Amore e altri difetti

di Niruh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Amore e altri difetti

Capitolo 1

“Che noia! Questo programma è impossibile!” esclamò lamentandosi una donna dal rossetto rosso e i capelli pettinati all’indietro. La ragazza a cui si era rivolta aveva sicuramente molti anni meno di lei, ma , anche se improbabile, ancora meno gusto nella scelta del proprio look. Sentendo la collega lamentarsi si poggiò con le mani sulla scrivania ed arricciò le labbra, diede uno sguardo all’indietro e facendo un sorrisetto guardò maliziosamente la donna.
“Perché non chiedi a quella nuova?” Più che un consiglio la domanda sembrava una provocazione.
Quella nuova, come la chiamavano tutti ormai, era Emma: una ragazza alta dai lunghi capelli neri. Più di tutte le diavolerie infernali o gli appellativi sgradevoli, lei odiava le persone che non ricordavano il suo nome. Insomma, se sapevano che lavorava lì e che era un genio del computer perché sapeva mandare una mail, potevano pur fare lo sforzo di ricordare il suo nome. Anche la targhetta che aveva in bella mostra sul petto poteva aiutarli.
Ma lei sapeva benissimo che era un comportamento studiato. Aveva già sentito voci di corridoio che dichiaravano il suo come uno dei posti più ambiti. Era tutto un fattore di soldi allora?
Lei non voleva assolutamente lavorare lì, e spiegare il perché vi si trovasse era così complicato che non aveva nemmeno la forza di pensarlo.
Stancamente si poggiò su una mano e fissò il pinguino con i pantaloncini che aveva messo sulla scrivania. Era uno dei regali che suo fratello Giulio le aveva inviato dal Giappone. Quasi le veniva di scuotere la testa insieme a lui quando si annoiava.
All’ improvviso le arrivò un fascicolo in testa e, alzandosi di scatto, si guardò malamente intorno per cercare il colpevole di quel gesto. Tutti però sembravano aver improvvisamente trovato una nuova ragione di vita nel lavoro, non c’era nessuno che non fosse chino a scrivere sul proprio computer.
Emma emise un respiro arrabbiato. Diciamo che l’essere calma non era mai stato nella sua indole. Prese il fascicolo e lo buttò direttamente nel cestino. Se non importava a nessuno, allora poteva essere buttato.
Dopotutto mancavano poche ore alla chiusura dell’ ufficio e non le andava assolutamente che le rovinassero la giornata. Aveva finito tutto il suo lavoro e persino anticipato quello del giorno dopo, ma per evitare che le chiedessero dei favori aprì Word e iniziò a scrivere parole a caso, molte delle quali avevano a che fare con vecchi successi Rock.
Quando i suoi colleghi iniziarono a raccogliere le giacche e andarsene, infilò la sua e spense il computer. La monotonia di quel gesto, che ormai ripeteva ogni giorno, la fece sentire un po’ triste. Che fine aveva fatto la ragazza creativa dalla battuta veloce che strimpellava la chitarra e cantava quello che le pareva fino ad esaurire la voce?
Questa domanda la accompagnò anche quando uscì dall’edificio e l’arietta fresca delle serate di marzo le accarezzò il viso. Non aveva assolutamente voglia di tornare a casa. Per una ragazza con il suo carattere era umiliante vivere ancora con i genitori a ventisette anni. Il suo animo era sempre stato quello di una sognatrice. Persino quando aveva capito di non poter viaggiare in moto per il mondo si era sentita meglio. Suo padre le aveva fatto notare che aveva solo sedici anni e non possedeva una moto. Eppure il tempo aveva lasciato quel sogno in un cassetto.
Quello che stava facendo era per una buona causa. Per se stessa non l’avrebbe mai fatto, di sicuro.
E anche se Emma non voleva pensarci, tornò con la mente ad un mese prima, quando tutto era iniziato.

Un mese prima.

Per una persona come Emma, che non aveva mai avuto bisogno di più di un cerotto, la probabilità che un essere umano si rompesse entrambe le braccia cadendo dalle scale era praticamente assurda. Eppure guardare suo padre dall’altra parte del tavolo, con entrambe le braccia ingessate, le fece capire come mai non avessero mai vinto al super enalotto.
“Spiegami di nuovo come è successo...?” gli chiese cercando di rendere la domanda meno strana e meno da presa in giro di come le fosse suonata in testa. In tutta risposta suo padre la guardò torvo e continuò a mangiare la colazione aiutato dalla moglie.
“Fallo respirare un po’, Emma”. Il tono che sua madre le rivolse sapeva di rimprovero e compassione; infondo era lei a dover fare il doppio delle cose ora che il marito era infortunato.
“Ho capito. Vado in camera mia”. Credeva che fosse la cosa migliore da fare in quel momento. Velocemente si alzò e andò verso il corridoio.
“Lisa, non so proprio come fare con il lavoro” sentì dire dalla voce profonda dell’uomo.
“Vedrai che ce la caveremo” rispose la moglie per rassicurarlo. Emma corse veloce verso la sua camera e si chiuse la porta alle spalle. Le piaceva fuggire dai problemi a volte, in verità lo faceva spesso. Faceva battute e passava ad altro. Suo fratello Antonio le diceva sempre che ricercava una via di fuga dai problemi perché non era mai cresciuta e viveva in un mondo che non esisteva, chiusa tra il passato e un futuro idealizzato. Quando, dopo il discorso, suo fratello l’aveva guardata comprensivo, lei era scoppiata a ridere in modo nervoso. Sapeva benissimo che la realtà non aveva mai rappresentato nulla di buono per lei. Anche il fatto di essere ancora disoccupata dopo tanti anni la diceva lunga. Suonava in qualche locale, sì, ma sempre più raramente. E poi il passato. Guardando le pareti della sua camera tappezzate con poster di gruppi rock e copertine di album si sentì enormemente in colpa. Ognuno ha un bambino che vive dentro di sé, ma nel suo caso la ragazzina brufolosa era lei. Non era mai riuscita a capire cosa volesse dalla vita. Quando le chiedevano cosa volesse fare da grande lei rispondeva con voce pronta e sicura che fare la musicista sarebbe stata la sua vita. Ma lo diceva con il cuore? Con il tempo aveva capito che tutta la sua esistenza si era basata su una bugia.
Non sapeva cosa voleva fare da grande, non l’aveva mai saputo. Fare la musicista era il sogno della sua amica Jessica. La bambina con le treccine con cui fece un patto di sangue eterno e che in terza liceo non la salutava più. C’erano troppe cose irrisolte, troppi pensieri senza spiegazioni, così tanti dubbi che Emma inseguì il sogno di qualcun’ altro… e vi era ancora attaccata. 
Dopo poche ore tornò in cucina. Sua madre stava lavando i piatti, mentre suo padre guardava la televisione in salotto. Emma prese una delle spugne gialle ed iniziò ad aiutare sua madre. La donna sorrise e le diede un bacio sulla guancia, quel piccolo gesto l’aveva resa felice.
“Oh, prima che me ne dimentichi” disse la madre asciugando le mani con uno strofinaccio. Frugò in un cassetto e ne cacciò una cartolina.
“E’ arrivata questa da Filippo. Chissà se si trova bene nella nuova città.” le disse girando il cartoncino tra le mani. Poi guardò la figlia con quello sguardo che solo le mamme un po’ ficcanaso possono rivolgerti: malinconico e malizioso allo stesso tempo. Emma sentì quasi di essere tornata adolescente.
Filippo era un grande amico di suo fratello e da ragazzo era sempre lì da loro. Ma da quando sia lui che Giulio erano diventati dei pezzi grossi la casa si era svuotata anche della sua presenza. Emma si era innamorata di lui lentamente, passando dai brufoli agli occhiali mentre lui diventava un uomo. Avevano quattro anni di differenza e lei era stata così presa da lui negli anni da rifiutare i suoi coetanei. Quando sei un’adolescente però quattro anni pesano come dieci. Il tempo e la sua mancanza avevano fatto la loro parte nell’aiutarla a dimenticarlo. Aveva scelto una strada tutta sua, non poteva fare altro che accettarlo. E poi quando…
“Dice che verrà a farci visita a marzo. Dovremmo avvertirlo che Giulio non sarà qui…” sua madre sapeva che era successo qualcosa. Altrimenti non avrebbe avuto problemi a farlo andare a casa senza che Giulio fosse lì.
‘Ma non si sono parlati? Strano’ pensò Emma. “Tranquilla, mamma, parlerò con il tuo primogenito in lizza per il trono” cercò di sdrammatizzare.
"Da quando gli hanno affidato la vicepresidenza della compagnia non lo vediamo quasi mai” notò sua madre. Ed era vero. L’ultima visita di Giulio risaliva a quasi un anno prima. Nonostante le lunghe chiacchierate in webcam, mancava a tutti. Emma capiva la tristezza di sua madre, in pochi anni il rumore e il trambusto che producevano tre figli e i loro amici si era ridotto a quello di uno solo. Per una madre, infondo, è sempre bello sentire i propri figli per casa.
Lei, per quanto facesse battute e scherzasse, ultimamente doveva ammettere di essere diventata un po’ taciturna.
“Emma!” gridò suo padre. In altre situazioni avrebbe sbuffato e si sarebbe lamentata sul modo poco carino in cui i genitori sfruttano i figli, ma, viste le condizioni dell’uomo, quella volta lasciò tutto ed andò da lui.
“Dimmi” gli disse entrando in salotto.
“Metti il canale sportivo”. L’uomo fece un cenno verso il televisore e subito dopo verso il telecomando. Emma sapeva che suo padre prendeva in considerazione solo uno sport. Probabilmente al test  quanto conosci Giuliano avrebbe totalizzato il massimo, ed un uomo in smoking le avrebbe consegnato un premio come migliore figlia dell’anno.
“Quello con le donne mezze nude che lottano nel fango?”
“Sì”
“Non è il canale sportivo, ma va bene” gli disse sorridendo e sedendosi al suo fianco. Due bionde intanto iniziarono a picchiarsi ed imbrattarsi sullo schermo ed Emma si irritò per la mancanza di rispetto verso le donne in quello show.
“Devi andare a lavorare al mio posto” disse suo padre ad un tratto, usò quel tono dolce e profondo per blandirla. Anche la situazione aiutò.
“In che senso?” domandò lei voltandosi. Non era scherzosa né irritata né altro, il che stupì entrambi.
“Sai che nelle mie condizioni non posso lavorare. Il mio capo sta cercando di venirmi incontro e mi ha chiesto di proporgli qualcuno che prenderà il mio posto temporaneamente. Quando starò meglio, potrai lasciare il posto a me.” Emma sentì la tristezza nelle parole di suo padre. In verità era la paura di perdere il posto più che la tristezza, e la ragazza aveva capito tutto. Suo padre ormai aveva cinquantasette anni e, se il suo sostituto fosse stato più giovane e veloce di lui sul lavoro, avrebbe perso il posto. Lei invece non si sarebbe mai imposta.
“Va bene” rispose semplicemente.

Ed ecco quindi come mai si trovava un mese dopo a passeggiare per le vie della città pensando alla sua vita. Lo faceva per suo padre e questo la rendeva felice, ma sentiva un vuoto dentro di sé.
Forse il successo dei suoi fratelli la faceva sentire un po’ una perdente. Insomma, suo fratello Giulio lavorava come vicepresidente in un’impresa di elettronica giapponese e suo fratello Antonio era uno stimato psicologo e aveva partecipato alla stesura di vari articoli. Ma la cosa che invidiava di più era che tutti e due avevano, a modo loro, trovato l’amore. Ed avevano già una banda di figli. Le sembrava a volte di vivere in un telefilm , ma lei era la sfigata di turno e basta, non un’attrice famosa che alla fine si fa raggiungere su un ponte per una dichiarazione d’amore e un’offerta lavorativa.
Quando arrivò a casa le sembrò che il tempo fosse volato e si preparò alla sua serata davanti al televisore della cucina a mangiare cioccolata e cracker. I suoi genitori le chiesero come fosse andata la giornata e poi iniziarono a guardare un film.
Emma mandò un paio di messaggi alla sua migliore amica Anna per tastare il terreno sull’appuntamento che l’amica aveva quella sera. Era il terzo con lo stesso ragazzo. In caso di alitosi o mano morta sarebbe intervenuta per salvarla. Dopotutto Anna aveva fatto lo stesso per lei.
Tutto bene per ora. Confermo che ha un polso stupendo!
Il messaggio fece ridere Emma. L’amica era una designer di gioielli e osservare i polsi e colli delle persone era una deformazione professionale.
Mentre il quinto cracker stava per essere divorato le squillò il cellulare. Era Anna.
“Oh mio Dio! Non puoi capire! Ha riso alle mie battute e non per gentilezza. Cose che fai solo tu praticamente. Sono emozionata”
“Scommetto che hai detto di dover andare in bagno solo per chiamarmi” disse Emma ridendo.
L’amica sbuffò “ Ovvio che l’ho fatto. Sai che non so stare un secondo senza commentare le cose”
Ci fu un attimo di silenzio. “Credo sia quello giusto, Emy”
“E’ una cosa bellissima. Quindi sei una capra se non torni da lui entro due secondi.”
“Io…” iniziò Anna.
Emma capì solo in quel momento perché l’amica si fosse trattenuta tanto nel raccontarle i dettagli degli altri appuntamenti. Anna era una di quelle persone che mantengono le loro promesse a tutti i costi.
“Ok, senti” prese un respiro per trovare le parole giuste “abbiamo detto quella cosa a quattordici anni mentre io ero cotta di Filippo e pensavo di sposarlo appena avrei avuto il coraggio di dire a mia madre che la frangetta mi faceva sembrare un’imbecille. Non ho nessun problema a restare single. Non dobbiamo per forza sposarci nello stesso anno e avere i bambini nella stessa classe alle elementari. Sono più che sicura che questo tipo di promesse dopo dieci anni cadono in prescrizione”.
“L’hai letto su Focus?” chiese Anna e si sentì dalla voce che stava sorridendo.
“E dove, sennò? Non essere sciocca. Poi sono certa che mio figlio avrebbe preso dal padre e tirato le treccine a tua figlia per attirare l’attenzione. Salvaguardiamo l’acconciatura della tua bambina”
“Va bene, torno da lui”
Chiusero la chiamata e Emma fu davvero contenta per l’amica. La mattina dopo l’avrebbe sommersa di notizie.
Cancellò l’ennesimo messaggio del suo ex, un idiota che l’aveva tradita mentre erano ospiti ad un matrimonio.
Dopo quel giorno e l’aver detto al cielo che odiava i matrimoni il suo gruppo era stato ingaggiato proprio per un matrimonio. Tra tulle, corsetti ricamati, confetti e tante –troppe- canzoni popolari aveva abbandonato qualsiasi sentimento sognante al riguardo. Anche la rabbia era sfumata in fretta.
Il giorno seguente, nel pomeriggio, sarebbe andata a suonare ad un altro banchetto nuziale. Anche se la cosa non la esaltava, avrebbe guadagnato qualcosina e sapeva che i ragazzi del gruppo le avrebbero tirato su il morale.

“Credi che il testimone dello sposo giochi nella mia squadra?”
Emma si voltò a guardare il ragazzo in smoking. Probabilmente viveva in palestra e aveva un contratto annuale con i produttori di gel.
“Ti direi di entrare in modalità conquista, Patrick. Se un decimo del suo essere etero è in dubbio, cadrà ai tuoi piedi”.
Patrick, il tastierista, alzò un sopracciglio in tono ammiccante. Emma lo conosceva da abbastanza tempo da aver visto che non aveva difficoltà a trovare un ragazzo. Lei stessa aveva fantasticato a lungo su di lui e sul suo corpo perfetto. Da buona amica, ovviamente, e non solo prima di scoprire tragicamente che non avrebbe avuto nessun genere di possibilità.
“Se riesce a resisterti, passerai il numero a me. Ho un favore da riscattare” gli ricordò.
“Bene, fra quando attacchiamo?”
“Hai un margine di dieci minuti, lo zio brillo del tavolo in fondo sta dando abbastanza spettacolo”
Mentre l’amico metteva in atto le sue abilità, Emma mangiò la prima portata di pasta offerta dal ristorante e desiderò non staccarsi più da quel piatto. Fantasticò così tanto su quei paccheri al sapore di mare che quasi non vide Patrick trionfante che si avvicinava mostrandole il cellulare.
La serata passò tra canti popolari e qualche nuova hit pop. Era assurdo quanto fossero sempre uguali le richieste. Emma cantò solo per gli sposi un’ultima canzone. Erano talmente carini insieme mentre si guardavano negli occhi che quasi si commosse. Era successo pochissime volte.
Oh, no, no. Smettila con le fantasie. Gli uomini decenti o sono impegnati o sono gay.
‘O se ne vanno oltre oceano’
le disse una vocina.
Non aveva mentito ad Anna. Davvero non aveva problemi a rimanere single. Molte delle coppie a cui aveva cantato canzoni melensi già non stavano più insieme e si gettavano frecciatine velenose sui social network. Meglio stare sola che fare quella fine, no?
Raccolsero gli strumenti e i ragazzi la riaccompagnarono a casa.

La mattina seguente fu svegliata dal ciarlare della loro vicina di casa. Era una di quelle signore il cui unico scopo dopo la pensione è sapere tutto della tua vita. I figli se ne erano andati molti anni prima e l’unico esemplare non accasato nei suoi paraggi era Emma. La ragazza provò a riaddormentarsi, ma l’impellente bisogno di fare pipì la tradì.
Doveva uscire da quella camera, ma come avrebbe fatto a non farsi vedere dalla vicina? Era ancora in cucina a sommergere sua madre di chiacchiere e il bagno era proprio tra camera sua e la cucina.
Considerò seriamente di usare qualcosa che aveva in camera, ma teneva troppo alla sua tazza dell’amicizia o al portapenne così prese coraggio e uscì.
“Oh, cara, buongiorno! Stavamo giusto parlando di te!” esclamò la donna.
Uh, ma che novità.
“Signora Carla, mi scusi, ma devo andare un attimo al bagno” chiuse la porta come se fosse la sua salvezza e si liberò del bisogno. Poi cercò di perdere tutto il tempo del mondo contandosi i punti neri, leggendo la descrizione dello shampoo e selezionando i prodotti per colore. Ma la signora Carla continuava a parlare così, per pietà verso sua madre, Emma tornò in cucina.
“Tua madre mi ha detto che sei stata al matrimonio della figlia di Martoni ieri. Ho visto le foto, lei era deliziosa! Ho saputo anche che aspetta già un bambino” disse soddisfatta per il solo fatto di saperlo.
Emma pensò che era una cosa privata e si chiese se la ragazza volesse che ne parlassero in giro.
“E tu, quando ti sposi?”
Ecco. Ormai le aveva posto la domanda tante di quelle volte che le bastava inserire il pilota automatico per rispondere. Una volta gliel’aveva chiesto al supermercato prendendola alla sprovvista e poteva giurare che la signora si fosse appostata dietro ai barattoli di piselli.
Sorrise falsamente. Anna le diceva sempre che quando faceva quel tipo di sorriso sembrava colta da paresi facciale.
“Quando troverò l’uomo giusto” il giorno del mai.
“Io ho un bellissimo nipote” enfatizzò la cosa a gesti ed Emma cercò in sua madre una via di fuga. La madre le rispose comprensiva con gli occhi e le fece capire che anche lei non ne poteva più.
Continuò a parlare e parlare ed Emma inserì il pilota automatico dicendo sì a tutto. Non le importava se le avrebbe organizzato un incontro con il nipote o con il figlio di Aladino, voleva solo chiamare Anna.
“Oh, perfetto! Ora vado a casa, oggi avevo pensato di cuocere i ceci. A dopo”
Un istante dopo la sentirono fermare il signore uscito a portare a spasso il cane.
Grazie per il tuo sacrificio. Sarai ricompensato. Forse.
“Mamma, ricordi quando frequentavo la seconda liceo e papà ricevette quell’offerta di lavoro in capo al mondo e tutti ci impuntammo perché dicesse di no? Che errore.”
Sua madre sorrise, ma per tacita educazione non disse nulla di irrispettoso sulla vicina e andò nel giardino sul retro.
Emma preparò un cappuccino e chiamò Anna. Aveva trovato molte chiamate perse, doveva essere impaziente di raccontarle del quarto appuntamento.
“Emy… stai bene?”
Emma fu sorpresa dalla domanda. “Certo che sto bene”
“No, sai, perché ieri pomeriggio eri al matrimonio e non abbiamo avuto modo di parlare. Su facebook ho letto che –“
“Anna, sai già che non mi interessano queste cose”
“Si tratta di Filippo”
Ad Emma sembrò che il tempo si fosse fermato.
“Sai che non mi interessa più” disse. Cercò di risultare tranquilla, ma la voce la tradì.
Anna sospirò. “Lo so” rispose, ma suonò tanto da so che non è vero.
“Ha scritto una cosa che deve essere per forza riferita a te, altrimenti il mondo non ha più senso”.
Emma si sentì strana. Aveva nascosto una cosa ad Anna, ma lei sembrava aver intuito più di quanto credeva e lo sapeva per certo anche senza aver letto qualsiasi cosa lui avesse scritto.
“Penso sia cambiato in meglio” continuò l’amica anche se lei non aveva risposto.
“Emma” provò a farla riprendere. “Ha rotto con la fidanzata. E penso proprio che sia tu la causa”
Cosa? IO?! E perché mai lui dovrebbe lasciare la sua fidanzata per me? Io me ne sono stata buona buona a non fare niente mentre lui cambiava città e donne in continuazione.
Non mi interessa” concluse. E sentiva di doverlo a se stessa. Dopo tutto quello che era successo. Dopo essere stata ignorata e ferita. Le sembrò di sentire Anna scuotere la testa dall’altra parte del cellulare.
“Emy, tu non capisci, lui –“
Prima che Anna finisse la frase si sentì il rumore della chiave che girava nella toppa e una voce inconfondibile riempì la casa.
“Ah, menomale che papà non ha cambiato la serratura! Famiglia, sono a casa!”
 Giulio!
Emma corse verso l’ingresso e saltò al collo del fratello gridando dalla felicità. Lui quasi cadde, ma lasciò la valigia e tornò subito in equilibrio tirando su la sorella.
“Sei ingrassata, panda”
“Anche tu, scemo, ti sei ammollato. Ma in Giappone non mangiate solo germogli?” lo prese in giro tornando in piedi e punzecchiandogli i finti addominali. Suo fratello si spostò e solo in quel momento lo vide.
Aveva i capelli più corti, ma era sempre lui con quegli occhi verdi che l’avevano fatta innamorare. Era più alto di come ricordava e ancora più in forma.
Era così bello, così lui, che lei si sentì inadeguata, con i capelli sfatti, in pigiama e senza trucco. Arrossì e lottò contro il suo corpo per evitare che il sangue le arrivasse alla faccia, ma fu inutile.
“Ciao, Emma” le disse con quel suo sorriso sghembo.
Sembrò dirle il mondo con gli occhi, ma Emma abbassò lo sguardo e si scusò per allontanarsi. Non era da lei e si arrabbiò con se stessa. L’avrebbe dovuto prendere in giro, fare una battuta e sventolare i capelli con fare disinvolto, non scappare. Lui fece un passo verso di lei, ma Emma chiuse subito la porta. La sua camera le sembrava più stretta del solito mentre afferrava il cellulare che era rimasto nella sua mano tutto il tempo.
“Sei ancora lì” disse con sicurezza.
“Sì” rispose Anna. “Ho cercato di avvertirti, ma non mi hai fatto spiegare”
“Bene, ora, al volo: che diavolo faccio?!”
“Se non ti interessa più, puoi uscire tranquillamente così, no?” la punzecchiò l’amica.
“Sai che non è questo il punto! E’ ancora più bello di quanto ricordassi e sarebbe un affronto al mio orgoglio presentarsi così”
Sì, sì, proprio pensò Anna.
“Allora fatti bella e fagli capire cosa si è perso in tutti questi anni”

Emma si guardò allo specchio quaranta minuti dopo e non si sentì affatto bella, ma sapeva di avere qualche asso nella manica. Aveva avuto abbastanza tempo per pensare e trasferire l’insicurezza nella rabbia. Dopotutto era lui che se ne era andato. E lei era stata male per questo.
Uscì dalla camera con una sicurezza che non sentiva da tempo.  
Lo trovò in cucina, di Giulio neanche l’ombra. Emma si sentì accaldata nel vedere le ampie spalle di Filippo che si flettevano mentre armeggiava in cucina. Stava… cucinando?!
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio”
Alle sue parole lui si voltò e sembrò che il tempo non fosse mai passato.
Pensa alla rabbia, rabbia, rabbia…
Invece pensò al momento in cui aveva capito che si era irrimediabilmente innamorata di lui. Si rivide a quindici anni mentre con il cuore in gola camminava attraverso il corridoio dell’ospedale in cui la madre di Filippo era stata ricoverata per un problema respiratorio.
Era andata subito lì con Giulio e sua madre appena l’aveva saputo. Avevano trovato Filippo nel corridoio, con il viso stravolto e un peso troppo grande per i suoi diciannove anni.
Suo fratello gli diede una pacca. Poi il ragazzo abbracciò sua madre. Emma invece affondò la testa sul suo petto senza pensarci. Erano talmente vicini che sentì il suo cuore battere nelle orecchie. Si sentì diversa. Aveva sempre pensato a lui in modo sognante e sentimentale, ma non si era mai sentita così.
La madre del ragazzo si riprese, ma ebbe bisogno di qualche giorno di riposo.
In quel periodo Emma cucinò tutti i giorni per loro e fu contenta di aiutare visti anche gli impegni di sua madre con il lavoro.
Una sera Filippo le chiese se poteva insegnargli a preparare qualcosa per fare una sorpresa a sua madre per la colazione.
“Dimmi gli ingredienti ed io li prendo, chef” le disse mostrandole il suo sorriso sghembo. Aveva diciannove anni, ma da qualche anno l’accenno di barba lo faceva sembrare più grande.
“Farina, uova, zucchero, lievito e latte”. Decise che avrebbero preparato i pancakes.
Mentre il ragazzo prendeva gli ingredienti lei osservava il suo corpo e iniziò a sentirsi strana, accaldata. Era quella la pubertà di cui tanto parlavano? Le sembrava di averla da sempre.
Iniziarono a preparare l’impasto ed Emma gli spiegò tutti i passaggi facendogli anche sbattere le uova. Filippo sembrava felice dopo tanto tempo.
“Wow, sembra un dinosauro” disse il ragazzo eccitato come un bambino.
Emma guardò la pastella che lentamente si allargava nella padella e rise. “Ora però sembra che si è mangiato da solo tutto l’impasto. E’ un dinosauro obeso”.
Risero così tanto che senza rendersene conto si ritrovarono con i visi vicini. Filippo le aveva poggiato una mano sul braccio per reggersi dalle risate.
C’era lui, il suo sorriso ,il suo corpo. E poi c’era lei già così cotta di lui. Le batteva il cuore così forte che pensò che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Quando realizzò di essersi definitivamente innamorata di lui, Filippo fece una faccia strana e staccò la mano dal suo braccio come se si fosse scottato. Emma rimase disorientata e cercò di chiedergli cosa fosse successo, ma lui guardò verso la finestra.
“E’ meglio che torni a casa. E’ tardi, ma chiamerò Giulio”  disse serrando la mascella.
Emma avrebbe quasi voluto urlargli di guardarla, ma non lo fece.
E’ ovvio che una ragazzina banale come me non gli interessi. Cosa avevo in mente?
Aspettarono suo fratello in silenzio e quando arrivò Emma prese le sue cose con stizza. Era arrabbiata e offesa, come solo una ragazza rifiutata può esserlo.
“Cosa è successo?” le chiese suo fratello in macchina. Era preoccupato.
“Niente” ed era esattamente quello il problema.


Note dell'autore:
Sono molto affezionata a questa storia e spero che vi faccia scappare qualche sorriso. E' nata come una storia leggera, ma è diventata molto di più.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Amore e altri difetti

Capitolo 2

“Filippo, questi pancake sono ottimi, ma quelli di Emma sono imbattibili” esordì il signor Giuliano facendo cenno alla moglie di dargli un altro boccone. L’uomo aveva un debole per i dolci e fortunatamente un’abile figlia ai fornelli. Negli anni era diventato un intenditore, tanto da non sentirsi in imbarazzo ad imitare i giudici dei programmi culinari con assoluta convinzione.
Filippo sorrise e guardò Emma come si guarda qualcosa di prezioso, con gli occhi brillanti, in modo talmente sincero che ad Emma quasi andò di traverso il suo, di boccone.
Lo faceva sempre, da quando erano ragazzi. A lei facevano un complimento per il buon voto a scuola o la torta appena sfornata  e lui sorrideva come se avessero elogiato lui. Era destabilizzante.
Devo smetterla di bere ai matrimoni.
“Beh, non sempre l’allievo supera il maestro, Daniel-san” rispose semplicemente imitando il maestro Miyagi.
“In Giappone, all’inizio, avevo un sensei che gli assomigliava in modo impressionante” commentò Giulio ridendo.
“Eccolo che inizia con i vocaboli strani” scherzò Filippo. “Sono stato da lui e mi sono perso in un negozio di giocattoli di nove piani. C’erano bambini dappertutto strafatti di zuccheri e non facevano che indicarmi e chiamarmi con appellativi strani. Ancora devo capire se mi hanno offeso o no”.
E’ stato da Giulio? Emma se lo chiese venendo presa alla sprovvista. Chiamava spesso suo fratello e lui le raccontava persino quante volte era andato in bagno il nipotino, quali erano i dipendenti più strani al lavoro e se la moglie faceva l’isterica. Persino se il postino gli aveva portato la posta e lo diceva davvero spesso, per vantarsi della velocità e puntualità dei nipponici. Emma l’ultima volta gli aveva anche risposto facendogli notare che era un po’ triste sapere precisamente quando arriverà qualcosa. Gli italiani non sanno mai se e quando arriverà loro la posta e il mistero rende tutto più eccitante.
Lei  e suo fratello avevano un rapporto speciale da sempre. Quasi si sentì tradita a sapere che non le aveva parlato di quel dettaglio. Ma avrebbe indagato, eccome.
“Emma, raccogli i piattini” la riscosse la madre sistemando il cuscino al marito sul divano. Nel frattempo Filippo, Giulio e suo padre avevano intavolato una discussione sul calcio così Emma prese la palla al balzo.
“GiuGiu, non penso che a papà interessi di Holly e Benji, mi aiuti con i bicchieri?”
Finse perfino di essere in difficoltà con i cinque enormi piattini in una mano ed il bicchiere nell’altra. Era un piano perfetto. Suo fratello avrebbe preso i bicchieri, lei i piatti e si sarebbero avviati verso la cucina dove lei l’avrebbe ammanettato e illuminato con la lampada da interrogatorio.
Quasi sorrise per la soddisfazione di aver avuto un’idea così brillante.
“Ti aiuto io” disse Filippo alzandosi e prendendo i bicchieri.
Cosa?! NO! Assolutamente no! Non doveva andare così!
Guardò quello sfaticato cronico di suo fratello e lo fulminò con lo sguardo, ma lui fece l’indifferente.
“Oh, grazie” e sorrise a Filippo. Era senza speranza.

Neanche al cenone di Natale aveva desiderato avere una lavastoviglie più di quel momento. Quei cinque piattini sembravano infinitamente sporchi. In realtà il suo piano originale non era affatto lavarli, ma cosa poteva fare? Lui li aveva posati sul lavandino e non era tornato in salotto. Così Emma aveva iniziato anche a sistemare la cucina e pulire i fornelli.
Ad un certo punto suo fratello Giulio era persino andato a chiudere la porta e lei ne era rimasta altamente sconcertata.
Ma che ha mio fratello oggi?
“Beh, allora“ Filippo prese tempo. “Come stai?” aveva detto poi afferrando uno straccio ed iniziando ad asciugare i piattini.
Uh, vediamo un po’. L’averti visto dopo tanto tempo sembra avermi turbata più di quando mi ricoverarono per l’appendicite, mio fratello è diventato completamente pazzo da un giorno all’altro e per di più non riesco a guardarti negli occhi senza sentirmi le gambe molli.
“Bene”, rispose. Grattò un po’ di pastella dai fornelli e sentì di dovergli la verità se ne voleva altra in cambio.
“Io sono-“ iniziò Filippo con un sorriso sulle labbra.
“A ripensarci non sto affatto bene” disse Emma nello stesso momento poggiandosi al piano della cucina. Filippo perse il sorriso ed un lampo di preoccupazione gli offuscò gli occhi. Emma si pentì subito di averlo interrotto perché lui non continuò la sua frase. La dualità dell’essere donna, quante volte l’aveva rovinata? Eppure non riuscì a fermare la domanda che aveva sulle labbra da quando l’aveva visto.
“Perché sei tornato?” non voleva neanche usare quel tono aspro, in realtà.
Gli occhi di Filippo si aprirono per lo stupore, ma si riprese in fretta e strinse la mascella mentre posava il piatto asciutto.
“Per tuo padre. Fra qualche giorno è il suo compleanno o non lo ricordi? Il mondo non gira intorno a te”. Ed uscì dalla cucina.
Non era la prima volta che le diceva una cosa del genere. L’ultima però era stata la peggiore. Era stato poco prima che lui se ne andasse e ad Emma non piaceva affatto ricordarlo. Quando pensava alla se stessa ventitreenne stava male nel rivedersi seduta sulle scale a piangere. Con la certezza che la vita fa schifo e che il cuore, a volte, fa maledettamente male.
Uscendo sul retro e sedendosi su quelle stesse scale quasi sperò di esorcizzare quel momento. Per quanto scherzasse e avesse sempre la battuta pronta non era affatto brava con le parole. Fin da piccola aveva capito quanto fossero pericolose. Bastava una virgola messa più in là in una frase o un tono diverso che qualcuno cambiava idea su di te.
“Emy… oh, no…” Anna era arrivata tardi, ma abbastanza presto da vedere Giulio prendere un furioso Filippo per un braccio e condurlo su per le scale. Eppure alla ragazza sembrava di averlo visto non solo arrabbiato, ma anche combattuto.
“Ti va di parlarne?”
Anna aveva usato quel tono protettivo che solo un’amica che sa tutto di te può rivolgerti. La prima volta che si erano parlate le aveva fatto la stessa domanda, ma il tono era più che altro curioso.
Avevano entrambe quattordici anni ed era la prima assemblea scolastica del liceo. In realtà era la prima in assoluto a cui Emma avesse mai partecipato.
Aveva scelto quel liceo per frequentare la stessa scuola di suo fratello, o meglio questo era quello che diceva in giro. In realtà era il ragazzo dagli occhi verdi la causa.
Mentre i suoi compagni di classe si avviarono verso la palestra per sentire parlare i rappresentanti, Emma cercò Giulio. Fu solo quando arrivò all’ultimo piano, dove si trovavano le aule del quinto anno, che desiderò averlo aspettato di sotto.
Filippo stava baciando una ragazza vicino ai distributori. Una ragazza che sembrava avere tutto al posto giusto, pensò Emma in quel momento, al contrario suo che aveva quei chili di troppo e la frangetta. Alla ragazza sembrò che il mondo le fosse caduto addosso schiacciandola senza pietà. Corse nel bagno delle ragazze e iniziò a torturare la carta igienica per ridurla in mille pezzetti e iniziò a singhiozzare sentendo di aver perso ogni speranza.
I lacrimoni le offuscarono talmente tanto la vista che quasi non si accorse che la porta era stata aperta.
Sulla soglia c’era Anna, al tempo frequentava l’altra sezione ma Emma la ricordava perché vestiva sempre in modo molto colorato e portava degli orecchini buffi.
“Ti va di parlarne?”
La se stessa ventisettenne accennò l’ombra di un sorriso all’amica. Fortunatamente non aveva più quattordici anni ed il suo mondo non girava più intorno a Filippo.

Giulio batté la porta talmente forte che cadde un po’ di intonaco. Stava già per staccarsi, ma fece lo stesso il suo effetto.
“Cosa diavolo era quello?”
“Di che parli?” iniziò Filippo.
“Amico, ti faccio un piccolo resoconto dell’ultimo mese. Piombi a casa mia –in Giappone!- alle due di notte e dici che la tua vita è vuota e senza senso. Non faccio in tempo a rendermi conto se sono io il pazzo o tu che te ne esci con questa storia di essere innamorato di mia sorella.
E ora, dopo che abbiamo preparato il discorso così bene, e credimi per farmi andare giù questa cosa ce n’è voluta, la tratti male? Mia sorella non è mai stata egocentrica, cazzone”
Filippo non si scompose per l’appellativo, dopotutto erano come fratelli e si erano detti di peggio. E poi come…?
“Ma hai origliato?”
La faccia arrabbiata di Giulio mutò impercettibilmente facendo capire all’amico di averlo beccato.
“Questo che… che cavolo centra?!” ribatté piccato.
“Era una conversazione privata”
“Lei è la mia sorellina e devo sapere se le fai del male”
“Giu, sei il mio migliore amico e sai che darei la vita per te, ma l’ultima volta che abbiamo fatto questo discorso non è andata bene. Penso, anzi ” sospirò “ sono sicuro che mi odia proprio per questo”
Giulio trasalì. Non ci credo mi sta dando la colpa per-
“Era una ragazzina! E tu un deficiente arrapato!”
Filippo si sedette sul letto distrutto e offeso. “E’ bello sapere quando gli amici hanno una buona considerazione di te”.
Era davvero così male come amico? Come possibile ragazzo? Aveva sempre trovato Emma simpatica, talmente tanto da preferire la sua compagnia a molti coetanei. E poi lei aveva sempre avuto quel modo di ridere che lo faceva sentire bene e in pace con il mondo.
Era come una sorellina per lui, ma l’aveva vista crescere sempre di più e diventare donna. E la cosa l’aveva turbato non poco.
Quella mattina aveva preparato i pancakes per darsi una seconda possibilità. Non solo perché era stata proprio lei ad insegnargli come farli, ma perché quel pomeriggio di tanti anni prima aveva assicurato una cosa a Giulio, una cosa che non sarebbe mai potuta accadere, ma che invece era successa.
Di quel giorno ricordò di essere rimasto in camera con Giulio e di aver scelto un gioco a caso da inserire nella consolle. Sua madre si era addormentata tranquillamente dopo giorni ed Emma era passata poco prima per portare loro il pranzo. Filippo aveva trovato talmente buona la pasta e il purè con i piselli che gli sembrò naturale elogiare Emma con il fratello.
“Tua sorella è davvero brava a cucinare. Se mamma lo fosse la metà di quanto lo è lei, sarei una botte e dico poco” disse sicuro di suscitare l’ilarità dell’amico battendo una mano sulla pancia. Giulio però diventò leggermente scuro in volto.
“Antonio ha iniziato a dire cose strane da quando vede te ed Emma di più insieme e non so, da quando me l’ha detto mi è scattato qualcosa in testa” inspirò per poi puntare gli occhi in quelli dell’amico in modo duro “Ti piace mia sorella, per caso?”
“Eh?!” A Filippo sembrò che a Giulio fosse spuntata un’altra testa tanto era assurda quella domanda. Mise in pausa il gioco e tranquillizzò l’amico.
“Ma no, che dici, è come una sorella per me, lo sai” gli spiegò calmo e Giulio lesse la sincerità nei suoi occhi.
“E tuo fratello Antonio è pazzo, da rinchiudere se vede cose che non esistono” constatò.
“Bene” Giulio riacquistò tranquillità e riprese a sorridere.
“Scusa amico, ma, anche se sembra più grande della sua età, è piccola sai e mi spaventa che qualcuno possa fare pensieri su di lei”
“Giu, ti assicuro che mai e poi mai potrei fare pensieri su tua sorella. Cioè, sarebbe troppo strano!”
Ma era stato proprio quel discorso casuale a far scattare qualcosa dentro di lui quella sera. Quando lui ed Emma si erano trovati con i visi vicini e aveva pensato che il suo braccio era caldo e che sarebbe stato bello carezzarle il viso, si era sentito un verme. Da allora aveva perso un po’ di naturalezza insieme a lei e cercava sempre di pensare a quello che faceva, ma a volte era così preso dalle emozioni che non ci riusciva.
Gli sembrava giusto quindi, in un modo sconsiderato e senza senso, cercare di rendere diverso quel ricordo. Avrebbe trasformato il diciannovenne complessato nel trentunenne che può finalmente togliere la pastella dal mento della ragazza che gli piace senza sentirsi in colpa. Lei però quella mattina non l’aveva aiutato, l’aveva guardato dalla soglia della cucina e poi era andata in salotto.
Filippo non aveva affatto considerato l’eventualità che a lei non andasse di cucinare insieme a lui. Forse il test del quoziente intellettivo e le statistiche di “business people” non erano state così veritiere nel suo caso.
“Non penso male di te” Giulio si sedette accanto all’amico e gli posò una mano sulla spalla.
“Ma al tempo cambiavi ragazza in continuazione”
E perché secondo te? Pensò Filippo.
“Ti va una partita alla play?”
Si trovavano nella vecchia stanza di Giulio e sua madre sembrava aver incapsulato nel tempo ogni istante della loro adolescenza.
“E me lo chiedi pure?”


“Tipico”
“Cosa?” chiese Emma.
Anna era pensierosa, come se stesse analizzando un problema di fisica quantistica. Al liceo non metteva affatto quella concentrazione, proprio no.
“Che lui ti risponda male perché in realtà vuole dirti altro. E’ autodifesa”.
“Non iniziare a parlare come Antonio ora. Uno psicologo in famiglia già mi basta”
“Sai che è così”
“No, non lo so. Filippo è qui per mio padre. Ed ha senso. Verrà anche tutta la banda nei prossimi giorni, sicuro”. Si alzò dalle scalette ed insieme entrarono in casa.
“Ma è così ovvio, Emy” le fece notare l’amica scuotendo la testa.
Emma non voleva parlarne più così, furbamente, cambiò argomento.
“Ancora non mi hai detto del quarto appuntamento” colpo sparato.
“Oh, non puoi immaginare!” affondato.
“Mi ha portata in riva al mare e abbiamo camminato a piedi nudi sulla sabbia. Solo che poi ci siamo resi conto che faceva un freddo boia e così mi ha presa in braccio e portata fino alla macchina!” Gli occhi di Anna luccicavano.
“Ma non avevate le scarpe con voi?”
“Le avevamo lasciate in macchina” ammise Anna ridacchiando e facendo dondolare gli orecchini di fimo che aveva appesi alle orecchie.
Devo conoscere questo tipo, decisamente.
Aiutarono la signora Lisa a preparare il pranzo, dopotutto era domenica e suo padre, ora che era infortunato, pensava a due cose: cibo e televisore. Il più delle volte le due cose coincidevano persino e lei e sua madre spesso trovavano l’uomo a guardare programmi di cucina. Per Emma era una cosa davvero positiva, suo padre non aveva mai saputo riconoscere le melenzane dalle zucchine ed ora le sapeva dire cos’era il roux o la pasta brisè.
“Aspettate che tolga questo gesso e poi vedrete come imparerò a cucinare”
continuava a dire. Emma ogni volta rideva, senza contegno.

Mentre lei ed Anna stavano apparecchiando, Giulio e Filippo scesero dalle scale. Erano esaltati e gioiosi come Emma non li vedeva da tempo.
Due adolescenti mai cresciuti.
“Panda, papà vuole le paste. Devi andarle a prendere da Fiorucci però” Giulio guardò l’amico come a dire e stavolta non fare casini e continuò “Ti accompagnerà Filippo, io devo sentire Akari per spiegarle le ultime cose sul viaggio”
Proprio ora deve sentire sua moglie, la sua organizzatissima moglie che è stata decine di volte in Italia?
Ad Anna sembrò che persino Filippo la considerasse una scusa scialba, come se non fosse quella a cui avevano pensato. Emma si infurierà. Attenti al fuoco.
“Andrete con la macchina di papà” e prese le chiavi dal vaso che suo fratello Antonio aveva fatto in seconda elementare. Ne aveva sentite di cose, quel vaso.
“GiuGiu, so che ora viaggi solo in bici, ma io ho la patente”
In risposta il fratello le si avvicinò e parlò piano, per non farsi sentire da nessuno.
“Vuoi che racconti a papà della fiancata rigata che il tuo fratellone ha prontamente aggiustato con i suoi soldi?”
Oh, già. Non era una grande guidatrice in realtà.
“Non puoi continuare ancora con quella storia. Te li ho tornati” bisbigliò. Il fratello alzò le sopracciglia “Ok, quasi tutti. In parte.” Ma lui continuava a stare con quell’espressione da idiota.
“Va bene, vado!” esclamò sfinita.
Per gli altri la scenetta in cui Giulio faceva quella faccia ed Emma cambiava tre colori sul viso era stata abbastanza buffa.
Emma passò le chiavi a Filippo e lui le strinse come si stringe una possibilità. Non l’avrebbe mandata all’aria questa volta.

Il tragitto fu silenzioso, ma era un tragitto lungo visto che la pasticceria si trovava a venti minuti da casa loro. Guardando fuori dal finestrino Emma non vide i mille tentativi di Filippo di iniziare a parlare. Apriva la bocca e poi la chiudeva subito dopo dandosi dell’idiota.
A metà strada, passando per la piazzetta, quasi venne naturale ad entrambi ricordare il mercatino di natale di tanti anni prima.
Emma aveva diciassette anni, Filippo ventuno e lei era contentissima che lui fosse tornato a casa per le vacanze. Da quando era andato all’università infatti si sentivano sempre di meno. L’aveva trovato dimagrito e un po’ stanco, con i capelli un po’ più lunghi sugli occhi.
Lei, comunque, lo trovava sempre bellissimo.
Filippo, da temerario, indossava una giacca per niente pesante e l’aveva anche lasciata aperta per qualche assurdo motivo.
Emma, invece, era sepolta sotto strati di lana e pelliccetta sintetica. Quasi le sembrò ingiusto che lui non potesse notare i chili che, con fatica, aveva perso in quegli ultimi mesi.
Persero subito Giulio, fermo alla bancarella di un signore giapponese. Era così orgoglioso dei suoi primi progressi nella lingua che non perdeva occasione per confrontarsi con qualcuno che ne sapeva più di lui.
Continuarono a girare per il mercatino. Suo fratello Antonio si fermò ad una bancarella in cui vendevano braccialetti fatti a mano e ne comprò uno per la nuova fidanzata. Erano tornati anche loro per le vacanze e aveva presentato ufficialmente la ragazza a casa. Di primo impatto Emma non l’aveva trovata per niente il tipo di suo fratello, ma si stava abituando.
“Venti colpi, tre euro!” gridò il ragazzo del tiro a segno. Suo fratello si illuminò ed andarono tutti e quattro a vederlo sparare.
“Anto, sai che ti batterei ad occhi chiusi, vero?”
“Ah, vediamo”
E fu così che anche Filippo iniziò a sparare. Sembrava una sfida tra loro due più che una vincita per la ragazza di Antonio.
Filippo prese tutti i bersagli senza sprecare nemmeno un colpo. Emma ne fu un po’ impressionata in realtà. Quando il ragazzo dietro al banco riprese i fucili e chiese loro dei premi, Emma pensò che avrebbero unito i due punteggi per prendere un peluche più grande, come già aveva visto fare in passato.
Invece Filippo la stupì. Suo fratello scelse un piccolo cuore che diede prontamente alla fidanzata. Il ragazzo del banco prese un peluche più grande da una scatola vicino a lui e lo diede a Filippo. Nel guardare la renna di peluche con il maglioncino a maglia, Emma si perse lo sguardo d’intesa dei due.
Ha un’altra ragazza? E’ per lei?
Filippo si guardò intorno e poi come se fosse la cosa più naturale e casuale del mondo diede a lei l’animaletto peloso.
Emma davvero non sapeva cosa dire. Era molto più grande e bello rispetto a quello che aveva vinto suo fratello. Insomma, aveva sparato alla metà dei bersagli, ma era abbastanza sicura che il distacco non fosse così netto.
Era così morbida e le sembrò quasi buffo che avesse un maglioncino simile a quello che lei metteva sempre.
“Grazie” disse semplicemente a Filippo, sorridendo. Lui scrollò le spalle e le sorrise di rimando.

Non c’era bisogno di ripensare a quello, no? Eppure Emma in macchina sorrise. Aveva quella renna ancora sul comodino. Era ancora troppo legata al passato? Probabilmente.
Ma era oggettivamente un bel peluche e l’aveva riscaldata nel cuore quell’inverno di dieci anni prima.
Quando arrivarono di fronte alla pasticceria, Emma scese subito e ritirò il vassoio di dolci.
Quando risalì in macchina e guardò verso Filippo però lo vide… nervoso? Le nocche gli erano diventate bianche tanto stringeva il volante.
“Non volevo dirti quello stamattina” esordì. Emma lo sapeva e non c’era bisogno che lui si scusasse, lei aveva anche fatto di peggio negli anni, sia da mestruata che non.
“Non preoccuparti” gli disse.
Ma Filippo continuò “Non conosco persona altruista come te. Ho detto una cazzata e non solo questa volta”
Era teso come mai l’aveva visto. Filippo pensò di essere un idiota.
Ho trentuno anni, quattrocento dipendenti, ma ho paura del rifiuto di una donna?
“Davvero, non preoccuparti” ripeté lei. Si tolse la giacca, senza malizia né nulla, aveva solo caldo per via dell’aria condizionata. Suo padre doveva decisamente farla riparare. Nei mesi primaverili ed invernali quel calore era piacevole, ma d’estate non faceva che ucciderli. Fortunatamente era ancora marzo quindi era piacevole.
Filippo non poté fare a meno di guardarle la scollatura e di colpo il suo corpo reagì.
Magnifico.
“Accetta le mie scuse lo stesso” riuscì a dire. Filippo capì dalle sue stesse parole che non si stava scusando solo per quella mattina.
Lei le accettò, davvero. Era ora di buttarsi il passato alle spalle, no? O almeno doveva provarci.
“Come va il lavoro?” buttò lì. Era la maga dei cambio-discorso.
“Tutto bene, anche se la crisi si sente anche ai piani alti. A te? Giulio mi ha detto che stai sostituendo tuo padre”
“Eh, già” replicò. Forse non era poi una così abile maga, di mille cose aveva scelto di parlare dell’ambito in cui lui era un famoso imprenditore e lei una… non sapeva neanche lei cosa.
“E il gruppo?” chiese lui svoltando a destra. La maglietta si alzò un po’ verso l’avambraccio ed Emma pensò che aveva un polso davvero sexy.
Oh, Dio. Anna mi sta contagiando.
Si aspettava di vederci un Rolex lì, invece c’era solo un cordoncino di pelle intrecciato. Possibile che fosse quello che gli aveva dato lei? No, impossibile.
“Tutto bene, suoniamo ai matrimoni ora, siamo rock’n’roll all night, o meglio fino a che il padre della sposa ci paga”
Filippo la guardò alzando le sopracciglia e rise.
“Ho fatto parecchie conquiste di vecchi ereditieri, sì, lo ammetto” disse con fare orgoglioso e gli fece la linguaccia.
Filippo rise, ma pensò che poteva esserci, o esserci stato, davvero qualche giovane ereditiero. E poi quei due del gruppo che le stavano sempre appiccicati.
“E quel tuo amico” buttò con nonchalance “Patrizio qualcosa?” finse di non ricordare il suo nome.
“Patrick” lo corresse lei. “Continua a fare il cascamorto” Emma si riferì ai continui agguati che l’amico faceva verso le sue prede ai matrimoni e nei bar, non aveva idea che Filippo non sapesse della sua omosessualità. Semplicemente lo diede per scontato.
Filippo strinse di nuovo le mani sul volante. Aveva sempre trovato odioso quel Patrick. Non faceva che guardarlo e studiarlo, come se lo sfidasse.
“E…?” indagò.
Emma sorrise “Ha un talento innato a mio parere. Forse è il gel”
A Filippo venne per reazione naturale il guardarsi nello specchietto e toccarsi i capelli.
Dovrei metterne un po’?
Tornò a guardare la strada e capì che mancava poco per la casa della ragazza. Doveva capire a che punto era con quell’idiota.
“Le paste si staranno ammollando come Giulio” Emma aprì un po’ la carta per averne la conferma. “Eh, sì”
Si tese leggermente in avanti per girare la manopola e provare ad abbassare la temperatura, ma nulla. “E’ inutile. Papà ogni estate dice che l’aggiusterà, ma poi arriva l’inverno e non se ne interessa più”
Filippo era rimasto alla prima parola. Nel vederla muoversi, di nuovo, il suo autocontrollo aveva vacillato e pensò che doveva assolutamente fare qualcosa. Quel Patrick coso la vedeva tutto il giorno fare così, era ovvio che ci provasse con lei, no?
“…so che ora è invalido, ma continua a dire che deve andare o chiamare solo lui perché il meccanico è amico mio” imitò così bene il padre che Filippo capì che non era la prima volta che lo faceva.
Filippo parcheggiò e decise che doveva sapere cosa c’era tra lei e l’idiota, altrimenti sarebbe morto lì.
Ma lei non smetteva di parlare. E lui fremeva nel trovare le parole giuste.
“…e ora sa perfino cos’è la creme brûlée, pensa tu. Mamma -”
La baciò. Lo fece d’istinto e davvero, ripensandoci in seguito, non sapeva dire se l’aveva fatto perché non c’era metodo più efficace per zittire una donna o perché lo desiderava da tanto tempo o per entrambe le cose. Ma non gli importò granché saperlo perché, beh, funzionò.



Note dell'autore:
Bene, in questo capitolo Filippo finalmente fa qualcosa di concreto. Emma invece capisce sempre meno della situazione e non intercetta i sempre più evidenti segnali. Ma dopotutto è giustificata, ha la testa altrove.
Come avrete capito, sono tutti d'accordo per aiutare Filippo, anche se Giulio tende, da buon fratello maggiore, a essere un po' troppo protettivo. E non è ancora arrivata la "banda", come la chiama Emma. Ne leggerete delle belle.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere, mi fa piacere :)

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