Nightmares are Back

di DarkSide_of_Gemini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


    Nightmares Are Back

1

 

-Oh, tesoro- sospirò la signora Danvers –un’altra volta?-

Quasi disteso sul sedile accanto a lei, Ethan non rispose. Guardava la scuola allontanarsi man mano che l’automobile acquistava velocità, e a dirla tutta era felice di essere stato sospeso per l’ennesima volta.

Quello che poteva dire a sua discolpa era di essersi trovato dalla parte della ragione, come sempre accadeva. Il preside aveva suo malgrado dovuto convenire su quello, ma i genitori degli altri ragazzi coinvolti nella rissa avevano insistito affinché Ethan Danvers fosse, se non espulso dalla scuola, quantomeno sospeso.

-Avevo ragione, mamma- ripeté come ogni volta –lo stavano massacrando, quel piccoletto. Erano in tre, e tutti più grandi. Che vigliacchi-

Ethan aveva assistito alla scena da una delle finestre del secondo piano: dei bell’imbusti ormai troppo cresciuti per perdersi ancora in stupidi scherzi ai novellini avevano circondato un ragazzino del primo anno in un angolo appartato del cortile. Erano iniziati gli spintoni, Ethan vedeva le loro bocche ghignanti muoversi ma non udiva una parola. Era subito corso fuori, in soccorso del bambinetto che stava pressato contro il muro quasi a voler diventare della misura di un mattone per poter confondersi con la parete.

-Hei voi! Perché non cercate qualcuno della vostra taglia per battervi?-

-E tu, nanerottolo, saresti della nostra taglia?-

Aveva chiesto uno, facendo seguire alla domanda una secca risata. Era alto, probabilmente ripetente da un paio di generazioni, indossava un berretto da baseball anche se a scuola non era permesso. Al naso aveva un orecchino d’argento e dall’angolo destro della bocca sbucava il mozzicone di una sigaretta.

A suo confronto Ethan era davvero un nanerottolo di quattordici anni, con i capelli scuri e arruffati e due occhi che la gente descriveva come “di un banalissimo color marrone”. In quel momento, però, si sentiva forte: era arrivato a difendere un debole dai soprusi di quegli attaccabrighe, e quello lo faceva sentire una sorta di eroe.

A Ethan era sempre piaciuto aiutare gli altri, dare una mano ad una persona in difficoltà in ogni circostanza. Sua madre diceva che aveva un grande cuore.

-Siete dei codardi- aveva detto, guardando i tre ragazzi con disprezzo –siete tre contro uno, e per di più l’uno è un bambino. Fate davvero pena-

Lì erano iniziate le botte, e presto una calca di studenti si era radunata tutt’intorno richiamando a sua volta l’attenzione degli insegnanti e del personale scolastico. Infine gli adulti erano riusciti a dividerli.

Ethan aveva il labbro inferiore spaccato e rosso di sangue, ma si era comunque fatto valere: era più piccolo di quei tre fusti e di conseguenza più agile, inoltre era evidente che i tre ragazzi non avevano mai trovato qualcuno che li ostacolasse, perché non erano stati capaci di difendersi davvero se non con patetici tentativi.

I genitori di tutti e cinque, compresi quelli del ragazzino preso di mira, erano stati convocati, e dopo un tira e molla a dir poco feroce il preside aveva decretato l’espulsione di Ethan per una durata di dieci giorni.

La signora Danvers emise un sospiro: si erano trasferiti in quella tranquilla cittadina da solo un mese e già suo figlio aveva problemi ad ambientarsi nella nuova scuola.

Era stato quello il motivo delle innumerevoli espulsioni di Ethan dalle diverse scuole in cui era stato iscritto: si schierava sempre in prima linea quando qualcuno subiva un torto, e spesso la sua impulsività lo portava a risolvere la questione con le mani invece che con le parole.

-Tesoro, so che probabilmente avevi tutte le ragioni di questo mondo per fare quello che hai fatto, ma ho provato a spiegartelo molte volte: picchiare qualcuno non è il modo giusto per risolvere i problemi-

-Quelli però ci avrebbero picchiati entrambi se non avessi iniziato io- ribatté lui con il broncio –hanno solo avuto quello che meritavano-

Ellen Danvers fece per replicare, ma infine scosse la testa. Sapeva che era inutile discutere con il figlio su questioni come la giustizia e a chi spettasse decidere la pena da infliggere.

******


 


“Tell the monster that eats children, that you taste bad
And you're sure you'd be the worst that he's ever had
If he eats you, don't you fret, just cut him open with an axe
Don't regret it, he deserved it, he's a cad

Tell the harpies that land on your bed post
That at the count of five you'll roast them alive
Tell the devil its time you gave him his due
He should go back to hell, he should shake in his shoes
Cause the mightiest, scariest, creature is you”

(Voltaire – Goodnight Demonslayer)

Sin da quando era bambino, Ellen aveva sempre insegnato a suo figlio a vedere il lato positivo di ogni situazione.

“Se non riesci a vedere la luce non potrai mai sconfiggere il buio” gli diceva ogni volta che Ethan esitava nell’incertezza di essere capace a fronteggiare un qualsiasi evento.

Come tutti i bambini Ethan aveva paura dei mostri, delle creature che, nelle favole, rapivano i bambini, delle figure dai denti aguzzi che ghignavano dalle pagine dei libri illustrati. Ogni sera Ethan voleva che la luce della sua camera rimanesse accesa, e voleva che la mamma guardasse bene dentro l’armadio e sotto il letto per assicurarsi che nessun orco sbucasse dagli angoli bui della stanza non appena lei se ne fosse andata.

-Non c’è nessuno, tesoro, vedi?-

Lo rassicurava accennando ai vestiti appesi dell’armadio. A volte tirava fuori un vecchio pelouche da sotto il letto e lo sollevava sorridendo.

-E’ questo l’unico mostro che c’è sotto il letto-

-Sei sicura?-

Lui sbirciava da sotto le coperte, guardando il giocattolo come a chiedergli se effettivamente fosse stato solo per tutto quel tempo.

-Sicurissima-

-E allora l’Uomo Nero?-

-Oh, Ethan!- esclamava Ellen, e non riusciva a trattenere una risata –L’Uomo Nero è attirato dalla paura e dalla cattiveria dei bambini. Tu sei forse un bambino cattivo?-

Lui scuoteva la testa, e non mancava di aggiungere –Però… potrebbe sempre venire se sa che ho paura di lui-

-Proprio per questo non devi temerlo, tesoro. L’Uomo Nero si compiace del terrore degli altri. Tu devi essere più forte di lui, devi dimostrargli che la tua paura di lui può essere annullata dalla speranza e dalla bontà del tuo cuore. Fin quando avrai fiducia nel bene l’Uomo Nero non potrà mai farti del male-

Ethan era fiero delle parole che la sua mamma gli rivolgeva. E decideva di essere forte, per dimostrarle che la paura non lo avrebbe mai fermato neanche davanti il più duro degli ostacoli.

-Se mai verrà, allora dovrà affrontarmi- diceva, gli occhi scuri che splendevano di determinazione –e sconfiggerò lui e la sua paura. Ci credi mamma?-

-Certo che ci credo. Sei un bambino coraggioso, tu. Nulla dovrà mai spaventarti e convincerti ad abbandonare i tuoi sogni. Me lo prometti questo, Ethan? Nella tua vita dovrai essere forte, qualunque cosa accada-

Lui annuiva con decisione, e allora permetteva alla mamma persino di chiudere la luce nella cameretta. Le ombre che la luce pallida della luna protiettava sulla pareti non riuscivano ad intimorirlo, e i rami spogli d’inverno, tanto simili a lunghe falangi nodose, gli ricordavano le dita di una vecchia fata buona che vegliava sui sogni dei bambini.

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Mwahaha! … entrare in scena con una risata alla Pitch Black è forse troppo scontato? Oh, bè, pazienza!

Ok, inizio col dire che avevo una voglia matta di dare vita a questo progetto che mi frullava in testa da un pò (anche perchè recentemente ho visto il film de Le 5 Leggende, e ahimè mi sono definitivamente consumata!) quindi, bè, tra un impegno e l’altro ha infine visto la luce questo primo capitolo.

Premetto che prevedo purtroppo aggiornamenti saltuari e probabilmente ad ogni morte di Papa (per carità, Papa Ciccio mi sta tanto simpatico!) ma spero che comunque qualcuno vorrà seguire la storia e che l’attesa possa valere la pena ;)

Inoltre prevedo un’adeguata presenza di Pitch, sempre perchè voglio adottarlo e chiuderlo in una gabbietta insieme al mio canarino (*tu non hai un canarino!* ndPitch *e non ne sei felice? C’è più spazio per te!* ndAutrice) – ok, stop, sto degenerando!

 

PS: Diamoci sotto con i vaticini da visionaria, prevedo che in ogni capitolo in cui sarà presente Pitch ci sarà una canzone del mio caro sopracitato Voltaire. Pensa, Pitch, la colonna sonora! Ti tratterei bene, miscredente! u_u

 

Bene, credo sia tutto per il momento. Naturalmente ringrazio chi vorrà seguirmi nell’impresa ;)

Goodnight!

Rory_Chan

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Nightmares Are Back

2

“La fantasia non è altro che un aspetto della memoria svincolato dall'ordine del tempo e dello spazio”

(S. T. Coleridge)

 

Ethan passeggiava nel parco, lo sguardo basso e le mani in tasca. Era strano, a pensarci bene, di come il rapporto con la scuola cambiava a seconda delle circostanze: quando era costretto ad andarci malediceva l’istituto, invece adesso che era autorizzato a non metterci piede sentiva che avrebbe volentieri assistito alle lezioni pur di vincere la noia di quei giorni. Non per vantarsi, ma lui era sempre stato tra i primi della classe. Non che ci volesse molto, in realtà, data la poca dedizione dei compagni allo studio, ma comunque era un traguardo personale che lo faceva sentire fiero del suo lavoro. Ethan non lo avrebbe mai ammesso in maniera diretta, ma gli piaceva studiare: gli piaceva conoscere nuove cose, ciò che era successo nel corso della storia, i cambiamenti che avevano fatto diventare il mondo quello che era, e i grandi del passato che avevano contribuito con le gesta o le parole a inneggiare o denunciare le mille sfaccettature della società passata.

Per la noia, aveva persino iniziato a leggere i brani nel libro di letteratura. Quasi ogni giorno apriva una pagina a caso e leggeva l’estratto corrispondente, qualunque esso fosse. Alcuni testi erano facili, altri di una pesantezza devastante. Non c’erano molti brani di fantasia, aveva notato: sempre tematiche sociali o vite turbolente di personaggi diventati celebri, ma nessuna favola, nessun testo che parlasse di sirene o centauri, e quello un po’ gli era dispiaciuto.

Aveva pensato di chiedere all’insegante perché venisse data così poca importanza all’immaginazione, ma probabilmente lei avrebbe risposto che le favole non erano più adatte ad un ragazzo della sua età, che avrebbe dovuto iniziare a fari strada nella vita e certo non poteva permettersi di credere in robe sciocche come le fate.

Ma Ethan credeva davvero nelle fate? Ebbene, potrà sembrare bizzarro che un moderno ragazzo quattordicenne credesse in luminosi esserini protagonisti delle fiabe della buonanotte, ma in realtà era proprio così: Ethan credeva nelle fate e, cosa ancora più straordinaria, ogni tanto riusciva persino a vederle.  E com’era possibile questo? Ormai i ragazzi hanno smesso di credere nella loro esistenza, e crescendo hanno perso man mano la capacità di mantenere un contatto con le creature fatate. Ma c’è ancora qualche eccezione, e Ethan era una di queste: la fantasia era il suo dono, qualcosa che sembra scontato ma che in realtà oggi poche persone possiedono davvero.

La sua immaginazione sfrenata, le fantasie e le favole con le quali sua madre aveva sempre accompagnato i suoi sogni avevano fatto sì che, con il passare del tempo, Ethan non perdesse la capacità di sognare e credere in creature misteriose e ormai dimenticate.

Inoltre, c’era Babbo Natale. Prima di tutto, però, è necessario specificare che nessuno sapeva di quel dono di Ethan. L’unica volta che aveva provato a dirlo alla sua mamma era stato quando aveva cinque anni, e aveva indicato il giardino fuori casa dicendo che le fate dell’autunno stavano raccogliendo le foglie cadute dagli alberi. Quella era la verità, ma Ellen naturalmente non l’aveva presa sul serio: si era limitata a sorridere della fervida immaginazione del figlioletto.

Dunque, quando aveva visto Babbo Natale solo un anno dopo, non ne aveva fatto parola con nessuno. C’è da dire, a suo favore, che aveva davvero visto Babbo Natale, e quella sua convinzione non era quindi quella che molti bambini – tra i quali probabilmente anche voi – affermano almeno una volta nella vita. Chi, anche solo per scherzo, non ha mai detto di aver visto Santa Claus portare i doni fin sotto il proprio albero di Natale?

L’unica differenza è che, mentre noi l’abbiamo inventato, a Ethan era successo per davvero.

Aveva sei anni all’epoca, e la sera della Vigilia aveva atteso che tutti andassero a letto per poi sgusciare fuori dalla sua cameretta e appostarsi nel salotto, seduto sul pavimento vicino l’albero addobbato. In realtà, Ethan non aveva neanche pensato di poter vedere Babbo Natale, né tantomeno aveva pensato di tendergli un agguato per accertarsi della sua esistenza o meno. Solo gli piaceva stare lì, seduto ad ammirare i colori vivaci delle decorazioni natalizie, e gustare la piccola soddisfazione di essere ancora alzato quando invece la mamma dormiva.

Stava quindi seduto sul morbido tappeto di moquette a sgranocchiare un biscotto alla cannella quando, tutto d’un tratto, aveva sentito un fruscio nella stanza. Era stato un rumore minimo, al quale la maggior parte della gente non avrebbe neanche fatto caso. Ethan, però, era un bambino, e per di più era tutto solo in una stanza rischiarata solo dalle lucine intermittenti dell’albero. Sulle prime, si pentì persino di non essere andato a letto quando la mamma lo aveva accompagnato a dormire.

Migliaia di immagini erano affiorate nella mente del bambino, ed erano tutte immagini a dir poco spiacevoli: mostri dalle bocche irte di zanne, creature striscianti con lunghi tentacoli e molto altro. Poi il bambino aveva scosso la testa: quella era la sera di Natale, nulla di malvagio poteva arrivare a fargli del male.

Dunque aveva preso coraggio: si era alzato e, in silenzio, aveva appena sporto la testa oltre i rami dell’albero: potete immaginare la sua sorpresa nel vedere nel proprio salotto un uomo alto e impostato avvolto in un caldo mantello rosso, con una folta massa di capelli candidi che gli ricadeva sulle spalle, sistemare con cura alcuni pacchi sotto l’albero.

L’uomo aveva alzato gli occhi e, in quel momento, non si sarebbe potuto decidere chi, tra lui e Ethan, fosse più sorpreso dalla presenza dell’altro.

Il bambino aveva cercato di dire qualcosa, ma il tutto si era tramutato in una serie di saltelli ed esclamazioni euforiche.

-Lo sapevo lo sapevo lo sapevo!- aveva allungato una mano e sfiorato la giacca di Santa Claus –Lo sapevo che esistevi davvero!-

L’uomo aveva sorriso e strizzato l’occhio; aveva incredibili occhi azzurri, antichi e benevoli, che avevano visto molti e molti bambini, e i figli di quei bambini, e continuava a seguirne le generazioni sempre con lo stesso stupore fanciullesco tipico degli anni più belli dell’infanzia.

Aveva tirato fuori un pacchetto avvolto in una vivace carta rossa e verde e l’aveva consegnato al bambino –Sei Ethan, giusto? Credo che questo sia per te-

La sua voce aveva un forte accento di lingua straniera che, solo un paio di anni dopo, Ethan aveva identificato come russo.

Il piccolo aveva accolto il dono al massimo della felicità –Grazie!-

Nord era rimasto a guardarlo a lungo e con sollievo: la vivacità, la fede che leggeva in quello sguardo erano per lui come la garanzia del buon andamento del suo lavoro. Era chiaro che quel bambino credeva, e credeva davvero in lui, e quello lo consolava. Purtroppo, con il passare dei secoli era cresciuto il numero dei bambini che non si curava più delle favole tramandate nel corso della storia. Nessun bambino cercava più di parlare con gli animali, o sbirciava nei buchi del terreno per cercare di scoprire i sotterranei villaggi delle fate; nessun bambino parlava più con i suoi amici immaginari, e nessun bambino ammirava più gli eroi dei libri per i loro atti di coraggio.

In quel momento, tutte quelle preoccupazioni erano state messe da parte, e lo spirito del vecchio Guardiano era stato in parte rinfrancato dall’ammirazione sincera che traspariva dagli occhi di quel bimbo.

Gli aveva poggiato una mano sul capo come in segno di benedizione, e Ethan ricordava ancora le parole che gli aveva rivolto prima di sparire in una nuvola d’oro.

-Conserva questa tua fede, Ethan Danvers, e nulla per te sarà mai impossibile-

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Saalve!

Ecco, iniziamo a conoscere un po’ meglio il nostro protagonista e le sue “stranezze”. Posso dire che Ethan è il frutto di una considerazione che sento fare sempre più spesso: al giorno d’oggi i bambini non si meravigliano di nulla.

Pensate che, tanto per fare un esempio, una volta ho detto al mio cuginetto –Ma lo sai che io ho visto Babbo Natale?- e mancava poco che lui mi chiedesse –Ma che ca*** ti fumi?- (nota, il bambino ha 6 anni, molto precocemente scettico quindi. Che tesoro, vero?).

Insomma, i bambini tanto “ingenui” e disposti a credere nelle care Leggende e nelle creature fantastiche stanno scomparendo, un po’ come i panda (ho sempre da fare l’esempio cretino, vogliate perdonarmi se ogni tanto sparo qualche cretinata di troppo). Dite che a Pitch questo piacerebbe?

Tutto questo per dire che ho voluto provare a creare un animo puro che si ritrova ad avere a che fare con la modernità e il suo scetticismo, che sembra di per sé anche abbastanza filosofico detto in questi termini.

Il nostro viaggio nella storia è appena iniziato. Scusate per il capitolo un po’ troppo corto, forse, ma dato che è per la maggior parte narrato senza quasi dialoghi non volevo appesantire troppo la narrazione. 

Ringrazio chi ha già letto il primo capitolo e chi è arrivato fin qui ;) e un ringraziamento particolare va a Gamora96 e _Dracarys_ per le recensioni e il parere positivo *-* spero di non deludere le aspettative.

Perfetto, è giunta l’ora di dileguarmi, saludos y besos!

Rory_Chan

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Nightmares Are Back

3

 

Avevamo lasciato Ethan al parco, a cercare un modo per passare il tempo. Gli sarebbe piaciuto  essere lì con qualche amico, quantomeno avrebbe avuto qualcuno con cui parlare o giocare a calcio, o ancora andare sulle giostre che si trovavano alla sua destra. Certo, avrebbe potuto andare lo stesso alle giostre, ma si sa, tutto è più divertente se c’è un amico al tuo fianco, e inoltre Ethan si sarebbe sentito alquanto fuori luogo in mezzo ai bimbetti che affollavano il parco giochi. Quindi si limitava a camminare con le mani in tasca, proprio come lo avevamo lasciato.

Si stava chiedendo cosa fare quando, poco distante, gli giunse alle orecchie un rumore insolito. Seguì il suono che lo  guidò davanti un grande albero, ai piedi del quale stava rannicchiata una bambina in lacrime: erano i suoi singhiozzi che Ethan aveva udito. Subito il ragazzo si chinò, anche se non sapeva bene cosa fare.

-Hei, piccola- cercò di richiamare la sua attenzione –cosa c’è che non va?-

Lei scostò appena le mani dal viso rosso e bagnato per guardarlo. Poteva avere all’incirca otto anni, portava i capelli castani tagliati a caschetto e i suoi occhi scuri erano ancora lucidi. Indossava un vestito a scacchi bianchi e rosa e accanto a lei era poggiato un berretto dello stesso colore. Tirò su col naso e si strinse le ginocchia al petto.

-Ti sei persa?-

Chiese ancora Ethan, visto che la prima volta non aveva ricevuto risposta. La bambina fece cenno di sì con la testa e si guardò intorno, probabilmente alla ricerca dei genitori. Prese il cappello e lo mostrò al ragazzo.

-Era volato via- gli spiegò –io l’ho rincorso. Mamma me lo ha regalato solo ieri, non volevo perderlo. Quando sono riuscita a prenderlo non ho più trovato la mamma-

Terminò la frase con un nuovo  singhiozzo.

-Oh, coraggio- Ethan si alzò e le porse la mano –la ritroviamo, la tua mamma. Non può essere lontana-

Lei lo guardò incerta, come se stesse decidendo se fidarsi o meno. Quel ragazzo non sembrava scherzare, aveva tutta l’aria di volerla aiutare sul serio, non come tutti quelli a cui aveva chiesto aiuto fino ad allora. Quando aveva capito di essersi allontanata troppo dalla madre, dapprima non si era persa d’animo: era ritornata alla panchina dove prima avevano deciso di sedersi e poi aveva girato in quei dintorni, chiedendo alle persone che incontrava se avevano visto una signora che poteva essere la madre.

Un gruppo di ragazzi l’aveva cacciata in malo modo. Non avevano neanche terminato le superiori, a giudicare dal loro aspetto, e probabilmente quel giorno avevano marinato la scuola; erano tutti riuniti attorno a due moto, e quasi tutti avevano una sigaretta tra le labbra ed erano ricoperti da vistosi tatuaggi. Due ragazze avevano i capelli colorati di viola e verde.

Alla richiesta di aiutarla tutti si erano guardati e avevano scrollato le spalle, sostenendo che se si era persa non era certo problema loro. A quel punto la bambina aveva perso le speranze; aveva girato ancora un po’ a vuoto tra i viali alberati, e alla fine si era fermata lì e si era sentita invisibile agli occhi della gente che le passeggiava davanti senza curarsi del perché una bambina tutta sola stesse piangendo ai piedi di un albero.

A differenza degli altri lui sembrava avere buone intenzioni, ragion per cui accettò la mano che le aveva offerto e si era tirò su spazzolandosi via la terra dalla gonna.

-A proposito, io sono Ethan. E voi, signorina?-

Lei sorrise davanti a tanto spirito cavalleresco, e si asciugò gli occhi dalle lacrime –Octavia. Octavia Angela Blake-

-Onorato di fare la vostra conoscenza-

Si incamminarono lungo la strada principale che serpeggiava tra gli alberi del parco, guardando bene a destra e sinistra, e guardandosi di tanto in tanto alle spalle. Octavia aveva fatto un ritratto molto accurato della sua mamma.

-Ha i capelli come i miei- aveva detto –però più lunghi. E legati in una coda. E ha gli occhi verdi, e oggi indossava un vestito rosso perché io le ho detto che mi sarebbe piaciuto che lo indossasse. E sopra il vestito ha un giubbotto nero, di pelle, come quelli che hanno i motociclisti ogni tanto. Però la mamma non ha la moto. Dice che non si fida di questi mezzi instabili, soprattutto se deve viaggiare con me-

E altri dettagli fino ai più minuziosi, come ad esempio la forma degli orecchini e i bracciali che indossava quel giorno. Tutte cose superflue, a dire il vero, ma Ethan la ascoltò attentamente e ogni tanto la interrompeva facendole persino delle domande ancora più dettagliate; se non altro, sarebbe servito a farla parlare e distrarla dalla considerazione che, fino a quel momento, la loro ricerca aveva prodotto scarsi risultati.

Dopo un po’ Octavia tacque e camminarono in silenzio mano nella mano, osservando con attenzione i più remoti angoli del parco. La bambina guardava Ethan di sottecchi, e fu felice che si fosse offerto di aiutarla.

-Tu non ci vai a scuola?-

Chiese ad un tratto. Il ragazzo non rispose subito, e le sembrò che stesse riflettendo su cosa dire.

-Sì, ci vado. Ma, hum, ecco… mi hanno dato alcuni giorni di vacanza-

-Perché?-

-Perché il preside ha deciso che me li meritavo proprio-

La bambina lo guardò senza capire –Perché?-

-Perché… ho litigato con alcuni ragazzi-

-E perché?-

A Ethan scappò un sorriso: alla sua età anche lui era solito chiedere sempre il perché di ogni cosa, anche la più insignificante, e ricordava che sua madre, a volte, inventava le ragioni più assurde per spiegargli il motivo di una sua curiosità.

-Perché stavano dando fastidio ad un altro ragazzo. E io sono intervenuto a difenderlo-

Octavia gli lanciò una strana occhiata –Li hai picchiati?-

Lui rimase interdetto. Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato –Bè, ecco… un po’-

Octavia commentò con un “oh” appena percettibile, e lui notò che si era rabbuiata come se il fatto che lui avesse picchiato qualcuno le avesse causato un enorme dispiacere. Sospirò e cercò un modo per rendere il tutto più accettabile.

-Vedi- iniziò a spiegare –se io non li avessi picchiati, loro avrebbero picchiato l’altro ragazzo. E io queste cose non le sopporto. Non sopporto i codardi che fanno i gradassi con i più deboli, e quelli erano codardi. Se fossero state brave persone non avrei mai fatto a botte con loro-

Come spiegazione era un po’ ridicola, doveva ammettere, ma sperò che la bambina capisse ugualmente. Octavia rimase pensierosa per un po’, riflettendo su quelle parole.

-Ma allora, se avevi ragione perché ti hanno cacciato dalla scuola?-

-Questo non me lo spiego. So solo che i genitori di quei ragazzi erano più numerosi e infine hanno avuto la meglio. È sempre così: il numero fa la ragione o il torto di una persona, e non importa se la decisione è corretta o meno-

-Ma non è giusto-

-Già. Comunque sia ormai è fatta, ci sono abituato. E poi tra due giorni ci tornerò lo stesso, a scuola-

Octavia stava per replicare quando una voce di donna richiamò la loro attenzione: stava chiamando il suo nome. La bambina si voltò in tempo per vedere una donna correre verso di loro, agitando un braccio nella loro direzione. La borsa le stava per scivolare dal braccio e, se prima aveva i capelli legati, la coda doveva essersi disfatta perché una gran massa di capelli color cioccolato la seguiva come un lucido mantello agitato dal vento.

-Mamma!-

La bambina le corse incontro e si gettò tra le sue braccia. Spiegò poi tutta la storia di come il cappello le era volato via ad un improvviso soffio di vento – che, come andremo a scoprire, non fu tanto improvviso – e di come lei si fosse allontanata per riprenderlo. Inoltre, promise che non sarebbe più scappata via in quel modo.

Poi Octavia indicò Ethan con entusiasmo, e raccontò di come si era così gentilmente offerto di aiutarla. La donna gli sorrise e gli scompigliò i capelli scuri.

-Ti ringrazio, davvero tanto-

Lui si strinse nelle spalle con una buona dose di modestia –Ma si figuri-

Octavia lo guardava pensierosa, forse anche un po’ triste –Quindi quando torni a scuola non potrai più venire qui-

Ethan stava per scuotere la testa, ma poi un’idea lo bloccò a metà del gesto. Si chinò e indicò alla bambina un locale dall’altro lato della strada –Lo vedi quel bar? Lì lavora mia madre. Chiedi di Ellen, quando ci andrai. E vedi quella strada che svolta nella salita? Casa mia è il secondo cancello sulla sinistra. Vieni a trovarmi ogni volta che ti va-

E fu quando terminò di parlare che si rese conto di averlo detto non solo per pura cortesia; quella bambina lo aveva conquistato sin dal primo momento il cui l’aveva vista, e anche a lui sarebbe dispiaciuto perdere i contatti con quella nuova, piccola amica.

Octavia annuì, al colmo della felicità –Posso andare, vero mamma?-

La donna annuì, un sorriso in risposta alla figlioletta –Ma certo-

******

Avevamo detto che il vento che aveva fatto volare via il berretto di Octavia non era stato casuale, e forse qualcuno avrà già capito chi sia stato il vero responsabile.

Infatti, se ritorniamo indietro per esaminare la scena, possiamo ben vedere una familiare figura avvicinarsi alla bambina e alla madre e, veloce come il pensiero, portare via con una raffica di vento freddo il berretto rosa.

Dapprima, Jack Frost era stato perplesso riguardo l’ordine ricevuto da Santa Claus, ma ben presto aveva capito perfettamente che era necessario ai due ragazzi incontrarsi. Si era anche dispiaciuto di come Octavia si fosse disperata quando aveva capito di essersi persa, ma Jack aveva fiducia nelle direttive di Nord, inoltre sapeva che sarebbe stata in buone mani. Una volta portato a termine il suo compito si era mosso tra i rami degli alberi e dall’alto della loro chioma aveva osservato la scena dell’incontro tra i due.

Ethan gli aveva ricordato molto sé stesso, e dal modo gentile con in quale aveva trattato con la bimba in lacrime aveva subito capito che Nord non si era affatto sbagliato sul suo conto: quel ragazzo aveva un grande cuore e un animo altruista, nonostante a volte si lasciasse guidare dalla sua impulsività.

E Jack era certo che, nonostante fossero ormai passati molti anni dalla volta in cui lui e Nord si erano incontrati, il ragazzo non avesse perso la sua fede. Con il tempo, aveva imparato a conoscere l’animo di ciascun bambino e ragazzo, e negli occhi di quel ragazzino aveva subito visto una luce ormai rara, una scintilla che, per loro Leggende, era un dono prezioso. Inoltre avrebbe potuto giurare che, se solo si fosse mostrato ai due ragazzi, entrambi avrebbero esclamato all’unisono “Jack Frost!” – era certo che entrambi credessero ancora nell’immenso potere della fantasia, e quella era una certezza che non aveva bisogno di prove concrete.

Seduto su un ramo, Jack sorrise. Dopotutto c’era ancora speranza.

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Eccomi eccomi!

Bene, andiamo avanti e facciamo la conoscenza di un nuovo personaggio che, vi dirò, avrà la sua buona parte di lavoro da fare.

E poi guardate: c’è Jack *-* adorabile cosino ghiaccioloso! (?) sappiate che lui e Pitch si fanno la guerra nel mio cuoricino, ancora non so decidere chi dei due preferisco <_<

Comunque! Ringrazio Olzawer per aver inserito la storia tra le Preferite  e Seguite, Gamora96 per averla inserita tra le Storie da ricordare e AngelsOnMyHearth e _Dracarys_ per averla inserita tra le Seguite, inoltre un grazie mille per le splendide recensioni *-* e grazie anche a chi mi segue restando nell’ombra ;)

C’mon, ci aggiorniamo al prossimo capitolo!

Kisses,

Rory_Chan

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Nightmares Are Back

4

 

Quel mattino, prima di varcare la porta d’ingresso della scuola, Ethan sospirò. Solo il giorno prima si trovava al parco, immerso nella pace di quella vacanza improvvisata, e adesso quasi rimpiangeva che la durata della sua sospensione fosse scaduta. Sapeva che, molto probabilmente, gli energumeni con i quali aveva avuto a che fare si sarebbero presto fatti avanti di nuovo: tipi come quelli non demordevano con facilità, e l’orgoglio quasi animalesco che caratterizzava quel genere di persone era facile da ferire, ma assai duro da placare una volta provocato. Pazienza, voleva dire che li avrebbe picchiati di nuovo, e poi sarebbe stato sospeso di nuovo, e poi sua madre gli avrebbe di nuovo fatto quel bel discorso sulla giustizia che ormai conosceva a memoria. In fondo, la sua vita era assai prevedibile.

Quasi non prestò attenzione alle lezioni. Dal suo banco vicino la finestra osservava il giardino della scuola tingersi dei colori dell’autunno. L’erba dei vialetti ingialliva e si piegava sotto le sferzate del vento freddo, e le chiome verdeggianti degli alberi assumevano quella sfumatura rosso-oro che ad Ethan era sempre piaciuta. Gli piaceva l’autunno, il preludio dell’inverno, il momento in cui la vita rallentava il suo ritmo prima di morire per rinascere più bella che mai una volta tornata la primavera.

Alcune foglie morte avevano iniziato un girotondo sotto alcuni alberi quasi del tutto spogli. Credete che le foglie cadano dagli alberi una volta morte, per cause del tutto naturali? Ethan non la vedeva a quel modo: sui rami di quegli scheletri legnosi poteva, infatti, distinguere con chiarezza alcuni puntini luminosi che si aggrappavano agli steli delle foglie o ci saltavano sopra, e le utilizzavano per scendere da quell’altezza. Erano fate, piccole fate che, a quanto pare, si divertivano a giocare con ciò che la natura riteneva ormai inutile.

Era strano pensare che in quella stanza, oltre a lui, nessuno potesse vedere quelle creature. Per gli altri ragazzi non c’era nulla di strano o fantastico nelle foglie che cadevano in autunno. Ethan si era chiesto tante volte perché lui potesse vedere gli esseri fatati e gli altri ragazzi invece non vedevano nulla al di fuori dell’ordinario. Aveva forse qualcosa che non andava? Erano allucinazioni dovute alle troppe favole o ai suoi sogni ad occhi aperti, o c’era qualcosa di più? Una cosa era certa: per il mondo le fate, o i folletti, o gli unicorni e tutte le altre creature non esistevano, erano semplici frutti del folklore popolare, erano simpatici disegni su carta per far divertire i più piccoli.

Eppure Ethan era sicuro di vederli, proprio come voi vedreste le vostra mano se solo provaste ad avvicinarla al viso. Dunque cosa significava quello? Aveva sentito e letto di molte persone ritenute “pazze” perché sostenevano di essere venute in contatto con strani esseri del regno fatato. Lui era forse pazzo? Se era così, allora si era fatto un’idea del tutto sbagliata sulla pazzia. Credeva che fosse una cosa orribile, una malattia inguaribile in cui i sogni più angosciosi prendevano il posto della vita reale. Se essere pazzo significava invece poter vedere strani esserini luccicanti saltellare sulle foglie… bè, quella era tutta un’altra storia.

Si chiese come funzionasse la gerarchia delle fate: quelle che stava vedendo in quel momento erano fate dell’autunno, e poi sarebbero arrivate le fate dell’inverno e così via per tutte le stagioni? Ma le fate potevano morire? Aveva letto libri alquanto contraddittori sull’argomento: alcuni volumi dicevano che le fate erano immortali, mentre altri puntualizzavano che bastava un nulla per farle svanire. Certo, sarebbe stato interessante chiedere direttamente a loro, ma Ethan non osava immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse visto parlare all’apparenza solo con un ramo spoglio. E poi cosa ne sapeva, lui, di come si avvicinavano le fate? Potevano non essere tutte socievoli, e aveva letto che alcune erano talmente schizzinose da lanciarti addosso maledizioni che duravano per tutta la vita.

Ethan si accorse che i suoi compagni lo guardavano con una sorta di timore che mai aveva notato prima. Di tanto in tanto sorprendeva qualcuno voltato nella sua direzione, che subito distoglieva lo sguardo non appena veniva colto in flagrante.

“Ma che diamine si aspettano?” si chiedeva contrariato. Tutte quelle attenzioni gli davano ai nervi “Non mi metto mica a picchiarli senza un motivo!”.

Era stupido, pensava, il modo in cui certa gente reagiva alle notizie. I suoi precedenti erano ormai noti nonostante avesse tentato di tenerli nascosti, quindi in pratica una buona parte dei ragazzi dell’istituto sapeva ormai che era stato cacciato dalle altre scuole a causa delle risse nelle quali era stato coinvolto. E ovviamente nessuno andava a chiedergli se, in quelle risse, lui avesse avuto ragione o torto o se le avesse scatenate per una giusta causa o solo per il gusto di imbrattarsi i vestiti di sangue.

Alcuni insegnanti, invece, lo guardavano con severità, e il personale scolastico lo squadrava con diffidenza. A volte Ethan si chiedeva il perché la gente fosse tanto superficiale, perché credesse solo alle prime impressioni invece di cercare di capire di più rispetto ad una persona o una situazione.

Il mondo degli adulti gli sembrava così finto e ipocrita, e a dirla tutta lui non aveva l’intenzione di diventare un adulto come quelli che conosceva. Quando era piccolo l’idea di crescere lo spaventava addirittura: vedeva troppe cose in tv, vedeva di uomini che litigavano e si uccidevano l’uno con l’altro, vedeva di coppie felici che finivano per autodistruggersi e vedeva fratelli combattere contro fratelli. Quando era bambino quel mondo lo spaventava. Non voleva diventare un adulto pronto a sacrificare i propri prìncipi in favore degli scopi personali, e non voleva perdere la felicità che caratterizzava l’infanzia. Era questo che pensava da piccolo: pensava che, man mano che si cresceva, i sentimenti che facevano di un animo un buon animo andassero perduti, e che al loro posto si radicassero violenza e falsità. Questo perché gli adulti non avevano più fantasia e non erano capaci di seguire i propri sogni, aveva sempre pensato. Lui non voleva perdere quel dono e diventare un adulto grigio e triste come i tanti adulti grigi e tristi che già popolavano il mondo.

Quindi, alle occhiate di indifferenza o indignazione che lo seguivano rispondeva sempre con un mezzo sorriso, o non rispondeva affatto. Anche quel sorriso, tuttavia, turbava la gente. La maggior parte dei ragazzi dell’istituto iniziava a ritenerlo un criminale, un piccolo delinquente disadattato e sociopatico, il che a dirla tutta non era molto lusinghiero. Ma ad Ethan andava bene anche così: ormai era abituato a stare solo.

La campanella suonò in quel momento annunciando l’inizio della ricreazione. L’aula si svuotò in fretta e i suoi compagni lo lasciarono lì seduto a guardare fuori dalla finestra, senza neanche provare ad avvicinarsi e chiedergli se volesse fare un giro con loro.

Solo quando Ethan vide una figura uscire da uno dei portoni che davano sul giardino scattò in piedi: non si era sbagliato, era lo scricciolo, il ragazzino che aveva “salvato” dai bulli pochi giorni prima. Il ragazzo lo vide andare a sedersi sul muretto che recintava il campo da calcio; era solo anche lui. Aveva i capelli biondi e mossi in una cascata di onde d’oro, e dietro un paio di occhiali dalla montatura rettangolare i suoi occhi erano di un color grigio-verde, un colore che Ethan aveva visto raramente ma del quale era sempre stato invidioso: quanto avrebbe voluto avere gli occhi di quel colore invece che del suo banale color nocciola!

Il ragazzo uscì dalla classe ormai vuota e si diresse al piano di sotto, le mani in tasca e la testa ben alta. Una volta fuori si diresse nel punto in cui aveva visto il ragazzo biondo dalla finestra, e si issò sul muretto a sua volta con un agile salto. A vederlo, l’altro aveva sussultato e si era ritratto come se temesse – sorpresa sorpresa – di venire aggredito. Adesso lo guardava di sottecchi, intimidito. Una spruzzata di lentiggini gli colorava le guance e il naso all’insù.

Ethan sorrise, incrociando le gambe sul muro –Tu sei Samuel, vero?-

Il ragazzino si guardò intorno; probabilmente sperava ancora che non parlasse con lui.

Ad Ethan scappò una risata –Hei, è con te che parlo. Che hai, guarda che non ti mordo mica-

Lui storse per un attimo le labbra, indeciso –Sì, sono Samuel. Sam. Senti, mi dispiace…-

-Nah, lascia perdere- lo interruppe Ethan –non sono qui per avere delle scuse. Sarebbe presuntuoso da parte mia, quindi non perdere tempo con il galateo-

Samuel sembrò confuso –Oh… bè, d’accordo. È solo che mi sentivo in colpa, ecco, per quello che è successo. Se non fosse stato per me non ti avrebbero espulso-

-Se non fosse stato per te- precisò lui –sarebbe stato per qualcun altro. Acqua passata, davvero-

Sam annuì, ma era come se non credesse alle sue orecchie. Era molto riservato, notò Ethan, il suo esatto opposto: lui non ci metteva più di tanto a rompere il ghiaccio con qualcuno.

-Perché quelli volevano picchiarti?-  

Chiese ancora, alimentato dalla curiosità. Nel corso degli anni aveva imparato che c’erano un’infinità di motivi perché i bulli picchiassero gli altri ragazzi: poteva essere semplice razzismo nei confronti dei molti figli di immigrati stabiliti nel paese, poteva essere gelosia verso il più bravo della classe o altre mille possibilità.

Il ragazzino incassò la testa tra le spalle e scrollò il capo, a disagio –Nulla di che. Non… non mi crederesti-

-Andiamo, a me puoi dirlo!-

Samuel scosse ancora la testa. Si guardò di nuovo attorno, la marea di studenti che aveva invaso il cortile era cresciuta rapidamente e un vociare sempre più intenso aveva riempito l’aria. Solo attorno a loro si era formato uno spazio vuoto, e nessuno sembrava notarli.

Due ragazze, sotto un albero, chiacchieravano e commentavano qualcosa sul cellulare di una delle due; avevano le teste accostate l’una all’altra, e Sam vide un puntino luminoso sfrecciare un po’ attorno a loro e ricavare una treccia dalle ciocche di capelli di entrambe. Gli scappò un sorriso: non appena avessero provato ad allontanarsi di certo si sarebbero scambiate una bella testata.

-L’hai visto anche tu?-

Ethan aveva seguito la direzione del suo sguardo e aveva osservato la scena a sua volta. Senza un perché il cuore aveva iniziato a battergli forte nel petto: non c’era ragione perché Samuel avesse dovuto fissare proprio quelle ragazze in mezzo alle decine di studenti in giardino; a meno che non avesse visto quello che aveva visto lui, ossia una fata burlona giocare un tiro mancino a due fanciulle ignare. Ethan aveva letto centinaia di storie simili.

-Che cosa?-

Sam era passato sulla difensiva, ma lui non aveva certo intenzione di lasciar cadere l’argomento. Aveva forse trovato qualcuno che poteva vedere ciò che sfuggiva alla maggior parte dei loro coetanei, e non poteva certo negare l’evidenza.

-La fata, scemo-

-La fata?-

-Samuel- Ethan calcò il tono –ci tengo a mettere in chiaro una cosa: non sono uno stupido e men che mai un pazzo, per cui non guardarmi con quella faccia. E ora rispondimi: l’hai vista quella fata?-

Il povero Sam sembrava disperato. Non poteva sfuggire allo sguardo indagatore dell’altro ragazzo, e per natura non era mai stato bravo a mentire. Per cui, con un sospiro, annuì con un cenno appena percettibile.

Il viso di Ethan si illuminò –Ma è fantastico!-

-No che non è fantastico!- fu la replica indispettita –La gente ti prende per pazzo quando dici di vedere certe cose. Ecco perché volevano picchiarmi, se proprio lo vuoi sapere: avevo solo informato quei ragazzi che un folletto aveva allagato i bagni. E quello è stato il risultato-

-Ma tu non devi certo dire a tutto il mondo che vedi le creature fatate!-

-Perché, tu non l’hai mai detto a nessuno?-

-A mia madre, un paio di volte. Ma ero piccolo e credeva che scherzassi. È il mio segreto. Il nostro segreto, a questo punto-

Samuel agitò una mano come per dire di aspettare, quasi avesse inteso in quel momento ciò che Ethan gli aveva detto –Insomma, li vedi anche tu? Cioè… hai visto anche tu una fata o quello che è fare una treccia ai capelli di quelle ragazze?-

-Proprio come vedo te adesso-

-E… è normale? Insomma, non voglio dire normale, è… cos’è?-

-Non lo so. Ma di certo è qualcosa di particolare, anche se ancora non so cosa significa-

-E tu- Samuel prese coraggio –li hai sempre visti? Folletti, unicorni… sono reali, o abbiamo qualcosa che non va?-

-Li ho sempre visti, da quanto ricordo. Credo che… non so come spiegarlo. Tu hai sempre creduto nelle favole?-

-Bambini che volano e principesse rinchiuse in torri diroccate? Da bambino credevo che fossero reali. Ho pensato, sì, insomma, perché non potrebbero esistere in una dimensione parallela, che a volte viene a coincidere con la nostra? Quindi potrebbero anche essere reali-

-Dunque secondo te è per questo che riusciamo a vederli? Perché ci crediamo?-

-Crediamo che siano reali. E forse, grazie a questa convinzione in un modo o nell’altro trovano il modo di manifestarsi. Almeno credo-

-Unicorni- ripeté Ethan –prima hai detto unicorni. Hai mai visto un unicorno?-

-Bè, una volta. Perché, tu no?-

Lui scosse la testa, deluso. Poi si illuminò –Però ho visto Santa Claus-

-Andiamo!- Samuel fece una risata nervosa –Questo non è vero-

Ethan si imbronciò –Sì che è vero!-

-Va bene va bene, calmati!- Sam sollevò le mani in segno di resa –Hai visto Babbo Natale. Ok, perfetto. E com’era?-

-Come i disegni sulle carte da regalo. Robusto, mantello rosso… aveva anche l’accento russo-

-Caspita. E la slitta? L’hai vista la slitta?-

Ethan fu costretto a scuotere la testa. Stava per rispondere quando il suono assordante della campanella lo interruppe. Gli sarebbe piaciuto rimanere a parlare ancora con Samuel, era certo che avevano ancora molte cose in comune e che, forse, insieme avrebbero potuto trovare una spiegazione a quella loro particolarità.

Neanche Sam sembrava molto entusiasta di tornare a lezione –Ti va se domani ci vedessimo qui?-

Un sorriso incurvò le labbra di Ethan, e fece cenno di sì con la testa. Sembrava che la fortuna si fosse per una volta ricordata di lui.

******


“A darkness falls over the land

Enslaves with a wave of its hand

And I try to see

The light through the disease

I tried to get up on my feet

Been so long, shackled down on my knees

For somewhere deep inside, I know

That fate favors the bold

 

So tonight, I’m riding a black unicorn

Down the side of an erupting volcano

And I drink, drink, drink

From a chalice filled

With the laughter of small children

(Voltaire – Riding a Black Unicorn)


 

Dunque esistevano ancora anime pure in quell’epoca.

Nel buio, Pitch sorrise.

“Che sorpresa…”.

Doveva trovarsi in un luogo sotterraneo, un cunicolo sotto la città, o una cripta. Sì, era una cripta. Nascosto come i vampiri nei vecchi cimiteri, evanescente come le ombre che nella notte vagavano tra le lapidi. Era di nuovo così che si era ridotto. Un’ombra indesiderata, destinata a essere dimenticata fino a svanire. Che fine crudele sarebbe stata, quella. Che fine indegna. Era stanco di quei luoghi stretti e umidi. Era stanco di nascondersi come un criminale braccato, ed era stanco dei secoli di speranza che era stato costretto a vivere.

Speranza. Quanto gli suonava sgradita, quella parola, quanto gli era odiosa. La speranza era solita vincere sempre, quella era la dura legge. Ma la legge, la legge poteva essere infranta, così come la speranza, soppiantata dal terrore e dalle tenebre.

L’umanità stava svanendo lentamente, e questo poteva andare a suo vantaggio. I bimbi, i dolci bimbi che le Leggende avevano il dovere di proteggere stavano diventando sempre più ingrati, nient’altro che piccoli teppistelli scettici armati soltanto di arroganza e disprezzo. Anche quello poteva essere un punto in suo favore.

Pitch Black sapeva che la speranza era molto più fragile da spezzare, e c’era qualcosa che, in quel momento, poteva essere il sigillo al suo trionfo.

“Sì, proprio tu. La cara, vecchia paura” – la paura, la violenza, a quanto pare stavano per diventare i nuovi cardini di quella civiltà ormai andata a male, e cosa, meglio della paura, poteva essere un buon espediente per fondare un nuovo impero?

Chi ha paura diventa spesso molto accondiscendente, e chi ha paura spesso accetta le tue condizioni nella spesso vana speranza di venire risparmiato dall’orrore tutt’intorno a sé. E chi ha paura spesso non ha la forza di combatterla.

Sarebbe stato semplice, quindi, portare i bambini dalla propria parte con metodi molto persuasivi seppur poco leali, e a quel punto la sua rinascita sarebbe diventata realtà. I bambini, senza più la fede nelle fatine luccicanti o nei coniglietti pasquali, non avrebbero avuto nulla a cui aggrapparsi per contrastarlo, e senza più i bambini il fantastico mondo delle Leggende sarebbe definitivamente sprofondato nell’abisso senza fondo della dimenticanza.

Tuttavia…

L’Uomo Nero passeggiava avanti e indietro nell’oscurità come un animale in gabbia, inquieto nonostante quei gloriosi propositi tanto vicini alla realizzazione del suo piano.

Tuttavia esistevano ancora delle eccezioni. Preziosi ragazzini che, nonostante tutto, si tenevano ancorati al mondo della fantasia e non erano intenzionati a perdere quell’immaginazione a Pitch tanto sgradita.

Il vero problema erano loro, loro erano gli unici ostacoli da eliminare. Quello tuttavia sarebbe stato semplice: cosa c’era che i suoi Incubi non potessero fare?

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Olalà!

Ragazzi, sono commossa, sto aggiornando più in fretta del previsto *^*9

Dunque eccoci qui con un capitoletto un po’ più lungo, ed ecco finalmente Pitch che da bravo cattivo sta nella sua fogna (?) a progettare piani criminali. Che carino, no?

Credo di non dover dire nulla per il momento, se non che pure io voglio vedere un unicorno! *canta la canzone degli unicorni di Agnes in Cattivissimo Me*

Ma comunque… ringrazio come al solito chi ha inserito la fic tra le Preferite, Seguite o Storie da ricordare, e come sempre grazie per le belle recensioni *-*

Ed è tutto, al prossimo capitolo!

Kisses,

Rory_Chan

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Nightmares Are Back

4

 

Erano passati tre mesi dal primo incontro tra Ethan e Sam, e quell’amicizia improvvisa sembrava aver fatto bene ad entrambi: adesso Ethan non era più costretto a girare senza meta per i corridoi della scuola completamente solo, e Samuel aveva trovato qualcuno che aveva visto oltre la sua facciata da timido impacciato e con cui aveva potuto legare per davvero senza doversi curare di nascondere le sue incertezze.

Sam sapeva essere divertente, quando voleva, e non appena prendeva un minimo di confidenza tentava persino di fare delle battute al solo scopo di risollevare il morale generale. E quello gli riusciva sempre. Avevano preso l’abitudine di vedersi ogni tanto dopo la scuola a casa di uno o dell’altro, e Ethan aiutava spesso e volentieri l’amico a fare i compiti per il giorno seguente. Sam era bravo nelle materie scientifiche, mentre aveva la tendenza a combinare guai con la grammatica e la letteratura.

-Non capisco perché- diceva contrariato –dovremmo studiare la vita di questi tizi morti da anni, e quello che scrivevano. Sono perlopiù robe barbose e inutili. A cosa ci serviranno in futuro?-

A questo Ethan non sapeva rispondere. Certo, lui era molto più propenso alla lettura, ma non avrebbe saputo dire perché alcune delle storie che studiavano fossero diventate tanto importanti nel mondo, e perché era considerata “ignoranza” il non sapere di cosa parlava un determinato classico. La vera ignoranza, secondo Ethan, non era il non sapere a quale corrente letteraria appartenesse quel poeta o dove si trovasse quell’altro stato. La vera ignoranza per lui era sinonimo di mancanza di educazione e princìpi, e quelli non potevano darteli i libri, non del tutto almeno. Per lui ignorante era un uomo che non rispettava il suo prossimo, e quella era ignoranza di vita, a suo parere molto più grave dell’ignoranza scolastica. Comunque sia, Ethan cercava di spiegare all’amico che spesso le storie narrate dai grandi della letteratura e i loro personaggi erano passati alla storia proprio perché denunciavano, apertamente o meno, la negatività della società dei tempi passati.

-Prendi quel tipo- diceva –Manzoni. Per la prima volta lui ha fatto degli umili i veri protagonisti della vicenda e nel suo romanzo ci sono aperte critiche alla corruzione. O Molière, che nelle sue opere creava un personaggio principale che rappresentava un vizio o un difetto della società-

Ma non sempre riusciva a convincere Sam del tutto.

Quando erano soli parlavano anche delle loro fantasie, naturalmente. Entrambi amavano i racconti di belle dame e valorosi principi, storie in cui si fondevano magia e mistero, antiche leggende di popoli lontani arrivate fino a loro dopo secoli di tramandamento orale. Ethan conosceva una varietà infinita di quelle favole perché le ricordava da quando le aveva lette per la prima volta, nonostante fossero passati anni. Le storie celtiche erano quelle che più lo intrigavano, e così spesso raccontava la storia dei figli di re Lir, o ancora del mitico capo del Fianna Fionn MacCumhaill. Non era difficile credere che, seppur in epoche remote, quelle avventure fossero accadute davvero; la cosa difficile era capacitarsi di come, una volta terminato un racconto, molto spesso la gente commentava con un distratto: “Sì, carino”, e continuava a trattarle come fantasie che non stavano né in cielo né in terra.

Spesso a Ethan e Sam piaceva immaginare come sarebbe stato vivere all’epoca narrata in quei racconti, a come sarebbe stato poter vedere davvero i draghi solcare in volo i cieli o poter vivere in un clan dell’Irlanda in armonia con i sidhe, gli antichi spiriti della natura. Era un’epoca triste e sterile, quella in cui vivevano.

Insieme avevano fatto delle ricerche nella biblioteca della scuola per quel che riguardava quello che era diventato il loro segreto, ma neanche in quel modo erano venuti a capo di qualcosa. Ethan ricordava di aver letto qualcosa sulla Seconda Vista, ovvero la capacità che hanno alcuni umani di vedere le creature fatate, ma non sapeva se si trattava con esattezza del loro dono. Era assai raro che un umano possedesse la Seconda Vista, e spesso si rivelava una catastrofe più che una benedizione: alla maggior parte degli spiriti non piaceva che gli umani ficcassero il naso nei loro affari, e nella maggior parte delle storie l’umano di turno veniva privato delle vista o finiva con l’impazzire.  Quello turbava Sam non poco.

-Non mi va l’idea che qualcuno possa strapparmi gli occhi-

Diceva, e si sistemava gli occhiali sul naso con un veloce gesto dell’indice. Era un gesto che faceva spesso, quando era nervoso perlopiù, e a Ethan iniziava a piacere.

Sam, tra l’altro, aveva sviluppato una vera e propria curiosità morbosa verso l’incontro di Ethan con Babbo Natale: sin dal giorno in cui ne era venuto a conoscenza, ogni qualvolta ne avesse l’occasione gli porgeva domande sui dettagli più minuziosi, e lui doveva andare a ripescare quei ricordi per poter dare una risposta ben precisa così come Sam pretendeva.

Si poteva capire che Samuel provava una sorta di dispiacere – perché non era invidia, le persone benevole come Samuel non sono capaci di invidiare qualcuno – nel non aver avuto neanche una volta l’occasione di poter vedere Babbo Natale a sua volta. Confessò che, un paio di volte, da bambino, aveva tentato di restare sveglio per tendere un agguato al fantomatico vecchietto, ma alla fine si era sempre addormentato, e così l’anno successivo e quello ancora dopo. Ala fine, suo malgrado, aveva rinunciato.

In compenso, Samuel era un asso nella ricerca delle uova nascose in occasione della Pasqua: non accadeva mai, o molto, molto di rado, che un uovo potesse sfuggire alla sua vista, e ogni anno il suo bottino era sempre più consistente. Era stano, si trovava a pensare, che il Coniglio di Pasqua non arrivasse a fargli personalmente i complimenti.

Stavano commentando per l’appunto quel pensiero mentre si cambiavano dopo la lezione di educazione fisica quando due ragazzi arrivarono a interromperli: erano due degli energumeni che avevano già provato a picchiare Sam quel famoso giorno dell’espulsione; Samuel e Ethan li avevano visti spesso, nei corridoi, darsi il gomito e indicarli a loro passaggio. Fino ad allora non si erano fatti avanti, ma per esperienza personale Ethan sapeva che non avrebbero rinunciato alla rivincita.

-Guarda chi c’è: i fidanzatini!-

Commentò uno con un ghigno sbieco mentre l’altro già sghignazzava senza ritegno.

Sam si era voltato a sistemare le sue cose nello zaino, ma aveva lo sguardo basso e un vivo colorito sulle guance. Al contrario, Ethan si era fermato e ora li fissava con aria di sfida, la testa ben alta.

-Allora?- continuò quello –Ho ragione? Hei, biondino, siete fidanzati?-

-Avete stretto amicizia in fretta, vedo. Avete già scopato o aspettate di compiere diciotto anni?-

E mentre uno rideva l’altro muoveva la lingua in gesti più che eloquenti. Parlavano soprattutto con Samuel, che avevano individuato come il più debole dei due, e questa era una prova ulteriore della loro vigliaccheria.

Ethan fece una palla con i suoi vestiti e la cacciò con rabbia nello zaino, trattenendosi a stento dallo scagliarsi contro i due provocatori. Non poteva rischiare un’altra espulsione.

-Sparite di corsa. Odio dover picchiare i falliti-

Naturalmente non l’avrebbe fatto, ma forse la minaccia e il ricordo dei nasi rotti li avrebbero persuasi a sparire dalla circolazione. Infatti, i due esitarono appena prima di ritornare alla carica.

-Hei, amico…-

-Io non sono tuo amico, vedi di tenerlo a mente-

-Stavamo solo facendo conversazione. Anche se forse hai ragione, non dovremmo trattenerci qui con voi. Se solo mio padre sapesse che ho rivolto la parola a un gay…-

A quel punto Ethan scattò come un fulmine, i pugni stretti e pronti a colpire, e avrebbe di certo centrato il bersaglio per la seconda volta se non fosse stato per Sam, che lo afferrò per un braccio appena in tempo.

-Ethan, lasciali perdere. Non ne vale la pena-

-Lasciami! Questa volta gli faccio ingoiare i denti uno per uno!-

I ragazzi si erano allontanati, e uno gli fece la linguaccia. A quel punto dovettero sentirsi soddisfatti della loro opera, perché uscirono dalla stanza ancora facendo il verso ai due amici.

Sam sospirò; stringeva ancora il braccio di Ethan con più forza del necessario –Vuoi rischiare altri guai?-

Lui se lo scrollò di dosso, scuro in viso –Li odio-

-Ethan…-

Samuel non voleva ammetterlo, ma quando era arrabbiato Ethan lo spaventava. Aveva visto come lo aveva difeso ferocemente la prima volta, e gli aveva confidato di aver frequentato un corso di difesa personale solo pochi anni prima. Quando picchiava sapeva dove colpire, e quello lo faceva risultare di gran lunga pericoloso nonostante fosse ancora un ragazzino. Se solo avesse voluto avrebbe potuto fare del male sul serio.

Sam non sapeva mai cosa dire in quelle circostanze, e non sapeva come comportarsi.

-E se solo ti rivolgono la parola quando io non ci sono- continuò Ethan –non hai che da dirmelo-

-Ethan, non ci hanno insultati-

-Con “gay” intendevano il senso dispregiativo del termine. Quindi tecnicamente sì, ci hanno insultati-

-Ma non puoi dare credito alle loro parole! Insomma, quelli provocherebbero persino Dio per motivi alquanto discutibili-

-Questa è vendetta- replicò Ethan, gettandosi lo zaino sulle spalle –la vendetta dei perdenti, la più insulsa. Non mi sta bene essere visto come un emarginato sociale solo perché quelli lì mettono in giro false voci. Se vogliono la guerra l’avranno: devono solo chiederlo-

-Non fare sciocchezze- lo avvertì Sam –quelli aspettano solo una buona occasione per farti espellere. Se cerchi lo scontro farai il loro gioco-

-Non mi farò certo avanti per primo. Neanche io tengo ad un’espulsione-

Ethan aprì la porta ed esaminò la palestra ormai deserta. Samuel gli teneva ancora la mano sulla spalla come se non volesse lasciarlo andare via, e lui si voltò a guardarlo.

-Me lo prometti, Ethan?-

Suo malgrado si ritrovò a sorridere. Sam sembrava ancora un bambino, quando si imbronciava e lottava con tutte le sue forze per evitare anche la più minima violenza. Samuel era troppo buono, Ethan lo pensava spesso, era di una bontà del tutto spontanea che veniva direttamente dal cuore. Era buono anche con chi non l’avrebbe meritato, ed era buono in un modo in cui lui non sarebbe mai stato.

E a quel tono, a quelle richieste Ethan non sapeva mai dire di no, per cui sorrideva sempre con aria di resa. Così fece anche quella volta.

-Sì, te lo prometto-

******

Ethan era appena tornato a casa dopo aver fatto un salto al locale dove sua madre lavorava. Ellen non sarebbe tornata presto quella sera: aveva accettato l’invito delle nuove colleghe ad uscire. Il ragazzo era contento che avesse trovato così presto delle persone con cui poter legare e svagarsi; quantomeno, a nessuno dei due era riuscito poi tanto difficile ambientarsi, nonostante i problemi iniziali.

Ethan aveva dunque appena aperto una lattina di coca cola con tutta l’intenzione di accendere la tv e trovare qualcosa di decente con cui ammazzare il tempo in attesa dell’ora di cena. Aprì la porta del salotto e cercò a tentoni l’interruttore; un attimo dopo la luce inondò la stanza.

-Salve, Ethan-

Il ragazzo si sentì soffocare e subito dopo iniziò a tossire a causa di una maledetta goccia andatagli di traverso. Era stata solo una frazione di secondo, ma aveva ben riconosciuto la figura comodamente stravaccata sul suo divano, nonostante fossero passati ormai molti anni.

Santa Claus era seduto nel suo salotto. Santa Claus era seduto nel suo salotto. Non poteva essere vero!

Mentre cercava di riprendere fiato qualcuno arrivò a picchiettargli le spalle.

-Oh cielo, tesoro, stai bene?-

Lui annuì e sollevò lo sguardo, incrociando due luminosi occhi color viola acceso. Tutto d’un tratto si rese conto che la figura davanti a lui era sollevata da terra di qualche centimetro e agitava delle ali iridescenti, e che tutto il suo corpo era ricoperto da una sorta di piumaggio color verde-azzurro.

A quel punto arretrò appena e finì con l’urtare e far cadere una pila di libri da un tavolino. Si trattenne dall’imprecare e chiuse per un attimo gli occhi.

“Calma, calma. È tutto normale: Babbo Natale è seduto sul tuo divano e una fata ti sta svolazzando davanti. Nulla di allarmante. No?”.

Posò la lattina piena su una mensola dato che le mani avevano iniziato a tremargli. Si era già reso abbastanza ridicolo, e non ci teneva a dover ripulire in caso di caduta accidentale del liquido zuccheroso.

Tornò a guardare in direzione del divano, e notò che la stanza era molto più affollata di quanto avesse presupposto: accanto a Santa Claus stava nientemeno che Sandman, che agitò con vivacità una mano paffuta nella sua direzione; appoggiato alla libreria stava come una sorta di bodyguard il Coniglio di Pasqua, che si rigirava tra le zampe un souvenir raffigurante il Big Ben; e infine, appollaiato sul suo bastone, Jack Frost lo scrutava con un mezzo sorriso dipinto sul viso candido.

Quello era un quadro alquanto singolare e persino Ethan, malgrado tutta la sua buona fede nelle favole e nelle Leggende, stentava a credere a ciò che stava vedendo.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma si rese conto di non sapere cosa. Tutto quello che riuscì ad articolare fu uno strano suono che, non era difficile capirlo, era una richiesta di spiegazioni.

-Che c’è? Non ti piacciono visite?-

Nord si alzò con le braccia spalancate, un sorriso a trentadue denti stampato in viso.

Ethan emise di nuovo quel verso, questa volta più flebile, poi si costrinse a cercare qualcosa di più sensato con cui controbattere.

-Hem, no. Cioè, sì, mi piacciono le visit-…-

-Perfetto! Vedete che abbiamo fatto bene a fare visita?-

Tutti gli altri occupanti della sala borbottarono qualcosa annuendo con aria di resa, mentre il ragazzo rimase sorpreso dall’entusiasmo mostrato da quell’omone grande e grosso. Era allegro e festoso come un bambino alla vigilia di Natale.

-Posso…- azzardò Ethan, cercando di darsi un contegno –posso sapere il motivo della visita?-

-Motivo di visita?- per un attimo Nord lo guardò perplesso, poi si diede una manata sulla fronte –Oh, motivo di visita! Certo, domanda legittima-

Jack saltò giù dal bastone atterrando senza il minimo rumore –Siamo qui per metterti in guardia: crediamo che tu possa essere in pericolo. E con te altri ragazzi, credo che tu ne conosca alcuni-

-Pericolo?- il ragazzo li guardò confuso –Che genere di pericolo?-

-Pitch Black- la Fata del Dentino si tormentava le mani in grembo –l’Uomo Nero. Crediamo che possa fare ritorno, che possa tentare di riportare il periodo dei Secoli Bui sfruttando la fragilità e la corruzione di quest’epoca. E, date le circostanze, potrebbe riuscire a farla franca-

-L’Uomo Nero?-

Ethan scosse la testa: non riusciva a trovare un senso a tutto quello. Stava forse sognando?

Un brivido freddo gli era corso lungo la schiena al nome di Pitch Black. Ricordava il timore di lui che aveva da bambino, e ricordava di come sua madre ispezionasse ogni anfratto buio della sua cameretta per convincerlo che l’Uomo Nero non si stesse nascondendo nell’oscurità in attesa di tormentarlo con i suoi incubi. Era possibile che i suoi timori stessero per diventare realtà? E lui, in caso tutto quello fosse stato reale, cosa mai avrebbe potuto fare?

Vide Babbo Natale annuire.

 –Uomo Nero- confermò –Uomo Nero vuole sfruttare paura e scetticismo di bambini per combattere tutti noi. Pitch vuole guerra a vuole al contempo agire nell’ombra per quanto possibile, come sempre ha fatto-

-Cioè non si schiera in prima persona? Ma è un codardo!-

Dal suo posto sul divano Sandy gli mostrò i pollici in su; sulla sua testa la sua sabbia dorata aveva disegnato un grande punto esclamativo.

-E’ una questione di numero- specificò il Coniglio di Pasqua –noi siamo in cinque, lui uno solo. Potrà avere anche i suoi Incubi al seguito, e potrà aver anche affinato la sua dote di suscitare la paura più terribile nell’animo umano. Ma parte in svantaggio, e questo lo sa bene. Per questo vuole ritardare lo scontro frontale, per quanto sia inevitabile-

-Un attimo, ferma- Ethan sollevò una mano come a chiedere una tregua. Quella situazione era quasi paradossale –ok, l’Uomo Nero vuole riportare il suo dominio di terrore e bisogna dargli una lezione. Ma io cosa c’entro in tutto questo?-

Che la notizia delle sue risse fosse arrivata persino al Polo Nord? E se anche fosse stato, certo i Guardiani non erano lì per chiedergli di far desistere l’Uomo Nero dai suoi intenti a suon di calci.

Nord fece un passo avanti –Tu hai conservato la tua fede, come ti avevo chiesto al nostro primo incontro. Tu sei per noi una speranza, e al contempo un pericolo per Black. Quanti più bambini continuano a credere in noi, tanto più il suo potere ne risente. Non sono rimasti molti ragazzi come te, e proprio per questo Pitch potrebbe tentare di nuocervi in modo diretto. Questa volta non rinuncerà facilmente alla sua battaglia-

-Insomma l’Uomo Nero vuole farmi fuori? State dicendo questo? Oh che fantastica notizia!-

Tutto quello era impossibile! Pitch Black gli stava dando la caccia in quel momento? Quanto tempo sarebbe passato prima che lo trovasse? E a quel punto lui cosa avrebbe potuto fare?

Ethan aveva troppe domande che gli premevano in testa tutte in una volta, e la cosa più brutta era forse che non era certo di volere una risposta.

-Non devi avere paura, Ethan- cercò di rincuorarlo Dentolina –siamo qui per aiutarti-

-No, non ho paura- affermò lui con decisione. Come poteva ormai avere paura dell’Uomo Nero? I suoi timori li aveva vinti da bambino –non ho paura-

L’aveva ripetuto guardando i Guardiani una a uno. Dei sorrisi di approvazione erano stati silenziose quanto incoraggianti risposte, ma c’era qualcos’altro che improvvisamente aveva messo Ethan sul chi vive.

-Ma allora anche Samuel è in pericolo?-

Le Leggende si scambiarono un’occhiata, infine Jack annuì.

-Samuel Jefferson e Octavia Blake sono a rischio almeno quanto te. Ci saranno altri ragazzi come voi, ma finora siamo riusciti a rintracciare solo voi tre per mettervi in guardia. Era importante che vi incontraste di persona, e vi abbiamo aiutato anche in questo. Adesso collaborare sarà più facile-

Non gli sembrava affatto facile, ma Ethan tenne quel commento per sé. Era meglio ragionarci sopra, magari insieme ai suoi nuovi amici. In quel momento era stanco dopo una lunga giornata, e decidere il da farsi in quelle condizioni sarebbe senza dubbio risultato impossibile. Così si limitò ad annuire.

Nord gli si avvicinò e gli porse qualcosa: sul palmo largo della sua mano brillava un fischietto d’argento.

-Per qualunque emergenza suona questo. Vi raggiungeremo il prima possibile-

Lui se lo rigirò tra le dita, ancora riflettendo sulla possibile guerra degli incubi che avrebbe potuto scatenarsi. Sollevò lo sguardo per ringraziare i Guardiani dell’aiuto che gli avevano offerto, ma la stanza era deserta.

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Salve a tutti!

Le cose iniziano a essere più chiare, e la “ciurma” si è presentata al completo xD

Ah! Quanto mi diverto a scrivere con l’accento rrussso di Nord! Spero di non esagerare x’)

Bè, adesso che i Guardiani sono arrivati… manca solo LUI *-* al prossimo capitolo con Pitchino mio bello tesoro-di-zia-Rory ^O^ sono in vena di cattiverie… il mio piccolo e malvagio cuoricino non avrà alcuna pietà! >: )

Come al solito vi ringrazio per seguirmi e per le splendide recensioni, siete dei grandi *-*

Alla prossima!

Rory_Chan

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Nightmares Are Back

6

 

Ethan ancora non riusciva a credere all’incontro con le Leggende che aveva avuto solo la sera prima. Una guerra contro l’Uomo Nero? Se qualcuno gliel’avesse raccontato non ci avrebbe creduto. L’ombra che da bambino aveva tanto temuto stava per diventare una minaccia reale, e quel che era peggio lui non sapeva come combatterla.

Quella notizia lo aveva messo in agitazione, e non vedeva l’ora di incontrare Sam per condividere con lui ciò che aveva appreso: doveva pur metterlo in guardia, e dovevano decidere come agire.

Un rumore di passi veloci sulla ghiaia lo distrasse: Samuel stava correndo verso di lui, le guance arrossate e il respiro condensato in nuvolette di vapore.

-Devo dirti una cosa!-

Entrambi parlarono nello stesso istante, e la loro sorpresa fu evidente. Sam saltellava sul posto, ma quello era dovuto all’impazienza più che al freddo, così Ethan gli concesse la parola per primo.

-Il Coniglio di Pasqua!- la sua voce era per metà soffocata dall’emozione –Nella mia camera!-

-Cosa?-

-Ma sì, il Coniglio di Pasqua!-

E gli raccontò di come la sera prima aveva appena spento la luce quando Mason, il suo collie, aveva iniziato ad agitarsi e ringhiare sommessamente. I suoi genitori erano fuori a cena, e dapprima Sam aveva pensato che qualcuno fosse entrato in casa. Aveva sempre temuto qualcosa del genere – ma questo non lo confessò – e l’unica cosa che fece dapprima fu solo rintanarsi sotto le coperte.

“Fifone, fifone che sono!”, pensava, e intanto cercava di raccogliere il coraggio necessario quantomeno a scoprire il viso e ispezionare la stanza. A dirla tutta Sam detestava il suo essere così timoroso, ma quello era un tratto del suo carattere che mai era riuscito a vincere. Quella timidezza e la paura di non essere all’altezza della situazione lo avevano sempre accompagnato, e non di rado erano state la causa di molti sogni e occasioni persi.

“Andiamo” cercava di convincersi “non ha senso stare qui sotto. Ecco, adesso esco. E poi… e poi che faccio, diamine?”.

Alla fine, dopo aver preso un gran sospiro, aveva appena scostato le coperte dal viso. Per quel che riusciva a vedere la stanza era deserta. Mason stava vicino alla porta, immobile e in ascolto, e annusava un punto sul pavimento come se non riuscisse a spiegarsi cosa stesse succedendo.

Sam si era fatto coraggio e si era messo a sedere, guardandosi intorno con cautela. Quanto detestava le ombre sulle pareti! Avevano sempre le forme più strane, sembravano lunghi spettri o visi aguzzi, e poi c’era quella strana ombra a forma di coniglio…

“Coniglio?” e in quello stesso istante Samuel aveva avvertito una presenza alle sue spalle. Aveva sospirato di nuovo, e non appena si era voltato aveva lanciato un grido tanto forte che Mason aveva iniziato ad abbaiare con furia, scagliandosi su quel qualcosa che stava alle spalle del suo padroncino.

-Hei, hei, toglimi questo coso di dosso!-

Ma Sam aveva prima dovuto rialzarsi dato che era scivolato già dal letto dopo essersi ingarbugliato tra le coperte. Aveva tentato di allontanare l’animale dalla figura che si era trovata incastrata in un angolo della stanza.

-Hei, buono bello! Su, da bravo!-

Solo dopo molta insistenza Mason aveva deciso che l’aggressione dell’individuo poteva terminare. Solo allora Sam aveva potuto sollevare lo sguardo, e decise sull’istante che quello non poteva essere che un sogno: come spiegare altrimenti la presenza di un coniglio alto quasi due metri in camera sua? Bè, forse non erano proprio due metri, ma in quel momento Sam si era sentito così piccolo e insignificante che tutta la stanza sembrava essere diventata la casa di un gigante.

Subito dopo il coniglio gli aveva sorriso, come se la situazione non fosse già di per sé inquietante.

-Salve. Perdona l’intrusione, non era previsto tutto quel trambusto. Accidenti, urli forte. Fai pratica, dì la verità-

Lui era riuscito a scuotere la testa, poi aveva cercato a tentoni gli occhiali sul comodino e li aveva messi con una certa frenesia, ansioso com’era di dare credito o meno all’idea strampalata che gli era appena venuta in mente. E aveva lanciato un altro urlo, questa volta di esultanza.

-Woah, non ci credo! Sei… sei davvero…!-

-Il Coniglio di Pasqua in carne, ossa, e coda pelosa. E smettila un po’ di agitarti, sembri un budino-

Sam aveva subito smesso di saltellare, ma non riusciva a trattenere la contentezza.

Il coniglio gli aveva detto una strana cosa, continuò a raccontare, ovvero che Pitch Black, ossia l’Uomo Nero, aveva tutta l’intenzione di scatenare una guerra e imporre una sorta di tirannia la cui vera essenza era il terrore e la sofferenza. E, cosa ancora più allarmante, che proprio lui, Samuel Thomas Jefferson, poteva avere un ruolo cruciale nella battaglia che si preparava.

E infine, ma non di certo di minor importanza, il coniglio gli aveva fatto i complimenti: nessuno riusciva a trovare le sue uova come lui, per quanto fossero nascoste bene. Quella era una dote da non sottovalutare. Dopodiché era sparito attraverso una galleria che aveva creato sul pavimento, e Mason aveva continuato ad abbaiare in direzione di quel punto per una buona mezz’ora, ma quello non era importante.

-Anche io ho visto il Coniglio di Pasqua!-

Disse Ethan, al colmo dello stupore. Dunque le Leggende avevano avvertito anche Sam e, chissà, avevano fatto visita anche ad Octavia. Doveva parlare anche con lei al più presto.

-Accidenti!-

-E ho rivisto Babbo Natale!-

-Dici sul serio?-

-E Jack Frost!-

-Maddai!-

-E Sandman!-

-Ma stai scherzando?-

-Certo che no, erano tutti nel mio salotto!-

A quel punto Sam gli lanciò un’occhiata che poteva voler simulare un’estrema sorpresa ma anche significare “Ti rendi conto di quello che stai dicendo?”-

Ethan alzò gli occhi a cielo –Dai, Sam, non guardarmi come se fossi matto!-

-Ok, scusa, solo… a me ha dato un fischietto-

E gli mostrò l’oggetto dopo averlo tirato fuori dalla tasca; Ethan fece lo stesso, e entrambi si guardarono senza dire una parola. Ethan aveva pensato di abituarsi all’idea con il passare del tempo, invece ogni minuto che trascorreva quella situazione gli sembrava sempre più paradossale. In più, l’idea di potersi trovare presto faccia a faccia con l’Uomo Nero non lo faceva certo saltare di gioia. Il ragazzo sospirò. Nulla gli veniva in aiuto per sbrogliare l’attuale situazione, e la discussione con Sam non produsse risultati concreti. Potevano solo attendere l’apparizione di quel famigerato Pitch Black e sperare di capire come combatterlo. Conoscere il tuo avversario è il primo passo verso la vittoria, quella frase era rimasta sempre impressa nel cuore di Ethan. La diceva spesso sua madre, ogni tanto gliela ripeteva ancora.

-Dovrò andare da Octavia- ragionò –e chiedere se anche a lei è arrivato qualche Guardiano in visita-

Ethan si sentiva responsabile nei riguardi di Octavia, Tavie, come aveva preso l’abitudine di chiamarla. Era ancora una bambina, e in quel momento giurò che avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla. E anche Sam. Avrebbe difeso entrambi, con qualsiasi mezzo.

Forse era quello il motivo per cui i Guardiani si erano rivolti a lui: tra di loro lui era il più grande, stava a lui il compito di proteggere gli amici.

L’occasione di parlare con la bambina gli si presentò quel pomeriggio, quando dopo la scuola entrò nel locale in cui Ellen lavorava. Octavia era lì, e le loro madri chiacchieravano davanti al bancone.

La bimba gli corse incontro con un gran sorriso, rischiando di fargli perdere l’equilibrio a causa dello slancio con il quale gli si era gettata addosso. Lui sorrise e le scompigliò i capelli.

Decise di cogliere l’occasione approfittando del fatto che gli adulti stavano discutendo e nessuno badava a loro. Prese un fazzoletto e pulì il mento della bambina, macchiato di quello che sembrava cioccolato, poi si chinò per arrivare alla sua altezza.

-Tavie, posso chiederti una cosa?-

Lei annuì prontamente. Ethan tentennò, indeciso su cosa dire: avrebbe dovuto raccontarle tutto, o solo porre una domanda indiretta?

-Ecco, mi chiedevo… tu le vedi le fate?-

Octavia lo guardò sorpresa –Perché chiedi questa cosa?-

-Perché…- Ethan si morse il labbro, stranamente imbarazzato –perché io le vedo. Questo è un segreto, e volevo condividerlo con te-

Lo disse perché lei potesse capire che aveva la sua fiducia. Octavia lo studiò per alcuni istanti, poi si guardò intorno come per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi. E poi annuì con un cenno sommesso. Ethan ebbe un tuffo al cuore.

-Ho visto la Fata del Dentino- gli confidò con un mezzo sorriso –era bella. Tu l’hai vista?-

Lui annuì cercando di mostrarsi calmo –Sì, l’ho vista anche io. E dimmi, quand’è che l’hai vista?-

-Ieri-

Dunque dopo, o forse prima di essere stati da lui, i Guardiani si erano divisi i compiti e avevano avvertito anche Sam e Octavia. Lei non sembrava spaventata, e il ragazzo si augurò che avesse ricevuto la notizia di una possibile guerra contro Black con il maggior tatto possibile.

-Mi ha dato un fischietto- continuò Octavia –ha detto che se dovesse succedere qualcosa di brutto lei verrà e mi aiuterà-

Ethan sorrise. Era chiaro il motivo per cui Dentolina era stata incaricata di dare la notizia alla bimba. Una presenza femminile avrebbe di certo aiutato molto di più.

-Anche a te ha dato un fischietto?-

-Sì, e ne ha dato uno anche a Sam-

Meglio non dilungare spiegandole che a lui il fischietto l’aveva dato Santa Claus, e che a lui era toccato fare la figura dell’imbranato davanti l’intero gruppo delle Leggende.

-Ha detto che un uomo cattivo ci sta cercando- Octavia lo guardava come in cerca di rassicurazione –è vero, Ethan?-

-E’ vero- che senso avrebbe avuto mentire? –hei, però non dobbiamo avere paura, adesso, fin quando resteremo uniti nessuno potrà fermarci. Sei d’accordo?-

La bambina annuì, ma non sembrava granché persuasa. Ethan vedeva che in tutti i modi Octavia si sforzava di sembrare allegra, una bimba spensierata come era giusto che fosse, e non poté fare a meno di ammirarla. Era forte, quella bambina, più di quanto dava a vedere.

****** 

I'm the fear that keeps you awake
I'm the shadows on the wall
I'm the monsters they become
I'm the nightmare in your skull
I'm a dagger in your back
An extra turn upon the rack
I'm the quivering of your heart
A stabbing pain, a sudden start

(…)

It gets so lonely being evil
What I'd do to see a smile
Even for a little while
And no one loves you when you're evil
I'm lying though my teeth!
Your tears are all the company I need

(Voltaire – When you’re Evil)

 

Octavia aveva riso fino a quel momento, quando la mamma l’aveva messa a letto. L’aveva abbracciata e le aveva dato il bacio della buonanotte, così come faceva ogni sera. Le sembrava che la mamma fosse davvero felice, quando riceveva il bacio della buonanotte, perché le sorrideva sempre. Era bella, la mamma, quando sorrideva, ma a Octavia sembrava di vedere una stanchezza sempre più grande nei suoi occhi. Però, quando le chiedeva cosa avesse, la mamma sorrideva e le diceva che andava tutto bene.

Forse lavorava troppo, era il pensiero della bambina. La vedeva di rado, ultimamente, e sempre più spesso stava a casa dei nonni perché, con il lavoro, la mamma era sempre fuori casa. Non era sempre stato così, ricordava Octavia. C’era stato un periodo in cui la mamma era felice, e uscivano spesso la sera, e andavano a vedere i negozi e le vetrine illuminate nel periodo di Natale e dipingevano insieme le uova di Pasqua. Ma quello era stato molto tempo prima, quando lei era ancora troppo piccola per capire cosa stesse succedendo, per capire il perché lei e la mamma adesso vivessero da sole e perché la mamma doveva lavorare tanto di più.

Adesso che era sola nel suo lettino e che la mamma era andata via, il sorriso abbandonò in fretta il viso della bambina. Octavia capiva che c’era qualcosa che non andava, ma non avrebbe saputo dire cosa, e non avrebbe saputo cosa fare per sistemare la situazione.

Era a quell’ora, nel buio e nella solitudine, che Octavia sentiva il viso bagnato, e che concedeva alle lacrime di scivolare via perché non riusciva più a trattenerle dopo intere giornate di preoccupazione che non si stancava mai di nascondere. La mamma voleva che lei fosse felice, e le diceva sempre di sorridere. Se solo avesse pianto davanti alla mamma lei avrebbe creduto che non fosse felice, e allora sarebbe stata triste anche lei.

Fu quando si sollevò appena per cercare un fazzoletto sul comodino che notò un movimento sul muro. Era un’ombra, ma era un’ombra strana. Sembrava più scura delle altre, e più densa, e si muoveva come se fosse viva. Octavia si asciugò alla meno peggio il viso con le mani e intanto continuava a scrutare la parete. Qualcosa si sollevò, come una persona che si alza in piedi, e da quel fitto buio uscì uno strano uomo vestito di nero, la pelle cinerea e uno strano sorriso sul viso affilato. L’unico tocco di colore erano i suoi occhi: erano dorati, e splendevano di una strana luce.

-Ciao, piccola-

Fece per accarezzarla, ma lei si scostò. Non sembrava intimorita, solo curiosa della novità di quello strano uomo uscito dall’ombra sul muro. Sapeva che alcuni maghi riuscivano a fare quella cosa, ovvero apparire dal nulla o nascondersi nei posti più impensabili. I maghi, o i fantasmi.

-Sei un fantasma?-

Chiese dunque Octavia, osservandolo con attenzione. Non sembrava trasparente. Non poteva essere un fantasma, in fondo.

L’uomo fece una breve risata –Sono qualcosa del genere. Sono uno spirito-

-Gli spiriti sono maligni. Tu sei uno spirito maligno?-

-Oh ma certo che no!- lo disse con tono scandalizzato –Certo, tutto dipende dalle circostanze. Sono cattivo con chi se lo merita… ma so anche essere buono, sai piccola? Sono buono con chi è buono con me-

-Questo mi sembra giusto-

-Ah, ma tu piangi- le sue lunghe dita afferrarono un tovagliolo ricamato da sopra un mobile e glielo porsero –sei così giovane, hai forse già motivo di piangere?-

Octavia accettò il fazzoletto dopo un attimo di incertezza. Aveva abbassato lo sguardo –Sono triste-

-Perché sei triste?-

-Non lo so se posso dirtelo- la bambina si soffiò il naso –non so chi sei-

-Sono qualcuno che può ascoltarti, se lo vuoi-

L’uomo sedette sul bordo del letto in un gesto di estrema confidenza. Aveva utilizzato un tono gentile, e quasi mai i grandi utilizzavano un tono gentile, e non volevano mai ascoltare i problemi dei bambini perché, dicevano, i bambini non avevano problemi: erano sempre così allegri e pieni di vita, cosa mai avrebbe potuto turbarli?

Octavia stava riflettendo. Mai con nessuno aveva potuto parlare delle sue paure, e quando ci provava tutti tagliavano corto con un “vedrai che tutto si risolverà”. Ma non specificavano mai quando tutto si sarebbe risolto. Poteva essere domani, o tra due anni. E nel frattempo tutto rimaneva com’era, e nessuno l’ascoltava.

-Io… penso che anche la mia mamma sia triste- disse alla fine in un sussurro –e penso che sia anche stanca. Prima non era così. Prima restava a casa con me, e aveva sempre il tempo per giocare o leggere le favole. Poi papà se n’è andato. Non mi piaceva papà negli ultimi tempi. Gridava sempre, e faceva sempre il nome di un’altra signora che non era la mamma. Poi è andato via, e io e mamma siamo rimaste sole. E da allora la mamma lavora di più, e non può più leggere le favole con me perché è stanca. E triste. Io lo vedo che è triste, ma quando è con me prova a essere felice. E io faccio lo stesso-

L’uomo l’aveva ascoltata, e ora sembrava pensare. Lei lo guardava, ancora chiedendosi come avesse fatto a trovarsi nella sua stanza. Però fino ad allora era stato buono sul serio, perché lei si era fidata di lui e gli aveva raccontato la sua storia.

Non bisogna pensare che Octavia fosse una sprovveduta e che avesse sottovalutato l’ammonimento dei Guardiani. Una bimba come lei che si trova ad affrontare il mondo e le avversità della vita sempre con il sorriso e la disponibilità ad aiutare gli altri e si ritrova da sola quando anche lei avrebbe bisogno di un sostegno prova a sopravvivere come può. E quando un bambino solo trova qualcuno con cui parlare e disposto ad ascoltarlo sul serio allora è come se avesse trovato un tesoro prezioso. Si sa come sono i bambini: non pensano mai al male, e pensano che tutti siano amici di tutti e che tutti siano loro amici. Dunque Octavia non aveva pensato che quell’uomo potesse essere l’uomo dal quale i Guardiani volevano proteggerla, e non aveva pensato che potesse essere cattivo o che potesse volere il suo male.

Dal canto suo, Pitch Black aveva elaborato una propria strategia che voleva attuare al più presto. Aveva deciso che gli ostacoli più grandi, fino a quel momento, erano i due ragazzi. A loro avrebbe pensato in seguito. Della bambina, invece, non aveva alcun timore. I bambini, si sa, sono più persuadibili, e basta mostrarsi gentili con loro per ottenerne la fiducia, così come stava avvenendo in quel momento. Se in seguito si fosse mostrata un problema avrebbe preso gli adeguati provvedimenti. Intanto, gli bastava che quel piccolo intralcio venisse reso inoffensivo.

-Anche tu sei triste?-

Gli chiese la bimba. Lo guardava con attenzione, gli occhioni scuri scrutavano con attenzione i suoi.

-No, non sono triste-

-Secondo me non è vero-

-Credi che io sia triste?-

-Lo vedo-

Pitch si fece attento, e la scrutò con maggiore attenzione. Cosa voleva significare quello?

-Dai tuoi occhi-

Specificò la bambina come se non si capacitasse di come lui facesse a non capirlo da solo. Era vero, aveva visto un’infinita tristezza in quell’oro, e qualcosa di più. Frustrazione, e una rabbia molto antica. Se la tristezza fosse causa della rabbia o viceversa non avrebbe saputo dirlo, ma Octavia era certa di quel che aveva visto. Era brava a capire le persone, le diceva la mamma.

L’uomo si era alzato con uno scatto improvviso, e adesso camminava avanti e indietro nella cameretta con le mani giunte dietro la schiena.

-Sono stato solo così a lungo…- la sua voce era stata un sussurro malinconico –nessuno vuole ascoltarmi o avermi accanto a sé. Mi hanno sempre scacciato, e ho vissuto così tanto tempo nell’ombra da diventare un tutt’uno con essa. È così brutto essere soli. Lo capisci?-

Naturalmente sapeva che la bambina lo capiva benissimo. Per quella parte non aveva dovuto recitare poi tanto. Aveva vissuto secoli e secoli nell’oscurità, in un limbo perenne tra la vita e la morte, adesso temuto e rivestito di gloria, e l’attimo dopo di nuovo in ginocchio nelle catene dell’indifferenza. La sua frustrazione era stata solo in parte simulata.

Infatti Octavia annuì, e nei suoi occhi c’era traccia di una compassione autentica.

-Nessuno merita di essere solo-

E lo guardava mentre lui annuiva per darle ragione. Era strano quell’uomo, pensava Octavia, ma era pur vero che non bisognava giudicare qualcuno solo dall’aspetto. Erano soli entrambi, ognuno in modo diverso e per motivi differenti. Due persone sole, comunque, potevano pur sempre tentare di farsi forza a vicenda.

Allora Octavia non poteva sapere quanto la sua fiducia sarebbe stata malriposta, ma pensava solo a ciò che aveva appena detto. In fondo nessuno, anche il più cattivo degli uomini, poteva essere lasciato solo. E cercò di rimediare alla situazione come quasi tutti i bambini avrebbero potuto fare.

-Ti va di essere mio amico?-

Nella penombra della stanza, l’uomo sorrise. Era un sorriso di vittoria, ma quello Octavia non poteva capirlo.

-Sì… sì, mi va di essere tuo amico-

******

Ethan si svegliò di soprassalto e scattò a sedere sul letto. Sentiva che qualcosa non andava, aveva una strana sensazione sconosciuta fino a quel momento. Si sentiva esposto ad un pericolo non identificato, un’atmosfera opprimente aleggiava nella stanza. Avvertiva una presenza tutt’intorno che sembrava provenire da una e nessuna parte, e per la prima volta dopo molto tempo imprecò contro la scarsa illuminazione notturna.

Quella cosa sembrava provenire dalle sue spalle, come se dietro di lui si fosse concentrato un potente campo di energia negativa al quale nulla poteva sfuggire, che sarebbe stato capace di inghiottire fino all’ultimo residuo di vita.

Il ragazzo si voltò con un gesto deciso: alle sue spalle una figura in abito nero troneggiava su di lui, lo guardava con un malcelato odio dall’alto della sua statura. A Ethan non ci fu bisogno di riflettere più di tanto per comprendere la situazione.

L’Uomo Nero sogghignò –Sapevi che sarei venuto?-

Lui si alzò senza rispondere. Lo guardava con aria di sfida, e Pitch non seppe stabilire se quello fosse un punto a suo favore o meno. Da un lato gli piaceva avere un avversario alla sua altezza; dall’altra aveva sempre provato un odio ingiustificato verso quel ragazzino, verso quella fede ferrea che gli leggeva nello sguardo e verso le favole con cui sua madre lo aiutava a fronteggiare le avversità della vita.

-Credo di averlo sempre saputo. Solo non sapevo quando-

-Già- Pitch sorrise e fece qualche passo nella stanza –ricordi come mi temevi da bambino? Avevi una paura folle di me. Ma queste…-

Si fermò davanti la libreria e passò un lungo dito sulle costole dei libri, sulle copertine colorate e le scritte a caratteri fantasiosi che riportavano i titoli di quelle storie. Quanto li aveva odiati. Con quelli non c’era stato più posto per lui. Con quelli Ethan aveva combattuto contro lui e la sua paura, fingendo di essere sempre l’impavido cavaliere valoroso che avrebbe sconfitto il male del mondo.

-Queste ti hanno aiutato. Sono solo favole, ragazzo. Sono racconti nati dalla mente malata di fantasia di altre persone come te-

-Però ti fanno rabbia-

Aggiunse Ethan, seguendolo con lo sguardo mentre l’Uomo Nero si aggirava per la stanza. Pitch Black aveva stretto i pugni, colpito nel segno. Aveva incassato il colpo in silenzio, ma un’ombra di disgusto era ben visibile sul suo viso.

-Sai della guerra che si sta preparando?-

Non c’era certo bisogno di chiederglielo –So della guerra. Cosa vuoi da me?-

Un sorriso sbieco incurvò le labbra dell’Uomo Nero –Vai dunque dritto al punto. Ebbene, sono qui per proporti un’alleanza-

-Un’alleanza… con te? Devi essere matto-

-Non rifiutare a priori le mie promesse, ragazzino. Sai anche tu che è una guerra persa, e lo sanno anche i tuoi Guardiani. Sono talmente disperati da arrivare a chiedere ai ragazzi di continuare a credere in loro, arrivano a elemosinare la vostra fede senza garantirvi una protezione concreta. Stanno diventando sempre più deboli, ogni bambino che abbandona presto il sentiero delle favole è un duro colpo per loro. Ma è un vantaggio per me. Tu non sei un perdente, ragazzo, devo dire di ammirarti per questo. Vuoi dunque continuare a lottare per la causa della giustizia perduta, o vedere il sorgere di una nuova era di gloria e terrore? Non sempre il male nasce per fare del male. La gente chiama male ciò che va contro la vostra cosiddetta civiltà. Ormai il vostro ordine è sovvertito, la gente uccide credendo di fare del bene, e causa dolore allo scopo di riportare la pace. Credi che questa realtà sia ciò per cui combattere? Io intendo portare un nuovo equilibrio: nessuna regola, nessuna disuguaglianza. Creerò un nuovo impero in cui tutto rispetterà un preciso ordine, e la paura sarà l’unica legge. Gli uomini sono tutti uguali di fronte la paura. Tremano, piangono e cedono alla realtà. Nessuna illusione, nel mio mondo. Nessuna promessa di pace per un mondo che ha dimenticato come mantenere la pace. Solo la dura, crudele realtà-

Ethan lo guardava sconvolto. Per Pitch Black quello era gloria? A lui sembrava più uno scenario da Apocalisse. Non avrebbe voluto vivere in un mondo del genere neanche per un solo istante. I sogni erano l’unica cosa che potevano dare all’uomo una parvenza di libertà. Se nessuno fosse più stato disposto a lottare per i propri sogni, cosa ne sarebbe stato della libertà?

-Prima lo credevo soltanto, adesso ho la certezza che tu sia un folle. Ne ho avuto la prova per ben due volte: la prima è il tuo piano. La seconda è il fatto che tu mi abbia chiesto di aiutarti a realizzare questo piano. Credi di sapere tutto di noi umani, vero? Bene, se così fosse stato allora non mi avresti mai proposto nulla del genere-

Adesso sì che l’Uomo Nero lo guardava con astio, gli occhi d’oro erano due fiamme nell’oscurità della stanza.

-Ti ho offerto la possibilità di essere vincitore. Se non accetterai questa possibilità e preferirai cadere insieme ai tuoi idoli allora il folle sarai tu-

-Io non cadrò- ribatté il ragazzo con decisione –e neanche i Guardiani cederanno. Fin quando ci saremo noi, fin quando anche uno solo di noi continuerà a credere in loro, loro ci saranno sempre, e ti combatteranno fino alla fine. Fino alla tua fine-

-Tu sei solo un ragazzino sfrontato ed arrogante. Come puoi pensare di poter contrastare la paura? Sai una cosa, io ti ho sempre detestato per quella luce che sembri portare dentro di te. Gli altri ragazzini, oh sì, quelli mi creano non poco fastidio. Ma tu, Ethan, tu mi fai impazzire. Tu mi hai sempre combattuto senza saperlo, quando la notte scacciavi i mei incubi con la forza di quella tua luce. Non posso quasi guardarti. Mi brucia. Mi ha bruciato sin da quando eri nient’altro che un moccioso sbavante in culla-

A Ethan scappò un sorriso –Dunque è una lotta contro di me? Non ho paura, non di te-

Pitch rise forte, e malgrado quello che aveva appena detto Ethan si sentì rabbrividire a quel suono agghiacciante che parve risuonare nel silenzio della casa e venire amplificato in un’eco infinita dalle pareti di quella stanza.

-Tu non sai ancora cos’è la paura, ragazzo. Ma se intendi essermi nemico, allora lo scoprirai presto-

In un lampo gli si avvicinò, Ethan si sentì appena sfiorare il petto all’altezza del cuore e si sentì mancare il respiro mentre un improvviso terrore lo invase; fu come precipitare in un oscuro baratro senza fondo in cui nessuno può sentire le tue urla, e dove sai già che nessuno verrà mai a salvarti. Il ragazzo si ritrovò in ginocchio, una mano stretta al petto, e attorno a lui vorticava un denso fumo nero man mano che l’Uomo Nero procedeva con la sua uscita di scena.

-Sogni d’oro, Ethan-

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

Quanto è filosofico il mio Pitch *-*

Hem, buongiorno, deliri fangirlanti, sorry. Però comprendiamolo, su: non ha tutti i torti! (sempre perché la mia è una mente bacata, e sempre perché mi ritrovo a fare crossover con robe che non c’entrano una mazza l’una con l’altra, direi di mettere in coppia Pitch e Ultron degli Avengers. Allora sì che saremmo a posto!).

Comunque, ve l’avevo preannunciato: il mio piccolo e malvagio cuoricino non ha avuto pietà. Né per Octavia (è tanto divertente prendere in giro i bambini, datemene atto. Dite che sono cattiva come Pitch?), né per Ethan, sempre per la mia filosofia: “che bello, sei il mio nuovo protagonista! Sappi che soffrirai immensamente e se hai amici/parenti/innamorati vedrò di farli fuori in qualche modo”.

Spero di aver dato una buona interpretazione di Octavia per quanto riguarda la difficile situazione familiare, ho cercato di renderla una via di mezzo: non volevo che avesse capito proprio tutto altrimenti sarebbe stata un geniaccio, e neanche che non avesse capito nulla, altrimenti sarebbe stata una totale deficiente. Quindi, bè, ho tentato di farle spiegare la storia della sua famiglia in modo non troppo dettagliato.

Poooi, applauso ai lettori/recensori: come alcuni di voi avevano supposto Pitch avrebbe di gran lunga preferito un’alleanza, ma visto che non è stato possibile è sempre meglio ricorrere alla soppressione/tortura degli oppositori. Cosa che sa vagamente di nazismo. Di certo Pitch e il signore con i baffetti sarebbero andati d’accordo… o forse è più probabile che fosse Hitler a tormentare Black e lui a dover fuggire dalle sue manie di onnipotenza. Ok, mi sembra di vedere le vostre facce da “smettila di denigrare le personalità storiche”, quindi credo sia meglio dare un taglio ai mie filmetti mentali idioti xD

Ultima cosa, come vi avevo detto Pitch=Voltaire anche qui, almeno diamogli il beneficio di avere la colonna sonora.

Grazie come sempre per seguirmi, fatevi sentire popolo!

Alla prossima,

Rory_Chan

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Capitolo 7
*** 7 ***


Nightmares Are Back

7

 

La luce del sole già inondava la stanza quando Ethan aprì gli occhi la mattina seguente. Il solo sollevarsi a sedere gli parve uno sforzo enorme, e anche riordinare le idee si mostrava un’impresa non da poco. Poi, tutto d’un tratto, gli ritornò alla mente l’odiosa voce di Pitch Black, la sua proposta di aiutarlo a riportare in vita i Secoli Bui e il secco rifiuto che era seguito da parte sua. Dopo ricordava qualcosa come una lotta sfiancante e un terrore del tutto ingiustificato, e buio, un buio come mai ne aveva visto, tanto fitto da sembrare denso e carico di angosce e paure nascoste. Era riuscito a trascinarsi sul letto e gli era sembrato di aver dormito cent’anni da allora. Eppure era ancora stanco.

Black. La scorsa notte l’Uomo Nero gli aveva fatto qualcosa, e lui ancora non riusciva a capire cosa fosse successo.

Si sporse dal letto e aprì un cassetto del comodino, lì dove sapeva di aver riposto il fischietto che Nord gli aveva dato. L’argento brillò tra le sue dita non appena fu illuminato dal sole. Doveva chiamare i Guardiani. Gli avevano detto di usare quello in caso di necessità, e quella era senza dubbio una necessità. Stava dunque per portarsi l’oggetto alle labbra quando la voce di sua madre, fuori dalla porta, lo convinse a rimandare il tutto. Fece appena in tempo a chiudere il cassetto quando Ellen si affacciò alla porta e gli diede il buongiorno.

Lei sorrideva. Sembrava tutto così normale. Ethan stentava a credere che solo poche ore prima avesse avuto un confronto con l’Uomo Nero.

-E’ tardi-

Riuscì a dire, rendendosi conto solo dopo aver parlato di quanto suonasse patetica e superficiale quella constatazione.

-Non sono riuscita a svegliarti, stamattina- il sorriso di complicità di Ellen era del tutto fuori luogo con la realtà che Ethan conosceva bene –sei rimasto di nuovo a leggere fino a tardi, vero?-

Lui annuì non molto convinto, ma quella avrebbe potuto essere una buona scusa. Non aveva neanche sentito la madre chiamarlo, e tutt’ora gli sembrava di vivere in una specie di sogno. Doveva scoprire cosa gli stava succedendo.

La donna lo guardava impensierita, il capo inclinato a sinistra, alcune ciocche corvine sparse sulla spalla.

-Sei pallido, Ethan. Sicuro di stare bene?-

Il ragazzo fu tentato di annuire di nuovo, ma alla fine scosse la testa. Non avrebbe potuto spiegare altrimenti quell’improvvisa debolezza, e quella non era certo la prima volta che simulava un’influenza.

Ellen gli poggiò il dorso della mano sulla fronte –Non sembra febbre. Resta qui, ti porto qualcosa di caldo-

Non appena uscì dalla stanza Ethan si precipitò ad aprire un’anta dell’armadio, alla quale era fissato uno specchio. Sollevò la maglietta del pigiama e si osservò con attenzione il petto: non aveva alcun segno, neanche un minimo rossore che potesse effettivamente indicare il tocco dell’Uomo Nero.

Sospirò e si lasciò di nuovo cadere sul letto. Avrebbe voluto che Sam fosse lì. Insieme avrebbero potuto indagare sul mistero, e poi Sam avrebbe buttato giù una battuta e sarebbe riuscito a farlo ridere. Avrebbero dovuto incontrarsi a scuola e invece per vederlo avrebbe dovuto aspettare il pomeriggio, e il pomeriggio gli sembrava così lontano. Ethan si preparò ad una snervante attesa. Quella mattina il tempo sembrava non passare mai, le lancette sugli orologi sembravano immobili e Ethan avrebbe potuto giurare che delle facce maligne sui quadranti gli rivolgessero beffarde linguacce visibili soltanto a lui.

A metà mattina era già stufo di aspettare, così decise di prendere un libro e ammazzare il tempo leggendo; il tempo volava sempre quando leggeva. Allungò dunque una mano verso una delle mensole e prese un volume a caso: ormai conosceva quelle storie quasi a memoria, eppure non se ne stancava mai. A volte passava pomeriggi interi a risistemare i libri: adesso in ordine alfabetico, adesso in base alla gradazione di colore o ancora li suddivideva per genere, ma visto che la maggior parte raccontavano tutti di mondi fantastici il compito era alquanto arduo.

Il libro che aveva scelto era color verde bosco, e sulla copertina c’era l’immagine di un principe che teneva per le redini un magnifico cavallo bianco e tendeva una mano verso una fanciulla affacciata all’alta finestra di un castello. Era una raccolta di favole e leggende provenienti da varie parti del mondo, con illustrazioni professionali ad accompagnare la narrazione. Non c’è bisogno di specificare che fosse uno dei suoi preferiti.

Per qualche minuto a sfogliò le pagine con pigrizia, a osservare quei disegni che aveva sempre trovato affascinanti. Rimase a guardare il viso sorridente di Freya, la dea dell’Amore nella mitologia nordica, con una strana sensazione. Aggrottò le sopracciglia scorrendo le righe e le pagine, e un senso di ansia opprimente gli premette nel petto. Sentiva quelle storie lontane, avvertiva il brivido che erano sempre riuscite a dargli come qualcosa di distaccato e ormai monotono.

Ethan chiuse il libro con uno scatto secco, il respiro tutto d’un tratto pesante. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena e per la prima volta dopo molti anni si sentì cadere nella morsa fredda della paura.

“Sai una cosa, io ti ho sempre detestato per quella luce che sembri portare dentro di te” – quelle erano state le parole che Pitch Black gli aveva rivolto solo la notte precedente – “Tu mi hai sempre combattuto senza saperlo, quando la notte scacciavi i mei incubi con la forza di quella tua luce. Non posso quasi guardarti. Mi brucia. Mi ha bruciato sin da quando eri nient’altro che un moccioso sbavante in culla”.

La sua luce, la sua fantasia. Era quella che Black aveva sempre odiato e, chissà, forse persino temuto. Era quella che l’Uomo Nero voleva cancellare, era quella il suo ostacolo verso la realizzazione del piano per distruggere i Guardiani.

E ora… che fosse riuscito a danneggiarla in qualche modo? Che fosse riuscito a indebolirla o, peggio, estinguerla del tutto?

“No, ti prego, no”.

Ethan si alzò e si avvicinò alla finestra. Il cielo era grigio, grosse nuvole color metallo stavano immobili in cielo. Tutto era quasi del tutto spoglio, e tutto d’un tratto quella stagione non aveva più nulla di incantevole: era morte, era tutto deserto e inospitale, e un freddo impietoso si abbatteva sulla città.

Mancava poco all’uscita di scuola. Ethan aveva deciso di chiamare i Guardiani non appena Sam fosse andato da lui: di certo sarebbe stato più facile persuadere Ellen che stesse davvero parlando con qualcuno; non osava immaginare come avrebbe reagito sua madre se, entrata nella sua stanza, lo avesse visto parlare in apparenza da solo.

Quel pomeriggio sembrò arrivare dopo un’infinità di tempo sterile, e il suono del campanello di casa fu quasi una benedizione. Mai Ethan era stato felice di vedere Sam come in quel momento.

-Ti ho aspettato, oggi- gli disse il ragazzino quando furono soli in camera –mi hai fatto stare in pensiero, credevo ti avessero sospeso di nuovo. Che è successo?-

Ethan non sapeva da dove cominciare, né come fare per non allarmare troppo l’amico. Samuel sapeva essere critico, in quelle situazioni, una notizia data senza il maggior tatto possibile poteva scatenare una preoccupazione morbosa.

-Pitch Black-

Disse infine, non sapendo come raggirare il problema principale.

Sam sgranò gli occhi –Pitch Black…? Lo hai visto?-

Lui annuì, e riferì dell’incontro avuto con l’Uomo Nero. Come aveva previsto Sam iniziò ad agitarsi; si mordeva nervosamente un angolo del pollice, come sempre faceva quando qualcosa lo impensieriva, e al contempo lanciava occhiate furtive al petto di Ethan quasi potesse vedere le ombre di Black agitarglisi dentro.

-Dobbiamo avvertire i Guardiani-

Suggerì poi, estraendo il fischietto dalla tasca. Ci soffiò dentro, ma nessun suono uscì dal piccolo strumento. I ragazzi si guardarono perplessi, poi Ethan provò a sua volta con gli stessi identici risultati.

-Forse non fun-…-

Sam venne interrotto da un’improvvisa raffica di vento che spalancò la finestra: Jack Frost atterrò con una capriola sul letto, portando con sé un turbine di fiocchi di neve. Nonostante la teatrale entrata in scena non sembrava affatto divertito o spensierato.

-Avete chiamato?-

Entrambi annuirono, e Ethan dovette di nuovo spiegare della proposta ricevuta da Black e delle conseguenze al suo rifiuto.

-Ti ha proposto un’alleanza?- Jack era sorpreso quanto loro, o almeno questo era quello che gli amici dedussero dai suoi occhi di ghiaccio spalancati dall’incredulità –Ethan?-

Lui strizzò gli occhi come a voler migliorare in qualche modo la propria visuale. Concentrarsi sul giovane Guardiano sembrava essergli di una difficoltà estrema. I suoi contorni sembravano sfocati, come una foto riuscita male.

Ethan si ritrasse e chiuse gli occhi, sperando che quello fosse nient’altro che un problema temporaneo. Doveva essere un problema temporaneo. Era di certo dovuto alla stanchezza, pensò, tutta la stanchezza che aveva addosso gli aveva semplicemente causato un momentaneo calo delle facoltà visive. Tutto qui. Tutto normale, niente di cui allarmarsi. Rincuorato, riaprì gli occhi e si voltò a guardare Sam: era tutto normale. Ma quando tornò a concentrarsi su Jack il problema si ripresentò, reale e terribile. Era come guardare un fantasma. Un’ombra destinata a svanire.

Jack era allerta, il suo viso tradiva una preoccupazione crescente.

-Ethan?-

-Io…- il ragazzo guardò la Leggenda, poi Sam. Si sentiva in trappola. Si sentì scivolare di nuovo nell’abisso senza fondo della paura –io… non riesco più a vederti chiaramente-

Detto in quel modo sembrava addirittura più allarmante. Ethan chinò lo sguardo come se si vergognasse e sentì gli occhi riempirsi di lacrime, cosa che non presagiva nulla di buono. Non piangeva da anni, ormai. Non aveva più versato una lacrima da quando era un bambinetto delle scuole elementari, e di certo non avrebbe dato a Pitch Black l’onore di avere le sue lacrime come sigillo alla sua vittoria. Era certo che Pitch volesse quello, almeno in parte. Voleva il suo dolore, e voleva umiliarlo privandolo della cosa che gli era più cara al mondo: la sua immaginazione, la capacità di vedere oltre la triste realtà della vita, la capacità di poter lottare contro di lui attraverso i suoi sogni.

Sarebbe stata dura, ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Per cui Ethan strinse i pugni e ricacciò indietro le lacrime, deciso a non lasciarsi abbattere così presto. Non sapeva come ma era certo che, in un modo o nell’altro, Pitch lo stesse osservando persino in quel momento. Non avrebbe visto la sua disperazione, né quanto la sua oscurità lo aveva provato. Sollevò il capo e guardò Jack, e non gli importava di quanto fosse sbiadita la sua figura: lo vedeva ancora, e credeva ancora in lui. Fin quando la sua fede fosse rimasta salda nulla avrebbe potuto costringerlo alla resa.

-Stiamo cercando il nascondiglio di Black-  li informò il Guardiano –lo troveremo, e anche presto. E allora combatteremo la sua guerra-

-E vinceremo- aggiunse Sam, con uno spirito battagliero che mai prima di allora aveva mostrato –perché combatteremo anche noi, vero Ethan?-

Lui annuì anche se sembrava per la prima volta spaventato all’idea di una lotta. Jack gli si avvicinò.

-Lo troveremo- ripeté, e nel suo sguardo non avrebbe potuto esservi traccia di determinazione più profonda –lo troveremo prima che possa farvi ancora del male. È una promessa-

E detto questo allungò un braccio per tentare di consolarlo. La sua mano affondò appena nella spalla del ragazzo.

******

Era stato strano ritornare a scuola e fare come se tutto fosse perfettamente normale. Ormai erano passati tre giorni dalla visita di Jack Frost in camera di Ethan, e benché ogni tanto lui e Nord si facessero trovare in camera del ragazzo non riuscivano a consolarlo come avrebbero voluto. Dal canto suo, Ethan si sentiva abbattuto come mai prima di allora: era stato una delusione, si ritrovava a pensare, una delusione per i Guardiani e per sé stesso. Non riusciva a credere di essersi lasciato colpire così facilmente, non poteva credere di aver davvero dato all’Uomo Nero l’occasione di metterlo fuori gioco in modo tanto semplice. Le Leggende contavano su di lui, e lui li aveva delusi ancora prima che la vera battaglia avesse luogo.

Per quanto riguardava Black, non c’era traccia di lui e le loro ricerche erano ad un punto morto. Sembrava che, almeno per il momento, fosse deciso a non avanzare oltre o che, probabilmente, stesse architettando chissà quale altro tiro mancino diretto ai ragazzi.

Ethan pensava tutto quello mentre camminava con Sam nei corridoi affollati della scuola. Non faceva caso alla marea di studenti che a volte li spintonavano nel tentativo di passare loro davanti. Tutti gli sembravano visi anonimi, e tutte le voci gli sembravano uguali, e le loro parole non avevano senso.

Sam faceva scivolare una mano sulla sua, e quello gli bastava per rinfrancarsi. Era un gesto che faceva spesso, e con il quale sembrava volergli infondere speranza. Tutti li guardavano camminare fianco a fianco, si voltavano a guardarli e guardavano le loro mani unite, le dita intrecciate, ma a nessuno dei due importava di ciò che tutta quella gente poteva pensare. Samuel sapeva bene quanto avere qualcuno accanto fosse importante, soprattutto nei momenti difficili, quando credi di non farcela e quando tutto il mondo sembra contro di te. Nonostante fosse il più piccolo dei due, nel momento in cui prendeva per mano Ethan si sentiva forte, pronto ad affrontare mille sfide. Ethan sapeva dargli quella sicurezza che aveva sempre cercato, e sapeva dargli una forza che mai avrebbe creduto di poter possedere. Doveva essere forte, in quel momento, doveva esserlo per sé stesso e soprattutto per Ethan, perché sentiva che lui ne aveva bisogno.

Stavano dunque camminando lungo un corridoio secondario e poco frequentato quando vennero interrotti da uno strano canticchiare: su una rampa di scale che portava al piano superiore stava rannicchiata una ragazza. Era alta e magra, e aveva capelli neri raccolti in una trasandata coda di cavallo mezza sfatta. I suoi occhi erano così scuri che era impossibile distinguere la pupilla dall’iride e guardavano in un punto lontano, come se scrutassero una dimensione sconosciuta al resto del mondo.

Ethan si era fermato nel sentire la sua strana canzone.

-L’hai sentita?-

-Ethan, andiamo via- Sam lo strattonò -non è saggio farsi vedere con lei-

-Perché? Chi è lei?-

-Nicole- rispose lui, quasi fosse una cosa ovvia –la chiamano Nicole la Pazza. È abbastanza inquietante, dicono. Canta sempre strane canzoni e dice cose strane. Parla di streghe e demoni, e dicono che il suo banco sia disseminato di disegni di crocifissi e vampiri. Dicono che, se solo fosse nata ai tempi dell’Inquisizione, l’avrebbero condannata per stregoneria-

-E tu credi a queste cose?-

Ethan ancora guardava la figura sulle scale. Era vestita di nero dalla testa ai piedi: dava l’impressione di un grosso corvo appollaiato sugli scalini di un cimitero. Muoveva la testa a ritmo di quella melodia che lo aveva convinto a fermarsi.

-Hei, dove vai?!-

Sam lo rincorse mentre lui si avvicinò alla ragazza –Che cosa hai detto?-

Lei sollevò lo sguardo su di loro e li osservò in silenzio. Sam aveva preso a mordicchiarsi il pollice, e tirava Ethan per la giacca per fargli capire di filare via di corsa.

-La canzone- specificò Ethan –cosa diceva quella canzone?-

Nicole rivolse ai due ragazzi un sorriso vago e ridacchiò –Gli incubi son tornati-

Ethan guardò l’amico: Samuel era impallidito. Sembrava avere tutta l’intenzione di voltarsi e scappare via.

-Gli incubi?-

-I Secoli Bui- riprese la ragazza –lui vuole riportarli in vita. Vuole distruggerci perché abbiamo distrutto l’ordine. Chi toglie la vita non merita la vita, e chi non merita la vita merita le sofferenze che infligge al suo prossimo. Vuole essere lui a comandare la distribuzione di quelle sofferenze. Vuole essere il padrone della paura di questo tempo-

I ragazzi si guardarono. Persino Ethan doveva convenire sul fatto che quella tipa fosse spaventosa: parlava con loro ma non li guardava: fissava un punto imprecisato poco sopra le loro spalle.

-Stai parlando di Pitch Black?-

-Dobbiamo stare attenti agli incubi- li avvertì lei ignorando la domanda. I suoi occhi neri si spostarono su Ethan –dobbiamo stare attenti. Tu ce li hai nel cuore, vero?-

Il ragazzo sussultò: come faceva a sapere? Chinò lo sguardo come se lo avessero accusato di qualcosa, come se gli avessero appena diagnosticato un male inguaribile e mortale.

-Ethan- Sam gli stringeva forte il braccio –possiamo andare adesso, vero?-

Nicole spostò lo sguardo su di lui, riprendendo a canticchiare. Samuel deglutì rumorosamente, guardando implorante l’amico. Ethan scosse la testa: come faceva quella ragazza a sapere quello che era successo? Doveva scoprirlo.

Si avvicinò a lei e sedette sui gradini –Tu sei come noi?- le chiese –Vedi le creature fatate?-

Nicole si ritrasse e iniziò a tormentarsi le mani. Aveva dita sottili dalle unghie mangiate fino all’osso, che si muovevano nervose attorcigliandosi le une alle altre. Si passò le mai tra i capelli con l’unico risultato di scompigliarli ancora di più.

-Non dire queste cose. Perché mi dici queste cose? La gente non mi crede quando parlo delle fate. Vuoi prendermi in giro anche tu?-

-No, non voglio prenderti in giro- la rassicurò Ethan. Non c’erano dubbi: anche lei poteva vedere le creature magiche, e di conseguenza anche le Leggende –ti ho appena detto che le vedo anche io. E anche lui-

Sam lo guardò sconvolto, ma lui non ci fece caso. Nicole passò lo sguardo dall’uno all’altro per un po’, come per rassicurarsi che non iniziassero a inveire contro di lei come facevano i ragazzi di solito. Dovette capire che non avevano intenzioni ostili, perché fece cenno di sì.

-Ho visto lui. l’altra notte. Ha cercato di farmi assalire dai suoi incubi. Ma alla fine l’ho scacciato-

-Chi è lui?-

-Lui è lui. Il condottiero del terrore, il re delle tenebre. Anche tu lo hai incontrato, e lui ti ha ferito. Lo sento: ci sono le sue tenebre nel tuo cuore-

Di nuovo Ethan si sentì percorrere da un brivido freddo. Era vero, Nicole sembrava del tutto fuori di testa, e quel suo sguardo lontano ed enigmatico sembrava poter spiare i più reconditi meandri del cuore umano. Ma c’era della verità in quello che diceva.

-Lui è Pitch Black, dunque- riprovò –l’Uomo Nero-

Nicol gli fece cenno di tacere –Non è bene pronunciare il suo nome. I suoi sicari sono ovunque, e il suo udito e la sua vista ti seguono come la tua ombra. Saprà che hai parlato di lui-

-Ok, va bene- era meglio assecondarla, dopotutto –hai detto che lo hai scacciato. Come hai fatto?-

C’era forse un modo per combatterlo? C’era forse un qualche potere che poteva permettere loro di contrastare almeno in parte l’oscurità che li minacciava?

-Non lo so- Nicole scosse la testa –l’ho toccato-

-Toccato? Lo hai solo toccato?-

Lei fece di nuovo segno di sì –Non l’ho fatto neanche apposta. Lui stava allungando una mano verso di me, e io volevo solo allontanarlo. Ma poi lui ha urlato ed è scomparso. Sembrava parecchio arrabbiato. Ma io no volevo fargli del male. Però non ne sono pentita-

Il morale di Ethan si era un po’ risollevato: avrebbe dovuto approfondire quell’argomento, e magari così avrebbero potuto capire se c’era modo di nuocere al nemico.

Nicole si alzò e si gettò uno zaino nero sulle spalle. La campanella suonò in quel momento.

-Credo che ci rivedremo. E ricordate: non fidatevi delle ombre-

Poi voltò loro le spalle e prese a salire le scale. Non appena fu sparita Sam scosse la testa.

-Non ha senso. C’è un motivo se la chiamano la Pazza, non credi?-

-Non può aver inventato tutto. e ha detto che Pitch è andato a cercare anche lei, ci dev’essere stato un motivo. Credo che il nostro gruppo si sia allargato-

-Cioè, dovremmo fare squadra con… quella lì? Mi fa paura, è fuori di testa!-

-Sam- lo ammonì l’amico –ricorda che più siamo più possibilità abbiamo di vincere. Dopotutto, lei è meno pericolosa di Pitch-

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Buonasera! Eccoci qui con un nuovo, adorabile (??) personaggio, tutti contro il povero Pitchino (o Pitchione, come la cara _Dracarys_ mi ha insegnato).

Nicole mi ricorda una versione emo di Luna Lovegood di Harry Potter – ma questi saranno un po’ problemi miei xD e posso confessare che è vagamente ispirata ad una persona che conosco (direte: ma che cavolo di gente frequenti? – Rispondo: adesso capite perché sono tanto instabile?). Era impossibile non farne un personaggio, lo sapevo che prima o poi mi sarebbe uscita una pazza sciroccata. Però shh, la persona in questione non lo sa!

Sono contenta di essere riuscita ad aggiornare perché adesso non sarò a casa fino a lunedì, quindi avrete un paio di giorni per disintossicarvi dai miei trip mentali ;)

E poooi… e poi mi sembra di aver finito. Grazie come sempre a chi mi segue e ai recensori che spesso mi strappano anche più di un sorriso *O*

E bon, ora mi dileguo.

A presto!

Rory_Chan

 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Nightmares Are Back

8

 

La vita reale non era come nelle favole. Nelle favole gli antagonisti venivano sempre sconfitti, uccisi dagli eroi, e gli eroi potevano infine decretare la loro vittoria e avere il loro “e vissero per sempre felici e contenti”. Nella vita quello non accadeva più. Nessuno era più un eroe, nessuno era disposto a lottare per la propria felicità. Nessuno credeva più nella forza dei propri sogni o nella magia, e la magia stava scomparendo per mano di chi l’aveva creata.

Ethan aveva sempre avuto paura di quella prospettiva, del mondo tetro e grigio degli adulti, pieno di angosce e rivalità che ancora non si spiegava. Non concepiva come, con il passare degli anni, la cattiveria prendesse il posto dell’altruismo, e di come l’amore si mutasse in odio a causa di una parola di troppo. Non capiva come i sogni potessero sparire dalla vita degli adulti, come loro potessero permettere alla realtà di uccidere i propri desideri. Nei sogni lui trovava il rifugio che sempre gli mancava nella vita reale, e nei suoi personaggi di fantasia trovava gli amici che non aveva mai avuto nella realtà. Che tutto fosse una finzione non gli importava. Il mondo era più accettabile, nella sua immaginazione. Nelle storie che leggeva tutto era amore e fratellanza, e tutti aiutavano il prossimo e si univano per fronteggiare il male. E il male veniva sempre sconfitto.

Nella realtà nessuno più impersonava l’eroe, e tutti avevano riposto le spade permettendo alla crudeltà di prendere il governo sul mondo intero. Per la prima volta, in quella situazione, Ethan non si sentiva più un eroe. I tempi in cui si fingeva cavaliere, in cui lui era il valoroso paladino della luce sembravano lontani e irrecuperabili. Era quello che la gente chiamava “crescere”? Era per quello che i bambini volevano diventare grandi in fretta, per poi rimpiangere l’infanzia e ritrovarsi ancora più tristi di prima?

Eppure, per lui era diverso. Avvertiva la presenza di Black in ogni momento, sentiva i suoi occhi d’oro che lo scrutavano e gli pareva persino di vedere il suo ghigno di vittoria in ogni angolo buio che incrociava. Lui stava perdendo il contatto con il mondo della fantasia pur continuando con tutte le sue forse a credere nei mille universi fatati di cui era venuto a conoscenza, continuava a vedere creature fantastiche dai contorni sfocati che sembravano guardarlo supplichevoli e seguirlo con lo sguardo per rivolgergli tutte un’unica preghiera: “non ci abbandonare anche tu”.

Mai si era sentito più inutile di allora. Mai aveva pensato che per lui potesse arrivare la fine, in modo così lento e doloroso da spezzargli il cuore ad ogni mancata fata che Sam e Octavia vedevano con chiarezza, mentre a lui toccava concentrarsi e strizzare gli occhi solo per riconoscerne il fioco bagliore.

La sera si ritrovava nel letto a pezzi, e vani erano i tentativi dei Guardiani di sollevargli il morale. Ethan non voleva mai guardarli troppo a lungo. Odiava vederli svanire giorno dopo giorno nonostante tutta la forza che metteva nel non cedere, e odiava ancora di più la preoccupazione malcelata negli occhi delle Leggende quando lo guardavano. Ethan detestava essere commiserato, detestava lasciar trasparire la sua debolezza e detestava l’apprensione che quest’ultima suscitava negli altri.

 Samuel gli lanciava furtive occhiate preoccupate, e ormai lo teneva sempre per mano come a volergli infondere la propria speranza e riuscire in qualche modo a vincere le ombre di Pitch, e negli ultimi giorni l’aveva sommerso di pessime freddure inventate sul momento con il solo scopo di strappargli anche solo un sorriso. Quei suoi sforzi, quella continua vivacità che Sam ostentava in modo plateale, quel suo modo di cercare sempre la mano dell’amico e stringerla come se non ci fosse un domani erano per Ethan le cure migliori che potesse mai ricevere. Sam non gli faceva mai notare come di giorno in giorno il suo mutismo aumentava, o come fosse diventato pallido e stanco negli ultimi tempi. Sam gli faceva capire che a lui piaceva anche in quel modo, che gli piacevano persino le sue risposte a volte brusche e le sue sfuriate per un nonnulla andato storto.

Ethan detestava perdere il controllo quando si arrabbiava, e negli ultimi tempi era sempre di un umore nero e bastava niente per farlo infuriare, e ancora di più detestava che Sam fosse sempre lì a proporsi come bersaglio dei suoi sfoghi. Ethan detestava trattarlo male, anche se entrambi sapevano che la sua rabbia non era diretta all’amico e anche se Sam non era capace di portare il minimo rancore.

La scorsa notte Sam lo aveva invitato a dormire a casa sua. Avevano fatto tardi, stesi ognuno nel proprio letto, a parlare di come quella faccenda stesse sfuggendo loro di mano. Quanto tempo ancora sarebbe passato prima che Pitch sferrasse un nuovo attacco? Quando avrebbero trovato il suo nascondiglio per poter studiare una strategia di attacco? Avevano formulato mille ipotesi, ma era difficile stabilire cosa li aspettava.

Infine erano andati a letto, ma Ethan era rimasto sveglio ancora a lungo. Si sentiva di nuovo un bambino, al calare della notte, quando ogni luce andava via. Si trovava di nuovo a scrutare gli angoli bui della stanza e ogni rumore lo faceva sussultare. Da bambino, nei suoi sogni, Ethan sfoderava una spada di luce e sconfiggeva quelle ombre. Adesso quella spada aveva perso quasi del tutto il suo potere, e sapeva che non l’avrebbe difeso neanche dall’incubo più insulso che potesse esistere.

La notte era il suo vero punto debole. Ogni volta che chiudeva gli occhi un tunnel senza fondo di oscurità sembrava volerlo risucchiare al suo interno e trascinarlo nell’ombra per l’eternità. Ogni volta, nei suoi sogni, i principi venivano uccisi dalle streghe e le fanciulle erano costrette a sposare uomini di tenebra che le avrebbero torturate fino alla morte. Nei suoi sogni i cavalieri si perdevano nei meandri oscuri delle torri diroccate e non riuscivano a salvare le loro dame. Nei suoi sogni le fate venivano sterminate da nugoli oscuri di nebbia compatta. Nei suoi sogni il lieto fine non esisteva più, e tutto diventava buio e tristezza.

Poi si era sentito scuotere per le spalle, e il viso di Sam gli era comparso illuminato dall’argento della luna. Lo aveva sentito lamentarsi e lo aveva svegliato.

-Torna a letto, Sam- era riuscito a dirgli –sto bene-

-No che non stai bene-

Aveva indicato con un cenno il suo letto e non c’era stato bisogno di aggiungere altro. Ethan era troppo stanco per combattere contro la testardaggine di Sam, e questo lo sapevano entrambi. Così si erano strizzati entrambi nel lettino di Samuel, ed erano rimasti lì fino alla mattina dopo. Ethan si era svegliato con la testa appoggiata sulla spalla dell’amico, abbastanza sorpreso nel constatare che non ricordava una sola ombra nei suoi sogni per la prima volta dopo quasi due settimane. Al contempo, aveva visto il sorriso di Sam e aveva seguito il suo sguardo diretto alla finestra: tutto era ammantato di bianco, dalla strada ai tetti degli edifici, dalle statue ai rami spogli degli alberi.

-Oggi sarà chiuso per neve- aveva supposto il ragazzino –sarà un regalo di Jack?-

Dopo tanto tempo, un sorriso aveva illuminato il viso di Ethan –Credo sia possibile. Sam?-

Lui si era voltato e Ethan si era ritrovato a guardarlo davvero per la prima volta. Le ciocche ribelli del colore del grano, e quegli occhi di smeraldo. La luce del sole accentuava le lentiggini che aveva sparse in viso. Quasi non aveva riconosciuto il ragazzino timido e impacciato che aveva salvato da quei bulli solo pochi mesi prima. Sam sembrava cresciuto anche lui, improvvisamente, o forse era sempre stato in quel modo e lui non lo aveva mai notato?

-Cosa?-

-Grazie-

Un sorriso riservato in risposta –Siamo amici, no? E gli amici si aiutano, sempre e comunque-

Gli aveva poggiato una mano sul cuore e aveva fatto per toglierla subito dopo, ma Ethan l’aveva trattenuto. Erano rimasti entrambi a guardarsi per un lungo istante, quasi a chiedersi cosa fare a quel punto, o semplicemente il motivo di quell’improvviso rossore che vedevano uno sulle guance dell’altro.

-Ce la faremo-

Aveva detto infine Ethan, usando un tono tanto sicuro da convincere persino sé stesso. Si era sentito di nuovo sicuro di sé, lì vicino a Samuel, ed era certo che avrebbe potuto sconfiggere qualsiasi ostacolo si fosse posto sulla loro strada. Avrebbe sguainato la spada, e ritrovato l’antico splendore che aveva sempre accompagnato il suo animo. Sarebbe andato tutto bene.

-Insieme?-

-Insieme-

******

Fuori dalla finestra, quella notte Jack Frost aveva osservato ciò che accadeva nella camera. Aveva atteso a aveva sorriso alla vista dei due ragazzi stretti l’uno all’altro, in un unico groviglio di braccia e coperte. E aveva pensato che loro due avrebbero potuto farcela. Vedeva nei loro gesti, nei loro sguardi, un qualcosa di antico quanto potente, la forza che da tempo immemore smuoveva gli animi più terribili e univa due persone all’apparenza tanto diverse.

Era un sentimento ancora acerbo e sconosciuto ad entrambi, ma tanto fragile e prezioso da essere custodito nel cuore in attesa del momento giusto. Di una cosa Jack era certo: quei due ragazzi stavano per oltrepassare il confine dell’amicizia più profonda, un confine tanto lieve da essere quasi impercettibile, e quello verso cui si stavano dirigendo era rimasto l’unico sentimento puro capace di contrastare la malvagia indifferenza degli animi.

L’amore rende invincibili, mette le ali, e quante altre frasi aveva sentito nella sua vita da Leggenda, in ogni angolo del mondo. Poeti, musicisti, attori e gente comune cantava dell’amore, in toni elevati o in linguaggio quotidiano, ridendo e piangendo, da solo o davanti a un vasto pubblico. Quello insieme all’odio muoveva il mondo, e solo quei due sentimenti erano rimasti a fronteggiarsi in una lotta che perdurava da tempo immemore. Solo uno poteva vincere sull’altro, così come la luce sull’oscurità e il bene sul male.

I bambini, i ragazzi, erano ancora colmi d’amore, speranza e sogni, e Pitch era l’odio il cui unico obiettivo era quello di distruggere tutto ciò che andava contro la sua legge della morte, tutto ciò che per lui era fatale e dotato di vita e luce. I bambini erano il suo ostacolo perché possedevano l’unica arma in grado di sconfiggerlo, e con la loro fede nei protettori dei sentimenti positivi che erano il cardine della loro innocenza erano gli unici in grado di contrastare il suo potere.

Tuttavia, fin quando i bambini avessero continuato a tenere stretti i loro sogni, fin quando la luce della speranza nei loro cuori fosse rimasta accesa, allora non tutto era perduto. Per i Guardiani Ethan era quasi stato una sorpresa, un giovane animo sopravvissuto alla sterilità crudele di quell’epoca, capace di sognare ancora grazie alle parole stampate su un pezzo di carta che per molti non avevano più alcun significato. E adesso che la loro più promettente risorsa era minacciata così da vicino dalle ombre di Pitch, le Leggende sapevano che la lotta personale tra Ethan e Black era appena iniziata: mai nessuno, come quel ragazzo, si era dimostrato degno di poter tenere testa all’Uomo Nero e alle sue schiere di ombre, e la forza che ancora Ethan portava dentro di sé poteva trasformarsi in un’arma letale che aveva il potere di distruggere per sempre il dominio dell’avversario.

E poi, Ethan aveva Sam. Entrambi si erano promessi di rimanere uniti e combattere quella battaglia, e Jack era certo che nessuno dei due sarebbe venuto meno a quella promessa. Era stato bello vederli così uniti, così vicini, quella notte. Era stato bello vedere Ethan stringersi all’amico come a cercare conforto, e ancora più bello era stato il gesto impacciato, eppure tanto spontaneo, di Samuel nell’accoglierlo tra le braccia e accarezzargli i capelli fin quando il sonno non era tornato per entrambi.

Guardandoli Jack aveva sorriso, e quel sorriso era stato illuminato dalla luce della luna.

******

Octavia sospirò e davanti al suo viso si condensò una nuvoletta di vapore. Le piaceva quel gioco: ogni volta immaginava di essere un drago e che presto avrebbe trovato un degno cavaliere in grado di essere il suo compagno, e di poter vivere grandi avventure insieme.

Infilò la mano guantata tra le dita di Ethan e sollevò lo sguardo su di lui.

-Vuoi essere il mio cavaliere?-

Lui la guardò, e non poté fare a meno di sorridere. Era sempre così allegra e piena di vita, e con una sola parola riusciva a risollevargli lo spirito. Quanto all’essere cavaliere, ricordava che quello era sempre stato il suo gioco preferito. Quante volte aveva visitato una grotta nella speranza di trovarvi dentro un drago a guardia di un tesoro, e quante volte aveva scrutato a lungo le acque dei fiumi e del mare alla ricerca del luccichio di scaglie brillanti; quante volte aveva guardato il cielo e aveva immaginato una grande ombra proiettarsi sul terreno, e ancora quante volte aveva sognato di poter cavalcare sul dorso di quelle creature leggendarie. Adesso gli sembrava di non pensare più a un drago da secoli. Nonostante quello annuì, ricacciando indietro l’inquietudine. Era sera, lui e Octavia stavano tornando a casa dopo una passeggiata nel parco; a volte gli piaceva ritornare nel luogo in cui si erano incontrati, lì dove la loro amicizia aveva avuto inizio.

La bambina aveva raccolto un ramo da terra e ora lo agitava in aria come fosse una spada, e gli stava raccontando quello che aveva fatto negli ultimi giorni. Lui aveva dovuto studiare molto in quel periodo, per rimettersi al passo con le lezioni perse durante i giorni in cui era stato sospeso.

-E poi- stava dicendo Octavia –ho trovato un nuovo amico-

-Davvero?- Ethan la guardò mentre annuiva, felice, gli occhi scuri che brillavano –E’ un tuo compagno di scuola?-

Lei rise e scosse la testa –Non viene e scuola. Non credo che vada a scuola, ormai. È un uomo-

Ethan si accigliò –Un uomo?-

-Sì. Uno spirito, così mi ha detto-

E gli raccontò dello strano uomo dagli occhi d’oro apparso in camera sua, che l’aveva ascoltata quando nessun’altro voleva farlo, e che le aveva promesso di essere suo amico.

Il ragazzo si fermò bruscamente, un senso di ansia gli opprimeva il petto e sentiva il cuore battere forte contro le costole. Guardava la bambina come se quella rivelazione l’avesse profondamente scosso, contagiandola ben presto con il suo timore.

-Ethan…? Che succede?-

Lui si chinò e le poggiò le mani sulle spalle. Octavia si meravigliò nel constatare che tremava, nel comprendere che aveva paura. Non credeva che uno come Ethan potesse avere paura. Era il suo eroe, era il suo cavaliere forte e valoroso, il guerriero invincibile della luce. Nulla poteva spaventarlo, o anche solo impensierirlo. Come mai tutto d’un tratto era tanto intimorito?

-Tavie, devi promettermi una cosa- e le strinse le spalle ancora di più –non devi più parlare con lui. Se mai lo rivedrai un’altra volta devi stargli lontano-

-Perché? È mio amico…-

Ethan sospirò –Finge solo di essere tuo amico. Vuole farti del male, vuole fare del male a tutti noi. A te, a Sam, e chissà quanti altri. Ha tentato di aggredire una ragazza: si chiama Nicole, è della mia scuola. Ha cercato di fare del male anche a lei-

Octavia lo guardava senza parole, gli occhi sbarrati dalla sorpresa –Perché dici queste cose?-

-Lui è l’Uomo Nero. Pitch Black, l’uomo dal quale i Guardiani vogliono proteggerci. Ascolta- le prese una mano per portarsela al cuore –La senti?-

Confidava nella grande empatia della bambina. Lei si concentrò, e subito dopo ebbe un sussulto: sentiva come qualcosa che strisciava nel petto del ragazzo, come una serpe che diffondeva il suo veleno con lentezza in modo da allungare l’agonia della propria vittima. Non le ci volle molto per capire di cosa si trattava: era paura, terrore che spazzava via le fantasie, che rendeva i sogni null’altro che sbiaditi progetti irrealizzabili.

Dalla sua espressione Ethan capì che la bambina aveva ben compreso la situazione.

-E’ stato lui- le spiegò –mi ha fatto questo perché vuole impedirmi di continuare a credere nei Guardiani. Verrà a tentare di combattere te e Sam, prima o poi, e allora non gli importerà dell’amicizia. Non puoi fidarti di lui-

Octavia stava pe rispondere quando un’improvvisa sferzata di vento la interruppe. Le luci dei lampioni sul vialetto si spensero una dopo l’altra, lasciando la strada deserta nell’oscurità. E in quell’oscurità risuonò una voce.

-Suvvia, Ethan, come parli male di me-

Radi raggi di luna che filtravano dalle nuvole illuminarono un’informe massa oscura che si agitava come fosse viva. Pitch emerse da quelle ombre, andando loro incontro con le braccia aperte, quasi fossero vecchi amici che avrebbe voluto abbracciare.

Ethan si rialzò, frapponendosi tra l’Uomo Nero e Octavia. Il suo sguardo dava a Pitch Black molto da pensare: erano giorni e giorni che le sue ombre si facevano largo nell’animo di quel ragazzo, eppure non aveva perso la forza testarda che lo aveva da sempre caratterizzato. Sosteneva il suo sguardo con fermezza, in un chiaro segnale di sfida.

Dietro di lui, la bambina si aggrappava al suo fianco, negli occhi un timore sempre più evidente che fece sorridere l’Uomo Nero.

-Ciao, Octavia-

-Tu hai fatto del male a Ethan. Mi ha detto che sei cattivo-

-Ah, sì? Bè, vedi, a Ethan io non sto molto simpatico. È una cosa reciproca, a dir la verità. Ma non devi preoccuparti: ti ho detto che sono buono con chi è buono con me, se continuerai a fare la brava non ti farò nulla-

Ethan circondò con un braccio le spalle della bimba -Tavie, non credergli. È un bugiardo. Un bugiardo e un folle-

Lei lo guardò, poi spostò lo sguardo sull’Uomo Nero. Non riusciva a capire come potesse essere possibile che quell’uomo fosse cattivo. Le aveva detto di essere suo amico, aveva lasciato che lei gli parlasse dei suoi problemi. Ma Ethan adesso diceva che era cattivo e che gli aveva fatto del male, e lei si fidava di Ethan.

Pitch si fece avanti, le ombre dietro di lui iniziarono a strisciare sull’asfalto e sugli edifici avvicinandosi ai due ragazzi.

-Non mettere a dura prova la mia pazienza, ragazzina- la ammonì –vuoi forse dire che non mi credi?-

Si sorprese ancora di più quando la vide scuotere la testa. Si stringeva con ostinazione a quel piccolo piantagrane di Ethan.

-No, non ti credo. L’ho sentito, quello che hai messo nel cuore di Ethan. È la tua paura, è vero quello che ha detto-

Black serrò i pugni: a quel punto era inutile continuare quella farsa –Già, è tutto vero-

-Avevi detto di essere mio amico!-

-Ti ho mentito!-

Pitch aveva un sorriso folle stampato in viso, l’ammettere il suo tiro mancino sembrava avergli dato un immenso piacere. La delusione che si dipinse subito dopo sul visino di Octavia non fu altro se non la testimonianza di una nuova cattiva azione andata a segno. Un misto di amarezza e euforia si dibatteva nell’animo oscuro dell’Uomo Nero: da un lato c’era l’ormai logorato compiacimento per le sue cattive azioni, dall’altro era come se si fosse tradito da sé. Non gli importava della tristezza dei bambini, anzi, era fiero dei danni che arrecava. Quella volta, anche se solo per un attimo, invece si sentì colpito dalla sua stessa malvagità: Octavia era simile a lui, più di quanto fosse stato possibile, capiva come ci si sentiva ad essere soli, l’aveva capito con un solo sguardo nella notte in cui era andato a trovarla sperando in un’alleanza. Pitch poteva solo immaginare come doveva essere venire traditi da qualcuno di cui ci si fida, ma non poteva in alcun modo immedesimarsi nella bambina che lo guardava delusa attraverso un velo di lacrime agli occhi. Allora rise, una risata secca e forzata, gettando la testa all’indietro, mentre incitava le sue ombre ad avanzare senza pietà. In fondo, cosa gli importava di una bimbetta irritante, che preferiva cavalieri e principesse a lui, Signore degli Incubi?

Sollevò il capo, innalzandosi come una gigantesca ombra sulla parete di un palazzo, guardando i due ragazzini dall’alto in basso. Poteva eliminarne due in un colpo solo, e per di più uno di loro era il suo rivale numero uno.

Ethan sosteneva il suo sguardo, e lo fissava con odio. Non sopportava l’idea che qualcuno trattasse male Octavia, non poteva tollerare il pensiero che qualcuno si fosse preso gioco dei sentimenti di una bimba che desiderava solo trovare un amico disposto a tenerle compagnia e ascoltare le sue favole. Prima di poter capire cosa stesse facendo, si ritrovò a correre in direzione di Pitch, con la familiare scarica di adrenalina ad infiammargli tutti i muscoli, i pugni serrati, pronto alla lotta. Riuscì a colpirlo una sola volta prima che l’Uomo Nero si scansasse, interdetto da quella reazione combattiva del tutto fuori luogo. La stessa rabbia che alimentava il ragazzo si fece largo nel rivale: in un attimo Pitch gli fu addosso, lo spinse contro una parete e serrò una mano attorno al suo collo.

-Sai, prima mi piaceva giocare con te- i suoi occhi erano fiamme inquete nella notte –ma adesso ti stai rivelando un intralcio troppo complicato da gestire. Credo che sia meglio risolvere almeno uno dei miei problemi-

Lui avrebbe voluto ribattere, ma la pressione alla gola gli impediva persino di respirare. Scosse la testa nel tentativo di liberarsi, ma Pitch non badava più a lui: scrutava Octavia da sopra la spalla, un sorriso malevolo gli incurvava le labbra sottili.

-Adesso, piccola, ti faccio vedere come muoiono gli eroi-

Ethan sentì la bambina gridare il suo nome, e la risata di trionfo di Black sembrò risuonare per l’intera città. Poi, con uno sforzo che gli parve enorme, sollevò una mano.

“L’ho toccato” – aveva detto Nicole, le era bastato toccarlo per allontanare l’Uomo Nero da lei. Senza pensarci due volte, il ragazzo afferrò saldamente il polso di Pitch, deciso a spezzare la sua presa.

Il suono di quella risata sguaiata si trasformò in un grido di dolore, e gli occhi di Black saettarono sulla mano del ragazzo: serrate attorno al suo polso, le sue dita parevano bruciarlo, sottili linee incandescenti si allungavano sul suo braccio e man mano che procedevano parevano cancellarlo, farlo sparire senza possibilità di ritorno.

Pitch strattonò e lasciò andare il ragazzo, riuscendo a liberarsi dopo una lotta forsennata. Sollevò la mano: solo i contorni brillavano come metallo fuso, mentre quasi metà braccio era quasi del tutto trasparente, come la consistenza evanescente di un fantasma. Uno spettro, destinato a svanire.

Ethan si rialzò mentre ancora si massaggiava il collo; fece un passo avanti, le ombre sull’asfalto arretrarono quasi fossero intimorite da ciò che era appena successo al loro capo. Come se temessero che quel ragazzo potesse fare svanire anche loro con un solo tocco.

Pitch arretrò, una furia vendicativa ferita decisa a non demordere, i suoi occhi promettevano vendetta. Guardò la bambina, poi ancora il ragazzo di fronte a lui, iniziando a confondersi con l’oscurità della notte. Prima di svanire del tutto, puntò un dito contro Ethan.

-Questa me la paghi, Ethan Danvers. Hai la mia parola-

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Mwahaha, I’m back! Vi sono mancata? *balle di fieno che rotolano sullo sfondo* ok, passiamo oltre xD

Che bello, non vedevo l’ora di finire questo capitolo *^* bè, devo ammettere che qui la Pitch/Ethan fa davvero Voldemort/Potter, sarà una mia impressione? Forse la prossima volta è meglio che scriva un crossover, magari con Pitch e Voldy che si ritrovano al cafè dei cattivi (ma esiste? O.o bah!) e che parlano come due vecchie zitelle dei marmocchi che li hanno sconfitti… hum… se mi ispiro magari la scrivo per davvero xD

 Però, vedete? Anche io sono capace di scrivere roba tenera*i suoi personaggi la guardano male perché prima scrive roba tenera dove tutte le coppie sono puccette-carinose-I-Love-You e poi di solito uccide uno dei due*  … oh, andiamo ragazzi, sapete che vi voglio bene! Hei! *i suoi personaggi continuano a guardarla male e poi vanno via a piangere la morte del compagno*  heeem, dunque, stavo dicendo? Sì, ecco, ogni tanto metto da parte la mia vena sanguinaria e riesco a buttare giù qualche romaticheria, Ethan e Sam mi ispirano coccolosità. Cercherò di tenerli vivi entrambi xD

Coraggio, forse abbiamo trovato il modo di toglierci di torno Black anche stavolta, mi spiace ma il destino crudele vuole questo.

Passando alle cose serie, rinnovo i ringraziamenti ai seguenti fedeli (adepti? Come volete essere chiamati?) della storia: Olzawer e Vhaiolet Red per averla inserita tra le Preferite, AngelsOnMyHeart, Inveterate Dreamer, Olzawer e _Dracarys_ per averla inserita tra le Seguite e Gamora96 per averla inserita tra le Seguite e Ricordate ;)

Come sempre mi inchino davanti la vostra puntualità e la tolleranza verso i miei scleri xD

E anche per stavolta è tutto, vi do appuntamento al prossimo capitolo :D

Kisses,

Rory_Chan

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Nightmares Are Back

9

 

Avanti e indietro come una belva braccata, era da un tempo indefinito che Pitch Black camminava senza sosta nello spazio angusto che era quella sua dimora, come un’anima senza requie vaga nella notte nelle stanze ormai abbandonate di un castello fatiscente, in cerca di una vendetta irrealizzabile.

Lo odiava. Adesso ne era più che certo: aveva ancora davanti agli occhi lo sguardo carico di sfida di Ethan, e se all’inizio non se ne era preoccupato poi tanto adesso invece il bisogno di sbarazzarsi di quel ragazzino petulante era diventata la sua massima priorità. Aveva sempre saputo che lui sarebbe stato il suo ostacolo più grande, ma aveva pensato di poterlo tenere a bada con le sue ombre, e lasciare loro il compito di sbarazzarsene quando lo avrebbero ritenuto opportuno. Ora il desiderio di metterlo a tacere era impellente, tuttavia il porre fine alla sua esistenza in maniera tanto brusca non garbava affatto all’Uomo Nero. Se c’era una cosa che sapeva bene era che la tortura era peggiore della morte, che la lenta agonia di un avversario donava più soddisfazione dello sbarazzarsene in fretta. Inoltre, aveva capito che a Ethan sarebbe importato ben poco di un nuovo scontro tra loro due, e ancora meno gli sarebbe importato di tutte le minacce dirette alla sua persona che Pitch avrebbe potuto mettere in atto; se c’era una cosa a cui Ethan teneva davvero, erano i suoi amici. Pitch ricordava bene di come il ragazzo si fosse infuriato quando era venuto a sapere del suo tradimento verso Octavia, e sapeva che la rabbia iniziale avrebbe lasciato il suo posto ad una tristezza ben più feroce. Dunque, se voleva colpirlo davvero, non era direttamente a lui che doveva mirare.

L’Uomo Nero si fermò, sollevando il braccio che Ethan gli aveva toccato durante il loro ultimo incontro: aveva smesso di bruciare, ma attraverso la consistenza semitrasparente adesso erano visibili i mattoni grezzi e graffiati del suo rifugio, era come nebbia evanescente alla quale sarebbe bastato un minimo cenno per dissolversi.

Pitch strinse il pugno, determinato più che mai. Tra le mura diroccate si levò una risata di trionfo, e sulle pareti iniziò ad innalzarsi una sfrenata danza di ombre.

******

Ethan sbuffò infastidito: era già la seconda volta che il telefono squillava insistentemente, e lui non aveva poi una gran voglia di alzarsi per rispondere. Gettò un’occhiata all’orologio: erano le otto di sera e in casa non c’era nessuno oltre lui, nessuno a cui rifilare l’indegno incarico. Cos’era meglio fare? Ignorare lo squillare incessante e tornare a concentrarsi sui libri, o rispondere e mandare al diavolo la ragazza delle televendite? Era matematico: ogni qualvolta interrompesse qualcosa di importante per rispondere al telefono, quasi sempre era l’esasperante signorina pronta ad offrirgli il più grande affare della sua vita. Infine Ethan dovette cedere: non riusciva a concentrarsi con quel chiasso in sottofondo.

La voce che gli rispose, però, non era affatto quella di un’impiegata, bensì quella della signora Jefferson.

-Ethan? Mio figlio è lì con te?-

-Cosa…? No, Sam non è qui-

Aveva intuito una malcelata preoccupazione nel tono della donna. Una strana fitta gli serrò lo stomaco, mentre dall’altro capo del telefono gli giungeva un silenzio non certo rincuorante.

-Non vi siete visti oggi?-

-No, mi aveva detto che aveva l’allenamento per il calcio-

Cosa voleva dire tutto quello? Quasi gli pareva di vedere il viso contratto dalla preoccupazione della madre di Sam, di vederla mordersi il labbro inferiore e sistemarsi gli occhiali con quel gesto rapido dell’indice che Sam doveva aver ereditato da lei. Il suo respiro gli giungeva rapido e irregolare, e gli parve persino di udire un singhiozzo sommesso.

-Aveva l’allenamento- gli giunse la risposta stentata –ma avrebbe dovuto tornare alle sette. È passata un’ora, e ancora qui non è arrivato nessuno. Pensavo… io e mio marito abbiamo pensato che potesse essere venuto da te-

Ethan si appoggiò al muro, senza avere la forza per replicare. Si accorse di ansimare come dopo una lunga corsa, un peso insostenibile gli si era fatto largo in petto.

Non poteva essere vero.

Non sapeva cosa dire, né cosa fare. Un nome gli era subito balzato alla mente, ma aveva fatto di tutto per mettere a tacere quell’improvviso timore. Non poteva certo farne parola con Lilian Jefferson. Non poteva certo dirle che sospettava che l’Uomo Nero avesse fatto qualcosa a suo figlio.

-Desmond vuole chiamare la polizia- la voce della signora Jefferson chiamò in causa il marito –se non è da te o da qualche altro compagno, né da mia sorella… non sappiamo dove altro cercare-

-Avete chiesto al campo di calcio?-

Il ragazzo si accostò alla finestra e scrutò nell’oscurità, quasi sperasse di vedere Sam dirigersi verso casa sua. Invece la strada era deserta. Nessuno che tornasse dal lavoro, nessun bambino in bici che si affrettava per tornare a casa. Solo il freddo della notte, la strada innevata, e le tenebre. Il regno di Pitch Black, la notte, in cui il suo potere giungeva al culmine. Il solo pensare che Sam fosse disperso chissà dove là fuori lo faceva star male.

-Abbiamo girato più volte l’intera città. Abbiamo chiesto a tutti quelli che conosciamo, ma nessuno lo ha visto. L’allenatore ha detto che è uscito insieme ai suoi compagni, come al solito. Non c’erano state risse né incomprensioni, nessuna ragione per la quale qualcuno avrebbe potuto tentare di regolare i conti una volta soli. Prima di tornare a casa c’è sempre una parte di tragitto che deve fare da solo, ma non c’erano mai stati problemi fino ad ora-

Ethan chiuse gli occhi. Gli girava la testa. Aveva ancora bene in mente la promessa dell’Uomo Nero: “Questa me la pagherai cara”. Possibile che quella fosse solo una coincidenza? Che la scomparsa di Samuel fosse indipendente da Pitch Black? Gli riusciva difficile crederlo.

Si fece promettere dalla donna di tenerlo informato, poi riattaccò. Iniziò a girare per la casa senza una meta, con l’impressione di dover fare qualcosa senza sapere cosa.

Cercava di convincersi che Pitch non c’entrasse con tutto quello. Poco prima aveva nevicato: forse Sam era semplicemente entrato in qualche bar in attesa che la tormenta terminasse. Sì, doveva essere così. Sarebbe tornato a casa fra poco, sano e salvo, al sicuro da Black. Nonostante per tutto il resto della serata Ethan avesse continuato a ripetersi quella versione dei fatti, non era riuscito a convincersi del tutto. E infine, quando era andato a letto, dormire gli era sembrata un’impresa che mai sarebbe riuscito a compiere.

******

Samuel non aveva avuto neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo. Stava attraversando la piazza deserta per tornare a casa quando un improvviso rumore lo aveva convinto a fermarsi: era come un fruscio prolungato, come se decine di serpenti stessero strisciando tutti nella stessa direzione. E serpenti gli era sembrato di vedere subito dopo, lunghe ombre dense e sinuose che si riversavano sulla strada dai tetti degli edifici, veloci e implacabili, tutte con un unico obiettivo che, era più che chiaro, era lui.

Era risaputo, Sam detestava i serpenti, lo avevano sempre disgustato sin da bambino, li trovava crudeli, inquietanti, con i loro corpi ruvidi di scaglie e gli occhietti neri che scintillavano malevoli, e quelle lunghe lingue biforcute che sibilavano in un perenne avvertimento di attacco.

Di certo, per donargli quell’accoglienza chiunque lo stesse aspettando voleva da subito mettere le cose in chiaro: da quel momento si giocava sul serio. E Sam sapeva bene chi stava per incontrare: Ethan e i Guardiani lo avevano messo in guardia: Pitch Black non si sarebbe fermato fin quando loro non fossero stati resi inoffensivi, uno per uno. Li avrebbe cacciati ovunque, braccandoli nell’ombra, e aggrediti con le forme che ai loro occhi erano più odiose. Sam aveva sempre saputo che quell’incontro sarebbe giunto, aveva spesso pensato al momento in cui l’Uomo Nero si sarebbe rivelato anche a lui, ma non riusciva mai ad andare oltre in quel pensiero: il suo non era uno spirito combattivo, men che mai aveva un animo intrepido propenso alla lotta o comunque forte abbastanza da reggere la tensione di quella situazione. Non sapeva immaginarsi fronteggiare l’Uomo Nero così come aveva fatto Ethan, e non avrebbe saputo allontanarlo come era riuscita a fare Nicole per il semplice fatto che il solo pensiero di toccarlo lo terrorizzava. Non sapeva immaginare qualcuno di meno adatto a lui a cui affidare il compito di proteggere la terra.

Era arretrato mentre le ombre si accavallavano e si innalzavano tra fischi e sibili; il suo unico pensiero, per quanto poco cavalleresco, era quello di darsela a gambe, allontanarsi il più possibile da quell’oscurità tanto viva da far spavento. Aveva iniziato a correre, e una voce l’aveva richiamato proprio mentre, come un’onda anomala, dietro di lui si levava un cupo muro di ombra fitta pronta a travolgerlo. Qualcosa, subito dopo, ne aveva per un attimo spezzato la compattezza: un boomerang gli aveva dato l’occasione di guadagnare pochi seppur preziosissimi metri.

Sam aveva sollevato lo sguardo: sui tetti delle case il Coniglio di Pasqua saltava come fosse la sua ombra, incitandolo a non fermarsi. Con un balzo, la Leggenda gli era atterrata dietro, frapponendosi tra lui e le ombre di Pitch. Poi il ragazzino non avrebbe più saputo spiegare cosa fosse accaduto, se non che, in un modo o nell’altro, quel mare nero di oscurità gli era precipitato addosso e l’aveva trascinato con sé.

Adesso era seduto su un pavimento di pietra grezza e fredda, in una stanza scura e umida. Tutto era immobile, e proprio quella calma era ciò che di più inquietante potesse mai esistere. Era tutto troppo tranquillo, un silenzio irreale regnava su quel luogo, come se tutti i rumori del mondo fossero stati cancellati per sempre, come se non potesse esistere più musica o il suono di una risata. Sam aveva timore persino di chiedere se mai ci fosse qualcuno, lì. Aveva paura della forza con la quale la sua voce avrebbe spezzato quella quiete surreale, e aveva ancora più paura di non ricevere una risposta.

Si alzò, il rumore dei suoi passi risuonò tra le pareti graffiate perdendosi in un’eco infinita. Poté allontanarsi solo di pochi metri dal muro: tutto d’un tratto si levarono dal pavimento una serie di lunghi busti d’ombra che sembrarono formare le sbarre di una cella di prigione. L’oscurità tremava e crepitava a tratti quasi fosse viva, e l’atmosfera del luogo si fece ancora più pesante. Samuel si ritrovò con le spalle al muro, tanto si era spaventato dalla velocità con la quale la sua prigione era stata delineata. Si sistemò gli occhiali e cercò di scrutare la sala sporgendosi appena dalla sua postazione.

-Così tu sei il quarto ragazzo-

Qualcosa saettò nella sua direzione: subito dopo gli si presentò per la prima volta il ghigno compiaciuto dell’Uomo Nero. Sam aveva visto molte versioni di lui nei vari libri di fiabe: in alcune illustrazioni era nient’altro che un’ombra indistinta, in altre era un uomo imponente dal sorriso malevolo o ancora un bel ragazzo dagli occhi scarlatti; nessuna di quelle figure somigliava anche solo lontanamente allo spirito che aveva davanti. I suoi occhi d’oro splendevano nell’oscurità come le più preziose delle gemme, e sul suo viso c’era qualcosa che attenuava la cattiveria dando alla sua intera figura una parvenza di un fascino arcano e senza tempo. Una malinconia velata nel suo sguardo era in netto contrasto con la rabbia che sembrava formare un’aura di odio tutt’intorno a lui.

Per un attimo Sam dimenticò che avrebbe dovuto dire qualcosa. Riuscì a staccare gli occhi dal viso affilato a pochi centimetri da lui, confuso per una ragione che non riusciva a spiegarsi. Di certo, qualsiasi fosse stata la sua idea dell’Uomo Nero, Pitch, con le sue emozioni contrastanti, sempre in bilico tra rancore e nostalgia, lo aveva colto alla sprovvista.

-Che cosa vuoi?-

Sì, avrebbe anche potuto trovare qualcosa di più originale da dire. Pitch Black sorrise di nuovo, quella volta senza la benché minima traccia di rimpianto.

-Bè, immagino che ti terrò qui fin quando i tuoi amici non arriveranno a cercarti. Mi farà bene un po’ di compagnia-

-Oh- Sam non poté fare a meno di sentirsi sollevato –quindi è una trappola per attirare gli altri? Sai, avrei potuto pensarci. Non è poi così geniale, come piano. Anzi, mi sembra piuttosto scon-...-

-Preferisci forse che ti uccida e faccia trovare il tuo cadavere da qualche parte?-

Black lo aveva afferrato per il colletto del giubbotto e lo aveva strattonato per tirarlo vicino a sé. La soglia della sua pazienza era quasi nulla, e questo non era di grande consolazione. Samuel deglutì rumorosamente e si affrettò a scuotere la testa. L’altro lo lasciò andare e prese a massaggiarsi le tempie come se già non ne potesse più di avere a che fare con lui.

-Certo, sempre ammesso che ti trovino… se non saranno qui entro tre giorni immagino che mi toccherà procurarti del cibo. Oh, ma di che mi preoccupo? Ti lascerò morire di fame. D’altronde non sono mai stato bravo a prendermi cura degli animali-

-Hei!-

L’Uomo Nero non badò alla sua protesta. Prese a camminare nella sala, le dita che tamburellavano sul marmo freddo delle pareti, lasciando scie di ombre scure che si dissolvevano sulla pietra come inchiostro nell’acqua.

Sam lo osservava, facendo al contempo lavorare la mente: doveva pure esserci un modo per uscire da lì, o trovare una maniera di avvertire qualcuno della sua posizione. Un’idea gli risollevò lo spirito: fece scivolare lentamente una mano nella tasca del giubbotto, aspettandosi di sentire l’ormai familiare forma rotonda sotto le dita. Il fischietto, quello che i Guardiani gli avevano consegnato per avvertirli in caso di pericolo. Quello sarebbe stata la sua salvezza: gli bastava riuscire a fischiare una volta sola. Poi si bloccò. Avere le Leggende lì era quello che Pitch voleva. Non aspettava altro se non poter giungere alla resa dei conti, certo di uscirne vincitore. Non poteva rischiare di velocizzare i piani dell’Uomo Nero, avrebbe significato condannare i Guardiani. Ma, in un modo o nell’altro, prima o poi lo avrebbero trovato lo stesso, no? Loro stessi cercavano il nascondiglio di Pitch Black da mesi. Samuel esitò, combattuto. Non era proprio il tipo da prendere certe decisioni. Infine, tutti i suoi piani sfumarono: per quanto tastasse non trovava in alcun modo l’oggetto della sua ricerca. Gli si strinse il cuore: doveva essergli caduto durante la fuga dagli Incubi. Era del tutto isolato. Se prima c’era stata anche una remota speranza di poter comunicare con i Guardiani, adesso si trovava completamente solo, per di più in compagnia di uno spirito vendicativo braccato dalla sua stessa smania di potere, e senz’altro instabile mentalmente.

Non poteva proprio andare meglio.

Doveva trovare un modo per uscire da quella trappola, o anche solo scoprire le intenzioni dell’Uomo Nero. Se non altro, avrebbe saputo cosa aspettava Ethan e gli altri, e se solo ci fosse stato modo di avvertire gli amici avrebbe saputo cosa dire per metterli in guardia.  Ma doveva fare tutto da solo. Nella sua vita, quella era forse la prima volta che si trovava a dover prendere il controllo della situazione. Samuel non era nato per essere un leader, si immaginava più che altro come l’aiutante impacciato dell’eroe nelle favole, non era certo il cavaliere valoroso dal quale dipendevano le sorti dell’umanità.

-E poi, cos’hai intenzione di fare?-

Pitch era rimasto in silenzio per molto tempo, rimuginando su chissà cosa. A quelle parole sollevò appena lo sguardo su di lui.

-Voglio distruggerli- la sua voce era un sibilo di minaccia, graffiante e impaziente –uno per uno. E anche voi, voi, dannati ragazzini, che vi siete frapposti tra me e il mio trionfo. Vi distruggerò uno per uno. E il primo sarà Ethan-

Sam sentì un’improvvisa scarica di rabbia, del tutto fuori luogo e in contrasto con il timore che fino a pochi istanti fa lo aveva gelato. L’odio di quell’uomo nei confronti di Ethan lo spaventava, era un sentimento viscerale, che non avrebbe ammesso una nuova sconfitta e non avrebbe lasciato spazio per la pietà. Eppure, oltre alla paura riusciva a suscitare nell’animo del ragazzino una collera che non aveva mai creduto di poter provare.

-Non riuscirai a sconfiggere Ethan-

Pitch sollevò il capo: sembrava sorpreso dalla sicurezza con la quale gli aveva rivolto quelle parole. Sul suo viso si dipinse una smorfia che presto fece largo ad un sorriso sbieco.

-Staremo a vedere. Ti lascerò a guardare, se vuoi, come il tuo eroe svanirà per mano mia. E poi, che cosa farai? Non sei un animo che aspira alla vendetta-

Sam fu costretto ad abbassare lo sguardo, colpito nel segno. Era vero, Sam non aveva mai pensato alla vendetta, mai nella sua vita aveva pensato di castigare un torto subìto, o rispondere alla violenza con altra violenza. Ora, che Pitch aveva minacciato Ethan, però, sentiva che per difenderlo avrebbe potuto fare di tutto.

-Non essere così sicuro della mia clemenza. Per difendere ciò che più è gli è prezioso l’uomo è disposto a commettere le più audaci follie-

E quello, cosa voleva significare? Doveva averlo letto in qualche libro, doveva essere una di quelle frasi retoriche di qualche astruso filosofo arcaico. Però, doveva ammettere che suonava abbastanza bene.

Tutta la soddisfazione di Samuel svanì al suono della risata dell’Uomo Nero –Follie, tu? Non mi fare ridere, Samuel. L’unica cosa che ti riesce bene è nasconderti sotto le coperte al minimo rumore sospetto-

 Pitch lo guardava con uno strano sorriso, si massaggiava il mento e pareva riflettere su qualcosa. Si avvicinò di nuovo al ragazzino, scrutandolo con maggiore attenzione. L’espressione saccente che aveva messo su non piaceva a Sam neanche un po’.

-Ah, ma forse se ti dimostrassi intrepido Ethan potrebbe degnarti di una seconda occhiata, non è così? Già… uno come lui meriterebbe un degno compagno al proprio fianco. Non penserai mica che possa ancora accettarti così, debole e serafico come sei. Quanto tempo ci vorrà prima che si stanchi di te?-

-Non puoi parlare di queste cose- tentò di difendersi il ragazzino –tu non sai ni-…-

-Oh, fidati, piccolo, io conosco molte più cose di quanto credi. Anch’io sono capace di leggere l’animo umano, per quanto a volte questo possa essere noioso. E credimi, tu e Ethan avete degli animi troppo diversi tra loro. Incompatibili, direbbe qualcuno. Lui è così forte, dallo spirito battagliero… e poi ci sei tu, la dolce quanto superflua spalla destra. Dici che saresti pronto a combattere per lui, e io ti credo. Ma lo faresti davvero solo nei tuoi sogni. Nella realtà non saresti in grado di affrontare il pericolo. Ti ritroveresti a scappare, volteresti le spalle ai tuoi amici con il solo scopo di metterti in salvo. Sei consapevole di non essere all’altezza di Ethan. Persino quella bambinetta irritante è più forte di te. E in caso di un conflitto, hai pensato a quello che succederebbe? Tu saresti solo di peso. Metteresti in pericolo Ethan più di quanto già non sarebbe, perché si ritroverebbe costretto a dover badare a te, e metterebbe la tua sicurezza prima della sua. Se solo gli dovesse succedere qualcosa in questa battaglia, sappi che sarà solo colpa tua-

-No, non è vero!-

Sam si allontanò con uno scatto dalle sbarre della sua cella improvvisata, abbassando al contempo lo sguardo come in un’amissione silenziosa delle sue colpe. Per quanto fosse duro ammetterlo nelle parole di Pitch c’era un fondo di verità: lui non era mai stato un guerriero, non era mai stato capace di affrontare situazioni che potevano comportare anche il minimo rischio. A scuola incassava le provocazioni senza neanche provare a difendersi, e girava alla larga quando avvertiva l’avvicinarsi di una rissa. Non era certo coraggioso, né capace di far fronte alle difficoltà grazie allo spirito pratico. Dopotutto, l’Uomo Nero aveva ragione: nel loro gruppo lui era forse il più debole, quello che avrebbe finito col mettere in pericolo tutti gli altri.

Tutto quello era troppo. Le parole spietate di Black, la consapevolezza di trovarsi lontano da casa, in un luogo sconosciuto, e incapace di poter avvertire qualcuno della sua posizione, tutto quello lo investì come una tempesta implacabile di sconforto. Sam non avrebbe voluto cedere lì, davanti al nemico, ma non poté fare a meno di lasciarsi scivolare contro il muro per finire seduto sul pavimento freddo, le ginocchia strette al petto. Nonostante lottasse per ricacciarle indietro, alla fine lasciò che le lacrime gli scivolassero libere sul viso.

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Buongiorno, sono di nuovo qui :D ecco, cominciate a capire cosa intendo quando dico che torturo le mie creature e distruggo i sogni delle coppie? Anzi, non avete letto niente, di solito faccio moooolto di peggio >: )  

Avete visto Le 5 Leggende sabato sera? *^* e dire che io ero fuori con le amiche e smaniavo per tornare a casa in tempo xD ovviamente dopo mi è calata la depressione causa Pitch-tesoro-morbidolce-di-zia-Rory. Per me quel poverino è un trauma. Solo perché è piccolo e nero T__T prima o poi troverò un modo per rapirlo e tenerlo con me *si apposta sul letto con un retino da pesca*

Sorvolando, coraggio, armiamoci di pale e forconi (?) e partiamo alla ricerca di Sam (in fondo averlo come animaletto da compagnia deve pure essere carino, voi che dite? Mi ricorda tanto un criceto).

È tutto? Credo di sì, smetto di inveire contro i vostri poveri neuroni, che si sprecano tanto a seguire le mie pippe mentali xD

Vi ringrazio al solito per seguirmi *-*

Alla prossima,

Rory_Chan

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


Nightmares Are Back

10

 

-Ethan!-

La voce di Nicole si levò sopra gli schiamazzi degli studenti in corridoio. La ragazza agitava una mano per farsi notare, e nel frattempo avanzava tra la folla senza neanche il bisogno di sgomitare il più del dovuto: tutti si scostavano al suo passaggio, e sembravano sorpresi di vedere quella tipa dirigersi verso il ragazzino dai problemi comportamentali ormai noti. Di certo insieme formavano una bella squadra: Nicole la Pazza e Ethan il Sociopatico. Quella considerazione era stampata a chiare lettere sul viso della maggior parte dei presenti che seguivano Nicole con lo sguardo, sulle labbra che si arricciavano appena al suo passaggio e nelle spalle incassate dei molti che si ritraevano per fare in modo di non essere neanche sfiorati da quella tipa fin troppo stramba.

Lei sembrò non fare caso a tutto quello e giunse davanti a Ethan con quel suo strano andamento ondeggiante, quasi danzasse a ritmo di una melodia che solo lei era in grado di sentire. Gli rivolse un sorriso, e quando inclinò appena la testa da un lato una ciocca disordinata di capelli color inchiostro le scivolò sul viso.

-Ciao-

-Ciao, Nicole-

Era stata una risposta frettolosa, quasi data controvoglia. Quello non era certo nelle intenzioni di Ethan, ma quel giorno non era proprio il momento adatto per parlargli. Aveva dormito poco e male durante gli ultimi tre giorni, aspettando con asia una qualsiasi notizia da Lilian Jefferson, qualcosa che potesse far sperare in una pronto ritorno di Sam. Nessuna consolazione era arrivata in conforto a lui né ai genitori dell’amico: Samuel pareva volatilizzato, le ricerche risultavano infruttuose, e non solo quelle della polizia. I Guardiani avevano setacciato la città da cima a fondo, e non erano riusciti a trovare traccia di Sam o di Black.

Si erano riuniti una notte in camera di Ethan a studiare il da farsi, purtroppo erano davvero poche le informazioni che erano riusciti a raccogliere, e nonostante molte idee fossero state proposte alla fine, per un motivo o per un altro, ogni nuovo piano veniva scartato. Durante quell’incontro, Ethan aveva quasi sempre fissato il pavimento, o le mura della camera. Le figure davanti a lui si facevano sempre più sfocate. Sapeva che era solo questione di tempo: quanto ancora ne sarebbe passato prima che la sua abilità svanisse del tutto? E allora come avrebbe fatto ad aiutare le Leggende, o Sam? Era tutto così complicato e incerto, e quella situazione precaria lo infastidiva. Inoltre, non vedeva l’ora di poter finalmente scovare Pitch Black per dargli la lezione che meritava. Gli importava poco del fatto che avesse attaccato lui perché lo aveva giudicato il più forte del gruppo, ma non poteva certo tollerare il fatto che adesso la sua follia avesse coinvolto Samuel, e che presto si sarebbe scatenata su Octavia e Nicole, e chissà quante altre persone. Per cui, in un modo o nell’altro, dovevano trovare una soluzione per contrastarlo, e dovevano farlo in fretta.

-E’ più forte-

Il Coniglio di Pasqua faceva sfoggio di diverse bruciature. Lui c’era, quando gli Incubi avevano attaccato Sam. Aveva tentato di fermarli, e tutti i suoi sforzi erano risultati inutili. C’era stato un tempo in cui un’orda di ombre si sarebbe dissolta alla sua sola presenza; in questa partita invece era il loro gruppo ad essere in svantaggio, erano loro a rischiare di svanire senza alcuna possibilità di ritorno. Di sicuro Pitch adorava quella situazione. Quello era ciò che lui aveva sopportato per infiniti anni, secoli di indifferenza, con la sola certezza che la gente non credeva più nella sua esistenza o, se ci credeva, semplicemente scrollava le spalle. Adesso doveva essere fiero del fatto di far provare ai nemici il vuoto che era stata la sua vita fino a quel momento, in cui un solo istante di gloria era in grado di dare l’illusione di emergere da un immenso abisso di noncuranza.

Come potevano, in quelle condizione, sperare di sventare i piani dell’Uomo Nero?

Ethan non aveva saputo essere loro d’aiuto, ed aveva terminato l’incontro con il morale a terra. Non sapeva nulla di più, non aveva neanche la più minima idea di cosa stesse architettando Pitch in quel momento. Non sapeva chi avrebbe attaccato, e come. Non sapeva dove si nascondeva, e dove teneva Sam. Non sapeva nulla che potesse essere utile, e quello lo demoralizzava più di ogni altra cosa.

Non c’era da meravigliarsi, dunque, se in quei giorni il suo morale non fosse dei migliori.

Nicole si guardò intorno come alla ricerca di qualcuno –Dov’è il tuo amico carino?-

-Sam dici?-

Nonostante le preoccupazioni a Ethan scappò un sorriso: chissà cosa avrebbe detto nel sapere che Nicole lo credeva “carino”. A quello seguì un sospiro e una riflessione: in fondo, non era giusto che Nicole sapesse? Anche lei faceva parte del gruppo, e le sue parole si erano rese utili già una volta. Così le fece un cenno e si appartarono in un angolo del corridoio, dove Ethan le raccontò gli ultimi avvenimenti, i problemi che tutt’ora persistevano e le poche speranze che nutrivano le Leggende per il futuro. In un certo senso gli sembrava strano trovarsi a confidare i suoi segreti a qualcuno come Nicole. Certo, lui non era proprio tipo da pregiudizi, ma c’era qualcosa in quella ragazza che lo metteva in soggezione; forse erano tutte le storie che sentiva raccontare sul suo conto, o forse il suo sguardo vago, o ancora quel suo canticchiare seguendo il ritmo con la testa anche in quel momento, mentre lui parlava. Di certo, quella non era una ragazza come tutte le altre, e forse era proprio per quello che aveva conservato il suo Dono. Ethan le vedeva, le ragazze moderne, soffocate da chili di trucco in viso, troppo finte per risultare belle, troppo vuote di carattere o banali. Nessuna di loro, ne era sicuro, era in grado di vedere le fate, e se solo gliene avesse parlato loro gli avrebbero riso in faccia chiamandolo “bambinetto”, come se loro fossero già adulte da molto tempo. Ethan non si spiegava la fretta che avevano certi ragazzi di crescere, l’impellente bisogno di abbandonare al più presto il mondo dei giochi per poi rimpiangerlo giorno dopo giorno. Non capiva perché la fantasia non potesse convivere con la realtà, e perché i sogni e gli amici immaginari dovevano essere nascosti o aboliti una volta raggiunta una certa età. Non capiva il desiderio di scalare in tutta fretta la montagna dell’infanzia per poi decidere di lanciarsi giù dalla cima e precipitare sempre più nell’età adulta, fino a schiantarsi una volta troppo grandi o stanchi.

-E poi- concluse infine –non sappiamo dove si trova il nascondiglio di Black-

-Oh, ma io lo so dov’è-

Ethan si fece attento –Lo sai?-

Com’era possibile? Doveva averla guardata con un’aria a dir poco sconvolta, perché lei si ritrasse e si strinse nelle spalle come se volesse proteggersi da un’improvvisa minaccia.

-Perché mi guardi in quel modo? Non ti dico bugie-

-No, scusa, è solo… davvero sai dov’è?-

Quella volta lei tentennò. Faceva uno strano gioco con le dita, intrecciandole tra di loro e stendendole di nuovo, per poi ricominciare sempre più veloce. Mosse per un paio di volte il capo da destra a sinistra, guardando in alto come a cercare il modo di concentrarsi.

-Bè, credo di saperlo-

Disse infine. Dopo tanti giorni di sconforto, per Ethan quelle parole furono una nuova promessa di speranza. Si impose comunque la calma: non poteva certo esultare e saltare dalla gioia nel bel mezzo della scuola.

-Puoi dirmelo?-

-Sai cosa è successo a Travis Mitchell?-

Come risposta non era poi un granché, e per di più sembrava del tutto fuori luogo. L’entusiasmo di Ethan si freddò: sperò che l’idea di confidarsi con Nicole fosse davvero buona come aveva pensato.

-No, non lo so. Non so neanche chi sia questo Travis Mitchell, a dirla tutta-

Nicole sorrise –Si vede che non segui i pettegolezzi. Travis è un mio compagno di classe. Adesso ascolta: io credo che Pitch Black si trovi a Southampton Yard, nel vecchio cimitero di periferia-

Ethan si passò una mano tra i capelli, confuso –E questo cosa c’entra con Travis?-

-Se mi ascolti te lo spiego. È da un po’ di tempo che nel vecchio cimitero succedono cose strane. La gente dice di veder passare delle ombre, e i lampioni della via si fulminano ogni notte. Oh, no, non serve cambiarli: il giorno dopo sono di nuovo fuori uso. Così si è diffusa la voce che il cimitero sia stregato. Cosa c’è di più banale di una storia come questa? Allora è iniziata una specie di scommessa, soprattutto tra i ragazzi: si sfidano a rimanere una notte intera nel cimitero: chi resiste senza scappare è il vincitore. Bè, ancora un vincitore non c’è. Oh no, perché tutti scappano via, e dicono di avere visioni catastrofiche, immense onde e figure fatte di nebbia nera, e i loro peggiori incubi sembrano prendere vita tra le lapidi. Nessuno ce l’ha fatta fino ad ora. No, nessuno-

-Sì, ma Travis…-

-Travis è stato l’ultimo a stare nel cimitero. È andato l’altro ieri notte, i suoi amici lo hanno lasciato stravaccato su una lapide con una bottiglia di birra come compagnia. Travis è uno tosto, è uno di quelli che se si trova davanti un fantasma lo scaccia lasciandolo dissipare dal phon per capelli. Comunque sia, Travis se la rideva di brutto per questa faccenda, perché, andiamo, com’è possibile lasciarsi spaventare da alcuni mucchietti di marmo? – queste sono state le sue parole la sera in cui è entrato nel cimitero. E la mattina dopo lo hanno trovato accanto a quella lapide, ma si teneva la testa tra le mani e piangeva come un mocciosetto. Diceva coste strane a proposito di ombre striscianti, e di un uomo che lo ha tormentato fino all’alba, uno spirito nero come la notte senza luna, e crudele. Però, in effetti non ha abbandonato il cimitero, quindi adesso non sanno se ritenerlo vincitore o meno-

Di quello a Ethan importava ben poco. C’era anche da dire che Travis, sveglio per tutta la notte e con una buona dose di alcool in circolo, non era un testimone molto affidabile. Ma se quello che aveva detto era vero, allora forse la presenza misteriosa che infestava il cimitero di Southampton Yard era davvero Pitch Black. E se la presenza era davvero Pitch Black, allora lui e i Guardiani potevano ritornare in gara: avevano persino un vantaggio, loro sapevano dove infine Pitch si era insediato, ma lui non sapeva che loro lo avevano scoperto. Dunque, se trovavano il cimitero trovavano Pitch, e se trovavano Pitch probabilmente avrebbero trovato anche Sam.

-Ma è grandioso! Però bisogna esserne davvero certi. Non mi fido molto di un tipo mezzo ubriaco, per di più morto di sonno-

-Possiamo andare a parlargli. Io lo conosco-

Lui avrebbe voluto andare subito, ma non avrebbe avuto il tempo necessario a condurre un interrogatorio sufficientemente attendibile e completo. Avrebbe avuto bisogno di tempo per sbrigare alcuni preparativi.

******

Quel pomeriggio erano entrambi davanti la porta di casa Mitchell. Ethan era nervoso, non vedeva l’ora di venire a capo di quel mistero, e l’occasione di scoprire dove si trovasse Sam gli aveva messo addosso una sorta di frenesia impossibile da dissimulare. Adesso batteva nervosamente con il piede un gradino d’entrata dell’abitazione, impaziente che qualcuno venisse ad aprire in seguito alla scampanellata. Accanto a lui Nicole canticchiava una filastrocca che parlava di corvi bianchi e una città al di là del mare.

Dopo un tempo che gli parve infinito la signora Mitchell li fece accomodare dentro, dando loro il via libera per salire al piano superiore e andare a trovare il figlio. Sulla porta della camera di Travis era appeso un cartello nero sul quale era stato maldestramente dipinto un teschio, sotto il quale spiccava una scritta rosso sangue per nulla amichevole: GET OUT!

Che tipo caloroso doveva essere, venne da pensare a Ethan mentre Nicole bussava alla porta. Per metà ovattato dallo spesso strato di legno giunse una sorta di grugnito in risposta.

-Chi diamine è?-

Nicole si accostò alla porta –Sono io, Nicole. Nicole Harris, della tua classe-

-Sì, lo so chi sei-

-E allora? Fammi entrare-

Un sospiro esasperato accolse quella richiesta. Per alcuni istanti non successe nulla, poi dall’interno giunse un tramestio e poco dopo la porta si aprì. La faccia contrariata di Travis non lasciava margine di dubbio su quanto quella visita fosse poco gradita. Nicole aveva ragione: era un ragazzo alto, impostato, i capelli corti erano tagliati a spazzola e pettinati ritti sulla testa, imbevuti di gel. Dal suo aspetto si sarebbe detto che nulla avrebbe potuto anche solo turbarlo in minima parte. I suoi occhi verdi – a Ethan ricordarono molto gli occhi di Sam, e una strana fitta di nostalgia gli aveva stretto lo stomaco – si posarono poi sul ragazzino. Un sopracciglio scattò verso l’alto.

-E lui chi sarebbe?-

Aveva un piercing alla lingua, e ogni volta che parlava il metallo sbatteva sui denti tintinnando. Nicole sgusciò dentro e si trascinò Ethan dietro. La stanza del ragazzo non era certo in condizioni di accogliere ospiti: il pavimento sembrava un campo di battaglia, disseminato di vestiti appallottolati e riviste accartocciate. Il letto era per metà sfatto, segno che Travis ci stava stravaccato sopra quando erano arrivati loro. Alle pareti erano attaccati svariati poster di cantanti metal sconosciuti o ragazze mezze svestite.

-E’ un mio amico-

Fu la risposta di Nicole. Forse era stata solo una sua impressione, ma a Ethan parve di scorgere una punta di orgoglio nella voce della ragazza. Chissà, lui era forse stata la prima persona che le si era avvicinata senza l’intenzione di schernirla, senza giudicare i suoi modi di fare strampalati e senza dirle quanto le sue canzoncine fossero idiote e inquietanti. Si ritrovò a sorridere, provando un sincero moto di affetto verso quella strana ragazza.

Travis, al contrario, non parve affatto cogliere alcuna sfumatura nella voce di Nicole. Si limitava a guardarli con le braccia incrociate, in viso stampata un’espressione di noia mortale.

-Questo lo vedo. Altrimenti non te lo saresti portato dietro. Bè, che volete?-

-Credo che potresti darci delle informazioni- ribatté Nicole. A quel punto iniziava la messa in scena –lui vuole provare la sfida del cimitero-

Travis sgranò gli occhi e per la prima volta parve guardare davvero il ragazzino che aveva davanti. Subito dopo cominciò a sghignazzare –Tu? Ma fammi il piacere! Davvero pensi di poterci riuscire, nanerottolo?-

-Non mi pare ci sia una regola che impedisca ai nanerottoli di provare, sbaglio?-

La risata di scherno di Travis venne smorzata: di certo non si aspettava una risposta del genere. Il nanerottolo in fondo sapeva il fatto suo.

Nicole continuò –Ethan è coraggioso. Però tu potresti istruirlo di più su cosa c’è da aspettarsi lì dentro-

-Scordatelo- Travis si ritrasse –poco ci manca che mi arrivi la stampa in casa da un momento all’altro. Non ho nulla da dirvi-

-Andiamo, Travie. Lo sai che mi sono sempre piaciuti i racconti del mistero. Non sei stato tu a raccontarmene alcuni dei più terrificanti? Sarà come allora, solo che stavolta i fatti saranno reali-

Lui rimase a squadrare i due amici come riflettendo su quelle parole, giocherellando con il gingillo che aveva sulla lingua. Poi sospirò: in fondo il peggio era accaduto, e aveva ripetuto quella storia così tante volte che ormai una in più non gli faceva differenza.

Dapprima, raccontò, era stato tutto normale. Aveva scavalcato il vecchio cancello arrugginito e si era fatto passare la birra attraverso le sbarre. Poi si era accomodato su una tomba, dato che l’alternativa era sedersi sull’erba ghiacciata e incolta. E i suoi amici lo avevano lasciato lì. Era passato molto tempo, o forse poco, mentre il livello del liquido nella bottiglia andava diminuendo e lui se la rideva di brutto alle spalle di quei fifoni che si lasciavano suggestionare dai racconti dei vecchi sulle presenze arcane di quel luogo. Agli anziani piaceva raccontare quelle storie, lo sapeva, tramandavano le leggende che derivano dal folklore popolare dei loro paesini, e il più delle volte in quei racconti non c’era nulla di vero. Per cui, qual era il motivo per preoccuparsi?

La notte era calata in fretta, e gli unici rumori erano quelli delle automobili in lontananza, e il rado verso di un uccello notturno. Travis stava già per cantare vittoria quando le ombre iniziarono ad apparire. All’inizio aveva creduto che fosse solo un gioco di luci, quando le nuvole coprivano la luna e poi le passavano oltre. Chi era così stupido da lasciarsi spaventare da una cosa simile? Poi, fuori dai cancelli, uno dopo l’altro i lampioni del viale si spensero; la luce arancione tremolava fino ad estinguersi, facendo piombare l’intera via nell’oscurità totale, lasciando solo la fredda luce stentata della luna come unica fonte di illuminazione. Dentro il cimitero, invece, i lumini posti sotto le croci storte delle lapidi si accesero come tanti piccoli occhi del colore del fuoco. Va bene: niente più luce artificiale. E allora?

Dopo ancora le ombre della notte parvero addensarsi, congiungersi tutte in unico spiazzo e innalzarsi in una colonna dalla quale prese forma la sagoma di un uomo. Una risata macabra riempì l’aria mentre il nuovo arrivato avanzava con un sorriso verso il giovane temerario che si era addentrato nel cimitero.

-Dunque sei tu che sei venuto a giocare con me questa notte-

Travis aveva sbuffato, credendo che quello fosse in qualche modo un trucco ideato dai suoi amici per spaventarlo e fargli perdere così la scommessa; ma aveva anche avvertito un brivido che non provava più da tempo. Quel freddo che penetra nelle ossa e ti ghiaccia sul posto l’aveva quasi dimenticato. Subito dopo, i suoi incubi avevano preso vita.

Nessuno sapeva cosa avrebbe potuto spaventare Travis Mitchell, ma ognuno di noi conserva il ricordo di qualcosa che, anche a distanza di anni, è capace di farci tremare ancora nonostante lo scampato pericolo.

Nessuno l’avrebbe mai detto, ma Travis aveva paura dei cani, quelli di taglia grande, perché da bambino era stato aggredito dal pitbull dei vicini ed era stata necessaria una corsa disperata all’ospedale. Travis aveva paura delle armi e degli spari, perché a quindici anni si era ritrovato coinvolto in una rissa e qualcuno, sparando, lo aveva colpito a una spalla, alla quale ancora oggi portava la cicatrice. C’erano infinite, piccole cose all’apparenza insignificanti che potevano suscitare una reazione disperata anche nel più coraggioso degli uomini. Per tutta la notte era stato un continuo risuonare di spari nell’oscurità, e una corsa tra le cappelle diroccate e le croci spezzate per sfuggire a grandi cani neri dagli occhi d’oro che riempivano l’aria di ringhi e ululati, e non erano mai stanchi per quanto corressero veloce.

Tutto quello era sembrato dover continuare in eterno, e solo alle prime luci dell’alba tutto era scomparso e l’uomo lo aveva lasciato in pace, svanendo come un’ombra man mano che il sole avanzava il suo cammino in cielo.

Di tutto quello, Travis non avrebbe saputo dire quanto fosse vero e quanto era dovuto alla stanchezza o all’immaginazione esasperata. Ma una cosa era certa: quella notte, dopo tanti anni, aveva riscoperto cos’era la paura.

Terminato il racconto, Ethan e Nicole si guardarono. Ormai ne erano certi: non poteva trattarsi d’altro se non di Pitch Black. Un dubbio, sorto a quelle parole, aveva smosso la curiosità del ragazzino.

-Ma quindi- si rivolse a Travis –tu non credi nei fantasmi, o nelle creature fatate?-

Lui sbuffò con evidente sdegno –Hei, ma per chi mi hai preso?! Ti sembro persona che possa credere nelle creature fatate?-

Quella risposta, purtroppo, confermava il pensiero di Ethan: quello non era più un attacco rivolto solo ai ragazzi che, come loro, erano in grado di contrastare il suo potere con la forza della fede nelle favole. La guerra di Black era iniziata, e il suo obiettivo era adesso intera. Era evidente che non attaccava più la gente prescelta allo scopo di diminuire ancora il potere dei Guardiani, adesso attaccava solo per il piacere di dimostrare di essere in grado nuovamente di causare panico e dolore.

 Era tutto quello che gli serviva sapere. Quando si congedarono Travis lo guardò con una punta di incertezza.

-Quindi, vuoi ancora andare a Southampton Yard?-

Non avevano scelta. Ethan annuì con decisione, e sul viso di Travis passò per un breve istante un lampo di ammirazione.

-Ne hai di fegato, nanerottolo-

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Salve a tutti, eccomi tornata anche se con un po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia.

Però adesso almeno sappiamo dove trovare quella canaglietta sabbiosa (?) di Pitch, che ovviamente si è trovato un posticino taaanto confortevole. Non so, il cimitero mi è sembrato un luogo appropriato dove rintanarlo, sempre meglio di quella specie di tombino dove si era infilato nel film – che sembrava tanto il rifugio delle tartarughe ninja.

 

*spazio della cosa cretina*  Sapete che qualche giorno fa l’Etna ha eruttato, no? Ecco, nel balcone del mio salotto la mattina dopo c’era tanta di quella cenere nera che ho pensato che Pitch fosse passato a campeggiare fuori da casa mia, magari per punirmi di tutte le volte che gli ho detto “adorabile pallina di fuliggine”. Magari si era pure nascosto nel vaso dei gerani e io non ci ho fatto caso. Anche se credo che, se solo Pitch arrivasse a tentare di spaventarmi, lo accoglierei sprimacciandogli la faccia a ritmo di “Macchesseicariiinocarinocarinooo!” – poi bè, credo che chiederebbe la pensione, e allora avrò definitivamente liberato il mondo dall’Uomo Nero u.u oh yeah! xD

 

Ah però! Sono arrivata al capitolo 10 senza accorgermene, quanto sono attenta xD allora colgo l’occasione per ringraziare chi mi ha seguito fin qui e chi si è fatto avanti man mano che la storia procedeva, sappiate che vi troverò e vi sprimaccerò *--* in particolare grazie a Enivelsa e Kamelye per aver inserito la storia tra le Seguite, e Eirinya per averla inserita tra le Seguite e Ricordate, nonché per la bella recensione :D

 

E anche per questa volta ho detto tutto, non mi resta che dileguarmi e darvi appuntamento al prossimo capitolo ;)

Kisses

Rory_Chan

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


Nightmares Are Back

11

 

Ethan avrebbe subito voluto precipitarsi a Southampton Yard: nella sua immaginazione lui avrebbe trovato il nascondiglio di Pitch Black, gli avrebbe mollato un paio di sberle per regolare i conti e poi sarebbe ritornato a casa con Sam. Nella realtà, invece, le Leggende misero ben presto a tacere le sue proposte belliche. Si trovavano sul retro del bar in cui lavorava Ellen, seduti attorno ad un tavolo a studiare un piano di attacco. Nicole era con lui, e anche Octavia si era aggiunta al gruppo; la bambina era stata davvero felice di sapere dove potevano ritrovare Samuel e – ma questo l’aveva tenuto per sé – non vedeva l’ora di vedere Ethan in azione: era certa che, adesso che sapeva quale era il suo obiettivo, nulla l’avrebbe fermato. Neanche l’Uomo Nero.

-Lui non può aspettarsi il nostro arrivo-

Ethan, infervorato com’era, non si curava neanche di tenere basso il tono della voce. Gesticolava in modo fin troppo plateale, e si curava di dare una dettagliata spiegazione di come avrebbe spaccato tutte le ossa di Black se solo a Sam fosse successo qualcosa. Era scattato in piedi, le mani serrate attorno al bordo del tavolo. Per fortuna a quell’ora la strada e il locale erano deserti.

Guardò i compagni impaziente, certo di avere la piena approvazione del gruppo. I Guardiani si scambiarono un’occhiata perplessa; si stupivano ancora di quanta energia quel ragazzino potesse avere dentro di sé, nonostante la loro situazione fosse ancora disastrosa malgrado la nuova scoperta. L’entusiasmo di Ethan si smorzò: perché la risposta tardava ad arrivare?

Nord si schiarì la voce, guardando impacciato gli altri –Ecco forse…-

-Cosa?-

-Non è prudente addentrarsi nel territorio di…-

-Sì che lo è!-

-Potrebbe essere rischioso-

Ethan stava per replicare, ma le parole gli morirono in gola. Guardò l’anziano spirito di fronte a sé e poi tutti gli altri. Sul viso gli si era dipinta un’espressione di vivo disappunto.

-No- scosse con decisione la testa –no, scordatevelo-

-Ethan, cerca di capire: non possiamo mettervi tutti in pericolo-

-E quindi intendete piantarci qui? Va bene, sono d’accordo che Nicole e Octavia restino al sicuro, ma io…-

Non seppe più come continuare. Nord si era alzato e lo scrutava dall’alto in basso, e sotto quello sguardo perentorio Ethan si sentì di nuovo come il bambino che era quando aveva incontrato Santa Claus la prima volta: piccolo e del tutto insignificante di fronte all’antica luce di quello sguardo senza tempo. Nonostante la figura della Leggenda fosse sbiadita ai suoi occhi, non gli sfuggiva di certo l’ammonimento di quelle iridi celesti: era inutile discutere.

Il ragazzo strinse i pugni: erano arrivati fin lì insieme, se adesso che era giunta la resa dei conti l’unico suggerimento dei Guardiani era di rinchiudersi in casa, allora avevano fatto male i loro conti. Guardò le Leggende con aria supplichevole, non riuscendo più a nascondere la preoccupazione.

-Io vengo. Devo trovare Sam. Per favore- il suo sguardo passò in rassegna gli spiriti di fronte a lui in cerca di sostegno –devo trovare Sam…-

Un lungo silenzio seguì quell’affermazione disperata. Un gioco muto di sguardi corse tra Nord e i compagni: tutti sapevano che il convincere Ethan a non partecipare attivamente alla lotta contro Black sarebbe stata un’impresa titanica, un’impresa che con molta probabilità nessuno di loro sarebbe riuscito a concludere neanche con la più ferrea fermezza. Quel tentativo stava andando a vuoto proprio come avevano previsto.

Infine il Guardiano annuì.

Solo mezz’ora dopo il gruppo si trovava di fronte ai cancelli socchiusi del cimitero di Southampton Yard. L’aria era fredda e immobile, e ma mano che si avvicinavano alla loro destinazione il cielo era diventato sempre più cupo. Grosse nuvole nere stavano immobili sopra di loro, sembravano quasi circondare l’intero perimetro del camposanto. Una fitta nebbia grigia era sospesa nell’aria; tutto il paesaggio sembrava sfocato e risultava ancora più tetro di quanto fosse in realtà.

Per un po’ rimasero tutti a guardarsi intorno, indecisi su cosa fare. Ethan teneva Octavia per mano, la bambina teneva le dita strette alla sue e cercava di scrutare oltre i cancelli arrugginiti. Nicole si guardava intorno, sillabando i nomi sbiaditi sulle cappelle e le lapidi più vicine. Aveva un sorriso triste dipinto in viso.

-Sapete, qui ci sta la mia mamma-

I ragazzi la guardarono sorpresi, ma lo sguardo di lei vagava sul paesaggio in lontananza.

-Non ho pensato di portarle dei fiori. Alla mamma piacevano i fiori. Prima papà e io venivamo a trovarla spesso, e ripulivamo il suo posto ogni volta. Poi lui ha smesso, e non mi ci ha più portata. Forse pensava che mi faceva male venire qui. O forse faceva male a lui. Non sono mai riuscita a deciderlo-

Tra tutti, era Octavia ad essere rimasta più impensierita da quella confessione. Aveva per un attimo provato ad immaginare come sarebbe stata la vita senza la sua mamma, e le si era presentata alla vista la prospettiva di una vita buia e triste. Un tempo le sarebbe piaciuto vivere con il padre, ma questo era stato molto tempo fa. Adesso il suo papà non le piaceva più, e l’idea di dover abitare con lui senza la madre le faceva paura.

-Davvero non hai più la mamma?-

Nicole abbozzò un sorriso e si chinò per arrivare alla sua altezza –Ce l’ho ancora la mamma. Solo che non è più umana: adesso è un angelo, l’angelo più bello del cielo, credo. A volte la vedo, sai? Viene a sedersi sul mio letto, la notte, e io posso parlarle di tutto quello che voglio. Lei mi ascolta sempre, e a volte in sogno mi dà consigli. So che è con me, anche se io non posso vederla sempre-

Mentre parlava Ethan la guardava, sempre più sorpreso da ciò che quella ragazza si stava rivelando. A vederla così, con quel suo aspetto trasandato e i vestiti scuri e fuori moda, con quel suo sguardo trasognato, non c’era da farsi meraviglia che la gente la vedesse come una persona strana, in qualche modo diversa da tutti. Ma sarebbe bastata una seconda occhiata, sarebbe bastato rivolgerle la parola per capire che, dietro quella sua stravaganza, c’era qualcosa di più che semplice noncuranza della propria immagine. Perché la gente non era in grado di mettere da parte i pregiudizi e cercare di capire da sé come davvero erano le persone?

Alcune raffiche di vento scatenarono loro contro una danza di foglie morte e spazzarono in parte via la nebbia. Presero ad incamminarsi tra le croci e le cappelle diroccate, senza una vera meta.

Tutto era muto, fatta eccezione per le canzoncine di Nicole.

-… e così, nelle notti, al fianco io giaccio del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa, nel suo sepolcro lì in riva al mare, nella sua tomba in riva al risonante mare-

Che certo non aiutavano ad alleggerire l’atmosfera del luogo.

-Ma cos’è?-

Lei li guardò sorpresa –Annabel Lee. Edgar Allan Poe. Conoscete Edgar Allan Poe, vero?-

-Sì, ma…-

-Preferite I Sepolcri, di Foscolo? … oh, eccola!-

E indicò qualcosa in lontananza, lasciando da parte le proposte di recitazione. Il suo dito puntava a una cappella poco distante.

-Travis ha detto che alcune delle ombre quella notte sono uscite da lì. Conviene dare un’occhiata-

L’edificio aveva accesso attraverso alcuni scalini. Non c’era tempo per discutere, così Ethan dovette accettare che le Leggende fossero i primi ad addentrarsi nella piccola camera buia; loro avrebbero aspettato lì il segnale di via libera. Dopo che i Guardiani furono spariti in quell’antro buio un tempo infinito parve trascorrere nell’immobilità silenziosa del cimitero. I ragazzi cercavano di scrutare l’interno del sepolcro, impazienti di ricevere un segno. L’unica cosa viva, lì dentro, sembrava il buio, tutti e tre avrebbero potuto giurare di vedere figure evanescenti danzare all’interno della cappella abbandonata, e l’aria parve riempirsi di sussurri incomprensibili.

Ethan guardava quell’oscurità senza quasi curarsi delle ombre che avevano preso vita in essa. Sam era lì, se lo sentiva. Non poteva aspettare un secondo di più. Si alzò dalla croce sulla quale aveva preso posto e fece un passo nella struttura fatiscente.

-Io vado- si rivolse alle ragazze dietro di lui –voi restate qui. Non allontanatevi per alcun motivo. Il tempo di spaccare la faccia a Black e sarò di ritorno-

Nessuna delle due ebbe il tempo di protestare: un attimo dopo il ragazzo era sparito nel buio.

L’interno della cappella era scuro come la notte senza luna. Ethan dovette avanzare con cautela, poggiando una mano sul muro polveroso e umido. Quasi subito batté su qualcosa di duro e freddo e rischiò di inciampare: era arrivato ad un cancello semiaperto che conduceva ad una scala in discesa. Imprecò sottovoce, puntellandosi contro il muro e iniziando la discesa. Ogni scalino sembrava sporgere nel vuoto e tutto era freddo e scivoloso. Dopo quella che gli sembrò un’eternità, infine il ragazzo arrivò ad un nuovo corridoio alla fine del quale proveniva una scarsa luce. Attorno a lui sembravano sfrecciare ombre sussurranti, residui di incubi lontani. Ethan strinse i pugni: se Pitch sperava di spaventarlo in quel modo aveva sbagliato di grosso.

Si avvicinò passo dopo passo a quella luce sfocata fin quando non sbucò in una sala di medie dimensioni nella quale sembrava essersi scatenato l’inferno: infinite ombre volteggiavano vorticosamente nell’aria, per di più attorno ai Guardiani, spinti in un angolo della stanza. L’odiosa risata di Black si levava vittoriosa, disperdendosi in un’eco infinita tra le pareti di roccia. L’uomo Nero gli dava le spalle, in quel momento si ergeva come un’ombra gigantesca sugli occupanti della cripta.

Tutto quello, lo sguardo di Ethan lo colse in un secondo: subito dopo venne catturato da qualcosa di ben più importante. Il suo intuito non si sbagliava: Sam era davvero lì, di fronte a Pitch, le spalle contro il muro. Un sollievo infinito colse il ragazzo il tempo strettamente necessario a risollevargli lo spirito. Subito dopo fece il suo ingresso in sala in una corsa che non si curava degli Incubi sibilanti intorno a lui, con un unico, chiaro obiettivo.

-Sam!-

Tutti gli occhi si puntarono su di lui; si fermò a pochi passi dall’Uomo Nero, pronto per la resa dei conti. Agli occhi dello spirito non doveva certo sembrare un granché di avversario: era solo un ragazzino dai vestiti impolverati e i capelli scomposti, i pugni stretti come pronto alla lotta, il respiro corto dovuto alla corsa. Eppure c’era qualcosa, in quel suo sguardo scuro, che continuava a brillare, combattendo le ombre fuori e dentro di sé. E questo, senza dubbio, era qualcosa che l’Uomo Nero continuava a detestare.

Se dunque con la sua entrata in scena non avesse fatto molta impressione su Black, in compenso Samuel lo aveva trovato di gran lunga il più bello di tutti gli eroi. Non aveva creduto di poterlo rivedere, e le maligne insinuazioni di Pitch sul fatto che di certo Ethan non si sarebbe preso la briga di andare a cercarlo avevano in qualche modo spento le sue speranze. Ma adesso, adesso che lui era lì d’un tratto tutto gli sembrava possibile.

Ethan fece per corrergli incontro, ma Black gli sbarrò la strada.

-Hei, hei, non così in fretta, ragazzino. La partita non è ancora finita-

-Fatti da parte, Pitch-

-Oh no, Ethan, sei tu che devi farti da parte! Non ti sei guardato intorno? È finita. È finita per le tue Leggende, è finita per i sogni di speranza, ed è finita per te. Come pensi di poter combattere tutto questo? Che potere puoi mai avere per fermare me?-

-Io…-

Il ragazzino abbassò lo sguardo sui propri pugni. In effetti le prospettive di vittoria erano al quanto scarse. Erano soli, lui e Sam, e i Guardiani, presi com’erano dalla lotta contro gli Incubi che li assediavano, non avrebbero potuto difenderli in alcun modo. Come potevano, loro due, pensare di poter sconfiggere l’esercito di ombre dell’Uomo Nero?

Poi ricordò il motivo per il quale si trovavano in quella situazione. Loro non erano due ragazzini comuni, come i tanti piccoli adulti che popolavano le città del mondo. Loro avevano un potere celato nel cuore, il dono più prezioso che un bambino potesse custodire man mano che l’età adulta si avvicinava inesorabile. Con quello, avrebbero potuto farcela. Ethan si ritrovò a stringere i pugni con tanta forza da farsi male. Sollevò lo sguardò su Black e l’Uomo Nero si sentì quasi graffiare dalla luce di quegli occhi da ribelle.

-Io credo-

Mai la sua voce era suonata tanto forte e sicura di quel che diceva. Pitch si ritrasse, guardandolo furente. Era ora di terminare i giochi con quel piccolo impertinente. Non tollerava più il suo sguardo, né il suono della sua voce, né la sua presenza. Era giunto il momento di liberarsene una volta per tutte.

Con un gesto rabbioso Pitch Black diresse un fascio di quelle ombre verso quello che era diventato il suo avversario peggiore, l’ossessione che rischiava di annientare i suoi sogni di rinascita.

Ma l’attacco non raggiunse mai il suo bersaglio. Sam si ritrovò a barcollare e subito dopo in ginocchio, una mano stretta al petto. Un gelo di morte sembrava volergli penetrare fin dentro le ossa, e per un attimo si sentì soffocare da una sensazione di panico del tutto ingiustificata. Poi sentì Ethan scuoterlo per le spalle e il suo viso teso dalla preoccupazione gli si affacciò alla vista.

Gli si era parato davanti inaspettatamente, facendogli da scudo contro il colpo dell’Uomo Nero.

-Sam, che cosa…? Perché…?-

In qualche modo gli venne spontaneo sorridere –Te l’ho promesso, ricordi? Avremmo combattuto questa guerra insieme. Sai io… io non sono mai stato come te. Non sono né forte né coraggioso, non sono mai stato all’altezza delle difficoltà che ho incontrato. Ma questa volta… credo di aver trovato una ragione per cambiare. Non è sempre possibile scappare dai guai, né puoi sempre contare su qualcuno che ti difenda. I tuoi problemi puoi affrontarli solo tu, perché è dopo i problemi che c’è il lieto fine. E per fare questo devi essere forte. Io… è così che voglio essere. Ora ho capito. Non nasci forte o debole, ma lo diventi in base a come ti comporti davanti ai problemi della vita. Io fuggivo sempre, e mi lasciavo sconfiggere. Ma adesso voglio vincere, questa e altre battaglie. Lo faremo insieme, vero Ethan? Io non ti lascerò solo-

Ethan ascoltava e lo fissava con uno stupore sempre maggiore, e qualcos’altro, a scaldagli il cuore. Orgoglio di lui, o qualcosa di del tutto diverso. Sam era cresciuto molto in quei mesi, ma solo allora gli parve di ritrovarsi davanti il vero Samuel che era nato da quando si erano conosciuti.

Strinse la mano che l’amico aveva ancora stretta al cuore e rimasero entrambi ad ascoltare quei battiti regolari quasi fossero rimasti per sempre fermi in quella frazione di tempo che si moltiplicava all’infinito.

Black fremeva di rabbia. Non riusciva a tollerare quella vista, quei due ragazzi così vicini e le loro mani unite, e quei loro sguardi persi l’uno in quello dell’altro.

Cos’era qual sentimento che leggeva nei loro occhi…? Tutt’intorno a loro sembrava formarsi un alone luminoso sempre più splendente, e quella luce lo bruciava ma mano che rischiarava la sala sotterranea. Le ombre si ritraevano fischiando, vorticando sulle pareti in cerca di riparo. Non potevano fermarlo. Non potevano davvero riuscire a fermarlo.

Ma quando si avvicinò per tentare di separarli entrambi si alzarono, Sam afferrò il braccio che Pitch aveva proteso verso di loro e di nuovo l’orrore del fallimento arrivò a spezzare l’anima stracciata dell’Uomo Nero. Era chiaro che non lo temevano, che non si sarebbero fermati. A contatto con la mano del ragazzino la sua figura cominciava a bruciare, così com’era successo quando Ethan l’aveva toccato per la prima volta. Inutile tentare di fargli mollare la presa. In pochi secondi Black fu un ginocchio, una smorfia di dolore impressa sul viso di cenere. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi che aveva così ferocemente odiato per tutto quel tempo: tuttavia non c’era vittoria, nello sguardo di Ethan, né compiacimento. Tutto ciò che l’Uomo Nero riusciva a leggervi era solo una profonda pietà.

Quando infine il ragazzo allungò una mano e poggiò il palmo all’altezza del cuore, lì dove per la prima volta Pitch l’aveva colpito, si levò un inferno di vento freddo e un turbine di ombre impazzite insieme ad un ultimo grido di quello che era stato il Signore dell’Oscurità.

Tutto si placò dopo un tempo indefinibile e null’altro rimaneva di Pitch Black se non lievi tracce di cenere nera sparse sul pavimento di roccia.

I ragazzi ispezionarono la sala con cautela, ancora troppo stupiti per credere che tutto fosse finito.

-Ce l’abbiamo fatta…?- Sam scrutava ogni angolo quasi si aspettasse di vedere l’Uomo Nero sbucare di nuovo dall’ombra –Hei, ce l’abbiamo fatta davvero!-

-Ottimo lavoro di squadra-

La voce gioviale di Nord proveniva dalle loro spalle. Quando Ethan si voltò non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: di nuovo le Leggende avevano acquisito, ai suoi occhi, quell’alone di splendore immortale con cui li aveva sempre visti. Era finita, dunque, e tutto era andato per il meglio. Aveva conservato la sua fede e ritrovato il suo pieno potere. E ancora…

Si voltò di nuovo e un attimo dopo stringeva Sam tra le braccia, colto dal sollievo di saperlo finalmente fuori pericolo.

-Sei stato un vero cavaliere. Non ce l’avrei mai fatta senza di te-

Lui si era irrigidito, nell’imbarazzo più totale. Avrebbe potuto scommettere di avere le guance in fiamme, e un fastidioso nodo in gola minacciava di incrinargli la voce alla minima parola che avesse osato pronunciare. Tuttavia ricambiò la stretta, e poteva giurare che non esisteva epilogo migliore di quel momento.

-Te l’avevo detto che non ti avrei lasciato solo-

A pochi passi da loro, i Guardiani osservavano la scena con un sorriso, lieti del fatto che tutto si fosse infine risolto, e certi che un’altra storia sarebbe presto cominciata per quei due ragazzi. Nord strizzò l’occhio rivolto a Jack, sollevando al contempo le mani come in segno di resa.

-In fondo avevi ragione su loro due-

-Andiamo, Nord- un sorriso spigliato in risposta –io ho sempre ragione-

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Buonciao a tutti!

Bè… in realtà mi sarebbe piaciuto aggiornare prima del nuovo anno, purtroppo nel periodo prefestivo non ero proprio dell’umore adatto per scrivere – sì: sono un Grinch, odio le feste xD o meglio, odio la confusione che le feste portano, quindi credetemi quando dico che, paradossalmente, verso Natale ho i maròn particolarmente girati. Comunque! Spero che voi abbiate passato delle belle vacanze e che Nord via abbia portato tanti regali :D

 

Per quanto riguarda l’aggiornamento, credevo che la storia sarebbe stata un po’ più lunga, e invece il prossimo sarà già  l’ultimo capitolo <_< mi ci stavo affezionando… d’altronde Pitch è “esploso”, abbiamo ritrovato Sam, i Guardiani sono tornati vispi e luccicanti… credo che tutto sia andato a buon fine, no? Vi avevo promesso che non avrei ucciso nessuno *Black la guarda male*hem, quasi nessuno, a parte il cattivone della situazione che in qualche modo doveva pur scomparire di scena, non ti lamentare sai! Sono stata mooolto clemente, chiedilo ai miei OC originali u_u

Ok, lo ammetto, mi è dispiaciuto fare del male al povero Pitchino, spero non me ne voglia. Si sarà già appostato sotto il mio letto? Probabile. Vorrà dire che ricorrerò al sistema dello sprimaccia-guancina-fino-all’esaurimento *^* a noi due, Black >: )

 

Chiudendo i siparietti idioti, mi pare che non ci sia null’altro da dire.

 

P.S: Ricordate di venerare Edgar Allan Poe, o Nicole ci rimane male.

 

Saluti e buon anno (anche se schifosamente in ritardo),

alla prossima,

Rory_Chan

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Nightmares Are Back

12

 

Erano passate ormai quasi due settimane da quando la battaglia contro Pitch era terminata, e si poteva dire che la vita avesse ripreso il suo normale corso portando ad ognuno dei ragazzi un piccolo dono. Dopo molto tempo, Nicole trovò il coraggio di chiedere al padre di riprendere le loro visite domenicali alla tomba della madre; lui era quasi sembrato sollevato da quella richiesta: forse, proprio come aveva supposto la ragazza, da molti anni l’uomo era stato come bloccato dal dolore che la vista della lapide della moglie gli suscitava. Ma come gli aveva detto la figlia – che aveva infine potuto citare Foscolo – il ricordo delle persone care scomparse rimaneva vivo proprio grazie a quei marmi.

Le cose sembrarono andare meglio anche per Octavia. Come aveva detto agli amici la sua mamma aveva cambiato lavoro e adesso stava già molto meglio. E, cosa più importante, forse lei aveva anche trovato un nuovo papà; sì, perché la signora Blake aveva conosciuto grazie al suo nuovo impiego un vero gentiluomo con il quale spesso e volentieri andava a prendere il caffè durante la pausa. Roger, così si chiamava, le aveva persino invitate a cena, e si era innamorato di Octavia a prima vista. Ancora Octavia non capiva a fondo quello che stava succedendo tra quell’uomo nuovo e la sua mamma, ma capiva che lui iniziava a volere bene ad entrambe, e inoltre sembrava molto più simpatico del suo primo papà.

Per il resto, la polizia aveva piantonato casa Jefferson per ancora diversi giorni, ma era riuscita ad ottenere solo vaghe informazioni su uno psicopatico nascosto in una cappella nel vecchio cimitero di Southampton Yard. Purtroppo, ogni ricerca del rapitore era risultata vana.

E Ethan e Sam? La vita continuava apparentemente monotona tra la scuola e lo studio. Quello che era cambiato, in loro, era qualcosa di più profondo, custodito nell’animo come il più prezioso dei tesori.

-E’ finita, dunque-

Disse un pomeriggio Sam, una nota di insolita nostalgia nella voce. Erano seduti al parco, su una panchina in disparte dal resto della gente che affollava i giardini. Tutto sembrava così normale che quasi nessuno dei due poteva pensare di aver vissuto un’avventura tanto incredibile. Eppure entrambi ne erano certi: non si era trattato di un sogno.

Ethan lo scrutò con la coda dell’occhio –Ti dispiace?-

-Bè… è stato tutto così assurdo. Però, del resto è stata come una rivelazione. Prima credevamo nella magia più che altro prendendola come un dogma, adesso invece sappiamo che è reale. Tutto sarà come è sempre stato, probabilmente vivremo una vita come quella di tutte le altre persone, ma sapremo che ciò che verrà tramandato, le vecchie favole e leggende, sono davvero reali. È come sapere qualcosa di sconosciuto al resto dell’umanità, non credi? Qualcosa che ti rende indipendente dalle convenzioni e dal pensiero comune. Ti fa sentire libero-

Lui si ritrovò a sorridere: gli piaceva quando Sam si metteva a filosofare in quel modo. Gli piacevano quelle sue considerazioni sulla libertà e quel suo modo di esprimerle come se fossero semplici nozioni fondamentali di vita. In realtà gli piaceva tutto di Samuel, indipendentemente dal suo modo di pensare.

Sospirò e si allungò sulla panchina, rimanendo per un po’ a far vagare lo sguardo tra l’azzurro del  cielo e i rami spogli degli alberi.

-E’ quasi una storia perfetta- convenne poi. Con lo sguardo cercò gli occhi verdi del ragazzo accanto a lui –ma non pensi che manchi ancora qualcosa?-

Sam si sentì arrossire e lo guardò in attesa. La sua mano era scivolata su quella dell’amico, come tante volte era successo prima di allora. Ma quella volta sembrò esserci molto di più, in quel contatto.

-Un lieto fine?-

Azzardò allora, capendo subito dal sorriso di Ethan che quella era proprio la risposta corretta. In quel momento non c’era nulla di sbagliato: erano lì, mano nella mano, e non c’era nulla di più bello dello sguardo che intercorreva tra di loro come una muta promessa. Che importava se non c’era alcuna principessa delle favole?

-Certo che sarà una storia un po’ strana-

-Perché strana?-

-Insomma…- Sam si passò imbarazzato una mano tra i capelli, e per un attimo ritornò il ragazzino impacciato di una volta –non esiste una storia in cui due cavalieri…-

-Si innamorano?-

I loro sguardi si incrociarono di nuovo, in parte consapevoli di ciò che sarebbe potuto accadere andando avanti. Sarebbe stata dura. La loro lotta, la loro vera lotta, sarebbe iniziata solo allora. Ma forse non era sempre stato così? Forse nel tempo non erano state tramandati canti e leggende in cui l’innamorato doveva affrontare le imprese più ardue per ottenere infine l’amore della donna? E cosa importava, in fondo, se l’amore da conquistare non era quello di una donna? Il cavaliere non sarebbe corso alla torre per implorare la fanciulla di sciogliere i bei capelli d’oro, né avrebbe ballato con lei per tutta la notte o l’avrebbe risvegliata con un bacio d’amore. Almeno per quella volta, il cavaliere avrebbe percorso il sentiero oscuro, quello lastricato dall’incertezza della riuscita dell’impresa, ma l’avrebbe percorso con il cuore acceso di determinazione. E poi, al di là del bosco oscuro, il suo principe lo avrebbe aspettato per abbandonare il castello e fuggire insieme. Sarebbe stata una bella storia. Una storia nuova, una storia del tutto diversa dalle storie d’amore con cui i bambini crescono di solito. Una storia che, forse, avrebbe potuto cambiare del tutto le loro vite.

Ethan gli sfiorò il viso, il tocco leggero e insicuro, spaventato da quello che stava nascendo nel suo cuore eppure tanto curioso di scoprirlo insieme.

-Potremmo sempre scriverla noi, questa storia. Cosa ne dici?-

Un sorriso scacciò l’incertezza dal viso di Samuel –Dico che è una magnifica idea-

E lì le loro labbra si sfiorarono per la prima volta.

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Olaaaaaaaà! *passa stappando lo champagne* su i calici, brindiamo!

Salve bella gente :D Non ci credo… ho finito, ho finito! Ho… finito? Gh, da un lato mi dispiace T^T ma d’altronde nulla è eterno, a parte forse le nostre beneamate Leggenducole.

Vi avevo promesso il lieto fine, vi avevo promesso che nessuno sarebbe morto, ho rispettato i patti… sono stata brava dai ;) considerando che di solito… nelle mie storie… crepano tutti <_< o quasi, di solito qualcuno resta in vita per poter piangere i morti xD

Devo dire che, a conti fatti, sono molto felice di questa fanfiction: mi sono divertita a scriverla, ho adorato i personaggi – tanto le Leggende e Pitch quanto i miei cari OC – e spero vivamente di non aver sfociato nell’OOC o aver reso il tutto “noioso”. In tal caso mandate Pitch a spaventarmi. Oh, sì, mandatemelo mandatemelo! xD *sfrega le mani*

Sono contenta che sia stata apprezzata e vi ringrazio immensamente delle meravigliose recensioni e di averla inserita in tanti tra Preferite/Seguite/Ricordate. Non pensavo che potesse coinvolgere tanto, grazie davvero *^*

 

Adesso, chissà che non arrivi a infestare di nuovo questa sezione con qualche nuova ispirazione. Ho già una mezza idea, ma devo prima elaborarla per bene e vedere se potrebbe uscire fuori qualcosa di decente, e vorrei iniziare a scrivere qualche capitolo così da poter rendere l’aggiornamento più stabile. Per il momento quindi non prometto nulla, ma non si sa mai ;)

 

Detto questo *inchino profondo* ancora immensi ringraziamenti per avermi seguita fin qui.

E non temete… presto o tardi… ritornerò! *svanisce in una nuvola di fumo*

Kisses,

Rory_Chan

 

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