Strange pairs can achieve the most unexpected things

di themightyginger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***



Capitolo 1
*** I. ***


«La cosa difficile non è scrivere,
  ma scrivere quello che intendi;
  inoltre, non è influire sul lettore,
  ma influire esattamente nel modo
  in cui desideri farlo.»
R.L. Stevenson

Nassau, New Providence, 1715.

Nassau era l'inferno in terra.
Il Caos da toccare con mano.

Già a diverse leghe di distanza dal punto di approdo, la confusione del porto più famoso e affascinante delle Indie occidentali era udibile con chiara limpidezza. 
Quando le navi ed i vascelli svoltavano l'angolo, immettedosi nell'arco  dell'insenatura a forma di ferro di cavallo, vedevano comparirsi di fronte un agglomerato di casupole immerse in uno spiccato verde tropicale e orde di centinaia e centinaia di esseri umani -poco più che minuscoli puntini- impegnati in un perpetuo, quasi  compulsivo, andirivieni.
Da lontano, il porto di Nassau somigliava ad un fremente formicaio.

Quando il vascello mercantile, governato dal capitano Lawrence, aveva attraccato nel porto, la sua ciurma aveva scaricato le merci importate dall'Inghilterra con una notevole fretta, segno di un'esperienza ormai più che solida, per poi disperdersi, zampettando fino alla battigia tra le acque di un ceruleo cristallino quasi innaturale.
Soltanto una figura, insolita e sconosciuta alle spiagge di New Providence, si trattenne sulla prua della nave.
Appoggiata con le mani alla balaustra di un legno ricoperto da un impalpabile strato di sale, scrutava l'orizzonte con aria vigile, come se fosse alla ricerca di qualcosa, o qualcuno, in particolare.
Quando valutò di aver osservato abbastanza, si voltò, accingendosi ad abbandonare per sempre il veliero pirata sul quale aveva affrontato una traversata più che faticosa.
Sarebbe dovuta giungere settimane prima, a bordo di una nave olandese, veloce e di dimensioni ridotte, ma il capitano, un certo Van Dyck, non aveva voluto saperne di ospitare persone a bordo che non appartenessero al proprio equipaggio. 
Erano tempi pericolosi, quelli. 
I vascelli pirata si annidavano dietro ogni angolo e nessuno voleva correre il rischio di ritrovarsi un filibustiere infiltrato tra i propri uomini. 
Men che meno, qualcuno dall'aria estremamente ambigua come nel caso di quell'insolita figura.

Ma poi, per fortuna, il misterioso avventuriero aveva trovato un passaggio sul vascello di un tale Richard Thompson. La nave non aveva affatto l'aspetto di un mezzo veloce, ma sembrava ben solida. 
Thompson, d'altro canto, aveva fatto poche domande, come incurante dei retroscenari, limitandosi a chiedere un compenso più o meno equo, considerando la prevista durata del viaggio.
Thompson non aveva fatto troppe storie nemmeno quando aveva realizzato che la persona che lo stesse pagando fosse una giovane donna, accuratamente abbigliata da uomo.
E non aveva fatto storie perchè non avrebbe mai potuto, dato che Richard Thompson, in realtà, non esisteva.
L'uomo traccagno con dei capelli neri lerci e i lineamenti porcini viaggiava sotto falso nome, per concludere diverse trattative commerciali per conto, senza dubbio, di qualcun altro.
Si chiamava Lawrence e lui, quanto il suo equipaggio e il suo vascello, erano pirati provenienti e nuovamente diretti verso New Providence.
E a onor del vero, la giovane aveva intuito il reale stato delle cose ancor prima che la nave levasse gli ormeggi: l'aspetto degli uomini della ciurma di Lawrence non era affatto quello di uomini timorati di Dio.

Comunque, nonostante la compiacenza di Lawrence, la giovane si era curata di aggiungere un piccolo supplemento al compenso, affinché il capitano mantenesse la bocca chiusa.
Per una donna, viaggiare su un vascello abitato di soli uomini era un rischio considerevole già in condizioni ordinarie, se poi quegli uomini risultavano essere dei pirati, il rischio si andava a moltiplicare. E non di poco.
Tutti lo sapevano: chiunque conducesse quel tipo di esistenza -in sola compagnia del vento, della pioggia, del mare, e di pistole per amanti- era un uomo forgiato e avvezzo alle crudeltà più assolute, specie se incoraggiato dal retrogusto pungente del rum.

Nonostante tutto, la traversata verso il Nuovo Mondo era proceduta in relativa tranquillità. 
Nessuno dei pirati l'aveva avvicinata. Molti di loro, forse, non avevano neanche notato la sua presenza, dal momento che si era tenuta scrupolosamente fuori vista, ad eccezione delle ore notturne, durante le quali si concedeva di salire sul ponte di prua per inspirare una boccata d'aria fresca e ammirare la volta celeste puntinata di granelli pallidi come la sabbia dei Caraibi. 
Non che fosse un'esperta, ma aveva letto di nascosto dei trattati riguardo i misteri del cielo, i trattati di un famoso scienziato italiano - tale Galilei- vissuto circa un secolo prima; gli astri erano molto più affascinanti dal vero che riportati sulla carta, ma grazie a quei disegni, la giovane era riuscita a distinguere più d'una costellazione.
Era convinta, vista la vita che ipotizzava avrebbe condotto di lì in avanti, che quelle particolari nozioni le sarebbero state di grande aiuto. 
Alla fine, quasi dopo due settimane di navigazione, aveva imparato cose circa la vita di mare molto più utili del nome di qualche stella insignificante. Qualche altro giorno, e avrebbe potuto condurre da sola quel vascello maledettamente lento e carico di barili. Almeno in teoria.
Ma la sola vista di quelle isole -conosciute come Bahamas- in fin dei conti, era valsa qualsiasi sofferenza e qualsiasi stanchezza accumulata durante il viaggio.
La giovane donna aveva sorriso, trionfante, studiando con attenzione la vitalità del porto di Nassau, mentre nella testa le risuonava la voce stridente di Isobel e della sua tipica negatività puritana. 
Le risuonavano i rimproveri, le minacce, e quella sua assurda convinzione secondo la quale, la giovane, non avrebbe mai visitato i luoghi esotici e magici che aveva conosciuto grazie ai suoi amati romanzi.
Poi le vennero in mente delle immagini di cenere e di pagine bruciate, di rilegature in pelle rovinate per sempre e l'odore offuscante di pergamena incenerita.
Non ne aveva potuto salvare nessuno, neanche uno. 
I suoi preziosi libri erano stati eliminati nel più crudele dei modi, proprio come la Santa Inquisizione era solita fare a Roma, o in Francia, o in Spagna con i testi dichiarati proibiti ed eretici.. e, talvolta, anche con le persone colpevoli di aver osato pensare con la propria testa. 
Ricordava di essere rimasta in ginocchio a fissare la cenere e i brandelli di pagine ormai perdute, mentre alle sue spalle Isobel torreggiava, sorridendo col ghigno di un dio maligno che beffa gli uomini,  strappando loro la vita nel momento di più grande felicità.
Quella cenere aveva spento e annichilito la cultura e la sapienza, ma aveva nel contempo acceso, nella giovane, un fuoco divoratore che l'aveva condotta sino all'altro capo del mondo.
Si domandò se anche adesso, Isobel stesse ridendo.

Udì il mozzo gridare qualcosa agli esigui marinai rimasti a bordo per sistemare il vascello, già pronto per una nuova traversata, e si rese conto che era davvero giunto il momento di dileguarsi.
Prima di toccare finalmente la terraferma, la giovane donna si premurò di recuperare i tre coltelli di diversa taglia e le due pistole dal peso non indifferente, da lei sottratti dalla stiva adibita ad armeria la notte precedente. Non era stato un lavoro complicato: era bastata una sola bottiglia di rum che la sentinella, un uomo con la carnagione annerita dal sole e le mani callose, era sprofondata in un sonno come di morte. 
La mattina successiva, a nessuno era venuto in mente di controllare i rifornimenti o le munizioni. 
La giovane si rigirò tra le mani una delle pistole, ammirandone la manifattura eccellente. Non aveva idea di chi, eventualmente, ne avrebbe potuto reclamare il possesso e nemmeno si preoccupò di domandarselo; dopo tutti i soldi che aveva versato nelle tasche di Lawrence, quel finto mercante tozzo  quelle armi gliele doveva. 
Saltò giù dalla prora proprio come aveva viaggiato: senza che nessuno le prestasse troppa attenzione, e, in cuor suo, salutò la nave, benedicendola per averle donato qualcosa che sarebbe valsa tutte le monete della terra: la libertà e la speranza di una nuova vita.

Il porto di Nassau, così come tutta la costa, non batteva bandiera alcuna. 
Non c'era un governo, né tantomeno un governatore, non c'era un palazzo di giustizia, o un Parlamento con le rispettive fazioni politiche, neanche un concilio ristretto.
Giustizia, governo e legalità, in quel buco d'inferno, parevano non essere altro che concetti arbitrari.
Nessuno deteneva il potere politico, non esisteva un'autorità. 
New Providence si governava da sé, come un grande essere senziente, il che equivaleva a dire che a Nassau a regnare era l'anarchia. 
E se nel mondo civilizzato la libertà voleva significare non calpestare i diritti naturali altrui, in un luogo del tutto svincolato da qualsiasi forma di civiltà, la libertà era solo e soltanto quella che un individuo riusciva a conquistarsi, calpestando i diritti e gli eventuali cadaveri possessori di quei diritti.
Trattati su trattati e Nassau forniva la prova provata che le teorie di quegli egregi signori ammassati nei salotti londinesi o parigini, non erano altro che vane astrazioni.
Locke, Rosseau, Montesquieu, in quel luogo, erano stati mandati a farsi fottere.
La giovane donna aveva compreso dall'istante in cui i suoi stivali di cuoio avevano poggiato i tacchi sulla sabbia molle che, accettando quel posto, avrebbe accettato la condizione di prendere parte ad una lotta di tutti contro tutti, e -sebbene le premesse non fossero delle più concilianti- tale consapevolezza la fece sentire viva come non le era mai accaduto in vita sua.
Per un momento, le sembrò di essere rinata, e percepì con chiarezza di aver dato un taglio, per mezzo di un viaggio estremo, a quello che era stato il suo passato.
Settimane prima, era nulla di più che la futura lady di un qualche gentiluomo sessista -disperata ed inglobata nelle convenzioni di una società superficiale- mentre, d'ora in avanti, sarebbe stata uno dei tanti pesci a sguazzare nell'oceano. 
Se squalo o latterino, sarebbe dipeso soltanto da lei.

[…]

Una sola settimana le era bastata per ricredersi. Almeno in parte. 
Nassau era caotica e squilibrata, ma  nonostante questo, possedeva un proprio statuto.
Niente di ufficiale, niente che fosse messo per iscritto su tediosi codici di legge, ma violare quel dettame significava conquistarsi un biglietto di sola andata per l'altro mondo.
La legge c'era, c'era eccome, solo che aveva il volto e la voce di Eleanor Guthrie.
La giovane ne aveva sentito parlare, a Londra, durante una delle tante riunioni nello studiolo del suo vecchio zio Archibald, che lei si era ritrovata a spiare in gran segreto. 
Politici e gentiluomini timorati di Dio si dichiaravano atterriti di fronte a tanta forma di disordine e depravazione: un fiorente porto abitato di pirati, con a capo un'adolescente sconsiderata e truffaldina. 
Si trattava chiaramente di un grande oltraggio all'Inghilterra, alla morale, e alla decenza.
Una donna che ricopriva un ruolo di rilievo era il chiaro segnale della corruzione che stava investendo il Nuovo Mondo; qualcuno vi aveva scorto un'avvisaglia di un'imminente Apocalisse. 
Difatti, la fine del mondo non poteva essere poi così lontana.

Da parte sua, la giovane aveva nutrito una gran simpatia per quella Guthrie che stava dimostrando di avere il fegato necessario per gestire orde di delinquenti e far fiorire, nel mentre, un porto di cruciale importanza. 
Ufficialmente, l'Inghilterra ne era disgustata; ufficiosamente, doveva a quella donna la propria sussistenza.

Le grandi contraddizioni del suo tempo.

La giovane non si era dunque sorpresa alla vista del rispetto, quasi reverenziale, di cui i cani di mare davano prova alla sola vista di Eleanor Guthrie.
Seduta nell'unica locanda del porto, ad un tavolino in disparte, la giovane donna aveva scorto la figura della Guthrie, avvolta da un'aria imperiosa, tra le risa sguaiate, la confusione e i comportamenti osceni.
Era incredibilmente bella, come una di quelle principesse agognate da valenti eroi, protagonisti di molti antichi poemi cavallereschi.
Eleanor Guthrie, però, non aveva esattamente l'atteggiamento di una principessa da salvare. 
Era fredda, lo sguardo blu -duro come il ghiaccio- la voce sferzante e coercitiva quanto un colpo di frusta.
Più che Ginevra, le ricordava una Giovanna d'Arco senza cavallo ed armatura. 
Aveva attraversato la locanda, fiera ed impettita, dirigendosi verso una scala di legno consunto che conduceva ad una porta altrettanto guasta tinta di un acceso verde erba, seguita da uno stuolo di uomini tra i quali la giovane riconobbe il capitano Lawrence.
Dunque, doveva essere tutto vero: Eleanor Guthrie gestiva realmente le intricate fila dei commerci tra il Nuovo e il Vecchio Mondo.

Persa nelle fantasie e nell'ammirazione per una donna di così grande ispirazione, la giovane non si accorse di una figura, forse a lei coetanea, che le si era piantata di fronte con in mano una bottiglia dalla forma schiacciata e l'espressione piuttosto seccata.

«Ehi, dico a te, vuoi del rum?»

La giovane alzò per qualche istante il capo, semicoperto da un cappello di panno nero, e con un cenno di diniego, liquidò una ragazza di pelle scura con un turbante sulla testa: quasi certamente una schiava.
Questa passò oltre senza gran clamore, rivolgendo la medesima domanda circa il rum ad ogni bifolco che si trovava ad occupare una sedia. 
Da che era arrivata a Nassau, la giovane aveva notato che nessuno si era sconvolto nel vedere una ragazza, vestita come un uomo, aggirarsi completamente sola per la spiaggia assolata.
Immaginò che in un'isola comandata da un'indiscussa regina, con le puttane che sovraffollavano il bordello di fronte la locanda, la propria presenza non dovesse attirare poi molto l'attenzione. 
La cosa le era piaciuta e le aveva rinsaldato quel senso di sicurezza interiore, per quanto il porto incarnasse l'ombelico della malvivenza. 
Ma nelle ultime due sere, il fulcro delle sue preoccupazioni non era stata la malvivenza, quanto la scomoda constatazione che le sue già esigue risorse monetarie fossero sul procinto di lasciarla a secco.
Appena giunta sull'isola, aveva affittato una piccola stanza in un ostello modesto, dipendente dalla gestione della Guthrie come ogni altra cosa -esclusa la casa di piacere- nel lembo di terra corrispondente al nome di Nassau.
La stanza era stretta, con appena un letto asciutto e relativamente comodo, e uno specchio con un catino che doveva, naturalmente, curarsi di riempire da sola. Aveva, poi, acquistato degli indumenti di ricambio, una cintura di cuoio borchiato  alla quale appendere le proprie armi e il cappello dal quale era divenuta pressochè inseparabile.
Aveva stilato i suoi conti più volte, e, senza calcolare i pasti, aveva tristemente realizzato che le restavano forse le monete necessarie per garantirsi un'ulteriore notte con un tetto sulla testa e al sicuro dagli sciacalli di mare.
Sospirò sommessamente, rassegnata, riversando il proprio sguardo smeraldino sul bicchiere sporco semipieno -il quinto- che si stava rigirando tra le mani da una quantità di tempo indefinita; ricordava soltanto che al suo ingresso nella locanda, il sole stava ancora brillando alto sull'orizzonte.
Si sforzò di buttare giù gli ultimi sorsi del sidro di mele che aveva preferito al consueto rum, ma che doveva di sicuro essere molto peggiore, considerati i terribili giramenti di testa che le stava  provocando.
Per un attimo, le parve che tutto attorno il mondo avesse preso a vorticare furiosamente, come in preda ad un ballo orfico, e quando finalmente tutto tornò alla quiete e il pavimento fu di nuovo stabile, la giovane comprese che quello era il momento buono per dileguarsi e rinchiudersi nell'isolamento della propria soffocante stanzetta, sempre che il proprietario si sentisse magnanimo e le concedesse un piccolo sconto rispetto al prezzo pattuito.

Si alzò con movimenti quantomai lenti, sforzandosi di ignorare il senso opprimente di vuoto e i conati di vomito, e si trascinò come meglio potè verso il bancone, dietro al quale l'oste si stava affaccendando a riordinare le stoviglie, strofinandole con un panno di lino umido e una gran foga.
Prima di parlare, la giovane e il suo cappello calato sulla fronte e sullo sguardo offuscato, trovò la forza di scrutare l'uomo alto e robusto e valutare che, in apparenza, aveva un volto da brav'uomo.

«Oste.. Sir.. Signore?» biascicò con la voce rauca tipica di chi non spiccica parola da una notevole quantità di tempo.

L'oste alzò il capò e squadrò la giovane senza meravigliarsi troppo di quella vista pietosa. Non era di certo la prima ad essersi ridotta in quello stato catatonico  in un posto di quel genere.

«Signore..» la giovane tirò su col naso e tentò di darsi un contegno «signore, per cortesia, potreste farmi credito?»

L'oste scosse la testa con decisione.
«Spiacente, la signora Guthrie non permette che si faccia credito a nessuno!»

Quella risposta, nella testa della giovane, fece scattare un caos devastante, intricati nodi di pensieri impossibili da sciogliere, specie in quelle condizioni.

«Vi prego, signore, domani avrete i vostri soldi, io--» tirò nuovamente su col naso, passandosi una manica della camicia color avorio sulle labbra «--io non vado da nessuna parte..»

«Avete idea di quanti io ne abbia sentiti dire la medesima cosa, ragazza?»

La giovane si accigliò in un'espressione di estremo stento e stanchezza.

«Ma io dico la verità, sir. Non ho dove andare, non ho una nave a cui tornare, nessun capitano a dare ordini, io--»

In un inaspettato momento di lucidità, la giovane comprese l'immensa miseria delle proprie parole, mentre la sfiorò il pensiero che forse -ma soltanto forse- avrebbe fatto meglio ad imbarcarsi e tornare a Londra, dai suoi tiranni.
Lì, quantomeno, non avrebbe patito la fame, né avrebbe dovuto elemosinare un letto, per quanto ad attenderla ci fossero ben altri tipi di patimento. 
Dopotutto, forse, era meglio chiedere il perdono che il permesso..
Un'angoscia improvvisa s'impossessò di lei. 
Le tempie presero a martellare ad un ritmo da cardiopalma, la gola talmente  secca che avrebbe potuto reclamare dell'altro sidro, o acqua corretta che fosse, se solo avesse posseduto i soldi per farlo.
In un atto di estrema riluttanza a voltarsi indietro e tornare sui propri passi, infilò una mano esile nella tasca della camicia e ne estrasse cinque monete, e le lanciò sul bancone in direzione dell'oste, che, incassandole, sorrise quasi compiaciuto.

«Stanotte dormirò all'aria aperta.» ringhiò la giovane, con una voce gutturale che, di consuetudine, proprio non le apparteneva.

«Sono desolato.»

L'oste non aggiunse altro, né la degnò di un ulteriore sguardo, tornando alle proprie mansioni di pulizia.
Dopotutto, aveva svolto il dovere per il quale era pagato, lasciando vuote le tasche dei clienti sconsiderati, esattamente come si era dimostrata lei.

La giovane uscì dalla locanda che avrebbe voluto piangere senza freni, ma non era mai stata il tipo da lacrime e il suo spiccato orgoglio le avrebbe impedito di mostrarsi vulnerabile in un luogo dove la persona più onesta era un ladro con più taglie sulla testa che capelli. 
S'incamminò verso la spiaggia, non tentando neanche di presentarsi all'ostello al fine di suscitare pena; le armi e i vestiti nuovi li aveva con sé, ammassati in una sacca di feltro marrone, perché non si fidava a lasciarli sotto la custodia di uno sconosciuto. Nella borsa alquanto rustica, vi era anche un vecchio diario dalla pelle annerita e la rilegatura scolorita; un volume di scarso valore monetario, ma dotato di ben altro tipo di rilievo. 
La giovane l'aveva portato con sé quasi per istinto, ma forse a guidarla era stata l'esigenza, il dovere, di non dimenticare.. e forse anche un tacito desiderio di vendetta. Contro chi o cosa, però, non avrebbe saputo dirlo.
Le strade erano relativamente tranquille, affollate solo di risa, di schiamazzi e versi animaleschi derivanti dalle camere al piano superiore del bordello.
Il bordello. 
Le balenò alla mente l'idea di entrare. Forse lì avrebbe trovato un riparo, forse una camera libera, forse avrebbero accettato le sue ultime tre monete per solidarietà femminile, forse...
Scartò la soluzione ancor prima di valutarla per davvero. 
Quel posto brulicava di puttane e alle puttane non interessava altro se non il  denaro: non sarebbero state meno crudeli dell'affittuario che dirigeva l'ostello. 
Facendosi forza, la giovane passò oltre e si rese conto troppo tardi di aver fissato, sovrappensiero, la sagoma di una figura losca immobile sulla porta della casa del piacere.
Pareva star inchiodata sui gradini di legno bianco, come per fare la guardia, eppure sembrava stonare in quel particolare contesto.
Era poco più alta di lei ed indossava degli abiti logori che le calzavano lenti e sgraziati a causa dell'eccessiva magrezza. A coprirle il volto aveva un cappellaccio sporco e rattoppato, ma i lunghi capelli scuri ornati di treccine, presumibilmente adornate di perline colorate, non lasciarono dubitare la giovane che si trattasse di una donna.

«Che cazzo hai da guardare?!»

La figura in ombra non si scompose, ma la voce, greve e rasposa, era carica di un tono di minaccia per niente velato.
La giovane sobbalzò come un fringuello catturato in trappola, mettendo inconsciamente mano al pugnale che aveva legato sul fianco destro.

«N-niente.»

«Allora levati dalle palle, troia!»

La giovane si calò maggiormente il cappello sul volto e riprese a camminare con quel passo incerto che era stato un regalo della sua prima sbronza.
Tuttavia, per sua fortuna, la freschezza dell'aria notturna le aveva fatto riacquistare un poco della padronanza sui propri movimenti, permettendole di non avanzare come un giunco smosso dal vento. 
Percepì la presenza minacciosa della donna dagli abiti macilenti alle proprie spalle, e si domandò quale motivo potesse spingere qualcuno ad appostarsi al lato dell'ingresso di un  bordello-- dal momento che quella donna non aveva affatto l'aspetto di una prostituta: era troppo scarna, troppo rozza, troppo sporca. 
L'elsa della sciabola che le spuntava dai fianchi ossuti, la faceva rassomigliare più ad un pirata che ad una puttana, e se non fosse stato per la trascuratezza, la giovane avrebbe anche potuto azzardare che tra loro ci fosse una vaga somiglianza.. quantomeno, all'apparenza.
Soltanto quando la spiaggia le si schiuse di fronte, con la sabbia di un tenue pallore, le onde gorgoglianti e gruppetti più o meno numerosi di uomini raccolti intorno ad intimi falò, mollò la presa sul manico del pugnale, espirando l'aria come per distendere i nervi.
Prese ad accusare un forte mal di testa, man mano che la sbornia cominciò ad essere smaltita, e sentì la necessità di distendersi per non aggravare la propria  situazione. 
Non avendo la possibilità di una grande scelta, la giovane si fece bastare il tronco ruvido di una palma particolarmente alta, e vi si acquattò contro, lo sguardo esausto rivolto verso il mare ed un timido spicchio di luna a illuminare la schiuma delle onde e i faraglioni della scogliera della baia.
Si chiese se non fosse quello il prezzo della libertà: una vita segnata dalla miseria e dai sacrifici.
Degli uomini in lontananza gridarono, poi scoppiarono in una sonora risata.
Riflettè, ancora intontita dal sidro di mele, circa la vita nel porto di Nassau e nell'isola di New Providence.
Eccezion fatta per Eleanor Guthrie, le puttane, e qualche altro privilegiato nell'entroterra, tutti i restanti che popolavano quell'angolo di frenesia e di  bellezza tropicale non potevano permettersi il lusso di una vita agiata, sicura o asciutta.
Il mare dominava l'esistenza di ogni marinaio, di ogni mercante, di ogni pirata, e -come era intuibile- ad aver a che fare col mare, inevitabilmente, si finiva col bagnarsi.
Un brivido le corse lungo la schiena e, ad uno sbuffo di vento più freddo, si strinse nelle spalle e nella camicia di stoffa leggera che aveva indosso. 
Era incredibile la differenza di clima tra le ore di sole e quelle di oscurità. Durante le notti di nuvole dense, la tramontana e l'oceano si rivelavano estremamente crudeli, quasi a voler rammentare agli uomini di quanto il calore e la luce del sole fossero soltanto una mera, magica, illusione. 
Le tornarono alla mente le urla di Isobel, le sue insensate convinzioni, i pregiudizi, la crudeltà. 
A dover scegliere, la giovane avrebbe preferito sopportare la crudeltà del mare e delle tempeste -per resistere ne possedeva la forza- ma per restare a Londra... per quello, serviva il sacrificio di un martire.
E lei era una ribelle, uno spirito libero; il  martirio non era di certo nelle sue corde.

Sorrise, percependo un calore nuovo sopraggiungere a scaldarle le membra, un calore di speranza.
Ebbe un'illuminazione e, ad un tratto, comprese cosa avrebbe dovuto fare l'indomani. La sua nuova vita doveva ancora cominciare, e non sarebbe stata una vita miserabile. 
I suoi pensieri vagarono a lungo, indugiarono su mondi nascosti nelle pieghe profonde della sua anima di cui non conosceva nemmeno l'esistenza. 
Quando si addormentò, sognò di Isobel e della sua meschinità imperdonabile. Sognò di vederla divenire sempre più piccola e insignificante, mentre lei solcava veloce le acque a bordo della libertà.

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Capitolo 2
*** II. ***


«Avanti, signori, solo un paio di sveltine e fra un'ora farete bene a farvi trovare tutti di nuovo su questa spiaggia!»

Una voce ruvida, gretta e cacofonica -quanto solo una voce può esserlo di prima mattina- spezzò la sinfonia ridondante delle onde come un colpo di falce, infrangendosi contro la scogliera e i faraglioni dalla forma frastagliata, che conferivano alla distesa del mare l'aspetto di una grande bocca acquosa tempestata di denti aguzzi e marci.
L'eco prodotto rimbombò rauco e terribilmente pietroso, roba da suscitare l'istinto di tapparsi le orecchie.

Quando un brivido ruppe il suo sonno, mentre qualcuno - forse un titano- impartiva ordini categorici, la giovane si ritrovò con metà della faccia riversa nella sabbia, piatta e rilucente come un grosso manto perlato. 
Come presa da un senso di soffocamento, si rizzò a sedere di colpo, sorreggendosi con un braccio al tronco della palma ai cui piedi si era addormentata, indecentemente accasciata, quasi alla stregua di un cane randagio. 
Migliaia di puntini neri le volteggiarono davanti agli occhi ancora collosi, ma -passato il momento- fu lieta di constatare che il senso di vertigine, che nella notte precedente l'aveva dominata finchè non era scivolata in uno stato di profonda ed assoluta quiete, era svanito senza lasciarsi dietro strascichi significativi. 
Al suo posto, in compenso, era sopraggiunto un senso di fame così ottundente, che l'aveva letteralmente inchiodata a terra, la schiena addossata alla corteccia del tronco rigido e le mani a reggersi il ventre, come se quel gesto potesse, in qualche miracoloso modo, attenuarle le fitte di dolore dovute alle contrazioni del suo stomaco. 
Avrebbe ingurgitato un cinghiale intero, ma considerando gli atroci crampi ed il senso di nausea, era certa che -se avesse osato mandar giù anche soltanto un bicchier d'acqua- l'avrebbe immediatamente vomitato proprio come un indemoniato espelle il diavolo dal proprio corpo, una volta terminato l'esorcismo. 
Inspirò a fondo e si lasciò cullare per qualche altro istante da quella sensazione di piacevole ovattamento dei sensi, tipica del risveglio da un lungo sonno. 
Non poteva sapere con esattezza se il suo riposo fosse stato lungo, ma di sicuro era stato profondo.
Sbadigliò quasi con sofferenza, come se tutto il peso del mondo le gravasse sulle spalle, e si tappò la bocca con il dorso di una mano insabbiata, facendo sì che una manciata di granelli le finisse sulle labbra screpolate a causa dell'aria satura di sale; sputacchiò disgustata dal gusto amaro come la vita, e cercò -con scarso risultato- di ripulirsi il viso ed evitare il contatto tra l'occhio e la maledetta sabbia.

«Siamo intesi? Solo un paio di sveltine, signori! Solo un paio di sveltine!»

Per la prima volta da che aveva aperto gli occhi di un'intensa tinta turchese, la giovane alzò lo sguardo verso la battigia, concentrando la propria attenzione sulla figura dalla quale proveniva la medesima voce greve che l'aveva privata del sonno, inaugurandole l'inizio della giornata.
Tirò su col naso, rassegnata, pensando a quanto fosse penoso quel buongiorno che un uomo tarchiato e calvo le aveva inconsapevolmente offerto.
Reclinò la testa da un lato, rapita dalla scena che le stava scorrendo di fronte: una moltitudine di uomini -presumibilmente pirati e presumibilmente membri dello stesso equipaggio- si affrettavano a saltare giù da traballanti lance sovraccariche e a disperdersi in mille direzioni, così come i  ragni fuggono da un'improvvisa fonte di luce.
L'uomo calvo con uno strano disegno geometrico sulla nuca -da lontano soltanto linee indistinte- gridava loro dietro con una certa foga e con un tono imperioso, quanto sgradevole, che però i marinai non sembravano neanche udire, forse già ottenebrati dall'idea del piacere che della soffice carne umana avrebbe procurato loro tra le lenzuola del bordello del porto.
La giovane si chiese per quale astruso motivo gli uomini percepissero l'istinto sessuale sempre e soltanto come un'impellenza necessaria, come una regina non possibile da sottomettere al proprio volere.. sempre che il volere non fosse esattamente quello di lasciarsi dominare senza freni da quella sovrana incontrastabile.
Da quell'ottica, gli uomini -quegli uomini- le parevano più tori imbizzarriti che esseri dotati di ragione.

E difatti, la ragione sembrava non esistere affatto in quel luogo così diverso, così libero e così trasgressivo; un luogo dove l'istinto e la barbarie facevano da padroni.
Ed era decisamente quello, l'unico lato che la giovane rimpiangeva del Vecchio Mondo e della civiltà. Infatti, per quanto la società e le convenzioni le risultassero ripugnanti, non poteva di certo negare di aver avuto modo di conoscere gentiluomini dall'intelligenza sopraffina e dalle maniere galanti: una merce che laggiù, tra vascelli, palme ed acqua cristallina, nessuno le avrebbe potuto vendere..  Nemmeno i pirati.

«Billy!»

L'uomo calvo gridò ancora, guardandosi attorno con fare concitato e contrariato. 
Il timbro della sua voce era davvero uno dei più crudi che la giovane avesse mai udito e che, mai nella vita, avrebbe voluto udire a seguito di un risveglio.
Era molto singolare: quel marinaio basso, non troppo smilzo e già avanti con l'età, non sarebbe mai stato il tipo di persona a cui lei avrebbe affibbiato tale ugola. 
Accennò ad un sorriso, dimenticando per un momento la miseria della propria condizione: era come se la voce fosse più imponente dell'uomo che ne era il possessore. 
Abbassò lo sguardo noncurante, come se lo spettacolo avesse perso di attrattiva, e spolverò via dai propri calzoni di tela dura sabbia e polvere. 
Quando tornò a fissare la spiaggia, il manipolo di marinai si era dissolto tra i nugoli di persone affaccendate in chissà quali affari.

«Se ne sono andati?»

Una figura dall'aspetto scaltro e vitale fece la propria apparizione dal nulla, fra la ricca vegetazione e i sassi che delineavano il limitare tra la spiaggia e i vicoli della città. 
La giovane si voltò di scatto, quasi sobbalzando, cercando poi di mascherare la sorpresa agli occhi del nuovo arrivato.
Si trattava di un ragazzo dalla pelle bronzata dal sole in netto contrasto con l'azzurro guizzante di due occhi dalla forma allungata, quasi felina. Dei riccioli neri quanto il carbone gli ricadevano su gran parte del viso, nascondendo la precisa fisionomia dei lineamenti. 
I suoi vestiti sembravano di buona provenienza, ma erano macchiati di una patina grigiastra che li rendeva come vecchi di anni.
Lo sconosciuto sguisciò fuori da alcuni rami dotati di foglie a palmo largo e si accucciò su un ginocchio, scrutando l'orizzonte e arricciando un naso porcino.

«D-Dici a me?» farfugliò la giovane con vaga perplessità, guardandosi attorno come alla ricerca di un'ulteriore presenza.
Si sentì la lingua maledettamente pesante ed impastata, la gola invasa da un acre retrogusto di sidro.

«Se ne sono andati?» ripetè di nuovo il ragazzo, assumendo un'espressione corrucciata.

«Ma di chi diamine stai parlando?» replicò la giovane, scostandosi dal tronco della palma che torreggiava alle sue spalle.

«Gli uomini...»

«Se intendi quel branco di invasati che si sono lanciati giù dalle scialuppe, credo che li troverai impegnati a svuotare le proprie tasche e a riempire quelle di molte puttane--»

«Ne sei certa?» il ragazzo pareva distratto, ma quando si voltò, la fissò con un'estrema urgenza, quasi che dalla risposta a quell'insensato quesito ne valesse della sua vita o della sua morte.

La giovane annuì, convenendo col suo primo pensiero che quel tizio non avesse affatto un'aria raccomandabile. 
Non che fosse uno dei soliti brutti ceffi che si potevano osservare sui ponti delle navi -in effetti non aveva troppo l'aria di un uomo di mare, né era volgare nelle fattezze- eppure qualcosa in lui non la convinse pienamente. 
Forse, quell'atteggiamento furtivo degno di non pochi sospetti. 
Le balenò alla mente che potesse trattarsi di un criminale, anche se a Nassau era difficile additare chi non lo fosse.

«Direi di sì. Il loro capitano ha reso più volte chiaro il concetto gridando come un ossesso.»

Il ragazzo imprecò a bassa voce e i suoi riccioli si scossero, seguendo i movimenti scattosi del capo.

«Perché? È importante?» nemmeno la giovane si riuscì a spiegare cos'era stato a spingerla a porre quella domanda. 
Di certo non l'interesse, perchè non le interessava affatto.

«Tutto quello che succede su questa spiaggia è importante.. È una lezione che bisogna imparare presto.» il ragazzo squadrò freneticamente la riva e poi le navi ormeggiate a largo, fremendo impaziente per chissà che cosa.

La giovane provò a seguire la traiettoria degli sguardi di quel tale così ambiguo, ma non riuscì a notare niente che fosse degno di particolare rilievo e che giustificasse quel comportamento alquanto bizzarro, quasi snervante.
«Conosci quegli uomini?»

«Non.. Esattamente. Ma loro conoscono me e questo è più che sufficiente.»

«Già, e tu saresti?»

Il ragazzo si voltò nuovamente verso di lei e stavolta sorrise, allegro, scoprendo una chiostra di denti di un luminoso bianco latte che gli conferivano un certo candore sul suo volto di ragazzo.
La giovane ipotizzò che quel tizio non dovesse poi avere molti più anni di lei.

«Il mio nome è John Silver, sono un cuoco.»

Le porse la mano e la giovane la strinse con diffidenza, mentre il suo sguardo si andò a posare su una tasca interna che la giacca sbottonata del cuoco lasciava intravedere.
Un oggetto allungato spuntava fuori quasi con timidezza e, per un attimo, la giovane credette che si trattasse dell'impugnatura di un coltello.
Con un crescente senso di timore, lasciò andare la mano calda di Silver, senza distogliere, neanche per un momento, la concentrazione da quello che sembrava essere un oggetto da custodire gelosamente alla vista altrui, e che non doveva evidentemente trattarsi di una comune arma.
La giovane non potè dirlo certezza, ma le parve che si trattasse di un rotolo di pergamena protetto da un rivestimento in pelle..
Ma poi Silver, in un gesto impulsivo, agganciò diversi bottoni tra loro per mettere fine allo spettacolo.

«Cosa--»

«Sai, non hai per niente una bella cera. Sicura di stare bene?» Silver le impedì di porre quella domanda che svelta le si era articolata sulle labbra, cimentandosi in un efficace tentativo di sviare il discorso.

«E tu, John Silver, lo sai che non ci si rivolge così ad una signora?»

«Ah, saresti una signora?» Silver sorrise in una smorfia di mero scherno «perdonami, le signore le immaginavo molto diverse. Credo.. più di classe.
Mentre tu... Beh, non dai proprio l'impressione di una lady-- sei una delle nuove puttane?»

La giovane si voltò con un movimento lento e controllato e fissò il vuoto di fronte a sé, come a reprimere un istinto omicida, poi raccolse il proprio cappello e, non senza averlo ripulito, se lo adagiò sul capo, adombrando il volto, in modo da nascondere quella che -quasi sicuramente- non doveva /davvero/ essere una bella cera, ma che non giustificava affatto l'impertinenza del cuoco.
Si tirò su, spavalda, ma un crampo al ventre la colse all'improvviso e fu un miracolo che riuscì a tenersi in piedi sulle proprie gambe esili.
Si sistemò la camicia di lino grezzo e la cintura con le armi, quindi fece per alzare i tacchi.

«Beh, cuoco, in tal caso.. Ti auguro una giornata di merda!»

«Un momento, un momento! Che diamine ci devi fare con quelle pistole? E tutti quei coltelli--» il ragazzo parve vagamente frastornato.

«Continua ad importunarmi e te ne pianto uno al centro della fronte!»

«Ehi, io non ti stavo affatto importunando..» Silver si sollevò con un agile scatto di reni «non credo di aver afferrato il tuo nome--»

La giovane prese ad allontanarsi a passo svelto, non curandosi minimamente della voce irritante alle proprie spalle; stavolta fu lei a prendersi un piccolo, ma soddisfacente, smacco.

«Peccato.»

Si fermò soltanto quando sentì terra dura invece che sabbia sotto le suole dei propri stivali. 
Avrebbe scommesso che John Silver l'avesse seguita, ma quando si voltò, scoprì che sotto la palma non vi era rimasta anima viva. 
Rimase perplessa, anche se quell'assenza la rassicurò di buon grado.
John Silver era svanito così com'era apparso: nel nulla.
Dubitò circa quell'incontro. Si chiese se non se lo fosse per caso immaginato.
Si girò una seconda volta, osservando per bene anche nei dintorni, ma non scorse in nessun angolo una figura corrispondente a quella di John Silver.
Magari lo aveva semplicemente sognato. Magari si era soltanto trattato di un ultimo scherzo della notte precedente. 
 

[…]
 

Il piano brillante che le aveva assopito l'angoscia della coscienza e che le aveva permesso di addormentarsi, garantendole un riposo senza sogni, era venuto meno alla sua mente non appena aveva attraversato il porto con i suoi ormeggi ed imboccato la via principale di Nassau, interamente ricoperta di fango secco e di una strana ghiaia rilasciante una polvere biancastra che le aveva imbrattato il cuoio nero degli stivali fin sopra alle caviglie. 
Il violento morso della fame le torceva lo stomaco come se un serpente le si stesse arrampicando fino alla gola, e vagò alla ricerca di un banco di pane e di carne essiccata dove poter spendere le sue ultime tre monete, quelle che era riuscita -per un qualche intervento divino- a preservare dalle casse della locanda di Eleanor Guthrie. 
La discussione col venditore era risultata accesa abbastanza, tanto da attirare gli sguardi e l'attenzione di mezza città, e quando la giovane aveva percepito chiaramente palpabile il rischio di restare a bocca asciutta e a pancia vuota, aveva accettato una forma di pane fin troppo piccola e soli due pezzi carne secca, così salata da risultare quasi immangiabile. 
Adesso, era ufficialmente una persona in miseria, con neanche più l'ombra di uno spicciolo nelle tasche.
Aveva previsto quell'evenienza ed aveva tentato di prevenirla prima di salpare dalle Docklands.
Che il denaro che era riuscita a sottrarre nella casa in cui viveva non fosse abbastanza, era stato un aspetto lampante anche sul momento che l'aveva preoccupata non poco, spingendola a portar con sé anche una collana tempestata di pietre rosse, viola e nere che Isobel tanto adorava. 
A parte lo sfregio, la giovane aveva sperato di poterla rivendere e ricavarne una somma consistente che le permettesse di sopravvivere finché non avesse trovato un modo per mantenersi da sé. 
Ma c'era stato uno spiacevole contrattempo.
Dopo solo una settimana di navigazione, dalle parti del Portogallo, un furioso temporale aveva dato noie alla nave del capitano Lawrence, e, sebbene la situazione non fosse mai sfuggita dal dovuto controllo, ad essere sfuggita dalle tasche della giovane, era stata invece la collana e la sua occasione di valere qualche cosa. 
Nei giorni a seguire, l'aveva cercata ovunque senza trovarne traccia. 
L'idea che qualcuno degli uomini potesse averla intascata, le aveva sfiorato il pensiero, ma la possibilità che fosse semplicemente precipitata in mare era di gran lunga più plausibile.
Sfortunatamente, il vascello non trasportava oro o altre mercanzie di valore, o comunque, non di una dimensione tale da poter essere rubate senza destare sospetti.
Così, l'epilogo di tutta quella trafila, non era stato altro che un misero pasto che la giovane si stava curando di consumare con estrema lentezza, confidando più nel quietarsi dell'appetito che nella venuta della sazietà.

Pigramente seduta in un angolo d'ombra, col cappello chinato sul viso delicatamente spruzzato di lentiggini ai lati del naso dalla forma aggraziata, e i capelli selvaggiamente sciolti sulla schiena e sulle spalle, ad esibire quella loro naturale sfumatura del colore delle fiamme vive, triturava ogni boccone con la minuzia di un piccolo roditore, concedendosi degli attimi per riflettere - cosa che aveva accuratamente evitato di fare da che aveva aperto gli occhi in quella mattinata assolata e dannatamente afosa.
La sera precedente, accucciata sotto ad una palma su un letto di minuscoli granelli pallidi, uno sprazzo d'ottimismo le aveva suggerito come metter fine a tutti i suoi problemi, le aveva suggerito una soluzione, un piano..
Ma, rigirandosi tra le mani mezza forma di pane, si rese conto che quello spirito incoraggiante dovuto a chissà cosa non era più lì a rinfrancarla. Non ricordava neanche quale fosse stata la sua idea tanto mirabile..
Sospirò, continuando a masticare con eccessiva flemma, e si domandò di cosa sarebbe vissuta di lì in avanti. 
Cosa avrebbe potuto offrire quel pezzo di terra d'oltreoceano ad una ragazza di nemmeno vent'anni?
Se solo avesse saputo svolgere un qualche mestiere.. Conciare la pelle, ad esempio, o battere il ferro per forgiare armi, oppure... 
La giovane staccò un altro boccone, quasi con rabbia, consapevole che se si fosse messa alla ricerca di un mestiere, sarebbe finita ad occupare una delle camere del bordello ancor prima del tramonto.
Non era un'illusa, era conscia che il mondo -specialmente quello in cui era approdata- non usava clemenza, e d'altra parte, lei aveva deciso che mai si sarebbe piegata.
Meglio affamata che puttana alla mercè di uomini depravati e avvezzi a qualsiasi tipo di vizio.
Valutò altre opzioni. Passò in rassegna le proprie capacità e i propri talenti e, tutto sommato, non si sentì esattamente una sprovveduta. 
Era una ragazza sveglia e intelligente, dal carattere di fuoco e una cultura vasta abbastanza da poter discernere con la propria testa il bene dal male.
Ovviamente, di per sé niente di tutto ciò le avrebbe garantito una sussistenza dignitosa, ma ci si poteva lavorare su.
Era a New Providence da poco meno di una settimana, ma aveva capito che gli abitanti, gli uomini di mare e, a volte gli stessi mercanti, possedevano solo una vaga idea di come scrivere il proprio nome. 
Era la prova che le persone imparavano a cavarsela con molto meno.. Si trattava soltanto di essere astuti e far fruttare la propria superiorità. 
Riflettè su una nuova prospettiva. 
Laddove tutto era solito muoversi secondo i barbarici comandi degli istinti, si chiese cosa /lei/, una persona in grado di usare le facoltà razionali, avrebbe potuto offrire a quel pezzo di terra d'oltreoceano. 
Le venne quasi da sorridere e la mano libera cadde involontariamente a sfiorare l'impugnatura di una delle pistole attaccate alla cintola borchiata.
A ben pensarci, un talento pratico forse lo possedeva.. Chissà che, prima o poi, non le sarebbe tornato utile. 

Nel momento in cui notò un certo movimento, la giovane era impegnata ad imprecare e a cercare di tamponare un taglio sul labbro che si era autoinflitta per sbaglio, nel tentativo di spezzare un pezzo di carne dura quanto una roccia. Il sapore del sangue si mescolò a quello del sale e, per un momento, la vita le fece persino più schifo del solito.
Aveva fatto in tempo giusto a vedere due uomini di spalle, entrare nella locanda della Guthrie dall'altro lato della strada, uno dei quali, pensò, aveva un'aria piuttosto familiare.
Del resto, non avrebbe potuto dimenticare l'uomo dalla voce di pietra graffiata, di timbro nasale, con uno strano tatuaggio triangolare sulla nuca calva.
Era affiancato da un individuo di gran lunga più alto e dalla mole di un colosso, le spalle larghe e i capelli chiari molto corti. Non riuscì a vederlo in viso, ma dalle movenze, le diede l'idea di essere parecchio più giovane del suo compare.
Spostò lo sguardo verso l'entrata della locanda, ma la penombra non le permise di mettere a fuoco troppi dettagli.
Le parve di scorgere una terza figura a capo dei due marinai e, oltre di essa, i capelli color del grano di Eleanor Guthrie raccolti in una crocchia tonda e un sorriso furbo, ma sincero, stampato in volto.
Membra di anonimi individui si frapposero fra il suo sguardo indagatore e l'ingresso della locanda, coprendole la visuale. 
Si sfilò il cappello e si sporse in avanti, presa da una morbosa curiosità, ma perse l'attimo ed imprecò in silenzio.
L'ultima cosa che potè, o che credette di intravedere, furono le braccia di Eleanor Guthrie che si stringevano attorno ad un corpo in ombra, forse la terza figura sconosciuta, ma non potè esserne certa. 
L'unica cosa che vide con nitidezza, fu l'espressione di sollievo che la Guthrie non potè trattenere, segno che -forse- anche la regina di Nassau, fredda e autoritaria, possedeva un cuore.
Si calò nuovamente il cappello sulla fronte, terminando di ingoiare l'ultimo brandello di carne, peraltro senza masticarlo. 
Non seppe perchè, ma le tornarono in mente le parole di quel tale ambiguo conosciuto sulla spiaggia, quel cuoco.

" Tutto quello che succede su questa spiaggia è importante."

Che fosse vero? 
Quel Silver non pareva il più esperto dei navigatori o il più temibile dei filibustieri, ma di sicuro aveva l'aria di qualcuno che la sapeva decisamente lunga e forse, quella sua affermazione, non era così da sottovalutare. 
Fu quella la giustificazione che la giovane raccontò a se stessa, per legittimare ciò che le venne in mente di fare.
Attese pochi minuti e, ristabilitasi per la strada la consueta indifferente confusione, si alzò e si diresse con una certa celerità verso la locanda.
Non vi entrò, piuttosto sguisciò silenziosa verso la parte posteriore dell'edificio, addossato ad altre costruzioni dai muri incrostati di sale.
Un grosso albero nodoso si faceva prepotentemente largo tra le fessure che i muri avevano lasciato libere, innalzandosi fin sopra il tetto della locanda.
La giovane si guardò un momento attorno, come a volersi accertare di essere sola, poi studiò il tronco storto che le si ergeva di fronte e scelse due appigli che le avrebbero permesso di raggiungere un ramo solido a sufficienza da reggere il suo peso.
Nascondendola dietro una grossa radice sporgente dal terreno, si sbarazzò della cintura carica di armi ingombranti e tintinnanti al minimo movimento e, con l'agilità di un puma, si issò su di un ramo contorto, facendosi strada tra piccole foglioline verdi e gialle e ragni di notevole grandezza; acquisito un adeguato equilibrio, si aggrappò ad un altro ramo oltre la propria testa e, con una forte spinta delle braccia, si sollevò fino ad arrivare a sedersi sul legno ruvido e umido. 
Si voltò alla propria destra, verso le mura della locanda, dove due persiane di uno scuro verde sbeccato erano aperte per metà, come se stessero cercando di mostrare e nascondere allo stesso tempo ciò che accadeva all'interno dell'edificio.
Secondo i suoi calcoli, quella finestra doveva appartenere allo studio privato di Eleanor Guthrie, la stanza dalla quale la signora del porto manovrava le fila dei commerci illegali, collaborando con pirati e con mercanti di dubbia fama. 
La giovane si rizzò in piedi, con cautela, a cercare un ramo resistente abbastanza per permetterle di avanzare nella sua scalata. 
Quando valutò d'averlo individuato, con un balzo da acrobata provetta, raggiunse l'altezza necessaria che le avrebbe permesso di gettare un occhio e spiare tra le persiane.
Con la penombra che aleggiava all'interno della stanza, non le risultò affatto facile distinguere cosa esattamente stesse accadendo, né chi fosse presente, ma lei si aspettava di scorgere i due marinai che aveva visto entrare nella locanda qualche minuto prima.
Le sue deduzioni si rivelarono inesatte. 
Eleanor Guthrie era seduta compostamente, ma la posa delle sue braccia la faceva sembrare quasi disinteressata; accanto a lei doveva esserci qualcuno che, però, la giovane dalla sua posizione -per quanto strategica- non poteva vedere. 
Nonostante una delle persiane le celasse una larga parte dello studiolo, le voci dei conversatori erano chiaramente udibili; quelle, non potevano essere trattenute né da mura, né da finestre.
Un uomo si stava chiaramente lamentando, anche se nel suo tono si poteva percepire una calma quasi di rassegnazione e di indifferenza, come se si stesse rivolgendo ad un bambino o a qualcuno di profondamente stupido.
Non ne fu troppo sicura, ma la giovane azzardò ad identificare in quella voce la persona del signor Scott, un uomo imponente di una carnagione così scura e delle brutte cicatrici verticali sulle gote.
A quanto aveva appreso nei giorni passati, Scott doveva essere uno schiavo di proprietà della famiglia Guthrie da anni ed effettivamente, le parve plausibile che si trovasse nella stanza in quel momento, dato che non lasciava Eleanor Guthrie da sola neanche per un secondo.
La giovane tese le orecchie e trattenne il respiro, per la paura di essere beccata in flagrante.

«...presto non potremo più fare affari! Non ci accoglierà nessun porto regolare.. E le sue navi-- faranno ritorno a Boston! 
Capitano, per noi è la fine!»

La giovane si accigliò. Era evidente che doveva esserci una terza persona in compagnia della Guthrie e del suo servo.
Ipotizzò che si trattasse del marinaio calvo col tatuaggio sulla nuca.

«In circostanze normali, sarei d'accordo con te, anche se...»

Una terza voce parlò.
Non era quella rasposa che l'aveva svegliata quella mattina, non era l'uomo calvo. 
Era una voce /diversa/, mai udita prima.
La giovane s'incuriosì e tentò di avvicinarsi maggiormente alla finestra, confidando nella segretezza che la persiana più vicina le assicurava.

«Anche se, cosa?!» quello che emise  Eleanor Guthrie somigliò più ad un verso ferale che alla voce di una donna di giovane età.

«Ti racconterò una storia su uno spagnolo di nome Vasquez..»

L'uomo ignoto parlò ancora, il tono quieto, profondo, lievemente increspato da suoni gutturali.. 
La giovane pensò che fosse un tono meraviglioso e che se il mare avesse avuto una voce, sarebbe stata /esattamente/ quella. 
Sentì un bisogno quasi impellente di associare un volto a quelle parole dal suono magnetico, ma la visuale le era di fatto impedita. 
Potè scorgere solo due gambe abbigliate in calzoni scuri e resistenti stivali, sedute su una sedia in legno color palissandro e un lembo di una giacca lunga dal colore imprecisato: un grigioverde screziato di macchie più scure, una tinta che in origine doveva essere, con buone probabilità, quella di un intenso blu di Prussia.

«Qualche settimana fa, entra barcollando in una taverna di Port Royal e si siede accanto a un capitano della marina inglese--»

La giovane riportò la propria attenzione sul discorso che cominciava a farsi di un interesse promettente, lasciando che la- voce-del-mare la guidasse, cullandola, in questioni che non le competevano assolutamente.

«--Vasquez, a quanto pare, sta morendo: si sta dissanguando per una coltellata al ventre.
La coltellata è una cortesia del suo precedente datore di lavoro: la Casa de la Contractaciòn de Sevilla--»

«I servizi segreti coloniali?» 
Eleanor Guthrie accavallò le gambe e si sporse col busto in avanti, d'un tratto estremamente attirata dal discorso.

«Meglio dire: della Marina spagnola. 
Uno dei migliori agenti delle Americhe, responsabile della sicurezza di una nave in particolare: un galeone con un carico così ricco, che il re di Spagna freme perchè si metta in viaggio.»
  la-voce-del-mare interpose una pausa ad effetto, con compiacenza, forse attendendo che i suoi interlocutori comprendessero a pieno il senso delle sue preziose parole.
«Vasquez li ha avvertiti che è troppo tardi: la stagione delle piogge è alle porte, non c'è tempo di arruolare una scorta-- ma i suoi superiori pretendono che agisca lo stesso.
Se non avrà trovato una scorta, si raccomandano che tracci una rotta sconosciuta a tutti -fuorchè al suo capitano- e che consideri quella rotta un segreto di stato di massimo livello.
Quando Vasquez si rifiuta, e minaccia di rivelare le sue preoccupazioni alla corte, le cose si mettono male..»

La giovane azzardò un mezzo passo in avanti, reggendosi saldamente ad un ramo più piccolo, ma alcune foglie emisero un fruscìo sospetto al suo passaggio.
Quando sentì che l'uomo sconosciuto aveva interrotto il proprio racconto, smise di respirare, paralizzata dall'idea che potesse essere stata udita.
Seguirono interminabili secondi di silenzio, il corpo filiforme della giovane più teso di una corda d'arpa; poi, la-voce-del-mare riprese le fila della narrazione.

«La nave in questione è la Urca de Lima.»

«La Urca de Lima?»  Eleanor Guthrie corrucciò la fronte e parlò di scatto, come se si fosse risvegliata da un lungo stato d'incoscienza.

«Esattamente.»

«Stai parlando di un castello galleggiante! Nessuno ha mai catturato un galeone con un bottino così ricco--» la Guthrie assunse un'espressione a metà strada tra l'incredulità e lo scetticismo.

La giovane si soffermò a riflettere. 
La storia di quel vascello spagnolo sembrava esser stata tratta da uno dei suoi affezionati romanzi o da una di quelle ballate per i bambini, ma le bastò una veloce occhiata verso la figura della Guthrie per comprendere che si trattava della mera realtà.

«Ci penso io a trovare la nave e il bottino.. E' dopo che avrò bisogno del tuo aiuto, Eleanor.»  la bella voce dello sconosciuto si fece sensibilmente più bassa, mentre quella di Eleanor Guthrie si alzò per la sorpresa.

«Dopo? Perchè mai tornare a Nassau?! Con quei soldi e mio padre fuori gioco-- perchè non scappare?»

La giovane annuì, come a concordare, quasi che fosse anche lei parte di quella  riunione segreta.

«Non si può sfuggire a quello che ci attende.
Ma con i soldi guadagnati in questa occasione--»
  la-voce-del-mare sospirò, forse gesticolando; o almeno così s'immaginò la giovane, aggrappata ad un albero come una scimmia.

Quella bizzarra faccenda l'aveva totalmente rapita, estraniandola, ma si rese conto che le braccia avevano preso a tremarle per lo sforzo.
Non sarebbe potuta resistere ancora a lungo, ma considerò che il gioco valeva davvero la candela.

«Con quei soldi, aggiungiamo 50 cannoni al forte. Possiamo costruire navi per difendere le coste e addestrare gli uomini. Possiamo lavorare la terra, avere campi e allevamenti.
E chiunque raggiungerà per primo le nostre spiagge -che sia inglese o spagnolo- troverà una spiacevole sorpresa: una nazione di ladri!»

Si udì una risata, la risata di Scott, irrompere come un martello a spaccare una scultura di delicato cristallo.
Eleanor Guthrie, per contro, non potè nascondere un sorriso di ammirazione estatica per quell'uomo dalle idee -la giovane dovette ammetterlo- così lungimiranti e illuministe.
Se non fosse stato chiaramente un pirata, la-voce-del-mare le sarebbe sembrato, quantomeno a parole, uno dei galantuomini illuminati dei salotti londinesi.

«Hai qualche dubbio?» lo sconosciuto, il pirata, quello che Scott aveva chiamato "capitano" pose quella domanda in maniera dura, cruda; quella sua voce ipnotica divenne meno fatua e molto più umana.

«Trasformare pirati in un mucchio di agricoltori e soldati? 
Combattere una guerra contro Whitehall per un frammento di Atlantico.. La parola "dubbio", Capitano Flint, non descrive quello che provo neanche lontanamente!»

D'improvviso, tutta la sorpresa divenne stupore accompagnato da un crescente senso di inquietudine.
La giovane non era vissuta prima d'ora in quel mondo di delinquenza e di pericolo, ma /quel/ nome era maledettamente famoso perfino in Inghilterra, perfino a Londra. 
James Flint.
Il terrore dei sette mari. 
Il pirata più temuto dalla corona inglese, autore di efferatezze ignominiose.
Un fuorilegge, un bugiardo, un ladro.. un assassino.
Aveva sentito storie e racconti raccapriccianti, brutali, sul conto di quell'uomo- a volte, faccende così atroci che la giovane aveva perfino creduto che questo Capitano Flint, in realtà, non esistesse. 
Aveva creduto che fosse solo un orrore inventato da chi di dovere per il fine di terrorizzare le masse e sensibilizzarle contro la pirateria, ma..
Si voltò per un breve istante, frastornata, incredula. Con quale razza di persone era solita trattare Eleanor Guthrie?
Lo aveva perfino accolto nella sua locanda con calore, con il sorriso sulle labbra-- adesso lo ricordava: quella giacca di uno sbiadito blu di Prussia.. Eleanor Guthrie aveva stretto a sè qualcuno abbigliato di quel colore. 
Tornò a scrutare tra gli spiragli delle persiane, presa da una morbosa, macabra, curiosità; non riusciva a credere di aver ascoltato con interesse le parole di un folle, le parole di.. 
E poi il capitano Flint parlò di nuovo. La sua voce tornò a risuonare dolce e carismatica come poco prima.

«Se ci sarà una guerra, sarà per scelta di Whitehall.
Io mi accontenterei della grazia, il diritto sulle terre e un governatore di cui fidarsi. E come me, molti altri!»

La giovane vide le gambe del pirata flettersi ed tendersi verso l'alto; sollevò lo sguardo, tentando di scorgerlo ma la parte ovest della stanza era, per lei, completamente cieca. 
Potè fugacemente notare soltanto un corto codino che gli ricadeva sulla nuca; la penombra non l'aiutava di certo, ma la giovane giurò che i capelli di quel demonio fossero di un rosso intenso esattamente come i suoi- ma, forse, fu soltanto un'impressione, uno scherzo del gioco di luce ed ombra operato dai raggi del sole.

«Non sono animali, ma uomini affamati di speranza! Ridiamogliela, e poi... Chi può sapere che cosa accadrà?»

Si udirono i passi del capitano Flint, lenti e controllati, come se stesse misurando il perimetro della stanza.
Quando comparve nuovamente, era già tornato a sedere di fronte ad Eleanor Guthrie, celato dalla persiana ad occhi esterni.
La padrona della locanda si tirò indietro, poggiando di peso sulla spalliera di una sedia foderata, scuotendo la testa bionda, perplessa.

«Per quale ragione? E perchè qui?»

La giovane attese la risposta del capitano Flint come se non stesse aspettando altro in vita sua.

«Ulisse, durante il suo viaggio verso Itaca, incontrò uno spettro. Questi gli disse che - una volta che avesse raggiunto la sua dimora, assassinato tutti i suoi nemici e riportato l'ordine- avrebbe dovuto fare una cosa, prima di riposare.
Avrebbe dovuto prendere un remo e mettersi a camminare, continuare finchè qualcuno non avesse scambiato quel remo per una pala, indicando così, il luogo in cui nessun uomo era stato turbato dal mare.
Lì, avrebbe trovato pace. 
Questo è quello che voglio: allontanarmi dal mare e avere un po' di pace.»

Quella risposta la fece restare senza fiato. 
Le parve quasi ironico che un pirata citasse Ulisse, il re dei navigatori, come a voler fare un empio paragone; ciò che la sorprese fu la conoscenza di un passo dell'Odissea che sarebbe sfuggito a fiori di intellettuali, ma a stupirla davvero fu la confessione di quell'uomo tanto reo.
Come poteva un essere simile -avvezzo alle più brutali scorrerie, assetato di sangue innocente- desiderare la /pace/?
Come poteva sperare di civilizzare quella bolgia dantesca che era Nassau? 
Come poteva, un mostro simile, possedere la voce di un sogno?

Un improvviso baccano la fece sussultare, facendole rischiare di perdere l'equilibrio e di schiantarsi al suolo. 
La giovane si sorresse con tutta la forza che riuscì a racimolare, facendo leva su un ramo che oscillò pericolosamente. Guardò di fronte a sè, e vide che nella stanza aveva fatto irruzione, particolarmente concitato, il marinaio calvo, il cui ricordo pareva perseguitarla dalla prima volta che lo aveva adocchiato. 
Dunque, non era un capitano, bensì un membro dell'equipaggio che spadroneggiava in lungo e in largo per le rotte oceaniche.
Il marinaio calvo disse qualcosa, ma la giovane non riuscì a sentire molto, fuorchè che una certa cosa era stata ritrovata.

«Che cosa?» Eleanor Guthrie diede voce al suo medesimo dubbio.

«La rotta della Urca che era sparita.» il capitano Flint rispose con calma piatta, la voce fattasi di nuovo umana, reale.

Eleanor Guthrie balzò in piedi, furente.
«Quando pensavi di parlarmene?!»

«È tutto sotto controllo, la stiamo recuperando.. vero, signor Gates?»

Il marinaio annuì, lanciando un'occhiata di rassicurazione verso la padrona della locanda.
«Vane ha incontrato Frasier al bordello, credo che sia lui il compratore--» 

Gates si voltò verso il suo capitano, ma il suo sguardo si andò a posare oltre Flint, ed arrivò a scrutare tra le persiane semichiuse.
«Ma cosa...?»

La giovane, approfittando del diversivo e dell'entrata del marinaio calvo, era avanzata per sistemarsi su un ramo più largo, ma la manovra era stata compiuta in maniera troppo frettolosa e sbadata e quando aveva pestato dei rametti più piccoli, troncandoli di netto con un fracasso fin troppo udibile, Gates aveva alzato la testa verso di lei e l'aveva vista.
Si era immobilizzata, nel panico, ma i loro sguardi -consapevoli- avevano avuto modo di incrociarsi.

"Merda!"

«Capitano, alle vostre spalle, sull'albero!»

La giovane avrebbe voluto accucciarsi e nascondersi sotto il davanzale, ma il piede sinistro mancò l'appiglio e ciò la fece scivolare su di ramo più basso; provò a rimettersi in piedi, ma quando percepì il ramo cedere sotto il proprio peso, senza avere neanche il tempo di batter ciglio, si lanciò nel vuoto, imprecando in un grido involontario.
Impattò sulle proprie gambe, ma lo slancio fu talmente forte che, per attudire la caduta, fu costretta a torcersi in una capriola, rotolando tra la ghiaia.
Fu lesta come una preda nel recuperare il cappello e la cintura con le relative armi e a correre via, riversandosi in strada tra la folla.
Alle sue spalle udì delle grida stentoree. Gates stava chiamando a gran voce, e a ripetizione, sempre lo stesso nome -Billy- forse, l'altro che era giunto assieme a lui alla locanda, quello alto e muscoloso.
Qualche uomo in strada provò a bloccarle il passaggio, ma svincolando con grande abilità, si infilò in un vicolo secondario, svoltando verso la direzione da cui era venuta.
Forse era folle tornare verso la locanda, ma la logica le aveva suggerito che sarebbe stata una mossa furba, dal momento che i suoi inseguitori l'avrebbero di sicuro creduta diretta verso la spiaggia. 
Quando raggiunse il retro della locanda si arrestò, piegandosi su se stessa, a riprendere fiato. 
Nella fuga, aveva perso il più piccolo tra i coltelli, ma il resto del suo equipaggiamento era riuscito a trascinarlo al sicuro. 
Delle voci la misero in allarme, ma subito capì che provenivano dall'alto.
Si schiacciò contro il muro, premendosi una mano sulla bocca, sperando di essere nascosta a sufficienza.

«Capitano, l'abbiamo persa.»

Quella voce gretta e dura come la roccia la fece sobbalzare, come se una mano di ghiaccio le avesse premuto sul cuore.

«Cosa significa che l'avete persa?! Trovatemi quella spia del cazzo e fate in modo che non parli!» il tono di Flint era saturo di quella furia che si confaceva perfettamente all'uomo senza scrupoli di cui si narrava nei numerosi racconti.
«Conosce ogni singolo dettaglio riguardo la Urca e il bottino. Se diffonde la voce, entro stasera avremo decine di equipaggi pronti a saltarci alla gola!»

«Billy sta dirigendo le ricerche, si sistemerà tutto. Si tratta solo una ragazza particolarmente curiosa.»

«O magari lavora per qualcuno.
L'hai vista in faccia, Gates? Hai idea di chi sia?»

«Purtroppo no, capitano. Però ho visto per bene un'altra cosa..»

La giovane si sforzò per impedirsi di urlare, maledicendosi per essersi fatta trascinare dall'istinto divoratore della curiosità.

«Cosa?»

La furia di Flint contenuta a stento, le congelò il sangue nelle vene.

«I suoi capelli. Erano rossi come le fiamme dell'Inferno.» 

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Capitolo 3
*** III. ***


Quel giorno non potè fare altro che sgattaiolare nell'ombra come un ratto. 
Il porto era dannatamente affollato e, se da una parte ciò poteva considerarsi un bene, poiché risultava difficile esser visti, dall'altra si trattava di un ostacolo da non sottovalutare, dal momento che non era affatto facile rendersi conto se si fosse pedinati.
Per tale motivo, la giovane era stata ben accorta nel tenersi nelle vie laterali, stradine secondarie, a debita distanza dal centro di vita nevralgico di Nassau. 
Nonostante la paranoia, sperò che, con un po' di fortuna, gli scagnozzi del Capitano Flint desistessero nel darle la caccia.

Lei, comunque, aveva adottato tutte le precauzioni che le erano state possibili.

Anzitutto, aveva raccolto i lunghi capelli, simili a tentacoli di rame, in una coda di cavallo che aveva poi abilmente nascosto sotto il cappello, in modo che, anche ad occhi attenti, non si notasse spuntare sul collo neanche una singola ciocca.
Si era cambiata gli indumenti; aveva dismesso la camicia color crema in lino grezzo ed aveva indossato una camicia di uno scuro rosso bordeaux -comprata diversi giorni addietro- e sopra di quella, un corsetto in pelle marrone stretto da lunghi lacci in cuoio. 
Aveva nascosto due pugnali nei rispettivi stivali, un terzo sotto il corsetto, mentre aveva relegato le due pistole -rubate nell'armeria di Lawrence- nella borsa di feltro che si trascinava dietro, contenente un paio di calzoni nuovi, la camicia candida appena sfilata, e quel consueto volume vecchio di anni che si era assolutamente rifiutata di abbandonare a Londra. 
Non si sentiva affatto protetta, le pistole sarebbero state molto più efficaci dei coltelli, ma c'era l'eventualità che dovesse scattare e correre da un momento all'altro, e quegli aggeggi -per quanto funzionali- le avrebbero intralciato non poco i movimenti. 
Pregò una qualche entità superiore a caso che gli uomini di Flint non la trovassero mai.

Non si era ancora maledetta abbastanza per essersi intromessa di forza in questioni ben più grandi di lei, che non la concernevano affatto, e si domandò se mai c'era stato qualcuno sopravvissuto dopo aver istigato, seppure involontariamente, James Flint.
Sicura di non voler conoscere la risposta e decisamente contraria a farsi dominare dalla paura, dalla paranoia o da qualsiasi altra facoltà che non fosse la lucidità della ragione, aveva preso in seria considerazione l'idea di imbarcarsi al calar del sole, e di dirigersi lontana da New Providence e dalle mire di un equipaggio di scellerati sanguinari, magari dalle parti di Port Royal o delle coste americane. 
Il problema -perché ce n'era sempre uno- sarebbe stato rimediare una somma di denaro sufficiente per comprarsi un passaggio su un qualche veliero in partenza e il silenzio del capitano che lo governava. 
Per un momento, le era balenato alla mente di rivendersi le informazioni riguardo il tesoro spagnolo e la Urca de Lima, ma qualcosa le suggerì che tale mossa l'avrebbe esposta fin troppo e condotta a morte certa. 
Avrebbero potuto non crederle: senza delle informazioni più precise, senza una maledetta rotta, senza la minima affidabilità. A dire il vero, se non avesse ascoltato il racconto di quella vicenda con le proprie orecchie, non avrebbe ritenuta vera una sola dannatissima parola.
Non le avrebbero creduto, e gli uomini di Flint sarebbero stati messi al corrente di una certa strana ragazza dai capelli scarlatti che se ne andava vagabondando per il porto a raccontare fandonie.
Del resto, una nave leggendaria, una ricchezza ancor più utopica.. chi mai avrebbe prestato ascolto a certi vaneggiamenti? Qualcuno di molto sciocco, probabilmente. 
Eppure Eleanor Guthrie -che sciocca non lo era affatto- ci aveva creduto; aveva fatto domande, certo, ma poi aveva ceduto alle fantasie e ai sogni di grandezza.

E poi c'era stato quel magnifico discorso del capitano Flint. Anche lui aveva sogni di grandezza.
Ma la stranezza era che non li aveva per se stesso, per una sua personale ed egoistica ingordigia, bensì per il bene Nassau e la prosperità dell'isola di New Providence.

Se non avesse tenuto veramente molto alla propria vita, la giovane avrebbe azzardato che, a tormentarle i pensieri, non fosse tanto l'ordine di cattura che Flint aveva comandato nei suoi confronti, ma le parole che gli aveva segretamente -ormai non più così tanto- sentito uscire di bocca.
James Flint, a prestar ascolto a certe storie, incarnava la personificazione del demonio in terra, eppure -per quanto si fosse dimostrato privo di scrupoli nell'ordinare un omicidio- la giovane aveva avuto la percezione di aver ascoltato più le parole e i desideri di un uomo esasperato, forse ai limiti di una tacita disperazione, piuttosto che quelle di un criminale impenitente.
Il capitano era stato molto chiaro. Si era paragonato ad Ulisse, e Ulisse andava cercando pace dopo tanti affanni.. Anche Flint cercava pace, lo aveva asserito con un tono definitivo.   
E lei, cosa andava cercando? 
Evasione, libertà, un luogo a cui appartenere..
Nonostante gli stenti cui era andata incontro, la giovane ammise a se stessa quello che si ostinava a non voler ammettere: Nassau le piaceva. 
Le piaceva il clima, anche se torrido, il mare cristallino, la vivacità, la vita che quel porto sprizzava da ogni granello della sua sabbia bianca.
Stabilirsi lì non le sarebbe dispiaciuto, in fin dei conti. Lontana dal mondo come lo conosceva e al sicuro dal proprio passato..
Con un'improvvisa illuminazione, realizzò che il progetto utopico del capitano Flint era il segno che lei stava aspettando con ansia: la possibilità di ricominciare da capo, di ricominciare a vivere.. A vivere per davvero. 
Si trattava solo di una promessa ai limiti dell'irrealizzabilità, certo, ed anche Scott -il servo di Eleanor Guthrie- non aveva mancato di rimarcarlo, eppure quella promessa dalla mirabile lungimiranza, era molto di più di quanto non le avessero mai offerto il suo vecchio zio Archibald e sua zia Isobel, quella serpe.

Al solo fugace pensiero, la giovane si sentì ribollire lo stomaco di un fuoco divoratore che le avvampò e le montò in petto, incendiandole l'anima. 
Pensò che se avesse avuto, in quel preciso momento, davanti agli occhi quella donna, avrebbe tratto un piacere -quasi estatico- nell'aprirle la gola ed osservare avidamente la vita abbandonare quello sguardo arcigno.

Espirò rumorosamente, scuotendo il capo. Il suo temperamento era sempre stato impulsivo, ma quella rabbia con cui nutriva il suo cuore ferito ormai da anni, stava incominciando a preoccuparla sul serio. C'era qualcosa di oscuro, di selvaggio, qualcosa che l'avrebbe potuta spingere ad eccessi di cui nemmeno lei aveva idea.. Un istinto che, se avesse preso il sopravvento, non era sicura sarebbe riuscita a tenere a bada.
Non poteva farci niente, però. 
Isobel le aveva rovinato la vita, aveva distrutto tutto ciò che le era più caro quando era ancora soltanto una bambina innocente.
A confronto, James Flint le parve un arcangelo investito di un'aura divina.
Quel pirata aveva degli ideali, delle ambizioni moderne, una mente brillante; forse, la crudeltà che il suo ruolo gli imponeva, la giovane poteva addirittura comprenderla. Ma ciò che non poteva -e non voleva- comprendere erano le ragioni di Isobel Fisher, quei suoi meschini doppi fini.. 
Il /vero/ mostro era la donna che le aveva portato via tutto. 
James Flint, invece, le avrebbe incosapevolmente potuto restituire una vita.

Per la prima volta, dopo tanto tempo, la giovane scelse di credere in qualcosa e -finalmente- capì cosa avrebbe dovuto fare.

[…]

Al calar del sole, il molo somigliava all'anticamera della morte. 
Fiaccole tremolavano ad ogni angolo, ad ogni attracco, come ad indicare, a qualsivoglia viandante che avesse la briga di avventurarsi per la lunga palafitta, il cammino da seguire per un altro mondo. Marinai e mozzi si affaccendavano ad attorcigliare lunghi vimini o a rifornire le scorte alimentari per il proprio equipaggio, mentre qualche mercante era intento a controllare che le merci da esportare fossero state caricate nelle stive con criterio.
La giovane, guidata da una certa circospezione, si guardò attorno, studiando i vascelli ormeggiati come giganti assopiti. 
Le era venuta in mente una possibile buona trovata circa il da farsi, ma aveva valutato l'occorrenza di prendere scrupolose misure precauzionali, così si era decisa di cercare una nave prossima per la partenza, nel caso le fosse servita. 
Non possedeva soldi per pagare, ma aveva sfilato un anello ornato di un grosso topazio luminescente -un frammento di un qualche bottino depredato- dal dito di un povero disgraziato addormentato ad un angolo della strada, emanante un forte puzzo di rum; non l'aveva potuto rivendere per timore che qualcuno potesse riconoscerlo e risalire al proprietario, e di conseguenza rintracciare lei, la ladra, ma confidava che quel monile potesse essere gradito ad un qualche capitano prossimo a lasciare Nassau.
Se anche poi tale capitano avesse fatto ritorno, e qualcuno -l'ubriaco, magari- avesse riconosciuto il proprio gioiello, lei sarebbe stata ormai ben lontana dalle coste di New Providence.

Si rigirò l'anello tra le mani, mentre osservava le navi con minuziosa attenzione. Alcune parevano essere appesantite dai carichi più disparati, la chiglia completamente sommersa dalle acque scure, altre invece sembravano trovarsi in fase di preparazione, ma non per un'imminente traversata. 
Camminò, lenta, per minuti interminabili, poi finamente trovò ciò per cui era venuta.
Un uomo vecchio se ne stava seduto -ingobbito dagli anni- su un rudimentale sgabello, forse da lui stesso intagliato, a scrutare con infinita pazienza ogni singola faccenda di cui il molo fosse testimone. 
Da quanto aveva appreso la giovane, quel vecchio era soprannominato Il Corvo. Ed era stato il nostromo di una grossa galea pirata e -oramai non più in forze per una vita tanto dura- si era ritirato sulla terraferma, trascorrendo le giornate come inchiodato su quella seggiola, neanche fosse una vecchia colonna portante. 
Gli uomini lo consideravano come parte integrante del molo e ne ridevano quasi di tenerezza, augurandosi di non incappare mai in una fine di quella sorta.
La giovane interruppe la propria marcia e ripose l'anello col topazio al sicuro, nella borsa; poi, ostentando un atteggiamento disinvolto, si affiancò al Corvo e si inginocchiò a terra, accanto a lui.

«Salve, sir.» lo salutò, senza slacciarsi in larghi sorrisi «serata movimentata, eh?» stranamente, quella sera, il molo -in realtà- non era poi così affollato.

Il Corvo non rispose e continuò a guardare dritto, come se nemmeno avesse notato una presenza oltre la propria.

«Sapete, in giro si dice che voi siate le orecchie e gli occhi di questo porto» la giovane indicò attorno a sé con un gesto del braccio «che conosciate ogni singola nave e che sappiate perfino quante volte gli uomini si calino le braghe per pisciare.»

Il silenzio che seguì le parve incombere, quasi pesare, sulle proprie spalle. 
Si trattenne dallo sbuffare, sebbene fosse conscia di non avere il tempo del mondo a propria disposizione per crogiolarsi con stupidi giochetti di ostinazione: quella notte aveva da fare e doveva affrettarsi.

«Si dice anche che Davy Jones vi abbia strappato via la lingua perché anni fa gli avete mentito, ma--»

«Chi cazzo sei?» il Corvo gracchiò proprio come un corvo.

«--Ma io scommetto che le cose non siano andate esattamente così.» la giovane terminò la frase sorridendo, lieta di aver attirato l'attenzione del vecchio nostromo.

«Solo un'umile serva, sir. Porto un messaggio da parte di Eleanor Guthrie per un certo capitano Harrigale, solo che non ho idea di chi diamine sia. Voi, senza alcun dubbio, lo conoscerete..»

«Mh..» il Corvo mugugnò come se stesse valutando le sue parole, pensoso «non mi ricordo di nessun fottuto capitano Harrigale!» 
Il vecchio alzò d'improvviso il tono della voce, avvinazzando l'aria con un fiato fetido.

«D'accordo, ma saprete di certo indicarmi i nomi di tutte queste navi che vedo, insomma.. Mi capite? Il messaggio è molto importante e la signora Guthrie non è una donna a cui piace attendere a lungo una risposta.» la giovane si martoriò il labbro inferiore, pregando che quell'uomo incartapecorito abboccasse alla sua esca.

«Perché cazzo non è venuta di persona, eh?!»

La giovane si sforzò di sorridere, accomodante.

«Vedete, sir, per certi particolari lavori, la signora dell'isola incarica persone come me

Il Corvo fece cadere l'occhio su una fibia dello stivale che la giovane si era curata di abbassare, svelando l'elsa di un pugnale dalla lama lunga. S'irrigidì a vista d'occhio e cercò di raddrizzare la propria gobba, quasi per restituirsi un contegno- il contegno di un uomo di mare.
Non replicò nulla, piuttosto serrò la mascella e rivolse alla sua interlocutrice uno sguardo risentito, quasi altezzoso.

«Bene. Ora che abbiamo messo le cose in chiaro, mio buon amico, credo che potremo giocare ad armi pari.»

Il vecchio Corvo ghignò sprezzante, scoprendo due file di denti guasti.

«Armi pari? Tu hai un cazzo di coltello nello stivale!»

«Già, e so usarlo piuttosto bene.» la giovane mentì.
L'unico coltello che avesse mai usato durante la propria vita, era stato quello per tagliare l'arrosto di carne servito durante la cena; ma questo, il Corvo, non poteva saperlo.

«Adesso, io ho bisogno di informazioni e voi me le darete. Oppure, mi curerò personalmente di portare a termine quello che Davy Jones, evidentemente, non ha potuto.»

Il Corvo sgranò gli occhi, inorridito e sdegnato per il trattamento ricevuto.

«Costerà. I miei servizi costano caro.»

«La vostra lingua vi pare sia cara abbastanza?» la giovane interpose una pausa per permettere che il timore di eventuali ritorsioni si impossessasse del vecchio nostromo.
«Perché è di questo che vivete, dico bene? È questo che vi impedisce di marcire dentro una bettola qualsiasi, non è così?
Osservate e riferite al miglior offerente. Ditemi, vecchio, quale valore credete che abbia una spia senza una voce?»

«Fottiti, lurida troia!» il Corvo sputò a terra un grumo pastoso di saliva e muco, in un gesto di mero disprezzo.

La giovane incassò sorridendo, compiacendosi dell'insulto e di aver finalmente trovato una valido pretesto per sfoderare il pugnale. Lo puntò dritto sulle costole del marinaio, e sotto la punta della lama, potè chiaramente percepire la carne, ormai avvizzita, palpitare per l'agitazione.

«Forse non mi sono spiegata a dovere, vecchio» la giovane premette la punta del coltello più a fondo, senza penetrare la carne, ma in modo che il solo pensiero tormentasse la sua vittima.

«Il mio lavoro è quello di aprire gli stronzi come te dalla testa alle palle. E quando lo faccio, mi assicuro che il dolore venga sofferto per bene-- adesso, da bravo galantuomo, perché non mi indicate ogni singola nave di questo porto e mi dite chi la governa?»

Con un movimento repentino della mano libera, la giovane estrasse un secondo coltello, più piccolo, e lo puntò alla gola del vecchio nostromo dalla pelle grinzosa e bruciata da tanti anni trascorsi sotto il sole più selvaggio.
Il Corvo, nell'estremo tentativo di non farsela nelle braghe, distese un braccio tremante verso l'orizzonte, additando due vascelli.

«Quelle..» deglutì, come per farsi coraggio «quelle sono la Reina Moray del capitano Gonzaléz e la Lady Joanna del capitano Ostricht, i carichi sono di tabacco e spezie dalle Indie.»

La giovane annuì, passando velocemente in rassegna due grosse galee.

«Continuate.»

«La Major Glory del capitano Stanley, la Bloody Mary dello Scozzese e più avanti, beh--»

«Beh, cosa?»

«Per i sette mari! Quella è la Ranger di Charles Vane-- la conoscono pure i poppanti!»

Una brigantino di dimensioni più modeste, ma dall'aspetto guerresco, dondolava -cullato dalle onde- poco più avanti, seminascosto dalla mole imponente della Bloody Mary.
Naturalmente, la giovane conosceva Charles Vane di fama e di vista, giacché era solito trascorrere più tempo sull'isola e nelle stanze di Eleanor Guthrie che nelle stive della propria nave; qualcuno diceva che tra i due c'era del tenero, ma da che frequentava la locanda, lei li aveva solo sentiti litigare come bambini intestarditi.
Nonostante tutto, Vane era un pirata formidabile, temuto e rispettato da ogni uomo che avesse mai messo piede sul ponte di un veliero.

«Cosa mi dite delle altre?» la giovane addolcì il tono, ma non mancò di rinsaldare la presa sulla gola del vecchio Corvo, affinché non dimenticasse di essere sotto scacco.

«Fottiti, io non ti dico proprio più niente!»

La giovane sferrò un leggero colpo di lama sul collo del nostromo ed un esile rigagnolo di sangue cominciò a colare imbrattando gli indumenti stracciati dell'uomo, già lerci anzitempo. 

«Prova a gridare e ti scanno come un maiale.»

Il Corvo rantolò, un lamento gutturale e disperato, ma non osò dar suono ad un grido vero e proprio.
La giovane si guardò rapidamente attorno, appurandosi che il Corvo, con quel suo gracchiare, non avesse attirato l'attenzione di nessuno.
Tutto sembrava immobile, ma non si sentì affatto sicura.

«Quella laggiù» indicò, con un cenno del capo, un vascello ormeggiato in solitario «la nave vicina alla scogliera..»

Il vecchio Corvo si fece sfuggire un'allegra risata.

«Così è quella che ti interessa, eh? Il terrore di tutti i mari, la Walrus!»

La giovane scrutò nella coltre notturna, annuendo impercettibilmente. 
«Chi la governa?»

«Chi la governa?! Che Nettuno ci affoghi, l'unico uomo in grado di poterla governare, l'incubo di ogni cazzo di marinaio..!»

«Flint» la giovane sussurrò quel nome più a se stessa che al vecchio nostromo, scoprendosi di nutrire un timore quasi reverenziale. 
«È in partenza?»

«Se è in partenza? Cazzo, no! Non lo vedi com'è distante? Gli uomini l'hanno ormeggiata laggiù per il carenaggio..»

«Il carenaggio?»

«Sissignore! La svuotano -oh, se la svuotano! La svuotano come un pesce con la lisca--»

«Ci vorrà del tempo, immagino.»

«Beh, mettiamola così» il Corvo si voltò di tre quarti e il suo alito acre si diffuse nell'aria ancora una volta «il capitano Flint avrà tutto il tempo per scoparsi ogni puttana del porto due volte.»

La giovane arricciò il naso; chissà perché, non le era parso che James Flint fosse interessato poi così tanto a trascorrere il proprio tempo con i calzoni calati, eppure la sola immagine la disturbò non poco.

«Sto cercando un cuoco, un certo Silver.» cambiò discorso, nel tentativo di porre fine a quel colloquio prima d'essere notata.

«Silver..» il Corvo socchiuse gli occhi, come se quel gesto potesse infondergli la cognizione di una scienza superiore.

«Un tipo vivace. Riccioli neri e sorriso da malandrino.. Si aggira spesso da queste parti.»

Il vecchio marinaio annuì, quasi con cipiglio solenne.

«È qui da poco, uno dei nuovi arrivati. Il nuovo cuoco proprio della Walrus.»

«Della Walrus?» la giovane allentò la stretta sul nostromo per qualche istante, scossa dallo stupore.

«Quel bastardo mi ha fregato la mia bottiglia di rum! Ah! Che Nettuno lo affoghi...!»

«Dove lo trovo? Avanti, parlate!»

«Lo aprirai dalla testa alle palle?»

La giovane schiuse le labbra, come a voler replicare qualcosa, ma la risposta tardò ad arrivare.

«Beh..» le tornò alla mente l'irritante impertinenza di John Silver «le probabilità sono molto buone.»

Il Corvo sputò nuovamente a terra, poco lontano da uno degli stivali della ragazza.

«Fanculo! Lo voglio crepato, quel bastardo, mi ha fregato il mio rum..!»

«Non mi interessa del rum, voglio sapere dove posso trovarlo. Voi lo sapete, è così?»

«Come cazzo faccio a saperlo?! Io me ne sto qui, per i fatti miei.. Dove se ne va il bastardo Silver, non mi importa--»

«Ma importa a me» la giovane nascose una smorfia di fastidio; la sabbia si era fatta dura come il marmo italiano, le ginocchia le dolevano a morte.. cominciò a credere che di quel passo, entro l'alba, avrebbe /davvero/ ucciso qualcuno. 
«Ditemi dove lo posso trovare.»

«Oh, al bordello, magari lì..»

«Non posso andare al bordello e trascinarlo fuori dalle camere, le puttane non mi faranno entrare--»

«Ma il bastardo Silver non va là per le scopate!»

La giovane corrucciò la fronte:
«E allora perchè ci va?»

Il Corvo sorrise con quella sua dentatura compromessa, più simile ad una maschera grottesca che ad un uomo.

«Queste vecchie orecchie l'hanno sentito, oh sì!»

«Cosa? Cos'hanno sentito?»

«Quel bastardo di un cuoco ha per le mani un affare, uno di quelli grossi.»

«Che tipo di affare?»

«Cazzo, non lo so! Questo non lo ha detto! Però-- però, lo diceva a Jack Rackham.»

La giovane conosceva il pirata per sentito dire, ma non ricordava d'averlo mai incontrato.

«Il quartiermastro di Charles Vane?» chiese conferma, titubante.

«Proprio lui! Sta attaccato al culo di Vane come la mascella di un cane fa con l'osso.»

La giovane stava per porre al vecchio nostromo delle ulteriori domande -aveva il sospetto che quell'imbroglione sapesse molto di più di quanto non dicesse- ma un cospicuo gruppo di uomini si fece largo sul molo, vociando in tutta allegria. Forse, una ciurma di ritorno alla propria nave.
Colta dal timore, rinfoderò i coltelli ed estrasse una bottiglia scura dalla borsa di feltro.
La porse al vecchio Corvo e si sollevò nuovamente in piedi, le ginocchia che le scrocchiarono, sofferenti.

«Tenete e vedete di scolarvela prima che qualcuno ve la rubi!» all'uomo ubriaco addormentato poco lontano dalla locanda della Guthrie, non aveva sottratto soltanto l'anello.

Aveva, inoltre, successivamente colto alcuni papaveri in una zona campagnola verso l'entroterra dell'isola ed aveva spremuto i petali, versandone il succo viscoso ricavato, all'interno della bottiglia di rum.
La speranza nutrita era che una sbornia ed un sonnifero, per quanto grezzo, facessero cadere nell'oblio della dimenticanza il vecchio Corvo, al seguito della loro conversazione poco convenzionale.
Attese di vedere l'uomo tracannare il liquore, per poi girare i tacchi e risalire il molo e la spiaggia, diretta verso le vie interne del porto.
Prima di sparire dalla portata d'orecchio, udì il vecchio marinaio ridere sguaiatamente e gridare la medesima frase a ripetizione, come fosse un versetto sacro:

«Fanculo, Davy Jones! La mia lingua non te la sei presa, yo-oh!»


***


Al suo interno, il bordello era squisitamente sovraffollato e decisamente più soffocante di quanto non apparisse dal di fuori.
Lo si poteva intuire giusto dalla confusione, giacchè fitti filamenti di nebbiosi fumi incensati aleggiavano nell'aria come spiritelli incalliti, offuscando la vista ed ovattando i restanti sensi. In aiuto, i più disparati aromi contrastavano aspramente tra loro, finendo per ridursi ad una disgustosa mistura nauseante di tipiche fragranze floreali delle Indie, profumi francesi d'importazione, con cui le puttane erano solite imbellettarsi, sudore di marinaio e il solito, immancabile, rum.
La giovane prese un profondo respiro, e si infilò -per coprire il corsetto e qualsiasi indizio circa il proprio sesso- la camicia di lino candido, acquisendo un aspetto vagamente più mascolino.
Si portò le mani alla fronte per ricacciare indietro i primi ciuffi ribelli che tentavano di liberarsi dalla morsa del cappello di tela che aveva avuto cura di non sfilarsi, nemmeno per un singolo istante, da che aveva udito la voce ferrea di James Flint ordinare ai suoi cani sciolti di braccarla come un animale ferito.
Mosse pochi passi, sfiorando un morbido tendaggio di un intenso color carminio, come sangue pisto, immettendosi quindi in un ambiente disseminato di tavoli ricoperti di tovaglie candide destinate ad ogni genere di attività, fuorchè a quella ordinaria di consumare pasti; ma dopotutto, un bordello non era una locanda. 
Adocchiò un tavolo situato in un angolo estremo del locale, e pensò bene di affrettarsi ad occuparlo; se non altro, per non restare più tempo del necessario in piedi nel bel mezzo dell'atrio, attirando sguardi indiscreti e non desiderati. Non era mai entrata in una casa del piacere in vita sua e non aveva idea di come, di norma, fosse uso di comportarsi, nonostante non le fosse poi così difficile da immaginare.
Si concesse qualche attimo per guardarsi intorno e studiare la situazione, nel tentativo di adeguarsi all'evenienza.
Lo scenario era più o meno unanime: uomini di mare -pirati o mercanti che fossero- se ne stavano placidamente seduti nelle pose più scomposte, occupando tavoli piuttosto ravvicinati tra loro, con una coppa ricolma di vino o di rum in una mano e una ragazza a cavalcioni sulle ginocchia da palpeggiare con l'altra.
Alcuni uomini dall'aspetto pingue e il volto rubicondo si intrattenevano con più ragazze contemporaneamente, non perchè particolarmente fortunati o particolarmente abili, ma perchè particolarmente ricchi.
Era il denaro, soltanto quello, ad attirare le puttane tra le grinfie di quei depravati come uno sciame di api sulla morbida corolla di fiori dai colori vividi. 
Ed in effetti, anche le puttane sapevano come succhiar via un prezioso nettare dorato e sonante dalle tasche dei galantuomini che cadevano vittime sotto il giogo della lussuria, e che, proprio come fiori, al termine dei giochi, solevano ritrovarsi con i pistilli sensibilmente più leggeri.
La giovane distolse rapidamente l'attenzione da alcune scene di discutibile gusto, sforzandosi di non scomporsi o tradirsi, anche solo per un leggero battito di ciglia. 
Per sua fortuna, nessuno degli uomini si trovava in quel circolo per badare a lei, giacchè qualsiasi compito o dovere o ordine di cattura impartito loro, veniva dimenticato almeno sino alla mattina successiva. Non volle illudersi di essere al sicuro per qualche ora, ma non potè fare a meno di crogiolarsi in quel gradevole senso di tranquillità che le stava diventando oramai sconosciuto. 
Si calò la visiera del cappello sulla fronte, in maniera che il proprio sguardo potesse vagare indisturbato per la sala, alla ricerca della figura sbarazzina e riccioluta di John Silver. 
Il Corvo aveva detto che il cuoco non frequentava il bordello per usufruirne nel suo scopo più consueto, ma per sfruttarne la discrezione- se poi si poteva parlare di discrezione in un luogo tempestato dalle urla di invasati, gemiti ambigui e risate sguaiate. Ma forse, era proprio quel selvaggio e liberatorio sfogo che poteva distogliere qualsiasi tipo di sgradita attenzione, al punto da non consentire ad anima viva di prestare il minimo riguardo a null'altro se non all'appagamento del proprio desiderio personale. 
Quel Silver, c'era da ammetterlo, si era dimostrato maledettamente scaltro.
La giovane, come si era aspettata, non l'aveva scorto seduto a nessuno di quei tavoli, così aveva lentamente rivolto le proprie occhiate scrutatrici alla balconata in legno chiaro che sporgeva dal piano superiore, il piano destinato alle camere da letto. Ipotizzò che il cuoco si trovasse all'interno di una di quelle, intento chissà a concludere quale importante trattativa.
Quando lo aveva conosciuto, non le era parso quel tipo di persona in grado di offrire grandi possibilità, ma forse quell'impudente dagli occhi vispi era meno sprovveduto di quanto volesse apparire.

" Tutto quello che succede su questa spiaggia è importante."

Le riaffiorarono alla mente quelle parole che Silver aveva pronunciato con un'estrema distrazione, quasi inconsciamente, quella stessa mattina; parole che le fluttuavano nella testa insistenti come un pensiero voluttuoso. 
Le aveva sentite risuonare anche quando aveva osservato gli uomini di Flint entrare nella locanda di Eleanor Guthrie...
Poco ci mancò che fosse scossa da un vero e proprio sussulto, come se una lama affilata le avesse improvvisamente premuto sulla schiena. 
Lasciando che i pensieri scorressero fluidi come le note di un'aria sullo spartito, non le fu troppo difficile mettere insieme i tasselli di quell'enigma. 
In quei giorni, a Nassau era stato introdotto un oggetto di ineguagliabile valore: cinque milioni di dollari spagnoli, a voler essere precisi. 
Il capitano Flint aveva parlato di una rotta di un rilievo cruciale, la rotta per raggiungere quel galeone iberico così irrintracciabile da esser quasi creduto una leggenda. Ma Flint aveva omesso di non avere tale rotta per le mani. C'era voluto l'arrivo del suo braccio destro-- Gates, il pirata calvo e traccagno con un bizzarro tatuaggio sulla nuca; aveva riferito qualcosa al suo capitano, qualcosa riguardo il compratore. Erano stati fatti dei nomi, uno era quello di Charles Vane, ma la giovane non ricordava altro, poichè non era riuscita ad udire con chiarezza l'intero discorso; la risposta di Flint, però, era stata cristallina: "la stiamo recuperando."
Ad un tratto, il quadro le si presentò ridicolamente semplice, di una logica quasi sconcertante, e la rivelazione la portò a compiere il gesto istintivo di tapparsi la bocca, quasi a volersi impedire di esclamare qualcosa a sproposito.
La rotta era a Nassau, ma non già tra le grinfie di James Flint. 
Silver stava conducendo un affare, "uno di quelli grossi", e -a giudicare dal bisogno di assoluta riservatezza e da quel suo comportamento estremamente circospetto- la giovane non credeva di sbagliare a pensare che il cuoco, il cuoco della Walrus, stesse disperatamente cercando di rivendere quel documento del quale era venuto in possesso-probabilmente rubandolo- al capitano Vane che, da come lei aveva avuto modo di apprendere nei giorni passati, rivestiva il ruolo dello storico rivale di Flint. 
I due si combattevano la supremazia sull'isola, e forse anche sui sette mari, anche se sarebbe stato ben più corretto sostenere che fosse Charles Vane a star combattendo per una causa persa e irrealizzabile. 
James Flint non era di certo famoso per la condivisione del potere, nè per la generosità, se non quella con la quale era solito elargire la morte; in molti sostenevano che avesse venduto la propria anima al diavolo e che non potesse venir ucciso, ma l'ipotesi non si presentava come granchè plausibile, giacchè per potersi vendere l'anima, bisognava anzitutto possederne una. 
Tuttavia, John Silver possedeva la rotta e la rotta possedeva quel potere che avrebbe permesso a Charles Vane di schiacciare ed annichilire Flint una volta per sempre. 
Il vecchio Corvo, giù al molo, aveva asserito di aver visto Silver confabulare con Jack Rackham, il secondo di Vane. 
Niente, nella mente della giovane, lasciava più spazio a dubbio alcuno.
L'unica incertezza forse ancora lecita, poteva riguardare l'esistenza di tale preziosa rotta, se non fosse stato che lei aveva avuto modo -inconsapevolmente- di poterla vedere.
Ricordava nitidamente quell'oggetto dalla forma allungata spuntare dalla tasca interna della giacca di John Silver; all'impatto, lei l'aveva scambiato per l'elsa di un pugnale, e solo quando il cuoco aveva cercato nasconderle quella vista, aveva realizzato trattarsi soltanto di un'innocua pergamena.
Innocua.. Fino a quel momento, almeno.

Un tonfo sordo la risvegliò da quello stato di profonda indagine deduttiva, riportandola ai fumi dell'incenso e alle oscenità che le si stavano consumando di fronte gli occhi assenti.
Una donna poco più grande di lei, parzialmente vestita, aveva raggiunto il suo intimo tavolino e le aveva offerto una coppa contenente uno scuro liquido denso; dall'odore, pareva trattarsi di vino sul punto di tramutarsi in aceto mescolato con del miele.
La giovane si limitò a fissare il calice non eccessivamente pulito, ma non osò muovere un singolo muscolo. 
La puttana afferrò una sedia, una delle poche rimaste libere, le si accomodò di fronte e le sorrise, adottando un cipiglio cortese. Una lunga treccia fulva le contornava un viso imbellettato dalla porpora dai tratti piacevoli e le labbra carnose e piene. Portò le mani curate sul ripiano del tavolo, ogni gesto dettato da un finto trasporto, ormai un mero automatismo del mestiere.

«Come posso risollevare il morale di un misterioso avventuriero?» domandò con la voce vellutata di una ninfa.

La giovane s'irrigidì, interdetta circa la propria possibilità di replica. Parole confuse le si affollarono alla mente, ma non una frase di senso compiuto prese forma sulle sue labbra. Si limitò ad alzare lentamente il capo, sforzandosi di mantenere un'espressione imperscrutabile. 
La puttana bionda non riuscì a frenare la sorpresa iniziale, ma fu brava a non scomporsi; di sicuro, anche quello doveva essere un comportamento dettato dall'esperienza. 
La giovane era certa che, quella donna, si fosse dovuta imporre di mantenere un contegno dignitoso di fronte a colpi d'occhio ben peggiori rispetto a quello di una ragazza abbigliata come un uomo.

«Oh, non sei uno dei clienti-- non uno di quelli che si vedono di solito da queste parti!» la puttana ostentò un sorriso che, però, risultò un poco rigido «ma non temere, abbiamo ragazze che possono soddisfare ogni tua voglia. Alcune di loro sono ancora libere. Posso andare a chiamarle, tu, nel mentre, puoi accomodarti al piano di sopra--»

«Come ti chiami?» la giovane fu lesta ad impedire che la prostituta si alzasse, ma si curò di mantenere una certa calma nel tono della voce.

«Charlotte, mia... cara.» 

La giovane si curvò col busto in avanti, avvicinandosi maggiormente al piano del tavolo, vi poggiò i gomiti sopra e scansò, senza troppa cortesia, la coppa di vino il cui odore le stava dando la nausea.

«Va bene, Charlotte. Posso chiamarti Charlotte?» quando la puttana annuì, la giovane riprese a parlare con sistematica flemma, come se avesse a che fare con una bambina in tenera età «non serve che tu vada a chiamare nessuna delle tue amiche, tu andrai benissimo.»

«Ecco, io--» una vena di incertezza e di insicurezza colorò la voce suadente della donna dalla treccia bionda, mentre le sue guance si fecero violentemente più purpuree.

La giovane dovette trattenere lo stupore, eppure non potè fare a meno di riflettere su quanto una prostituta capace di arrossire potesse rivelarsi una stranezza rara.
«Tu cosa? Sei libera, o sbaglio?»

«N-Non sbagli, ma--»

«Ascolta, Charlotte» la giovane puntò il proprio sguardo di un insolito scuro verde smeraldo in quello celeste della prostituta, come a volerla rassicurare «non sono qui per nessun tipo di prestazione, se è questo che temi.»

Charlotte sembrò tirare un sospiro di sollievo, per quanto la giovane ritenesse che sarebbe stata una cliente molto migliore in confronto a quei barbari di mare, cui le puttane di Nassau avevano dovuto fare il callo. 
Immaginò /quanto/ delicato potesse essere il tocco di uomini avvezzi a maneggiare canapi, sartie e sciabole.
«Voglio solo scambiare quattro chiacchiere con te, quindi resta dove sei e continua a sorridere anche se non ce n'è motivo.»

La puttana obbedì, forse un poco intimorita dal tono perentorio della ragazza che le sedeva di fronte con aria austera ed autoritaria. 

«Meraviglioso» la giovane incrociò tra loro le dita delle mani e vi adagiò il mento sopra, per simulare un atteggiamento che avrebbe potuto far pensare ad un certo interesse nel conversare «adesso, Charlotte, potresti cortesemente dirmi chi è quella donna lassù?»

L'aveva notata quasi subito dopo aver fatto il proprio ingresso. Era una figura secca e trasandata che camminava avanti e indietro, lungo la balconata del piano superiore. Non l'aveva riconosciuta all'istante, ma dopo averla osservata di sottecchi, la giovane aveva riconosciuto, in quella tetra immagine, la donna -forse una pirata- che se ne stava appostata fuori il bordello e nella quale lei si era accidentalmente imbattuta qualche sera addietro. 
La sconosciuta, armata fino ai denti, le aveva rivolto giusto poche parole che, a onor del vero, erano state perlopiù insulti. 
Ora che l'aveva osservata con più attenzione e con l'aiuto della luce diffusa dai candelabri, la giovane aveva notato che quei suoi lunghi capelli scarmigliati erano della stessa tinta intensa dei tendaggi color del sangue. 
Per il resto, non aveva individuato grandi differenze: i vestiti erano sempre gli stessi, macilenti e rattoppati, e le armi le penzolavano da un lungo cappotto di tela rovinata, pronte all'uso, e il cappellaccio scolorito pareva incatramato alla base della nuca piuttosto che appoggiato.

«Intendi quella donna losca di guardia sulla balconata?» Charlotte si voltò lievemente, gettando una fugace occhiata verso l'alto, poi tornò nella posizione iniziale senza smettere di sorridere «quella è Anne Bonny.»
Pronunciò quel nome come se avesse dovuto risvegliare qualcosa nella memoria della propria interlocutrice, ma visto che non vide sortire l'effetto prospettato, si affrettò a proseguire la propria spiegazione.
«Si accompagna sempre con Calico Jack, è impossibile vederli separati. In pratica, Anne è la sua ombra.»

La giovane si accigliò, vagamente confusa.
«Calico Jack?»

La puttana ridacchiò con un'aria vagamente da civettuola.
«Oh sì, intendo Jack Rackham. Molti di noi lo chiamano in quel modo.»

«E per quale motivo? E' originario di Calì?» la giovane ricordava d'aver visto di sfuggita e soltanto da lontano Jack Rackham, ma i suoi tratti non le erano parsi quelli di un indigeno delle Indie.

«Beh, non saprei..» 
Charlotte parve frastornata da quella domanda, così la giovane lasciò correre e tornò a dedicarsi alle faccende che maggiormente le premeva di approfondire.

«Hai detto che sta facendo la guardia» la giovane rivolse ad Anne Bonny uno sguardo scrutatore, ai limiti della provocazione, e per un momento, le sembrò che la pirata la stesse ricambiando «esattamente per quale motivo sta facendo la guardia?» 

«Beh, ecco--» Charlotte parve sentirsi veramente a disagio per la prima volta da che aveva fatto la propria comparsa «non so cosa stia capitando là dentro, ed anche se lo sapessi, non sarei autorizzata a parlarne. Capisci? Una puttana deve saper mantenere dei segreti--»

«D'accordo, d'accordo» la giovane si accompagnò con un gesto vago della mano, come a simboleggiare una metaforica resa «sto cercando un uomo. Puoi dirmi se è qui, Charlotte? O anche questo è un segreto?»

La puttana si torturò il ciuffo ricurvo, il culmine della sua lunga treccia, rigirandolo quasi spasmodicamente tra le dita; aveva smesso di sorridere e tutto ciò che fece fu solamente abbozzare un cenno di diniego con evidente nervosismo.

«Sto cercando John Silver, il cuoco della Walrus. Lo conosci?» 

«So chi è, ma non è un mio cliente» Charlotte deglutì, come nel tentativo di liberarsi di un terribile nodo alla gola «non so dirti molto su di lui.»

«Non importa. Ho soltanto bisogno di sapere dove posso trovarlo.»

La puttana schiuse le labbra, forse per aggiungere qualcosa, ma nessuna parola seguì quell'impulso.

«Allora, Charlotte?»

«O-Oggi sono venuti a chiedere di lui degli altri uomini. Credo che si sia cacciato in brutti affari.»

La giovane ghignò, quasi compiaciuta, e schioccò la lingua sul palato. Anche se la puttana non lo aveva rivelato, avrebbe potuto indovinare i nomi di quegli uomini; poteva perfettamente figurarseli: uno alto e scolpito come un marmo greco e l'altro dalla voce pietrosa e il capo glabro.
«Ma non mi dire.. E' in quella camera insieme a Rackham, non è vero?»

Charlotte afferrò i lembi dello scialle che le adornava le spalle nude e se lo strinse al petto, come se avesse improvvisamente incominciato a sentir freddo.
«Sei una di loro anche tu, è così?»

La giovane corrucciò la fronte, non comprendendo a fondo il senso di quella domanda.
«Una di loro?»

«Sì, ecco.. Insomma-- una pirata?»

Rimase colpitta da quelle poche parole. Avrebbe voluto rispondere che non era così, che lei era una persona tendenzialmente per bene, ma si rese conto di quanto poco potessero risultare credibili quelle sue affermazioni. 
Ancora una volta, rivolse la propria attenzione sulla figura di Anne Bonny e di nuovo ebbe, come la prima volta che l'aveva vista, quella vaga percezione che, quasi per assurdo, che tra loro ci fosse in qualche modo una vaga somiglianza. Forse per via dell'abbigliamento poco elegante e poco appropriato o forse per un motivo ben più profondo della mera apparenza.
Scrollò lievemente le spalle, quasi a volersi riportare indietro al presente e a Charlotte che le sedeva di fronte, ancora in attesa di una risposta.
Si sentì propensa ad assecondare la convinzione erronea di quella puttana, qualora le avesse permesso di ottenere le informazioni di cui necessitava piuttosto urgentemente.
Ma nel frangente in cui stava per fornire la propria conferma, dichiarandosi una pirata di un equipaggio a caso, la porta della camera sorvegliata dalla /vera/ pirata al piano di sopra, si aprì di pochi spiragli e ne sguisciò rapidamente fuori una figura maschile filiforme ed energica. 
La giovane si dimenticò letteralmente della presenza di Charlotte, e puntò avidamente il proprio sguardo su quell'uomo dall'aspetto dinamico, sbarazzino. 
Dietro di lui, Anne Bonny aveva preso a rincorrerlo non appena l'aveva visto abbandonare la camera, dimenando le braccia come in segno di protesta.
Finchè non giunsero al piano inferiore, la giovane non potè udire cosa i due pirati si stessero dicendo, ma le bastarono poche frasi per ripagare tanta pazienza e l'alto rischio che si era trovata a correre, mettendo piede in quel bordello.

«Jack! Jack! Fermati un momento, cazzo!» Anne Bonny saltò giù dall'ultimo piolo cigolante e si parò di fronte al suo compare, sbarrandogli il passaggio; l'elsa della sciabola tentennò emettendo un suono di metallo usurato.

«Anne, non adesso, non c'è tempo!» Jack Rackham le posò le mani sulle spalle e la scostò frettolosamente, riprendendo la propria marcia, tratteggiando un'abile serpentina tra la moltitudine dei tavoli.

«Si può sapere che cazzo sta succedendo? Dove stiamo andando?» la pirata dagli abiti logori non si fece lasciare indietro, alzando il tono della voce per sovrastare le risa e la musica strimpellata all'altro capo della sala.

Rackham si fermò di colpo, voltandosi con un movimento un poco teatrale, mostrando un'espressione palesemente seccata.
«Cerchiamo Charles che, puntualmente, ha ben deciso di scomparire, scaricando su di me il compito di sbrigare certi suoi affari--»

«Mi pare di ricordare che la grande idea sia stata tua, Jack. Quel cazzone, il tuo aiuto, non se lo merita!» Anne Bonny parlò con una veemenza tale da dar l'impressione di essere sul punto di sfoderare la spada.

«Ti prego, Anne, non complicare le cose. Abbiamo poco tempo, lo scambio è stato anticipato.»

«Anticipato? Per quale cazzo di motivo? Non abbiamo ancora--»

Jack Rackham ed Anne Bonny si mossero e si allontanarono dalla portata d'orecchio della giovane che, però, si vide costretta a restare inchiodata sulla sedia, per evitare di attirare l'attenzione e, soprattutto, di essere scovata dai due sottoposti di Charles Vane. 
Un equipaggio intero, o quasi, già la stava perseguitando.. Inimicarsene un ulteriore, non le avrebbe giovato affatto. 
Si voltò, non perdendo di vista, nemmeno per un istante, le due figure che stavano attraversando la sala, fremendo per abbandonare quel caos. 
La fortuna, però, per la prima volta dopo giorni e giorni, finalmente le diede assistenza.
Alcuni uomini armarono una rissa, probabilmente per aggiudicarsi una delle ragazze, che si estese in un lampo, finendo per coinvolgere mezzo bordello. I due pirati vennero intralciati e furono costretti a tornare sui propri passi, percorrendo una via alternativa verso l'uscita che li portò ad essere di nuovo udibili dalle orecchie indiscrete della giovane.
Si trattò solamente un breve istante, ma quelle poche parole che lei potè afferrare si rivelarono più preziose di qualsiasi merce presente su quella dannata isola.

«Ai Relitti, a mezzanotte.»

Anne Bonny e Jack Rackham scomparvero in un battito di ciglia, inoltrandosi nella coltre notturna come inghiottiti dalle fauci di una belva feroce, mentre anche i toni della colluttazione cominciavano a sbollentarsi.

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Capitolo 4
*** IV. ***


Nella notte, i folti boccoli di John Silver parevano non esistere, tant'erano scuri. 
Non li si poteva vedere volteggiare nell'aria al ritmo rapido e balzante della camminata del cuoco, e se per una sfortunata disattenzione lo si fosse perso di vista, scovarlo nuovamente tra la folta vegetazione e i crogioli di marinai ubriachi, sarebbe divenuta un'impresa di ardua riuscita.
Per tale motivo, la giovane non aveva staccato gli occhi di dosso dalla figura di Silver sin dal momento in cui aveva scorto il ragazzo lasciare il bordello in gran concitazione. 
Se l'intenzione del cuoco era quella di non destare sospetti, quel guardarsi compulsivamente attorno con malcelata circospezione e quell'accelerare il passo allo svoltare di ogni angolo, rischiavano di causargli esattamente l'effetto contrario e non desiderato. 
Se Silver intendeva fingere disinvoltura, quella recita gli stava riuscendo nella più maldestra delle maniere.

Per contro, abbandonare il bordello -al seguito di Anne Bonny e Jack Rackham- senza insospettire ulteriormente Charlotte, la puttana dalla lunga treccia bionda, non era stato /chiaramente/ possibile.
La giovane non aveva sprecato tempo prezioso ad inventare giustificazioni difficili da credere, e si era vista costretta a comprare, letteralmente, il silenzio della prostituta.
L'anello dal grosso topazio incastonato all'interno di una piccola corona d'oro lucente, sarebbe dovuto servire come suo lasciapassare -il suo permesso di imbarcarsi su un vascello diretto ben lontano da New Providence- ma le circostanze erano variate in meno del breve giro di una sola ora, e il gioiello era inevitabilmente finito ad ornare una delle esili dita di Charlotte, euforica per aver ricevuto un dono così prezioso senza neppure la necessità di doversi slacciare il corsetto o di dover infilare le mani tra le braghe di un qualche marinaio lercio e maleodorante di sporcizia, vecchia di settimane trascorse in alto mare.
Aveva ringraziato, Charlotte, e soprattutto aveva promesso di tacere in merito a quella conversazione, a tutte quelle domande e, in generale, alla presenza della giovane nel bordello; ma anche così, la ragazza dai selvaggi capelli rossi avrebbe scommesso che, entro l'indomani, ogni abitante o marinaio o pirata di Nassau sarebbe venuto a conoscenza di una strana, nuova, cliente che aveva pagato in preziosi amuleti una puttana soltanto per meno di mezz'ora di casta compagnia. 

Lo avrebbero saputo tutti. 
Anche gli uomini di Flint, quei delinquenti assetati di sangue.

Però, nonostante tutto, quel pensiero non la tormentava e non l'agitava poi così tanto, dato che di lì a poche ore contava di riappacificarsi -se poi c'era mai stata una guerra- con James Flint e, di conseguenza, con l'intero equipaggio della Walrus. 
Il suo piano -finalmente ne aveva elaborato uno abbastanza preciso- era a dir poco rischioso. 
Se la cavava bene in quanto a furti, ne aveva dato prova già sulla nave del capitano Lawrence, ma divenire la ladra del ladro si prospettava come tutt'altra storia. 
Sebbene non avesse ben chiara la dinamica dello scambio tra Silver, Vane e Rackham, aveva intuito che si sarebbe trattato di un gioco di tempistiche e di precisione. Avrebbe dovuto agire in fretta e con decisione, prima che il cuoco della Walrus si presentasse al cospetto del capitano e del quartiermastro della Ranger. 
Nel pedinare Silver, la giovane si era trascinata con sè la solita borsa in feltro grezzo, ma l'aveva appositamente alleggerita, estraendone una delle pistole -quella per lei più manegevole- in modo da poterla preparare a dovere, dando ascolto al crescente sentore, il quale le suggeriva che si sarebbe potuta verificare la necessità di impugnare un'arma ben più efficace di una semplice lama. 
Di certo non era stata una semplice operazione: con il cuoco da inseguire a passo lesto e più silenzioso possibile, e il cielo ormai giunto al suo grado massimo di oscurità.
Con i denti aveva strappato l'involucro di carta che conteneva la polvere da sparo e l'aveva versata nella canna. Ulteriormente complesso, si era rivelato il pigiare polvere e palla con il calcatoio. Il rumore vagamente metallico e stridente aveva rimbombato lungo il vicolo che stavano attraversando, costringendo Silver a voltarsi di scatto e a scrutare tra le tenebre, grazie alla cui clemenza la giovane non venne scorta.
Il cuoco, comunque, aveva accelerato maggiormente la propria andatura, come inseguito da un qualche spettro del proprio passato.
Dovette mettersi a correre per essere sicura di restare alle calcagna di John Silver, sollevando piccoli aloni di terriccio candido, leggere spruzzate di zucchero a velo nella notte. Non aveva idea di dove effettivamente Silver la stesse inconsapevolmente conducendo, probabilmente nel luogo designato per la vendita della rotta della Urca de Lima, quello che Rackham aveva chiamato I Relitti
Non aveva mai sentito parlare dei Relitti, e a dire il vero, non sapeva nemmeno cosa fossero: se una parte specifica dell'isola, o se dei relitti veri e propri. Di qualunque posto si fosse trattato, lei si trovava in svantaggio in quanto forestiera, e l'unica speranza di riuscita del suo piano, l'aveva riposta nel non perdere mai di vista il cuoco e di intercettarlo prima di veder emergere dall'oscurità la figura ombrosa di Charles Vane e quella balzante di Jack Rackham.
Avrebbe sottratto la preziosa pergamena a Silver, poi.. Poi avrebbe corso veloce come il maestrale e avrebbe cercato il capitano Flint come un assetato avrebbe ricercato una brocca d'acqua gelata.
All'inizio, le era parsa una buona soluzione, ma adesso non riusciva a dire con esatta certezza /quale/ parte del piano l'avrebbe condotta alla morte che, ormai ne era quasi certa, non sarebbe riuscita a rifuggire più tanto a lungo. 
Si ritrovò, seguendo le proprie gambe come se queste conoscessero la via, ad avventurarsi su un sentiero irto e terroso, costeggiato di rocce grette ed irregolari. Silver si inerpicò, appigliandosi ad un masso più sporgente degli altri, e scavalcò oltre con una magistrale abilità, scomparendo dalla visuale.
La giovane si affrettò a risalire l'impervia stradina e si soffermò, aggrappata al medesimo masso oltre il quale era saltato il suo bersaglio, a scrutare attentamente attraverso le tenebre. Ciò che riuscì ad intravedere, fu una distesa frastagliata di alte rocce posizionate in modo da formare uno strano labirinto, colmo di incavi e cunicoli, qualcosa che le ricordò la tana di un grosso ragno. Dedusse la geografia di quel panorama per merito di flebili riflessi di quello che doveva essere un vivo color arancio, i quali tremulando sommessamente, davano vita a singolari giochi di ombre, tempestando l'oscurità di punti luminosi. 
Non le fu difficile comprendere per quale ragione quel posto venisse chiamato I Relitti

Pensò che mai c'era stato nome più appropriato.

Non si lasciò distrarre più del necessario e tornò a cercare Silver con lo sguardo, scorgendolo a parlottare con aria concitata con alcuni uomini dagli abiti stracciati e incurviti per colpa dell'età avanzata. Non poteva affermarlo con sicurezza, ma I Relitti le si presentarono come la zona marginale e più povera dell'isola. 
Quando vide Silver sgattaiolare via, si decise a volteggiare giù dal masso sul quale si era adagiata a riprendere fiato, e ad incamminarsi, in tutta fretta e nel più religioso dei silenzi, sui passi del cuoco dai riccioli scuri. Vagò per alcuni minuti a vuoto e si maledì per aver indugiato più del dovuto a guardarsi attorno. 
Scovò il cuoco accucciato dietro una grossa roccia, lievemente sporto verso destra, come se stesse tenendo d'occhio qualcosa.. o qualcuno.
Espirò e rinsaldò la presa sull'impugnatura della pistola, poi decise che il suo momento d'agire era finalmente giunto.
All'improvviso, le parve che un fitto silenzio fosse calato sulla baia e, per qualche istante, temette d'essere scoperta a causa dello scalpitare del suo stesso cuore agitato come un mare in tempesta.  
Silver non si mosse di un solo passo, teso sul chi vive, la concentrazione tutta focalizzata su ciò che poteva scorgere oltre la dura pietra che lo celava, convinto che niente potesse sfuggirgli.
Ma il cuoco aveva commesso un errore fatale. 
Si stava comportando alla stregua di una preda, perchè era una preda, ma si stava guardando dal predatore sbagliato. 
Quando la giovane, con un movimento deciso, gli poggiò la canna della pistola alla base della nuca, John Silver sussultò come se il suo stomaco fosse caduto vittima di un violento spasmo.

«Non ti muovere, ladro.» la giovane accostò le labbra all'orecchio del cuoco e sussurrò quelle poche parole con tutta l'intimidazione di cui fu capace.

Silver, quasi in un riflesso incontrollato, sollevò con una cauta lentezza le braccia e le mani aperte a mostrare i palmi liberi. Tentò di voltarsi per farsi un'immagine del proprio aggressore, ma si scoprì pietrificato dal terrore.
«Ehi, amico..»

«Non siamo amici. Dammi la pergamena e magari ti lascio vivere.»

Quando il cuoco realizzò di esser tenuto sotto tiro da una voce femminile, seppur il timore non l'avesse abbandonato, trovò il coraggio di voltare il capo e guardarsi alle spalle. Forse, senza neanche rendersene conto, sfoggiò quella sua smorfia tipica, quel suo sorriso genuino ma bugiardo al tempo stesso.

«Noi due ci conosciamo» sgonfiò il petto, come se stesse trattenendo il respiro da un tempo troppo lungo «forse ora puoi dirmi il tuo nome, dolcezza!»

«Forse non ci siamo intesi, cuoco. Dammi la pergamena.» la giovane squadrò il ragazzo con l'espressione più truce che riuscì a sfoderare e, a giudicare dallo spegnersi di quell'irritante sorrisetto, dovette sortire l'effetto sperato.

«Non so di cosa tu stia parlando--»

«Non giocare con me, Silver. So cosa ti trascini dietro, so chi ti sta cercando e chi si presenterà qui per concludere l'affare» la ragazza dai capelli di fuoco pigiò la canna della pistola sulla pelle abbronzata del cuoco della Walrus, non senza provare un certo compiacimento «ora, ci sono due possibilità: mi consegni la rotta e Rackham troverà un povero cuoco spaventato che racconterà di come una ciurma di dozzine di uomini lo abbia brutalmente derubato, oppure troverà un cadavere che racconterà di come una pallottola al centro della testa gli abbia fatto saltare il cervello. A te la scelta.»

John Silver si passò la lingua sulle labbra spaccate dal caldo torrido, interdetto sullo stratagemma avanzare per salvarsi la vita e mantenere la rotta della Urca de Lima nelle proprie tasche.

«Andiamo, non farai sul serio..? Non sparerai davvero, probabilmente non sai nemmeno come usarla quella--» 

La giovane, come il più esperto dei filibustieri, sollevò il cane della pistola e portò l'indice sul grilletto, pronta ad aprire il fuoco.

«Non sfidare il mio sangue freddo, cuoco.»

«D'accordo, forse lo sai..»

Silver deglutì, sforzandosi di non gridare e di tornare a sorridere, forse intravedendo davvero la possibilità di non avere propriamente una scelta.

«Anche se volessi, ed è chiaro che non voglio, non potrei--» 

«Esci e affrontami o puoi dire addio alle perle!» una voce cavernosa, simile a quella di un mostro marino, risuonò nell'aria dei Relitti, squarciando il velo dell'oscurità con l'efficacia di un colpo di sciabola.

La giovane trasalì e rischiò di perdere la presa sulla pistola. 
Silver si voltò, sporgendosi appena oltre la grossa roccia dietro la quale si era riparato, imprecando a denti stretti.

«Cazzo, è qui!»

Il pensiero della ragazza dai capelli di fuoco si andò a posare, senza che lei glielo avesse tacitamente comandato, sul ricordo inquietante del capitano Flint. L'aveva trovata.
Dopo tanta fatica e tanta accortezza, si era lasciata sopraffare da un singolo attimo di avventatezza e si era lasciata condurre dritta nelle fauci del lupo. 
Flint l'aveva trovata, aveva trovato John Silver, e, finalmente, aveva trovato l'agognata rotta del fantomatico galeone spagnolo.
Aveva vinto, aveva vinto su tutti i fronti, su questo non c'era dubbio alcuno. 
Tentò di sporgersi e guardare con i propri occhi, anche se non ne aveva realmente bisogno. 
Poteva benissimo immaginarla, la figura minacciosa di James Flint: giacca lunga e capelli raccolti in un ordinato codino; e al suo fianco, Gates con l'uomo alto, Billy- o qualcosa del genere.
Si sporse e gettò una fugace occhiata al di là della grossa roccia, poi si sentì profondamente stupida. 
Jack Rackham camminava avanti e indietro con l'andatura dinoccolata, mentre Charles Vane, con quei suoi capelli più lunghi di quanto tollerasse il buon gusto, se ne stava impalato sul posto, una mano serrata in un pugno e l'altra stretta attorno all'elsa della sciabola. 
Paradossalmente, la giovane tirò un sospiro di sollievo, sebbene quella vista  -in una persona sana di mente- avrebbe dovuto scatenare tutt'altra reazione. 
Si biasimò per essere stata talmente sciocca. Sapeva che Rackham e Vane si sarebbero trovati ai Relitti quella notte, allora perché tirare in ballo James Flint?
Non lo sapeva. Però sapeva che non l'aveva fatto di proposito, piuttosto si era trattata di una reazione involontaria, un flusso di pensiero impossibile da controllare, un istinto di panico e una voglia di fuga dettati dalla paura che, nonostante la sua ineccepibile capacità di dominarla, le attanagliava il petto -senza concederle una tregua- da ormai troppi giri d'orologio.
Ma non poteva trattarsi soltanto di banale timore, nel suo profondo ne era consapevole. Era consapevole di nutrire, malgrado tutto, una certa curiosità -quasi morbosa- nei confronti del capitano della Walrus, e sentiva la propria anima prigioniera di due forze opposte, ma ugualmente intense e viscerali; come dicevano gli antichi miti greci: da una parte Éros, dall'altra Thanàtos.

Si risvegliò da quello stato di straniamento quando Silver si mosse, forse deciso a palesarsi o forse - e molto più probabilmente- deciso a dileguarsi; lei gli ostruì il passaggio, puntandogli la pistola direttamente al centro della fronte.

«Dove pensi di andare--» 

Ad un tratto non udì più nulla, soltanto echi distorti ed uno strano fischio che le penetrò il cervello come un chiodo ripetutamente battuto sul legno.
Qualcosa le vibrò, sibilando, accanto all'orecchio destro, e subito dopo un botto, qualcosa di molto simile ad uno sparo, rimbombò nell'aria di quella notte senza luna.
Istintivamente, la giovane si portò la mano al lato del viso, a tapparsi l'orecchio, scoprendo un liquido caldo colarle lentamente giù, verso il collo e la nuca. 
Vide Silver voltarsi di scatto e sgranare gli occhi nei quali riuscì a leggere sorpresa, terrore e -per contro- un inestinguibile attaccamento alla vita. 
Si vide costretta a girarsi a sua volta, e ciò che le si presentò di fronte, non l'aggradò per niente.
Un giovane uomo dalla mole di un colosso aveva appena abbassato la canna di una grossa pistola, e si era  immediatamente apprestato a sfoderare la spada. Purtroppo lo conosceva, anche se non aveva mai avuto modo di vederlo così da vicino e scoprire, quasi con orrore, quanto effettivamente fosse enorme rispetto a lei.
Era stranamente da solo: il suo inseparabile compare calvo sembrava non essere con lui; ma anche la sua sola presenza non faceva promettere nulla di buono. 
La giovane stringeva ancora la pistola carica tra le dita, ma, come paralizzata, non fu in grado di mirare e premere il grilletto- e il cielo solo sapeva quanto avrebbe dovuto, e voluto, farlo.

Come delle belve selvatiche, restarono a squadrarsi per diversi attimi e poi fu John Silver che diede inizio al folle gioco.
Scattò di lato, infilandosi in uno spiraglio tra due costoni rocciosi, veloce quanto un ragno. La giovane lo seguì a ruota, per non perderlo, ma il colosso, Billy, non si tirò indietro, deciso a portare a termine il proprio compito. 
Correre al buio, braccata come una lepre, si rivelò la missione più ardua di una giornata altrettanto dura. Rocce e massi sbucavano da ogni anfratto e Silver aumentava di velocità, quasi conoscesse a memoria quel disegno grottesco di pietre e terra. 
Nella fuga disperata, la pistola le scivolò di mano, ma non considerò nemmeno per un istante l'opzione di fermarsi a raccoglierla.

"Chi si ferma è perduto."

E nel suo caso, smarrirsi sarebbe stata probabilmente l'ipotesi più benaugurante. 
La voce di Charles Vane riecheggiò carica di collera e inquietantemente vicina, ma la giovane non riuscì a capire cosa il capitano della Ranger stesse sbraitando.
Altre falcate di altre persone in corsa si aggiunsero a quella cacofonia generale e, con suo sommo timore, realizzò che più di tre persone dovevano aver preso parte a quella caccia all'uomo.. e alla donna.
Sfiorò per un soffio una roccia acuminata, percependo la stoffa della sua camicia strapparsi e scoprire la spalla ed il braccio nudo. 
I passi di Billy, o di Charles Vane, o di chissà quale altro demonio si fecero sempre più distinti, più vicini. Presa da un terrore troppo primordiale per essere frenato, tentò di accelerare la propria falcata, ma scivolò su un masso semisepolto e rotolò a terra, impattando contro il terreno duro. 
Il cappello andò perduto ed i lunghi capelli di rame le si riversarono sulle spalle e sulla fronte, in un gesto estremo di libertà.
Intravide la figura agile di John Silver apparire e scomparire, quasi nell'immediato, dietro una roccia a pochi passi da lei. Si risollevò in piedi, determinata a voler superare la notte, e seguì il percorso battuto dal cuoco.
Superò un arco naturale creato dall'erosione del vento, e si ritrovò in un ambiente più largo, al centro del quale crepitava un fuoco debole. Seduta a terra vi era una figura ripiegata su se stessa, ricoperta di stracci e immobile come una delle rocce circostanti. 
La giovane si avvicinò, sfoderando dalla propria borsa in feltro, l'unica pistola che le era rimasta; non si preoccupò di caricarla poichè ricordava d'averla trovata già carica quando se n'era appropriata nell'armeria di Lawrence. 
La figura macilenta, però, non si mosse, quasi che fosse dormiente. 
La giovane allungò una gamba e mollò un piccolo calcio con la punta dello stivale, preparandosi a sparare al minimo segno di vita. Ma la vita era l'ultima cosa che avrebbe trovato in quel luogo sinistro.
La figura si rovesciò a terra, scoprendo un corpo avvizzito e morto da molte più albe di quante lei potesse contarne. 
Si ritrovò nuovamente a pensare che per quella trappola di pietra e terra arida, nessuno avrebbe potuto scegliere nome più adeguato.

Uno strano fruscìo come di stoffa la sorprese e, di riflesso, la giovane puntò la canna della pistola nelle tenebre. 
Poco più avanti, poteva scorgere un ulteriore bagliore, forse un altro falò con altri cadaveri avvizziti, acquattati a scaldarsi.
Restò in ascolto e, con un leggero senso di sollievo, notò che i passi dei suoi inseguitori si erano fatti flebili e molto meno prossimi rispetto ai terribili momenti antecedenti. 
Decise di avanzare, cauta, pistola alla mano e lucidità sufficiente per premere il grilletto. 
Sguisciò attraverso uno stretto cunicolo e si ritrovò in un ambiente non tanto diverso dal precedente. Un altro fuocherello illuminava quello che pareva l'antro di una strega, al cui angolo sedeva un'altra figura rannicchiata rivestita di un mantello stracciato. 
Stavolta, però, la figura respirava e tra le mani tremanti reggeva un foglio di pergamena minuziosamente vergata. 
La giovane mollò la propria borsa a terra e prese la mira, pronta a sparare, lo sguardo privo d'esitazione.

«Basta giocare, Silver. È finita.» 

Il cuoco della Walrus sollevò il capo, in viso un'espressione disperata ma priva di qualsiasi traccia di paura.

«Dammi la rotta e prometto che ti lascerò andar via sulle tue stesse gambe.» 

John Silver sorrise, come se la vita fosse un arcano segreto che soltanto lui possedeva il privilegio di conoscere.

«Sai, alle mie costole ci sono un pirata pazzo ed il re dei sanguinari, uomini i cui misfatti vanno ben oltre le peggiori efferatezze immaginabili» Silver parlò a voce bassa, paradossalmente calmo e cadenzato «entrambi vogliono questa pagina e per averla farebbero di tutto, credi a me. Per cui ora spiegami, ragazza-senza-nome, per quale motivo io dovrei decidere di consegnarla proprio a te.» 

La giovane provò una stizza viscerale al solo udire il suono del disprezzo con la quale Silver l'aveva considerata.

«Perché io sono qui adesso e sto mirando alla tua testa. E perché come credi che quegli uomini farebbero di tutto per quella pergamena, credi pure che io farei di tutto per vedere sorgere l'alba di domani.» 

Silver sorrise ed annuì, portando nuovamente lo sguardo chiaro su quella rotta tanto preziosa.

«Vorrei davvero avere un briciolo del tuo coraggio e, forse, ora non mi troverei in questa scomoda situazione..» il cuoco tirò su col naso, scostando alcuni riccioli neri dalla faccia «ma non esiste persona attaccata alla vita più di quanto lo sia io e, stanotte, farò in modo che nessuno potrà più osare puntarmi contro una pistola con tanta leggerezza. Mai più.»

Accadde tutto troppo velocemente perché la giovane potesse evitarlo.
In un movimento netto, deciso, dannatamente consapevole delle conseguenze, la mano di John Silver scaraventò la pergamena tra le fiamme, che emisero un crepitio più acuto ed una luce più intensa.

«No!» il grido le fuoriuscì strozzato e un colpo partì dalla sua pistola senza che lei nemmeno se ne rendesse conto.

In ogni altro caso, John Silver sarebbe morto ancor prima di poter battere ciglio, ma quella notte il fato decise di graziare quel ragazzo dagli occhi guizzanti e il sorriso bugiardo. Il colpo andò a vuoto e la pallottola si conficcò nella roccia alle sue spalle, mentre le scintille dovute alla pietra focaia scottarono le dita della giovane.
Silver scattò in piedi e si dileguò esattamente come era si era dileguato al cospetto di Billy, il colosso della Walrus. 
Il cuoco era stato sincero: di natura non era altro che un codardo, ma un codardo baciato da una fortuna sfacciata.
La giovane scaraventò la pistola a terra, in un moto d'ira e di stizza, incredula per aver infine sparato e ancor di più per aver mancato il bersaglio.
Si catapultò all'inseguimento del cuoco, senza saper nemmeno esattamente come agire di fronte alle nuove, inaspettate, circostanze.
Superò un grosso masso, eroso e franato per una buona metà, per poi riversarsi in uno stretto cunicolo roccioso. 
John Silver la precedeva di almeno venti passi, zampettando come se il terreno gli stesse crollando sotto le suole degli stivali. La giovane strinse i pugni e, senza rifletterci su, si lanciò all'inseguimento, sopraffatta da una rabbia profonda per aver dovuto vedere i suoi piani ridursi in cenere.. /letteralmente/.

Il cuoco virò bruscamente verso destra, incepiscando e restando in piedi per miracolo, poi sparì dall'orizzonte.
La giovane non fece in tempo a svoltare che un impatto come di ossa spezzate su di una superficie dura, la sorprese, costringendola ad un'improvvisa battuta d'arresto sul posto. 
Una figura apparentemente in nero, si era avventata sull'esile corporatura di Silver, alla stregua di un rapace notturno, scaraventandolo brutalmente contro uno dei grezzi costoni rocciosi.

«Dov'è quel foglio?!»

La giovane si sentì raggelare. Nonostante la serata indecentemente torrida, si sentì raggelare.
L'oscurità non le concedeva il lusso della vista, ma la sua memoria -affatto legata ai limiti di senso- non avrebbe mai potuto dimenticare le vibrazioni profonde come un abisso di quella voce che forse, davvero, sarebbe potuta appartenere ad un abisso. 
Non avrebbe saputo dire da dove fosse venuto, né chi lo avesse informato circa il rendez-vous ai Relitti, ma James Flint aveva fatto in modo e maniera di trovarsi nel posto giusto, anche se nel momento successivo a quello giusto.
La giovane avrebbe voluto mangiarsi le mani: il momento giusto per agire era stato destinato a lei, ma non lo aveva saputo cogliere a dovere.

«Ehm, non potete averlo--»

Silver arrabattò una risposta che aveva tutta l'aria di voler prendere tempo, in attesa di una delle sue brillanti idee; Flint se ne accorse e, per contro, sfoderò un pugnale lungo quanto il suo avambraccio per puntarlo, molto probabilmente, alla gola o comunque verso la faccia del suo nuovo cuoco.
La giovane non potè distinguere forme e contorni con estrema chiarezza, ma lo sfregamento di una lama e un repentino riflesso argenteo non le lasciarono troppo spazio per il beneficio del dubbio.

«--Non in questo momento e, vi prego, andiamo via!» Silver piagnucolò in una maniera che a lei risultò indecente per un uomo di mare; poi si ricordò che quel balordo era soltanto uno sciocco, vile egoista.

«Dove l'hai nascosto?» la collera di Flint sembrava essere su un grave punto di non ritorno.

«E'..davanti a voi.»

«Di che cosa diavolo stai parlando?!»

«Non sapevo se sarei riuscito a sfuggire al pazzo e a voi, perciò ho preso misure drastiche.. Per garantirmi la sopravvivenza.»

La giovane si riavviò i lunghi capelli, in modo che non le impedissero la già scarsa visuale, decisa a darsi alla fuga, sicura di non voler essere scovata, né di voler restare a guardare James Flint macellare il corpo di John Silver.. anche se il cuoco, a parer suo, si era ampiamente guadagnato quella fine impietosa.
Se l'era guadagnata nell'esatto momento in cui non aveva saputo resistere all'impulso delle proprie mani e a quello di sfidare le persone sbagliate.
Invero, qualcosa di molto simile al comportamento che aveva tenuto lei, anche se senza intenzione di lucro.

«La vostra rotta è qui dentro!»

Fece in tempo ad udire il tono di John Silver compiacersi del proprio trionfo, invertendo -almeno metaforicamente- i ruoli e mettendo, dunque, James Flint con le spalle al muro.
Niente poteva escludere che, una volta conosciuta la rotta, il capitano della Walrus avrebbe tagliato la gola di Silver alla prima occasione utile, ma il cuoco era furbo e, di certo, sapeva come servirsi delle occasioni. E ci si sarebbe potuto giurar sopra: non avrebbe sprecato l'occasione di salvarsi la vita.

Quanto a lei, l'unica occasione, adesso, non era altro che quella di sparire dalla circolazione ed attendere, con pazienza e fiducia, la partenza della Walrus e del suo equipaggio, nella speranza che non facesse ritorno tanto presto.
Si voltò, più silente che potè, e almeno la terza sgradevole sorpresa della nottata, la colse alla sprovvista. 
La via di fuga era totalmente sbarrata e coperta dalla sagoma di un uomo dannatamente alto e imponente che, nella mano destra, ancora stringeva una grossa pistola. 
Nonostante si sentì le gambe come paralizzate, la giovane provò a sgattaiolare via nella direzione opposta, ma il gigante, Billy, fu fin troppo veloce. 
Due braccia nerborute dalla stretta ferrea le arpionarono le spalle e la vita sottile, quasi togliendole il respiro.

«Bastardo, lasciami--»

«Capitano» Billy avanzò con andatura decisa, uscendo allo scoperto «credo di aver trovato l'altra cosa che stavamo cercando.»

James Flint si voltò in sincronia con Silver, ancora tenuto sotto scacco con un coltellaccio premuto sul collo.
Solo per un momento, la giovane smise di divincolarsi e lasciò che l'irrefrenabile curiosità prevalesse sull'ostinazione. Aguzzò la vista, assottigliando le palpebre, nel vano tentativo di mettere a fuoco, ma del volto del famigerato capitano Flint non riuscì a cogliere nulla, se non vaghi lineamenti investiti d'ombra.
Quasi con delusione, prese di nuovo a scalciare come uno stallone da domare, ma la morsa in cui si trovava imprigionata, era ben lungi dal punto di cedere.

«Bastardo, lasciami andare! Io non ho fatto niente-- lasciami andare, stronzo!»

«Billy, che cazzo, zittiscila!» Flint tornò a concentrarsi su di Silver, sussurrandogli qualcosa che, però, non si riuscì ad udire.

La giovane si preparò mentalmente, decisa ad incassare con dignità, ad un pugno, ad uno schiaffo, o -perché no- ad una coltellata da parte del colosso, ma niente di tutto questo si andò a verificare. 
Billy rinsaldò soltanto la presa che teneva su di lei e sbuffò sommessamente. O così le parve di percepire.

D'improvviso, il rumore di un qualcosa caduto a turbare e ad aprire le acque dell'oceano, seguito da un vociare indistinto, riecheggiò portando con sé un'aura quasi sinistra.
Flint strattonò maldestramente John Silver, tirandolo verso di sè e facendolo carambolare verso l'interno dei Relitti, verso la direzione dalla quale il cuoco era giunto sin lì.

«Dobbiamo andarcene di qui.» la voce di Flint risuonò perentoria e definitiva.

Billy si mosse, trascinando senza alcuna fatica la giovane, e richiamò l'attenzione del pirata, suo superiore.

«Capitano, cosa facciamo con lei?»

Flint si immobilizzò, poggiando una mano su una roccia dura e acuminata.
Voltato di spalle com'era, il suo ordinato codino era molto piú distinguibile.

«Sai dove portarla.»

Prima che lei potesse protestare o che Billy potesse anche soltanto esprimere il proprio assenso, James Flint scomparve, inghiottito dall'oscurità esattamente come vi era arrivato.

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Capitolo 5
*** V. ***


«Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto lo si dipinge...»
Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi 


Un'onda violenta e fredda come il ghiaccio la investì all'improvviso, togliendole l'aria dai polmoni per diversi momenti. 
Gli esili rivoletti d'acqua le corsero lungo il viso, rapidi fino a lambirle il collo e ad immettersi nella concavità dello sterno. Parevano le dita infide della morte.
Quando riuscì ad aprire gli occhi, alcune gocce le rimasero in equilibrio ad imperlare le lunghe ciglia, mentre già il caldo asfissiante di Nassau aveva incominciato a seccarle l'umidità sulla pelle. Alzò lo sguardo di fronte a se', accompagnata da un vago senso di confusione, e scoprì che la grossa onda che l'aveva travolta, in realtà non era altro che l'acqua contenuta all'interno di una squallida brocca ossidata.
Eleanor Guthrie le torreggiava di fronte, la brocca tra le mani e l'aria a metà strada tra la noia e la stizza. Le rivolse una delle sue tipiche occhiate algide, poi si voltò e tornò ad occupare il posto che le competeva: una grossa sedia dallo schienale intarsiato con somma maestria, il cuscino rivestito d'una stoffa invecchiata di anni: il simbolo del potere sulle coste di New Providence.
La giovane sputacchiò, infastidita, un po' dell'acqua che le era penetrata tra le labbra, poi sollevò una mano per scostarsi dalla faccia folte ciocche di capelli zuppi. Con orrore, si scoprì legata con delle corde corte e dure alla gamba di una sedia addossata alla parete di una chiara tinta sbiadita; tentò di forzare quei legacci, strattonando e tirando bruscamente il braccio destro -quello impriogionato- verso di se', ma non ottenne nulla di più di un lancinante dolore al polso dovuto allo sfregamento tra la pelle delicata e la ruvidità delle corde. 

«E' inutile, ci ho già provato io» una voce appartenente ad una figura familiare, altrettanto legata al lato opposto della sedia, le parlò con una rassegnazione quasi sarcastica «per tutta la notte.» 

John Silver sedeva sul pavimento dagli assi di legno consunto ed impolverato con la schiena appoggiata al muro e le gambe distese in avanti, esattamente come se fosse disteso all'ombra di una palma a sorseggiare del rum scadente. Nonostante la miseria di quella condizione, sembrava piuttosto di buon umore. 
O forse era semplicemente il suo consueto, strampalato, modo di fare.
Alla giovane non servì domandare per quale motivo fossero imprigionati, lo ricordava fin troppo bene. 
Dai Relitti era stata trascinata, neanche fosse un sacco di patate, da quel colosso di Billy Bones -quello era il suo nome completo- fino al porto e alla città. Lei aveva tentato di opporre resistenza, di ribellarsi, dimenandosi come una biscia selvatica, ma Bones aveva preso misure drastiche e se l'era caricata in spalla, proprio come se fosse una qualche merce da imbarcare in una qualche stiva.
Durante l'intero tragitto, la giovane aveva desiderato di piantare un coltello al centro della schiena di quel pirata dalla mole possente, ma aveva infilato i pugnali nelle fibie degli stivali e, malamente trasportata com'era, non le era stato possibile afferrarne neanche uno. 
Erano giunti alla locanda della Guthrie che la giovane aveva ormai desistito dalla sua opera di protesta e vana ribellione.
All'interno, ad attenderli, avevano trovato la stessa Eleanor in compagnia di Scott -il suo servo personale- e Gates, il marinaio calvo, fido compagno di Billy Bones. 
Non appena li aveva visti, quest'ultimo aveva mollato immediatamente la propria coppa di rum e si era precipitato loro incontro, complimentandosi con Billy per l'ottimo e celere lavoro. 

«Avete precedentemente conosciuto il ladro, ora vi presento la spia» disse in seguito, quasi con atteggiamento istrionico. 

Eleanor Guthrie si era voltata con espressione furente, buttando giù un copioso sorso di rum, mentre Scott si era limitato a fissare quel sipario con muta attenzione. 

«Perchè è ancora viva?» la voce della Guthrie era risuonata aggressiva al pari un ruggito ferale. 

La giovane aveva sgranato gli occhi, prendendo di nuovo a dimenarsi, più per la voglia di tirare un pugno sul naso della signora dell'isola che per un vero e proprio desiderio di fuga. 

«E' una lunga storia» commentò Gates, col tono di chi possiede la consapevolezza di una vita «ti dispiace se stanotte teniamo qui anche lei? Billy starà di guardia.» 

Eleanor Guthrie aveva annuito distrattamente, come se di tutta quella questione non le importasse poi così tanto; aveva quindi abbassato lo sguardo, rigirandosi il calice vuoto tra le mani, l'aria di chi ha ben altri pensieri per la testa.
Erano saliti per le scale, la giovane che sussultava sulla spalla di Billy Bones ogni volta che quest'ultimo andava a poggiare lo stivale sul piolo successivo. Avrebbe tanto desiderato avere anche un semplice sasso a disposizione.
Gates aveva cautamente aperto la porta di un verde sgargiante dello studio di Eleanor Guthrie ed aveva lasciato che Billy Bones vi entrasse, poi l'aveva imitato e si era richiuso la porta alle spalle.
Silver era già nella stanza, già seduto sul pavimento, già legato ad una vecchia sedia. 
Le aveva sorriso, quando l'aveva vista, ma in maniera infima, compiaciuto che anche lei, infine, fosse caduta sotto le grinfie degli uomini di Flint.
Non ricordava di preciso cosa si fossero detti, ma la giovane avrebbe scommesso che, da parte sua, fossero volati parecchi insulti. Quello che ricordava a meraviglia, invece, era la smorfia irritante di John Silver.. nonostante tutto. 

«Provate a scappare o a creare qualsiasi tipo di problema, e il signor Bones si sentirà in dovere di piantarvi una pallottola nella schiena. Vero, Billy?» Gates parlò con quel suo classico tono pietroso e gretto, quel tono che alla giovane creava tanto disturbo.
Billy annuì, ma non risultò troppo convinto. 

Era davvero strano, quel Billy Bones. 

Alla giovane era parso che quel pirata, non molto più vecchio di lei, non fosse particolarmente incline alla violenza, o che comunque non amasse troppo praticarla. 
Oppure, più semplicemente, quella non era altro che una sua personale illusione, l'ultimo briciolo della speranza nutrita di restare incolume.
Gates se n'era poi andato, seguito dal suo accolito che, molto probabilmente, si sarebbe trattenuto immediatamente fuori dallo studio della Guthrie.
La giovane aveva maledetto ogni singola cosa che le fosse sovvenuta alla mente e aveva giurato a se stessa che sarebbe rimasta in allerta, che non avrebbe chiuso gli occhi neanche per un secondo. 
Poi, invece, Morfeo l'aveva vinta.
E, a dirla tutta, aveva riposato molto più tranquillamente di quanto non avesse fatto nel corso delle notti addietro. 

«Se vuoi il mio parere» Silver si schermò la bocca con la mano libera, quasi che stesse per rivelare una legge segreta del mondo che Eleanor Guthrie non era autorizzata ad ascoltare «io credo che dovresti dimostrarti accondiscendente, se vuoi avere la speranza di uscire intera da questa stanza.» 

«Nessuno te lo ha chiesto un parere, Silver. Chiudi quella bocca e lasciami in pace!» 
La giovane sputacchiò nuovamente le gocce d'acqua che dai lunghi ciuffi di capelli le scolavano sulle labbra, poi con il braccio libero scostò le ciocche che le impedivano la visuale, imprecando a denti stretti. 
I suoi capelli, effettivamente, avrebbero avuto bisogno di essere detersi, anche se non in quella grezza maniera. 

«La brocca è stata una mia idea» suggerì John Silver con la leggerezza di chi non ha pensieri «non ne volevi sapere proprio di svegliarti!» 

La ragazza dai capelli rossi si voltò, rivolgendo al cuoco uno sguardo truce, dando l'impressione d'essere sul punto di alzarsi e di saltargli alla gola come un predatore affamato. Silver smise improvvisamente di sorridere, vagamente inquietato. 

«Lei voleva prenderti a sberle, non mi sembrava carino..!» provò a giustificarsi, alludendo alla Guthrie, compostamente seduta ed impegnata a vergare chissà quale carta importante. 

«Silver» la giovane parlò con la voce rauca e vagamente impastata per via della sonnolenza ancora non smaltita «se esco viva da questo casino, giuro che ti ammazzo a mani nude.» 

«E questa dovrebbe essere la quarta, o forse la quinta..» Silver si soffermò a contare, i gesti accentuati da fastidiose movenze teatrali, tipiche del suo modo di fare. 

«Si può sapere di che diavolo stai parlando?!» la giovane strattonò i legacci che la incatenavano, facendo oscillare la sedia, nella speranza che ricadesse sulla testa del cuoco e che lo zittisse una volta per tutte. 

«Minacce! Da che ci siamo conosciuti, mi hai minacciato almeno quattro volte. Forse abbiamo incominciato col piede sbagliato..» 

«Ritieniti fortunato, io avrei incominciato col coltello più lungo--» 

«Insomma, piantatela!» Eleanor Guthrie sbottò all'improvviso come il primo tuono che annuncia la tempesta «sembrate due bambinetti in lite per uno stupido giocattolo! Un'altra parola e provvederò affinchè le vostre lingue vadano ad insaporire lo stufato che verrà servito per pranzo, giù alla locanda.» 

La giovane sbuffò sommessamente, voltandosi a scrutare fuori dalla grande finestra dalle persiane consumate.
Il sole brillava alto, segnale del fatto che dovesse essere già un'ora tarda della mattinata. La strada era -come sempre, del resto- affollata e piena di vita, ma in quella stanza il vociare giungeva debole ed indistinto, quasi ci fosse una barriera invisibile a separare.
Socchiuse gli occhi per qualche istante, prendendo a respirare con più lentezza; desiderò di essere là fuori, ancora braccata dagli uomini della Walrus, ma con la promessa di riuscire a fuggire a bordo di un qualche veliero, la speranza di una libertà che troppo a lungo le era stata negata.
Ed invece le era capitato ancora. 
Non a Londra, non in una camera fin troppo stretta ed asfissiante della sontuosa villa di Archibald ed Isobel Fisher, ma -ancora una volta- delle catene, e stavolta fisicamente reali, la costringevano rinchiusa tra quattro luride mura, togliendole l'aria, ricordandole il ruolo che a qualcuno come lei, a qualcuno che non contava granchè nel mondo, sarebbe stato riservato fino alla fine dei tempi.
Ad un tratto, si sentì profondamente stanca e spossata. 
Stanca di lottare, stanca di opporsi alle ingiustizie, stanca di alimentare il fuoco corrosivo della rivalsa.
Se qualcuno non avesse bussato con veemenza alla porta, probabilmente sarebbe spronfondata nuovamente in un oblio oscuro e senza sogni. 

Un uomo spalancò la porta e restò fermo sulla soglia; la giovane lo riconobbe come l'oste che, qualche sera addietro, si era categoricamente rifiutato di farle credito. 

«Signora, sono arrivati.» annunciò con fare trafelato. 

Eleanor Guthrie sollevò il capo e lasciò andare la piuma d'oca intrisa d'inchiostro scuro come un peccato mortale, poi annuì impercettibilmente. 

«Falli entrare.» 

Il signor Gates fece la propria comparsa esattamente come la giovane se la sarebbe aspettata: con Billy Bones alle calcagna. 
Il ragazzo dal fisico di un dio greco non aveva la faccia stanca di chi ha vegliato per un'intera notte, sintomo del fatto che, forse, non si era affatto trattenuto a tener d'occhio lei e quell'imbecille di John Silver. 
Imprecò silentemente, biasimandosi per la stupidità d'aver creduto che davvero Billy Bones sarebbe rimasto di guardia e per non aver tentato la fuga e per essersi ingenuamente addormentata.
Non si sentì affatto pronta per affrontare Nassau e i suoi tranelli, non del tutto almeno. Immaginò che, se per un qualche fortunato caso fosse riuscita a garantirsi salva la vita, avrebbe dovuto imparare la difficile arte del vivere tra delinquenti e disperati, avrebbe dovuto acquisire una malizia sufficiente per non farsi mai più cogliere in fallo. 
Billy afferrò una sedia, la rigirò su se stessa, e vi sedette al contrario, poggiando le possenti braccia sul legno dello schienale. Gates, invece, sedette tradizionalmente dandole le spalle, rivolto verso lo scrittoio di Eleanor Guthrie.
Grazie a quella angolazione, la giovane potè osservare con calma e minuzia le linee del bizzarro disegno impresso sulla nuca glabra del quartiermastro della Walrus.
Quelli che da lontano le erano sembrati qualcosa di molto simile a dei tratti geometrici, da vicino si rivelarono un triangolo, sbalorditivamente proporzionato, dai lati di equa misura. Al centro vi era disegnato, con altrettanta precisione, quello che -nonostante il colore sbiadito- si intuiva stesse a rappresentare un grosso occhio scrutatore. 
La giovane si trattenne dal sorridere, in qualche modo la faccenda le apparve ironica. Conosceva quel simbolo, sebbene forse non avrebbe dovuto.

Negli ultimi tempi, a Londra stava andando di gran moda un certo fanatismo settario, specialmente tra uomini di alto rango. Aveva sentito dire che gruppi di alti funzionari, di uomini di prestigio e di ricca estrazione sociale, si riunivano in gran segreto in luoghi alquanto macabri e scabrosi come le antiche cripte delle chiese sconsacrate, o come le fogne sotterranee che percorrevano in lungo e in largo l'intera pianta della città. 
Esattamente, non aveva ben compreso quali fossero le ragioni che spingessero a tali dinamiche, a parte quelle di un'ipotetica cospirazione, ma l'argomento le si era presentato estremamente intriso di misticismo, di superstizione e di strani riti magici che lei stentava a credere possedessero una qualche funzionalità. Comunque, il tutto la divertiva. 
La divertiva pensare a degli illustrissimi lord che acconsentivano a sporcarsi di letame gli stivali di fattura eccellente soltanto per rintanarsi in un qualche buco lercio, accendendo qualche candela e sproloquiando in un latino improprio ed ermetico. 
Avevano un nome, questi nuovi fanatici. Qualcuno li chiamava massoni, qualcun altro Illuminati, e il loro simbolo era proprio "l'occhio-che-tutto-vede" impresso sulla testa del marinaio che le sedeva di fronte.
Non che ne sapesse molto più di quel poco che aveva avuto modo ascoltare, ma la giovane avrebbe scommesso sul fatto che Gates nemmeno conoscesse il reale significato di quel curioso simbolo che si trascinava dietro. Non aveva propriamente ne' l'aspetto, ne' i requisiti di un uomo che quei settari avrebbero incluso di buon grado nelle proprie file e, a dire il vero, lei stentava a credere che Gates ne avesse mai incontrato uno.
Era quasi in procinto di domandare il motivo di quel disegno, per acquietare la propria curiosità prima di morire, perchè -ne era praticamente certa- sarebbe morta di lì a breve, e credeva che quei pirati non le avrebbero infine negato un ultimo desiderio; stava per domandarlo sul serio, ma la sua attenzione venne rapita da tutt'altra questione. 

Come investita da una qualche aura particolare, nella stanza fece la propria comparsa un'altra persona, decisamente più interessante di quelle già presenti.
Una lunga giacca di un blu di Prussia più intenso di quanto lei non avesse creduto, frusciò al passaggio, emanando un tipico odore di salsedine e di ferocia. Un incombente silenzio si abbattè nello studio di Eleanor Guthrie, intimidendo addirittura la parlantina di John Silver. 
La figura di un uomo poderoso superò Gates e si accostò alla poltrona di Eleanor col tipico atteggiamento spavaldo di chi è avvezzo ad impartire ordini, piuttosto che riceverne. Gettò una veloce occhiata oltre la grande finestra, come a volersi accertare che non ci fossero sgradite presenze -probabilmente memore di recenti trascorsi- poi si voltò, lasciando che i raggi del sole gli lambissero le spalle e lo lasciassero sospeso in controluce per alcuni istanti. 
Quando il capitano James Flint mosse un passo in avanti e concesse alla luce di illuminargli volto, la giovane si sentì mancare il respiro come se un demonio le avesse premuto una mano gelida sul cuore. 

«Figlio di puttana, ce l'hai fatta!» la voce insolitamente ilare di Eleanor Guthrie la riportò alla realtà con una certa urgenza «sono giorni interi che non ti fai vivo!» 

James Flint piegò gli angoli della bocca in una smorfia di mera stizza, rivolgendo un'occhiata raggelante nella direzione di John Silver.
«Ho avuto da fare.» 

La giovane sbattè più volte le palpebre, come se stentasse ad associare quel sibilo collerico a quella figura che le stava letteralmente catalizzando l'attenzione. 

«Bene. È arrivato il momento di sistemare l'intera faccenda» Eleanor Guthrie si alzò in piedi come a voler cedere il proprio seggio al capitano della Walrus che, però, non l'occupò «signor Gates, libera il ladro e portalo qui.» 

Senza il bisogno anche di un minimo gesto da parte del signor Gates, Billy Bones si alzò e si parò di fronte a John Silver: Golia di fronte a Davide. 
Estrasse un piccolo coltello da una tasca dei calzoni che gli scendevano morbidi sulle gambe ben tornite e si chinò a lacerare il legacci duri che emisero un fruscìo sordo come la lingua di un serpente; afferrò Silver per un gomito e lo sollevò senza troppa grazia, strattonandolo sino a costringerlo seduto su una seggiola al centro dello scrittoio, stretto tra la propria postazione e quella di Gates. 
La giovane non badò troppo agli scarsi riguardi che venivano riservati al cuoco, presa com'era a studiare il capitano più spietato di tutti gli oceani. 

Era senz'altro un uomo di mare, le mani segnate da vecchie cicatrici e calli freschi lo mostravano chiaramente, ma c'era qualcosa che non andava in quella figura - o forse qualcosa che andava fin troppo. 
Non si era sbagliata, quell'unica volta che lo aveva intravisto: i capelli del temuto capitano erano effettivamente raccolti con precisione a formare un corto codino sulla parte alta della nuca, ma, questa volta, la ragazza potè notare che ad essere legate erano soltanto le ciocche anteriori, quasi che il taglio fosse asimmetrico. 
La barba di un delicato biondo ramato era decisamente più chiara dei folti capelli di un rosso intenso come un peccato di lussuria e pieno come il sangue dei nemici trapassati a fil di spada.
Istintivamente, le dita libere della giovane andarono ad intrecciarsi attorno ad uno di quei suoi boccoli di fuoco, ma fu un gesto che si protrasse per un solo istante. 

«Sentite signori, davvero, credo che ci siano state delle incomprensioni tra di noi--» John Silver prese a temporeggiare vanamente, guadagnandosi ulteriori sguardi astiosi da parte di Eleanor Guthrie e di Billy Bones, e probabilmente anche del signor Gates. 

Il capitano, invece, si mantenne impassibile in un'espressione dura ed impenetrabile. Le mani dietro la schiena e la posa composta ed impettita, gli conferivano un'insolita aria militaresca che proprio non si addiceva all'idea di un pirata senza regole, né civiltà. 
La giovane, incapace di rendersi conto se il mondo attorno a lei fosse ancora in orbita, non potè che riconoscere una classica ed ineliminabile aria da "gentiluomo inglese", una peculiarità che non si sarebbe certo aspettata di ritrovare tra nemmeno tra le personalità più eminenti di Nassau. 
Immaginò James Flint con degli abiti diversi. 
Una calzamaglia candida, magari, delle scarpe di manifattura pregiata, un farsetto ed una di quelle giacche che gli uomini facoltosi erano soliti farsi confezionare su misura dai migliori sarti della città.. 
Si sentì profondamente turbata quando dovette ammettere a se stessa che - contrariamente a Billy Bones, a Silver, a Gates, o a chiunque altro nell'intera New Providence- Flint non avrebbe stonato nelle sembianze di uno di quegli alti lord che lei aveva avuto modo di incontrare in un passato che le sembrò lontano quanto il Vecchio Mondo. 

«Taci» tuonò Eleanor Guthrie, perentoria ed autoritaria come soltanto una regina poteva essere «scrivi la rotta che sostieni di aver letto sulla pagina del diario di Parrish. E prega per te che sia corretta.» 

Anche se non poteva guardarlo direttamente in viso, alla giovane parve che le membra di John Silver si facessero più rigide, quasi che stesse fremendo di una comprensibile tensione.
La Guthrie gli mise un foglio pulito sotto il naso e gli porse la piuma d'oca già imbevuta di inchiostro denso, un'espressione di sfida le colorava il volto dagli aggraziati tratti nordici.
Il cuoco afferrò la piuma con una falsa sicurezza piuttosto ostentata, poi si sistemò sulla sedia, quasi che stesse per iniziare a scrivere un'ode di aulica letteratura.
Involontariamente, lo sguardo poco discreto della giovane tornò di nuovo a trastullarsi con l'immagine del capitano Flint, baciata dai raggi caldi del sole. 
Era immobile, la posa da soldato che però non ispirava affatto sicurezza, piuttosto faceva intuire la presenza di una tacita collera tenuta faticosamente a bada.
Scrutava Silver dall'alto, il capo chino e lo sguardo ansioso per la brama di posarsi sulla pergamena e sulla rotta della Urca de Lima — posto che il cuoco la ricordasse per davvero.
I suoi lineamenti erano quelli tipici di un uomo inglese di generazioni; possedeva un qualcosa di inquietantemente familiare, un qualcosa che la riconduceva inevitabilmente col pensiero alla sua patria ormai perduta. Non che le dispiacesse troppo, comunque.
D'un tratto, però, provò un inspiegabile senso di smarrimento. Un fastidio crescente che si andò a tramutare, di attimo in attimo, in una sorta di vera e propria delusione.

Nel suo immaginario, c'era sempre stata una diretta proporzionalità tra la malvagità di una persona e il suo aspetto esteriore. Non che tale ragionamento si reggesse razionalmente troppo in piedi, ma era una associazione che alla sua mente veniva naturale, e del resto, si trattava di ciò a cui si era stati sempre indottrinati. 
Una volta, da bambina, aveva dato un'occhiata ad una Bibbia illustrata; il diavolo era rappresentato come una sorta di caprone dal busto antropomorfo eretto su due grossi zoccoli, gli occhi rossi ricolmi di tutto il male possibile. Quel disegno le era parso assai singolare e lei aveva stentato a credere che davvero potesse esistere un essere così bizzarramente orrendo, ma qualche tempo dopo era accaduto un fatto che le aveva incrinato quel tacito dubbio.
A Londra venne catturato un assassino reo dell'uccisione di dieci donne e quasi quindici bambini. Qualcuno sosteneva che quell'uomo uccidesse le madri per poi cibarsi dei poveri figlioletti, tutti non più grandi dei dieci anni. Si era sentita quasi miracolata per non essere stata annoverata tra le vittime quando, i suoi tutori di allora, l'avevano portata ad assistere alla pubblica esecuzione. 
Quel cannibale le era risultato l'uomo più brutto su cui avesse mai posato i suoi occhi smeraldini di bambina. Era estremamente alto e di grossa stazza - forse a causa di tutti gli infanti che aveva divorato- eppure il tratto più inquietante le risultò una grossa cicatrice che gli sfregiava la faccia da parte a parte e quel sorriso, sinistro e dai denti neri, che non era sparito neanche ad esecuzione terminata.
Appeso alla forca, col collo spezzato e quell'espressione -nonostante tutto- beffarda, quel mostro le parve sorprendentemente somigliante al caprone satanico che tanto le aveva segnato l'immaginazione.
Ricordava che per notti non era riuscita a chiudere occhio. 

In qualche modo, comunque, aveva trovato consolante l'idea che la bruttezza fosse l'involucro esterno della cattiveria, se non altro perché quando si trovava ad osservare il proprio riflesso nello specchio, ciò che le tornava indietro le infondeva la tranquillità dell'innocenza. 
Nonostante non si specchiasse da ormai diverso tempo -non che avesse troppa voglia, o coraggio, di farlo- e il suo temperamento non fosse più impressionabile come quello di anni addietro, la certezza che il capitano Flint non affibbiasse a se stesso fattezze demoniache -del resto, nessuno avrebbe potuto- la turbò non poco.
Tirò su col naso aggrottando la fronte, fortemente contrariata: il mondo doveva proprio essersi rovesciato se anche il diavolo non appariva più brutto come lo si andava solitamente dipingendo.
Si domandò allora quale volto potesse e dovesse mai spettare ad un ladro assassino.
Non seppe rispondersi, ma era fin troppo sicura che non fosse quello di James Flint. 
Era sicura che non fosse un volto disegnato di quell'apollinea simmetria, che non fosse un volto spruzzato di quelle minute lentiggini sul naso e sugli zigomi — un tratto grottescamente puerile su un volto di pirata. 

Qualcosa svolazzò smuovendo pulviscoli nell'aria e spezzando le rette lungo le quali correvano i raggi del sole. Gates aveva strappato la pergamena vergata di fresco dalle grinfie di John Silver e l'aveva passata nelle mani frementi del proprio capitano, mentre Billy Bones si era fatto visibilmente pensoso dopo aver sbirciato fugacemente le poche righe scritte dal cuoco della Walrus.
Ancor più pensosa di Billy si fece l'espressione di Flint, già austera di per se'. 

«Non è tutto.» sibilò, rivolgendo a Silver la più furente delle occhiate. 

Il cuoco diede l'aria di fingersi altamente confuso:
«Come dite?» 

Flint rivolse nuovamente la propria attenzione alla pergamena semivuota, per poi sospirare come a infondersi una buona dose di pazienza.
«Nel calendario ci deve essere uno scalo sulle coste della Florida per le provviste d'acqua. E' il momento in cui sono più vulnerabili..» il capitano interpose una breve pausa e la giovane notò che le sue dita si strinsero quasi a pugno attorno alla pagina, in un cenno istintivo di collera malamente tenuta a freno «qui, c'è una rotta che termina a miglia di distanza dalla costa. Il tratto finale.. dov'è?» la bella voce del feroce capitano della Walrus si alzò di qualche tono, mentre John Silver non riuscì a reprimere un lieve sospiro di rassegnazione. 

«Vedete, non ho trovato molto opportuno aggiungerlo--» 

La giovane potè osservare Billy Bones schiudere le labbra in una smorfia di mera sorpresa, come se fosse stato testimone di una grave offesa e lo udì intervenire in maniera aggressiva:
«Perchè no?!» 

John Silver si voltò, forse volendo spalancare le braccia in segno di esasperazione:
«Insomma, siete tutti talmente adirati con me» si rivolse direttamente ad Eleanor Guthrie, stranamente rimasta pressochè silenzio da che il capitano Flint aveva fatto la propria comparsa «specialmente voi!» 

La signora dell'isola inclinò la testa da un lato, sollevando ermeticamente un sopracciglio - quasi che stesse avendo a che fare con un povero idiota- rifiutandosi anche soltanto di rispondere.
Ma Silver non si lasciò scoraggiare e proseguì con convinzione nello snocciolare le lecite motivazioni- almeno dal suo punto di vista- che animavano il suo operare.
«Se non tenessi qualcosa per me, cosa vi tratterrebbe dall'uccidermi seduta stante?» 

La giovane annuì senza neanche rendersene conto, come se stesse assistendo ad una scena onirica, ma nessuno badò minimamente a lei. Il suo sguardo di gemma si trastullò ancora sulla figura di James Flint, trasudante ira da ogni fibra del proprio essere. Forse stava per dire qualcosa, ma Billy Bones fu di lingua più lesta:
«Mandiamo a chiamare Joji. Gli farà sputare tutto in dieci minuti.» 

Con movenze improvvise e scattose, Flint si voltò di spalle e tornò ad affacciarsi alla finestra, scrutando chissà cosa. La giovane non potè dirlo con assoluta certezza, ma a giudicare dalla posa che assunse, il capitano le diede l'idea di star soffocando una profonda frustrazione. 

«La tortura non servirà!» la voce di John Silver giunse alle orecchie della ragazza dai capelli di fuoco come una melodia disgustosamente disarmonica.
Billy Bones si trattenne dallo scoppiare a ridere.
«Non hai visto Joji all'opera--» 

«No, no!» Silver, contraddicendo le sue stesse parole, annuì più volte «volevo dire: ho una soglia del dolore eccezionalmente bassa. Direi di tutto per non soffrire.» 

La giovane sorrise, sarcastica. Avrebbe scommesso la propria vita sulla codardia del cuoco della Walrus, e le sembrò che quella fosse stata l'affermazione più sincera dell'intera conversazione.
Lo sguardo torvo e beffardo di Eleanor Guthrie parve palesare un pensiero piuttosto simile, eppure Silver riuscì a trovare la forza di spirito per continuare il proprio tentativo di temporeggiamento.
«Ma se permettete» riprese a dire, al seguito di una breva pausa «c'è una.. soluzione che potrebbe accontentare entrambe le parti. Che ne pensereste, se io mi imbarcassi insieme a voi?» 

Quell'ardita domanda aleggiò nella stanza per diversi istanti di totale silenzio, sporcato soltanto dagli schiamazzi e dalle risa provenienti dal piano inferiore.
La giovane si voltò immediatamente verso James Flint -che non aveva effettivamente mai perso di vista- ancora immobile, dando le spalle a quella non tanto allegra compagnia. 
D'improvviso, prese a girarsi con una lentezza innaturale e al tempo stesso inquietante. La giovane vide Billy Bones scuotere la testa in uno spazientito cenno di diniego, ma si dimenticò di lui non appena lo sguardo di Flint si andò a posare, contrariamente a tutte le aspettative, su di lei.
Si sentì come paralizzata, i muscoli delle gambe e della schiena rigidi quanto tronchi di legno. Sperò che nessuno le chiedesse, o meglio le ordinasse, di muoversi perchè non sarebbe stata qualcosa di assolutamente catalogabile tra le facoltà in suo possesso in quel determinato momento.
L'aria nei polmoni si fece sempre più rada arrecandole sofferenza, ma non osò riprendere fiato per chissà quale tacito timore primordiale. Flint mantenne quel cipiglio severo che tanto lo caratterizzava, e reclinò lievemente il capo verso il basso, quasi a studiare la ragazza, di precoce età, legata a terra come una preda in attesa del macello. 
La giovane si concesse di espirare nella maniera più silenziosa che le fu possibile, senza distogliere minimante lo sguardo dalla persona del capitano. Realizzò, quasi sgomenta, di come effettivamente non fosse riuscita a staccare gli occhi di dosso da James Flint -da che questo era giunto nello studiolo- da quei suoi capelli vermigli e quel suo portamento fin troppo distinto.
Per un qualche strano meccanismo del cervello, riuscì a comprendere da un lato le ragioni per le quali degli uomini seguissero il capitano Flint fedeli e devoti come cani, e dall'altro le controragioni per le quali, invece, degli altri uomini lo temessero alla stregua dell'inferno. In un modo o nell'altro, comunque, nessuno sano di mente avrebbe mai potuto non cadere vittima del magnetismo che il capitano più leggendario dei sette mari possedeva la capacità di emanare. 

«Avrebbe senso! Io rinuncerei al compenso per la mia collaborazione, in cambio di una quota del bottino» la voce di John Silver giunse puntuale ed irritante a rompere quell'ipnotico incantesimo. 

Il capitano Flint si voltò, quasi di scatto, fattosi vagamente rosso in viso come se la collera fosse sopraggiunta a colorargli gli zigomi, eppure rimase in silenzio, forse in fase di valutazione. 

«Voi seguirete la rotta.. E al momento giusto, io sarò accanto a voi per darvi le coordinate. Passo dopo passo.» il cuoco sorrise come se si stesse complimentando con se stesso per la propria astuzia o per chissà quale altro talento auto-attribuitosi «se le mie indicazioni dovessero rivelarsi errate, farete di me quello che vorrete.» 

Seguirono dei lunghi istanti di strana quiete, per nulla rassicurante, poi James Flint, issandosi con i palmi delle mani sullo scrittoio di Eleanor Guthrie, si chinò in avanti a sovrastare la figura riccioluta di John Silver. 

«E una volta conquistata la Urca? Che cosa mi impedirebbe di ucciderti lo stesso?» a Flint bastò un sibilo per far raggelare il sangue delle vene di Silver, il quale smise di sorridere nemmeno fosse inebetito. 

La giovane trovò il quesito lecito e cominciò a riflettere su quale dannata risposta avanzare, una volta che il capitano della Walrus -o chi per lui- le avesse rivolto la medesima domanda. Posto che a lei concedessero la grazia di farle pronunciare anche una sola sillaba. 

Silver inclinò il capo da una parte e apparve interdetto, quasi che stesse soppesando le proprie parole ancor prima di pronunciarle:
«Abbiamo.. Qualche settimana, fino ad allora» diede una scrollata di spalle accompagnato da tutta la leggiadria del mondo «potremmo diventare amici.» 

Billy Bones, sempre più indignato, fece come per alzarsi e prese a scuotere la testa, negando con tutte le proprie forze, in direzione del suo capitano. Ma la reazione più eclatante, venne dal signor Gates, il quale esplose in una fragorosa risata, nella quale la giovane lesse una certa consapevolezza, anzichè un genuino divertimento.
James Flint si limitò a sorridere tacitamente, entrando in profondo contrasto col proprio sguardo saturnino ed affatto raccomandabile, quasi che stesse già pregustando la sensazione di premere la lama tra le viscere di Silver. 
Si voltò verso di Eleanor, girata di spalle, apparentemente dissociata dal resto dei presenti. 

«Tu saresti d'accordo?» domandò il capitano dai capelli scarlatti con tono più edulcorato. 

La signora dell'isola, quasi con fare annoiato, si trascinò fino alla spalliera della propria poltrona, sopra la quale poggiò un gomito. Tirò su col naso, scuotendo lievemente le spalle.
«Credo di non avere scelta.» 

Billy Bones scattò in piedi, la sedia che si rovesciò sul pavimento emanando un gran fracasso.
«E quindi salpiamo l'ancora?!» la sua voce, per quanto giovanile, risuonava di una certa autorevolezza. 

Flint non parve restar troppo impressionato da quello sfoggio di mancata tolleranza e tornò a volgere le spalle e a scrutare la strada dalla grande finestra.
«Il signor Gates ed io cercheremo qualcuno che si aggreghi a noi, non è un'impresa che possiamo affrontare senza il sostegno di un'altra nave..» 

Billy, in tutta la sua notevole mole, s'irrigidì e sbottò, avendo ormai perso il controllo.
«Capitano, ne vorrei discutere!» 

Gates agì con prontezza, forse avendo già previsto quella possibile evenienza e prevedendo, di sicuro, un epilogo poco consigliabile. Portò una mano tozza a stringere l'avambraccio di Billy e gli rivolse uno sguardo eloquente.
«Esci un momento con me, Billy.» 

Il nostromo della Walrus non si mosse di mezzo passo, al che Gates si vide costretto ad alzarsi e a sospingere fuori dallo studio della Guthrie il suo giovane protetto.
Silver si voltò, per non perdersi la scena, e prese nuovamente a sogghignare sotto i baffi. 
La giovane gli rivolse uno sguardo torvo, ma quando vide Flint voltarsi, la sua attenzione tornò, ancora una volta, a concentrarsi tutta su di lui. Il capitano, apparentemente sovrappensiero, si stava accarezzando il mento barbuto con due dita, in un gesto che -per scioltezza- la giovane teorizzò dovesse compiere ben spesso. 

«Sarà necessario aumentare il nostro normale approvvigionamento.» asserì poi, lasciando cadere il braccio dal mento sino ai fianchi. 

Eleanor Guthrie si appropriò nuovamente della propria postazione e si premunì di carta e piuma d'oca.
«Scrivo la lista.» 

Fu in quel frangente che la giovane si accorse, per la prima volta, della presenza di Scott -il servo di colore- nella stanza. Si domandò come non avesse fatto ad averlo notato durante tutto il tempo precedente, ma una sola occhiata di sfuggita verso la figura del capitano Flint le fu sufficiente come spiegazione alquanto esaustiva. 

«Cento barili di polvere, mille palle da cannone per nuove bocche da dodici libbre-- Una dozzina, come minimo..» Flint prese a vomitare un elenco di materiali che Eleanor, nel mentre, si premurava di appuntare diligentemente; Scott si frappose fra loro, esprimendo il proprio dissenso. 

La giovane osservò Flint sbuffare, i tratti del volto divenuti rigidi e lo sguardo duro come diamante.
«Quando apriremo il fuoco, dovremo farle di più che un paio di graffi, se vogliamo che la nave sia nostra.» 

Eleanor annuì e balzò in piedi, arrotolando con precisione la pergamena.
«Ho scritto tutto» consegnò il foglio nelle mani callose di Scott e poi si parò di fronte a Flint, ghignado con trionfo «ti accontenterò.» 

Flint annuì, senza sciogliersi in grandi dimostrazioni di gratitudine, sorridendo compiaciuto a sua volta.
La Guthrie aggirò il proprio scrittoio e si diresse verso l'uscio, al seguito di Scott, ma si arrestò bruscamente quando si ritrovò davanti agli occhi algidi la figura della giovane, accucciata a terra come un sacco semivuoto.
Restò un momento interdetta, poi si voltò verso il capitano Flint. 

«Capitano?» 

Flint alzò il capo ma il suo sguardo vagò nel vuoto per diversi attimi, distante miglia, e forse interi universi, da Nassau. Poteva essere impegnato a crogiolarsi nell'idea della conquista della Urca, anche se la soddisfazione non pareva rientrare nello spettro emozionale leggibile sul viso del pirata.

«Di lei cosa ne facciamo?» Eleanor puntò un dito in direzione della giovane, la voce sprezzante e spazientita. 

Flint non rispose all'istante. Tornò a torturarsi il pizzetto ramato che gli ricopriva il mento, in una movenza naturale per quanto meccanica.
La giovane si schiacciò contro il muro in un riflesso involontario, come a volersi sottrarre da qualsiasi decisione il capitano della Walrus fosse in procinto di prendere. Strinse i pugni preparandosi a chissà quale scontro fisico, ben conscia delle nulle possibilità di riuscita. Avrebbe anche chiuso gli occhi, ma il pensiero di non guardare l'avrebbe spaventata anche di più. 

«Slegala» la voce di Flint risuonò stranamente incolore «ho bisogno di scambiare quattro chiacchiere con questa spia.» 

Eleanor Guthrie rivolse un distaccato cenno di assenso verso di Scott per poi tornare ad occupare il proprio seggio alle spalle dello scrittoio invaso di carte vergini o appena vergate. 
L'uomo dalla pelle intensamente eburnea spezzò i legacci con un pugnale dalla lama particolarmente consunta e poi, stringendo la giovane per un gomito, attese che questa si sollevasse. Non le liberò, invece, i polsi e la condusse al cospetto della propria padrona e del capitano della Walrus. 
La costrinse seduta sulla seggiola dove, poco prima, era stato fatto accomodare quel poco di buono di John Silver. Il cuoco era stato trattato con poca grazia, ma, tutto sommato, gli era stato concesso un compromesso assai lussuoso. 
La giovane si rese conto di non aver più tempo per riflettere su una possibile strategia con la quale potersi salvare la pelle, e sperò che i suoi astanti la guardassero con occhi differenti, più indulgenti, in paragone a quelli adottati nei riguardi di Silver. Le fu sufficiente una semplice fugace occhiata per comprendere tristemente che Eleanor Guthrie e James Flint dovevano nutrire per lei una considerazione analoga a quella nutrita per il cuoco truffaldino, se non ben peggiore. 
Trattenne per un momento il respiro, la voglia irrefrenabile di ribattere di non essere una spia, ma la voce, di fatto, le venne a mancare. 

«Chi sei?» Eleanor Guthrie l'anticipò, nella sua tipica dura freddezza. 

La ragazza dai lunghi capelli scarlatti schiuse appena le labbra secche e spaccate, colta in fallo, come se quella domanda -per quanto ovvia- non fosse stata nemmeno lontanamente prevista. 

"Non dir loro la verità. Non farlo." 

«Non hai sentito? Ho chiesto il tuo nome.»

La giovane riportò la propria attenzione sulla Guthrie, le membra frementi come se la sedia sotto di lei avesse preso a bruciare. 
Rivolse per un momento lo sguardo verso la figura fortemente autoritaria di Flint, quasi per riflesso involontario, ma il pirata non le stava riservando molte attenzioni, preso com'era a scrutare il foglio della rotta per la conquista della Urca de Lima che stava reggendo tra le dita. 
Quella distrazione, in qualche modo, le infuse il coraggio necessario e una risposta inaspettatamente naturale. 

«Jackie» la giovane fissò negli occhi chiari di Eleanor Guthrie  «il mio nome è Jackie.»

«D'accordo, Jackie, ora spiegami perchè sei stata sorpresa ad origliare le mie conversazioni private--»

«Non è questo il punto, Eleanor» James Flint irruppe nell'interrogatorio come un ariete tra le mura di una fortezza «la vera questione è ben altra.»

Il capitano della Walrus arrotolò velocemente la sua preziosa pergamena e la ripose in una tasca interna della sua lunga giacca blu di Prussia. 
Puntò un intenso sguardo verde sulla giovane, efficace come un dardo infuocato. 

«La vera domanda meritevole di risposta è per chi, questa spia, stia lavorando.»

Jackie sostenne l'ardente occhiata del capitano, concedendosi di indugiare più a lungo del dovuto in quelle pozze acquamarina. 
Vide il mare negli occhi di Flint, e strane sensazioni si mescolarono tra loro: sentì la paura più istintiva cedere il posto all'inquietudine per poi donarlo ad una macabra eccitazione, che la scosse nel profondo. 
Non poteva dirlo con certezza, ma quelli dovevano essere gli stessi brividi di un condannato a morte di fronte al proprio patibolo. 

«La vera.. la verità è che io non sono affatto una spia. Non lavoro per nessuno, eccetto per me stessa.» le parole fioccarono dalla bocca di Jackie come tanti proiettili di moschetto. 

Flint sorrise sprezzante, senza allegria e senza sarcasmo, chinandosi sullo scrittoio della Guthrie esattamente come poco prima aveva fatto con John Silver, sovrastando la ragazza con la propria mole.
Non era di certo grosso quanto Billy Bones, ma Jackie non realizzò quanto anche il capitano Flint fosse massiccio finché non le torreggiò di fronte.
Era più alto di lei, e non di poco, e le sue braccia -seppur celate da strati di indumenti- si mostravano gonfie di una muscolatura guizzante e dinamica, le spalle a spiovente facevano da sostegno ad un collo vagamente taurino che, stranamente, non sfigurava con i lineamenti gentili del volto. E, constatò la giovane, quei capelli di un rosso così vivo erano fin troppo simili ai suoi fluenti boccoli. 

«Ti aspetti davvero che io ci creda?» il pirata le parlò con un tono ferocemente vellutato. 

Jackie strinse i pugni, la tensione alle stelle.
«Beh, capitano, avete creduto alle parole di John Silver, forse potrete fare uno sforzo anche per le mie.»

Si pentì all'istante della propria sfrontatezza, ma la presenza di Flint la faceva sentire fortemente provocata. E se c'era qualcosa nella quale Jackie non era assolutamente brava, era quella di saper ignorare una provocazione. 
In tanti anni, era stata convinta che sarebbe stato esattamente quel lato del proprio carattere che l'avrebbe condotta ad una -probabilmente- meritata morte. In effetti, adesso non era poi così lontana dal realizzare quella vecchia convinzione. 

«Silver aveva da offrirci qualcosa» Eleanor Guthrie si intromise, poggiando una mano su un polso di Flint, invitandolo gentilmente a tirarsi indietro e a farle spazio  «tu non sei nella stessa vantaggiosa posizione.»

Jackie espirò, sollevata che quel contatto ravvicinato col diavolo dei Sette Mari si fosse concluso. 

«Avrei avuto qualcosa da offrire, se solo Silver non l'avesse ridotta in cenere!» la ragazza si lasciò cadere sullo schienale della seggiola, accusando improvvisamente tutta la stanchezza di giorni difficili «non avevo intenzione di origliare alcuna conversazione segreta, ma l'ho fatto. E per questo, mi sono guadagnata soltanto problemi. 
Quando ho compreso che la rotta non era ancora nelle mani del legittimo proprietario, ho pensato che, magari, avrei potuto recuperarla giocando d'anticipo--»

«Perché mai bramavi di ottenere quella rotta? Per portarla al tuo padrone, magari?!» Flint ringhiò come una fiera rinchiusa da troppo tempo in una gabbia troppo stretta. 

«Ho-già-detto-di-non-avere-alcun-padrone» Jackie scandì una per una le parole con una veemenza di rabbia crescente «non intendevo tenere la rotta per me. Non avrei saputo cosa farmene: non possiedo navi, né equipaggio, né le competenze per affrontare una missione di tal genere..»

«Avresti potuto imbarcarti e trovare un buon acquirente, magari a Port Royal.» suggerì Eleanor Guthrie, sottolineando una certa ovvietà. 

«Rivenderla, intendete? Quell'idiota di Silver ci stava provando e le cose stavano procedendo in modo assai complicato. E poi, so-- ho sentito che il capitano Flint ha delle spie al suo servizio a Port Royal. Tanto valeva morire qui.» il tono di Jackie risuonò vagamente offeso per l'essere stata sottovalutata. 

«Allora vorrai essere così gentile da illustrarci cosa una ragazza senza navi, senza equipaggio e senza competenze volesse fare con una rotta spagnola.» la Guthrie sorrise nella maniera più irrispettosa che Jackie avesse mai visto. 

«Intendevo semplicemente scambiarla con la mia libertà.» 

Il silenzio che ne seguì concesse a Jackie degli istanti di tregua. Scrutò per alcuni istanti le espressioni dei suoi interlocutori, poi alzando gli occhi al cielo, si accinse a spiegare con maggior chiarezza. 
«Il capitano Flint, non appena sono stata sorpresa a ficcare il naso dove non avrei dovuto, ha sguinzagliato i suoi uomini al fine di trovarmi e consegnarmi a lui. Ho immaginato che l'intenzione fosse quella di uccidermi, così ho vagato, nascondendomi, per un giorno e per una notte» la ragazza interpose una pausa, scuotendo il capo in dei lenti cenni di diniego «è stato orribile. Non immaginate quanto. Così ho elaborato una strategia per riprendermi il mio quieto vivere e la libertà che tanto mi è stata osteggiata. Era un buon piano ed aveva funzionato, ma poi Silver-- ad ogni modo, avrei consegnato personalmente la rotta a voi, capitano, ed in cambio avrei chiesto la fine della persecuzione nei miei confronti.»

Flint, che sembrava aver prestato il massimo dell'attenzione, immobile in quella sua posa da militare mancato, esplose in una risata canzonatoria, come se un qualche marinaio rozzo gli avesse appena raccontato una gilga sconcia.
Jackie si mantenne impassibile, seria, collera e stizza presero a montarle in petto e a imporporarle il volto tempestato di fine lentiggini; l'istinto le risultò difficile da controllare, la tentazione di afferrare una cosa qualunque-- anche la sedia sotto di lei, e scaraventarla su di Flint e su di Eleanor Guthrie, per poi scappare via e correre, correre, e poi...
Invece restò impietrita, le mani strette a pugno -così strette che i palmi presero a dolerle- e lo sguardo smeraldino oscurato da un indigesto senso di umiliazione.

«Indubbiamente, una storiella ben studiata» Eleanor Guthrie si massaggiò la fronte, nemmeno avesse compiuto uno sforzo esagerato «peccato che non regga!»

«Come dite?» Jackie riuscì appena a sibilare, la sensazione di non avere più voce nella gola.

«Una sola persona su quest'isola sceglierebbe di perdere cinque milioni di pezzi da otto a vantaggio della propria libertà e, si da' il caso, che non sia tu
O il tuo piano era di pretendere, in seguito, una parte del bottino o sei soltanto molto ingenua.» 

Il volto di Jackie si colorò di una smorfia di mera frustrazione, incapace di spiegarsi in cosa consistesse l'assurdità della propria versione. Era così strano voler essere liberi?
Le balenò in mente che, forse, quella poteva essere una richiesta "lecita" nel mondo dal quale lei proveniva -un mondo nel quale si era inglobati in una società proibitiva e limitati da ogni sorta di convenzione- ma a Nassau le cose, a quanto pareva, dovevano stare diversamente.
D'altra parte, la libertà poteva vista essere come valore inestimabile dove risultava, invece, una condizione di normalità? 
Si sentì profondamente stupida, o forse ingenua, esattamente come le aveva appena terminato di dire la Guthrie.

«Può apparire strano, immagino, ma i soldi non mi interessano» asserì con convinzione «non sono la mia priorità al momento.»

Quello non era propriamente lo status quo della realtà. Di denaro per vivere, Jackie ne aveva un bisogno piuttosto urgente -la morsa di ferro della fame che le aveva ingabbiato lo stomaco era ancora troppo fresca nella sua memoria per potersene dimenticare- ma valutò di non essere nella posizione ideale per esternare la sua pur impellente necessità. 
Lo sguardo di un fuoco color del mare di James Flint le confermò la correttezza della sua tacita valutazione.
Non si vide altra opzione se non vuotare il sacco circa quelli che erano stati i suoi pensieri in seguito al discorso ad effetto del capitano, il discorso in cui lui aveva rivelato i propri piani per quella striscia di terra strategica che era Nassau.

«Non sottrarrei soldi dal bottino della Urca de Lima» quando pronunciò il nome del vascello spagnolo, Jackie si sentì colpevole come se avesse appena bestemmiato «io-- io sono d'accordo con voi, capitano.»

Flint si accigliò, reclinando il capo da una parte, l'espressione di chi osserva davvero qualcosa per la prima volta nella vita.
«Spiegati.»

«Il vostro progetto per questo posto» Jackie scattò in piedi, impossibilitata a restare seduta ancora a lungo; Eleanor Guthrie si alzò di riflesso, Flint portò una mano sull'impugnatura della pistola, ma la giovane dai lunghi boccoli rossi non se ne curò e prese a girare per la stanza, oscillando i polsi ancora stretti da duri legacci quasi ad esorcizzare la tensione.
«I cannoni, la fortificazione del forte, una nazione libera-- io sono d'accordo! Vorrei-- vorrei vedere tutto questo realizzarsi, vorrei.. Sto cercando un posto in cui vivere in pace. Quest'isola, per strana che sia, potrebbe assicurarmi la tranquillità che tanto vado cercando. Se il futuro di Nassau si dimostrerà roseo come quello che voi avete descritto, se veramente quei dannati soldi spagnoli potranno assicurare una vita sicura... Perchè dovrei volere ostacolare un'idea così nobile?»

Prese ad aleggiare una strana atmosfera nello studio appena sopra la locanda, come se il tempo si fosse fermato e fuori il mondo avesse preso a vorticare ad una folle velocità. Jackie dovette voltarsi e gettare un'occhiata vigile verso l'esterno oltre il vetro della finestra per accertarsi che ogni cosa fosse ben stabile al proprio posto. 
La sola cosa che vide muoversi furono le fronde degli alberi, pigramente dondolanti smosse da una flebile brezza proveniente da est.
Eleanor Guthrie tornò a sedere, poco entusiasta e l'espressione di chi ha trovato, infine, una storia poco avvincente. Si voltò verso di Flint, senza spiccicare parola, come a voler rimettere tacitamente a lui una spinosa decisione.
Il capitano della Walrus scostò la mano dalla pistola che teneva infilata nella cintola all'altezza dell'anca destra, carezzandola distrattamente con le dita incallite da una vita difficoltosa. Si ravviò il colletto dell'importante giacca che aveva indosso, poi aggirò lo scrittoio della Guthrie.
Jackie lo vide avanzare a passo spedito, lo sguardo di chi è proiettato su questioni future ben più urgenti delle smanie insignificanti di una ragazzina sconosciuta. La giovane si immobilizzò, sulle spine, aspettandosi -forse irrazionalmente- chissà quale temibile sfuriata. Tutto ciò che James Flint si limitò a fare fu lanciarle un'occhiata eloquente, quasi sprezzante. Quando lui la sfiorò, sorpassandola incurante, un particolare olezzo di salsedine la investì, stuzzicandole vagamente i sensi.

«Liberala e dalle quello che vuole in cambio del suo totale silenzio» Flint spalancò la porta verde vivido dello studio «e fa' che abbia chiaro in mente cosa succede a chi compie la scelta poco saggia di intralciare i miei piani.»

Solo quando le corde che le imprigionavano i polsi vennero spezzate, Jackie maturò l'idea che forse, con il benestare della fortuna, avrebbe potuto cavarsela. 
Da che aveva aperto gli occhi in quella mattinata infernale, finalmente sentì l'aria invaderle i polmoni, così forte e rigenerante che le parve di essere riemersa dopo anni dagli abissi più profondi.





***ANGOLO AUTRICE***

Salve a tutti!
Innanzitutto, voglio ringraziare per la vostra tacita (e non) presenza e per la pazienza dimostrata nel seguire la mia nuova storia.
Quando ho iniziato la stesura di questa fanfiction, non avevo ancora unificato tutti i tasselli del mio puzzle mentale e non mi sentivo troppo sicura nel pubblicarla, anche perchè è il mio primo esperimento in assoluto in questo fandom; tenterò di essere più precisa possibile, nella speranza di rendere onore ai caratteri e alle sfumature dei personaggi di cui mi occuperò, e nella speranza che tutti voi abbiate la buona volontà e l'entusiasmo di continuare a seguire questa mia storia.
Le recensioni, anche per esprimere pareri o impressioni contrarie, (ciò che scrivo potrebbe anche non piacere, ovviamente) sono ben accette. Mi piacerebbe molto leggere le vostre opinioni e le vostre aspettative a riguardo, come anche quelle di coloro che si uniranno strada facendo. 

Vi aspetto fiduciosa,
L'autrice.

P.s: Chiedo scusa per la lentezza di progresso, ma il tempo libero scarseggia. 


 

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Capitolo 6
*** VI. ***


«Liberala e dalle quello che vuole in cambio del suo totale silenzio»

La voce del capitano Flint era stata dura e vibrante come un un martello che si schianta sull'incudine, e il dolore era stato forte, ottundente.
Jackie non avrebbe saputo dire a cosa fosse dovuto. Forse un colpo alla testa, forse una pugnalata alla schiena, forse un fendente alla bocca dello stomaco.

Poi tutto si era fatto nebbioso, scuro.

Uno spiraglio di luce intollerabile da guardare le era baluginato di fronte agli occhi, era comparsa una figura sfocata: somigliava ad Eleanor Guthrie..
Poi aveva sentito il mare. Il mare con le sue onde scroscianti, il perpetuo borbottìo dell'acqua che si agita sotto il tocco del vento, le correnti impetuose che attraggono ogni cosa tra le loro spire, come serpenti dalla stretta letale.

«e fa' che abbia chiaro in mente cosa succede..» Flint aveva parlato di nuovo; la voce era austera come al solito, ma stavolta pareva essere un tutt'uno con il suono dei flutti.
Jackie tentò di scovare il temibile capitano; prese a cercarlo con lo sguardo ansioso, desideroso, come se la visione dell'uomo potesse placare il dolore, la confusione, lo stordimento.
Non riuscì a trovarlo. Tutto quel che vide fu solo un oceano sterminato sin dove la sua vista poteva arrivare, sino ai confini del mondo. Poi era accaduto qualcosa di strano, qualcosa che...
Il capitano Flint le era alle spalle, ne era certa. 
Jackie non riuscì voltarsi -non ne capiva il motivo- ma non vi riuscì, come se fosse bloccata, condannata a fissare in eterno quel mare senza limiti.
Però poteva sentirlo.
Poteva chiaramente percepire dietro di lei la presenza autoritaria del capitano della Walrus, quel suo tipico odore di salsedine e di ferocia che le stuzzicava le narici. Ma non era sgradevole o, comunque, non come sarebbe dovuto essere. 
Jackie inspirò come se quell'aroma di salmastro fosse il profumo più dolce che avesse mai avuto il piacere di annusare, un aroma che aveva un qualcosa di fin troppo afrodisiaco, totalmente diverso-- nuovo da come lo aveva percepito la prima volta..
Qualcosa le sfiorò il collo e lei tremò, percorsa da un brivido dalla nuca sino ai lombi. Doveva essere il respiro caldo di Flint, uno sbuffo appena percepibile ma di una potenza inarrestabile.
L'istinto di voltarsi, di specchiarsi nelle belle iridi verdi fuoco dello spietato pirata, s'impossessò della sua mente, ma la ragazza trovò il suo corpo nuovamente ancorato, incapace di qualsiasi movimento.
Un'onda più irruenta delle altre le lambì i piedi proprio mentre la mano ruvida, ma sapiente, di James Flint le stava carezzando il profilo del volto. Jackie, quasi per riflesso involontario, reclinò il capo da una parte, come a venire incontro allo strano, incredibile, gesto di tenerezza e poi.. Poi la mano, quasi fosse stata dotata di tentacoli, le si era avviluppata attorno al collo, avida, violenta, privandola dell'aria in una stretta che sapeva di morte.
D'un tratto, tutto attorno si fece livido e sfocato.

Quando aprì gli occhi di colpo, emise un gemito sofferente ed inspirò a pieni polmoni, il cuore che le martellava nel petto ad un ritmo preoccupante. 
Fece danzare lo sguardo tutto attorno e -nonostante la visuale di uno scrittoio, di uno specchio e di un armadio vecchio, ma ancora buono da utilizzare- il soffitto di quella camera, una sorta di mansarda che scendeva bruscamente a spiovente verso ovest, le apparve decisamente troppo vicino e vagamente soffocante.
Jackie si passò un avambraccio sulla fronte a tamponarsi le minute goccioline di sudore gelido comparse ad imperlarle la fronte. L'incubo, grosso modo sempre il medesimo, la perseguitava ormai da diversi giorni e non le aveva lasciato requie dal momento in cui, in un atto di pietas probabilmente molto raro, James Flint ed Eleanor Guthrie avevano deciso di lasciarla andare.
Se a John Silver era andata di lusso, osava dire che a lei era andata anche meglio. Era vero che il cuoco possedeva informazioni preziose, anzi fondamentali, da "vendere" -garanzia, queste, della sua personale sopravvivenza- ma, a quanto era emerso, anche il silenzio non era di minor valore per la riuscita dell'impresa riguardante la Urca de Lima.
Nel momento stesso in cui, al cospetto della Guthrie e del capitano Flint, Jackie aveva evidenziato l'importanza cruciale del proprio tacere, aveva realizzato d'essersi autoconferita un potere di cui nessuno, nemmeno l'uomo che terrorizzava i Sette Mari, avrebbe potuto privarla. Se lei avesse parlato, se avesse anche soltanto spifferato, della missione che l'equipaggio della Walrus era in procinto di compiere, -Flint lo aveva compreso assai bene- per la nave e la ciurma sarebbe stata la fine. Sarebbero stati tutti massacrati prima del tramonto susseguente.. forse, i più fortunati sarebbero riusciti a sfiorare la nuova alba.
E questo le aveva permesso di togliere le proprie castagne da un gran brutto fuoco.
Tanto per cominciare, era uscita dalla sgradevole "conversazione" con James Flint ed Eleanor Guthrie pressochè illesa-- e già questa, non era affatto cosa da poco.
Inoltre, come a coronare quella vittoria più che soddisfacente e mai neanche immaginata, dopo che Flint aveva lasciato lo studio proprio sopra la rumorosa locanda, silenzioso e rapido come uno spettro, Eleanor Guthrie -non senza rivolgerle uno sguardo infastidito- le aveva fatto cenno di tornare ad accomodarsi sulla sedia di fronte allo scrittoio sommerso di scartoffie varie.                                                                                                                                        
Jackie era rimasta immobile, come una preda in allerta, quando la signora di Nassau aveva alzato gli occhi al cielo, in un evidente segno di rinnovata pazienza, e le aveva parlato con voce ben più accomodante:

«Dato che dobbiamo parlare d'affari, conviene che tu ti segga.»

«Di affari?» le aveva replicato di rimando la ragazza dai capelli scarlatti, confusa.

«Come avrai notato, il capitano Flint ti ha appena risparmiato la vita» Eleanor estrasse un foglio vergine da uno dei cassetti alla sua destra ed afferrò una lunga piuma d'oca di un triste colore cenerino.

«Ma siamo pari adesso, no? Insomma, io ho--»

«Flint è di certo un amante del rischio, ma detesta correrne di inutili e di potenzialmente fatali. E tu, sei uno di quelli!» Eleanor Guthrie aveva ripreso a parlare incurante, come se Jackie non avesse posseduto una propria voce «vuole il tesoro della Urca, ma prima di questo, vuole mantenere il massimo riservo circa il tesoro della Urca, dunque--»

La Guthrie girò la pergamena di modo che Jackie potesse trovarsela sotto gli occhi nel giusto verso e poi le porse la lunga piuma d'oca, un poco spennacchiata.

«--è il caso che tu scriva, e velocemente, cos'è che vuoi per il tuo assoluto silenzio. Soldi, gioielli, armi, qualunque cosa possa comprarti» la donna dai biondi capelli raccolti in una crocchia imprecisa sorrise malandrina, compiaciuta per chissà quale sensazione di potere sentiva di esercitare sulla propria interlocutrice.

Jackie corrucciò la fronte e trattenne il respiro per qualche momento. In sè provò un vago senso di disagio, diverso da quello provato al cospetto del capitano Flint, ma parimenti uggioso ed inclemente.
Si sentì maledettamente offesa per essere stata considerata una persona corruttibile, venale e materialmente attaccata alle cose. Se mai c'era stato dipinto più inesatto di se stessa, era quello che Eleanor Guthrie era riuscita a creare in pochissime, elementari, parole. Tirò su col naso, lanciando uno sguardo di disprezzo verso il documento ancora illibato che giaceva, spiegazzato ai bordi, sullo scrittoio.
L'impulso fu quello di afferrare la piuma e di scrivere un qualche colorito insulto nei riguardi della Guthrie, ma una furbizia, una malizia che Jackie non era così conscia di possedere nel proprio animo, le suggerì che, forse, mettere da parte l'orgoglio e i nobili ideali per risollevare -almeno un poco- la propria esistenza, sarebbe stato il miglior esito di tutta quella assurda vicenda, impensabile andando a ritroso anche solo di poche settimane.
Ma se Eleanor Guthrie -e prima di lei, James Flint- stava fremendo per zittirla e per "ricompensarla", approfittare della situazione non le risultò poi così immorale-- sempre che non si considerasse la tipologia di persone con le quali si stava apprestando a "concludere affari". Valutò l'idea di fregare la regina al suo stesso gioco, ma un tacito istinto di sopravvivenza le ricordò che l'incolumità personale doveva restare l'interesse prioritario.

"Chiudere i conti con Flint e con la Guthrie e, magari, anche con questo posto. Potrei imbarcarmi. Verso Port Royal, verso le rive americane... Magari verso Boston o la Louisiana. Dicono che New Orleans sia una bella città, e che--"

La voce stridente e alquanto seccata di Eleanor Guthrie interruppe il filo di pensieri che si stava districando nella mente della giovane rossa; la ragazza non comprese le parole della signora dell'isola fin quando quella non le ripetè, ancor più stizzita.

«Sai scrivere?»

Jackie sbattè le palpebre più volte, lentamente, poi si protese verso di Eleanor Guthrie e le sfilò di mano la piuma d'oca, in un gesto privo di grazia o gentilezza.

«Sì, so scrivere e bene!» Jackie grugnì la risposta a denti serrati, ora più che lievemente offesa.

«Buon per te» la Guthrie incrociò le braccia al petto e si lasciò cadere sullo schienale della sua poltrona foderata, non curandosi di celare il disinteresse.

Jackie le riservò uno sguardo bieco che però la bionda non colse, occupata com'era a guardarsi attorno, immersa in chissà che altri pensieri.
La giovane rossa avvicinò la propria sedia allo scrittoio, intinse la punta della piuma nella piccola ampolla contenente l'inchiostro e si accinse finalmente a vergare la carta. Restò interdetta, indecisa, frastornata, messa dannatamente alle strette. Una grossa goccia di liquido nero e viscoso si riversò sulla pergamena, dando vita ad una brutta macchia scura, quasi come un pugno sferrato alla povera carta ingiallita.

«Meditare non servirà a molto, e tirare troppo la corda sarà anche meno fruttuoso.»

Jackie alzò di scatto la testa e i suoi riccoli vermigli le danzarono sulle spalle ossute.
«E questo che significa?»

Eleanor Guthrie sollevò i gomiti e scrollò le spalle in un cenno come a sottolineare una ridicola ovvietà:
«Meglio che tu non abbia pretese esagerate nelle tue richieste.»

«Se ho ben inteso, il mio silenzio è altamente prezioso ai fini del ritrovamento e della conquista della Urca de Lima, quindi deduco di potermi permettere un qualche incentivo piuttosto appagante--»

La Guthrie si sporse in avanti, lo sguardo duro e glaciale, la voce sottile ma dannatamente convincente.
«Ragazza, stai scherzando col fuoco. Te ne rendi conto o sei troppo ingenua per farlo?»

Jackie espirò rumorosamente, non meno infastidita della Guthrie: era la seconda volta, in brevissimo tempo, che la bionda l'accusava d'essere un'ingenua.

«Hai il diritto di avanzare una richiesta solo perchè Flint è stato tanto magnanimo da risparmiare quel tuo culo secco, ma--» Eleanor si alzò in piedi, prendendo a camminare compulsivamente avanti ed indietro dallo scrittoio alla finestra alle sue spalle «--quello che chiederai dovrà essere giusto.. dovrà essere ragionevole.»

«Ah!» d'istinto, Jackie smollò la piuma d'oca che andò a rotolare sul tavolo, imbrattando il foglio ed altre carte di intense striature nere «e ad ordinarmelo è un uomo che per vivere si dedica al ladrocinio e all'omicidio?»

«Il capitano Flint è un uomo di parola. Se le tue pretese saranno accontentabili, non mancherà di assecondarle. Hai la mia garanzia.»

«La garanzia di una complice non meno colpevole? Non mi sembrano delle basi idilliache per stipulare un accordo, suona come stringere un patto col diavolo!» Jackie si era pentita all'istante di tanto sfoggio di coraggio e strafottenza, ma qualcosa -forse l'esser stata trattata come un rifiuto umano la notte addietro o forse l'esser stata sottovalutata della grossa- l'avevano portata alla saturazione e niente, a quell'estremo punto in cui si era ritrovata, le avrebbe mai potuto impedire di sbottare.

«Vediamo. In normali occasioni, a quest'ora ti troveresti scannata in una qualche fossa dei Relitti. Ti sembra così pessima la tua condizione attuale?» il tono della Guthrie si era fatto, se era possibile, anche più intransigente.

Seguirono degli attimi di pesante silenzio, finchè Eleanor non riprese parola più morbidamente, mentre tornava a sedere:
«Non so chi sei, nè cosa vai cercando. Ma puoi andartene per la tua strada e lasciare questo posto con tutta la follia che esso porta in grembo..»

Jackie scosse il capo in atto di diniego e raccolse, quasi con pena, la povera piuma d'oca:
«In verità, non avevo intenzione di lasciare Nassau-- almeno non fino a ieri mattina. Il progetto che il capitano Flint ha in serbo per questa città mi piace davvero, io.. Non sarei dispiaciuta di prenderne parte» la ragazza fece spallucce, mostrando rassegnazione ma nessuna mestizia «e poi, non saprei dove andare. Non c'è anima viva che mi stia aspettando altrove.»
Questo era inesattamente falso, Jackie ne era consapevole, ma non le dispiacque celare alla Guthrie l'altra metà della verità.
La signora di Nassau aveva impercettibilmente annuito, poi aveva indicato la pergamena, invitando Jackie a sigillare quel patto verbale, fondato su una debolissima fiducia riposta nelle anime di un filibustiere, il peggiore -o il migliore- tra tutti, e una ricettatrice.

La ragazza dai boccoli di fuoco fissò il foglio macchiato qua e là ancora una volta, poi posò nuovamente la piuma, stavolta con maggior grazia.

«Io non so cosa potrei chiedere. Che siano soldi o gioielli, in una bolgia come è quest'isola, tra ladri e puttane, potrebbero sottrarmeli in un qualunque momento. Potrebbero ammazzarmi per sottrarmeli-- sempre che non lo faccia prima il capitano Flint in un momento di lucido ripensamento. Dunque... Io vorrei proporre un altro tipo di accordo.»

Eleanor Guthrie inclinò il capo da un lato ed incurvò un biondo sopracciglio, alquanto scettica:
«Ma davvero?»

Jackie non seppe codificare se nella voce della bionda ci fosse sarcasmo, ironia, o un velato divieto, ma non si fece scoraggiare e proseguì nel suo disperato tentativo.

«Ho ricevuto un'educazione, ho studiato. Non so quanti abitanti abbia questa città, quest'isola, ma da quel che ho visto, non mi sono parsi dei grandi ingegni. Invece di pagarmi o di riempirmi di perle lucenti, credo che sarebbe più utile permettermi di rendermi d'aiuto in una qualche maniera. Potrei occuparmi dei documenti di commercio, dei permessi per le navi, di.. di qualsiasi cosa ci si possa occupare. Datemi un incarico, mettetemi alla prova.»

«E tu cosa ci guadagneresti?»

«Un salario, dei pasti che mi tengano in vita ed un tetto sulla testa. Non ho altre richieste. Eccetto, la garanzia che il capitano Flint e la ciurma della Walrus tutta non mi avanzino ulteriori minacce.»

Eleanor Guthrie si fece improvvisamente meditabonda e i suoi occhi dalla forma delicata si strinsero a formare due fine fessure cerulee.

«Forse, l'idea non è così malvagia» la bionda si alzò di nuovo, stavolta muovendo piccoli passi, quasi roteando su se stessa «non sono i documenti che mi interessano, non più di tanto comunque, piuttosto... Senza offesa-- Jackie, vero? C'è qualcosa che potresti fare e, credo, anche bene.»

«Cosa?!» Jackie rispose quasi in un ruggito, temendo di stare per essere indirizzata verso il bordello.

«Dici di non essere una spia, e magari non lo sei davvero, ma a carpire informazioni che non ti appartengono sei piuttosto abile.
Vedi, questa città vive di segreti, di tradimenti e di colpi bassi» la Guthrie si lasciò andare ad un sospiro rassegnato «ma quello che la tiene in vita più di qualunque cosa, è la costante paura che gli Inglesi giungano su queste rive. Magari non tutti lo ammetteranno, ma è ciò che unisce anche le ciurme più ostili tra loro.. Perfino la ciurma di Flint con quella del capitano Vane.»

Al solo sentir nominare gli Inglesi, Jackie trasalì, percependo un brivido di morte attraversarle tutto il corpo indolenzito. Trovò miseramente tragico aver timore della propria stessa gente, anche se, a dirla tutta, lei non si sentiva più inglese di una buona bottiglia di scotch.

«Anche a me premono gli Inglesi. Più volte sono stati avvistati non troppo lontani da New Providence, non quanto dovrebbero esserlo almeno, e una spia al mio servizio insediata al porto, potrebbe essermi di gran vantaggio.
Nessuno ti conosce e nessuno arriverà a pensare ad una nostra collaborazione in tal senso, se manterremo una certa discrezione. Ufficialmente, ti occuperai di controllare per mio conto i carichi che approdano sulla spiaggia, ma principalmente quello che farai, sarà preoccuparti di essere i miei occhi e le mie orecchie. E' accettabile?
In cambio, pattuiremo un buon pagamento, un alloggio e la possibilità di sfamarti nella locanda ogni qual volta ne sentirai il bisogno.. Sempre che il lavoro da te svolto sia eccellente come credo che sarà. E' tutto chiaro?»

Jackie, che aveva seguito con lo sguardo ballerino ogni movimento della Guthrie, rimase in silenzio, soppesando per bene la proposta della signora di Nassau. Contrariamente alle aspettative, dovette ammettere a se stessa che quell'accordo non suonava poi affatto male. La sola prospettiva dell'abnorme quantità di nuove cose che avrebbe potuto apprendere, cose che nessun libro avrebbe mai potuto insegnarle, l'allettò anche più del salario, del cibo e di un letto presumibilmente comodo e asciutto.
Se i beni materiali non erano la chiave per tentarla, la curiosità e la promessa di un'avventura sicuramente adrenalinica avrebbero potuto smentire assai facilmente quella convinzione, connaturata in lei, di essere difficilmente corruttibile.
Ad ogni modo, si sforzò per non tradirsi e trattenere l'entusiasmo, lungi dal voler mostrare ad Eleanor Guthrie la frenesia che aveva preso ad animarle mente e corpo.

«Allora?» la incalzò Eleanor a seguito di lunghi momenti di imbarazzante silenzio.

La giovane dai boccoli vermigli sollevò, realmente per la prima volta, il proprio sguardo sulla signora dell'isola che le torreggiava di fronte, concedendosi il tentativo di scorgere chissà quale tacita sicurezza negli occhi algidi della bionda.
Quell'attimo non servì a scorgere alcunché nelle pieghe profonde dell'animo di Eleanor Guthrie, bensì a trovare una personale conferma interiore.
Diventare una spia al soldo di una malandrina -e di chiunque in generale- recava in sé delle conseguenze di grande pericolosità,  conseguenze da non sottovalutare, ma Jackie si ritrovò a non disporre del tempo e della tranquillità che un'accurata ponderazione avrebbe richiesto e, pregando di non doversene venire a pentire in futuro, si lasciò trasportare dall'entusiasmo della ragazzina che evidentemente abitava in lei e che aveva la brutta abitudine di fuoriuscire nei momenti meno opportuni.

«Accetto» sentenziò definitiva, la voce ferma, ma la gola secca quanto un deserto «non avrete da pentirvene.»

Così, Jackie aveva stretto l'accordo che solo una pazza -o una disperata- si sarebbe sognata di stipulare.
In seguito, si era rifiutata di domandare a se stessa in quale delle due categorie potesse essere collocata, se la pazza o la disperata, e preferì affogare i dubbi negli affari che la stavano attendendo.
Si poteva affermare senza errore che la giovane rossa avesse incominciato a darsi da fare, a "lavorare", quel pomeriggio stesso.
Il garzone che serviva al bancone della locanda, quello che lei aveva etichettato come un oste, in realtà si era rivelato una sorta di scagnozzo al soldo di Eleanor Guthrie, il quale occasionalmente si trovava a svolgere le mansioni di locandiere.
La Guthrie li aveva frettolosamente presentati ed aveva incaricato l'uomo -che rispondeva al nome di O'Malley- di condurre la ragazza a fare un giro quanto più accurato della città e nello specifico del porto, luogo che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto conoscere al pari di un pater noster.

L'uomo le aveva rivolto un mezzo sorriso, stringendole la mano in una presa sicura e convincente. Era molto meno vecchio di come Jackie lo ricordava -forse per colpa dei fumi del sidro che la prima notte alla locanda le avevano dato alla testa- e tuttavia quell'impressione che quel tale fosse un brav'uomo percepita con la mente annebbiata, non era svanita con la sobrietà ed anzi si era andata rafforzando.

Jackie lo aveva seguito, inoltrandosi subito dietro di lui per i vicoli affollati di Nassau, e intanto O'Malley aveva preso a dirle qualcosa che, per via della confusione, giunse a singhiozzi alle orecchie della ragazza.

«Quindi voi... Vi occupereste....esattamente, se ho ben inteso... cosa...?»

La ragazza affrettò il passo e si affiancò alla figura imponente di O'Malley. Alla luce del sole, gli occhi grigi dell'uomo parevano assumere una sfumatura diafana, quasi bianca, che non stonava con quei suoi capelli lunghi e brizzolati d'argento.

«Mi occuperò di controllare i carichi che entrano in porto per conto della signora Guthrie. Valuterò le merci potenzialmente buone da trattare e scarterò quelle che invece risulterebbero solamente un pessimo investimento, uno spreco di denaro» la ragazza fu costretta a gridare per essere sicura di venir udita.

O'Malley annuì col capo, mentre invitò la giovane a svoltare sulla destra in direzione della spiaggia.

«Siete una sorta di... economa?»

Jackie fece spallucce mentre si guardava attorno, ricordando con una certa agitazione le stradine polverose per le quali, solo un giorno addietro, era sgattaiolata come un ratto, fuggendo dagli uomini di Flint.

«Soltanto, non riesco a capire» prese a dire O'Malley, voltandosi e fissando per la prima volta la giovane da che si erano riversati in strada «lavoro per Eleanor Guthrie da molti anni e di solito queste faccende le ha sempre sbrigate da sé.. Perché ora dovrebbe lasciar fare a voi?»

«La signora Guthrie è piuttosto occupata con alcune faccende che--»

«Per causa di quel ..vascello spagnolo, quella Urca de Lima?» domandò O'Malley, accelerando il passo per superare un gruppo di perdigiorno.

Jackie faticò a stargli dietro in un primo momento, ma poi riuscì a riguadagnare terreno ed affiancarsi nuovamente al suo cicerone. Restò sorpresa quando lo sentì nominare la Urca, convinta com'era che la Guthrie non avesse messo al corrente dei propri piani un sottoposto come O'Malley.

«Be'» tagliò corto l'uomo, tamponandosi con l'avambraccio un pó di sudore sulla fronte «se Eleanor si fida di voi, è perché avete delle qualità, dunque.. Benvenuta a tra noi. Oh, ecco finalmente ci siamo!»

Jackie si voltò, scrutando per bene i moli che aveva avuto occasione di osservare solamente con la debole luce del tramonto, quando si era mossa alla ricerca disperata del Corvo.
Lo scoprì poco distante, seduto come lo aveva lasciato la sera del loro sgradevole dialogo, così immobile che alla giovane venne il dubbio che il vecchio, per davvero, non si fosse mosso da quel suo sgabello sbilenco per ore intere.
Rapidamente, mentre si stava incamminando per la banchina principale del porto affiancata dal locandiere, Jackie passò in rassegna i vascelli di cui aveva appreso dalle labbra cascanti del Corvo.
Riconobbe l'enorme sontuosa struttura della Bloody Mary, la particolare polena a foggia di leone alato dalla laccatura laminata in oro della Major Glory, le tipiche vele segnate da una grossa croce greca vermiglia della Reina Moray, il brigantino leggero di Charles Vane; in lontananza, faceva la sua ostile apparizione la temuta Walrus, apparentemente deserta. Ma molti altri velieri erano ormeggiati nel porto, languidamente cullati dalle deboli increspature dell'acqua — velieri di cui Jackie non possedeva conoscenza alcuna.
Erano molti e molti altri sarebbero sopraggiunti, tanto che un insistente senso di timore si insediò in lei, sconfortandola: una buona spia e un'altrettanto buona finta ricettatrice avrebbe conosciuto non soltanto i nomi delle navi, bensì anche i nomi dei loro capitani, nonché le merci che questi erano soliti traghettare.
Per paradossale che fosse, una buona spia sarebbe stata esattamente come il vecchio Corvo.

O'Malley la riportò alla realtà, scuotendole una spalla con una leggera botta di gomito; l'uomo indicava tutt'attorno un qualcosa di indefinito, forse una nave o un gruppo di persone o chissà cos'altro.
«Questo è il porto con tutti i suoi approdi, ma a giudicare da come vi muovete, mi pare di capire che già lo conosciate..»

Jackie arricciò le labbra in una smorfia poco convinta e poco partecipata, l'aria distratta ancora assorta nelle proprie attente osservazioni.
«Sono approdata su queste rive non molto tempo fa, ho una buona memoria per i luoghi che mi capita di praticare» la ragazza si aggiustò i lunghi capelli dietro l'orecchio, in un gesto di vago nervosismo «una memoria meno buona per ricordare i nomi di tutti questi vascelli.
Ne vedo di nuovi che al mio arrivo non erano agli ormeggi.»

«Ne arrivano sempre di nuovi. Spagna, Francia, Olanda, intraprendenti mercanti inglesi; e molti carichi giungono qui dalle coste americane. Nassau ha il privilegio d'essere un porto di transito, con tutte le conseguenze che questo comporta» O'Malley annuì, rivolgendo lo sguardo oltre la spalla di Jackie quasi che stesse seguendo le parole di un suggeritore, tanto che alla ragazza suscitò l'istinto di voltarsi — cosa che, però, evitò di fare.

«Ci sono delle dritte che potreste darmi, O'Malley-- posso chiamarvi O'Malley, vero?»

L'uomo tornò vigile a rivolgersi alla sua giovane intelocutrice, incrociando le braccia al petto in un atto cogitativo.
«Solitamente, i primi carichi che la signora Guthrie si preoccupa di gestire, sono quelli del capitano Lawrence della Black Hind, del capitano Naft dell'Intrepid, del capitano Hornigold -per quei pochi bottini che importa da quando si è impossessato del forte dell'isola- e del capitano Vane, quando decide di richiamare -o per meglio dire, quando Rackham lo fa- quella ciurma di cani sciolti che si ritrova a capitanare.»

L'attenzione di Jackie ebbe un significativo picco quando sentì O'Malley fare il nome di Lawrence e della sua nave. La Black Hind. Doveva essere il mercantile sul quale lei aveva viaggiato qualche settimana prima.

«E poi, naturalmente, ci sono i carichi di Flint» riprese a parlare il locandiere, ghignando come se quell'informazione fosse la cosa più ovvia e ridicola del mondo «o meglio, c'erano.»

«C'erano?» la giovane rossa si interessò ancor di più a quella conversazione iniziata in maniera piuttosto piatta e scoprì, con suo sommo disappunto, di come al solo sentir nominare il capitano della Walrus ancora sobbalzasse simile ad un fringuellino preso in gabbia.
Le tornò alla mente l'incubo -giacchè era sempre lo stesso, salvo qualche insignificante variazione- in cui il pirata dalla signorilità spietata tentava crudamente, e forse con successo, di soffocarla. Non si era voluta fare domande in tal proposito, dal momento che aveva ritenuto quel sogno di cattivo gusto soltanto il frutto del suo ego agitato a causa degli ultimi eventi nei quali si era trovata coinvolta. Tuttavia, il senso di mancanza d'aria col quale si andava svegliando da diversi giorni, trascendendo in tal modo la dimensione onirica, stava tacitamente cominciando a preoccuparla nel concreto.

«Sono ormai quasi tre mesi che l'equipaggio di Flint non conquista carichi degni di nota e nessuno ne conosce esattamente il motivo, dal momento che è per mare più di qualsiasi altro capitano dell'isola.
Il solo pensare che fallisca gli assalti ai galeoni spagnoli o ai mercantili olandesi e inglesi è a dir poco un'assurdità.. Ma, ad ogni modo, ora ha promesso cinque milioni in pezzi da otto. La signora Guthrie prega che il capitano riesca nella difficile impresa. In caso contrario, gli affari subirebbero un colpo mortale.»

Jackie annuì, ostentando una falsa aria vagamente confusa. Di certo conosceva la vicenda della Urca de Lima in maniera molto più accurata al confronto di O'Malley e non aveva dunque bisogno del locandiere per intuire e valutare le conseguenze che il tesoro spagnolo avrebbe portato con sè assieme al proprio splendore, ma aveva deciso -da che Eleanor Guthrie l'aveva assoldata- che non avrebbe mostrato di conoscere più di quel che avrebbe asserito.
In quel luogo di Satana, forse sarebbe stato un bene essere sottovalutata piuttosto che temuta — per quanto la natura della ragazza la portasse a gradire assai maggiormente la seconda opzione.

***

Non le pareva quasi possibile che fossero già trascorse quasi due settimane da quel pomeriggio in cui O'Malley l'aveva mollata al porto, alla mercè della bolgia caotica delle spiagge di Nassau e, ancor di più, non le pareva vero che fosse riuscita ad adattarsi al ritmo vertiginoso al quale, quella città, pretendeva si dovesse danzare.
Da che aveva preso a frequentare il porto, Jackie aveva appreso parecchie informazioni circa le persone e le ciurme che lo popolavano.
Aveva imparato come riconoscere le navi basandosi sugli emblemi campeggianti sulle bandiere, ed aveva redatto una lista con i nomi dei capitani, dei loro vascelli, e delle merci che questi erano soliti depredare e trasportare fino a Nassau. Non poteva ancora dire di possedere un quadro completo dei commerci di contrabbando, ma di sicuro si trovava sulla buona strada.
Aveva studiato le personalità più influenti dell'isola, nel tentativo di capirne il modo di fare e di agire. 
Benjamin Hornigold si faceva vedere poco sui moli del porto -chiuso com'era nel forte del quale deteneva il controllo- ma comunque, quelle rare volte in cui si degnava di passeggiare per i vicoli di Nassau, pareva suscitare un certo rispetto negli animi degli uomini che incrociava per la strada — ma quanto a Jackie era saltato all'occhio, era semplicente la presunzione eccessiva che accompagnava quell'uomo dall'abbigliamento raffinato, la barba un po' all'antica e l'aria tronfia.
Poi le era capitato di assistere ad una scenetta alquanto esilarante, grazie alla quale aveva avuto modo di conoscere più da vicino il capitano Naft e un certo Frasier che non era un capitano, ma possedeva abbastanza denaro tanto da essere altamente considerato addirittura dalla stessa Eleanor.
Naft le era risultato particolarmente tardo e decisamente molto ignorante, ma era un sempliciotto e, alla fine, non la persona peggiore che si potesse incrociare per le vie di New Providence.
Aveva scaricato dalla propria nave un quadro che doveva valere parecchi soldi; Jackie non avrebbe saputo indicarne l'autore -che di talento doveva possederne- ma aveva riconosciuto la tecnica molto vicina a quella dei capolavori fiamminghi di artisti rinomati come Van Dyck e Rubens; Naft poi aveva affiancato a quell'opera un quadro, probabile copia di un falsario non molto in gamba, qualitativamente più scadente. Agli occhi di Naft, quelle due tele apparivano identiche, ma non ci sarebbe voluto di certo un grande intelletto critico per comprenderne la differenza e riconoscere da una parte un'opera d'arte e dall'altra uno scarabocchio immondo.
Più o meno, il concetto che Frasier tentava di far entrare nella testa vuota del capitano dell'Intrepid da almeno qualche ora.
Così Jackie si era tenuta in disparte e si era gustata lo spettacolino, notando la perizia con la quale Frasier aveva condotto un'analisi del quadro vero; le era improvvisamente sovvenuto alla mente di aver udito già quel nome dalla bocca di uno degli uomini di Flint, dal quartiermastro -Gates, se non andava errata- l'uomo col tatuaggio da settario sulla nuca.

Ora Jackie lo ricordava con chiarezza.

Frasier aveva tentato di fare da garante per la compravendita della rotta della Urca de Lima tra John Silver e il capitano Vane, ovviamente fallendo, perchè la transazione era saltata in quella famosa notte ai Relitti, forse anche grazie a lei e al suo parziale e mal riuscito intervento.
Alla fine, proprio quando la diatriba tra Naft e Frasier stava per risolversi in chissà quale strambo compromesso, la giovane aveva intravisto sopraggiungere quel colosso di Billy Bones, naturalmente accompagnato dal solito, inseparabile Gates, e si era dileguata prima di poterli incrociare sul proprio cammino.
Sulla carta, Jackie non aveva più alcunchè da temere da parte degli uomini della Walrus, Eleanor gliel'aveva garantito, ma sarebbe stata insincera se avesse ammesso di fidarsi /pienamente/ della parola della Guthrie o soprattutto del capitano Flint.
L'aveva risparmiata una volta, era chiaro che sarebbe stato saggio sparire — o comunque rendersi più invisibile possibile. Non vi era il benchè minimo motivo per giocare a sfidare la sorte una seconda volta.

Ad ogni modo, a parte le singole individualità, anche le rivalità tra ciurme erano fondamentali, dato che potevano rivelarsi utili per avanzare ricatti ed ottenere più facilmente quello che Eleanor Guthrie si prefiggeva di ottenere — che fossero carichi esclusivi, o prezzi più modici da pagare, o che si trattasse semplicemente di ricordare ai pirati quale legge -e di chi- vigesse nel porto e nell'isola.
Ed in effetti, la conoscenza si stava rivelando un'arma piuttosto preziosa ed efficace.
Jackie aveva speso ben due giorni a trattare con la ciurma di Boyd per un carico di tabacco che -Eleanor le aveva detto- si sarebbe potuto rivendere con lauti guadagni agli spagnoli di Siviglia, minacciando il capitano dell'equipaggio in questione di ricompensare col doppio del valore, il prossimo carico che la ciurma di Moulton -storico rivale di Boyd- avrebbe trasportato sulle rive del porto.
Inutile dire che Boyd aveva ceduto, sgomento alla sola idea di regalare un favore all'odiato nemico, e che, alla fine della storia, Jackie aveva fatto risparmiare ad Eleanor Guthrie almeno un quarto del prezzo previsto e che, infine, il tabacco era partito per le colonie spagnole già il giorno successivo.
Eleanor, dal canto suo, si era dimostrata entusiasta del lavoro che la giovane stava svolgendo, dando prova di una certa apprezzabilissima ed intraprendente sagacia, tant'è che le aveva ripagato i primi sforzi.
Jackie aveva ottenuto un alloggio nella mansarda della locanda -una stanza appena sopra quella della Guthrie- e con i primi compensi ricevuti, aveva potuto comprare degli abiti nuovi e finalmente aveva potuto riprendere a mangiare e a dormire in condizioni civili.
Solo a ripensarci, le pareva tutto un lungo sogno dorato.
Anche i rapporti con la signora dell'isola si erano fatti molto più morbidi e distesi. Entrambe avevano abbandonato i convenevoli -non che Eleanor ne avesse mai adottati nei suoi riguardi- e si rivolgevano l'una all'altra alla stregua di due persone in rapporti da anni. Eleanor preferiva essere pragmatica, piuttosto che ben educata.
E Jackie, incredibilmente sorpresa, aveva dovuto ammettere a se stessa che la persona di Eleanor Guthrie non le dispiacesse affatto e che, anzi, la sua compagnia le risultasse assai gradevole.
Del resto, la padrona di Nassau si meritava il massimo rispetto già soltanto per aver addomesticato orde di pirati indisciplinati, per non parlare della maestria con la quale riusciva a gestire i commerci e gli affari dell'attività paterna.
E tutto questo, essendo una donna in un mondo a misura d'uomo.
Jackie, in tutta onestà, provava una segreta ammirazione per quella figura tanto autoritaria e tanto d'ispirazione sin dai tempi in cui ne aveva udito parlare -ovviamente in malo modo- tramite le bocche di galantuomini londinesi anni addietro.

[...]

Ripercorrendo col pensiero gli ultimi avvenimenti che l'avevano coinvolta, la rossa si sollevò a sedere sul materasso asciutto e sufficientemente confortevole per il quale ancora tacitamente ringraziava.
Sbadigliando, sbirciò tra le imposte schiuse dell'unica finestra presente nella camera ed ipotizzò, grazie ad un sole pieno ancora sopra l'orizzonte, che l'ora non doveva essere ancora così inoltrata. Sbuffò e si dispiacque perché avrebbe voluto dormire fino a sera fatta, dal momento che si era messa in testa di studiare il porto e Nassau di notte, priva dell'agitazione di essere inseguita o ricercata da anima viva.
Sapeva che avrebbe trovato uno spettacolo ricco di uomini ubriachi, risa sguainate e puttane sudate, ma se c'era qualcosa che aveva imparato, era che di notte gli uomini si dimenticano d'essere prudenti, che tendono ad agire d'istinto e a straparlare — comportamenti che per lei avrebbero costituito un gran vantaggio.
Se avesse prestato molta attenzione, avrebbe raccolto informazioni utili -specie dalle bocche ansiose di condividere le proprie avventure, o dei forestieri giunti in giornata- ed Eleanor ne sarebbe stata entusiasta e l'avrebbe pagata bene.

Jackie abbandonò il letto complimentandosi con se stessa per la velocità d'adattamento alle folli regole di quel porto e per la notevole capacità di riuscita in quello che poteva chiamare ‘lavoro’ a tutti gli effetti.
Si sciacquò rapidamente la faccia con dell'acqua che aveva stagnato nel catino per l'intero pomeriggio e che era divenuta calda come una sera d'aprile, ma la ragazza non vi badò molto, presa com'era dal filo dei suoi pensieri.
Dal momento che oramai era in piedi, valutò di andare a farsi un giro per la spiaggia, vigilando e appurandosi che nulla, quella mattina, fosse sfuggito al suo occhio indagatore.

Prima di lasciare la camera investita dal sole bollente, afferrò un pugnale, uno dei soli due che le erano rimasti, e lo infilò nella custodia che aveva appeso alla fianco, circondato da una grossa cinta di pelle.
Scese le scale della locanda tra il caos più totale. Due uomini stavano sul punto d'azzuffarsi per una questione di gioco d'azzardo, mentre qualche marinaio stanco sonnecchiava con la testa tra le braccia e un boccale di birra o chissà che altra diavoleria in una mano.
Jackie evitò gli ostacoli quali tavoli, sedie vuote e involontari contatti fisici con i clienti, salutò con un cenno del capo O'Malley che stava servendo al bancone, poi uscì e si riversò nella strada assolata.
A pochi passi da lei, Jack Rackham ed Anne Bonny stavano lasciando il bordello e camminavano tutti trafelati chissà alla ricerca di chi o di cosa.
Prima che prendessero strade opposte, Anne Bonny le lanciò uno sguardo di disprezzo, quindi sputò a terra come in segno di affronto.
Jackie la ignorò, voltando lo sguardo, chiedendosi perché mai quella pirata ce l'avesse tanto con lei.
Non si era ancora data risposta quando giunse alla spiaggia, affollata e priva anche di un solo angolo d'ombra.
Interruppe la propria marcia e si portò le mani a coppa attorno agli occhi, cercando di combattere il sole e di scrutare gli uomini disseminati qua e là.
Tutto le parve freneticamente normale.

Affondando gli stivali nella sabbia, si addentrò verso la riva, notando con sollievo che non vi era traccia neanche di una sola nave all'orizzonte.
La sua attenzione venne catturata dunque dalla Walrus che, forse la notte addietro, era stata faticosamente trascinata sulla battigia e adesso somigliava davvero ad una carcassa di un qualche animale putrefatto.
Il Corvo le aveva detto, sere prima, che gli uomini erano in procinto di svuotarla da cima a fondo per fare carena. Jackie non avrebbe saputo dire come funzionasse un carenaggio, ma da quel che poteva vedere, le parve fosse cosa grossa.
Come spinta da un venticello dispettoso, la ragazza si incamminò in direzione della nave, combattuta tra la sua stessa curiosità e il suo debole buon senso.
La ciurma di Flint aveva allestito una sorta di accampamento di fortuna sulla riva, e aveva ammassato botti, barili, casse e oggettistica varia tra una tenda e l'altra. 
Jackie restò sorpresa dalla quantità di materiale che un vascello -nemmeno tra i più imponenti- potesse contenere al proprio interno, ovviamente contando anche l'equipaggio.
Accanto ai suoi piedi, notò una grossa cesta colma di volumi e libri di svariate dimensioni. Attratta, si chinò e ne estrasse uno dalla rilegatura forte ma alquanto rovinata.
Con cautela l'aprì e ne sfogliò qualche pagina maldestramente vergata in un inglese sgrammaticato. L'unico carattere che non le diede problema furono il luogo la datazione: Cartagena de Indias, 1710.
Stava rimettendo quel registro di bordo al proprio posto, quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare, il volumetto impattò sugli altri, aprendosi scompostamente.

«Non ti conviene toccarli» qualcuno le si era piantato alle spalle, solido come una roccia, con le braccia incrociate al petto «il capitano tiene particolarmente ai suoi libri.»

Jackie si voltò e fu sommersa da un'ombra scura in controluce nella quale, osservata la mole, riconobbe la sagoma dell'immancabile nostromo, Billy Bones.
Intimorita, si affrettò a rimettersi in piedi, ma scoprí -con disappunto- che anche così il ragazzo la sovrastava di netto, molto più somigliante ad un gigante che ad un uomo.
Tuttavia, la giovane raddrizzò le spalle e si diede un certo contegno, portando le mani ai fianchi ossuti.

«Scommetto che neanche uno di questi volumi interessa davvero al vostro capitano.»

«Ma davvero?»

«Diari di bordo di navi che avete depredato dio-solo-sa-perchè, rapporti e resoconti di transazioni commerciali vecchi di anni. Ribadisco la mia considerazione» commentò la rossa, avanzando una certa sarcastica strafottenza.

«Una congettura azzardata» si limitò a controbattere Billy Bones, sfoggiando un sorriso sghembo decisamente poco efficace.

Jackie si chinò e raccolse il volume che pochi attimi prima teneva tra le mani e ne estrasse uno ulteriore.
Aprí una pagina a caso e lesse ad alta voce quasi fosse una gazzettante esperta.

« “Eravamo da quattro giorni sull'ancora...
le altezze delle vele che di lontano cominciammo a distinguere, ci accertarono che la squadra inglese era giunta.
...questa bella squadra, composta da tre vascelli da 120 ciascuno e gli altri cinque da 80”
— Cartagena de Indias, datato all'anno 1710 » Jackie chiuse il primo libro e sfogliò distrattamente il secondo, fino a raggiungere una pagina a caso «qui invece racconta di una compravendita, sta' a sentire: “...a Siracusa cedute 50 casse di Zenziglio da 150 libbre ciascuna con profitto ammontante a cinquemila ducati..” — da non credere! Lo Zenziglio è uno tra i tabacchi più raffinati, si vende ad almeno quindicimila ducati per carico, se non di più, e da solo può rendere fino a duecentoventicinquemila ducati l'anno.. Colui che si è fatto abbindolare in questo pessimo affare dev'essere stato un vero idiota, comunque--» la rossa chiuse anche il secondo volume e li fece scivolare entrambi di nuovo nella cesta di vimini «sono sicura che potrei anche bruciarli tutti e che a nessuno importerebbe granché.» proseguì divertita, non mancando comunque di pregare in cuor suo di non venir pestata a sangue — o peggio ancora, di venir condotta al cospetto di James Flint per una seconda volta.

Billy Bones aveva arricciato il naso in una smorfia perplessa e stava per porle una domanda, forse che diavolo ne sapesse una semplice ragazzina riguardo il commercio del tabacco, ma ad anticiparlo subentrò chi a Jackie era parso strano non si trovasse nei dintorni.

«Sorprendentemente ammirevole!» il Signor Gates spalancò le braccia, sorridendo così ambiguamente che la giovane non riuscì a capire se si trattasse di ironia, di scherno o di genuino sbalordimento.

«La pulce sa leggere!» esclamò nuovamente il quartiermastro calvo, esibendo un applauso simbolico di un solo battito di palmi.

«Con tutto il dovuto rispetto, mastro Gates, non vedo perché dovreste deridermi» Jackie incrociò le braccia sotto al seno piccolo e mise su un broncio offeso «mi pare che i nostri pressoché immotivati screzi si siano rivelati soltanto un grosso malinteso e si siano risolti pacificamente, o sbaglio? Dunque, perché tanta scortesia?»

«E va bene» sentenziò Gates, inchinandosi a riordinare i diari nella cesta secondo una logica priva di senso agli occhi della rossa «non sei una spia, però non sei neanche una puttana — o almeno, dici di non esserlo, ma in caso contrario si spiegherebbero molte cose.. Insomma, qual è la tua occupazione, esattamente?»

Jackie lasciò andare le braccia lungo il corpo, valutando la risposta corretta e conveniente da formulare.
«In effetti, sono una spia» affermò annuendo come a dare più enfasi alle proprie parole.

Gates la fissò per diversi istanti, e così Billy, poi il quartiermastro scoppiò in una risata tonante, questa volta davvero sentita.

«Hai sentito, Billy? Almeno la pulce ha il senso dell'umorismo!»

Billy sorrise ampiamente, voltando lo sguardo altrove, abbandonando quella posa plastica da duro che aveva forzatamente assunto in precedenza.
Jackie si unì solo in parte all'improvvisa ilarità e scosse il capo, negando.

«Lavoro per Eleanor Guthrie, le gestisco gli affari» aggiunse in tono serio.

«Ah, questa sì che è nuova! Che io sappia, Eleanor Guthrie si è sempre gestita gli affari benissimo per proprio conto..» replicò Gates, terminando di rivolgere le proprie attenzioni alla cesta dei libri.

«Non ultimamente. È così presa da questa vostra impresa circa la Urca de Lima che tutto il resto pare essere impallidito al confronto.»

«Eleanor non ti aveva mai vista prima, se non ricordo male» osservò Billy, tornato a concentrarsi sulla conversazione.

«Mi ha assunta dopo il nostro piccolo inconveniente» la ragazza mal sopportò le facce vistosamente perplesse dei due pirati «andiamo, è stata concessa un'occasione di riscatto ad uno come Silver!»

Gates rise di nuovo, poi si congedò da Billy con una pacca sulla schiena e sorpassò la ragazza.
«Ci si vede in giro, pulce!»

La rossa si voltò e con indignazione alzò il tono della voce:
«Il mio nome è Jackie!»

Gates, ormai di spalle, le rivolse un cenno vago della mano a mezz'aria, mentre lei si fissò per alcuni momenti su quel suo tatuaggio strambo impresso sulla nuca liscia.
Quando in lontananza intravide la figura del capitano Flint, seduto ad un tavolo al riparo sotto una tenda, tornò a voltarsi verso di Billy che la stava scrutando indecidibile.

«Cosa ci fai qui?» le domandò il ragazzo

«Soltanto una passeggiata. E voi?»

«Ci stiamo preparando per fare carena.»

Jackie lo sapeva, ma restò comunque sorpresa dalla risposta sincera del nostromo, il quale aveva quasi del tutto abbandonato il tono severo dell'inizio e si era fatto di gran lunga più confidenziale.
Nonostante tutto, Jackie trovò che Bones fosse un atipico corsaro gentile.

«Richiederà molto tempo?»

Billy diede un'alzata di spalle, il pugnale che aveva legato alla cintola suonò di un leggero clangore metallico.

«Se gli uomini lavorano, non più d'una settimana.»

«E gli uomini lavorano?»

Billy sorrise, un poco in imbarazzo.
«Io tento di spronarli al meglio, ma a volte-- Dannazione, Logan!» il nostromo biondo si portò le mani a coppa ai lati della bocca per canalizzare meglio la voce «avevo detto di legare quella cima all'ultimo degli alberi, o sei sordo, per caso?!»

Un uomo scarmigliato in lontananza si sbracciò e borbottò qualcosa che però venne sovrastato dal rumore incessante del mare.

«Temo di dover andare» Billy Bones mosse alcuni passi «è stato... insolito, Jackie!»

La ragazza annuì e con un cenno della mano salutò il nostromo dalla prestanza fisica stravolgente.
Tirò un lieve sospirò di sollievo, avendo verificato di persona che la ciurma di James Flint era impegnata in affari ben più grossi rispetto a quello di perseguitarla, e all'improvviso si sentì sensibilmente più sicura.

Quella sconosciuta sensazione di pace durò poco più di qualche attimo, fino a che la giovane non posò gli occhi verdi sulla figura austera del capitano Flint.
Abbandonata la tenda e lo scrittoio, si era mescolato con i suoi uomini e, a non più di venti passi di distanza, se ne stava immobile a fissare la ragazza senza dar segno di un atteggiamento anche solo per sbaglio amichevole.
Jackie deglutì e percepì anche da lontano lo sguardo insistente di Flint indagarle l'anima e rivoltarle le viscere. Ebbe timore che l'uomo stesse per sfoderare la pistola e non ebbe dubbi che avrebbe potuto centrarle la fronte anche da lì dove si trovava.
Pesantemente turbata, la giovane si voltò fingendo -miseramente- indifferenza ed affrettò il proprio passo facendosi strada verso le stradine della città.
Qualcuno alle sue spalle chiamò a gran voce il nome di Flint.
Con prudenza, Jackie provò a voltarsi, ma quando il suo sguardo vagò tutt'attorno, il capitano si era dileguato.
Svanito come una nereide nell'Oceano.


Jackie non aveva fatto in tempo nemmeno ad uscire dal dedalo costituito dalle tende dell'accampamento, passo svelto e testa china, che aveva impattato contro un corpo mobile.
Sollevò lo sguardo giusto in tempo per veder scolare da una ciotola un intruglio torbido che si rovesciò sulla punta dei suoi stivali nuovi. Rimase immobile per diversi momenti, la bocca schiusa per la sorpresa sgradevole e mille imprecazioni silenziose nella mente.
Quando adocchiò l'imbranato autore dell'impiastro, la giovane trovò ad attenderla una sorpresa ancor più sgradevole.

«Ops, colpa mia!» John Silver le rivolse quel suo usuale sorrisetto irridente ed incredibilmente bianco, in netto contrasto con la carnagione abbronzata.

«Fottiti, Silver! Sei buono solo a combinare casini!» la voce di Jackie risuonò molto simile al ringhio di un cane rabbioso

«E' un talento anche questo, a ben pensarci..» rilevò il cuoco, che prese a mescolare con un grosso cucchiaio di legno il liquido verdastro che si trascinava dietro dentro una cuccuma vecchia di chissà quante primavere.

«Ma tu non pensi e quindi la questione non sussiste!» Jackie spinse con le suole un po' di sabbia sulle punte delle proprie calzature al fine di far assorbire quel liquido olioso, il quale -a dirla tutta- non emanava un odore cattivo quanto il suo aspetto.

«Noto che la tua avversione nei miei confronti non è affatto scemata, ne sono lusingato. Eppure, ritengo che dovresti-- sì, insomma, dirmi grazie!» 
Silver sorrise ancora e Jackie dovette reprimere l'impulso di ficcargli lo stiletto che teneva nascosto nella manica sinistra della camicia dritto al lato del collo, là dove la carne è tenera e spaventosamente vulnerabile.

«...dirti grazie?» gli fece eco, sollevando scetticamente per scherno le sopracciglia «ed esattamente in merito a cosa?»

Silver inclinò il capo da un lato e gettò un'occhiata rapida verso il miscuglio di cui stava fingendo di occuparsi sul serio
«Be', ovviamente devi a me il fatto di essere ancora in vita.»

Jackie incrociò le bracco al petto e poggiò il proprio peso su una gamba sola, assumendo una posa a chiasmo greco
«E secondo quale impeccabile logica?»

«Andiamo, è chiaro come la luce del sole che Flint ti ha lasciata andare perchè io l'ho ammorbidito!» i riccioli del cuoco ballarono sopra le spalle nel seguire i movimenti del collo «aveva già ottenuto quanto era in suo desiderio: la rotta e la mia collaborazione.»

Jackie si sforzò duramente per non scoppiare a ridere, perdendo dunque di credibilità, di fronte ai vaneggiamenti di John Silver. Velocemente, si ripetè che lo detestava.
«Tu credi davvero che sia stata una mossa astuta quella di consegnare la rotta incompleta. Quanto pensi che ci impiegherà Flint a sgozzarti e ad abbandonare il tuo cadavere sulla spiaggia più vicina, dopo il recupero dell'oro della Urca?»

«Come ho già detto: abbiamo diverse settimane fino ad allora e sono convinto che diventeremo amici.»

Jackie scosse il capo in cenno di diniego, schioccando la lingua sul palato.
«Sei davvero un imbecille!» la ragazza fece per oltrepassare Silver, ma questo le si parò davanti ed altro olio verdognolo si riversò a terra, stavolta tra le dunette sabbiose.

«Non vuoi ringraziarmi, l'ho capito, ma almeno il tuo nome vorresti rivelarmelo?»

Jackie portò una mano alla cintola ed estrasse un pugnale a lama corta e fina che puntò verso di John Silver, come ad indicarlo e non per minaccia
«Vuoi sapere come la vedo io, invece? Sei tu che dovresti ringraziare me» la rossa mosse alcuni passi e coprì la distanza tra se stessa ed il cuoco, quindi gli posò la punta della lama del pugnale sulla fronte resa umida dal sudore «dovresti ringraziarmi per non averti tagliato le palle e sai perfettamente che non me n'è di certo mancata occasione» 

Jackie fece correre la punta della lama giù fino al pube del cuoco, premendo con maggior pressione, una volta giunta nel punto specifico.
Silver deglutì, a disagio, puntò gli occhi cerulei sul pugnale e poi tornò a concentrarsi su di Jackie; sorrise un'ulteriore volta, convinto dell'efficacia di quel suo gesto.

«Non credo di afferrare del tutto il motivo di questa tua fissazione per le mie palle, ragazza molto-- rossa.. comunque, non ritengo necessario giungere a queste colorite minacce. Io volevo solo stabilire con te una ragionevole tregua, ma tu sei scorbutica quanto lui, quanto il nostro amico capitano!» 

Jackie, con un movimento esperto del polso, fece roteare il coltello e lo ripose nella sua custodia, ciondolante su un fianco. Non rispose alla considerazione di Silver, perchè le diede curiosamente da pensare.

«In effetti, potresti davvero somigliarli. Sei sicura che non siate imparentati? Stessi capelli, stessi occhi, stessa aria algida e aggressiva.. Peccato che quel suo caratteraccio non ti si addica per nulla...» proseguì il cuoco, con tono fastidiosamente allusivo.

«E tu sei sicuro che quella poltiglia che stai mescolando sia commestibile?» replicò la rossa con la medesima vena sarcastica nella voce.

«Sono un cuoco, nel caso ti fosse sfuggito, e questa... E' una mia specialità!» 

Jackie annuì, contraendo le labbra in una smorfia furba. 
Sorrise, stranamente cortese, in direzione di John Silver in modo da catturare tutta la sua attenzione, poi -portando una mano sotto la ciotola- la spinse improvvisamente verso l'alto. Il liquido, probabilmente un condimento, saltò fuori dal recipiente e si andò a spalmare sul viso ancora inebetito del cuoco.
La cuccuma e il cucchiaio gli scivolarono dalle mani e rotolarono tra la rena, mentre lui, sputacchiando, cercava di non ingerire o inalare l'intruglio olioso.

«Ops, colpa mia!» col sapore del trionfo e dello smacco tra le labbra, Jackie si scostò ed oltrepassò il nuovo membro dell'equipaggio della Walrus.

Non si voltò indietro e due dozzine di passi dopo, la terra battuta delle vie di Nassau aveva già sostituito il tappeto sabbioso, molle ed irregolare che ricopriva la spiaggia sino perdersi tra le onde del mare.

***

Eleanor Guthrie era giunta a passo spedito con la veemenza di una furia, la lunga gonna a balze blu, bianche e celesti le frusciava dietro come un alito di vento colmo di minaccia.
Aveva raggiunto quel tavolino all'estremità della locanda, seminascosto e in perenne penombra, e si era accomodata sulla sedia libera con movimenti scattosi; la sua faccia era la trasfigurazione del nervosismo e della stizza.
Jackie aveva placidamente sollevato la testa, distogliendo le proprie attenzioni dal suo personale taccuino sul quale, di tanto in tanto, era solita appuntare note significative con un pezzo di carbone fino e ben appuntito.
In un primo momento, restò in silenzio, scrutando la signora dell'isola perplessa e confusa. Chiuse il taccuino, legandogli attorno un lungo laccio di cuoio, e lo ripose nella tasca dei calzoni di tela, poi poggiò i gomiti sul tavolo ed incrociò le mani tra loro. 

«Qualcosa non va?» osò domandare, mentre Eleanor aveva sgarbatamente preteso che le venissero portati al tavolo due bicchieri lerci.
A giudicare dall'odore, Jackie suppose che non si trattasse di banale grog, bensì di vero rum — forse proveniente da una qualche scorta privata riservata alla padrona e a qualche altro ospite illustre.
L'immagine della chioma vermiglia e raccolta di Flint si fece largo nella mente della ragazza con una facilità ed una prepotenza che un poco la turbarono.

Eleanor afferrò un bicchiere e ne ingollò il contenuto in un solo sorso, sotto lo sguardo incredulo di Jackie che l'alcool non lo reggeva affatto bene.
«Faresti prima a chiedere se ci sia qualcosa vada» ringhiò Eleanor, riponendo maldestramente il bicchiere vuoto sul legno consunto e umido del tavolino.

«Be', la trattativa per le casse di caffè ci ha procurato un risparmio del 10%. L'equipaggio di Williams le sta caricando sulla propria nave e domani salperanno per le coste spagnole di--»

«Fanculo il caffè!» la interruppe Eleanor, portandosi le mani tra i capelli chiari disordinatamente legati «abbiamo una questione decisamente più seria da risolvere.»

Jackie diede un'alzata di spalle, come a comunicare di non sapere e di essere disponibile all'ascolto.

«I cannoni, Jackie, i maledetti cannoni» la Guthrie abbassò sensibilmente la voce, come se tra tutto il caos che regnava nella taverna, qualcuno potesse far caso a lei ed effettivamente udire le sue parole.

«I cannoni...» le fece eco Jackie, assottigliando gli occhi smeraldini per lo sforzo di seguire il filo rosso tesole da Eleanor «...danni al forte?»

«Ci mancherebbero soltanto quelli!» la bionda scosse più volte il capo per negare, poi sospirò e riprese in tono più conciliante «intendo i cannoni promessi a Flint per la sua impresa.»

«Oh, sì!» Jackie schioccò le dita della mano destra «le bocche da dodici libbre, se non sbaglio.»

«Proprio quelle. Ne ho promesse al capitano Flint una dozzina e-- be', negli ultimi mesi, se ne saranno viste forse una o due» Eleanor rivolse lo sguardo su di Jackie, in attesa forse di una tacita conferma.

«E tu, questo, lo chiami problema?!» Jackie impugnò il bicchiere col rum e ne buttò giù un lungo sorso «hai promesso all'uomo più pacifico della Terra di armarlo fino ai denti con-- qualcosa che, non solo non possiedi, ma nemmeno si trova in giro? Con il massimo rispetto, Eleanor, ma a voler essere precisi, questo non si chiama  'problema', si chiama condanna a morte

Eleanor rimase in silenzio per degli istanti, poi ridacchiò un poco civettuola
«Non essere sciocca, Flint non oserebbe torcermi un capello-- però ammetto che la portata della faccenda è piuttosto seria.»

Jackie annuì, rafforzando il sarcasmo di pochi attimi addietro
«La portata della faccenda è piuttosto seria e scommetto che tu hai una soluzione impossibile e ancora più problematica del problema stesso, dico bene?»

«Comincio a capire sempre meglio perchè ti ho assunta, Jackie!»

La rossa sospirò, fiutando la possibilità di finire presto in un mare -letteralmente- di guai.
«Sentiamo la folle idea.»

«E' stata appena avvistata una nave in avvicinamento, l'Andromaca, capitanata da un certo Bryson. Lavora per la Guthrie Trade Company, la compagnia di mio nonno e dei miei zii, che ha sede a Boston. Mio padre ha sempre fatto da intermediario, ma come saprai, qualche giorno fa la Marina inglese lo ha arrestato ed ora si trova nascosto nella zona interna dell'isola..»

Jackie era forse approdata da un giorno o due quando Richard Guthrie era stato dichiarato un fuorilegge, e ricordava che la notizia aveva sparso una notevole agitazione negli umori degli isolani, dei commercianti e dei contrabbandieri.
«E Bryson non sa dell'arresto di tuo padre..»

«Non direi. Secondo Scott, questo è l'ultimo carico che ci verrà da lui consegnato, una volta appresa l'infausta notizia.» Eleanor si torturò con le dita alcune ciocche ribelli «Bryson è un uomo onesto.»

«Un uomo onesto? E lavora con voi?»

La Guthrie le rivolse una smorfia imbronciata, ma si astenne dal commentare, preferendo sorvolare l'allusione velenosa e tornare invece al discorso principale.
«Bryson possiede le bocche da dodici che ci servono» annunciò quindi, diretta e concisa «va convinto affinchè ce le-- metta a disposizione.»

Jackie annuì, soppesando le parole con cura. Non capiva ancora dove Eleanor Guthrie volesse andare a parare, ma aveva il sospetto che il piano non sarebbe stato semplice da mettere in atto.
«Io che c'entro? Nemmeno lo conosco questo Bryson...»

«La questione è molto semplice: io dovrò condurre, non vista, qui mio padre -dato che Bryson vorrà parlare con lui, come ogni volta- e starà a mio padre convincere il capitano a prestarci il suo armamentario.
Be', io non mi fido affatto di mio padre. Non sa che ho assecondato i piani di Flint per la Urca de Lima e sta' pur certa che digerirà male la cosa.»

«Continuo a non capire cosa c'entri io in tutto questo...»

Eleanor si sporse verso di Jackie, allungando le braccia sul piccolo tavolino
«Ho elaborato un piano alternativo. Piazzerò degli uomini armati per questa sala e fuori la locanda, non daranno nell'occhio. Qualora Bryson non dovesse accettare, e dubito che accetterà, bisognerà evitare che esca da questo posto, capisci che intendo?»

«Vuoi ammazzarlo?» Jackie percepiva la confusione dentro di sè farsi sempre più largo sul buon senso.

«No, voglio che venga intimidito a dovere. Gli uomini armati, Jackie, faranno capo a te» la Guthrie le puntò un dito contro, rivolgendole uno sguardo di intensa complicità.

«A me?! Perchè non al signor Scott o--» le proteste della giovane servirono a ben poca cosa.

«Il signor Scott non la vede come me riguardo Bryson, ed è per questo che non dovrà sospettare nulla finchè non avremo ottenuto i cannoni. Mi stai seguendo?»

«C-Credo di sì, Eleanor, soltanto che...»

«Aiutami a recuperare quei cannoni, Jackie. Per favore.»

«Non è un recupero, è quanto di più vicino al furto!» 

Eleanor sminuì l'ultima esclamazione con un cenno vago della mano. Jackie immaginò che la parola 'furto' non dovesse possedere troppo significato etico per una ricettatrice quale era Eleanor Guthrie. 
«Onestamente, non so se sono in grado.» 

«Scommetto che qualcosa riuscirai ad inventarti e comunque speriamo che non ci sia bisogno di un intervento tuo e dei miei uomini» Eleanor si rizzò in piedi con aria molto più sollevata di quella con la quale era sopraggiunta «siamo d'accordo, allora?»

«Dove stai andando?» domandò la ragazza, nello spaesamento più totale.

«Mi aspetta un incontro importante. Non so se lo hai saputo, ma pare che Charles Vane sarà il gregario di Flint nel ritrovamento della Urca.»

La notizia risuonò come un colpo di scena davvero molto importante alle orecchie di Jackie, che tuttavia aveva un'altra domanda ad aleggiarle nel cervello.
«E Bryson?»

Eleanor si voltò, le chiavi che teneva legate alla cintura tintinnarono
«Non si presenterà prima di domattina. Recati sulla spiaggia ed accoglilo a nome mio, dopodichè accompagnalo qui con quanta più discrezione possibile. 
Io sarò di ritorno per l'ora di pranzo.»

«Di ritorno da dove?» chiese ulteriormente Jackie, alzandosi e seguendo i passi della signora dell'isola.

«Andrò a recuperare mio padre a casa Barlow. Mi ci vorrà qualche ora.»

«Ed io che dovrei fare con Bryson, una volta giunta alla locanda?»

«Be', conducilo nel mio ufficio, offrigli da bere ed intrattienilo con la chiacchiera e l'astuzia che non ti mancano. Adesso, però, devi scusarmi.»

Eleanor Guthrie virò bruscamente verso le scale di legno e salì i pioli due a due, tenendo la gonna sollevata con una mano. Raggiunse il suo studio e, sbattendo la porta, vi si barricò dentro. 
Jackie arrestò la propria marcia, intontita come se si fosse appena svegliata da un sogno frenetico e delirante. Le pulsavano forti le tempie. 
Si mosse lentamente verso l'entrata del locale, sentendo il bisogno improvviso di prendere qualche boccata d'aria. 
Non aveva capito granchè del compito che le era stato assegnato, eppure le era parso relativamente semplice: assicurarsi che Bryson giungesse alla locanda di buon umore e che ne uscisse alleggerito di dodici preziose bocche di cannone.
Come la cosa si sarebbe potuta realizzare, le si presentò alla mente come un fitto mistero.

Quando sospinse delicatamente l'uscio, persa nel labirinto dei propri pensieri, si ritrovò di fronte l'unico diavolo che proprio non avrebbe voluto incrociare.
James Flint aveva spinto l'uscio in senso contrario e i due si erano ritrovati l'uno di fronte all'altra; subito dietro il capitano, il signor Gates stava blaterando qualcosa.
La ragazza si paralizzò sul posto, le labbra improvvisamente secche e schiuse, l'aria fattasi insufficiente nei polmoni.
L'uomo si concesse un lungo istante per squadrarla e per riconoscerla, riservandole uno sguardo ardente e penetrante quanto un dardo infuocato. 
Se soltanto le avesse chiesto qualcosa, qualunque cosa, Jackie avrebbe obbedito senza esitare — se non per timore, almeno per apparire degna di considerazione a quegli occhi che, infine, le riservarono soltanto indifferenza mista a vivo fastidio. 
Il capitano solcò l'ingresso, lasciando la solita scia di salmastro tanto particolare, e così fece anche il signor Gates che, però, non mancò di rivolgerle un saluto quasi simpatico — specie se confrontato con l'occhiataccia del suo superiore.
«Pulce!» 

Jackie accennò un lieve inchino del mento, attendendo che la coppia di pirati si inoltrasse nell'ombra della locanda.
Scese i pochi gradini che conducevano sulla strada ed espirò, sfogando la tensione. 
Più che qualche boccata d'aria, le avrebbe davvero giovato una nuotata fino a Cadice e ritorno.








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