Finchè morte non ci separi

di Chupacabra19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 : Non si torna indietro ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 : Questo è l'inferno ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 : Non si torna indietro ***


Capitolo 1 : Non si torna indietro

 

 

 

L'alba primeggiava in cielo quasi timidamente, ricoprendo ogni cosa di un debole e affatto accecante raggio di sole, come per destare la natura costretta al sonno profondo dalla notte con le sue stelle. Sonno profondo che aveva colpito indistintamente tutto e tutti, piante, animali, uomini, donne, bambini, perfino gli oggetti. Tutti tranne due eccezioni: lui e loro. Egli, un uomo, un cacciatore, un arciere, un sopravvissuto, un membro di un gruppo, un lupo asociale, un animale pronto a tutto, e loro, vaganti senza meta e casa, obbligati da una mai appagante fame indistinta. Egli, Daryl Dixon, e loro, bestie. Eppure, sebbene diversi e pervasi da motivazioni completamente opposte, entrambi erano rimasti per tutta la notte a occhi sgranati, irrequieti. Nonostante Daryl fosse all'interno di mura alte e solide, riusciva a percepire i loro passi, le loro agonie. Stava lì notte e giorno, di nascosto in un angolo poco visibile ad occhi estranei, se ne restava lì con la malinconia incessante dall'esterno. Lui per com'era fatto, si sentiva in più, fuori posto, non necessario a questa cittadina. Per quanto tutti vi vivessero felici e contenti, Dixon si sentiva in gabbia. Non era adatto a quella finta vita, non lo era stato quando il mondo non era ancora andato a puttane, figuriamoci adesso. Si guardò intorno come un felino intenzionato a combinare qualche guaio e sgattaiolò verso la recinzione. Tastò la lamiera e le assi apposte, cercando di capire dove poter far leva. Poggiò prima il piede destro e dopo un bel respiro, iniziò la scalata. Non si sentiva in colpa, non aveva tentennato un secondo per una motivazione così sciocca. L'unica cosa che continuava a ronzargli in testa era il timore di deludere Rick, non tanto perché ultimamente si erano avvicinati molto, piuttosto perché sapeva quanto lo sceriffo facesse affidamento su di lui. Soltanto per questo aveva retto, finto che tutto questo gli andasse bene. Ora, però, anch'egli meritava la tanto ardita libertà. Libertà che in fin dei conti muta e cambia aspetto per ognuno di noi, chi può dire cosa sia effettivamente? Daryl sentiva in cuor suo di dover tornare alla natura, come un lupo addomesticato che sente il richiamo della foresta. Dopotutto era proprio questo, Dixon era sempre stato un lupo, e se fino adesso fosse potuto sembrare un cane fedele, beh, era solo finzione. Si può fingere con tutto se stessi di essere qualcos'altro, possiamo addirittura calarci nella parte e convincerci di essere cambiati, ma l'istinto non varia, la vera essenza prima o poi riemerge, riaffiora come un cadavere gettato nell'oceano. Questo era successo anche al nostro interessato. Non appena fu a cavallo della gabbia di ferro, si guardò un attimo indietro come per dare l'ultimo saluto, un addio. Poi si lasciò cadere dall'altra parte. L'erba umida gli bagnò le scarpe. Fu felice anche solo di quel dettaglio. Aggiustò la balestra sulle spalle e si incamminò nella radura. Ad ogni passo, seguiva un ricordo. Più si allontanava e più la mente gli proiettava immagini datate nel tempo, come il primo incontro con Rick. Ad ogni passo, seguiva una fitta al cuore. Non che fosse rimasto molto di quel metaforico muscolo nel petto, già martoriato, ferito, rattoppato e cicatrizzato più e più volte. Ad ogni passo, seguiva un pentimento. Cose che negli anni avrebbe potuto o non potuto fare, frasi non dette, pensieri taciuti, sentimenti mascherati. Ad ogni passo, seguiva una presa di coscienza sempre più profonda, sempre più dolorosa. Ad ogni passo, seguiva una meticolosa attenzione nel nascondere le tracce, quasi volesse cancellare la propria presenza al mondo. Erano passate solo poche ore, ma sentiva il corpo pesante come un masso, quasi tutti quei pensieri gli stessero aggrappati sulle spalle. Aveva camminato molto, ma non era poi così tanto distante da Alexandria. Quello spazio non gli bastava, ne voleva di più, voleva sparire dai loro ricordi e non essere trovato. D’un tratto gli giunse alle orecchie un suono tangibile, pulito. Doveva essere vicino ad un corso d'acqua. Raggiunse velocemente quello che si rilevò essere un magro fiumiciattolo e vi immerse le mani per rinfrescarsi. Le ore erano passate in fretta e il sole aveva già compiuto il suo cammino, adesso si trovava nella posizione più alta, occupato a disperdere un’ondata di calore afosa e asciutta. Calore che all’arciere dava molto sui nervi. Si spogliò dello smanicato di pelle, si liberò della camicia nera e la legò in vita, tornando poi ad indossare il giacchetto a petto nudo. Sgranchite le ossa, decise di riprendere il cammino, ma afferrò la balestra per procurarsi del cibo. Scoiattoli e conigli scarseggiavano ultimamente, ma era comunque ottimista. Non passò molto, infatti, prima che se ne andasse in giro con una sfilza di carcasse a tracolla. Di tanto in tanto sbuffava per il caldo, ma il suo passo non era ancora rallentato. Dai suoi scattanti piedi, si evinceva di quanto fosse determinato nella propria decisione, non aveva rimorsi, dubbi, pentimenti. Voleva semplicemente evadere, non dipendere da nessuno né dover badare a qualcuno, starsene pacificamente con se stesso. Meno problemi, più soluzioni. All’improvviso, però, un grido attirò la sua attenzione. Urla squillanti e fastidiose, tanto che gli attraversarono le ossa. Armò la balestra e si diresse nella direzione di quei pianti tanto disperati, prendendo a malavoglia un sentiero che aveva deciso di scartare in precedenza. Per un secondo, aveva pure pensato di lasciar perdere, di proseguire senza curarsi di quella richiesta d’aiuto. Dopotutto, per quante persone potesse salvare, tutte finivano col morire prima o poi, ed era oltretutto possibile che una volta giunto a destinazione, fosse oramai troppo tardi. In più, non aveva la minima intenzione di accollarsi un nuovo individuo. Sfrecciando nel verde, ripeteva a se stesso, quasi per convincersi, che avrebbe soltanto risolto il problema e basta. La vittima in questione poi avrebbe dovuto cavarsela da sola, dopotutto non era il babysitter di nessuno.

 

[ POV Daryl ]

 

Dopo nemmeno un minuto, le urla si affievolirono, tanto che scomparvero, lasciandomi come uno stronzo in mezzo al nulla. Controllai la zona a me intorno, cercando di capire il da farsi. Ero nuovamente zuppo di sudore, nonostante mi fossi appena rinfrescato. Se la persona era ancora viva, beh, mi stava già sui coglioni. Mi diressi in quella che mi sembrava la giusta direzione, ignorando qualche vagante accasciato a terra. Non vedevo tracce di sangue nel terreno o sui tronchi. Questo significava che la vittima forse era solamente in trappola, sempre che fosse ancora viva. Almeno potevo cancellare l’opzione di un individuo ferito d’accudire. Non ne avevo né tempo né voglia, già era una scocciatura poi dover cancellare le mie tracce su questo sentiero, figuratevi se mi importasse poi di qualche screanzato morsicchiato per bene. Superato qualche rovo, mi trovai dinanzi ad uno spiazzo fortunatamente ombreggiato. Scorsi qualcosa vicino a dei cespugli. Mi accucciai su di essi, tanto da poter osservare un’abbozzata pozza di sangue. Vi immersi le dita, per osservarne il colore non intriso di terreno. Era scuro, per niente addensato o marcio. Era fresco, per così dire. Ma non era molto e questo voleva dire che il sopravvissuto doveva essere in buone condizioni, e inoltre essendo torbido, la ferita doveva essere abbastanza superficiale, o almeno non grave, non avendo intaccato arterie. Rovistai in cerca di qualche frammento organico, non trovando niente del genere, potetti scartare anche l’ipotesi di un attacco di qualche bestiaccia, vagante o cane selvatico. Vidi delle gocce di sangue pure sul cespuglio e sul tronco vicino. Erano tracce basse. Qualcuno aveva gattonato. Sbuffai irrequieto, la cosa stava andando per le lunghe e iniziavo a spazientirmi. Seguii quatto il percorso indicato da quel vivido rosso cremisi, ricredendomi sulla gravità della ferita. Ce n’era troppo a giro per essere superficiale. Il tipo o tipa doveva essere stato fortunato. Tenevo la balestra davanti al volto, pronto a scoccare il dardo se ve ne fosse stata la necessità. Dopotutto la vittima o si era deficientemente ferita da sola oppure era stata attaccata da qualcuno. In questo caso, era meglio stare in guardia. Senza motivo apparente, le tracce erano sparite nel nulla. Qualcosa non quadrava. Iniziai a dubitare del mio stesso giudizio. Possibile che si trattasse di una trappola?

-Provate a fare una sola stronzata e siete morti! – gridai.

Percepii un leggero fruscio alle spalle e poi solo dolore, una fitta lancinante.

 

 

 

[ POV **** ]

 

Sangue. Sangue, sangue, sangue. Fa male, fa dannatamente male. Fa fottutamente male. Cosa devo fare? Sono in trappola, è incastrata. La gamba è incastrata. Non riesco ad aprirla. Faccio fatica ad afferrare le tenaglie di questa diavolo di trappola per orsi. Le mani sono bagnate, zuppe del mio stesso sangue. Non riescono a fare presa, scivolano sul metallo. Ogni sforzo è inutile. Perché? Perché sono stata così stupida? Gli occhi implodono, sommergendomi il volto di lacrime salate. Sono così patetica. Forse, se chiedessi aiuto, se qualcuno potesse sentirmi, forse, forse potrei salvarmi.  Gridai a squarciagola, o meglio, cercavo di urlare soffocando i singhiozzi. Doveva pur esserci qualcuno nelle vicinanze, non potevo essere così sfortunata. Nessuno rispondeva al mio richiamo. Sono spacciata, è finita.

-Se continui a gridare come una pazza, sì, allora sei spacciata! – mi rimproverò Jen.

-Cosa devo fare? – balbettai asciugandomi le lacrime.

-Se continui a piagnucolare attiri quelle bestiacce. Vuoi essere divorata?

Mi sporcai il viso col sangue, avendone le mani imbrattate, ed ella rise di me. Poi mi scrutò, iniziando a camminare su e giù davanti a me. Tirai su col naso, cercando di ricompormi. Ma il dolore era troppo forte, le lacrime uscivano senza che potessi averne il comando.

-Se continuo a provare, forse qualcuno sentirà.

-Zitta! – esclamò – Nessuno è buono, ricorda. Nessuno ti salva senza volere niente in cambio, tienilo a mente.

Mentre Jennifer continuava a camminarmi intorno, tentai nuovamente di allargare la morsa senza successo. Mi mordevo il labbro per camuffare i singhiozzi. Non avevo solamente un dolore assurdo, temevo di morire lì, avevo paura di morire.

-Ho trovato! – borbottò, tirando un pugno su un palmo della mano – Prendi la pistola, spara alla cerniera delle tenaglie. Dovrebbero rompersi.

Sfilai lo zainetto dalle spalle, afferrando l’arma al suo interno. Levai la sicura e presi la mira, ma le mani tremavano.

-Dai che aspetti? Spara. – insistette.

-Ho paura di spararmi al piede!

Sbuffò spallata e prima che potesse farmi una ramanzina, chiusi gli occhi e premetti il grilletto.

Click

Colpo andato a vuoto, ero a secco.

-Ma porcaputtana. – abbaiò – Avevi finito le munizioni e non te ne eri nemmeno accorta?

Riiniziai a piangere disperata, gettando la pistola di malo modo nella borsa.

-Lo sai quanto è importante avere una precisa cognizione delle razioni e delle scorte rimaste? La prima reg-

-La prima regola per la sopravvivenza è avere sotto controllo il proprio equipaggiamento. – la precedetti, singhiozzando.

Sbuffò, sedendosi accanto a me. Era dispiaciuta di essersi alterata, ma come al suo solito non lo dava a vedere.

-So che fa male. – parlò gentile – Troveremo un modo per liberarti.

Vidi il polpaccio cambiare colore, farsi emaciato. Stava diventando viola. Di lì a poco sarebbe diventato nero. Non era la prima volta che mi rompevo la tibia, ma ancora non mi ero abituata al dolore.  Mentre Jennifer continuava a fissarmi la ferita mangiandosi le unghie delle mani dal nervoso, io osservavo quell’ammasso di ferraglia, sperando di non beccarmi il tetano. Poi, lampo di genio.

-La catena! – esclamai.

Ma Jennifer mi guardò confusa.

-Di solito sono attaccate ad un paletto ben fissato nel terreno, se scaviamo..

-Se scaviamo possiamo muoverci da qua! – finì la frase.

Iniziai a spostarmi strisciando sulle chiappe, alzando di poco la gamba in modo che non toccasse il terreno. Il dolore era così pungente che sentivo il cuore esplodermi dal petto, ma dovevo resistere. Non mi sarei liberata dalla morsa, ma almeno era già qualcosa per il momento. Iniziammo a scavare con foga, riempiendo le unghie di terra. Scavavo in preda alle vertigini, sperando che il paletto fosse corto e non troppo piantato in profondità. Per fortuna, dopo pochissimo riuscimmo ad estrarlo. Stavo per urlare dalla gioia, esultare a squarcia gola, quando Jen mi tappò la bocca.

-Shh. – sussurrò – Sta arrivando qualcuno.

-Dobbiamo nasconderci. – mi impaurii.

Si guardò attorno e poi indicò alle mie spalle.

-Per di qua!

Presi in una mano il paletto, evitando che pesasse a penzoloni e provocasse maggiore dolore alla ferita. Intanto mi spingevo all’indietro, strusciando sul sedere come un bruco sbilenco. Jennifer mi precedeva, esaminando ogni angolo di verde in cerca di un nascondiglio. Finalmente scorgemmo un cespuglio sprovvisto di rovi e ci immergemmo. Poi riuscii a sentire anch’io dei passi lontani, stava arrivando. Sbucai dal cespuglio sebbene Jen mi tenesse per un braccio, ma buttai qualche foglia e terra sulle tracce lasciate, in modo che non potesse trovarci di lì in poi. D’un tratto un uomo superò il nostro cespuglio, fermandosi poco più in là. Spostai un rametto, per osservarlo. Scarponi marroni e lacci stretti ai pantaloni rovinati, giacca di pelle con ali cucite, capelli marroni di media lunghezza spettinati e bagnati, ma soprattutto balestra fra le mani. Lasciai andare immediatamente il ramo, nascondendomi meglio. Tremavo, ma non volevo far rumore.

-E’ pericoloso. – bisbigliai.

-Ovvio che lo è! Quale razza di persona amichevole corre armata e accigliata ad una richiesta di soccorso di una bambina?

Tirai una gomitata a Jen.

-Non chiamarmi così. – brontolai – E cosa suggerisci di fare?

Lo osservò.

-Uno : lo sei, quindi non discutere. Due : quel tipo non mi piace per niente. Sta guardando ogni particolare, presto si accorgerà sicuramente di noi. E’ un cacciatore professionista.

La guardai interrogativa in volto, sebbene odiassi essere chiamata bambina. Sì, lo sono. Undici anni sono pochi per essere chiamata almeno ragazzina, ma con tutto quello che ero riuscita a superare, mi sentivo superiore a quel semplice appellativo.

-Dobbiamo colpire prima noi. Abbiamo un vantaggio, sfruttiamolo. – propose decisa, indicando il coltello da lancio che avevo alla cinta.

Deglutii a fatica tanto erano l’ansia e le pene che provavo. Non era la prima volta che uccidevo una persona, ma stavolta non mi sentivo proprio nel pieno delle forze. Inoltre, avrei dovuto mirare e fare centro al primo tiro. Non avevo un secondo coltello, quello era l’unico rimasto. Una sola possibilità, altrimenti morte certa. Dardo in fronte e addio apocalisse.

-Puoi farcela. – mi fece coraggio.

Presi un bel respiro, agguantai la lama e mi sporsi. Feci volteggiare quel coltellino ad alta velocità, ma nello sforzo del lancio, una fitta indescrivibile mi aveva pervaso ogni nervo, perfino i capillari delle dita. Non ero sicura che il colpo sarebbe andato a buon fine. Prima che potessi capire dove si sarebbe conficcato, Jen parlò.

-Siamo davvero fottute.


Angolo autrice
Che dire, non ho tempo per la mia altra fanfiction ed io, genia che sono, ne inizio un'altra? Ebbene sì, ho avuto questa particolare idea e non potevo lasciarla lì, sospesa nelle mie fantasie. Un avvertimento, sebbene il titolo dia da pensare ad una trama romantica, questa non lo è affatto. Ci sono un paio di particolari che purtroppo ancora non posso spiegarvi, altrimenti faccio auto-spoiler ai miei prossimi capitoli. Nonostante questo cap sia più incentrato sul nuovo personaggio, il protagonista principale sarà Daryl. Qui, dopotutto, dovevo farvi conoscere la new entry. Detto questo, come al solito spero che quanto scritto vi sia piaciuto o almeno vi abbia intrigato un poco, il giusto per continuare almeno a seguire la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate, un bacio e grazie anche solo per la visita :*

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 : Questo è l'inferno ***


Capitolo 2 : Questo è l’inferno

 

Del sangue prese a scivolare lungo il braccio del cacciatore. Il coltellino da lancio si era piantato sulla spalla destra, a pochi centimetri dal collo. Con un grugnito degno di un orso inferocito, si voltò non curante della lama penetrata nella carne e puntò, senza ombra di indecisione, la balestra all’altezza del cespuglio. Stava per premere il grilletto, il dito era contatto dalla tensione, ma di colpo si arrestò, mollando la presa. Daryl non si aspettava certo di essere attaccato da una bambina, da uno scricciolo moro coi capelli tutti arruffati e le lacrime agli occhi, ma non volle comunque abbassare la guardia, anche se ne andava del proprio orgoglio. Si avventò su di ella, afferrandole un braccio e tirandola fuori di forza dal cespuglio, sollevandola quasi fosse uno dei tanti scoiattoli cacciati. Ovviamente, quella gridò, indicando la gamba compulsivamente. Fu allora che l’arciere lasciò andare la presa, facendola cadere di chiappe da una bassa altezza. Allungò il braccio ed estrasse il coltello, soffocando un lamento. La piccola si tappò gli occhi, pronta ad essere uccisa, ma Daryl sbuffò e si accucciò su di lei, osservando la ferita minuziosamente. Intanto la bambina continuava a piangere e singhiozzare.

-Non voglio farti del male. – borbottò sbrigativo – Quindi smettila con questa scenata.

Non aveva idea di quale atteggiamento o tono assumere, non era mai stato bravo con i marmocchi, anzi, non li aveva mai tollerati. Erano un seccatura, si cacciavano sempre nei guai, non obbediscono ad un solo ordine e fanno sempre i capricci. Ora poi, nel mondo marcio che si era creato, erano ancora di più un peso. Deboli, inutili, cibo assicurato per i vaganti. Era questo quello che l’arciere pensava di fronte a quella bambina ferita. D’altro canto, sebbene la spalla gli dolesse da far schifo, aveva apprezzato che quella piagnucolona avesse provato ad attaccarlo. Almeno del coraggio lo aveva. La trappola per orsi si era conficcata con ingordigia nelle membra bianche come porcellana della malcapitata, spezzandole la tibia quasi fosse burro. Per fortuna la frattura era praticamente netta, i denti metallici avevano soltanto scalfito altri punti, lasciando l’osso in buone possibilità di guarigione. Prima di spezzare quell’ammasso di ferraglia, lanciò uno sguardo fugace alla bambina, cercando di apprenderne il temperamento e il carattere. Era un buon osservatore, ma un pessimo oratore. Non sapeva esprimersi, o meglio, l’approccio diretto con le persone lo mandavano in tilt, diciamo. La bambina allargò le dita, in modo tale da poter guardare l’uomo attraverso le fessure di queste, ma subito le serrò nuovamente non appena si accorse di essere anch’essa scrutata. Daryl scosse la testa, abbozzando un sorriso. Dopotutto, era solo un’innocente bambina. I capelli erano di un nero petrolio lucente, corti all’altezza del mento, leggermente mossi ed arricchiti da una frangetta oramai troppo lunga. Aveva qualche lentiggine sulle gote, quasi impercettibili, e sebbene avesse potuto constatare il colore delle iridi per un fugace istante, avrebbe giurato di averle viste grigie. Tralasciando il suo aspetto fisico, poggiò le mani sulla trappola, inspirando con cura. Voleva aprirla al primo colpo, evitare di dare altra ingiusta sofferenza alla piccola.

-Farà male. – disse secco.

Lei si morse il labbro, aspettandosi la vampata di dolore, sempre restando con le mani di fronte agli occhi. Detto fatto, Daryl allargò le tenaglie, sforzando la cerniera fino a romperla. Gettò lontano la trappola ed osservò da vicino la ferita affatto di bell’aspetto. Prese il proprio coltello seghettato con l’intenzione di strappare parte del jeans e medicare la lesione in modo approssimativo, ma efficace, quando però toccò la caviglia, lei lo spinse gridando.

-Non mi toccare! – ripeteva, tirando dei pugni sul braccio dell’arciere, sporcandolo di sangue – Non mi toccare!

Intanto egli la guardava senza reagire, sperando che la smettesse una volta affaticata.

-Non mi toccare. – continuò balbettando.

-Non ti sto toccando. – grugnì in un sibilo.

La bambina si rilassò, smise di colpirlo e si sdraiò a terra, fissando i rami intrecciati degli alberi. Nel frattempo le lacrime proseguivano il proprio percorso, scivolando lungo le guance fino a dissolversi nel terreno. Daryl si passò una mano fra i capelli, evitando di sbuffare ulteriormente.

-Come ti chiami? – domandò, sforzandosi di essere gentile.

Nessuna risposta.

-Posso medicarti almeno?

Nessuna risposta.

-Bene. – esclamò l’arciere alzandosi. – Allora me ne vado, non ho intenzione di perdere altro tempo inutilmente.

Lanciò il coltello sporco del proprio sangue vicino al viso della bambina, come per ricordargli che era stato ferito, e si incamminò lasciandosela alle spalle. Ad ogni passo, sentiva crescere il senso di colpa nel proprio petto, ma non voleva stare al gioco della piccola. Doveva essere lei a chiamarlo, lui era stato fin troppo gentile. Dopo poco, però, udendo il pianto di quella creatura, tornò indietro.

 

 

 [ POV Daryl ]

 

 

Quei lamenti e singhiozzi mi davano la nausea, continuavano a rimbombarmi in testa senza sosta. Oltretutto per colpa di quella scimmia ero costretto a portare la balestra sull’altra spalla. Camminavo velocemente, sperando di zittire in fretta quella cosa.

-La vuoi piantare? – brontolai, una volta trovata.

Non si era mossa di un centimetro.

-Perché sei tornato? – urlò.

-Perché sei fastidiosa.

-Allora vattene!

Sospirai avvilito, lasciando cadere a terra la balestra. Mi avvicinai alla bambina, intenzionato a sbrigare in un batter d’occhio la cosa. L’avrei rammendata e tanti saluti, ognuno sulla propria strada. Non ero scappato da Alexandria per trovarmi un’altra persona d’accudire, una marmocchia soprattutto.

-Ascoltami bene. Adesso ti medico, guai a te se fiati. Intesi? – parlai pacato – Poi ti lascio qua e me ne vado. Può andare?

Tirò su col naso, non aprendo bocca. Continuava a fissare le fronde senza degnarmi di uno sguardo. Che ingrata. Mi sedetti a terra, riprendendo fra le mani il mio coltello. Tagliai una porzione del jeans, lasciandogli la gamba lesa scoperta fino al ginocchio. L’unica cosa da fare era fasciare la ferita e provare a steccare il polpaccio. Notai qualche livido. Strappai una manica dalla mia camicia e cercai di stringerla alla lesione delicatamente, per quanto mi fosse possibile. Pregavo, sebbene non credessi in niente, che la scimmia non si mettesse a piangere o a strillare. Fui sorpreso di vedere quanto fosse silenziosa. Non batteva ciglio.

-Adesso devo solo steccarla. – la informai.

Spezzai due robusti ramoscelli nella giusta misura e li legai utilizzando la stessa porzione di jeans asportata. Il tutto sembrava ben saldo. Non era un lavoro pulitissimo, ma poteva andare bene. Asciugai le mani sudate sulle cosce e ripresi la balestra.

-Adesso te ne vai? – chiese quasi sussurrando.

-Come stabilito. – mentii.

La frattura era troppo grave, non avrebbe potuto camminare. Ero costretto a tornare indietro, a portarla ad Alexandria. Lì si sarebbero presi cura di lei. Anche se mi sembrava che il fato volesse prendersi gioco di me.

-Beh allora vergognati. – disse, facendomi la linguaccia.

Si tirò su, incrociando le braccia al petto indispettita.

-Come scusa?

-Dovresti vergognarti. Lasciare una bambina indifesa in mezzo al nulla così. Andrai all’inferno per questo.

Quella scimmia era davvero fastidiosa.

-Sveglia mocciosa, questo è l’inferno.

-No questo è il purgatorio. – sbeffeggiò con tono semi solenne – Ma se ti comporti così sarai dannato per l’eternità.

Decisi di stare a questo strano gioco. Se prendermi in giro era l’unico modo per parlare, mi andava bene. Tanto, oramai, tutto lo sforzo che avevo fatto per allontanarmi da quella dannata comunità era stato del tutto inutile.  Ore buttate nel cesso.

-Se vogliamo essere puntigliosi, signorina, io sono venuto qua perché hai iniziato ad urlare in richiesta d’aiuto. Per darti una mano, mi sono beccato una coltellata e tu mi vuoi dannare all’inferno? Tu che non hai nemmeno ringraziato.

Mi fece il verso, scimmiottandomi. L’appellativo scimmia le se addiceva molto.

-Ancora parli? – obiettò – Mi sembrava di aver capito che non avevi tempo da perdere.

Bene, era anche molto simpatica.  L’unica cosa che mi tirava su il morale, era la consapevolezza che, una volta lasciata ai cancelli, non ne avrei avuto più a che fare.

-Per colpa tua ho perso un’intera giornata di cammino, se proprio vuoi saperlo. – affermai per farla sentire colpa.

Ma non ottenni nulla.

-Facciamo un accordo? – proposi.

Abbozzò un sorriso. Sebbene si mostrasse tranquilla, era sempre sulla difensiva. Non era certa di fidarsi di me e non le davo tutti i torti. Il mio aspetto non era dei migliori.

-Ti ascolto. – rispose curiosa.

-Conosco un posto sicuro, è da lì che vengo. – spiegai – Il patto consiste nel portartici, ma per tutto il tragitto non devi aprire bocca.

Ci pensò su, provando di tanto intanto ad alzare la gamba. Osservandone gli abiti, non capivo perché indossasse una felpa a cerniera con tutto questo caldo.

-Se è un posto sicuro.. – commentò dubbiosa – Allora perché te ne sei andato?

-Questi non sono affari tuoi, mocciosa. – risposi secco – Ci stai o no?

Mi scrutò socchiudendo gli occhi, come per analizzarmi. Mostrai la mia espressione più seria. Non ero affatto bravo con i bambini, ad essere sincero, mi sentivo a disagio.

-Affare fatto, cacciatore. – disse, mostrandomi il pollice in alto.

Avrei tanto voluto crederle. Mi avvicinai, cercando di capire come poterla trasportare. L’unico modo era metterla sulle spalle. Se l’avessi retta sulla schiena, avrei dovuto tenerla per le gambe. Il che sarebbe stato un problema sia per la ferita, sia per la balestra, dato che non avrei potuto impugnarla. Avevo bisogno di lasciare le mani libere per l’arma, in modo da poterci difendere. Dopotutto la marmocchia era magra, non avrebbe gravato troppo sulle spalle, anche se una bruciava assiduamente, e in questo modo si sarebbe retta da sola.

-Solo una cosa. – dissi, una volta caricata sulle spalle – Puoi dirmi il tuo nome?

-Zoe.

 

 

 uaE’ EE ffff[ POV Zoe ]

 

 

Un vagante si accasciò con un dardo in fronte, cadendo sulle proprie gambe marce. Sembrava un vecchietto tutto rugoso. Il cacciatore si inclinò appena temendo di farmi cadere e raccolse la freccia. Era noioso stare in silenzio, cominciavo a non poterne più. E poi, anche se le sue spalle erano larghe, essendo muscolose non erano affatto comode. Ogni tanto guardavo in giù per parlare con Jen, ma questa mi faceva segno di stare zitta. Non voleva che le parlassi in sua presenza. Lei però poteva chiacchierare, mentre io mi limitavo a farle cenni con la testa. Per tutto il tempo Jennifer non si era risparmiata commenti negativi sull’uomo: puzza, sembra un selvaggio, che capelli strani, ha gli occhi piccoli, poveri scoiattoli, cose così. Alla fine non aveva torto, puzzare puzzava, ma sicuramente anch’io non ero da meno. Schiantavo con questa felpa addosso. La gamba era gonfissima, ma la steccatura mi dava sollievo. Il cacciatore camminava abbastanza velocemente, i passi erano decisi ma controllava davvero tutto. Ero sicura che lui non sarebbe mai caduto in quella trappola per orsi. Guardai le sue braccia scoperte e i capelli troppo lunghi per un maschio.

-Signor cacciatore, perché sei sbracciato? E perché non ti tagli i capelli? – domandai curiosa.

-Perché è stupido. – rispose subito Jennifer, ridacchiando.

Ma l’uomo non mi considerò.

-Signor cacciatore, rispondi!

-Avevamo fatto un patto. – grugnì.

Era antipatico.

-Ma io ho incrociato le dita dietro la schiena.

Sbuffò. Era divertente dargli fastidio. Si vedeva quanto fosse poco paziente. Forse a Jen non piaceva perché avevano lo stesso caratterino. Ecco, probabilmente, perché mi ero fidata. Erano due gocce d’acqua.

-Jen dice sempre che non bisogna avere braccia o gambe scoperte, altrimenti se gli azzannatori ti mordono non c’è più niente da fare. Invece, se indossi una felpa spessa come la mia, è possibile che i denti non raggiungano la carne. Capisci?

-E i capelli che c’entrano? – sbiascicò, partecipando alla conversazione di malavoglia.

-Se li hai lunghi ti possono afferrare più facilmente. Sia loro che le persone.

-Mh. – mugolò – I tuoi non sono poi così corti.

Mi accarezzai i capelli, liberandoli di qualche nodo. Era da tempo che non li scorciavo, ma ero stanca di sembrare un maschietto.

-Perché lui non si è visto? – brontolò Jen – Sembra un emo.

Ridacchiai in silenzio.

-Tutte queste cose.. – domandò – Te le ha insegnate Jen?

-Ovvio che gliele ho insegnate io, l’ha detto prima. – borbottava Jennifer – Lo vedi che è scemo? Menomale che dopo ci molla.

-Sì! – risposi, ignorandola.

Non mi chiese chi fosse Jen, né cosa potesse essere successo o dove potesse trovarsi, forse già lo immaginava, o forse voleva semplicemente evitare di parlarne per non ferirmi o toccare argomenti delicati. In fondo, era una brava persona anche se faceva lo scorbutico.

-Beh, allora perché stai sbracciato? – insistetti.

-Perché fa caldo.

Non era una buona risposta.

-Ma è pericoloso. Anch’io ho caldo, ma resisto.

-Ascolta, scimmietta. So badare a me stesso, non preoccuparti. – rassicurò con tono simile al gentile – Per quanto riguarda te, fai bene a stare attenta.

-Come si permette? – si arrabbiò Jen – Prima marmocchia, poi mocciosa, adesso scimmietta!? Lo odio.

Le feci segno di lasciar perdere, tutto sommato, quel soprannome mi piaceva.

 

 

[ POV Daryl ]

 

D’improvviso, mi abbracciò, o meglio, strinse le sue braccia intorno alla mia testa. Mi dava fastidio, riducendomi la visuale, ma in qualche modo, per qualche strano motivo, ne ero felice. Forse era semplicemente stanca, o forse, essere chiamata scimmietta le era sembrata una mossa dolce. Per mia fortuna smise di parlare, sebbene mancasse davvero poco ormai ad Alexandria. Più mi avvicinavo, più la morsa allo stomaco si faceva dolorosa. Era un’agonia tornare di fronte ai suoi cancelli, temevo di essere visto, di dover dare spiegazioni. C’era bisogno di spiegare a Zoe di non dover parlare con nessuno di quanto accaduto, di omettermi nel suo racconto. Scorsi le mura.

-Zoe, siamo praticamente arrivati.

Sciolse l’abbraccio, sporgendosi in avanti col busto per vedere qualcosa.

-Vedo un campanile, c’è un chiesa! – disse allegra.

Ero sicuro che il posto le sarebbe piaciuto. C’era tanto verde, persone fidate, altri bambini con cui giocare. Non avrebbe più dovuto temere la morte, lì avrebbe trovato protezione e sicurezza. Notai parecchi vaganti a terra, in mezzo alle auto. Spencer doveva essersi divertito. Meglio per noi, la strada era pulita. Mi fermai.

-Perché ti sei bloccato? – domandò sorpresa, inclinandosi fino a guardarmi negli occhi – Qualcosa non va?

-Dobbiamo parlare. Devo spiegarti alcune cose.

Vidi che guardò di lato, con un’espressione attenta e triste, quasi stesse ascoltando qualcuno. Non era la prima volta che lo faceva, l’avevo notato più volte durante il cammino. Aspettai che terminasse la conversazione con questa presenza, amica immaginaria o fantasma che fosse, anche se era abbasta inquietante se non ridicolo.

-Era una bugia, vero? – balbettò – Là non ci sono brave persone, mi picchieranno e uccideranno.

Rimasi interdetto. Speravo in cuor mio che non le fosse capitato qualcosa del genere. Anche se a giudicare da quei pochi ematomi che avevo potuto osservare, non ero certo che fossero stati causati da semplici cadute o inciampate varie. La adagiai su un ramo, in modo che fossimo alla stessa altezza.

-Ti giuro, non è così. Là ci sono delle persone fantastiche, hai la mia parola. Il fatto è un altro, non voglio essere visto né voglio che tu parli di me.

Sembrò credermi, tranquillizzarsi.

-Posso farti una domanda? – chiese con gli occhi lucidi.

Annuii.

-Prometti di rispondere?

Annuii nuovamente.

-Se sono così fantastiche, perché vuoi così tanto starne alla larga?

Non sapevo bene cosa dirle, né potevo spiegarle come mi sentissi. La questione era complicata persino per me.

-Non si tratta tanto di loro. Il posto.. boh, mi sta stretto. Capisci?

-Ma non gli mancherai? – domandò innocentemente.

Sospirai.

-Si abitueranno.

Mi guardò triste ed annuì, affermando che avrebbe modificato la storia, escludendomi. La ripresi in collo e mi diressi al cancello. Spencer non era di vedetta, forse si era preso una pausa. Meglio per me. La adagiai a terra. Zoe si resse sulla gamba sana, aggrappandosi alla lamiera delle mura. Bussai forte al cancello. Questione di un minuto e qualcuno sarebbe accorso ad aprire. Dovevo svignarmela in fretta.

-Addio, scimmietta.

Ma ella mi afferrò un braccio, costringendomi a guardarla. Piangeva in silenzio e il mento le tremava.

-Ti prego, non andartene. – pregò.

Udii alcuni passi, qualcuno era vicino.

-Non posso, mi dispiace.

Cercai di tirare, ma ella si aggrappò con entrambi le mani. Rischiavo di farla cadere.

-Tutti, tutti mi abbandonano.

-Loro non lo faranno, fidati.

Le lacrime scivolarono fino a schiantarsi sull’asfalto ardente, pronte ad evaporare e non lasciare traccia alcuna.

-Lo fanno tutti, sempre.

Il cancello vibrò, stava per aprirsi. Potevo ancora farcela, potevo riuscirci.

-Lasciami andare. – insistetti brusco.

Ma lei si aggrappò con più forza.

-Allora portami con te. – latrò – Fammi essere la tua scimmietta.

Clank.

E il cancello si aprì.

Angolo autrice

'Sera a tutti! Miracolo, vero? Ebbene sì, ho aggiornato prestissimo. 
* si inchina al suono degli applausi *
A parte gli scherzi, spero vivamente che la storia vi piaccia e che vi incuriosisca. Come dicevo nel primo capitolo, questa sarà una storia affatto romantica, ma incentrata sulla crescita emotiva di Daryl e sul futuro rapporto che si creerà con questa bambina abbastanza problematica. Ovviamente i dettagli li vedrete nel corso della trama, per il momento spero di aver stuzzicato la vostra curiosità. Prometto che a breve aggiornerò anche l'altra ff, 'Una nuova vita'
Già ringrazio SaraLincoln, Dixon23 e Matildeb, per l'appoggio e i positivi commenti lasciati, gentilissimi *^* Comunque, mando un bacio a tutti. Ci sentiamo nelle recensioni, non siate timidi :3

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