Yggdrasil: Betrayal

di emychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lilith ***
Capitolo 2: *** Lucifiel ***
Capitolo 3: *** Adriel ***
Capitolo 4: *** D. ***
Capitolo 5: *** Adam ***
Capitolo 6: *** Michael ***



Capitolo 1
*** Lilith ***


Ciao a tutte/i,

questa è la prima di una raccolta di one-shot ambientate nell'universo di “Yggdrasil”, una serie di romanzi alla stesura dei quali mi dedico da qualche anno.

L'idea iniziale per la trama è molto vecchia e -col passare del tempo- prima che riuscissi a metterla su carta, ha perso di originalità, purtroppo.

Inizialmente ho pensato di cambiare registro, mettere Eve, Lilith e tutti gli altri in un cassetto e smettere di pensarci. L'ho anche fatto per un po', dedicandomi ad un'altra storia, ma l'immagine di quei due che si incontrano per la prima volta o il viso arrabbiato di Lilith continuavano a darmi il tormento.

Alla fine non ho potuto farne a meno. Ho scritto di loro.

Perché anche se, forse, sono in parte scontati e un po' commerciali, hanno scelto di venire da me affinché ne narrassi la storia e non posso cacciarli via. Diciamo pure che li amo.

E, per questa ragione, spero di riuscire a comunicarvi attraverso le mie parole quanto adori scrivere di loro e spero che questo basti a farvi dimenticare le loro innumerevoli pecche trascinandovi, invece, nel loro mondo.

Trattandosi del mio primo lavoro di narrativa “originale”, dopo tanti anni trascorsi a scrivere nel fandom, ho deciso di compiere un vero e proprio salto nel buio utilizzando la piattaforma di Amazon per pubblicare la storia.

Adesso, tramite Efp, vorrei farvi conoscere i miei protagonisti e darvi così un assaggio delle atmosfere del libro.

Se vi piaceranno- e vorrete saperne di più- vi prego di non esitare a collegarvi alla pagina facebook di Ella M. Scarlett o agli account Twitter (@ellamscarlett), troverete i link nella mia pagina autore. Oppure potete chiedermi informazioni con una semplice recensione o con un messaggio privato.

Spero di sentirvi in molti,

Buona lettura


-YGGDRASIL-

LILITH

 

Il Signore le aveva dato la vita e, per questo, gli sarebbe stata grata in eterno.
Non passava giorno senza che Lilith si ripetesse quelle parole.
Quelle stesse parole che sentiva dire all'uomo, mentre coglieva i frutti dagli alberi sempre rigogliosi del giardino. Quelle stesse parole, pronunciate dalle strane e magnifiche creature alate, che venivano a trovarli di tanto in tanto. Quelle stesse parole che avevano, ormai, il suono di una condanna.
Oh, Lilith era riconoscente. E come poteva non esserlo?
Lei amava il Creatore, camminava al Suo fianco ogni giorno con gioia e lo adorava in ogni modo concesso ad una creatura umile e fragile come lei.
Lo amava come amava il suo compagno e il giardino nel quale era loro concesso di vivere e prosperare insieme.
Ma-
C'era sempre un terribile ma al termine di ogni suo pensiero, di ogni sua preghiera.
Quel ma, che la faceva sentire come la peggiore fra le creature viventi.
Era l'espressione di quel qualcosa di irrequieto, che viveva in lei, che cresceva nel suo cuore e si agitava nel suo sangue, nella sua carne. Era come un mormorio sempre più rumoroso, imprigionato in un angolo del suo spirito. Come una voce che le rammentava la mancanza di qualcosa, l'imperfezione che nessun altro percepiva.
E come avrebbero potuto farlo, dato che viveva solo nella sua mente? Eppure era lì, ogni attimo più grande e spaventoso, quel senso di inadeguatezza, di insoddisfazione. Perché la sola verità era che lei non aveva scelto nulla di tutto questo.
Che terribile pensiero il suo, quale tradimento di ogni ordine divino.
Eppure era là. Brillante come la luce del Regno.
Lei non aveva scelto di nascere, né tantomeno di essere donna. Non aveva scelto il suo compagno, né la loro casa. Perciò, per quale ragione doveva esserne felice? Perché doveva accontentarsi di quello che le era dato, e non chiedere qualcosa di diverso?
Era pura follia la sua? O semplice stupidità? Ma cosa doveva fare, quando il tocco dell'uomo la lasciava poco più che tiepida? Quando niente sembrava donarle la passione o il calore che, lo sapeva, avrebbe dovuto provare per la vita stessa? E perché l'uomo non si sentiva alla stessa maniera? Non erano stati modellati, forse, nella stessa terra? Allora perché solo lei si svegliava nel cuore della notte piangendo di fronte all'incubo di quell'eterna esistenza piatta e senza passioni?
Oh, lo poteva immaginare il mondo giusto per lei.
Un mondo interamente da scoprire, fatto di eventi inaspettati, di caccia, di avventura, di angosce e passioni, che in quel giardino erano come proibite. E come poteva accontentarsi di qualcosa di meno di quella visione? Come poteva rassegnarsi al pensiero di non trovare mai ciò che cercava? E come abbandonare quell'uomo che, dopotutto, l'amava, povero sciocco che era?
Non era che non gli fosse affezionata, questo no. Non poteva essere altrimenti, i suoi occhi avevano visto lui prima di ogni altra cosa. Il suo corpo aveva conosciuto il suo tocco prima di quello di ogni altra creatura, ma l'amore descritto dalla Luce era ben altro e lei lo sapeva. Lo capiva ad un livello del tutto irrazionale e inspiegabile, ma lo capiva.
«È un legame forte il vostro, come quello che esiste tra me e i miei primi figli. Una forza indissolubile, che vi terrà uniti in eterno» le aveva spiegato un giorno il Creatore, di fronte alle sue domande incessanti e lei aveva sorriso e annuito affermando falsamente di capire.
Ma l'unica cosa, che capiva, era il vuoto incolmabile che esisteva, laddove avrebbe dovuto esistere una forza pura come la luce del Regno e più lo capiva, più la vista dell'uomo le diveniva insopportabile.
Il suo volto felice, il tocco amorevole, servivano solo a farla sentire una schiava, soggiogata dal suo amore e dalla sua purezza.
Sì, amava l'uomo. Lo amava e allo stesso tempo lo disprezzava e odiava, perché- con la sua continua adorazione- non faceva che farla sentire sporca e inadeguata, ricoperta di un sudiciume dal quale non si sarebbe mai potuta liberare.
E c'erano volte, brevi attimi inconsistenti, nei quali credeva di essersi sbagliata e di essere davvero dove doveva essere.
Erano quelle breve occasioni in cui, seduti sulle radici dell'albero della vita, l'uomo guardava l'acqua trasparente del lago e si domandava ad alta voce se esistesse qualcosa di più grande del giardino di cui erano prigionieri, se esistesse uno scopo più grande per loro, una vita diversa.
Ma quei brevi istanti, erano solo questo.
«Dobbiamo ringraziare di ciò che abbiamo. Dobbiamo essere riconoscenti. Non saremmo nulla senza il Padre» era ciò che tornava a ripeterle, poi. Quasi impaurito dall'idea che qualcuno lo avesse sentito.
E aveva ragione, oh se ne aveva.
Ma anche così, che cosa erano esattamente? Terra e fango senza possibilità di scelta? Piccoli animali pavidi, nascosti e tremolanti, sotto un cielo senza fine?
«Perché sei tanto inquieta, umana? Cosa credi che otterresti fuggendo dal giardino o dal tuo compagno?»
Arrivò come erano giunte le altre.
Una creatura celeste uguale ad altre mille, coi suoi lunghi capelli ricciuti e gli occhi del colore del tramonto, con le lunghe ali bianche a coprine la schiena come un mantello.
Eppure, per la prima volta, la donna si ritrovò ad arrossire di fronte ad una di quelle meravigliose presenze e abbassò lo sguardo, quasi in imbarazzo inanzi al suo scrutinio severo.
«Sei silenziosa. Mi avevano raccontato che non disprezzi di manifestare ciò che pensi, o che desideri, ma forse hanno esagerato. Mi sento un po' deluso.»
Il viso di Lilith parve riscaldarsi di rabbia e vergogna. «O forse non ho voglia di parlare con te, creatura. In fondo, cosa puoi avere da dire di diverso dagli altri come te, che vengono e vanno da casa nostra, come fosse la loro?» pentendosi delle proprie parole la donna si morse il labbro temendo di averne attratto l'ira.
Ma la creatura sorrise e si avvicinò a lei. «Adriel» le disse e la donna ne avvertì il profumo di polvere e cenere, simile ad un fuoco appena spento. E tutto il suo corpo parve vibrare e nutrirsi della sua luce, della sua sola presenza.
«Lilith» bisbigliò di rimando, fissando gli occhi in quelli di lui.
«Oh, so bene chi sei, donna. Sono venuto qui per vederti, dopotutto» disse lui in un sussurro che si disperse sulla sua pelle e cantò nel suo sangue riscaldandola come neppure il sole del giardino aveva mai fatto.
E all'improvviso Lilith capì e seppe di aver perso la grazia.
 
end
 

 

 

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Capitolo 2
*** Lucifiel ***


Secondo capitolo.
La parola spetta a Lucifiel. Spero vi piaccia leggere di lui, quanto a me piace scriverne!:)
Buona lettura!
Grazie a  Drachen e Loreena McKenzie per la loro recensione, spero continuiate a seguirmi!:)
Per le note sulla storia vi rimando al primo capitolo! Per saperne di più vi aspetto su twitter e Facebook, cercate Ella M. Scarlett!:)

 


 Lucifiel



Era inconcepibile. Assolutamente inconcepibile.
I passi del consigliere risuonarono lungo i corridoi del palazzo di cristallo, sopra le scale a pioli che conducevano verso l’alto e lungo il cristallo che lastricava l'intero terrazzo di luce, il cui accesso era consentito solo a pochi eletti.
Sicuramente Michael si stava prendendo gioco di lui, non sarebbe stata la prima volta, in fondo.
Digrignando i denti, Lucifiel poggiò la mano contro la porta di luce, incurante delle storie scritte in oro sui suoi battenti. Non era quello il giorno per ammirare le opere del Signore.
Se è uno scherzo, questa volta lo uccido.
La porta si spalancò e l’irritante canto del coro dei Serafini si sollevò in un allegra melodia di saluto, ma l’arcangelo gli ignorò avanzando verso il trono a passo svelto.
L’unica cortesia che mostrò fu un lieve inchino del capo, un leggero flettersi delle ginocchia.
«Mio amato Astro del Mattino, benvenuto. Cosa posso fare per te quest'oggi?» la voce del Padre lo accolse serena e cordiale, quasi meravigliata da quell'inaspettata visita.
Ma Lucifiel non era uno sprovveduto e sapeva bene che era solo un trucco. «È vero?» tagliò subito corto rialzandosi e incrociando le braccia sul petto. C’era una certa alterigia nel suo aspetto e nel suo modo di fare che andavano oltre le sue intenzioni e che non avrebbe potuto abbandonare, neppure volendolo.
La luce bianca, che avvolgeva l’intero Regno e che lì, così vicina alla sua fonte, pareva più luminosa che mai, vibrò divertita.
«Credo dovrai essere più specifico nella tua richiesta, figlio mio» lo canzonò il Signore con voce bonaria e Lucifiel strinse le labbra. Non aveva alcuna voglia di condividere lo strano umorismo del Padre. Non in quell’occasione.
«Oh, non fingere con me» sibilò con una scossa nervosa del capo, al gesto i lunghi capelli neri sfuggirono alla treccia, in cui li portava legati, ricadendogli lungo le spalle e giù, fin quasi a sfiorare il pavimento. «Sai benissimo perché sono qui.»
«Come posso saperlo, se non me lo dici?»
«La mia conversazione con Michael!» sputò irritato l'arcangelo.
La luce corse ad avvolgerlo, accarezzandone le lunghe ali come per placarlo.
«Ora dai per scontato che ascolti le conversazioni private degli altri. È molto maleducato pensare questo di me, Lucifiel. E mi ferisce.»
L’arcangelo boccheggiò silenzioso. Da quando non le ascolti? Avrebbe voluto chiedere, ma la sorpresa per il continuato atteggiamento del Padre lo stava confondendo troppo, per reagire con immediatezza.
Perché si ostinava a prendersi gioco di lui? Perché fingeva ignoranza? Oppure- pensò con un lampo di preoccupazione- non li aveva davvero sentiti? Possibile?
«Non vi sentite bene, allora?» chiese passando automaticamente e inconsapevolmente al Voi, ma attorno a lui, la luce si fece più brillante e una risata risuonò nella sua mente e nella sua anima riempendolo di gioia e affetto.
«Non preoccuparti, mio Lucifiel» lo rassicurò il Padre. «Conosco bene il motivo della tua visita, ma non comprendo cosa turbi la tua mente.»
Tranquillizzato circa la salute del Signore e convinto che si stesse solo prendendo gioco di lui, Lucifiel permise alla rabbia e all'indignazione di farsi nuovamente spazio nel suo corpo. «Non saprei-» sibilò velenoso. «Forse il fatto che progetti di sostituirci!»
«Sostituirvi? Questa è nuova anche per te. E con cosa progetterei di sostituirvi, di grazia?»
«Con queste tue nuove creazioni-» gesticolò il consigliere senza lasciarsi intimidire. «Che sembrano divertirti all’infinito.»
Il silenziò che seguì fu assordante. Perfino il coro si interruppe per fissarlo con occhi sgranati. Ventiquattro occhi dorati, che lo guardavano sgomenti e inorriditi.
Il Signore rise. «Certo, le scimmie mi divertono molto, devo ammetterlo. Anche il nome che ho scelto per loro: scimmie. Non ha un suono buffo? Però, devo ammetterlo, Lucifiel. Affidare i vostri compiti ad un esercito di scimmie- non sono certo che comprenderebbero i miei comandi. Già fatico a farmi comprendere da voi-»
«Non prenderti gioco di me» lo interruppe il consigliere, sempre più irritato dall’intera conversazione. C’erano giornate in cui sembrava impossibile dialogale col Creatore. «Michael parla di altre creature celesti rinchiuse in un angolo sperduto del Regno, nascoste ai nostri occhi perché migliori di noi.»
La risata fu più divertita e fragorosa della precedente. «Michael possiede una sconfinata fantasia e una curiosità che non gli fanno alcun bene. Ma tu mi stupisci, come puoi credere a storie simili? E che ragione avrei di nascondervele, se fossero creature celesti come voi?»
«Questo dovresti dirmelo tu.»
La luce parve ritrarsi, affievolirsi, per poi tornare a brillare, quasi stesse sospirando. «Non sono creature celesti, non come voi. In questo Michael ha ragione.»
Lucifiel trattenne il fiato. Era la verità, allora? Stavano per essere sostituiti? Cancellati?
«Cosa sono?»
«Non lo so neppure io, a dire il vero» fu l’inaspettata risposta alla sua domanda. «Ho infuso la vita in alcune parti del giardino, esattamente come ho fatto tanti astri fa con voi. Ho soffiato su di esse e ho guardato il miracolo ripetersi, ancora e ancora. E qualcosa, col tempo, è cambiato, è mutato. Una nuova creatura è cresciuta sotto ai miei occhi.»
«Una creatura? Che genere di creatura?»
C’era qualcosa, nel tono che il Signore usava per descrivere questa nuova creazione, che rendeva l’arcangelo sospettoso. Una voce, che lo metteva in guardia da un imminente pericolo.
«L'ho chiamato Ish, uomo.»
«Ish? E cosa sarebbe, di grazia? Un angelo? Un animale?»
«Niente di tutto ciò» negò il Creatore. «Come voi, egli custodisce una piccola parte della mia essenza, ma non ha lo stesso legame con la fonte, né potrà mai averlo. Non percepisce, né comprende, la mia volontà come le altre creature celesti. E non è completo, soffre la solitudine, e la mia luce non basta a colmarlo di gioia come vorrei. Sente il bisogno di compagni, in un modo a voi sconosciuto.» C’era tristezza nella sua voce, ma anche amore. Un amore che rendeva invidioso Lucifiel, anche se non voleva ammetterlo. «Per rispondere alla tua domanda, no. Non è stato creato per sostituirvi, né potrebbe mai farlo. L’uomo non è, né sarà mio nel modo in cui lo siete voi.»
La luce sorrise avvolgendolo nel suo abbraccio caldo e tentò di assorbire tutte le ansie, le paure e le preoccupazioni di quel giorno.
«Non trattarmi con condiscendenza, sai che non lo sopporto» brontolò ancora preoccupato da quelle notizie, ma incapace di rifiutare il conforto del Padre.
La luce vibrò e si strinse con più affetto attorno a lui. «Non lo farei mai» la sentì mormorare.
«Dimmi almeno che non sarà un pericolo» mormorò Lucifiel anche se sapeva che, ormai, nessuna parola lo avrebbe mai convinto del contrario.
«Un pericolo?» parve stupirsi il Signore. «E perché mai dovrebbero esserlo?»
«Perché ti conosco e, da come parli, so che hai creato qualcosa di ingestibile.»
«Ed è questo che ti preoccupa? Temi che non possa controllarli?»
«No» scosse il capo l’arcangelo. «Non so che cosa temo, ma sono terrorizzato.»
«Oh, mio amato consigliere dall'anima nera. Sempre a prevedere il peggio, impaurito da tutto e da tutti. Perché, per questa volta, non riponi la tua fiducia in me e mi lasci fare, senza giudicarmi?»
«Perché non è quello il mio compito» rispose secco Lucifiel. «Non sono Michael, pronto a piangere per ogni tuo gesto e non sono nemmeno Raphael, che si accoda alle decisioni degli altri per non litigare. Io sono qui per proteggerti e consigliarti. E ti dico che la tua opera di creazioni sta superando troppi limiti. Non potrà finire bene.»
«Ah, mio eterno contraddittore. I tuoi avvertimenti sono amari alle mie orecchie, ma li accetto come prova della tua devozione.»
Lucifiel arrossì e distolse lo sguardo sbuffando.
«Adesso, però, prendi i tuoi fratelli e scendi nell'Eden. Guarda coi tuoi occhi quest’uomo, che ho creato, e torna a dirmi cosa ne pensi.»
C'era una nota di amore, di profondo entusiasmo, che l'arcangelo sentì vibrare dentro di sé con disgusto. Qualsiasi cosa fosse, odiava quest'uomo con tutte le sue forze. «Non credo che-» iniziò a rifiutare, ma la sua voce venne interrotta.
«È un ordine» risuonò quella del Signore e, di fronte al suo comando, il consigliere chinò il capo. «Così sia» mormorò, seppur controvoglia.
«Perfetto!» la luce vibrò, di nuovo divertita. «Parti subito, allora. E Lucifiel? Cerca di osservare senza pregiudizi.»
L'arcangelo non rispose.

 

end

 
 

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Capitolo 3
*** Adriel ***


 
Ecco il nuovo capitolo! Un po' più difficile del previsto, ma ce l'ho fatta!:) Spero vi piaccia!!
Come sempre grazie a chi ha commentato!:)
Per le note sul romanzo di "Yggdrasil" vi rimando al primo capitolo o vi invito a visitare il profilo Facebook o Twitter di Ella M. Scarlett

A presto!:) 



Adriel

 
«Adriel? Dove stai andando?»
I piedi dell'angelo si fermarono ad un passo dall’arcata marmorea, i sandali neri coperti di polvere e terriccio. Accigliato, Adriel li esaminò in silenzio, chiedendosi come avesse fatto a ridurli in quel terribile stato senza accorgersene.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla calda mano che si posò sulla sua spalla, calda come il fuoco di cui era composto il sole. La stretta, seppur ferrea e quasi bollente, non era dolorosa. E, d'altronde- si chiese- perché avrebbe dovuto esserlo? Michael non aveva motivo di essere in collera con lui. Non ancora, almeno.
«Pensavo di scendere nell'Eden» rispose fingendosi tranquillo. Dentro di sé, la voce che lo ammoniva e condannava da giorni prese a gridare. Era già arrivato il momento del suo castigo, dunque? Era stato scoperto? Le altre creature celesti avevano, finalmente, visto ciò che si agitava nelle profondità del suo cuore? O era stato Michael?
Forse era per questo che lo aveva fermato. Aveva percepito l’orribile ingordigia, che offuscava la sua luce. Aveva scorto l’orribile macchia che si estendeva sul suo capo ad ogni passo?
«Scendi spesso laggiù, ultimamente» mormorò pensoso l'arcangelo custode del fuoco.
Adriel chinò il capo con maggiore fervore rifiutandosi di fissare negli occhi il suo capo-stipite, il più amato dei suoi fratelli.
«Ma ti capisco, sei innamorato-» continuò, ignaro del pallore di Adriel o del suo respiro irregolare. Del lento raggelarsi di ogni suo muscolo.
«Innamorato?» ripeté in un sussurro, la voce tremante. «Non credo sia il termine giusto-»
Michael scoppiò in una fragorosa risata. «Non lo siamo tutti, in fondo?» gli chiese con aria divertita. La pelle attorno agli occhi lievemente raggrinzita dall’eterno sorriso, che portava sulle labbra.
«Io-» provò a rispondere l’angelo, ma nessuna parola riuscì a giungergli alle labbra.
«E come non esserlo?» scosse il capo Michael, i lunghi capelli rossi selvaggi attorno al viso abbronzato. «Gli umani sono creature talmente meravigliose! Anch’io vorrei passare i miei giorni a camminare e a conversare con loro» si accigliò incrociando le braccia sul petto «E, invece, devo andare  ad una noiosa riunione indetta da Luc. Sembra vivere per togliermi tutto il divertimento, quello» brontolò a mezza voce.
Adriel tornò a respirare, il peso sul suo petto meno ingombrante di poco prima. Sentì il calore tornargli alle guance e una risata gli salì alla gola.
Oh, se solo sapessi- avrebbe voluto dirgli- Se solo sapessi.
Avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e scoppiare in un lungo pianto risanatore. Singhiozzare e supplicare il suo perdono.
Oh, mio Signore- avrebbe voluto scongiurarlo con occhi colmi di lacrime- Chiudimi in una di quelle orribili celle fredde e buie. Getta via la chiave e ricordami cosa significa stare lontani dalla Luce. Perché sono impazzito! Sono pazzo a desiderare ciò che non è mio da avere.
Ma per quanto volesse confessare, il pensiero di essere separato da lei era troppo doloroso.
Il pensiero di non poter più vedere la donna, di non parlarle, di non sentirne più il profumo o il calore della pelle, il suono della risata o il bruciante calore dei pensieri ribelli.
«Avete ragione» si limitò a mormorare, infine, tornando a chinare il capo sconfitto. «È impossibile non amarli.»
Al suo fianco, Michael rise di nuovo. «Ah, beato te. Scendi pure, allora. E porta i miei saluti agli umani.»
 Adriel annuì, di nuovo preda della sua colpa. Non riusciva a guardare Michael in viso. Non riusciva a sopportarne lo sguardo sincero e il sorriso affettuoso. Non meritava quell’amore.
Era un ingrato e un traditore. E tutto era reso peggiore dalla sua appartenenza a quella stirpe. La stirpe dell’arcangelo col cuore più buono e generoso di tutti. E quanto peggio sarebbe stata, per questo, la punizione subita, una volta scoperto? Il cuore così grande di Michael, una volta riempito d’ira, cosa lo avrebbe portato a fare? 
«Sei caduto in disgrazia, Adriel. E da chi andrai a rifugiarti, quando il Signore deciderà di falciare la tua meschina esistenza?» con un ultimo passo, si lasciò cadere nell’Eden.
 
 
Ore dopo, si ritrovò seduto all’ombra di una quercia. La mente sgombera da ogni rimpianto o pensiero, che non fosse la presenza della donna nella radura.
La osservò in silenzio, per lunghi e interminabili attimi, ma per quanto la guardasse, non riusciva a trovare un solo difetto in lei.
Il problema della donna, rifletté, stava nella sua bellezza. Una bellezza imparagonabile a quella di ogni altra creatura divina e mortale.
I suoi capelli dorati splendevano come luce divina sotto ai raggi del sole e i suoi occhi erano grigi come la tempesta, che agitava i cieli ad un Suo comando. Il suo corpo era snello e flessuoso come i giunchi del bosco, ma il vero capolavoro era la sua anima.
Oh, la sua anima. Quale misteriosa complessità di rabbia e amore.
E se il problema della donna era la sua bellezza, quello di Adriel era il desiderio.
Desiderava e voleva e agognava e sognava.
Con tutto se stesso, con la stessa forza con cui pregava per il Padre, con la stessa sete con cui si abbeverava alla fonte divina, con la stessa avidità con cui amava il Padre.
E quanto poteva essere sbagliato un sentimento simile? Un paragone tanto perverso e peccaminoso.
Oh, sapeva di sbagliare. Sapeva di dover smettere, ma -per quanto se lo ripetesse- i suoi pensieri e il suo corpo non facevano che condurlo a lei, tenendolo imprigionato, quasi incatenato al suo fianco.
E, per quanto lo desiderasse, non poteva fare a meno di desiderare la sua voce o il suo sorriso.
E, per quanto volesse mettere fine ad ogni cosa, prima che tutto fosse perduto, non poteva ignorare la rabbia e l’invidia, che gli provocavano la vista dell’uomo.
L’uomo al quale lei era destinata. L’uomo per il quale era stata creata.
Quella creatura limitata, schiava della sua carne, che mai avrebbe potuto renderla felice.
Oh, lui poteva darle un amore umano, quello sì. Un amore sconosciuto alle creature celesti. Quel desiderio carnale, fisico, al quale aveva assistito dall’ombra più di una volta. Ma cosa importava di quello? A cosa serviva quella breve unione nella carne, se una volta finita nulla di più rimaneva tra di loro?
Lui amava alla maniera degli angeli. Lui amava come l’uomo non avrebbe mai potuto amare.
Come ogni creatura celeste ama il suo Creatore, con la stessa purezza e lo stesso egoismo con cui gli angeli cantavano le lodi del Regno.
«Sei di nuovo qui, Adriel?»
La voce lo colse di sorpresa strappandolo dai suoi cupi pensieri e il calore della piccola mano della donna si posò sul suo braccio strappandogli un sospiro.
Annuì, perdendosi ancora una volta nel profumo e nello sguardo dell’umana.
Quanti giorni avevano già trascorso così? Seduti a parlare su un manto di foglie verdi e gialle. Immersi nella natura più nascosta dell’Eden, lontani dagli occhi dell’uomo e delle altre creature celesti.
«Volevo insegnarti a modellare il legno» le disse con voce tremante, conscio dell’ennesima menzogna raccontata per giustificare la sua presenza lì.
Gli occhi di Lilith si accesero di malizia, le guance arrossate dalla gioia di vederlo. Entrambi riconoscevano la bugia, così come entrambi fingevano di non vederla.
«Perché non mi insegni ad andare a caccia, invece?» gli chiese lei.
«A caccia?»
Lilith annuì. «Voglio che mi insegni a creare un’arma. Qualcosa per cacciare e difendermi.»
«E da cosa dovresti mai difenderti qui?» chiese lui, sinceramente sorpreso dalla richiesta della donna.
«Forse da niente» annuì lei, ma con aria dubbiosa, quasi più per compiacerlo, che non per sincerità. «Ma non rimarrò qui per sempre, no?» gli disse. L’aria in parte determinata e in parte speranzosa.
Adriel si sporse per scostarle una ciocca di capelli biondi dal viso. «E dove vorresti andare? Mi mancheresti» le sussurrò compiaciuto di vederla arrossire.
«Ma tu verresti con me, non è vero? Mi proteggeresti sempre e vedremmo insieme il mondo.»
L’orrore di quel pensiero lo colse del tutto impreparato. All’idea di allontanarsi dal Regno, dai suoi fratelli, dal Padre, un senso di disperazione parve sollevarsi da dentro di lui minacciando di inghiottirlo. Ma accanto ad esso, c’era anche qualcos’altro.
Quel pozzo infinito di desiderio, di egoismo, quella voce che gli gridava di portarla via all’uomo e tenerla con sé prese di nuovo ad agitarsi.
E se fossero scappati insieme? Se avessero lasciato tutto e tutti alle loro spalle?
Quell’enorme calderone di emozioni parve sotterrarlo sotto al suo peso, confondendolo e Adriel rimase in silenzio, le labbra tese in un tremolante sorriso.
«Perché non possiamo essere ciò che vogliamo?» continuò la donna, ma l’angelo la fermò. Incapace di sostenere oltre quella conversazione, scosse il capo e le posò un dito sulle labbra.
Non dire niente, la supplicò mentalmente. Non continuare a peccare con le parole oltre che col cuore.
Il problema della donna, in definitiva, era  la sua anima.
Troppo grande per stare rinchiusa in quella minuta prigione di carne. Troppo per il loro mondo. Troppo per la gerarchia nella quale erano destinati a vivere e prosperare.
Lei era diversa da loro, era diversa dall’uomo, era qualcosa di impensabile, di completamente nuovo.
E lui poteva darle ciò che desiderava, lo sapeva. Poteva renderla felice e saziare il  suo bisogno di vita e libertà mostrandole gli angoli più oscuri e lontani del mondo. Ma anche se poteva farlo, non era destinato a stare con lei. Non era quello il suo dovere.  
Era una creatura celeste e le creature celesti non appartenevano agli umani, così come gli umani non appartenevano a loro. Lui apparteneva alla Luce e la donna apparteneva all’uomo.
Questa era l’unica realtà.
Ma le labbra della donna, adesso, era vicine al suo viso, rosse e lucide come la buccia dei frutti che crescevano sugli alberi del giardino. E lui sapeva cosa Lilith desiderava.
Li aveva visti una volta, lei e l’uomo, poggiare le labbra l’uno contro l’altra.
Non sapeva cosa significasse quel gesto, né perché lo avessero fatto, ma aveva percepito il piacere di entrambi e aveva desiderato scagliare l’uomo lontano da lei.
Adesso, con quella semplice, muta resa, Lilith offriva a lui ciò che l’uomo aveva già avuto. Ciò che era diritto dell’uomo, e solo suo, avere. E voleva sentirlo, voleva saperlo, voleva provare quello stesso piacere carnale a loro sconosciuto.
«Devo andare, Michael mi chiama» sussurrò alzandosi. Non le lasciò nemmeno il tempo di parlare o di provare a fermarlo. Ne percepì la sorpresa, la delusione, ma scappò prima di potersene pentire.
Si fermò solo una volta giunto oltre il cancello che avvolgeva il giardino.
Rimase lì, nascosto nell’ombra, a guardarla lavorare il legno con aria imbronciata, le spalle curve.
«Credevo non ci fosse concesso scendere qui, ma chiaramente sbagliavo.»
Adriel sussultò, le guance arrossate dalla vergogna. La paura si insinuò nuovamente nella sua anima e nella sua mente, perché quella voce fredda e carica di sarcasmo era inconfondibile.
«Mich-» si fermò schiarendosi la gola. «Il sommo Michael mi ha dato il suo permesso» si giustificò.
Lucifiel non si mosse continuando a studiarlo coi suoi impassibili occhi dorati. L’angelo si chiese quanto avesse visto, quanto avesse percepito.
Il serafino chinò il capo su una spalla portandosi un dito alle labbra. «Oh-» mormorò vagamente stupito. «Non sapevo fossi così importante.»
Adriel boccheggiò avvampando di vergogna. «Ha dato il permesso a tutta la schiera» lo corresse subito.
«Eppure, qui vedo solo te» fu la gelida risposta.
L’angelo cercò furiosamente qualcosa da ribattere, ma- ben presto- Lucifiel non parve più prestargli alcuna attenzione.
Gli occhi del consigliere si posarono oltre il cancello, sulla donna intenta a lavorare. «È, dunque, quello?» chiese con aria sorpresa. «Tutto questo rumore per una creatura così fragile e minuta?»
«Quella è la donna-» gli rispose Adriel sentendosi vagamente offeso dalle sue parole. «L’uomo è al lago.»
«La donna-» mormorò il serafino, quasi soprappensiero. «Certo.»
Adriel sentì l’improvviso e irrazionale impulso di allontanare l’attenzione del consigliere da Lilith.
«Volete parlare con l’uomo? Dovrei andare a cercarlo per voi?»
Quegli occhi dorati scivolarono di nuovo sul suo viso e Lucifiel lo studiò, sembrando quasi sorpreso di trovarlo ancora lì, al suo cospetto. «Non hai doveri ai quali tornare, angelo Adriel? O la tua schiera ha più tempo libero di quanto credessi?»
«Io non-»
Lo sguardo fermo del serafino gli fece morire ogni protesta sulle labbra.
«Stavo giusto andando, sommo Lucifiel» chinò il capo allontanandosi di un passo.
L’arcangelo non rispose, tornando a guardare in silenzio la donna.
Adriel non capiva cosa nascondesse il suo viso, quali emozioni stesse provando innanzi a quella creazione.
Con un nuovo e diverso peso sulle spalle, gettò un’ultima occhiata di rammarico verso Lilith.
Presto, le promise in silenzio. Presto, tornerò da te.
 
end

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Capitolo 4
*** D. ***


Per le note sulla storia in generale, vi rimando al primo capitolo.
 
4. D. *
 
Il Giardino dell’Eden era circondato da un imponente cancello d’oro, che lo separava dal resto della Terra. I primi umani non sapevano cosa ci fosse oltre le sue sbarre, né se lo chiedevano.
Almeno agli inizi.
Ma venne un tempo in cui le creature celesti iniziarono ad alternarsi al loro cospetto, con racconti e domande, innanzi alle quali i mortali rimanevano privi di risposte e parole, affascinati dalle bestie selvagge descritte dall’esuberante Michael, o dagli alberi e dalla natura selvaggia, esistente oltre i confini del loro piccolo mondo, di cui parlava la mite e dolce Gabriel.
Nessuna di quelle cose esisteva nel loro ordinato e pacifico giardino, dove i due uomini avevano un solo lago dall’acqua ferma, che ospitava pesci colorati e nutriva le gigantesche radici d’oro dell’albero della vita. Dove i filari di alberi, dalla foglie grandi come i palmi delle loro mani, si alternavano all’erba sempre fresca di rugiada. Dove gli unici animali vivevano in pace e armonia, cantando tra i rami, strisciando nel sottobosco, ronzando tra fiori e frutti portando loro nuova vita.
Dove, a volte, capitava che una luce ancor più calda di quella del sole, e più bianca di quella riflessa dal cielo, decidesse di far loro visita svegliando l’intero Eden dal suo pacifico torpore e conducendolo a nuove altezze di gioia e celebrazione.
In quei giorni, ogni foglia di ogni pianta sembrava voler intonare la propria personale melodia. Perché, in quei giorni, il Signore veniva a camminare al  fianco dell’uomo.
Tuttavia, al contrario dell’Eden, che li circondava, quel giorno l’Ish non sembrava affatto felice. Qualcosa si agitava nella sua mente, un pensiero, un tarlo, che ne agitava l’animo e ne consumava la mente.
Il Creatore lo percepiva eppure parlava della Terra, del cielo, fingendosi ignaro delle preoccupazioni del suo interlocutore, attendendo con pazienza che fosse lui a parlarne per primo, ma all’ennesima domanda rimasta senza risposta, dovette arrendersi alla propria curiosità.
«A che cosa pensi con tanto vigore?» gli chiese fermando i propri passi lì, dove l’ombra dei rami di un albero d’acero si intrecciava a quella del tronco successivo.
L’uomo continuò ad avanzare, quasi non lo avesse sentito. Si fermò più avanti, sotto alla luce del sole, le spalle curve e il capo chino. Gli occhi azzurri fissi sull’erba tra i suoi piedi.
«Ish?» ne richiamò l’attenzione il Padre, temendo di averlo nuovamente perduto in chissà quale angolo della sua mente frastornata.
L’uomo alzò il capo, ma continuò a dargli le spalle.
Se una qualsiasi delle sue creature celesti avesse assistito a quel comportamento, a quella totale assenza di timore nei Suoi riguardi, sarebbe stata stupefatta e inorridita, ma il Creatore non provò rabbia, né Si sentì offeso. Anzi, un grande orgoglio sbocciò dentro di Lui, per quell’essere così forte e fragile allo stesso tempo.
«Si tratta della mia compagna.»
Le parole vennero a malapena bisbigliate, un suono talmente lieve, che a malapena lo percepì.
Il Signore si mostrò sinceramente confuso da quelle parole. «Cosa non va nella tua compagna?» gli chiese stupefatto. Erano stati creati per essere parti di un tutt’uno. Come potevano non andare d’accordo?
«Io- non credo che sia adatta a me» balbettò l’uomo rifiutandosi ancora di guardarlo. Il Padre ne studiò la schiena con rammarico, poteva percepirne l’insicurezza, il lieve timore di contrariarlo, di sembrargli ingrato. Credeva di averlo offeso mancandogli di rispetto.
E, se non avesse percepito quell’insicurezza, forse si sarebbe davvero adirato per quelle parole. Perché, come poteva pensarlo? Come poteva affermare che avesse errato in qualcosa? Proprio Lui, che gli aveva dato la vita? Invece, sentì solo la punta di un’offesa, che avrebbe potuto rivelarsi ben più profonda.
«Sciocchezze-» disse lapidario. Non aveva altre parole per etichettare una frase tanto sciocca.
La Sua luce rifletté il repentino cambio d’atmosfera divenendo più scura e fredda, una carezza quasi gelida sfiorò la pelle dell’Ish facendolo rabbrividire. «Vi ho creato dalla stessa terra, dalla stessa polvere. Siete uguali e divisi, non possono esistere due creature più complementari di voi» affermò con sicurezza, certo della verità delle proprie parole.
L’uomo sospirò e, se possibile, chinò ancor di più il capo, apparendo sconfitto come doveva sentirsi in quel momento. Il suono della sua tristezza toccò qualcosa di profondo nel Creatore.
Qualcosa che catturò ogni traccia del suo orgoglio ferito trasformandolo in un amore puro e irrazionale. Profondo come mai l’aveva provato, se non per i Suoi angeli.
«Perché questo pensiero? Questa infelicità? La donna non ti aggrada, non provi amore per lei?»
«Temo che sia il contrario-» mormorò l’Ish, con voce colma di rammarico. «E, per quanto lo desideri, non credo sia possibile rimediare all’enorme distanza che ci separa, ormai.»
 Il Signore rimase in silenzio innanzi a quella profonda malinconia.
Dunque è questa la strada che percorrerete. Dolore e morte. Tradimento e sofferenza.
Una parte di Lui provava una terribile angoscia, perché già sapeva il terribile epilogo di quella vicenda. Lo aveva visto, lo aveva vissuto. Eppure, lo aveva ritenuto irrealizzabile. Lo aveva creduto un futuro impossibile.
Era quello più intricato, il più difficile. La strada della menzogna e dell’oscurità.
Quando aveva osservato per la prima volta quel possibile cammino, lo aveva scartato immediatamente. D’altronde, si era detto, perché mai una creatura nata nella luce e per la luce, avrebbe mai voluto addentrarsi in un’oscurità tanto profonda?
«Pensavo sareste stati felici insieme. Capostipiti della vostra razza» si limitò a rispondere tenendo per sé i propri timori; rivelarli, non avrebbe giovato a nessuno.
Ancora, non era accaduto nulla, dopotutto. E le cose potevano sempre cambiare. I fiumi del destino erano infiniti e mutevoli.
«Il problema è che lei non è come me» disse l’uomo voltandosi, finalmente, verso il suo Creatore. C’era un tono esasperato nella sua voce, che supplicava solo di essere compreso. E c’erano lacrime nei suoi occhi. Occhi che Lui stesso aveva ritagliato dal cielo per adornare quel viso innocente.
«Lei è piena di ambizioni, di desideri, mentre io- sono semplice. Non mi pongo le domande che si pone lei, né mi nutro di sogni come fa lei. Non aspiro a più di quel che ho e questo la irrita, la annoia. Tutto ciò che faccio, o che dico, non fa che innervosirla e accrescerne lo sdegno nei miei riguardi.»
«Ed è stata lei a confidarti queste cose?»
L’Ish scosse le spalle. «Non ne ha avuto bisogno, ogni volta che le parlo la sua espressione è abbastanza chiara» gli confidò con amarezza.
«Qualsiasi cosa credi di aver visto nell’Ishà, sono certo che sia un malinteso e che tutto possa essere risolto con pazienza e sincerità» tentò di placare l’angoscia, che vedeva dipinta sul volto dell’uomo. In realtà, Lui stesso si sentiva rattristato da quell’inaspettato sviluppo. Eppure, non tutto era perduto.
Il destino aveva innumerevoli strade, infiniti fiumi, che conducevano ad una moltitudine di futuri. Tutti diversi e misteriosi, per tutti, tranne che per Lui. Ai Suoi occhi, ognuno di quei cammini era chiaro e ben definito, portatore di conseguenze buone e cattive.  
I destini di quei due umani non facevano eccezione. Certo, erano più complicati di quelli di ogni altra creatura, più tortuosi e- in alcune manifestazioni- addirittura drammatici, ma ancora non era convinto che si sarebbe giunti a tanto.
Le cose che vedeva erano orribili, erano disastrose e, per quanto complesse e contraddittorie potessero essere le anime degli umani, di una cosa era più che sicuro: erano intrinsecamente buone.
Qualsiasi strada avessero scelto, alla fine, sarebbe stato l’amore a guidarli. E nient’altro.
Ma avrebbero sofferto per trovare la strada giusta, si sarebbero dibattuti e perduti, sarebbero caduti nell’oscurità più profonda e questo, sfortunatamente, iniziava a sembrargli inevitabile.
«Lei non vuole stare con me. Non credo neppure, che voglia stare nell’Eden.»
Il Signore rimase stupefatto da quelle parole. «E dove vorrebbe andare, allora?»
L’uomo apparve indeciso. «Ci sono posti, di cui il sommo Michael racconta. Posti lontani e selvaggi, dove animali feroci combattono per la sopravvivenza-» mormorò incerto.
«Ed è questo che volete? Sapete, almeno, cosa state chiedendo? Il resto della Terra non vi è proibita per capriccio, ma per difesa. Oltre il cancello fatichereste per ogni cosa. Il cibo, l’acqua, perfino la vostra vita sarebbe a rischio, poiché le creature di cui parla Michael non esiterebbero a cibarsi di voi. E tu dici che questo vi renderebbe più felici? Più felici di una vita in questo giardino?»
Non pose la domanda con rabbia, ma con pura e semplice sorpresa. Perché, per la prima volta, si sentiva davvero così: meravigliato.
Quell’anima che aveva estratto dal fango, quella misteriosa creatura, che aveva creato quasi per gioco, era andata aldilà di ogni sua immaginazione e continuava a crescere e ad evolversi, a creare credenze e concetti estranei perfino ai suoi angeli. Non accettava più i confini che Lui gli aveva imposto, si ribellava alle sue leggi e chiedeva di essere libero.
Oh, era orribile e avrebbe dovuto annientarla, prima che divenisse un pericolo per l’intero Regno. Perché dove avrebbe mai potuto giungere una simile arroganza?   
«Io no, mio Signore-» rispose, in evidente imbarazzo, l’uomo. «Ma l’Ishà, lei- credo che questa vita la faccia sentire priva di scopo.»
«Quindi vorresti che la lasciassi andare? E, ovviamente, vorresti seguirla.»
«Io- no. Non intendevo-» disse con voce tremante, ma era proprio ciò che intendeva dire ed entrambi lo sapevano.
E, sì, era orribile. Quella creatura che, seppur intimorita, mostrava più fedeltà a chi la tradiva senza un secondo pensiero, a chi la ricopriva di sdegno e menzogne, piuttosto che a Lui, Suo Padre.
Ma era altrettanto deliziosa, per la stessa temibile ragione. Perché, chissà, dove poteva arrivare? Poteva davvero, un giorno, sfidare il Cielo? Sfidare Lui? Oppure, avrebbe capito. Sarebbe giunta all’unica giusta conclusione? Alla consapevolezza dell’amore, che univa ogni cosa?
Oh, la tremenda curiosità. Se Lucifiel avesse visto, avesse sentito. Se uno qualsiasi dei suoi angeli avesse sospettato, non aveva dubbi che i suoi poveri umani sarebbero stati annientati senza un secondo pensiero. E non era per questo, in fondo, che li aveva tenuti nascosti tanto a lungo?
Il loro cammino proseguì in silenzio, il lento frusciare dell’erba, sotto i piedi dell’Ish, il loro unico compagno, finché- nella radura più vicina al cancello ovest del Giardino- in piedi sotto ai raggi del sole, non incontrarono la donna.
Con curiosità il Padre ne studiò l’espressione, i minimi dettagli del volto e delle reazioni.
Guardò il suo viso arrossato farsi pallido e impaurito innanzi al Suo cospetto, vide i suoi occhi farsi meno radiosi, meno brillanti, mentre tutto il suo corpo pareva curvarsi in se stesso, pronto a difendersi da chissà quale nemico.
«Non ci vediamo da qualche tempo, Ishà» la salutò con l’usuale calore. «Il tuo compagno mi dice che sei rimasta impressionata dai racconti dei miei angeli.»
Al suo fianco, l’uomo si fece teso, quasi imbarazzato. Avrebbe voluto parlare, cambiare argomento forse, ma non osava farlo.
La donna, invece, non mostrò alcuna particolare emozione, anche se le sue labbra si strinsero in un falso sorriso. «Sono racconti piuttosto affascinanti. La terra sembra un luogo ricco di- opportunità» rispose dopo una breve esitazione.
«Credo ne rimarresti delusa, in realtà. La vita è piuttosto difficile, oltre i cancelli dell’Eden.»
«Qualsiasi vita sarebbe più difficile fuori dall’Eden» mormorò lei in risposta. «D’altronde, non potremmo essere felici in nessun altro posto che quello da Voi scelto per noi.»
Una bugia a denti stretti. Il Signore finse di non averla percepita. «Di questo sono convinto» rispose in tono cordiale, ma avrebbe voluto dire molto di più. Chiedere, indagare, interrogare.
Perché scegliere la strada più tortuosa? Perché soffrire inutilmente? Cos’è questo desiderio incontrollabile, che sento crescere dentro di te? E da cosa nasce?
Sarebbe potuto restare lì, a parlare, per l’eternità. Di ogni cosa. Di ogni minimo mutamento dei loro pensieri e delle loro emozioni. Di quei sentimenti, che sembravano provare con un’intensità sconosciuta alle sue creature celesti.
Ma non poteva restare e non poteva nemmeno porre le domande che Lo affliggevano, perché avrebbe finito con lo svelare troppo. Avrebbe spinto dove non voleva farlo. E non voleva farlo, perché voleva sapere. Aveva bisogno di sapere.
Quale destino avrebbero seguito? Potevano scegliere senza la sua guida? Senza il suo consiglio?
La donna alzò il viso e i suoi occhi grigi sembrarono riflettere il conflitto che Egli provava.
Occhi incandescenti e indomabili, come il suo spirito, pensò con muto orgoglio.
«Non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi dato questa vita» gli disse, ma non c’erano gioia, né tantomeno gratitudine nella sua voce. «Vorrei potervi ripagare, in qualche modo.»
No, non c’era gratitudine, ma qualcos’altro. Qualcosa di sottile e quasi malevolo, che lo lasciò- ancora una volta- assolutamente stupefatto.
Lo stava minacciando? Oh, l’uomo non l’aveva neppure notato, ma Lui sì.
Gli stava promettendo- qualcosa. Ma non avrebbe saputo dire cosa.
Oh, avrebbe potuto distruggerla. In quell’istante. Un solo pensiero, anche meno di quello, e lei sarebbe tornata polvere. Non se ne rendeva conto? O non le importava?
«La vostra felicità e il vostro amore sono l’unica ricompensa che desidero e che mi è cara» rispose, quasi ridendo di quell’assurda conversazione. Di quell’astuto gioco di doppi sensi e falsità, che l’uomo neppure aveva compreso.
E com’era possibile una tale differenza tra quelle due creature? Una tale distanza tra le loro menti?
Sentì il bisogno di tornare al suo Trono. Di rimanere solo a riflettere, a osservare e studiare come mai prima di allora aveva fatto.
Voleva porsi in disparte e rivivere quella conversazione ancora e ancora, finché non ne avesse colto ogni minima sfumatura.
«È tempo che rientri,» disse «Lucifiel mi sta cercando.»  
«Tornerete presto a trovarci?» chiese l’uomo, il viso aperto e gentile.
Il Signore non rispose, perché non lo sapeva.
Presto, tardi, oggi, domani, per lui non significavano niente. Il tempo era una creazione per la Terra, non per Lui.
Lui non aveva tempo, se non il presente. Non aveva passato o futuro, ma solo l’adesso.
Perciò, sparì in silenzio, così come era arrivato, senza dare alcuna risposta.
La Sua luce tornò ad illuminare la sala del Trono più in fretta del battito di ciglia dell’Ish.
Il coro Lo accolse con un gioioso canto di benvenuto e la voce di Lucifiel tuonò adirata nella stanza.
Lo rimproverava per essersi allontanato senza consultarlo, senza dire a nessuno dove andava.
Non aveva bisogno di ascoltarlo, per conoscere il contenuto delle sue parole o dei suoi sentimenti, li sentiva vibrare dentro di sé, come parte della sua stessa energia.
Ma adesso non poteva pensare a Lucifiel e alle sue preoccupazioni, né poteva prestare attenzione al coro e al suo nuovo inno.
Adesso, doveva riflettere. Doveva vedere e decidere cosa fare.
 



*Il capitolo doveva essere dal punto di vista di Adam, ma alla fine non è stato così. Visto che non è mai stato in progetto scrivere dal punto di vista di D., perché il pensiero mi ha sempre lasciato a disagio, vorrei premettere che si tratta, come ovvio, di mera fantasia. Spero che nessuno si senta offeso da ciò che scrivo.
 
**Avrei dovuto spiegarlo prima, ma Ish e Ishà sono i due termini ebraici (o così ho letto) che indicano l’uomo e la donna.

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Capitolo 5
*** Adam ***


Per prima cosa ringrazio tutti coloro che leggono, seguono e aggiungono ai preferiti la storia!:)

Un grazie speciale va a chi ha lasciato un commento in questi giorni: Ciuffettina, Drachen, Dimea, Madyson Alyssa Johnson e Loreena McKenzie, siete fantastiche!:)

Poi, una nota sul capitolo.
Qualcuno di voi ha espresso dubbi circa la natura degli angeli. In particolare, su come appaiono, sul fatto che Gabriel sia o meno una donna e via dicendo.
Qui c'è l'inizio della mia risposta, spero si capisca cosa intendo. E' stato piuttosto difficile metterla su carta!:D
Aspetto i vostri commenti!!!:D:D

Nel frattempo, per chi li avesse, mi sono iscritta anche su Wattpad e su Goodreads!:D

A presto!:*

 

5. Adam
 
La vita sull’Eden trascorreva semplice e pacifica; senza mutare, senza sorprese o eventi particolarmente degni di attenzione; calma come l’acqua del lago, che nutriva la radici dorate dell’albero della vita.
Ogni tanto, giungevano le visite inaspettate del Creatore, o di una delle sue creature alate, a spezzare la monotonia del giorno e gli umani restavano per infinito tempo in loro compagnia, affascinati e intimoriti dal loro aspetto.
Si definivano mal'akh*, messaggeri del Padre, e sostenevano di essere i suoi primi figli, le sue creazioni più antiche.
I loro corpi di luce erano luminosi come quelli del Creatore; la loro volontà e i loro pensieri un tutt’uno con i Suoi; come Lui non avevano né carne, né sangue da mostrare e la loro essenza, la loro anima, era tutto ciò che li costituiva. Eppure, nonostante lo loro natura fosse più divina che umana, il loro aspetto ricordava quello di un uomo con gigantesche ali da uccello.
Di fronte a quella bizzarra descrizione, durante una delle sue prime visite, Michael era scoppiato a ridere.
«Con ali da uccello?» aveva ripetuto con aria divertita. «Dovrei sentirmi offeso, semmai sono loro ad avere ali da angelo.»
Adam si era sentito mortificato all’idea di aver insultato quella magnifica creatura del Regno e si era profuso in scuse, ma l’arcangelo lo aveva placato con un caldo sorriso.
Il mistero della natura di quelle creature, però, aveva continuato a incuriosirlo spingendolo, di tanto in tanto, a chiedere spiegazioni a Michael, che sembrava l’unico disposto a parlargli di tali questioni senza alcuna ritrosia. Ma, per quante volte provasse a spiegarglielo, per l’uomo la natura degli angeli rimaneva qualcosa di oscuro e complesso, come fosse al di là della sua capacità di comprensione od oltre i limiti del suo intelletto.
Nonostante la sua ovvia difficoltà a seguirne le parole, l’arcangelo non si perdeva d’animo continuando a spiegargli e rispiegargli, all’infinito, lo stesso concetto.
Il problema essenziale di Adam, ciò che davvero non comprendeva, era la differenza tra sé e quelle creature. Michael sosteneva che gli angeli non avessero un corpo fisico, ma ai suoi occhi non apparivano molto differenti da sé. Avevano un volto, occhi e capelli dai colori variegati, caratteri e sentimenti diversi l’uno dall’altro. Dove Michael era espansivo e sempre allegro, ad esempio, Raphael appariva più pacato e responsabile, Uriel più cupo e malinconico e che dire di Gabriel, dolce, gentile e dagli inconfondibili tratti di donna?
Come potevano affermare di non avere un corpo come il suo, quando poteva vederli e, se ne avesse avuto il coraggio, addirittura toccarli? Era questo che Adam non riusciva a comprendere in alcun modo.
«Ci siete voi-» gli ripeteva instancabilmente Michael «E c’è il Padre, in mezzo ci siamo noi.»
L’uomo annuiva a quelle parole, perché quella era la parte chiara, quella semplice.
«Lui è la Luce, la fonte di ogni cosa e di ogni forma di vita-» gli diceva con ritratto in viso il profondo amore, che nutriva per il Regno. «Mentre voi siete una scintilla di quella luce, una minuscola scintilla, come quella che otterresti facendo strisciare due pietre focaie l’una contro l’altra. Le Sue mani hanno colto quella scintilla e l’hanno piantata nella materia. In questo non siete diversi dalle altre creature della Terra, ma la vostra luce è più luminosa, più brillante, di quella che appartiene a piante e animali, questo vi rende più simili a noi e più vicini a Lui.»
«Più simili, ma non uguali?» chiedeva allora l’uomo corrugando la fronte e sforzandosi di seguire il senso del discorso. L’arcangelo scuoteva il capo. «La vostra carne si nutre di desideri propri: fame, sete, paure e bramosie, che non ci appartengono. Noi non le proviamo, perché la volontà del Signore scorre in noi e decide per noi. Voi siete più distanti dalla fonte e non ne percepite più il calore. La Sua scintilla si confonde nella carne, si mescola al sangue dividendovi dalla coscienza del Creatore. Da questo nasce la vostra solitudine: quella scintilla desidera tornare a casa, tornare ad essere parte del Padre, ma la carne sa che quel viaggio la distruggerà e, per questo, combatte per rimanere in vita, per convincervi a temere la sua fine e, attraverso quella lotta, vi rende ciechi e sordi alla volontà del Signore.»
L’uomo ascoltava quelle parole con rapita attenzione, cercando di ritrovare dentro di sé quelle emozioni che l’angelo descriveva, stupito dalla profonda conoscenza e comprensione che Michael sembrava avere di ogni più piccola creazione.
«Al contrario di voi, noi non siamo prigionieri della carne. Non siamo scintille mescolate al sangue, ma parti della luce inviate nel mondo per essere i Suoi occhi e la Sua voce. Siamo decine di piccole fiamme destinate a bruciare in eterno nutrendosi della Sua luce. La nostra essenza si sviluppa all’infinito, muta, accrescendo il proprio potere e la propria conoscenza. La materia per noi non è altro che un gioco, la plasmiamo, la dominiamo, la trasformiamo e ci ricopriamo di essa. Per questo ci vedi come siamo, ma non è niente di più di un’illusione. Una maschera che scegliamo di indossare, ma che non è la nostra natura. Potremmo facilmente sbarazzarcene, se volessimo.»
«Quindi non è il vostro aspetto reale?»
E l’arcangelo rideva dimostrandogli quanto lontano fosse in realtà dal comprendere le sue parole.
«Ciò che tu definisci aspetto non è che il risultato della nostra e della Sua volontà. Siamo come Lui vorrebbe che fossimo e come noi vorremmo essere, ma non siamo immutabili, se è questo che intendi, perché la materia che ci circonda può essere abbandonata e trasformata all’infinito. Se ci vedessi nel Regno avremmo comunque questo aspetto, perché è così che decidiamo di apparire, ma nel tempo, magari tra astri, potresti incontrarci in vesti totalmente differenti. Ciò che noi siamo realmente, ciò che tu sei realmente, anche se non lo ricordi, è luce e solo questo.»
«Se siete solo una parte del Signore e della Sua volontà, come potete essere così differenti l’uno dall’altro?»
«Chi dice che siamo solo questo? Credi, forse, di essere stato creato a partire dal nulla? Tu, la donna, gli animali, gli alberi, non siete altro che forme diverse di ciò che siamo noi. Copie immutabili della nostra volontà.»
«Ma se siete la Sua volontà, allora non dovreste sentire nulla di diverso da quella» cercava allora di mettere in parole i propri dubbi, Adam e Michael annuiva paziente. «Noi siamo la Sua volontà, certo. Però abbiamo anche una mente e sentimenti che dipendono e si sviluppano in base alle nostre esperienze. Io parlo con te ora e questa conversazione appartiene solo a me, capisci? In questo momento ti amo, perché so che il Signore ti ama e, per questo, mai ti farei del male, ma sono anche curioso, perché desidero conoscere a fondo la tua natura e parlo con te, perché provo piacere nel farlo. Questi sono pensieri e sentimenti che appartengono solo a me e non alla Volontà.»
Gli insegnamenti che gli arcangeli condividevano con loro, però, non riguardavano solo la natura del Regno o delle creature celesti. C’erano le volte in cui altri, come Raphael, scendevano nell’Eden per insegnare loro come usare erbe e fiori, come mescolarli per medicare ferite più o meno gravi, per prendersi cura non solo l'uno dell'altra, ma anche di tutte le creazioni che vivevano assieme a loro in quell'angolo sperduto della terra.
«Gli animali, le piante, l'intero giardino, sono una vostra responsabilità-» diceva loro l’arcangelo dai capelli biondi, il viso indifferente e quasi annoiato. «Quando prendete da loro, dovete farlo con rispetto.»
Nonostante fosse uno degli arcangeli con cui passava più tempo, Raphael lo faceva sentire a disagio, come se ogni sua parola fosse una prova che era incapace di superare. Un insegnamento che non aveva l'abilità di comprendere.
Al contrario, Lilith pareva perfettamente a suo agio con ognuna di quelle creature. Non provava né imbarazzo, né timidezza al loro cospetto, continuando ad affermare le proprie idee e a porre le proprie domande con la stessa forza con cui affrontava ogni cosa.
Uccideva per mangiare e puliva le carcasse senza alcun indugio, quasi con piacere. «Sono qui per darci modo di mangiare-» gli diceva in risposta alle sue critiche. «Perché dovremmo sentirci in colpa?»
Adam non cercava di fermarla, ma non la seguiva quando andava a caccia. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato nel modo di agire della donna, ma non voleva affrontarla né litigare con lei.
Percepiva l'esistenza di un profondo legame tra ogni creatura vivente. Un vincolo la cui natura non gli era chiara come agli arcangeli, ma sufficiente a dimostrargli la verità delle loro parole.
Per richiesta del Signore, aveva iniziato a dare nomi ad ogni cosa, ad osservarne i tratti e il ruolo all'interno della creazione. Per sua sorpresa, ogni cosa nel giardino pareva averne uno.
Tutto era come un'unica catena perfetta, immutabile ed eterna.
Il solo osservarla lo commuoveva fino alle lacrime.
Alla fine tutto si riduceva al fatto che la sua vita, tranquilla e monotona per quanto fosse, gli piaceva. Amava dormire e risvegliarsi accanto all’acqua fresca e trasparente del lago della vita, ascoltare le melodie intonate dagli uccelli tra i rami, passeggiare nei boschi, pescare e raccogliere frutti. Attendeva con ansia le visite del Padre o delle sue creature celesti, ascoltava stupefatto i loro racconti e assorbiva con attenzione ogni loro insegnamento.
Non condivideva l’irrequietezza della sua compagna e nemmeno la capiva. Non sapeva come poterle rendere le cose più facili e temeva la rabbia che le percepiva addosso, quell’insoddisfazione, quella frenesia, che parevano accompagnarla ovunque.
La amava, questo sì, ma sapeva che, prima o poi, le cose sarebbero precipitate.
La donna avrebbe detto troppo, avrebbe fatto qualcosa di indicibile e allora- allora non sapeva cosa sarebbe accaduto, né voleva pensarci.
E cosa sarebbe cambiato, in fondo? Lilith non prestava orecchio alle sue parole, se mai lo aveva fatto.
Distanti nella mente e nel corpo, ormai faticavano perfino a guardarsi in viso per più di pochi minuti e le loro giornate erano sempre più spesso trascorse lontani l’uno dall’altra.
Anche quel giorno l'aveva lasciata accanto al lago a lavorare il legno e si era allontanato da solo, alla ricerca di nuovi animali a cui dare un nome.
Fu proprio mentre si trovava nel bosco che lo raggiunsero, le voci adirate di Michael e della donna.
«Che cos’hai fatto?»
Adam corse verso il lago, chiedendosi cosa potesse essere accaduto di tanto grave da porre quel tono di rabbia nella voce dell'arcangelo. «Che cosa succede?» chiese una volta giunto dai due.
Michael era in piedi accanto al lago, i pugni stretti lungo fianchi e gli occhi increduli. Le sue labbra erano tese in una smorfia di rabbia e tutto il suo viso appariva contorto, come se volesse trattenersi dall'adirarsi con la donna, ma non riuscisse del tutto a dominarsi.
«Niente.»
Fu Lilith a rispondere, china nell'erba. Adam non vedeva cosa stesse facendo, ma lo sguardo dell'arcangelo era sufficiente per capire che non fosse nulla di buono.
«Niente?» ripeté Michael, come se quella parola lo avesse colpito fisicamente. «È niente, per te, portare la morte in questo giardino?»
Lilith scelse quel momento per alzarsi e Adam lo vide. C'era il corpo privo di vita di una lepre a terra, una ferita sanguinante sul suo fianco.
«Non è vietato uccidere per mangiare» gli rispose lei, senza alcun timore.
«Ma tu non l'hai fatto per mangiare. Lo hai fatto per gioco, ti ho vista!» sibilò l'arcangelo.
La sua voce spezzò il silenzio con una forza tale da intimorirlo e costringerlo ad arretrare. Eppure Lilith ne incrociò lo sguardo, senza alcuna paura. «Puoi forse dimostrarlo? Avevo fame e sono andata a caccia.»
«Sono certo che ci sia stato un errore» mormorò l'uomo attirando su di sé lo sguardo adirato di Michael. «Lilith non avrebbe-»
«Pensi che io stia mentendo?» lo fermò l'arcangelo e Adam esitò.
Il suo silenzio venne tradotto in un'accusa e Michael sollevò la mano verso l'arma che teneva legata dietro le spalle. La furia dipinta su tutto il suo corpo parve riscaldarlo come fiamme.
Adam indietreggiò e gemette spaventato.
Forse fu quella paura, il suo gemito o, forse, fu il Signore stesso a intervenire per loro, ma l'arcangelo fermò i propri movimenti e chiuse gli occhi. Annuì lentamente e la sua mano destra torno ad allungarsi lungo il suo corpo.
«Ishà-» mormorò, quando fu di nuovo padrone delle proprie emozioni. «Non puoi uccidere gli animali in quel modo, è crudele.»
Gli occhi grigi della donna parvero farsi più freddi. «Perché?» chiese in tono di sfida.
Adam si sentì avvampare, aprì la bocca per intervenire di nuovo, ma la donna lo anticipò. «Ho costruito un'arma-» mostrò loro il legno su cui aveva lavorato negli ultimi giorni. Era curvo, molto lungo, con un laccio legato alle due stremità. «Volevo vedere se funzionava» scosse le spalle, come se la cosa dovesse essere ovvia.
«Ishà!» sibilò Michael, ma si fermò, le labbra socchiuse, come cercando parole inesistenti per descrivere ciò che provava.
«Francamente non capisco perché ti agiti così tanto. Sei stato tu ad insegnarci ad uccidere, dopotutto.» Le parole caddero tra di loro con il tonfo di un sasso nell'acqua.
«Lilith, fa silenzio!» ordinò inorridito l'uomo.
La donna si irrigidì e si voltò verso di lui, i suoi occhi grigi lo studiarono come fosse un estraneo, una creatura dalla forma bizzarra e curiosa. Adam ricambiò lo sguardo sentendosi ogni istante più inorridito.
«Posso avervi insegnato ad uccidere, ma vi ho anche insegnato a rispettare ciò che vi circonda, ad essere grati del dono della vita e ad amarla anche quando appartiene ad altri. Se tutto ciò che avete appreso da me si riduce a come creare un’arma per distruggere ciò che Dio ha creato, allora mi scuso, perché ho fallito nel mio intento.»
La rabbia di Michael era svanita. Al suo posto c'erano solo delusione e tristezza.
In qualche modo, quelle sensazioni lo spaventarono e ferirono ancora di più della sua rabbia.
Adam non sapeva cosa fare, voleva scusarsi, cancellare in qualche modo quegli eventi e quell'espressione dal viso dell'arcangelo, ma non aveva parole da donargli.
Si avvicinò di un passo sollevando la mano verso di lui. «Non farlo» lo fermò Michael, il capo chino, l'espressione nascosta sotto ai folti capelli rossi. «Non ora. Non posso-» non terminò mai la frase. Scomparve in un lampo di luce lasciandoli soli.
L'uomo non parlò. Si sentiva stanco e svuotato. «Non avresti dovuto parlargli così-» disse alla donna. «Michael è qui per noi, per darci aiuto. Dovresti essergli riconoscente.»
«Riconoscente?» sbuffò lei incredula. «E per cosa? Per donarci le briciole del suo tempo e giocare con noi come fossimo i suoi animali da compagnia?»
Adam la guardò pallido e angosciato.
«Ma guardati-» lo canzonò inclinando il capo su una spalla. «Ti metterai a piangere adesso?»
«E pensare che ti ho desiderata così tanto» bisbigliò pentendosi subito delle sue parole.
Lilith non diede cenno di averlo sentito, la sua espressione fredda e calcolatrice come sempre. «Puoi tenerti la lepre» gli disse voltandosi.
«Lilith-» cercò di fermarla, ma la donna era già scomparsa tra gli alberi del bosco.
Rimasto solo Adam si sentì barcollare. Poggiò una mano sul tronco ruvido e tiepido dell'albero della vita premendosi l’altra contro il viso. Un singhiozzo si strappò dalla sua gola, ma l'uomo lo trattenne.
L'aria proveniente dal lago parve bisbigliare il suo nome facendolo rabbrividire.
Il peso della solitudine non era mai stato così forte.


* parola ebraica per angelo.
 

 

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Capitolo 6
*** Michael ***


Okay, per prima cosa mi scuso per il ritardo. Purtroppo, sono stata letteralmente sommersa da lavoro e studio in questi mesi (a dicembre ho sostenuto un esame di stato piuttosto difficile :) ) e non ho potuto aggiornare prima.
In più scrivere dal punto di vista di Michael si è rivelato inaspettatamente difficile per me. Questo capitolo è stato riscritto almeno cinque volte e, ad essere sincera, non sono ancora sicura che mi piaccia, gestire questi arcangeli è davvero difficile a volte!:P

Grazie di nuovo a Ayr, Ciuffettina, Madison Alyssa Johnson, Drachen, Loreena Mckenzie e Dimea per i loro commenti (spero siate ancora lì fuori e continuerete a leggere nonostante la mia lunga scomparsa!:D) 

Infine, non ricordo se l'ho già detto o meno, se vi interessa leggere il sequel di questa storia (o uno dei sequel, sono ancora indecisa sul punto) potete andare su: 
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/fantascienza/186699/yggdrasil-3/
 

6. Michael
 
Un nuovo boato infranse la pace del sesto cielo, dominio dei Cherubini dai capelli di fuoco.
Come lo scoppio di un vulcano, il rumore fece tremare la terra, scosse le pareti antiche della torre di cristallo che si ergeva al suo centro e riempì di rinnovato terrore i cuori dei suoi abitanti, ma la collera dell’arcangelo Michael non era ancora soddisfatta e niente sembrava in grado di farlo.
Il capo dei Cherubini era da solo, ritto al centro di una radura, immobile come una statua. Il suo viso bronzeo, dai tratti decisi, era contratto in una perenne smorfia di rabbia. Le sue spalle erano tese, rigide sotto al peso delle sue sei ali dai riflessi color ruggine. Le sue mani stringevano l’elsa nera della spada, quasi faticassero a tenerla ferma e, tutto intorno, i campi- una volta ricolmi di vita- erano ridotti a cenere e detriti. La sua furia aveva cancellato ogni goccia di colore, prosciugato ogni accenno di vita e dove, fino a poco prima c’erano alberi e foglie rigogliose, dove risuonavano i canti e le risate della stirpe angelica affidata alla sua guida, adesso c’erano solo cenere e gemiti di paura.
Per ore, i Cherubini avevano osservato inerti quell’orribile spettacolo di morte, chiedendosi spaventati quando esso sarebbe cessato. Nessuno di loro aveva provato ad avvicinarsi o a parlare con l’arcangelo, tutti ne conoscevano il temperamento e nessuno di loro osava sfidarlo.
Un altro guizzo rosso attraversò le macerie accendendole di colore e strisciando veloce sul terreno annerito, la spada ardente di Michael roteò in aria e, con un ruggito, il tronco massiccio di una quercia centenaria esplose in aria. I frammenti di legno si sparsero attorno, divorati dalle fiamme, e scomparvero tra la cenere.
L’arcangelo si fermò di nuovo, la punta della spada rivolta verso terra. La sua mente era in subbuglio, la furia che gli ardeva nel cuore si scontrava con l’orrore delle sue azioni imperdonabili, ma ogni volta che cercava di riprendere il controllo di sé, gli occhi maliziosi della donna tornavano a canzonarlo.
«Ci hai insegnato tu come uccidere» continuava a bisbigliare al suo orecchio con malignità, ferendolo nell'orgoglio.
Con un grido rabbioso, Michael fece roteare di nuovo la spada per aria, la lama si abbatté sul tronco di un’altra quercia tranciandolo di netto, quasi fosse fatto di burro invece che di solido legno. L’antica pianta scricchiolò ed esplose sotto la forza del suo braccio, i frammenti piovvero tutto intorno avvolti dalle fiamme.
«Ci hai insegnato tu come uccidere.»
Come osava dirgli una cosa simile? A lui? Come osava dopo tutto ciò che le aveva insegnato? Che le aveva dato? Chi era quella miserabile creatura per rivolgersi a lui con tanta arroganza, per mancargli di rispetto in quel modo?
Un altro grido gli esplose dal petto, le fiamme avvilupparono gli alberi intorno a lui, innalzandosi dal terreno e disegnando un cerchio perfetto, ma ancora non bastava. Non era ancora soddisfatto.
E non lo sarebbe stato fino a quando l’insulto al Regno non fosse stato lavato via col sangue del colpevole. C’era una smania dentro di lui, una fame di vendetta che non riusciva a placare.
Lui era il Regno e il Regno era stato insultato. Ma no. Scosse il capo l’arcangelo. Non poteva farlo, non poteva distruggere le creature del Signore. Non poteva compiere un gesto simile.
Respirò a fondo, gli occhi serrati, il calore della propria rabbia quasi insopportabile.
«Hai intenzione di bruciare l’intero Regno o pensi di poter mettere fine a questo pietoso e infantile spettacolo?» la voce di Lucifiel non lo colse impreparato. Ne aveva avvertito la presenza nell’istante stesso in cui era sceso nel cielo dei Cherubini, aveva percepito su di sé il suo sguardo di rimprovero, ma aveva sperato che la sua rabbia lo tenesse distante. Una speranza stupida, a ben pensarci: quando mai Lucifiel aveva perso l’occasione di tormentarlo?
«Credimi, consigliere. Non è il momento adatto» rispose in un sibilo, la voce resa tremante dall’ira.
«Perché? Sei troppo impegnato a mostrare ai tuoi Cherubini la tua stupidità?» lo canzonò il Serafino. I suoi passi leggeri e silenziosi lo portarono davanti a Michael, sulla traiettoria della sua spada. L’arcangelo strinse la mascella e, per un attimo, immaginò di colpirlo; di tagliare a metà il suo corpo e cancellare finalmente quell’espressione di superiorità dal volto del grande Lucifiel. Il pensiero lo spaventò più di quanto avesse creduto possibile. Stava perdendo il controllo fino a quel punto?
«Io non ci proverei.» lo avvisò il Serafino fissandolo con aria severa, quasi sfidandolo apertamente a colpirlo. Le mani di Michael bruciarono intorno alla sua arma. «Perché no?» gli chiese di rimando.
Lucifiel sorrise, l’espressione carica di arroganza. «Perché, al contrario di te, io non mi tratterrei.» gli rispose e l’aria, attorno a loro, si caricò di elettricità. Era una chiara minaccia, una che Michael accolse quasi con gioia.
Una lite con Lucifiel: cosa c’era di meglio per sfogarsi?
«Pensi di farmi paura?» sorrise l’arcangelo di fuoco preparandosi ad attaccarlo.
Il consigliere lo guardò con condiscendenza, come se avesse davanti un bambino capriccioso. «Sì» gli disse lentamente, scandendo la parola. «E sai il perché?» gli chiese, ma Michael non lo ascoltava più. Accecato dalla rabbia, con un grido, calò la spada verso di lui.
Lucifiel sospirò e tese la mano verso il Cherubino. Un fulmine nero sgusciò dal suo palmo, tagliò la distanza che li separava e si cinse attorno al corpo di Michael sollevandolo in aria. L’arcangelo si dimenò, gridando e gemendo come un animale ferito, ma Lucifiel lo tenne appeso lì, guardandolo con aria annoiata per interminabili minuti. Lo guardò, finché la lotta dell’arcangelo non divenne più debole, finché la rabbia non evaporò da Michael e l’arcangelo rimase inerme nella sua trappola.
«Come ti ho già detto altre volte, Michael, combattere quando si è preda dell’ira è da stupidi. Soprattutto contro un avversario come me.»
Michael si sentì avvampare, dall'imbarazzo, dalla collera, ormai non lo sapeva più.
Il fulmine nero che lo avvolgeva scomparve lasciandolo scivolare lentamente a terra.
In silenzio, l'arcangelo osservò il risultato devastante della propria ira sentendosi schiacciare da vergogna e rimorso.
«Se hai finito con la tua crisi isterica, vorrei ricordarti che eri stato convocato alla Terrazza di Luce. Da me.» gli disse con rimprovero il consigliere. Michael non rispose, ma le parole del Serafino lo irritarono profondamente. Detestava dargli ragioni per criticarlo e quel giorno sembrava non farne una giusta. «Avevo da fare» mentì. «Non sei l’unico con dei doveri, qui.» sputò alla fine, risentito.
L’espressione di Lucifiel si fece sinceramente stupita. «Doveri?» ripeté, come saggiando il suono della parola tra le labbra. «Non pensavo conoscessi il significato di questa parola. Sono davvero esterrefatto.» Si fermò inclinando il capo, come riflettendo su qualcosa. «Significa che sono atterrito, spaventato, colto da estremo stup-»
«So cosa significa esterrefatto!» lo interruppe Michael, il viso arrossato dalla rabbia.
La sua mano, ancora stretta attorno all'elsa della spada, tremò e un’ondata inaspettata di calore gli corse lungo le braccia e oltre i polpastrelli esplodendo dal suo corpo in una fiamma incandescente che avvolse il Serafino tra le sue spire.
Michael quasi gridò. Inorridito e inerme guardò le fiamme innalzarsi verso il cielo e bruciare ogni cosa al loro passaggio, ma Lucifiel non si scompose. Con un gesto della mano, lento e quasi indifferente, cancellò le fiamme lasciando solo un denso fumo nero e l’odore di cenere al loro posto.
Il suo sguardo dorato incrociò quello del Cherubino che abbassò il proprio sentendosi divorare dalla vergogna. Odiava perdere il controllo di sé in quel modo. Odiava essere facile preda di rabbia e orgoglio. E Lucifiel era l’ultimo al mondo che avrebbe desiderato come testimone delle proprie orribili mancanze. 
«Allora? A cosa dobbiamo questa ennesima scenata dell’arcangelo Michael? I tuoi amichetti ti hanno offeso?» lo canzonò ancora il Serafino, riattizzando la sua rabbia.
«Nessuno ti ha chiesto di venire qui. Ti sto avvertendo: lasciami solo, se non vuoi litigare.» lo mise in guardia l'arcangelo, ma Lucifiel non si mosse. «E io ti sto dicendo di smettere di fare l’imbecille e occuparti una buona volta dei tuoi doveri» gli rispose, per la prima volta, con una nota di rabbia nella voce. «È questo l’esempio che dai ai tuoi Cherubini? Un arcangelo che non riesce a controllare il proprio temperamento? Un arcangelo che manca ai suoi doveri? Come sei caduto in basso, non me lo sarei mai aspettato. Nemmeno da te.» disse il Serafino, la sua voce fredda e implacabile.
Ad ogni sua velenosa parola, la rabbia di Michael montava e ribolliva, finché il Cherubino, incapace di contenersi, digrignò i denti e con un grido soffocato sollevò la spada in aria e si gettò contro il consigliere. Enormi fiamme rosse si sprigionarono dalla terra circondandoli. La sua lama incrociò quella di Lucifiel a mezz'aria, con uno schiocco che riverberò in distanza. Le lame scricchiolarono e sibilarono scivolando l’una contro l’altra.
«Vedo che sei finalmente uscito di senno come ho previsto il giorno della tua creazione.» commentò Lucifiel, il tono superbo.
Michael si sentì avvampare. Una parte di sé sapeva di reagire in modo esagerato, sapeva di essere fuori controllo, ma le parole di suo fratello non facevano che accrescere la sua rabbia.
Col rumore dello scoppio di una bomba, tutto intono a loro venne avvolto dalle fiamme. Lucifiel lo colpì al viso con un gomito facendolo indietreggiare con un gemito, Michael scoprì i denti e ringhiò.
«Ma guardati, ringhi come un cane.» lo canzonò Lucifiel, il tono disgustato.
La rabbia bruciò in Michael come le fiamme che si innalzarono improvvisamente verso il cielo, ben oltre le loro teste. Il fumo, denso e scuro, oscurò ogni cosa e, per un attimo, Michael perse ogni controllo dei suoi pensieri. L’elsa della spada vibrò e si surriscaldò tra le sue dita, preparandosi alla battaglia.
«Fermi.»
Un’ondata d’acqua gelida cadde sulle loro teste spegnendo il fuoco e strappando un gemito da Michael che si ritrasse guardandosi attorno confuso. Attorno ai due arcangeli un denso fumo nero si innalzò dalla foresta ormai distrutta circondando ogni cosa. Lucifiel indietreggiò riponendo la spada nel fodero e incrociando le braccia sul petto. I suoi occhi dorati scrutarono l’aria alla ricerca dell’origine di quell’interruzione e si fermarono sul viso familiare e adirato di Gabriel.
L’arcangelo dai corti capelli neri era in piedi tra di loro, le braccia tese lungo il corpo e le sei ali dai riflessi azzurri spalancate lungo la schiena. Le piume brillanti, come umide di acqua, e allineate una contro l’altra, taglienti come il filo di un rasoio.
«Siete forse impazziti?» sibilò al loro indirizzo. «Combattervi come nemici, alzare la spada contro un vostro fratello. Dovreste vergognarvi di voi stessi.» li rimproverò aspramente.
D'un tratto, forse a causa dell'improvvisa doccia fredda, o forse per le dure parole della sorella, Michael sentì la propria rabbia scemare. Per la prima volta, da quando l'aveva estratta di ritorno dall'Eden, la presa sulla sua spada si allentò come se le sue braccia non potessero più sostenerne il peso. «Io- non volevo-» mormorò guardando la distruzione che aveva creato sul suo cielo con aria colpevole.
«Ed ecco che inizia a piagnucolare» disse Lucifiel tra i denti, ma uno sguardo torvo di Gabriel lo mise subito a tacere. «Che cosa ci fate qui?» cambiò discorso il consigliere guardando oltre i detriti e il fumo, dove Raphael se ne stava seduto su un tronco reciso, intento a rigirarsi tra le dita una foglia mezza bruciata.
«Sapevamo che saresti venuto a cercare Michael, così ti abbiamo seguito.» rispose Gabriel richiudendo le ali dietro le spalle.
«Non ho bisogno della vostra supervisione.» si lamentò il Serafino, ma Gabriel scosse il capo, sul viso ancora dipinta una profonda disapprovazione. «Non si direbbe.» disse. «Cosa avreste fatto se non fossi arrivata?»
Lucifiel sospirò, come cercando la forza di affrontare tutte quelle seccature. «Lo avrei fatto sbollire ancora un po’. Ma credo che la tua doccia ghiacciata abbia avuto più effetto della mia spada.»
Michael lo guardò stupito. «Mi hai provocato di proposito? Per farmi calmare?»
«No» disse lentamente Lucifiel, come se parlasse a qualcuno di molto stupido. «Ti ho provocato per farti sfogare e smettere di infastidire i tuoi fratelli e la tua stirpe. Senza contare che sono stanco di doverti venire a recuperare ogni volta che salti una riunione, sono stanco dei tuoi continui sbalzi d’umore e sono stanco del tuo essere infantile. Devi crescere, Michael e imparare a svolgere il tuo ruolo nel Regno.»
«Lucifiel-» lo interruppe Gabriel con aria mortificata, i suoi occhi verdi corsero a cercare il Cherubino, il cui volto era divenuto paonazzo.
«Tutti voi sapete che ho ragione.» le disse in tono gelido Lucifiel. «È ora di mettere fine a questa storia. Un altro errore, Michael, solo uno e ti getterò io stesso nelle celle dell’ultimo cielo. Ti assicuro che nemmeno il Padre mi fermerà, questa volta.» lo minacciò il Serafino e Michael chinò il capo in silenzio. Il calderone di emozioni che gli ribollivano ancora dentro lo rendeva incapace di rispondere come avrebbe voluto.
«Non puoi minacciare un altro arcangelo-» sentì dire Gabriel, ma per quanto ne apprezzasse l'aiuto, l'arcangelo sapeva di aver sbagliato. Sapeva di meritare di essere punito per la sua condotta riprovevole e di dover ringraziare Lucifiel per non averlo ancora sottoposto all'umiliazione di venire trascinato via dal suo cielo dai Custodi.
«Gabriel-» la fermò tenendo il capo chino. «Lascia stare.» la implorò. «Temo che stavolta abbia ragione lui.»
Gabriel strinse le labbra e distolse lo sguardo. Michael guardò verso Lucifiel. «Mi scuso per aver saltato la riunione e per aver perso il controllo. Non avrei dovuto comportarmi in quel modo, spero vorrai perdonarmi.» gli disse.
Il consigliere lo guardò a lungo in silenzio, il viso insondabile come sempre. «Dovresti porgere le scuse ai tuoi Cherubini. Erano loro ad essere terrorizzati, non certo io.» gli disse, infine.
Michael avrebbe voluto scusarsi ancora, redimersi in qualche modo, ma sapeva che il consigliere non avrebbe gradito il suo gesto. Alla fine, fu Raphael a toglierlo da ogni imbarazzo. L’arcangelo guaritore era rimasto in silenzio per tutto il tempo, seduto in disparte come se la disputa tra i suoi fratelli non lo riguardasse affatto. «Perché eri arrabbiato?» gli chiese interrompendo la gara di sguardi imbarazzati tra i tre.
Michael si voltò a guardarlo, ricordando improvvisamente la voce maligna dell’ishà, le sue parole cariche di malizia e il suo sorriso crudele. Adesso gli sembrava tutto così assurdo. «É stato qualcosa che mi ha detto l’ishà.» si limitò a rispondere, conscio più che mai della presenza del Serafino e del suo disappunto per la creazione della razza umana. Abomini, li aveva definiti nel vederli la prima volta e, da allora, la sua opinione non era migliorata di molto. Se gli avesse confidato i propri timori, la crudeltà che aveva intravisto nella donna- Michael non sapeva cosa sarebbe accaduto, né voleva scoprirlo. «Niente, sono stato troppo irascibile. Dovevo controllarmi di più.» si limitò a rispondere.
«Tu? Irascibile verso quegli umani?» chiese Lucifiel con aria poco convinta. Michael ne avvertì lo sguardo indagatore sul viso e ne evitò gli occhi. «A volte dimentico che non sono come noi. Non conoscono il nostro mondo, le nostre leggi. Sono distanti dalla nostra natura e la loro carne li rende così imprevedibili e imperfetti- avrei dovuto essere più paziente.» scosse le spalle e, sebbene le sue parole fossero destinate ad allontanare da sé i sospetti del Serafino, nel pronunciarle l’arcangelo si rese conto di quanto esse fossero vere. Era stato troppo orgoglioso. Aveva permesso alla sua rabbia e al suo cattivo temperamento di accecarlo. Le sue parole avevano ferito gli umani e reso più profonda quella frattura che tutte le creature angeliche percepivano nella coppia.
«Sei certo non ci sia dell’altro? Sembri piuttosto in pensiero, cosa strana per te» lo punzecchiò Lucifiel, ma la sua voce non era irritata, né arrabbiata. Piuttosto, era curiosa, in un modo che spaventava Michael più di quello che aveva visto e sentito nell’Eden. L’Astro del mattino stava complottando qualcosa. «Sono sicuro, non devi preoccupartene.» rispose incrociandone lo sguardo con sicurezza, ma il consigliere non era così facile da ingannare. «Stai mentendo. Cosa cerchi di nascondere?» gli chiese irritato.
«Non ricominciare. Stai solo cercando una ragione in più per detestare gli umani. Non capisco davvero cosa tu abbia contro di loro.» accorse in suo aiuto Gabriel, cogliendo la sua reticenza, e Michael le lanciò uno sguardo di ringraziamento.
«E io non capisco questa vostra devozione nei loro confronti.» lamentò il consigliere scuotendo il capo, Michael lo guardò torvo. «Non è a loro che siamo devoti, ma a chi li ha creati e, se non fossi così pieno di te, capiresti la differenza.» gli disse contrariato. Lucifiel non rispose, ma il suo viso si contrasse mostrando quanto tutta quella conversazione lo irritasse. «È ridicolo» sbottò. «Assolutamente ridicolo.» 
Gabriel lo guardò tristemente, i corti capelli neri arricciati attorno al viso delicato. «Sono creature del Padre come noi e, prima o poi, dovrai accettare la loro esistenza.» cercò di placarlo, ma il Serafino ghignò. «Altrimenti?» la sfidò. «Cosa credi mi accadrà?»
«Non lo so. E, ad essere sincera, non vorrei mai scoprirlo.»
«Ah- sei preoccupata per me allora?» la canzonò Lucifiel e Michael scosse il capo. «Che il Padre ti aiuti Lucifiel-» mormorò tristemente. «Sei il solo che non se ne accorge. Come puoi essere tanto cieco?»
«Di che parli?» chiese il consigliere con aria confusa.
«Dell’amore che proviamo per te e della paura che abbiamo di vederti distrutto dalla tua stessa arroganza.» scosse il capo Michael e le sue parole parvero scuotere il Serafino in profondità.
Il suo viso, già pallido, divenne quasi traslucente e il suo corpo fu sconvolto da un tremito. Se fosse l’improvvisa dichiarazione di affetto di Michael a stupirlo o l’idea che il Signore potesse scegliere gli umani a spaventarlo, nessuno di loro poté dirlo con certezza, ma fu strano vedere vacillare in quel modo il consigliere. Vederlo mostrare una tale vulnerabilità
«Mi amate» ripeté in un sospiro, come se ignorasse il significato di quella parola. «Eppure non vi fidate del mio giudizio. Non vi fidate di me. Bell’amore il vostro, fatto solo di parole vuote.» disse tristemente.
Michael si ritrasse di un passo, quasi lo avesse trafitto con la sua lama. «Perché parli così? Perché covi tanto risentimento? Verso gli umani, verso noi.»
«Risentimento? Vi date un’importanza che non avete.» rispose il consigliere. «Non provo alcun risentimento verso di voi, ma solo compassione perché siete ciechi a ciò che vi circonda e troppo vigliacchi per farvi carico delle vostre responsabilità.»
«Nostro Padre ci ha ordinato-» si intromise Gabriel, ma Lucifiel la interruppe. «Nostro Padre è accecato dal suo amore per questa nuova creatura. Quando vedrà di cosa sono capaci, quando scorgerà la loro vera natura, allora capirà i miei avvertimenti. Ma voi- voi dovreste essere fedeli a Lui prima di tutto.» scosse il capo Lucifiel. Il suo viso si animò e colorò, come accadeva solo quando discuteva con qualcuno di qualcosa che gli stava a cuore, ma Gabriel non lo ascoltò. Scosse il capo rifiutandosi di prestargli ancora orecchio. «Sei tu a non capire la bellezza dell’opera del Padre e penso che un giorno ti pentirai di queste parole. Spero per te che non sia troppo tardi.» cercò il viso di Michael, come chiedendone l’ausilio, ma qualcosa nell’arcangelo era tornato ad agitarsi e a metterlo in guardia dagli umani. Un sussurro malizioso, che gli diceva di prestare ascolto al Serafino. Di non ignorare i suoi avvertimenti. Sentendosi di nuovo sconvolto, Michael si accigliò. «Devo occuparmi di qualcosa» disse senza attendere risposta, consapevole di quanto fosse ovvia la propria bugia.
Non importava. Non poteva rimanere ancora lì. Aveva bisogno di riflettere, di rimanere da solo.
«Ti senti bene?» chiese preoccupata Gabriel e il Cherubino annuì in silenzio scomparendo in un vortice di fiamme rosse. Salì verso l’alto, verso il cielo dei Serafini. Lo attraversò senza fermarsi, dritto fino alla Terrazza di Luce. Rimase lì a lungo, seduto sulla sommità del Regno. Si crogiolò nel tepore della Luce, sentendosi di nuovo in pace con se stesso e con l'intera creazione, finché la sua muta presenza non attrasse l'attenzione del Padre.
«A cosa devo la tua visita, Michael?» gli arrivò la Sua voce e Michael chinò il capo sentendosi avvolgere nell'abbraccio caldo e rassicurante del Padre. «Il tuo animo è irrequieto. Hai litigato di nuovo con Lucifiel?» gli chiese non senza una nota di rimprovero nella voce. Detestava che i Suoi figli litigassero tra di loro.
«Un po’» mormorò in risposta l’arcangelo. «Ma nulla di diverso dal solito.»
La luce vibrò intorno a loro. Bianca e accecante si strinse attorno al suo corpo, lo avvolse nel suo abbraccio e lo spinse a rivelare ciò che aveva nella mente.
«Vi siete mai chiesto-» Michael si fermò titubante. «Avete mai riflettuto sulle raccomandazioni di Lucifiel? Sulla creazione degli umani, intendo.»
Dentro di sé percepì lo stupore e la confusione creata dalla sua domanda e subito si pentì di averla posta ad alta voce.
«Perché questa domanda? Non dirmi che condividi i dubbi di Lucifiel.» rispose il Signore e Michael arrossì scuotendo il capo. «Non credo che siano pericolosi, però-» si fermò incapace di mettere in parole ciò che provava dentro. Il dubbio che, nonostante tutto, lo divorava.
«Però?» lo esortò il Signore.
«È la donna.» disse Michael con voce incerta. «È molto diversa dall’uomo. È molto diversa da noi, è qualcosa di-» si fermò scavando nella propria mente alla ricerca di una parola che racchiudesse la natura dell’ishà.
«Incomprensibile?» lo anticipò il Signore e Michael annuì. «E chi dice che sia un male?»
«Chi dice che non lo sia?» chiese di rimando Michael pentendosi subito della propria irruenza, ma il Padre non parve preoccuparsene. «Ora compi lo stesso errore di Lucifiel» gli disse, invece, lasciandolo confuso.
«Pensate che sappia ogni cosa di voi? Che non possiate recarmi dolore o dispiacere? Che siate senza alcuna scelta? Eppure, a volte, siete un rompicapo per me. Condividete la mia essenza come nessun’altra creatura, siete parte di me e dei miei pensieri, eppure non siete come avevo progettato. Dovrei ritenervi pericolosi e distruggervi, per questo?»
«Io-» mormorò il Cherubino stupito e confuso da quelle parole.
«Nessuno possiede un destino forgiato nella pietra, nemmeno voi. Non siete schiavi, ma figli, Michael, esattamente come gli umani. Forse siete più vicini a Me di loro, ma questo non vi rende privi di volontà o decisioni. Le proteste di Lucifiel sono l’esempio più lampante di questa verità, credo.»
Michael rimase in silenzio, la mente in subbuglio.
«Tu hai visto un aspetto della donna che disapprovi, ma non puoi ancora stabilire se esso sia giusto o sbagliato prima di sapere dove la condurrà. È questo l’errore di Lucifiel e spero che nessun altro di voi lo compia.» continuò il Signore con voce indulgente.
«Cosa dobbiamo fare, allora?» chiese il Cherubino.
«Osservali e guidali fin dove è possibile, ma senza intervenire, senza giudicare. Credi di poterlo fare?»
Michael annuì, anche se non era certo di poter davvero eseguire quell’ordine.
Restare un mero osservatore dello sviluppo della razza umana? Era un compito così lontano dalla sua natura che il Cherubino si sentì disperato al pensiero di un certo fallimento.
La Luce vibrò intorno a loro, rassicurante e clemente. «Sono certo che sarai in grado di farlo. Sei più simile agli umani di quanto non ti renda conto.» gli disse la Luce e Michael si lasciò cullare da essa in silenzio.

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