New Era

di LadyFrenny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'ombra del vicolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Molti miti furono scritti sulla nascita della vita e dell'esistenza stessa, senza alcuna connessione a ciò in cui crediamo oggi.
La grande religione politeista di tutti i tempi antichi, si allontanava sempre di più dagli ideali di vita e rispetto dell’essere umano, verso coloro che vengono citati in tutto il loro splendore nella raccolta di libri mitologici. Tutti questi sono presi come spunto anche per frammenti di storie avvincenti come i grandi poemi Omerici, che aiutarono inoltre alla creazione di quello Virgiliano.
L'uomo ha sempre sostenuto il suo 'vedere per credere' e tutto ciò che fu raccontato e poi successivamente riportato su documenti concreti infatti, non bastarono per dire:' il mondo fu creato da ciò'.
Quelle leggende narrate di padre in figlio un fondo di verità dovevano avere, ma molte cose furono modificate nel tempo, riportando solo l’essenziale dato per vero, con molti passaggi aggiunti in seguito senza alcun ritegno, modificando la vera storia degli Dei ma a volte capitato anche per puro errore. Solo a causa di ciò l’uomo sentì il bisogno di riportare questi miti, passatempo di tutti i giorni per i nostri avi, su qualcosa che potesse conservarli così com'erano per il futuro.
Una volta si pensava di lasciare un segno nella storia solo per ricordare l’esistenza di un qualcosa passato, anche per dire un ‘guardati in dietro, se esisti è perché prima ci siamo stati noi’, un qualcosa che ti da una ragione di vita, anche se il mistero più grande è proprio questo.
Cos’è la vita? Ecco il dilemma principale di ogni mito, il quale tenta di dare una spiegazione irrazionale (possibile definizione data da noi) a ciò che siamo e dove viviamo. Per quanto strano, le persone avevano bisogno di rispondere alla loro curiosità con quelle semplici leggende di Dei che si scontrano e danno origine a tutto ciò che si vede al nostro occhio, compreso ciò che si percepisce al nostro tatto. Difficile a dirsi il perché di questi Dei si siano mostrati a dei comuni mortali, ma una semplice spiegazione era anche che in fondo, loro volevano dei semplici sottoposti che li venerassero. Dire che ai loro occhi, di questi comuni mortali, erano un qualcosa di nettamente superiore era poco.
Piano-piano le persone cominciarono a pregare queste Divine figure, donando loro tutto quello che fosse ritenuto degno di essere ricevuto. Queste entità raffigurate su statue, addirittura vennero ospitate da grandi strutture chiamati Templi;
Il più ricordato era il Partenone dedicato ad Athena nell’aria sacra di Atene, la città protetta da essa. Circondato da altri tempietti di minore importanza, esso risaltava su tutta l’acropoli, pronto a ricevere le future processioni dedicate alla Dea, protettrice della sapienza, della saggezza, della tessitura ed in generale dell'artigianato e degli aspetti più nobili della guerra. Come la città prima accennata, anche le altre cercavano di avere un proprio patrono che li proteggesse dalla furia scatenata e spietata che era la guerra, la sopravvivenza ad eventuali scosse della natura, o anche detta della madre Gea. Non solo accadeva ciò, ma come in questo caso anche gli dei si battevano per avere una propria città da proteggere, come sempre in questo caso, un mito racconta della prova dei doni che avvenne ad Atene, fra Nettuno e la Dea, in modo tale che il vincitore potesse diventarne patrono. La schiacciante vittoria ti Atena fu decisa a seguito dell’inutile dono di Nettuno, ovvero semplice acqua Marina sgorgata da una pietra, contro L’ulivo donato della dea con il quale la plebe potè inventare il famoso pane con le olive. Fuori un portico del tempio viene conservata quella pietra in ricordo del tridente che la perforò ed anche l’ulivo, l’oggetto vincitore della sfida divina.
Nella nostra era invece, tutto questo non ha nemmeno più valore compreso ciò che prima si tramandava di generazione in generazione in accurati dettagli: i miti.
Ormai nessuno credeva più in questo.
Si può confermare che le persone non credano più in niente, chi può dire se sia giusto o sbagliato?
Solo poche persone ancora sperano in qualcosa con il cuore solo per avere un punto di riferimento, per poter andare avanti, l’uomo di natura è sempre stato costretto a credere. Adesso però, Perchè credere in qualcosa come gli Dei e i loro terribili e devastanti atti?
Ognuno crede in ciò che lo aggrada di più, basta che non vada oltre i limiti della fantasia più sfrenata come i greci. Oh andiamo a che serve oggi studiare quelle storie con atti di sclero mentale, partorite da povere menti di persone che si sentivano sole a questo mondo?
Tutte quelle costruzioni dalle accurate strutture architettoniche, con quei fregi ben divisi solo a volte, con alto rilievi che raccontavano anche essi storie, guarnivano dal basso il timpano con il racconto principale ed il Dio glorioso al centro in tutto il suo splendore a cui era dedicato il tempio. Molti si ergevano su quelle terre maestosi, unici nel loro genere, ognuno raccontava la propria storia e lo sviluppo che quegli architetti compievano nel tempo. Come il grande tempio di Zeus ad Olimpia o il tempio di Apollo. Entrambi con maestosità ed eleganza spopolano nelle città nel loro angolino, dimostrando la grandezza di chi era dedica.
E come scordare quelle statue a tutto tondo dell’era Classica? Ben scolpite eseguite alcune in marmo ed altre più perfette grazie al bronzo, con decorazioni eseguite anche con l’argento o dalle preziose sembianze come le Crisoelefantine, le quali potevano sfoggiare un corpo ricoperto di diamanti che la rendevano preziose.
Tutto ciò ormai .. non aveva significato.

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Capitolo 2
*** L'ombra del vicolo ***




                                                                                       L'Ombra del vicolo                                                                            

                                                                                                                                                                      



Un anno uguale ad altri, tutti si susseguivano nel tempo da sempre silenziosi, ma ormai l’era delle divinità era bella che finita in questi giorni dell’era Contemporanea.
Fiumi di gente affollava le strade consumate dai gommoni delle ruote di automobili, tutti con il volto chinato alla vista di un cellulare o sul proprio orologio da polso, con il tempo che sembra non dar tregua a nessuno. La fretta nei passi delle persone lascia intravedere la loro vita scorrere via passo dopo passo, senza importanza, forse erano tutti più schiavi di quanto già non lo fossero i greci o i romani sotto il terrore delle ire divine. La società si basava sul lavoro, lo studio, i soldi, schiavi di una vita che aveva perso la fondamentale regola: Godere del proprio dono di vita.
Io in sincerità, forse per la giovane età, do’ la priorità a tutto quello che la fantasia mi dice, evitando il più possibile quello che mi si impone. E’ un ragionamento comune nei ragazzi della mia generazione, c’è molta voglia di cambiare e migliorare la propria vita, ma nessuno lo fa nel modo giusto mentre gli adulti preferiscono ritirarsi. Questa mattina pioveva a dirotto, con una nebbia che si potrebbe affettare con un coltello, mentre correvo sotto la pioggia per non perdere il bus. La pioggia mi prese alla sprovvista in mezzo alla strada, senza avvertire, ed i capelli poco prima lisci ora erano un ammasso di acqua e boccoli. Non so quanto tempo persi quella mattina per allisciarli ma di sicuro è stata tutta fatica sprecata.
Il mio lavoro non era nulla di grandioso ma nemmeno brutto, qualcosa che poteva aumentare le mie finanze senza morire di fame. L’agenzia mi aveva offerto uno stipendio ragionevole che mi permetteva di pagare l’affitto del mio piccolo appartamento in centro città, in cambio di una giornata spesa a bozzetti di copertine per libri, fumetti flash per corrieri e qualche lavoretto in magazzino se capita.
La mia libertà cominciò quando mi tolsi il peso della scuola, in realtà parliamo di soli tre mesi fa, finalmente promossa a pieni voti. In casa era tutto più soffocante, non ero più grande della bambina che vedevano da sempre, non potevo fare nulla di ciò che fanno le persone grandi, compreso viaggiare. Ho sempre avuto la sensazione di essere un uccello in gabbia ma questa cosa doveva finire.
Ora sguazzo nel mio appartamentino, vivo del mio lavoro e godo della mia passione per il disegno, nulla può andare storto.. o forse si.
Il mio piede finì dentro una pozzanghera proprio mentre viaggiavo con la mente su tutto il lavoro che dovevo affrontare quel giorno. Un calzino bagnato, capelli mossi, aspetto impresentabile, ecco come mi presenti dal mio redattore.
Sulla scrivania ciò che avevo lasciato ieri mi aspettava in perfetto ordine, la mia sedia scomoda come sempre e la finestra si affacciava su uno scenario post-apocalittico qual’era fra il tempaccio e lo schifo onnipresente di quel vicolo. Il viso poggiava sul mio palmo mentre speravo che la pioggia smettesse di distrarre la mia attenzione e che la matita invece di essere un giochino fra le mie labbra potesse diventare utile. Qualcosa mi tormentava quella mattina, forse il caffè che non avevo preso in tempo si faceva sentire.
La matita mi cadde a terra subito dopo il mio sussulto di spavento, un tuono riecheggiò nell’aria con potenza portando via la luce con a seguire un lampo che riempì la stanza di un bagliore giallognolo, il cuore mi era arrivato in gola.
<< Tutto apposto? >> Dissi con ancora l’ansia dentro la bocca dello stomaco, aspettandomi una risposta dalla stanza di fianco dove la signora lavorava per conto suo.
<< Certo che.. è stato spaventoso >> Dissi con un filo di voce che non avrebbe potuto sentire.
Nessuna risposta sosteneva il mio discorso univoco, il che era normale, molto spesso mi trovavo a parlare da sola, ma quelle mura erano talmente sottili che una risposta avrei dovuto riceverla per sostegno morale. Non che abbia paura dei fulmini sia chiaro! Ma essere soli in una stanza che non è casa tua, buia e silenziosa, con fuori il diluvio universale, non aiutava il mio coraggio.
<< Così non posso proprio lavorare >>
Armata di coraggio aprii il cassetto dove tenevo un accendino di scorta, dovesse capitarmi per puro caso una sigaretta per le mani, ma ora era il mio unico salvatore. La fioca luce illuminava quello che bastava per farmi trovare una candela nell’armadietto che avevo di fianco, l’accesi e via.
<< Scusi vuole che riattacchi io la corrente? perchè non so dove sia l'interruttore.. o per caso è andata via anche qui vicino? >>
Diedi una ginocchiata alla scomoda e pure odiabile sedia di legno, mordendomi il labbro per non fare uscire eventuali imprecamenti fuoriluogo, ma la risposta ancora tardava a giungermi.
<< Oh non si scomodi.. faccio io >>
Un sospiro mi scappò mentre accarezzavo il ginocchio che pulsava dal dolore lancinante, per quanto la rispettassi come capo quella signora stava diventando sempre più detestabile quanto la sua sedia.
Mi affacciai verso la strada, accorgendomi che era saltata la luce in tutti i palazzi che si trovavano nei dintorni, lampioni compresi. Un rumorino fastidioso mi entrò nelle orecchie, qualcosa che faceva un motivetto simile ad uno “squishi squishi”, fastidioso si, ma quello che mi preoccupava era la pelle d’oca che mi percorreva le braccia mentre udivo ciò.
<< C'è.. qualcuno? >>
La mia mano era posizionata di fronte la fiammella per impedire che il vento la spegnesse, la pioggia era leggermente più calma ma era fuori questione andare sotto quest’ultima ad investigare, la candela non sarebbe sopravvissuta ad una sola goccia di quelle. L’occhio mi cadde a terra, c’era del colore sparso dentro una pozzanghera, o almeno credo fosse del colore. Con due dita toccai il suolo, mi chinai giusto un pochino per raggiungerlo, ma quello che mi rimase sui polpastrelli non sembrava della semplice tempera per quanto la tastassi, era più corposa e strana come sostanza, la luce mi indicava solo che fosse rossa.
Da quell’altezza il rumorino era più chiaro, vicino. La curiosità mi spinse a fare qualche passo verso la mia destra, cercando di parare la candela dalla pioggia che nel mentre cominciava ad essere assorbita dai miei vestiti, girai l’angolo e buio pesto fu.
Era un rumore inspiegabile, che non senti tutti i giorni, qualcosa a cui dovevo dare un senso, per questo mi avvicinai senza esitazione per sbirciare nel vicolo. Il buio si mosse, penso che fosse un’ombra nell’ombra, non ha senso detto così ma è tutto quello che riuscivo a vedere in quello scenario e forse, doveva rimanere essenzialmente quello. Uno stomaco brontolava, ma ascoltando meglio quel grugnito era più un verso animalesco, di certo non ero io che ero impegnata a strizzare gli occhi per vedere meglio quella macchia nera che si strusciava a terra sotto il mio sguardo, incurante della pioggia che gli batteva sopra. Vivo? Qualcosa di vivo si dimenava mano-mano che mi avvicinavo, ogni passo e la figura si faceva più chiara alla mia curiosità, qualche metro in meno e la cosa diventava sempre più grossa, fino a trovarmici di fronte. Questo non bastò a farmi capire che quella macchia nera era solo ed esclusivamente nera, qualcosa dentro mi spinse a tendere la mano verso quel manto pece con stento, quel gesto però fece spegnere la candela sotto la mia imprudenza, non dovevo togliere la mano.
Tutto oscuro, il rumorino si fermò con la figura ora immobile ed io rannicchiata sulle mie gambe verso terra ritirai la mano alla ricerca dell’accendino in tasca che trovi subito. Lo misi fra me e l’ombra, quasi all’altezza del mio viso, bastò uno scocco deciso a farlo accendere e mostrarmi un incubo ad occhi aperti. Era un viso di uomo scavato dal dolore e dal tormento con occhi cavati, e nonostante ciò riusciva comunque a vedermi lanciando un grido straziante per le orecchie dalla sua bocca ampiamente stracciata e denti aguzzi, alla “vista” della fiammella indifesa del mio accendino, facendomi cadere a terra di sedere per l’improvviso spavento. Il mio grido di spavento si unì a quello selvaggio della bestia innaturale che avevo a pochi centimetri da me, dalla sua bocca colavano gocce do bava e sangue, quello stesso sangue che dovevo ancora avere sulle dita ignare. Il suo corpo che pensavo fosse un manto ne copriva un altro, irriconoscibile, straziato da morsi come le carcasse che trovi nel mezzo della savana, qualcosa di terribile da vedere per qualsiasi persona, specialmente quando ti accorgi di riconoscere quello che rimane del corpo, quando noti che le scarpe col tacchetto viola che porta sono le stesse che indossava quella mattina la donna che ti mise in mano lo stipendio.
Nessuna lacrima usciva per quanto fossi sconvolta, pensavo solo a strisciare all’indietro scivolando per le pozzanghere con la speranza che non mi prendesse. L’accendino era in una di quelle, non so quando sia caduto dalla mia mano, non avevo più nulla che potesse farmi luce e se si può chiamare fortuna ora non ero costretta a vedere la faccia della cosa che mi avrebbe uccisa.
Stava per zomparmi addosso, ne ero sicura perché il suo spostamento fu rapido verso di me, era giunta la mia fine senza saperne il motivo ne tantomeno quello che accadeva, non riuscivo a crederci. Le mani si graffiavano sull’asfalto mentre cercare di spostare il mio peso con forza, l’agitazione mi offuscava i pensieri e la vista si rifiutava di vedere. L’essere immondo si contorceva da un lato all’altro, come un enorme serpente che vuole ingoiare la sua preda spacciata, ero diventata un topolino. I suoi artigli raggiunsero la mia faccia, mi parai con un braccio d’istinto senza sentire il dolore delle lame che mi tranciavano la tenera carne in pochi secondi, non era nulla al paragone di quello che mi avrebbe fatto se riusciva ad afferrarmi. Rotolai di lato trovandomi con le spalle al muro, non volevo fare quella fine, non volevo! Le prime lacrime mi scivolarono sulla pelle fredda, seguendo la scia delle gocce di pioggia di li già passate a centinaia, era l’ultima cosa che avrei fatto, quella mano affilata stava per staccarmi la testa di netto.
Mi coprii il viso con le mani, non volevo vedere più nulla, rimanendo sola con i miei singhiozzi e rimpianti di quella breve vita. Era tutto silenzioso, immobile, come se il tempo di fosse fermato, ero morta?
Percepivo ancora il mio respiro tiepido sulle mani, i brividi che non mi lasciavano in pace, sembrava che fossi ancora viva. Le dita si aprirono lente per permettermi di sbirciare oltre la mano, terrorizzata che quello fosse reale. Rimasi immobile, pietrificata, una figura umana aveva sostituito la creatura sparita nel nulla, che mi fissava oltre quel cappuccio oscuro, non ne vedevo le sembianze ma il suo respiro caldo batteva sul mio viso. Le nuvolette di vapore non uscivano più dalla mia bocca affannata, dovevo aver raggiunto una temperatura corporea davvero bassa. Tremavo, dal freddo, dalla paura, non sentivo più le dita ne il naso, la stanchezza mi piombò addosso appesantendo le palpebre, con la testa che mi scivolava lenta verso il basso, non credevo fosse possibile perderei sensi in circostanze come quelle, ma riuscii a farlo sotto la figura chinata verso di me.

La pioggia continuava a cadere senza tregua, battendo sulle finestre con insistenza. Gli occhi mi si aprirono stanchi verso il soffitto. Non distinguevo le forme che avevo in torno, l’unica luce che c’era era quella dei lampi che scattavano in pochi secondi nella stanza. Sapevo di essere in un letto, il più morbido che avessi mai sentito, credo, con le coperte che mi avvolgevano morbide. Avevo qualcosa di asciutto indosso, non so cosa fosse, ma i capelli ancora bagnati mi faceva capire che qualcuno mi aveva cambiato e che non era passato molto tempo. Non me ne importava, la stanchezza mi teneva in un dormiveglia.
Sentii un tuono in lontananza, con la vista leggermente appannata vidi un’ombra in controluce, alle sue spalle, un lampo dalla finestra definì i suoi contorni. Si avvicinava al letto, era un uomo con i lineamenti perfetti, i suoi passi non avevano rumore, una figura che forse non esisteva se non nella mia mente. Riconobbi il suo respiro sulla pelle, era già sopra di me, sopra quel corpo che non riuscivo a muovere per la paura e confusione, era la stessa persona che mi fissava da dietro il cappuccio, ancora una volta di fronte al mio viso a fissarmi come se potesse vedermi, al contrario di me. Non so per quale motivo lo fece, ma le coperte si spostarono poco dopo e sentii che mi accolse fra delle braccia.
Era certo che era umano e se mi voleva morta mi avrebbe già fatto fuori. Il suo calore e quelle braccia accoglienti spensero i miei pensieri conducendomi nel sonno.

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