava vagamente di lei, una certa Drew Tanaka, la maggior parte dei ragazzi presenti sembrava volesse implorare che sarebbe toccato a loro.
Percy lanciò nuovamente la bottiglia che, con incredibile stupore di tutti, si fermò esattamente davanti al ragazzino.
‘No. Nonono. Non è questa sottospecie di barbie che voglio baciare!’ pensò Nico quasi andando nel panico e guardando il padrone di casa come a supplicarlo di lasciar perdere questo giro.
Il ragazzo più grande iniziò a ridacchiare guardando entrambi.
“Forza ragazzi, non vorrete mica disubbidire al destino della bottiglia!”
Il più piccolo di tutti si voltò verso Drew con aria schifata e notò che la sensazione era reciproca.
Intanto, gli altri adolescenti ubriachi incitati da Percy, avevano iniziato a gridare in coro “Bacio! Bacio!”
Per sua fortuna fu una cosa veloce e indolore, una specie di contatto ravvicinato sull’angolo della bocca, che fece sbuffare tutti i presenti in disapprovazione.
Nico non avrebbe potuto dire la stessa cosa del giro successivo.
“Oh oh, chi avrà l’immenso onore di baciare il grande e inimitabile Perseus Jackson?” disse il padrone di casa con quel maledetto sorriso che Nico adorava.
E il ragazzino continuò ad amarlo anche quando la bellissima Annabeth Chase gli si avvinghiò addosso, senza riuscire a staccarsi dalle sue labbra nemmeno quando il resto dei ragazzi protestò ridacchiando e consigliando loro di prendersi una camera.
La bionda si staccò appena, rossa in viso, anche lei doveva aver bevuto quello stupido punch, e si sedette al fianco di Percy che continuava a sorriderle come un ebete.

***
Leo tremò visibilmente per lo shock termico non appena entrò in casa.
Il vecchio caminetto era acceso e si avvicinò il fretta alla fonte di calore, il viso già arrossato dall'imbarazzo.
Poteva aggiungere anche questa alla sua lista delle figuracce fatte con Hazel, non che importasse certo, non con quel biondino ossigenato di mezzo.
"Leo...?" chiese la ragazza poco dopo, con fare esitante, avvicinandosi appena.
"Scusa" la precedette l'ispanico "Ho litigato con mio fratello... e l'unica cosa che mi è venuta in mente è stata venire qui, ma me ne vado non preoccuparti" rispose senza guardarla.
"Non voglio che tu te ne vada, se vuoi rimanere sei il benvenuto, lo sai" replicò Hazel appoggiandogli delicatamente una mano sul braccio, sulla giacca completamente fradicia.
Visto che Leo non rispose, lo sguardo costantemente rivolto al caminetto, la ragazza lo trascinò piano fino alla stanza di Nico.
"Mettiti almeno qualcosa di asciutto" disse aprendo l'armadio del fratello e cercando all’interno dei vestiti decenti.
L’ispanico fece ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non lasciare cadere lo sguardo più in basso della sua schiena.
“Questo è il meglio che posso trovarti di mio fratello” disse infine la ragazza voltandosi verso di lui e mettendogli fra le braccia un fagotto informe di vestiti scuri.
“Grazie Haz…” rispose lui con un lieve sorriso imbarazzato “E comunque mi dispiace davvero di essere piombato così a casa tua”
Lei rise appena scuotendo la testa, i lunghi ricci a incorniciarle il viso.
“Non farti troppi problemi Leo, nessuno ti butterà fuori di qui senza il mio permesso, puoi restare quanto vuoi” replicò Hazel facendogli un occhiolino scherzoso, per il quale Leo rischiò comunque l’infarto.
“Ancora  grazie allora…” mormorò in risposta per poi voltarsi e chiudersi in bagno a cambiarsi i vestiti fradici di pioggia.
“TI PREPARO UNA CIOCCOLATA” lo avvisò la ragazzina sorridendo, andando in cucina.
***
Certo, l’unica esperienza che Nico aveva riguardo ad un bacio era stata con quella spocchiosa di Drew Tanaka, ma non aveva alcuna idea che potesse essere così… così.
Will, probabilmente non sentendosi respinto, si era avvicinato maggiormente a lui appoggiandogli cautamente le mani sui fianchi.
Il più giovane iniziava a sentire seriamente la mancanza di ossigeno, ma prolungò quel bacio, inaspettatamente lento e dolce, quanto più poté, la paura che una volta terminato sarebbe solo stato un bel ricordo.
Si allontanò di poco dalle sue labbra, riprendendo fiato, senza avere il coraggio nemmeno di aprire gli occhi e guardarlo in viso.
Non riusciva a capire cosa fosse successo.
Si vantava di essere diventato una persona prettamente razionale, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare non aveva nulla di anche solo vagamente razionale.
“Nico..?” chiese l’altro in un sussurro, con fare esitante.
No, non avrebbe risposto, non avrebbe aperto nemmeno gli occhi, perché tanto quello era solo un sogno.
Solo uno stupido sogno della sua mente malata che lo stava facendo letteralmente impazzire.
E quale modo migliore per il suo subconscio se non tirare in ballo quello stupido biondino?
“Hey Nico..?” riprovò Will a voce leggermente più alta.
No, era un sogno.
Si sarebbe svegliato presto, bastava che tenesse gli occhi chiusi ancora per poco.
Si sarebbe svegliato e sarebbe stato tutto come prima, tutto sarebbe tornato alla normalità.
Quasi riusciva a sentire il turbinio di pensieri che aveva in testa.
Perché quello era solo un sogno vero?



#AngoloDiLeo
Buonsalve mezzosangue!
Allora, intanto mi è molto dispiaciuto vedere una sola recensione per lo scorso capitolo (sì, per altro di una mia amica) e quindi vorrei chiedervene il motivo.
Anche perchè mi basterebbe una semplice commento e qualche consiglio, tengo molto a quello che voi da lettori pensiate della storia.
In ogni caso, passiamo a questo capitolo... *tira fuori i coriandoli* finalmente un po' di sana Solangelo, non trovate?
Okay, mi sto esaltando troppo.
Spero abbiate apprezzato questo aggiornamento (il mio piccolo Nico in completa crisi asdfghjkl... non potevo non farlo) e spero anche in qualche recensioncina...ina ina...
Ora la pianto tranquilli, grazie in anticipo e alla prossima <3
LeoValdez00

 

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX ***


Qualunque fosse stata la divinità che avesse guardato giù per lui, permettendogli di gustarsi un’ottima cioccolata seduto accanto ad Hazel, le avrebbe costruito personalmente un tempio d’oro.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, con i capelli ricci che le coprivano parte del viso, le piccole mani che tenevano la tazza bollente e quell’espressione concentrata nell’evidente tentativo di non sporcarsi.
Un sorriso gli sorse spontaneo, facendogli comparire delle fossette a lato delle labbra, finché come una vocina stridula e fastidiosa si intrufolò nella sua testa.
‘Serve davvero che io ti ricordi del ragazzo alto, bello, abbronzato, palestrato, biondo e con gli occhi azzurri che è uscito da qui poco fa?’
E la risposta immediata fu un convinto ‘Sì’, perché quegli occhi quasi dorati gli stavano completamente facendo perdere la ragione.
“Che c’è?” chiese improvvisamente la ragazza, appoggiando la tazza vuota sul tavolino, arrossendo appena.
Leo, che non si era minimamente accorto di averla fissata tutto il tempo, arrossì a propria volta, cercando invano una scusa al suo comportamento.
Con la mano libera si sfiorò il labbro superiore, un lieve sorriso imbarazzato.
“Hai un po’ di cioccolata qui”
La ragazzina avvampò pulendosi in fretta e mormorando un “grazie”.
“Di nulla Haz” le sorrise lui appoggiando anche la propria tazza sul tavolino.
***
"Nico stai bene?" chiese lo specializzando, una nota di preoccupazione nella voce mentre gli accarezzava delicatamente la guancia, senza quasi farci caso.
'Non è un sogno, apri gli occhi'
Non riusciva a trovare il coraggio per farlo.
Cosa sarebbe successo ora? Perché Will lo aveva baciato?
Una flebile speranza si fece strada in lui, ma venne prontamente stroncata sul nascere.
'Lui non prova nulla per te'
Sentiva distintamente ogni singolo battito doloroso del proprio cuore come se lo stesse pregando di fare qualcosa, qualunque cosa.
Sapeva di avere il viso ed il collo chiazzati di rosso, delle grandi macchie vermiglie che si sarebbero subito notate sulla sua pelle pallida.
Non sapeva cosa lo avesse infine spinto ad aprire gli occhi e a sostenere lo sguardo limpido dell'altro.
Will gli sorrise leggermente, un sorriso vero, caldo, che lo destabilizzò quasi quanto il bacio di poco prima.
'Non prova niente per te. Perché mai dovrebbe farlo?'
Lo specializzando tenne fermamente la mano sulla sua guancia, l'altra ancora al suo fianco.
Doveva parlare? Avrebbe dovuto dirgli qualcosa? Cosa si poteva rispondere dopo un bacio?
Aveva gli occhi sgranati, quasi spaventati, quando si tirò lentamente indietro per togliersi dalla stretta dell'altro.
Un velo di delusione oscurò gli occhi azzurri dello specializzando che abbassò appena il viso con un lieve sorriso amaro e imbarazzato.
“Perdonami, evidentemente non dovevo…”
Nico non riusciva nemmeno a replicare, già la fatica per continuare a respirare era immensa.
‘Nessuno tiene a te, non più. Non illuderti di nuovo, non ti puoi fidare’
Un brivido gli percorse la schiena quando queste parole apparirono chiare nella sua mente, non riuscì a muoversi di un millimetro nemmeno quando la portiera di quell’assurda auto gialla si chiuse con forza.
Soltanto quando la smart e il suo proprietario fecero manovra e si allontanarono fino ad uscire dalla via, Nico si permise di lasciarsi cadere a terra sul marciapiede, seduto sotto la pioggia scrosciante, la testa appoggiata alle ginocchia e le braccia attorno al proprio corpo come a proteggersi, senza riuscire a trovare nemmeno un buon motivo per alzarsi o anche solo per continuare a respirare.
***
I vestiti di Nico gli stavano larghi, forse enormi era la parola esatta.
“Ma tuo fratello non ci naviga qua dentro?” chiese ad Hazel mostrando come, nella felpa XXXL dei Metallica ci potessero stare comodamente altre due persone.
La ragazzina accennò un sorriso scuotendo piano la testa.
“Nico ha la fobia dei vestiti stretti” rispose semplicemente facendo spallucce, mentre si alzava a portare in cucina le tazze vuote.
Leo si alzò di scatto per seguirla, una mano al fianco ad evitare di lasciarsi cadere i pantaloni e coronare l’ennesima figuraccia.
Hazel lo notò e gli sorrise divertita pettinandosi i capelli con una mano.
“Mi dispiace ma non credo tu possa indossare i miei di vestiti” ridacchiò guardandolo e sedendosi sul bordo del tavolo in cucina.
“Probabilmente mi starebbero meglio di questi sai?” rispose il ragazzo sorridendole, mentre Hazel gli faceva segno di sedersi accanto a lei.
Leo riuscì per miracolo a non arrossire e si mise al suo fianco senza perdere il sorriso.
La ragazza appoggiò delicatamente la testa alla sua spalla e lui rimase quasi pietrificato dalla sorpresa, ma Hazel non diede alcun segno di accorgersene.
“Come mai eri qui fuori sotto la pioggia?” chiese lei in un sussurro chiudendo gli occhi.
“Non… non sapevo dove altro andare…” rispose il ragazzo, senza riuscire a non pensare alla loro vicinanza, trovandosi improvvisamente a corto di salivazione e di pensieri coerenti.
“Lo so, me lo hai detto prima… ma perché non sei entrato?” replicò Hazel aggrottando teneramente le sopracciglia in un piccolo broncio che Leo trovò semplicemente adorabile.
“Ho… ho sentito che stavate parlando… e c’era Solace… non volevo interrompere…” mormorò il ragazzo, pienamente consapevole del fatto che le sue scuse non avrebbero potuto convincere neanche il più ingenuo.
“Non ci credo neanche un po’, Valdez” rispose infatti Hazel, un lievissimo sorriso ad incresparle le labbra.
***
Quando trovò la forza di alzare lo sguardo dalle proprie ginocchia, Nico si portò una mano tremante alle  labbra, sfiorandole piano.
Will Solace lo aveva baciato, gli aveva sorriso, lo aveva stretto a sé.
E lui non aveva fatto nulla, non aveva nemmeno detto qualcosa, neanche quando era risalito in macchina, deluso.
Deluso da lui.
Magari… magari davvero gli piaceva…
E quando aveva finalmente capito chi fosse realmente Nico di Angelo, se ne era andato.
Se ne era andato come tutti quanti.
Iniziava a sentire il freddo gelido della pioggia che gli inzuppava i vestiti, il suo corpo che veniva scosso dai brividi e da leggeri singhiozzi.
Aveva costruito un equilibrio dopo la morte di Bianca, un equilibrio precario, il suo unico modo di andare avanti.
Era un utopistico ordine per mantenere la sua vita integra dopo che l’incidente sembrava averla distrutta, era una difesa, un muro di carta per separarlo dal resto del mondo, da chi volesse ancora fargli del male.
Solo ad Hazel, a volte, era permesso entrare.
Will Solace aveva improvvisamente abbattuto quel fragile compromesso con la sua anima e, per la prima volta, il suo dolore non sembrava più un’orrenda implosione che lasciava crateri nel suo cuore, quanto un’ esplosione pronta a distruggere tutto ciò che si trovasse attorno a lui.
Nemmeno si accorse di star gridando.
***
Rimasero un po’ in silenzio, ma non quel silenzio imbarazzato che fa desiderare di essere altrove, quanto quel silenzio di parole ancora non dette e da aspettare.
Leo intanto le aveva appoggiato delicatamente una mano al fianco stringendola piano a sé, con il terrore di farla allontanare ma una piccola, quasi invisibile, speranza di nessuna ritorsione per quel minimo gesto.
La ragazza sorrise stringendosi a lui, gli occhi ancora chiusi, mentre a lui sembrava di essere la persona più felice del pianeta.
In quel preciso momento, Efesto non esisteva, la litigata con Beckendorf era dimenticata e l’incendio era solo un ricordo lontano.
Erano ormai poche le situazioni in grado di farlo stare così bene.
“Ma scusa… dove sono finiti quei due?” chiese improvvisamente dopo poco, accigliandosi confuso.
A meno che quell’odioso biondino ossigenato non avesse parcheggiato in Polonia, Nico avrebbe già dovuto essere di ritorno.
Il sorrisetto malizioso sulle labbra di Hazel non tardò a tornare, e Leo quasi si dimenticò cosa avesse chiesto, perché sarebbe rimasto volentieri a guardarla in eterno.
“Sai, se oggi è il mio giorno fortunato, mio fratello ci metterà ancora un po’ a tornare… dipende da quanto sia comoda la macchina di Will” rispose la ragazza senza riuscire a non ridacchiare.
L’ispanico la guardò confuso, un’idea che gli passava per la mente, ma talmente improbabile da risultare assurda.
“Di che parli Haz?” replicò allora guardandola in viso.
Lei si decise ad aprire gli occhi sorridendo.
“Perdonami Leo, ma se te lo dico mio fratello poi dovrà ucciderti e preferirei di gran lunga evitarlo”
***
Quando Nico rientrò a casa dovevano essere circa le tre di notte, a malapena si reggeva in piedi e anche solo girare la chiave nella toppa sembrava dover richiedere uno sforzo disumano.
Accese la luce del piccolo corridoio, socchiudendo immediatamente gli occhi per la fitta di dolore che gli attraversò le tempie.
Distinse distrattamente una figura sul divano e si avvicinò lentamente, il sapore ferroso del sangue che ancora gli impregnava la bocca.
Forse provocare quel ragazzo alto due spanne più di lui non era stata un’idea brillante, ma doveva ammettere a sé stesso di stare molto meglio con il labbro spaccato e diversi ematomi sparsi a cui non faceva nemmeno molto caso, rispetto a come stesse prima, integro e sobrio.
Una folta chioma riccia spuntava da vecchio divano, ora riusciva a riconoscere la figura di sua sorella raggomitolata accanto a quello che doveva essere Valdez.
Solo in quel momento si accorse della tv ancora accesa su uno dei quei telefilm polizieschi che Hazel tanto adorava.
Controllò che avessero entrambi i vestiti al loro posto e rimandò al giorno dopo la sfuriata contro quell’idiota di un ispanico, perché in quel momento l’unica cosa intelligente da fare sarebbe stata chiudersi in camera e sprofondare in un sonno senza sogni.
E provare a scacciare dalla mente quel vivido ricordo di Will che nemmeno l’alcol era riuscito a fargli dimenticare.
Si ritirò così in stanza, si infilò sotto le coperte senza nemmeno togliere le scarpe, e chiuse gli occhi, uno sguardo azzurro limpido venato di delusione che sembrava impresso sotto le sue palpebre.





#AngoloDiLeo
Buondì mezzosangue (buonasera? Boh c'è già buio)
Comunque... quanto sono cattiva? Tanto.
Lo so perfettamente ragazzi e vi giuro che un paio di capitoli fa avevo in mente di fare un mini-happyending dopo il bacio Solangelo, ma non è nella mia natura (nè tantomeno in quella di Nico per mia fortuna) lasciare che le cose vadano bene e basta...
VI GIURO che si parleranno ancora e blablabla, intanto mi ritiro perchè mi aspetto tante botte (giustificate)
Ricordate che vi voglio tanto bene e che una recensioncina è sempre molto gradita.
Besitos,
LeoValdez00

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XX ***


La prima cosa di cui Leo si accorse nel dormiveglia, fu di essere abbracciato a qualcuno.
Doveva essere Beck, evidentemente, così strinse quell’abbraccio usando l’altro come cuscino.
No.
Quello non era suo fratello.
A meno che Beckendorf non si fosse fatto un operazione particolare ai piani alti, quella doveva essere una ragazza.
Si allontanò di scatto, spalancando gli occhi quasi terrorizzato, quando riconobbe la figura di una Hazel profondamente addormentata e raggomitolata accanto a lui, che per fortuna non si era accorta di nulla.
Si impose di calmarsi e di ricominciare a respirare, non era successo nulla di grave dopotutto.
Quando si riprese, afferrò il cellulare dalla tasca dell’enorme felpa e mandò distrattamente un messaggio al fratello.

-Ci vediamo a casa oggi pomeriggio, sto bene (06.38)

Ed era vero, stava bene.
Si sdraiò nuovamente accanto alla ragazza, un po’ più lontano, per quanto il piccolo divano lo permettesse.
Hazel si mosse appena nel sonno, stringendosi di scatto a lui fino ad appoggiare il viso nell'incavo del suo collo, impedendogli qualunque pensiero di senso compiuto.
Era troppo, troppo, troppo, vicina.
Senza pensarci le portò una mano sulla fronte per poi accarezzarle delicatamente i capelli e guardarla con tenerezza.
Sembrava un angelo.
La ragazzina mormorò qualcosa, probabilmente stava sognando, e i piccoli sbuffi che uscivano dalle sue labbra lo fecero rabbrividire.
'Sorella di Nico. Infatuata di un Universitario che sembra la versione maschile della Barbie. Decisamente non alla tua portata sotto ogni punto di vista' si costrinse a ricordare, il respiro lievemente accelerato.
Una mano della ragazza andò a cingergli il fianco e poteva tranquillamente sentire distintamente il proprio corpo irrigidirsi.
Non poteva nemmeno alzarsi, l'avrebbe svegliata, ed era certamente l'ultima cosa che voleva.
Una piccola parte del suo cervello realizzò che, se Nico era rientrato a casa quella notte, li aveva visti in una situazione piuttosto fraintendibile.
Anche se tutto ciò che avevano fatto era stato saccheggiare la dispensa in cerca di Fonzies e guardare 'Criminal Minds' finché non erano entrambi crollati dal sonno.
Ben poco romantico in effetti, ma Leo non ricordava di essere stato così bene negli ultimi tempi, nemmeno con Beckendorf.
“Leo…”
Il ragazzo voltò il viso di scatto verso di lei, completamente arrossito, cercando inutilmente nella propria mente una scusa.
Ma Hazel stava ancora dormendo placidamente al suo fianco.
Hazel lo stava sognando.
***
Nico era sveglio da ore, forse non si era mai davvero addormentato, teneva gli occhi aperti a guardare il nulla davanti a sé.
Gli effetti del post-sbornia lo facevano sentire come se lo avesse appena investito una carica di elefanti.
Ma quanto diavolo aveva bevuto la sera prima?
Il lieve ma insistente suono del cellulare lo costrinse a controllare, per evitare un esaurimento nervoso.

Da: numero sconosciuto
-Nico  (06.39)
-Lo so che probabilmente stai dormendo  (06.39)
-Oggi in obitorio parliamo ok?  (06.40)


No, non era okay per niente.
L’ idea di rivederlo sembrava tranquillamente paragonabile a quelle assurde torture psicologiche dei libri horror che tanto adorava.
Quel giorno non sarebbe andato in obitorio, nemmeno il giorno dopo e quello dopo ancora.
Non ci sarebbe più andato. Avrebbe trovato un altro posto per fare pratica. Avrebbe cambiato corso all’Università appena possibile.
Non doveva più vederlo.
Il muro di carta stava crollando e lui lo avrebbe spazzato via senza nemmeno accorgersene.
***
“Leo…” ripeté la ragazza poco dopo, solo che questa volta i suoi occhi dorati erano aperti e lo fissavano lievemente intontiti dal sonno.
Lui arrossì appena accennando un sorriso, cercando di non pensare a quanto fosse terribilmente vicina.
“Buongiorno Haz” mormorò facendo per alzarsi, ma venne bloccato da lei.
“Se mio fratello non si è ancora alzato vuol dire che è presto” protestò la ragazzina riappoggiandosi delicatamente a lui, lo sguardo quasi infantile mentre richiudeva gli occhi stringendolo a sé.
Leo non riuscì a trattenere una piccola risata, intenerito dal suo atteggiamento.
“E va bene…” sussurrò ricambiando quella piacevole stretta.
“Grazie” rispose la ragazza con un sorriso, la voce attutita dalla coperta che la copriva fin sotto il naso.
“Di nulla, fidati” mormorò Leo chiudendo a propria volta gli occhi.
Il ragazzo, ripiombato in uno stato di dormiveglia, sentì distrattamente qualche rumore provenire dall’altra stanza, forse il bagno, ma non ci fece molto caso.
Almeno finché non sentì la voce di Nico inquietantemente vicina.
“Muoviti Valdez, prima che cambi idea e ti tagli le mani per aver toccato mia sorella”
Merda.
***
Mentre Leo si rivestiva nella stanza di Nico, guardando attentamente le proprie mani a cui si scoprì davvero affezionato, sentì parlare fratello e sorella nella sala.
Non voleva origliare, solo che il tono di Hazel faceva sì che potesse essere sentita anche dall’altra parte della strada, non ascoltare sembrava davvero impossibile.
“Non mi interessa che tu ‘non ne voglia parlare’ sai? Che diamine è successo ieri? Perchè hai labbro così?” chiese la ragazzina con la voce tanto preoccupata quanto arrabbiata.
“Mollami Haz, ora non ho voglia di parlarne e sono in ritardo per le lezioni” replicò Nico con un tono talmente definitivo che Leo si stupì quando sentì Hazel ribattere.
“Tanto devi aspettare Leo”
Il ragazzo non credette si essersi mai vestito in così poco tempo, afferrò in fretta lo zaino, il cellulare e le cuffiette e tornò dagli altri due.
Nico lo guardò male come sempre, ma per la prima volta sembrava sollevato, la ragazzina invece scoppiò a ridere non appena lo vide.
“Hai ancora la riga del cuscino”
Figura di merda numero … 
Ormai aveva perso il conto.
Quando uscirono di casa, dopo aver fulminato Leo con lo sguardo quando Hazel si era avvicinata e gli aveva dato un bacio sulla guancia, l’altro ragazzo si costrinse al totale silenzio stringendosi nella felpa.
“ Ehm… amico, guarda che non è successo nulla con tua sorella…” cercò di rassicurarlo l’ispanico, irrimediabilmente arrossito.
Nico sbuffò infastidito continuando a guardare il marciapiede.
“Lo so, altrimenti adesso saresti mutilato, e forse non solo riguardo alle mani” rispose con incredibile freddezza, chiudendo in questo modo la discussione.
Presero l’autobus in silenzio, entrambi in piedi visto che era pieno, entrambi con le cuffiette nelle orecchie cercando di distrarsi dai loro pensieri più insistenti.
Forse erano più simili di quanto volessero ammettere.
***
Nico non ascoltò nessuna lezione di quel giorno, non prestò attenzione alla Dodds che spiegava una formula chilometrica, né tantomeno al prof Esculapio mentre li portava nel laboratorio di chimica.
Vide che anche Leo non ascoltava nulla, ma non era diverso dal solito.
Al termine delle lezioni non si fermò nemmeno per prendere il solito caffè amaro nel giardino est, per paura di incontrare Will e di dovergli parlare.
Se ne andò in fretta dall’aula cercando di arrivare velocemente all’uscita, iniziando già a prendere i biglietti dell’autobus dalla tasca della giacca per non perdere tempo alla fermata.
Nello stesso momento in cui attraversò il cancello, credendosi ingenuamente al sicuro, sentì una voce che gli fece gelare il sangue nelle vene.
“Nico aspettami!”
Il ragazzo si fermò, chiudendo gli occhi per calmarsi, inutilmente.
“Che vuoi Solace?” chiese nervoso, senza nemmeno accennare a voltarsi.
“Credo che dovremmo proprio parlare, non trovi?” replicò lo specializzando, raggiungendolo e parandosi di fronte a lui.
‘Parlare? Già faccio fatica a respirare’
***
Leo non aveva alcuna intenzione di rimanere nel campus più del dovuto, sarebbe uscito, passato di casa o in officina per far vedere di essere vivo e in salute e poi magari si sarebbe rifugiato in libreria nella sezione dei fumetti Marvel.
Stava per attraversare il cancello est, quando sentì una voce fastidiosamente familiare, della quale però non riusciva a capire le parole esatte.
Si sporse di poco per guardare la scena senza essere notato e rimase stupito nel vedere quell’arrogante biondino di Solace a parlare con Nico.
Ma che avevano quei due?
Considerato che Nico era un secchione, l’unica cosa che gli venne in mente era che gli chiedesse qualcosa sulla lezione.
Ma quel giorno non avevano avuto nessuna ora di Anatomia, e comunque questo non avrebbe spiegato la presenza del biondino anche la sera prima a casa loro.
Che lo specializzando stesse già uscendo con Hazel?
In quel caso Nico avrebbe minacciato lo specializzando esattamente come aveva fatto con lui e, pensandoci, sembrava l’ipotesi più sensata.
Leo si rese conto di esserci cascato di nuovo dato che, dopo la sera precedente, una piccola e ingenua parte di sé aveva continuato a sperare di essere notato dalla ragazza.
Che idiota.
In ogni caso, non si sarebbe perso per nulla al mondo la sfuriata di Nico con conseguente minaccia, né tantomeno la reazione di Will.
***
Il ragazzo cercò di ragionare lucidamente, anche se lo sguardo dello specializzando puntato nel suo non aiutava per niente.
“Allora parliamo” rispose con una voce che non sembrava neanche la sua, tanto era seria e controllata.
Il più grande annuì appena con un lieve sospiro.
“Io… mi dispiace per ieri…” iniziò tentennando, mentre a Nico sembrava di riceve un pugno all’altezza dello stomaco.
‘Se ne è pentito. Ovviamente. Ti aspettavi davvero qualcosa di diverso?’
Rimase in silenzio continuando a guardare gli occhi chiari dell’altro, come a spingerlo a continuare.
‘Che sia una cosa breve e indolore, ti prego’
“Probabilmente ora mi odi, ma non… okay ho pensato per un secondo che non era tutto solo nella mia testa e che magari anche tu… voglio dire… Dio, mi sto incasinando peggio di prima” sbottò lo specializzando.
Nico aggrottò le sopracciglia confuso.
‘Cosa nella tua testa? Anche io cosa?’
Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma in quel momento aveva paura.
Il tarlo che aveva in mente e che lo spingeva a fidarsi e a credere che davvero Will potesse provare qualcosa per lui cresceva di secondo in secondo e, qualunque fosse stata la risposta finale, non voleva saperla davvero.
‘Calmati, non gli interessi sotto nessun punto di vista, non voleva baciarti. Sarà solo un’altra voce nella tua fila di delusioni. Non farà così male’
“Il fatto è che mi piaci parecchio, Nico di Angelo”




#AngoloDiLeo
Oh si, sono sulla strada del perdono per i precedenti capitoli vero?
*shippa Solangelo anche se è lei a scrivere*
Allora, intanto devo dire una cosa, prima che mi dimentichi.
Quando Will parla con Nico, voi vi chiederete... Ma non si accorge del labbro spaccato e compagnia bella?
E la risposta è no.
Perchè quello che avevo descritto come 'occhio nero' nel precedente capitolo, lo ha coperto usando qualcosa che ha trovato nel bagno di Hazel (non fatevi venire in mente strane idee, era solo per non farlo vedere alla sorella!) e il labbro spaccato non lo nota perchè... andiamo, chiunque stia facendo una pseudo-dichiarazione non sta a guaradre i particolari no?
Comunque non vi preoccupate, se ne accorgerà nel prossimo capitolo ; )
In ogni caso, vi è piaciuto? Perchè non me lo fate sapere con una recensioncina così mi dite anche cosa poter migliorare?
Un bacio
-LeoValdez00

 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI ***


‘Le fasi della respirazione sono: inspirazione quando l'aria viene introdotta nei polmoni ed espirazione quando l'aria viene espulsa dai polmoni.
E’ necessario respirare per assicurare un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti e per lo smaltimento dell’anidride carbonica prodotta dal metabolismo delle cellule’

Quindi Nico doveva respirare per una pura e semplice questione di sopravvivenza, ma il suo corpo non sembrava voler collaborare in alcun modo.
‘No. No, no, no!’
Quando si accorse di star respirando di nuovo, quasi aveva il fiatone come dopo una corsa, lo sguardo che cercava quello azzurro dell’altro, come in cerca di un qualunque segno che stesse mentendo o che fosse solo un’allucinazione della sua mente malata.
Niente.
“Nico, ti prego, dì qualcosa, qualunque cosa…” mormorò lo specializzando che, si accorse solo in quel momento, aveva le guance arrossate dall’imbarazzo.
Non poté impedire alla sua mente di pensare a quanto fosse tenero mentre si mordeva nervosamente il labbro e si martoriava le dita strette in un leggero pugno.
“Scusa” disse solamente, dopo interminabili secondi di silenzio, senza nemmeno pensare prima di parlare.
“Scusa… per cosa esattamente?” chiese il più grande piegando di poco la testa di lato, un sorriso che cercava di farsi strada a forza sulle sue labbra.
“Scusa, per ieri” si costrinse a rispondere, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri dell’altro che lo stavano decisamente distraendo.
Il sorriso di Will si allargò e fece un passo esitante verso di lui.
“E ti stai scusando per avermi fatto fare la figura del completo idiota?” chiese cercando i suoi occhi ancora bassi sul terreno.
“Può essere… anche per non aver detto nulla dopo… dopo quello…”
‘No, non ci credo, se stai davvero arrossendo mi suicido!’
Quel dannato sorrisetto del biondo confermò i suoi sospetti, facendolo arrossire ancora di più.
“Devo… devo andare a casa, Solace… ci vediamo in obitorio” disse improvvisamente mettendosi le mani in tasca e superandolo in fretta.
“Ci vediamo dopo Nico” gli rispose lo specializzando osservandolo con un mezzo sorrisetto.
Il tragitto fino alla fermata dell’autobus fu relativamente breve, le dita che lavoravano veloci con le cuffiette per cercare di rimetterle a posto, finché non riuscì ad indossarle e a mettere la sua playlist al massimo volume.
Salito sul pullman, non riuscì più a non pensare a Will, un sorriso leggerissimo di cui nemmeno si accorse.
Sentiva qualcosa di strano, come di diverso… il muro di carta sembrava essere crollato, ma lui era pronto ad affrontarlo?
***
“Oh porca puzzola…” mormorò Leo sgranando gli occhi di scatto.
Durante la conversazione si era avvicinato per sentire meglio le varie minacce di Nico ma… quelle non sembravano proprio minacce.
Rimase in perfetto silenzio, completamente immobile anche quando Nico si allontanò.
‘Ricapitoliamo… il mega-super-modello-di-abercrombie non vuole uscire con Hazel ma con Nico?’
Aveva uno sguardo talmente incredulo da somigliare ad una buffa caricatura, mentre internamente saltellava di pura gioia.
‘Un concorrente fuori gioco!’
Non riuscì a trattenere una breve risata di sorpresa e felicità, mentre si metteva in spalla lo zaino per uscire dalla scuola, solo che inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra con un gemito senza più nemmeno la protezione della siepe.
“Valdez?”
‘Oh merda’ riuscì solo a pensare l’ispanico prima che lo specializzando non gli porgesse una mano per aiutarlo ad alzarsi.
***
“Allora? Stamattina non ho insistito perché c’era Leo, ma ti è sembrato il modo di comportarti?! Dimmi immediatamente che è successo ieri sera! E anche perché hai un taglio sul labbro!”
Hazel lo aggredì prima che potesse anche solo appoggiare a terra lo zaino una volta entrato in casa, avvicinandosi a lui palesemente nervosa, puntandogli un dito al petto anche se sapeva quanto la cosa infastidisse il fratello.
Nico la guardò con un sopracciglio alzato, non sembrando per nulla infastidito dal suo modo di fare.
“Ma non dovresti essere a scuola?”
La sorellastra lo guardò assottigliando gli occhi.
“Certo che dovrei, oggi c’era anche lezione di arte. Ma ho deciso di rimanere a casa ad aspettarti per evitare che tu facessi altre cagate” rispose fintamente risentita, quando in realtà era solo preoccupata.
Lui la tirò piano fino a farla sedere con sé sul divano.
“Tu devi andare a scuola qualsiasi cagata io faccia, chiaro? Comunque sto bene”
La ragazzina ammutolì, perché osservandolo non poteva dire che stava mentendo.
“Chi sei tu? Cosa ne hai fatto del mio fratello dark?”
***
“Non sei sbagliato Nico!” gli disse Bianca, quasi furiosa, mentre gli asciugava delicatamente le lacrime che gli erano ricadute sulle guance pallide.
“Non osare mai più dirlo, né tantomeno pensarlo, chiaro?” continuò la ragazza guardandolo negli occhi con serietà, per poi stringerlo a sé in un serrato abbraccio di conforto, il ragazzino che piangeva silenziosamente sulla sua spalla.
“Sei la persona migliore che conosca, fratellino… Quegli stupidi arroganti non valgono nemmeno la metà di ciò che sei tu” gli mormorò all’orecchio accarezzandogli dolcemente i capelli.
“Non sono i gusti di una persona a contare davvero, ciò che importa, l’unica cosa che importa davvero, è quello che hai qui” sussurrò Bianca allontanandosi di poco per riuscire ad appoggiare una mano sul petto di Nico.
“Tu sei perfetto esattamente così come sei, non osare provare a cambiare. Se qualcuno si ostinerà a non capirti, che creda pure quello che vuole, significa che non merita la tua compagnia, ok?”
Sul viso del ragazzino sorse un leggero sorriso, mentre si asciugava le ultime lacrime.
“Grazie Bianca…” mormorò piano, per poi tornare ad abbracciarla con slancio, come se non avesse mai più voluto staccarsi da lei.
“Di nulla piccolo mio…” rispose anche lei con un sorriso.

***
“Ehm… grazie” disse Leo in completo imbarazzo mentre si alzava.
“Di nulla” rispose lo specializzando guardandolo però accigliato, come se fosse un problema di matematica che non riusciva a risolvere.
“Bene, ci vediamo” continuò l’ispanico, mentre faceva per allontanarsi stringendosi lo zaino in spalla.
“No aspetta, frena un attimo”
L’aiutante del professor Brunner lo afferrò poco delicatamente per il braccio, costringendolo a guardarlo.
“Stavi forse origliando?”
Leo scosse energicamente la testa, maledicendo nella propria mente la sua infinita sbadataggine e sfiga.
“Cos’hai sentito, Valdez?”
“Io? Nulla! Perché mai avrei dovuto sentire qualcosa?” gli chiese mettendo su il sorriso migliore che gli riuscisse al momento, sperando che gli avrebbe creduto sulla parola.
Will sospirò passandosi distrattamente una mano fra i capelli.
“Fantastico… ascoltami, tu non farai parola di questo con nessuno, specie con la sorella di Nico, chiaro? Non provare a rovinare tutto” disse con estrema serietà lo specializzando, mentre Leo annuiva appena.
“Affare fatto, ma solo se farai qualcosa per me”
L’aiutante del professore alzò un sopracciglio scettico.
“Cosa dovrei fare?”
“Visto che da quel che ho capito il genere femminile non ti interessa, evita di farti notare da Hazel”
Will rise appena, divertito dalla richiesta dell’ispanico.
“Affare fatto”
***
Nico accennò un sorriso alla sorella.
“Perché?” chiese stupito osservandola.
La ragazzina lo guardava sempre più stranita, come se stesse ballando e cantando nudo in mezzo alla strada.
“Stai sorridendo. E non sono io ad averti fatto sorridere. Sei quasi gentile e hai l’espressione ebete. Dimmi che cavolo ti è successo!”
Il ragazzo rise appena, imbarazzato, senza nemmeno sapere cosa e come rispondere.
“Sono solo…” mormorò mordendosi il labbro “stupito, ecco”
“Stupito di cosa?” insistette Hazel sempre più confusa, sedendosi a gambe incrociate davanti al fratello e osservandolo.
“Io…. Non... Willl…” disse a fatica Nico, lievemente accigliato, senza riuscire realmente ad elaborare la cosa.
“Will? Cosa ha fatto? Che ti ha detto? Non hai fatto stronzate vero?” chiese immediatamente la sorella guardandolo ad occhi sgranati con un lieve sorriso sulle labbra.
“Si certo, io faccio sempre stronzate, ieri l’ho lasciato andare via senza dire una parola! Ma… io sono stato un completo deficiente!” rispose Nico, ridendo appena.
“Devo iniziare a preoccuparmi seriamente per la tua salute mentale?” continuò Hazel aggrottando le sopracciglia, continuando a non capire, ma il fratello sembrava che nemmeno stesse parlando con lei.
Era come se parlasse da solo, cercando di rimettere ordine in quel casino di pensieri che si ritrovava in testa.
“Ti rendi minimamente conto? Lui… sono rimasto zitto tutto il tempo! E oggi… nemmeno volevo più parlargli… ma… oh mio dio, piaccio a qualcuno” disse il ragazzo, abbassando mano a mano il tono di voce, confuso e stupito esattamente come la sorella.
FRENA. Per qualcuno intendi ‘Will Solace, il ragazzo di cui sei pseudo-innamorato da almeno tre mesi’?”
Hazel decise che la leggera risata di Nico, incredula e quasi spensierata, fosse il miglior ‘Sì’ che potesse aspettarsi.
***
Era appena uscito dal cortile dell’Università, il sorriso ancora ampio stampato sulle labbra, quando Leo sentì squillare il cellulare.
Dopo essersi quasi disarticolato la spalla per prenderlo dalla tasca dello zaino, fece appena in tempo a leggere Numero Privato prima di rispondere.
“Sì pronto?” chiese accigliato richiudendo lo zaino con la mano libera, iniziando ad avviarsi verso casa di Hazel con la scusa di aver dimenticato qualcosa per vederla dopo quella che considerava ‘la più grande rivelazione del secolo’.
“Leo? Sono io…”
Il ragazzo si bloccò in mezzo al marciapiede, quella voce odiosamente familiare che avrebbe solo voluto saper far tacere per sempre.
“Cosa vuoi?” rispose con incredibile freddezza, appoggiandosi distrattamente alla casupola della fermata del bus.
“Parlarti, questa volta sul serio”
Leo strinse lentamente il pugno della mano sinistra, fino a conficcare le unghie nella carne.
“Abbiamo già parlato e le tue stupide motivazioni non hanno retto. Ora ti sei inventato una nuova storia e stai cercando di rifilarmela per buona? Mi dispiace ma non ne voglio più sapere né di te né delle tue giustificazioni”
Per qualche secondo ci fu solo silenzio dall’altra parte, tanto che il ragazzo credette che fosse finita la chiamata.
“Ti prego Leo… non voglio perderti prima ancora di aver tentato ogni possibilità, voglio fare ciò che non sono stato in grado per tanti anni… e mi dispiace, ma adesso ci sono, dammi una vera possibilità”
Lui chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro per calmarsi.
“D’accordo. Una ed una sola possibilità, se fallisci preparati a sparire dalla mia vita una volta per tutte”



#AngoloDiLeo
Buongiorno mezzosangue!
Perdonate il ritardo ma la scuola sta peggiorando in fretta e vorrei evitare spiacevoli sorprese a fine quadrimestre, inoltre ho pubblicato il primo capitolo di un'altra storia Solangelo (se qualcuno volesse passare a dare un'occhiata e una recensioncina sarebbe fantastico ;))
Comunque, eccomi qua con l'aggiornemento! Che ne pensate? Accetto critiche e correzioni costruttive (anzi, sono molto gradite!)
Ringrazio chi recensisce, segue e legge questa mia storia, vi adoro *-*
-LeoValdez00

 

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Capitolo 23
*** AVVISO ***


 AVVISO:
Non ho alcuna intenzione di mollare la storia, solo che la scuola, la danza, mille impegni e la salute non mi hanno permesso di scrivere molto (anzi praticamente nulla).
Spero possiate pedonarmi, ma dato che tra poco inizieranno le vacanze natalizie, sarò impossibiltata a pubblicare fino al 7/8 gennaio (causa la mancanza di computer con connessione).
Mi impegnerò a scrivere e a non farvi aspettare troppo al ritorno dalle vacanze, intentato vi chiedo scusa e spero non abbandonerete la mia storia.
-LeoValdez00

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Capitolo 24
*** Capitolo XXII ***


Leo aveva deciso di sedersi alla fermata dell’autobus per pensare, la musica altissima nelle cuffiette.
Non voleva rivederlo, non voleva essere costretto a parlargli di nuovo, ma soprattutto non voleva mostrarsi debole ai suoi occhi.
Se avesse iniziato a parlare di Esperanza, il ragazzo dubitava che sarebbe riuscito a rimanere impassibile.
Se fosse stata una situazione normale, una di quelle situazioni dove sapeva di poter contare su Beck, lo avrebbe chiamato immediatamente, chiedendogli di venire con lui e non lasciarlo solo con Efesto.
Ma Beckendorf credeva che avesse ragione, che andasse perdonato come se non fosse successo nulla, come se non l’avesse abbandonato, come se sua madre non fosse morta.
Ma non voleva, non poteva andarci da solo a quell’incontro.
Le dita sottili stavano maneggiando velocemente il fil di ferro, i piccoli taglietti che bruciavano sulla pelle senza che se ne rendesse conto, la mente che cercava di lavorare allo stesso ritmo impossibile.
Aveva vagliato ogni ipotesi, ma una dopo l’altra le aveva dovute scartare tutte.
Meno una.
Si rialzò con un mezzo sospiro, mise il fil di ferro nello zaino e si avviò esitante verso dove voleva andare fin da prima della chiamata.
La casa di Hazel non era troppo lontana, una mezz’ora a piedi se camminava veloce.
‘Ti prego, di Angelo, non buttarmi fuori a calci e aiutami’
***
Hazel aveva capito che non sarebbe riuscita a tirar fuori nient’altro dalla bocca di Nico, ma scoprì che non le importava così tanto a confronto con quel mezzo sorrisetto dell’altro che aveva visto così raramente.
“Quindi oggi ci vai all’obitorio, mh?” chiese mordendosi il labbro per non ridacchiare soddisfatta, mentre decideva che non era giornata di dieta perciò poteva preparare un’enorme cioccolata per entrambi.
“Sì, ho già saltato troppe volte…” rispose Nico con aria seria, evitando lo sguardo lievemente malizioso della sorella.
“Si certo…” ridacchiò lei “Ora taci e bevi”
Il ragazzo non riuscì a reprimere una breve risata e prese la tazza di cioccolata.
“Grazie Haz”
“Di nulla” replicò facendogli un occhiolino scherzoso e sedendosi di nuovo accanto a lui sul divano “Fidati, Nico, non hai idea di quanto sia felice per te”
Il ragazzo si morse il labbro accennando un sorriso e bevve un po’ di cioccolata.
“Non è successo ancora nulla, perciò non farti strani filmini mentali” rispose sorridendole con dolcezza.
“Quindi… non vi siete baciati?”
Il fratello arrossì visibilmente, riportando alla mente ciò che era successo la sera prima, quanto era stato dannatamente fantastico baciarlo ma anche quanto fosse stato male dopo.
Decise che non voleva che fosse così quello stupido bacio con quello stupido biondino.
“No” rispose, il lieve sorriso ancora sulle sue labbra.
Doveva ancora baciare quell’odioso Solace, sempre che non fosse morto prima per autocombustione spontanea dall’imbarazzo e dal panico, ovviamente.
Hazel sbuffò appena, quasi infastidita, quando sentirono bussare alla porta d’ingresso.
“Aspetti qualcuno?” gli chiese la sorella, accigliata, mentre si alzava per aprire.
“No, nessuno” rispose Nico seguendola con lo sguardo.
***
‘Ciao, di Angelo, saresti così gentile da accompagnarmi all’incontro con il mio padre biologico che mi ha abbandonato tre volte e che crede di potermi fare da figura paterna ora che sono maggiorenne?’
Non suonava particolarmente convincente, si disse l’ispanico bussando, cercando di trovare una scusa decente per non andarci da solo.
Hazel gli aprì la porta e lo guardò stranita, per poi sorridergli ampiamente lasciandogli spazio per entrare.
“Buongiorno, Leo” ridacchiò lei, inspiegabilmente contenta.
“’Giorno Haz” le rispose lui con un sorriso imbarazzato entrando.
“Che vuoi ancora, Valdez?” chiese la voce familiare di Nico dal soggiorno, mentre lo raggiungeva insieme alla ragazza.
“Io…”
Blackout.
Come diamine poteva chiedere aiuto a lui? E poi, doveva farlo davanti a Hazel? No, no e no.
Nico alzò un sopracciglio guardandolo confuso, aspettando una risposta.
“Su siediti” intervenne la ragazzina con un sorriso, tirandolo momentaneamente fuori da quell’imbarazzante momento di stallo.
Si sedette accanto a lei, a debita distanza da Nico, prima di decidersi a spiccicare parola.
“Sì, io… Hazel ti dispiace se parlo un attimo in privato con tuo fratello?” disse guardandola quasi supplicante, mentre lei annuiva cercando di nascondere quanto ci fosse rimasta male.
“Parlate pure, se avete bisogno di me sono in cucina” replicò freddamente alzandosi e allontanandosi.
“Ci sai fare con le ragazze Valdez” mormorò Nico, ironico, sospirando e voltandosi verso di lui “Che vuoi?”
‘Bene. Haz mi odia e lui vorrebbe buttarmi fuori casa. Stupendo’ pensò Leo cercando il modo per chiedergli quello che doveva.
“Senti… mi servirebbe il tuo aiuto…” si decise a rispondere martoriandosi con le unghie le pellicine sulle dita.
“Mio aiuto? Questo è strano” disse Nico accigliato “Dimmi, come potrei aiutarti?”
Leo iniziò a pensare di stare davvero facendo una stronzata, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
“Dovresti venire con me, devo… vedere mio padre” mormorò l’ispanico in imbarazzo.
“Tuo padre?” chiese il ragazzo, sempre più confuso “Quello che non sapevi fosse tuo padre e che ha abbandonato te e tua madre?”
‘Allora ascolta quando gli si parla…’
“Esattamente” sospirò piano Leo, passandosi distrattamente una mano tra i capelli, perfettamente cosciente che avrebbe dovuto arrangiarsi in un altro modo.
“Va bene” rispose invece Nico, con apparente tranquillità.
“Che… cosa?!” chiese guardandolo stranito.
“Hai capito bene, Valdez, verrò con te. Solo una domanda prima, perché io?” rispose semplicemente l’altro, uno sguardo più curioso che infastidito.
“Lo avrei chiesto al mio fratellastro, ma crede che lo dovrei perdonare ‘solo perché è mio padre’ e non posso farlo. E diciamo che non ho grandi amicizie in zona per cui poter chiedere ad altri”
Nico si lasciò scappare un brevissimo sorriso.
“Bene. Quand’è che lo devi vedere?”
“Stasera”
***
La prima cosa a cui pensò Nico fu che non avrebbe dovuto saltare l’obitorio, salvo poi maledirsi il secondo dopo per il pensiero stupido.
“Perfetto, appena riesci dimmi luogo e ora esatta e mi faccio trovare lì, ok?” gli rispose.
Leo annuì piano, lo sguardo ancora stupito, mormorando un “Grazie…”
“Di nulla, Valdez, ma ti consiglio di farti perdonare da Hazel se non vuoi essere sbattuto fuori di qui ogni volta che vorrai vederla”
Sapeva di starlo guardando male, come a dire ‘Se fai del male a mia sorella ti faccio a pezzi e ti seppellisco in giardino’, ma l’ispanico quasi non se ne accorse e si alzò andando verso la cucina.
Nico sospirò appena e andò in camera per preparare lo zaino per l’obitorio, sapendo che avrebbe casualmente potuto ascoltare quello che succedeva in cucina visto che i muri di quella casa sembravano fatti di cartone.
Stava mettendo le cuffiette nella tasca del giubbotto, già sentiva quasi la nausea per l’agitazione di dover rivedere Solace, quando sentì Leo parlare in cucina.
“Hey…”
L’ispanico doveva essere appoggiato al muro perché Nico riusciva a sentire bene la sua voce anche se parlava con un tono basso.
“Hey” rispose la ragazza con aria disinteressata, anche se il fratello aveva subito notato che si stava sforzando per rimanere fredda.
“Scusa per prima, non è come pensi…” continuò Leo, mentre Nico si appoggiava al muro con l’orecchio per sentire bene.
“Non so di cosa tu stia parlando”
La sorella era migliorata nel mentire, ma lui sentiva la nota di incertezza nella sua voce e già se la immaginava a mordicchiarsi nervosamente le unghie.
“Haz… senti, ti ho chiesto di lasciarci parlare da soli perché era una cosa piuttosto imbarazzante ok? E non mi piace fare figure di merda davanti a te”
Nico quasi sentiva il sorriso della ragazza e sbuffò appena, allontanandosi dal muro e rimettendo il giubbotto.
Quei due se la stavano cavando piuttosto bene a ‘fare pace’ come i bambini delle elementari, non avevano bisogno di lui.
“Hazel io esco, ci vediamo dopo!”
***
Leo sentì la voce di Nico e poco dopo la porta di casa chiudersi e, senza capire bene come, si ritrova ad arrossire appena.
La ragazza davanti a lui sospirò appena, ma lui notò gli angoli delle sue labbra lievemente arricciati, come se stesse trattenendo un sorriso.
“Va bene.. non ti preoccupare” gli disse molto più tranquilla “Sono contenta che tu e mio fratello siate amici”
Okay, amici era decisamente una parola grossa, enorme. Dopotutto, però, Nico di Angelo aveva acconsentito ad aiutarlo quella sera e non poteva non essergliene grato.
“Oh.. si” mormorò in risposta, ancora parecchio confuso sul motivo di tutta quella innaturale gentilezza da parte del ragazzo poco prima, finché una lampadina non gli si accese in testa.
‘Ahn.. Solace è ricambiato allora.. quindi campo libero anche dal fratello iperprotettivo!’
“Non voglio sapere le vostre cose da ragazzi, ma ho sentito parlare di stasera, quindi Nico non sarà a casa?” chiese con un mezzo sbadiglio Hazel, legandosi i capelli ricci in una coda disordinata.
“Già… non dovrebbe tornare tardi però, te lo rapisco solo qualche ora”
“Okay, okay, così magari riesco a finire i compiti di arte senza avere l’avvoltoio alle spalle che sbircia” rispose la ragazza con un sorriso.
“Sei brava a disegnare?”  chiese l’ispanico con evidente curiosità.
***
‘Calmo. Respira. Sei venuto qui per lavorare. Non lasciarti distrarre’
Nico scese dall’autobus con ancora le cuffiette alle orecchie, Take me to Church a tutto volume che gli impediva di sentire qualunque altra cosa, mentre entrava in obitorio.
Si guardò intorno con finto fare distratto, per vedere se riusciva a scorgere degli occhi azzurri o dei ricci capelli biondi fra tutti i medici presenti.
Si avviò dal medico supervisore, ma prima che potesse trovarlo sentì una voce odiosamente familiare alle proprie spalle.
“Buongiorno”
‘Nico, non fare stronzate di cui potresti pentirti in seguito’
Prese un respiro profondo voltandosi lentamente verso di lui.
“Buongiorno Solace, sai dove posso trovare il medico supervisore?” chiese con aria tranquilla, mentre sentiva lo stomaco sottosopra, stretto in una morsa dolorosa.
Aveva paura. Di nuovo.
Non riusciva ad impedirsi di andare nel panico, perché per lui non era mai esistita una situazione simile.
Perché piaceva a Will e non sapeva che diamine fare.
“Sì, se ne è andato un quarto d’ora fa, doveva fare qualcosa in ospedale… ha dato a me l’incarico di occuparmi di te questo pomeriggio” rispose lo specializzando rivolgendogli un sorriso ampio e soddisfatto.
‘Sono irrimediabilmente e inconfutabilmente nella merda fino al collo’



#AngoloDiLeo
*si nasconde per non essere sommersa dai pomodori*
Allora... devo scusarmi perchè l'ultimo aggiornameto risale a una vita fa e avete tutti i diritti di volermi vedere decapitata, MA...
Ma io vi voglio bene e spero mi perdoniate per questo mostruoso ritardo!
Cambiando discorso, cosa ne pensate del nuovo capitolo? Vi è paciuto?
Spero di ricevere qualche recensione in merito e spero anche di riuscire ad aggiornare in un tempo ragionevole ; )
Grazie a chi recensisce, preferisce, segue o anche solo passa a leggere (e ovviamente grazie alla mia piccola BETAtrice, NicoDiAngelo99, che se non mi volesse bene mi avrebbe già uccisa più e più volte)
-LeoValdez00


 

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