Se provi a volare..

di SandFrost
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sai, anche io ero come te. ***
Capitolo 2: *** Aspetta un secondo.. ***
Capitolo 3: *** Eppure.. Quel ragazzo.. ***
Capitolo 4: *** Destino.. ***
Capitolo 5: *** Buon compleanno, Rachel ***
Capitolo 6: *** Preparativi per un 'compleanno speciale'. ***
Capitolo 7: *** Anche solo per una notte. ***
Capitolo 8: *** Rachel? Io resto qui ***
Capitolo 9: *** Buon Natale anche a te. ***
Capitolo 10: *** Che si dia inizio alla festa. ***
Capitolo 11: *** Rachel? ***
Capitolo 12: *** Sì, lui era sbronzo di Kurt Hummel ***
Capitolo 13: *** La stava baciando, amando, salvando. ***
Capitolo 14: *** Ubriaco del suo profumo ***
Capitolo 15: *** Andrà tutto bene.. ***
Capitolo 16: *** Famiglia ***
Capitolo 17: *** Insegna; fede e fiducia ***
Capitolo 18: *** Ricordo.. ***
Capitolo 19: *** Che cosa mi sono persa Kurt? ***
Capitolo 20: *** Come crescono in fretta ***
Capitolo 21: *** Conversazioni!! ***
Capitolo 22: *** OTP; are finally canon ***
Capitolo 23: *** Felicità ***
Capitolo 24: *** Se provi a volare.. ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Sai, anche io ero come te. ***


Ciao a tutti gli abitanti di EFP-land
Mi presento, sono SandFrost. No, scherzo sono Annarita, ma il mio unicorno si chiama SandFrost.
Questa è la mia prima FanFiction, dopo un sacco di storie originali.
Vorrei ringraziare Alyara aka La mia stramboide per aver bettato questo capitolo.
E niente buona lettura.
- SandFrost

 
 
«Oh andiamo 'Cedes è solo un piccolo controllo, non ti farà alcun male» disse il ragazzo mentre spingeva l'amica all'interno dell'ospedale.

«Kurt, capisco che sei cotto di questo dottore ma non possiamo venire qui ogni giorno e, soprattutto, non posso fare ogni santissima settimana un controllo. Chiedigli di uscire e chiudiamola qui».

Era, infatti, la quinta volta nell’arco di 2 mesi che Kurt costringeva l'amica a fare dei controlli e questo solo perché si era preso una bella cotta per un giovane medico dell'ospedale. Di lui sapeva solo che era uno specializzando e che si chiamava Anderson (scoperto solo perché aveva sentito una ragazza, seduta accanto a lui, parlarne).

Mercedes Jones - questo era il nome della ragazza - era la migliore amica di Kurt Hummel dai tempi della scuola. Avevano finito da 2 anni le rispettive università e ora lavoravano insieme per una compagnia di teatro. Lui aveva studiato alla NYADA e lei in una prestigiosa università di Los Angeles. Da 1 anno a quella parte, lavoravano per una compagnia a New York e stavano mettendo in scena "Funny Girl".

Per quanto adorava il suo migliore amico, ‘Cedes era stanca di finire sempre in mezzo a quelle situazioni, come era successo con il tipo del chiosco dietro il teatro. Quella settimana aveva messo su ben 5 Kg.

La prima volta che aveva messo piede in quell'ospedale fu perché Santana Lopez, una cantate e ballerina della compagnia, Era caduta dal palco durante le prove di ballo e si era rotta un ginocchio e, dato che la ragazza non si fidava di nessuno, Kurt e Mercedes si erano offerti di portarla in ospedale. Quel giorno, mentre Kurt cercava di stare calmo, fu mandato da 'Cedes e prendersi un caffè, e lì aveva conosciuto - o meglio visto - un giovane dottore che prendeva la sua stessa ordinazione.

Mentre si dirigeva verso il bar dell'ospedale, Kurt si stava chiedendo come avrebbe fatto con il musical e chi avrebbe potuto sostituire, a cosi pochi giorni dalla prima, Santana ma nello stesso istante in cui aveva messo gli occhi sul quel ragazzo, ogni problema era andato via e lui si era perdutamente innamorato. Da quel giorno aveva costretto, la sua amica a fare vari controlli, dicendo sempre: "Un controllo non fa mai male" e ogni volta riceveva occhiatacce dall'amica.

'Cedes più di una volta gli aveva supplicato di parlargli e di chiedergli un appuntamento o comunque il suo numero, cosi da finire quella farsa ma ogni volta - dopo ogni controllo - finiva con l’andare a trovare Santana e a informala sull'andamento delle prove mentre Kurt cercava in tutto l'ospedale la sua cotta del momento. Quel giorno non fu da meno; una volta finito il crollo e aver fatto un salto da Santana, Mercedes aspettò Kurt, che nel frattempo era andato in giro a cercare il suo Anderson, seduta nell'ingresso.

Erano passati ormai una ventina di minuti e la ragazza iniziava a spazientirsi, cosi afferrò il cellulare dalla borsa ma non riuscì a comporre il numero del ragazzo che una giovane ragazza, della sua età e dai capelli lunghi e di un castano luminoso, le si avvicinò sorridendo. «Ciao» disse la ragazza con ancora il sorriso sulle labbra «Posso sedermi accanto a te, mentre aspetto una persona?».

Mercedes - una ragazza di colore e con un bel caratterino - la scrutò per qualche secondo e poi sorrise a sua volta, dicendo: «Certo che si, tanto anch'io sto aspettando una persona, è un po’ di compagnia non mi farebbe per niente male. Anche perché credo che il mio amico di sia perso nell'ospedale.» disse quella frase tutto d'un fiato, scuotendo leggermente la testa, con fare da diva e questo fece scoppiare dal ridere la ragazza, che ora, le sedeva di fianco.

«Sai una volta ero come te» e con un mezzo sorriso aggiunse «Io sono Rachel. Rachel Berry» e le porse la mano con fare amichevole, Mercedes la strinse e si presentò a sua volta.



Le lancette sull’orologio giravano in fretta ma né di Kurt e né della persona che Rachel stava aspettando, ne era ombra. Erano passati ormai altri venti minuti e Mercedes iniziò a pensare che fosse solo una scusa per parlare con lei, ma dopo quel saluto non si erano più rivolte parola e nella testa della ragazza riecheggiava ancora la frase: "Sai una volta ero come te" che quella Rachel le aveva detto poco prima cosi, decise di mettere fine a quel silenzio chiedendole: «Che cosa intendevi con la frase: "Sai una volta ero come te"?».
Rachel, quasi saltò dalla sedia alla voce della ragazza, persa in chissà quali pensieri, e con un sorriso che, 'Cedes catalogo come: "Oh! Finalmente me l'ha chiesto" disse con semplicità «Una diva».



 








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Questo è solo il primo capitolo di molti altri. Essendo la mia prima Fic, mi piacerebbe sapere la nostra opinione e se vale la pena o no continuarla. Quindi mi sarebbe piacere una nostra recensione.
Detto questo, aspetto le vostre recensioni e alla prossima.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 2
*** Aspetta un secondo.. ***






Quella mattina era iniziata come molte altre; Kurt l'aveva torturata per andare in ospedale a fare qualche esame di routine, così che lui potesse pedinare quel Anderson; Santana le aveva chiesto, ancora una volta, di far cadere dal palco una delle tante ballerine che tanto odiava e, perfino Mike - coreografo dello spettacolo - si era lamentato con lei per le sue movenze da diva. Eppure quella mattina era diversa dalle altre, pensò Mercedes Jones mentre fissava la ragazza che le sedeva accanto con la testa china.

Le aveva detto che anche lei era stata una diva e questo diede molto da pensare alla ragazza. Non lo era più? Si poteva smettere di essere diva? No, impossibile. Essere ‘Diva’ è uno stile di vita che ti accompagna sempre. Lo si può reprimere o controllare ma non si smette mai di essere dive.

«Oh! eccolo» disse Rachel con un filo di voce, così bassa che Mercedes non riuscì subito a cogliere quella debole frase, ma poi aggiunse «lo aveva promesso ed è qui».

La curiosità la stava uccidendo così chiese «Di chi parli zucchero?».

La ragazza si voltò di scatto, quasi dimenticandosi di non essere sola «Oh! Finn» disse solo, come se fosse una cosa ovvia. Mercedes voleva chiedere chi fosse questo Finn, di che promessa parlava e ancora perché era così emozionata come se lo aspettasse da sempre. Ma tutte quelle domande rimasero nella sua testa, quando intravide arrivare il suo miglior amico sorridente.

«Oh mia cara 'Cedes avresti dovuto vederlo oggi» disse con voce sognante alla sua migliore amica una volta vicino ad ella. «Era splendido come sempre, solo che questa volta non portava il camice. Un infermiera mi ha detto che è il suo giorno libero. E' qui per assistere i volontari».

«Volontari?» lo interruppe la ragazza, seduta accanto alla sua amica, che non aveva notato «Il mio Finn è un volontario».

«Okay adesso basta. Tu siediti qui» disse Mercedes alzandosi e facendo posto all'amico per poi riprendere a parlare «e tu mi vuoi spiegare di diavolo è questo Finn?».

«Oh!» Rachel fu sorpresa dall’autorità dimostrata dalla ragazza «Finn è un volontario qui».

«Oh allora conosce il mio Blaine» disse Kurt e poi continuò «Io sono Kurt».

La ragazza, che ora sedeva al suo fianco, sorrise gentilmente «Io sono Rachel».

«Ragazzi, tutto questo è carino non è il momento per i convenevoli» disse Mercedes incrociando le braccia al petto «Ho bisogno di capirci qualcosa. Ho la testa che mi scoppia e voi non siete d'aiuto. Ho una serie di domande nella alla quale dovete semplicemente rispondere, okay?». I due ragazzi si guardarono e poi annuirò conviti dalla diva.

«Perfetto iniziamo allora» Mercedes fece un respiro profondo e iniziò con delle domande a raffica. «Chi è Finn? Da quanto fa il volontario qui? Come vi siete conosciuti? Di che promessa parli? E perché il tuo sorriso è diventato tre volte più grande alla sua vista? Okay, forse a questa puoi anche non rispondere, credo di sapere già da me la risposta» sorrise alla ragazza «E tu,» questa volta si rivolse a Kurt «la vogliamo smettere di pedinare questo dottorino e chiedergli di uscire o devo romperti qualcosa, cosi da non farti servire più una scusa per venire qui?».

«Primo, io non pedino nessuno» fece per alzarsi ma la diva lo fulminò con lo sguardo e tornò a sedersi «E secondo, i controlli che ti faccio fare sono solo per il tuo bene».

«E per quanto riguarda me» disse subito Rachel «Ho conosciuto Finn due mesi fa, durante il suo primo giorno come volontario. Mi ha fatto compagnia mentre aspettavo il Dottor Anderson con i miei esami e me ne sono innamorata». Non lo aveva mai ammesso ad alta voce e gli fece uno strano effetto. «Da quel giorno lo vedo due volte a settimana, ma l'ultima volta che l'ho visto cioè,» la ragazza fece i conti con le mani «due settimane fa, se non ricordo male, mi ha detto che aveva dei problemi e che non sarebbe venuto, ma che sarebbe tornato presto. Ecco la promessa di cui parlavo» concluse raggiante.

La diva non poteva fare altro che sorridere di fronte a quella ragazza a cui brillavano gli occhi come due stelle al solo pronunciare il suo nome. Aveva detto che non lo vedeva da due settimane e che non sarebbe andato a farle visita perché aveva dei problemi. Aveva anche detto che il suo dottore era quel Anderson, di cui Kurt era cotto. Aveva aggiunto che lo conosceva da due mesi, conosciuto il suo primo giorno all'ospedale. Mercedes era una ragazza molto intelligente e arguta. Sapeva notare anche i più piccoli dettagli, per via della sua perfezione maniacale e non le ci volle molto a fare due più due e a collegare i vari tasselli.

«Aspetta un secondo; tu stai parlando di Finn Hudson?».







 
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Eccomi di nuovo qui :3 scusate ma Kurt e Rachel che fanno comunella mentre 'Cedes impazzisce è stupendo. Poi con quei occhioni da innamorati sono la meraviglia.
Se vi va e se vi fa piacere, mi piacerebbe sapere la nostra opinione su questa storia. Quindi lasciate pure una recensione..
Al prossimo capitolo e questa volta sarò il possibile per postarlo entro la settimana prossima.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 3
*** Eppure.. Quel ragazzo.. ***






Dormire o semplicemente chiudere gli occhi per qualche ora, le era diventato difficile. Ogni volta che ci provava, la stessa scena le passava rapida per la mente. La paura di non potergli aprire più e di perdere tutto, la uccideva.

Rachel era sempre stata una ragazza forte e coraggiosa, ma in fin dei conti sì e sempre deboli e fragili. La vita tenta più di una volta di schiacciarci e non si è mai del tutto preparati. La vita per lei non è stata facile e ha dovuto lottare per sopravvivere.

Ogni scelta aveva il doppio delle responsabilità di una comune. Ma sapeva benissimo che buttarsi giù non era la giusta soluzione e che doveva stringere i denti. Tutta via, rinunciare ai propri sogni, in quel momento, era l’unica cosa razionale da fare.

Anche se erano l’unica cosa che la tenevano in piedi, l’unica cosa per cui si è sempre alzata e ha poi sorriso, perché i sogni sono l’unica che non ti fanno sentire mai sola e ti rendono forte, non era più tempo di sognare e la realtà che la circondava ne era la prova. Non c’era più posto né tempo per niente nel suo cuore, doveva lasciare alle spalle tutto e chiudere ogni cosa fuori dalla porta, eppure.. Quel ragazzo..


 
-
 
«Quindi ancora per quanto, Dottore?» chiese una voce spenta e fredda.

«Non posso dare una data né un tempo, mi dispiace» si scusò il dottore, cercando di rimanere professionale e poi si congedò dalla stanza.

Adesso era sola e poteva dare libero sfogo alle sue lacrime, eppure rimase ferma a fissare fuori dalla finestra e sospirando alla vista del sole.
Un vortice di pensieri stavano offuscando la sua mente e intristendo il suo cuore, eppure restare lì a fissare il sole che lentamente calava e la calmava.

«Sai» disse una voce alle sue spalle, era forte e di un uomo, o meglio di un ragazzo «Il tuo viso non è stato creato per essere triste».

«Io non sono triste, guarda, non sto neanche piangendo» rispose voltando di poco il capo e incrociando, per la prima volta, i suoi occhi.

«I tuoi occhi non stanno piangendo, ma il suo cuore sì. Non ci conosciamo e questa è la prima volta che mi capita di guardare i tuoi occhi, ma lo vedo. Vedo che stai soffrendo e anche tanto.» rispose con un sorriso goffo il ragazzo che le si era avvicinato. Era altissimo e aveva un sorriso strano e dolce sul volto. Indossava una maglietta a quadri blu e dei Jeans. Non lo aveva mai visto in ospedale e molto probabilmente, era venuto a trovare qualche parente o amico e allora perché stava parlando con lei?

«Che cosa vuoi?» chiese infine la ragazza, stanca e con la voglia di dormire. Era stata una lunga giornata e gli esiti degli esami non erano andati molto bene.

«Voglio stare qui. Vedo che sei stanca, voglio stare qui a farti compagnia fino a quando i tuoi occhi si chiuderanno, perché troppo stanchi. Voglio stare qui con te, me lo lascerai fare?» chiese il ragazzo, poggiando le sue grandi mani, intorno al suo viso. «Sì» rispose semplicemente e sorrise alla vista del enorme sorriso del ragazzo a quella semplice risposta.

Le sue mani erano calde e tutto quel calore, in qualche modo, si stava posando sul suo cuore e si sentiva un po’ meglio. La stanchezza di quei giorni stava andando via e non sentiva più quel peso, quando sorrideva. Forse perché non stava sorridendo perché doveva, ma perché voleva.



Non sapeva niente di lui, eppure due volte la settimana andava a farle visita e restava con lei tutto il pomeriggio, a parlare di tutto e molte volte lasciavano parlare il silenzio. Col tempo aveva scoperto il suo nome e perché veniva solo due volte la settimana. Con il tempo, il suo cuore ormai abituato a non affezionarsi a niente, si era nuovamente innamorato. Con il tempo aveva ricominciato a battere e a voler ricominciare a conoscere il mondo.

 
***


«Ehi va tutto bene?» chiese una voce femminile, che le parlava a pochi metri dal viso. «Oddio magari non si sente bene. Magari dovremo chiamare un dottore. Corro subito a chiamare il mio amato Anderson» si affrettò a dire un'altra voce, che non era quella del suo Finn.

«Kurt, torna immediatamente qui e lascia stare quel povero ragazzo, almeno abbi il coraggio di chiedere il suo numero» urlò ancora quella voce femminile.
Una mano calda si posò sulla gamba e fu quel piccolo contatto a riportarla completamente alla realtà. Forse perché le ricordò il calore in fondatole dalle mani di Finn.

«I-io. Oddio scusa mi sono incantata a pensare e non mi sono resa conto che ero con altre persone, mi dispiace realmente tanto» quando voltò il capo, vide un dolcissimo sorriso. «Mercedes» Sì, era questo il suo nome.

«Ehi sta tranquilla, ci siamo solo preoccupati per te. Eri tutta sorridente e quando ti ho chiesto se il ragazzo di cui parlavi era Finn Hudson ti sei intristita di colpo e anche se ti abbiamo chiamato un po’ di volte, tu sembravi non ascoltarci. Stai bene, vero?» chiese ancora quella ragazza, con quel sorriso dolce sulle labbra e la mano, ora, stretta alla sua.

«Si, scusami ancora. Quando hai detto quel nome, una serie di pensieri hanno attraversato la mia mente e non sono riuscita a controllarli, comunque, come fai a conoscere il cognome del mio Finn?» chiese infine, ricordando cosa aveva fatto iniziare quella serie di pensieri.

«Bhe, era un nostro vecchio compagno di scuola, mio e di Kurt intendo, e quando hai detto che faceva il volontario da soli due mesi non ci ho messo molto a capire che si trattava di lui. Ci teniamo in contatto con tutti i nostri vecchi amici, molti sono rimasti in Ohio ma ho saputo che qualche mese fa Finn si è trasferito a New York dopo una brutta rottura con la sua, ormai ex, ragazza e che stava facendo un corso per fare il volontario in ospedale» concluse la ragazza.

«Ora capisco tutto» Rachel rimase ancora un po’ a fissare quella mano stretta alla sua e a come il destino le avesse fatto conoscere due amici di Finn.

«Oddio Mercedes, non ci posso credere. Ero andato al bar a prendermi qualcosa e ho incontrato Kurt che spiava qualcuno e mi ha detto che c’eri anche tu. Non ci posso credere, non ci vediamo da una vita».





 

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Dopo, forse, 2 mesi eccomi con il nuovo capitolo. Ho avuto un po’ di problemi e questo capitolo ha iniziato a farmi paura D: anche se non so bene per cosa.
Cercherò di scrivere subito gli altri capitoli, cosi da non farvi aspettare tanto e aggiornare più spesso.
Detto questo.. Buona lettura

-SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 4
*** Destino.. ***





 

Erano passate due settimane dal nostro ultimo incontro. La paura che lui potesse dimenticarsi di me, la voglia di rivederlo presto, il desiderio di vederlo ancora sorridermi. Tutto offuscava la mia mente, rendendo in reale tutto quello che mi circondava

Stare nella mia stanza ad aspettare il suo arrivo, ricominciare a fingere i sorrisi, per i sensi di colpa di persone di cui non mi importata più niente, trattenere le lacrime e combattere contro i conati di vomito. Era tutto cosi strano come, in un attimo, può cambiare tutto quanto. Come una persona possa fare la differenza, nella vita di un'altra.

Ero sola, ero persa e mi ha salvata. Non riuscivo più a trovare la strada di casa, ero ferma sul ciglio della strada, senza più lacrime da versare. Lui mi si è avvicinato piano, mi ha sorriso in quel modo dolce e goffo, mi ha stretto la mano, senza chiedere il permetto e mi ha portato in salvo.

Non lo conoscevo da molto e mi rendevo conto che non sapeva quasi niente di me, come io non sapevo quasi niente di lui, eppure, sapevamo di stare bene in compagnia dell’altro e quello bastava sempre. Quando non c’era passavo i minuti a pensarlo, quando c’era il cuore si riempiva di gioia e non aveva bisogno di nient’altro per essere felice.

Felice. Mi faceva sentire felice e ogni volta, ogni sera, quando andava via, avevo paura. Quanto può durare ancora quel senso di pace? Quanto può durare quella felicità, cosi travolgente? Quanto dovrò aspettare prima che si stanchi di me? Quando lui era lì, con i suoi occhi a fissarmi, tutte quelle domande finivano nel dimenticatoio ed io ero felice. Il destino aveva unito i nostri cammini, ogni cosa, ogni persona, ogni posto mi portava a lui.

Mercedes e Kurt, l’ospedale, gli orari di visita, il suo lavoro da volontario. Tutto era legato a lui, perché lui era destinato a diventare il mio tutto e non avrei mai fatto niente per cambiare questo, anzi, avrei assecondato il destino e lo avrei stretto a me, anche se avevo paura.

«Oh mio dio!» sentiì una voce esclamare euforica al mio fianco «Finn» aggiunse ancora e quello mi fece ritornare alla realtà. Mi ero ancora persa tra i miei pensieri, dimenticando la realtà. Finn era di fronte a Mercedes e le sorrideva con quel fare dolce e lei, ora, lo stava stringendo in un abbraccio sincero.

«Non ci posso credere, saranno anni che non ti vedo, Quando Kurt mi ha detto che c’eri anche tu non gli ho voluto credere. Mi è capitato spesso di sentirlo in questi giorni. Oh mio dio, sono cosi felice di rivederti Cedes» esclamò ancora tra le braccia della ragazza, sembrava cosi felice, era bello vederlo felice.

«Si, quella testa calda mi costringe a fare una vista, quasi ogni settimana» rise di gusto la ragazza, allontanandosi dall’abbraccio ma tenendo ancora le mani nelle sue «E tu? Ho sentito che sei riuscito a finire il corso e che ora fai il volontario in questo ospedale. Proprio opera del destino, questo incontro».

«Già, il destino e i suoi truchetti per unire la vita delle persone» rise ancora, scrutando la ragazza che aveva di fronte «Sei splendida come sempre, Cedes. Kurt mi ha raccontato del musical che state mettendo in scena e sono cosi fiero di voi. Ce l’avete fatta, eh, e ovviamente io sarò in prima fila».

«Sii, sono anch’io fiera di noi, se mi dai il tuo indirizzo ti mando i biglietti, per il musical e aspetta.. ma che fine ha fatto Kurtie? Non ti ha seguito qui?» chiese la ragazza guardandosi intorno alla ricerca del suo amico.

«E’ possibile che sia rimasto a spiare il dottor Anderson, confessa, ha una cotta per lui? Oddio è cosi tipico di Kurt ma sono felice che il prescelto sia Blaine» sorrise e poi mi guardo. Lo sguardo più dolce che mai, la testa china per guardarmi meglio «Rachel, scusa non ti avevo proprio visto per la troppa frenesia del momento.» E sorrise ancora, solo che questa volta il suo sorriso era rivolto a me.

«Ciao Finn» sorrisi goffamente, passandomi una mano sul braccio e alzandomi.

«Che ci fai qui? Sono passato dalla tua stanza prima ma non eri in camera e allora ho chiesto di te a al dottor Anderson, ecco come ho visto Kurt» disse guardando Mercedes che ci fissava.

Mi ha cercata. Lui mi ha cercata. Finn, è passato dalla mia stanza e non vedendomi ha chiesto di me in giro. Okay, ora devi mantieni la calma ragazza e cerca di tornare alla realtà, prima di perderti chissà dove. Urlò una voce dentro me, che mi riportò alla realtà con la forza, giusto in tempo per sentire la risposta di Cedes. «Sì, ero qui ad aspettare Kurt che era andato alla ricerca del suo amato dottorino, quando questa piccolina mi si è avvicina e ci siamo messe un pò a parlare, fino all’arrivo di Kurt e poi mi è di nuovo sparito e sei apparso tu» concluse la ragazza sorridendomi.

«Quindi vi siete appena conosciute, giusto?» chiese Finn, anche se non era una reale domanda, infatti nessuna delle due rispose e ci limitammo ad annuire. «Non trovate che sia strano?» riprese improvvisamente a parlare e, vedendo i nostri sguardi confusi, continuò «Il destino intendo. Io che non trovo Rachel in stanza e per cercarla incontro Kurt, Kurt che mi dice che tu sei qui e ti trovo in compagnia di Rachel. Sembra che tu, piccola, abbia uno strano controllo sul destino» concluse toccandomi appena il naso con un dito e sorridendomi ancora.

«Oh ma guarda un pò chi abbiamo qui, ma ti sembra questo il modo di sparire?» domando Mercedes, guardando qualcuno alle nostre spalle.

«Scusatemi, ma avevo cose più importanti che perdermi in ricordi delle superiore e delle nostre vite vissute e cose così» disse appoggiando la testa sulla spalla dell’amica e lei sorrise, scuotendo la testa.

«Tu sempre il solito vero? Non cambierai mai Kurt» rise Finn guardando la sua faccia sognante.

Era strano il modo in cui mi sentissi a casa e al sicuro in quel momento. Conoscevo Mercedes e Kurt solo da qualche ora, ma non mi avevano fatto domande sul perché mi trovavo lì o allontanata. Non mi avevano esclusa dalla loro amicizia, cosi forte, cosi vera. Del resto, anche Finn lo conoscevo da poco e anche con lui mi sentivo bene. Che fosse destino? Ancora questa parola. Ancora un rifermento al “destino”. Quanta importanza aveva nella nostra vita?

«Oh Rach, eccoti finalmente» si avvicinò a noi un ragazzo rosso sul viso e con la mani sulle ginocchia, cercando di tornare a respirare regolarmente. Quando alzò il capo sorrise «Perfetto vedo che Finn alla fine ti abbia trovato e che ti sei fatto due nuovi amici, Salve».


 




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Eccomi, come promesso, con il nuovo capitolo. Il prossimo arriverà il 29, per un evento importate, ma ne parleremo a tempo debito.
Questo capitolo, come l’intera storia, è dedicato al mio piccolo amore, che 5 mesi mi ha lasciato in tutta questa merda tutta sola, ma so che veglia su di me e che si sta facendo quattro risate insieme a Cory, non che il suo idolo. 29 sarà il suo compleanno, insieme a quello di Lea, non che altro suo idolo.
Vorrei solo dire grazie a chi legge questa fic e anche a chi lascia una piccola recensione. Vi chiedo, se vi va, di lasciare anche qui una piccola recensione, per sapere cosa ne pensate di questa fic.
Detto questo, Jacobba ti voglio e sei importante, tutta la mia vita e mi manchi da morire.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 5
*** Buon compleanno, Rachel ***


Buon compleanno amore mio.



 

1 anno prima

 
Anche se la porta era spalancata e la luce fiocca delle scale illuminava il pianerottolo, la stanza era nella completa penombra. Si riuscivano a mala pena a tracciare il contorno dei vari mobili del soggiorno, ma non ebbi paura di quel buio. Quel buio aveva avvolto la mia vita e iniziavo a sentirmi legata a esso. Ma, dopo aver messo il primo piede in casa e dopo che le luci si accesero, senza che io muovessi un singolo muscolo, vedere cosi tanta gente che da tutte le parti urlava “Buon compleanno, Rachel”, quello mi fece paura. Mi fece venir voglia di riavvolgere il nastro e portare quel piede fuori dalla soglia e chiudere le porte alle mie spalle.

Non avevo voglia di nessuno ma tutta quella gente – che conoscevo solo in parte – non notò quel particolare nel mio viso, e iniziò a stringermi, a riempirmi di baci, ad augurarmi buon compleanno e a raccontarmi cosa mi aveva comprato. In fondo alla stanza, ormai completamente illuminata, intravidi due uomini, mi stavano sorridendo lievemente e uno dei due, vedendomi, si era voltato per asciugarsi una lacrima scappata al suo controllo.

Loro lo sapevano, il dottor Anderson aveva parlato loro quella stessa mattina e allora perché quella sceneggiata? Perché se ne stavano lì a fissarmi, senza trovare il coraggio di avvicinarsi? Perché il mio mondo stava cadendo, perché tutto quello in cui avevo voluto credere, quello che mi aveva permesso di superare i momenti difficili, quei piccoli sogni di cui mi ero circondata, stavano andando in pezzi? Stavo crollando e nessuno lo voleva ammettere.



Oggi

 
«BUON COMPLEANNO RACHEL» una voce dolce mi svegliò quella mattina. Aprì lentamente gli occhi e mi ritrovai un raggiante Finn che mi guardava con in mano dei cioccolatini a forma di stella e dei palloncini colorati. Lo guardai per qualche secondo, non sapendo a cosa dovessi quella visita. Non era il suo giorno come volontario ma quando mi missi a sedere, realizzai.

«Oggi è il mio compleanno» pensai ad alta voce, senza che me ne rendessi conto, come se avessi perso il controllo della mia stessa voce, mentre cercavo di mettere su un sorriso strofinandomi gli occhi, ancora assonati. Tornai a guardare la porta, quando sentì altre voci rompere quel breve attimo di silenzio. e; «Kurt smettila di spingere, ho capito che c’è il tuo bel dottorino ma dobbiamo entrare in questa stanza» sentì la voce familiare di Mercedes e poi una risposta confusa e capì che poteva essere solo Kurt.

«Buon compleanno Rach» Kurt entrò nella mia camera poco dopo con un sorriso stampato in volto, seguito da Mercedes, che lo spingeva per le spalle. «Buon compleanno dolcezza» disse allora la ragazza, avvicinandosi al mio letto e baciandomi le guancie, anch’essa con un sorriso raggiante sul volto. «Questo è per te» disse, poggiandomi una busta tra le mani.

Non apri la busta per guardare il contenuto, non afferrai i cioccolatini che Finn mi stava ancora porgendo, non lo aiutai ad attaccare i palloncini al mio letto, non sorrisi a Kurt che mi salutava con la mano e che saltellava tutto felice. Semplicemente rimasi immobile e guardare la scena, come uno spettatore guarda uno spettacolo dalla platea. Era reale? Stava succedendo sul serio? Avevo realmente degli ‘amici’ che mi stavano augurando buon compleanno, anche se avevo cercato, in tutti i modi, di nasconderlo?

Questa volta sei tu la protagonista, Rach. Sentii dire da una vocina dentro la mia testa e forse aveva ragione. Avevo sempre desiderato essere la protagonista, essere al centro del palco e sentire il calore delle luci sul mio volto. Ascoltare il pubblico applaudire e sentirmi per la prima volta, la protagonista.

«Sai Rach,» la voce di Finn fermò il vortice di pensieri e tutte quelle immagini sbiadite, che volevano emergere, e che per tanto tempo avevo tenuto nascoste. «è stato realmente difficile scoprire il giorno del tuo compleanno ma per fortuna il dottor A. è stato un ottimo complice» disse ghignando verso la porta aperta.

Un ragazzo con i capelli in gelati, un sorriso entusiasta e un papillon al collo entrò in stanza e Kurt quasi svenne sulla sua amica, che prontamente lo aveva efferato per le spalle. «Buon compleanno Berry» disse il dottore, voltandosi di poco verso Kurt e sorridendoli e poi tornami a fissarmi e facendomi un occhiolino e "La mia paziente preferita ma non dirlo a nessuno, okay?" mentre una leggera risata di gruppo, riempiva l’aria.

Era tutto reale, erano realmente tutti lì per me. Ero finalmente la protagonista. Ero, per la prima volta dopo tanto, felice.




 
3 giorni prima

 
«Dottor Anderson?» aveva chiesto Finn preoccupato e avvicinandosi all’uomo, che mi sorrideva felice. Forse felice di non avermi trovata chiusa, come sempre, nella mia camera. Forse perché mi aveva trovato in mezzo a persone, di cui avevo appena imparato i nomi. O forse perché stato sorridendo, realmente. «Oh, non ti preoccupare Finn sto bene» disse l’uomo – non più grande di noi – mettendosi in piedi e sorridendo ancora ai presenti e facendo un giro di presentazione.

«Mi cercava?» dissi, perché il dottor Anderson, si era fermato di fronte Kurt e sembrava completamente perso in chissà quale mondo e Kurt si stava reggendo, con troppa forza, alla sua amica.

«Cosa? Oh si sì, voleva salutarti prima di andare via, poi ho incontrato Finn che ti cercava e allora mi sono unito alla ricerca ma sono felice di vederti in compagnia» mi sorrise, com’era solito fare. Aveva un sorriso particolare e quando sorrideva, tutto di lui sorrideva. I suoi occhi cervoni s’illuminavano, come tutto il suo volto.

«Sa dottor Anderson è successo tutto per opera del destino questo incontro e lo trovo una cosa incredibile» Finn iniziò a parlare su quanto fosse sorprendete e di come tutto fosse iniziato. Io rimasi immobile e fissare la scena, come mi capitava spesso fare, eppure era differente. Non era una semplice osservatrice di un evento che non mi apparteneva, ero parte di quell’evento e se volevo potevo unirmi alla conversazione senza sembrare inappropriata e fu quello che fece «Già. Il destino ci ha voluto tutti qui oggi, chissà cosa avrà inservo per domani».

Tutti e quattro mi guardarono e annuirono, Finn scambiò un’occhiata complice con Blaine ma non me ne curai e continuai a parlare con Mercedes e Kurt, che discutevano dei possibili costumi da usare per il musical che stavano mettendo in scena.



 
Oggi

 
«Quindi» iniziò Finn, continuando un discorso che aveva avuto luogo nella sua testa «Oggi è il tuo compleanno e bisogna festeggiare, ho già chiesto il permesso al capo reparto e oggi tu ci segui e ti portiamo in un luogo speciale» concluse Finn, saltellando fuori la porta con Blaine e uno scodinzolante Kurt.

«Ma» tentai, ma Mercedes mi si avvicinò e mi sorride. Quel sorriso che mi aveva ammaliata la prima volta. Appoggiò la sua mano sulle mie e si sedette alla punta del letto. «Che cosa ti preoccupa zucchero? Non ti piacciono i compleanni?» mi chiese ma non trovai una reale risposta e allora continuò «Finn è proprio pazzo non trovi? Lui è sempre cosi, euforico e felice, ma sono sicura che è stata la prima cosa che hai notato di lui, vero?».

Annui di poco e la mia mente tornò indietro di qualche mese. Vederlo entrare nella mia stanza, chiedermi se poteva restare con me, presentarsi di tanto in tanto e fermarsi a parlare, di tutto e niente. Non aveva chiesto il permesso, era semplicemente restato ed io sentivo che ci sarebbe sempre stato. La vita è come un albero d'inverno, quando non ci sono foglie ed è ricoperto di neve, ma se sai attendere, se saprai prendertene cura, arriverà la primavera e lo vedrai fiorire. Io ero quell’albero e Finn era la mia primavera. Stavo congelando nella mia solitudine, ma ora sentivo il calore.

«Quando pensi a lui, i tuoi occhi si colorano di una luce nuova» mi risvegliò la ragazza che avevo di fronte, stringendo la presa sulle mie mani «Allora ti va di seguirci? Ti ho portato qualcosa da indossare, sono sicura che questo sarà il più bel compleanno della tua vita».

E su questo non avevo dubbi. Lo avrei passato con Finn, quel ragazzo che mi sorrideva e infondeva in me, gioia e calore. E poi c’erano Mercedes, Kurt e Blaine. Avevo paura di quel improvvisa felicità, ma non potevo avere paura di quei sorrisi cosi sinceri e quegli sguardi che non conoscevano la mia storia, ma che una volta che fossi stata pronta, avrebbero ascoltato in silenzio e poi avrebbero sorriso ancora.





 
______________________
Come aveva promesso, eccomi con il nuovo capitolo. Questo capitolo - come l'intera fic - è ispirata alla mia Rachel e al nostro legame. Ispirata a quel angelo bellissimo, che mi ha regalato degli anni magici e pieni di risate. Pieni di emozioni e gioie. E' la migliore Rachel che una Mercedes possa desiderare e le devo tutto. Oggi quel angelo compie 16 anni e vorrei augurarle buon compleanno, con tutto il cuore. Auguro buon compleanno anche a Lea Michele. Due guerrire., forti e coraggiose. Alla prossima.

-SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 6
*** Preparativi per un 'compleanno speciale'. ***



Oggi è esattamente un anno da quando ho creato questo profilo su EFP.
Volevo festeggiarlo postando questo capitolo e mettendoci tanta Kurtcedes.
La Kurtcedes è la mia friendship per eccellenza e non ce n’è di migliori.
Lo amata dal primo momento e continuerò a farlo per sempre.
Li ho amati dal primo sguardo e dalla prima puntata ed è stata la mia prima friendship in Glee.
Kurtcedes sempre.



 


Mi ero alzata con un mal di testa incredibile. Avevo passato la sera precedente a parlare con Kurt, mentre lui mi raccontava ogni nuovo dettaglio e informazione che aveva scoperto del suo bel dottorino. Mi aveva anche ringraziato, per aver involontariamente fatto amicizia con Rachel - dato che lei era un’amica di Finn e che Blaine era il suo dottore.

Alla fine la stanchezza aveva preso anche lui e mi si era addormentato accanto, con un cuscino tra le braccia e di tanto in tanto lo sentivo sussurrare il suo nome. Per quanto stessi odiando quel suo sempre parlare di lui, in quell’istante, lo trovai tremendamente adorabile. Lo coprì con le coperte e mi addormentai anch’io, subito dopo.
Quelle poche ore di sonno non mi erano bastate comunque. Kurt si era agitato tutta la notte – non voglio venire a conoscenza, di quale sogno stesse facendo – e dormire per più di mezz’ora di fila era stato realmente difficile, tutto sommato mi alzai dal letto e mi diressi in cucina, lasciando il bell’addormentato ancora un po’ nel mondo dei sogni, tra le braccia del suo bel dottorino.

Erano le otto passante, quando riuscì a sedermi a tavola e accessi il telefono, per controllare se mi erano arrivati messaggi da parte di Mike, per le prove supplementari. Tra i vari messaggi d’insulti di Santana, dove mi scriveva che aveva bisogno di un paio di cose e che avrei dovuto portare il tutto, quel pomeriggio in ospedale, trovai un messaggio di Finn, dove mi chiedeva se ci potevamo vedere.

In quel preciso instate, Kurt fece il suo ingresso nella stanza, con i capelli spettinati e gli occhi ancora stanchi per il sonno, mentre se li strofinava. Indossa il pigiama, come del resto io, e un paio di mie pantofole, con sopra degli strani animali, che lui odiava. Mi salutò con un cenno del capo e si sedette al mio fianco.

Ogni volta mi sorprendevo di quei piccoli gesti. Per molti saranno stupidi e comuni ma non per Kurt Hummel. Odiava essere visto in disordine, in pigiama e soprattutto spettinato. Quando capitava di dormire a casa di altri colleghi, per fare le ore piccole a parlare delle prove, la mattina era sempre il primo a scappare in bagno e ci restava per una mezz’ora buona, se no di più.

Quando usciva, odorava sempre delle sue creme viso e corpo, con i capelli acconciati alla meglio e vestito di tutto punto, anche se erano solo le otto di mattina e non era ancora andato a fare colazione, ma lui era cosi e ora mai ne ero abituata. Ma quando restava da me a dormire, il mattino non si curava di com’erano i suoi capelli o se aveva i segni del cuscino su una guancia – cosa che aveva sempre, e che io amavo prendere in giro, scherzosamente. Solo la prima volta, quando ci conoscevamo ancora poco, era scappato in bagno per non farsi vedere, ma dopo averlo sgridato per bene, per avermi svegliato e consumato una delle mie creme, non lo aveva fatto più. Anche se all’inizio si copriva il volto e si nascondeva.

La realtà e che lui ora si fidava di me. Non doveva più chiedermi se poteva restare una notte o più da me, gli bastava bussare alla porta e sapeva di essere il benvenuto. Avevo dormito anche molto volte da lui, quando abitavamo in Ohio e conoscevo suo padre. Anche lui si fidava di me e quando non lo vedeva rientrare, chiamava subito me.

Gli avevo più volte chiesto di venire a stare da me ma aveva trovato un appartamentino vicino al teatro e non voleva lasciarlo - anche se passava la maggior parte delle notti da me. Avevo fatto fare una camera per ospiti, solo per lui, ma ci aveva dormito giusto le prime notti., forse perché passava la prima parte della serata nella mia camera a parlarmi di qualcosa o io a parlargli di qualcosa e allora finiva per addormentarsi lì.

Quella era diventata la nostra normalità. Dormivamo nello stesso letto e molto volte, ci svegliamo con le teste vicine e le mani strette. Con lui mi sentivo al sicuro, perché sapevo non mi avrebbe giudicato mai, come io non avrei mai giudicato lui. Ricordo ancora la prima volta in cui mi confesso di essere gay e che ero stata la prima persona cui lo aveva detto. Dopo qualche giorno riuscì anche a dirlo a suo padre e dal quel giorno, sembrò non aver bisogno di dirlo ad altri. Era fiero di quello che era. Mi sentivo molto onorata a far parte della sua vita.

Kurt aveva le braccia incrociate sul tavolo della cucina e sopra aveva appoggiata la testa. Mi stava fissando. Gli sorrisi e gli passai una mano su quei capelli, già cosi spettinati. Sì, ero felice che facesse parte della mia vita. Di avere un migliore amico cosi speciale. Di sapere di poter contare sempre su di lui, per qualsiasi evenienza, anche se mi fossi trovata bloccata con la macchina per strada alle 03.00 di notte.

«A che pensi ‘Cedes? Sembri cosi assente e persa nella tua testa. Fammi entrare, magari posso aiutarti» lo disse con quella voce cosi dolce, quasi da bambino e non potei far altro che sorridere ancora e stringere tra le mie mani una sua guancia, già rossa per via della forma del cuscino.

«Mi stavo chiedendo una cosa, Kurt, Se io ti chiamasi nel cuore della notte, per chiederti di venirmi a prendere da qualche parte molto lontano da qui, per problemi all’auto o c he so io, tu verresti a prendermi?» lo chiesi e basta, senza giri di parole. Diedi voce a quella mia ipotesi che mi ronzava nella testa perchè ero solita fare cosi con lui. Gli confidavo sempre i miei dubbi e le mie paure, consapevole che sarebbe sempre riusciuto a placcarle

«Sei impazzita» urlò alzando la testa di scatto e incrociando le braccia al petto «Uscire da casa, senza aver il tempo di potermi darmi una sistemata? Ringrazia che era solo un’ipotesi e non un fatto reale, altrimenti avresti aspettato per molto tempo il mio arrivo». Lo guardai sogghignare e feci finta di mettere il broncio. Lui mi guardò per alcuni secondi, cercando la forza per tenermi ancora sulle spine, ma alla fine non ce la fece più e continuoò «Sì, però alla fine arriverei io a salvarti. Ti troverai di fronte, dopo molte ore, uno splendido ragazzo profumato a salvarti» e questa volta fu lui a sorridermi e come se mi avesse letto nella mente, aggiunge «Ti verrei a salvare sempre, ‘Cedes. Tu sei la mia migliore amica. La prima persona con cui ho fatto coming out. L'unica persona a cui concedo di vedermi in questo stato e a cui lascio il permesso di strofinarmi i capelli».

Sapevo che ero tutto quello per lui, perché me lo diceva spesso. Quando mi vedeva in difficoltà, mi prendeva le mani e mi dica tutto quello. Perché sapeva che ne avevo bisogno, perché vedeva quando mi facesse stare bene la sua presenza, perché sentiva che era la mia famiglia. Sentii una lenta lacrima calda bagnarmi il volto, lui si alzò dallo sgabello dove era seduto e mi strinse forte. In quel momento di dolcezza avevo bisogno di ritrovare il mio migliore amico e tornare a rivivere la strana unione che ci aveva spinto a essere amici e allora lo provocai, come sempre «Neanche se venisse il tuo bel dottore, in boxer e tutto sudato a chiederti di poter passare una mano sui tuoi capelli, tu non lo lasceresti fare?».

Kurt si allontanò da me e mi riservò una delle sue occhiate e iniziò a boccheggiare qualcosa, alla fine opto per un «Vado a farmi la doccia e questa non la passi liscia signorina» e poi scomparse di nuovo in camera, non prima di avermi lasciato un bacio sulla guancia bagnata dalla lacrima.
Tornai alla realtà quando mi accorsi di non aver ancora risposto al messaggio di Finn, cosi gli diedi appuntamento al bar dell’ospedale. Comunicai la bella notizia a Kurt, e lui mi saltò letteralmente addosso quando gli dissi che, per una volta, non doveva costringermi a seguirlo. Avevo delle cose da portare a Santana e ora anche l’incontro con Finn. Feci colazione e iniziai a prepararmi anch’io.



 
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Iniziavo a detestare l’ospedale, forse perché ci passavo più tempo di quanto avrei voluto. Tra Kurt, Santana e ora Finn, sembrava che quel posto non volesse lasciarmi andare. Da una parte era piacevole però, era da un sacco di tempo che non vedevo Kurt sorridere in quel modo. Vederlo saltellare da tutte le parti quando sentiva il suo nome o quando lo vedeva passare nei corridoi. Vedere la sua frustrazione quando non lo trovava e impazziva nel cercarlo nei vari reparti e poi vederlo tornare da me, sorridente, perché era riuscito a trovarlo.

Finn mi aveva accennato che era una brava persona e che era felice che Kurt si fosse innamorato proprio di lui. Per quanto mi riguardava, non conoscevo molto bene quest’Anderson ma Kurt era il mio migliore amico e non esiterò a intervenire in caso di un cuore spezzato, come sempre.

«Ciao Mercedes è bello rivederti» un ragazzo, molto più alto di me e con due braccia larghe, mi strinse forte tra le sue braccia e mi sorrise, mentre cercava di afferrare anche Kurt e trascinarlo in quell’abbraccio. Faticò un po’, ma alla fine strinse anche lui.

«Finn, andiamo, siamo un pubblico. Smettila. Poi cosi mi spettini tutto» a quella frase non potei che sorridere, ripensando a quella mattina nella mia cucina. Kurt si passò una mano tra i capelli e cercò di darsi una sistemata. Poi tutti e tre entrammo nel bar dell’ospedale.

Per quella riunione non eravamo i soli a essere stati convocati. Seduto a un tavolino, non molto lontano dall’ingresso, Blaine sedeva sorseggiando una tazza di caffè. Sembrava molto rilassato e non appena ci vide entrare, ci fece segno di sederci con lui. Mentre ci avvicinavamo al tavolino, senti la mano di Kurt stringersi forte alla mia e senti la sua voce stridula e stranamente bassa, sussurrarmi frasi scomposte all’orecchio. Capì solo qualche “E’ bellissimo” e anche qualche “Mi sto per sentire male”. Sorrisi tra me e me e gli strinsi a mia volta la mano.

«E’ bello rivedervi ragazzi» ci salutò alzando una mano e muovendola lentamente. «Allora Finn, ora che abbiamo una squadra, qual è il piano?» chiese il medico, con tutto quel gel sui capelli e il papillon che ci intravedeva appena, sotto il camice. Finn si era seduto accanto al medico, Kurt era di fronte a Blaine ed io accanto a Kurt. Mi teneva ancora stretta per una mano ma il suo sguardo stava studiando ogni singolo tratto del ragazzo che gli stava di fronte. Avrei passato un’altra notte insonne a sentirlo parlare, di quanto fosse bello e unico al mondo.

Non potevo pensare a quello che mi aspettava, ora dovevo pensare a quello che stava succedendo in quel preciso istante e cosi parlai «Un secondo.. Squadra? Squadra per cosa? E poi piano? Finn, perché Kurt ed io siamo qui, esattamente?».Finn si mosse impercettibilmente sulla sedia e Blaine alzò di poco le sue folte sopracciglia, prima di parlare «Aspetta non mi starai forse dicendo che loro non sanno niente. Questa mattina, quando mi hai chiamato, mi avevi chiaramente detto che sapevano tutto e che erano d’accordo».

Perché la gente parlava fra loro, si riempiva d’idee e domande e non rispondeva mai? Eppure mi sembrava di aver chiesto chiarimenti sulla situazione. Mi schiarì la voce, per attirare la loro attenzione e chiesi impaziente «Allora?».

Fu Finn a rompere e dare senso a quel covo di domande. «Bhe voi conoscete Rachel, giusto? Vedete tra qualche giorno sarà il suo compleanno e il suo ultimo compleanno è stato uno schifo totale e lei detesta festeggiarli ed io ho pensato che potremo farle cambiare idea. Ho chiesto a Blaine di darmi una mano, perché lui può fare uscire Rachel dall’ospedale senza problemi, e poi, bhe vi volevo chiedere se vi andava di darci una mano. Non so come rendere un compleanno speciale, però so un po’ di cose su di lei e magari attraverso quello che so, voi potevate creare qualcosa di grande. Allora?».

Kurt non riuscì a non strillare un ‘si’, troppo precipitoso e sicuramente detto solo per poter passare più tempo con il suo dottorino, io ci pensai un po’ su. Quella Berry mi stava anche simpatica certo, non la conoscevo ma mi sarebbe piaciuto sapere di più su di lei. Magari poteva essere un’ottima compagna, mentre Kurt era distratto dal suo dottorino. «Ci sto. Quella Berry sembra una tipa interessante e poi ti conosco, non faresti mai tutto questo, per una ragazza qualunque. Deve avere qualcosa di magico e speciale e ora voglio scoprirlo. Ora dimmi pure tutto quello che sai ed io e il mio caro amico, occhi innamorati Hummel, penseremo al resto».

Kurt mi strinse troppo forte la mano, mentre mi fulminava con lo sguardo, ma quello che era fatto era fatto. Finn saltò dalla sedia per la felicità e sul volto di Blaine si fece largo un meraviglioso sorriso felici. Ero felice della mia decisione.


Passammo gran parte del pomeriggio ad ascoltare Finn parlare, ogni tanto Blaine si doveva allontanare per dei controlli o perché il suo cerca persona suonava e Kurt, con scuse una più assurda dell’altra, lo seguiva come un cagnolino. Stavo conoscendo Rachel Berry, sotto lo sguardo innamorato di Finn. Più mi raccontava di lei e più la mia idea di “Compleanno speciale” si faceva largo nella mente. Nel tardo pomeriggio ci salutammo e ci demmo appuntamento per il giorno dopo. Per i preparati.

Avevo accennato loro qualche idea e anche Kurt ne era stato entusiasta. Alla fine anche lui si era legato all’idea di rendere quella ragazza felice e di regalarle un fantastico compleanno e questo mi rese ancora più fiera di lui. Una volta fuori dall’ospedale, ci aspettavano le prove extra in teatro, con un Mike troppo nervoso e ballerini troppo eccitati. Amo stare su un palco e realizzare il mio sogno, ma devo ammettere che se non avessi vissuto quell’esperienza con il mio migliore amico, molto probabilmente, ne avrei avuto paura.







 
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Mi scuso per il ritardo. Ho avuto poco tempo e sono riuscita solo ieri ad avere qualche minuto per buttare giù questo capitolo. Mi rendo conto che non è niente di che, e mi scuso anche per questo.
Volevo farvi entrare nel mondo di Kurt e Mercedes e mostravi uno spiraglio della loro amicizia.
Come scritto sopra, io gli adoro e adoro la loro amicizia. Potrei stare ore a elencare tutto quello che Mercedes ha fatto per Kurt e tutto quello che Kurt ha fatto per Mercedes.
Si completano e per come la vedo io, loro si amano. Ovviamente, platonicamente parlando. Sono la prima e la migliore friendship in Glee e continuerà a esserlo, a mio avviso.
Detto questo, ci vediamo la settimana prossima con un nuovo capitolo e finalmente a questo ‘compleanno speciale’ di Rachel.
Se vi va di lasciare una piccola recensione e farmi sapere cosa ne pensate di questa mia storia, mi farebbe molto piacere e mi aiuterebbe a capire se sta procedendo nel mondo migliore.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 7
*** Anche solo per una notte. ***






 
Era già tutto pronto, il palco, le luci, gli spartiti - erano riusciti a convincere il proprietario del teatro a lasciare loro lo stabile per alcune ore. Gli avevano detto che era per il compleanno di una persona speciale, che meritava quello. E non era stata per niente una bugia. Durante quelle ore, seduti alla caffetteria del bar, Mercedes aveva avuto un’illuminazione. Finn le aveva raccontato che Rachel aveva sempre sognato di esibirsi in un teatro, con la gente che la acclamava e le luci che illuminavano il suo volto. Aveva inoltre detto che il suo musical preferito era Funny Girl.

Mercedes era riuscita a fare il tutto con l’aiuto di Kurt, era stato anche un modo per tenerlo lontano dall’ospedale. Non conoscevano da molto Rachel ma Kurt, come Mercedes, si sentivano molto vicini ad essa, forse perché avevano gli stessi sogni ed erano delle dive. In quei pochi giorni di preparazione segrete, Finn usava chiamarli “La Diva Trinità” e a tutti e tre quel nome piaceva molto, anche perché era veritiero. Erano tre dive che si erano conosciti per caso e che avevano molto in comune, come l’ambizione e i musical.

Ora erano tutti in auto, indirizzati verso il teatro. Blaine non aveva faticato molto a far uscire Rachel dall’ospedale e Finn era già pronto con l’auto con Kurt e Mercedes a bordo. Mercedes era al centro, sul sedile posteriore mentre Kurt le tirava un braccio e le sussurrava frasi senza senso all’orecchio. La strada per il teatro, non era molto distante dall’ospedale, giusto un’ora d'auto, e il tempo era passato molto in fretta, tra una chiacchiera e l’altra. Con Rachel che cercava di estorcere informazioni a Finn e Kurt che approfittava delle curve per lanciarsi contro Blaine e schiacciare Mercedes.

Qualche isolato prima di intravedere l’enorme teatro, Kurt aveva bendato Rachel, che si era lamentata e dimenata ma solo all’inizio. Trascinarla in teatro, non era stato molto semplice, considerato la rampa d’ingresso ma con Finn e Blaine e tenerle la mano, alla fine era andato tutto per il verso giusto. Avevano fatto salire Rachel e posta al centro del palco, con ancora la benda sugli occhi, le avevano detto di aspettare lì e di non mi muoversi. Avevano, infine fatto spegnere le luci e si erano accomodati nelle prime file, in modo da godersi lo spettacolo.

“Ora puoi togliere la benda Rachel” le aveva detto Finn, mentre cercava di trattenere l’agitazione e pregava mentalmente che le sarebbe piaciuta la sorpresa pensata da Mercedes. Il cuore di Rachel batteva forte nel petto ed era sicura che in tutto quel silenzio, anche gli altri lo stavano ascoltando. Si portò le mani al viso e tolse lentamente la benda, lasciandola cadere al suolo. Respirò ancora una volta prima di aprire gli occhi e perdersi nel vuoto, di una stanza che sembrava immensa.

“Ragazzi?” disse insicura mentre una luce iniziava a illuminarle il volto e la stanza rivelando che era una stanza ma un teatro e lei era al centro di un palco. Il suo cuore impazzito mancò qualche battito, e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.Il suo sogno. Quel sogno che aveva dovuto mettere da parte, perché non aveva più forze e speranze da dedicarli. Quello non era uno di quei sogni che faceva quando chiudeva gli occhi, quello era reale. Quello era suo. Le sembrava di essere finita in Funny Girl e il suo cuore tornò a battere.

“Apri il biglietto che ti abbiamo regalato Kurt ed io, vedrai che poi tutto ti sembrerà più chiaro honey” disse una voce, non molto distante da lei. Si portò una mano sul volto, in modo da poter intravedere qualcosa oltre quel fascio di luce che la avvolgeva e la stava facendo sentire sicura. Seduti in prima fila c’erano Kurt, Mercedes, Blaine e il suo Finn. Finn che sembrava nervoso, ma con lo stesso sorriso dolce a colorare il suo volto. Con il suo sguardo amorevole a scrutarla e una mano alzata a mò di saluto.

Rachel infilò una mano nella tasca laterale del suo vestito - vestito che Mercedes le aveva convinto a indossare e prese tra le mani il bigliettino. Lo guardò per alcuni secondi prima di decidersi ad aprirlo e leggere il contenuto. Era un biglietto di uno spettacolo. Il nome dello spettacolo era Funny Girl e il suo nome era sotto la voce “Protagonista femminile” e in oltre era un biglietto valido per una sola notte ed esclusivo. Rachel sapeva che Kurt e Mercedes stavano mettendo in scena Funny Girl e adesso, con quello scenario, quel teatro allestito e quel biglietto tra lra le mani, era tutto più chiaro alla sua mente.

“Che cosa vuol dire tutto questo?” chiese comunque la ragazza, che non riusciva ad ammettere a se stessa che qualcuno poteva avrele regalarle il suo sogno, anche solo per una notte. Perché una notte era tutto quello che desiderava in quel momento. E poi quello era anche il giorno del suo compleanno.

“Bhe! Vedi..” inizò Finn, alzandosi dalla sedia e torturandosi le mani nervoso “Io, cioè noi, abbiamo pensato che ti sarebbe piaciuto. Questo è il tuo musical preferito e mi hai raccontato che era il tuo sogno quello di intraprendere la protagonista e in più hai detto di odiare il tuo compleanno, cosi abbiamo pensato di farti cambiare idea e di regalati una notte. Una notte che fosse solo tua.”.

“Una notte in cui puoi essere, quella per cui sei nata, Rachel. Perché Diva si nasce e lo si resta per sempre. Questa è la tua occasione di brillare e di far tornare a brillare quel vecchio sogno. Per farti capire che c’è ancora tempo per tornare a credere in quel sogno” aggiunse Mercedes.

“Sappiamo che è solo una notte e che forse non te la senti, ma come ha detto Mercedes questa è la tua occasione. Sei nata per essere Fanny Brice ed è arrivato il momento di tornare a esserlo e di ricordarlo a te stessa. Una notte Rachel. Una notte per essere al centro di tutto” continuò Kurt.

“A quanto pare hanno detto tutto loro” sorrise Blaine, prima di continuare a parlare “Ci conosciamo da un bel po’, Rachel, e mi hai spesso raccontato che adori cantare ma non ho mai avuto l’onore di sentire la tua, sono sicuro, incantevole voce. Ti andrebbe di regalarci un sogno?”.

“Io-Io non so realmente cosa dire, dire grazie non basta, lo so, ma è tutto quello che posso dire e sarò lieta di cantare per voi questa sera. Questa è la mia notte, giusto? E questa è per voi” e pronunciò quell'ultima frase, cercando e perdendosi negli occhi di Finn, che era tornato a sedersi e le sorrideva più sicuro di prima. , quella canzone era soprattutto per lui.



Oh, my man, I love him so; he'll never know
All my life is just despair, but I don't care
When he takes me in his arms
The world is bright, all right


What's the difference if I say I'll go away?
When I know I'll come back on my knees someday
For whatever my man is, I am his forever more

Oh, my man, I love him so; he'll never know
All my life is just despair, but I don't care
When he takes me in his arms
The world is bright, all right


What's the difference if I say I'll go away?
When I know I'll come back on my knees someday

For whatever my man is, I am his forever more...






 
______________________

 
Buona sera *-* anche se con un po’ (molto) ritardo (che novità) ecco il nuovo capitolo *passa una balla di fieno*.
Non ci sono molte persone che leggono questa storia, probabilmente perché non so scrivere, ma scrivo questa storia per ricordare una persona che è stata molto importate e per me. La scrivo per me e lei e la nostra amicizia. Voglio parlare del nostre legame, attraverso Rachel e Mercedes. Perché lei era la mia Rachel ed io sarò per sempre la sua Mercedes.
Questo capitolo non è niente di che, lo so, ma era solo per concludere la questione “compleanno”. Da ora cercherò di scrivere capitoli più lunghi e di entrare nel vivo della storia. Vedremo i vari sviluppi nell’amicizia Mercedes!Rachel (Rachedes). Dopo scriverò anche dei Klaine e tornerò a parlare della Finchel.
Per ora questo è tutto. Alla prossima.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 8
*** Rachel? Io resto qui ***


Buone Feste Amore Mio, dovunue tu sia in questo momento.





 
Il sole non era ancora sorto e forse non si sarebbe neanche visto quella mattina. Delle enormi nuvole, dalle varie tonalità di grigio, riempivano interamente il cielo. Il meteo non annunciava pioggia, solo un po’ di freddo e vento. Cosa non molto strana considerato che era Dicembre inoltrato e quasi al termine ormai.

Le strade erano illuminate da decorazioni natalizie e di lucine. Ogni via sembrava rinata e il mondo le poteva ammirare in una nuova veste. New York sembrava un gigantesco albero di Natale e i negozi erano pieni di persone che acquistavano regali di Natale, per i propri cari. Era già un delirio inoltrasi nelle vie più affollate di New York, ora era un miracolo riuscire a intravedere il portone di casa.

Mercedes se ne stava accoccolata sotto una coperta molto pesante e una tazza fumante di cioccolata tra le mani. Era stesa comodamente sul divano mentre in TV passava un classico di Natale. Uno di quelli che vengono trasmessi ogni anno, ma che puntualmente ti ritrovi a riguardare con lo stesso entusiasmo della prima volta.

Aveva promesso a Kurt di uscire con lui ad acquistare i regali di Natale e di aiutare Finn a trovare il regalo perfetto per Rachel, ma alla fine i due erano usciti insieme a fare compere, solo perché Finn aveva telefonato dicendo che c’era anche Blaine e Kurt aveva ascoltato la telefonata.

Le prove per il musical erano in pausa, perché molti degli attori dovevano tornare a casa prima per le vacanze e dare una mano in famiglia. I genitori di Mercedes erano in Europa, con un gruppo di amici, cosi era rimasta sola per le vacanze. Burt le aveva chiesto di andare da loro per Natale e Kurt aveva provato a convincerla, elencando i suoi manicaretti preferiti, ma alla fine la questione era ancora un forse.

Non le dispiaceva l’idea di non passare le feste in famiglia, ma l’idea che c’erano persone che una famiglia da cui andare neanche l’avevano, la intristiva molto. Come Rachel. In quei giorni, lontana dall’ospedale, aveva pensato spesso a lei. Neanche Finn sapeva qualcosa riguardo alla sua famiglia. A lei non piaceva parlarne e Finn non voleva costringerla a farlo.

Blaine aveva raccontato a Finn, che capitava che di tanto in tanto qualcuno andava a farle visita, lei sorrideva per cortesia e tutto finiva lì. Finn non sapeva e non aveva chiesto a Rachel o Blaine da quanto tempo si trovasse in ospedale. Mercedes ne voleva sapere di più di quella ragazza, cosi fini la sua cioccolata calda e si preparò per uscire.

 
_ _ _ _


L’aria in strada era cosi fredda, che era quasi impossibile non congelare. Sembrava un enorme congelatore, con persone coperte il più possibile e la nebbia a completare il quadro. Cosi alla fine opto per prendere un taxi e sperare di non trovare molto traffico ma quella era New York City ed era cosa rara non trovarne. Dopo quasi due ore bloccata nel traffico e aver attraversato l’enorme strada che la divideva dall’ospedale, entrò nell’edificio. Subito un dolce tempore la avvolse e poté tornare a respirare. Si strofinò le mani prima di togliersi i guanti e infilarli in una tasca del cappotto.

Non metteva piede in quel posto da quasi due settimane. Santana era libera di poter tornare a ballare, e si era innervosita non poco quando aveva scoperto che le prove erano sospese e Kurt non la tormentava più per dei controlli. Da quando aveva scoperto che Finn conosceva molto bene Blaine, gli aveva dato il tormento. Quasi le dispiaceva per Finn, sopportare Kurt innamorato non era una passeggiata, ma dall’altra parte ora lei era libera da tutti quei controlli.

Fissò il corridoio centrale e s’incamminò verso l’ascensore. Rachel si trovava al secondo piano dello stabile, la sua camera era la prima del piano e in camera c’era una finestra che dava sull’ingresso centrale. Da lì era possibile vedere chi entrava nello stabile e aveva notato che molto spesso, la ragazza passava il suo tempo a fantasticare, con lo sguardo rivolto in strada. Una volta che le porte si furono di nuovo aperte Mercedes usci in corridoio e sorrise a un’infermiera, che conosceva per via di Santana. Molte volte l‘aveva trovata in camera della ragazza a sistemare qualcosa che a Santana non andava bene.

Mercedes si lasciò alle spalle la giovane ragazza, che ricambiò il sorriso e si avvicinò alla stanza di Rachel. La porta della stanza era chiusa come sempre, cosi bussò ed entrò solo quando senti pronunciare un debole e annoiato: “Avanti”. Cosi entrò in stanza e richiuse la porta dietro di se, prima di esclamare: “Ciao Rachel” la salutoòcon la mano, prima di avvicinarsi alla ragazza e stringerla in un caloroso abbraccio. La conosceva da molto poco, ma la sentiva sempre cosi fredda, che alle volte voleva solo stringerla e farla sentire a casa e protetta.

“Ehi Mercedes! E’ bello vederti. Come mai da queste parti? Non dirmi che Kurt ti ha costretto a nuovi controlli” Rachel ricambiò l’abbraccio di Mercedes, si allontanò lentamente per poi permettere alla ragazza di sedersi sul bordo del letto, anche se c’era una sedia non molto lontano.

“Non ti preoccupare di questo” Mercedes rise leggermente prima di riprendere a parlare “Kurt è in giro con Finn e Blaine. Si lo so, quel ragazzo è pericoloso quando in giro si trova il bel Anderson ma credo e spero che Finn sia in grado di contenerlo”.

“Lo spero per lui, altrimenti ti beccherai una bella strigliata, sul perché hai lasciato che accadesse. Aspetta, come mai sono insieme quei tre?” Rachel si aggiustò sotto le coperte e guardò Mercedes con sguardo confuso.

“Bhe, Blaine aveva bisogno di una mano con gli acquisti dei regali e ha chiesto a Finn di dargli una mano, ma come sappiamo bene Finn non è il massimo in questo e allora ha chiamato me. Io avevo già un appuntamento con Kurt ma quando Kurt ha ascoltato il messaggio di Finn in segreteria e dopo aver sentito il nome di Blaine, mi ha lasciato per raggiungerli. Lui è fatto cosi, ora mai mi sono abituata a questo suo aspetto. Cosi ne ho approfittato per venirti a farti visita e sapere come stavi. Non ci vediamo da un po’”.

Rachel sorrise dolcemente a quel’ultima frase. Mercedes poteva benissimo restarsene a casa al caldo, invece era lì con lei, solo per sapere come stava. Si sentiva molto lusingata e grata per quello e cosi: “Grazie. E’ gentile da parte tua, passare a trovarmi, anche se tutti continuano a dire che fuori si congela”.

“Oh andiamo signorina, ne valeva la pena. Ti conosco cosi poco e sono una persona cosi curiosa che non potevo starmene in casa con le mani in mano. Poi senza Kurt a torturarmi per cambiare canale per qualche programma di moda o a stressarmi sul cibo che mangio, è tutto molto noioso” rispose Mercedes con un sorriso sulle labbra.

“Potevi andare con loro in giro. In questo periodo dell’anno New York è bellissima. E’ cosi colorata e piena di vita, che il mondo sembra un posto più bello” sorrise malinconicamente, rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra e perdendosi in chissà quale ricordo.

“Sembri una che ama molto questa festa, non è cosi?” chiese, ma non ricevendo nessuna risposta continuò a parlare “Sai, i miei sono partiti in Europa con alcuni loro amici. Dicono che è bellissima, ora credo siano a Londra, almeno lo erano l’ultima volta che hanno chiamato. Per quanto mi guarda, non sono una fan di questa festa, ma l’idea di stare insieme a guardare un film mi piace. Kurt e suo padre Burt mi stanno tartassando di tornare in Ohio e andare a cena da loro, ma non lo so. Come hai detto tu New York è bellissima in questo periodo e … Rachel mi stai ascoltando?” la interrogo bruscamente Mercedes, vedendo che la ragazza sembrava su un altro pianeta.

“Come scusa?” Rachel spalancò gli occhi, come appena sbagliata da un brutto incubo. Guardò Mercedes con sguardo preoccupato e di scuse. Le succedeva speso di perdersi a pensare a qualche ricordo cosi lontano da lei, ma poche volte alla gente importava. “Stai bene? Sembri sempre cosi distratta alle volte, come se ci fosse una strana forza che ti portasse a disconnetterti con il mondo esterno. Sei sempre lì con lo sguardo perso, oltre il vetro di quella finestra, come se cercarsi un volto familiare che puntualmente non arriva” provò Mercedes cercando di sorridere.

“Io.. No, io sto bene, scusa. E che alle volte sono presa dai ricordi e passo cosi tanto tempo sola, che quando ricevo compagnia, dimentico che non posso semplicemente chiudere gli occhi per essere sola. Mi dispiace realmente molto, di cosa stavamo parlando?” chiese in modo da far dimenticare l’accaduto e poter cambiare argomento.

“Di me che passerò il natale qui. Proprio qui con te. Non mi va proprio di tornare in Ohio, anche se il Natale a casa Hummel è la cosa più bella al mondo, ma penso di dover restare qui a godermi il mio Natale a New York. E poi sono sicura che tu riuscirai a farmi tornare lo spirito natalizio” disse saltellando sul letto.

“Aspetta, qui con me? Vuoi passare il tuo Natale, nella più bella città al mondo, dentro un ospedale con una persona che non conosci? Perché? Voglio dire, il Natale a casa Hummel sembra molto emozionale e parliamoci chiaro, anche passarlo con il tipo che vede castagne all’angolo, sarebbe meglio che passarlo qui con me” disse tristemente Rachel, anche se dentro di se il suo cuore stava battendo con più energia.

“Rachel “ Mercedes le sorrise dolcemente e le strinse la mano con dolcezza e attenzione. Come se fosse di porcellana e si potesse distruggere in mille e più pezzi, se ci avesse messo solo un po’ più di forza. “Per me non è un problema. Certo, potrei andare dagli Hummel o raggiungere i miei o passarlo avvolta in una coperta a mangiare schifezze e a guardare film di Natale deprimenti, ma che c’è di meglio che passarlo con una persona che non si conosce e conoscerla?” le sorrise ancora.

“Ne sei sicura? Qui danno cibo scadente e i letti sono scomodi e non sono la miglior compagnia al mondo. Per non parlare che questo posto è pieno di persone malate e sarà cosi deprimente. Vedere l’ospedale pieno di parenti che piangono da tutte le parti e..”.

“Rachel? Io resto qui. Non c’è niente che tu possa dirmi per farmi cambiare idea. Parlerò con le infermiere e le convincerò a portarti qualcosa di migliore da mangiare quel giorno o convincerò qualche superiore a farti uscire per qualche giorno e ti porterò da me. In ogni modo, noi due ragazza mia, passeremo un folle Natale insieme” e la strinse in un nuovo abbraccio, come per sigillare l’accordo.



 
_ _ _ _


“Mercedes nei sei sicura?” le chiese ancora una volta Kurt “Se vuoi posso restare anch’io e cucinare qualcosa insieme, come lo scorso Natale, anche se alla fine era immangiabile e abbiamo ordinato di tutto” continuò Kurt, steso sul letto mentre aspettava che la sua amica finisse di cambiarsi, con il terzo outfit che gli aveva consigliato.

“Kurt te l’ho già detto, passerò il Natale con Rachel. Blaine è riuscito a convincere il proprio superiore a far uscire Rachel per i giorni di festa e trascorreremo il Natale tra film e schifezze varie” la voce attutita di Mercedes, riempi la stanza e Kurt sbuffò rumorosamente, per farsi sentire.

“Ed io che volevo trascorrere queste vacanze con te. E’ da quando ti conosco che passiamo il Natale insieme e non sarà la stessa cosa senza di te. Sarà realmente dura convincere mio padre a non mangiare altre patate, senza che ci sia tua a mangiarle per prima” rise sotto i baffi alla provoca lanciata e si fece subito serio quando vide l’amica uscire dal bagno, con uno sguardo che avrebbe incenerito un intero bosco.

“Ah! Ah! Molto divertente Hummel, ti ricordo che il tuo regalo di Natale è ancora nel mio armadio e se continui cosi te gli sogni quei due pass per la sfilata di Marc Jacobs. E poi tu non torni per Capodanno con tuo padre? Passeremo quella festività insieme, magari possiamo invitare anche Finn e Blaine, cosi si uniscono a noi e a Rachel” disse Mercedes, mentre si specchiava e si aggiustava i capelli.

“Primo, non provare mai più a ricattarmi con i pass per la sfilata. Secondo, la mia bocca non dirà più niente da questo momento, perché quei pass sono super rari. E terzo, si okay, tornerò qui per Capodanno e per fortuna che sono riuscito a convincere mio padre a lasciarmi comprare i biglietti, ma che ne sarà della nostra tradizione.. Aspetta, hai detto che farai venire anche Blaine? Quindi potrei festeggiare il Capodanno con Blaine? Mi stai dicendo che potrei realizzare il mio sogno e baciare qualcuno il giorno di Capodanno a New York e che quel qualcuno potrebbe essere il mio Blaine?”.

Kurt stava avvampando e non riusciva più a contenere la sua gioia. Con uno scatto quasi felino, saltò giù dal letto, per ritrovarsi addosso alla sua amica e urlarle: “Sei la migliore amica del mondo e ti voglio un mondo di bene”, come un bambino che è stato in visita alla casa di Babbo Natale. Mercedes sorrise nell’abbraccio quasi mortale di Kurt e lo strinse a sua volta per poi chiedere: “Quindi prenderai quel volo per l’Ohio e poterai i miei saluti a tuo padre?” Kurt annui con entusiasta sulla spalla di Mercedes “Ti prometto che quando tornerai, organizzeremo il più bel Capodanno che si sia mai visto a New York, ma ora corri a finire di preparare le valige, che domani ti devi svegliare presto”.

“Alle volte sembri mia madre che la mia migliore amica, forse è per questo che mio padre ti adora cosi tanto. Sa che con te non potrò mai correre rischi e fare cose stupide” Kurt rise e Mercedes gli schiaffeggiò il fondoschiena facendolo allontanare da se “Però ti voglio sul serio un mondo di bene e sei bellissima con questo vestito” sorrise dolcemente con il viso appoggiato allo stipite della porta e aggiunse ancora: “E ora corro a fare le valige mammina”.

Mercedes gli lanciò un cuscino in pieno volto, mentre il ragazzo usciva dalla stanza lamentandosi e dicendo che stava solo scherzano e continuando a ripetere che era la migliore. Mercedes si guardò ancora una volta allo specchio e sorrise al suo riflesso. Quell’anno si stava terminando nel migliore dei modi, aprendo le porte a un anno pieno di gioia e di pazzia.


 

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Capitolo 9
*** Buon Natale anche a te. ***


Ad ogni piccolo passo in cui non ci sarai, ma sarai comunque sempre qui con me.
A noi due.
Sempre.


 




 
Il telefono non smetteva di squillare ed erano passate ore da quando aveva iniziato a farlo. Un fastidioso vibrare proveniva dal salotto mentre Mercedes controllava che la sua cena non andasse a fuoco o peggio, che andasse a fuoco l’intera cucina. Di solito c'era Kurt in cucina durante le feste ma ora che il ragazzo era tornato in Ohio, Mercedes si doveva arrangiare per conto suo.

Nell’istante in cui stava per uscire il tacchino dal forno, che sembrava avere un bell’aspetto, qualcuno suonò alla porta di casa e per lo spavento, per poco non finì tutto sul pavimento. Se Kurt fosse stato lì, in quel preciso momento, l’avrebbe sicuramente rimproverata e poi le avrebbe urlato di andare ad aprire la porta e di lasciar fare tutto a lui. Mercedes sbuffò a quella voce nella sua testa e, appoggiando il tacchino al centro della tavola, andò ad aprire.

Una timida e impacciata Rachel alzò la mano e salutò con un sorriso per poi mostrare un vassoio coperto con una carta natalizia. Mercedes riconobbe subito la carta della pasticceria dietro l’angolo, dove lei e Kurt andavano spesso a rimpinzarsi durante quei giorni che loro definivano da: “Oggi al diavolo la dieta” e avveniva di solito alla fine del mese e nei giorni in cui si sentivano più tristi.

“Ciao, ho comprato questi. Avrei voluto prepararli io ma sono riuscita solo ora ad avere il permesso per lasciare l’ospedale per i giorni di festa e, notando che era ora mai troppo tardi, ho pensato di lasciar stare e comprarli durante il tragitto” sorrise in un modo dolce, che fece sciogliere il cuore di Mercedes.

“Non ti preoccupare, Kurt ed io adoriamo quella pasticceria, quindi hai fatto più che bene, ma potevi anche non disturbarti, voglio dire ho preparato tanto di quel cibo che ci vorranno giorni prima di mangiare il tutto, ma prego entra pure” disse spostandosi e facendo passare la ragazza con un sorriso raggiante.

L’appartamento sembrava enorme visto da occhi nuovi ma quando si viveva con Kurt Hummel, ogni spazio era troppo piccolo. La porta d’ingresso dava sul grande salotto., al centro della stanza c’era un tavolino da caffè e due divani, di fronte a questi era situata una libreria e al centro una televisione. Dal soggiorno s’intravedeva un corridoio che dava a tre stanze da letto, la camera in fondo era utilizzata come guardaroba.

“La cucina è da questa parte” spezzò quel breve attimo di silenzio la padrona di casa, facendo segno di seguirla oltre l’unica porta che precedeva il corridoio. Una volta nella cucina, Mercedes tolse dalle mani della ragazza il vassoio con i dolci e lo ripose sul ripiano di marmo della cucina e si voltò verso la ragazza.

“Questa casa è enorme, ci vivi tutta da sola?” chiese mentre continua a guardarsi intorno e togliendosi il soprabito. La cucina era divisa in due parti da un muro e una porta. Da una parte c’era la sala da pranzo, con un tavolo per otto persone, imbandita, e dall’altra parte, il piano cottura con tutto l’occorrente che dovrebbe avere una cucina per essere funzionale.

“A dire la verità sì, ma tecnicamente no” rispose la padrona di casa, prendendo il soprabito di Rachel e portandolo nella terza camera e poi tornando in cucina. Mercedes vedendo lo sguardo confuso della ragazza scoppiò a ridere, dopo cercò di darsi un contegno e spiegò quella sua affermazione. “Quest’appartamento è mio ma per la maggior parte del tempo ci vivo con Kurt. In pratica viviamo insieme, qui c’è tutta la sua roba, dal vestiario al cibo, ma lui non vuole lasciare il suo appartamento cosi, anche se dorme qui quasi tutte le notti, non abita realmente qui”.

La ragazza la guardò ancora per qualche secondo per poi sorridere al pensiero di quei due in quell’appartamento a bisticciare su quell’argomento o per gli spazi da non oltraggiare mai, e se non gli conoscesse da cosi poco tempo ci avrebbe messo la mano sul fuoco che era realmente quello che succedeva in quella casa, quasi tutti i giorni.

“Per non parlare del fatto, che la maggior parte delle volte che dorme qui, lo fa nel mio letto, anche se ha la sua camera. Voglio dire, non è la camera degli ospiti è proprio la sua camera, con tutte le sue cose e i suoi oggetti, ma si rifiuta di dormire in quella camera, dice che è troppo grande e che preferisce dormire con me, perché la mia camera ha un buon odore. Quando fa cosi mi ricorda un bambino e quando glielo faccio notare, mi dice che sono una mamma troppo apprensiva, ma lui è fatto cosi e ora mai è la nostra normalità” concluse la frase con un sorriso triste che non sfuggi a Rachel.

“Lui dov’è in questo momento? Nel suo appartamento o non so, dai suoi? Scusa non vorrei sembrarti un’impicciona, ma mi sei sembrata triste quando hai parlato di lui e poiché per quelle volte che vi ho visto, eravate inseparabili, mi è sembrato strano non vederlo qui” disse torturandosi le mani e guardandosi le sue scarpe.

“Oh! Lui è da suo padre in Ohio, mi ha chiesto di andare con lui, ma ho preferito restare qui. Vedi, da quando ci conosciamo, abbiamo passato insieme ogni festività. O io da lui o lui da me. Siamo cosi inseparabili che neanche i nostri genitori ci sopportano quando siamo insieme. Poi Burt, il padre di Kurt, è una persona meravigliosa che c’è sempre stata per me, quindi fa un po’ strano non essere lì con loro” sorrise Mercedes, cercando di sembrare occupata ad aggiustare le posate sulla tavola.

“Ti fa strano non passare una festività insieme?” Mercedes annui senza alzare il capo “Avete un rapporto bellissimo, sembra che vi completiate avvicenda. Devi volergli tanto bene se senti cosi tanto la sua mancanza e... ” Rachel non riuscì a finire quella frase, che il rumore assordate di una vibrazione riempì la stanza. Subito si affrettò a cercare lo sguardo della padrona di casa, che alzò gli occhi al cielo e afferrò tra le mani il suo telefono.

“Questo è Kurt che non mi lascia stare in pace un secondo da quando è partito per l’Ohio e mi stressa per sapere se ho già bruciato tutto” sbuffò prima di rispondere alla telefonata, Rachel non riuscì a trattenere un sorriso sincero di fronte quella scena. Mercedes urlò un paio di parole contro Kurt e poi chiuse la chiama aggiungendo un: “Kurt ti saluta” sorridendo raggiante. Per quanto lo avrebbe negato, era felice di quelle chiamate.


 
 


“Ad ogni modo, adesso basta parlare di me o di Kurt o della nostra amicizia, voglio sapere qualcosa di te. Cose come; colore preferito o se hai un animale o puoi parlarmi della tua cotta per Finn magari” ghignò Mercedes e poi rise piano alla vista delle guancie di Rachel che si coloravano di rosso inteso.

“Bhe, sai come succede, no? S’incontra qualcuno, ci si parla e il secondo dopo sei stesa sul letto a fantasticare su come sarebbe la vostra vita insieme. Lo so che può risultare stupido ma quel ragazzo quando sorridere regala il mondo, soprattutto quando sorride guardandoti. Ti fa sentire l'unica, importante, capisci?” rispose, abbassando il capo e giocando con il bordo della tovaglia.

“Sì, hai proprio ragione. Finn ha sempre avuto questo potere, lui riusciva sempre a far sentire tutti bene con solo uno sguardo, un sorriso e qualche parola alla rinfusa. Per non parlare della sua goffaggine e delle sue espressioni cosi buffe, mi ha sempre fatto tornare a sorridere. Lo adoro anche per questo, poi è un ottimo amico su cui puoi sempre contare” Mercedes sorrise ancora prima di entrare in cucina e uscire con il vassoio di paste portato da Rachel.

La serata era trascorsa nel migliore dei modi. Le due ragazze avevano chiacchierato del più e del meno, delle loro amicizie, delle passioni e di molto altro ancora. Avevano riso e cenato e Rachel si era complimentata per ogni pietanza in tavola. Ora mancavano soli pochi minuti alla fine della vigilia e all’inizio di Natale e loro erano stra colme.

“Oddio, adoro sul serio questi dolcetti. Ricordo che una volta ho quasi discusso con Kurt su chi avrebbe sposato il pasticcere. Lui con la sua teoria che fosse gay e che quindi sarebbero stati un’ottima coppia ed io che cercavo in tutti i modi di fargli capire che era etero e qiuindi che avremmo avuto un bellissimo futuro insieme. Una volta siamo quasi entrati per chiederlo ma poi ci siamo guardati e abbiamo iniziato a ridere come due scemi” raccontò Mercedes, mentre mangiava allegra un biscotto ricoperto al cioccolato.

“Voi due siete straordinari, dico sul serio. Avrei voluto incontrarvi prima, magari avremo potuto fare qualche duetto o litigato per quel pasticcere insieme. Non ho mai avuto amici come voi due, voglio dire amici pazzi e consapevoli di esserlo come voi” sorrise amaramente al ricordo, prima di posare un biscotto nel piattino.

“Oh! Guarda” esclamo Mercedes, alzandosi dalla sedia e dirigendosi nel salotto. Anche Rachel si alzò confusa dalla sedia e si diresse in salotto seguendo la ragazza. La padrona di casa era con il viso quasi spalmato sulla finestra a fissare la neve cadere. Rachel la guardò per alcuni secondi, senza avvicinarsi, fino a quando Mercedes non si voltò e le chiese di raggiungerla sorridendo, facendola sentire parte di qualcosa.



 
-

 


Entrambe sedute sul davanzale intero della finestra chiusa, con due tazze di cioccolata fumante tra le mani e gli sguardi persi oltre la finestra. Ognuna in pensieri lontani, che cadevano con i fiocchi di neve. La prima a riprendere parola fu la padrona di casa, che notando l’ora, esclamò: “Buon Natale Rachel”.
La ragazza castana, smise di guardare oltre i palazzi, ormai tutti bianchi, e si concentro sulla ragazza che aveva di fronte. Le regalò il più caldo dei sorrisi prima di sussurrare: “Buon Natale anche a te Mercedes”. Anche se non si potevano definire proprio amiche, soprattutto per il poco tempo in cui si conoscevano, era felice di aver passato il Natale in sua compagnia.

Le aveva fatto dimenticare ogni cosa, ogni preoccupazione, ogni pensiero. Era riuscita anche a farle dimenticare l’ospedale e la sua famiglia cosi distante da lei. L’aveva fatta sorridere e ridere tutto il tempo, l’aveva fatta aprire e parlare un po’ di sé, senza chiedere troppo. Aveva anche ascoltato i suoi silenzi senza giudicarla. Sì, era sicuramente il suo miglior Natale.

“Mercedes?” pronunciò quel nome in un sussurro ma Mercedes lo udì lo stesso e si voltò a guardarla “Sono felice che tu mi abbiamo invitata a passare con te il Natale, sono felice che tu non ti sia arresa e che abbia reso il tutto cosi speciale. Credevo di non poter più amare il Natale, ma mi sbagliavo. Sei riuscita con il tuo sorriso e il tuo essere cosi...euforia e gioiosa a rendere questo il più bel Natale di tutti i tempi e te ne sono realmente grata”.

“Oh signorina, tu non mi devi ringraziare proprio di niente. Se non fosse per te, avrei passato il Natale con film deprimenti e pop corn e non si può di certo definire Natale quello. Diciamo che dovrei essere io quella a ringraziarti e per farlo, questa notte resti da me. Puoi dormire in camera di Kurt, ha un letto comodissimo e ti posso prestare un pigiama. Anzi, resterai qui fino a Capodanno, perché non te l’ho detto ma faremo una festa privata e ci sarà anche Finn e Blaine e ovviamente Kurt e…tu, Non è ancora ufficiale ma lo sarà presto" sorrise ancora più raggiante, posando la tazza quasi vuota, sul tavolino di legno.

“C-cosa? Una festa? Qui? Con il mio Finn? Voglio dire, con Finn? Io...sicura? Sicura di riuscire a sopportarmi per tutto quel tempo? Posso essere peggio di Kurt, anzi, sicuramente lo sono” balbetto Rachel, passando una mano sul braccio ed evitando lo sguardo della padrona di casa, che si capiva benissimo non avrebbe cambiato idea.

“Non ti preoccupare, sono disposta anche a conoscere questo lato di te. Anche perché avrò bisogno di una mano per organizzare al meglio la festa, non posso di certo chiedere aiuto a Finn e Kurt non sarà qui prima del 30 quindi, tu ragazza mia, mi dovrai aiutare con il tutto. Domani potremo passare a casa tua a prendere quello che ti serve e poi sarà un’occasione per conoscerci meglio, no?”. Mercedes questa volta, oltre a un sorriso d’incoraggiamento, le strinse anche la mano libera e cercò il suo sguardo.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro, entrambe sapevano che sarebbe successo. Rachel aveva qualche lacrima non caduta a far brillare i suoi occhi colmi di gratitudine e Mercedes continuò a stringerle la mano e a farle capire che sarebbe andato tutto bene e che si sarebbero divertire insieme. Mentre le due ragazze si sorrisero e sigillavano cosi quell’accordo, i loro telefoni iniziarono a squillare. Mercedes si alzò saltellante dirigendosi in cucina, per rispondere alla chiamata sapendo già si trattava di Kurt e Rachel si alzò titubante prendendo il suo telefono sul tavolino da tè e guardando confusa lo schermo del telefono per scoprire chi la stava chiamando.



 
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“BUON NATALE MAMMINA MIA. Mi sei mancata tantissimo e sei mancata tantissimo anche a mio padre, che tra l’altro è qui e ti saluta e ti augura buon Natale e…certo ora glielo dico papà, smettila di ripeterlo e smettila di mangiare quella torta” Kurt imprecò sotto voce qualcosa che Mercedes non riuscì bene a comprendere, per via della linea e poi tornò a parlare “Mio padre dice di augurare anche buon Natale alla tua famiglia e che alle prossime festività ti vuole a casa e non accetta un no come risposta”.

“Dì a tuo padre che ricambio gli auguri, che farò sicuramente gli auguri ai miei da parte sua e che sarò lì alle prossime vacanze, anzi, la prossima volta che torni in Ohio vengo con te, ma prima di tutto: BUON NATALE TESORO MIO, mi sei mancato anche tu e non vedo l’ora che torni per spupazzarti tutto. Sto già pensando a cosa organizzare per la festa di Capodanno e mi farò dare una mano da Rachel”.

“Ovviamente voglio partecipare anch’io, so che non sarò lì ma hanno inventato Skype per questo, quindi dovrete aggiornarmi su tutto. Dio, vorrei essere lì per quando parlerete a Blaine della festa e vedere la sua reazione. A proposito augura buon Natale anche a Rachel e al mio dolce e bellissimo Blaine, poiché non posso dargliegli di persona. Aspetta, Rachel è ancora lì? Dorme da te questa notte?”.

“Pensavo di farla stare da me fino a Capodanno, cosi sarà più facile il suo aiuto. Ora è in soggiorno a parlare al telefono con qualcuno, credo sia Finn perché sta sorridendo in modo dolce e ha le guancie di un colore troppo rosso, per essere solo un parente. Ti da fastidio se la faccio dormire in camera tua?” Mercedes ignorò gli aggettivi usati per descrivere il Dottorino e mosse il capo rassegnata.

“No, no. Puoi farla restare quanto vuoi, tanto quando torno dormo nella tua camera. Cosi potrà restare anche il primo e potremmo restare tutti da te dopo la festa e... ”. Kurt stava aggiungendo qualche sua fantasia a occhi aperti su lui e Blaine nello stesso appartamento ma Mercedes iniziò a parlare.

“Prima della festa e la settimana dopo e il mese dopo, Kurt tu sei sempre da me e lo sai benissimo che non mi dispiace neanche un po’, ma sul serio, non capisco l’utilità di avere ancora quell’appartamento e pagare ancora l’affitto. Ora mai ci sono solo due sedie e un poster vecchio e ingiallito di non ricordo più quale musical... ” e come se fossero l’uno di fronte all’altro, iniziarono la loro salita discussione.

“Vuoi realmente parlarne ora, al telefono, e per di più a Natale? E poi ti ho detto più volte che quell’appartamento e in un’ottima zona e che non lo lascerò mai, poi dormire da te è più vicino sia all’ospedale sia al teatro e comunque prima passavo da te ogni mattina per svegliarti... ” e ancora fu interrotto da Mercedes.

“Okay, ho capito, l’appartamento resta, tu continuerai a stare da me e allo stesso tempo continuerai anche a dire che non vivi da me e che questo è solo il mio appartamento. Ricordami un po’ perché siamo cosi tanto amici? Perché alle volte sei cosi petulante che me lo dimentico e lo sei sempre, mio caro”.

“Perché sono un perfetto cuoco, ho un ottimo gusto per la moda, forse anche perché ti faccio ridere e perché mi adori tantissimo. Oh e poi perché verrei a salvarti a ogni ora della notte e ti voglio un sacco di bene, ma sono sicuro all’80% perché so fare il tuo dolce preferito” Mercedes poté sentire il sorriso di Kurt estendersi su tutto il suo viso.

“E ora ho voglia di quel dolce e tu non ci sei per prepararlo, quando torni voglio che lo prepari, cosi possiamo farlo assaggiare a Rachel. Ad ogni modo ancora auguri tesoro mio e ti voglio un sacco di bene anch’io. Sono felice che tu sia il mio migliore amico, ottimo cuoco e manico della moda. Ma sarà meglio che tu vada, anche da qui posso sentire tuo padre che fruga nel frigo per trovare quella crema ai lamponi che prepari”.

“Quest’anno sono riuscito a nasconderla molto bene….PAPA’ METTI GIU’ IMMEDIATAMENTE QUEL PIATTTINO. Lo vedi perché dovevi essere qui con me ora? Non so realmente come abbia fatto a trovarla. Risolvo il tutto e ti chiamo domani mattina, cosi mi puoi passare Rachel, magari posso esserci quando inviterete il mio bellissimo Blaine alla festa”.

“Fila a togliere quella crema dalle mani di tuo padre, prima che si senta male come l’anno scorso e cerca di non impazzire stando in Ohio senza di me. Riparliamo di tutto il resto domani mattina e farò il possibile per farti essere lì, nel momento un cui inviteremo Blaine e Finn alla festa di Capodanno... ” la ragazza non terminò la frase che sentì Kurt sbraitare qualcosa contro suo padre e non riuscì a impendersi di ridere.

“Non provare neanche a ridere, quando torno me la paghi per questo e sarà meglio che tu mi faccia spazio nel tuo letto, perché ho intenzione di dormirci per molto tempo e….PAPA’ QUANDO FAI COSI SEI PEGGIO DI UN BAMBINO, okay ora devo proprio andare ‘Cedes, ti chiamo domani mattina, ancora auguri e salutami Rachel, ti voglio bene tesoro”.

“Te ne voglio anch’io raggio di sole, augura anche buon Natale a tuo padre e digli che lo abbraccio forte. Ciao pasticcino mio” rise piano, prima di chiudere la telefonata e tornare in salotto, dove Rachel la aspettava con un dei suoi soliti sorrisi. “Chi era al telefono? Ti ho vista cambiare un paio di volte colore, quindi ne posso dedurre che era solo Finn, giusto?”.

“Bhe, sì. Mi ha chiamata per augurarmi buon Natale e in un momento di panico ho accennato qualcosa della festa, ho fatto male? Ovviamente non ho detto niente che era invitato anche Blaine, perché non avrei mai tolto questo a Kurt, anche se ero nel pallone e non sapevo realmente cosa dire. Prima che me ne dimentichi, mi ha detto di augurarti buon Natale e che più tardi chiamerà anche Kurt, ma che comunque domani passerà di qui”.

“Non ti preoccupare, tanto glielo avremmo chiesto lo stesso. Domani potremo anche chiederlo a Blaine, assicurandoci che Kurt possa esserci, e con questo intendo dire che dovremmo chiamarlo e tenerlo in linea per tutto il tempo. Anche lui ti augura buon Natale e ha detto che domani richiamerà, cosi può darteli di persona, ora, che ne dici di un bel film?”.








 
Note:
Dopo, non so più quanto tempo, ecco un nuovo capitolo. Per una storia senza trama e con un solo un finale incerto nella testa, mi rendo conto che non è molto. In oltre mi rendo conto che è molto malinconico ma quando si scrivere con canzoni come “Dare to believe” in sottofondo, questo è quello che si ottiene. In questi due giorni cercherò di buttare giù un nuovo capitolo e cercherò di pubblicarlo il 15 (Il giorno del compleanno della mia bellissima Dea, Amber). Non ho altro da aggiungere. Alla prossima.

- SandFrost in Jacobba's

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Capitolo 10
*** Che si dia inizio alla festa. ***


A te che mi manchi come niente mi è mai mancato. E a questa storia, che è mancata anche lei.
A te che mi resterai per sempre accanto e per sempre al tuo fianco resterò.
Alle nostre risate, che stanno vivendo nel vento.
Al nostro essere Jacobba’s. Always, right?
Love you too and Miss you too, Jacobba







La serata era andata avanti quasi fino alle prime luci dell’alba, avevano guardato alcuni DVD per poi stendersi sui divano parlare e conoscersi un po’ meglio. Avevano chiacchierato delle loro vite e dei loro sogni. Mercedes era anche riuscita a far aprire Rachel e farla parlare del suo rapporto con Finn. Erano 11:40 quando la vibrazione di un telefono, fece svegliare la padrona di casa che ancora con gli occhi chiusi, iniziò a muoversi in direzione del suono, non ricordando doveva avesse lasciato il telefono la sera prima o cercando di capire se fosse un suono reale.

Dopo alcuni giri intorno al tavolo della cucina ed essere finita in bagno due volte, trovò il telefono incriminato sul davanzale interno della finestra. Il telefono vibrava ancora e non servi leggere il nome sullo schermo per capire di chi si trattava, cosi accettò la chiamata e una voce dall’altra parte dell’apparecchio urlò: “DOVE DIAVOLO ERI FINITA?”.

Mercedes allontanò il telefono dall’orecchio e spalancò gli occhi, ora completamente sveglia e con lei anche Rachel, che scattò a sedere e si stropicciò gli occhi ancora assonnati. La ragazza pensò ad alta voce - facendosi sentire dall’altro capo del telefono, ancora lontano per paura di un altro urlo: “Mai proporre a Kurt Hummel una festa con Blaine Anderson e poi non aspettarsi una sua chiamata alle prime luci dell’alba”. Rachel la guardò confusa e tornò a dormire.

“Prima luci dell’alba? Ma hai controllato l’orologio? Anzi, a che ora siete andate a dormire vuoi due, non avrete fatto le ore piccole a spettegolare? Vorrei ricordati che mi hai promesso una bellissima festa con il mio Blaine e voglio che lo sia. Quindi sveglia” disse Kurt, cercando di riprendere il controllo.

“Si si! Sono più che sveglia ora che mi hai tolto un orecchio con il tuo urlo. Inizio a credere di aver fatto un errore a proporti questa festa, ma ora non possiamo tornare indietro, no? Ad ogni modo avremmo fatto le ore piccole anche con te qui, non capisco perché tu ti sorprenda poi tanto” sbuffò sbadigliando e tornado in cucina, cosi da lasciare Rachel dormire ancora un altro po’.

“Cerco che lo so ed è per questo che sbraito tanto, volevo essere lì anche io. Invece ho passato la sera con mio padre che approfittava dei miei momenti di pausa bagno per mangiarsi gli avanzi, ma sai come è fatto, no? Ho finto di andare a letto e quando mi sono svegliato l’ho trovato con un ciottola di pop corn, addormentato sul divano” anche se non poteva vederlo, riusciva a vedere la sua frustrazione e un piccolo sorrise nascere sul suo viso.

“Oh, mi manca cosi tanto tuo padre. Di solito gli facevo compagnia io, mentre tu guardavi qualche programma alla tv fino a tardi. A proposito: sarà anche lui dei vostri alla festa?” Mercedes fece in tempo a spostare il telefono dal telefono che Kurt urlò: “Non ci avevo pensato. Non posso impedire a mio padre di partire con me a New York, sembrava cosi entusiasta di questa occasione di vedere la mia vita lì. E ora che mi invento ‘Cedes? Come gli faccio capire che non può venire perché mi aspetta un mega festa e sarà la mia occasione di baciare Blaine bellissimo Anderson alla mezza notte? Mi devi aiutare, per favore” la ragazza sorrise. Gli mancava realmente tanto.

“Tuo padre è sveglio?” chiese e dopo un si affermativo del ragazzo continuò: “Allora passamelo che ci parlo io e vediamo cosa posso fare. E poi non dire che non faccio mai niente per te tsè”. Kurt iniziò a squittire e a ringraziare la ragazza, mentre entrava in soggiorno per lasciare il telefono nelle mani di Burt. “Mercedes?” gli sentì dire, mentre portava il telefono all’orecchio e un “Sì” come conferma da parte di Kurt, che sembrava agitato. “Ciao ragazza mia, come stai? Buon natale, mi è dispiaciuto non averti qui quest’anno, ma ci saranno altre occasioni, non trovi?”.

Mercedes sorrise al suono di quella voce cosi confortevole e che gli mancava tanto “Salve Burt, buon natale anche a lei. Come ha mangiato quest’anno? Kurt ha dato molto fastidio senza il mio controllo?” poteva percepire la tensione di Kurt anche se non poteva vederlo e ridacchiò tra sé. “Sai meglio di me che la cucina di Kurt non si smentisce mai. E comunque come al solito, niente di stravagante, forse perché non c’eri tu. Ora, sai dirmi perché mio figlio sembra debba disattivare una bomba?“ Kurt emessi un suono e poi protestò.

“Credo proprio di saperlo e vorrei parlare proprio di questo” riuscì a percepire Burt muoversi e mettersi sul divano e assumere una espressione seria “Abbiamo un piccolo problema per New York a Capodanno. Conosci meglio di me tuo figlio e, sicuro mi ucciderà, ma si è preso una mega cotto per un dottore”. Burt mugugnò una risposta che suona molto come: “Era ovvio. E’ proprio da lui” e poi tornò ad ascoltare quello che Mercedes aveva da dargli, mentre si alzava ed entrava in cucina, per non far ascoltare quella loro conversazione al figlio, che spostava il peso da un piede e l’altro e si torturava le mani.

“Abbiamo deciso di organizzare un festa. Niente di esagerato e sarà organizzata nel mio appartamento e abbiamo invitato questo ragazzo e speriamo che sia la volta buona. Ci sarà anche Finn, non so che Kurt gliene ha parlato” Burt accennò un si rapido e Mercedes riprese a parlare: “E ci sarà anche un ragazza conosciuta in ospedale mentre..”

“Sì, Kurt mi ha raccontato tutto di Santana e di..Rachel? Ad ogni modo mi fido di te, non che non mi fidi di lui ma sai quanto diventa vulnerabile quando si innamora, quindi se mi stai dicendo che avrai tutto sotto controllo, sposterò la partenza a un'altra settimana” Mercedes sorrise ed emessi un piccolo gridolino, che si unì a quello di Kurt dall’altra parte della cornetta. “E poi vi chiedete perché siete migliori amici voi” l’uomo sbuffò mentre Mercedes rise piano “Comunque non mi costa cosi tanto” disse alzando la voce per farsi sentire anche a Kurt “Questa settimana ho un sacco di impegni e ho un mondo di cose da fare, per non parlare del lavoro in officina che aumenta sempre e anche se mi dispiace moltissimo e..”.

Questa volta fu Mercedes a interromperlo: “Partita importate?” chiese e Burt rise, non dovendo aggiungere altro. Salutò ancora un volta la ragazza mentre ripassava il telefono a suo figlio, non prima di averle dato le ultime raccomandazioni e facendo ridere Mercedes, per il suo modo cosi adorabilmente premuroso, nei confronti di entrambi. “Ti amo lo sai, vero?” la ragazza ridacchiò, mentre il suo migliore amico iniziò a elencarle tutto quello che avrebbe fatto per lei e alcune direttive per la festa, non tralasciando niente - sicuro avendo passato la notte a compitare una lista per non dimenticare niente. In quell’istante nella cucina, fece il suo ingresso Rachel, che sembrava essere confusa.

“Tesoro, qui abbiamo una principessa mezza addormentato e spaesata, quindi che ne dici se prima la nutro e dopo ti richiamiamo e ci dai i tuoi consigli per la festa?” Kurt accettò senza fare storie e ribadì quanto l’amava. “Ti amo anche io, tesoro. Non vedo l’ora di riaverti qui” e cosi dicendo mise giù. “Buongiorno principessa, vuoi qualcosa da magiare?” sorrise raggiante alla ragazza, che si sedette ad uno sgabello della cucina, mentre si ricordava come si parlava, non solo per essere ancora nel mondo dei sogni, ma anche per la dolcezza di quel nomignolo. La padrona di casa iniziò a riscaldare del latte, mentre ascoltava l’ordine dalla sua ospite.

“Fino a che ora siamo rimaste sveglie? Mi sento frastornata, forse abbiamo mangiato troppo schifezze e abbiamo parlato molto. Non è mia abitudine parlare cosi tanto e per cosi tanto tempo. Oh!” dissi prima di alzare il capo e sorridere alla ragazza che la stava guardando divertita “Buongiorno anche a te”.

“Posso prepararti del tè, Kurt ne ha una vasta scelta quindi troverai sicuramente qualcosa che ti piace” porse alla ragazza un contenitore di latta dal odore dolce, con dentro delle bustine di tè di ogni tipo “E comunque posso capire come ti senti. Credo sia dovuto al fatto che ci siamo addormentate sul divano”. Fecero colazione e parlarono ancora un po’, prima di lavare le tazze usate e lasciare a Rachel l’uso della doccia. Una volta cambiate, si sedettero in salotto e aspettarono che Kurt rispondesse su skype.

“Ciao tesoro mio. Abbiamo pensato che fosse meglio una videochiamata e Rachel ha un quaderno, pronta ad annotarsi ogni cosa” sorride divertita Mercedes, dopo aver sentito il “Ciao bellezze” di un Kurt troppo euforico e pieno di idee per la festa. Rachel ridacchiò sentendosi parte di qualcosa di speciale.

Dopo essersi augurati ancora buon natale e aver parlato delle loro giornate, Kurt iniziò a elencare tutto quello che non poteva mancare e convisse le ragazze a chiamare Blaine a invitarlo, mentre lui era al telefono e in modo che potesse ascoltare. Dopo una manciata di minuti, Rachel compose il numero e un Blaine raggiante rispose, mentre Kurt cercava di contenere i gemiti. “Ehi Rachel, come va? Come hai passato la tua vigilia, lontana dall’ospedale e da quei scomodi letti?” chiese Blaine, quando Rachel lo salutò e mise il vivavoce, non disse che non era sola nella stanza e che altre due persone stavano ascoltando quella loro conversazione. Rachel sorrise nel sentire Blaine cosi apprensivo nei suoi confronti.

“Direi che sta andando molto bene. Sono qui con Mercedes e non so se Finn ti ha parlato ma vorremmo chiederti una cosa” iniziò Rachel e rise piano vedendo Kurt muoversi sulla sedia e comprendoni la bocca con le mani, per impedire a se stesso di urlare qualcosa di stupido o rovinare il momento. “Ciao Blaine, sono Mercedes, io, Rachel e Kurt” iniziò, puntando lo sguardo sullo schermo del pc e poi di nuovo sul telefono tra le mani di Rachel “Pensavamo di organizzare una festa per Capodanno nel mio appartamento” e quando sentì Kurt tossicchiare si corresse dicendo: “Mio e di Kurt e volevamo sapere se volessi unirti a noi. Ci sarà anche Finn e sarà una serata indimenticabile” e pronunciando quell’ultima parola, ammiccò all’amico, che quasi urlò.

“E non puoi dire di no. Voglio dire: sono una tua paziente, no? Una paziente che hai fatto uscire dall’ospedale e che parteciperà a una festa di capodanno, credo sia tuo dovere controllarla, no?” disse in fretta Rachel, dopo un singolo mugugno proveniente dal telefono. La ragazza sollevò il capo per controllare le reazioni degli altri due e quando fissò lo schermo Kurt stava facendo un cenno affermativo con il capo mentre Mercedes, al suo fianco, sorrideva.

“Messa cosi non posso darti tutti i torni” e prima che il ragazzo potesse continuare a parlare, Mercedes allungò in fretta un braccio per togliere il volume alle casse considerato che Kurt stava per esplodere e non volevano farli scoprire. Una volta fuori pericolo, poté tornare a dare attenzione al Dottor Anderson che: “Ci sarei venuto comunque, sono sicuro che ci divertiremo un sacco”.

“Oh! Può dirlo forte. In questa casa non manca mai il divertimento e sarà una serata che non dimenticherà mai. Poi non si sa mai cosa potrebbe cadere, ma non si deve preoccupare: quello che succede in casa Jones, resta in casa Jones” terminò Mercedes con aria solenne, mentre Kurt si dimenava dall’altra parte dello schermo, facendo segno alla ragazza che era morta. “Bhe non resta che aspettare e vedere come andrà a finire questa festa” e tutti e tre i ragazzi fissarono il telefono tra le mani di Rachel mentre Blaine aggiungeva: “Oh, e ciao Kurt, ci vediamo a capodanno” e salutando le ragazze, mise giù dicendo che aveva delle commissioni da portare a termine e che avrebbe chiesto, in seguito, l’indirizzo a Finn.

 
-


Tra molte - molte - chiamate, cercare di decorare al meglio la casa e riuscire a convincere Finn che il cibo era abbastanza per tutti e anche di più, quel 31 Dicembre era arrivato più tosto in fretta, anche se Kurt non sarebbe stato molto d’accordo su questo, considerato i messaggio di minaccia contro il tempo che passava troppo lento, che stavano per far esplodere la casella postala di Mercedes. Come primo atto per far felice il suo migliore amico (nella lista di cose per rendere quella festa indimenticabile): Mercedes era riuscita a convincere Blaine ad andare a prendere Kurt all’aeroporto, dicendo al suo migliore amico, invece, che sarebbe andata lei per sorbirsi gli ultimi consigli e scleri, prima di quella serata. Ovviamente sapeva che l’avrebbe uccisa, ma poco importava se quella festa sarebbe andata secondo i piani.

“Blaine mi ha mandato un messaggio dicendo che è arrivato in aeroporto e che ha trovato subito Kurt” informò Finn, che se ne stava seduto sul divano a mangiare patatine e a guardare una vecchia partita in tv, mentre Rachel cercava di fare il punto della situazione e Mercedes sistemava le ultime cose, cercando di non dimenticare niente. “Sì, Kurt mi ha appena mandato un messaggio dicendo che sono morta, quindi non posso assolutamente distrarmi” disse mentre riponeva il telefono in tasca e fissava la stanza. Non era venuta male, anche se il pavimento era ricoperto di palloncini e i muri erano pieni di striscioni e fronzoli colorati. Aveva imparato a sue spese come era impossibile dire di no a Rachel.

“Non ti preoccupare Mers, ho controllato la stanza nel dettaglio più di dieci volte e non sembra mancare niente, almeno secondo quel sito su internet che ho controllato questa mattina” esclamò tutta felice, mentre prendeva tra le mani un palloncino rosa e si avvicinò al divano, per poi sedersi non molto distante Finn, cercando di tenere puntati gli occhi sulla Tv e non sul ragazzo che le stava accanto e le offriva le sue patatine.

Durante quei giorni di preparativi, Mercedes e Rachel avevano legato molto. Avevano passato le loro serata a raccontarsi le loro vite e i propri segreti e in alcune di queste notti a loro si era unito anche Kurt. Avevano provato a cucinare una torta ma non era andata benissimo e dopo si erano arrese e avevano ordinato una pizza. Avevano scoperto di essere molto simili, ma con punti molto diversi. Mercedes aveva continuato a chiamarla principessa o piccola stella, mentre Rachel aveva iniziato a chiamala Mers o grande diva. Ogni volta finivano a ridere per qualcosa che non faceva ridere e passare il tempo insieme era piacevole. Avevano anche pianto insieme, guardando qualche film strappa lacrime.

Kurt le aveva odiate per tutto il tempo, perché non era lì a viverlo con loro, ma ogni volta Mercedes riusciva a farlo sentire meglio dicendo che avrebbero fatto le stesse cose anche con lui e che stare stato meglio, perché ci sarebbe stato lui lì a rendere migliore e Rachel sorrideva, perché sapeva che sarebbe stato cosi. Quando la porta si aprì, tutti nella stanza si voltarono sapendo che era ora. Quando Kurt entrò nel soggiorno, si guardò intorno come in cerca qualcosa, che trovò quando spostò il suo sguardo in direzione della cucina. I secondi si potevano contare e passarono esattamente due secondi, prima di vedere Kurt correre verso Mercedes e vedere la ragazza fare lo stesso verso Kurt. Non era passato poi tanto, ma si erano mancati.

“Dio non andare mai via da me, la prossima volta convinciamo Burt a venire da noi, perché mi sei mancato troppo” disse quasi tra le lacrime Mercedes, mentre stringeva Kurt e gli posava un tenero bacio sulla guancia, non curante degli altri ospiti nella stanza, perché gli era mancato tanto il suo migliore amico. “Ti sono mancato anche se ti ho stressato per tutti questi giorni e sono insopportabile e ti ucciderò comunque?” chiese Kurt stringendola con più forza e trattenendo le lacrime, perché non poteva piangere, non sapendo che Blaine era lì e che la sua presunta migliore amica aveva cercato di ucciderlo, non dicendoli che sarebbe andato Blaine a prenderlo.

“Non importa, anche se sei un rompi scatole mi sei mancato tanto tanto” concluse la ragazza allontanandosi dal suo migliore, non prima di averlo stretto un ultima. Sapeva che Kurt le voleva bene e anche se era un po’ arrabbiato con lei, era felice di essere tornato a casa, perché quella era la sua casa, anche se lui negava e diceva che ne aveva già una.

“Aw! Siete cosi carini voi due. Anche se vi ho visti interagire in questa settimana, niente rende l’idea del vostro legame, come questo abbraccio tenerissimi” disse Rachel, mentre li fissava con le mani aperte sulla bocca e gli occhi lucidi. Finn si era voltato per guardarli, ma conosceva già la loro amicizia, quindi dopo un sorriso dei suoi, si voltò e tornò alla sua partita. Blaine, invece, era rimasto in piedi a fissarli e non era facile capire la sua espressione. “Bhe!” iniziò Kurt avvicinandosi allo stereo e mettendo play “che si dia inizio a questa festa” e quando la musica iniziò a diffondersi nell’appartamento, tornò accanto a Mercedes e le offri il prima ballo, cosi che potesse rimproverarla senza farsi sentire da Blaine e allo stesso tempo mostrare le sue mosse. Mercedes rise ma alla fine lo assecondo.



 


 

Note SandFrost in Jacobba':
Anche se è passato realmente molto tempo e a nessuno interessa, non mi sono dimenticata di questa storia. Questa storia senza trama, scritta per rendere omaggio a una persona che non c’è più ma che vivrà per sempre. Per ricordare quanto è stata speciale e piena di risata la nostra amicizia. Per mai dimenticare che era - è - e sarà per sempre la migliore Rachel per la mia Mercedes. Unica e sola come il nostro legame che niente, neanche la morte, può mai spezzare. E mi manchi stella mia e mi manchi ogni giorno. Questa storia è per te, è per me..è per noi. Ti voglio bene piccola mia, restata per sempre al mio fianco.

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Capitolo 11
*** Rachel? ***




 
 
Andavano avanti da ore ormai, senza mai fermarsi. C’era musica natalizia che riempiva ogni stanza della casa, per quanto era alta, e luci abbassate per creare l’atmosfera, forse un idea di Kurt. Alcune patatine erano finite sul pavimento durante una giravolta di Finn, finita male, come anche una quantità di bicchieri mezzi pieni - con chissà quale tipo di bevanda - ornava ogni punto della stanza e sul bancone della cucina. I palloncini, quelli sopravissuti, erano ancora sul pavimento o sul divano ma la maggior parte erano esplosi o mossi dal vento chissà dove.

Le testa di Rachel girava come non mai e pure, non ricordava di aver bevuto più di due bicchieri. Tutto quello che proveniva alle sue orecchie erano mormorii e risate, probabilmente di Mercedes che stava provando ancora una volta, a spingere Blaine a invitare Kurt per un ballo, dato che quel’ultimo stava ballando, o meglio dimenandosi da solo, al centro del soggiorno. I suoi movimenti erano fluidi, forse dovuti al alcool nel suo corpo. Era quasi impossibile smettere di fissarlo.

“Oh andiamo Blaine, tutti ballano alle feste e poi se continui cosi, Kurt si accorgerà che stai sbavando su di lui. Se proprio devi farlo, va e fallo in sua presenza. Okay, forse questa frase non ha molto senso e tu non dovresti ascoltarmi, anzi, spero che Kurt non mi abbia ascoltato, altrimenti sono nei guai. Aiuto! Rach, ho bisogno di te qui, dove seeei” urlò Mercedes, sovrastando la musica e facendo scoppiare Blaine in una risata. Probabilmente il più sobrio tra tutti, se si considerava che Finn era mezzo addormentato sul divano, Kurt che balla senza più logica, Mercedes che rideva cercando di accoppiare tutti e Rachel che sentiva la testa come un palloncino pronto a esplodere per la troppa pressione.

La ragazza si mosse piano dal pavimento, cercando di sorreggermi al muro per trovare un equilibro, più o meno stabile. Quando arrivò, si sentì confusa perché non sapeva cosa si aspettasse che facesse. Restò in piedi accanto alla padrona di casa per qualche secondo, con occhi spalancati e un dito sul mente, cercando di far funzionare il suo cervello e far qualcosa di utile. Quando l’idea arrivò, non cercò di analizzarla o metterla a fuoco, semplicemente urlò: “Kurt, corri, Merc sta cercando di importunare il tuo ragazzo” perché non si poteva considerare parlare quel tono di voce cosi alto. Ma alla fine sorrise e si sentii fiera quando Kurt corse da loro, che erano in cucina.

Il ragazzo dagli occhi azzurri e la pelle chiara macchiata di rosso - per le ore sulla pista da balla, se cosi la si poteva definire - fissò la scena che gli si presentò d’avanti e, sicuramente, senza neanche accorgersene, quasi urlò: “Chi è che sta importunando il mio futuro ragazzo, eh?” restando a fissare con occhi sorpresi Blaine che si era alzato e, dopo aver chiesto curioso e con un ghigno sulle labbra: “Chi sarebbe il tuo futuro fidanzato?” si era lasciato spingere da Mercedes di nuovo in soggiorno e poi trovato avvinghiato a Kurt, dato che anche lui era stato spinto in soggiorno e ora ballavano imbarazzati.  

Fissò la scena con un sorriso sulle labbra perché non c’era niente di più bello di un Kurt euforico che ballava intorno a Blaine e un Blaine che lo seguiva con lo sguardo non riuscendo a muovere un solo muscolo, oltre a passarsi una lingua sulle labbra a ogni movimento particolare o quando veniva sfiorato con il corpo del ragazzo. Cosi presa a osservare, non prestò molta attenzione a Mercedes che alzò il suo braccio, per poi scontrare la sua mano contro la sua aperta, in segnò di vittoria. Semplicemente annuì felice.
 
 



A Mercedes iniziò a girare la testa e si fermò al centro della stanza, proprio a pochi passi da Kurt, che continuava a ballarle intorno, non ancora stanco e pieno di energie. Durante quel ballo - troppo scatenato per i gusti della padrona di casa - Kurt aveva pensato bene di rimproverarla e dopo ringraziarla una quantità di volte infinita per la festa di fine anno, per essere sua amica, per aver invitato Blaine e facendo notare quanto simpatica fosse Rachel, credendo di star sussurrando ma in realtà era chiaro capire cosa stesse dicendo ma lui questo non lo poteva sapere e andava bene cosi. Aveva anche detto qualcosa di gentile su Finn, ridendo alla vista del ragazzo che non riusciva a trovare la forza per restare sveglio anche se voleva chiedermi un ballo a Rachel, o almeno era quello che aveva riferito Mercedes quando le si era avvicinata.

Un’altra canzone terminò e una con un ritmo più pacato prese il suo posto. Mercedes, che si sentiva tanto Cupido a quella festa, si guardò intorno e, con un ghignò sulle labbra che faceva paura, iniziò a camminare verso di Finn che sedeva sul divano, al fianco di Rachel. Erano gli unici due seduti, se non si considerava Blaine che era seduto sul pavimento a guardare Kurt ballare, e Rachel ne aveva approfittato per restare un po’ con Finn, anche se non avevano parlato poi molto. Quando alla fine la ragazza li raggiunse, urlò un raggiante: “Finn, sveglia e invita Rachel a ballare. Questa notte e ancora giovane e Blaine smettila di fare il serio e vieni qui a ballare con noi” battendo le mani felice per quella sua nuova idea.

Nessuno si oppose al volere della padrone di casa e organizzatrice della festa.  Finn iniziò a far volteggiare Rachel per il soggiorno, sorridendole mentre Blaine muoveva lentamente i fianchi a tempo di musica, ballarono quel lento in tre. Dopo Mercedes sparì, fiera del suo lavoro, infondo aveva regalato un lento con la persona desiderata. Forse Kurt l’avrebbe voluta uccidere ancora di più, dato che l’aveva lasciato tra le braccia di Blaine ma dopo sembrò rilassarsi come successe la stessa cosa anche a Rachel.

Sentire le mani di Finn sui fianchi, poter posare le sue mani sul suo collo e nascondere il mio viso tra la stoffa della sua camicia. Erano tutte cose che immaginava quando non lo vedevo ma poter sentire il suo odore, non avrebbe mai retto nelle fantasie. C’erano solo loro e tutto il resto non aveva importanza. L’ospedale era solo un ricordo lontano e il ricordo della sua famiglia, non poteva toccarla. Neanche la sua malattia poteva, ora che c’erano le braccia di Finn a farla sentire protetta o almeno cosi pensava.

La serata trascorse serenamente, Finn e Rachel sembravano sempre più intimi, minuto dopo minuto e ballavano e conversavano senza più nessun imbarazzo, stessa cosa non si poteva di certo dire di Kurt che non la smetteva un secondo di sbavare su Blaine, che cercava di intavolare una conversazione con lui ma senza successo. Kurt era troppo ubriaco e Blaine troppo sobrio. Calò il silenzio quando l’orologio fece notare tutti che mancava solo poco più di un ora alla mezza notte, e quello fu una specie di segnò per Mercedes, che capì che era ora di intervenire con il suo colpo di grazia.

E ne approfittò quando Blaine entrò in cucina per nascondersi da un altro ballo - troppo sobrio per reggere l’imbarazzo o forse qualcos’altro, se ci si soffermava a guardare la patta dei suoi pantaloni. Il moro era riuscito a trovare una via di fuga quando Kurt, troppo euforico e felice per notarlo, aveva proposto un ballo a Rachel, la quale non aveva potuto rifiutare.

Mercedes aveva tentato ancora con le parole ma dopo l’ennesimo rifiuto da parte del medico, aveva deciso di far intervenire la sua arma segreta e chiamò Rachel. La ragazza, ormai abituata ai comportamenti di Blaine, semplicemente gli feci notare che: “Andiamo Blaine, mi hai spinto tu a uscire di più dall’ospedale e di passare più tempo con la gente e in questo momento, mi farebbe davvero felice vederti ballare un nuovo lento con Kurt”.

Il medico scosse la testa ma alla fine uscì dalla cucina rassegnato. Con sé portò anche una bottiglia d’acqua che porse a Kurt, prima di farlo sedere e assicurarsi che la bevesse tutta perché: “Okay, va bene, mi arrendo ma è ora che quel ragazzo torni sobrio o la mia vita cesserà di esistere prima del nuovo anno, se continua a muoversi intorno a me in quel modo. Ma nessuno sente caldo qui?”. Rachel rise seguita da Mercedes per quel commento finale. Restarono a fissare la scena in silenzio, per paura di rovinare il momento con le loro voci troppo alte.

“Credi che dovremmo intervenire?” iniziò Mercedes seduta al fianco della ragazza, entrambe sul ripiano della cucina “Voglio dire, credi che si baceranno questa sera? Non è mia intenzione anticipare i tempi ma quei due stanno letteralmente esplodendo e noi due siamo come le loro fate madrine e dovremmo fare qualcosa ma onestamente non ho più idee. Quei due sono difficili da convincere e se non riesce a scioglierli l’alcool, la vedo dura. Tu che ne pensi?” chiese di nuovo. Rachel si passò una mano tra i capelli prima di rispondere.

“No” disse istintivamente dopo, fissando Blaine avvolgere un braccio intorno al petto di Kurt per aiutarlo ad alzarsi e camminando insieme fino alla finestra ancora chiusa, per una boccata d’aria. Mercedes non aveva tutti i torti, ed era vero, quei due erano difficili ma entrambi provavano qualcosa, anche se a loro non era ben chiaro. Potevano vedere la reazione dei loro corpi ma non la velocità dei loro cuori ma se li guardavi, anche un occhio meno attento avrebbe capito. Si sentiva subito che c’era un qualcosa tra di loro ma aveva bisogno di tempo e fiducia per nascere e loro non potevano fare molto sotto quel punto di vista. “Lascia che si scontrino, lascia che siano fuochi d’artificio” esclamò, in un momento di sobrietà.

Ma il momento passò subito e fu il delirio; Blaine che chiedeva indicazione a Mercedes per il bagno - dato che Kurt gli aveva sussurrato che aveva bisogno di vomitare ma non riusciva a dirgli dove si trovava esattamente -, Kurt che si rifiutava di essere portato da Blaine perché non voleva essere visto in quelle condizioni, Mercedes che gli urlava contro che doveva smetterla di fare il bambino e infine di nuovo Blaine, che alla fine optò per prendere il ragazzo in braccio come una sposina per non rischiare di farsi vomitare addosso. E Finn che rideva della situazione non aiutava affatto e Rachel..

Lei si lasciò cadere sul divano sorridendo, lasciò andare la testa all’indietro e chiuse gli occhi. liberando la sua mente da ogni rumore esterno. Da ogni respiro o risata. Sentiva ancora la testa esplodere, come un fastidioso martellare nei timpani che dirigevano una fastidiosa orchestra in tutta la sua testa ma cercò di non darci peso e fece un respiro profondo ma non servì poi a molto. In meno che non si dica, si era ritrovata nella sua stanza di quando abitava ancora con i suoi papà. Era di fronte allo specchio e, con una spazzola tra le mani, cantana una canzone.

Non riuscì a capire le parole né a percepire alcun suono perché un nuovo fastidioso rumore disturbo quel momento. Si vide accasciare al suolo, attraverso il suo riflesso nello specchio, la spazzola finita al suo fianco, caduta prima ancora che se ne rendesse conto. Non riusciva a sentire altro che quel dolore nella testa. Non riuscì neanche a percepire la porta della sua camera aprirsi o uno dei suoi papà entrare, spaventato dagli urli che stava emettendo ma che ancora fatica a ricordare.

Sapeva essere solo un ricordo eppure..

Era una giornata di sole, troppo bella per correre verso l’ospedale. Stesa sui sedili posteriori tutto quello che riusciva a sentire, era il sole caldo sul suo viso. Le braccia sulla sua testa, come calmate a quel rumore che la stava facendo impazzire e sul suo corpo, rannicchiato come protezione. Ma la voce di suo padre che imprecava al telefono perché non c’era campo per chiamare un’ambulanza o il suo altro papà, era solo un sfruscio troppo distante per essere reale. Erano tutti suoni lontani; il traffico, le auto, i clacson, le sirene, le sue stesse urla. Le sue lacrime. Non lo sapeva ancora, mentre me ne stava nella mia stanza a registrare un altro video da poi caricare, ma stava per cambiare ogni cosa e avrebbe fatto paura.

“Ehi, va tutto bene?” quella voce. Quella voce non centrava niente con quel ricordo realmente troppo lontano. Con quel dolore ancora troppo vivido sulla sua pelle. Quella voce che aveva lo stesso calore rassicurante di quel sole che la toccava e riscaldava la pelle, l’unico che potesse toccarla mentre lentamente impazziva. Finn. Credeva che Finn sarebbe stato l’unico a poter avere quella importanza nella sua vita, perché era stato l’unico che aveva visto oltre quel freddo e finti sorrisi. Come il sole che non chiede il permesso e passa attraverso le tende, segnando un nuovo inizio.

Ma il sole ha i suoi raggi e adesso li poteva sentire, ridevano e facevano rumore ma soprattutto erano reali. Erano intorno a lei e la facevano sentire viva. E quei raggi riuscivano a superare quel rumore insopportabile e a darle dei nuovi suoni da ascoltare, come la risata di Mercedes, gli acuti di Kurt, la voce calda di Blaine. E Finn. Finn che ci era riuscito quando credeva che sarebbe stato impossibile perché non poteva accedere, perché ci aveva messo più di un anno ad accettare la sua diagnosi e la sua solitudine ma lui, come quel sole, aveva toccato la sua pelle fredda e il suo cuore spaventato e stanco e aveva regalato un nuovo brivido, una nuova emozione, un nuovo ricordo da portare con se. Un nuovo inizio da vivere fino in fondo, senza paure.

“Io” esclamò incerta, aprendo i suoi occhi con lentezza perché lui era la sua sicurezza e aveva bisogno di vederlo per realizzare che non era solo un altro sogno ma la realtà e lui era proprio lì, al mio fianco, proprio come ricordava; con un sorriso preoccupato sul volto e gli occhi caldi. Le stava spingendo una mano ma non l’aveva percepita, persa in quel rumore nella sua testa. Quasi si sentì svenire, sentendo la presa della sua mano sulla sua. Era calda e rassicurante proprio come quel sole e forse non era solo una sensazione. Forse stava per svenire sul serio.

Aprì la bocca ma non ne venne fuori alcun suono, allora la richiuse e fissò con attenzione quella di Finn. Sembra stesse parlando eppure, per quanto si sforzasse, non riusciva ad ascoltare nessun suono e quello fu il segno che stava succedendo. Che stava succedendo di nuovo. La testa continuava a girare, sempre più in fretta, fino a sentire i conati di vomito. Provò a respirare ancora e ancora ma non riuscì a capire se lo stesse realmente facendo o se lo stesse solo immaginando e quello fece scattare una serie di pensieri.

Era realmente lì? Aveva realmente conosciuto Finn Hudson o era solo una sua fantasia per non sentirsi di nuovo sola? Era forse ancora in quella macchina, in preda alla frenesia di arrivare in tempo? Forse avrebbe dovuto chiedere di Blaine Anderson una volta arrivata in ospedale, magari lui era reale, forse lui esisteva. E Mercedes Jones e Kurt Hummel? Mercedes l’aveva davvero invitata a casa sua, si era davvero presentata nella sua stanza in un giorno gelido per informarla che sarebbe rimasta, per dirle che ci sarebbe stata? E Kurt, avrà baciato Blaine? Ha rovinato ogni cosa? Che ore erano.

Un rompo più fastidioso degli altri sovrastò il suono dei suoi pensieri, ma non era nella sua testa, quel suono era reale. Mosse il capo e fissò l’orologio sul mobile bianco, era mezza notte e un nuovo anno era appena iniziato. Sorrise perché se quel suono era reale, allora tutto il resto sarebbe dovuto esserlo, non era forse cosi? Doveva esserlo. Allora dove erano finiti tutti e dove era finita? Non voglio cadere un’altra volta, aiutatemi, per favore.

E nella frenesia di quei pensieri folli e senza controllo, non si rese conto che non vedeva più niente. Provò ad aprire gli occhi ma non c’era nessuna luce intorno. Quando era andata a dormire e chi aveva spento le luci? Tentò di alzare una mano per passarmela sul volto allora, per assicurarmi di essere reale, di essere sveglia ma era pesate come tutto il suo corpo, impossibile da muovere. Sembrava di star vibrando nell’aria e allo stesso tempo sentiva la gravità che la schiacciava al suolo. Tutto aveva perso peso e forma e stava precipitando nella sua mente. Persa ma lì, li poteva vedere.

I suoi papà che la guardavano con le lacrime agli occhi e dei sorrisi spenti sulle labbra. Le mani intrecciate nella mia camera d’ospedale, cercando di capire come sia potuto succedere. Medici che entravano ed uscivano dalla stanza per controllare le flebo e le analisi, per nuovi prelievi e ancora altri controlli. L’ultima cosa che ricordava, era una infermiera che la guardava e le sorrideva amaramente, forse pensando a quanta ingiustizia ci fosse in tutto quello, passando una mano sulla croce d’argento che portava al collo. Provò a sorriderle ma tutto si spesse e sparì alla sua vista.

E si sentì pronta ad andare, a dire addio alla sua famiglia, al suo sogno, a se stessa. Sorrise amaramente, stesa in quel letto d’ospedale, proprio come aveva fatto quell’infermiera poco prima, ascoltando i singhiozzi di suo padre e quelli trattenuti del suo altro papà, che cercava di dargli forza e gli continuava a ripetere che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe stata bene. Socchiuse le labbra ma non emise alcun suono, nella sua testa li salutò. Era pronta, lo era sul serio e non avevo paura ma poi..

Una scossa la mosse dal suo letargo riportandola via da quella realtà lontana. Lacrime non sue bagnarono il suo volto, un urlo spezzato distrusse quella bolla di silenzio che l’avvolgeva ricordandola che, quella volta, non si sarebbe arresa cosi facilmente.

E le sembrò di essere di nuovo viva, in vita, e poteva respirare. Respirò piano a bocca aperta, provò ad aprire di nuovo gli occhi ma era troppo difficile e ci rinuncò. Un altro urlo arrivò frammentato alle sue orecchie ma riuscì comunque sentire il suo nome che veniva urlato da qualcuno. Provò a dire che stava bene e che ora era al sicuro ma con quell’urlo e con quell’urlo si lasciò andare, perché era troppo stanca e aveva bisogno di riposo. Si addormentò nella pazzia di quei pensieri, troppo disperati e solitari. Per troppo tempo tenuti sepolti. La sua mente troppo stanca per generare un altro pensiero. E tutto finì cosi.











Note:

Hola bella gente, non ci posso ancora crede ma sta succedendo HO AGGIORNATO.
Probabilmente non ci sarà più nessuno che voglia leggere questa mia storia ma eccola qui.

Rileggendo i vari capitoli precedenti ho realizzato vari cose, una tra queste è che questa storia meritava una fine ma soprattutto una trama. Mi sono resa anche conto che potevo fare di questa storia una meraviglia ma ho sprecato molto tempo e parole ma adesso sono pronta a rifarmi. E adesso passiamo a spiegare questo capitolo.
Come forse avrete notato, ci sono molti punti senza spiegazione ma è voluto. Questo capitolo è descritto dal punto di vista di Rachel, quindi ho scritto tutto quello che Rachel vede e sente. Nei prossimi capitoli questa serata verrà descritta anche dagli altri quattro, andando a calcare altri momenti e scambi di battuta, come a esempio Blaine ci mostrerà la sua serata con Kurt e Kurt ci farà entrare nella sua euforia. Entreremo nei pensieri di Finn e nella mente contorta di Mercedes. Ognuno di questi capitoli finirà nello stesso modo; cos’è successo a Rachel?
Da questo capitolo la storia prenderà una strada diversa e il racconto sarà molto più introspettivo. Spero che vi piaccia questa mia idea. Voglio farvi conoscere i personaggi, le loro storie e i loro legami. Voglio farvi vedere tutto quello che io vedo ma che ancora non sono riuscita a mettere a parole. E vi prometto che ne vale la pena.

Ps: La frase che dice Rachel a Mercedes “Lascia che si scontrino, lasciano che siano fuochi d’artificio” è stata la prima frase che ho scritto quando mi è nata l’idea di questa ed è una emozione unica sentirla dire dalla mia Rachel.

Spero che ci sia ancora qualcuno a leggermi e che questo capitolo vi piaccia *attende recensioni in un angolino*
Alla prossima, personcine

Sandfrost in Jacobba’s

 

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Capitolo 12
*** Sì, lui era sbronzo di Kurt Hummel ***





 
 
Sentiva le gambe doloranti, la testa girare e lo stomaco sottosopra, eppure, non aveva toccato una singola goccia d’alcool da quando quella sotto specie di party di Capodanno, a casa Jones-Hummel, era iniziato. O forse, il suo problema era dovuto  proprio a causa di quest’ultimo, che aveva iniziato a ballare al centro della stanza dopo i primi bicchieri di vino e chissà cos’altro facendo sentire, chi lo guardava, sbronzo. Sì, lui era sbronzo di Kurt Hummel e non riusciva a capire se era una cosa positiva o meno e così se ne stava in un angolo a osservare la sua dose di dipendenza muoversi a ritmo di musica, forse troppo lentamente.

E sicuramente Mercedes aveva le sue colpe, poiché aveva dato qualcosa al ragazzo per rilassarlo un po’ ma forse non era stata una buona idea dato che aveva distrutto le sue inibizioni e il suo corpo si muoveva sinuosamente e sensualmente. Nessuno, né da sobrio né da ubriaco, etero o gay, avrebbe potuto reggere Kurt Hummel, soprattutto se ballava in quel modo senza controllo, buttando la testa all’indietro e dimenando i fianchi, mettendo in evidenza la sue curve e forme. Blaine prese un respiro profondo, di quel passo sarebbe impazzito prima della mezza notte.

Cercò di darsi un contegno e osservo la stanza. Blaine si trova al’interno della cucina e fece qualche passo in avanti, appoggiandosi allo stipite della porta per osservare meglio il soggiorno. Sorrise quando notò che Finn era ancora steso sul divano, mezzo addormentato ma ancora in tento a osservare Rachel. Questa, invece, era seduta sul pavimento con la schiena appoggiata al muro e sembrava stanca. Kurt ballava ancora e Mercedes, bhe lei lo aveva notato e gli si stava avvicinando e Blaine iniziò ad avere paura.

Quando la ragazza lo raggiunse, iniziò a blaterare cose come: “se continui cosi, Kurt si accorgerà che stai sbavando su di lui” o peggio ancora “se proprio devi farlo, va e fallo in sua presenza” che aveva un che di doppio senso che lo fece arrossire e il tutto si complicò quando “Aiuto! Rach, ho bisogno di te qui, dove seeei” urlò, attirando l’attenzione dell’altra ragazza che iniziò a rimettersi in piedi in modo precario e camminò verso la cucina, fino ad aggiungerli.

La nuova arrivata li fissò confusa, passandosi una mano sul mento, come a farsi venire un’idea o a chiedersi cosa ci facesse lì – era difficile da capire – ma alla fine la sua idea di genio fu quella di chiamare Kurt dicendo che Mercedes lo stava importunato, citando: “sta importunando il tuo ragazzo” e quest’ultimo, arrivò correndo e, ubriaco qual’era, non diede forma ai suoi pensieri e “Chi è che sta importunando il mio futuro ragazzo, eh?” quasi urlando e Blaine non resistesse più.

Era da quando era iniziato quella serata che lo stava facendo uscire fuori di testa cosi, gli si avvicinò piano e: “Chi sarebbe il tuo futuro fidanzato?” chiese con un ghigno sulle labbra e avrebbe volentieri continuato a provocarlo con il quel modo, soprattutto per fargli provare solo un pizzico di quello che aveva provato lui guardandolo ballare, quella sensazione di pizzicore in tutto il corpo ma non ne ebbe il tempo, che venne spinto da Mercedes e in me che non si dica, aveva tra le braccia lo stesso ragazzo che avrebbe voluto far impazzire ma ancora una volta era lui a farlo impazzire.

Kurt si mosse tra le sue braccia, all’inizio imbarazzato ma poi lasciò fare al suo corpo. Si districò tra le sue braccia fino a girargli intorno, sorridendoli provocatore, con quel ghigno che lo stava facendo diventare matto. Lo toccava a mala pena però e allora perché sentiva le vertigini? Il suo cervello gli stava comandando di fare qualcosa, qualsiasi cosa, mentre il suo corpo lo stava implorando di scappare o di unirsi al castano. Nella frenesia di quel momento, si morse il labbro inferiore e cercò di non perdersi neanche un movimento del ragazzo, che era dannatamente sexy e allo stesso tempo incredibilmente dolce.

Si leccò il labbro inferiore quando Kurt fece scontrare i loro fianchi, nel suo intento di scuotere il bacino e il sedere. Blaine si sventolò il viso con la mano, sentiva di avere bisogno di una pausa, perché anche se non si stava minimamente muovendo, si sentiva esausto, ubriaco e accaldato. Per le ultime due la colpa poteva benissimo ricadere su Kurt Hummel e il suo corpo troppo vicino, che lo faceva sentire pieno.

Quando fu sull’orlo di un esaurimento, Mercedes – che lo aveva buttato in quel ballo troppo spinto – accorse in suo aiuto e distrasse Kurt, spingendolo lontano da lui. Una parte di sé sentì subito la mancanza di quel corpo caldo che gli girava intorno ma l’altra parte di sé, si lasciò andare a un respiro profondo. Era una sensazione strana, che non riusciva a capire del tutto ma era quello che sentiva. Con gambe tremanti andò a sedersi sul pavimento, non troppo vicino a Kurt ma neanche troppo lontano, cosi da non lasciarlo andare con lo sguardo.
 
 


Se qualcuno mai gli avrebbe chiesto cosa ricordasse di quel Capodanno, probabilmente avrebbe fatto scena muta cercando di ricordare altro oltre il corpo di Kurt Hummel, i suoi sorrisi, la sua risata e la sua voce. Perché sul serio, non riusciva a togliergli gli occhi di doso. Anche mentre se ne stava a ballare con Mercedes che non lo ascoltava più, con la testa che le scoppiava, lui non riusciva a spostare lo sguardo. Forse perché – e questa era solo una scusa ma non una ragione – il ragazzo continuava a nominarlo in ogni frase.

Per questo quando “e Blaine smettila di fare il serio e vieni qui a ballare con noi” di Mercedes arrivò alle sue orecchie, scattò in piedi passandosi una mano sui pantaloni stropicciati. Il suo intento, in principio, era quello di vivere quella serata ma quando alla fine si trovò tra Mercedes e Kurt, in un lento un po’ strano, quasi si colpì con una mano sulla fronte, soprattutto quando la ragazza si allontanò da loro con una scusa stupida, che neanche ascoltarono. Kurt fulminò Mercedes con lo sguardo e Blaine quasi rise ma poi ricordò che avrebbe ballato un lento con Kurt Hummel e le sue movenze eleganti e sexy. Solo in quel momento notò il cambio di canzone.

Con movimenti di finta sicurezza, appoggiò le mani sulle spalle del castano che arrossì all’istante sorridendogli in un modo troppo dolce che - se non fosse un medico consapevole fosse impossibile sciogliersi con un sorriso – lo avrebbe trasformato in una melmosa sul pavimento, per come lo aveva fatto sentire. Come uno specchio, ricambiò il sorriso e guidò le mani di Kurt su suoi fianchi. Ondeggiarono sorridendosi, mentre al loro fianco Finn e Rachel stavano facendo la stessa cosa. Rachel con gli occhi da innamorata e Finn con un sorriso perso, perso nei suoi occhi. Blaine si chiese come gli altri vedevano loro.

Il tempo passò veloce o estremamente lento, era difficile da dirsi. Tutto quello che sapeva e che avevano smesso di ballare e aveva provato a conversare un po’, ma con poco successo. Tutto quello che desiderata era un boccata d’aria fredda ma “Quindi lavori in teatro con Mercedes, sì?” chiese ancora. Erano almeno una ventina di minuti che provava a fare quel tipo di domande ma Kurt finiva sempre con il rispondere a monosillabi o con  movimenti lenti della testa. E non capiva se fosse per l’alcool o per la loro vicinanza.

All’ennesimo “sì” da parte di Kurt, il tempo si bloccò quando le lancette dell’orologio fecero notare loro che mancava solo poco più di un ora alla mezza notte, adesso era sicuro di quanto stesse scorrendo il tempo e anche Mercedes, a quanto pareva. Blaine notò che Finn tornò a sedersi sul divano e Rachel sorridergli, quindi fece avvicinare la ragazza a loro e, come immaginava, Kurt le chiese subito di ballare – bhe, più che altro la fece volteggiare quindi non ebbe molta scelta – e lui ne approfittò e respirando si diresse verso la cucina. Pessima mossa, pensò una volta nella stanza, pessima mossa.
 
 


“Oh, Blaine, ciao, stavo proprio per venire da te” iniziò la ragazza che gli si era parata di fronte, non appena lo aveva visto arrivare “Non ho potuto fare a meno di notare Kurt e te ballare” aggiunse ghignando, come se non fosse neanche un tantino responsabile per quei balli “E, sai, la mezza notte si avvicina e credo che tu voglia, non so, passare quest’ora in compagnia di Kurt, capisci? Voglio dire, non vorresti startene tra le braccia di Kurt quando il nuovo anno arriverà?” continuò e Blaine non sapeva se sentirsi confuso o andare a fuoco a quella visione di Kurt e lui.

Una risata nervosa raschiava la sua gola ma riuscì a imprigionarla e a mandarla di nuovo giù, decidendo che non era il caso di far notare quanto stava impazzando cosa che era, comunque, già visibile in lui. Tossì cercando di non pensare alla sensazione di fastidio che sentiva all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni, infondo era un essere umano e Kurt Hummel era decisamente troppo sexy. Ma forse per lui, in quella serata, non ci sarebbe stata pace e quasi volete lanciarsi dalla finestra quando la padrona di casa chiamò la sua alleata e complice, Rachel.

Ed eccola lì, di fronte a loro, che sorrideva complice a Mercedes e: “Andiamo Blaine, mi hai spinto tu a uscire di più dall’ospedale e di passare più tempo con la gente e in questo momento, mi farebbe davvero felice vederti ballare un nuovo lento con Kurt” perfetto, era ufficiale, quale sarebbero state le sue ultime ore di vita. Prese un respiro profondo e “Okay, va bene,” ma prima di uscire dalla stanza, per tornare nella sala centrale dell’appartamento, prese una bottiglietta ancora chiusa vicino al frigo e ”mi arrendo ma è ora che quel ragazzo torni sobrio o la mia vita cesserà di esistere prima del nuovo anno, se continua a muoversi intorno a me in quel modo. Ma nessuno sente caldo qui?”.

Uscì in fretta dalla cucina, sventolandosi di nuovo una mano di fronte al viso, fingendo di non aver sentito le due ragazze ridere alla sue spalle, o quella stanza era un forno o era lui che stava andando in iperventilazione. Era molto più probabile la seconda e lui lo sapeva anche troppo bene. Quando entrò nel soggiorno, non trovò il ragazzo intento a dimenarsi e si preoccupò, spostò lo sguardo nella stanza e lo trovò seduto sul pavimento che si teneva la testa tra le mani, molto probabilmente perché gli doleva. Sorrise intenerito e gli si avvicinò.

“Tieni,” disse porgendoli la bottiglietta che stringeva tre le mani “ti farà bene” continuò per incoraggiarlo a bere. Kurt accettò la bottiglietta d’acqua con un sorriso timido e iniziò a bere, evitando lo sguardo di Blaine. Sorrise perché alla fine stava tornando sobrio da solo e gli si sedete accanto “Con tutto quello che hai bevuto e per quanto hai ballato, mi chiedo come tu faccia a stare in piedi. Sarà l’età ma io mi sento cadere a pezzi e non ho bevuto niente e sono stato per la maggior parte del tempo seduto” a fissarti, avrebbe voluto aggiungere ma lo tenne per sé.

“Mi gira la testa” esclamò Kurt con voce rauca e spezzata, passandosi una mano tra i capelli. Blaine guardò il ragazzo preoccupato ma cercò di non darlo a vedere. Va bene che era un medico e tutto resto ma non poteva comportarsi come faceva con i suoi pazienti. Infondo quel ragazzo aveva bisogno di bere, respirare aria pulita e farsi una bella dormita. E onestamente, non avrebbe mai voluto che Kurt fosse un suo paziente, si sentiva confuso ma sicuramente voleva di più o almeno provarci.

“Avrai bisogno di molta acqua, quindi assicurati di berla tutta” disse in fretta indicando la bottiglietta che Kurt aveva appoggiato sul pavimento ma dopo aggiunse con voce più dolce e delicata “Ma prima ti va di prendere un po’ d’aria fredda?” Kurt stava per rifiutare ma Blaine parlò per primo “Andiamo, ti do una mano ad alzarti e non accettò un no come risposta. Voglio farti stare bene, cioè voglio che ti senta meglio e voglio aiutarti. I dopo sbronza non sono mai piacevoli” si maledisse mentalmente ma rise al “Il mio Dottor Anderson tutto per me, eh? Solo mio” era cosi piccolo tra le sue braccia, che non lo voleva lasciarlo andare più. In qualche modo, voleva proteggerlo da tutto ma sapeva era una cosa impossibile.

Gli passò una mano tra i capelli prima di avvolgere un suo braccio intorno al petto del ragazzo e gli prese la mano tra la sua, per dargli forza solo per quello si intende, e dopo lo aiuto ad alzarsi dal pavimento. Aspettò che il ragazzo si sentisse stabile e solo dopo iniziò a muoversi. Kurt si strinse istintivamente tra le sue braccia, lasciando andare la testa sulla sua spalla e sorrise per quell’azione. E Kurt fece la stessa cosa, era uno spettacolo unico e riservato solo per lui.

Blaine sentiva che diventava sempre più difficile lasciarlo andare, anche solo per una notte. Camminò per entrambi fino a raggiungere la finestra, l’aprì con difficoltà perché non voleva lasciarlo, anche perchè sembra che si stesse per addormentare, per quanto era rilassato ma alla fine ci riuscì. Restò a fissare le luci della città fino a quando ricordò che non era un momento romantico ma che doveva far star meglio Kurt, in qualche modo glielo aveva promesso.

Cosi spostò l’attenzione dal panorama di New York che si preparava a dare il benvenuto al nuovo anno, tra luci colorate e tante risate a una visione che era solo per lui. E fu triste per tutte quelle persone che credevano di avere tutto, di essere complete, di star vivendo una magia quando la vera magia era tra le sue braccia, con gli occhi chiusi e le labbra semi aperte. Dire che era bellissimo sarebbe stato un insulto a quello che Kurt Hummel era in quel momento, in ogni momento. Per un secondo, un lungo interminabile melenso secondo, quasi prese in considerazione l’idea di non svegliarlo e di trascorrere cosi la sua ultima ora di quell’anno che stava andando via.

Infondo a lui non servivano fuochi d’artificio, cappelli colorati e occhiali strani per festeggiare il nuovo anno. Non voleva vedere New York illuminarsi e baciare le persone che gli stavano intorno per augurare un buon felice anno loro. No, tutto quello che desiderava era finire e iniziare quel nuovo anno con quella piccola e magica meraviglia tra le sue braccia. Ma tutto sommato la ragione ebbe la meglio e lo svegliò, con un bacio tra i capelli.  Sentiva che forse era troppo ma se lo concedette e quasi sperò che non lo percepisse ma era Kurt e i suoi capelli sapevano di lavanda. O forse perché quel piccolo contatto era durato più del previsto.

“È già mezza notte?” chiese Kurt, muovendosi tra le sue braccia cercando una posizione più comoda. Si stropicciò gli occhi assonati e si lasciò scappare un piccolo sbadiglio e Blaine non ci credeva, non ci aveva mai creduto ai colpi di fulmine e a scintille ma di fronte quelle piccole azioni, che sembrano cosi intime e riservate, lui riuscì a percepire i fuochi d’artificio e per un secondo, credete che quel nuovo anno era iniziato nei migliori dei modi. Quando Kurt non ricevette risposta dal moro, voltò il capo e arrossì per la vicinanza. E Blaine era sicuro di aver fatto la stessa cosa. 

Si osservarono con gote rosse, sorrisi timidi e occhi in cui era possibile perdersi. Fu un battito di ciglia, Kurt iniziò a muovere il viso verso quello di Blaine, il moro sentì le gambe di nuovo doloranti, la testa ricominciò a girare e lo stomaco sottosopra. Si inumidì le labbra non riuscendo a smettere di fissare quelle di Kurt, già pregustando il loro sapore e quando furono a un respiro di distanza “Devo vomitare” sussurrò Kurt, con voce più rauca e cosi profonda, che Blaine credete di morire. In parte perché credeva lo stesse per baciare e non era successo, in parte per quella dannata voce, pensò cercando di fare mente locale e di non cadere a pezzi.

Quando Blaine tornò alla realtà, realizzò che Kurt lo stava fissando con un sopracciglio sollevato e le labbra strette e “Oddio, scusa, dov’è il bagno? Ti ci portò subito” in risposta, il castano mosse il capo quasi disperato “Kurt, se non mi dici dov’è il bagno finirai per vomitare sul pavimento. Collabora e andrà tutto bene, te lo prometto”. Kurt sembrò pensarci ma dopo tonò a scuotere il capo. Blaine digrignò e i denti e “Mercedes” urlò, spostando lui e Kurt dalla finestra fino al centro del soggiorno, parlò di nuovo quando vide la ragazza uscire dalla cucina e camminare verso di loro “Mi sapresti indicare il bagno? Kurt deve vomitare ma non mi vuole indicare dov’è il bagno”.

“Kurt Elizabeth Hummel il tuo comportamento è da vero immaturo” lo sgridò la ragazza, Kurt - ancora tra le sue braccia - si allontanò e camminò in modo instabile verso la ragazza e “Non voglio che mi veda vomitare, Cedes, è una cosa rivoltante. Già ho un aspetto orrendo. Non puoi permettermi di farmi ricordare da lui in questo stato. Per favore Cedes” supplicò alla sua migliore, come se il moro non fosse a pochi passi da loro in ascolto. Mercedes risposte qualcosa che lui non riuscì a sentire ma che fece innervosire Kurt, che sbatté i piedi sul pavimento. Quella situazione era assurda e lui doveva fare subito qualcosa.

“Adesso basta voi due” esordì e senza altri giri di parole, con Mercedes e Kurt che lo stavano guardando con occhi e bocche spalancate, tirò Kurt verso di sé, non sicuro di averlo fatto tirandoli la maglietta o avvolgendo un braccio intorno al suo bacino, era stato un movimento troppo rapido anche per lui per poterlo notare nel dettaglio e, una volta tra le sua braccia, passò una mano sotto le sue gambe e lo tirò su, come se fosse una sposina. Kurt protestò, sentì Finn ridere alle loro spalle e Mercedes urlai la via per il bagno. Senza voltarsi indietro, iniziò a camminare per il corridoio, proprio come gli aveva detto Mercedes e trovò quasi subito il bagno.

“Puoi mettermi giù adesso, so come camminare” ma Blaine non gli diede retta ed entrò nel bagno con lui, lo lasciò andare solo quando arrivarono accanto al water. Kurt era incredibilmente rosso in volto e quando Blaine lo lasciò andare, il ragazzo cadde di ginocchia e, stringendo il bordo di porcellana, iniziò a vomitare anche l’anima. Blaine lo affiancò subito e gli tenne ferma la testa. Alle volte Kurt faceva delle pause e Blaine aveva l’istinto di portarlo via da lì ma poi riprendeva a vomitare e si sentiva male per lui.

Kurt terminò dopo quelli che passarono come una quindicina di minuti. Si allontanò e si sedette con la schiena contro la vasca, con un espressione schivata sul volto che Blaine trovò dannatamente adorabile. Sorrise ma prima di chiedergli come stesse, si alzò per andare a recuperare un asciugamano e bagnò la punto, dopo tornò da Kurt e gli pulì la faccia e gli bagnò i capelli “Come ti senti festaiolo?” chiese sorridendo perché non riusciva a restare serio di fronte al broncio che aveva messo su Kurt mentre lo puliva “Cosa c’è? Ti da realmente cosi fastidio che ti veda in queste condizioni?”. Kurt provò a dire qualcosa ma “Non devi, okay?” si affrettò a dire Blaine “Sei bellissimo, Kurt. Tu sei bellissimo sempre, anche quando sei ubriaco” sorrise.

E il tempo allora si bloccò o si distrusse completamente. Le lancette avevano da poco scoccato la mezza notte ma il suono assordante che gli risvegliò, non era né di felicità né di allegria. Era disperato e perso, ed era la voce di Finn che continuava a ripetere il nome di Rachel. Blaine spalancò gli occhi e per i primi secondi rimase immobile perché non c’era modo di convincere il proprio corpo a muoversi e fare qualcosa. Quando il “Blaine” di Kurt spezzò quella sensazione di intorpidimento, si sollevò in piedi pronto ad aiutare Kurt a fare la stessa cosa ma “Vai Blaine, io ti rallenterei solamente. Tu va, io ti sono dietro”. Guardò il ragazzo per esserne sicuro e quando questo gli fece di sì con il capo, corse fuori dal bagno e si fermò solo quando arrivò nel salotto dove trovò Mercedes con il viso ricoperto di lacrime e Finn che stringeva il corpo di Rachel mentre continuava a chiamarla, ancora e ancora, senza ricevere nessuna risposta.












Note:
Wow, da quanto tempo non aggiornavo cosi in fretta? È una sensazione strana ma allo stesso tempo bellissima. Secondo i miei piani, tolto possibili imprevisti, dovrei riuscire a caricare un capitolo alla settima. Quindi il prossimo arriverà intorno a fine settimana, come questo. Ma adesso parliamo di questo capitolo che e devo dirvelo, è uno dei miei preferiti fin ora. È la prima volta in questa storia che vediamo il pensiero di Blaine o comunque Blaine cosi nel dettaglio ed è stato meraviglioso. Soprattutto descrivere cosa sente per Kurt che è ancora cosi confuso ma allo stesso tempo forte. Come avrete notato, molti punti d’ombra nella versione di Rachel sono stati messi in luce nella versione di Blaine ma ci sono ancora cose da dire e punti di vista da raccontare. Il prossimo – piccolo spoiler? – sarà quello che Finn, quindi preparatevi. Voi cosa credete sia successo a Rachel? E avreste voluto vedere un bacio tra Kurt e Blaine, eh? Ma ricordate sempre, che non tutto è come sembra. E con questo vi do appuntamento al prossimo capitolo ahah no ma onestamente, scrivetemi pure le vostre opinioni sul capitolo e raccontatemi un po’ i vostri punti sulla storia.
 
Sandfrost’s in Jacobba
 

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Capitolo 13
*** La stava baciando, amando, salvando. ***










Quando Rachel aveva accennato di quella festa al telefono, era sicuro che sarebbe stato sobrio tutto il tempo, infatti, una volta arrivato, si era piazzato davanti la tv aspettando che tutto fosse pronto e che la festa potesse iniziare. Era stato lontano dall’alcool per quasi tutta la sera e allora perché faticava ad avere gli occhi aperti? Tutto di lui faceva credere che si fosse preso una bella sbronza e forse era cosi, ed era cosi sbronzo che non ricordava di averlo fatto. Tutto quello che riusciva a ricordare era il divano comodo sotto di lui, le patatine sparse sulla sua maglietta e Rachel Berry seduta in un angolo della stanza.

Aveva avuto voglia di invitarla a ballare per tutta la sera, oh avrebbe ballato con lei tutta la  notte. Farla sentire protetta, farla sentire al sicuro e forse baciarla, se gliene avesse dato l’occasione. Non sapeva perché si sentisse sempre un completo idiota in sua presenza, ma ogni volta che era in sua compagnia, la sua mente si annebbiava e tutto quello che sapeva veniva gettato in un angolo e se ne stava zitto, perché se avesse parlato, se avesse aperto bocca, avrebbe descritto per ore la luce intrappolata nei suoi occhi o quando il suo sorriso potesse farlo sentire quello giusto, con parole che non sarebbe mai stato in grado di spiegare a se stesso.

“Che cosa ci fai tutto solo qui?” Finn sollevò di scattò la testa quando la voce di Mercedes giunse alle sue orecchie. La ragazza gli fece cenno con la testa e lui si sedette in modo normale, in modo da farla sedere al suo fianco, ma non risposte alla sua domanda. Era solo triste che da quella nuova posizione non poteva vedere il viso di Rachel “Sai questa festa non è tanto male, perché non inviti Rachel a ballare?”. Finn tornò a sollevare il viso di scatto a quella frase e Mercedes gli sorrise.

Di cosa si sorprendeva esattamente? Era Mercedes Jones e riusciva a fiutare quel tipo di cose anche se fosse stata dall’altra parte del pianeta. Sorrise alla sua amica, e pensò a quando fosse strano come una persona che non si vedeva da tanto tempo, riuscisse comunque a capirti cosi bene. Le cose erano due: o Mercedes era l’unica ad avere quel tipo di potere o era lui a essere troppo ovvio, e la risposta gli arrivò poco dopo, quando “Lo vedo sai? Hai passato tutta la serata a guardarla con gli occhi a cuoricino e non mi sorprenderebbe se riuscissi a ricordare ogni singolo dettaglio di lei, tanto da poterla riprodurre su un foglio di carta in ogni sfumatura e sfaccettatura”.

“Alle volte sembra la cosa più spaventosa di sempre, sai, innamorarsi. E tutto nuovo, anche se lo si è vissuto altre volte, ma sono le persona per cui cadiamo che sono diverse. Noi sembriamo diversi. Tutte quelle emozioni da dover gestire, tutti quei gesti da dover capire e sai come si smettere di avere paura?” chiese Mercedes e lui scosse la testa perché non lo sapeva ma si fece più vicino perché era curioso di sapere “Si smette di avere paura quando ci lasciamo essere amati. Perché a quel punto ci rendiamo conto che niente fa più paura dato che non siamo più soli ad affrontarlo, ma in due”.

Sorrise istintivamente perché non aveva tutti i torni. Il modo migliore per smettere di avere paura e di buttarsi in essa, perché a un certo punto ci renderemo conto che qualcuno ci sta stringendo la mano, facendoci forza e, tutto quello non faceva paura, sparisce via. Sorrise ancora alla ragazza prima che questa “E adesso scusami cupcake ma devo andare a motivare un’altra persona. Tu ricorda quello che ti ho detto ma non ti preoccupare, avrai il tuo ballo questa sera, ci pensa la tua ‘Cedes”. Finn la lasciò andare e non si chiese come la ragazza lo sapesse, semplicemente sperò che fosse reale.

Non seguì Mercedes con lo sguardo e tornò a stendersi sul divano perché da quella posizione era più facile osservare Rachel senza farsi notare, almeno fino a quando non venne chiamata da Mercedes in cucina e la vide andare via dalla sua visuale. Quando sollevo lo sguardo, il salotto era vuoto e lui era rimasto solo. Fece un respiro profondo e fece sprofondare la sua testa sul cuscino, maledendo se stesso per aver bevuto. Tutto tornò rumoroso quando Kurt e Blaine vennero spinti in soggiorno per un ballo.

Ma lui tornò a respirare solo quando Rachel fece di nuovo il suo ingresso nel salotto. Era assurdo perché era sicuro di non aver mai smesso di respiro. Non si può smettere di respirare, no? Eppure il suo respiro era quasi pesante quando lei non c’era, come se dipendesse tutti dai suoi polmoni ma quando era nella sua stessa stanza, quando gli sorrideva, quando si muoveva, allora i suoi polmoni poteva prendersi una vacanza perché era lei il suo respiro. Tutto quello di cui lui aveva bisogno. Alle volte era anche in grado di togliergli il respiro come in quel caso, mentre la vide camminare verso di lui, sorridendo. Perché Rachel Berry gli stava sorridendo e i suoi polmoni si rifiutavano di lavorare ancora, troppo incantati da quella visione.
 


 
“Una bella serata, non è cosi?” chiese, esaurendo cosi ogni possibile argomento di conversazione, dato che il suo cervello non ne voleva sapere di funzionare, troppo distratto dalla presenza della ragazza che lo affiancava su quel divano. Si guardò intorno e si sentì stupido. Si prese qualche secondo per osservare quello che lo circondava, per schiarirsi le idee e per darsi una calmata. Mercedes ballava con Kurt al centro della stanza, Blaine gli osservava stando seduto sul pavimento e al suo fianco, sedeva quella che - ne era sicuro - era il suo destino. Quello che non puoi cambiare ma che devi lottare per raggiungere. Il suo sogno quando gli occhi erano aperti e non più addormentati. Reale.

Non sapeva se era amore o se sarebbe durato abbastanza ma non avrebbe rinunciato tanto facilmente a quella sensazione. E fu quella scossa al petto che gli fece spostare lo sguardo e tornare a fissare Rachel considerato che del resto del mondo, a lui non importava. Tutto il suo mondo gli sedeva accanto e andava bene cosi. Il domani poteva sembrare anche distante ma lui, in quella occasione, aveva preferito prestare attenzione al suo presente, per questo non si stupidi quando Mercedes si avvicinò loro.

Per questo non fece alcuna resistenza quando: “Finn, sveglia e invita Rachel a ballare. Questa notte e ancora giovane” anzi, si alzò dal quel divano che aveva risucchiato via metà di quella serata e porse la mano in direzione di quella ragazza, che sarebbe stata il resto della sua vita e le chiese di ballare. Quando accettò, i suoi polmoni tornarono a riposo poiché stava per stringere la sua fonte di vitalità e non avrebbe avuto bisogno di molto altro, per molto tempo. Ricordò a se stesso di ringraziare Mercedes, per aver mantenuto la promessa e condusse Rachel al centro di quella pista improvvisata.

Quando si fermarono, avvolse le sue braccia intorno al corpo esile di Rachel e la ragazza portò le sue braccia sulle sue spalle, sollevando di poco le punte. Sorrise di quell’azione e Rachel sorrise con lui, nascondendo il volto nel tessuto della sua camicia. Portò le sue mani sui suoi fianchi e la fece sollevare di qualche centimetro. Giusto il tempo di far posare i piedi di Rachel sulle sue scarpe, come si fa con i bambini quando ballano con il proprio papà. Non erano ancora della giusta altezza ma questo gli regalo la risata di Rachel direttamente nel suo orecchio.

Volteggiarono e parlarono per quasi tre canzoni, almeno fino a quando il ticchettio stridulo di un orologio ricordò loro, che mancava poco più di un ora alla mezza notte. Quel ticchettio portò con se anche quel ballo, considerato che una volta che cesso, anche loro si fermarono. E solo alloro notò che Mercedes non era più con loro e che Kurt e Blaine erano a pochi passi da loro, cercando di mettere su una conversazione, cosa che non stava andando poi cosi bene dato che Kurt riusciva a rispondere solo a monosillabi o con gesti della testa.

“Forse sarà meglio che io corra in loro aiuto” disse Rachel, riportandolo alla realtà “Non ti dispiace vero?” Finn fece di no con il capo e, sorridendo alla ragazza, tornò a sedersi sul divano, osservandola. La vide avvicinarsi a Kurt e quest’ultimo la invito a ballare, o meglio la fece volteggiare permettendo a  Blaine di avere l’opportunità di correre in cucina, dove lo aspettava Mercedes, a quanto pare. Si lasciò andare a un risolino portando le braccia sulla spalliera del divano e sentendosi istintivamente molto più rilassato.

Si chiese cosa avesse in mente Mercedes ma alla fine pensò che fosse un bene che avesse coinvolto anche Rachel, infondo aveva bisogno di una distrazione e di una amica come Mercedes. Quando aveva incontrato Rachel per la prima volta in quell’ospedale, con gli occhi tristi e un corpo che era già abituato ad arrendersi, ci aveva pensato. Aveva ripensato al liceo e ai problemi che si potevano creare, o meglio a come li si risolveva e quanto fosse utile avere una famiglia come quella creata nell’aula canto.

Non aveva mai conosciuto suo padre, considerato fosse scomparso prima di averne memoria e sua madre aveva cercato di essere il più presente possibile, anche se i suoi turni all’ospedale erano un inferno e doveva mantenerli senza aiuto di nessuno. Era stato difficile ma ce l’avevano fatta. Per questo era piacevole avere quel tipo di famiglia a scuola, qualcuno da difendere, che ti faceva sentire utile. Qualcuno per cui essere forte e allo stesso tempo essere debole e lasciarsi salvare prima che la situazione sfugga di mano.

E gli era tornata alla mente Mercedes Jones con il suo fare da diva e con l’incredibile dono di riuscire a farti credere in te stesso. Quando si erano salutati e aveva poi saputo che era partita per New York con Kurt, aveva sperato il meglio per entrambi. Ma soprattutto aveva sperato di ritrovarsi per una rimpatriata, considerato che tutti avevano preso strade diverse persino lui, che era uscito da quella scuola sicuro che avrebbe studiato per diventare insegnate, ma quando sua madre si era gravemente ammalata, aveva scelto la sua stessa strada.

Mentre passava le sue giornate in ospedale, aveva avuto la conferma che era quello che voleva fare e non solo per sua mamma. Certo, tutto era iniziato da lì ma vedere tutte quelle infermiere correre da una stanza all’altra, seguire i medici e riuscire a far sorridere anche i pazienti più sofferenti, era stato facile scegliere. All’inizio si limitò a dare una mano quando serviva, anche solo per sistemare le stanze o riordinare le cartelle, ma quando sua madre era venuta a mancare, aveva preso ancora più seriamente quella situazione e aveva deciso di partire per NYC, perché in quella città, non c’era più niente che gli apparteneva.

Una delle infermiere di sua madre, gli aveva parlato di un certo dottor Anderson che lavorava in un prestigioso ospedale di New York. Aveva messo una buona parole per lui e aveva scoperto che avevano iniziato un tirocinio per volontari in ospedale. Aveva accettato ancora prima di ascoltare i dettagli.  Era partito con un solo zaino in spalla e qualche foto, pronto a ricominciare la sua vita. E quando aveva messo piede in ospedale, si era sentito smarrito ma in ogni angolo, sentiva la presenza di sua madre che lo guardava e gli sorrideva fiera.

Ma anche se quella presenza lo faceva sentire al sicuro, restava spaventato cosi decise di chiedere indicazioni a un’infermiera - per sapere dove poter trovare il Dottor Anderson - e la ragazza dai capelli biondi e gli occhi chiari, lo aveva mandato al primo piano nella stanza 914. Quando arrivò, la porta era semi chiusa e ascoltò lo scambio di battute tra il Dottor Anderson e la sua paziente. Non riusciva a vedere la ragazza dal quel punto ma aveva voglia di proteggerla, forse aveva lo stesso bisogno verso se stesso. Sentirsi protetto come quando andata al liceo, quando aveva il suo gruppo di amici-famiglia che non lo facevano sentire mai solo.

Tornò alla realtà quando “Mercedes” urlò Blaine, tenendo ben stretto a sé Kurt. Non aveva capito molto ma quando si voltò per osservare la scena, rise di gusto perché era tutto più tosto buffo. E sì, non avrebbe mai più riavuto sua madre indietro, forse i compagni di liceo non ci sarebbero stati per lui tutte le volte ma non era solo e se ne rese conto fissando Mercedes sgridare Kurt e Blaine fissarli senza riuscire a dire niente. Lui aveva trovato una nuova famiglia, un po’ per caso, che lo avrebbe protetto e fatto sentire a casa e lui avrebbe fatto la stessa cosa nei loro confronti.

E il grazie più grande, la ragione di tutto, la sua forza più nascosta, era appena arrivata da lui, sedendosi a pochi passi da lui sul divano, con un sorriso felice sul volto. Sembrava stanca, aveva le occhiaie sotto gli occhi e il viso pallido ma era felice. E come sempre, come tutte le volte, tutto quello che lo circondava sparì e tutto quello che riusciva a vedere era di fronte a lui, persa in chissà quali pensieri spaventosi. Voleva chiederlo, ogni volta che la vedeva persa nel suo mondo ma quando poi i suoi occhi si perdevano nei propri, voleva solo un rimedio per vivere per sempre cosi.

Occhi negli occhi e il mondo lontano da loro- Troppo distante per poterli toccare.

“Ehi, va tutto bene?” chiese, per non impazzire, per smettere di cadere, per non farlo senza di lei. Per raggiungerla, dovunque si stesse nascondendo, e per stringerla forte tra le sue braccia. Fino a farla sentire di nuovo a casa, di nuovo nel posto giusto. Il posto che le era stata destinato nella sua vita e in quella famiglia che si era creata senza che nessuno facesse niente, perché era giusto cosi e lo sapevano. Lo sapeva Mercedes con il suo restare, lo sapeva Blaine con i suoi modi dolci, lo sapeva Kurt con la sua risata che mandava via ogni problema.

E lo sapeva anche lui, nell’istante in cui era entrato in quella stanza invece di seguire Blaine, quando aveva fatto sorridere quella ragazza, quando aveva capito che era tutto quello che voleva fare. Farla sorrise, farla sentire amata. Regalarle in pezzo del suo cuore, che sarebbe stato suo, non importava cosa. Quando aprì i suoi occhi e lo guardò, sapeva che era giusto cosi ma non poteva permetterle di cadere di nuovo. Cosi le prese la mano tra le sue e le sorrise, trasmettendole tutto il suo amore e calore e “Io”, fu l’unica risposta che ricevette.

Rachel provò a formulare un frase o qualche parola ma quando aprì la bocca, non ne venne fuori alcuni suono, come se non ne fosse più in grado, come se non fosse più lì con lui. Non può essere, urlava una voce nella sua testa che non voleva sentire ragione. “Rachel” disse ma non riusciva a capire se lo stesse pensando o lo stesse urlando, cosi si fece più avanti e lo sussurrò ancora una volta, spaventato e perso. “Rachel, sono Finn, mi senti?” chiese, perché la ragazza stava sforzarsi per sentire.

“Non lasciarmi andare” sussurrò quando la vide respirare più profondamente e non lo avrebbe permesso. Non poteva continuare a respirare quando la ragione dei suoi respiri non ci riusciva. Mosse il capo e si rifiutò di cadere, accarezzandole il volto, cercando di farle sentire la sua presenza, per farle capire che lui era lì, con lei, e aveva bisogno di lei. Più di quanto i polmoni abbiamo bisogno di ricevere ossigeno, perché senza di lei, non avrebbe avuto molto senso.

“Che ore erano” la sentì blaterare ma non era la sua voce, non era reale. Era come se stesse parlando nel sonno, erano pensieri a voce alta. La stava vedendo cadere e non sapeva più cosa fare, ed era cosi perso che quasi non notò la presenza di Mercedes al suo fianco o la sua mano sulla sua spalla, che cercava di infondergli forza e coraggio. E non l’avrebbe percepito niente di tutto questo se quello stupido orologio non avesse ritoccato ancora una volta e forse lo percepì anche Rachel, perché si voltò al suono.

Si chiese dove fosse o cosa stesse pensando, se lo potesse percepire o se fosse già troppo distante da loro, da lui, da tutto. E non era giusto, né nei suoi confronti né nei confronti di quella ragazza. L’avrebbe baciata. A mezza notte, quando New York sarebbe esplosa e le bottiglie sarebbero state stappate. Le si sarebbe avvicinata, le avrebbe preso il viso tra le mani, avrebbe sussurrato che era bellissima e l’avrebbe baciata. Ma niente di tutto quello stava succedendo e “Non voglio cadere un’altra volta, aiutatemi, per favore”.

E allora lo fece, perché niente era andato secondo i piani ma non poteva permettere di finirla cosi. Lo fece perché aveva fatto una promessa e non aveva ancora finito di mantenerla. Lo fece perché non sapeva che altro fare. “Rachel” urlò, con tutto l’ossigeno che riuscì a trovare in quella stanza che era diventata improvvisamente troppo piccola  e stretta per tutte quelle sensazione. E una lacrime scappò prepotente lungo il suo viso fino a toccare le labbra di Rachel. Altre seguirono l’esempio perché in un modo o nell’altro, lui la stava baciando, amando, salvando.

E lo sapeva, mentre la vide schiudere le labbra, lasciando andare un piccolo respiro. E forse stava impazzendo ma sembrava destinato a lui. Gli stava regalando un respiro per quando tutto sarebbe andato via. Continuò a urlare il suo nome, quando la vide provare ad aprire gli occhi ma arrendersi prima di riuscirci. Lo bloccò nel suo cuore quando la vide mimare qualcosa con le labbra che sapeva tanto di sto bene. Lo sussurrò quando la vide barcollare, quasi perdendo l’equilibro e se non le fosse stato cosi vicino, sarebbe anche caduta al suolo. Ma la strinse a sé e accompagnò quel corpo stanco, sul tappeto.

E lo ripete ancora una volta e ancora, cosi tante volte che le lettere persero il loro filo conduttore. E senza che se ne rendesse conto, quel Rachel divenne Amore e poi Ti Amo. Ed era sbagliato perché non riusciva a smettere di ripeterlo e lei non lo poteva ascoltare, in quella maniera, stretta tra le sue braccia mentre giaceva addormentata tra le sue braccia.











Note:

Eccomi qui con un nuovo capitolo e la visuale di Finn. Non penso ci sia qualcuno a leggermi ma eccomi comunque qui, a regalare a questa storia la sua meritata fine. Devo ammetterlo, mi piace scrivere dal punto di vista di Finn, o semplicemente mi è piaciuto entrare nella sua testa per questo capitolo. Avevo già un’idea su come doveva essere scritto ma mi ha sorpreso. Ovviamente – come dico sempre – ci sono ancora dei punti d’ombra e non si sa ancora cosa sia successo a Rachel. Quindi ve lo richiedo: Cosa credete abbia Rachel e cosa le è successo? Vi è piaciuto questo capitolo e vi aspettavate qualcosa di più? Vi sta piacendo l’andatura che sta prendendo la storia? Fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione (pls)

Il prossimo capitolo vedrà: Kurt

Non resta che salutarvi e darvi appuntamento alla prossima settimana, dato che ho trovato un mio ritmo e riesco a sfornare un capitolo alla settimana. I Love YOU all

Sandfrost’s in Jacobba
 

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Capitolo 14
*** Ubriaco del suo profumo ***




 
 




 
Aveva aspettato quella serata con impazienza, fantasticando su come avrebbe potuto andata o cosa avrebbe fatto. Aveva anche scritto una lista di cose da dire, per sembrare più interessante agli occhi di Blaine, ma in nessuna di quelle fantasie Blaine Anderson, la sua ossessione e cotta, andava a prenderlo in aeroporto, senza preavviso, con un sorriso che faceva sentire importante e unico, un pizzico di barba del giorno prima (che lo rendeva sexy) e con voce rauca con cui l’aveva salutato. Kurt voleva solo svenire, uccidere Mercedes e svenire di nuovo.

Considerato l’inizio e il lungo silenzio in auto, Kurt era già certo della pessima riuscita di quella serata per questo, quando aveva intercettato Mercedes che si avvicinava a Finn, l’aveva bloccata per chiederle consigli e aiuto. Da solo non ce l’avrebbe mai fatta perché con Blaine era tutto diverso, anche se non sarebbe mai stato in grado di spiegare cosa lo rendesse tale, tolto che lo faceva sentire nudo e vulnerabile ma allo stesso tempo protetto.

“Mercedes ho bisogno di aiuto” erano state le prime parole che aveva sussurrato nell’orecchio della ragazza quando l’aveva trascinata a sé, lontano da orecchie indiscrete “Inizio a pensare che questa sera sarà un fiasco toltale perché non riesco a sciogliermi e mi sento un tale idiota in sua presenza. Non so di che parlare o come iniziare una conversazione. Lo vedo e inizio a dire cose senza senso o a balbettare e probabilmente il tutto con una faccia da cucciolo in adorazione. Scapperà da qui prima che la serata si termini, me lo sento ‘Cedes”.

“Prima di tutto, fa un bel respiro profondo perché la tua ‘Cedes è qui e non lascerà mai che questa serata sia sprecata o rovinata, non dopo tutto l’impegno messo secondo, non hai niente da perdere. Sei un bellissimo ragazzo molto intelligente e sono sicura che questo Blaine già lo sappia, devi solo essere te stesso e andrà tutto bene” disse e Kurt storse il naso poco convinto “O potresti bere qualcosa cosi da fare in modo che i tuoi nervi non siano più cosi tesi” continuò, porgendo al ragazzo il suo bicchiere pieno di qualcosa.

“Sei forse impazzita?” quasi urlò ma per fortuna erano tutti belli che andati e nessuno li prestò attenzione “Sai benissimo che non reggo l’alcool e poi voglio restare sobrio per fare bella impressione e non di certo vomitargli sulle scarpe come l’ultima volta che ho bevuto. Non credo che bere sia la soluzione migliore per me ‘Cedes” disse sconsolato, rifiutando il bicchiere dalla sua amica, spostando lo sguardo su Blaine dall’altra parte della stanza che l’osservava. Sorrise nervoso al ragazzo. Tornò subito a fissare la sua migliore amica con sguardo implorante.

“Credi sul serio che non lo sappia Kurt? Credi sul serio che ti butteri tra le sue braccia da ubriaco? Andiamo Kurtie, siamo migliori amici da sempre, cosi tanto da sapere che da sbronzo dai il peggio di te, quindi no, non ti sto suggerendo di ubriacarti ma solo di fingere” disse la ragazza, incrociando le braccia al petto un po’ offesa “Nel bicchiere c’è solo acqua, perché neanche io ho voglia di essere sbronza a fine serata considerato quanto ho da fare con voi” disse indicando il suo migliore amico e Rachel.

“Tu fa solo finta che ci sia dell’alcool e comportati come se avessi dell’alcool nel tuo corpo. Sei un attore e puoi fingere bene. Ti aiuterà a essere un po’ più confidente e sicuro di te quel tanto che basta per fare qualcosa e non mandare questa serata a rotoli” non le diede neanche il tempo di finire la frase, che l’era saltata addosso, stringendola forte. Dopo le prese il bicchiere tra le mani e ne beve un lungo sorso, fingendo una smorfia di disgusto. Infondo per gli altri lui stava bevendo qualche strana bevanda alcolica e non della semplice acqua di rubinetto.

“Grazie ‘Cedes, sei la migliore” ringraziò, avvicinandosi al centro della pista con ancora il bicchiere tra le mani e sorrise al “Ti voglio bene anch’io piccolo ma adesso ho del lavoro da fare, fatti valere” per poi tornare a camminare in direzione di Finn, che se ne stava steso sul divano a osservare Rachel con sguardo completamente perso. Sorrise perché la sua migliore amica gli aveva promesso una serata da non dimenticare e stava mantenendo la sua promessa.

Seguendo il consiglio di Mercedes, si sciolse un po’ iniziando a muoversi a ritmo di musica, che in quel momento era sensuale ma con un ritmo deciso. Chiuse gli occhi e immaginò di sentire l’alcool scorrere nel suo corpo rapidamente, regalandogli quella sensazione di calore e stordimento. Avvicinò il bicchiere alle labbra ma bevve un altro sorso solo quando, aprendo gli occhi, notò Blaine che non smetteva di fissare il suo corpo muoversi leggero. Ondeggiava sulle gambe, muovendo i fianchi e lasciando le mani libere di toccare l’aria.

Bevve l’ultimo sorso d’acqua e lasciò il bicchiere sul pavimento, non lontano dai suoi piedi. Quando si rimise in piedi, si leccò le labbra e, sorridendo, ripresa a muoversi. Ed era cosi concentrato ad ascoltare la musica che perse quasi subito la percezione del suo corpo. Era come se fosse legato a dei fili, guidato dalla musica. Rise e continuò a muoversi per tutto il tempo, almeno fino a quando il “Kurt, corri, Merc sta cercando di importunare il tuo ragazzo” di Rachel gli fece spalancare gli occhi e, senza neanche rendersene conto, era già sulla soglia della cucina.

“Chi è che sta importunando il mio futuro ragazzo, eh?” aveva esclamato senza controllo, come se la finzione fosse diventata realtà e quell’acqua fredda fosse diventata vero alcool e lui adesso era ubriaco. Ma ubriaco di altro. Perché adesso Blaine gli stava sorridendo con fare sfacciato e si era alzato per andargli incontro. Era bellissimo e dannatamente sexy e lui sperò che confondesse il rossore sulle sue guancie per il troppo ballare o l’alcool, perché non avrebbe stato in grado di spiegare come lo stesse facendo sentire.

Quando fu a pochi passi da lui, gli sussurrò: “Chi sarebbe il tuo futuro fidanzato?” e non furono solo le sue guance ad andare in fiamme, poiché tutto quello che il suo cervello aveva fatto arrivare al suo cuore, era “futuro fidanzato” facendo notare quanto suonasse bene pronunciato dalla voce di Blaine. Aveva calcato ogni lettera come a volerle marchiare come fuoco nella sua anima. E una parte di sé, a quel punto quasi sul punto di impazzire, ringraziò Mercedes per averli spinti di nuovo in soggiorno considerato che, probabilmente, avrebbe finito per balbettare parole senza senso o per straparlare di tutte le sfumature dei suoi occhi caramello.

E forse avrebbe dovuto sentirsi nervoso e agitato - e forse per i primi secondi lo era stato - ma quando era finito tra le braccia di Blaine, niente in lui ha avuto più senso o forse era ubriaco del profumo di Blaine, fatto sta che si sentiva euforico e non riusciva a smettere di sorridere, così si mosse tra le braccia del moro e riuscì a girarli intorno, sfiorandolo appena poiché non era ubriaco e non avrebbe retto a un contatto più diretto con quella pelle olivastra che avrebbe visto bene sulla sua pallida.

Lasciò andare il suo corpo ma questa volta non aveva bisogno di ricordare la sensazione di calore nel petto, soprattutto quando Blaine si morse il labbro inferiore, guardandolo come se fosse un’opera d’arte privata creata solo per lui. E anche se erano solo loro due, lui non voleva tralasciare nessun dettaglio. O forse era la sua opera d’arte e si stava beando del lavoro finito. Si sentì schioccò per quei pensieri e fece scontrare i loro bacini, come a trovare una distrazione o solo per ricordare a se stesso che era reale.

Quasi rise quando lo vide sventolarsi il volto con una mano accaldato ma fece finta di niente e continuò a ballare, almeno fino a quando Mercedes non gli chiese di concedergli un ballo e lo assecondò perché aveva bisogno di respirare, perché aveva bisogno di urlarle contro e allo stesso tempo abbracciarla forte. O perché quel ballo gli aveva regalato un’erezione ben visibile nei suoi pantaloni e lui doveva fare qualcosa prima che qualcun altro - Blaine – la notasse.

Una volta tra le braccia di Mercedes, quasi non notò Blaine allontanarsi ma quando lo vide sedersi a pochi passi da loro, tornò a osservare la sua migliore amica che “Allora, sei felice scricciolo?” aveva chiesto facendolo volteggiare proprio com’era solita fare durante i loro momenti in insieme. Un po’ di musica, cibo spazzatura e loro due al centro di quel soggiorno a volteggiare ovunque, fino a quando i loro piedi non chiedono pietà e finendo poi addormentati sul pavimento.

“Felice?” ripeté con occhi sognati, fissando il ragazzo moro che continuava a fissarlo incantato “Sì, sono felice ‘Cedes e non so come ringraziarti, anzi penso che ti preparerò il tuo dolce preferito. E avevi ragione, hai fatto in modo che questa festa non fosse un fiasco totale, e sai cosa? Rachel mi piace, è gentile e poi sorrise sempre. Mi piacciono le persone che sorridono sempre perché riescono a farti sentire felice a tua volta. E poi sono felice che Finn sia tornato nelle vostre vite, è una brava persona”.

Entrambi si voltarono a fissare il diretto interessato e risero entrambi quando lo videro sul divano accanto a Rachel, che si guarda intorno cercando qualcosa da dire alla ragazza. Kurt tornò a fissare la sua amica e “Ma sono anche molto arrabbiato con te, come hai osato lasciare che fosse Blaine a venirmi a prendere all’aeroporto? Credevo che sarei svenuto quando l’ho visto lì, bellissimo come sempre, ad aspettarmi. Per non parlare del viaggio in auto, ringrazio che fosse accesa la radio o altrimenti il silenzio tra noi avrebbe congelato anche il deserto”.

“Ha un odore buonissimo sai? Gli ero cosi vicino che gli ho sentito l’odore e sa di qualcosa che non so spiegare e forse sono ubriaco del suo profumo. Credi sia possibile ‘Cedes, è possibile che mi sia sbronzato con il profumo di Blaine? E no, sì, io sono arrabbiato ancora con te. Lasciarmi ballare con lui? Come hai potuto, tu dovresti essere la mia migliore amica ma grazie, stare tra le sue braccia è stato come ricevere un regalo che non sapevi di voler desiderare almeno fino a quando non è tra le tue mani e dopo, non ne puoi vivere senza, forse per questo non ti ringrazio, perché adesso sarà impossibile stare lontano da Blaine.

“Ma non importa, ti voglio bene e non posso essere arrabbiato con te. Hai reso questa serata speciale per tutti” terminò ridendo, mentre la ragazza lo fissava sorridendogli e forse non aveva ascoltato niente di quello che aveva detto e forse aveva detto un sacco di parole senza senso ma lui doveva dirle tutto, perché raccontava sempre tutto alla sua ‘Cedes. Felice, tornò a volteggiare intorno alla ragazza che non aveva più intenzioni di muoversi dalla sua posizione immobile. “Sì, sono felice”. E forse era stata quella serata a renderli tutti ubriachi.
 



 
Il suo ballo movimentato terminò quando il ritmo di una nuova canzone riempì la stanza. Stava per mettere il broncio triste, poiché si stava divertendo, anche se era l’unico che ballava ancora, ma la sua migliore amica che lo amava e gli aveva promesso una serata indimenticabile ebbe un’idea di genio. Gli fece l’occhiolino prima di camminare verso di Finn e “Finn, sveglia e invita Rachel a ballare. Questa notte e ancora giovane e Blaine smettila di fare il serio e vieni qua a ballare con noi”.

Nessuno dei due si oppose anzi, Finn chiese subito un ballo a Rachel, giacché lo aspettavano da tutta la serata e Blaine scattò subito in piedi, avvicinandosi a Kurt e a Mercedes. Fecero muovere i loro corpi lentamente prima che Mercedes si scusasse dicendo che aveva bisogno del bagno e lasciandoli di nuovo da soli. Nel momento di confusione, fece un passo avanti e Blaine, quasi invitato della cosa, gli poggiò le mani sulle spalle e sentì la sensazione di stordimento dall’alcool in corpo.

Si sentiva nervoso poiché la tecnica “ma quanto ho bevuto, domani non ricorderò più niente” non poteva funzionare in quel momento, troppo lento e privato. Provò a tornare a odiare Mercedes per quel nuovo colpo basso ma poi il suo corpo andò con il pilota automatico. Sorrise con le guance in fiamme e, senza che neanche se ne accorgesse, le sue mani erano state guidate da quelle di Blaine e si fermarono quando si posarono sui fianchi del moro.

Solo quando anche Blaine gli sorrise, capì che non aveva bisogno di scuse perché tra le sue braccia non c’era niente di cui avere paura, cosi iniziarono a ondeggiare sul posto impaccianti ma con due sorrisi gemelli sul volto. Era come essere finito di nuovo al liceo, solo che adesso aveva un accompagnatore e poteva ballare con lui tutta la notte o almeno fino a quando la musica non cambiò di nuovo e Blaine ebbe la brillante idea di voler intavolare una conversazione con lui.

“È una bellissima serata, non credi? Non ho una bella serata spensierata da, bhe da un bel po’ a dire il vero ma devo dire che mi era mancato. Lavorare in ospedale ti risucchia la ninfa vitale e senti di non avere una vita propria, perché la tua vita diventano i pazienti”, Kurt gli sorrise non sapevo bene cosa rispondere. “Quindi lavori in teatro con Mercedes, sì?” chiese ancora il moro e Kurt risposte con un semplice “Sì” perché poteva essere riuscito a far credere di essere sbronzo, ma lui era troppo sobrio per riuscire a dire più di due lettere quando quei due occhi caramello lo stavo guardando e perforando l’anima.

Cercò di sorridere come segno di scusa per la pessima compagnia quando un ticchettio segnò che mancava un’ora alla mezza notte. Kurt si voltò in cerca dell’orologio e quasi sentì le gambe molli, poiché aveva ancora un’ora e si chiese se l’incantesimo si sarebbe spezzato o no, ma poco importava. In quel momento accorse loro in aiuto Rachele e quasi ebbe l’istinto di baciare la ragazza ma poi pensò che non sarebbe stata l’ideale quindi si limitò a chiederle di ballare e, facendola volteggiare, si spostarono più al centro della stanza, abbastanza da essere distanti da Blaine, i suoi occhi e il suo profumo.
 
 



Una volta di nuovo solo nella stanza, si sentì troppo sobrio anche per fingere di non esserlo quindi lasciò stare e si sedete a gambe incrociare sul pavimento, con i gomiti sulle cosce e il volto nascosto tra le sue mani. Non sapeva cosa pensare se non al fatto che era stato tra le braccia di Blaine e forse quest’ultimo aveva pensato che fosse una persona che amava bere e di pessima compagnia. Voleva urlare, correre in cerchio e fare qualcosa ma “Tiene, ti farà bene”. Sollevò il capo e Blaine era lì, bellissimo e con un sorriso sulle labbra, che gli porgeva una bottiglietta d’acqua.

Il suo cuore esplose nel petto, non riuscendo completamente a metabolizzare che Blaine era tornato da lui perché si preoccupava per lui. Aprì la bottiglietta e iniziò a bere, fissando un punto lontano della stanza. Sentiva le guance bruciare e non era sicuro sarebbe sopravvissuto se avesse voltato lo sguardo verso il moro. “Con tutto quello che hai bevuto e per quanto hai ballato, mi chiedo come tu faccia a stare in piedi. Sarà l’età ma io mi sento cadere a pezzi e non ho bevuto niente e sono stato per la maggior parte del tempo seduto”.

Ma ovviamente il moro aveva voglia di conversare e lui sentiva la testa pesante e “Mi gira la testa” esclamò con voce rauca e spezzata, passandosi una mano tra i capelli, bloccando se stesso dall’aggiungere che lo sapeva, giacché non gli aveva staccato gli occhi di dosso per neanche mezzo secondo. In fondo non era una bugia, a lui scoppiava veramente la testa ma forse non per le stesse motivazione che il moro credeva. Blaine gli era troppo vicino e tutto quello che voleva, era tornare tra le sue braccia e finire cosi quella serata.

“Avrai bisogno di molta acqua, quindi assicurati di berla tutta” disse in fretta indicando la bottiglietta che aveva appoggiato sul pavimento “Ma prima ti va di prendere un po’ d’aria fredda?” Kurt stava per rifiutare perché non avrebbe potuto reggere ancora, ma Blaine sembrò notarlo e bloccò le parole sul nascere e “Andiamo, ti do una mano ad alzarti e non accettò un no come risposta. Voglio farti stare bene, cioè voglio che ti senta meglio e voglio aiutarti. I dopo sbronza non sono mai piacevoli”.

E Blaine era troppo vicino, il suo profumo lo colpì ancora una volta, la testa gli girò non riuscendo a mettere ordine le parole e quando “Il mio Dottor Anderson tutto per me, eh? Solo mio” esclamò, era troppo tardi per rimandare di nuovo tutto indietro. Ma non ebbe il tempo di pentirsene, giacché Blaine gli passò da prima una mano tra i capelli, come una carezza - avrebbe ricordato quel tocco per giorni e giorni - e poi lo avvolse con un braccio intorno al petto, prendendoli le mani e aiutandolo ad alzarsi dal pavimento.

Sentiva le gambe molli e ringraziò mentalmente Blaine per non averlo lasciato subito, anzi, per aver camminato per lui fino alla finestra poiché gli era già impossibile respirare, camminare era l’ultimo dei suoi problemi. Colse la palla al balzo e si lasciò andare tra le braccia le sue braccia ed era come essere coccolato da un orsetto peluche a grandezza uomo e forse avrebbe finto più spesso di essere ubriaco se quello era il suo modo per farlo tornare sobrio. Appoggiò la testa contro la spalla del moro e sorrise beato del calore che lo avvolse.

Avrebbe voluto addormentarsi e svegliarsi in quelle braccia e forse stata solo sognato e allora desiderò restare addormentato. E da quella posizione, riuscì solo a percepire un’ondata di aria fresca ma non aprì gli occhi, forse Blaine era riuscito ad aprire la finestra. New York doveva essere splendida in quel momento ma niente avrebbe reso il confronto delle braccia di Blaine intorno al suo corpo. E forse, tra un pensiero e l’altro, si era davvero addormentato e quando percepì quelle che dovevano essere le labbra di Blaine tra i suoi capelli, aprì piano gli occhi e “È già mezza notte?”.

Si mosse tra le braccia del moro, ritrovando una posizione comoda e si strofinò gli occhi assonnato, lasciandosi scappare uno sbadiglio. Passò un dito sotto il naso tornando sveglio e si chiese cosa si fosse perso. Quando non ricevette nessuna risposta alla sua domanda, ebbe il terrore di essersi immaginato tutto, quindi si voltò in quella stretta e il suo naso finì per incontrare quello di Blaine che lo stava osservando come se fosse lo spettacolo più magico, New York e i suoi occhi d’artificio. Arrossì all’istante perché erano troppo vicini e fermò se stesso dal respirare profondamente. Non poteva respirare il suo odore, doveva restare sobrio ma, che Blaine stesse arrossendo a sua volta?

Si osservarono con gote rosse, sorrisi timidi e occhi in cui era possibile perdersi. Fu un battito di ciglia, Kurt iniziò a muovere il viso verso quello di Blaine. Sentiva il cuore battere ovunque dentro di se per quanto lo stesse facendo in fretta e senza controllo. Socchiuse le labbra quando vide il modo inumidirsi le proprie e stava per succedere, erano cosi vicini che percepiva il suo respiro contro il suo viso e quando le loro labbra era a un passo dall’incontrarsi per la prima volta “Devo vomitare” sussurrò, in parte per paura d in parte perché il suo stomaco si stava ribellando a quelle sensazioni troppo forti e lui forse non era ubriaco ma stranamente innamorato.

Quella sensazione di nausea aumentò fino a diventare troppo reale, fino a sentirla nella sua gola e sollevò un sopracciglio, cercando di attirare l’attenzione di Blaine che sembrava perso e strinse le labbra, poiché non aveva il desiderio di ripetere gli eventi e di vomitare sul ragazzo o il pavimento. Quando Blaine iniziò a chiedergli dove fosse il bagno, iniziò a scuotere la testa perché non aveva pensato all’eventualità che Blaine volesse accompagnarlo e magari stargli accanto. E si sentì nervoso quando “Mercedes” urlò facendo correre la ragazza da loro e informandola dell’accaduto.

“Kurt Elizabeth Hummel il tuo comportamento è da vero immaturo” ed eccoli lì a bisticciare mentre Kurt cercava di farle capire che non poteva permettere a Blaine di vederlo in quello stavo disastroso o mentre vomitava e Mercedes che gli ricordava che era un comportamento idiota e “Tu non sei ubriaco eppure sentì questa sensazione nello stomaco, se ne sei innamorato allora lascia pure che conosca ogni cosa di te, come ti conosco io e se non andrà bene, avrai ancora me ma andrà bene, te lo prometto”. Kurt batté i piedi sul pavimento arrabbiato perché doveva proteggerlo e non mandarlo nella tana dei lupi.

“Adesso basta voi due” esclamò Blaine facendoli tacere. I due ragazzi si voltarono verso il moro con occhi e bocche spalancate, e Kurt fu sorpreso di sentire la voce di Blaine cosi alta, a quanto pareva sapeva come farsi sentire. E non ebbe il tempo di assimilare quella nuova scoperta che il moro lo strascinò a sé e lo sollevò da terra, spostando una mano sotto l’interno delle sue ginocchia e prendendolo in braccio a mò di sposina. Si mosse nella presa perché era troppo nel giro di poco tempo ma Blaine non gli prestò attenzione e iniziò a camminare seguendo le indicazioni di Mercedes.

Quando intravide la porta del bagno, esclamò un: “Puoi mettermi giù adesso, so come camminare” ma ancora una volta fu ignorato dal moro che lo accompagnò fino all’interno della stanza e lo lasciò andare solo quando furono di fronte al water. Non si rese conto di quando si sentisse debole, almeno fino a quando Blaine si allontanò e lui cadde a terra sulle ginocchia, con le guancie arrossate. Senza perdersi in pensieri e in imbarazzi, afferrò il bordo bianco di porcella e vomitò, sperando di vomitare via anche quella sensazione nel petto.

Sentiva la presenza di Blaine al suo fianco e le sue dita tra i capelli e questo bastava a calmare il suo stomaco ma ogni volta il moro faceva per alzarsi, credendo fosse finita, Kurt ricominciava a vomitare. Andò avanti cosi per qualche minuto fino a quando non ci fu più niente nel suo stomaco da far uscire dalla sua bocca. Fece un respiro profondo e appoggiò la sua schiena contro il marmo freddo della vasca. In quel momento aveva proprio bisogno di lavare via quella sensazione di sporco che sentiva dentro e fuori.

Chiuse gli occhi passandosi una mano sullo stomaco e il viso si contorse in una smorfia. Detestava sentirsi in quel modo, soprattutto vomitare. Faceva sentire sempre deboli e vuoti ed era una sensazione che avrebbe sentito almeno per tutto il giorno. Apri gli occhi quando sentì Blaine muoversi al suo fianco, li aprì lentamente perché non era pronto a scoprire la reazione del moro a quello spettacolo e quando lo vide sollevarsi per andare verso la porta, allungò le mani verso di lui per non farlo andare via e chiedergli di restare, ma con lo stomaco ancora dolorante e la bocca asciutta non riuscì a parlare o a muoversi.

Per sua fortuna non superò la porta ma anzi, si fermò di fronte il lavandino bagnando la punta di un asciugamano con dell’acqua fredda e dopo tornò da lui. Gli passò il panno bagnato sul viso e tra i capelli e si soffermò più del dovuto sulle sue labbra. Voleva chiudere gli occhi e godersi la sensazione di freschezza che gli stava donando nuova vita e allo stesso tempo non voleva perdersi lo spettacolo che era Blaine, con lo sguardo concentrato e il labbro inferiore intrappolato tra i denti.

Cosi rimase con un occhio aperto e l’altro socchiuso, sospirando di sollievo ogni volta che una gocciolina d’acqua scendeva lungo il suo viso finendo poi sulle sue labbra. “Come ti senti festaiolo?” chiese “Cosa c’è? Ti da realmente cosi fastidio che ti veda in queste condizioni?”. Al suono della voce di Blaine, abbassò lo sguardo e contrasse le labbra in un broncio, sentendosi piccolo e vulnerabile tra le braccia del moro, che lo osservava sorridendogli, vedendo qualcosa che lui non riusciva a capire ancora.

Mosse le labbra per parlare, per dirgli che lo capiva se lo trovava orrendo, infondo non era un bello spettacolo vedere qualcuno vomitare in quel modo ma ancora una volta Blaine fu più veloce di lui e “Non devi, okay? Sei bellissimo, Kurt. Tu sei bellissimo sempre, anche quando sei ubriaco” sorrise, avvicinandosi sempre di più al suo viso e Kurt avrebbe voluto ribellarsi perché lui aveva appena finito di vomitare, perché aveva i capelli spettinati, perché gli aveva mentito per tutta la sera e il suo stomaco tornò a essere sottosopra, e forse il suo stomaco aveva compreso qualcosa che lui non riusciva ancora a credere fosse possibile.

Il tempo si rassettò, il volto di Blaine ormai riusciva a toccare il proprio, Nessuno dei due chiuse gli occhi, il moro gli sorride prima di unire le loro labbra. Gliele accarezzò lentamente, invitandolo a schiuderle per lui ma Kurt fece una smorfia facendo emettere una breve risata a Blaine, che mosse il naso toccando il proprio. Baciò le sue labbra dolcemente, come un battito leggero di ali di una farfalla e sorrise nell’azione. Kurt sentiva la testa leggera e la sensazione nel suo stomaco era andata via, senza che neanche lo notasse.

Ma si sa che quando il tempo rallenta dopo deve riprende rapidamente per recuperare e fu un suono assordante nelle loro orecchie a far ripartire il tempo, da dove si era fermato. I rintocchi di mezza notte che segnavano la fine di un anno e l’inizio di uno nuovo e la voce di Finn, disperata, persa, stanca, innamorata che continuava a urlare il nome di Rachel da chissà quanto tempo.

Blaine spalancò gli occhi completamente immobile, perso in chissà quelli pensieri. Kurt lo fissava con il respiro bloccato. Il tempo si era fermato risucchiandoli ma adesso che era ripartito, non potevano esitare ancora. “Blaine” chiamò. Il moro si sollevò di scatto, come un automa e allungò una mano pronto ad aiutarlo a fare la stessa cosa ma “Vai Blaine, io ti rallenterei solamente. Tu va, io ti sono dietro”. Si guardarono, Blaine chiedendo a Kurt se ne fosse sicuro e Kurt incoraggiandolo ad andare.

Annuì un sì con la testa e dopo vide Blaine correre fuori dalla porta. Lui restò immobile ancora stordito. Si passò una mano sulle labbra, leccò la superficie e dopo si alzò lentamente, sorreggendosi al marmo freddo della vasca. Camminò piano, con le mani sullo stomaco, dolorante di una nuova ansia e paura. Fece un respiro profondo prima di lasciare il corridoio ed entrare in soggiorno. Quello che gli si parò di fronte, fece nascere un nuovo conato di vomito che lo fece corre sui propri passi, più rapido che poteva. Vomitò con le lacrime agli occhio, con le urla di Finn nelle orecchie, le lacrime di Mercedes cosi simili alle proprie e poi la vista di Blaine, cosi devastato e turbato. Oh il suo adorato Blaine. Vomitò fino a quando non fu tra le braccia di Mercedes e poi solo lacrime.












Note che nessuno leggerà:


In ritardo di due giorni ma eccolo qui il nuovo capitolo dal punto di vista di Kurt. Devo ammettere che mi ha dato qualche problema perché complicato da scrivere dato che la mia testa è andata in vacanza e quindi non riusciva a concentrarsi sul lavoro da farti. Alla fine non è venuto cosi male questo capitolo quindi ne sono felice. Altri punti d’ombra vengono illuminati come Kurt che ha finito di essere ubriaco e IL BACIO. Voi ve lo aspettavate? Che altro dire ancora, dopo il prossimo capitolo (o vero il punto di vista di Mercedes) la storia riprenderà il suo corso e finalmente scopriremo (io con voi) cosa è successo a Rachel. Voi cosa ne pensate? Idee?
Come sempre, alla prossima
 
Sandfrost’s in jacobba


 

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Capitolo 15
*** Andrà tutto bene.. ***


Non sono brava con le parole, soprattutto se si tratta di te, quindi lasciami solo augurarti buon compleanno, so..
Buon compleanno amore mio, dovunque tu sia.
Spero che tu possa festeggiare i tuoi diciotto anni e che tu sia al mio fianco oggi, anche se vorrei essere io al tuo.
Ti voglio bene Jacobba.
Manchi!




 

 
 



 
L’idea di quella che doveva essere una festa per celebrare il nuovo anno, si era trasformata in un party di San Valentino, dove le coppie erano già formate ma nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce, cosi si sentiva Mercedes, appoggiata allo stipite della porta della cucina, esaminando il soggiorno e scuotendo la testa. La festa era iniziata nei migliori dei modi ma, anche se nessuno aveva bevuto più di qualche bicchiere, sembravano tutti sbronzi, lei compresa, ed era assurdo. Nessuno riusciva a stare in piedi e lei sentiva di dover intervenire in qualche modo.

Spostò lo sguardo nella stanza, osservando il silenzio, se si escludeva la musica dallo stereo – ringraziò di non aver vicini altrimenti avrebbe avuto non poche lamentale per quello. Rachel e Blaine se ne stano seduti sul pavimento, a lati opposti della stanza, Finn era steso sul divano e Kurt stava uscendo fuori di festa, ne era sicura. Lo conosceva da cosi tanto che non faticava a immaginare i suoi pensieri, stessa cosa valeva per Finn. Decise di intervenire prima su quest’ultimo, sapendo già cosa dirgli.

Si mosse dalla sua posizione e iniziò a camminare verso il divano quando venne tirata da un braccio da Kurt che le chiese il suo aiuto, blaterando le sue insicurezze direttamente nel suo orecchio. Lo lasciò parlare e “Prima di tutto, fa un bel respiro profondo perché la tua ‘Cedes è qui e non lascerà mai che questa serata sia sprecata o rovinata, non dopo tutto l’impegno messo secondo, non hai niente da perdere. Sei un bellissimo ragazzo, molto intelligente e sono sicura che questo Blaine già lo sappia, devi solo essere te stesso e andrà tutto bene. O potresti bere qualcosa cosi da fare in modo che i tuoi nervi non siano più cosi tesi” disse, porgendo al ragazzo il suo bicchiere pieno d’acqua.

Rise al quasi urlato: “Sei forse impazzita?” del ragazzo, che sembrava andare nel panico alla sola idea. Ricordando lei le poche esperienze avute con l’alcool e quanto fossero andate male, come se lei non fosse stata presente. Anzi, lei stessa teneva Kurt lontano dall’alcool quelle poche volte in cui il ragazzo aveva bisogno di una distrazione ma alla fine, lo convinceva che un po’ di shopping sarebbe stato più utile che vomitare tutto il giorno o stare da schifo una volta finito l’effetto dell’alcool. E poi non le andava di sentire quel odore nauseante per tutta casa.

Cosi: “Credi sul serio che non lo sappia Kurt? Credi sul serio che ti butteri tra le sue braccia da ubriaco? Andiamo Kurtie, siamo migliori amici da sempre, cosi tanto da sapere che da sbronzo dai il peggio di te, quindi no, non ti sto suggerendo di ubriacarti ma solo di fingere” disse, incrociando le braccia al petto, un po’ offesa “Nel bicchiere c’è solo acqua, perché neanche io ho voglia di essere sbronza a fine serata, considerato quanto ho da fare con voi” ed indicò prima il suo migliore amico e poi Rachel, che se ne stava immobile nella stessa posizione, forse con un gran mal di testa.

Consigliò a Kurt di fingere, di sembrare brillo, dato che era sicura lo avrebbe fatto sentire più al sicuro e confidente, e quell’ultimo gli saltò addosso, avvolgendola con le sue braccia e ringraziandola ancora una volta, prendendole il bicchiere dalle mani e bevendo un piccolo sorso. “Ti voglio bene anch’io piccolo ma adesso ho del lavoro da fare, fatti valere”, gli sorrise perché voleva davvero bene a quel ragazzo e lo avrebbe aiutato e salvato sempre. Dopo, riprese la sua strada verso di Finn e “Che cosa ci fai tutto solo qui?”.

Il ragazzo sollevò di scattò la testa quando sentì la sua voce, e Mercedes mosse la testa per far capire che voleva sedersi accanto a lui, per parlagli meglio, cosi Finn spostò le sue gambe e tornò a sedersi composto. Mercedes notò che Finn non aveva risposto subito alla sua domanda e “Sai questa festa non è tanto male, perché non inviti Rachel a ballare?” e volle quasi mettersi a ridere quando vide il ragazzo far scattare la testa verso di lei, per la seconda volta, in poco tempo ma gli sorrise. Quando non risposte, perso nei suoi pensieri, continuò.

“Lo vedo sai? Hai passato tutta la serata a guardarla con gli occhi a cuoricino e non mi sorprenderebbe se riuscissi a ricordare ogni singolo dettaglio di lei, tanto da poterla riprodurre su un foglio di carta in ogni sfumatura e sfaccettatura” iniziò, tastando il terreno ma continuando subito dopo con “Alle volte sembra la cosa più spaventosa di sempre, sai, innamorarsi. E tutto nuovo, anche se lo si è vissuto altre volte, ma sono le persona per cui cadiamo che sono diverse. Noi sembriamo diversi. Tutte quelle emozioni da dover gestire, tutti quei gesti da dover capire e sai come si smettere di avere paura?”.

Chiese con un sorriso sulle labbra, Finn scosse il capo facendo capire alla ragazza che non conosceva la risposta ma volendola conoscere, cosi Mercedes continuò e “Si smette di avere paura quando ci lasciamo essere amati. Perché a quel punto ci rendiamo conto che niente fa più paura dato che non siamo più soli ad affrontarlo, ma in due” Finn sorrise per la prima volta quella sera – almeno a qualcuno che non fosse Rachel – e ricambiò il sorriso aggiungendo “E adesso scusami cupcake ma devo andare a motivare un’altra persona. Tu ricorda quello che ti ho detto ma non ti preoccupare, avrai il tuo ballo questa sera, ci pensa la tua ‘Cedes”.

Infatti, sollevando lo sguardo, notò che Blaine si stava dirigendo verso la cucina, sorrise a sé stessa e lasciò Finn libero di innamorarsi di Rachel Berry (cosa che ogni parte di sé aveva già fatto, bastava vedere il modo in cui la guardava) e si diresse verso la sua nuova vittima, sorridendo in direzione del suo migliore amico, che era completamente entrato nella parte e ballava senza la minima inibizione a insicurezza. “Dobbiamo chiamare i pompieri o a un certo punto della serata smetterai di guardare in quel modo Kurt e gli chiederai di ballare?”.

Schietta e senza giri di parole, questa era Mercedes Jones che, al movimento impercettibile della testa del ragazzo, aggiunse “Oh andiamo Blaine, tutti ballano alle feste e poi se continui cosi, Kurt si accorgerà che stai sbavando su di lui. Se proprio devi farlo, va e fallo in sua presenza. Okay, forse questa frase non ha molto senso e tu non dovresti ascoltarmi, anzi, spero che Kurt non mi abbia ascoltato, altrimenti sono nei guai. Aiuto! Rach, ho bisogno di te qui, dove seeei” urlò, sovrastando la musica e attirando l’attenzione della ragazza in questione.

Si voltò verso la porta quando avvertì la presenza della ragazza a pochi passi da loro, chiaramente confusa sulla situazione ma Mercedes sentiva di aver istruito bene la ragazza, in quei giorni a casa sua, parlandole di Kurt e facendosi raccontare più cose possibili di Blaine e quando le sentì dire, ad altra voce: “Kurt, corri, Merc sta cercando di importunare il tuo ragazzo” non poté sentirsi più fiera di quel colpo di genio, ovviamente, dopo neanche pochi secondi, Kurt corse da loro e “Chi è che sta importunando il mio futuro ragazzo, eh?”, mettendosi in trappola da solo.

Esclamò, dimenticando di inserire il filtro dalla sua mente alla sua bocca, troppo andato dalla sua illusione di essere brillo. Mercedes, come Rachel e Blaine, lo fissarono aspettando la prossima mossa, che fu proprio il moro a fare, esclamando: “Chi sarebbe il tuo futuro fidanzato?” avvicinandosi a Kurt e sorridendogli in modo molto malizioso e Mercedes, semplicemente, non poteva starsene lì a guardarli o la casa sarebbe andata a fuoco con tutto quel testosterone nell’aria.

Sorrise a se stessa quando un idea le balenò nella mente e, prendendo Kurt per un braccio e appoggiando una mano dietro la schiena di Blaine, li spinse entrambi di nuovo in soggiorno, assicurandosi che rimanessero intrecciati in quella maniera, prima di tornare in cucina, dove trovò Rachel a osservare la scena con un sorriso sulle labbra. La trovò adorabile e sorrise a sua volte, perché avrebbe reso felice anche lei quella sera cosi, le prese una mano tra le sue e le fece scontrare in segno di vittoria e di promessa, anche se questo lei non lo poteva ancora sapere.

Erano restate a fissare i due ragazzi ballare per una manciata di minuti prima che Rachel si scusasse e andasse a raggiungere Finn sul divano, Mercedes sorrise e poi tornò a spostare l’attenzione sui due ragazzi. Per quanto fosse felice di vedere Kurt cosi sicuro e raggiunte, non voleva avere Blaine sulla coscienza, quando sarebbe svenuto per mancanza d’aria. Sospirò e decise di andare in salvo al moro e chiedere a Kurt di concedergli un ballo. Quasi rise quando vide Blaine ringraziarla con lo sguardo e andandosi a sedere a pochi passi da loro, sul pavimento.

“Allora, sei felice scricciolo?” chiese quando il ragazzo fu tra le sue braccia, in un lento, prima di sentirlo strapparla di quanto fosse felice ma allo stesso arrabbiato con lei. Di quanto credesse che quella serata sarebbe finita nei peggiori dei modi ma era sorpreso che non fosse andata cosi. Disse anche qualcosa su Rachel e Finn che ora stavano seduti uno accanto all’altro sul divano, nel più totale imbarazzo. Ridacchiarono e tornò a prestare attenzione a Kurt e a quello che stava dicendo e “Sì, sono felice” e lo fece volteggiare, ancor una volta.





 
Aveva lasciato il suo migliore amico a dimenarsi ancora su quella pista da ballo improvvisata perché per lei era troppo. Aveva ballato anche troppo quella sera e il suo lavoro non era ancora arrivato al termine, forse non era neanche arrivata a metà dell’opera, cosi si spostò dal centro del soggiorno per avvicinarsi al divano, o meglio dire a Finn, che aveva provato a dire due parole di fila e poi si era bloccato. Sorrise a Rachel e poi, rivolgendosi a Finn, disse: “Finn, sveglia e invita Rachel a ballare. Questa notte e ancora giovane e” spostò lo sguardo in cerca di moro e “Blaine smettila di fare il serio e vieni qua a ballare con noi”.

Con suo grande stupore, nessuno si oppose; Finn porse una mano verso di Rachel conducendola al centro della stanza e Blaine scattò in piedi, avvicinandosi a Kurt, anche Mercedes si avvicinò loro, sorridendo e ballando tra loro. Non era sua intenzione fare il terzo in comodo cosi, con la scusa di dover andare in bagno, si allontanò ricevendo un sguardo inceneritore da parte di Kurt e uno di supplica da parte di Blaine ma lei sorrise, una volta che mise piede in cucina, perché quei due si volevano cosi tanto solo che ancora non riuscivano a vederlo, stessa cosa valeva per Finn e Rachel.

Li osservò ballare, prendere confidenza pian piano, scoprire che era dannatamente facile fidarsi di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è la persona giusta. Restò a fissarli con un sorriso sulle labbra perché si sentiva felice, consapevole di aver trovato anche lei qualcuno in quel caos. Anzi, molto di più, perché aveva trovato una famiglia proprio quando aveva smesso di cercare. Erano arrivati cosi, senza preavviso e, fino a quel momento, neanche lo aveva notato. E si sentì di nuovo utile e allo stesso tempo protetta.

Mentre se ne stava lì a riflettere, l’orologio suonò, segnando che mancava un ora alla mezza notte. Aveva impostato lei stessa quell’orologio, per tenere sotto controllo il tempo, che comunque stava sfuggendo dalle sue mani, come sabbia in una clessidra ma poco importava in quel momento e tornò a prestare attenzione a quello che succedeva nel soggiorno. Vide Rachel scusarsi con Finn e il ragazzo tornare a sedersi sul divano, mentre la ragazzo andò in soccorso di Blaine e lasciò che Kurt la facesse volteggiare per la stanza. Sorrise a se stessa quando vide il moro camminare verso la cucina.

“Oh, Blaine, ciao, stavo proprio per venire da te” iniziò non appena gli fu di fronte “Non ho potuto fare a meno di notare Kurt e te ballare” aggiunse ghignando, come se non fosse neanche un tantino responsabile per quei balli “E, sai, la mezza notte si avvicina e credo che tu voglia, non so, passare quest’ora in compagnia di Kurt, capisci? Voglio dire, non vorresti startene tra le braccia di Kurt quando il nuovo anno arriverà?” continuò, vedendo il ragazzo arrossire leggermente, non sapendo cosa dire o come rispondere. Sorrise fiera.

Quando vide il moro tossicchiare, chiamò ancora una volta Rachel, dato che si era rilevata utile la prima volta. Sorrise quando la vide arrivare e “Andiamo Blaine, mi hai spinto tu a uscire di più dall’ospedale e di passare più tempo con la gente e in questo momento, mi farebbe davvero felice vederti ballare un nuovo lento con Kurt” disse, con un ghignò sulle labbra, che cercò di mascherare per non sembrava troppo ovvia. Mercedes ridacchiò fissando la reazione di Blaine.

“Okay, va bene, mi arrendo ma è ora che quel ragazzo torni sobrio o la mia vita cesserà di esistere prima del nuovo anno, se continua a muoversi intorno a me in quel modo. Ma nessuno sente caldo qui?” esclamò in fretta, prendo una bottiglietta e uscendo poi dalla cucina, dirigendosi da Kurt. Sorrise quando lo vide porgerla verso Kurt e poi sedersi al suo fianco. Non era sicura di molte cose nella sua vita, tanto meno se si parlava di quel due ma una cosa era certa; Blaine sarebbe riuscito ad amare Kurt come nessun altro avrebbe mai potuto fare e questo le riscaldò il cuore.

“Credi che dovremmo intervenire?” iniziò, sedendosi al fianco di Rachel, sul ripiano della cucina “Voglio dire, credi che si baceranno questa sera? Non è mia intenzione anticipare i tempi ma quei due stanno letteralmente esplodendo e noi due siamo come le loro fate madrine e dovremmo fare qualcosa ma onestamente non ho più idee. Quei due sono difficili da convincere e se non riesce a scioglierli l’alcool,” o l’illusione di quello, pensò “ la vedo dura. Tu che ne pensi?” chiese di nuovo, guardando la ragazza passarsi una mano tra i cappelli, prima di rispondere.

“No” la sentì esclamare poco dopo, quando tornò alla realtà da chissà quali e quanti pensieri “Lascia che si scontrino, lascia che siano fuochi d’artificio” e fu d’accordo con lei, tornando a tenere d’occhio i due ragazzi. Erano carini insieme, costatò Mercedes e faticava a credere che non fossero ancora una coppia ma Rachel aveva ragione e loro dovevano aspettare che le loro scintille si scontrassero e che fossero fuochi d’artificio, spero solo che non ci mettessero troppo tempo o sarebbe impazzita lei.

Sospirò quando “Mercedes” sentì urlare, riconoscendo la voce di Blaine che richiedeva la sua attenzione. Sorrise alla ragazza che la seguì in soggiorno ma, mentre lei si fermò di fronte a quelli che sarebbero stati la sua morte certa, Rachel andò a sedersi accanto a Finn con un sorriso felice sulle labbra ma con il volto stanco. Sperò che Finn si prendesse cura di lei mentre risolveva la situazione con quei due che “Mi sapresti indicare il bagno? Kurt deve vomitare ma non mi vuole indicare dov’è il bagno”.

“Kurt Elizabeth Hummel il tuo comportamento è da vero immaturo” iniziò, perché non poteva sopportare anche quello quella sera e lei doveva farlo ragionare e fargli capire quello che lui continuare a negare, già dimenticando tutto il discorso di prima, cosi sussurrò (ignorando i suoi lamenti) “Tu non sei ubriaco eppure sentì questa sensazione nello stomaco, se ne sei innamorato, allora lascia pure che conosca ogni cosa di te, come ti conosco io e se non andrà bene, avrai ancora me ma andrà bene, te lo prometto”.

“Adesso basta voi due” esclamò con un tono più alto Blaine, cosi tanto che sorprese sia Mercedes sia Kurt che si voltarono verso di lui con bocca e occhi spalancati. E chi se lo immaginava che Blaine potesse assumere un tono di voce cosi autoritario, ma Mercedes non ebbe modo di rifletterci troppo sopra perché Blaine tirò Kurt a sé e lo sollevò, con molta grazia e senza complicazioni, prendendolo dalle gambe e tenendolo tra le sue braccia, come una sposina. Se non fosse capitato tutto cosi in fretta, probabilmente avrebbe riso. Urlò a Blaine la strada per il bagno prima di vederli girare per il corridoio.

Si stava preoccupando per nulla, pensò. Non sapeva cosa sarebbe successo tra i due ma avevano tutto sotto controllo, anche senza di lei che organizzava feste o li metteva insieme a ballare. Sorrise ma poi “Ehi, va tutto bene?” sentì pronunciare dalla voce di Finn e si voltò verso il divano. Rachel aveva gli occhi chiusi e sembra più stanca di quanto non lo era sembrato pochi secondi prima, infatti, sul suo volto, sembravano essere passati secoli e questo lo notò anche Finn che, dopo il mancato tentativo di risposta di Rachel, iniziò a chiamarla e ad attirare la sua attenzione.

Non sapeva che cosa fare o come comportarsi cosi si affrettò a raggiungere la cucina, cercare il suo telefono e chiamare per un ambulanza, spiegando a grandi linee la situazione. Onestamente non sapeva neanche se starebbe stata necessaria ma aveva bisogno di fare qualcosa e si sentiva spaventata. Una volta terminata la chiamata, dove lasciò il suo indirizzo e sperò che arrivasse più in fretta possibile - quasi dimenticandosi in che giorno dell’anno erano - tornò in cucina e come risposta al “Che ore erano”, l’orologio scoccò ancora una volta quella sera ma questa volta per segnare l’iniziò di un nuovo anno.

Camminò in avanti, avvicinandosi sempre di più al divano e appoggiando una mano sulla spalla di Finn, non sapevo come potergli dare forza o come poter sorreggere Rachel. Non sapeva cosa stava succedendo e pregò solo che Blaine tornasse presto nella stanza, per poter aiutare. Blaine, non ci aveva neanche pensato a chiamarlo, perché? Lui poteva salvarla e lei non ci aveva pensato. Si sentì scossa da un tremito ma solo quando “Non voglio cadere un’altra volta, aiutatemi, per favore” realizzò di star piangendo, proprio come lo stava facendo Finn, stringendola tra le sue braccia.

Quando Blaine mise piede in soggiorno, avvisato dalle urla di Finn, Rachel aveva già perso i sensi ma comunque, il ragazzo corse da lei per controllarle il respiro e i battiti del cuore, cercò anche di rincuorare Finn e di confortare Mercedes ma tutto risultava complicato, soprattutto adesso che il sorriso che aveva illuminato quella serata si era affievolito. L’ambulanza arrivò molto dopo, Blaine gli seguì e Finn fece la stessa cosa. Mercedes si scusò e disse loro che sarebbe passata dopo, prima voleva trovare Kurt.

Blaine le sorrise, ma fu un sorriso triste e ferito e Mercedes lo capì, perché era quello che provava lei e forse anche Finn, la sensazione di aver potuto far di più. Aspettò che tutti uscissero prima di traballare verso il bagno, dove era sicura avrebbe trovato Kurt. Infatti lo trovò accasciato vicino al porcellana bianca, la testa china e singhiozzi che facevano muovere il suo petto troppo in fretta. Gli si sedette accanto, avvolgendolo tra le sue braccia e “Shh, piccolo mio, basta adesso. Andrà tutto bene, è in buone mani ora, shh”, lasciando andare qualche lacrime a sua volta.










Note:

E con questo capitolo, la storia riprenderà il suo corso, riprendendo proprio da dove si è interrotta. Con il punto di vista di Mercedes, abbiamo tutto il quadro della situazione, su quello che è successo e su quello che è stato detto. Da adesso cercherò di rendere i capitoli più intensi e di tessere una trama, entrando sempe di più nelle loro vite e facendoveli conoscere meglio. Non credo ci sia altro da dire, anche perché non so se ci sia qualcuno a leggere. I capitoli torneranno a essere pubblicati una volta a settimana, man mano che vengono scritti. Dedico ancora una volta (come l'intera storia) alla mia bellissima Jacobba, alla sempre Rachel della mia Mercedes, al mio sole, anche se non è più qui. Mi si stringe il cuore ma so che andrà tutto bene. Alla prossima xoxo

Sandfrost 's in Jacobba

 

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Capitolo 16
*** Famiglia ***






Ogni cosa sembrò rallentare il suo corso, quando le porte scorrevoli dell’ospedale si aprirono. Come se lì il tempo funzionasse a una velocità propria o, forse, era meglio dire lentezza. Le luci lampeggianti per una nuova emergenza, il suono di ruote delle barelle che venivano spostate di stanza in stanza, il vociare di medici e di parenti nei corridoio, cosi fastidioso nelle orecchie. Alle volte si avvertivano dei lamenti di dolore e altre volte singhiozzi disperati. Tutto troppo lento per qualcuno che stava cercando di correre e far andare avanti quella giornata, che non aveva nessuna intenzione di terminare.

Era tutto cosi lento e stancante, snervante quasi, che si aveva la percezione di poter dormire per sempre. Chiudere gli occhi e lasciarsi andare, cullare, da quel ritmo che non aveva rumori, che non seguiva lancette e ricorrere dei numeri sempre, comunque, troppo in ritardo. Mercedes cercò di fare un respiro profondo, invece, non sembrandole il caso di svenire proprio in quel momento, soprattutto non in quel posto, anche se forse era il più indicato. Quando il suo respiro terminò, il tempo tornò a trascorrere nelle stesso modo, o quella era l’illusione che trasmetteva.

Camminò nei vari corridoi, meccanicamente, non seguendo indicazione e non prestando attenzione, come se fosse finita in un sogno e niente era reale. Aspettando il momento in cui avrebbe aperto gli occhi, magari chiamata da Kurt, che in quel momento, le camminava dietro. Erano un tutt’uno, i loro corpi, che seguivano le loro braccia attaccate e le mani intrecciante. Si nascondeva per metà dietro il suo corpo, come fanno i bambini quando hanno paura di un posto nuovo, stringendole la stoffa della manica, con la mano libera. Sorrise nel sentire quella presa salda. Kurt si stava fidando di lei, come lei stava traendo forza da quella stretta.

Questo la portò a pensare che il suo corpo non rispondeva ai comandi e la sua mente era affollata da pensieri. Si sorprese quando raggiunsero la stanza desiderata, intravedendo Finn all’interno. Il suo viso era stanco, pallido e preoccupato, colto da chissà quelli pensieri, anche se non erano difficili da immaginare. Sperò di svegliarsi presto, poiché sentiva la testa pesate e aveva bisogno di liberare il suo stomaco, magari, avrebbe cercato un bagno, dopo. Tutto quello che riuscì a imporre al suo corpo, in quel momento, fu di respirare e per sua fortuna, rispose ai comandi, liberando i suoi polmoni.

Il ragazzo, tutta via, non sollevò il volto quando li sentì entrare. Non mostrò i suoi occhi stanchi, quando li percepì al suo fianco. Non lasciò andare nessun pensiero quando Mercedes gli si sedette accanto, passando una mano sulla sua spalla. Tutto quello che li avvolgeva era silenzio e il lento scorrere del tempo, almeno fino a quando Blaine Anderson non entrò nella stanza e “Oh, ci siamo tutti vedo, bene” esclamò, vedendo i tre ragazzi vicini, facendo scoppiare la bolla che li permetteva di essere ma non di esistere. Sorrise, in modo stanco ma sempre incoraggiante, prima di parlare di nuovo “Rachel è stabile, come Finn già sa”.

“Possiamo vederla?” si affrettò a chiedere Mercedes, senza dare l’opportunità al medico di finire di parlare o di spiegare. Non sapeva perché (o forse non era ancora pronta ad ammetterlo, tanto meno a dirlo ad alta voce) ma aveva il bisogno di vedere Rachel e di parlarle. Non era passato molto tempo dall’ultima volta che l’aveva vista, seduta sul suo divano, cercando il coraggio per intavolare una conversazione con Finn, eppure, le sembra un’intera vita e non sapeva il perché - e questa volta per davvero - si sentisse cosi coinvolta dalla vita di Rachel Berry ma sentiva, ancora, che doveva essere lì, nella sua stanza, a tenerle la mano.

Quando la domanda arrivò alle orecchie di tutti, con gesto meccanico e automatico, i loro volti si voltarono verso Finn, che aveva ancora il capo chino e le mani intrecciate. Il ragazzo sollevò il capo soltanto quando il silenzio si fece fastidioso anche per il più taciturno e guardò Mercedes, sorridendole e muovendo il capo, con fare affermativo, come un automa. “Sì, Mercedes, puoi vedere Rachel ma,” si affrettò ad aggiungere Blaine, quando la ragazza scattò in piedi pronta a correre nel corridoio, se fosse stato necessario “come ho detto a Finn, non è ancora conoscente quindi questo vuol dire che non si è ancora svegliata”.

Calò il gelo, in quella stanza, un tempo rumorosa e affollata, e le reazioni alla notizia furono diverse per ogni volto; Finn abbassò di nuovo il capo, dedicando tutta la sua attenzione alle sue mani, come se non ci fosse niente di più interessante di guardarle scivolare una dentro l’altra, come un conforto che non riusciva a toccare il suo cuore però; gli occhi di Kurt si inumidirono ma voltò in fretta la testa, come a nascondersi da occhi indiscreti, pronti a catturare il suo dolore ed esporlo agli occhi di tutti; il voltò di Blaine, invece, si accigliò appena, passando dalla rabbia alla tristezza, in meno di qualche secondo.

“Voglio vederla lo stesso, se è possibile. Ho sentito dire che ci sono possibilità che una voce familiare possa svegliare la persona addormentata e io ci voglio provare” esclamò Mercedes, facendo qualche passo in avanti, avvolgendosi con le braccia e lasciando comparire un sorriso stanco sul proprio volto. E avrebbe voluto mettersi a piangere, come aveva fatto tra le braccia di Kurt, quando tutti erano andati via e il silenzio come il dolore erano penetrati, senza permesso, nella sua anima ma adesso toccava a lei essere forte, pensò, e non poteva permettersi di crollare, non ancora almeno. “Certo, seguimi”.

Il medico uscì dalla stanza per fare strada a Mercedes verso il reparto dove era stata trasferita Rachel ma Mercedes non si mosse, si voltò verso di Kurt e “Tu non viene tesoro?”. Il ragazzo mosse solo il capo, non avendo il coraggio di aprire o anche schiudere le proprie labbra, per dire qualcosa. Mercedes capì e lo abbracciò prima di “Non avere mai paura di mostrare quello che provi piccolo, okay? Nessuno qui ti giudicherà se provi tristezza o sofferenza. Siamo una famiglia adesso e, in questo momento, proviamo tutti lo stesso dolore, e non va bene ma non siamo soli. Non lo sei piccolo”.

Tenne stretto il suo migliore amico tra le braccia per qualche altro secondo, prima di voltarsi e decidersi a seguire Blaine, che comunque, l’aveva aspettata fuori dalla porta, probabilmente ascoltando le sue parole. E avrebbe voluto abbracciarlo, perché tutti avevano bisogno di essere coccolati e sentirsi protetti in quelle situazioni; quando senti la terra sotto i piedi venire meno ed essere avvolti da quella sensazione di terrore che tutto possa finire da un momento all’altro, inventabile e doloroso e lo fece, quando si bloccarono nel mezzo del corridoio, di fronte una porta ancora chiusa.

Lo tirò a sé e lo abbracciò, infondendogli calore, amore, attenzione. Essendo il suo paracaduta e il materasso sul quale sarebbe caduto poi, e le sembrò di precipitare, percependo quanto fosse piccolo tra le sue braccia quel ragazzo, che doveva averne viste tante nella sua giovane vita. E la sua forza venne meno, quando lo sentì accasciarsi tra le sue braccia, indifeso, seguendo un consiglio che era anche diretto a lui, facendo parte di quella famiglia. Ma dopo si ricosse, stringendo a sé la sua forza e il suo coraggio e sorrise alla ragazza, indicandole la porta e “È intubata e attaccata ad alcune macchine, quindi questo potrebbe turbarti un po’ ma non percepisce niente, quindi sta bene.

“Io tornò dagli altri per assicurarmi che stiano bene e a informali meglio sulla situazione, okay? Ci vediamo dopo ‘Cedes e grazie” disse, lasciandole un bacio sulla guancia destra e tornando indietro da dove erano arrivati. Sorrise a quel nomignolo che era solito dargli Kurt e alle volte Finn e sorrise ancora, pensando che sarebbe stati salvi, restando uniti. Tra i vari pensieri, voltò lo sguardo verso la porta chiusa e si lasciò andare in un respiro, che non sapeva di avere trattenuto fino a quel momento. Ispirò, portando la mano destra verso la maniglie ed espirò, aprendo la porta e spingendola verso l’interno, facendo il primo passo nella stanza.
 

La stanza sembra spenta, questo fu il primo pensiero di Mercedes quando chiuse la porta alle sue spalle, lasciando dietro anche tutto il resto. La sola finestra sulla parete apposta era chiusa e l’illuminazione era scarsa. In più, il rumore sorso e costante dei macchinari accanto al letto, rendevano il tutto molto deprimente. Più del dovuto, si intende. Il suo sguardo si fece l’argo nella stanza ma non si fermò realmente a fissare il letto o meglio, chi vi era steso sopra, inerme. Anzi, camminò quei pochi passi verso la finestra e l’aprì, non domandandosi perché fosse chiusa o se avrebbe ricevuto un rimproverò per quello. “Scusa Rach ma questa stanza ha bisogno di un po’ di aria, vedrai che ti farà bene”.

Ebbe la sensazione che qualcosa di pensate, più di un macigno, le cadde dalla gola fino al petto, quando deglutì, dopo aver pronunciato quel nome. E quel peso che riusciva a togliere il respiro, scese fino al suo cuore, quando voltò il suo corpo verso il letto e la vide, fino a schiacciarlo e a bloccare il suo interno corpo. E lo sapeva che era solo questione di tempo, sapeva che non sarebbe durata molte, che tutto quel convincersi a restare forte sarebbe fallito una volta in quella stanza, per questo non si sorprese quando le sue ginocchia toccarono terra e quasi non ne percepì il dolore, quando delle lacrime iniziarono ad appannarle la vista, eliminando ogni sensazione, tranne i rumori, frastornante, dei loro cuori.

Pianse per minuti interminabile, non curante di niente, neanche del suo dolore. Tra le lacrime, si avvicinò al letto, ancora in ginocchio e appoggiò la sua fronte sulla mano lasciata andare sul lato sinistro del letto e del corpo della ragazza. “Mi dispiace” iniziò a mormorare, tra i vari singhiozzi “Mi dispiace” continuò a ripetere, mentre la disperazione delle sue lacrime non sembra volersi placcare. “Mi dispiace” disse ancora una volta, quando il suo cuore sembrava pronto a cedere ma fu allora che ricordò e allora sollevò il suo capo e poi il suo corpo, facendo un nuovo respiro profondo e sedendosi alla sedia, asciugandosi le lacrime.

“Scusami Rach, sono un vero disastro in questo momento” iniziò a parlare, imprigionando una risata amara. La sua voce rauca e spenta per via delle lacrime versate, che quasi faceva male, facendo tremare le corde vocali. Si passò una mano sotto gli occhi e cercò di ricomporsi perché era forte e adesso doveva esserlo anche per qualcun altro, che glielo aveva ricordato. “Non so cosa sia successo o cosa ti tiene bloccata qui dentro e sai cosa? Non lo voglio sapere, non mi importa. Sono qui, in questo stato, perché mi importa solo di te. Al momento, non mi importa di nient’altro, per questo mi sento cosi in colpa”.

Fece un respiro profondo, tirando sul con il naso e continuò “So cosa diressi se potessi parlare, riesco quasi a percepire la tua voce mentre mi dici che non è colpa mia, che è successo e basta e che starai bene ma è colpa mia. Ero cosi distratta che, tutto quello che ho saputo fare, è stato scappare in cucina a perdere tempo prezioso, aspettando che qualcuno rispondesse al telefono, quando avevo un medico, no ma che dico, quando avevo il tuo medico nel mio bagno e io non ci ho pensato. Quanto stupida posso essere stata eh?”.

Gli occhi ricominciarono a bruciare e la prima lacrima toccò la sua pelle quando “Non volevo, mi dispiace Rach. E suonerà egoista ma devi svegliarti per dirmi che non è stata colpa mia perché sei la mia forza, Rachel Berry, sei la parte migliore di me. Suona strano dirlo ma è cosi e l’ho realizzato una volta attraversate le porte di questo posto. Ma mi sono sentita cosi legata a qualcuno cosi in fretta. Si immagina sempre che le persone speciali arrivino, nelle nostre vite, con l’invito e un entrata trionfale ma non è cosi. Non è cosi che avviene.

“Può essere uno sguardo, una mano tesa, una risata o semplicemente un ‘Ciao’ nel momento del bisogno, che di semplice non ha niente perché è tutto. Non ti aspettavo e onestamente, credevo di non aver bisogno di te o di altre persone nella mia vita. Ma ti sei avvicinata a me e mi hai detto quel Ciao e dopo mi hai chiesto se potevi sederti accanto a me e sapevo, anche se non in maniera cosciente, che il tuo incontro avrebbe cambiato e migliorato la mia vita ed è per queste ragioni che ti devi svegliare. Perché non riguarda più solo te o solo me, ma la vita di tutti noi. Ci hai reso qualcosa di più, piccola Berry e abbiamo bisogno di te, noi---”.

Sentiva il cuore fremere nel petto ed ebbe la sensazione che tutto il suo corpo tremò. Fissò il volto di Rachel, sperando di vederle aprire gli occhi o percepire qualche piccolo movimento ma niente. Rachel restò in mobile, mentre lei percepì di nuovo le lacrime scendere lungo le sue guancie, cadendo nel vuoto, forse non avendo mai smesso di farlo. Tirò su con il naso e “Mi dispiace, okay? Sono stata una schiocca ma devi tornare per li altri okay? Non puoi andare via, non te lo permetterò” ringhiò, sentendo la testa e il cuore pesante,

Le lacrime che prima erano passate inosservante e nel silenzio più totale, adesso erano arrabbiate, disperate e senza controllo. Bagnavano il suo viso, facendola sentire sul punto di perdersi e affogare in esse. Non riuscendo più a trovare un appiglio, un ancora, uno scudo contro il dolore e se stessa. E, per la prima volta da quando aveva messo piede in quel luogo, in quella stanza e da quando aveva parlato, non lasciando la presa della sua mano, la vide. Stesa con il viso pallido, il fiato che quasi non esisteva, attaccata a una macchina che ricordava che era ancora viva ma imprigionata in se stessa, a cercare una via d’uscita da sola, ancora una volta.

Ma nessuno era più solo, era stata sincera quando l’aveva detto. Aveva detto che Rachel era la sua forza ma era anche molto di più. Era quella persona che, una volta incontrata, unisce i punti della sua esistenza, legandoti a chi sei destinato a incontrare o a essere. Aprendoti gli occhi, mostrandoti la bellezza del mondo e quanto poco può durare. Facendoti percepire la terra sotto i piedi muoversi e quando può essere bello solo stare stesi sul erba in una giornata di sole. E forse ce l’avrebbe portata e, in fremito più forte degli altri, tornò al presente e nel suo corpo e:

“Smettila. Smettila okay? Non ce la posso fare, non puoi farmi questo, mi stai facendo male. Svegliati. Mi dispiace io--” e la sua voce si inclinò, spezzando il continuò della frase per i singhiozzi. “Ti porterò al mare, ci sei mai stata? Ti legherò a me, per non farti più andare via, come tu hai fatto con le nostre vite. Non siamo soli per merito tuo. Siamo una famiglia per merito tuo. Ed è troppo presto, okay?” Tornò ad abbassare il capo verso il letto e ad appoggiare la fronte sulle loro mani unite. “Mi dispiace. Mi dispiace cosi tanto. Scusami ma non puoi lasciarmi sola” disse ancora prima che “Smettila tu adesso, o farai piangere anche me, e non mi sembra il caso” e ne era sicura, non era stata lei a parlare.
 



 
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Ogni cosa era ovatta intorno a sé. Persino il suo stesso corpo sembrava distante. Niente poteva raggiungerla come lei non poteva raggiungere niente o meglio dire, nessuno. Percepì il suo cuore stringersi in una morsa che non l’aiutava con la respirazione, dopo, si chiese se stesse almeno respirando, considerato che sentiva i polmoni pesanti, come il resto dei suoi organi. Ebbe il bisogno di lasciarsi andare in un lungo respiro stanco ma dopo ci ripenso, avendo paura di scoprire che non poteva farlo. Tentò di aprire gli occhi ma le sembrarono sigillati, incollati alla pelle del suo viso, cosi rinunciò, anche perché iniziò a percepire qualcosa.

Non sapeva se era reale, sembrava distante, come tutto il resto, eppure era nell’aria, come parole dette al vento. Un brivido sulla pelle, un formicolio nelle vene. Provò a prestare attenzione, a spegnere i suoi pensieri e a fare più silenzio possibile ma tornò a regnare il vuoto, subito dopo. Era stato rapido, troppo rapido e lei era troppo intorpidita, per muoversi e raggiungere, qualsiasi cosa fosse. Si rassegnò e si chiese dove fosse finita e cosa fosse successo, una volta chiuso gli occhi. Cercò di ricordare ma un dolore pungente e martellante, premette contro un lato della sua fronte, come il becco di un picchiò contro la corteggia di un albero. Continuò, a intervalli regolati, irritandola. Sbuffò mentalmente e tornò a non pensarci, a concentrarsi sul resto del suo corpo.

Il suo respiro era calmo e stanco, come se avesse corso per chilometri e ora fosse stesa all’erba a liberare i polmoni, finendo per addormentarsi e adesso, si stesse svegliando. Non chiese comunque al suo corpo di fare in fretta, anche se quella situazione di non controllo su se stessa, le stesse provocando dolore. Lo lasciò dormire mentre nella sua testa niente andava a un ritmo lento o tranquillo. Era un terremoto di Dove e Cosa è successo, che non riusciva a zittire perché sentiva il bisogno di trovare delle risposte, doveva sapere che cosa fosse successo prima che tutto diventasse cosi offuscato e poi nero di colpo. Dopo quello, non riusciva a ricordare altro, oltre i suoni di quei pensieri che si erano svegliati insieme a lei.

Ed ebbe il bisogno, lacerante, di urlare, bruciando le sue corde vocale, per uno sforzo che non era ancora esistito. Il bisogno incalzante di far scattare il suo corpo, come la chiave in una serratura, di saltare in piedi e dire al mondo che era ancora lì. E allora lo fece. Urlò al suo corpo di alzarsi, che era ora di svegliarsi, che aveva riposato abbastanza. Una scarica di adrenalina attraverso la sua spina dorsale, scendendo fino alle gambe. Percepì il suo corpo andare a fuoco e il tempo che scandiva i suoi respiri, inclinarsi e poi spezzarsi, fuori uscendo dalla sua bocca. La pelle iniziò a pizzicare e tutto esplose intorno a se, tutto perse forma e valore, niente poteva avere importanza quando “Smettila, okay?”.

Un urlo assordante che aveva zittito tutto il resto, anche l’adrenalina in circolo nel suo corpo. Un urlo che le aveva ricordato che c’era la realtà, dall’altra parte, quella che il suo corpo continuava a nasconderle e a tenere a distanza. Un urlo che sembrava un vibrare nell’aria ma questa volta non avrebbe aspettato che si facesse sentire ancora, quella volta corse verso quel suono che “Mi stai facendo male” urlò, lacerando il suo intorpidendo e le sue membra. E non lo capiva, non capiva cosa stava succedendo, non ancora ma “Svegliati. Mi dispiace io-” e poi silenziò.

Non percepì altro, per interi minuti ma se solo arrestava la corsa, se solo placcava il battere forsennato nel suo petto, le poteva percepire. Poteva percepire delle lacrime bagnarle la mano, lacrime di quello stesso urlo che l’aveva svegliata dalla sensazione di calma soffocante, ancora uno sforzo e “Ti porterò al mare, ci sei mai stata? Ti legherò a me, per non farti più andare via, come tu hai fatto con le nostre vite. Non siamo soli per merito tuo. Siamo una famiglia per merito tuo. Ed è troppo presto, okay?”, Mercedes. Quel urlò, adesso placcato come il fuoco di un falò spento con dell’acqua e, oltre il fumo, l’urlo era diventato una voce, poi un volto e infine una certezza; doveva tornare indietro.

Concentrò tutti i sensi su piccole azioni, come muovere le dita delle mani o socchiudere le labbra, magari provando a dire qualcosa. Ma quando una nuova lacrima bagnò la sua pelle, mandò a farsi benedire ogni buona intenzione di fare tutto con calma e, con il bisogno quasi soffocate di stringere la sua amica tra le braccia e assicurarla che stava bene, disse: “Smettila tu adesso, o farai piangere anche me, e non mi sembra il caso” sorrise e poi ridacchiò, felice anche del suono della sua voce, che a volte finiva per detestare ma adesso non più. Non avrebbe più detestato niente di sé, avrebbe amato ogni respiro come non aveva mai fatto prima e tutto grazie a “Mercedes”.

“Rachel? Io, non posso crederci, sei sveglia. Sono cosi felice. Aspetta, vado a chiamare Blaine e Finn oh, e anche Kurt certo, saranno tutti felici, ci hai fatto preoccupare” Mercedes era diventata un fiume di parole che stava per distruggere la diga. Sorrise non consapevole bene per cosa in particolare. Era felice di essere finalmente sveglia, era felice di aver trovato lì Mercedes, ed era anche felice di poter riuscire a provare un’emozione che non fosse intorpidimento. Allungò una mano verso il braccio della ragazza, che nel mentre era saltata in piedi della sedia e gliela aveva stretto piano, ancora indebolita e addormentata.

“Non chiamare nessuno, non ancora almeno” provò a dire, perdendosi la reazione della ragazza, con i suoi occhi socchiusi per via della luce che arrivava dalla finestra. “Non sono ancora pronta a vedere nessuno ancora. Voglio mostrarli che sto bene ma se mi vedessero adesso, si preoccuperebbero”. La ragazza concordò con lei, emettendo un suono a bocca chiusa, e tornò a sedersi al suo posto. Sorrise ancora prima di “Mercedes?” chiamare “Ti dispiacerebbe chiudere la finestra? La luce è troppo forse e i miei occhi sono stati al buio per un po’ di tempo, non la sopportano”.

Sentì la sedia scostarsi e la ragazza corre verso la finestra, per poterla chiudere. Si accertò che ci fosse abbastanza oscurità, prima di provare ancora una volta ad aprire gli occhi. Una volta aperti, esaminò la stanza che, notò, non era la sua. Sollevò le labbra in un broncio ma quando il suo sguardo si fermò su Mercedes, ancora in piedi alla fine del letto, sorrise ancora e iniziò a piacerle quella sensazione. L’aveva provata in quei giorni con Mercedes e con Finn, Kurt e Blaine e non aveva nessuna intenzione di smettere di provarla, adesso erano una famiglia, no?

Fece segnò alla ragazza di avvicinarsi e con due falcate era di nuovo seduta al suo fianco ma questa volta, seduta sul lato del letto. Studiò il volto di Mercedes; sembrava stanca e il viso bagnato ancora dalle lacrime, non facevano che aumentare le ombre scure sotto i suoi occhi. All’iniziò si sentì in colpa e responsabile, infondo era lei quella che era svenuta alla festa, rovinando la serata e il nuovo anno a tutti ma, poi, quando Mercedes le sorrise e “Mi sei manca, lo sai ragazzina? E sarei capace di farti una ramanzina in questo momento ma sono troppo felice di vedere che stai bene, perché stai bene vero?” chiedere, capì che si era preoccupata perché ci teneva e non c’erano colpe di mezzo.

“Sto bene, sul serio. Forse un po’ stanca e no, non ho nessuna intenzione di riposare ancora, ho dormito anche troppo” si affrettò ad aggiungere, quando vide la ragazza pronta a metterla a letto e magari anche a rimboccarle le coperte. “Ho solo bisogno di avere gli occhi aperti e di parlare, davvero. Ancora un secondo nella mia testa e sarei impazzita. Quindi torna in modalità Mercedes Amica perché è tutto quello che puoi fare per me e poi voglio sapere come è andata la serata, perché non ricordo un granché, oltre il mal di testa e ho bisogno di sapere se—“.

“No, non hai rovinato la serata di nessuno. Bhè Finn era più tosto scosso perché sembravi completamente assente ma adesso che sei qui, non importerà a nessuno. Certo, ci siamo presi tutti un bel spavento ma fortunatamente tutto è andato per il verso giusto, no? Credo che sia la solo cosa che conta, quindi non pensare a quello che è successo e ricominciamo da qui” disse la ragazza, poggiando la sua mano sulla propria e stringendola, mandando via ogni senso di colpa e domanda, perché aveva ragione. Contava solo quello e dovevano ripartire da quel momento.

“Allora,” iniziò, schiarendosi la voce e “ero un po’ addormentata e confusa ma credo di aver sentito parlare di portarmi al mare, o mi sbaglio? Sai non ci sono mai stata ma sembra divertente” disse, guardando con occhi speranzosi Mercedes, sperando di non aver capito male. Quando la ragazza mosse il capo sorridendo, la copiò come il riflesso in uno specchio “E possono venire con noi anche li altri? So che magari volevi una giornata tra ragazze ma sarebbe grandioso andarci tutti insieme, non trovi?”.

“Certo, mi sembra un ottima idea” rispose raggiante Mercedes, mandando via ogni forma di problemi, facendole anche dimenticare di essere in una stanza di ospedale e perfino della sua malattia. Faceva ancora strano dirsi che non era sola, ma le piaceva. “Appena Blaine ci darà l’okay, andremo tutti al mare. Farà un po’ freddo al momento ma tu non ti devi preoccupare, me ne occuperò io e mi farò aiutare da Kurt, a costo di costringere il sole a riscaldare l’aria e poi credo che abbiamo tutti bisogno di una giornata fuori, a respirare” continuò, usando un tono rilassante e appagante. Sorrise a sua volta prima di “Non è colpa tua”, dire.

Le parole si erano composte in un battito di ciglia e non era stato facile controllarle. Erano uscite dalla sua bocca, con il suono della sua voce senza che se ne potesse rendere conto. Gli occhi di Mercedes si spalancarono, forse chiedendosi quanto avesse ascoltato e non era sicura. Non aveva dato un peso a quelle parole ma aveva bisogno, bisogno di farle capire che nessuno aveva colpa e che non c’era niente che potevano fare e “Posso capire come ci si possa sentire. Quella sensazione snervante di aver potuto fare di più,  non riuscendo a realizzare, perché, potevamo fare qualcosa di più.

“Come so che dire Non Preoccuparti, non porterà a farlo di meno, per questo non ti sto chiedendo di farlo. Tutto quello che ti sto dicendo e che sto bene e che starò bene, che tu ti senta in colpa o meno. Alle volte, alle volte ci sono eventi che non possiamo riparare o rimediare, soprattutto quando passano. Tutto quello che puoi fare adesso, per me, per farmi sentire bene, per il tuo stare bene è essere la mia famiglia, solo questo. E tu sei bravissima in questo, basta guardare la festa e il modo in cui ci hai protetti tutti” la sua voce tremò e due lacrime lasciarono la sicurezza dei suoi occhi, per toccare le sue guancia. Anche il volto di Mercedes piangeva, ma non di tristezza.

“Quindi adesso parlami della sua idea per la giornata al mare e di Kurt e Blaine, si sono baciati alla fine? Perché, tutto quello che conta adesso, non sono io o il mio stare stesa in questo letto ma noi, come famiglia. Tutto quello che conto è essere una famiglia, ‘Cedes. E l’unica cosa che può salvarci e tenerci in piedi, quindi basta essere tristi e parlami di noi e di cosa mi sono persa in queste ore. Perché, forse non l’avrai notato ma ho dormito per un bel po’” e rise, per la prima volta davvero. Mercedes la seguì subito dopo, iniziando a parlare e a raccontarle tutto quello che le passasse per la testa.

Parlarono per ore interminabili, quasi dimenticate dal resto mondo. Come se nessuno avesse notato la loro assenza, almeno fino a quando la porta non sia aprì e Blaine, seguito da Finn e Kurt, entrarono nella stanza, con sorrisi raggianti sulle labbra e lacrime agli occhi, felici di aver trovato Rachel sveglia, felice quanto loro. Dopo i come stai e fammi controllare i tuoi valori Rachel, si erano uniti a loro, sedendosi intorno al letto e “Andremo tutti al mare, appena questa piccola perfezione potrà uscire da qui. Una giornata in famiglia”.

E si sbagliava perché il mondo poteva anche non notare la sua assenza, dimenticandosi di lei ma aveva una famiglia adesso. Nessuno di loro sarebbe stato più solo. Lei non sarebbe più stata sola. Con la risata di Mercedes, la voce squillante di Kurt, i piani di Blaine e il sorriso caldo di Finn. “Sarà una splendida giornata in famiglia, sì” sussurrò, asciugandosi una lacrima intrappolata tra le sue ciglia e sorridendo, felice dopo tanto dolore. Una famiglia che ci sarebbe stata sempre e per cui ci sarebbe stata sempre. Questa era la sua sola ed unica certezza. Quella era l’unica cosa che contava.














Note:

Eccomi qui, come sempre.

Devo ammetterlo, sono molto fiera di questo capitolo. Ho sentito ogni emozione scritta, da l’adrenalina nel corpo di Rachel che mi ha spinto a scrivere più fretta, provocandomi dolore alle mani al mix di emozioni che ha provato Mercedes, che mi ha portato anche a piangere. Sono fiera di questo capitolo perché è il primo che ho sentito realmente. In confronto a questo, li altri capitoli, sembrano capitoli di passaggio, e forse lo sono stati. Sono stati una preparazione a questo capitolo e a tutti quelli che sarebbero arrivati poi. La storia senza trama che la sta trovando, parola dopo parola e non sarà letta da nessuno ma ne sono realmente fiera. Ai pochi che ancora ci sono, spero sia piaciuto questo capitolo quanto a me e che vogliano condividere le loro opinioni con me. Tra l’altro credo di aver toccato ed esposto molto bene il legame che volevo che si creasse tra Rachel e Mercedes, considerato che questa voleva essere una storia su di loro e sono fiera anche di questo. Adesso staremo a vedere come si svolgeranno gli eventi. Detto questo, alla prossima gente
 


Sandfrost 's in Jacobba

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Capitolo 17
*** Insegna; fede e fiducia ***


 


 
Ci sono lunghi che ci appartengono, che sentiamo nostri, ancora prima di entrare in contatto con il suolo. Lo sentiamo dal primo respiro, nel sorriso che nasce spontaneo sul nostro volto, dalla pelle d’oca sulle braccia. Quella scarica di adrenalina, paura ed eccitazione che si mescolando e attraversano il nostro corpo, correndo fino al nostro cervello, passando dal cuore, urlando e informando che ci siamo. Quello è il posto in cui siamo destinati a essere. Dove possiamo respirare, vivere ed essere liberi. Senza la costante ansia di non farne una giusta. Ma non sempre va cosi.

Ci sono posti che mettono i brividi, che fanno urlare dalla paura, che mandando quello stesso corridore nel nostro corpo, facendo ribollire il sangue nelle vene, con messaggio di terrore, dicendo di correre, il più velocemente possibile. Di scappare. Perché quando si ha paura, il corpo risponde nello stesso modo; ghiaccia tutto quanto, portando calore e forza nel punto più utile: le gambe. Per darsela a gambe, correre senza voltarsi indietro. Dimenticare e non tornare ma non sempre si può. Non sempre ne si ha la possibilità, come in quel caso.

Ed era cosi che si sentiva Finn, mentre fissava il liquido scuro, in un bicchiere di plastica, che Blaine gli aveva portato solo pochi minuti prima, o qualcosa del genere. Non che dovesse tenere il conto delle ore che trascorreva aspettando buone notizie. Mosse il polso e il contenuto quasi straboccò dal bicchiere. Una solo goccia scese lungo la plastica ma non toccò il pavimento perché fu più veloce e la pulì con il fazzoletto che stringeva nell’altra mano. Sorride freddo, e riportò l’attenzione altrove.

Era strano come non si sentisse a sua agio in quel posto ma come, allo stesso tempo, ci era finito a fare il volontario, non molto tempo prima, spinto dal bisogno di ricordare e intrappolare dentro di sé qualcosa che era già andata via da tempo, troppo tempo. Aveva creduto di potercela fare, di poter far finta e vivere una vita più leggera e ci stava riuscendo, almeno prima di Rachel. Prima che sollevasse i suoi occhi e lo trafisse, bloccandolo in quel posto per altre ragione. E non gliene faceva una colpa, anzi. Gli aveva insegnato a non scappare ed era bello. Almeno-- “Abbiamo un codice rosso in sala operatoria, i medici operativi con me”.





 
     Le porte che davano sul parcheggio si spalancarono, senza grazia e in fretta, una donna, un paramedico, entrò di corsa spingendo una barella. Non ci fece subito caso, distratto com’era dalla velocità di quella scena, troppo concentrato a riviverla a rallentatore, per capire cosa stava succedendo. Era andato a prendere un pacco di patatine, dalle macchinetta in fondo al corridoio, aspettando che sua madre terminasse il suo turno e poi un urlo spento, aveva fatto risuonare l’intero ospedale, che sembrava addormentato fino a quel momento.
     “Abbiamo un codice rosso. Un incidente stradale sulla strada principale. Tre morti sul colpo, due feriti di cui una donna e un bambino. La donna è incinta e richiede un intervento immediato. I medici devo essere tutti reperibili e ho bisogno che vengano preparare le sale operatorie, ora” disse la donna, il volto pallido ma nel suoi occhi, fiamme davano carica al suo corpo che doveva muoversi in fretta, scattando e dando ordine. Una mente lucida è quello che serve in questo lavoro, direbbe sua madre.
     Quando le due barelle furono spostate dal corridoio principale e trasportate nelle due sale operatorie, ormai pronte, il silenzio fu l’unico frammento di polvere che lasciarono alle loro spalle. Nulla sembrava essere successo, eppure lui era stato lì, in piedi, a pochi passi da quella donna, vedendola dare ordini e facendo da lancette sull’orologio tra la vita e la morte. Si sentiva paralizzato e quando sua madre lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla, solo allora realizzò di star piangendo. Il pacco di patatine dimenticato nella tasca del suo giacchetto. Crollò tra le braccia di sua madre e pianse, infastidendo il silenzio.





I suoi occhi si intristirono quando, fissando oltre le porte della camera in cui si era nascosto, il ritmo dell’ospedale non si era fermato e nessuna donna, con i suoi stessi occhi e la voce calda, lo aveva risvegliato da quei pensieri tristi. Era stata la sua prima emergenza. Di solito se ne stava in sala d’aspetto o nella sala delle infermiere, a guardare la televisione con Mrs Robbers. Dove poteva starsene lontano dai guaii, almeno fino a che sua madre non lo venisse a chiamare per tornare a casa. Sognò quel episodio per molte notti, prima di trovare il coraggio per tornare in quel luogo, sperando, quasi, di rivedere quella donna. Accertarsi che non fosse stato solo un brutto sogno di un quattordicenne che aveva seguito troppe telenovela con le infermiere.

Si passò la mano libera sugli occhi e si decise ad avvicinare il bordo del bicchiere alle sue labbra, bevendone un lungo sorso. Il caffè era freddo ora, ma bruciò lo stesso nella sua gola, secca per le ore di silenzio e di lacrime. Come la lacrime che cadde proprio in quel momento ma non la cancellò. Lasciò che strisciasse su tutta la superficie della sua guancia, scavasse nella sua anima a brandelli e cadesse nel vuoto, sperando, pregando, portasse via anche il suo dolore e il brivido di tristezza che quel ricordo aveva portato dal suo passato.

La stanchezza attraverso il suo cuore e si accovaccio ancora di più sul letto ed espirò, stremato mentre altri ricordi premevano di uscire e vedere la luce. Ricordi che credeva di aver sepolto da qualche parte nella sua mente, per non rivederli mai più. Quindi sì, non dava colpe a Rachel Berry o all’ospedale stesso, perché lui in fondo non ci stava male ma non poteva neanche definirlo il suo posto. Non respirava di sollievo, sentendosi in salvo, quando attraversava le porte d’ingresso o camminando lungo i corridoio e affiancando qualche medico.

No. Non aveva la palpitazioni a mille quando un nuovo giorno iniziava, consapevole di una nuova giornata di lavoro. Tutto quello non lo faceva scattare in piedi e uscire il più in fretta possibile. Ma lei sì. Lei aveva quel potere su di lui. Era nella prima stanza in cui entrava, camminando a passo spedito da lei senza degnare di uno sguardo nessuno. Perché la sua vista non vedeva, se prima non poteva vedere lei. E nessuno gli dava una colpa, tutti lo sapevano già e lo lasciavano camminare, senza fermarlo, ed era quello che era successo anche quella stessa notte.

Una volta in ospedale, Blaine aveva portato Rachel dal medico di turno, intubandola forse, cercando di farla tornare e lui, aveva continuato il suo cammino, verso la sua stanza. Con il capo chino e le mani nelle tasche. Nessuno gli aveva chiesto come mai si trovasse lì o dove fosse Rachel, onestamente, tutti li altri lui neanche li aveva visti. Una volta nella stanza, si era seduto sul letto e ci era restato fino a quel momento. Di tanto in tanto, Blaine passava da lui e l’ultima volta, gli aveva portato quel caffè, che adesso era completamente freddo, ancora del tutto nel bicchiere, stretto nella sua mano sinistra.

“Credo che se la caverà” aveva sentito qualcuno dire. Non stavano parlando di Rachel ma di qualche altro paziente portato quella stessa notte, chissà per quale motivo. Comunque ascoltò e “Ma non credo sarà in grado di vedere ancora. Sperare in una operazione di salvezza sarebbe troppo rischioso e anche controproducente. Darebbe una speranza, che per ora, non hanno” continuò ancora quella voce, affievolendosi “Povero sarà suo figlio, quando li comunicheranno la notizia” disse un’altra voce, dopo, il silenzio.





     “Voglio tornare a casa mamma, sono stanco di questo posto” disse con voce infantile “Puzza ed è anche tanto triste. Non mi piace” continuò, con la voce più stridula. Non ascoltò la risposta della madre, perché qualcuno gli cinse le spalle e “Che cosa ci fai qui Finn? Credevo di averti chiesto di restare con Mrs Robbers nella sala delle infermiere. Sai che non mi piace quando vai in giro per l’ospedale da solo” lo riproverò Carole ma sembrava più preoccupata che arrabbiata e allora sorrise e “Scusa mamma, non lo farò più” ma entrambi sapevano fosse una bugia.
     “Allora, sentiamo, da chi sei stato colpito questa volta” chiese, guardando nella direzione dove gli occhi del figlio erano puntati. C’era una stanza, sul lato destro del corridoio. La porta era stata lasciata aperta ed era possibile vedere il suo interno. Una donna era stesa a letto, intubata e attaccata a delle macchine. Quello che doveva essere suo figlio, le stava accanto, strattonando il lenzuolo per attirare l’attenzione della madre, che sembrano non ascoltarlo. Nessun’altra persona era nella stanza o in corridoio. Solo loro due a osservare, come due ladri di momenti, quel piccolo gesto.
     “Ha poco più di quattro anni, suo padre è andato a lavoro è mi ha chiesto di guardarlo, aspettando l’arrivo di sua nonna per portarlo a casa. Ma lo osservo da qui perché non vuole nessuno, dicendo che è grande abbastanza per restare da solo. Non fa altro che piangere e lamentarsi, chiedendo di poter tornare tutti a casa. La madre ha avuto un incidente stradale e non sanno se potrà camminare di nuovo o se si sveglierà. Per adesso è sotto osservazione ma secondo me sanno già la risposte, solo che non voglio ammettere di non essere Dio e di non poterla salvare” risposte freddamente Finn. Carole tremò alla voce del figlio, dimenticandosi completamente della sua stessa domanda.
     “Capisco che tu possa provare rabbia Finn, per questo non voglio che tu vaga da solo in questo posto. Ma siamo umani e come tali, non riusciamo ad arrenderci. È forse un male, se alla fine, delle vite vengono salvate e sembrano dei miracoli?” disse dolcemente Carole, stringendo suo figlio a sé. “Non puoi arrabbiarti perché ci vogliono provare e non possiamo smettere di essere tristi perché il proprio figlio cerca la propria mamma, ma bisogna avere fede e fiducia. Questo ti insegna questo luogo ed è quello che ho imparato io. Ora sta a te capirlo”.
     Voltò il capo e sorrise a sua madre. Aveva ragione. Come poteva sentirsi arrabbiato quando c’era un bambino, ignaro di tutto, che aveva iniziato a piangere? Carole fece qualche passo in avanti, richiamata dal pianto ma Finn la bloccò, le sorrise ancora e continuò la camminata. Entrò nella stanza bussando alla porta e “Ehi amico, ho sentito che hanno i videogiochi nella sala piccola, ti va di giocare con me?” chiedere, con un sorriso rassicurante sul volto. Forse uno dei primi che aveva mai riservato a qualcuno. Sapeva che stava per rifiutare e tornare a piangere cosi;
     “Okay, ascolta, sembri un bambino grande quindi posso fidarmi; non mi piace questo posto. Ci sono troppe persone in camice bianco e troppo silenzio e non voglio passarci del tempo da solo. Quindi mi chiedevo se potevi farmi un po’ di compagnia tu, per non sentirmi tutto solo. Anch’io sto aspettando la mia mamma ma non sono forte con me”. Il piccolo si passò una manina chiusa a pugno sui viso, cacciando via le vecchie lacrime e placcando quelle nuove. “E poi, questo è un segreto che deve restare solo tra noi, non sono bravo ai videogiochi e avrei proprio bisogno di un aiuto. Mi vuoi aiutare?”.
     Ci pensò, spostando lo sguardo da lui a sua mamma ma dopo voltò il suo intero corpo verso di Finn e “Sei fortunato, il mio papà dice che sono il migliore in ogni gioco e poi non ci si dovrebbe mai sentire soli. La mia mamma dice che è più bello quando si è in compagnia quindi va bene, posso farti compagnia io, fino al ritorno della tua mamma” lasciò un bacio sulla guancia di sua mamma, ancora addormentata e “Farò il bravo mamma, vedrai” disse, prima di afferrare la mano di Finn e uscire dalla stanza insieme.





Un toccò leggero sulla porta, che lo divideva se stesso dalla realtà, riecheggiò in tutto l’ospedale. Anche se era stato un semplice incontro di nocche contro il legno bianco, il suo cuore tremò, tornando nel suo corpo e al presente. Sorrise tristemente al ricordo consumato dal tempo e riportò la sua attenzione a Blaine, che se ne stava sul lusco della porta, con la paura negli occhi, di aver disturbato. Quando i loro occhi si incontrarono, i suoi s’intristirono, realizzando il motivo per cui era seduto sul quel letto, con ancora quel bicchiere contenente caffè freddo nella mano e un peso nel cuore.

“Rachel è stabile, non si è ancora svegliata ma è al sicuro ora. Ho pensato che lo volessi sapere”. Disse, senza spostarsi dalla porta, delineando un confine tra le sue parole e le sue azioni. Finn, per ragione non del tutto chiare - considerata la confusione nella sua mente - ne fu grato. Non era pronto a parlare dell’accaduto, non era pronto a sapere cosa era successo. Non voleva neanche essere lì ma sapere che Rachel era al sicuro, come aveva detto Blaine, lo rincuorò molto. Anzi, sorrise a quella parola usata dal dottore, avrebbe potuto dire che era fuori pericolo o che stava bene ma no.

Era al sicuro ora, e lo sarebbe stata ancora di più una volta sveglia, quando gli avrebbe trovati tutti lì ad aspettarla, con gli sguardi preoccupati ma con la felicità segnata nei loro sorrisi. Neanche lo avesse urlato o avuto il tempo di parlare che “Puoi vederla se vuoi. Come ho detto, non è ancora cosciente ma forse ti farebbe bene costatare da te che è qui” disse il medico, sorridendo e facendo un solo passo nella stanza, distruggendo il confine e volendo creare un legame oltre le parole, segno che ci credeva realmente.

In quel piccolo gesto aveva detto che Rachel era sul serio al sicuro, che sarebbe tornata da loro e che erano una famiglia, di cui fidarsi e una spalla su cui piangere. Ma non pianse. Si alzò e per poco non perse l’equilibrio, chiedendosi da quanto tempo fosse stato seduto, senza neanche rendersene conto. Blaine, dal’altro canto, non si mosse ma le sue labbra si aprirono in una O di sorpresa e di paura. Finn immaginò la sua preoccupazione quindi gli sorrise, lo affiancò e avvolse le spalle del ragazzo con un braccio, in silenzio, uscirono dalla camera e percorsero tutto il corridoio.

Arrivarono di fronte una porta e si fermarono, Finn con ancora il suo braccio intorno alle spalle di Blaine, non osando trovare il coraggio di voltare lo sguardo dalla porta e congedare Blaine, ringraziandolo magari ma non ce le fu bisogno. Con il braccio libero, il dottore tirò a sé Finn e lo strinse in un abbraccio, Finn si morse le labbra, trattenendo i batti del suo cuore e “Andrà tutto bene, Finn. So che suona scontato ma è cosi, deve andare cosi. Una cosa che questo ospedale insegna è avere fede e fiducia e io ho fiducia in Rachel e sono sicuro che tu senti la stessa cosa. Quindi non avere paura e se ne avrai, perché è umano averne, io ci sono. Siamo una famiglia, no?”.

Sorrise nell’abbraccio, grato di aver trovato un amico in quel posto. Perché sì, ci sono posti che ti fanno sentire a casa e sospirare di sollievo, invadendo il tuo intero corpo in un sento di sicurezza. Ma se ci si pensa con più attenzione, non è un luogo, un posto, ad essere casa ma tutto quello che si trova dall’altra parte dalla porta. Nascosti da muri spessi, che non crollano e che sono forza. L’ospedale non poteva essere considerato un luogo sicuro perché il dolore lo inondava ma tutto quello che aveva trovato oltre la porta, oh sì, era stata la sua di salvezza.

E sì, sua madre aveva ragione; l’ospedale insegnava ad avere fede e fiducia ma soprattutto, se sapevi dove guardare, poteva donare una famiglia. Una famiglia in cui avere fede e di cui ti puoi fidare. Era di questo che parlava sua madre, mentre se ne stavano in quel corridoio vuoto, parlando di tutto quello che avevano in torno. In parte non voleva che vagasse da solo perché, da qualche parte, c’era una famiglia composta da membri che non avevano destinazione, almeno da soli, ma insieme, una volta uniti, potevano essere tutto. E la sua famiglia lo aveva aspettato e adesso ne era certo, Blaine aveva ragione; doveva andare tutto bene.

“Grazie” disse, lasciandosi andare a una sola lacrime, che lasciò una macchina sul camice di Blaine, facendolo respirare. In quella lacrima aveva lasciato le sue parole, le sue insicurezze e il suo cercare. Ora aveva tutto quello che gli era destinato, aveva solo il bisogno di dirlo. Ad alta volte. Per questo doveva entrare. L’abbraccio durò qualche altro secondo prima che si separassero. Blaine si scusò, dicendo che aveva dato la sua reperibilità, dato che era in ospedale e Finn gli sorrise, capendo fosse il suo modo per non pensare. Rendersi utile era un ottimo modo per non ricordare quella notte, troppo fresca, nelle loro memorie ma il mondo non poteva fermarsi e la stessa cosa valeva per loro.

Liberando i polmoni, aprì la porta e ed entrò. Senza pensare, e avere il tempo di cambiare idea. Camminò e le sue gambe sembrano fatte di pietra. Si passò i palmi aperti contro la stoffa dei suoi pantaloni. Si sentiva nervoso e il rumore incensante del suo cuore, non era d’aiuto. Sembra sul punto di uscire dal petto, implodere, volendo distruggere tutto quel silenzio che lo stava soffocando. Socchiuse le labbra, un alito di vento uscì e dopo le richiuse. Non importava quante belle parole, non sarebbe mai stato pronto al corpo di Rachel, addormenta e bellissima, sul letto di lenzuola candide.

“Mi sento così idiota” pensò ad alta voce, facendo il giro del letto e sedendosi sulla sedia vicino a esso. La sua mano si mosse senza essere stata comandata, cercando quella di Rachel, indifesa e immobile, sul materasso. La sfiorò e una lacrime si perse nel vuoto e poi una risata senza suono. “Tutto questo sembra cosi assurdo che vorrei ridere ma cosi reale che vorrei solo correre e piangere ma non potrei mai lasciarti perché tu non lascerai mai me, vero?” sorrise. Niente tristezza, nessuno dolore, la paura andata perché era la sua unica realtà.

Lei stava tornando da loro, lottando, forse, contro se stessa per poter vincere ed aprire i suoi bellissimi occhi alla luce di un nuovo mattino. E si sentì cosi stupido per aver avuto paura “Ti amo” pensò mordendosi il labbro per non piangere. “Ti amo” disse, fissando le loro mani unite. “Ti amo” urlò, nel sussurrò delle loro labbra vicine, ma non così tanto da toccarci perché voleva sentirla, voleva che fosse reale per entrambi. Sbatté le palpebre, mandando via i residui di lacrime non cadute e lì sembrò di essere caduto, quando gli parve di aver sentito la mano di Rachel, muoversi, sotto la sua.

Scottato, spostò la mano e suono il capello d’allarme, aspettando che qualcuno corresse da lui. La porta si spalancò qualche minuto dopo e “Rachel?” chiese una voce ma Finn era stralunato e non riusciva a spostare lo sguardo dalla stessa mano che, solo pochi minuti prima, stava sfiorando con la propria. “Finn, che cosa è successo, perché hai suonato il campanello” e dovevano essere domande ma tutte suonavano con fretta, odorando di speranza e preoccupazione allo stesso tempo. “Finn, ehi! amico, sono qui. Cos’è successo?”. Quando osò sollevare lo sguardo, trovò Blaine, con il fiato conto e gli occhi spalancati, spaventati.

“Io—“ provò, trovando difficoltà a ricordare il suono delle parole, come se il suo cervello avesse dimenticato ogni cosa, classificandola inutile, ricordando solo Rachel. Il suo nome, la sua voce, il suo sorriso, i suoi occhi, la sua mano che si muoveva sotto la sua. E dovette scavare dentro di sé per ricordare come tutto suonasse perché doveva dirlo, Blaine doveva saperlo. Stava tornando da loro e aveva bisogno del loro aiuto. “Credo abbiamo appena mosso la mano, cioè ne sono sicuro. L’ho sentita, Blaine e credo che lei abbia sentito me. Credo volesse raggiungere la mia voce. Sono forse pazzo?”.

Un sorriso comprensivo nacque sul volto di Blaine e “Non credo tu sia pazzo Finn e per questo non voglio illuderti. Vorrei che si svegliasse quante te, la conosco da quando ha messo piede in questo posto e la sento parte di me ma potrebbe non essere niente. Potrebbe essere solo un riflesso incondizionato del suo corpo, uno spasmo. Una breve e involontaria contrazione e nulla di più ma credimi; non sai quanto vorrei che sia qualcosa di più”, la sua voce tremò nel pronunciare quelle parole, con il cuore dolorante nel petto. Finn di questo ne era certo. Si sentiva solo nel dolore ma non lo era. Non lo era mai stato.

Non disse più niente. Non provò neanche a difendere quello che era certo di aver sentito e Blaine non aggiunse altro, solo “Ti va di tornare di là? Mercedes e Kurt dovrebbero arrivare a breve”. Una goccia di speranza nel suo cammino. Mosse il capo con fare affermativo ma non si mosse. Così Blaine capì e lo lasciò da solo ma non senza prima assicurarsi che sapesse come tornare nella stanza di Rachel. Finn avrebbe riso di quella domanda, perché avrebbe trovato la strada verso casa anche con tutti i suoi sensi fuori uso. Come in un sogno e lo stesso in un incubo. Avrebbe sempre trovato la strada per tornare da lei.

“Troverò sempre una via per tornare da te, Rachel Berry. Perché dovunque io vada, dovunque io sia diretto in questa vita, tu sei e sarai la mia destinazione. Il mio viaggio. Il mio punto di partenza e di arrivo. Saprò sempre come arrivare a te ma adesso tocca a te, Rachel. Cercami, trovami e non lasciarmi andare. Adesso tocca a te tornare ed io starò qui, pronto a stringerti tra le mie braccia. Senza nessuna paura del tempo o di aspettare. Io sarò qui quindi torna da me piccola. Cosi potrò dirtelo e dirtelo ancora e potrai essere la mia vita, il mio cammino. Dicono che si nasca destinati a qualcosa che possa essere un luogo o una persona ma solo adesso lo capisco.

“Se si ha davanti la persona giusta, essa diventata la nostra casa e tu sei la mia ora. La nostra. Non puoi lasciarci andare proprio adesso che ci siamo ritrovati, ora che siamo di nuovo tutti insieme. Dormi, se sei stanca ma dopo fallo solo tra le mie braccia, cosi potrò vegliare il tuo sonno e saperti al sicuro, rincuorerà il mio. Notte piccola mia, ci vediamo al tuo risveglio”, si curvò sul letto, custodendo un piccolo bacio sulla fronte della sua amata e dopo “Ti amo”, sussurrò ancora, direttamente nel suo orecchio, in modo che potesse superare le gabbie dorante in cui era imprigionata e riscaldarla con il proprio amore.

Con amarezza uscì dalla stanza, ripercorse il corridoio a ritroso e tornò nella stanza di Rachel. Sperò di poter sentire il suo cuore più leggero o inondato di una speranza nuova ma non fu così. Si sentiva stanco, molto più stanco di quando era arrivato quella sera. Molte ore prima. Si accasciò sul letto e osservò le sue mani stringersi, cercando un appiglio in esse, immaginando di poter stringere quelle di Rachel. Sorrise, ma non ci fu nessuna felicità in esso. E come se l’universo avesse sentito il suo lamento sofferente, la sua angoscia e dolore, sentì dei passi nuovi nella stanza. Non sollevò lo sguardo per guardare perché dentro di sé sapeva si trattava di Mercedes e Kurt e quando Blaine entrò anche lui, ne ebbe la conferma.








Note:
 
Ci sono delle cose che vanno dette e anche se non c’è nessuno leggere, ho bisogno di dirle lo stesso.

1) Inizio con il dire che adoro stare nella mente di Finn ma allo stesso tempo non so ancora perché.
2) Volevo mostrare strappi della vita di Finn perché ho capito una cosa scrivendo i capitoli precedenti.; ho scritto questa storia incentrandola su Rachel e Mercedes, il loro incontro e poi il loro legame ma mentre scrivevo, Finn come Kurt e Blaine sono entrati a far parte della trama, realizzando che sono questa storia tanto quanto Rach e Merc, quindi è giusto che abbiamo la loro parte.
3) Non so se ho reso l’idea (o se lo avete capito da soli) ma quanto nello scorso capitolo Rachel sente o meglio percepisce qualcosa che “..come parole dette al vento. Un brivido sulla pelle, un formicolio nelle vene”. Qualcosa che non può raggiungere perché troppo veloce e lei troppo intorpidita, senza saperlo, ha sentito e percepito il Ti Amo di Finn. Ed è rapido perché dopo Finn esce dalla stanza, quindi sì, è il Ti Amo di Finn ad aver svegliato Rachel dal suo solo e dopo può ascoltare parte delle lacrime di Mercedes. So, thank you Finn!
4) Il prossimo capitolo sarà incentrato sui Klaine, sempre su questo lasso di tempo. Ho bisogno di sapere di loro prima di mandare avanti la storia e concentrarci su altro. Come ho detto, questa storia parla di tutti loro e non mi piace avere punti d’ombra e poi i Klaine ci stanno sempre, no? Hanno un bacio di cui parlare o forse fingeranno che non ci sia mai stato?

Detto questo,
alla prossima gente invisibile


Sandfrost 's in Jacobba

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Capitolo 18
*** Ricordo.. ***







“Non avere mai paura di mostrare quello che provi piccolo, okay?”.

La voce di Mercedes placò l’assordante peso nel suo petto. Non credeva di poter provare ancora cosi tanto, soprattutto dopo la morte di sua madre. E anche in quel momento, sapeva che il dolore non era paragonabile ma dava lo stesso fastidioso. Sentiva ancora lo stomaco sottosopra e il sapore metallico nella bocca. Voleva piangere, stava per piangere. Lo sentiva. “Nessuno qui ti giudicherà se provi tristezza o sofferenza. Siamo una famiglia adesso e, in questo momento, proviamo tutti lo stesso dolore, e non va bene ma non siamo soli. Non lo sei piccolo”.

Come sempre, non aveva avuto il bisogno di parlare, di cercare un ordine ai suoi pensieri. Mercedes lo aveva capito ancora prima che lui capisse cosa stesse per succedere. Era in qualche modo, la sua anima gemella; sempre al suo fianco da sempre, per proteggerlo e farlo sentire al sicuro. A casa. Amava quella ragazza, il modo in cui era la sua casa, la sua forza, il suo tutto. Sorrise per rassicurarla ma comunque non si mosse, restò nella stanza e quando la sua migliore amica seguì Blaine fuori dalla camera, sospirò e si accasciò accanto a Finn, sul letto di Rachel.

Il silenzio era tornato quasi subito, non era imbarazzante ed era riempito dai loro pensieri ma, tutta via, Kurt lo trovò fastidioso. Voleva trovare qualcosa da dire, fare una battuta o rassicurare Finn con belle parole ma si sentiva bloccato. Un pizzicore agli occhi gli fece venir voglia di rincorrere Mercedes e chiederle di restare, di farli strare tutti bene, di essere una casa in cui tutti si sarebbero potuti sentire protetti ma Mercedes aveva ragione. Erano una famiglia e non erano soli. Lui non era solo.

“Ho ritrovato il vecchio annuario” esitò, la voce tremava appena ma continuò quasi subito “Il giorno dopo averti visto in ospedale, Mercedes era a lavoro per delle prove e mi sentivo solo così ho iniziato a guardare tra gli scatoloni di Mercedes, quella ragazza conserva di tutto e l’ho trovato. Non lo stavo cercando eppure lui era lì, con le nostre foto e le dediche scritte cosi tanto tempo fa ma non ancora sbiadite. Ho girato le pagine fino ad arrivare a una tua foto con Mercedes e sotto c’era la tua dedica, la ricordi?” chiese, spostando lo sguardo verso di Finn, che lo fissava a sua volta.

Sembrò pensarci, a ripercorrere quei corridoi, sentendo il cuore riscaldato dai ricordi ma dopo scosse il capo. Kurt sorrise e “Saremmo per sempre una famiglia, non importa dove ci troveremo o quanto famosa diventerai. Ci saremmo sempre, e questa sarà la prova quando lo dimenticherai” citò, non smettendo di sorridere, non percependo il peso di quel unica lacrima che si era consesso. Aveva pianto dopo aver letto quella dedica e dopo aveva chiamato Mercedes che era subito corsa da lui. Lo aveva abbracciato e gli aveva detto che credeva in quella promessa e che doveva farlo anche lui perché erano una famiglia.

“Quando Mercedes mi ha detto di crederci, l’ho fatto perché ci siamo sempre e in qualche modo, ci ritroviamo sempre ma solo adesso, mentre ci prendiamo cura dell’altro, mentre non permettiamo al silenzio di dare voce al nostro dolore, che capisco cosa volesse farmi capire con quella frase. Non dovevo solo crederci ma dovevo vederlo perché lo siamo. Ci formiamo e ci distruggiamo per poi trovarci di nuovo. Cambiamo e nuovi membri si unisco ma è quello che siamo, siamo una famiglia e Mercedes ha ragione, non siamo soli ed è quello che ci hai insegnato tu, Finn.

“Quando ci sentivamo persi; dopo una sconfitte, dopo delle brutte giornate tu eri lì, a dirci che non eravamo solo, che ce l’avremmo fatta insieme, che dovevamo continuare a crederci. Se ce l’abbiamo fatta, se abbiamo raggiunto i nostri sogni, se siamo caduti per poi rialzarci sempre è per merito tuo. Quindi non permettere che questo tu butti giù, che ti faccia sentire perso perché ti basta guardarti intorno per capire che non è cosi. E adesso andrò a prenderti del caffè e del cibo perché abbiamo ancora bisogno di te, Rachel ha bisogno di te e tu sei forte e ce la puoi fare, okay?”.

Parlò in fretta ed energicamente, credendoci sempre di più, parola dopo parola. Prendendo forza da sé stesso, da quello che aveva imparato e da quello che erano. Alle volte ci si dimentica di quanto forti in realtà siamo, guardando solo la nostra debolezza. Ma la debolezza è forza se si guarda il mondo e quello che ci circonda in modo diverso. Perché non siamo soli anche quando ci sentiamo tali e bisogna alzarsi, sorridere e ricominciare. “Andrà bene Finn, ci siamo noi adesso”.

Abbracciò Finn, gli sorrise e quando il ragazzo ricambiò, uscì dalla stanza, dirigendosi verso il bar. Non aspettò molto in coda, quando vide Blaine unirsi a lui, mettendosi al suo fianco e aspettando. Si sentiva impacciato soprattutto dopo il loro bacio e la serata trascorsa ma Blaine pensava che fosse ubriaco quindi poteva fingere che non fosse successo niente e questo voleva dire che doveva comportarsi come sempre, o forse non come sempre. Non poteva comportarsi come un cagnolino che correva verso il suo padrone quando lo vedeva entrare in casa. Non più, cosi “Stai cercando di saltare la fila Anderson?”.

Si sorprese di se stesso e quasi si congratulò con se stesso ma dopo Blaine rise, passandosi una mano dietro il collo e abbassando la testa in avanti. Kurt iniziò a sentire la terra sotto i piedi tremare, iniziò a confondere la notte con il giorno e non ricordò più cosa stesse facendo almeno fino a quando una ragazza dai capelli biondi chiese loro cosa volevano prendere. Tornò in sé e comprò dei panini e del caffè, ne prese anche per Mercedes oltre che per Finn. Blaine prese la sua ordinazione e chiese a Kurt di sedersi prima di tornare da Finn.

Una volta seduti, Kurt appoggiò sul tavolo le bustine con il cibo e il cartone con i bicchieri e aprì il proprio mettendo dello zucchero, Blaine lo imitò quasi subito e “Non volevo saltare la fila, anche se è stato vantaggioso, lo devo ammettere” rise quando Kurt sbuffò per niente scocciato però. “No in realtà ti stavo cercando e Finn mi ha detto che ti avrei potuto trovare qui, quando sono passato dalla stanza di Rachel ed eccomi qui” disse, avvicinando il bicchiere alle labbra e soffiandoci sopra.

Per poco Kurt non si versò il contenuto del suo bicchiere sulle gambe, preso da quella azione e dalle parole del moro. Lo stava cercando, stava cercando lui. Aveva chiesto di lui a Finn non appena tornato e “Mi cercavi?” chiese ancora stralunato, appoggiando il bicchiere di cartone sul piano del tavolo, non fidandosi delle sue mani che avevano iniziato a tremare “Bhe mi hai trovato, cosa volevi dirmi? Rachel sta bene? E Mercedes?”. Una improvvisa paura aveva raggelato il suo cuore.

“Ehi va tutto bene, okay? Niente è successo a Rachel o a Mercedes, non è per loro che ti stavo cercando, volevo parlarti” disse subito, posando una mano sul dorso di quella di Kurt, che si era stretta a pugno nella paura di un nuovo allarme. Lasciò i polmoni liberi di respirare di nuovo e le sue membra si rilassarono quando Blaine iniziò a muovere il pollice sulla superficie della pelle candida di Kurt, dopo si in rigidi perché Blaine voleva parlargli e se non centravano le sue amiche allora il punto della questione erano loro. E se volesse parlargli del bacio? Era pronto a quell’argomento?

“Oh!”. Una fitta alla stomaco gli fece venir voglia di scappare ma poi ricordò che poteva fingere, dire che non ricordava poco e niente della serata e che lui era un attore, poteva fargli credere quello che voleva, no? Faticò a trovare parole da dire ma per sua fortuna Blaine parlò per prima e “Volevo chiederti come stavi, voglio dire, non abbiamo parlato molto dopo che Rachel, sai e, non lo so, mi sentivo un po’ in colpa a dire la verità. Sono corso via e ti ho lasciato da solo e..”.

“Non hai nessuna colpa Blaine, anzi non ricordo quasi niente della scorsa notte, per quanto ho bevuto, quindi non devi pensarci e sto meglio, anche se il mio stomaco non la pensa nello stesso modo” rise, sentendosi un codardo. Rise, nascondendo il suo stesso senso di colpa e dopo sorrise. Sorrise coprendo le impronte della sua bugia perché ricordava. Ricordava ogni singola istante, ogni parola, ogni loro respiro. Ricordava mentre respirava, camminava e parlava. Stava ricordando anche in quel momento e arrossì.

Coprì l’imbarazzato mordendosi le labbra quando “Ah!” esclamò Blaine, passando una mano sui capelli “Meglio cosi, cioè mi dispiace per il tuo stomaco, sarà dolorante per un altro po’ ma poi andrà bene. Posso farti prescrivere qualcosa per il senso di vomito” aggiunse cercando di sorridere “E sicuramente avrai mal di testa per questo non ricordi niente e, io, credo che dovrei andare. Dovrei controllare Rachel e Mercedes e passare di nuovo da Finn. Dovrei portagli io..” disse, indicando i caffè, evitando la sguardo di Kurt “Cosi puoi riposarti un po’”. Quando sollevò lo sguardo, Kurt perse mille anni in un solo secondo.

Blaine non sembrava triste, niente di lui dava quell’impressione eppure c’era qualcosa nei suoi occhi. Eppure non era stato quello a ferire Kurt, a fargli venire la voglia di riavvolgere il nastro e di ripetere quel pochi secondi, cambiare il copione e assistere a un finale diverso. No. Fu il sorriso che Blaine rivolse a Kurt a spezzare tutto quello che avrebbe potuto esserci. Non c’erano reali parole per commentare o descrivere quel sorriso ma Kurt si sentì perso e con il cuore a pezzi. Non parlò e Blaine ne approfittò per alzarsi. Fu rapido e “No”.

“Come scusa?” l’espressione sul volto di Blaine era la più totale confusione e Kurt sentì la stessa sensazione ma “Non è vero, ho mentito” confessò. Senza giri di parole, senza crearsi una storia, senza sapere cosa avrebbe aggiunto dopo. Semplicemente non poteva vederlo andare via, non cosi. Non dopo quel sorriso. “Su cosa hai mentito?” chiese allora Blaine, ancora in piedi accanto alla sedia ora vuota. Ancora con il braccio proteso in avanti, cercando di raggiungere i sacchetti da portare con sé. Con il busto leggermente inclinato in avanti.

“Lo ricordo, okay? Ricordò cosa è successo, la tua gentilezza e soprattutto il nostro bacio. A dirla tutta, non ero neanche ubriaco, forse in qualche modo lo ero ma non realmente. Per tutta la sera ho bevuto acqua fingendo fosse alcool come coraggio liquido. Ero cosi nervoso nel saperti lì, lo sono ancora adesso. Ma non posso farti andare via consapevole di averti detto una bugia, mi dispiace” disse alla fine e avrebbe voluto dire di più, avrebbe dovuto dire di più ma i suoi occhi. Gli occhi di Blaine che avevano iniziato a brillare non appena aveva iniziato a parlare. Avrebbe potuto dire di più ma nessuna parola avrebbe avuto senso.

“Kurt Hummel ti bacerei in questo momento, se solo non fosse il momento adatto,”. Il cuore di Kurt di fermò, non solo perché non ricordava più come fare il suo lavoro ma anche perché il sorriso che Blaine gli aveva fatto dono dopo aver pronunciato il suo nome, gli aveva tolto il respiro. Il suo cuore non batteva, ai suoi polmoni serviva dell’ossigeno eppure non si era mai sentito cosi vivo e felice in vita sua.. “non fraintendermi, baciarti renderebbe ogni momento adatto ma dopo il nostro primo bacio, vorrei che il secondo non fosse legato a un momento poco piacevole, come l’ospedale”.

“Quando vuoi” si lasciò sfuggire, arrossendo. Chinò il capo, come a nascondere il sorriso che si allagava, sollevando le sue guancie e si alzò dalla sedia, prese i sacchetti dal tavolo e fece qualche passo prima di girarsi verso di Blaine, ancora bloccato nella stessa posizione, con lo sguardo a fissare una sedia ora vuoto e un sorriso che avrebbe fatto invidia al sole e “Andiamo? Questi caffè saranno diventati in bevibili ora mai e Finn è rimasto da solo per troppo tempo, su”.
 
 



“Sono felice che Rachel si sia svegliata. Finn sembra rinato da quando ha saputo la notizia e ho avuto il timore che scoppiasse in lacrime quando l’ha vista con i suoi occhi ma per fortuna c’era Mercedes che ha tenuto in piedi i vostri pezzi. Invidio la sua forza” sussurrò uscendo dalla stanza e chiudendo la porta, lasciando a Finn e a Rachel del tempo per loro, mentre Mercedes gli aveva lasciati con la scusa di dover fare delle telefonate. Aveva detto che doveva chiamare ai suoi per sapere come stava andando il loro viaggio e Kurt non diceva che non le credeva, solo che era stata un ottima scusa per lasciarli soli, riferendosi anche a lui e Blaine.

Quest’ultimo si accasciò su una sedia non molto lontana da quella porta ma abbastanza lontana per non disturbare e per stare soli. Rispose con un sorriso stanco, non avendo neanche la forza per essere d’accordo, almeno non con le parole. Kurt sentì lo stomaco contorcersi notando quando forte era sembrato in quella stanza ma adesso sembrava così piccolo. Ora che era solo, ora che era con lui. Preso da quella ondata di pensieri, mosse un braccio in direzione di Blaine e appoggiò la mano sulla guancia del moro, lasciando delle piccole carezze.

“Sembri esausto, dovresti andare a casa e dormire un po’” disse e quando il ragazzo sollevò lo sguardo seguendo il suono di quelle parole, Kurt si sentì scottato e scostò subito la mano a quell’azione troppo intima, sentendosi in imbarazzo e immaginando le sue guancia andare a fuoco sotto lo sguardo del moro. Non fece in tempo a voltare il capo, a nascondersi da quello sguardo che “Kurt?”, lo richiamò a sé come un magnete. Non ebbe bisogno di altri incentivi e tornò a posare la mano contro la guancia del ragazzo, avvicinando il suo corpo al suo ancora seduto.

Chiuse gli occhi e “Non posso tornare a casa, solo ancora reperibile e queste sono notti sempre cosi movimentate e hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile e se restando posso aiutare, allora lo farò e poi non sono cosi stanco, ci sono abituato in qualche modo” risposte a quella che doveva essere una richiesta e non una domanda. Kurt mosse il capo di fronte quella cocciutaggine ma sorrise anche intenerito, soprattutto quando lo vide strofinarsi un occhio con il pugno, sembrando cosi adorabile e cosi piccolo.

“Non puoi togliere la reperibilità? Infondo questo era il tuo giorno libero e hai fatto molto, senza che nessuno te l’abbia chiesto. Credo che ti meriti veramente un po’ di ore di riposo Blaine” continuò, a costo di portarcelo con la forza. Quel ragazzo era esausto e non riusciva a vederlo in quelle condizioni. Quando “Per noi medici i giorni liberi sono un’illusione. Anche se usciamo da questo posto, questo posto non uscirà mai da noi. Continuerà a vibrare nei nostri pensieri fino a quando non sarà l’ora di tornare”, chiuse gli occhi  e si lasciò rilassare dal tocco di Kurt, spingendo il volto verso la sensazione di calore che quelle carezze gli stavano facendo provare.

“Allora ti porterò io a casa e mi prenderò cura di te, perché non puoi lavorare in queste condizione. Non te lo permetterò” disse in fretta, forse in un comportamento più cocciuto di quello di Blaine, prima di essere avvolto e scosso dallo sguardo del moro, che aveva aperto i suoi occhi e lo aveva guardato con attenzione, spingendo Kurt a riascoltare la sua voce e dando peso alle sue parole. Ebbe l’istinto di correre il più lontano da lì ma resto fermo, non bloccando il movimento del suo pollice su quella guancia così morbida e “Quando credevi che fossi ubriaco” confessò “Hai detto che ti saresti preso cura di me e lo hai fatto. Adesso ti sto chiedendo la stessa cosa”.

Sentiva il battito del suo cuore ovunque a quanto il suono di quelle parole fosse giusto. Prese coraggio e “Lascia che sia io a prendermi cura di te questa volta, Blaine. Lasciami che ti porti a casa” continuò sentendo il cuore pompare con troppa fretta il sangue nelle vene e con il fiato sospeso, in attesa della reazione di Blaine a quelle parole. Quest’ultimo chiuse di nuovo gli occhi e annuì, facendo nascere sul volto di Kurt un enorme sorriso e, in un gesto quasi automatico, inclinò il bacino e lasciò un bacio tra i capelli di Blaine, felice come non mai.
 
 



“Ho chiamato Mercedes e ha detto che resterà in ospedale ancora un altro po’, volendo far compagnia a Rachel e che ha mandato Finn a casa, dato che era distrutto” informò ad alta voce, tornando nella stanza. Si bloccò sull’uscio della porta e sorrise intenerito alla scena che gli si presentò di fronte, vedendo Blaine sotto le coperte e addormentato. Dopo quella conversazione aveva preso Blaine per mano e, dopo aver parlato con un responsabile che aveva dato loro il permesso, aveva guidato fino a casa di Blaine, lo aveva accompagnato in camera sua ma poi si era scusato per telefonare a Mercedes, considerato che erano adatti via senza avvertire.

Restò appoggiato sullo stipite della porta, con le braccia strette al petto, una mancia di minuti, godendosi quella scena. Se pensava che Blaine fosse bello da sveglio, da addormentato era la meraviglia e approfittò di quel momento di calmare per sbloccare il telefono che rigirava ancora tra le mani e immortale quella bellezza in una foto, dimenticando di togliere la suoneria che al momento dello scatto “Kurt?”, fece muovere il moro tra le coperte, come a volerlo cercare al suo fianco.

A quel punto si mosse ed entrò completamente nella stanza, fino a entrare nel capo visivo di Blaine che quando lo vide, sorrise raggiante, illuminando anche i suoi occhi e rendendolo bellissimo. Stava per chiedergli il perché di tutta quella felicità quando “Credevo di averti sognato. Credevo di aver sognato tutto quanto ma sono felice di averti qui, accanto a me” del moro, che lo fece arrossire e abbassare il capo e “Dovrei andare adesso” che venne subito bloccato dal “Non andare, non ancora. Resta con me ancora un po’” accompagnando quelle parole dal spostare le coperte e indicargli il posto libero accanto a lui.

Ci pensò per alcuni momenti, chiedendosi se fosse il caso ma quando Blaine arricciò le labbra in un broncio, lasciò libero il suo corpo di fare quello che voleva, quello che tutto il suo essere voleva fare e adesso, lui voleva essere tra le braccia di Blaine, stretto e coccolato dal suo odoro e dal suo calore. Si tolse in fretta le scarpe e rise quando vide Blaine quasi saltellare dalla felicità e si stese al suo fianco. Viso contro viso, cosi vicini da percepire il respiro dell’altro contro le labbra. Così vicini da far scontare i loro nasi a ogni respiro. “Vorrei..” iniziò a parlare Blaine ed era troppo. Troppo vicino, troppo intimo, semplicemente troppo. Troppo per il povero Kurt che credete di impazzire “Vorrei che non andassi mai via. Vorrei che restasi per sempre con me. Vorrei che questo momento durasse per sempre”.

 









Note:

Ora mai scrivo un capitolo al mese e non capisco il perché lol ma comunque ci siamo. In questo mese ci ho pensato tanto a questa storia, così tanto che sono riusciva a trovarle una fine. Come ci arriverò e quanti capitoli dovrò scrivere prima di arrivarci non lo so, ma ci lavorerò con impegno per dare a questa storia il meglio. In questo capitolo abbiamo un momento tutto Klaine che io ho adorato, soprattutto la parte finale. I prossimi due capitoli saranno dedicati alla gita al mare, che non vedo l’ora di scrivere. Credo che non ci sia altro da aggiungere, alla prossima
 
 Sandfrost 's in Jacobba

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Capitolo 19
*** Che cosa mi sono persa Kurt? ***







Erano passate esattamente due settimane dalla promessa di Mercedes a Rachel. Due settimane passate tra risate e conoscenza, unendo il loro legame e organizzando quella folle gita al mare. Avevano aspettato che le condizioni di Rachel migliorassero, cercando un luogo dove passare il weekend insieme e una buona giornata di sole e quel giorno, era finalmente arrivato. Avevano passato il giovedì sera a terminare i vari preparativi e il venerdì mattina erano tutti in auto pronti all’avventura – o meglio dire a rilassarsi, dato che Rachel non poteva ancora affaticarsi troppo. Finn aveva portato Rachel e Mercedes nella sua auto mentre Blaine era partito con Kurt e tutto il necessario per quel weekend.

Il viaggio in auto era stato divertente e pieno di musica. Finn avrebbe avuto da ridire in merito ma sentire Rachel cantare l’aveva placcato dal lamentarsi da tutta quella musica da musical che le due ragazze non riuscivano a smettere di ascoltare. Anche Kurt e Blaine si erano divertiti, avevano cantato i duetti più famosi e parlato, tanto. Quando le loro auto accostarono – una volta a destinazione – si sentivano già felici e rinati ma tutta via, lasciarono andare Rachel in camera a riposare mentre loro quattro iniziarono a svuotare l’auto e portare tutto nel cottage che li avrebbe ospitati.



 
 
“Vi dico che questo posto è perfetto, ha anche il cammino e il giardino all’esterno”. La voce di Kurt fece voltare le due ragazze in direzione dello schermo del pc, dove Kurt stava scorrendo li annunci, soffermandosi su uno in particolare. Rachel osservò lo schermo, immaginandosi tutti sul divano davanti al fuoco ma Mercedes mosse il capo e “Sarebbe perfetto per noi o per te e il tuo futuro marito? Io sto ancora aspettando tutti i dettagli, vero Rach?”, la ragazza mosse le mani sul lenzuolo e annuì, anche se Kurt non notò il gesto, troppo presto dalle foto che stava scorrendo.

“Ti ho già raccontato tutto, due volte. Anzi tre, dato che ho dovuto raccontare tutto a Rachel e non posso inventarmi dettagli che non ci sono, solo per renderti felice, non ti pare?”. In realtà Kurt aveva molto da nascondere ma non se la sentiva di parlare ancora del bacio o di quello che era successo a casa di Blaine, non che ci fosse qualcosa di così interessante da dire ma voleva tenerselo per sé, ancora per un po’. O fino a quando Mercedes non avesse capito il perché non riuscisse a guardare Blaine senza arrossire e balbettare. La scusa del ‘Sbavo ancora per lui, non è cambiato niente’, non avrebbe retto per molto.

Mercedes non aggiunse altro, socchiudendo gli occhi e stendendosi meglio accanto al corpo di Rachel, che di cose da nascondere ne aveva anche lei. Quando Mercedes era uscita dalla stanza, due giorni prima lasciandola da sola con Finn, in due avevano parlato e si erano aperti. Non era ancora sicura ci fosse qualcosa di ufficiale ma ci erano molto vicini. Voleva parlarne con Mercedes e anche con Kurt dato che erano i suoi amici ma le faceva ancora un po’ strano l’idea di aprirsi in quel modo, quindi si morse le labbra e restò in ascolto, aspettando.

Nessuno parlò fino a quando la porta non si aprì di scattò, facendo voltare tutti e “Togli i tuoi bellissimi occhi da qualsiasi cosa tu stia guardando Kurt, ho trovato il posto adatto per noi ed è libero per ogni giorno vogliamo” esortò il medico, passandosi una mano tra i capelli ed entrando nella stanza. Quando Mercedes gli fece segno con la mano di parlare il moro aggiunse che “Un mio caro amico a questa piccola villetta al mare che non usa quasi mai, anche perché ha da poco avuto una figlia e quindi è tutto preso dalla protezione e cose di questo gente e me ne sono ricordato e ieri l’ho chiamato.

“Non volevo dirvi niente perché non era ancora ufficiale e non volevo dare false speranze ma mi ha appena richiamato e siamo stati insieme fino a qualche minuto fa per un caffè e mi ha consegnato le chiavi della villetta, dicendo che ci possiamo andare quando vogliamo e per quanto vogliamo” terminò, facendo dondolare le chiavi tre le sue dite, sorridendo e rendendo tutti felici per la notizia. Rachel chiamò Finn per informarlo, dato che non era ancora arrivato in ospedale, Mercedes sottrasse il computer da Kurt per fare delle ricerche e Kurt si soffermò più del dovuto a sorridere a Blaine, che non aveva occhi se non per lui.
 



 
“Credo che questa sia l’ultima scatola” Blaine informò, stiracchiandosi le ossa della schiena e massaggiandosi le braccia indolenzite dalla fatica fatta. Alla fine il lavoro di scaricare le macchine lo avevano fatto i tre ragazzi poiché Mercedes si era giustificata dicendo che doveva preparare qualcosa per la cena. “Finalmente, sono esausto. Ho bisogno di una pausa” fu la risposta di Kurt, che si passò una mano sui pantaloni impolverati e stirandosi la maglietta. “Dato che abbiamo finito io andrei da Rachel per vedere come sta e poi tra un po’ sarà pronta la cena quindi..” disse in fretta Finn, passandosi una mano sul collo e muovendosi verso il corridoio.

I due ragazzi rimasti soli nel salotto, si guardarono attorno, quasi provando a ignorarsi ma era quasi impossibile farlo, infatti, si guardarono quasi subito e si sorrisero e “Oh, vedo che i miei ragazzi hanno fatto il loro lavoro” la voce di Mercedes disturbo il momento e “Mentre erravate impegnati, sono passata da Rachel e ho dato un’occhiata alla casa, notando che ci sono solo tre stanze da letto” disse ancora, sollevando un sopraciglio, osservando i presenti. “Sia chiaro, non ho intenzione di dormire con Kurt” mise subito in chiaro dopo.

Il ragazzo castano spalancò i suoi occhi celesti e stava per aggiungere qualcosa ma Mercedes lo bloccò subito e “Tesoro, sai che ti amo e che sei il migliore ma io e te dormiamo insieme da tutta la nostra vita. Anche dopo aver preso il tuo appartamento hai continuato a dormire da me. Non voglio fare la diva o altro ma credo di meritare la camera matrimoniale per una volta, senza ritrovarmi qualcuno a dormirmi addosso al mio risveglio” chiarificò, fulminando Kurt con lo sguardo e facendo ridacchiare Blaine.

“Ma ci sono solo tre camere, se ne prendi una tutta per te, dove dormiremo tutti noi?” chiese, più per farle cambiare idea che per reale interesse. Aveva ragione, avevano sempre dormito insieme, quando non lo facevano, si sentiva strano. Era abituato ad addormentarsi con accanto la sua migliore amica e adesso voleva farlo dormire da solo, anzi “Non ho nessuna intenzione di dormire con Finn. Adoro quel ragazzo ma no, non se ne parla proprio. Ricordi quella volta che ho dovuto condividere la camera con lui?” chiese, stringendosi le braccia al petto.

“La volta in cui sei corso nella mia stanza dicendo che Finn era un ragazzo grande e grosso e che non ti faceva dormire? Certo che lo ricordo, come ricordo di essermi svegliata con un bel mal di schiena” sbuffò la ragazza, fulminando il moro che non la smetteva di ridacchiare, vedendoli bisticciare in quel modo infantile. “E poi nessuno ha detto che dovrai dormire con Finn. La camera dove riposa Rachel ha due letti singoli, quindi Finn può dormire lì, dato che non lascerebbe comunque Rachel sola” la buttò lì, aspettando il momento in cui il suo migliore amico avrebbe capito.

“Ci sono solo tre camere, e se tu occuperai una stanza tutta da sola e Finn e Rachel ne condivideranno l’altra, questo vuol dire che io….no” quasi strillò Kurt, cosi forte da far correre Rachel e Finn da loro, chiedendo cosa fosse successo. “Succede,” iniziò Kurt “che Mercedes ha inalato troppo gas mentre cercava di cucinare, o mentre fingeva di farlo lasciando fare a noi il lavoro sporco, e adesso sta blaterano sciocchezze come le divisione delle stanza, prendendo tutte le decisioni lei”.

“A me va bene in qualsiasi stanza mi mettete, voglio dire, in camera di Rachel c’è un letto singolo e potrei mettermi lì, così potrei controllare Rachel e assicurarmi che abbia tutto quello di cui ha bisogno” e le reazioni furono diverse a quelle parole; Rachel arrossì ma coprì il tutto con un colpo di tosse e annuendo, non riuscendo a parlare; Mercedes spostò le braccia e il capo in un “Te l’avevo detto” nascosto; Blaine sbatté le palpebre imbambolato; Kurt pronunciò un “È assurdo” e Finn si grattò il capo chiedendosi cosa avesse detto di così sbagliato.

Il tutto durò una manciata di secondi prima di “Andiamo Kurt, non sarà così male dividere la stanza, infondo abbiamo già dormito insieme”. Bhe, dopo quella frase, il silenziò calò ed era possibile percepire quel fastidioso senso di quando si è osservati, lo stesso che stava sentendo Kurt in quel momento. “Kurt! Credo proprio che tu dovresti venire in cucina a darmi una mano con la cena dato che mi sono ricordata di non essere brava quanto te ai fornelli. Andiamo Kurt!” la voce di Mercedes sembrava minaccioso, deglutì ma tutta via la seguì a capo chino.



 
 
Provò a muovere una mano sentendola indolenzita ma questa non si mosse. Un peso teneva inchiodato al materasso tutto il suo braccio destro. Arricciò le labbra imbronciando il suo viso e aprì lentamente gli occhi, trovando strano di averli chiusi considerato che non ricordava di essere andato a dormire. Una leggera luce lo irradio ma non era il sole o la luce della notte. Erano due gemme che brillavano nel buio a forma di occhi, un sorriso adorabile e delle ciocche di capelli che gli cadevano sulla fretta su un viso perfetto. Solo dopo notò che il suo braccio destro era incastrato sotto la testa di Blaine e quasi si sentì mancare.

“Sei carino quando dormi, te l’hanno mai detto?” sorrise nel pronunciare quella confessione e le guancie di Kurt si imporporarono di un rosso accesso, così intenso che si poteva vedere anche al buio. Ebbe quasi subito l’istinto di coprirsi il viso con le mani, prima di ricordare che non poteva farlo, così voltò di poco il capo e sprofondo il viso nel cuscino, che sapeva di loro. Quel pensiero non aiutò e lo fece gemere dalla frustrazione e “Mi dispiace, non mi sono accorto di essermi addormentato. Che imbarazzo, scusa”.

Una risata fece fermare i suoi battiti e “Non capisco perché tu ti stia scusando o perché ti senta in imbarazzo. Confesso che quando mi sono svegliato mi sono sorpreso della tua presenza ma sei uno spettacolo quando non ti preoccupi di quello che sei. E poi sei adorabile e sono rimasto sveglio a guardarti ma lo devo ammettere, per quanto sia bello vederti dormire, averti sveglio è uno spettacolo unico. Mi mancherebbero i tuoi occhi” continuò Blaine, spostando le dita tra i capelli di Kurt, imbarazzando ancora di più il castano che si sentiva una gelatina colorata ora mai.  

Mosse il capo a quelle parole, sentendo il tocco delle mani di Blaine su cuoio capelluto. Trattene un ansito e “Io credo..io credo di aver bisogno del bagno. Per darmi una sistemata, ecco” espose balbettando. Sentì Blaine dire qualcosa, come dove trovare il bagno ma non ascoltò realmente, aspettò che il moro liberasse il suo braccio e dopo corse fuori dalla stanza. Si sentì disorientato in un primo momento, poi, in silenzio, aprì alcune porte fino a trovare quella del bagno.
 



 
Il getto d’acqua del lavandino spazzò via il silenzio. Mercedes fece passare delle patate sotto l’acqua, pulendole bene, restandosene in silenzio mentre Kurt se ne restava da una parte della stanza ad aspettare. Aspettare che la sua migliore amica riordinasse le idee, capire perché le avesse omesso quel dettaglio o cosa si fosse persa sul volto di Kurt. Lei osservava, memorizzava i gesti nervosi, le parole ripetute. Aveva analizzato Kurt per anni eppure non aveva capito la menzogna nascosta. Aveva certo capito che le stesse nascondendo qualcosa ma omettere un dettaglio così grande, il suo Kurt.

Dall’altro campo Kurt non osava aprire bocca per spiegare, per farle capire che non le aveva mentito, che glielo avrebbe detto alla fine. Sarebbe stato complicato spiegarle che voleva tenerlo per sé, il più allungo che poteva o forse non sarebbe stato affatto un ottimo argomento di conversazione. Non si sentiva in colpa per quel dettaglio non detto, lo irritava solo il fatto che fosse venuto a gala così. Blaine non aveva colpe però, gli era sfuggito, forse pensava anche che lo sapesse già o che non fosse questo granché ma non era così per Mercedes e adesso doveva aspettare.

Si mosse solo quando la ragazza indicò il tagliere, non parlando e passandoli il coltello per poter tagliare le patate per lo stufato che stava cercando di preparare. Forse l’unico piatto che era riuscito a insegnarle, senza mandare la casa a fuoco. Aveva preso il coltello dalle mani della ragazza e aveva iniziato a tagliare, con sguardo basso e attenzione quasi maniacale. Il suo cervello stava lavorando al doppio della velocità e su due cose diverse. Una parte di esso cercava di non perdere nessun movimento della ragazza al suo fianco mentre l’altra parte cercava di non farlo finire in ospedale, ovviamente.

Continuò a tagliare fino a quando non ci fu niente da tagliare. Posò il coltello, appoggiò le mani al lato del tavoliere e aspettò. Il fiato mozzato in gola, il cuore che non sapeva se accelerare per convincere i polmoni a riprendere i loro lavoro o cessare, per non fare troppo rumore e disturbare. Alla fine non ci fu bisogno di pensarci e un respiro lungo si liberò dalle sue labbra semi aperte e “Mi dispiace” fu il suono che ne uscì. Non era molto così forte e non fece poi così rumore ma i movimenti di Mercedes cessarono e “Perché” disse. Nessuna domanda, solo una parola.

“Ci siamo sempre raccontati tutto, Kurt. Anche le cose più imbarazzati, anche i piccoli problemi personali. Ogni tua cotta, ogni tua esperienza, ogni tua gioia e dolore. Ogni cosa in questi anni. Ci siamo promessi che non ci saremmo mai mentiti. E tu mi hai chiamato, quel pomeriggio e mi hai mentito” la sua voce sembrava spenta, vuota ma stava gridando. Un grido disperato che potevano udire solo loro “Sapevo che c’era qualcosa che mi stavi nascondendo, lo sentito, per questo continuavo a farti pressione, come sapevo riguardava Blaine. Non riesci a guardarlo negli occhi senza sorridere.

“E no, non è la stessa che hai sempre fatto. Prima arrossivi, non ti controllavi, facevi gaffe. Ma adesso sei più attento, sei in imbarazzo ovvio, stravedi per lui certamente ma il modo in cui lo guardi. Che cosa mi sono persa Kurt? Sarei stata felice per te Kurt perché hai dovuto nasconderlo a me, la tua migliore amica. Io, io non capisco realmente. Mi avevi detto che eri tornato al tuo vecchio appartamento per restare un po’ da solo, tu odio restare da solo quindi perché”. Se volesse aggiungere altro non lo diede a vedere perché non parlò più. Si voltò verso Kurt e fu il suo turno di aspettare.
 
 



L’immagine che vide nello specchio fu strana. Si aspettava di vedere la sua solita faccia del mattino; capelli in disordine, la guancia sporca di saliva, gli occhi socchiusi e con tracce di sonno ma era felice. Aveva un sorriso sulle braccia e i suoi occhi erano socchiusi per le guancie solevate. E avrebbe dovuto anche sentirsi felice ma una parte di lui era spaventata. Non era la sua prima cotta ma quello che vedeva nello specchio, non l’aveva mai visto sul suo volto. Neanche quando guardava suo padre o Mercedes o parlando di sua madre. Quel pensiero lo fece un po’ vergognare.

Nella sua corsa verso il bagno, si era ricordato di afferrare il telefono ma quando trovò l’unico numero che avrebbe voluto chiamare, l’unica persona che avrebbe voluto sentire, quel senso di vergogna aumento e le sue mani tremarono come il suo respiro quando “Pronto? Kurt? Va tutto bene?”. Non le posso mentire, fu il primo pensiero che corse nella sua mente, per tutto il suo essere. Ma non le puoi neanche dire cosa è successo dato che non è successo niente, giusto? fu il secondo pensiero che inseguì il primo, per farsi ascoltare. Allora che cosa dovrebbe dirle, è pur sempre la sua migliore amica, ed ecco il terzo pensiero, che unito agli altri due, lo fece restare in silenzio per troppo tempo.

“Sì, scusa, mi sono incantato e sì, tutto apposto qui” disse il più in fretta possibile, non dando la possibilità a un quarto pensiero di nascere. “Stai bene Kurt?” chiese ancora Mercedes e la sua voce sembra volergli dire che di lei poteva fidarsi, che ci sarebbe stata e che andava tutto bene ma non poteva parlare, non poteva dirle niente, non ancora “Dove sei? Sono tornata a casa e tu non c’eri. Stai tornando?”. E adesso? ed eccolo lì, il quarto pensiero, quello che lo avrebbe fatto mentire, quello che lo avrebbe fatto scappare come un codardo.

“Sì, scusa avrei dovuto avvisarti. Sono andato nel mio appartamento perché avevo bisogno di un maglione che avevo lasciato lì e sai quanto detesto aver bisogno di qualcosa e di non trovarla. Tornerò a casa appena finisco qui. Ho fatto un casino per trovare quel maglione ma tu non ti preoccupare. Come mi dici sempre ‘tu hai fatto il casino e tu lo risolvi’, giusto?” imitò la voce dell’amica facendola ridere e chiudere in fretta quella telefonata, dicendole che forse non sarebbe rientrato quella notte ma di chiamarla in caso di aiuto. Si portò le mani al petto e sospirò. Non si guardò allo specchio una seconda volta e uscì dalla stanza.
 



 
“Ti rendi conto di quanto tutto questo sia assurdo, vero? Come hai potuto avere paura di raccontarmi tutto questo? Non ti avrei mai giudicato, anzi. Mi sono lasciata trascinare in quell’ospedale quasi ogni giorno per darti l’opportunità di incontrare Blaine. Sarei stata felice per te, sono felice per te Kurt”. Mercedes parlò solo dopo che Kurt ebbe finito di raccontare i suoi dubbi, quelli che lo avevano fermato dal raccontarle tutto. Quelli che lo avevano convinto a omettere una realtà che non era pronto a vedere, all’unica persona che lo avrebbe spinto a vedere.

“No, Mercedes, non me ne rendo conto e neanche tu” la voce di Kurt era irritata e stanca “Non si tratta di paura o di essere giudicato. Non si tratta di niente di tutto questo. Tu non lo capisci perché non lo capisco neanche io okay? Mi sono guardato in quello stupido specchio e ho visto qualcosa che non ha mai fatto parte di me e forse ho avuto paura ma sapeva di vergogna. Che cosa sto facendo Mercedes? Siete tutto quello che ho, non sono pronto a niente di più. Non posso”. La voce tremò ma non pianse, non ancora.

“Non è vergogna quando ami qualcuno così tanto, da vedere solo lui nei tuoi occhi. Non è vergogna quando il sorriso che spunta sul tuo viso sa delle sue labbra. E non è vergogna amare e non devi avere paura di lasciarci alle spalle. Tutto quello che abbiamo aspettato, io, Burt e parlo anche a nome di tua mamma, è la tua felicità e se Blaine è la tua felicità allora ne saremo felici. Ovviamente dovremmo fargli delle domande di routine per controllare le sue credenziali ma credo che sia un tipo apposto” fece nascere una risata in Kurt ma durò poco quando la realtà di quelle parole lo colpirono. “Sei solo innamorato Kurt, non è la fine del mondo”.
 



 
Fece un respirò profondo ma quando rimise piede in camera, le coperte erano scostate da entrambi i lati e non c’era nessuna traccia di Blaine. Sollevò le sopracciglia ma dopo lo sentì. Una voce. Una voce stava canticchiando qualche motivetto che stavano passando in radio. Proveniva dalla cucina. Si mosse incerto, seguendo la melodia e come aveva immaginato, veniva dalla cucina, quello che non aveva  messo in conto era Blaine con i pantaloni del pigiama e una maglietta bianca che cucinava qualcosa per quella che sembrava essere la loro cena. E forse stava diventando pazzo ma in quel momento, era più bello anche di quando lo aveva visto addormentato.

“Oh, ehi Kurt, eccoti finalmente. Non ero sicuro di cosa ti piacesse e dato che non avevo fatto la sposa credo che dovremmo arrangiarsi un pò” e avrebbe mangiato pane raffermo per anni se solo avesse continuato a sorridergli in quel modo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per quel sorriso ma tutta via “Non ti preoccupare e poi sembra che quello che tu stia cucinando non sia tanto male” disse avvicinandosi al piano cottura, avvicinandosi a Blaine, e portando alle labbra il cucchiaio con cui Blaine stava preparando il sugo e, assaggiandolo.
 
 



L’aria era piacevole all’esterno della villetta. Il mare era sereno e tutto aveva quel odore salmastro non troppo forte ma piacevole. Respirò profondamente e poi sorrise. Si stiracchiò un po’ le braccia in modo distratto ma le sue braccia si bloccarono a mezz’aria quando il suo corpo percepì di non essere sola. Mosse qualche passo in avanti e la vide. Rachel era seduta su una roccia, con il corpo rivolto verso il mare e sorrideva. Le si avvicinò lentamente, senza fare rumore, avendo paura di disturbare e “Mi mancherà tutto questo, un giorno”.

 

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Capitolo 20
*** Come crescono in fretta ***







La porta si chiuse con un: “Vi lasciò soli a parlare o tutto quello che volete fare, così vado a cercare Kurt e Blaine. A dopo” di Mercedes e il suo ghigno sulle labbra. Il ragazzo mosse il capo sorridendo alla frase dell’amica mentre Rachel ridacchiò a disagio. Era la prima volta da Natale che restavano da soli in una stanza. E tra tutti i pensieri “Fa strano non essere la nostra stanza” fu quello che lasciò libero di uscire, di avere un suono, di essere ascoltato. “Voglio dire, la mia stanza. Ho detto nostra perché ci abbiamo passato molto del nostro tempo lì, sai insieme e okay, ora sto zitta” che fece ridacchiare Finn.

Il ragazzo diede un occhiata in giro e “Sì, hai ragione. Fa strano non essere nella nostra stanza. Adoravo la vista dalla finestra” disse con un sorriso nostalgico sul volto “ma è stato bello anche stare fuori da queste stanze per un po’, no? Voglio dire, mi farebbe piacere adesso quella gita al mare. Respirare un po’ d’aria pulita, che non sappia di medicinali, capisci cosa intendo?”. Ovviamente Rachel capita, capiva più di tutti quel pensiero. Lei stessa era stanca di vivere in quelle stanze, per quanto non abbia un altro posto dove poter stare.

“Vedrai che Mercedes organizzerà un bel week-end” la sua voce suonò euforica e Finn sorrise felice “Andremo in spiaggia a piedi nudi e, forse non potremo fare il bagno ma possiamo comunque bagnare i piedi stando sulla riva e sarà divertente stare tutti insieme. Pensandoci sarà la prima gita in famiglia, nostra e mia. Aw! Sarà bellissimo” accompagnò le parole battendo le mani felice e “ Amo il mare, non sai quanto e sentire il rumore delle onde e l’odore. Tu ami il mare Finn?”.

“Io amo te!” esclamò e credeva di averlo solo pensando ma quando gli occhi di Rachel si spalancarono dalla sorpresa e le sue labbra formarono una O, capì di averlo detto ad alta voce. L’aveva già detto prima, solo pochi istanti prima a essere onesti ma Rachel non lo stava ascoltando, non lo poteva raggiungere eppure lei aveva aperto gli occhi ed era tornata da lui e non poteva tirarsi indietro ora. Doveva stringerla a sé e amarla con tutto se stesso.“Ti amo Rachel Berry” disse di nuovo, più lentamente, con attenzione.

“Ti amo e ho avuto paura quando ti ho visto chiudere gli occhi. Ti amo ed ero così disperato nel vedere il tuo corpo dormire e il tuo cuore continuare a battere così piano. Ti amo e forse tu non mi ami nello stesso modo ma non posso più tenermelo per me. Ti ho perso una volta e non ho intenzione di perderti ancora. Ti amo e l’ho capito dal nostro primo sguardo e il tuo era così perso e allora mi sono perso con te. Insieme a te. Mano nella mano. Ti amo e te l’ho detto mentre non mi vedevi, mentre non mi sentivi, mentre non eri qui, con me. Ti amo e te lo sto dicendo adesso, con il cuore e lo ripeterò altre mille volte ancora. Lasciamelo dire ancora e ancora.

“Lascia che lo dica a tutti o a nessuno, perché nessuno lo deve sapere se tu sarai l’unica a sentire, a vedere, a capire. Mi sono sentito completamente alla deriva senza di te e ti ho chiesto di tornare, di trovarmi e di restare e non posso stare in silenzio ancora una volta. Mentre ti guardavo dormire, mentre tu eri persa dentro di te in cerca della via d’uscita, ho promesso che te l’avrei detto, ancora e ancora ed è quello che farò, se a te va bene. Posso amarti Rachel?” chiese con gli occhi lucidi e un sorriso speranzoso nelle labbra “Posso essere tuo?”.

“Ti ho sentito”. Le sopraciglia di Finn si incurvarono alla confusione di quelle parole. Aveva appena aperto il suo cuore, dicendole che l’amava e di voler essere suo e quella era la risposta di Rachel? No, non capiva ma Rachel parlò ancora e “Mentre ero persa, mi sentivo addormentata ma qualcosa mi ha svegliato dal mio sogno. Credevo di averlo solo immaginavo, ho anche provato a raggiungerlo ma è stato troppo veloce. Era una sensazione familiare, qualcosa che conoscevo ma non ho capito fino a questo momento. Eri tu. Tu e il tuo chiedermi di tornare. Tu e il tuo Ti Amo. Eri tu Finn.

“Mi hai salvato il giorno in cui sei entrato nella mia vita e mi hai riportato da te, quando stavo perdendo la via del ritorno”. E piangeva mentre parlava, lacrime le appannano la vista ma non le fermò, non le bloccò perché adesso ero tutto chiaro e “Mi hai chiesto di potermi amare, mi ha chiesto se puoi essere mio ma, Finn Hudson, lo sei sempre stato. Mi sono lasciata amare da te da quando mi sono persa dentro di te. Mi sono sentita tua subito dopo averti visto sorridere. Amarti sarebbe tutto quello che chiedo e desidero”. E a quel punto erano in due a piangere in quella stanza, tra le parole dette e quelle che stavano esprimendo a gesti.
 
 



Erano tutti seduti a tavolo, con lo sguardo rivolto in basso, verso il piatto pieno che avevano davanti, generosamente cucinato da Kurt Hummel dato che Mercedes se ne era uscita con la scusa che, per farsi perdonare, avrebbe dovuto cucinare lui in quei giorni. Cosa non reale, dato che lo aveva perdonato subito, sempre se ci fosse qualcosa da fargli perdonare. Kurt aveva accettato lo stesso, tutto felice correndo tra le braccia della sua amica. Non avevano più toccato l’argomento Blaine e Mercedes gli aveva detto che andava bene se non gli voleva dire tutto ma che lei non lo avrebbe mai giudicato o detto niente di sbagliato.

Nessuno osava guardare negli occhi nessuno, tutti persi nei propri pensieri. Finn pensava a Rachel, a come passare del tempio da soli e cosa dire agli altri. Kurt ripensava alle parole di Mercedes che non aveva il coraggio di ammettere ma che lo tormentavano. Rachel rivedeva le onde infrangersi contro la scogliera, pensando di sentirsi nello stesso modo, alle volte. Blaine a tratti sorrideva, ricordando il sapore delle labbra di Kurt sulle proprie, prima che il senso di colpa lo colpisse. Aveva parlato troppo e non aveva ancora avuto occasione di parlare con Kurt per scusarsi. Mercedes, lei pensava a tutti loro.

“Okay, adesso basta, questo silenzio è durato anche troppo” esclamò quest’ultima, sollevando lo sguardo e incontrando quelli di tutti li altri. “Capisco che c’è tensione e che in qualche modo le cose stanno cambiando tra di voi, migliorando, ma questo non deve fare in modo di allontanarci. Siamo una famiglia, no? Allora vediamo di esserlo, perché voglio passare un week-end tra le risate e non soppesando i vostri sospiri, quindi vedete di risolvere il più presto. Tutti!” informò seria, aggiungendo un “Tra altro, questa cena è squisita Kurt” sorridendo al ragazzo e portandosi il cucchiaio alla bocca.

Lentamente tutti ripresero a conversare, sentendosi minacciati dallo sguardo di Mercedes, ma presto lo dimenticarono e ricordarono quanto era bello stare insieme. Rachel chiese a Kurt di darle lezioni di cucina e Blaine e Finn parlarono di qualche partita di qualche sport che avevano visto recentemente. Kurt citò Mercedes nella sua conversazione con Rachel su quanto avesse provato ad insegnare qualcosa all’amica ma con poco successo, facendo nascere una risata generale. “La cucina non è per tutti” aveva risposto a tono la ragazza, sfidando tutti in una sfida di canto.

Neanche cinque minuti dopo ed erano tutti seduti per terra ad ascoltare Mercedes esibirsi, estasiati della sua voce, preparandosi per la propria esibizione, dato che dovevano partecipare tutti e Finn non poteva tirarsi indietro, anche se aveva chiesto a Rachel di cantare con lui perché non se la sentiva di farlo da solo. Ovviamente Mercedes aveva accettato per Rachel che, non potendo dire niente in merito, aveva scelto la canzone aspettando il loro turno. Non era arrabbiata con Mercedes, anzi, doveva molto a quella ragazza e lo stesso valeva per Blaine che “Posso parlarti dopo?” aveva chiesto a Kurt. Spinto dal discorso di Mercedes.


“Mh! Credo che tocchi a me cantare, ne riparliamo dopo” aveva solo risposto Kurt, saltando in piedi e prendendo posto al centro del salotto, iniziando a cantare. “Dagli tempo okay. Forse tu hai già un nome alle tue emozioni ma Kurt ha ancora molto da processare ma andrà bene, sì?” e come si poteva dichiarare altrimenti quando Mercedes Jones ti sorrideva facendo sembrare tutto possibile? Annuì e prestò tutta la sua attenzione al ragazzo che di tanto in tanto lo fissava, dedicandogli strofe della canzone, fingendo dopo inferenza, imbarazzato.

Dopo di Kurt fu il turno dei Finchel – così rinominati da Mercedes, come nome per il loro gioco di squadra – e infine cantò Blaine. Dedicò l’intera canzone a Kurt, con il corpo e il cuore verso di lui. il castano arrossì per tutta la durata della canzone mentre Mercedes continuava a punzecchiargli il fianco, facendo in modo che accettasse la proposta di Blaine di parlare. Dopo che tutti proclamarono Mercedes come vincitrice perché era la migliore – ma non solo con la voce – Finn andò a letto scusandosi e Rachel si propose di aiutare Mercedes con i piatti, così da lasciare Kurt e Blaine da soli in salotto.
 



 
Vista dal portico, l’interno della casa cosi poco illuminata, sembrava quasi uno scenario romantico. Il fatto che ci fossero solo loro due, lo rendeva anche troppo romantico. E ill venticello che li colpiva piano le guancie, rendeva tutto così reale che toglieva il fiato. Erano reali e Kurt non era pronto. Parlare di qualsiasi argomento con Blaine, dopo la chiacchierata avuto in cucina con Mercedes, era complicato da gestire. Non aveva cercato di ignorare Blaine per tutto il resto del giorno ma si era limitato a cercare di conoscere li altri, come Rachel. Era molto interessante quella ragazza e parlare di musical o di look era divertente. In più era utile per non pensare a Blaine, che in quel momento aveva lo sguardo rivolto verso il cielo e sorrideva.

“Non si vedono molte stelle in città. Le luce artificiale elimina questa meraviglia. Incredibile” pensò ad alta voce. Kurt spostò le mani all’interno nelle tasche della giacca che indossava e si limitò a fissarlo. Era sicuro che il cielo stellato fosse uno spettacolo bellissimo ma come poteva pensare alle stelle sopra le loro teste, cosi distante da loro, quando aveva una meraviglia per gli occhi a pochi passi da lui? illuminato dalle stelle poi. Era incredibile ma ogni volta che riscopriva Blaine, che fosse appena sveglio o sotto un cielo stellato, lo trovava più bello di quello di prima. Ma no, doveva tornare con i piedi per terra.

“Di cosa volevi parlarmi?” e avrebbe voluto mordersi la lingua perché non voleva essere così diretto, voleva girarci intorno per qualche minuto, commentare le stelle, magari anche spostare lo sguardo da quella meraviglia per perdersi in quelle stelle che non avevano la stessa luce e non erano importati per lui ma non ci era riuscito. La curiosità lo stava consumando e non avrebbe resistito molto in compagnia di Blaine senza avvolgere le sue braccia al collo del moro e baciarlo fino a non aver più fiato nei polmoni.

Il moro si voltò, rivelando un sorriso impacciato sul viso. Kurt si morse il labbro inferiore quasi a sangue per non fare una follia e lasciarsi sfuggire un lamento troppo simile a un ansito. Si strofinò le mani tra di loro e “Già, sì, quasi dimenticato” e la sua voce. Perché doveva essere cosi dannatamente difficile stargli accanto? Perché non stava zitto e lo baciava? Sarebbe stata una lunga notte, Kurt se ne rendeva conto ma tutta via restò in silenzio e aspettò il seguito della frase. “Mi volevo scusare per quello che è successo oggi. Non so cosa mi è successo, onestamente. E vorrei giustificarmi dicendo che ero convinto lo avessi detto a Mercedes ma non sarebbe la realtà, o almeno non tutta la realtà”.

“E quale sarebbe la realtà?” chiese Kurt, spostando il suo corpo in avanti, facendo un passo verso di Blaine che si mosse di conseguenza. Stava detestando e amando un sacco di cose in quel momento, come la distanza che li divideva o lo sguardo di Blaine e voleva distruggere quella distanza e voleva amare quello sguardo e mosse ancora un altro passo avanti, perché la prima sembrava più fattibile della seconda in quel momento. “La realtà è” parlò Blaine, deglutendo e seguendo i movimenti di Kurt, sempre più vicino al suo corpo “La realtà è che averti così vicino a me, svegliarmi e trovarti al mio fianco, cucinare e mangiare insieme, è sembrata normalità. Capisci quello che intendo?

“Non mi sono soffermato a chiedermi cosa ne avrebbero pensato gli agli perché era la mia normalità, in quel momento ed è per questo che mi scuso. Non volevo farti discutere con Mercedes o parlare di un noi che forse neanche esistete e--” e avrebbe continuato all’infinito, parlando e chiedendo scusa anche per la sua presenza lì ma Kurt era stato più veloce, più vicino, più bisognoso di sentire quel Noi sulle proprie labbra. E Mercedes aveva ragione - come sempre. Non voleva ammetterlo a se stesso perché fa paura buttarsi in qualcosa di non certo, senza sapere cosa ne pensa l’altra persona. Ma Blaine aveva parlato di un Noi e questo cambiava ogni cosa.

E fece quello che aveva agognato di fare da quel loro primo bacio, il loro primo contatto. Allacciò le sue braccia al collo di Blaine e, con un movimento repentino, spostò il suo corpo verso quello del moro, unendoli e unendo le loro labbra. Si baciarono piano fino a quando Kurt non si scostò e “Parli sempre troppo Blaine Anderson, te l’hanno mai detto?” e il “Se questo è il tuo modo per farmi capire che dovrei parlare di meno, scusa ma credo che parlerò per tutto il tempo” di Blaine come risposta, che fece ridere il castano che lo baciò ancora.
 



 
“Allora, devo chiedere io o dobbiamo fingere che non sia successo niente e che io non sappia niente?” chiese Mercedes, passando un piatto a Rachel per essere asciugato e messo a posto. La ragazza esitò a prendere il piatto e sospirò, appoggiandosi al mobile della cucina e asciugando in silenzio il piatto. Non che non volesse parlarne ma non si sentiva ancora pronta. Erano successe un sacco di cose prima che quel week-end iniziasse che non sapeva neanche da dove iniziare. “Non vi sforzo a dire niente ma vedervi così pensierosi è troppo per me” disse, quando parlò di nuovo.

“Lo so e solo che non sono abituata. Non ho mai avuto amiche con cui confidarmi e tutto questo è nuovo per me, devo ancora farci l’abitudine” risposte Rachel, posando il piatto e voltando il corpo verso Mercedes, per dedicargli tutta la sua attenzione. “Ti sono grata per tutto quello che hai fatto per me. Da quando ti ho conosciuta la vita è cambiata, migliorata. Credevo che niente valesse più la pena ora mai ma mi sbagliavo e me l’hai fatto capire tu, unendo la nostra famiglia e facendoci sentire parte di qualcosa e te ne sono immensamente grata”.

“Ma adesso ce la puoi fare da sola, non è così?” chiese Mercedes, lasciando stare le ultime stoviglie da lavare per sorridere a Rachel che “Mi piacerebbe, sì ma tu sei una presenza importante nella mia vita e questo non cambierà assolutamente niente” che venne interrotto da “Ehi, è tutto okay Rachel. Capisco quello che vuoi dire. Una mamma deve capire quando è il momento di lasciare la mano dei proprio piccoli per vederli correre. Questo non vuol dire che non resterà seduta in diparte a vederli vivere. Credo che questo sia un grosso passo per te e sono fiera di te” aggiungendo un “Come crescono in fretta” fingendo di asciugare una lacrima. Rachel rise felice, sentendosi felice.
 



 
Entrò nella stanza facendo meno rumore possibile. Dopo aver finito in cucina, si era scusata con Mercedes dicendo che voleva andare a riposare e la ragazza le aveva sorriso, dicendo che avrebbe fatto la stessa cosa. Si erano salutate con un abbraccio e ognuna era andata verso la propria stanza. Si avvicinò al letto libero e si cambiò, infilandosi il pigiama che aveva lasciato sotto il cuscino. Si stese a letto ma non si addormentò. Rimasse a fissare il soffitto con la testa piena di pensieri e ricordi. Quello che aveva detto a Mercedes era la sua realtà, senza di lei tutto sarebbe rimasto piatto nella sua vita. Se vita si poteva definire.

“Ehi, va tutto bene?” chiese una voce al suo fianco e se non l’avesse riconosciuta subito come quella di Finn, probabilmente avrebbe urlato. Voltò il capo scrutando nell’oscurità e quando incontro due occhi caldi, sorrise e si stese di lato. “Non volevo svegliarti, scusa” disse subito, appoggiando il viso sulle sue mani, per riscaldarsi un po’. “Non mi hai svegliato, anzi. Stavo avendo un brutto sogno e quando mi sono svegliato ti ho vista assorta nei tuoi pensieri e mi sono chiesto perché, tutto qui” rispose allora Finn, imitando la posizione di Rachel e sorridendole a sua volta. “Vuoi parlare un po’ prima di andare a dormire?” chiese ancora il ragazzo, aspettando una risposta da parte di Rachel.

“No” disse la ragazza ma “Ti dispiace se uniamo i nostri letti? È tutto nuovo qui, ho un po’ freddo e non voglio sentirmi sola”, Finn in tutta risposta si sollevò e spinse il suo letto verso quello di Rachel fino a farli incontrare. Si rimise sotto le coperte e allungò una mano verso di Rachel. La ragazza la strinse e lo ringraziò e “Avete reso la mia vita meravigliosa, tutti voi, grazie” disse, tra il sogno e la veglia, con un sorriso sulle labbra. Fu l’ultima cosa che vide Finn prima di riaddormentarsi, sognando quel sorriso per tutta la notte e “Ti amo Rachel Berry e tu hai reso la mia vita meravigliosa. Grazie”.

 

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Capitolo 21
*** Conversazioni!! ***







Il mattino era iniziato con l’odore del caffè nelle narici. La villetta sembrava ancora addormentata quando Mercedes scostò il lenzuolo e uscì dalla sua stanza. Portò le braccia sopra la testa per sgranchirle e sorrise quando, una volta raggiunta la cucina, trovò del caffè appena fatto ad aspettarla e che quindi non era frutto della sua immaginazione. Sorrise al ragazzo dai capelli mori e tutti spettinati che, quando la sentì entrare nella stanza, tirò fuori la testa dall’interno del frigo, dove stava cercando l’occorrente per la colazione. “Buongiorno raggio di sole” lo salutò subito la ragazza, sedendosi alla tavola e versandosi del caffè.

“Buongiorno anche te, dormito bene?” chiese il ragazzo, ricambiando il sorriso e posando tutto quello che aveva tra le mani, accanto ai fornelli e “Ti vanno dei pancakes?” chiese ancora, mostrando la padella che stringeva in una mano con un sorriso raggiante anche per lui, considerato quanto presto ancora fosse. Non fece neanche in tempo a chiedere da dove tutto quell’entusiasmo arrivasse che “Kurt voleva i pancakes, a quanto pare li adora e li mangerebbe sempre se non fosse per la sua dieta, ma scommetto che questo tu lo sappia meglio di me, giusto?” rise nervoso e si voltò verso il ripiano della cucina, tornando a cercare l’occorrente da usare.

“Ho anche scoperto che è un impresa farlo uscire dal letto a meno che tu non gli prometta qualcosa. E i pancakes mi sono sembrati un ottimo compresso da cui tutti potevamo usufruire. Tu come lo convinci a farlo alzare dal letto la mattina?” blaterò muovendo le mani e rompendo le nuova. La risposta di Mercedes non arrivò mai che “Credo che basti la sola presenza di Mercedes a farlo scattare in piedi la mattina, o la non presenza dato che odia non averla nel letto la mattina. Correre fuori dalla stanza per poterla abbracciare e restare nel suo calore, non preoccupandosi dei capelli arruffati o delle guancie rosse per la posizione del cuscino sul suo viso pallido”.

Si voltarono verso la porta della cucina alla voce, sorridendo alla vista di un assonnato Finn che trascinava i piedi all’interno della stanza e prendeva posto accanto all’amica. Blaine stava per chiedere come lo sapesse ma “Esperienza personale amico” e fissando Mercedes continuò dicendo “Ricordi la gita fuori città? Kurt ha insistito per dormire con te e la mattina è corso in cucina solo per rimproverati per averlo lasciato solo e quando si è accorto anche della nostra presenza, si è messo le mani tra i capelli ed è corso verso il bagno urlando che avresti dovuto avvisarlo che non eravate soli. Esilarante” rise alla fine del racconto.

Il moro sorrise intenerito e “Avrei voluto assistere alla scena” tornando alla cucina, lasciando li altri due conversare su quanto c’era da fare quella mattina, cosa volevano mangiare per pranzo e “Questa sera vorrei che Kurt e Rachel dormissero con me. Ho promesso a Kurt che avremmo fatto un pigiama parte quando sarebbe tornato dall’Ohio ma poi è successo quello che è successo e non abbiamo avuto più tempo e dato che siamo qui, ho pensato di poterne approfittare ma non vi preoccupate, domani saranno di nuovo vostri” disse ridacchiando vedendo le loro reazione nervose.

“Anzi, voglio approfittare anche di questa situazione e parlare con voi due, dato che non ne ho avuto occasione nei giorni scorsi e avendo solo il sospetto di quello che stava succedendo ma non un idea chiara” continuò la ragazza, prendendo il primo pancake preparato e mettendolo nel piatto. Finn sollevò un sopraciglio confuso, versandosi del caffè e strofinando un occhio stanco. Blaine si affrettò a tornare ai fornelli, prima di bruciare qualcosa ma entrambi tremarono al “Che intenzione avete con i miei bambini, mh?” e allo sguardo che Mercedes riservo loro.

Provarono a dire qualcosa, forse a giustificarsi come se fossero stati sorpresi a rubare i biscotti dal barattolo sopra la mensola. O forse era anche peggio. Nessuno teneva a Kurt e Rachel come Mercedes. Era come una mamma per loro e cercava di proteggerli dai possibili pericoli. Anche se la conoscevano da abbastanza tempo e sapevano che Mercedes si fidava di loro, il suo verdetto avrebbe rallentato o accelerato le loro possibili relazioni. Sentivano di aver fatto un passo falso senza aver prima chiesto il permesso ed era ora di rimediare al tutto.

“Mi piace!”. Finn fu il primo a prendere il coraggio tra le mani e parlare. “Dalla prima volta che l’ho vista, non so come spiegarlo ma credo che lei abbia provato la stessa cosa. Ogni minuto che passavo in sua compagnia, ogni volta che mi sorrideva, ogni volta che si lasciava andare e si fidava. Credo di averla cercata, quel giorno in ospedale. Non sapevo neanche dove stavo andando, mi muovendo come un automa cercando il Dottor Anderson e poi l’ho vista. Anche la mia scelta di partire per New York, il mio appartamento vicino all’ospedale. Come se tutto fosse già scritto” parlò muovendo le mani tra di loro, stringendole e rilasciandole.

“Oh andiamo, tu eri seduta in quella sala d’attesa e lei ti si è avvicinata, come se sapesse. Come se avesse saputo tutto da subito. La vivo da mesi ora mai e anche se le ho confessato cosa provo per lei, mi sento ancora in gara, ancora di dover dimostrare qualcosa, ancora non degno. Eppure lei mi stava aspettando come io la stavo cercando e mi sembra assurdo ma sento questo peso che mi ferma e non so come comportarmi con lei” sorrise tristemente chiudendosi in un mutismo. Si era esposto, si sentiva nudo ma non aveva paura. Si poteva fidare. Il suo cuore e il suo amore era sicuro in quella stanza.

Restarono tutti immobili, come a soppesare le parole e tutte l’emozioni che erano state messe in bella vista. Mercedes fece un respiro profondo e “Amala con la testa come il tuo cuore ha fatto ancora prima di conoscere il suo volto, come i tuoi occhi hanno fatto prima di vederla sorridere. Come ogni parte di te fa, ogni volta che non le sei accanto ed implode quando lo sei. Credo che sia normale la tua paura, il tuo non saperti muovere. Sentire quello che provi e non sentirti degno ma lo sei. Devi solo convincere la tua testolina testarda che lei ti ama e che il nostro amore basta”. Passò una mano sulla spalla del ragazzo e gli sorrise. Finn si sentiva già più libero ma non era ancora sicuro del perché.

“Penso che sia il tuo turno adesso Anderson” disse la ragazza, spostando l’attenzione da Finn e fissando negli occhi il medico che sbarrò gli occhi e socchiuse la bocca, sorpreso. Quasi dimenticando che erano entrambi sotto interrogatorio e che non poteva scappare. “Credo che ti convenga lasciare i fornelli e sederti qui con noi” disse muovendo la mano e indicando il posto libero di fronte al loro, sorridendo in modo incoraggiante ma allo stesso tempo con attenzione. Aspettò che il ragazzo si muovesse, lo seguì con lo sguardo fino a vederlo prendere posto sulla sedia e appoggiare le mani sul tavolo, sospirando.

“Mi sono ritrovato Kurt in caffetteria mentre ordinavo. Sembrava agitato e quasi non si rese conto che c’ero io, ordino la mia stessa ordinazione. Per giorni mi sono chiesto se lo avesse fatto perché era quello che voleva o solo perché era quello che avevo chiesto io e, sovrappensiero qual’era, non aveva avuto il tempo di accendere il cervello e collegarlo alla bocca. Mi ha colpito la sua voce prima di tutto il resto. È stato strano ma mi sembrava così indifeso e volevo chiedergli se avesse avuto bisogno di aiuto, il mio aiuto. Quando mi sono spostato, ho visto il suo volto ma lui non ha visto me, non subito comunque.

“Tutto quello che ricordo sono stati i suoi occhi su di me ma niente mi avrebbe preparato a quando li avrei visti davvero, su di me” sorrise, emettendo un suono che sapeva di felicità. Non alzò mai lo sguardo dalle sue mani e Mercedes e Finn si fecero piccoli, sentendosi di troppo e ladri di un momento cosi importante per il moro. “Pensai che non lo avrei rivisto, che forse era lì solo per un parente in visita, tutto qui. Ma poi lo vidi ancora, iniziai a vederlo quasi ogni giorno. Anche quando non era lì. Alle volte lo vedevo camminare disinvolto nel corridoio, controllando ogni stanza. Ogni volta speravo stesse cercando me.

“Aspettavo che fosse meno attento e comparivo, fingendo di non vederlo. Alle volte lo sentivo squittire felice e non sorridere era una tortura perché era tutto quello che volevo fare. Quando vi ho visti accanto a Rachel e Finn è stato” fece un piccola pausa come a trovare le parole da dire ma alla fine riciclò quelle già dette e “È stato come ha detto Finn, come se Rachel sapesse già tutto e ci avesse aspettati, unendoci insieme. Non posso negare che un merito di tutto questo va a te, impertinente di una ragazza” indicò Mercedes in modo canzonatorio ma sorrise, facendo ridere la ragazza.

“Ogni volta che non lo guardavo o fingevo di non farlo, Kurt stava guardando me. La sua voce credo sarà per sempre il mio punto debole e i suoi occhi la mia ossessione. Vorrei che mi trovasse sempre, che mi cercasse quando non lo sto guardando, quando non sono accanto a lui, mentre si sente solo e cerca di sentirsi completo. Alla fine lui ha aiutato me”. Sospirò prima di riprendere “Cerco di mostrarmi coraggioso ma quando mi guarda, quando mi sorride, quando pronuncia il mio nome; lui è il solo coraggio che mi serve e forse questo non è quello che volevi sentire ma è quello che è” terminò sollevando lo sguardo e sorridendo in modo impacciato.

Entrambi i ragazzi voltarono lo sguardo verso Mercedes aspettando un verdetto, un consenso, qualsiasi cosa ma la ragazza li faceva penare. Non parlava. Esaminava i loro occhi, riascoltava le loro parole, cercava tra i loro battiti tutto quello che era impossibile esprimere e che ancora non avevano realizzato e “Come una mamma devo accertarmi che i miei bambini siano in buone mani. Ma non avete bisogno del mio consenso, del mio coraggio, delle mie parole. Di me. Non ho mai avuto dubbi, conoscevo la risposta dalla prima volta che ho sentito pronunciare i nostri nomi con la loro voce.

“Anzi, non capisco ancora cosa ci fate voi qui con me invece di essere con la persona amata” sorrise ai due ragazzi alzandosi e avvicinandosi alla cucina e “Dato che vi ho fatto da consulente, credo di essermi meritata questi pancakes perché Kurt non è l’unico che ne va matto” afferrò un piattino e uscì dalla stanza canticchiando, sorridendo felice per la chiacchierata e la consapevolezza di aver messo le sue due piccole perfezioni nelle mani giuste. Era felice se lo erano anche loro. Tutti e quattro.
 
 





Il resto della mattina era passata in tranquillità. Blaine aveva finito di preparare i pancakes da portare a Kurt, lasciando quelli per Finn e Rachel. Aveva svegliato Kurt con un bacio sulla fronte, aveva sorriso vedendolo aprire gli occhi ma non aveva accennato alla chiacchierata con Mercedes, avuta solo poco prima. Avevano fatto colazione a letto, guardando vecchi film in tv e dopo si erano uniti agli altri per il pranzo dove Mercedes aveva informato del pigiama party. Rachel aveva chiesto a Finn se per lui andava bene e il ragazzo aveva risposto dicendo che avrebbe passato la serata in compagnia di Blaine e di una partita di football.

Il pomeriggio era passato nello stesso modo. Finn e Rachel si erano occupati di lavare i piatti e di sistemare la sala da pranzo, ridendo e schizzandosi l’acqua a ogni occasione, facendo solo più danni mentre gli altri tre si era spaparanzati sul divano a guardare qualche programma preferito di Kurt. Mercedes aveva seguito poco e si era appisolata tra un commento di Kurt e le risposte di Blaine. Tra le suppliche di Rachel e le risate di Finn. Sentendosi a casa, al sicuro e protetta. Quando riaprì di nuovo gli occhi, erano passate ormai delle ore e aveva trovato tutti quanti seduti sul pavimento a giocare a qualche gioco da tavolo che Finn aveva insistito a portare. Si era unita a loro mentre la sera calava.

Erano le otto di sera quando Blaine e Finn salutarono la Diva Trinità – cosi avevano iniziato a chiamarli Finn, considerato le loro doti canore e bhe, il loro essere cosi dive – preferendo restare in salotto e accendendo la televisione su un programma sportivo, sgranocchiando pop corn e sorseggiando una birra. Il resto entrò in cucina per prendere i pop corn che avevano fatto solo pochi minuti prima, patatine e altre schifezze prima di chiudersi in camera dove dormiva Mercedes e gettarsi sul letto, con i loro pigiami già indosso e le risate tra le labbra, per la felicità di quella serata.

“Devo ammetterlo ‘Cedes, quando hai fatto questa proposta volevo ucciderti perché volevi tenermi lontano dal mio Blaine. Voglio dire, prima ci metti in stanza insieme e poi ci separi per una intera notte? Ma,” continuò subito il ragazzo all’occhiata della sua migliore amica “mi piace” disse sorridendo e portandosi alla bocca un pop corn “Quando mi hai detto della tua serata con Rachel sono stato geloso ma sapevo che avresti mantenuto la tua promessa ed eccoci, tre amici, schifezze e due splendidi ragazzi nell’altra stanza. Sicura che non vuoi che io e Rachel ti aiutiamo a trovare qualcuno?” chiese ancora e la serata era appena iniziata.

“Per quanto ti ami, Kurt Hummel, non è quello che sto cercando al momento. Anzi, a dire tutta la verità, la mia gioia arriva proprio da voi due e dalla vostra felicità e a proposito di questo, credo che si siano un sacco di cose che mi dobbiate raccontare, non è forse così Rachel Berry?” disse spostando l’attenzione dal suo migliore amico alla ragazza, che se ne stava in silenzio a mangiare patatine. Quando si sentì interpelata, si bloccò con un mano a mezz’aria, sorpresa. “Non credere che mi sia dimenticata di te e della nostra conversazione in cucina”.

“Di quale conversazione state parlando? E dov’ero io?”. Mercedes ridacchiò, ora che la curiosità di Kurt era accesa, quella serata poteva dichiararsi iniziata. Aspettarono che Rachel si riprendesse dallo shock iniziale e “Sì, giusto, la nostra conversazione” balbettò nervosa, non sapendo da dove iniziare, non ancora abituata a tutto quello o a quel tipo di serata ma venne salvata da Kurt che “Credo che Blaine sia quello giusto. Mi sono preso un sacco di cotto e sono sicuro che Mercedes le saprebbe elencare tutte ma mai nessuno mi ha mai fatto sentire cosi”.

Entrambe le ragazze si misero comode, sgranocchiando tutto quello che avevano di fronte e i loro occhi si facevano già più lucidi nel sentire la voce di Kurt così calda e piena d’amore. “La settimana scorsa mi ha chiesto di cenere con lui. Credevo mi avrebbe portato da qualche parte fuori ma in realtà siamo andati al suo appartamento e ho pensato, okay, romantico e privato ma in realtà una volta arrivati, mi ha bendato e portato sulla terrazza. Quando mi ha tolto la benda, c’erano luci e una coperta per terra. In pratica aveva organizzato un picnic ricordandosi che non ne avevano mai fatto uno”.

“Finn una volta mi ha portato una rosa in stanza”. Kurt quasi saltò dal letto quando Rachel parlò ma Mercedes sorrise. Sapeva che una volta fatto parlare Kurt, Rachel si sarebbe unita a loro, non sentendosi a disagio a parlare di qualsiasi cosa volesse e che era libera di scegliere cosa raccontare. “Stava piovendo fuori e il cielo era scuro. Le luci nella stanza rendevano tutto così triste e stavo quasi per alzarmi e spegnerle ma poi è arrivato Finn, completamente bagnato, con una rosa tra le mani. Me ne ha fatto dono dicendo che una rosa sotto la pioggia non avrebbe mai perso il suo colore ma che aveva bisogno di luce e che io ero la sua luce”.

“Aw! Mi farete venire il diabete prima di tutto questo zucchero” esclamò Mercedes, intenta a fissare i due amici mentre si scambiavano un sguardo d’intesa. “Ma continuate pure, mi piace” aggiunse quasi subito, portandosi al petto la coppetta delle patatine e sgranocchiandole con entusiasmo, come se stesse arrivando la parte più bella del suo film preferito. Fece ridacchiare Kurt e arrossire Rachel ma subito dopo ripresero a parlare. Raccontando tutto quello che si era persa in quelle due settimane, quando non li teneva d’occhio o li lasciava soli volontariamente.

“Okay, me lo dico così’ mi sentirò decisamente meglio dopo” informò Rachel, facendo un sospiro profondo e coprendosi il volto con entrambe le mani, per non far notare quanto stessero andando a fuoco al solo pensiero di quello che avrebbe reso noto subito dopo. “Mi ha detto ti amo. Finn mi ha detto ti amo mentre ero ancora in coma e dopo, quando mi sono svegliata e ci hai lasciati soli in stanza. Per questo sembravo così sovrappensiero quando sei tornata e Finn si è fatto trascinare con facilità fuori dalla stanza. Non so perché non te l’ho detto prima, io-” la sua frase venne interrotta da Mercedes che le sorrise.

“Credo sia normale, è stato un passo importante e volevi tenerlo per voi. Privato, vostro” disse, ripensando alla conversazione avuta solo quella mattina con Finn. Aveva le stesse paura di Rachel ed era adorabile, destinati a completarsi. “Sono la tua famiglia, piccola. Io, Kurt e il suo Blaine. Ogni tuo segreto sarà protetto, questo te lo posso garantire e come membro della tua famiglia devo dirlo; credo che dovreste renderlo ufficiale e la stessa cosa vale per i Klaine qui” ridacchiò a quel nomignolo che si era creato Kurt dopo la sua giornata con Blaine. “Io sarei la prima a esserne felice e fiera. Insomma siete, com’è che hai detto Kurt? OTP?”. Ridacchiarono continuando a mangiucchiare, parlottare e infine, si stesero uno accanto all’altro e misero su un film che non videro perché si addormentarono quasi subito.

 

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Capitolo 22
*** OTP; are finally canon ***







Non lo si poteva negare; Mercedes Jones amava i piani tanto quanto creare coppie, anzi, era molto brava nel farlo e nessuno se ne poteva lamentare. Per questo, quando Kurt e Rachel  quella mattina le avevano proposto l’idea di fare qualcosa per i loro “non” ancora -almeno ufficialmente- ragazzi, si era subito offerta di dare una mano e che aveva già delle possibili idee. Il caso ha anche voluto che dovesse tornare in città un giorno prima, per risolvere dei problemi con la compagnia teatrale, lasciando cosi le coppie via libere per infusioni e carinerie.

Erano le nove del mattino quando Finn uscì finalmente dalla stanza per fare colazione. Assonnato qual’era, non notò le valigie lasciate nel soggiorno e rischiò di inciamparvi. Per sua fortuna nessuno lo notò, poiché Mercedes era presa in una conversazione con Rachel e Kurt, che l’ascoltavano con attenzione e quasi la supplicavano di restare ancora un po’ ma un “Non posso piccoli, se non parto subito non arriverò mai in tempo e dopo ho anche una cena con i miei, che a quanto pare sono tornati dalla vacanza solo ieri. Mi dispiace ma sono sicura che andrà tutto bene e che ve la caverete, in caso, chiamatemi okay?” disse baciando le loro fronti, vedendoli sorridere e facendo sorridere anche Finn.

“Che cosa succede qui? Stai andando via? È successo qualcosa di grave?” chiese allarmato il ragazzo quando Blaine tornò in casa per prendere le ultime valigie della ragazza, da caricare in macchina. Mercedes sorrise a Blaine, ringraziandolo ancora con lo sguardo e dopo si incamminò verso Finn e “Non è successo niente di grave, Finn. Non deve per forza capitare qualcosa di grave in questa famiglia” ridacchiò ma il suo sguardo era serio. “Devo tornare in città prima ma ci rivedremo tutti domani per il pranzo a casa mia” e precisare un “e di Kurt, okay?” sentendo il ragazzo tossicchiare.

Si assicurò di aver preso tutto e salì nel auto di Blaine - dato che era arrivata con quella di Finn. Diede una rapida occhiata nello specchietto retrovisore e quasi le pianse il cuore alla vista dei loro visi tristi. Sorrise a sé stessa, scuotendo il capo, sapendo sarebbero stati bene e mise in moto. Il resto del gruppo restò a fissare l’auto, sospirando. Per spezzare quella tristezza Kurt si posizionò di fronte al moro e “Ehi Blaine, ti andrebbe di darmi una mano per i preparativi per il pranzo? Ho intenzione di fare un dolce oggi” disse tutto sorridente, non dando neanche il tempo al ragazzo di rispondere, trascinandolo per un polso di nuovo in casa e conducendolo fino alla cucina, blaterando tutti gli ingredienti di cui avrebbe avuto bisogno e in cosa gli sarebbe stato utile il moro, che in tanto annuiva felice.

Finn sorrise alla vista di quei due e il suo sorriso si allargo al “Noi potremo andare a fare una passeggiata, se ti va” di Rachel. Era bellissima quella mattina, pensò Finn annuendo. Indossava un vestito nuovo, o almeno uno che non le aveva mai visto indossare e sorrideva. Un sorriso rilassato e pieno. Continuò a sorridere porgendole il braccio e iniziando a camminare. Non fecero molti passi prima che le loro mani si strinsero, intrecciandosi. Non parlarono molto, forse un po’ imbarazzati. Continuarono a camminare, mano nella mano, con le guancie rosse e sorrisi felici sulle labbra.
 



 
“Kurt Elizabeth Hummel, non posso credere a quello che hai appena fatto” esclamò il moro shockato, con le labbra semi chiusi e gli occhi spalancati dalla sorpresa, ignorando volutamente il “Sapevo che non avrei dovuto dirti il mio nome completo Anderson” del ragazzo, considerato la pastella che colava dai suoi capelli, sporcandogli il volto. Non era sicuro da come era iniziata quella lotta di cibo, tutto quello che ricordava era che Kurt aveva i capelli sporchi e il modo aveva iniziato a ridere quando l’aveva notato. Okay, forse era tutto iniziato da lì, e dopo qualche minuto si erano ritrovati ricoperti di alimenti e i suoi capelli stavano supplicando per un bagno. “Giuro che questa me la paghi”.

E il castano ci stava provando, con tutto se stesso, ma come poteva chiedersi di non ridere di fronte quella scena cosi comica? Blaine era adorabile con tutta quella pastella tra i capelli e non esitò un secondo per farglielo notare. Tra una risata e l’altra riuscì a esclamare un: “Dovresti vederti in questo momento, Blaine. Sei adorabile” e un “No anzi, sei bellissimo. Un bellissimo e adorabile cucciolo sporco di pastella”. Blaine sbuffò nascondendo le sue guancie rosse e Kurt fece l’errore di “Andiamo Anderson, che vuoi che sia. È solo un po’ di pastella tra i capelli” che fece scattare il moro verso di lui in un “Ah sì? Allora vieni qui e lasciati abbracciare”.

La voce di Kurt non aveva mai assunto note cosi serie, non almeno fino a quel “No!” che si lasciò sfuggire, fissando Blaine camminare verso di lui con le braccia spalancate, pronte ad accogliere il suo corpo. E si sarebbe lanciato in quelle braccia, se solo non fosse stato così sporco. Indietreggiò, puntando un dito verso il ragazzo, soprattutto vedendo quel suo ghigno crescere su quelle labbra cosi squisite. No, doveva restare lucido e preferì correre per tutta la cucina, pur di non essere preso. Cosa che portò Blaine a esclamare un “Vieni qui piccolo” che distrasse Kurt, che prontamente finì con la schiena contro il petto del moro, quando lo avvolse tra le sue braccia.

“Preso” ridacchiò Blaine nell’orecchio di Kurt, stringendolo a sé e strofinando il naso contro la sua guancia, sporcando anche i suoi capelli e parte del suo viso. Il cuore di Kurt si sentiva pieno, forse anche Blaine poteva percepire i battiti del suo cuore, anzi, sperò che fosse cosi perché quei battiti erano suoi. Il suo intero cuore era suo e doveva dirlo, prima di impazzire. “Mi piaci Blaine Anderson”, la sua voce tremò appena e si strinse meglio tra le braccia di Blaine. E riscaldato da quella stretta continuò a parlare perché Mercedes aveva ragione. “Mi sei piaciuto dalla prima volta che i miei occhi ti hanno trovato ma adesso, tra le tue braccia, lo sento. Lo sento tra i miei battiti, i miei respiri, tra le nostre mani”.

I loro respiri si mischiarono prima di “Mi piaci anche tu piccolo, da subito. Vederti tra i corridoio era il mio momento preferito della giornata. Portavi il sole in quel luogo cosi triste e serio, come lo portavi nella mia giornata, nella mia vita. Il mio bellissimo raggio di sole” confessò. “C’erano giorni in cui tutto quello che volevo fare era vederti e allora iniziavo a cercarti, fino a quando non ti trovavo. Fino a quando non mi trovavi e mi osservavi. E sorridevo e forse solo ora capisco il perché” continuò, lasciando un bacio umido sulla guancia del ragazzo. “Mi piaci Kurt Elizabeth Hummel, anche se mi servi addosso il resto della pastella. Anzi, non mi importa se dopo posso tenerti in questi modo tra le mie braccia”.

Kurt sorrise nell’abbraccio e quasi si strozzò quando “Ovviamente questo non è un invito a farlo quando vuoi, fa schifo avere sostanze strane tra i capelli, bhe non tutte le sostanze ma credo tu abbia capito a cosa mi riferisca. Smettila di ridere di me Hummel” e questa volta Kurt neanche ci stava provando a non ridere, Blaine era adorabile e lo faceva sentire felice e amato. Anche quando gli faceva il solletico, come in quel momento. Provò a sfuggire alla presa del moro ma finì spinto ancora più contro quella pelle e “Non andrai da nessuna parte piccolo. Non voglio che tu vada da nessuna parte”. La pelle di Kurt rabbrividì e questa volta fu sicuro che Blaine lo percepì, perché sorrise contro il suo collo, baciandolo e regalandogli un altro brivido.

 






 
Una coperta ricoprì le sue spalle e la tirò istintivamente a sé, sorridendo. Avevano camminato fino alla spiaggia e si erano seduto in riva al mare, perché Finn l’ascoltava e sapeva quanto Rachel volesse farlo. Il clima di Gennaio era ancora troppo freddo e quella avvicinanza all’acqua non aiutava a riscaldarsi, così Finn era tornato alla villetta, dicendo alla ragazza di aspettare ed eccolo lì, sorridente mentre poggiava una coperta sulle spalle di Rachel, sedendole accanto. “Va meglio adesso?” chiese, nascondendo la sua preoccupazione. La ragazza sorrise solamente, sollevando il mento verso il cielo e osservando le stelle.

Finn restò in silenzio a osservarla, ad amarla ma le parole di Mercedes lo tormentavano. Aveva passato tutta la notte precedente a pensarci, a capirne il senso e rischiava di impazzire in quel silenzio così “Mi piace stare qui, è quasi triste l’idea che domani dovremmo tornare a casa. So che ci aspetta del lavoro da fare e che il tempo non può aspettarci per sempre ma era bello non dover pensare a nient’altro che a noi stessi, capisci quello che intendo?” chiese, seppellendo una mano per poi liberarla, scaricando così il suo nervosismo.  

“Finn!” fu quello che bastò per far scattare il ragazzo verso quella voce. Rachel non lo stava guardando, era ancora con lo sguardo sopra le loro teste. Era bellissima, così bella che voleva baciarla. Bloccarla per sempre sulle sue labbra ma poi pensò che era stupido. Rachel era un fiore, un fiore bellissimo nato per rallegrare ogni cuore triste, sorridere le anime più sole. Rendere belle anche le giornate di pioggia. Non poteva bloccarla in un momento, non poteva farlo. Era un pensiero egoista. Eppure Rachel Barry era il suo fiore e, non voleva essere egoista, ma voleva baciarla.

Non seppe mai cosa Rachel volesse dirgli o se il suo nome era uscito dalla sua bocca per riflesso, un pensiero ad alta voce, la consapevolezza che lui fosse lì al suo fianco. Non gliene diede modo comunque perché fu egoista. Non fermò la sua curiosità, non chiese il permesso. Ma non fu neanche affrettato o duro fu, delicato e aspettato. Si lasciò andare a quelle labbra, posando le sue con attenzione. Inclinò il suo corpo, guidato da un vento inesistente, che lo spingeva verso la persona amata. E la amò. Con la testa come ogni parte di lui già faceva. Posò una sua mano sulla guancia di Rachel e quando ebbe la sua totale attenzione, quelli occhi limpidi che lo stavano supplicando, la baciò.

Durò pochi istante, come se avesse paura di poterle fare male ma non si allontanò. Ancora con la sua mano su quella guancia fredda per l’avvicinanza del mare ma calda, per quel rossore che la stava invadendo. Sorrise a pochi centimetri da quelle labbra piene, che stava sorridendo a sua volta, con un po’ di imbarazzo. Aspettò in silenzio fino a quando Rachel decise che avevano aspettato abbastanza e riavvicinò le loro labbra. Voleva dirle che la amava, voleva sapere cosa ne pensava di quel contatto ma dimenticò ogni cosa quando qualcosa di umido premette contro le propria labbra.

Si trattenne dallo spalancare gli occhi quando capì si trattava della lingua di Rachel che chiedeva il permesso di incontrare la propria. Per approfondire quel bacio. Per provare calore. Con la stessa attenzione del loro primo incontro, socchiuse le labbra, come invitato e il bacio divenne più caldo, più bagnato, più bisognoso. Solo in quel momento realizzò quanto lo stesse aspettando, quanto ne avesse bisogno. Dimenticò come parlare, come pensare, come respirare. In quel bacio si perse e quando si allontanarono per prendere fiato – perché a quanto pare i polmoni avevano bisogno d’aria per funzionare – aprì gli occhi lentamente, quasi spaventato di aver interrotto un sogno troppo presto, svegliandosi. Ma Rachel era ancora lì, bellissima come la ricordava, con le labbra bagnate e rosse. Un sorriso che gli sarebbe servito per vivere per sempre.

“Sarà avventato, sarà troppo presto ma non credo di aver mai amato una persona come io amo te. E sarà stupido ma non credo che nessuno abbia amato qualcuno come io amo te” e la sua voce era calda, morbida. Dimenticò preso dove si trovavano, il freddo che faceva rabbrividire la sua pelle, il mondo che continuava a girare mentre loro restavano fermi. Sentendosi al sicuro, nascosti sotto lo sguardo dell’altro. Amando come nessun amante avrebbe mai fatto. Con delicatezza e attenzione, questo erano e questo loro bastava. “Dire Ti Amo sarebbe schiocco, sarebbero solo parole. Io sono innamorata di te, Finn Hudson e sono felice che alla fine tu mi abbia trovato”.

Si baciarono e le loro labbra si incontrarono ancora e ancora. Tra un bacio e l’altro, Rachel notò i brividi di Finn. I stessi brividi che aveva scambiato per emozione e forse lo erano ma il freddo aveva una parte in quello scenario. Così coprì le sue spalle con la stessa coperta che stava comprendo e tenendo al caldo le proprie. Con i corpi così vicini, affrontarono il freddo di quella giornata. Riscaldandosi non solo con i loro corpi e le loro labbra ma anche con le loro anime, intrecciate come le loro mani. “Forse dovremo rientrare, ti starai congelando” suggerì Finn, al ennesimo brivido. Non voleva spezzare quella magia che si era creata ma era abbastanza responsabile da sapere che non potevano restare lì al freddo, se non volevano ritrovarsi il giorno dopo con la febbre alta o una polmonite.

“Ancora un altro po’, per favore” supplicò la ragazza, avvicinandosi ancora di più al suo corpo “Ancora qualche minuto e poi andremmo dove vuoi e non dirò niente” e la lasciò vincere, fino a vederla addormentarsi sulla propria spalla. Il suo bellissimo fiore, pensò prendendola tra le braccia e coprendola con la coperta. Rientrò in casa una manciata di minuti dopo, portando Rachel a letto stendendosi al suo fianco, chiedendo ai ragazzi di non disturbarla e che avrebbero mangiato dopo. Quando Rachel si svegliò, pranzarono a letto e ci restarono fino alla cena.

“Dobbiamo realmente vedere questo film, voglio dire, Kurt non ha portato nient’altro?” chiese fintamente scocciato Finn, non volendo ammettere che quei musical - che la ragazza lo stava costringendo a vedere - in realtà non erano niente male. “Sta zitto Finn, adesso arriva la parte più bella” ed era ancora tutto confuso ma nel istante in cui Rachel aveva aperto gli occhi, loro erano diventati una coppia e il loro rapporto sembrava aver corso in avanti, prendendosi il posto che gli spettava. E Rachel aveva imparato a zittirlo, a tenergli testa. Era sbocciata tra le sue braccia, mostrando il fiore che è sempre stato e che lui vedeva tra i petali chiusi. Tornando la Rachel che aveva solo lontanamente immaginato.

Senza paure, senza insicurezze, senza ospedali da cui tornare. E non si stupì quando la sentì cantare, non si stupì quando si voltò per sorridergli, non lo fece neanche quando lo baciò in una scena particolarmente romantica, come se avesse visto quel film una dozzina di volte aspettando il giorno in cui sarebbe potuto succedere. Ma lo fece quando Rachel si mosse verso di lui, con l’attenzione rivolta verso il monitor della tv, spostando il suo corpo tra le sue gambe e lasciandosi stringere da dietro. Restarono in quella posizione per tutta la durata del film, durante la cena che si fecero portare in camera dicendo di essere stanchi e mentre si lasciavano cullare dal sonno, risvegliandosi e ritrovandosi nella stessa posizione il giorno dopo.


 
 


“Aprì la bocca e chiudi gli occhi” esclamò malizioso Kurt, sfidando Blaine con lo sguardo, che accettò subito senza lamentarsi. Seguì gli ordini e il castano lo imboccò con un boccone di dolce che, alla fine, erano riusciti a preparare. Solo che non usò una posata ma le sue dite. Blaine leccò più del dovuto il dito di Kurt, facendolo arrossire e ridacchiare. Quando riaprì gli occhi, Kurt rise alla vista delle labbra tutte sporche. Era tutto il giorno che lo prendeva in giro per qualsiasi motivazione, solo per le reazioni del moro che ricadevano su un contatto fisico infatti, poco dopo il “Adesso vieni qui e puliscimi” sorrise.

Si sporse ancora di più sul divano in cui erano seduti, fingendo di guardare la telefilm e cenando da soli, leccando una parte delle labbra di Blaine, portando via lo strato di cioccolato che lo aveva macchiato. Arrossì e Blaine ghignò come sempre. Erano diventati una coppia senza neanche rendersene conto. Con le loro abitudini, conoscendosi nelle piccolezze come nessuno. “Molto meglio ora” esclamò Kurt, aggiungendo un: “Tutto pulito, il mio cucciolo” che fece sbuffare Blaine, per poi baciarlo.

“Non starai cercando di approfittarti di me, vero Anderson?” ghignò a sua volta, facendo sorridere il moro. Avevano iniziato ad amare a modo loro, stuzzicandosi in ogni modo. Senza saperlo, avevano passato i mesi precedenti a conoscersi, a osservarsi, a capirsi. Stare insieme era diventato facile. Come svegliarsi dopo un bellissimo sogno durato anni e realizzare che era solo un sonnellino di poche ore e scoprire di aver sognato la loro realtà, il loro mondo, il loro amore. “Non lo farei mai piccolo, non vorrei incorrere nella fuori di Mamma ‘Cedes” entrambi risero, tornando con lo sguardo verso la tv.

“Non voglio tornare a casa domani” si lamentò Kurt “Non voglio tornare in teatro, non voglio che tu torni a lavoro in ospedale e non voglio dormire senza di te a stringermi, anche se in parte mi manca dormire con Mercedes” sbuffò, lasciandosi guidare dalle mani di Blaine sui suoi fianchi, fino a finire di nuovo con la schiena sul suo petto, stesi sul divano. Sbuffò al “Il mio piccolo che fa i caprici” e al bacio che arrivò dopo e “Non sto scherzando Blaine, non possiamo restare ancora qualche altro giorno qui? Non credo che Mamma ‘Cedes se la prenderà se saltiamo il pranzo” propose.

“Invece lo farà perché lei è Mamma ‘Cedes e noi non salteremmo nessun pranzo” chiarificò Blaine “Non mi fraintendere Kurt, mancherà anche a me tutto questo e dormire al tuo fianco ma la famiglia ha bisogno, come l’ospedale e la compagnia teatrale ha bisogno di noi. Domani torneremo a casa, riprenderemo le nostre vite e andremo a pranzo da Mercedes ma ehi, niente cambierà tra di noi” e sorridendo contro il collo di Kurt aggiunse “E poi mi manca saperti in giro per quei corridoi, alla mia ricerca mentre fingi indifferenza. Tutto questo è magnifico Kurt ma è come essere in una realtà alternativa e io inizio a sentire la mancanza della nostra realtà”.

“Perché devi essere così profondo e adorabile? Adesso ho voglia anche io di tornare a casa” sbuffò, incrociando le braccia al petto, che subito vennero coperte da quelle di Blaine e “Sei tu quello adorabile piccolo” baciandolo delicatamente, mentre il film continuava a scorrere, aspettando la mattina e la loro realtà. Quando il sole sorse, nessuno si lamentò di tornare a casa, sorridevano e arrossivano più del solito. La loro realtà stava per iniziare e i loro cuori iniziarono a battevano allo stesso ritmo. Bum!

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Capitolo 23
*** Felicità ***


Buon Natale anche se in ritardo piccola mia.
Mi manchi oggi più del primo giorno.
Ti voglio bene Jacobba, e niente, nè il tempo nè il mondo potrà cambiare questo








“Staccatevi da quella partita e venite a tavola voi due, è pronto” richiamò l’ordine Mercedes, portando a tavola l’ultimo piatto e aspettando che tutti si fossero seduti per poi imitarli. Erano tornati dal loro week-end quella stessa mattina e vedeva nei loro occhi la felicità. Kurt aveva passato tutto il tempo incollato a Blaine, e il moro aveva passato più tempo con gli occhi incollati al ragazzo, a sorridergli, a passarli una mano sulla guancia, che sullo schermo, venendo poi rimproverato da Finn perché continuava a perdersi i passaggi più importati. E Rachel non riusciva a smettere di sorridere ma per sua fortuna, l’aveva aiutata in cucina, anche se era chiaro che volesse restare al fianco del suo ragazzo.

Li aveva interrogati, ovviamente e si era fatta raccontare ogni cosa, ogni piccolo dettaglio e aveva gioito con loro. Era la prima cosa che aveva fatto, quando si erano presentati alla sua porta per il pranzo di famiglia, o forse è meglio dire la seconda dato che aveva accesso la tv prima, piazzando i due ragazzi davanti, così da poter parlare indisturbati. Li erano mancati, anche se erano stati separati un solo giorno, aveva sentito la mancanza del loro calore, delle loro voci, delle loro risate. Per questo sorrise quando li vide tutti seduti a tavola.

“Che programmi avete per oggi?” chiese la ragazza, iniziando una conversazione, passando la coppetta con l’insalata a Kurt, che si era seduto al suo fianco. “Devo passare dal lavoro oggi” fu la risposta di Blaine “Hanno bisogno della mia opinione sul dimettere o meno un paziente. Non ci sarò molto dato che conosco già la mia risposta e dopo io e Kurt abbiamo pensato di fare una passeggiata al parco e di andarci a prendere una cioccolata calda” disse ancora, venendo interrotto da un “La cioccolata calda è un idea di Blaine, ovviamente” di Kurt che sbuffò, fintamente scocciato della cosa, venendo subito dopo baciato.

“Smettetela di fare i romanticoni a tavola, sto cercando di mangiare e poi mi coprite la visuale della tv così. Mercedes dì qualcosa per favore” si lamentò Finn, spostando il capo per seguire la partita sulla televisione. “Smettila di lamentarti Finn, non credo giovi a tuo favore lamentarti della tv quando ti avevo espressamente chiesto di spegnerla, e poi sono adorabili, lasciali fare o dovrò chiedere l’aiuto di Rachel”. Un lamentò uscì dalla labbra del ragazzo quando Rachel lo spintonò, dimenticando così la partita e perdendosi nei suoi occhi, quando si voltò per chiedere spiegazioni.

Tutti armonizzarono un “Aww!” quando le prese il viso tra le mani e la baciò. Era felice nel vedere tutta quella felicità e libertà negli occhi dei suoi amici. “E tu Rachel, cosa farai oggi?” chiese, muovendo la forchetta nel piatto prendendo dell’insalata e dei pomodori. “Non abbiamo piani per oggi. Finn dovrebbe tornare a lavoro, quindi pensavo che potevo tornare in ospedale anche io” disse tristemente ma la padrona di casa parlò nuovamente e “Perfetto allora, perché stavo pensando di andare a fare shopping e dato che Kurt sarà impegnato con il dottorino---“ un “Ehi” di Kurt e un “Guarda che sono proprio qui e posso sentirti Mamma ‘Cedes” di Blaine la fecero ridacchiare, facendo sorridere anche Rachel.

“Non potete andare a fare shopping senza di me, è in accettabile. Voglio venire anch’io con voi e poi, come ha detto il mio dottorino, deve passare dal lavoro quindi ho il tempo per fare un giro con voi, vero tesoro?” chiese voltandosi verso il suo ragazzo, non lasciando la presa dal braccio di Mercedes. Mise su anche un finto broncio, che venne coperto dalle labbra di Blaine che “Certo piccolo, ti passo a prendere quando ho finito” e “Anzi, a che ora inizi oggi Finn? Perché potrei darti un passaggi, dato che faremmo la stessa strada” chiese in direzione di Finn, mettendosi d’accordo di andare a lavoro insieme.

“Direi che è deciso allora” esclamò Mercedes, pizzicando una guancia di Kurt, chi si nascoste subito dopo tra le braccia di Blaine, e sorridendo a Rachel, con tanto di occhiolino. Risero, conversarono e mangiarono tranquillamente, sparecchiando e aiutando cosi Mercede. Sistemato tutto, si misero seduti sui divani, fino a quando Blaine non annunciò che era ora di andare e salutarono tutti. Una volta andanti via, la Diva Trinità decise di cambiarsi e di uscire anche loro, dando inizio alla loro giornata di shopping e divertimento.
 
 


 
Una settimana dopo


La stanza non aveva più niente di suo, anche se non aveva molto, quel poco che aveva, era tutto nell’auto di Mercedes ora mai. Niente e nessuno avrebbe potuto dire che ci aveva, quasi, vissuto in quella stanza, per quanto tempo ci avesse trascorso. Quella stanza non le apparteneva, così come doveva essere da principio. Quella stanza non era più sua e non avrebbe più fatto della sua vita e un enorme grazie andava a Blaine, che aveva convinto il consiglio a dimetterla, rassicurando tutti. Dicendo loro che aveva trovato un posto dove poter stare e che si poteva prender cura lui di lei, da quel momento in poi e che sarebbe tornata in ospedale solo per i vari controlli.

Si infilò la giacca, dando un’ultima occhiata a quella stanza. Lì aveva incontrato per la prima volta il sorriso dolce di Finn, la mano rassicurante di Blaine, l’affetto di Mercedes e la comprensione di Kurt. Lì erano diventati una famiglia. Per quanto potesse essere un posto triste dove passare le proprie giornate, per quanto potesse sembrare una prigione, era grata di quel posto, perché aveva portato nella sua vita tanto amore, proprio quando credeva di averlo perso per sempre e che non era più tempo per lei di essere felice. Sorrise in direzione di quel letto e uscì dalla stanza, lasciandosela dietro e andando in contro al suo nuovo inizio.

“Vedrai che ti troverai bene qui” annunciò Mercedes, camminando nel piccolo corridoio e appoggiando le valigie sul letto, il suo nuovo letto, nella sua nuova camera. “Non so neanche perché ho questa stanza ora mai, dato che Kurt dorme nel mio letto, anche ora che può stare da Blaine quanto vuole o comunque quando non è dal suo amato” ridacchiò, facendola sorridere “Sono felice che ci sarà qualcuno a occuparla, non dirlo a Kurt, ma mi mancherà quel mostriciattolo quando andrà a vivere da Blaine, dopo aver venduto finalmente il suo appartamento” confessò, sedendosi sul letto e sospirando “E con questo voglio dire che la mia camera è proprio qui accanto, per ogni cosa, la porta è aperta” sorrise, colpendo il materasso per farla sedere.

“Non so come ringraziarti, se non fosse per te e Blaine, sarei ancora in quella stanza di ospedale, a guardare fuori dalla finestra, immaginando di essere la fuori come tutte le altre persone, a chiedermi quando sarebbe stato il mio turno di essere felice. È bello sentirsi a casa, per una volta” sorrise felice, gli occhi più lucidi e le mani intrecciate sul suo grembo. Era grata di avere trovato una persona come Mercedes, pronta ad aiutarla ogni volta che ne avesse bisogno. Fin da subito aveva capito quanto grata sarebbe stata a quella ragazza e più la viveva e conosceva e più si rendeva conto di aver avuto ragione a essersi fidata.

“Non devi ringraziarmi tesoro, sul serio e poi, come ho detto, mi fa piacere averti qui con me” sorrise e “Ci faremo compagnia avvicenda e potremmo passare le notti a mangiare schifezze e guardare vecchi musical e tutto quello che vorrai” disse ma dopo si fece seria e “Sei molto di più di una semplice amica, Rachel Berry. Sei come una sorella per me, famiglia, e mi rende felice trascorrere del tempo con te, quindi smettila di trovare il modo per ringraziarmi, perché adesso questa è casa tua quanto mia o di Kurt, okay?” chiese ma non era una domanda, era un dato di fatto e l’abbracciò.

“So che non vuoi che lo faccia ma grazie Merc, per tutto e di tutto” ridacchiò tra le lacrime quando “Adesso basta, se dobbiamo piangere ed essere sentimentali, sarà meglio che vada a prendere la raccolta di film strappa lacrime di Kurt, la tiene nascosta gelosamente come se io non lo sapessi, così tu puoi disfare le valige e tutti i posti li scoprirai con il tempo ma se hai bisogno di me, sono in cucina a preparare dei pop corn, okay?” chiese e quando annuì come conferma, uscì dalla stanza. Sospirò guardandosi intorno e sorridendo, esclamò: “Casa finalmente”.
 


 
Febbraio


Aprì la porta di casa e lasciò andare la borsa sul mobiletto, insieme alle chiavi e al telefono e “Sono a casa piccolo” esclamò, come era di abitudine dire da quando Kurt aveva lasciato il suo appartamento e casa di Mercedes –ci tornava solo quando aveva il turno di notte e non voleva dormire da solo- e si era trasferito da lui. Annusò l’aria, notando un dolore che pizzicava il suo naso e “Che cosa è questo odore, che stai combinando piccolo? Un altro dei tuo esperimenti con le prese di corrente?” chiese, camminando per il soggiorno e affacciandosi nella cucina, da dove proveniva l’odore.

Non trovò Kurt ma le sue due migliori amiche che gli sorrisero in un modo preoccupante e “Oh, Blaine, sei già tornato. Credevamo avessi il doppio turno oggi, non è così Rachel?” chiese Mercedes, afferrandolo per il braccio e trascinandolo di nuovo in soggiorno, con Rachel al fianco che annuiva alla domanda della ragazza. Ovviamente ignorarono il suo “Ho finito prima dato che Kurt aveva detto di avere una sorpresa per me e io adoro le sorprese, a proposito, dov’è?” che venne coperto dal “Hai visto Finn oggi, ti sembrava strano? Credo abbia mangiato qualcosa che l’abbia fatto stare male” di Rachel, che sembrava più un diversivo che una vera preoccupazione.

“Okay ragazze, ora potete pure lasciarlo, grazie lo stesso”. Una voce, la più bella delle voci, quella voce che lo aveva fatto innamorare, catturò la sua attenzione. Voltò il capo e lo vide; indossava un grembiule da cucina, la maglia era sporca di pastella e i capelli erano arruffati. È bellissimo, pensò sorridendo. Le due ragazze salutarono e augurarono loro una bella serata, prima di uscire di casa e chiudere la porta alle loro spalle. Fu quel rumore a svegliarlo e a riportarlo alla realtà. Alle volte si svegliava nel cuore della notte solo per controllare che Kurt fosse realmente al suo fianco e non soltanto un bellissimo sogno. Il suo bellissimo sogno.

Mosse qualche passo nella sua direzione e “Sei bellissimo, lo sai vero?” che fece arrossire Kurt, che si portò una mano tra i capelli per sistemarseli e “Anche se sono tutto sporco e i miei capelli sono un completo disastro?” chiese, cercando di togliere la farina ancora sulle sue guancie e sul grembiule. “Proprio perché sei tutto sporco e hai tutti i capelli in disordine, che sei bellissimo, Kurt. Una volta Finn ha detto che solo a Mercedes era permesso vederti in questo stato e adesso te ne stai lì, tutto in disordine e adorabile e sei bellissimo, piccolo. Bellissimo”.

“Sono un disastro Blaine” esclamò quando fu finalmente tra le sue braccia e lasciò un bacio tra i suoi capelli prima di sentirlo parlare di nuovo “Volevo cucinare per te ma poi Rachel è venuta qui per chiedermi aiuto. Voleva preparare una torta per Finn ma non era sicura di riuscirci, quindi l’ho aiutata, poi è arrivata Mercedes, perché sai te l’ho detto, era tradizione preparare i biscotti insieme ma non puoi mettere tre dive in cucina a preparare i biscotti e sperare di non trovare farina nei suoi capelli e, ovviamente, la situazione ci è sfuggita di mano e tu sei tornato prima e—sono un disastro” ripeté, dopo che finì di parlare.

“Sei il mio bellissimo disastro, piccolo e non devi preoccuparti per la cena, possiamo sempre ordinare qualcosa e—“ non finì mai di esporre la sua idea, che Kurt  si allontano da lui con un “Cosa stai blaterando Anderson, la cucina sembra un campo di battaglia, mi stavo scusando per quello ma non per la cena. Ovviamente sono riuscito a preparare il tutto prima che quelle due pazze arrivassero. Le ho usate come diversivo per rimediare ma c’è poco da fare, dovrò pulire tutto domani mattina perché non ho alcuna intenzione di rovinare il nostro primo San Valentino insieme, in nessun modo” disse baciandolo.

“Ti amo piccolo” si lasciò sfuggire sorridendo, facendo arrossire Kurt, che non si era ancora abituato a quel tipo di attenzione e amore. “E ti amo quando arrossisci per un mio complimento, ti amo quando mi prepari le sorprese perché sai che le adoro, e ti amo perché sei un inguaribile romantico e mi piace da impazzire questo di te, e ti amo quando mi guardi in quel modo e so che vuoi zittirmi con un bacio e ti amo ancora di più perché ti amo così tanto da conosco ogni tuo sguardo e movimento del corpo” e venne zittito, ovviamente, da un bacio.

“Smettila di straparlare Anderson, perché tu potrai anche amarmi ma sono tutto sporco e ho bisogno di una doccia e credo proprio che ne abbia bisogno anche tu, quindi che ne dici di non perdere tempo e di unirti a me? E lo suggerisco solo perché la cena si raffredda altrimenti e riscaldata non è più cosi buona e il mio cibo è buono” blaterò con un ghigno sulle labbra, mentre lo trascinava verso il bagno, iniziando a slacciare i primi bottoni della camicia che stava indossando. “Sono sicuro che non solo il tuo cibo sia buono piccolo”, tirandolo a sé, con un presa salda, sorridendo contro le sue labbra prima di mordere piano e sussurrare “Dio quanto ti amo”.
 


 
Agosto


Il vento era caldo in quella mattina d’Agosto ma allo stesso tempo regalava piacere contro il caldo afoso di quella giornata. Anche il mare era di aiuto contro i raggi del sole sulla pelle. Per sua fortuna Rachel aveva insistito per portare un ombrellone o sarebbe morto non appena messo piede in spiaggia. Erano passati diversi mesi dal quel week-end nella villetta, da quando aveva parlato con Rachel seduti sulla spiaggia e da quando erano diventati un “noi”. Ed erano felici, oh se erano felici, più che mai. Lo dimostrava quella prima vacanza da soli, senza nessun membro della famiglia.

“Finn Hudson smettila di startene lì a pensare tutto solo e raggiungimi, in acqua si sta benissimo, andiamo” la voce di Rachel attirò la sua attenzione, muoveva una mano per farsi notare, anche se c’era poca gente ancora. Pensandoci, aveva scelto quella spiaggia proprio per quella motivazione. Voleva ammirare la sua felicità, bearsi del suo sorriso, della sua voce, della sua bellezza senza persone intorno a coprirla nella confusione, anche se tutto quello che vedeva era lei, voleva viverla per bene, per questo aveva intenzione di chiederlo, doveva solo scegliere quando.

Lasciò stare i suoi pensieri e riflessioni e si decise a raggiungere Rachel in acqua. Venne bagnato ancora prima di mettere piede in mare, da schizzi d’acqua. E in confronto al suo corpo bollente per via dei raggi dal sole, quell’acqua sembra gelida ma era così bello sentire Rachel ridere, che avrebbe ripetuto quella scena all’infinito, tutta via entrò in acqua con lentezza, tuffandosi per bagnarsi completamente, nuotando intorno alle gambe della sua ragazza. “Stavo arrostendo sotto il sole” esclamò, quando riemerse e sorrise quando Rachel nuotò verso di lui, per spostargli i capelli dalla fronte.

“Non capisco che ci facevi lì imbambolato quando potevi bearti di tutto questo” esclamò sorridendo e non era del tutto sicuro si riferisse solo al mare, così la baciò. Afferrò i suoi fianchi e fece scontrare i loro petti, quando l’attirò a sé. Ancora faticava a crede che ora poteva farlo, tutte le volte che voleva, anche se non erano soli. E poteva dirle che l’amava e quanto fosse bella e lei sorrideva, in quel modo che lo faceva sentire bene e si amavano, in ogni modo, con ogni parte di loro. Legandosi e sentendosi completi.

La baciò ancora una volta, prima di spostare le sue labbra per parlare e “Stavo riflettendo su quanto sono stato fortunato, su quanto non mi sarei mai aspettato tutto questo quando ho preso posto sull’aereo diretto a New York, che tutto quello che cercavo era un po’ di pace e sono finito con il cuore pieno d’amore per una persona meravigliosa che ricambia, rendendomi la persona più felice dell’intero universo e non potrei desiderare niente di più belle, perché mai mi sono sentito così completo” sorrise, specchiò del sorriso che Rachel gli stava donando.

“Ti amo Rachel Berry e alle volte ci penso e sono sicuro che saresti piaciuta anche a mia madre, se solo avesse avuto la possibilità di incontrarti” ma non si rattristò per quel pensiero, non tra le braccia di quella creatura meravigliosa che gli aveva tolto ogni sofferenza, riempendolo di amore e affetto. “Per questo, perché ti amo, perché voglio averti attorno, perché non mi basta mai, perché sei il mio sole al mattino e la mia luna di notte, mi stavo chiedendo se ti andava di andare a vivere insieme. Potresti restare da Mercedes finché non troviamo un posto solo nostro, ovviamente e---“.

Venne zittito da  labbra calde e morbide e “Dimmi che non stai scherzando perché potrei colpirti se questo è solo uno scherzo o urlare se è tutto vero, quindi usa bene le tue prossime parole Hudson, okay? Perché credevo di aver perso tutto, che avrei trascorso i miei giorni a chiedermi quando sarebbe finita, a non credere più in niente e poi sei arrivato e hai portato così tanta gioia nella mia vita, che non potrei immaginare un felice e contenti migliore di vivere con te e avere qualcosa che sia solo nostro, quindi dimmi che non stai scherzando perché è quello che voglio anch’io” disse quasi in lacrime Rachel.

Teneva tra le sue mani il suo viso, come se avesse paura di vederlo andare via da un momento all’altro ma non si mosse, neanche quando il vento soffiò più forte perché non era mai stato così serio in tutta la sua esistenza. “Non potrei mai scherzare sulla nostra felicità piccola Berry. È quello che voglio. È quello che voglio da quando ti ho visto in quella stanza, dopo aver conosciuto il suo nome, ed essere stato onorato di averti sentito parte della mia vita perché ci sei tu e poi il mondo e il mio mondo sei tu, piccola stella” e stava piangendo, lui, lei, il cielo. Tutto era in lacrime ma c’era il sole perché erano lacrime di felicità.
 


 
Dicembre


Era ora mai passato un anno dall’incidente di Rachel, il giorno di Capodanno, a casa Jones, ed erano successe un sacco di cose da allora, in effetti, era stato un anno grandioso per tutti loro. Rachel e Finn aveva comprato casa e vivevano insieme ora mai diversi mesi, ed erano più uniti che mai. Rachel, in oltre, aveva chiesto aiuto a Mercedes per un possibile lavoro e la ragazza era riuscita a inserirla nel musical che stava mettendo in scena in quel momento. Kurt ne era stato molto felice, parlando del talento di Rachel che sarebbe stato sprecato altrimenti e Blaine non smetteva di ripetere che era strano vedere la Diva Trinità su un palco senza che volessero oggetti.

Rachel era molto felice, ovviamente. Aveva riacquistato molta sicurezza in se stessa ed era tornata la vecchia sé, grazie all’amore della sua nuova famiglia. Mercedes l’aveva aiutata con le canzoni ma sembrava nata per stare sul palcoscenico e anche il loro regista se ne era accorto. Finn aveva iniziato a frequentare vari corsi e aveva trovato un lavoro nel pronto soccorso dell’ospedale, Blaine aveva messo un buona parola per nome suo, per non dargli turni di notte, così da vegliare su Rachel durante il sonno. Rachel era stata male solo altre due volte ma niente di così grave. Solo piccoli cali di pressione.

Anche Kurt e Blaine vivevano insieme, ormai da quasi un anno. Erano una vecchia coppia sposata, come diceva sempre loro Mercedes, quando andava da loro per pranzo o quando aveva occasione di passare del tempo con Kurt, oltre le ore di prove. Erano adorabili. Avevano trovato il loro equilibrio e vivevano nella loro bolla di cristallo. Mercedes adorava vedere il suo migliore amico così felice ed era grata a Blaine per averlo reso così felice e non sprecava mai un secondo per dirglielo, anche se il moro finiva per sbuffare e le chiedeva di smetterla perché lo metteva in imbarazzo, ma alla fine sorrideva e l’abbracciava, grato lei per aver messo Kurt sul suo cammino.

Avevano passato così il ringraziamento, ringraziandosi avvicenda per essersi trovati ma quella era la notte di Natale ed erano pronti a scartare i loro regali, dopo aver mangiato fino a scoppiare. “Okay, non resisto più, devo assolutamente vedere le vostre reazioni al mio regalo per voi” esclamò Kurt, porgendo a tutti una bustina dorata. Non era da Kurt fare regali così piccoli e questo Mercedes lo sapeva e quando aprirono le buste, ebbe la sua conferma. Infatti il regalo si rivelò essere un biglietto aereo per l’Europa. “Avevo i soldi della vendita dell’appartamento e ho pensato che sarebbe carino fare una vacanza tutti insieme”.

Ridacchiò quando venne assalito da tutti per essere baciato e ringraziato, segno che il regalo era stato più che apprezzato. Lentamente tutti i regali vennero aperti ma ben preso Kurt notò di non aver scartato nessun regalo da parte di Blaine e chiese confuso il perché. “Non mi sono dimenticato e il tuo regalo è dietro il divano ed è quel maglioncino che volevi ma prima che tu lo apra e prima si sentirmi chiedere se ti stava bene, ho bisogno di dire una cosa e voglio farlo qui, in questo giorno e con la nostra famiglia intorno” prese un respiro profondo prima di continuare, bloccando i movimenti di Kurt che aveva allungato una mano dietro il divano, per cercare il pacchetto.

“Ti amo e non ho mai amato nessuno in questo modo ma credo che tu questo già lo sappia ora mai. Sono stato affascinato da te fin da subito, e ogni volta che ti vedevo, volevo sentirmi parte di te, della tua vita, del tuo futuro. Averti al mio fianco per tutta la mia vita, la nostra vita. Se qualcuno mi si fosse avvicinato quel giorno, dicendomi che mi sarei svegliato ogni mattina, trovandoti addormentato al mio fianco, sarei corso da te e ti avrei baciato, senza chiedere, senza conoscerti perché lo sapevamo entrambi che sarebbe successo. Che ci saremmo amati in questo modo, ogni giorno.

“Per questa ragione non voglio aspettare altro tempo. Che sia troppo presto non mi importa. Quando questa mattina ho aperto gli occhi e tu eri addormentato al mio fianco, come dovrebbe essere, perché quello è il posto in cui apparteniamo, uno al fianco dell’altro, l’ho capito, come l’avevo capito quel giorno. Così sono uscito di casa e ho camminato, e c’era la neve per terra e si rischiava di cadere ma ho camminato fino a quando non ho trovato quello che cercavo. L’ho visto quasi un mese fa, quando mi hai parlato dei biglietti e della vacanza. Ho pensato fosse perfetto ma non lo potevo tenere in casa o l’avresti trovato, così sono andato a recuperarlo.

“E mentre tornavo a casa, nella nostra casa, immaginavo a come ti sarebbe stato bene e speravo di trovarti ancora addormentato, così da poterti vedere aprire gli occhi, così sarei stato la prima cosa che avresti visto. E avrei voluto chiedertelo in quel momento, quando i tuoi occhi hanno cercato i miei, e non sai quanto è stato difficile trattenermi dal chiedertelo. Ho persino chiesto a Mercedes di nasconderlo alla mia vista e tutto quello che ho fatto durante la serata è stato contare i secondi per questo momento ed è questo che sto continuando a fare ma deve essere perfetto perché sei pura perfezione per i miei occhi”.

Gli occhi di Kurt ricordavano un fiume al sole, per quanto erano luci e il modo in cui brillavano. Le sue mani tremano e cercava di restare in silenzio, aspettando il momento in cui Blaine avrebbe finito di parlare, per donargli un secondo di tregua ma quando lo vide prendere un secondo di pausa lo chiese, lo chiese e basta perché rischiava di impazzire. “Chiedermi cosa Blaine, perché se è quello che penso sarà meglio che tu smetta di contare e me lo chieda o rischiò di urlare dalla frustrazione delle tue parole. Cosa mi vuoi chiedermi piccolo”.

“Kurt Elizabeth Hummel,” una scatolina di velluto rosso era tra le mani di Blaine, mentre quelle di Kurt erano corse a coprirsi la bocca, quando una lacrime scese indisturbata, facendo rumore “mi faresti l’onore di svegliarti ogni mattina al mio fianco e di essere mio sposo?” chiese e la risposta di Kurt fu un bacio, perché si rifiutava di parlare, dopo tutte quelle meravigliose parole. Il suo cuore non riusciva a reggere di più, ma mentre lo baciava un era stato ben udito dal cuore di Blaine, che risposte alla stessa velocità di quello di Kurt.

“Credevo che non poteste più sorprendermi, non dopo avervi visto fare i sposini per tutto l’anno ma voi siete i Klaine e con voi tutto è un respiro rubato, chi altro vuole rapirmi il cuore eh?” disse singhiozzando Mercedes, che anche se a conoscenza delle intenzione del moro, non era riuscita a prepararsi a tutte l’emozioni che sarebbero arrivate poi. Spostò lo sguardo in direzione di Finn quando lo sentì tossicchiare “Non mi dite che vi state per sposare anche voi, perché dovrete occuparvi del mio funerale finita questa giornata” disse, facendo ridacchiare tutti.

“Non voglio rubare la scena a Kurt e Blaine ma vorremmo dire qualcosa anche noi e come Blaine, anche noi vogliamo farlo in questa giornata e con la famiglia presente” disse Finn, spostando il braccio dietro la schiena di Rachel, incoraggiandola a continuare per lui. “Ovviamente siamo molto felici per voi, siete una coppia bellissima e ho fatto il tifo per voi tutto il tempo. Anzi, è stato bellissimo farne parte e vedervi innamorare fino a questo momento e non vedo l’ora di vedere il resto della nostra vita ed esserci. Siamo anche molto fieri di te Mercedes e della tua parte da protagonista ma c’è un annuncio che io e Finn vorremmo fare.

“E sì, Mercedes, prepara il tuo cuore perché prima di dirlo, ho bisogno di dirvi grazie. Non faccio altro che farlo ma la mia felicità è così immensa grazie a voi, che non so che altro fare. Mi sento grata di far parte delle vostre vite e mi sento grata che voi tutti siate la mia famiglia. Mi avete svegliata dal mio sonno e ve ne sono grata. E potrei ringraziarvi per altre mille cose ma non è questo il punto” disse prendendo un respiro profondo, trovando il coraggio di continuare a parlare, senza scoppiare in lacrime. Perché anche la sua emotività era tornata e non sapeva se esserne grata o meno.

“Quando Finn mi ha chiesto di andare a vivere con lui, ho immaginato una famiglia tutta nostra, un luogo dove potevamo essere solo noi. Nessuna malattia, nessun ospedale. E se quella stessa persona fosse venuta da me Blaine, a dirmi che sarei tornata a sperare e sognare, probabilmente avrei pensato fosse solo un pazzo ma mi sarei sbagliata e sono felice. Felice di poter avere di nuovo la speranza e un cuore pronto a dare tutto l’amore che contiene e volevo dire molto di più” ridacchiò tra le lacrime “Ma se non lo dico subito esplodo”.

Sorrise e “Mercedes, Kurt, Blaine” disse i loro nomi sentendo il suo cuore tremare dalla contentezza e “preparatevi a diventare tutti zii perché io e Finn avremmo un bambino” disse, venendo stretta tra le braccia di Finn “Abbiamo avuto la conferma due giorni fa e—“, Mercedes l’avvolse tra le sue braccia e “La mia bambina avrà un bambino e io che credevo che questa giornata non potesse più sorprendermi e sono felice perché sarai una mamma incredibile e la tua bellezza finirà in quella creaturina dentro di te, creando una piccola stella, bella come la mamma”.

Anche Kurt e Blaine si congratularono con Rachel mentre Mercedes avvolse Finn in un abbraccio e “Ho sempre saputo che saresti stato un padre incredibile un giorno, che era quello a cui eri destinato. Il modo in cui ci proteggevi e ci facevi sentire tutti speciali. E ora avrai l’opportunità di essere un papà, di avere un figlio e di farlo sentire speciale e amato. Credo che questo sia una benedizione del cielo e so che la tua mamma non è qui per congratularsi, quindi questo abbraccio è anche da parte sua”. Finn pianse in quel abbraccio e un piccolo “Grazie” uscì dalla sue labbra, quel grazie che stava urlando il suo cuore.
 
 

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Capitolo 24
*** Se provi a volare.. ***







Otto mesi dopo

 
“Ancora non posso credere che tra un mese avrò il mio nipotino tra le braccia, anche se continuo a pensare che sia una lei, ma ne abbiamo già discusso abbastanza e non tirerò di nuovo in ballo questo argomento, no nella nostra serata. Mi dispiace solo che Kurt sia bloccato con il lavoro e che non possa raggiungerci”. Erano trascorsi otto mesi e la sua pancia era cresciuta, regalandole una bellezza magica, come diceva Finn, ogni volta la osservava. La vede passare una mano sulla sua pancia e “Zia ‘Cedes non vede l’ora di conoscerti” sussurrò, avvicinando il viso alla pancia e facendola ridacchiare.

“Certo che non ti rendi conto di quanto in fretta il tempo possa passare. Mi sembra ancora di essere seduta in quella sala d’attesa, guardandovi parlare e immaginando di far parte delle vostre vite, ed eccoci qui, quasi due anni dopo, più legati che mai” sorrise al ricordo di quel giorno, mentre se ne stava in silenzio a vederli interagire e la sua felicità quando li vide poi spostare lo sguardo su di lei, sorridendole. “Voglio dire, Kurt e Blaine sono sposati adesso e stanno pensando di adottare un bambino, Finn sta facendo carriera in ospedale e Blaine è diventato capo reparto. Per non parlare di te e della tua carriera. Anche la linea che avete creato tu e Kurt sta avendo successo”.

Raccontò, tornando a essere una persona di passaggio, seduta in quella sala d’attesa, con di fronte a sé un grande schermo per godersi lo spettacolo delle loro vite. “Fa strano pensare a quanto è successo, quando una parte di te è ancora bloccata a quel momento” sospirò, spostando una mano sulla pancia, regalando al piccolo felicità, sentendolo muoversi. “Hai ragione, sono successe un sacco di cose da quel giorno ma hai dimenticato qualcosa di altrettanto importante” disse Mercedes, attirando la sua attenzione.

“Sei parte di tutto questo anche tu” esclamò, come se fosse qualcosa di ovvio “Ci sei anche tu Rachel, non siamo solo noi e non saremmo noi senza di te. Sei il nostro colante e non dovresti dimenticarlo. Sei tu che hai aiutato Blaine nella sua scelta di accettare il lavoro offerto, tu che hai spronato Finn a continuare, a provarci sempre, tu a far amare l’idea di avere un bambino a Kurt, tu ci hai suggerito di creare una nostra linea. Per non parlare del tuo percorso personale.

“Adesso sarai anche bloccata a letto per ordine di Finn e raccomandazione di Blaine, ma non sono stata io a finire con l’esibirmi a Broadway, o a collaborare in una compagna per l’ospedale. Hai aiutato tutti Rachel Berry e la tua felicità non fa che alimentare la nostra. So che alle volte fa strano rendersi conto di quello che siamo ma sei parte di questa famiglia. E onestamente, non sei mai rimasta bloccata in quella sala d’attesa e tutti noi siamo andati avanti grazie al tuo sorriso, alla tua forza, al tuo cuore grande” le sorrise commossa, ringraziandola con lo sguardo.

“Voglio dire, cosa sarebbe successo a noi se non ci fossi stata tu? Cosa sarebbe successo al nostro Finn, per esempio, se tu non gli fossi rimasta accanto durante la prima ecografia, sarebbe svenuto senza di te, questo è più che sicuro” sdrammatizzo. Si guardarono serie e scoppiarono a ridere al ricordo di questa giornata. Sembra essere passata una vita intera da quel episodio e alle volte, un solo secondo. O forse erano solo loro a essere cresciuti, sorretti l’uni da gli altri e mai soli. La creaturina dentro di lei scalciò, ridendo già del padre e del suo essere così sbadato.
 



 
               La gamba non riusciva a stare ferma, si muoveva a scatti regolari, e l’avrebbe trovato fastidioso se solo non si sentisse così nervoso da trovare in quel movimento un po’ di conforto. Erano passati quasi quattro mesi dalla cena di Natale, da quando avevano aperto i loro regali ed espresso la loro gratitudine. E si sentiva grato quando sentiva Kurt e Blaine parlare del matrimonio e lo coinvolgevano in esso. Si sentiva grato quando hanno fatto le valigie e sono partiti insieme alla scoperta dell’Europa. Si sentiva grato quando Mercedes aveva ottenuto un ruolo da protagonista. Ed era grato e fiero quando Rachel aveva creato un concerto di beneficenza, facendoli esibire tutti.

Ma detestava le sale d’attesa e più cercava di evitarle e più tempo ci passava, ma almeno quella volta non era solo e fu un “Capisco che sei in ansia ma è solo un controllo piccolo, come tutti gli altri già fatti” di Rachel a ricordarglielo. “Sei ancora d’accordo sul non volere sapere il sesso del bambino?” chiese subito la ragazza, e la sua gamba smise di muoversi, il suo cuore si prese un respiro tra un battito e l’altro. Non importava quanto tutto lentamente stesse diventando reale, il suo corpo aveva la stessa reazione quando quella dolce realtà raggiungeva la sua mente. Stavano per avere un bambino, starebbero stati dei genitori e la felicità scoppiò nel suo petto, come tutte le altre volte.

“Sì, sono ancora convinto che dovremmo aspettare, se è quello che vuoi ancora tu” chiese e quando la ragazza annuì, sorrise ma le sue gambe ripresero a tremare quando fu il loro turno di entrare. Non aveva niente contro quel posto, era stato Blaine a consigliarlo perché conosceva personalmente il personale che ci lavorava, ma non poteva negare che gli metteva una certa ansia. Non ne parlavano quasi mai ma faticava a dimenticare la notte di Capodanno e come stava per perdere tutto quanto. Deglutì ed entrò nella stanza, prendendo la mano di Rachel tra le sue.

Il medico fece stendere Rachel sul lettino, mettendole del gel freddo sulla pancia poco dopo. Sullo schermo cercò qualcosa di famigliare, qualcosa che aveva visto già altre volte. Sorrise quando trovò la sua piccola creaturina. La sua mano ancora stretta a quella di Rachel si fece più salda e respirò, non volendo perdere l’equilibrio come l’ultima volta. “Oh, sarà meglio che chiudiate gli occhi se non volete uno spoiler sul sesso del bambino” informò il medico e gli occhi di Finn erano puntati in quelli di Rachel, si sorriderò, mentre il dottore finiva la visita e controllava che andasse tutto bene. “Ti amo” mimò con le labbra, sentendosi felice.
 



 
“Adesso che ci penso è diventato molto emotivo, da quando aspettate. Anche alla mia prima stava quasi per mettersi a piangere, e dico quasi perché è andato via con la scusa di dover andare in bagno e non voglio saperlo o rischio io di finire in lacrime” sorrise, ricordando che non era mai andato al bagno ma era corso da lei, per farsi abbracciare. “Forse siamo tutti quanti diventati un po’ emotivi e di momenti per esserlo ce ne sono stati, tipo il matrimonio Klaine. Oh, lì si che ho pianto”.

“Sarebbe difficile fare diversamente con i loro voti e la cerimonia in genere. Devo dire che il mio momento preferito è stato il primo ballo. Ricordo che la creaturina nella mia pancia ha ballato insieme a loro, e non sono sicura se per via della musica o perché poteva percepire le mie emozioni. O forse ha percepito il loro amore, dato che era possibile respirare nell’aria quanto fossero felici e quanto si amino e—“ una sensazione strana l’avvolse, una sensazione bagnata e “Mercedes, non vorrei allarmarti o rovinare la nostra serata, ma credo che mi si siano appena rotte le acque”.
 



 
               Era stato difficile scegliere una location per il matrimonio ma era felice del parco che Rachel era riuscita a trovare. Era perfetto per loro due. Tutto era stato sistemato quella stessa mattina, sotto lo sguardo attento di Mercedes, che coordinava le azioni. Finn aveva lavorato alla musica e Rachel si era occupata degli inviti e di accompagnare la gente al proprio posto. Tutto era pronto, mancavano solo loro. Non vedeva Blaine dal giorno prima. Aveva festeggiato la loro festa di celibato separati, ma si era assicurato di mettere in guardia Finn e di non farlo bere troppo.

Era quasi calato il sole quando la cerimonia era arrivata al termine, e tutti si diressero verso il rinfresco, che si teneva sempre all’esterno. Prese posto e osservò i tavoli intorno al loro. Era una cerimonia intima e ogni persona invitata aveva un posto speciale nel loro cuore. Un rumore di posata contro un bicchiere di cristallo lo fece voltare, notando Blaine. Era bellissimo e la fede che aveva al dito brillava contro i raggi delle candele. Lo osservò innamorato mentre attirava l’attenzione di tutti su di sé. Voleva baciarlo.

“Vorrei un secondo della vostra attenzione, per favore” disse, facendo poi voltare il capo verso di lui. “Questo sarà il più bel giorno della mia vita, per molto molto tempo e sono felice di averlo vissuto con te. Vorrei parlare di te a tutti ma tutti i presenti già conoscono la tua meraviglia e vorrei parlare di quello che provo per te, ma sarebbero parole già sentite, dato che non faccio altro che ripeterle. E allora propongo un brindisi” disse, sollevando il calice pieno “All’amore della mia vita, che ho aspettato e che alla fine mi ha trovato. Grazie per non avermi fatto aspettare troppo”.

Si sollevò e, cingendo le sue braccia intorno al collo del moro, lo baciò. Il suo cuore non si era mai sentito così pieno per tutte quelle emozioni, eppure non smetteva di battere come un forsennato nel petto. “Grazie per non essere stato troppo lontano da me” sussurrò contro le labbra del ragazzo, insieme a un “La mia ricerca è stata molto più veloce così, ti amo” che fece sorridere il moro. “Non sono bravo con le parole come mio marito” quasi pianse al suono così dolce e suo di quella parola “Ma vorrei avere l’onore di questo ballo” e le note di  A Thousand Years, fecero illuminare i loro occhi. Erano felici ed innamorati.
 



 
Chiuse in fretta lo sportello dell’auto una volta all’interno. Sentiva caldo e la sua fronte era imperlata di sudore. “Continua a respirare tesoro, saremmo lì più velocemente possibile” continuava a ripetere Mercedes, mettendo in moto l’auto e partendo. Faceva respiri profondi, ma sentiva le contrazioni sempre più forti e vicine, facendole sentire la testa leggera. Voleva addormentarsi, sarebbe stato piacevole ma sapeva che se l’avrebbe fatto, non sarebbe stato un buono segno, così continuò a respirare. “Kurt, ehi, Rachel sta per partorire, noi siamo in auto dirette all’ospedale, corri lì e avverti Blaine e Finn che stiamo arrivando”, sentì la voce dell’amica dire al telefono.

Doveva calmare il battito in regolare del suo cuore, lo sapeva. Sapeva che doveva calmarsi e non farsi prendere dal panico e quando credete di impazzire la sentì, come un ricordo lontano. Quella canzone. E provò a raggiungerla e faceva; “Se provi a volare ti accorgi che qualche stella sta lì per noi e sfiorandole sei più libero” cantò piano, forse sbagliando anche il tempo ma la voce di Mercedes la fece continuare e “Tu lo sai che il mondo non ti accetta mai per quello che sei e allunga le distanze per dividerci Ma se tu mi sarai accanto, io ci crederò” intonarono insieme.

Voltò il capo e sorrise alla ragazza e insieme continuarono a cantare, mentre la distanza per l’ospedale diminuiva. “Se provi a volare ti accorgi che qualche stella sta lì per noi e sfiorandole sei più libero, sei più libero. E la senti forte, come un'onda blu dell'oceano un sentimento enorme, proprio dentro te. Stringimi la mano ed io non ti lascerò” e il bambino sembrò calmarsi, sembrò apprezzare le loro voci, quella canzone. E persa in un ricordo, chiuse gli occhi, quando ormai le porte dell’ospedale era visibili e ora poteva smettere di avere paura. Ora era al sicuro.
 
 



               Non si sentiva così nervosa neanche il giorno della prima. Non sapeva spiegarlo con certezza, ma sentiva nello stomaco una sensazione di confusione e caos. Fece un respiro profondo, aspettando che Rachel la affiancasse, sorrise quando la vide camminare nella sua direzione. “Ho lo stomaco sotto sopra” la informò, quando fu abbastanza vicina per sentirla. “Il giorno della prima sembravo una tazzina di camomilla in confronto ad oggi” ridacchiò, cercando di mandare via il nervosismo.

“Vedrai che andrà via una volta sul palco e in ogni caso, non sarai da sola. Ci sarò io e sarò lì a prenderti la mano, in qualsiasi momento” e quando arrivò il loro momento, Rachel la prese per mano, guidandola verso il palco e facendo un piccolo inchino. Era così fiera di lei. Quando l’aveva conosciuta, era nascosta da strati di tristezza e solitudine. Adesso era un fiore che aveva finalmente sentito il calore della primavera e si era deciso ad uscire alla luce del sole. Facendo dono al mondo dei suoi colori.

Been a lot of places, I’ve been all around the world. Seen a lot of faces, never knowing where I was. On the horizon. But I know, I know, I know, I know. The sun will be rising back home” cantò con lo sguardo ancora rivolto verso l’amica. Quando le aveva parlato di voler mettere in scena uno spettacolo di beneficenza per l’ospedale, si era subito offerta di cantare, e di farlo insieme a lei. Aveva coinvolto tutti, anche i bambini più piccoli. E ora erano all’ultima canzone ma sembrava più un inizio.

Leaving out the cases, ain’t packing up and taking off. Made a lot of changes, but not forgetting who I was, On the horizon. Well I know, I know, I know, I know. The moon will be rising back home” e questa volta fu il turno di Rachel di cantare e sorrise. Non avevano provato quella canzone, Rachel non aveva voluto. Continuava a ripetere che avrebbero saputo come cantarla e come armonizzarsi una volta sul palco ed aveva ragione. Sentiva la canzone dentro di sé, per questo fece un respiro profondo e rafforzò la presa sulla mano della ragazza. Per ricordarle che non erano solo e che erano proprio lì, una accanto all’altra

Don’t forget where you belong, oh. Don’t forget where you belong, oh. If you ever feel alone, don’t. You were never really on your own. And the proof is in this song” e quelle parole erano solo per loro, dimenticarono il pubblico, l’ospedale, il dolore, il mondo. Erano solo loro due, sedute in quella sala d’attesa a sorridersi, a conoscersi, ad essere parte dell’altra. E il mondo lo sapeva, sapeva che era il loro momento e si fece piccolo, lasciando parlare i loro cuori.

I’ve been away for ages, but I got everything I need. I’ve flicken through the pages, I’ve written in my memory. I feel like I’m dreaming. Oh, so I know, I know, I know, I know. That I’m never leaving, No, I won’t go” cantò ancora Rachel, spostando lo sguardo da lei al pubblico. Era una performer nata e glielo aveva anche detto un paio di volte. Il palco era la sua casa, come lo era per lei. Ma solo quando non erano sole su di esso, che si sentivano anche protette.  

Lights up, and they should be on. Even stars in the sky they’re wrong. Short days where the nights are long. When I think of the days I’m gone. Don’t matter how far I’m gone. I’m always feeling like home” quel verso lo sentì suo, più di tutta la canzone. Era quello che sentiva, era quello che provava. Cantò quella strofa con tutta se stessa e la confusione che aveva provato, venne spazzata via da quelle parole. Le cantò come se non potesse più cantare dopo quel momento, sorridendo.

Oh, don’t forget it. Oh, If you ever feel alone, don’t. You were never really wrong and the proof is in this song” iniziò a cantare Rachel, mentre portava a termine l’acuto. “Never forget it this song. Don’t forget it. No one never forget it this song. You were never” continuò, unendo le loro voci come le loro vite. Il concerto era arrivato al termine, i soldi necessari erano stati racconti e tutti erano felici di aver trascorso una bellissima giornata in compagnia della musica. Ma quella canzone non lasciò il suo cuore mentre tornava a casa e si infilava sotto le coperte.
 



 
Le luci sembrano offuscare ogni cosa intorno a lui, nella sala operatoria. Il bip constante delle macchine lo confondevano. Non era il suo lavoro ma era un medico, il medico di Rachel, e non avrebbe permesso a nessuno di restarle accanto. Lo sguardo implorante di Finn era scalfito nella sua memoria visiva ma non poteva pensarci, doveva restare concentrato. Si passò una mano sugli occhi e si avvicinò al corpo dormiente di Rachel. Era un’operazione delicata e dipendevano due vite dalla riuscita di essa.

Quando aveva visto il corpo immobile di Rachel tra le braccia di Mercedes, per un secondo, un lungo e triste secondo, aveva temuto il peggio. Rachel era arrivata in ospedale non cosciente, svenuta ma Mercedes era stata forte per tutti, e l’aveva consegnata nelle sue mani. I loro volti in lacrime e il suo che era impassibile, doveva esserlo. Sarebbe andato tutto bene, continuava a ripetere. Aveva fatto preparare la sala operatoria e chiesto di poter assistere, in fondo era il suo medico da così tanto tempo, oltre che amico.

“Cosa abbiamo qui?” chiese il medico che si sarebbe occupato dell’operazione. “Ha un emorragia interna ed è arrivata priva di sensi in ospedale. Il suo cuore è molto debole e la sua salute è già precaria. In passato ha già avuto infarti e qui c’è il suo medico con la sua cartella clinica, dottore” rispose prontamente un’infermiera, finendo di portare il vassoio con tutti gli utensili utili. Il dottore spostò lo sguardo su di lui e gli sorrise complessivo. Un sorriso triste che gli strinse il cuore, non più in grado di reggere alla tensione.

“Che cosa propone di fare dottore, perché non accetterò di portare fuori di qui un corpo senza vita. Li voglio sani e salvi entrambi e questa è l’unica realtà che accettò” disse, serio come non me. Facendo capire al quel uomo che aveva in mano la vita di una persona molto cara a lui e che si sarebbe dovuto confrontare contro la sua tristezza, in caso di fallimento. “Un fallimento non è accettabile oggi” continuò e annuì al “Non dovrebbe essere accettabile mai”.

“Direi di far nascere questo bambino, se siamo tutti pronti e dopo ci occuperemo della paziente. Anzi, perché non ci pensa lei Dottor Anderson? Controlli che i suoi valori non sballino durante il parto e che resti cosciente per quando tutto sarà finito” annuì e prese postazione, facendosi piccolo e guardando l’operazione dal piccolo monitori. Passò una mano tra i capelli di Rachel e le sorrise, oltre la mascherina, dove nessuno poteva vedere. “Andrò tutto bene” sussurrò, per Rachel, per la famiglia ad aspettare in sala d’attesa e soprattutto per lui.

“I valori stanno cambiando dottore” fece notare un’infermiera, tenendo tra le mani un asciugamano e non spostando lo sguardo dal monitor con i segni vitali di Rachel e del piccolo. Spostò lo sguardo e i suoi occhi si sbarrarono, non andava bene. Non andava affatto bene. “Cerchiamo di restare concentrati per ora, tenetela stabile il più possibile, iniziò a vedere la testa” rispose il dottore e il cuore di Blaine si sentì stanco, troppo stanco ed erano state quelle parole ad affaticarlo. Non ce l’avrebbe fatto, pensò ma mandò via subito quel pensiero, tornando a prestare attenzione.

“Non reggerà molto” parlò di nuovo l’infermiera, asciugando il sudore sulla fronte del dottore “Se il bambino non nasce subito, la perderemo dottore, che cosa consiglia di fare?” chiese e il corpo di Blaine si sporse in avanti, pronto a proteggerla, pronto a difenderla, ad attaccare se sarebbe stato necessario. “La priorità è il bambino al momento” disse “Faremmo il possibile ma il bambino deve vedere la luce, lo devo sentire piangere, deve essere al sicuro, mi dispiace” continuò e questa volta parlò guardandolo negli occhi. Voleva dormire, svegliarsi e trovarsi al fianco di Kurt. Immaginando che tutto fosse un brutto sogno.

Si risvegliò però, ed era ancora in quella sala operatoria. Rachel stesa ancora addormentata, i suoi segni vitali in calò e un bambino che stava lottando tra la morte e la vita. Ancora non capiva niente, ancora non aveva visto niente di quel mondo, eppure si aggrappava alla vita della mamma con forza, rendendo difficile e complicato quella operazione. Sorrise, mentre una lacrime scese lungo le sue guancie, perché aveva la stessa forza di Finn e lo stesso coraggio di Rachel.

E non poteva andarsene così presto, non senza averli conosciuti, non senza averli resi felice. “Gliel’ho già detto, signore. Non accettò un fallimento. Non oggi. Non. Oggi.” scandì le lettere con attenzione, facendole sembrare stridule, comprendo ogni rumore intorno a loro. Il medico sollevò lo sguardo e sembrò starsi per scusare, quasi chiedere perdono di fronte quella forza ma tutto venne spazzato via. Tutto perse senso o ragione, e quelle parole mai dette divennero insopportabili quando “La siamo perdendo signore”.

 
E corri, dai tutto per essere
fino infondo quello che vuoi.
E se ce la fai,
sei più libero, sei più libero

"Ed io in te, crederò,
se vorrai ci sarò,
canteremo per il mondo,
che se vuoi, ce la fai
lo amerò, lo amerai
perché tu sei libero"









 
Note:

Ed eccoci alla fine di questa storia, ovviamente manca ancora l’epilogo, ma ci siamo. La storia senza trama è finalmente giunta alla sua conclusione. Non sono molto convinta di questo capitolo ma del resto non legge nessuno, quindi va bene così. Ma la parte finale è decisamente la mia parte preferita. Se provi a volare come colonna sonora a questa storia, ha finalmente trovato il suo momento per far ascoltare la sua melodia. Domani sarà l’ultimo giorno di questo 2015 e sono fiera per questa storia, per il mio anno e sono felice perché questa storia vedrà la sua reale conclusione nell’anno nuovo. Dando il benvenuto al 2016 insieme e poi sarà il mio turno di salutarla. Detto questo, alla prossima, per l’ultima volta..

Sandfrost in Jacobba's
 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Lights go down
And the night is calling to me, yeah
I hear voices singing songs in the street
And I know that we won’t be going home
For so long, for so long
But I know that I won’t be on my own
 

Il cielo era una macchia di calma sopra le loro teste. Il sole aveva deciso di uscire dal suo nascondiglio -dopo giorni interi di pioggia intensa- a regalare calore in quella giornata. Rendendo il bianco intorno a loro piacere per gli occhi stanchi. La chiesa sembrava un miraggio, i fiori si beavano di quella luce calda e gli uccellini si bloccavano sulle scalinate, incuriositi su quello che sarebbe successo subito dopo. Una quiete particolare li avvolgeva, aspettando l’inizio di tutto.

Il chiacchiericcio della gente era quasi insopportabile, e aumentava, man mano che i minuti passavano, rimbombando all’interno della chiesa. Le persone che oltrepassavano l’imponete porta d’ingresso, si inchiavano di fronte l’altare e dopo prendevano posto, sedendosi al fianco di chi conosceva, commentando qualsiasi cosa capitasse loro a tiro. Mercedes si passò una mano sulla tempia destra, lasciandosi andare a un sospiro basso e stanco.

Era rimasta tutta la notte sveglia a far compagnia a Kurt, che non riusciva a prendere sonno. Non si sarebbe sorpresa se le sue occhiaie fossero ancora ben visibili, anche sotto tutto il correttore che aveva usato per coprire il tutto, ma del resto, non ne faceva una colpa al suo migliore amico. Anche lei non riusciva a dormire, anche se adesso rimpiangeva quelle ore di sonno perse. Kurt continuava a parlare, tenendola sveglia e facendole compagnia in quella notte così particolare.

Stringeva tra le mani un fazzoletto bianco di cotone, pronta ad asciugare ancora una volta le lacrime che sarebbero arrivate. Aveva premesso a Finn che quando sarebbe arrivato il momento, non avrebbe versato una singola lacrima ma era una promessa che sapeva già di bugia. Lo sapevano tutti e Finn le aveva sorriso ma dentro quel sorriso, c’era la consapevolezza che avrebbe pianto anche lui, come tutti loro. Erano tutti così emotivi, che nessuno avrebbe fatto una colpa loro per quelle lacrime. In quella giornata, tutto era consesso loro, o almeno era quello che continuavano a ripetersi per sentirsi meglio.

I bambini inconsapevoli dell’importanza di quella giornata che si rincorrevano tra i banchi e le persone. Risate. È tutto quello che Mercedes vorrebbe sentire in quel giorno; tante, rumorose, risate. Ma si asciugò una nuova lacrima alla realizzazione, e niente era ancora successo. E non si sorprese al: “Ci stai credendo? Perché io me lo sto ripetendo e ancora non riesco a realizzare al perché della nostra presenza in questo luogo e quando provo a dirmelo, non posso non piangere. È successo così in fretta. È tutto così surreale, non lo pensi anche tu ‘Cedes?”.
 
 
Right now
I wish you were here with me
‘Cause right now
Everything’s new to me
You know I can’t fight the feeling
And every night I’m feeling
Right now
I wish you were here with me

 
Non spostò lo sguardo dall’altare ma mosse una mano al suo fianco, alla ricerca di quella del suo migliore amico, che l’aveva raggiunta in quel preciso momento. “Se solo penso che è la mia bambina, io” e una nuova lacrima bagnò la sua guancia, rovinando il suo trucco. Si fece aiutare da Kurt a mandare via le macchie e sorrise all’amico. “Sta succedo veramente, non è così?” chiese, ma era una domanda a cui non serviva una risposta, per questo aggiunse: “So che alla fine dovrò farmene una ragione ma è la mia bambina e sentivo, un qualche modo, che era compito mio accompagnarla nella crescita, capisci?”

“Eh sì, mia ‘Cedes, dovrai proprio fartene una ragione, la tua bambina è andata ma non sarà mai troppo lontana da te, su questo puoi starne certa. Questa è una promessa che dovrà rispettare per tutto il resto delle nostre vite e adesso sorrisi tesoro” disse e le campane iniziavano a suonare, segno che la funzione stava per avere inizio. “Sta per succedere, non è bellissima?”. Voltò il capo, per la prima volta, a quella domanda che non aveva bisogno di una risposta. Socchiudendo gli occhi per la luce ma vedendola chiaramente, avvicinarsi sempre di più. Muovendosi verso la navata come se fosse per sempre.
 
 
And I could do this forever
And let’s go crazy together
Light go down
And I hear you calling to me, yeah

 
Le note di un organo risuonarono, facendo tacere il suono delle campane. La musica fece sorridere tutti, nessuno escluso, suonava di felicità e gioia. Mercedes era già pronta a piangere ancora. La marcia nuziale proseguiva, come il cammino di Rachel, i suoi papà al suo fianco che l’accompagnavano, tenendole la mano. Sorrise quando ricordò le intenzioni di Finn e la sua cocciutaggine a voler chiarire la situazione tra la famiglia Berry, anche contro il volere di Rachel ma alla fine era andato tutto bene e tutti erano lì. Spettatori di quello spettacolo meraviglioso.

Il paggetto e la damigella che spargevano petali di fiori, nei loro vestitini canditi e le guancie rosse. I papà Berry le baciarono le guancie, una volta arrivata, augurandole il meglio, lasciandola andare al fianco del suo presto marito, tornando al loro posto. Si sorrisero con calma, con amore, con tutto il loro cuore. E dopo si voltarono ai loro lati dove Kurt, Blaine e Mercedes sorridevano loro. Erano stati lieti di essere stati scelti come testimoni di nozze.

Li avevano fatti accomodare nel loro soggiorno, durante uno dei loro pranzi di famiglia, nessuno si aspettava niente ma quando mostrarono le loro fedi, l’entusiasmo era esploso nella stanza. Rachel si era seduta sul pavimento, fissando Kurt e Mercedes con amore, ringraziandoli ancora per tutto quello che avevano fatto per lei e chiedendo loro di essere i suoi testimoni. Ovviamente accettarono senza neanche lasciarla finire. Finn lo chiese a Blaine, ritenendolo come un fratello per lui, il loro abbraccio commosse tutti. Ma essendo dispari, Finn aveva chiesto a sua zia di essere la propria, in modo da far coppia con Blaine.

La zia di Finn era gentile. Era l’unica sorella di Carole, madre di Finn, e le assomigliava in molti aspetti, tra questi, il suo modo di sorridere e la felicità contagiosa. Finn ci aveva pensato per giorni ma la scelta non era stata poi così difficile. Non la vedeva spesso, considerato la distanza, ma l’aveva trattato sempre come suo figlio. Erano partiti in Ohio per chiederlo nel modo corrette e aveva accettato dicendo solo; “Ci sarò, voglio esserci a nome di tua madre. Sarà con voi, e la troverete nel mio volto, quindi sorridi piccolo, lei vedrà il vostro grande giorno”.

“Siamo qui riuniti oggi per celebrare l’amore di queste due anime che, si sono trovati, mentre le loro vite si erano perse e bloccate e oggi, si unisco nel sacro vincolo del matrimonio, unendo i loro cuori e rendendo le loro anime, una sola. Circondati da amici che li hanno visti crescere, come persone e nel loro amore. Tra parenti ritrovati e familiari ricongiunte. In questo giorno speciale, queste due anime, si scambieranno le fedi che rappresenteranno le loro vite, vivendo per sempre in simbiosi”. La bellezza di Rachel e il sorriso raggiunte di Finn parlavano meglio di ogni parola.

Il tempo volò leggiadro come le ali di una farfalla e ben presto, arrivò il momento e quando il prete esclamò: “E adesso è il momento delle promesse che avete scritto”, i loro cuori erano già pronti a esplodere d’amore e di commozione. Mercedes strinse con più intensità la mano di Kurt, che ancora non aveva avuto il coraggio di lasciare. La mano libera di Kurt si posò su quella della ragazza e sorrise, guardando di fronte a sé, perdendosi negli occhi di suo marito, che lo guardava e faceva la stessa cosa.

“Mia piccola stella, Rachel Berry” così decise di iniziare la sua promessa Finn. I suoi occhi come pozzi d’acqua pronti a bagnare ogni cosa, il sorriso che non voleva spegnersi e il suono del suo cuore che accarezzavano l’immagine di Rachel e le loro mani unite. “Avrò pensato per notti intere a cosa poter dire nella mia promessa, sono rimasto molte di quelle notti sveglio a guardarti dormire e allora l’ho capito. Ho capito cosa alla fine avrei detto. Perché sei tu.

“Sei quello che stavo cercando, quando avevo smesso di crederci. E ti ho trovato proprio nel luogo da cui non mi aspettavo niente, considerato quanto mi avesse tolto. Quando mi hai guardato, sapevo che mi stavi aspettando, che fossi destinato ad essere lì, a essere parte di te e che mi avresti fatto sentire completo e felice di nuovo. Ho rischiato di perderti un po’ troppe volte e continuavo a cercarti. Non ho mai smesso di farlo perché quello che ho realizzato, è che tu non avresti mai smesso di aspettarmi.

“Continuerò a cercarti perché consapevole che tu continuerai ad aspettarmi ma in questa giornata, oggi come domani e per il resto delle nostre vite, non ti prometto che smetterò di cercarti ma con tutto il mio cuore so che tu continuerai ad aspettarmi, ad amarmi e a essere tutto quello che stavo cercando quando avevo smesso di credere. Sei la mia vita, Rachel Berry e ti amo così tanto, ogni secondo di più” sorrise e sussurrò, solo per loro, solo per lei, “Sei bellissima mia piccola stella”.

“Rachel” richiamò l’attenzione della ragazza il prete, sorridendo, vedendo nei suoi occhi tutte quelle emozioni che la stava facendo sollevare i piedi da terra per la contentezza. “Finn Hudson, amore della mia vita” iniziò invece Rachel, stringendo tra le sue mani, le mani di Finn e amando, con lo sguardo, con il sorriso, con tutta la sua anima, con tutto il suo cuore. “Abbiamo usato un sacco di parole per descrivere quello che abbiamo e quello che siamo per l’altro, in questi anni. Come i grazie che ci siamo ripetuti, perché grati è quello che siamo.

“Trovare qualcosa da dire in questa occasione così speciale, mi fa battere il cuore forte nel petto. Come te, anche io ci ho pensato e ripensato ma non ho bigliettini con me o note mentali per ricordarmi quanto io ti ami. Ho detto a me stessa che quando sarei stata di fronte a te, avrei trovato le perfette parole da dire ma adesso sono senza fiato e tutto   quello che riesco a pensare e che voglio baciarti” rise e la chiesa sembrò prendere vita per ridere insieme a lei. Finn nascoste il suo sorriso, cercando di rimanere serio.

“Come posso parlare di quello che sente il mio cuore senza renderlo schiocco? Come posso raccontare il modo in cui mi hai salvata quando stavo sprofondando senza rendendo, senza sprecare altro tempo? Hai detto che ti ho aspettato ma quello che non ti ho mai raccontato e che quella stessa mattina, mentre mi perdevo con lo sguardo tra la folla oltre il vetro della finestra, ti ho cercato. Ho cercato un volto sconosciuto, di cui non sapevo ancora il nome ma che sapevo sarebbe venuto a rendere la mia vita come un fiore pronte a sbocciare.

“Forse ti ho cercato nello stesso istante in cui cercavi me, mi hai trovato nello stesso istante in cui ti aspettavo. Destinati a essere qui, tra le persone più importanti della nostra vita a renderlo giusto, perché è giusto quello che siamo. A renderlo immortale nei nostri cuori, oltre quel momento in cui avremo entrambi il capelli bianchi e tutto quello che vorremmo fare sarà starcene seduti sul divano a guardare fuori dalla finestra e nel mio cuore, saprò sempre che sei stato tu e tu saprai la stessa cosa e questo basta e questo è sempre stato il mio amore per te perché ti amo, Finn Hudson, grazie per avermi cercato”.

“E adesso gli anelli” annunciò il prete. Gli sguardi di tutti si spostarono verso il paggetto e la damigella che, mano nella mano, portarono le fedi sull’altare. “Io Finn Hudson, accolgo te Rachel Berry, come mio sposa”, prese tra le mani la fede e la avvicinò al dito di Rachel. “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. E di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” sorrise ed esclamando: “Rachel, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà” infilò l’anello al dito di sua moglie.

“Io Rachel Berry, accolgo te Finn Hudson, come mio sposo” la voce di Rachel tremò e Finn sorrise innamorato, guardandola prendere la fede tra le sue mani e “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. E di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” ripeté il rito, prendendo la mano di Finn tra le proprie e avvicinando l’anello, esclamò ancora “Finn, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà” infilò l’anello, senza spostare lo sguardo dal volto di suo marito.

“Con il potere da me conferitomi, vi dichiaro marito e moglie” una ovazione di grida e fischi fece ridere i novelli sposi, con ancora le mani intrecciante e i cuori pieni di amore. “E adesso, mio caro sposo, o forse dovrei sposa dato che è il momento che stava aspettando, può baciare lo sposo” tutti risero e una nuova ovazione fece rallegrare i cuori di tutti. i loro volti allontanarono la distanza e si baciarono. Un bacio casto ma che sapeva di amore e di attesa finalmente giusta al termine. Erano una cosa sola finalmente, come era giusto che fosse da principio. Una solo anima e due cuore che battevano allo stesso ritmo.
 
 

La festa era iniziata non appena messo piede nella sala che i due novelli sposi avevano scelto. Kurt aveva dato una mano ad allestire il tutto. Si era offerto di dare una mano ma alla fine era stato il loro angelo custode in tutte le scelte da prendere, aiutando il più possibile. La sala era stupenda, rappresentava a pieno la coppia e tutti erano felici di essere lì a festeggiare e a stare in compagnia. La musica aveva spinto tutti al centro della sala per dei balli scatenati e senza inibizioni. Ballarono come folli prima che attirassero la loro attenzione e “Un attimo di attenzione per favore, vi ruberò solo qualche minuto e una canzone”.

La musica calò e tutte le attenzioni vennero spostate verso la postazione della musica. Uno dei due papà di Rachel, aveva preso il microfono per parlare. Tutti gli invitati deciderò di andarsi a sedere, non perdendosi una secondo di quel momento mentre, il secondo papà di Rachel si avvicinava agli sposi, sorridendo raggiante, già consapevole di quello che avrebbe detto suo marito poco dopo. “Non serve dire quanto siamo lieti di essere qui, di nuovo con la nostra preziosa figlia e di fare la conoscenza di suo marito. Forse siamo anche più lieti sapendo che sei e sarai sempre tu, Finn, a prenderti cura della nostra bambina, come noi non abbiamo saputo fare”.

“Credo che quello che tuo padre stia cercando di dire, Rachel e che; ci concedi questo ballo?” la musica cambiò quando Rachel accettò la mano che suo padre le stava porgendo, conducendola al centro della sala. Finn venne invitato dall’altro padre di Rachel, che aveva lasciato il microfono per un ballo padre-figlia, o forse era meglio dire marito della figlia. Oltre sua zia, Finn non aveva nessuno ed era rimasto molto sorpreso quando avevano iniziato a ballare. In qualche modo, sentiva la sua famiglia vicina a lui in quel giorno speciale.

Le noto di Faithfully accompagnarono il loro ballo. Presto il padre di Rachel venne sostituito dalla zia, che in quella giornata aveva deciso di rappresentare la sua mamma. Ballarono con le lacrime agli occhi, i sorrisi sinceri sulle labbra e i loro cuori che battevo all’impazzata. Si scambiarono parole, ci furono delle scuse e dei perdoni. Tanti ti voglio bene e un bacio sulla guancia, fino a quando non furono uno nelle braccia del altro, per il loro primo lento da coppia spostata. Preso si unirono anche tutte le altre coppie, ballando intorno ai Hudson-Berry, che continuavano a volteggiare al centro della sala, baciandosi e sorridendosi.

Al termine della canzone, tornarono tutti ai propri posti per iniziare a pranzare. Mercedes sussurrò un “Un pranzo in famiglia, solo un po’ più numeroso” nell’orecchio di Rachel, prima di lasciarla andare a sedersi al suo posto. La ragazza sorrise, d’accordo sul quel pensiero della sua amica. Erano una famiglia separata che stava rimediando agli errori commessi in passato, per creare un futuro migliore e tutti insieme. Ma non importava cosa, la sua famiglia, sarebbe per sempre stata quella che l’aveva salvata quando credeva di arrendersi.


 
“Andiamo, lancia quel bouquet Rachel” urlò qualcuno nella folla, tra le risate e l’esitazione di Rachel, che non sapeva da che lato lanciarlo. Si preparò più del dovuto ma alla fine lo lanciò alle sue spalle, sperando di averlo fatto finire nelle mani giuste. Quando voltò il capo, rise e ne fu felice perché era tra le mani della sua migliore amica che, troppo occupata a prendersi cura di loro, non aveva mai trovato il tempo per dedicare più attenzione all’amore. “Credo che sia il momento di pensare un po’ a te Mamma ‘Cedes” sorrise, vedendo la ragazza sbuffare e “Non smetterò mai di prendermi cura di voi, anche se siete cresciuti e non siete più soli ma credo che tu abbia ragione”.

Si salutarono e abbracciarono. Rachel e Finn avevano un aereo da prendere e non potevano rischiare di perderlo, non ora che ci erano così vicini. Sarebbe stata una luna di miele, un regalo da parte della loro famiglia, l’unica famiglia di cui hanno sempre sentito l’esigenza. Sarebbero partirti per il mare, in crociera, perché il loro amore era nato tra le acque calde e dopo avrebbero fatto un salto alle terme. Rachel non vedeva l’ora e Finn farebbe qualsiasi cosa per vederla felice e sorridente in quel modo. Le sorrise mentre i saluti continuarono.

“Ow, ancora non ci posso credere che non vi vedrò per così tanto tempo” sussurrò Mercedes con voce tremante, mentre il suo corpo si lasciava andare nella stretta di Finn, che l’abbracciava infondendole tutto il suo amore e quando sarebbe mancata anche a lui “Prenditi cura di lei, okay? So che lo farai come hai sempre fatto in tutti questi anni, come so che l’amerai per ogni giorno della vostra vita ma, hai capito no? La lascio a te, quindi prenditene cura. Sorridenti, questa è quello che vi auguro per il vostro futuro. Una vita sorridente insieme”.

“Smettila di dire queste cose, ‘Cedes  o inizio a piangere” la spintono Kurt, unendosi all’abbraccio con già le guancie bagnate. “Ragazzi non saremo via così allungo, lo sapete? E poi non abitiamo neanche così lontani e ci sono i pranzi della domenica in famiglia. Niente ci separerà, questa è una promessa” cercò di confortare Finn, cercando di sorridere e di stringerli di più contro il suo petto. “Perché vengo sempre escluso? Voglio un abbraccio anch’io” sbuffò Blaine, vendendo trascinato dalle braccia di Mercedes e Kurt, bloccandolo in quel abbraccio pieno di calore.

“Questo significa che sono autorizzata anche io ad abbracciare la mia famiglia, giusto?” e senza aspettare una risposta, anche Rachel si unì all’abbraccio e “Vi voglio bene. Abbiamo trovato una famiglia quando non riuscivamo a trovare neanche noi stessi. Ci siamo trovati nello stesso momento, aspettando l’istante i cui i nostri cuori sarebbero stati pronti per il nostro amore. Non importa il tempo, le difficoltà, la distanza, niente potrà farci smettere di essere una famiglia, perché è quello che siamo ed è quello che saremmo sempre, quindi asciugatevi gli occhi perché non andiamo da nessuna parte se non siamo insieme”.

L’abbraccio rischiò veramente di farli perdere il volo e di non partire ma nessuno si staccò fino a quando le lacrime non si asciugarono sui loro visi e i sorrisi tornarono a regnare sul loro volti. Salutarono tutti, e la famiglia accompagnò la coppia sposata in aeroporto, per non lasciarsi ancora e vivere ancora un istante insieme. In macchina erano aumentati ma a nessuno importava ora mai. Cantando, ridendo e ricordando. Scoprirono di essere ancora in tempo e rallentarono i loro respiri, aspettando di sentire chiamare il loro volo.


 
Erano passati due anni, adesso, da quando Rachel aveva rischiato di perdere la vita durante il parto. In quella sala d’attesa ad aspettare notizie che non arrivavano mai, mentre Blaine continuava a lottare per tutti quanti e per lui stesso. Erano passati due anni in cui, alla fine, tutto era andato per il verso giusto e ce l’aveva fatto. Blaine aveva abbracciato quel medico così forte, da lasciargli dentro tutto quello che stava provando in quel momento. Rendendolo parte del dolore provato e della gioia che aveva donato tutti. Un fallimento non era accetto, questo era chiaro in quel abbraccio.
 

 
A week ago you said to me
“Do you believe I’ll never be too far”
If you’re lost, just look for me
You’ll find me in the region of the summer stars

 
Sorrise guardando i Finchel finalmente spostati e spostò lo sguardo, osservando i Klaine, protetti tra le abbraccia del altro. Si era presa cura di loro, facendoli sentire amati e speciali e adesso erano cresciuti, innamorati e felici. Ma non si sentiva fuori posto, c’era ancora qualcosa che aveva da fare prima di riposarsi e pensare un po’ a se stessa. A quel pensiero una bambina dai capelli castani, raccolti in modo ora mai non così ordinati, in un vestitino rosa pallido, le corse in contro e “Zia ‘Cedes, mamma dice che resterò con te mentre loro sono in vacanza, è vero?” chiese saltellando raggiante e “Potremo invitare anche gli zii vero? Non vedo l’ora di giocare con Lucas, è il migliore cuginetto di sempre”

 
We had some good times, didn't we?
We wore our hearts out on our sleeve
Goodbyes are bittersweet
But it's not the end
I'll see your face again

 
Il piccolo sollevò il capo a quelle parole e sorrise raggiuntante, prima di iniziare a ricorrersi, sentendosi ricordare da Kurt di non allontanarsi troppo e di non farsi male come sempre. Quel lontano giorno di due anni prima, non solo Rachel si era salvata da quel intervento così rischioso ma anche la loro piccolina, Stella, così avevano deciso di chiamarla. Quello stesso anno, Kurt e Blaine riuscirono ad aver l’adozione del loro piccolo Lucas, ed era stato un piacere per il cuore vederli crescere insieme. Quando li avevano presentato la piccola, piangeva ma tra le sue braccia si rilassò subito, come se sapesse e allora capì.
 

You will find me
Yeah you will find me
In places that we've never been
For reasons we don't understand
Walking in the wind

 
E in quel istante ho realizzato che le sarei stata accanto per sempre.

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