Knives and masks

di Pecsi_Jeevas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era una sera come un'altra e doveva uscire con gli amici per una serata tranquilla. Avevano appuntamento alle 8 e mezza in un bar appena fuori città, solo che, non sapendo esattamente dove fosse, decise di farsi accompagnare da un amico. 
Arrivarono puntuali, salutarono e ordinarono qualcosa da bere.
Verso le 11 decise di tornare a casa, salutò tutti e uscì dal locale. Si ero fatto spiegare la strada per tornare a casa, però non ricordava esattamente cosa avessero detto. Quindi si diresse verso la strada principale, era buio e l'unica luce presente era quella giallastra dei lampioni ai lati della strada.
In giro non c'era nessuno, il che era strano visto che era venerdì sera. 
Camminò per almeno un'ora, fin quando passò per un vicolo che conosceva, ciò gli fece capire di essere arrivato in centro città. Vagava per vicoli stretti e bui, quando improvvisamente sentì un rumore di passi dietro di sé, affrettò il passo, ma quel rumore non accennava a fermarsi, al contrario, il ritmo dei passi aumentava a ritmo dei suoi.
Si voltò per vedere chi fosse il suo inseguitore, ma appena vide il suo volto si bloccò. Era agghiacciante.
Aveva le guance segnate da due profondi tagli che partivano agli angoli della bocca e finivano affianco alle orecchie. I due sfregi erano ricuciti in maniera grossolana, ed erano scuciti in alcuni punti. 
Gli occhi, circondati da profonde occhiaie violacee, erano glaciali, talmente chiari da confondersi,con il resto dell'occhio, si distinguevano nitidamente solo le pupille, che risaltavano,in tutto quel bianco.
Era pallidissimo e aveva il viso circondato da capelli neri spettinati che gli ricadevano sulle spalle.
Indossava una felpa bianca che presentava delle macchie rosso scuro e un paio di jeans anch'essi macchiati della stessa sostanza purpurea.
Notò che teneva in mano un coltello ed esattamente in quel momento si rese conto che la sostanza rossa sui vestiti dell'agghiacciante figura davanti a sé era il sangue delle sue precedenti vittime.
Si riprese di colpo quando si accorse che si stava muovendo verso di lui. Riuscì a scansarlo e iniziò a correre in direzione della strada principale. Ma l'assassino iniziò ad inseguirlo.
Si voltò indietro per vedere dove fosse, ma non vide nessuno, quindi si fermò per riprendere fiato, pensando di averlo seminato. Ma nonappena si voltò in direzione dello stradone principale, si ritrovò quel terribile sorriso a pochi centimetri dal viso.
A quel punto, non seppe bene se per l'adrenalina che aveva in corpo o per l'istinto di sopravvivenza, si ritrovò con le mani sporche di sangue, le nocche della mano destra sanguinanti, come se avesse preso a pugni un muro, varie macchie di sangue sulla maglietta che indossava e tagli non troppo profondi, che però non volevano saperne di smettere di sanguinare, su entrambe le braccia. L'assassino era a terra privo di sensi. Si avvicinò per osservarlo meglio. 
Quell'inquietante sorriso inciso sulle guance...quella felpa. Aveva un'aria così familiare, come se l'avesse visto centinaia di volte.
Poi ricordò...era Jeff. 
Jeff the Killer aveva tentato di ucciderlo. Quella leggenda che tanto amava gli aveva fatto sfiorare la morte. Non appena concluse quel pensiero perse i sensi.



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Sono tornata dopo anni! E con un computer nuovo di zecca! 
Probabilmente, se avete letto la mia storia precedente, noterete che è semplicemente quella stessa storia ma scritta in terza persona. Infatti ho deciso di usarla come prologo di quello che segue ai fatti raccontati in Jeff...forse. Spero vi piaccia e che vi incuriosisca abbastanza perché la leggiate ^.^
Al prossimo capitolo!!! 
-Pecsi
Ps: Se ci sono errori di battitura vi prego di avvisarmi >.<

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Capitolo 2
*** 1 capitolo ***


Si svegliò di soprassalto convinto di aver fatto un brutto sogno. Si guardò le braccia , erano totalmente fasciate e, in alcuni punti, le bende erano imbevute del suo sangue.

Non ricordava di essere tornato a casa, tanto meno di essersi fasciato le braccia. Alzò lo sguardo, prima concentrato sulle braccia, e notò subito di non essere a casa propria. Si trovava in una stanza quasi completamente spoglia, fatta eccezione per il letto e un piccolo mobile. Il pavimento era di marmo rovinato e, in alcuni punti, crepato, doveva essere uno splendido pavimento una volta. A causa della luce che filtrava dalla plastica utilizzata come vetro dell’unica finestra presente nella stanza, tutto verteva sul grigio.

Si accorse che la porta era semiaperta, quindi fece per alzarsi ma, non appena appoggiò le mani sul materasso per alzarsi, un dolore lancinante gli percorse le braccia e gli si proiettò in testa. Soffocò un urlo, quando sentì un rumore di passi avvicinarsi a quella stessa stanza, quindi si sdraiò e si coprì con il lenzuolo bianco, facendo finta di dormire. Di una cosa era certo però: chiunque fosse non doveva avere cattive intenzioni, altrimenti non lo avrebbe portato in quella casa per curarlo.

Aprì lentamente gli occhi e la vide. Era una ragazza dai lunghi capelli neri, i quali riflettevano la luce fioca che entrava dalla finestra. Il viso era coperto da una maschera completamente bianca, fatta eccezione per le labbra, dipinte di un nero intenso. I fori che le permettevano di vedere erano velati de una rete a trama molto fitta, così da impedire che le persone vedessero i suoi occhi perennemente tristi.

La osservò attentamente, era certo di conoscerla.

«Come ti senti?» chiese la ragazza con una voce melliflua.

«Mi bruciano le braccia» rispose senza pensare. La ragazza sospirò. Gli prese delicatamente un braccio, controllò lo stato delle bende ed iniziò a medicarlo.

«Certo che Jeff ti proprio ridotto a un colabrodo» disse apprensiva dopo aver concluso di medicarlo.

«Jeff? Come lo conosci?» chiese incuriosito.

«E’ a causa sua se sono costretta a portare questa stupida maschera e questa dannata parrucca!» rispose. Notò del rancore malcelato nella sua voce. Poi si rese conto di chi fosse la ragazza che lo stava aiutando:«Tu sei…Jane».

«Già…» rispose triste.

La guardò con gli occhi sgranati, non poteva essere! Jeff, Jane…erano delle leggende metropolitane, non potevano essere reali, o meglio, NON DOVEVANO ESSERLO!

Mentre era immerso nella sua crisi esistenziale, Jane prese le vecchie bende e uscì dalla stanza.

Cosa sta succedendo? Forse… Forse ieri sera dentro al drink che ho ordinato hanno messo qualcosa e questa è tutta un’allucinazione. Pensò quasi convinto di ciò. Iniziò a sorridere, soddisfatto della sua spiegazione totalmente senza senso. «Sì! E’ sicuramente un’allucinazione!» urlò.

Sentì un risolino sommesso provenire da un’altra stanza. Prima o poi se ne farà una ragione, pensò la ragazza. Poi uscì di casa.

Il ragazzo era ancora assorto nei suoi deliri quando la porta, chiudendosi di scatto, lo spaventò.

Si alzò, curioso di sapere dove si trovava. Oltrepassò la porta della presunta stanza da letto e si diresse verso quello che doveva essere il soggiorno, ma che non presentava altro che un divano sfondato e un mobiletto su cui era posizionata una piccola televisione.

Sulla destra notò una porta chiusa. Provò ad aprirla, ma invano: era chiusa dell’interno.

Si era ormai rassegnato al fatto che era tutto reale e non una stupida allucinazione.

Gli gorgogliò lo stomaco, lo ignorò.

Dove diavolo era? Ma soprattutto perché Jeff l’aveva attaccato e Jane salvato? Non lo sapeva , ma voleva scoprirlo…o forse no?

Sapeva che non erano affari suoi, o meglio, sapeva che, nonostante ci fosse finito in mezzo, sarebbe stato più sicuro non intromettersi, poiché era certo che sarebbe stato solo un errore.

Accese la TV, aspettando che tornasse la ragazza con la maschera, la quale arrivò poco dopo.

«Dove siamo?» chiese a bruciapelo il ragazzo dai capelli neri.

«In una casa a 5 chilometri a Est di Los Angeles» rispose lei mentre accendeva un fornello in cucina.

«Cos…COSA?!» esclamò girandosi verso la ragazza che gli rivolgeva la schiena. «Come mi hai portato qui?! Cioè…hai una macchina?»

«Beh, cosa c’è di così sconvolgente?»

«Avrai si e no 15 anni!»

«Veramente ne ho 21, sono passati alcuni anni da…» si interruppe, faticando a trattenere le lacrime.

«Capisco» . Tornò a guardare la TV, lasciano il discorso in sospeso.

Aveva un mare di domande che gli frullavano in testa, ma sapeva che non avrebbe dovuto impicciarsi in quelle questioni.

Dopo una decina di minuti, Jane, gli portò un piatto colmo di uova strapazzate, pancetta e pane tostato, il ragazzo la ringraziò senza aggiungere altro. Divorò la colazione...o il pranzo? Che diavolo di ora era? Ma soprattutto: che giorno era?

«Jane, che giorno è oggi?» chiese perplesso.

«Giovedì, perché?» chiese incuriosita.

«E che ore sono?» chiese, questa volta, allarmato.

«Le 5 del pomeriggio» rispose guardando l'orologio appeso al muro davanti a lei.

«Cazzo! Ho lezione tra un'ora! Devo andarmene!»

«Seriamente? Sei stato aggredito da un serial killer meno di 12 ore fa, e ti preoccupi dell'università?» chiese divertita.

«Si, sul serio! Se oggi salto, l'esame non lo posso fare e se non lo faccio, i miei mi tagliano i viveri!» le rispose terrorizzato.

«Okay, ti accompagno io.»

Il ragazzo spense la TV e saltò giù dal divano, fiondandosi fuori dalla porta. Notò che era una piccola casa, probabilmente abbandonata da un pezzo, e si trovava in mezzo al nulla. L'intonaco dei muri era sgretolato e, in alcuni punti, inesistente.

Alcune finestre erano sbarrate con delle assi di legno, mentre altre, al posto dei vetri, presentavano dei semplici teli di plastica attaccati agli infissi con del nastro adesivo.

La ragazza con la maschera uscì di casa e salì in auto, una Volkswagen del '96. Il moro salì in auto e Jane partì a razzo. Era convinto che quell'auto sarebbe caduta a pezzi da un momento all'altro, invece arrivarono al suo appartamento sani e salvi.

«Grazie per il passaggio.»

«Di nulla» rispose Jane.

Si salutarono e il ragazzo si girò per andarsene ma prima di partire la ragazza aggiunse: «Ci rivedremo presto Alec.»

A quella frase, gli si accapponò la pelle, quando si girò Jane e la sua macchina non c'erano più. Ancora sconvolto e terrorizzato entrò in casa.

Come sa il mio nome? E perché quella frase? Cosa cazzo sta succedendo?!

Con la testa piena di domande a cui non sapeva dare una risposta, si diresse verso il bagno per farsi una doccia veloce. Si vestì e uscì di casa, diretto verso l'università.

La serata passata a lezione fu davvero snervante, non riusciva a pensare ad altro che all'accaduto della sera prima e al motivo per cui dovevano fare lezione a quell'ora. Che noia, pensò.

Poi accadde qualcosa di molto strano.

Durante la lezione di informatica, mentre Alec era concentrato a cazzeggiare come sempre, – odiava quella materia, dal profondo del cuore, ma era costretto a studiarla – notò che la porta della piccola stanza del proiettore dall'aula magna – adiacente a quella in cui si trovava Alec – era socchiusa. Nel buoi di quello stanzino vide qualcosa muoversi, ma non gli diede bado. Probabilmente me lo sono immaginato pensò.

Dopo qualche secondo vide la porta aprirsi lentamente e, nel buio,vide una sagoma a lui molto, troppo familiare: era Jeff, di nuovo!

Appena realizzò di chi si trattasse, prese le sue cose, si alzò di scatto e uscì dall'aula, sotto la sguardo perplesso dei suoi compagni di corso.

Com'era possibile che fosse lì? Forse me lo sono solo immaginato, forse era un'allucinazione! Tornò a valutare l'idea che tutto ciò che era accaduto dalla sera prima fosse solo frutto della sua immaginazione. Uscito dall'università si trovò difronte ad un'auto di un colore improbabile. Conosceva quell'auto, era Jane.

Passò di fianco alla macchina e la portiera si aprì.«Sali.» lo incitò la voce vellutata della ragazza nell'auto. Ubbidì senza pensarci.

Dopo qualche secondo Alce sbottò: «CHE CAZZO SUCCEDE?!»

«Calmati» gli intimò la ragazza con la maschera.

«Calmati un cazzo! Perché quel pazzo era là dentro?!»

«Ti cercava, vuole vendicarsi per quello che gli hai fatto, è normale» rispose Jane come se fosse una cosa che avrebbe capito anche un lattante.

«Normale? NORMALE?!» urlò con gli occhi fuori dalle orbite«Normale che un assassino voglia vendicarsi del fatto che mi sono difeso perché ha tentato di uccidermi?! Ti sembra una cosa normale?!» strillò sempre più indignato e sconvolto.

«Non ho detto che sia normale per te, ma per lui lo è...Devi ricordarti che Jeff è un folle omicida» gli rispose guardandolo attraverso le fessure della maschera. «Se sei così appassionato di leggende metropolitane, dovresti sapere che è impazzito 9 anni fa, quando, a soli 13 anni, ho ucciso i tre ragazzini che importunavano suo fratello.»

«Lo so, conosco bene la sua storia...e anche la tua» disse voltando lo sguardo verso l'entrata dell'edificio, come se si aspettasse che, da un momento all'altro, uscisse Jeff con il suo coltello in mano e quel sorriso dannatamente inquietante. Non sapeva che, se avesse alzato lo sguardo pochi secondi prima, avrebbe potuto vederlo allontanarsi in direzione opposta all'auto con il cappuccio calato sulla testa. Poi aggiunse:«Ciò non lo giustifica, non è una cosa con cui posso convivere!»

«Lo so, per questo sono qui» gli rispose, anche se sapeva bene che il motivo che l'aveva spinta a raccoglierlo dalla strada e aiutarlo, non era quello che gli stava facendo credere.

«Sto impazzendo...»

«Forse si..»



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Sono tornata con un nuovo capitolo! Spero vi piaccia >.< e mi farebbe molto piacere se recensiste <3
Non siate troppo brutali >.<
Alla prossima ^.^
-Pecsi

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