L'oceano e poi noi

di SSONGMAR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


( https://www.youtube.com/watch?v=nobvhd22bN8 )

Le fievoli luci che si confondevano tra loro, creavano un lieve riflesso sul vetro del piccolo oblò. Si adagiarono sui miei occhi che aprii senza esitazione alcuna e mi accorsi di come il tutto fosse uguale all’ultima volta.
Pensavo che la vita ci mettesse continuamente davanti a delle scelte, davanti a piccoli bivi e strade da intraprendere e che fosse solo nostro il dovere di prendere una decisione definitiva.
Non mi sbagliavo nel dire che molte cose non erano cambiate, che tutto era esattamente come l’avevo lasciato, se non fosse che nel mio cuore vi era qualche piccola cicatrice in più ed un posto vuoto accanto al mio in grado ancora di scuotermi l’anima. Nessuna risata mista all’emozione, nessuna parola impastata dal sonno; solo un religioso silenzio che mi accompagnò a recuperare le valigie ed infine mi condusse al primo taxi libero.
Avevo abbandonato Seoul come nostra “isola felice”, luogo in cui avevo lasciato un grande pezzo del mio cuore e sigillato un’eterna promessa di amore e fedeltà, e nulla in quell’arco di tempo era riuscito a scalfire la stessa. E di tempo ne era passato, forse troppo, in modo inesorabile, contro cui la volontà non avrebbe mai potuto niente. Pensavo a tutto quello mentre il silenzio vigeva in quel piccolo abitacolo caldo, ove all’esterno le strade affollate facevano da padrone nel cuore di quella metropoli che tanto amavo.
Non riuscivo a sentire le risate che gli adolescenti si scambiavano, o il continuo vociferare proveniente da qualsiasi negozio aperto, la cui insegna contribuiva ad illuminare la strada; persino il respiro del conducente del taxi mi era impercettibile.
Mi lasciò alla stessa stradina, dove lo stesso lampione continuava furioso a lampeggiare mostrando appena una figura maschile allungarsi verso il suolo «vi deciderete mai a riparare questo aggeggio?» echeggiai, alzando di poco il tono della voce in modo che il mio interlocutore potesse sentirmi. Jun spuntò con le mani in tasca ed un sorriso soddisfatto in volto e, quasi beffardamente, si strinse nelle spalle rivolgendo lo sguardo alla luce che era sul punto di spegnersi definitivamente «chissà perché, mia cara mela, questo lampione comincia ad essere furioso al tuo arrivo». Lasciai la valigia al mio lato e mi fiondai immediatamente tra le sue braccia, dimenticandomi completamente della stanchezza che il viaggio mi aveva procurato. Il viso di Jun era cambiato alquanto. I segni del tempo trascorso e delle esperienze si notavano, e noi non avevamo avuto modo di vederci prima di allora. Capii quanto mi fossero mancati i suoi caldi abbracci e quanto fosse per me un amico speciale «ben tornata, amica mia» sussurrò con una dolcezza disarmante «sono a casa, amico mio» ripetei con la stessa dolcezza. Trascorremmo alcuni minuti stretti in quel modo e poi, con un sorriso, ci dirigemmo all’interno del suo appartamento.
Erano trascorsi due anni dall’ultima volta, ma il profumo familiare degli ambienti in cui mi trovavo ed il tepore della famiglia stessa, erano vivi in me come se il tempo non fosse mai passato, come se quella ruga in più sul volto della madre di Jun che mi veniva incontro, fosse solo frutto di una notte insonne. Le sorrisi con gli occhi un po’ lucidi e in poco tempo mi ritrovai stretta in un abbraccio incredibilmente materno «ci sei mancata tantissimo cara. Siamo felici che tu sia qui». Anche il valoroso signor Kim, narratore delle vicende più romantiche dei suoi indimenticabili anni, aveva in serbo per me una dose di abbracci paterni ed accoglienti, in grado di riscaldarmi corpo ed anima «vi ringrazio per essere sempre così ospitali e gentili con me, e per avermi permesso di usufruire ancora per un po’ della casa accanto, ve ne sarò debitrice in eterno» mi inchinai e dentro me quel biglietto di sola andata stava iniziando a farsi sentire, come una punta dolce in una vita amara.
Ero partita desiderosa di un attimo di respiro ed era ciò che stavo immediatamente vivendo ritrovandomi a tavola con quella graziosa famiglia. Eravamo quattro persone, ma le nostre fragorose risate potevano essere accomunate a quelle di migliaia di persone messe insieme.

Poco più tardi mi ritrovai nuovamente nella piccola casetta dei sogni. Osservai lo stagnetto, il tetto sul quale mi sarei finalmente affacciata, e la finestra su cui ero solita dare il buongiorno al quartiere o la buonanotte a persone speciali con lo sguardo rivolto verso la luna. Alle mie spalle il muretto in pietra e di fronte ad esso il cancelletto di ferro non più corroso dalla ruggine, sorrisi «qualcosa quindi è stato aggiustato» bofonchiai tra me.
Un profumo di timo era venuto a darmi il benvenuto, mi osservai intorno e mi diressi immediatamente in quella che, per un mese intero, era stata la mia stanza. In un angolo vi era un piccolo lettino a sostituire i due futon con accanto un comodino, una scrivania ed un discreto armadietto abbastanza capiente.
Sul lettino erano state messe delle lenzuola bianche morbide e profumate. Mi avvicinai con gli occhi nuovamente lucidi e le labbra tremanti, accarezzando con le dita la superficie delicata delle stesse. Dal nulla sentii il dolce profumo della vaniglia ed un respiro lambirmi il collo, facendomi rivivere uno degli ultimi momenti vissuti insieme a lui. E così quel flashback si aprì a me in modo tanto fugace da spezzarmi il fiato e lasciare che le mie gambe cedessero al suolo.
Mi era mancato, mi mancava e mi sarebbe mancato sempre, nonostante ormai fossi lì, finalmente lì. Avrei voluto comporre il suo numero e chiamarlo, ma il cellulare fuori servizio me lo impediva amaramente.
Sul mio anulare sinistro l’anello regalato prima della partenza era ancora lì, conservato come se fosse stato posto il giorno prima. Con una mano al petto feci un profondo respiro, preparandomi ad affrontare tutto quello che non ero riuscita ad affrontare stando lontana da lui.
Mi guardai intorno ed ogni cosa mi parve mutare e prendere una forma diversa, un profumo ed un sapore diverso. Mi distesi a letto completamente vestita, fin troppo stanca per disfare le valigie od occuparmi di me stessa. Nel mio cuore e nella mia mente un semplice desiderio: quello di vederlo.
Chiusi gli occhi in procinto di addormentarmi ma fu la lucina blu delle notifiche a destarmi ed avvisarmi che il servizio era finalmente tornato, il tempo di lasciare al mio cuore riempirsi di dubbi. In pochi minuti tutte le mie certezze parvero scomparire e, al loro posto, solo una profonda voragine fatta di perché.
Era buio, ero sola e con un vuoto da colmare. Scossi la testa e scacciai via ogni cattivo pensiero, afferrai il cellulare e digitai il suo numero, pigiando sulla casella dei messaggi. I minuti trascorsi a scrivere sembrarono interminabili: “Sono tornata”, gli dissi, ed un messaggio di risposta arrivò prima che io potessi battere ciglia.



Angolo Autrice

Quando cominciai a scrivere “L’oceano tra noi” non credevo che mi avrebbe presa tanto e, soprattutto, non credevo potesse poi avere un seguito. Ma la vita è imprevedibile e tutto può accadere, quindi ancora una volta ho deciso di realizzare un piccolo desiderio che mi portavo dentro.
So che probabilmente il titolo è un po’ ripetitivo, ma non volevo che l’oceano stesso perdesse l’importanza che gli ho sempre dato scrivendo, attimo per attimo, tutte le vicende. Due anni sono trascorsi e, come avrete capito dal prologo, molte cose sono cambiate, ma sarà così per tutto? Che cosa secondo voi sarà cambiato in meglio e cosa in peggio? Il titolo stesso vi fornisce un grande spoiler che, ahimè, reputavo indispensabile, quindi mi auguro fortemente voi possiate accompagnarmi in questo altro piccolo grande percorso che ho appena iniziato.
Ringrazio tutte voi che mi avete sempre letto e vi invito a lasciarmi il vostro parere, sarebbe un carburante perfetto per me. Un bacione enorme e al prossimo capitolo.
Ps: vi consiglio di guardare il video posto all’inizio per un riassunto della storia precedente.


 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***


Sapevo bene come i sogni fossero solo delle illusioni, eppure amavo starmene rinchiusa nelle quattro mura della mia anima ad immaginare un futuro più roseo, persa in quel mondo dove persone al di fuori non vi avevano accesso, dove tutto sembrava perfetto e indissolubile.
A quei tempi mi ero spesso chiesta come si facesse a vivere col cuore dolorante, e come un’assenza potesse essere tanto presente e fare rumore anche nel silenzio più denso. Non ero mai riuscita a trovare risposta, nemmeno quando nelle notti più buie mi ritrovavo raggomitolata su me stessa a versare calde lacrime amare. Non avevo accettato subito la loro divisione; non potevo io che avevo semplicemente toccato con mano la loro quotidianità, scorgendo con i miei stessi occhi quanto fosse solida l’unione che li rendeva ciò che erano sempre stati.
Sapevo che quel viaggio mi avrebbe nuovamente cambiata e che, probabilmente, nulla sarebbe stato più come prima, ma ero decisa ad affrontarlo per ritrovare me stessa e quell’amore che pensavo di meritare.
Avevo deciso quindi di ripartire e lasciarmi un bel po’ di cose alle spalle: delusioni, amicizie finite.. ed imparare a ricominciare, ad affrontare nuove scelte e a rifocillarmi di nuove conoscenze.
Ed il mio cuore mi aveva condotta nuovamente lì, in quel luogo, dove i nostri occhi al cielo sarebbero potuti essere più vicini e dove avremmo finalmente potuto respirare ancora la stessa aria.
Ne ero convinta sino a quel momento, quando l’istinto mi portò ad aprire il messaggio arrivato: “Chi sei?”
Non avrei mai immaginato che due semplici parole sarebbero state di un tale peso, simile ad un macigno che ti casca addosso con irruenza.
Le mie dita tremanti non mi permisero di digitare nuovamente un messaggio con delle spiegazioni, o delle scuse nel caso avessi sbagliato numero.
Controllai le prime cifre, poi le ultime ed infine quelle di mezzo e nulla era andato storto. Nella mia rubrica il suo nome era sempre stato lì, mentre negli archivi tutti i vecchi messaggi che non sarebbero mai invecchiati, nemmeno con gli anni. Sebbene fossi cosciente di come tutto era semplicemente giusto, continuai imperterrita a ripetere i numeri nella mia mente fino a dirli ad alta voce, la stessa che si spezzò aprendo il secondo messaggio in entrata: "Chi sei? Il tuo numero mi è nuovo".
Non potevo crederci. Non potevo credere che la ragione che mi aveva spinto a riprendere quel viaggio, stava per diventare la stessa che mi avrebbe costretta a ritornare a casa.
Il mio corpo fu pervaso in quel momento da uno strano senso d'ansia. Sentii gli occhi offuscarsi, così come la mente si era ormai annebbiata. Lasciai il cellulare e mi distesi lentamente a letto, sprofondando tra quelle bianche lenzuola con il cuore in tumulto ed una burrascosa tempesta nella mia anima. Pensavo che non avrebbe avuto importanza se fossimo vicini o lontani, il nostro legame non avrebbe mai potuto spezzarsi. Perché sentivo nel mio cuore che, anche attraverso il tempo, il nostro amore sarebbe comunque cresciuto in modo incredibile, alimentato dalle promesse e dai ricordi meravigliosi; ma a quanto pare era solo stata una mia stupida illusione.
Ignorai completamente la solitudine che regnava intorno a me, sentendomi ingoiare da un’angoscia straziante. Riuscivo a sentire dentro di me quelle grida che non esternavo ma che riuscivano benissimo ad oltrepassarmi e ferirmi. E fu così che, cullata dal dolore, mi addormentai.

Il giorno seguente furono i battiti delle nocche contro il portone a destarmi dal sonno. Il mio cervello non aveva ancora ripreso le facoltà necessarie ad alzarmi dal letto, ma almeno mi permetteva di crogiolarmi in quel calore che sembrava cullarmi e proteggermi da tutte le cose cattive che accadevano all’esterno.
In dormiveglia avvertii dei passi furiosi avvicinarsi alla mia stanza ed infine la porta spalancarsi, ed insieme ad essa le finestre che fecero entrare una fastidiosa luce «ma che succede?» mi lamentai, con la voce alquanto roca ed impastata dal sonno «hai idea di che ore sono? Ti ho anche cercato al cellulare ma non rispondevi, vengo qui e busso per circa tre ore alla porta e non vieni ad aprirmi, mi hai fatto preoccupare».
La figura impettita di Jun, illuminata dai raggi solari, fu la mia prima visione quella mattina. Sebbene percepissi quanto fosse arrabbiato, sorrisi comunque spontanea, spostando lentamente le coperte per garantirmi dei movimenti migliori e mettermi seduta. Il mio cellulare giaceva inerme sul pavimento. Guardai nella sua direzione ricordando gli avvenimenti della sera prima ed il mio viso dovette intristirsi parecchio, poiché il tono di Jun, così come il suo non verbale, cambiarono prontamente. Si avvicinò a me con passo quasi felpato, sedendosi accanto e portando una sua mano ad accarezzarmi i capelli. Non proferii parola ma le sue braccia furono comunque pronte ad accogliermi, così come il suo petto a trattenere le mie lacrime. Ero ritornata a rovinargli i maglioncini e me ne rendevo conto, ma egoisticamente avevo bisogno della sua presenza. «Non mi dirai cosa è successo?» chiese con tono delicato «non ho più ragione per vivere» risposi, drastica come al solito. Sentii una piccola risatina sfuggirgli dalle labbra, il giusto che mi bastò ad alzare il volto con le lacrime ferme agli angoli degli occhi «cosa è successo di tanto terribile da privarti di vivere?» chiese con tono ironico, abbassai nuovamente lo sguardo «quel giorno sono tornata a casa pronta ad affrontare i due anni che ci avrebbero separati e che, per meglio dire, mi sono sembrati molti di più, caratterizzati soprattutto da un anno che si è presentato più nero della pece» cominciai «quando ho saputo della divisione, il mondo mi è caduto addosso facendomi sentire piccola ed indifesa, ben lontana dall'essere la luce di speranza di cui aveva bisogno. Eppure nel mio piccolo ho sempre cercato di fare del mio meglio comportandomi come se nulla fosse successo, cercando di mantenere la promessa che alla partenza ci siamo fatti. Gli avevo promesso che avrei continuato a seguirlo, che avrei continuato a scrivergli e vegliare su di lui, pronta a non ricevere mai risposta, se non indirettamente come si è verificato diverse volte, ma non avrei mai immaginato che al mio ritorno si sarebbe rivelata tutta un’illusione».
La reazione di Jun alle mie parole fu inaspettatamente calma. Mi guardò con occhi comprensivi ed intristiti per la situazione. Compresi che probabilmente il discorso facesse male anche a lui, poiché la sua vecchia storia era finita allo stesso modo in cui era iniziata. Mi incitò comunque a continuare e raccontargli cosa fosse realmente accaduto, venendo quindi a conoscenza del numero che non era più il suo o il fatto che – nonostante tutto – mi avesse dimenticato.
«Ė inaudito, non posso accettarlo» lo vidi alzarsi dal posto in cui era seduto e girovagare per la stanza, con una mano al fianco e l’altra sotto il mento pensoso «deve esserci una spiegazione plausibile, non può finire così. Deve almeno sapere che sei qui». Mi afferrò la mano convincendomi ad alzarmi ed abbandonare il letto, ricevendo come risposta la mia estrema riluttanza «che intenzioni hai?» chiesi «andiamo alla JTune» mi interruppe lui.
Mi bloccai e provai ad immaginare come sarebbe stato ritornare lì, in quelle quattro mura dove avvenimenti importanti, tristi, o sgarbati, avevano avuto luogo due anni prima, nei confronti di una me stessa non troppo agguerrita ma incredula ed innamorata, con ancora accanto persone che ormai non facevano più parte della sua vita. Mi guardai allo specchio posto sopra la scrivania, scorgendo la mia figura esile e femminile ed un viso sciupato dalle lacrime e dal dolore provato quella stessa notte. I capelli neri scompigliati erano la prova della tempesta furiosa a cui ero andata incontro, ed il trucco sbavato testimone dei tormenti interiori. Jun mi aveva vista in quello stato e mi aveva stretta a lui senza alcun indugio. Era pronto ad aiutarmi a far chiarezza su quello che stava accadendo, nonostante io non mi sentissi pronta, nonostante non riuscissi a farcela. Quei messaggi mi erano bastati per capire che forse era tutto finito e che dovevo ritornare alla realtà, con i piedi ben saldi a terra.
Avevo già dato tutto per ritornare in quell'isola felice, come la ricordavo, pronta a vivere una vita che forse non mi apparteneva, o che forse mi apparteneva fin troppo. In silenzio mi diressi alla valigia sfilando dal suo interno un borsello di medie dimensioni. Tirai fuori dello struccante facendo sparire dal mio viso quei segni che mi rendevano una persona debole. Jun sorrise nel vedermi in quel modo e, lentamente, lasciò la stanza per permettermi di prendermi cura di me stessa e rimettermi in sesto. La doccia aiutò a riordinare alcuni pensieri, mentre il getto d'acqua scivolava lento e indisturbato sulla mia pelle nuda.

I mattoncini rossi in stile rustico moderno, caratterizzavano l'affacciata dello stabile della Jtune differenziandolo da tutti gli altri intorno espressamente alti e grigi. Un paio di scalini, degli alberi circostanti, e le grandi vetrate scorrevoli fecero riaffiorare in me ricordi incredibili. Jun mi affiancava tranquillo con le mani in tasca, mentre io mi sentivo tesa come una corda di violino con la mente ricca di "perché".
«Mi chiedo come se la stia passando» guardai Jun che sembrava avesse rivolto quella domanda più a se stesso che a me «parlo di Jae Ha» continuò, chiarendomi le idee, sorrisi «ora che è diventato idol, probabilmente, non ha più molto tempo per combinarne una delle sue o bisticciare con te» affermai, Jun sorrise a sua volta.
Una folata di vento fece nuovamente calare tra noi il silenzio.
A distanziarmi da quello stabile a me familiare era semplicemente la strada segnata da alcune strisce pedonali, mi sarebbe bastato attraversare per ritrovarmi nuovamente a contatto con le emozioni più disparate. Nonostante tutto non mi sembrava giusto essere lì, nonostante tutto mi chiedevo cosa stessi facendo. Jun probabilmente comprese il mio continuo lottare interiore ed il riscontro che facevo della mia attuale vita con gli avvenimenti passati. Mi afferrò nuovamente per mano e mi tirò verso l’entrata, dove un uomo in divisa stava come al solito a controllare chiunque si avvicinasse.
Il cuore cominciò a battere forte e le gambe a tremare tanto da non permettermi di reggermi in piedi come qualsiasi persona dotata di spina dorsale. Voltai il viso sulla mia destra e il logo dell’etichetta discografica mi fece comprendere dove mi trovassi realmente «voglio tornare indietro, ti prego Jun» implorai, ricevendo il suo completo dissenso come risposta. Cercai di sfuggire dalla sua presa, di divincolarmi in qualche modo e rinsavirlo per fargli comprendere che io, con quel mondo, c’entrassi ben poco, ma nonostante la mia mente si fosse già mossa a compiere quei passi, il corpo fu bloccato da qualcosa, o per meglio dire qualcuno, che in quel momento era dietro di me «Mar» aveva detto, con quella punta di sorpresa che non tardò a farsi sentire.




Angolo Autrice

Questo è da considerare il primo vero capitolo della nuova storia, il che vuol dire che una serie di avvenimenti si susseguiranno da qui in poi. Uso questo angolino per informarvi che, come sicuramente ricorderete, Jae Ha è entrato a far parte dei MADTOWN, altro gruppo della JTune camp, e che ovviamente ha altro nome, altra personalità e così via. Avevo costruito il suo personaggio sul ballerino mascherato che incontrammo durante i gayo, quindi credo non ci saranno più molte interazioni con lui, se non semplicemente alcuni ricordi che poi vedrete.
Che dire, spero vivamente che vi sia piaciuto e che vi abbia fatto provare in qualche modo le medesime sensazioni mie. Chi sarà la persona misteriosa?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo.
Un bacione immenso e grazie come al solito a voi che mi seguite.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II ***


La voce alle mie spalle arrivò al mio orecchio quasi ovattata, come se le labbra dalle quali il mio nome fu pronunciato, fossero coperte da qualcosa che ne ostacolava un suono chiaro.
Nonostante ciò sapevo bene a chi appartenesse quella voce, consapevole che l’avrei riconosciuta anche al centro di un chiassoso trambusto; eppure rimasi ancora ferma su me stessa col cuore che bussava forte contro le pareti della mia anima.
Ritrovata una minima facoltà, riuscii a girare appena lo sguardo ed incontrare quello del mio amico, il quale mi parlò senza proferire parola. I suoi occhi vispi e significativi non lasciarono trapelare alcun consiglio, bensì un ordine che avrei dovuto eseguire alla lettera solo ed esclusivamente per il mio bene.
Sentii il suono di uno sportello sbattere con forza ed il rombo di un motore prendere velocità e partire. Alcuni passi raggiunsero quelli uditi un attimo prima «che succede, hyung?» e poi una voce che non aveva bisogno di dar spazio alla fantasia per immaginare di chi fosse.
Non sapevo da cosa dipendesse la mia forzata riluttanza al voltarmi, se dal fatto che quella terra mi rendesse incredibilmente emotiva o perché – in fondo – il mio cuore si aspettava una terza voce, altri passi ed una persona che, probabilmente, non c’era.
In quell’attimo ci fu un silenzio improvviso che non riuscii a comprendere, seguito dal tocco leggero di una mano sulla mia spalla destra che mi fece trasalire «Mar..sei proprio tu?» domandò retorico.
Mandai giù della saliva ed incoraggiai me stessa, sorreggendo il peso del mio corpo sulle gambe che pocanzi erano diventate mollicce dall’emozione. Lentamente mi voltai ed il viso familiare di Byunghee era lì davanti a me, coperto per metà da una mascherina nera. Portava indosso una felpa col cappuccio dello stesso colore e dei pantaloni Adidas, mentre sulle spalle uno zaino con uno stemma della stessa.
Mi ritrovai immediatamente richiusa in una bolla, isolata da qualsiasi rumore o interazione esterna allo spazio a me circostante, ed in quel frangente di tempo, osservai a lungo gli occhi di Byunghee che mi parvero parlare e, seppur felici di vedermi, non raccontavano nulla di buono.
«Daebak! Cosa ci fai qui Smoky Girl?» Mir si avvicinò e mi accolse tra le sue braccia con un sorriso ed una tenera spettinata di capelli. Di rimando sorrisi anch’io, ricambiando quell’abbraccio spontaneo con estremo piacere, avvertendo tutta l’energia positiva che era in grado di trasmettere «è bello rivedervi ragazzi». Finalmente ero riuscita a schiudere le labbra e parlare ed ero riuscita a farlo con un sorriso che si dipinse sul mio volto in modo sincero. A dirla tutta non mi ero mai sentita tanto felice… né tanto triste, al punto da non sapere se ridere o piangere. Byunghee poggiò nuovamente la mano sulla mia spalla ed io lo abbracciai nell’immediato, beandomi del suo calore e del buon profumo del dopobarba che riusciva a trapelare nonostante la sottile copertura alle labbra; la sincerità che traspariva dai loro occhi fu in grado di commuovermi «è davvero una sorpresa inaspettata, come mai gironzolavi da queste parti?». A quella domanda non sapevo cosa rispondere: come potevo spiegare loro che ero tornata lì con la speranza di mantenere una promessa? Quella promessa!
«Ho deciso di completare i miei studi in Corea» mentii «c’è un’agenzia che seguo da molto a cui sono interessata» stavo tergiversando. Jun mi guardò come se avessi appena commesso uno degli errori più grandi della mia vita ed io mi sentii tremendamente colpevole per non essere stata del tutto sincera, abbassando lo sguardo nella speranza di essere capita «quindi resterai qui per sempre?» Mir aveva posto quella domanda in maniera entusiasta e alquanto stupito, alzando appena un sopracciglio in modo molto buffo «esatto» risposi io, sforzandomi di sorridere al futuro che mi aspettava.
In quel momento una strana atmosfera penetrò all’interno della mia bolla. Vidi G.O e Mir guardarsi negli occhi con un velo di preoccupazione e a quel punto fu palese che mi stessero nascondendo qualcosa, dopotutto erano trascorsi due anni. Quel momento bastò a farmi capire che, probabilmente, lì non sarei mai dovuta andare e la riluttanza provata poco prima si ripresentò convincendomi a non andare oltre in quella conversazione e di voltarmi, ancora una volta, per ritornare verso casa.
Seguii il mio istinto ed indietreggiai, ritrovandomi contro la figura di Jun fredda come un pezzo di ghiaccio. Le mani piazzate sui fianchi ed il mento sollevato in una posa ostinata, mi fecero comprendere che se fossi tornata indietro avrei commesso l’ennesimo errore, ponendo un’altra virgola dove avrei decisamente dovuto mettere un punto.

Qualche ora dopo mi ritrovai in uno studio spoglio, seduta davanti ad una tazza traboccante di brodaglia che lasciavano passare come caffè. Le sensazioni provate dentro stavano lottando l’una contro l’altra, nella speranza di trovare un punto d’incontro in cui riappacificarsi.
Il fatto che fossi tornata dove il mio cuore aveva trovato casa e non trovarvi alcuni componenti, fu difficile da accettare, ma in quel momento non mi aspettavo che le vicende mi fossero raccontante e messe assieme come pezzi di puzzle.
Osservai le pareti che ormai sapevo di conoscere bene e all’interno del quale avevo speso alcune delle mie giornate; era così, nonostante non mi sembrasse ancora vero.
Sfiorai lentamente la superficie del tavolo laccato sul quale le luci al neon riflettevano. Il numero cinque aveva dato spazio al tre, e tre erano gli unici quadri affissi alle stesse pareti.
Era difficile spiegare o solo immaginare quanto fosse grande il vuoto che incombeva dentro di me in quel momento. In quelle quattro mura la mia dolenza nei confronti dell’amore fece un passo indietro per lasciare il giusto spazio ad un qualcosa che non ero mai riuscita a spiegarmi, nonostante non cercassi alcuna risposta. Avevo accettato le loro scelte ed avevo imparato a “viverli” separatamente, sebbene in cuor mio speravo in una loro unione futura.
Quell’intimo momento con me stessa fu ben presto interrotto dall’arrivo di Mir e G.O, allontanati l’attimo dopo l’avermi invitata ad entrare. Il tragitto sino allo studio non era stato per niente facile; mille occhi curiosi puntati contro in un contesto in cui avrei voluto incontrare solo ed esclusivamente un unico sguardo pronto a spiegarmi il perché di tanto silenzio ed il perché di una tale stranezza o dimenticanza, di un amore sbocciato e poi lasciato appassire dalle rughe del tempo.
«Ti abbiamo fatto aspettare troppo?» G.O si accomodò alla sedia girevole in plastica verde, seguito da Mir che fece lo stesso «affatto» sorrisi io, ferma esattamente dove mi avevano lasciata (davanti alla brodaglia ormai diventata fredda).
«Ė una fortuna che tu abbia incrociato il nostro cammino» continuò «eravamo passati per sistemare alcune faccende e poi saremmo tornati ognuno alla propria abitazione».
La fortuna, in realtà, era venuta a bussare alla porta della mia vita molti anni prima, quando il mio cammino si era incrociato al loro – solo metaforicamente – in maniera del tutto naturale, senza che io lo volessi.
Per la prima volta ero riuscita a costruire qualcosa, a donare la mia attenzione ed il mio tempo ad un gruppo di persone, dei ragazzi talentuosi, di buon cuore e veri.. E la veridicità dei miei sentimenti mi aveva spinta ad affrontare il primo viaggio, lo stesso che era stato in grado di lasciarmi un’impronta profonda nel cuore e che aveva scavato negli anfratti nascosti della mia anima per tirare fuori la forza ed il coraggio di affrontare un amore che, fino a quel momento, credevo di poter solo sognare. Perché tra tutti, nonostante il mio amore viaggiasse alla stessa velocità, avevo scelto qualcuno i cui occhi avevano incontrato i miei sotto una tempesta di bagliori e di luci colorate, mentre delle voci si propagavano armoniose nell’aria.
Quella volta eravamo circondati da tantissime persone, eppure a noi sembrò di essere gli unici a vivere quell’attimo.
La quotidianità di quelle persone, comunque, era stata palpabile ed incredibilmente vera. Avevo stretto forte tra le mie braccia uno dei beni più inestimabili di sempre ed avevo scorto una verità nascosta agli occhi di molti, oppure fin troppo visibile, che era quella che tutti sapevano sul loro rapporto.
Quindi, oltre all’aver vissuto l’amore, avevo trovato una famiglia ed altri cuori da accudire, consolare e stringere forte contro il mio, cuori che ormai si erano divisi e che in un certo senso avevano perso il temperamento senza, però, mai smettere di battere all’unisono.
Scossi la testa, come per ritornare in me stessa, ed analizzai l’ultima frase proferita da Byunghee: “e poi saremmo tornati ognuno alla propria abitazione”. Non ne compresi il significato o forse mi rifiutavo di farlo.
Alzai lo sguardo interrogativo e li guardai «che fine ha fatto il dormitorio?» azzardai, ignorando che quella potesse essere una domanda a doppio taglio.
Vidi lo sguardo dei due intristirsi ed immediatamente mi sentii amareggiata per aver dato voce ai miei pensieri in un momento come quello, temendo che la situazione potesse divenire tesa a causa mia. G.O, però, sorrise quasi timidamente, rivolgendosi a me con uno sguardo comprensivo e non intimidatorio «Mir vive a casa con i propri genitori, lui è l’unico al momento più attivo tra noi in quanto ospite di diversi reality show. Io ho provato a vivere da solo e ho acquistato un appartamento nelle zone limitrofe all’agenzia, un luogo abbastanza rumoroso di giorno e tranquillo di notte» ammise con fierezza «al termine dei contratti abbiamo pensato fosse opportuno per noi continuare in questo modo» Mir intanto annuiva al suo discorso «continuiamo comunque ad essere quello che siamo. Solo perché non viviamo sotto lo stesso tetto, non vuol dire che non siamo una famiglia». Quella frase fu la più bella sentita nell’arco di quella giornata. Mi sentii felice, rinata, grata di non aver toccato involontariamente un tasto molto dolente «Seungho hyung..» ma la fiammella felice si spense quando Mir lasciò in sospeso la frase. Avvampai e la mia attenzione residua si accese come un faro nel bel mezzo di una tempesta, con lo scopo di richiamare a sé le navi in difficoltà. Seungho cosa? Per quale motivo sembrava come se stessero evitando di nominarlo?
Mi leccai le labbra nervosamente e, come mio solito, cominciai a torturarmi le mani sotto il tavolo, con una curiosità che mi stava divorando guidata da una fame vorace «anche lui vive con i genitori al momento ed è impegnato nel suo primo film».
Sapevo quella cosa, prima di partire avevo spulciato le ultime notizie per aggiornare la pagina che avevo creato in un pomeriggio uggioso. Era sua, per quanto la gestissi io, apparteneva solo ed esclusivamente a lui. «Lo so» risposti infatti, nascondendo una punta di smarrimento che in quel momento non sapevo da cosa dipendesse; sotto quali spoglie in quel momento ero seduta davanti a loro?
Guardandoli mi chiedevo in che modo mi vedessero, cosa rappresentassi io per loro. Inseguii lo sguardo di G.O e cercai nello stesso del conforto, un appoggio solido a cui abbandonarmi com’era capitato in passato e lo trovai proprio lì, dove lo avevo lasciato «credo Seungho non si ricordi più di me».
Non so con quale tono esternai quelle parole o che espressione assunse il mio viso, perché in men che non si dica una risata generale si propagò in quella stanza vuota, risuonando. Mir batté le mani contro il tavolo preso da uno spasmo mentre G.O aveva portato la testa all’indietro col pugno chiuso contro le labbra; un teatrino imbarazzante che mi fece immobilizzare e sbattere le ciglia ripetutamente «come..come può Seungho hyung dimenticarsi di te?» Mir boccheggiava ancora in preda alle risate ed io rimasi sbigottita dalla situazione «io non lo so» confessai confusa «non so più cosa sono o chi sono per lui» ammisi incerta «al mio arrivo ho provato stupidamente a contattarlo ma ho ricevuto un messaggio che mi ha esplicitamente fatto capire che non sapeva chi fossi».
Concluse le risate, i due si guardarono con sguardo d’intesa, lasciandomi ancora fuori da tutto quello in preda allo sgomento. G.O sospirò scuotendo la testa in un mezzo sorriso «in realtà quello che tu hai non è più il suo numero».
Inclinai la testa in un completo disordine mentale «cosa vuol dire?» domandai «qualche anno fa una compagnia telefonica cercava uno sponsor sotto contratto. Seungho è un fanatico di tecnologia, come ben sai, e decise di prestarsi alla compagnia stessa felice di poter sponsorizzare il loro prodotto. Il contratto prevedeva un nuovo gestore telefonico ed un nuovo cellulare» annuii ascoltando «non so bene come funzioni in Italia, ma i contratti telefonici qui sono diversi e lo hai potuto sperimentare noleggiando quello che usi al momento. Il punto è che Seungho durante un viaggio di lavoro ha smarrito il cellulare e con esso ha perso il diritto al contratto con il conseguente numero che in automatico è passato ad un’altra persona. Quindi colui che hai contattato non è Seungho, bensì qualcun altro».
Se non avessi avuto tanta voglia di piangere di sicuro sarei scoppiata a ridere, una fragorosa risata, di quelle difficili o addirittura impossibili da trattenere. Pensai che probabilmente avessi tratto conclusioni affrettate, rassegnata e pronta a convivere con una vita alquanto mesta, decisa a continuare ad amare solo ed esclusivamente lui, nonostante tutto.
Tirai su col naso provando dentro una fierezza per essere riuscita a trattenermi, ma il mio sesto senso non mi dava pace e ancora insisteva nel pigiare con forza un pulsante negativo dentro la mia testa.
Sollevai il capo e li guardai ancora, quasi più leggera per essere riuscita a muovere un passo ed aver superato il primo gradino delle numerose difficoltà a cui, di sicuro, sarei andata incontro.
In quel momento compresi quali fossero le vesti che mi ricoprivano, quale fosse il ruolo che avevo nelle loro vite e che senz’altro era dei più significativi. Mi sentii rasserenata e decisi di vivere quella buona notizia col sorriso e di custodirla come carburante per l’attimo in cui fosse servita. Forse le cose non erano poi così male ed il tempo aveva sul serio alimentato il nostro amore, anziché spegnerlo senza pietà.
Solo una lacrima rotolò sulla mia guancia, ma la scacciai via prima che i ragazzi potessero sbattere ciglia e mi vestii di uno dei miei sorrisi più belli, spronando me stessa a rialzarmi ed essere più forte.
Compresi che per quella giornata non era necessario sapere oltre e che le cose sarebbero venute fuori da sole, come naturale che fosse. Jun mi stava aspettando all’esterno e non potevo permettere che attendesse ancora, dovevo correre da lui e ringraziarlo per essere stato “duro” con me ed avermi convinta ad andare lì.
Mi alzai quindi dalla sedia che fece un giro su se stessa e mi chinai in segno di ringraziamento. Entrambi sorrisero e mi raggiunsero per un abbraccio, abituati ormai ai miei modi di fare.
Ero sollevata nel sapere che avevo ancora una possibilità, nonostante i loro occhi celassero ancora qualcosa di “oscuro”, ma decisi di ignorarlo e vivere la spensieratezza acquisita involontariamente.
All’esterno dello stabile il cielo mi sembrò più azzurro ed il sole di gran lunga più luminoso. Feci un profondo respiro e mi apprestai ad andare ma ancora qualcuno bloccò i miei movimenti. Mi voltai e vidi G.O fermo sull’uscio della porta, lo guardai inarcando le sopracciglia sorpresa «cosa su-» non riuscii a concludere poiché le sue parole si contrapposero alle mie «seguilo a Busan, ne avete bisogno entrambi» e, come quella volta, sparì all’interno di un van nero.



 
Angolo Autrice

So bene che ho pubblicato questo capitolo dopo tantissimo tempo, ma ho deciso per questa storia di non affrettarmi troppo ed analizzare con calma tutte le cose che voglio raccontare.
Prima di ringraziare le persone che mi seguono, tenevo a chiarire alcune cose. La prima è che mi è stato detto che magari dovrei descrivere con più calma gli avvenimenti, in modo da lasciar comprendere al meglio cosa vado a raccontare. Il punto è che io parto dal presupposto che questa storia sia letta da chi ha già letto “L’oceano tra noi” e che quindi automaticamente sappia già di cosa stiamo parlando. Ė un seguito e in quanto tale trovo sia giusto scriverlo in un determinato modo, spero vi piaccia lo stesso.
Ho aggiunto “daebak” tra le espressioni poiché mi sembrava carino ed azzeccato in quel determinato momento poiché sta a rappresentare una vera e propria reazione di stupore.
Terza cosa, che sicuramente avrete notato, è che uso molto spesso prima “Byunghee” e poi “G.O” . Non lo faccio assolutamente per creare confusione, ma mi piace il modo in cui suona e trovo sia scorrevole durante la lettura.
Si tratteranno questi (ma anche la storia in generale), di capitoli per lo più introspettivi rispetto alla precedente, che ha uno stile tutto suo nonostante si tratti appunto di un seguito.
Detto ciò grazie grazie grazie infinite a voi che leggete e spero possiate non nascondervi più (lo so che siete tante) e lasciare un piccolo commentino per farmi sapere cosa ne pensate.
Vi voglio bene 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III ***


Alzai lo sguardo verso l’imponente stabile che sorgeva ai miei piedi e cavai dal petto il respiro necessario a procedere. Osservai ciò che mi circondava con curiosità e ammirazione, inglobando dentro anche il più piccolo dettaglio.
L’immobile si presentava, come tutti gli altri, alto e prestante, dall’intonaco grigio e fondamenta nere.
Un enorme cartellone pubblicitario, in formato pop art, era posto in verticale sullo stesso: “Def Dance Skool” e l’insegna a caratteri cubitali mi fece comprendere che mi trovassi nel posto giusto.
Ero completamente sola nel centro di Gangnam, a cercare di occupare un piccolo spazio in quella nuova ed enorme realtà.
Era ormai trascorsa una settimana dal mio arrivo in Corea, sei giorni dall’incontro casuale con i ragazzi e dalla chiacchierata servita a darmi il coraggio necessario a proseguire secondo i miei piani.
In quei giorni non avevo fatto altro che pensare alle parole di Byunghee, ed in cuor mio avevo cercato di dare loro un significato trasversale a quello che lui realmente aspirava. Sospirai al pensiero che mi carezzò la mente ed infine decisi di avanzare, stringendo al petto il mio portafortuna.
Mi fermai di fronte alla porta in vetro e ricontrollai l’e-mail che mi era stata inviata dal CEO, la stessa che mi aveva completamente colta alla sprovvista, stravolto l’anima, lasciandomi incredula ed emozionata. Avevo conosciuto la scuola per puro caso in un giorno ordinario e, con la stessa casualità, mi ero ritrovata nel gruppo ufficiale dei trainee stranieri, dove una donna dai capelli rosa shocking appuntava di volta in volta i diversi workshop ed audizioni globali in collaborazione con diverse case discografiche.
Avevo sin da subito pensato che quella fosse un’opportunità che non avrei dovuto perdere, che ancora una volta mi sarei potuta mettere in gioco per dimostrare a me stessa, e agli altri, ciò che ero in grado di fare nell’istante in cui la musica ed il ritmo si impossessavano del mio corpo.
Diversi giorni dopo avevo inviato un’e-mail con la mia candidatura in formato video con performance annessa, ed ecco che il CEO era stato ben lieto di invitarmi nella loro struttura per un’audizione.
Avanzai di qualche passo e la porta in vetro si aprì davanti a me. Entrai e fui immediatamente avvolta da un’aura particolare e speciale. Un uomo di media statura mi venne incontro a braccia aperte, avvicinandosi con un sorriso compiaciuto in volto. Indossava degli abiti sportivi, prevalentemente pantaloni e t-shirt nera con qualche disegno qui e lì, un cappello con visiera e la scritta “Dodgers” in bianco che pareva risaltare il tutto «benvenuta» esordì col sorriso «lei deve essere..» continuai io titubante «Yang Sun Kyu» mi interruppe lui «sono il CEO». Mi era capitato di vedere qualche sua foto tramite il suo contatto facebook ma di persona era davvero tutt’altro. Percepii in quel momento il bisogno di supporto morale, di una figura amica che in quel momento non era accanto a me e che, probabilmente, non ci sarebbe stata più.
«Sia io che i coreografi della scuola abbiamo visto la tua performance. Ciò che ci ha maggiormente colpito è stato lo stile particolare che ti caratterizza, in grado di unire la tenacia e la forza del pop alla delicatezza del classico-contemporaneo. La tua audizione avverrà tra un’ora, quindi hai tutto il tempo necessario per prepararti. I camerini sono al piano superiore al settore B, non puoi sbagliare. Ci vediamo dopo e fighting!».
Il signor Yang si allontanò, congedandosi con un semplice inchino che ricambiai tempestivamente. Strinsi appena la tracolla che avevo indosso e feci un respiro profondissimo, osservando quella quotidianità che mi circondava. «Piano superiore settore B» ripetei a me stessa, percorrendo gli enormi corridoi isolati dai rumori prodotti dalle classi nelle quali delle persone stavano provando. Mi fermai davanti ad una di esse e mi trattenni ad osservare dal vetro la coreografia che i ragazzi stavano eseguendo. Rimasi sbalordita dalla loro bravura, coordinazione e dalla tecnica perfetta che traspariva da ogni movimento «non è semplice arrivare a questi livelli» aveva detto una voce femminile. Ritornai in me stessa e girai appena il capo alla mia destra, ritrovandomi degli enormi occhioni azzurri ad osservarmi. Riconobbi immediatamente i suoi capelli rosa e l’immancabile rossetto rosso messo con la speranza di far sembrare le labbra molto più carnose «tu devi essere Mar, ti ho riconosciuta e in un certo senso mi ricordo di te». La ragazza aveva allungato la mano destra verso la mia, salutandomi nel buon e vecchio modo occidentale «anch’io ti ho riconosciuta» di rimando le sorrisi cordiale stringendole la mano «sono davvero felice dell’opportunità che mi è stata concessa» ammisi sincera «mi chiamo Irma» continuò lei «e sono la coreografa per le classi kpop, ma penso che questo tu lo sappia già». Irma era di origini irlandesi, trasferitasi in Corea del Sud per inseguire i suoi sogni e lavorare come coreografa presso la Def Skool. Prima di partire avevo fatto in modo di documentarmi sulle persone con le quali avrei collaborato, nel caso l’audizione fosse andata a buon fine, per evitare equivoci o brutte figure «è un piacere conoscerti Irma». Pensai che a quel punto con G.O e Mir l’ultima volta fossi stata in parte sincera, poiché avevo accennato loro di un’agenzia che mi interessava e la Def Skool poteva essere una buona scusante.
Ad ogni modo il tempo stava scorrendo via velocemente e non mi ero accorta che ormai mancava mezz’ora alla mia audizione. Salutai immediatamente Irma emozionata ed agitata, e mi apprestai a raggiungere i camerini ripetendo ancora mentalmente la loro posizione, quasi come fosse una cantilena.
Mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso tra una calca di persone e per un soffio riuscii ad infilarmi e trovare un posticino libero in cui spogliarmi e magari scaldare qualche muscolo. Gradualmente stavo iniziando a rendermi conto di dove mi trovassi sul serio, e lo capii a causa del mio corpo che iniziò a tremare in una maniera quasi incontrollabile. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, mettendo in atto qualche tecnica imparata durante le lezioni di pilates. Dovevo rinvigorire mente e corpo, concentrarmi e dare il meglio di me stessa.
Poco dopo nella confusione attraversai l’ampio corridoio dalle pareti colorate sulle quali si apriva una serie di porte. Mi feci coraggio e superai alcuni ragazzi in fila con dei numeri appiccicati al petto.
Alla fine del corridoio un’addetta era intenta a rovistare in un armadietto, richiamai la sua attenzione e mi feci affidare il mio numero: il 16. Lo osservai e mi sembrò un piccolo scherzo del destino, o forse un segno che mi avrebbe aiutata a superare anche quell’ostacolo.
Era ormai arrivato il mio turno ma il tempo sembrò fermarsi. Le lancette dell’orologio affisso alla parete smisero di emettere il loro ticchettio e le persone intorno interruppero i chiacchiericci o le preghiere fatte sottovoce.  Superai in parte la paura e, fatto un bel respiro, entrai.
L’aula era ampia e luminosa col pavimento in linoleum ed un’enorme fila di specchi. Nella parte opposta lo stereo e la postazione delle persone che avrebbero presenziato alla mia audizione. Vi erano quattro posti, tutti occupati tranne uno. Mi posi al centro della stanza e feci un enorme inchino, abbassando la testa sino alle ginocchia in segno di rispetto. Il signor Yang con la mano mi indicò lo stereo ed io con un cenno del capo mi avvicinai, notando il mobiletto olivastro sul quale era stipato. Sfilai dalla sacca la mia chiavetta usb e la inserii nello stereo, recuperando un paio di scarpe da carattere che indossai immediatamente. Ritornai nuovamente al centro della stanza e la musica partì riempiendo l’intera aula.
Vidi i giudici sorridere alle prime note accennate e, quando la voce di Janet Jackson partì con Feedback, ecco che cominciai a muovermi anch’io, presentando loro una coreografia heels che avevo studiato e montato appositamente per quell’occasione. Mi persi completamente nella musica, dimenticando dove fossi e lasciando lontane le persone che mi circondavano, comprese quelle che dall’esterno stavano assistendo alla mia audizione.
Prima che la musica terminasse, lasciai che il mio corpo fosse guidato dai sentimenti, ed eseguii un freestyle continuando sulla rotta dell’improvvisazione. Le sensazioni che sentivo al petto erano delle più disparate e in un secondo i miei pensieri furono trasportati indietro nel tempo, al giorno in cui misi piede alla Jtune per la prova che precedeva il mio ingresso come ballerina degli MBLAQ. Quella volta avevo eseguito un pezzo modern, ben diverso da quello che stavo ballando al momento.
La musica d’un tratto si fermò ed io mi lasciai cadere al suolo, col fiato imprigionato nella gabbia toracica. Apparentemente la mia performance sembrava terminata, ma come da coreografia tolsi le scarpe restando a piedi nudi. Mi alzai sulle ginocchia tenendo la testa bassa e gli occhi chiusi, percependo lo sfumare della musica. Udii in quel momento la porta aprirsi ed un leggero bisbiglio accrescerei tra i presenti; immaginavo che il quarto giudice fosse arrivato, quindi continuai a tenere la concentrazione acquisita all’inizio. I secondi sembrarono interminabili e in quello squarcio di tempo sentii il vigoroso strusciare della sedia, poi un silenzio quasi assordante. La musica cambiò e con essa i movimenti del mio corpo che divennero lenti e sinuosi, quasi come fossi mossa dal vento. Cominciai a danzare un pezzo contemporaneo sulle note di Craig Armstrong, Finding Beauty. Danzai ad occhi chiusi, quasi come se fossi l’unica persona presente in quell’aula. Sfioravo con le mani ed i piedi nudi il pavimento sotto di me, rotolavo su di esso quasi come se volessi imprigionarmi al suo interno e divenirne un tutt’uno. I capelli scivolavano sulle mie spalle, e quando la musica divenne più vigorosa, ecco che aprii gli occhi.
Sentii le pupille dilatarsi dalla sorpresa ed il cuore cadere al centro del mio stomaco. I giudici applaudirono alla mia performance e la musica cessò di riempire la stanza, eppure io non riuscivo a sentire o percepire nulla di tutto quello. Solo rimasi pietrificata davanti ai suoi occhi che mi fissavano con altrettanto stupore. Capelli color dell’ebano, pelle chiara e delicata: cosa ci faceva Cheondung seduto tra i presenti?
A stento riuscivo a comprendere se si trattasse di sogno o realtà. Vidi le sue labbra schiudersi come intenzionate ad articolare un qualche suono, ma il signor Yang non tardò a prendere parola e richiamare solo in parte la mia attenzione «era questo quello di cui ti parlavo» iniziò «sei riuscita a creare un mix di stili senza lasciare che creassero tra loro un contrasto, una combo abbastanza difficile ma interessante. Per me, come penso anche per gli altri giudici, sei dei nostri».
La gioia che in quel momento invase i miei sensi era difficile da spiegare, nonostante fossi ancora stupita e confusa. Portai le mani al petto e feci nuovamente un profondo inchino, con gli occhi che divennero immediatamente lucidi offuscandomi la vista. Guardai ancora Cheondung che in quel momento aveva fatto un sorriso e, nonostante vedessi male, notai le sue tenere guance e gli occhi luminosi.
Dovevo lasciare quella stanza, congedarmi e festeggiare il mio ingresso in quella scuola, ma non riuscivo a fare nulla di tutto quello. Nemmeno i pensieri riuscivano a raggiungere tali intenzioni.
Irma mi guardò con interdizione mentre Cheondung si alzò dal suo posto facendo strusciare nuovamente la sedia «la accompagno io fuori, signor Yang» aveva detto, avvicinandosi a me ed afferrandomi per i polsi.
Mi trascinò fuori dall’aula, lontano dagli occhi dei presenti che dall’esterno bisbigliavano tra loro. Notai degli sguardi d’ammirazione nei miei confronti, altri di intesa ed alcuni di disprezzo e gelosia, come naturale che fosse. Ci fermammo ad un distributore e Cheondung prese per me del latte alla fragola «deve esserti seccata la gola» commentò porgendomelo, con una dolcezza disarmante «Cheondung..» mormorai io, stringendo tra le mani la confezione quasi come fosse un piccolo trofeo. Lui sorrise ancora accomodandosi alla poltroncina sistemata contro il muro «cosa ci fai qui?» gli chiesi «io qui ci vivo, tu piuttosto» commentò lui con una risata sarcastica «no, no intendo dire cosa ci fai qui alla Def Skool».
Lo vidi fare spallucce con lo stesso sorriso disegnato in volto «in realtà non sarei dovuto essere qui oggi» cominciò «è stato un vero e proprio caso. La persona che avrebbe dovuto prendere parte alla tua audizione è un mio amico, coreografo della scuola. Questa mattina ha avuto un contrattempo e ha chiesto se potevo sostituirlo, sapendo che avevo il giorno libero» fece ancora spallucce «ero ad Incheon, praticamente a due ore di distanza, quindi per questo motivo sono arrivato in ritardo» si giustificò «non sapevo nulla della tua audizione, né che tu fossi tornata in Corea. Avrai capito che anche per me è stata una vera sorpresa» lo vidi sorridere ancora ed in quel momento la voglia di abbracciarlo e stringerlo forte era tanta, ma mi limitai ad annuire «sono rimasta completamente pietrificata nel vederti» ridacchiai «è stata una sorpresa davvero meravigliosa». Mi accomodai alla poltroncina accanto a lui e cominciai a bere il mio latte alla fragola. Avevo incontrato un altro componente della mia famiglia felice e non potevo che esserne più entusiasta. Lo guardavo, lo osservavo e non potevo fare a meno di notare quanto fosse cambiato. Adoravo il colore dei suoi capelli e lasciai che lo sguardo si posasse sulle sue spalle larghe e forzute, seguite dalle braccia che trasmettevano sicurezza e protezione «ma come mai sei qui?» chiese nuovamente lui, interrompendo i miei pensieri «è semplicemente per l’audizione o c’è qualcos’altro?».
Due anni prima Cheondung, così come gli altri, era stato testimone dell’amore sbocciato tra me e Seungho. Ricordavo perfettamente le volte che mi ero ritrovata a piangere contro il suo petto e stretta nel suo abbraccio, quindi mi sembrò giusto dirgli la verità. Non avevo dubbi sul fatto che potessi ancora fidarmi di lui, o sul fatto che avrei potuto farlo sempre, ma non sapevo come stavano le cose tra loro e se potessi solo pronunciare quel nome.
Cheondung si accorse della mia titubanza e con dolcezza mi accarezzò il braccio infondendomi una sicurezza che mi mancava. Lo guardai e lasciai trasparire la mia necessità e, senza parlare, mi ritrovai nuovamente contro il suo petto, stretta nel calore del suo abbraccio. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare percependo tutto l’amore fraterno che sentivo nei suoi confronti. Avrei voluto dirglielo.. “oh Cheondung, quanto ti voglio bene”, ma preferii tacere. Mi staccai solo poco dopo, quando l’abbraccio aveva dato i suoi frutti e gli sorrisi «ero molto arrabbiata con te» gli dissi semplicemente, notando la sua espressione sorpresa «a cosa ti riferisci?» chiese infatti «a tutto quello che è successo quando sono andata via». Lo vidi sorridere un po’ malinconico «ma col tempo ho compreso ed accettato la tua scelta. Non faccio altro che aspettarti, tutti noi non desideriamo altro che vederti brillare ancora». Cheondung mi abbracciò forte. Lo guardai e questa volta mi sembrò lui quello bisognoso ed affamato d’affetto. Gli circondai il busto con le braccia e percepii come i nostri ruoli erano cambiati in quell’istante, quasi come se avessero passato tra loro una sottospecie di staffetta «non vi deluderò ancora» mormorò sottovoce e quelle parole penetrarono sin dentro la mia anima; che strano effetto stavo avvertendo «tu non ci hai delusi» gli confidai sottovoce, scuotendo la testa ripetutamente a destra e sinistra «ti vogliamo bene, siamo affezionati a te come persona e rispetteremo sempre tutte le tue scelte, anche se quest’ultime a volte fanno male. Il fatto che possiamo ancora vederti, stare in contatto con te, per noi è un vero privilegio».
In quel momento sapevo che stavo parlando a nome di tutti gli A+ che avevano sofferto la divisione degli MBLAQ. Ero arrabbiata con Cheondung perché non avrei mai voluto che prendesse quella decisione, ma col tempo avevo compreso che – probabilmente – i motivi andavano ben oltre a quelli che potevamo solamente immaginare. Avevo pensato che era successo tra loro come succede ad una famiglia unita: si arriva ad un punto in cui i figli crescono e son costretti ad abbandonare il nido, ma nulla impedirà mai loro di farne ritorno e sapevo con certezza che sarebbe successo lo stesso con gli MBLAQ.

Verso sera mi ritrovai seduta sul ruvido tappeto in fibra nel mio appartamento in compagnia di Jun. All’esterno la luna pallida era alta in cielo, illuminando l’intero vicinato in sostituzione al lampione che aveva deciso di smettere di funzionare una volta per tutte.
La musica si liberava nell’aria creando un’atmosfera confortevole, mentre tra le mani stringevo una bevanda analcolica acquistata da Jun per festeggiare il mio inizio da trainee preso la Def Skool.
Sul tavolino basso in legno snack e tartine giacevano per metà consumati. Mi sdraiai a pancia in giù stringendo il cuscino al petto affondandovi il viso ed alzai la testa nell’istante in cui percepii lo sguardo di Jun sulla mia figura «quindi che hai intenzione di fare?» mi chiese.
Prima che salutassi Cheondung , ci eravamo fermati a parlare delle cose più disparate e alla fine avevo raccontato lui di Seungho nello stesso e identico modo avvenuto con i ragazzi. La sua reazione era stata alquanto diversa, nessuna risata innalzata al cielo, nessun velo di preoccupazione od esigenza di nascondermi qualcosa. Si era semplicemente limitato ad annuire e darmi un consiglio.
«Andrò ad Anyang» risposi, seguendo appunto il consiglio datomi «Cheondung..» dissi infatti «mi ha detto che domani ci sarà l’open day alla School of Arts, seguito da una specie di festival aperto a tutti. Mi ha confidato che Seungho è solito andarci e quindi c’è la probabilità di incontrarlo» una su cento in verità «ma sarà sicuramente pieno di studenti e potrebbe anche decidere questa volta di assentarsi» fece presente lui. Mi misi seduta stringendo ancora il cuscino e sospirai «hai ragione ma cosa ho da perdere ancora?» lo guardai con occhi supplichevoli «e poi sei stato tu stesso a dirmi che devo fare di tutto pur di chiarire questa situazione». Jun sospirò a sua volta ed annuì «vuol dire che ti accompagno» aggiunse, allungandosi a pendere un altro snack. Feci un balzo felice dal posto e mi fiondai ad abbracciarlo, lasciando scivolare sul tappeto la tartina che stava quasi per addentare. La stessa cadde dalla parte della salsa sporcando tutto «aish guarda che hai fatto» si lamentò lui ma io lo ignorai, poiché ero grata e felice della sua amicizia e dell’aiuto che era da sempre stato disposto a darmi.

Il giorno seguente la mattinata era calda e luminosa – nonostante fosse Ottobre – come uno scorcio d’estate in un periodo invernale sonnolento e tiepido.
Il treno correva veloce sulle rotaie in direzione della città di Anyang, tra una vegetazione ricca e fascinosa.
Jun dormiva tranquillo accanto a me, con la testa schiacciata contro il vetro che rimbalzava di tanto in tanto contro lo stesso, creando un teatrino alquanto divertente. Per quanto mi riguardava, invece, stavo combattendo contro i miei sentimenti e la paura di fallire nel caso lo avessi avuto davanti ai miei occhi.
Mi sporsi appena con la testa all’esterno e respirai in ogni alito di vento il profumo di lui. Mi sembrava di sentirlo sul serio, quel profumo che – anche a distanza di due anni – non avevo dimenticato.
Quando fummo a destinazione, svegliai Jun con pacatezza ed insieme ci dirigemmo verso la scuola.
Risalii una collina e superai un tratto di strada alquanto isolato, col cuore che cresceva di pulsazioni ad ogni passo compiuto. Eravamo ormai arrivati in vetta, in vista dell’enorme scuola, e quando la intravidi, sembrava quasi luccicare davanti a me nella luce sferzante del mattino. Strattonai Jun per il braccio in preda a diverse emozioni.
Ci avvicinammo all’ingresso e notammo un enorme cartellone di benvenuto posto sul cancello di ferro. Intorno a noi una folla schiamazzante di studenti che si riversavano in strada «siamo qui» mormorai quasi in modo impercettibile al mio amico.
Sentii che quello fosse un momento importante nella mia vita, nella mia intera esistenza. Stavo assaporando in qualche modo una fetta del suo passato e, chissà, forse lo avrei riconosciuto tra quella folla di persone dalle divise nere e marrone scuro.
«Va tutto bene, Mar?» Jun poggiò preoccupato una mano dietro la mia schiena, lo guardai ed annuii immediatamente «va tutto bene» dissi, avanzando e facendomi spazio tra la folla.
Ci inoltrammo all’interno del cortile e tra i diversi stand messi lì con lo scopo di presentare ai visitatori le diverse attività che la scuola offriva: canto, ballo, recitazione.. ma della sua presenza nemmeno l’ombra.
Fino a quando delle urla scalfirono completamente il mio sistema nervoso. La sudorazione aumentò come se nulla fosse, il mio corpo ed il mio cuore avevano già capito.
Un paio di ragazzine avevano formato un cerchio intorno a qualcuno. Jun si girò in quella direzione e lo sentii stringermi la mano come mai osato prima. Io lo sapevo; sapevo si trattasse di lui.
Mandai giù nervosamente della saliva mentre il mio cuore cominciò a correre più veloce della luce. Stavo quasi per sentirmi male. La terra sotto i miei piedi stava iniziando a mancare e nel cielo sembrava essersi formato uno strano squarcio.
Girai lentamente la testa e lo vidi lì, col capo chino a firmare autografi.
Era bello, bello da spezzare il fiato, bello come sarebbe stato bello il sole in una giornata uggiosa.
«Mar devi andare da lui» Jun aveva lasciato la mia mano e mi aveva stretta per le spalle portandomi davanti a lui «io..io non posso» dissi tremante «cosa vuol dire che non puoi? Perché siamo venuti fin qui allora?» il tono autoritario di Jun si palesò a me nuovamente. Guardai ancora verso la figura di Seungho ed il fiato mi si spezzò. Avvertii una forte pressione allo sterno «io non ci riesco, non ce la faccio». La reazione che ebbi sorprese anche me. Scossi la testa ripetutamente e le lacrime minacciarono di uscire «Mar al diavolo tutto non può comportarsi così quando avete mischiato corpo ed anima» il tono della sua voce dovette essere più alto del solito, poiché la folla di ragazzine smise di gridare e si girò verso di noi. In quel momento anche Seungho alzò la testa. Alzai lentamente lo sguardo a mia volta con le lacrime ferme sulle guance e di nuovo i nostri occhi si incontrarono: se la sensazione di essere lì non fosse stata così reale, avrei anche creduto di star sognando.
Le sue labbra si schiusero dallo stupore ed il pennarello che stringeva tra le dita cadde al suolo. Lo vidi compiere un passo verso di me, poi un altro e un altro ancora, sino a quando sentii la forza mancarmi ed il buio incombere sulla mia persona. 

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