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di Matt_Sivert_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapimento ***
Capitolo 2: *** Un eroe nella notte ***
Capitolo 3: *** L'ispettore ***
Capitolo 4: *** Hero ***
Capitolo 5: *** Sentimenti inspiegabili ***
Capitolo 6: *** Le prime indagini ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Un pranzo per conoscersi ***
Capitolo 9: *** Un pomeriggio spensierato ***
Capitolo 10: *** Uno spiacevole equivoco ***
Capitolo 11: *** Da solo in casa ***
Capitolo 12: *** Ritorno al Dreamland ***
Capitolo 13: *** Il regalo d'addio di Mr Orfeo ***
Capitolo 14: *** L'incubo ricorrente ***
Capitolo 15: *** Cattive notizie ***
Capitolo 16: *** Rassegnazione ***
Capitolo 17: *** Una bugia a fin di bene ***



Capitolo 1
*** Rapimento ***



Era una notte come tante altre in quei week-end invernali, fredda e caotica. 

I ragazzi e le ragazze uscivano dai locali e dalle discoteche con i soliti schiamazzi causati dall'eccessivo consumo di alcolici. 

Sabrina aveva appena finito il suo turno al Dreamland, un locale per soli uomini, dove lavorava come cameriera.

 Come ogni sera qualche cliente aveva alzato le mani su di lei, nonostante non fornisse quel genere di servizi, ma la sua divisa sembrava attirare le toccatine maliziose come il miele fa con gli orsi. 

Altre ragazze del locale avevano il compito di intrattenere i clienti con lap dance in sala e spogliarelli nel privé, ma anche le cameriere come lei dovevano subire le attenzioni fisiche degli uomini pieni d'alcool, pronti a sfogare le frustrazioni della settimana lavorativa e a vivere le loro fantasie. 

Ma il più insistente fra i frequentatori del locale era sempre lui: Giovanni.

 Era un uomo sulla trentina, dall'aspetto sgradevole e dai modi ancora peggiori. 

Portava degli spessi occhiali neri che ricadevano su una naso enorme e corvino Aveva occhi insignificanti che esprimevano superbia e perversione, mentre la bocca era sempre arrangiata in un ghigno orrendo. 

A renderlo ancora più brutto vi era la stempiatura che iniziava ad intravedersi sotto il riporto. 

Era abbastanza alto, tra il metro e ottanta ed il metro e novanta, ma ciò non riusciva a nascondere la sua pessima forma fisica, con la pancia che si sbucava da sotto la sua maglietta aderente. 

Anche quella sera l'aveva afferrata per i fianchi è tirata a sé, mentre Lei era intenta a portare da bere ad un altro tavolo.

 Come al solito le aveva chiesto un servizio speciale e lei si era rifiutata con forza, riuscendo a divincolarsi. 

Ma ora non voleva pensarci, voleva soltanto arrivare al più presto a casa sua, il piccolo alloggio che poteva permettersi con i pochi soldi che guadagnava, e mettersi sotto le coperte, al caldo. 

Doveva riposare per essere pronta ad affrontare la serata del giorno successivo. 

'Voglio solo andare a dormire, sono distrutta...' pensò tra sé e sé. 

Non era certa se la sua stanchezza fosse più fisica, per le ore passate a camminare sui tacchi, o mentale, per il costante svilimento della sua dignità a cui era sottoposta lavorando al Dreamland.

 Non aveva tempo per sogni e progetti, doveva lavorare per procurarsi di che vivere, anzi, sopravvivere. 

Stava percorrendo la strada poco illuminata che l'avrebbe condotta a casa, maledicendo il freddoche l'attanagliava. 

Solitamente non c'era anima viva in quella zona a tarda notte, ma quella volta fu diverso. 

Svoltato l'angolo si ritrovò davanti tre giovani ragazzi chiaramente ubriachi. 

Non appena la notarono, iniziarono subito a molestarla. 

Erano tutti e tre abbastanza giovani, al massimo ventenni ad una prima impressione. 

Uno era basso e tarchiato, l'altro alto e robusto e l'ultimo basso e magrolino.

 "Ehi bel visino, ti va di fare un giro con noi?" biascicò il grassone. 

"La notte è ancora giovane e una bella ragazza non dovrebbe andarsene per la città tutta sola, non credi?" aggiunse il più ben piazzato dei tre con un sorriso sardonico. 

Lo smilzo si limitò a farsi una risatina asmatica alle battute dei compari. 

Sabrina, che era abituata a gestire persone ubriache per via della sua esperienza lavorativa, scelse di fare la cosa migliore in questi casi: non rispose e tirò dritto, sperando che desistessero. 

I tre erano alle sue spalle ormai quando il ragazzo più alto, evidentemente il leader del gruppetto, la raggiunse mettendole una mano sulla spalla e spingendola con forza contro il muro.

"Con chi credi di avere a che fare ragazzina? Non puoi andartene via così senza nemmeno risponderci, nessuno ci manca di rispetto, chiaro?" le ringhiò dritto in faccia. 

La zaffata d'alcool che emise per poco non la fece vomitare. 

I due amici intanto li avevano raggiunti e Sabrina iniziò a sentirsi veramente in pericolo. 

IIl ragazzo la teneva inchiodata contro la parete, non riusciva a muoversi di un centimetro. 

Raccogliendo tutto il suo coraggio sferrò una ginocchiata nelle parti basse del suo aggressore, costringendo quest'ultimo a mollare la presa all'istante.

 Cadde a terra contorcendosi dal dolore e lei ne approfittò per correre via a tutta velocità. 

Gli altri due erano chini su di lui per verificarne le condizioni e non la seguirono. 

Mentre si allontanava poteva sentire distintamente gli insulti e le minacce che il capobranco lanciava al suo indirizzo, ma per fortuna non era in grado di metterle in pratica mal ridotto com'era. 

Probabilmente i suoi amici non erano abbastanza coraggiosi per agire senza la sua guida.

 Dopo aver corso per quasi cinque minuti, ed aver messo una buona distanza tra sé ed il gruppo di molestatori, Sabrina si sedette a terra per riprendere fiato.

 Il cuore le batteva con un ritmo forsennato e respirava affannosamente, non soltanto per lo sforzo fisico, ma anche per la paura.

 "Perchè devono capitare tutte a me? Non ho già abbastanza problemi con quei porci al locale? si domandò frustrata.

 Davanti a sé vide una lattina e per la rabbia la prese a calci mandandola in mezzo alla strada.

 Si decise a ripartire, ormai casa non era lontana, anche grazie a quella corsa inaspettata. 

Arrivò davanti al palazzo in cui abitava, inserì la chiave nella serratura del portone e lo aprì. 

Prima che potesse entrare del tutto, qualcuno le tappò la bocca e la trascinò fuori dal androne. 

L'aggressore le premeva con forza uno straccio sia sulla bocca che sul naso. 

Sabrina aveva entrambe le braccia bloccate e per quanto tentasse di liberarsi era tutto inutile. 

La morsa del braccio con cui l'uomo la cingeva era troppo potente. 

A quel punto Sabrina si accorse che lo straccio emanava uno strano odore che entrava con forza nelle sue narici. 

Si sentiva sempre più debole e la sua vista iniziò ad appannarsi. 

Qualsiasi sostanza contenesse quello straccio, era evidente che la stesse stordendo. 

In breve tempo smise di lottare e, senza accorgersene, perse i sensi.




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Capitolo 2
*** Un eroe nella notte ***



Al suo risveglio, la ragazza si ritrovò sdraiata su un materasso appoggiato a terra in una stanza che sembrava abbandonata a giudicare dai muri con l’intonaco cadente e l’assoluta mancanza di qualsiasi arredamento. 

Provò subito ad alzarsi, ma non ci riuscì. 

Aveva le mani legate con una corda ad una tubatura sporgente dal muro e per quanto si sforzasse, provocandosi un gran dolore ai polsi, non riusciva a liberarsi. 

La bocca era tappata da un pezzo di nastro adesivo. 

Non si era mai sentita così indifesa, nemmeno nei momenti più bui e brutti della sua infanzia. 

Un grido soffocato le rimase bloccato in gola quando vide materializzarsi dall’unica porta della stanza un uomo robusto con un passamontagna sul viso.

 L’aggressore si avvicinò al materasso adagiato al suolo e con un ghigno malefico sussurrò “finalmente ti sei svegliata, ora possiamo divertirci…”. 

Sabrina rabbrividì alle parole dell’uomo e si rese pienamente conto della situazione in cui era finita: era da sola, immobilizzata e imbavagliata, in un luogo probabilmente poco frequentato o del tutto disabitato. 

Quell’uomo aveva intenzione di violentarla, lei non poteva fare nulla per impedirglielo e nessuno sarebbe intervenuto a salvarla. 

L’aggressore si inginocchiò sul materasso, ai suoi piedi, e iniziò a divaricarle le gambe. 

Nonostante la sua resistenza, lui l’ebbe vinta facilmente, era semplicemente troppo forte per lei. 

Dopodiché si diede da fare con la cerniera dei jeans e le abbassò prima i pantaloni e poi le mutandine. 

A quel punto si slacciò la cintura, abbassò i pantaloni e la cinse con forza ai fianchi.

 Sabrina sentì le lacrime rigarle il viso e si preparò ad affrontare ciò che sarebbe successo di lì a poco chiudendo gli occhi e voltando la testa su un fianco. 

All’improvviso la pressione dell’uomo su di lei sparì e un rumore sordo, come qualcosa di pesante che urtava il suolo, la spinse ad aprire di nuovo gli occhi.

 Vide l’uomo col passamontagna a terra, all’apparenza svenuto e, in piedi di fianco a lui, un ragazzo che non doveva essere tanto più grande di lei. 
Il giovane la guardò e le disse con voce trafelata “Non ti agitare! Ci sono qui io! Andrà tutto bene”.

Gli occhi di Sabrina si illuminarono di gioia e sollievo. 

Subito dopo le si avvicinò e cercò di sciogliere i nodi delle corde che la tenevano prigioniera. 

Intento com’era in quell’operazione, non si accorse che nel frattempo l’uomo col passamontagna si era rialzato.

Sabrina lo notò subito, ma i suoi sguardi e le sue parole soffocate dal nastro adesivo non furono di aiuto per il suo salvatore.

 L’aggressore gli fu addosso in un lampo e lo placcò con violenza, scaraventandolo al suolo.

 Il giovane non era mal messo fisicamente, ma il rapitore era decisamente più robusto e, dopo averlo rialzato, lo sbatté con forza e ripetutamente contro la parete. 

Il ragazzo sembrava sul punto di perdere i sensi, ma, forse con l’ultimo barlume di lucidità rimasto, con le dita colpì l’uomo dritto negli occhi. 

Quest’ultimo, evidentemente scosso dal colpo ricevuto e parzialmente accecato, mollò la presa e si diresse alla porta che dava su un’altra stanza. 

Il giovane, ripresosi dai duri colpi contro il muro, si lanciò al suo inseguimento, ignorando i mugolii di Sabrina. 

Avrebbe voluto che lui la liberasse e lasciasse perdere l’uomo, ma le sue speranze furono disattese.

 Aveva paura che potesse accadere qualcosa di brutto al suo soccorritore e l’idea di tornare di nuovo nelle grinfie di quel maniaco la terrorizzava.

 Per un tempo che le sembrò infinito non sentì alcun rumore provenire dalla stanza a fianco, poi, dal nulla, udì uno sparo. 

Per lo spavento sobbalzò sul materasso e il suo cuore iniziò a battere ancora più velocemente, come se non fosse bastato il ritmo frenetico che aveva tenuto da quando si era risvegliata in quell’incubo.

 ‘E se fosse morto?’ si chiese in preda al panico ‘non doveva inseguirlo, lo sapevo! Quel porco aveva sicuramente una pistola e ora lo ha ammazzato’. 

Mentre formulava questi pensieri nella sua testa, sentì un altro colpo di pistola e il suo battito cardiaco accelerò ulteriormente. 

Credeva che il suo cuore fosse sul punto di saltare fuori dal suo petto vista la forza e la frequenza  con cui batteva contro la sua cassa toracica. 

Dopo altri interminabili momenti udì dei passi, qualcuno si stava avvicinando alla stanza. 

Era certa che il suo aggressore stesse tornando per riprendere la violenza da dove era stata interrotta.

 La sua unica speranza era che qualcuno avesse sentito gli spari e, di conseguenza, chiamato la polizia.

 I passi si fecero sempre più vicini e una lunga ombra oscura si proiettò nella stanza. 

Sabrina guardò con terrore verso l’entrata. 

‘Spero che finisca al più presto e che non mi lasci vivere’ fu l’unico pensiero che riuscì a formulare.

 Sentiva che non sarebbe riuscita a superare quel trauma, quindi sarebbe stato meglio morire. 

Era ormai rassegnata al suo destino. 

Perciò quello che vide entrare dalla porta fu per lei come una visione celestiale, la più bella sorpresa della sua breve vita. 

All’uscio non c’era l’uomo con il passamontagna venuto per  terminare la sua violenza, bensì il giovane con in mano una pistola.

 Guardandolo meglio alla sinistra luce della lampadina sopra la sua testa, vide un rigagnolo di sangue che gli colava dalla fronte, disegnando una linea irregolare che gli attraversa l’occhio sinistro e la guancia, fino a giungere al mento.

 Sembrava scosso e disorientato. 

Quando la vide sgranò gli occhi sconvolto, come se la scena all’interno della stanza gli si presentasse per la prima volta davanti agli occhi.

 Si rese conto soltanto in quel momento di avere una pistola in mano e la gettò subito a terra, quasi con paura.

 Subito dopo accorse da lei.

 “Stai tranquilla, adesso ti libero!” disse con voce tremante. 

Si inginocchiò di fianco al materasso e si rese conto che i jeans e le mutandine di lei erano abbassate. 

Distolse rapidamente lo sguardo e si tolse la giacca per coprirla. 

Fatto ciò, cercò di tranquillizzarla, poiché si agitava ed emetteva gemiti incomprensibili.

 “Non ti agitare! Non voglio farti del male! Ti libero subito!” la rassicurò. 

Questa volta la sua voce era più ferma e decisa, cosa che ebbe un effetto positivo sulla ragazza.

 Smise di dimenarsi sul letto e di lamentarsi. 

La liberò dalle corde che la immobilizzavano e le tolse con delicatezza il nastro adesivo dalle labbra, per non provocarle dolore.

 Sabrina, appena fu in grado di muoversi, strisciò contro il muro e tirò su l’intimo e i pantaloni.

 “Lui dov’è? Che fine ha fatto?” gridò in preda al panico guardando oltre la spalla del ragazzo. 

Lui si guardò intorno e chiese a sua volta “Lui chi?”. 

“Come chi? L’uomo col passamontagna, il mio aggressore, quello con cui ti sei scontrato!” rispose Sabrina con una gran rabbia causata dalla paura. 

Il ragazzo sembrava molto confuso e poco lucido. 

“Davvero non so di chi tu stia parlando. Non ho visto nessuno, né tantomeno mi sono battuto con qualcuno” cercò di spiegarle “tutto quello che mi ricordo è che sono entrato in questa stanza e ti ho trovata legata su questo materasso, nient’altro”. 

Lei era sull’orlo di una crisi di nervi. 

“Ma che ti è preso? Hai bevuto? Hai preso una botta in testa?” gli urlò in faccia sfogando tutta la sua frustrazione.

 Soltanto pronunciando quelle parole si rese conto della situazione e riprese a ragionare, anche grazie al fatto che il suo aggressore sembrava essersi dileguato.

 Il ragazzo la guardava con occhi spenti e assenti.

 Questo suo assurdo comportamento e la sua improvvisa amnesia dovevano essere provocati dalla ferita alla testa.

 In preda allo shock non aveva fatto questo semplice collegamento. 

Con il passare dei minuti la sua mente si faceva sempre più lucida. 

“Perdonami, non ci avevo pensato, deve essere quella ferita a confonderti le idee” si scusò dispiaciuta.

 Lui sembrò accorgersi solamente in quel momento del sangue che gli attraversava il viso. 

Si toccò con una mano e guardò esterrefatto  la macchia rossa che si era formata su di essa, senza dire una parola. 

Sabrina vide in un angolo il suo zaino e corse immediatamente verso di esso per recuperare il suo cellulare. 

Doveva chiamare la polizia ed i soccorsi al più presto, la ferita poteva essere molto grave. 

Il problema era che non aveva idea di dove si trovassero. 

Provò a chiederlo al ragazzo, ma questi rispose con un laconico “Non lo so…”. 

Allora si armò di tutto il suo coraggio  e attraversò la soglia.

 Nell’altra stanza c’erano una finestra e una porta aperta. 

Scoprì che erano al primo piano di un palazzo. 

Riconobbe la zona e, osservando con maggiore attenzione, riuscì a leggere un cartello che indicava la via.

 A quel punto poté finalmente avvertire i soccorsi.

 Finita la chiamata, ritornò nella stanza dove era stata tenuta prigioniera e vide il ragazzo sdraiato su un fianco.

 Sembrava morto e perciò urlò sconvolta. 

Non poteva permettere che lui, quello sconosciuto che l’aveva salvata da una fine terribile, morisse sotto i suoi occhi.

 Si avvicinò nuovamente al suo zaino ed estrasse un fazzoletto. 

Corse verso di lui, lo girò in modo da vedere la ferita e gliela tamponò meglio che poté. 

Senza rendersene conto si ritrovò con le lacrime agli occhi. 

“Ti prego resisti, i soccorsi stanno arrivando. Non morire…” sussurrò all’orecchio del giovane.

 Dopo minuti, che le sembrarono eterni, sentì il suono della sirena dell’ambulanza.

 Prima di andare alla finestra per richiamare l’attenzione dei soccorritori e permetter loro di individuarli, gli parlò nuovamente, anche se lui apparentemente non poteva sentire le sue parole. 

"Sono arrivati i soccorsi, andrà tutto bene, vado soltanto a chiamarli. Tu non mollare, ok?” e detto ciò lo lasciò. 

Due poliziotti e due paramedici entrarono nella stanza e lei li condusse immediatamente dal ragazzo. 

Uno dei due soccorritori provò a sincerarsi delle sue condizioni, ma lei lo respinse.

 “Io non ho niente, è lui ad aver bisogno delle vostre cure. Ha perso i sensi da quasi dieci minuti ed è ferito alla testa, gli hanno sparato” spiegò concitatamente. 

I due agenti iniziarono a chiederle spiegazioni sulla situazione, ma Sabrina era troppo intenta a osservare i paramedici soccorrere il ragazzo e li ignorava, percependo a malapena le loro voci.  

Quando le chiesero di seguirli al commissariato, si rifiutò con forza. 

“Io vado con lui in ospedale, devo stargli vicino!” gridò quasi isterica. 

I due si scambiarono uno sguardo incerto, ma alla fine acconsentirono. 

I paramedici sistemarono il ferito sulla barella e lo portarono di sotto, con gli agenti e Sabrina al seguito.

 Una volta per strada, lo caricarono sull’ambulanza e lei chiese di poter fare il tragitto verso l’ospedale con loro.

 Avendo visto la scena con gli agenti pochi istanti prima, non si opposero. 

Durante tutto il viaggio strinse la mano del ragazzo e continuò a parlargli, pregandolo di rimanere in vita. 

Soltanto una volta giunti in pronto soccorso, nonostante la sua reticenza, il personale medico e gli agenti la convinsero a separarsi da lui e farsi visitare.

 Il medico non riscontrò alcuna ferita, a parte qualche livido sulle cosce causato dalle mani del’aggressore. 

Dopo averle somministrato un sedativo, la fece sistemare in una stanza singola, affinché potesse riposare e riprendersi dallo shock. 

I due poliziotti chiesero al medico che l’aveva visitata il permesso di interrogarla, ma questi glielo negò.

 Spiegò loro che, a causa del sedativo che le aveva somministrato, la ragazza non sarebbe stata in grado di rispondere alle loro domande fino al mattino seguente. 

Infatti, proprio in quel momento, Sabrina era caduta in un sonno profondo, seppur tremendamente tormentato.

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Capitolo 3
*** L'ispettore ***



"Come sta il ragazzo che è arrivato ieri con me?" fu la prima cosa che Sabrina chiese al suo risveglio all'infermiera di turno.

L'infermiera la rassicurò prontamente affermando che le sue condizioni erano stabili, quindi non era in pericolo di vita.

Le spiegò che aveva riportato una ferita superficiale alla testa, dovuta ad un proiettile che l'aveva colpito di striscio.

Ad ogni modo i dottori preferivano tenerlo sotto controllo ancora un po', al fine di verificare l'eventuale presenza di danni al cervello.

Sabrina rimase quasi senza fiato. Le tornarono subito in mente lo stato confusionale del ragazzo e l'apparente perdita di memoria.

"Posso vederlo?" domandò con un filo di voce.

"Adesso sta dormendo. La ferita alla testa gli faceva molto male e perciò gli abbiamo somministrato degli antidolorifici. Ha bisogno di riposare" le riferì gentilmente "ora dovrà parlare con la polizia, è da ieri che insistono. Hanno molte domande da farle a quanto pare".

Detto ciò uscì dalla stanza ed al suo posto entrò un uomo.

Era sulla trentina, abbastanza slanciato, dalla corporatura robusta. Indossava una camicia bianca, una giacca blu di velluto e jeans neri.

Portava una barba appena accennata e aveva due profondi occhi marroni che catturarono subito lo sguardo di Sabrina.

"Ispettor Simone Tarri, mi è stato affidato il tuo caso" si presentò stringendole la mano "ah giusto, non ti offendi se ti do del tu, vero Sabrina? ".

Lei diede il suo assenso con un rapido cenno del capo.

"Ottimo, odio le formalità. Ti andrebbe di dirmi cosa è successo ieri notte?" domandò senza tanti preamboli.

Sabrina raccontò tutto ciò che ricordava e si trovò piuttosto in imbarazzo a parlare del suo lavoro, come le capitava sempre dopotutto.

Parlò anche dei tre ragazzi che l'avevano aggredita, prima che l'uomo col passamontagna la rapisse.

Descrisse meglio che poté quegli interminabili minuti vissuti nel palazzo abbandonato.

Il tentato stupro interrotto dall'arrivo del giovane sconosciuto, la successiva colluttazione ed infine i due spari.

L'ispettore, che fino a quel momento l'aveva ascoltata in silenzio prendendo nota sul suo taccuino, la interruppe.

"Quindi hai sentito due colpi di pistola?" domandò sorpreso "quelli della scientifica hanno trovato solo un proiettile, quello che ha ferito il tuo eroico salvatore...ciò vuol dire che forse il tuo rapitore è stato ferito. Interessante. Prosegui pure."

Sabrina terminò il suo racconto parlando dello strano comportamento del ragazzo al suo rientro nella stanza e del suo successivo svenimento, fino all'arrivo dei soccorsi da lei chiamati.

"Grazie, sei stata molto brava" affermò soddisfatto l'ispettor Tarri avviandosi alla porta "vado a vedere se il ragazzo si è svegliato...vieni con me?".

Sabrina non se lo fece ripetere due volte, saltò giù dal letto e lo seguì.

Alla porta della stanza del giovane c'era un poliziotto di guardia che scattò sull'attenti per salutare l'ispettore e li lasciò passare senza fare domande.

Il ragazzo giaceva addormentato, con una vistosa fasciatura a coprirgli la fronte e parte dei capelli.

Sabrina lo guardava con velo di apprensione, anche se sapeva che non era nulla di grave, almeno secondo i medici.

Vedere il suo buon samaritano incosciente la agitava.

Si sarebbe tranquillizzata soltanto al suo risveglio.

Si sentiva tremendamente in colpa per quel proiettile che si era preso per lei.

Non osava immaginare cosa avrebbe provato se avesse riportato danni cerebrali.

A interrompere il flusso di quei pensieri negativi fu Tarri.

"Non sappiamo chi sia. Non aveva il portafoglio con sé e nemmeno un cellulare. Vedremo se al suo risveglio il tuo salvatore avrà un nome oppure resterà un mistero" disse con un'espressione enigmatica sul volto.

Un accenno di sorriso apparve sul viso di Sabrina all'idea di conoscere il nome del ragazzo.

"Sono contento che tu riesca a sorridere dopo quello che ti è successo, è la cura migliore in questi casi, sai? E poi hai un bellissimo sorriso" si complimentò guardandola maliziosamente.

Lei diventò improvvisamente rossa e distolse lo sguardo.

Era inspiegabile, ma qualcosa in quell'uomo la rendeva nervosa ed emozionata al tempo stesso.

Lui, facendo finta di non aver colto il rossore sul suo viso, si diresse verso la porta.

"Se vuoi puoi restare qui con lui finché non si sveglia" le concesse indicando il giovane con un gesto della mano "ti chiedo solo di avvertire il piantone qua fuori quando accadrà, così potrò venire a fargli due domande. Il suo aiuto potrebbe essere fondamentale per catturare il tuo aggressore".

Dopo aver detto ciò, se ne uscì.

Lei si accomodò su una poltroncina di fianco al letto ed iniziò ad osservare il ragazzo.

Aveva i capelli castano chiaro abbastanza corti, ma dritti come se fossero stati appena spalmati col gel.

Il naso era abbastanza grande e appena ricurvo, ma nell'insieme del suo viso non stonava.

Le sopracciglia erano sottili, le guance asciutte ma non scavate, gli zigomi poco pronunciati e la mandibola stretta che terminava in un mento di dimensioni ridotte.

Nonostante stesse dormendo, il suo volto era contratto, come se qualcosa lo turbasse anche in quello stato di incoscienza.

Nel silenzio della stanza si trovò nuovamente a pensare ai fatti di quella notte e si strinse le ginocchia al petto, rabbrividendo e trattenendo a stento le lacrime.

Guardare nuovamente il ragazzo ridotto in quello stato, vivo, ma con il rischio che qualcosa nel suo cervello potesse non funzionare più come prima, le fece perdere la battaglia contro il pianto.

Calde lacrime le rigarono il viso e lei lo nascose contro le ginocchia.

Nessuno aveva mai fatto qualcosa di così generoso nei suoi confronti, tanto meno uno sconosciuto.

E ora lui giaceva lì, inerte su un letto d'ospedale, solo per averla aiutata.

Il trauma per l'aggressione subita e i sensi di colpa per le condizioni del ragazzo non le permettevano di smettere di piangere.

Ad un tratto sentì una voce dire "Perché stai piangendo?".

Lei alzò lo sguardo e vide il ragazzo nel letto che la guardava con un'aria a metà tra il sorpreso ed il preoccupato.

Rimase senza parole e sul suo viso si dipinse un'espressione di gioia.

Le lacrime di tristezza furono sostituite da quelle di felicità.

"Ma io mi ricordo di te!" esclamò il ragazzo riconoscendola e sporgendosi verso di lei "sei la ragazza che era legata sopra il materasso in quella stanza. Come stai?".

A quel punto una fitta di dolore alla testa lo colse all'improvviso e dovette rimettersi sdraiato.

"Resta sdraiato! Ti hanno sparato in testa! Non devi sforzarti" lo rimproverò preoccupata Sabrina riuscendo finalmente a parlare "Io sto bene ora...grazie a te...".

"Mi hanno sparato?" domandò lui sorpreso "non lo ricordo...a dire il vero non mi ricordo nulla di antecedente al momento in cui ti ho vista in quella stanza e ti ho liberata...e neanche dopo."

"Davvero non ricordi nulla? La colluttazione con il mio aggressore, i colpi di pistola, niente?" chiese a sua volta lei ansiosamente.

"No, veramente. Non so neanche come sono arrivato in quella stanza e come sono finito in questo letto di ospedale" rispose il ragazzo.

Il giovane sembrava davvero turbato dalla situazione.

"Sei svenuto dopo avermi liberata, io ho cercato di tamponare la ferita e ho chiamato i soccorsi, poi ci hanno trasportato qui insieme" gli spiegò con un velo di tristezza nella voce.

"Di questo ora ricordo qualcosa...dei rumori, delle luci e...la tua voce..." disse lui guardandola dritto negli occhi.

"Beh si, cercavo di tenerti sveglio...non volevo che tu morissi..." rivelò Sabrina arrossendo leggermente.

Un silenzio imbarazzato cadde tra i due e lei lo guardò per la prima volta con attenzione negli occhi.

Erano di un azzurro particolare, non luminoso ma nemmeno spento, e lei li trovava davvero interessanti.

Il ragazzo dopo pochi secondi distolse lo sguardo ed altrettanto fece lei con il cuore che le batteva all'impazzata.

Ad interrompere quel momento di tensione fu l'ingresso in stanza dell'ispettor Tarri che esordì dicendo "Che bella novità! Il nostro eroe si è risvegliato! Tu non dovevi avvisarmi Sabrina?".

La ragazza abbozzò un sorriso imbarazzato e si scusò.

"Se non ti dispiace ora vorrei fare quattro chiacchiere con il ragazzo, in privato" affermò con fermezza l'uomo.

Sabrina si alzò dalla poltrona e si avviò verso la porta, per poi fermarsi sull'uscio.

"Allora ci vediamo dopo!" esclamò rivolgendo un caloroso sorriso al ragazzo.

Lui rispose con un cenno incerto della mano e lei uscì.

Rimase per un attimo a fissare la porta dalla quale lei era appena uscita, ripensando ancora alle sue parole, ma fu richiamato alla realtà dalla voce dell'ispettore.

"Mi presento, sono l'ispettor Tarri e mi trovo qui per farti qualche domanda su quello che è accaduto ieri notte. Magari mi potrai aiutare a sbattere dentro il maniaco che ha cercato di violentare quella povera ragazza. Innanzitutto dimmi come ti chiami ragazzo".

Il fatto che lo chiamasse ragazzo in qualche modo lo infastidiva.

Provava un inspiegabile senso di avversione verso quell'uomo, ma decise di far finta di nulla.

"Mi chiamo...ehm..." mentre si sforzava di ricordare il suo nome una fitta di dolore gli attraverso il capo partendo dalla ferita.

"Non ricordi il tuo nome?" domandò con sguardo pieno di perplessità Tarri "Mi sai almeno dire da dove vieni?".

"Non...non ricordo" balbettò il giovane.

Il dolore alla ferita era sempre più forte.

"Allora scommetto che non sai nemmeno cosa ci facevi ieri sera in quella zona disabitata e come hai fatto a trovare la ragazza e il suo aggressore, vero?" insistette l'ispettore con un tono sprezzante.

"Io...non saprei" rispose tentennando il ragazzo.

Era come se la testa gli stesse scoppiando ed ogni domanda non faceva altro che peggiorare la situazione.

"Mi sa che il colpo di pistola ti ha fuso il cervello, meglio chiamare il medico" borbottò Tarri sbuffando.

Quella frase provocatorio lo fece infuriare.

"Il mio cervello non è fuso!" gridò con rabbia.

Proprio in quel momento alla porta si palesò il dottore che si era occupato di lui.

"Si può sapere perché non mi avete avvertito quando il paziente si è svegliato? Ha bisogno di fare altri esami e soprattutto di riposare! Non può interrogarlo ora" si rivolse con un tono indispettito all'ispettore.

"Sembra che abbia perso la memoria, è possibile?" domandò quest'ultimo senza fare una piega.

"Certo che è possibile, anche se non sono state evidenziate lesioni con gli esami strumentali, a parte un lieve edema. Non è detto che il colpo non abbia avuto ripercussioni sul suo sistema mnemonico" spiegò brevemente il medico "farò dei test e l'aggiornerò, ma ora lo lasci in pace".

Alle parole del dottore l'ispettore lasciò la stanza.

"Mi raccomando, mi faccia sapere se lo smemorato ricorda qualcosa" disse usando un volume di voce abbastanza alto da farsi sentire anche dal ragazzo.

Questi lo fulminò con lo sguardo.

'Spero che metta tanto impegno nel risolvere il caso quanto ce ne mette a provocarmi...' pensò appoggiando la testa dolente sul cuscino.

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Capitolo 4
*** Hero ***



Il dottore lo sottopose a diversi esami e test, riempiendolo a sua volta di domande che avevano l'unico risultato di riacutizzare le fitte di dolore che aveva provato nel precedente colloquio con quell'odioso ispettore.

Dopo ore di questa tortura, all'avvicinarsi della sera, il dottore enunciò al ragazzo la sua diagnosi : 'amnesia retrograda da trauma di impatto'.

In pratica non ricordava niente del suo passato, ma non aveva perso le sue capacità pratiche-cognitive.

Per spiegargli meglio il concetto il dottore aveva fatto un esempio.

"Se tu fossi un idraulico e ti ritrovassi davanti ad un tubo che perde sapresti come ripararlo. Tuttavia non ricorderesti i tuoi anni di studio per imparare quel mestiere" aveva illustrato con tono didattico.

Non si ricordava il suo nome, quanti anni avesse, da dove venisse, che lavoro facesse e nemmeno se ci fosse qualche persona per lui importante da avvisare della sua condizione.

Era diventato un uomo senza identità.

Non aveva alcuna memoria della sua vita prima di quella fatidica notte.

Il suo primo ricordo corrispondeva al momento in cui aveva visto la ragazza tenuta prigioniera in quell'edificio abbandonato.

Il dottore aveva cercato di rassicurarlo dicendogli che era possibile che recuperasse la memoria, ma i tempi e le modalità con cui ciò sarebbe avvenuto non erano prevedibili.

Il ragazzo senza nome ascoltò le parole dell'uomo in silenzio e con lo sguardo perso nel vuoto.

Si accorse a malapena di quando si accomiatò da lui e uscì dalla stanza.

Gli faceva uno strano effetto rimanere a riflettere da solo e avere così pochi ricordi nella sua memoria.

Era come se fosse appena nato.

'Un bambino nel corpo di un adulto...' pensò mestamente.

Si sforzava di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa precedente a quella notte, ma era tutto inutile e riusciva solo a procurarsi altre fitte di dolore alla testa.

Nel nulla dei suoi pensieri udì una soave voce dire "Ehi, tutto bene?".

Si voltò verso la porta e vide la ragazza, una delle tre persone di cui aveva memoria, oltre al dottore a all'ispettore, ed era decisamente il suo ricordo migliore fino a quel momento.

"Diciamo di sì, poi non mi va di lamentarmi dei miei problemi di fronte a te, sapendo ciò che hai passato stanotte" rispose guardandola con compassione.

Lei si emozionò sentendo quelle parole così premurose.

"Ma cosa stai dicendo? Hai tutto il diritto di lamentarti" disse dolcemente "ho incrociato il dottore e mi ha spiegato la tua situazione...mi spiace da morire che tu abbia perso la memoria per causa mia...".

Detto ciò abbassò lo sguardo per cercare di controllare le lacrime che nuovamente si stavano facendo strada nei suoi occhi.

"Non sei certo stata tu a spararmi in testa, non hai alcuna colpa" cercò di rassicurarla "sono stato io a decidere di intervenire per aiutarti e lo rifarei. Poi il dottore ha detto che recupererò la memoria, è soltanto una questione di tempo".

Quell'ultima affermazione non corrispondeva propriamente alla verità, ma non se la sentiva di peggiorare i suoi sensi di colpa confessandole che c'era il rischio che non recuperasse mai del tutto i suoi ricordi.

Provava un inspiegabile affetto ed un grande istinto protettivo verso quella ragazzina dall'aria così indifesa.

Gli occhi lucidi di Sabrina si posarono su di lui, colmi di riconoscenza.

"Grazie" fu l'unica parola che riuscì a pronunciare.

Non poteva credere a quanta gentilezza provenisse dalle parole di questo ragazzo sconosciuto.

Nemmeno ora, che sapeva di aver perso la memoria, era pentito del suo gesto e tanto meno dava a lei la colpa della sua situazione.

Razionalmente qualunque ragazza si sarebbe sentita in diritto di ricevere quelle parole tranquillizzanti dopo ciò che aveva passato, ma lei semplicemente non era abituata ad essere trattata con un simile riguardo.

Il ragazzo voltò il capo di lato perché lo sguardo di Sabrina lo imbarazzava e a reggerlo il cuore gli batteva con inspiegabile forza nel petto.

"Ti ho portato qualcosa da mangiare da un bar qui vicino" esclamò lei per sciogliere la tensione "il cibo dell'ospedale non è un granché e tu non mangi da stanotte".

Dopodiché estrasse un panino dal suo zainetto e glielo porse.

Per un momento le loro mani si sfiorarono.

Entrambi furono percorsi da un brivido di emozione ed interruppero rapidamente il contatto.

"È al prosciutto e formaggio, spero che ti piaccia" disse intrecciando le mani dietro la schiena e ballonzolando nervosamente da un piede all'altro.

"Grazie, è stato un pensiero gentile da parte tua. Non ho idea dei miei gusti, quindi direi che il modo migliore per scoprire se mi piace o no sia assaggiarlo" rispose lui sorridendo per poi dare un bel morso al panino.

Sabrina lo fissava in trepidante attesa come se avesse preparato lei stessa il panino e lo stesse sottoponendo al giudizio di un grande critico di cucina.

Il ragazzo masticò con calma e poi alzò lo sguardo verso di lei.

"È molto buono, mi piace!" affermò allegramente, interrompendo però subito il contatto visivo.

Gli occhi di lei si illuminarono per la soddisfazione ed il sollievo.

"Meno male! Sono proprio contenta che ti piaccia" esultò saltellando sul posto come una bambina.

Il ragazzo le sorrise nuovamente, sempre in quel modo insicuro e imbarazzato.

Detto questo lei rimase in silenzio osservandolo mentre mangiava.

"Che stupida!" strillò con voce acuta senza alcun preavviso.

Al ragazzo andò di traverso un pezzo di pane dallo spavento e si ritrovò a tossire convulsamente.

Sabrina accorse subito al suo fianco e iniziò a battergli con la mano dietro la schiena, producendosi anche in mille richieste di scusa.

Quando lui si sentì meglio si voltò verso di lei guardandolo sorpreso.

"Si può sapere cosa ti è preso? Perché dal nulla hai strillato a quel modo? E soprattutto perché ti sei data della stupida?" le domandò con il fiato corto.

Era più stupito che arrabbiato per quel suo strano gesto.

Sabrina, tremendamente rossa in volto, spiegò il motivo della sua uscita improvvisa.

"Mi sono ricordata che non mi sono nemmeno presentata...mi chiamo Sabrina" disse imbarazzata tendendogli la mano.

La ragazza gli era molto vicina ed il suo cuore stava accelerando, sicuramente non più a causa del quasi soffocamento di pochi istanti prima.

"Molto piacere Sabrina, scusami se non rispondo dicendoti il mio nome, ma al momento non me lo ricordo" riuscì a scherzare lui.

Dopo questa battuta le strinse la mano e per la prima volta i due si lasciarono andare a una risata di cuore.

"Finché non te lo sarai ricordato, ti posso dare un nome io?" domandò lei sedendosi sulla poltrona.

Lui rimase spiazzato da questa strana proposta, ma le indirizzò comunque un altro sorriso.

"Sarà sicuramente meglio di essere chiamato 'ragazzo', 'paziente' o 'giovane'" constatò malinconicamente lui " che nome avevi in mente?".

"Beh...siccome tu mi hai salvato anche a rischio della vita, hai dimostrato di avere lo stesso coraggio degli eroi dei fumetti: batman,spiderman, superman...quindi pensavo di chiamarti Hero" gli spiegò mentre il suo volto si tingeva nuovamente di rosso.

A lui piaceva il modo in cui quel rossore valorizzava il suo viso.

"Sei troppo gentile..." si schermì lui non riuscendo a fare a meno di arrossire a sua volta "comunque si, ci sto! Mi piace questo nome".

Dicendo ciò le sorrise nuovamente, sorriso che lei ricambiò.

Ad interrompere quel momento gioioso ci pensò l'infermiera.

"L'orario delle visite è terminato e il paziente deve riposare" dichiarò con voce meccanica entrando nella stanza "lei signorina è stata dimessa oggi pomeriggio, quindi può tornare a casa".

Dietro di lei apparve un poliziotto in borghese che si rivolse a sua volta alla ragazza.

"Sono l'agente Dofo" si presentò cordialmente "l'ispettore Tarri mi ha affidato l'incarico di accompagnarla a casa e controllare che sia tutto a posto".

Al ragazzo, Hero come aveva deciso di chiamarlo lei, mancò per un attimo il respiro ed il suo sguardo divenne di colpo inquieto.

In quei pochi minuti nei quali la giovane era rimasta a parlare con lui si era sentito meno triste e soprattutto era riuscito a scordarsi temporaneamente della sua frustrante condizione.

A Sabrina non sfuggì la sua reazione e capì cosa l'aveva provocata.

Hero aveva bisogno di lei in quel momento.

'Lui non ha esitato a correre in mio aiuto, quindi è giusto che io non lo abbandoni quando è lui ad essere in difficoltà' pensò colma di riconoscenza.

"Vorrei rimanere qui con lui questa notte" affermò con fermezza voltandosi verso l'infermiera e il poliziotto "sono l'unica persona che conosce in questo momento, quindi starò con lui finché non sarete riusciti a trovare qualche suo parente o amico".

Il tono della sua voce era risultato più perentorio di quanto volesse, ma ottenne il risultato desiderato.

"Informerò l'ispettor Tarri, ma non credo che ci siano problemi" acconsentì l'agente con una scrollata di spalle "il piantone qui fuori baderà ad entrambi e io potrò tornare prima a casa".

Sabrina lo ringraziò con un sorriso e poi rivolse lo sguardo verso l'infermiera.

A quel punto serviva soltanto la sua approvazione perché potesse restare.

"Credo che in questa particolare circostanza potremo fare un'eccezione" accettò infine la donna dopo aver riflettuto alcuni secondi "le porterò delle coperte, ma si dovrà accontentare della poltrona".

"Va bene! Non c'è alcun problema!" esclamò Sabrina entusiasta.

Nel suo volto il ragazzo lesse una gioia sincera e ne fu molto onorato.

Tuttavia si sentì improvvisamente in imbarazzo per essersi mostrato così bisognoso della sua presenza.

"Non c'è bisogno che tu stia qui stanotte, davvero" si rivolse timidamente a lei con il suo solito sguardo imbarazzato "per di più starai scomoda sulla poltrona".

Lei lo guardò con grande tenerezza.

Era colpita dalla sua generosità e gentilezza ogni minuto di più che passavano insieme.

Inoltre le piaceva il fatto che arrossisse così spesso e per così poco.

Era abituata a ricevere soltanto sguardi lascivi e maliziosi dagli uomini, sia al lavoro che nella vita di tutti i giorni, quindi la timidezza di Hero era qualcosa di piacevolmente nuovo per lei.

Era convinta che fosse un segno di innocenza e purezza.

'È improbabile che una persona cattiva arrossisca...' rifletté tra sé e sé.

"Non ti preoccupare, non sarà un problema per me, ho dormito su superfici molto più scomode di questa poltrona" lo tranquillizzò elargendogli uno dei suoi sorrisi più dolci.

'Poi ho paura di tornare a casa mia e dormire da sola...' concluse soltanto nella sua testa.

"Allora grazie, sarà un piacere averti ospite nella mia stanza" rispose lui sorridendole a sua volta.

L'infermiera rientrò con le coperte per la ragazza e l'antidolorifico che avrebbe permesso al ragazzo di dormire in pace, limitando le fitte di dolore che periodicamente lo colpivano.

Dopo l'iniezione infatti lui si sentì subito meglio.

Era un po' stordito, ma decisamente rilassato.

La ragazza si sistemò alla bene meglio sulla poltrona, con le ginocchia contro il petto, e si coprì.

Lui la osservò per un attimo, con lo sguardo che iniziava ad essere poco lucido a causa degli effetti dell'analgesico.

"Scusami, ma credo che per stasera non sarò di gran compagnia" borbottò non riuscendo a trattenere uno sbadiglio"sto per addormentarmi, questo farmaco è molto efficace".

"Stai tranquillo, potremo parlare domani, ora riposati" lo rassicurò pacatamente "tanto anche io fra un po' crollerò. Buonanotte Hero".

"Buonanotte Sabrina" farfugliò con le palpebre già socchiuse "grazie per essere rimasta con me...".

Detto questo si addormentò.

"Grazie a te...di tutto" rispose lei pur sapendo che non poteva sentirla.

Provava un profondo senso di gratitudine, ma non era soltanto quello a legarla al ragazzo.

Era colpita, chiaramente in senso positivo, dalla sua timidezza, dai suoi modi gentili, dalla sua generosità e dalla sua umiltà.

Qualsiasi altra persona al posto suo avrebbe ritenuto un obbligo, da parte della ragazza, il restare in sua compagnia, dopo ciò che aveva fatto per lei.

Ma lui no.

Non si era aspettato nulla da lei e si era mostrato sinceramente emozionato dalla sua decisione di passare la notte lì con lui.

Al di là di ciò che aveva fatto per lei quella notte, lo riteneva un ragazzo speciale.

Non aveva mai incontrato qualcuno come lui prima d'ora.

Quei pensieri le fecero all'improvviso ricordare che entro un'ora sarebbe iniziato il suo turno al Dreamland.

Il suo capo non sapeva nulla di ciò che le era accaduto la notte precedente e l'avrebbe sicuramente licenziata se lei non lo avesse subito chiamato per giustificare la sua assenza.

In ogni caso non aveva intenzione di andare a lavorare quella sera.

Dopo ciò che le era successo, la sola idea di essere molestata tutta la nottata dai clienti, in particolare da quel Giovanni, le dava la nausea.

Inoltre aveva promesso a Hero che sarebbe rimasta al suo fianco.

Come avrebbe reagito non trovandola nella stanza al suo risveglio il mattino seguente?

'Sicuramente la prenderebbe male, anche io me la prenderei al suo posto' si rispose da sola a quel quesito.

Però non poteva perdere quel lavoro.

Per quanto fosse degradante e poco redditizio, le permetteva comunque di non finire sulla strada.

Il proprietario del locale era una persona tutt'altro che comprensiva e trattava le ragazze alla stregua di schiave.

Forse nemmeno raccontare ciò che le era successo lo avrebbe convinto a concederle una serata di riposo.

"Sono i rischi del mestiere, te la sarai sicuramente andata a cercare" le avrebbe gridato dietro.

Era tanto disgustante moralmente quanto fisicamente.

Due occhietti insignificanti di un nero scuro che si perdevano in quel suo faccione tondo, caratterizzato da un enorme naso a patata e sostenuto da una pappagorgia altrettanto imponente.

Era piccolo di statura, ma aveva una pancia gigantesca che sembrava sul punto di esplodere.

In compenso le gambe erano due stecchi, il che faceva domandare a tutti quelli che lo incontravano come potessero sorreggere il peso della sua enorme pancia.

Pensò e ripensò a come riuscire ad ottenere la serata libera senza perdere il lavoro e poi ad un tratto le venne l'illuminazione.

Gli avrebbe raccontato tutto e poi gli avrebbe detto che per quella sera la polizia aveva insistito per assegnarle una scorta.

Se si fosse presentata al lavoro con degli agenti che l'aspettavano fuori dal locale, sicuramente molti clienti non sarebbero entrati.

Per non parlare poi dei servizi particolari che alcune ragazze riservavano all'interno del Dreamland, ben poco legali.

Il rischio che i poliziotti scoprissero quelle attività tutt'altro che lecite sarebbe stato troppo alto.

La sera successiva non avrebbe avuto più la scorta e così sarebbe tornata regolarmente al lavoro.

Si, era il piano migliore.

Si alzò silenziosamente dalla poltrona per non disturbare Hero, prese il cellulare dallo zainetto e uscì dalla stanza per telefonare.

La sua storia funzionò ed ottenne il permesso di tornare al lavoro la sera dopo, ma con la paga dimezzata per quel turno.

A malincuore dovette accettare.

'Quell'uomo è proprio senza cuore' pensò sconcertata.

Tornò piena di rabbia nella stanza, ma la vista del ragazzo che dormiva gliela fece passare.

Aveva potuto mantenere la promessa che gli aveva fatto e non aveva perso il lavoro.

Era meglio focalizzare l'attenzione su questi aspetti positivi della situazione.

Si risistemò sulla poltrona, facendo sempre attenzione a non fare rumore, e dopo poco si addormentò a sua volta.

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Capitolo 5
*** Sentimenti inspiegabili ***


Nel cuore della notte Hero fu svegliato da un tremendo incubo che terminava con un suono assordante.

 ‘Un colpo di pistola’ ipotizzò ancora mezzo stordito. 

Forse aveva sognato lo scontro con l’aggressore di Sabrina, quello che la sua mente aveva rimosso, ma non ricordava già più nulla. 

Era tutto sudato e aveva il fiato corto, come se avesse appena smesso di combattere con qualcuno.

 Si girò e vide Sabrina che dormiva tutta rannicchiata sulla poltrona. 

Stava scomoda, si capiva dall’espressione contratta sul suo volto. 

Si mise ad osservarla e non poté fare a meno di ammirarne la bellezza.

I lineamenti del suo viso erano molto graziosi.

Il mento sfuggente, il naso piccolino e con la punta leggermente all’insù, le labbra sottili e rosee.

Aveva dei lunghi capelli castano chiaro che le arrivavano fino alle spalle, leggermente mossi, con un piccola frangia che le copriva la fronte e finiva parzialmente sugli occhi. 

Già, i suoi occhi. 

Anche se ora non li poteva vedere, se li ricordava benissimo. 

Azzurri come il cielo, pieni di vita e assolutamente magnetici. 

Sentiva che a fissarli troppo si sarebbe perso al loro interno. 

Per questo motivo distoglieva lo sguardo dopo breve tempo, ma poi si ritrovava sempre a ricercarli, in un gioco continuo.

 Erano semplicemente stupendi per lui. 

La prima cosa che aveva notato di lei e quella che continuava a piacergli da morire.

 La conosceva da poche ore eppure si sentiva già profondamente legato a lei. 

Non si ricordava di aver provato nulla di simile in vita sua per un’altra persona, ma forse era anche colpa dell’amnesia che gli aveva azzerato la memoria. 

Sentiva che non avrebbe potuto trovare gioia maggiore nella vita che stando al suo fianco, proteggendola e…amandola.

'Posso essermi innamorato di una ragazza nel giro di poche ore? Senza sapere altro su di lei oltre al suo nome?’ pensò non smettendo di osservarla ‘so solo che sono felice di averla qui con me in questo momento’. 

Mentre era immerso nei suoi pensieri, la ragazza scivolò sulla poltrona, ritrovandosi in una posizione talmente innaturale da non credere che riuscisse ancora a dormire. 

Aveva un braccio dietro il collo, l’altro che sporgeva pericolosamente, insieme alla testa, verso il pavimento.

 Una gamba superava la poltrona e l’altra poggiava a terra. 

A quel punto, per paura che potesse crollare al suolo da un momento all’altro e anche per senso della cavalleria, decise di intervenire. 

Scese dal letto, le si avvicinò silenziosamente e la sollevò con delicatezza. 

Non pesava molto e tra le sue braccia appariva ancora più piccola.

 La adagiò prudentemente sul materasso e la coprì meglio che poté, facendo attenzione a non svegliarla. 

A quel punto si fermò a contemplare ancora una volta quel viso che gli faceva battere così forte il cuore. 

Dopo aver passato alcuni minuti così, prese il suo posto sulla poltrona.

Cercò di non pensare al suo brutto sogno e di dormire ancora un po’, ma la scomodità della sua nuova sistemazione non lo aiutò. 

Così rimase seduto in silenzio sotto le coperte, aspettando che la notte terminasse.

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Capitolo 6
*** Le prime indagini ***


Al suo risveglio Sabrina si ritrovò sdraiata nel letto e non su quella scomoda poltrona dove si ricordava di essersi addormentata. 

Si girò di lato e vide Hero posizionato alla bene meglio sulla poltrona, con le coperte cadute per terra. 

Dormiva ancora e perciò, malgrado volesse chiedergli spiegazioni su quel cambio di posizione notturno senza il suo consenso, decise di non svegliarlo. 

Si limitò ad alzarsi, raccogliere le coperte e sistemargliele delicatamente addosso. 

Mentre gli stava avvolgendo la coperta intorno alle spalle, si fermò ad osservare il suo viso da vicino. 

Era intenta a studiare i suoi lineamenti, quando lui spalancò improvvisamente gli occhi. 

La spaventò talmente tanto che le sfuggì un urlo acuto.

 Si tappò subito la bocca con la mano, ma ormai il danno era fatto. 

“Che ti prende? Perché hai urlato così? Mi vuoi far venire un infarto?” domandò Hero sussultando sulla poltrona “e soprattutto perché mi stai ad un palmo dal naso mentre dormo?”. 

Soltanto allora Sabrina si rese conto che i loro visi erano vicinissimi, a pochi centimetri l'uno dall'altro, e si ritrasse con il volto paonazzo per la vergogna.

 “Non stavo facendo niente di strano, credimi!” si affrettò a spiegare “avevi fatto cadere le coperte e allora per non farti prendere freddo volevo coprirti”. 

“Ah ok…allora ti ringrazio” rispose Hero grattandosi la testa nervosamente. 

Anche lui era diventato tremendamente rosso vedendo il viso di lei così vicino al suo. 

“Piuttosto tu spiegami perché io mi sono risvegliata nel tuo letto, mentre tu stavi sulla poltrona…sbaglio o ieri sera eravamo sistemati esattamente al contrario?” lo interrogò Sabrina superato l’imbarazzo. 

Ora stava appoggiata al letto, con le braccia incrociate e lo fissava in attesa della sua risposta.

 Lui si raddrizzò sulla poltrona, abbassando le coperte e iniziò la sua ‘difesa’. 

"Questa notte mi sono svegliato a causa di un brutto sogno e ti ho vista seduta sulla poltrona in una posizione a dir poco scomoda. Stavi quasi per cadere sul pavimento e allora mi sono alzato, ti ho presa in braccio” dicendo queste parole distolse per un secondo lo sguardo da lei, evidentemente in imbarazzo, e poi riprese a parlare “e ti ho messa a letto. 
Non mi sembrava carino farti dormire sulla poltrona mentre io me ne stavo comodamente sdraiato su quel materasso”. 

Sentendo quelle parole la ragazza distese le braccia sui fianchi, abbandonò la sua espressione severa e accennò un sorriso. 

"Tu sei davvero uscito da qualche libro o fumetto di eroi e cavalieri, non sembri neanche vero tanto sei gentile” osservò ammirata “grazie per il gesto, ma non avresti dovuto. Sei tu quello che deve rimettersi in sesto, non io”.

 Avvertendo che ormai la tensione del brusco risveglio era svanita, Hero decise di scherzare sull’accaduto.

“Allora mi posso ritenere perdonato per averti trasportata mentre eri incosciente?” domandò con aria guasconica. 

“Si, direi di si…ma non farci l’abitudine, chiaro?” rispose Sabrina lasciandosi andare ad una risata assieme a lui.

 Poco dopo qualcuno bussò alla porta e i due si scambiarono rapidamente di posto. 

Pensavano entrambi che si trattasse dell’infermiera ed intendevano evitare le sue prediche. 

Appena Hero fu sotto le coperte, e Sabrina seduta sulla poltrona, lui invitò la persona all’esterno ad entrare. 

Alla porta però non si palesò l’infermiera come si aspettavano, bensì l’ispettor Tarri. 

“Buongiorno Sabrina” esordì con un ampio sorriso rivolto alla ragazza “buongiorno anche a te smemorato”. 

Guardando Hero il suo sorriso era svanito, sostituito da un’espressione di disprezzo. 

Sabrina lanciò un’occhiataccia all’uomo e poi uno sguardo apprensivo verso Hero, per vedere se si fosse, giustamente, offeso per quella presa in giro. 

Lui, sentendosi osservato, cercò di non dare a vedere quanto la rabbia gli stesse crescendo dentro. 

L’ispettore aveva il fastidioso potere di farlo innervosire, tanto quanto Sabrina aveva quello di rasserenarlo.

 Con un tono di voce che voleva essere il più neutrale possibile rispose al saluto. 

“Buongiorno a lei ispettor…” fece una pausa e poi continuò “mi scusi ma non ricordo il suo cognome”. 

Nell’ultima frase aveva lasciato trapelare di proposito una vena ironica, cosa che non sfuggì a Sabrina, che sorrise sommessamente, e all’ispettore, che stette al gioco. 

“Tarri, ispettor Tarri. Vedo che ci siamo svegliati di ottimo umore oggi, eh? Sono sicuro che la compagnia di una bella ragazza come Sabrina abbia contribuito e non poco a ciò” affermò guardandola maliziosamente. 

Hero provò una tremenda fitta di gelosia mista a rabbia. 

Avrebbe volentieri preso a pugni quell’arrogante affinché smettesse di guardarla così.

 “Ci sono novità? Avete trovato quell’uomo?” intervenne Sabrina interrompendo quel momento di tensione. 

Gli fece quelle domande perché voleva realmente essere aggiornata sull’andamento delle indagini, ma anche perché aveva notato il cambiamento di espressione in Hero. 

Temeva che di lì a poco avrebbe risposto male all’ispettore se quello scambio di provocazioni fosse continuato. 

I due sembravano non sopportarsi, anche se lei non ne capiva il motivo. 

“Giusto! Sono qui proprio per questo, vi devo aggiornare sugli ultimi sviluppi, se di sviluppi si può parlare” borbottò mestamente l’ispettore. 

Prese una sedia dall’angolo della stanza e si accomodò vicino a Sabrina prima di riprendere a parlare.

Così facendo si guadagnò un altro sguardo assassino da parte di Hero. 

“La scientifica ha ritrovato del sangue per le scale del palazzo in cui ti abbiamo trovata. Il DNA non corrisponde a quello del nostro caro ragazzo con qualche rotella fuori posto. Quindi presumo che sia dell’uomo che ti ha rapita”. 

Hero non fece caso all’ennesima frecciatina dell’ispettore e si limitò a sbuffare.

 Sabrina d'altra parte era davvero presa dalle sue parole, sperando di ricevere buone notizie. 

“Il qui presente giovanotto deve aver restituito il favore all’uomo col passamontagna, ferendolo. Abbiamo inserito il suo DNA nella banca dati senza alcun riscontro, evidentemente non ha precedenti" continuò a spiegare guardando soltanto la ragazza “allora ho mandato tutti gli uomini a mia disposizione nei vari ospedali della città per vedere se si fosse presentato qualcuno con una ferita d’arma da fuoco, ma niente. Quel pervertito è furbo, si sarà fatto curare da qualche medico compiacente, evitando il pronto soccorso”. 

Il viso di Sabrina si incupì ascoltando le parole dell’ispettore e anche Hero fece una smorfia di disappunto. 

"Nonostante gli scarsi risultati, non mi sono dato per vinto. Ho fatto un salto al locale in cui lavori, il Dreamland, e ho fatto un po’ di domande ai clienti” riprese a parlare Tarri dopo una breve pausa “c’è da dire che ho trovato molti depravati, dopotutto che tipo di persone può frequentare un posto del genere? Tuttavia in quel casino non mi sono potuto fare un’idea chiara dei soggetti, ho preso le loro generalità e procederò ad interrogarli oggi stesso. Farò particolare attenzione a quel Giovanni, come mi avevi chiesto tu. Inoltre mi sono fatto consegnare dal proprietario le registrazioni delle telecamere al di fuori del locale, per osservare se ci sono stati movimenti sospetti alla tua uscita la sera dell’aggressione. Era molto reticente a collaborare, ma l’ho convinto minacciandolo di tornare sul posto le sere successive e fare qualche indagine approfondita sui suoi loschi giri”. 

La ragazza era scura in volto. 

Ora era certa che il suo capo l’avrebbe licenziata per tutti i guai che gli aveva procurato.

 Il licenziamento in realtà sarebbe stato il minore dei mali conoscendo le tendenze violente di Mr Orfeo. 

“Per quanto riguarda i tre ragazzi che mi hanno aggredita? La descrizione che ho fornito è stata utile?” domandò cercando di non pensare alle conseguenze che l’attendevano.

 “Li stiamo ancora cercando” rispose lui con accondiscendenza “non appena avrò novità ti contatterò”. 

Sabrina scosse la testa in preda allo sconforto. 

“Ho parlato con il medico e mi ha detto che oggi potrebbero dimetterti” dichiarò Tarri volgendo lo sguardo su Hero per la prima volta da quando aveva iniziato ad aggiornarli sulle indagini “solo che tu non ricordi ancora nulla sul tuo passato e non avevi documenti con te. Perciò non hai un posto dove andare. La soluzione che ha proposto il tuo dottore è di mandarti in una casa di cura, dove potranno aiutarti a recuperare la memoria”.

 Detto ciò tornò a rivolgersi a Sabrina. 

“Tu invece potrai andare a casa. Finché non avremo trovato quel criminale, lascerò un uomo davanti a casa tua per controllare che non si ripresenti. Dopotutto è lì che ti ha presa, sa dove abiti”.

 La ragazza rabbrividì a quel pensiero.  

Con la coda dell’occhio si accorse che qualcosa non andava in Hero.

 Si voltò verso di lui per osservarlo meglio e vide che aveva un’aria triste e agitata. 

Alle parole dell’ispettore, che lo condannavano di fatto a separarsi da Sabrina, gli era mancato il respiro, come se qualcuno gli avesse tirato un pugno dritto nello stomaco.

 Non voleva starle lontano. 

Lei aveva la capacità di calmarlo e di non fargli pensare troppo al vuoto assoluto che albergava nella sua mente. 

In parole povere lo faceva stare bene. 

La ragazza interpretò alla perfezione i pensieri di Hero. 

Non sapeva perché, ma era come un libro aperto per lei. 

Non poteva nemmeno pensare di lasciare che lo rinchiudessero in una casa di cura. 

Era un ragazzo normalissimo, semplicemente era senza memoria. 

In quei posti venivano ospitate persone con seri disturbi mentali, non era adatto a lui. 

Inoltre, sebbene non volesse ammetterlo apertamente, si sentiva legata a lui e le dava un senso di sicurezza di cui aveva dannatamente bisogno dopo l’esperienza che aveva vissuto. 

“Posso ospitarlo a casa mia! Non è spaziosa ma dove dorme una persona possono dormirne anche due, e lo stesso vale per il mangiare” propose con convinzione “sarà certamente meglio che stare in mezzo ai pazzi, tu che ne pensi Hero?”. 

"Hero? Si chiama così? Cos’è? Americano o inglese?” chiese l’ispettore con un’espressione stranita. 

Al ché la ragazza, non senza un certo imbarazzo, gli spiegò l’origine del nome. 

Tarri la guardò perplesso. 

Era evidente che Sabrina gli piacesse e perciò non era contento del legame che pareva essersi instaurato tra i due giovani. 

“Ne dovrete parlare con il medico. Per me non ci sono problemi, anzi, significa un uomo in meno da impiegare per proteggervi” accettò con una riluttanza mal celata. 

Sabrina lo ringraziò calorosamente e anche Hero, suo malgrado, gli rivolse uno sguardo riconoscente. 

A quel punto l’ispettore si alzò, strinse la mano a Sabrina, fece un cenno del capo a Hero e si diresse all’uscita. 

“Dite al piantone qui davanti quale sarà la vostra destinazione, lui saprà cosa fare in entrambi i casi. Verrò a trovarvi presto”. 

Aveva già aperto la porta quando si girò di scatto.

 “Quasi dimenticavo! Devo farti una foto ragazzo senza identità, così la potremo mostrare in giro e vedere se qualcuno ti riconosce. Guarda qui”. 

Tirò fuori il cellulare e scattò la foto. 

"Mmm…non sei venuto molto bene, ma non credo sia colpa del fotografo” commentò sarcasticamente esaminando la foto. 

Hero strinse con forza tra le mani le lenzuola per sfogare la frustrazione. 

"Ora me ne vado veramente, buona giornata!” concluse abbandonando la stanza. 

Una volta uscito l’ispettore il ragazzo sentì subito la tensione stemperarsi. 

Ripensò alle parole di Sabrina e sentì il cuore riempirsi di gioia. 

Gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono. 

Il viso di Hero era il ritratto della felicità e lei non poté fare a meno di sorridergli.  

“Perché mi guardi così?” domandò incerta. 

“Perché? Perché ti sei offerta di ospitarmi a casa tua per non farmi finire in casa di cura…è stato un gesto molto gentile” rispose lui con un’espressione riconoscente “te ne sono davvero grato…”. 

"Non ho fatto nulla di speciale” si schermì lei arrossendo leggermente “mi sembra il minimo visto che mi hai salvata…”. 

“Chiunque avrebbe agito così di fronte a quella situazione…” considerò sinceramente convinto Hero.

“Credimi, la maggioranza delle persone evita le  situazioni che possono metterli nei guai, non ci si getta a capofitto rischiando la vita per una sconosciuta come hai fatto tu” gli spiegò con un velo di rancore nella voce. 

“E non tutte le persone che vengono aiutate ricambiano il favore così generosamente come stai facendo tu” ricambiò l’apprezzamento Hero. 

“Hai ragione, siamo due eccezioni che confermano la regola!” constatò Sabrina sorridendo affabilmente. 

"Ora vado a cercare il dottore per fargli la mia controproposta, speriamo in bene. Incrocia le dita per me. A tra poco Hero!” esclamò alzandosi e saltellando allegramente verso la porta. 

“A dopo Sabrina. Sono sicuro che lo convincerai!” la incoraggiò con entusiasmo lui.

 “Fidati di me” lo rassicurò facendogli l’occhiolino. 

Detto ciò lasciò la stanza per andare a compiere la sua ‘missione’.

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


Dopo una mezz’oretta la porta della stanza si aprì. 

Il dottore fece il suo ingresso, seguito a ruota da Sabrina.

 “Buongiorno Dottor Salis” lo salutò Hero sistemandosi meglio nel letto.

 “Buongiorno ragazzo” rispose cordialmente lui “questa signorina mi ha detto che lei è reticente ad andare nella casa di cura, preferendo alloggiare con lei, è la verità?”. 

“In effetti è così, se fosse possibile preferirei restare con lei” confermò imbarazzato. 

“Va bene, acconsentirò a farla andare con questa gentile ragazza, ma ad una condizione. Voglio che si presenti dalla psicologa per la terapia una volta a settimana. Potrebbe funzionare come no, ma tentar non nuoce. Siamo d’accordo ragazzo?” gli domandò lasciando intendere che non avrebbe accettato un no come risposta. 

“Certamente! Non mancherò neanche una seduta!” accettò immediatamente Hero. 

Lo sguardo severo del dottore lasciò spazio ad un sorriso gentile. 

“Perfetto, allora siamo d’accordo” concluse l’uomo stringendogli la mano “può andare quando se la sente”. 

Prima di congedarsi, gli ricordò di presentarsi dall’infermiera a compilare i moduli per la dimissione. 

Inoltre gli consegnò un bigliettino con il nome della sua terapista, il luogo, le date e gli orari degli incontri.

 “Ci sei riuscita allora, complimenti!” disse allegramente a Sabrina una volta che furono rimasti da soli. 

La ragazza aveva un’aria molto soddisfatta e fiera di sé. 

"Avevi forse dei dubbi? Te lo avevo promesso” gli rispose con un sorriso compiaciuto stampato sul viso. 

“Chiedo venia, non ti conosco ancora abbastanza evidentemente” si giustificò lui stando al gioco. 

“Sei perdonato per il momento” disse con un tono scherzosamente altezzoso “la nostra convivenza ti sarà utile a conoscermi meglio”.

 “Lo spero…” sussurrò a bassa voce Hero senza che lei lo sentisse. 

Si trovava già dalla parte opposta della stanza, intenta a preparare il suo zaino per la partenza. 

Una volta sistemate le sue cose, recuperò i vestiti di Hero che erano appoggiati su una sedia contro il muro e si fermò a fissarli inorridita.

 Sia la maglia che i pantaloni erano macchiati del sangue sgorgato dalla ferita alla testa del ragazzo. 

Vederlo così all’improvviso la riportò suo malgrado a quella notte. 

Non ricordò soltanto la paura per lo stupro, ma anche quella provata quando aveva temuto che lui morisse. 

Sperò di non dover rivivere mai più momenti tanto terribili. 

“Sono sporchi, ma appena arriveremo a casa te li laverò, promesso!” affermò con brio cercando di celare il suo turbamento interiore. 

Gli porse gli abiti e, senza un particolare motivo, rimase a osservarlo.

 “So che a breve vivremo sotto lo stesso tetto, ma non me la sento di cambiarmi con te che mi fissi così” disse lui con un filo di voce guardandola imbarazzato. 

Il viso di Sabrina avvampò per la vergogna. 

"Non ci avevo pensato, scusami! Vestiti pure” borbottò nervosamente girando in un lampo su se stessa. 

Lui si vestì rapidamente e non appena ebbe finito l’avvertì. 

Quando Sabrina si voltò per guardarlo rimase senza fiato e con lo sguardo fisso su Hero. 

Il vederlo con gli stessi abiti che aveva la notte dell’aggressione la costrinse a rivivere nuovamente quei drammatici istanti. 

L’arrivo del ragazzo, la colluttazione con l’aggressore mascherato e quegli spaventosi spari. 

Il ritorno di Hero nella stanza era stato l’unico breve momento bello di quella  orribile notte. 

Infatti subito dopo il suo salvatore aveva dato i primi segni della sua amnesia, che in quel momento lei aveva scambiato per semplice confusione. 

Ripensando a come lo aveva trattato male in preda all’agitazione, provava ancora vergogna. 

Quando era svenuto aveva sentito crollarle il mondo addosso.

 Non poteva fare a meno di lui, anche se non si sapeva ancora spiegare perché. 

L’arrivo dei soccorsi e l’angosciante corsa in ospedale conclusero quel suo indesiderato viaggio nei ricordi. 

"Che ti succede Sabrina? Non ti senti bene?” le domandò con voce preoccupata Hero riportandola alla realtà. 

Sembrava che avesse visto un fantasma dal modo in cui lo fissava sconvolta. 

“No niente, è che vederti con quei vestiti addosso mi ha fatto ripensare a quella notte…” ammise con sincerità lei. 

"Oh, mi spiace. Non era mia intenzione turbarti” si scusò lui con un velo di agitazione. 

Sabrina, che ormai si era ripresa completamente da quel momento di smarrimento, lo rassicurò con amorevolezza. 

“Tu non hai colpe, davvero! Stai tranquillo. Ora andiamo, prima compilerai tutti i moduli e prima saremo fuori da quest’ospedale. Non è un bel posto in cui passare il tempo, non credi?” osservò ironicamente.

“Hai ragione, non è proprio il massimo” rispose Hero lasciandosi sfuggire un sorriso che Sabrina ricambiò subito. 

I due uscirono dalla stanza, avvisarono il poliziotto di guardia che stavano per lasciare l’ospedale e si diressero verso la segreteria del reparto.

 La compilazione dei moduli necessari per rendere ufficiale le dimissioni fu inaspettatamente breve.

 In quasi tutti i documenti erano richiesti dati anagrafici ed Hero non era in grado di fornirli. 

Quindi bastarono un paio di firme e i due furono liberi di andare a casa.

 Non sapendo nemmeno il suo nome, firmò con il nomignolo assegnatogli da Sabrina, Hero. 

L’infermiera, non essendo preparata ad occuparsi di un paziente senza memoria, accettò quella soluzione alternativa. 

L’agente li condusse alla sua macchina, si fece dare l’indirizzo dell’appartamento di Sabrina e li accompagnò a destinazione.

 Durante il viaggio lei notò che Hero era particolarmente silenzioso e meditabondo, intento ad osservare la città che scorreva sotto i suoi occhi attraverso il finestrino senza realmente vedere nulla. 

Decise di lasciarlo ai suoi pensieri, probabilmente ne aveva bisogno. 

Lei d’altra parte era molto emozionata all’idea della loro convivenza. 

Non aveva mai vissuto con qualcuno, almeno per sua scelta, mentre questa volta era stata lei a volerlo. 

Si interrogò su cosa si potesse provare a non essere più sola e molti pensieri positivi le affollarono la mente. 

Una volta arrivati davanti al portone di casa, il poliziotto li lasciò consegnando ad entrambi dei biglietti con su scritti due numeri di telefono da chiamare in caso di pericolo. 

Il primo era dell’agente che avrebbe controllato la casa e il secondo dell’ispettor Tarri. 

Leggendo il nome di quest’ultimo Hero provò un certo fastidio che trasparì da una smorfia sul suo viso, ma per fortuna né Sabrina né l’uomo notarono. 

‘Spero proprio di non aver bisogno del suo aiuto, non vorrei proprio essere costretto a ringraziarlo’ rimuginò tra sé e sé.

Salutarono l’agente, esprimendo gratitudine per il passaggio, dopodiché lei lo guidò al suo alloggio. 

Il portone si apriva su un ampio cortile interno interamente coperto di cemento, privo di qualsiasi pianta o decorazione.

 Tutt’intorno vi erano le facciate dei palazzi che costituivano un unico condominio. 

L’appartamento di Sabrina si trovava al terzo piano, ma l’ascensore era rotto, così i due dovettero prendere le scale. 

“Non funziona da quando mi sono trasferita qui sei mesi fa e non credo che lo aggiusteranno mai” lo informò lei inforcando la prima rampa. 

Una volta arrivati sul pianerottolo infilò la chiave nella serratura, ma prima di aprire la porta ruotò su se stessa per  bloccare l’ingresso ad Hero. 

Questo gesto lo sorprese alquanto e la guardò perplesso.

 “Senti…non ricordò in che condizioni ho lasciato la casa l’ultima volta che sono uscita…se mi dai due minuti entro e controllo che non ci sia troppo disordine, ok? Non voglio darti una cattiva impressione" gli spiegò sorridendo nervosamente. 

“Certo, nessun problema. Per un attimo ho pensato che avessi cambiato idea e che mi volessi lasciare qui sull’uscio” confessò lui passandosi una mano tra i capelli e sorridendo per il sollievo. 

“Ma che ti viene in mente Hero! Non mi rimangerei mai la parola data!” lo rassicurò amabilmente “faccio in un lampo, promesso”. 

Detto questo sparì rapidamente dietro la porta e una volta dentro si diede subito da fare.

 Sul letto era appoggiata la roba da vestire che il giorno prima aveva ritirato dallo stendino sul balcone e doveva ancora essere piegata. 

La raccattò e la sistemò senza troppo riguardo nell’armadio.

 Poi nascose i piatti sporchi, i tegami e le posate nell’apposito armadietto per scolarli. 

Solitamente li lavava prima di andare al lavoro, ma quella sera era in ritardo e non ci era riuscita. 

Intanto Hero aspettava pazientemente fuori dalla porta. 

Poteva sentire tutti i rumori provenienti dall’interno che indicavano che la ragazza si stesse dando molto da fare.

 Infine Sabrina diede una sistemata al divano del salottino, la cui copertura era tutta stropicciata. 

Si diresse finalmente alla porta e vi si fermò davanti un secondo per fare un profondo respiro. 

“Eccomi, scusami ancora per averti fatto aspettare…entra pure” lo accolse sorridente aprendo la porta. 

"Non ti preoccupare, ci hai messo pochissimo” la tranquillizzò prontamente lui. 

“Non è granchè…ma è pur sempre qualcosa” osservò sommessamente lei. 

Nonostante Sabrina sminuisse il suo alloggio, Hero non lo trovava affatto male. 

C’era un piccolo ingresso, con un appendiabiti e una scarpiera. 

Sulla destra si trovava un angolo cucina completo e alla sinistra il bagno, che ospitava una vasca corta e stretta.

 Davanti si trovavano due porte. 

Una portava al salotto, che fungeva anche da sala da pranzo. 

Presentava un divanetto, un tavolo con una sola sedia e una grande credenza all’interno della quale trovava posto anche la tv. 

L’altra dava sulla camera da letto, dove l’arredamento era costituito da un materasso ad una piazza e mezza, un comodino, un grande armadio ed una cassettiera. 

Per una persona non era affatto male, ma anche due non si sarebbero potute lamentare troppo.

 Dopo aver fatto il giro della casa Hero espresse il suo parere. 

“Mi sembra davvero carina. Mi piace, non dovresti svalutarla tanto” la rimproverò bonariamente.

 “Sei troppo gentile Hero, il tuo giudizio non è affidabile” osservò Sabrina pacatamente. 

“Lo penso davvero! Credimi!” esclamò lui sulla difensiva. 

“Va bene, va bene! Ti credo! Grazie allora” ritrattò capendo di averlo offeso. 

Così dicendo posò una mano sulla sua. 

Hero rimase senza fiato ed arrossì, cosa che Sabrina non poté fare a meno di notare.

 “Certo che sei proprio timido!” constatò senza cattiveria. 

"Lo so, è una cosa fuori dal mio controllo. Non so perché io arrossisca così spesso e così tanto” replicò lui ancora più in imbarazzo “pensi che sia una cosa sciocca e ridicola per un ragazzo della mia età, vero?”. 

“No, tutt’altro. La trovo molto bella. Credo che dimostri quanto tu sia sensibile. È una qualità rara da trovare in un uomo e personalmente penso che ti renda speciale…” gli spiegò non nascondendo la sua ammirazione.

 Le parole di Sabrina lo rasserenarono all’istante.

 “Grazie” si limitò a dire guardandola con affetto. 

"Di niente. È la verità” si schermì lei timidamente “senti, ho controllato il frigorifero prima e non ho niente da preparare per pranzo. Non c’è più tempo per fare la spesa, quindi ti andrebbe di pranzare fuori? Così quando avremo finito potremmo fare un salto al centro commerciale per prendere da mangiare e comprarti dei vestiti. Non deve essere bello girare con le macchie del proprio sangue addosso”. 

“D’accordo, scusami se ti do tutti questi problemi…” disse a disagio “spero di poter ricambiare il favore in futuro”. 

Sabrina gli si mise davanti, prese le sue mani tra le sue ed iniziò a parlargli in tono serio, ma affettuoso.

 “Ascoltami Hero, tu mi hai salvato da uno stupro, probabilmente la cosa più terribile che possa mai capitare ad una donna. È per questo tuo nobile gesto che hai perso la memoria e ti ritrovi in questa situazione. Ora vorrei renderti il favore, anche se non ci riuscirò mai completamente. È qualcosa che voglio fare perché sento che è giusto così. Quindi ti chiedo di accettare quel poco che ti posso offrire per ripagare il mio debito, senza che tu ti senta a disagio e in dovere di ricambiare, va bene?”. 

Sentendo le mani di Sabrina che tenevano dolcemente le sue, il cuore iniziò a battergli all’impazzata e gli mancò il respiro. 

Aveva una pelle delicatissima e calda, in contrasto con la sua, ruvida e fredda.

 Le sue parole lo commossero profondamente e trattenne a stento le lacrime. 

Non gli piaceva piangere davanti alle persone. 

“Va bene, ma non ti posso promettere che non mi capiterà più di ringraziarti ed esserti grato. Non lo faccio apposta, sono fatto così…però prometto che cercherò di controllarmi” rispose colmo di riconoscenza.

 “Allora affare fatto!” esclamò lei radiosa lasciandogli le mani “andiamo a mangiare! Sono quasi due giorni che non mangiamo un buon pasto!”. 

Cessato quel contatto, il battito cardiaco di Hero tornò lentamente alla normalità. 

Uscirono di casa, con Sabrina che saltellava allegra da uno scalino all’altro. 

Senza alcun preavviso si fermò, rischiando di essere travolta da Hero che la seguiva a breve distanza.

 “Perché ti sei fermata così di colpo? Stavo per finirti addosso e ci saremmo fatti un bel volo. Non ci tengo a tornare così in fretta all’ospedale” commentò ironicamente lui. 

“Mi è venuto in mente che non conosciamo i tuoi gusti, quindi stavo pensando a cosa ti potesse piacere” gli spiegò guardandolo con espressione assorta “hai la faccia da McDonald’s, si, proviamo quello!”.

 “Mi fido del tuo sesto senso femminile! Proviamo” accettò senza problemi Hero.

 I due ripresero a scendere le scale e, una volta fuori dal portone, si diressero alla fermata del bus, per raggiungere il ristorante più vicino. 

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Capitolo 8
*** Un pranzo per conoscersi ***



Il viaggio fu piuttosto silenzioso, come il precedente in auto. 

Hero guardava con attenzione tutti i palazzi, i negozi e le strade, come se cercasse di cogliere qualche ricordo del suo passato attraverso le vie della città. 

Purtroppo questo suo tentativo non portò ad alcun risultato. 

I luoghi che osservava gli sembravano estranei e non portarono nessuna reminescenza del suo passato. 

Era come se non fosse mai stato in quella città. 

Lei si limitò ad osservarlo e vide che aveva un’aria molto frustrata. 

Anche se non glielo avrebbe mai confessato apertamente, per non farla sentire in colpa, la perdita di memoria lo angosciava parecchio.

 Quando incrociava il suo sguardo, cambiava subito espressione, nascondendo la sua tensione. 

Se invece non sapeva di essere visto, dal suo viso trapelava il suo vero stato d’animo. 

Sabrina per un attimo si ritrovò a pensare che non le sarebbe dispiaciuto poi tanto dimenticare il suo passato tutt’altro che felice.

 Ma Hero poteva avere una famiglia che gli voleva bene, degli amici che gli erano affezionati, una fidanzata che lo amava.

 A quell’ultimo pensiero fu colta da un’inspiegabile sensazione di disagio. 

L’idea che lui potesse avere una ragazza la infastidiva, anche se non sapeva il perché. 

L’arrivo alla fermata per il Mcdonald’s interruppe i suoi pensieri.

 “Dobbiamo scendere qui” lo informò con un sorriso. 

“Oh, davvero? Non è poi tanto lontano da casa tua allora” osservò Hero. 

Erano bastati dieci minuti di bus per raggiungere il ristorante. 

“Già, infatti devo spesso resistere alla tentazione di venire qui a mangiare quando non ho voglia di prepararmi i pasti da sola, il che capita fin troppo spesso” confessò lei facendosi una piccola risata.

 Entrarono nel fast food e si misero in coda. 

C’era molta gente, come al solito. 

Mentre aspettavano il loro turno, Hero studiava con attenzione i vari menu e panini disponibili.

 Aveva uno sguardo perplesso e Sabrina se ne accorse. 

“C’è qualcosa che non va? Ti sei ricordato che il Mc non ti piace?” chiese preoccupata. 

"No, tranquilla! Mi ispira molto e sono quasi certo di aver mangiato in posti del genere” la rassicurò prontamente “però non so che panino prendere, tu quale mi consiglieresti?”. 

Sabrina trasse un sospiro di sollievo. 

"Allora, vediamo. A me piace molto il McChicken, ma tu potresti non apprezzare la lattuga. Non so perché ma mi dai l’impressione di non amare le verdure” ragionò a voce alta. 

“Dici? Quindi avrei la faccia da carnivoro o qualcosa del genere?” domandò scherzosamente lui.

 “Si, chiamalo istinto femminile” rispose lei con un sorriso ironico “Perciò ti consiglierei il CrispyMcBacon”. 

“Va bene, mi fiderò del tuo istinto allora” accettò Hero con un sorriso appena accennato. 

Sabrina constatò che sorrideva sempre a quel modo.

 Evidentemente era abituato a sorridere così, con una leggera alzata degli angoli delle labbra, non troppo ampia, lasciando soltanto intravedere i denti. 

"Non ti deluderò, me ne assumo la responsabilità” confermò lei con un solenne cenno del capo.

 Dopo circa cinque minuti di coda, ordinarono i loro menu e si poterono finalmente sedere a mangiare. 

Si sistemarono in un tavolo situato all’angolo del ristorante, lontano dalla confusione delle casse e dall’aria gelida che spirava dalla porta d’ingresso.

 “Buon appetito! E speriamo che il mio sesto senso non abbia fallito miseramente” affermò Sabrina leggermente tesa. 

“Buon appetito! Sono certo che non succederà” la tranquillizzò lui. 

Afferrò il panino con entrambe le mani e ne studiò l’aspetto.

 Era molto diverso dalla sua rappresentazione sulla scatola, decisamente più piccolo e meno appetitoso. 

Sollevando lo sguardo si accorse che Sabrina lo stava osservando con trepidazione. 

Aveva i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani incrociate davanti alla bocca. 

Stava chiaramente aspettando che lui assaggiasse il panino, perciò si affrettò a staccarne un bel morso. 

Non le avrebbe mai confessato che la sua scelta, ispirata dal suo “istinto femminile”, lo avesse deluso, anche se fosse stato il panino peggiore del mondo.

 Per sua fortuna non si trovò costretto a mentire. 

Il gusto e la consistenza erano assolutamente di suo gradimento. 

"I miei complimenti! Questo panino è proprio buono! D’ora in avanti non dubiterò neanche un istante del tuo sesto senso femminile” affermò entusiasta dopo aver mandato giù il boccone. 

“Meno male! Allora vuol dire che il mio sesto senso femminile funziona ancora bene” replicò Sabrina sospirando per il sollievo. 

Abbandonò la sua posizione di trepidante attesa e iniziò a sua volta a mangiare.

 Una volta terminato il pranzo, i due decisero di attendere al tavolo l’apertura pomeridiana dei negozi. 

Tra i due era calato un silenzio imbarazzato. 

Al di là dell’evento traumatico che li aveva fatti incontrare, e legare in qualche modo, erano due perfetti sconosciuti.

 Normalmente avrebbero potuto conversare delle loro vite per conoscersi meglio, ma Hero non aveva alcuna memoria del suo passato.

 I suoi ricordi iniziavano la notte dell’aggressione, più precisamente da quando aveva liberato Sabrina dalle corde, dopo la fuga del criminale.

 Hero stava pensando proprio a quei momenti e, dopo un po’ di esitazione, si decise a parlare. 

"So che non è facile per te rivivere ciò che è successo, ma mi chiedevo se potessi raccontarmi cos’è accaduto quella notte…intendo la parte che non ricordo”. 

Era palesemente a disagio a farle quella richiesta. 

Lei sperava di dimenticare quell’incubo al più presto, quindi l’idea di rivivere quei terribili momenti la turbava.

 Una parte di lei avrebbe preferito rifiutare di parlare, mentre l’altra si sentiva in dovere di farlo. 
Alla fine prevalse la seconda. 

Aveva il diritto di sapere come erano andate le cose e, seppur in minima parte, colmare il suo vuoto di memoria. 

Descrisse con la massima precisione possibile i fatti, a partire dalla sua uscita dal Dreamland, per finire con il momento in cui lui l’aveva slegata, che corrispondeva anche al primo ricordo del ragazzo. 

Lui aveva ascoltato tutto il racconto con grande attenzione, e in certi momenti gli era parso di vedere quegli eventi nella sua testa, ma poteva essere semplicemente frutto della sua immaginazione.

 “Quando ti ho visto per la prima volta sono rimasta senza fiato. Credevo di essere spacciata, invece tu sei apparso dal nulla e hai affrontato quell’uomo” gli raccontò visibilmente emozionata “non sapevi neanche chi fossi e hai combattuto per salvarmi. Sono più convinta che mai che il nome Hero sia perfetto per te. Perché è ciò che hai dimostrato di essere quella notte…un eroe”. 

Le parole della ragazza lo emozionarono profondamente. 

Sapeva di aver compiuto un gesto nobile nel salvarla, ma al tempo stesso era convinto che chiunque al suo posto lo avrebbe fatto. 

'Quale persona ignobile sarebbe stata capace di abbandonarla al suo destino?’ si chiese mentalmente.

 “Sei davvero gentile Sabrina e le tue parole sono bellissime…ma non credo di meritarle. Ho fatto ciò che dovevo, non avrei mai potuto lasciarti in quella situazione, nessun uomo degno di essere chiamato tale lo avrebbe fatto” disse innocentemente rivelandole i suoi pensieri. 

“Forse parli così perché non ricordi come sia il mondo là fuori…” replicò Sabrina mestamente.

 Dopo una lunga pausa cominciò ad illustrargli il suo punto di vista. 

“I maschi si dividono fondamentalmente in tre categorie: i maniaci, i menefreghisti ed i giusti. Nel primo gruppo rientrano i porci schifosi come quello che ha cercato di violentarmi, solo che non tutti passano dai pensieri all’azione. Poi abbiamo i menefreghisti, quelli che non sono cattivi, ma non rischierebbero mai la propria vita per difendere qualcuno in pericolo. Pensano solamente ai propri interesse e al proprio benessere. Infine esistono quelli come te, che non solo credono nella giustizia, ma sono anche disposti a combattere per difenderla. Non volterebbero mai le spalle ad una persona in difficoltà, anche se si trattasse di un perfetto sconosciuto, proprio come hai fatto tu con me. Questi si possono definire veri uomini. Purtroppo la stragrande maggioranza è divisa tra i primi due generi. Quelli come te sono rari, come una nevicata estiva. È stata una fortuna incredibile che passassi da lì proprio nel momento in cui ne avevo bisogno”. 

Il discorso di Sabrina lo lasciò ammutolito. 

Non sapeva cosa risponderle.

 E se avesse avuto ragione lei? 

Se la perdita di memoria gli avesse veramente fatto perdere il contatto con la realtà in cui vivevano?

 La sua concezione degli uomini era decisamente negativa e pessimista, eppure lui sentiva che nascondesse più di un fondo di verità.

 Quello che lui riteneva normale, come salvare una ragazza in difficoltà, poteva non esserlo per altri. 

Soprattutto era innegabile che esistessero uomini così crudeli da compiere un’atrocità come lo stupro. 

L’unica cosa che poteva sperare era che le percentuali da lei espresse sulle tre categorie non fossero esatte. 

Lo sguardo di Sabrina era carico di rancore e rabbia. 

Se prima dell’aggressione aveva una scarsa opinione dei maschi, quell’evento l’aveva enormemente peggiorata. 

“Credo che tu abbia ragione, forse la mia amnesia mi ha fatto dimenticare per un attimo come stessero realmente le cose” convenne Hero uscendo dal vortice dei suoi pensieri “è stata una bella illusione finché è durata”.  

Sentendo quelle parole, un sorriso compassionevole apparve sul viso di lei. 

“Scusami, sono stata troppo brusca” ammise pentita “è che questa realtà dei fatti mi tocca personalmente e non parlo soltanto di quella notte ”. 

“Riguarda il tuo lavoro? Il Dreamland?” le chiese istintivamente lui.

 Quella domanda gli girava per la testa dalla prima volta in cui aveva sentito quel nome dall’ispettor Tarri.

 Voleva saperne di più su quel posto. 

Desideroso di soddisfare la sua curiosità, non aveva pensato minimamente alle conseguenze.

 Solamente quando la vide distogliere lo sguardo e rabbuiarsi in viso si rese conto di quanto fosse stato insensibile.

 Era un tasto dolente per lei, lo capì immediatamente dalla sua reazione. 

Si morse il labbro inferiore pentito per quel suo comportamento troppo impulsivo. 

“Mi dispiace, sono stato maleducato. Non sono fatti miei” si affrettò a scusarsi “fai finta che io non ti abbia detto niente”.

 Sabrina posò nuovamente lo sguardo su di lui e cercò, malgrado l’evidente disagio, di rassicurarlo. 

"Non ti devi scusare, è normale che tu sia curioso. E poi…ci hai preso in pieno. Il mio lavoro c’entra parecchio con l’dea che mi sono fatta dell’universo maschile, anche se non è l’unico fattore che mi ha spinto a pensarla così”. 

Fece un profondo respiro e buttò fuori lentamente l’aria prima di ricominciare a parlare.

 “Il Dreamland è un locale per soli adulti diciamo. Ho iniziato a lavorarci sei mesi fa. Al compimento del mio diciottesimo compleanno i responsabili dell’istituto in cui vivevo mi cacciarono. Non avevano più il dovere di occuparsi di me e quindi furono lieti di abbandonarmi a me stessa. Vivevo per strada facendo l’elemosina. Era l’unica speranza di racimolare qualche soldo per mangiare. Cercavo disperatamente di trovare un lavoro. Cameriera, barista, donna delle pulizie, lavapiatti…mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Purtroppo nessuno voleva assumermi per colpa del mio aspetto trasandato. Una sera che vagavo senza meta, incrociai un uomo grasso e basso, ma vestito di tutto punto. Era evidente che se la passasse bene. Mi osservò con uno sguardo malizioso che mi fece rabbrividire. Pensai che avesse cattive intenzioni, invece mi parlò con tono suadente e mi propose di lavorare per lui. Mi spiegò che possedeva un locale, il Dreamland appunto, e che mi avrebbe assunto volentieri. Mi promise che avrei potuto guadagnare molti soldi. C’era sempre bisogno di nuove ragazze lì. Mi lasciò il suo biglietto da visita e mi disse di presentarmi al locale la sera successiva. Si faceva chiamare Mister Orfeo, il signore dei sogni. Non avrei dovuto portare niente, mi avrebbe fornito la ‘divisa’ sul posto. Quando entrai al Dreamland per la prima volta mi resi subito conto di che genere di posto fosse. Le ragazze indossavano dei mini abiti che lasciavano in bella vista il seno e il sedere. Scoprii che quella era la cosiddetta ‘divisa’. Inoltre altre ragazze erano ancora più svestite e si appartavano con i cliente in piccoli salottini nascosti da tende. Quando il proprietario mi venne incontro, mi rivolse un ghigno malefico e mi spiegò quale sarebbe stato il mio lavoro. Avevo due scelte: fare da cameriera, e aiutare nella gestione del bar, oppure ‘intrattenere’ i clienti nel privè. Inutile dirti quale dei due impieghi fosse il più proficuo”. 

Hero l’ascoltava con estrema attenzione, non perdendo una singola parola.

 “Ovviamente scelsi la prima opzione. Tuttavia capii presto sulla mia pelle che anche quel lavoro aveva i suoi lati negativi, seppur nemmeno paragonabili a quelli che avrebbe comportato l’altra scelta. Per tutta la sera, passando da un tavolo all’altro con le ordinazioni, venni toccata praticamente dappertutto dai clienti. Sul seno, sul sedere, nelle mie parti intime…”. 

Pronunciando queste ultime parole distolse lo sguardo, trattenendo le lacrime che quel doloroso ricordo rischiava di far scorrere sul suo viso.

 Il ragazzo era sconvolto e strinse il pugno per la rabbia.

 Lei proseguì il racconto senza accorgersi della sua reazione. 

"Ero talmente sconvolta alla fine di quella serata che mi chiusi in bagno a piangere. Quando trovai la forza di uscire ero decisa ad abbandonare quel lavoro. Entrai nell’ufficio del capo pronta a licenziarmi. Lui mi squadrò con i suoi occhietti da sorcio e mi disse ‘ti sei comportata bene per essere alla tua prima sera. Ecco la tua paga. Certo se accettassi di lavorare anche come intrattenitrice guadagneresti molto di più, ma fai come vuoi’. Allungò sul bancone quaranta euro e continuò a parlare. ‘Chiaramente non prenderai tutti i giorni lo stesso compenso. In settimana ti darò venti euro, mentre nel week end, come stasera, quaranta. Ti va bene?’. In quel momento la mia volontà di abbandonare quel posto si affievolì. Quei soldi mi avrebbero permesso di lasciare la strada e di mantenermi, per quanto il lavoro fosse umiliante e degradante. Così accettai la proposta di Mister Orfeo e da quel giorno non ho mai smesso di lavorare al Dreamland. Ho conosciuto tutta la feccia di questa città, uomini che pensano di poter comprare la dignità di una donna con i soldi e mi trattano alla stregua di una prostituta. Si, questo ha contribuito in maniera considerevole a formare l’opinione sui maschi che ti ho esposto prima ”. 

Hero era visibilmente scosso da quel racconto.

 “Ho solo una domanda da porti” le disse esitante dopo una lunga riflessione “perché non sei andata a cercare un altro lavoro dopo esserti sistemata? Sei una bella ragazza, simpatica e sveglia, sono certo che qualcuno ti avrebbe assunto una volta migliorato il tuo aspetto”. 

L’interrogativo posto dal ragazzo la colse di sorpresa. 

'Già, perché non ho mai cercato un altro lavoro dopo essermi tolta dalla strada?’ si domandò perplessa. 

“A dir la verità non saprei darti una risposta” ammise onestamente “credo che sia perché quel posto mi priva di tutte le forze. Lavoro dalle nove di sera alle tre del mattino. Il resto della giornata la passo cercando di riprendermi dal disgusto della serata precedente e preparandomi a quello della successiva. Non ho mai voglia di uscire di casa, lo faccio solo per comprare ciò che mi serve per mangiare. A pensarci bene oggi è la prima volta che esco con qualcuno da quando ho iniziato a lavorare al Dreamland”. 

Pronunciando queste parole i suoi occhi si velarono di tristezza. 

Si rese conto che quel lavoro le stava impedendo di vivere la sua vita. 

In realtà lo sapeva da tempo, ma aveva fatto finta di niente ed ora Hero, con quell’innocente domanda, l’aveva costretta ad affrontare la verità. 

Divertirsi, fare progetti sul futuro, cercare di costruire delle amicizie, trovare un ragazzo…non aveva fatto nulla di tutto questo nei sei mesi passati a lavorare in quel locale. 

Mentre era immersa in quelle riflessioni, Hero appoggiò con delicatezza la mano sulla sua. 

“Tu hai diritto ad essere felice e quel posto te lo sta impedendo. Ti toglie la volontà di reagire e con il passare del tempo sono convinto che sarà sempre peggio. Meriti di meglio Sabrina…” le disse accoratamente guardandola con dolcezza. 

A quel punto le strinse leggermente la mano e lei fu pervasa da una piacevole sensazione di fiducia e benessere. 

Forse Hero aveva ragione, meritava davvero di meglio. 

Voleva solamente una vita normale, come quella di tante altre ragazze della sua età. 

In fondo non le sembrava di chiedere troppo. 

La buona sorte era decisamente in debito con lei dopo tutto quello che aveva passato prima nell’infanzia, poi nell’adolescenza ed infine adesso che era maggiorenne da pochi mesi. 

Sabrina posò la mano libera su quella di lui e gli rivolse un sorriso pieno di riconoscenza.

 “Hai ragione tu” assentì con convinzione “dovrei smetterla di piangermi addosso e darmi da fare. Ho deciso, domani andrò a fare un giro per il centro a cercare un lavoro e, non appena l’avrò trovato, lascerò il Dreamland! Non mi importa se guadagnerò di meno o dovrò lavorare di più, mi basta che sia sufficiente a pagare l’affitto e mantenermi. Grazie per avermi aperto gli occhi…”. 

Hero era perso nel suo sguardo ed era affascinato dal suo stupendo sorriso. 

Quando i suoi occhi sorridevano assieme alle sue labbra diventava semplicemente la ragazza più bella che avesse mai visto. 

Era impossibile guardare altrove o pensare ad altro che non fosse il suo viso. 

Senza accorgersene era diventato rosso.

 Fu il calore che gli divampava per il viso a riportarlo alla realtà, dopo quegli istanti in cui si era perso a contemplare la sua bellezza.

 Improvvisamente, con un movimento più brusco di quanto volesse, tolse la mano dal delicato intreccio che si era formato con quelle di Sabrina, come se si fosse reso conto soltanto in quel momento del contatto che si era creato tra loro. 

In imbarazzo, cercò di mascherare il suo goffo gesto prendendo un fazzoletto e pulendosi una macchia immaginaria sulla maglia.

 Poi riorganizzò le idee e poté riprendere a conversare con la ragazza, la quale nel frattempo lo osservava sorridendo benevolmente.

 “Non c’è di che. Sono davvero contento di esserti stato d’aiuto…” replicò ai suoi ringraziamenti accennando un timido sorriso.

 “Vediamo un po’ che ora si è fatta” disse lei per cambiare argomento visto l’imbarazzo di Hero.  

“Uh! Come vola il tempo chiacchierando!” esclamò guardando l’ora sul cellulare “sono già le tre e mezza, direi che possiamo iniziare il nostro giro di shopping”. 

I due si alzarono dal loro posto e si diressero all’uscita. 

Voltandosi verso il loro tavolo per controllare che non avessero dimenticato nulla, Hero non poté fare a meno di notare lo sguardo torvo che gli lanciò uno degli addetti alle pulizie. 

In effetti avevano occupato il tavolo per quasi due ore e il dipendente non aveva apprezzato. 

Camminarono sotto i portici uno a fianco dell’altra e il ragazzo osservò con piacere che Sabrina era di ottimo umore, glielo si leggeva in faccia.

 Parlare del Dreamland non era stato facile per lei, ma il nuovo proposito di cercare un altro lavoro l’aveva decisamente rasserenata. 

Per la prima volta da quando la conosceva, poté leggere sul suo viso la spensieratezza propria di una ragazzina della sua età e ne fu molto felice.

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Capitolo 9
*** Un pomeriggio spensierato ***




Prima di andare al supermercato, passarono in un negozio d’abbigliamento lungo la strada. 

Era un posto economico, ma con vestiti di buona qualità.

 Sabrina lo sapeva bene perché proprio lì aveva fatto i suoi primi acquisti con i soldi guadagnati al Dreamland.

 Poco per volta si era creata un discreto guardaroba, nulla di che se paragonato a quello della maggior parte delle ragazze della sua età, ma lei non si lamentava. 

Ripensando al periodo in cui aveva girato per giorni per le strade della città con gli stessi abiti addosso, poteva solo essere grata di ciò che aveva adesso. 

A quei tempi un paio di jeans blu, una maglietta bianca, una maglia nera con cappuccio e una leggera giacca di pelle nera costituivano il suo intero guardaroba. 

Conservava ancora quegli indumenti, anche se non li aveva più indossati. 

La aiutavano ad andare avanti col suo lavoro quando sentiva di voler mollare tutto. 

Le ricordavano quei brutti giorni e perciò si convinceva che, malgrado le umiliazioni subite, non potesse rinunciare ai soldi del Dreamland. 

Le notti insonni per il timore di essere aggredita dagli altri barboni, il gelo che penetrava fin dentro le ossa e la fame che le provocava tremendi dolori allo stomaco. 

Queste erano le cose che non avrebbe mai dimenticato delle sua esperienza, nonché quelle che temeva di più. 

Per nulla al mondo sarebbe tornata a vivere per strada. 

Cercò di scacciare quegli angoscianti ricordi focalizzando la sua attenzione su ciò che doveva fare al momento.  

Salutò la commessa del locale, che ormai la conosceva bene, e condusse Hero al reparto maschile aggrappandosi al suo braccio sinistro.

 Questo gesto provocò l’ennesimo rossore sul viso del ragazzo, una reazione che a lei piaceva molto.

 “Vieni con me, oggi dobbiamo comprare almeno due cambi completi. Una volta lavati i vestiti che hai addosso ne avrai tre. Così per un po’ di giorni sarai a posto” gli spiegò allegramente il suo piano “ho cento euro con me, credo che possano bastare”. 

“Spero di non farti spendere così tanto” le rispose sommessamente lui. 

“Non ti preoccupare dei soldi, prendi quello che preferisci, ok?” lo rassicurò rivolgendogli uno dei suoi radiosi sorrisi “ecco, questo è il reparto abbigliamento maschile, guarda un po’ in giro se c’è qualcosa che ti ispira”. 

Hero iniziò ad aggirarsi tra i vari scaffali con passo incerto ed espressione dubbiosa. 

Lei lo seguiva a pochi passi di distanza sbirciando a sua volta la merce. 

Dopo aver preso in mano un paio di maglie dalle maniche corte e osservato dei jeans indosso ai manichini, Hero si fermò ad osservare la sua immagine riflessa allo specchio in fondo alla sala. 

Indossava un paio di scarpe da ginnastica nere, dei jeans azzurro scuro, una cintura grigio-marrone, una maglia bianca dalle mezze maniche, con alcune macchie di sangue ben visibili, una felpa con cappuccio nera, ma con alcune parti blu e sopra ad essa una giacca di pelle nera con diverse tasche. 

Era tutto ciò che gli restava della sua vecchia vita, almeno al momento. 

A giudicare dal suo aspetto, non badava molto alla moda.

 Dopo aver esaminato l’abbigliamento, si trovò a fissare il suo stesso viso. 

Non aveva ancora avuto l’occasione di specchiarsi da quando si era risvegliato in ospedale. 

Fu come se si vedesse per la prima volta. 

Avrebbe potuto benissimo scambiare il volto riflesso allo specchio per quello di uno sconosciuto se non fosse stato certo di essere lui. 

'È davvero strano non riconoscere nemmeno me stesso’ pensò malinconicamente. 

Sabrina gli si avvicinò, preoccupata per il suo sguardo fisso e vacuo. 

“Tutto a posto Hero? C’è qualcosa che non va?” domandò ponendogli una mano sulla spalla. 

Hero fu riportato alla realtà e si girò di scatto verso di lei. 

Non sapeva dire per quanto tempo fosse rimasto a studiare la propria immagine nello specchio, ma dall’espressione angosciata della ragazza capì che doveva essere rimasto lì impalato decisamente troppo a lungo.

 “No niente tranquilla!” disse con un’ espressione il più serena possibile per non turbarla “stavo soltanto pensando ai miei abiti. Basandomi sui ciò che indosso ora direi che non ho degli ottimi gusti in termini di abbigliamento…perciò mi stavo chiedendo se ti andasse di darmi qualche consiglio”.  

Il viso della ragazza si illuminò di gioia, non solo per il sollievo.

 “Certo che ti aiuto” accettò la sua richiesta con entusiasmo “allora facciamo così: tu vienimi dietro e io ti passo tutta la roba che penso ti possa andare bene, poi quando sei troppo carico andiamo ai camerini e te la provi, va bene?”. 

“Si, mi sembra un’ottima idea” convenne Hero con un leggero sorriso.

 Era sollevato per il fatto che lei non si fosse resa conto dei suoi turbamenti interiori. 

Non gli andava di farla preoccupare per lui, visto che aveva già i suoi problemi a cui pensare. 

Cos’era un’amnesia in confronto ad essere rapita e quasi violentata? Niente.

"Comunque non ti vesti male…è solo che non ti valorizzi!” lo rincuorò lei mentre si dirigeva a un tavolo con alcune magliette in offerta “e qui entro in gioco io! Fidati di me, ti piacerà il tuo nuovo look!”. 

Sabrina si muoveva agilmente tra i vari casellari, esaminava attentamente i diversi capi di abbigliamento e, quando incontravano il suo gradimento, si girava verso di lui per appoggiarli sulle sue braccia tese. 

Era allegra e saltellava da una parte all’altra come un grillo.

 Nell’arco di pochi minuti aveva dato al ragazzo molti vestiti, tanto che dopo essersi girata verso di lui con l’ennesima maglietta non aveva più visto il suo viso, bensì una pila di abiti. 

Aggirò la montagna di indumenti, avvicinandosi al fianco di Hero.

"Scusami, mi sono lasciata un po’ prendere la mano” disse sorridendogli e passandosi una mano tra i capelli, come era solita fare quando era imbarazzata “possiamo iniziare a provare queste cose. Ti porto subito alle cabine di prova!”. 

Le cabine erano separate da pareti in legno ed erano chiuse con delle tende nere. 

Sabrina scostò una delle tende per permettere ad Hero di entrare con tutti i vestiti. 

“Fai con comodo, io ti aspetto qui fuori!” gli comunicò mettendosi a spulciare una bancarella lì vicino.

 Hero appoggiò l’ingombrante mucchio all’interno su uno sgabello e poi si girò verso di lei. 

“Ho un dubbio…mi devo provare più cose assieme o inizio da un certo capo, ad esempio i pantaloni, e li provo tutti prima di passare ad altro?” domandò confuso.

 “Mmm…fammici pensare…” rifletté lei portandosi una mano sotto il mento “aspetta qui!”. 

Dopodiché entrò nella cabina e iniziò a separare i vestiti, appendendoli agli appositi agganci. 

“Ecco fatto! Ho diviso tutto in quattro diversi look ‘completi’ diciamo. È composto da jeans, maglietta e maglia dalle maniche lunghe. Quindi puoi provarli uno alla volta” gli spiegò con un sorriso soddisfatto. 

“Che organizzazione, complimenti! Allora inizio con questo” affermò indicando il gruppo di vestiti più vicino alla tenda. 

"Come preferisci! Tanto te li farò provare tutti, non credere di scamparla! Hai voluto il mio aiuto ed è quello che avrai, con i suoi aspetti positivi…ma anche con quelli negativi” rispose lei con un sorrisino malefico.

"In che guaio mi sono cacciato” sussurrò ironicamente Hero prima di chiudere dietro di sé la tenda, guadagnandosi un altrettanto ironica occhiataccia dalla ragazza.

 Dopo un paio di minuti la tenda si aprì e Hero uscì dalla cabina indossando il primo dei quattro look ‘completi’, come li aveva definiti lei. 

Portava un paio di jeans blu chiaro, leggermente strappati all’altezza delle ginocchia, una polo azzurra e sopra di essa una maglia nera con lo scollo a V. 

Sabrina lo osservò, le braccia incrociate all’altezza della pancia, senza dire una parola. 

“Che te ne pare?” le chiese ansioso di conoscere la sua opinione. 

Lei rimase ancora per diversi secondi in silenzio poi finalmente espresse il suo parere. 

“Non mi dispiace, ma possiamo trovare di meglio. Di sicuro cambierei il colore della polo, ora che vedo l’insieme sarebbe meglio grigia! Te la vado a prendere, intanto tu prova gli altri vestiti”. 

Si allontanò dalla cabina e Hero ne approfittò per dare un’altra occhiata al suo aspetto. 

Non stava male con quei vestiti, però non era soddisfatto della reazione tiepida di Sabrina. 

Era a lei che voleva piacere. 

Così rientrò nella cabina per cambiarsi. 

Sabrina tornò con la polo grigia in mano e diede un’occhiata di sfuggita allo specchio in fondo all’angolo riservato ai camerini. 

Ciò che vide la colse tanto alla sprovvista da farle sfuggire un piccolo strillo, soppresso all’istante tappandosi la bocca con la mano libera. 

Per un gioco di riflessi, e poiché la tenda non era completamente tirata, poteva vedere Hero all’interno della cabina. 

Indossava soltanto dei boxer neri. 

Per fortuna sembrava che lui non avesse udito il suo gridolino. 

D’istinto distolse lo sguardo, ma poi, spinta da un’irrefrenabile curiosità, tornò ad osservare l’immagine riflessa del ragazzo. 

Ora si stava mettendo un paio di jeans, il che rendeva quella segreta osservazione meno colpevole, o almeno così si giustificava nella sua testa. 

Aveva un bel fisico, asciutto ma definito. 

Le braccia erano muscolose, ma non eccessivamente. 

Le spalle larghe ed il petto voluminoso al punto giusto.

 Gli addominali erano ben delineati anche se non scolpiti. 

‘Deve essere un ragazzo che ci tiene alla cura del proprio corpo, praticherà sicuramente qualche sport o andrà in palestra’ pensò stuzzicandosi il labbro inferiore con le dita. 

A quel punto lui indossò la maglia e per caso diresse il suo sguardo verso lo specchio fuori dalla cabina, incrociando quello di lei. 

Sabrina divenne di colpo rossa come un estintore e distolse rapidamente lo sguardo. 

Quando ebbe nuovamente il coraggio di guardare in quella direzione, pronta ad affrontare la reazione del ragazzo, qualunque fosse stata, notò che lui si stava infilando la felpa come se nulla fosse. 

Sul viso di Hero non vi era traccia del suo tipico rossore da imbarazzo e questo la convinse del fatto che lui non l’avesse vista.

 Era talmente timido che se si fosse reso conto di essere osservato da lei mentre si cambiava, sarebbe diventato paonazzo in faccia.

 ‘Probabilmente da questa angolazione io posso vedere lui, ma lui non può vedere me’ constatò tranquillizzandosi.

 Si portò le mani sul viso e fece un profondo sospiro di sollievo. 

“Ma che cosa mi è preso? Da quando mi metto a spiare un ragazzo mentre si cambia? Mi sto comportando come quei pervertiti che vengono al Dreamland…” si biasimò con durezza. 

Ad interrompere quel suo rimprovero, ci pensò Hero.

 “Sei pronta a vedere quest’altro ‘look’?” le domandò sbucando da dietro la tenda con un sorriso incerto.

“Certo, vieni fuori e fammi dare un’occhiata” gli rispose tranquillamente, cercando di non far trapelare il senso di colpa per il suo comportamento. 

Si avvicinò e lo studiò girandogli lentamente attorno. 

Questa volta indossava un paio di jeans grigio scuri ed una felpa nera con cappuccio, dalla cui cerniera aperta si vedeva una t-shirt azzurro chiaro. 

“Che te ne pare?” le chiese voltando la testa verso di lei che ormai era alle sue spalle. 

“Davvero niente male…direi che abbiamo fatto centro! Questa roba la prendiamo!” esultò soddisfatta “ora torna dentro e prova le altre cose, siamo a metà dell’opera”.

 Gli indicò con la mano aperta la cabina e gli rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi. 

Lui ricambiò allegramente il sorriso  e rientrò. 

Questa volta tirò fino in fondo la tenda, cosa che strappò a Sabrina una risatina sommessa. 

‘Per fortuna che ha imparato a tirare bene la tenda, senza la tentazione sparisce anche il peccato’ considerò mordacemente. 

Purtroppo per Hero i successivi due cambi non incontrarono l’approvazione della ragazza. 

Questo portò ad un nuovo giro per il negozio, con conseguente pila di vestiti, e altri cambi in camerino. 

Sebbene avesse abbinato lei i diversi indumenti, nessuno superò la prova una volta indossato da Hero. 

Quando uscì per mostrare l’ultimo ‘look’ disponibile, era ormai convinto che avrebbero dovuto fare un terzo giro per il negozio. 

Invece, con sua grande sorpresa e sollievo, Sabrina si dimostrò entusiasta. 

“Wow! Stai benissimo così!” esclamò estasiata “questo look è persino migliore di quello che abbiamo deciso di comprare prima”. 

Aveva addosso un paio di jeans neri, con sfumature più chiare lungo le cosce, una maglietta grigia e sopra di essa una camicia bianca aperta che presentava delle decorazioni in stile tribale sul torace e sulla schiena.

 “Oh…dici sul serio?” le chiese emozionato guardandosi allo specchio. 

Allo stesso tempo studiò il suo viso riflesso sulla superficie, tentando di capire se avesse espresso quel complimento sinceramente o solo per compiacerlo. 

"Ma certo! Lo penso veramente, stai proprio bene!” lo rassicurò gentilmente “ora ci metto anche il mio tocco di classe”. 

Si avvicinò a lui e gli arrotolò entrambe le maniche della camicia fin sotto il gomito. 

“Ecco, ora sei proprio perfetto! Ho fatto un bel lavoro” concluse soddisfatta facendogli l’occhiolino e appoggiando una mano sulla sua spalla. 

Il rossore apparve nuovamente ad accendere il viso di Hero.

 “Direi proprio di si…grazie. Comunque anche io ci ho messo del mio con questo bel corpo” affermò con un’espressione scherzosamente vanitosa.

 “Senti senti, anche il timido e modesto Hero sa magnificarsi quando è il caso” rispose lei allungandogli uno schiaffetto sulla spalla e guardandolo compiaciuta “ora basta rimirarsi allo specchio! Cambiati, dobbiamo ancora prenderti delle mutande e delle calze”. 

"Agli ordini mia straordinaria consulente d’immagine” la adulò con ironia.

Si mise sull’attenti, le rivolse un saluto in stile militare ed entrò nuovamente nella cabina, strappandole una risata.

Una volta indossati nuovamente i suoi vecchi abiti, i due andarono verso il reparto di biancheria intima maschile. 

Presero due paia di calze, uno nero e l’altro grigio, e altrettanti boxer,il primo nero ed il secondo blu. 

Sulle mutande la ragazza non espresse alcun parere e lasciò che lui valutasse da solo l’articolo da comprare.

 Sarebbe stato indiscutibilmente imbarazzante decidere insieme il suo intimo. 

Andarono alla cassa e, come lei aveva previsto, i cento euro bastarono a pagare il tutto. 

Tre euro per ciascun paio di calze, dieci euro per entrambi i boxer,undici e tredici euro i jeans, sette e otto euro le due magliette, dodici e quindici euro rispettivamente la felpa e la camicia. 

Usciti dal negozio Sabrina rivolse ad Hero uno sguardo soddisfatto. 

"Visto? Soltanto ottantadue euro per due look completi! Questo posto è proprio conveniente” affermò fiera della sua scelta.

 “Già, avevi proprio ragione. Comunque sappi che ti restituirò i soldi non appena…non appena…”. 

Hero non riuscì a terminare la frase ed i suoi occhi si velarono inaspettatamente di tristezza. 

Erano passati ormai quasi due giorni dalla notte in cui aveva perso la memoria e finora nessun ricordo della sua vita precedente gli era tornato alla mente.

 ‘E se questa amnesia fosse definitiva?’ pensò con angoscia. 

Sabrina percepì il suo turbamento interiore e cercò di rassicurarlo. 

“Ehi, non ti devi preoccupare! La memoria ti tornerà…” gli sussurrò accarezzandolo dolcemente sulla schiena “e se proprio vuoi restituirmi i soldi potrai farlo accompagnandomi a fare shopping in questo negozio!”. 

Detto ciò gli regalò un sorriso talmente meraviglioso da scacciare all’istante tutte le sue ansietà.

 I suoi occhi, azzurri come il cielo e misteriosamente magnetici, esprimevano una dolcezza indescrivibile.

 Se non fosse stato per la sua timidezza avrebbe continuato a guardarla all’infinito.

 Il suo sorriso ed il suo sguardo gli facevano scalpitare il cuore come un cavallo imbizzarrito, ma al tempo stesso gli permettevano di rilassarsi perché riusciva a non pensare alla sua situazione. 

Dopo alcuni secondi riuscì a parlare nuovamente.

 “Siamo d’accordo, ti restituirò il favore…anche in qualità di abile consigliere”.

 “Non vedo l’ora di poter beneficiare dei tuoi preziosi suggerimenti” rispose lei allegramente “ora andiamo a fare la spesa. Dobbiamo comprare qualcosa per cena e anche uno spazzolino per te”.

 Dopodiché si avviarono, camminando fianco a fianco, verso il supermercato più vicino. 

Comprarono lo spazzolino per lui, due pacchi di pasta, della carne in offerta, una confezione di uova, dell’insalata, un pacco di patatine fritte, una bottiglia di latte, una tortina al cioccolato,  un sacchetto di mele e un casco di banane. 

I soldi avanzati dallo shopping furono sufficienti.

 Sabrina era un’esperta del fare di necessità virtù, quindi era in grado di fare sempre acquisti oculati ed economici. 

L’unico extra che si concesse fu la torta al cioccolato. 

Si era accorta dello sguardo goloso che Hero aveva rivolto a quel dolce passandoci davanti. 

Lui ovviamente non le aveva chiesto nulla a voce, ma lei aveva deciso di prenderla lo stesso, sicura che avrebbe apprezzato.

 L’espressione entusiasta che era apparsa sul suo viso mentre lei metteva la torta nel carrello le aveva tolto ogni dubbio. 

“Bene! Di oggi con le commissioni abbiamo finito. Possiamo tornarcene a casa e cenare tranquilli” esclamò soddisfatta uscendo dal negozio.

 Poi tirò fuori dalla tasca il suo cellulare e quando vide che ora si era fatta cacciò un urlo. 

“Cosa succede? Cosa hai visto?” le chiese Hero allarmato. 

“Sono le sette e mezza! Tra un’ora e mezza inizia il mio turno! Ci vorranno venti minuti soltanto per tornare a casa, poi mi devo preparare per la serata e infine ci vorrà mezz’ora per arrivare al Dreamland! Mi toccherà saltare cena” gli spiegò sbuffando sconsolata “su, andiamo a prendere l’autobus, non c’è tempo da perdere”. 

Fecero una corsa fino alla fermata.

 Hero le stava dietro a fatica poiché cavallerescamente si era offerto di portare tutte le borse, sia quelle della spesa che dello shopping. 

Una volta arrivati lì, entrambi col fiatone, dovettero attendere l’autobus per dieci minuti.

 In questo lasso di tempo Sabrina si lanciò in una filippica contro i mezzi di trasporto pubblici e la loro peculiare ‘capacità’ di tardare sempre nei momenti meno opportuni.

 Hero invece approfittò dell’attesa per riposare le braccia, indolenzite dal peso delle borse, limitandosi a qualche gesto di assenso col capo di tanto in tanto come segno della sua attenzione.

Non riusciva ancora a parlare per via della corsa, mentre lei incredibilmente si era subito ripresa.

 Parlava senza interruzioni come se non avesse bisogno di respirare tra una frase e l’altra. 

Una volta sull’automezzo Hero si profuse in delle scuse imbarazzate senza avere il coraggio di guardarla negli occhi. 

“Scusami, per colpa degli acquisti al negozio di abbigliamento abbiamo fatto tardissimo” disse in preda al senso di colpa. 

A quelle parole l’agitazione di Sabrina sembrò diminuire istantaneamente.

 “Tu non hai colpe Hero. Sono io che ti ho fatto fare il modello tutto il pomeriggio! E non mi sono resa conto dello scorrere del tempo” lo tranquillizzò amorevolmente “dicono che quando ci si diverte il tempo passi più in fretta…oggi ho avuto la riprova che è vero”. 

Al ché gli sorrise calorosamente, sciogliendo la tensione che lo aveva attanagliato dall’uscita dal supermercato. 

“Anche io mi sono divertito…davvero tanto” affermò lui sorridendole a sua volta timidamente.

Il clima di tensione era ormai sparito e proseguirono il viaggio rivivendo piacevolmente il divertimento di quel loro primo pomeriggio insieme.

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Capitolo 10
*** Uno spiacevole equivoco ***




Una volta scesi dall’autobus, Sabrina decise di dirigersi verso casa con maggiore calma. 

Non le sembrava giusto far correre ancora Hero con tutte quelle borse che, per il suo testardo spirito nobile, si ostinava a voler portare tutte da solo. 

In fondo se avesse saltato cena sarebbe arrivata ancora in orario al locale ed era un piccolo sacrificio che era disposta a compiere. 

Arrivati al portone del palazzo lui appoggiò con sollievo le borse al suolo. 

I palmi delle mani gli dolevano ed erano segnati. 

Lei frugò nelle tasche della sua giacca di pelle ed estrasse la chiave. 

Hero risollevò le borse pronto ad entrare. 

Era già abbastanza buio e la strada non era ben illuminata, così Sabrina ci mise un po’ ad azzeccare il buco della serratura. 

Quando aveva iniziato a girare la chiave nella toppa, sentì una mano afferrarle la spalla. 

Girandosi vide un uomo con indosso una sciarpa e un cappello neri che gli coprivano tutto il viso tranne gli occhi. 

Quell’abbigliamento le ricordò l’uomo col passamontagna che l’aveva rapita e perciò gridò spaventata. 

Diede un forte scossone con la spalla, per liberarsi dalla presa, e si gettò istintivamente contro il portone con la schiena per proteggersi meglio.

 Un attimo dopo l’uomo si trovava a terra, con un secondo individuo addosso.

 Quella persona, comprese subito Sabrina, era Hero.

 Non appena l'aveva sentita urlare, si era voltato verso di lei, aveva lasciato cadere a terra le borse e aveva placcato l’uomo con un impeto stupefacente, facendolo finire a terra un metro più in là rispetto a dove si trovava. 

I due ora si stavano rotolando a terra, lottando per ottenere una posizione di dominio sull’altro. 

Lei osservava la scena con le mani sulla bocca, paralizzata dalla paura. 

Era possibile che il suo aggressore fosse tornato per finire ciò che aveva cominciato quella notte? 

E, proprio come quella notte, Hero era lì per salvarla.

 Era riuscito a vincere lo scontro e posizionarsi a cavalcioni sul suo avversario, impedendogli di scappare. 

L’uomo farfugliava parole incomprensibili da sotto la sciarpa, mentre il ragazzo cercava ripetutamente di colpirlo. 

Ad un certo punto gli strappò l’indumento di dosso e i suoi mugolii divennero chiari. 

“Stai calmo! Sono un poliziotto! Mi ha mandato l’ispettor Tarri!” urlò convulsamente. 

Hero rimase sbigottito, ma non lasciò la presa.

 “Allora mostrami il distintivo e non fare scherzi!” gli intimò alzando minacciosamente il braccio destro. 

“Ce l’ho nella tasca interna destra della giacca, prendilo pure e controlla tu stesso” ansimò l’uomo. 

Hero frugò nel posto indicato, ma rimase in guardia.

 C’era un oggetto nella tasca e, una volta tiratolo fuori, poté vedere con i suoi occhi che si trattava veramente di un distintivo.

 Si voltò verso Sabrina, ancora immobile contro il portone, e glielo mostrò. 

Hero, pieno di vergogna, si alzò in piedi ed aiutò il poliziotto a fare altrettanto. 

Sabrina intanto ricominciò a muoversi, abbassando le mani dal volto.

Soltanto allora si rese conto che stava tremando come una foglia. 

“Cavoli ragazzo, mi hai quasi spezzato in due con quel placcaggio! Che ti è preso? Sembravi indiavolato!” si lamentò il poliziotto tenendosi l’addome dolorante.

 A quel punto la ragazza, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo, scoppiò all’improvviso. 

"Che gli è preso? Gli sta chiedendo che gli è preso?” gridò con rabbia “forse lei non sa che due notti fa sono stata aggredita da un uomo con indosso un passamontagna proprio davanti a questo portone. E non saprà nemmeno che quell’uomo ha sparato in testa a questo ragazzo quando ha cercato di salvarmi”. 

La sua voce si faceva più aspra e adirata ad ogni parola.

 “Quindi lei si presenta qui al buio, mi afferra arrivando di soppiatto alle spalle, con il volto coperto e si aspetta che noi due non abbiamo alcuna reazione? Le sembra normale un comportamento così stupido da parte di un agente di polizia?”.

 Arrivò alla fine della frase quasi senza fiato. 

Era tremendamente rossa in viso ed i suoi occhi erano colmi di collera.

 Il poliziotto rimase di stucco.

 Non osò parlare, temendo di far scoppiare nuovamente la furia della ragazza con una qualsiasi parola sbagliata.

 Anche Hero era sconvolto dalla sua reazione, non l’aveva mai vista arrabbiata. 

Le si avvicinò e le pose con cautela un mano sul braccio. 

“Va tutto bene Sabrina. È stato tutto un grosso equivoco, una sfortunata serie di eventi” le disse per tranquillizzarla “l’agente non aveva intenzione di spaventarci, vero?”. 

L’uomo annuì prontamente con ampi movimenti del capo. 

Lei incrociò le braccia e squadrò con severità l’agente. 

“Si, hai ragione, ma il risultato è stato quello” insistette ancora nervosa. 

Capendo che comunque si era leggermente calmata, Hero ritrasse la mano e si girò verso l’uomo. 

“Prima ha detto che l’ha mandata l’ispettor Tarri, ci sono novità sull’aggressore? L’avete trovato?” domandò speranzoso.

 “Non so nulla, l’ispettore segue il caso personalmente” rispose il poliziotto abbassando lo sguardo un po’ in imbarazzo “verrà domattina ad aggiornarvi sugli sviluppi dell’indagine. Io sono qui per accompagnare la signorina al lavoro. Tarri pensa che l’aggressore possa cercare di rapirla nuovamente approfittando del suo tragitto a piedi di ritorno dal lavoro. Perciò io sono qui per scortarla all’andata e al ritorno”. 

"Mi sembra un’ottima idea!” esclamò entusiasta Hero “Non ti pare Sabrina?”. 

Lei si limitò a mugugnare voltandosi verso la porta. 

 “Dovrà arrivare al Dreamland prima delle nove, quanto ci metterete in macchina da qui?” continuò Hero rivolto all’agente.

 “In dieci minuti, massimo un quarto d’ora saremo lì. Poi io rimarrò fuori dal locale tutto il tempo. Non si deve preoccupare, quel criminale non potrà farle alcun male” gli spiegò con stare sicuro l'agente. 

"Tra mezz’ora partiremo allora, mi aspetti qui sotto” sentenziò Sabrina senza nemmeno girarsi.

 “Certamente , porto la macchina qui sotto e la aspetto” rispose prontamente lui.

Dal suo tono di voce nervoso si capiva che fosse ancora intimorito dal precedente scoppio d’ira della ragazza. 

Lei aprì il portoncino ed entrò nell’androne, senza aspettare Hero.

 Lui raccattò il più velocemente possibile le borse da terra e la seguì, salutando con un cenno del capo l’agente. 

Salirono silenziosamente le scale, con Hero che arrancava dietro di lei per raggiungerla. 

Con quel carico avrebbe fatto fatica a starle dietro anche se avesse tenuto un passo normale, figurarsi ora che camminava spedita. 

Arrivò in un lampo alla porta dell’appartamento e, quando la aprì, Hero si trovava ancora al pianerottolo del piano inferiore.

 Entrò senza aspettarlo e lui decise di fare un ultimo scatto per colmare il distacco. 

Al suo arrivo trovò la porta aperta e Sabrina ferma in mezzo al salotto oltre il piccolo ingresso. 

Dava la schiena alla porta, quindi non poteva vederne il viso.

 Si era tolta la giacca e l’aveva gettata sul divano.

 Lui appoggiò sul pavimento del cucinino tutte le borse, chiuse la porta e le si accostò lentamente.

 A vederla da dietro sembrava una statua, non faceva il benché minimo movimento. 

Soltanto quando si trovò a pochi passi da lei si accorse che stava tremando. 

“Ehi Sabrina, va tutto bene?” le sussurrò appoggiando delicatamente una mano sulla sua spalla.

A quel punto lei si girò di scatto ed Hero ritrasse istintivamente la mano. 

Ora poteva vederla in faccia e comprese subito che qualcosa non andava. 

Aveva gli occhi rossi e lucidi. 

“No Hero, non va tutto bene! Quell’idiota mi ha fatto rivivere l’incubo di quella notte!” sbraitò lei furiosamente “ma non è neanche questo spavento la cosa peggiore, è ciò che mi ha fatto capire a terrorizzarmi.” 

Ormai tratteneva a stento le lacrime.

 “Cosa ti ha fatto capire?” le chiese Hero con un filo di voce.

 “Io credevo che avrei potuto superare questo trauma, ma ora ho realizzato che non passerà mai, mi ha segnata a vita. Anche se dovessero catturare quello schifoso, io vivrei comunque nella paura per sempre”.

 Il ragazzo la ascoltava in silenzio, non sapendo cosa dire. 

“Di uomini come quello ne esistono fin troppi, potrei essere aggredita di nuovo e non essere così fortunata come la scorsa notte. La scorta della polizia non durerà per sempre e quando tu avrai recuperato la memoria tornerai alla tua vita, così io rimarrò un'altra volta sola ed indifesa”.

 “Io non ti lascerò mai sola!” esclamò ad alta voce Hero. 

La ragazza ammutolì e rimase a guardarlo con gli occhi spalancati.

 “Anche se dovessi recuperare la memoria, io non ti abbandonerei mai” affermò con decisione “non me ne andrò finché tu avrai bisogno di me e mi vorrai al tuo fianco”.

 I suoi occhi la fissavano con risolutezza, non stava mentendo.

 La momentanea sicurezza di Hero sparì tanto rapidamente quanto era comparsa e ritornò ad essere il ragazzo estremamente timido che lei conosceva. 

“Sento che non voglio stare lontano da te” disse sottovoce abbassando lo sguardo. 

Sabrina scoppiò a piangere e gli si gettò letteralmente addosso. 

Lo abbracciò con forza all’altezza dei fianchi e premette il viso contro il suo petto. 

“Non so perché fai tutto questo per me, perché sei così gentile e premuroso nei miei confronti, ma ti ringrazio dal profondo del cuore…” gli disse con la voce rotta dal pianto.

 Erano contemporaneamente lacrime di gioia, di rabbia e di paura ma l’effetto era il medesimo: allentavano quella tensione che la stava soffocando. 

Lentamente Hero ricambiò l’abbraccio, stringendola con delicatezza a sé.

 “Mi viene naturale comportarmi così con te, sento che te lo meriti” le sussurrò affettuosamente all’orecchio.

 ‘E non sai quanto io abbia bisogno di te…’ avrebbe voluto aggiungere, ma non ebbe il coraggio di farlo. 

Tra le sue braccia Sabrina si sentiva al sicuro e perciò le costò un’enorme fatica staccarsi da lui. 

“Spero di meritarmi davvero tutte le tue attenzioni” replicò sorridendo. 

Aveva gli occhi arrossati per il pianto, ma il suo sguardo restava comunque stupendo.

"Ne sono sicuro” dichiarò sorridendole a sua volta. 

“Ora sarà meglio che mi prepari o farò tardi nonostante il passaggio in auto” constatò Sabrina “vado a farmi una doccia, a tra poco”.

 Detto ciò superò il ragazzo accarezzandolo sul braccio ed entrò in bagno. 

Quando sentì la porta chiudersi, Hero si lasciò cadere sul divano con un gran sospiro. 

Era stata una giornata intensa, anche se divertente, e quella disavventura davanti al portone aveva rappresentato una pessima conclusione. 

Per un ragazzo senza memoria appena uscito dall’ospedale era decisamente troppo.

 Poco alla volta il suo battito cardiaco tornò alla normalità. 

L’improvviso abbraccio di Sabrina e le sue parole lo avevano fatto battere ad un ritmo forsennato. 

Gli era capitato già molte volte in sua presenza e, considerando che la conosceva da così poco tempo, era decisamente strano. 

‘Che si tratti del classico e famigerato colpo di fulmine?’ si domandò incerto.

 In effetti i ‘sintomi’ erano proprio quelli.

 Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, gli batteva forte il cuore ad ogni loro interazione, o semplicemente guardandola, diventava spesso rosso in viso in sua presenza e al solo pensiero di separarsi da lei gli mancava il respiro. 

Non aveva nient’altro per la testa che quella ragazza. 

‘Già, penso soltanto a lei, ma è normale visto che al momento ho ricordi di così poche persone’ riflette tra sé e sé ‘inoltre lei è stata gentile con me dal primo momento in cui ci siamo conosciuti’. 

Nonostante cercasse di trovare una spiegazione sensata a quel tornado di emozioni che Sabrina suscitava in lui, non ne era in grado. 

Nessun discorso razionale riusciva a chiarire quella confusione che lo sconvolgeva emotivamente. 

Di una cosa era certo, se davvero l’amore c’entrava con la sua situazione, era inutile ragionarci su. 

“L’amore è la morte della ragione” sussurrò sagacemente a se stesso.

Tutti quei discorsi fatti sinora gli rimbombavano nella testa, così decise di distrarsi mettendo a posto la spesa.

 Andò nella piccola cucina, dove aveva lasciato tutte le borse, e iniziò a tirare fuori i vari alimenti. 

Provò a sistemare tutto nel migliore dei modi nel frigo e nella dispensa, poi passò ai suoi vestiti. 

Cercò un paio di forbici e, una volta trovate, iniziò a rimuovere tutte le etichette.

Dopodiché piegò tutti i capi accuratamente e li appoggiò sul tavolo del salotto, non sapendo dove metterli. 

Quelle azioni avevano svolto egregiamente il loro compito. 

Per tutto il tempo non aveva pensato a nulla, né ai suoi indeterminati sentimenti, né alla sua angosciante amnesia.

 Purtroppo, ora che si ritrovava nuovamente senza nulla da fare, quei pensieri iniziarono a ripresentarsi.

 Per fortuna di Hero furono subitaneamente interrotti dal rumore della porta del bagno che si apriva. 

Sabrina entrò nella stanza con un’espressione allegra in viso, come se la rabbia e la tensione di pochi minuti prima non fossero mai esistite. 

"Hai già sistemato la spesa, che gentile che sei!” esclamò riconoscente “e hai anche piegato la tua roba da vestire…dì un po’, non è che per caso sei dell’esercito? Un ordine simile è tipico dei militari”. 

“L’ordine è anche tipico dei casalinghi, anche se è un’opzione decisamente meno interessante ed attraente rispetto a quella del soldato, vero?” le rispose con un sorriso ironico. 

Lei rise con grazia alla sua battuta. 

“Si, lo devo ammettere, gli uomini in divisa hanno un certo fascino…ma anche avere un casalingo come coinquilino non sarebbe male” osservò scherzosamente lei.

 “Lieto di avere la sua approvazione anche da ‘domestico’ signorina Sabrina” affermò in tono solenne lui accennando un inchino, gesto che la fece ridere di nuovo. 

"Che scemo che sei! Dai vieni, puoi mettere la roba nella cassettiera di camera mia” propose gentilmente “Come avrai intuito non sono la tipica diciottenne piena di vestiti, quindi c’è spazio”.

 Hero accumulò tutti i suoi capi d’abbigliamento in un’unica pila e la seguì in camera.

 Dopo aver sistemato tutto in un cassetto, Sabrina tolse il cellulare dallo zaino e guardò l’ora. 

“Ora devo proprio scappare, scusami” lo informò andando in salotto per recuperare la sua giacca. 

"Certo, nessun problema” rispose Hero seguendola fuori dalla stanza. 

“Se vuoi farti una doccia fai pure, gli asciugamani sono nel mobiletto vicino al lavandino. Anche per quanto riguarda la cena comportati come se fossi a casa tua, mangia ciò che preferisci e lascia pure stare le stoviglie, ci penserò poi io” gli spiegò in fretta. 

“Posso lavare i piatti, non voglio darti troppo disturbo” si offrì cordialmente Hero.

"No, mi sento già abbastanza in colpa a non farti da mangiare quando sei ospite a casa mia, figuriamoci se ti facessi anche lavare i piatti” rispose lei con un tono perentorio che non ammetteva repliche “ti ho lasciato delle coperte sul mio letto. Non ho altri cuscini oltre al mio, però se non riesci a dormire prendilo pure. Spero tu non stia troppo scomodo sul divano”.

 Finita quella lunga spiegazione, si fermò a guardarlo con apprensione. 

Si sentiva tremendamente in colpa al pensiero di lasciarlo da solo in una casa che non conosceva. 

"Stai tranquilla, sembra abbastanza confortevole. Poi così scopriremo se sono un soldato o un casalingo, no?” la rinfrancò quasi leggendogli nella mente. 

“Giusto, la verità verrà a galla” esclamò lei sorridendo per poi avviarsi alla porta. 

“Il mio turno finisce alle tre, quindi non aspettarmi sveglio. Di solito mi alzo alle nove-nove e mezza, perciò se hai fame fai pure colazione senza di me. Spero di averti detto tutto” concluse tirando un gran sospiro. 

“Me la caverò, non ti preoccupare” ribadì lui con uno sguardo accondiscendente. 

Lei aprì la porta, ma poi si fermò sulla soglia. 

"Hai dimenticato qualcosa?” le chiese sorpreso dal suo gesto.

 “Non so se ce la faccio a tornare lì…dopo quello che mi è successo…” sussurrò lei senza girarsi. 

La sua voce era incrinata dalla paura. 

Hero le si avvicinò, la afferrò delicatamente per il polso sinistro e la fece voltare, in modo da guardarla negli occhi mentre le parlava.

 “Non sei costretta ad andare” disse prendendo le mani della ragazza tra le sue.

 Grazie a quel gesto, per la prima volta fu lei ad arrossire.

 “Domani potrai andare a cercare un nuovo lavoro, sono sicuro che lo troverai in un lampo. E se avessi problemi di soldi nei primi tempi, io potrei andare a stare in quella casa di cura…così non sarei un peso per te…”.

 Sabrina, che fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi, a quelle ultime parole alzò la testa e lo fulminò con lo sguardo. 

“No! Tu non te ne andrai in nessuna casa di cura!” si oppose con fermezza “mi occuperò io di te finché ne avrai bisogno”.

 Liberò le mani da quelle di Hero e asciugò le lacrime che avevano iniziato a inumidirle le guance.

"È stato soltanto un momento di debolezza, non guardarmi così!” disse cercando di sorridere. 

Anche quel sorriso appena accennato era stupendo agli occhi di Hero. 

“Poi come hai suggerito tu domani cercherò un nuovo lavoro e se mi assumeranno lascerò subito il Dreamland. Ho resistito per sei mesi in quel posto, una serata in più non mi ucciderà!” esclamò con un sorriso questa volta più convinto “ora vado, altrimenti arriverò certamente in ritardo”. 

“Mi raccomando, fai attenzione…” replicò con aria turbata lui. 

“Ricordati che quel poliziotto mi porterà fin lì, aspetterà tutta la notte fuori dal locale e mi riaccompagnerà anche a casa, non c’è motivo che tu stia ansia” lo rassicurò amorevolmente. 

“Già…probabilmente hai ragione tu” assentì lui sforzandosi di sembrare meno nervoso. 

Sabrina si girò verso la porta aperta, ma si fermò nuovamente. 

Prima che Hero potesse fare domande, lei si voltò di scattò, si avvicinò e, mettendosi in punta di piedi, gli diede un bacio sulla guancia.

 “Grazie di tutto Hero…ci vediamo domattina” gli sussurrò dolcemente all’orecchio. 

Detto ciò uscì definitivamente dall’appartamento chiudendosi la porta alle spalle. 

"A domani” rispose alcuni secondi dopo, quando ormai la ragazza se n’era già andata.

 Quel bacio gli aveva mozzato il fiato, ma era comunque una sensazione piacevole. 

Anche se lei non era più lì sentiva ancora il calore avvampargli il viso e il cuore battere a folle velocità.

"Si, credo proprio di essermi innamorato di lei” concluse a bassa voce. 

Rimase per un periodo imprecisato di tempo fermo a fissare la porta e a ripensare a quel bacio. 

Si sfiorò la guancia con le dita, come se potesse ancora percepire la sensazione del contatto delle sue labbra. 

Erano delicate come velluto. 

Era solamente un bacio sulla guancia, ma per lui aveva un valore immenso.

Sentiva che in qualche modo anche lei si stava legando a lui, seppur probabilmente non con la sua stessa intensità.

A quel pensiero arrossì e sorrise.

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Capitolo 11
*** Da solo in casa ***


Ripresosi dall’emozione decise di andare a fare una doccia.

 Erano minimo due giorni che non si lavava e ne sentiva proprio il bisogno.

 Entrò nel piccolo bagno, cercò gli asciugamani e li appoggiò su uno sgabello lì vicino. 

Dopodiché si tolse i vestiti e per un attimo rimase ad osservare la sua maglietta.

 Era bianca e le macchie di sangue rappreso saltavano subito all’occhio. 

Per andare in giro con Sabrina l’aveva coperta chiudendo la cerniera della felpa e se ne era quasi scordato. 

La vista del suo stesso sangue lo riportò a quella notte. 

Si sforzò ancora una volta di ricordare i momenti precedenti al suo ultimo ricordo, quando aveva slegato Sabrina, ma tutto ciò che ottenne fu la solita fitta di dolore alla testa. 

Si premette la mano sulla fronte cercando di attenuare il dolore, ma fu tutto inutile. 

Gettò con rabbia i suoi abiti nel portabiancheria e aprì l’acqua della doccia, deciso a non badare più a quei pensieri angoscianti.

 Quando l’acqua fu abbastanza calda entrò nel box e chiuse la porta scorrevole.

 L’acqua, ormai diventata bollente, portò una piacevole sensazione di benessere, come se lavasse via anche la tensione. 

Rimase a lungo nella doccia e quando ne uscì si sentì rinato. 

Come cambio aveva scelto i jeans grigio scuro abbinati alla t-shirt azzurra e alla felpa nera con cappuccio. 

Dopo essersi vestito ed aver asciugato i capelli, il suo stomaco iniziò a brontolare. 

"Che fame, è meglio che metta qualcosa sotto i denti” borbottò tra sé e sé.

Una volta arrivato in cucina si fermò e incrociò le braccia sul petto. 

“Già, ma cosa mi piace? E soprattutto, cosa so cucinare?” si domandò perplesso. 

Così prese ad esaminare il cibo a disposizione nel frigo e nella dispensa alla ricerca di qualcosa che lo ispirasse.

 “Mi preparerò della pasta” decise dopo un’attenta riflessione “credo di essere capace di prepararla e inoltre mi sembra qualcosa che mangerei”. 

Fece un cenno di assenso a se stesso e iniziò a preparare la sua cena. 

Riempì d’acqua fino all’orlo una piccola pentola e poi tirò fuori dal pacco di pasta una quantità simile a quella indicata sul retro della confezione, ovvero ottanta-cento grammi.

Sabrina non aveva una bilancia, o almeno così era risultato dalle sue ricerche nei vari mobili della cucina, quindi cercò di andare a occhio.

 La preparazione gli venne poi spontanea. 

Un po’ di sale, aspettare che l’acqua bollisse, buttare la pasta e infine, dopo diversi assaggi di prova, scolarla nel lavandino.

 In quel momento gli tornarono in mente le parole del medico.

 Non aveva perso le sue capacità pratiche-cognitive, se fosse stato in grado di fare qualcosa nel passato, lo avrebbe saputo ripetere anche ora, quasi inconsciamente. 

Condì la pasta con un filo d’olio e del grana grattugiato. 

Dopo il primo boccone fece un sorriso soddisfatto. 

La pasta era leggermente troppo al dente, ma non gli dispiaceva. 

“Non è niente male, ma non credo proprio di essere un cuoco” constatò scherzosamente portandosi alla bocca un’altra forchettata. 

Dopo aver finito di mangiare lavò le stoviglie, anche se Sabrina gli aveva esplicitamente ordinato di lasciare fare a lei il giorno dopo.

 Per quanto si sforzasse di non farlo sentire come un peso, lui nutriva il desiderio di ricambiare la sua ospitalità e questo era un modo semplice ma efficace.

 Una volta riordinata la cucina guardò l’ora sullo schermo del forno. 

Erano soltanto le dieci e mezza e lui non si sentiva affatto stanco.

 Il pensiero di sdraiarsi sul divano ed essere assalito nuovamente dalle riflessioni sul suo passato smarrito lo angustiava. 

Doveva trovare qualcosa da fare per distrarsi e lo doveva fare in fretta. 

Iniziò a girare per il piccolo alloggio alla ricerca di qualcosa fuori posto da riordinare, ma non trovò nulla. 

Allora si mise a cercare un libro o una rivista da leggere per passare il tempo, senza avere maggiore fortuna. 

Evidentemente Sabrina non aveva tempo per la lettura oppure non la gradiva. 

Quando già sentiva l’ansia iniziare ad assalirlo gli venne un’idea, come un flash dalla sua vita precedente.

 Era convinto che fare dell’esercizio fisico lo avrebbe aiutato a distendere i nervi e, successivamente, a dormire. 

Senza doverci pensare troppo a lungo gli vennero in mente alcuni esercizi da fare lì in casa. 

Piegamenti sulle braccia e sulle gambe, diversi tipi di addominali, e altri esercizi di tipo aerobico.

 Burpees, jumping jacks, mountain climber e molti altri, conosceva tutti i nomi. 

Era proprio un mistero il funzionamento della sua memoria, ricordava queste cose e non il suo stesso nome.

 Quando si ritrovò senza fiato e con tutti i muscoli doloranti smise di allenarsi. 

Era leggermente sudato e decise di darsi una rinfrescata in bagno. 

Si tolse la t-shirt, lavò via il sudore dalla sua pelle con l’acqua del lavandino e, dopo essersi asciugato, rimase ad osservare il suo riflesso allo specchio.

 Aveva un fisico asciutto, ma ben definito. 

Era chiaro che si tenesse in forma, tuttavia non aveva proprio il tipico aspetto del ‘palestrato’.

 Per tale motivo dubitò di aver lavorato in questo settore in precedenza. 

Non proprio soddisfatto del suo aspetto, si rivestì in fretta. 

Uscito dal bagno decise di controllare nuovamente l’ora e con stupore scoprì che era mezzanotte passata. 

“Wow! Come vola il tempo quando ti alleni” esclamò compiaciuto.

 Si era allenato quasi per due ore senza nemmeno rendersene conto. 

Lo strano ma piacevole misto di stanchezza e appagamento successivo all’allenamento lo convinsero ad andare a dormire. 

Così preparò il divano con le coperte che gli aveva lasciato Sabrina.

 Si tolse i pantaloni e la felpa, e si sdraiò. 

Non avevano pensato di comprare un pigiama, ma per fortuna non faceva per nulla freddo sotto il tepore delle coperte. 

Dopo essersi sistemato pensò ancora una volta a lei.

Immaginarla in quel sordido posto, dove le ragazze venivano trattate come oggetti di piacere dai depravati frequentatori del locale, lo faceva tremare dalla rabbia. 

Sentiva di dover essere con lei in quel momento, ma non poteva farlo in alcun modo. 

Non sapeva dove si trovasse il Dreamland e ,anche se lo avesse scoperto, non sarebbe potuto entrare. 

Si tranquillizzò pensando che almeno sarebbe stata al sicuro dal suo misterioso aggressore ancora in libertà.

 L’agente Orsi era appostato fuori dal locale e l’avrebbe accompagnata a casa alla fine del suo turno. 

Le palpebre si facevano via via più pesanti, nonostante la sua mente cercasse di tenerlo sveglio con quelle riflessioni. 

“Non dovrai più lavorare in quel posto Sabrina, mi prenderò cura io di te…non dovrai più subire quelle umiliazioni e soffrire in silenzio…” sussurrò quasi ad occhi chiusi. 

Dopo aver pronunciato quelle parole si addormento con l’accenno di un sorriso sul suo viso.

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Capitolo 12
*** Ritorno al Dreamland ***


Intanto Sabrina era al lavoro, impegnata come sempre a svolgere il suo lavoro di cameriera evitando il più possibile le ‘palpatine’ dei clienti. 

Era lì da circa tre ore e la serata aveva preso una brutta piega fin dall’inizio. 

Dopo aver servito l’ultimo bicchiere del suo vassoio, si prese una pausa uscendo sul retro del locale, dove di solito le ragazze andavano a fumare. 

Prese la sua giacca per non morire di freddo, visto le ridotte dimensioni della sua divisa. 

Era composta da un paio di stivaletti neri, una corta gonna nera con il pizzo bianco e una piccola tasca, anch’essa bianca sul davanti, due polsini neri con i bordi di pizzo bianco, lo stesso della gonna, un top nero decorato con un fiocco bianco e una fascia di pizzo bianco e nero ad incorniciare il seno in bella vista. 

A completare il tutto vi era un collarino di pizzo bianco con laccetti neri e una cuffietta da cameriera sempre di pizzo bianco. 

Si sedette su uno scalino e si mise a ripensare a ciò che era successo soltanto poche ore prima.

Le immagini scorsero nella sua mente come se stesse vedendo un film. 

Durante il viaggio in macchina verso il locale non aveva rivolto la parola al poliziotto, era ancora furiosa per il disguido del loro incontro. 

L’agente era chiaramente a disagio per il suo sbaglio e quindi aveva limitato la comunicazione allo stretto indispensabile, informandola che in caso di problemi lo avrebbe trovato nel parcheggio di fronte al Dreamland. 

Una volta scesa dalla macchina ed entrata al lavoro, aveva subito ricevuto una strigliata dal barista per il ritardo. 

Nonostante il passaggio in auto, era arrivata alle nove in punto, ora in cui sarebbe già dovuta essere vestita e pronta a servire ai tavoli. 

Tuttavia il peggio doveva ancora venire. 

Si stava cambiando nello stanzino adibito a camerino per le ragazze quando aveva sentito aprire la porta alle sue spalle. 

Sull’uscio si erano palesati il proprietario, Mr Orfeo, e la sua guardia del corpo, José. 

José era un ragazzo sui trent’anni, peruviano, alto quasi un metro e novanta, e ben oltre i cento chili. 

Era una montagna, anche se non aveva affatto un bel fisico, soprattutto a causa della grande pancia che rovinava la sua immagine da palestrato. 

Era però dotato di un’incredibile forza e di altrettanta violenza. 

Sabrina aveva potuto vedere entrambe quelle caratteristiche con i suoi stessi occhi. 

In un’occasione infatti l’energumeno aveva mandato all’ospedale un cliente ubriaco che aveva mancato di rispetto al suo capo. 

Si era portata istintivamente le mani al petto, essendo rimasta soltanto in reggiseno, e in preda alla paura non era riuscita a dire nulla. 

Il peruviano le aveva lanciato un’occhiata maliziosa e altrettanto avevano fatto gli occhietti da topo del suo ‘padrone’, come lo chiamavano segretamente tutte le ragazze del locale per la sua attitudine a trattarle come schiave. 

Riteneva che tra i due intercorresse un rapporto più simile a quello di un cane ed il suo padrone, piuttosto che quello di dipendente e datore di lavoro. 

Lo seguiva ovunque e non faceva una mossa senza il suo comando. 

Proprio Mr Orfeo aveva interrotto il silenzio e le sue parole risuonavano ancora adesso nella testa della ragazza. 

"Piccola Sabrina…sei sempre la solita timida. Questo limita molto le tue potenzialità nel nostro campo, sai?” aveva detto iniziando ad attraversare la stanza “però finora avevi svolto il tuo lavoro con impegno e, soprattutto, non mi avevi mai creato problemi”. 

Era giunto davanti a lei e l'aveva squadrata con severità. 

“Però ieri sono venuti degli agenti al locale e hanno ficcato il naso nei miei affari, disturbando anche parecchi miei clienti. Pensi forse che le persone che vengono qui gradiscano ricevere visite della polizia a casa loro? Non credi che frequentino il Dreamland per svagarsi un po’ dalle loro tristi vite di tutti i giorni e concedersi in segreto qualche innocente trasgressione?” le aveva domandato pacatamente. 

Aveva parlato in modo stranamente tranquillo e controllato, come quello di un genitore che riprende dolcemente sua figlia. 

“Si, lo so…non era mia intenzione farli venire al locale. Non ho potuto evitare di dir loro che lavoravo qui e hanno deciso di indagare. Gliel’ho detto ieri che cosa mi è successo” aveva sussurrato lei con un filo di voce, paralizzata dalla paura di essere chiusa in quella stanza con i due uomini. 

Sul viso di Mr Orfeo si era dipinta un’espressione di compatimento. 

“Povera Sabrina…chissà che spavento…” aveva bisbigliato accarezzandole teneramente i capelli “sono certo che tu abbia fatto di tutto per evitare che venissero qui…sei perdonata”. 

Dopodiché le aveva dato un languido bacio sulla fronte, causandole un brivido di disgusto. 

All'improvviso però la sua espressione era mutata, diventando la rappresentazione perfetta dell’ira e l’aveva afferrata per le spalle, sbattendola con forza contro la parete. 

Lei aveva esalato un debole lamento di dolore.

"Credi che me ne importi qualcosa di quello che ti è successo? ” aveva sbraitato sputando saliva sul suo volto “per quanto mi interessa ti possono violentare anche ogni notte, ma tu, se ci tieni al tuo lavoro, non devi mai più portare la polizia qui, intesi?”. 

Era paonazzo dopo la sfuriata. 

Lei era riuscita soltanto ad abbassare ripetutamente il capo per rispondere affermativamente. 

Non riusciva a respirare bene dopo la botta contro il muro. 

Mr Orfeo si era perciò calmato e aveva nuovamente mostrato la sua espressione accondiscendente, arrivando persino ad accarezzarla sulla guancia. 

“Sei un tale spreco di talento...io questo ormai l’ho accettato. Ma non ti azzardare a combinare altri guai qui al Dreamland, altrimenti mi troverò costretto a chiedere a José di darti una lezione. Se commetterai un altro errore ti insegnerà quali sono le conseguenze per chi sputa nel piatto in cui mangia, sono stato chiaro?” l'aveva minacciata guardandola torvo. 

Il gorilla si era strofinato le mani, come se non vedesse l’ora di poter svolgere il suo compito, ed un sorriso maligno si era materializzato sul suo viso. 

Sabrina aveva annuito nuovamente, terrorizzata dalle parole del proprietario e dalla sadica espressione del suo mastino. 

"Su sbrigati, sei già in ritardo. Mi raccomando, stasera mi aspetto un servizio esemplare e tante belle mance” aveva concluso uscendo dallo stanzino seguito da José. 

Quest’ultimo l’aveva ancora una volta guardata con desiderio, passandosi la lingua sulle labbra. 

Era rimasta lì contro la parete, ferma immobile, per un paio di minuti. 

Sentiva le guance rosse e gli occhi che iniziavano a bruciare, stava per piangere. 

Aveva combattuto quell’istinto, si era vestita ed aveva iniziato il suo turno come se nulla fosse. 

A risvegliarla dai suoi ricordi fu la voce di un’altra ragazza, una sua nuova collega. 

"Marco ha bisogno che torni dentro, dice che sei stata fuori già troppo a lungo” esclamò con un tono fastidiosamente squillante. 

Sabrina, non avendo neanche l’orologio o il cellulare, non si era resa conto dello scorrere del tempo.  

Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasta lì fuori, bloccata su quello scalino a rivivere i momenti traumatici di poche ore prima.

“Vengo subito” rispose alzandosi. 

Quando passò di fianco alla ragazza, questa la irrise.

“Certo che con quella faccia da funerale non riceverai molte mance stasera” la provocò odiosamente. 

Lavorava al Dreamland da pochi giorni, ma era stato subito evidente a Sabrina che fossero completamente diverse. 

Alla ragazza non pesava affatto il clima del locale, anzi sembrava molto a suo agio. 

Decise di ignorarla e si diresse alla porta. 

“Già sei un po’ bruttina, se in più ti comporti così a breve sarai senza lavoro. Scommetto che non guadagni la metà di quello che faccio io…per non parlare poi del tuo fisico da bambina…” rincarò la dose con crudeltà la nuova arrivata.

Un sorrisetto derisore le si formò sul viso. 

Sabrina la affrontò a muso duro. 

Era più grande di lei, sui vent’anni, la superava di almeno dieci centimetri e aveva anche un fisico più tonico del suo. 

In quel momento però lei era furiosa e decisa a sfogare la sua frustrazione per tutte le brutte esperienze di quei giorni. 

“Sono sicura che non guadagneresti più tanto se ti facessi un occhio nero su quel tuo bel visino pieno di trucco” la minacciò portando la sua fronte contro quella di lei. 

“Perché non ci provi nanetta?” la sfidò l'altra.

Ad interrompere il faccia a faccia fu l’arrivo di Marco, il barista. 

“Che diavolo state facendo? Non siete pagate per litigare. Tornate subito dentro o farò sapere a Mr Orfeo che invece di lavorare siete qui fuori a perdere tempo” sbraitò con asprezza. 

L’uomo rientrò senza aspettare che le due gli rispondessero. 

Sabrina lanciò un ultimo sguardo di fuoco alla provocatrice e ritornò nel locale, seguita a ruota da quest’ultima. 

Si tolse la giacca e si diresse al bancone per ricevere indicazioni sui nuovi tavoli da servire. 

Il giovane assistente di Marco, un ragazzo sui ventiquattro anni di nome Piero, le indicò il tavolo in fondo alla sala, dove si erano appena seduti dei clienti. 

"Vai lì a prendere le ordinazioni, le altre sono tutte impegnata” le comandò in tono rude. 

Avvicinandosi al tavolo Sabrina notò che era occupato da quattro uomini. 

Non li aveva mai visti, anche se con uno di loro non poteva esserne certa, essendo girato di spalle. 

Arrivata al tavolo assunse il suo sorriso di facciata e chiese loro cosa desiderassero. 

“Una vodka liscia”, “un caipirinha”, “un bloody mary” risposero in rapida sequenza i tre uomini che poteva vedere.

Quello di spalle non aveva parlato. 

"Lei invece cosa vorrebbe?” domandò cordialmente. 

Ilcliente silenzioso aveva un cappello con visiera e degli occhiali da vista. 

“Io voglio le tue scuse” mugugnò tenendo una mano davanti alla bocca. 

“Come scusi?” chiese lei colta di sorpresa. 

L’uomo abbassò la mano e con l’altra si tolse il cappello, fissandola negli occhi.

“Ho detto che voglio le tue scuse” ribadì aggressivamente. 

A quel punto lei si rese conto che l’uomo misterioso era in realtà Giovanni, il cliente che l’aveva molestata dal suo primo giorno al Dreamland. 

L’espressione di Sabrina mutò radicalmente, passando dalla perplessità al disprezzo. 

“Per cosa dovrei chiederti scusa?” replicò con astio.  

“Non è ovvio?” domandò lui in tono ostile “mi hai mandato gli sbirri a casa. Per fortuna la mia fidanzata non c’era, altrimenti sai che casino? Gli hai raccontato che io ti importuno sul lavoro, ma cosa ti aspetti? Hai visto dove lavori? È un tuo dovere intrattenere i clienti, giusto ragazzi?”. 

I suoi amici approvarono il suo discorso con ampi cenni del capo e mugugni indefiniti.

Sabrina era disgustata da quell’atteggiamento da branco. 

"Ho detto solamente la verità. Inoltre io non vengo pagata per essere molestata, ma per servire ai tavoli. Quindi se vuoi fare la tua ordinazione parla ora, altrimenti resterai all’asciutto” sibilò con sdegno. 

I tre uomini si misero a ridere sguaiatamente del loro compagno. 

"Certo che questa ragazzina non te le manda certo a dire, eh?” lo schernì uno. 

“Neanche pagando riesci a farti trattare con rispetto da una donna!” si unì al dileggio un altro. 

"Perché ci hai fatti venire con te? Bastava fare un’uscita con la tua fidanzata per vedere come di fai mettere sotto da una femmina” aggiunse il terzo.

Dopo questo giro di battute, tutti e tre scoppiarono a nuovamente a ridere.

Giovanni era rosso dalla rabbia e si mordeva nervosamente il labbro inferiore. 

Sabrina dal canto suo era parecchio soddisfatta per essere riuscita ad umiliarlo davanti ai suoi amici. 

“State zitti!” gridò all’improvviso Giovanni all’indirizzo dei suoi compari. 

"Io prendo il solito, un daiquiri” continuò questa volta rivolto alla ragazza “poi, quando ci avrai portato tutto, io e te ce ne andremo in uno dei privè e mi farai uno spettacolino coi fiocchi. Gratis ovviamente, così ti farai perdonare per i problemi che mi hai procurato, chiaro?”. 

Gli occhi da dietro le sue lenti esprimevano tutta la sua frustrazione per l’umiliazione e al contempo l’eccitazione che provava al pensiero di restare da solo con la ragazza.

“Io non ci conterei” rispose lei fulminandolo con lo sguardo “le vostre ordinazioni arrivano subito”. 

Detto questo si allontanò senza attendere una replica e sentì dietro di sé le risate dei compagni di Giovanni, oltre alle sue imprecazioni. 

Non aveva intenzione di subire le angherie di quell’uomo. 

La serata era stata già abbastanza logorante con le minacce di Mr Orfeo e le provocazioni della nuova arrivata. 

Sentiva che era sul punto di scoppiare. 

Attese al bancone le bevande, le sistemò sul vassoio e prima di dirigersi al tavolo fece un profondo respiro per calmarsi. 

Era sicura che Giovanni l’avrebbe assillata ancora con le sue richieste. 

Se quando era da solo era tremendamente insistente, la presenza dei suoi amici, sui quali voleva fare colpo, non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. 

Giunta al tavolo notò che i tre uomini stavano ancora sghignazzando, anche se più sommessamente, mentre il suo tormentatore tremava per l’irritazione. 

Sabrina diede a ciascuno la propria consumazione e fece per andarsene, senonché la voce gracchiante di Giovanni richiamò la sua attenzione e la costrinse, suo malgrado, a voltarsi.

“Allora in quale privè ti devo aspettare?” sogghignò scambiandosi occhiate di intesa con il suo gruppo. 

Lei squadrò i suoi amici e poi concentrò il suo sguardo carico di odio e disprezzo verso di lui. 

“Se mai un giorno decidessi di iniziare a fare quel tipo di cose, stai pur certo che tu saresti l’ultimo uomo sulla faccia della Terra per cui mi esibirei. Sei disgustoso non soltanto fisicamente, ma anche come persona. Quindi cercati qualche altra ragazza nel locale con cui realizzare le tue sporche fantasie sessuali” ribatte piena d’astio. 

Si voltò nuovamente per tornare al bancone, tra i cori di derisione dei tre uomini, quando una mano la afferrò per il polso e la fece girare su se stessa. 

Si ritrovò faccia a faccia con Giovanni, il quale si era alzato di scatto dalla sedia, facendola cadere. 

La sua faccia era deformata dalla collera. 

"Pensi di potermi trattare così davanti ai miei amici?” le urlò bagnandole la faccia con un getto di saliva “avrò il mio spettacolo! Se non lo vuoi fare nel privè, lo farai qui davanti a tutti”. 

Dopo aver pronunciato quelle parole le cinse i fianchi con entrambe le mani e la tirò a sé, facendole cadere il vassoio. 

Iniziò a toccarla sul sedere, sul seno e persino mezzo alle gambe. 

Appena lei riusciva a ricacciare indietro una mano, la trovava subito da un’altra parte.

Sembrava quasi che fosse un polipo e non un uomo. 

Sabrina cercava di liberarsi dalla sua presa, intimandogli di lasciarla andare e spingendolo con tutte le sue forze, ma era un’impresa fuori dalla sua portata. 

Era decisamente più forte di lei, più alto e più pesante. 

Come se già questi fattori non bastassero, le urla di incitamento dei suoi amici lo rendevano ancora più aggressivo nella sua azione. 

Cercò ripetutamente di baciarla in bocca, ma lei fu in grado di respingerlo ad ogni tentativo.

Nessuno dei clienti mosse un dito per aiutarla, e nemmeno i baristi o le sue colleghe fecero qualcosa. 

Si guardava intorno in cerca di aiuto ma, ogni volta che incrociava lo sguardo di qualcuno, questi lo distoglieva. 

Perfino il buttafuori del locale osservava la scena senza mostrare alcuna intenzione di intervenire. 

Forse era stato Mr Orfeo a dare ordine di non proteggerla, per darle una lezione. 

Giovanni notò la vana ricerca d’aiuto della ragazza e ne fu estremamente compiaciuto. 

“È inutile che ti guardi intorno…nessuno interverrà a salvarti, perché tu non significhi nulla per nessuno” le sussurrò con malignità all’orecchio “qui non ci sono eroi…”. 

In quel momento Sabrina pensò a Hero. 

Desiderò ardentemente che potesse arrivare a salvarla, come quella notte, ma sapeva benissimo che non era possibile. 

Probabilmente ora stava dormendo ed in ogni caso non aveva la minima idea di dove si trovasse il Dreamland. 

E anche se lo avesse saputo non c’era motivo per cui sarebbe dovuto venire lì in quel momento. 

Sentì le lacrime che iniziavano ad inumidirle gli occhi. 

Era questo il suo destino? 

Essere continuamente vittima della violenza di qualche uomo senza potersela cavare da sola? 

‘No!’ urlò dentro di sé. 

Non sarebbe più stata a subire quei soprusi senza reagire. 

Hero le aveva dato il coraggio di cambiare, la volontà di non lasciarsi vivere e di scegliere invece la sua strada. 

Raccolse le forze e scacciò l’uomo, creando uno spazio tra loro due. 

Quando il suo aggressore si fece sotto un'altra volta, lei raccolse da terra il vassoio e glielo sbatté dritto in faccia sfogando tutta la sua rabbia. 

Giovanni arretrò, le mani sul naso dal quale colava copiosamente sangue. 

Gli occhiali erano ridotti in frantumi, ma non erano caduti a terra. 

“Maledetta! Guarda cosa mi hai fatto!” strillò con voce nasale “questa me la paghi puttana!”. 

I suoi amici si erano radunati al suo fianco per verificare le sue condizioni e se la stavano ridendo di gusto. 

"Tu non mi metterai mai più le mani addosso lurido porco” riuscì a gridare Sabrina nonostante il fiato corto causato dalla precedente lotta per liberarsi e dalla paura. 

Dopo aver pronunciato quelle parole si sentì padrona del suo destino per la prima volta nella sua vita. 

I compari di Giovanni lo stavano ora sospingendo verso l’uscita, nonostante lui stesse chiedendo loro di vendicarlo prendendosela con la ragazza. 

Appartenevano chiaramente a quella categoria di uomini che non è disposta a correre il rischio di mettersi nei guai compiendo un atto di violenza in prima persona, ma è ben lieta di osservare altri farlo. 

Sebbene fosse ancora scossa per l’accaduto, sul viso di Sabrina si dipinse un’espressione trionfante. 

Aveva punito colui che per mesi l’aveva tormentata rendendo il suo lavoro al Dreamland ancora più spiacevole di quanto già non fosse. 

I quattro stavano uscendo dal locale quando Sabrina avvertì un forte dolore al braccio destro che la costrinse a lasciar cadere il vassoio. 

Inclinò leggermente la testa e vide che un’enorme mano la stringeva poco sopra il gomito. 

Ancor prima di alzare lo sguardo realizzò a chi appartenesse. 

Era la mano di José. 

Il cane da guardia di Mr Orfeo torreggiava dietro di lei guardandola dall’alto con cattiveria.

“Lasciami andare, mi stai facendo male!” disse in preda alla sofferenza cercando di liberare il braccio dalla presa. 

“Il capo vuole vederti…subito” si limitò a farfugliare lui. 

Senza aggiungere altro la trascinò via dalla sala principale tra gli sguardi incuriositi dei presenti.

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Capitolo 13
*** Il regalo d'addio di Mr Orfeo ***


José la condusse nel piano interrato del locale trascinandola con violenza. 

Per tutto il tempo non allentò minimamente la stretta, incurante dei gemiti e delle proteste di Sabrina. 

Arrivati davanti alla porta dell’ufficio del capo, bussò con la mano libera e, senza attendere una risposta, entrò.

 Spinse dentro la ragazza con tale energia da farla cadere per terra. 

“Ecco la piccola combina guai boss” mugugnò prima di chiudere la porta e posizionarsi davanti a essa per sbarrare l’uscita. 

“Efficiente come sempre José” si complimentò cordialmente Mr Orfeo. 

Era sprofondato nella sua comoda poltrona, dietro la sua gigantesca scrivania. 

Sabrina aveva visto l’ufficio soltanto una volta, ovvero il suo primo giorno di lavoro, quando Orfeo l’aveva pagata di persona per la serata. 

Poi per fortuna non aveva più rimesso piede in quel posto e aveva incrociato poche volte il proprietario. 

Stava rinchiuso lì dentro la maggior parte del tempo, probabilmente a gestire i suoi loschi affari.

 L’uomo la fissò senza dire una parola per un lasso tempo che le sembrò interminabile. 

Lei era rimasta seduta a terra, senza osare fare una mossa e tanto meno aprir bocca.  

“Sabrina…Sabrina…cosa devo fare con te?” si lamentò con finta tristezza “non ti avevo detto appena tre ore fa che non avresti dovuto provocarmi altri problemi?”. 

Sabrina iniziò a tremare, conscia di averla combinata grossa e di essere finita in guai seri. 

"E tu, invece di ascoltare le mie direttive, cosa fai? Spacchi il naso con un vassoio ad uno dei nostri clienti più fedeli?” domandò scrutandola con severità. 

“Quell’uomo mi stava aggredendo e io mi sono difesa” trovò il coraggio di rispondere lei, anche se con voce tremante.

“Oh è vero! Quasi dimenticavo…la povera piccola è quasi stata violentata poche notti fa…allora è tutto a posto…” la canzonò crudelmente il capo. 

Dietro di lei il gigante aveva un’aria perplessa. 

Forse il suo intelletto limitato non gli permetteva di cogliere l’ironia nella parole del suo padrone. 

Mr Orfeo si avvicinò alla ragazza e si inginocchiò davanti a lei, per quanto la sua enorme pancia gli permise di fare. 

"Vedi ragazzina, la realtà dei fatti è che a me non importa nulla di quello che ti succede fuori dal locale” le spiegò freddamente “a me interessa soltanto che tu svolga bene il tuo lavoro e che i miei clienti siano soddisfatti. Tu mi stai facendo perdere soldi, lo sai?”.

 La puzza di sigaro nell’alito dell’uomo spinse Sabrina a voltare la testa di fianco, gesto che lui non gradì affatto. 

Le conficcò le dita nelle guance e la costrinse a guardarlo nuovamente negli occhi. 

“Guardami in faccia quando di parlo!” le urlò incollerito “eri una stracciona quando ti ho incontrata la prima volta, puzzavi da far schifo ed avevi un aspetto trasandato. Io ti ho dato il lavoro con cui ti sei potuta permettere un alloggio, cibo e vestiti. Se hai una vita dignitosa è grazie a me!”.

 A quella frase Sabrina sentì ribollire dentro di sé la rabbia covata in quei mesi di umiliazioni. 

Si liberò della morsa sul viso, scacciando via la mano viscida di Mr Orfeo.

 Quest’ultimo, in precario equilibrio a causa della sua mole, precipitò grossolanamente all’indietro. 

Colto di sorpresa, rimase seduto sul suo enorme sedere a fissarla con occhi sbarrati

"Vita dignitosa? Io ho scambiato la mia dignità per la sopravvivenza. Hai approfittato della mia difficoltà per sfruttarmi e pretendi anche che io te ne sia grata?” gli gridò contro furibonda “ma ora è finita, d’ora in avanti non permetterò a nessuno di maltrattarmi. Me ne vado stasera e non mi rivedrai mai più”. 

La sua voce era carica di odio e non mostrava segni di esitazione o timore. 

Si alzò in piedi, mentre il suo ormai ex capo la osservava stupefatto, e si diresse verso la porta. 

José aveva una sguardo altrettanto confuso e questo la rincuorò. 

"Fammi subito uscire” disse con decisione guardandolo dritto negli occhi. 

Il gorilla attendeva ordini dal suo padrone, non era tipo da prendere l’iniziativa. 

Sabrina lo capì e allora si rivolse verso Mr Orfeo.

 “Gli dica di spostarsi, adesso”. 

Sentendo quelle parole l’uomo si riprese di colpo dal torpore. 

L’espressione stupita sparì dal suo volto in un istante. 

Ora era il ritratto dell’ira. 

"Portala vicino alla scrivania e tienila ferma” ordinò al bestione rimettendosi a fatica in piedi. 

Prima di rendersene contò Sabrina si ritrovò due enormi braccia avvolte intorno al busto. 

Il colosso la sollevò di peso con estrema facilità e la trasportò di fianco alla scrivania, sebbene lei si dibattesse forsennatamente.

 La stringeva con un tale vigore da farle mancare il respiro. 

Intanto Mr Orfeo era intento a cercare qualcosa nei cassetti della sua scrivania.

Dopo pochi secondi tirò fuori una collana con un ciondolo a forma di D, il logo del Dreamland. 

“Hai fatto troppo la furba Sabrina. È ora che ti insegni il rispetto” sibilò furente “te ne potrai anche andare via da questo posto, ma non lo dimenticherai mai, credimi…diciamo che resterai ‘segnata’ a vita”. 

Con la mano libera prese l’accendino che usava per accendersi i sigari e iniziò a passare la fiamma sotto il pendente. 

A quel punto Sabrina capì cosa avesse in mente. 

“No, ti prego! Non farlo, ti supplico!” iniziò a gridare in preda al terrore.

 Le lacrime cominciarono a rigarle il volto.

 “Aiuto, qualcuno mi aiuti!” urlò ancora più forte. 

“Tappale la bocca José!” sbraitò Mr Orfeo “mica vorremo disturbare i clienti di sopra”. 

Il suo fedele servitore obbedì immediatamente. 

Anche con una sola mano intorno al suo busto, Sabrina non riusciva a fare un movimento.

Continuava a dimenarsi come una forsennata e ad urlare, ma era tutto inutile.

 Non riusciva a liberarsi e le sue grida erano silenziate da quell’enorme mano. 

Dopo aver riscaldato per bene il monile, Mr Orfeo si avvicinò alla ragazza e le afferrò il braccio all’altezza del polso.

Con un’espressione di sadico piacere dipinta sul volto premette il pendente rovente sull’avambraccio destro di Sabrina.

 La ragazza percepì una sensazione di bruciore tremenda.

 Smise di lottare e, soverchiata dal dolore, svenne.

 A risvegliarla fu un getto di acqua fredda in faccia. 

Riprese conoscenza e si ritrovò appoggiata ad una parete dell’ufficio. 

Istantaneamente percepì un dolore acutissimo nel punto in cui era stata marchiata con il ciondolo. 

Esaminò la ferita, senza osare toccarla, e ciò che vide le fece quasi perdere nuovamente i sensi.

 Sul suo pallido avambraccio la grande D colore rosso acceso risaltava paurosamente. 

La pelle era stata rimossa fino a far vedere la carne viva. 

Per di più il tanfo della pelle bruciata era nauseante. 

Se avesse avuto qualcosa nello stomaco l’avrebbe certamente rimesso. 

Non per questo riuscì ad evitare un conato di vomito.

 Distolse lo sguardo per non peggiorare la situazione e vide Mr Orfeo. 

Era seduto comodamente alla sua poltrona, intento a rimettere a posto la collana e l’accendino. 

José era fermo davanti a lei con un secchio in mano. 

Evidentemente era stato lui a gettarle addosso l’acqua. 

“Bene ora che ti sei ripresa te ne puoi anche andare” affermò con calma olimpica il proprietario del locale, come se nulla fosse successo “non dovrei pagarti per questa serata, ma sono un uomo dal cuore d’oro. Quindi ti darò un compenso per le ore di lavoro che hai svolto”. 

Dopodiché gettò con disprezzo ai piedi della ragazza una banconota da venti euro. 

Sul suo viso non c’era più traccia dell’ira che lo aveva posseduto in precedenza. 

Sabrina, ancora sotto shock per ciò che era appena accaduto, raccattò in silenzio i soldi.

La sua mente era come paralizzata. 

Non era in grado di compiere alcun tipo di ragionamento logico, agiva soltanto meccanicamente. 

Vedendo che la ragazza non si alzava, il proprietario prese l’iniziativa. 

“Su José, non vedi che non si muove? Accompagnala allo spogliatoio e poi falla uscire dal retro” dispose infastidito. 

L’energumeno la afferrò per un braccio e la tirò in piede come se fosse una bambola di pezza.

 “Andiamo” mugugnò conducendola bruscamente verso l’uscita. 

Lei non oppose la minima resistenza. 

Aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre si faceva trascinare via.

 Quando l’omaccione stava aprendo la porta, Mr Orfeo richiamò la sua attenzione con un gesto della mano che gli ordinava di fermarsi. 

"Ancora una cosa piccola Sabrina…” esordì in tono melenso “mi sembra superfluo ricordartelo, ma lo farò comunque, per sicurezza. Se dovessi parlare con la polizia di quello che è successo in questa stanza, le conseguenza sarebbero alquanto spiacevoli…e non soltanto per te, ma anche per il tuo adorato eroe”. 

Udendo quelle parole lei ritornò improvvisamente in sé e fissò con preoccupazione e stupore l’uomo. 

“Oh, pensavi che non sapessi che vive con te ora? Aspetta…credo che non ti aspettassi nemmeno che io conoscessi il posto in cui vivi, giusto?” disse per poi prorompere in una grassa risata, condita da qualche colpo di tosse.

L'espressione di terrorizzata incredulità sul volto di Sabrina era più rivelatrice di mille parole. 

“Quindi fai la brava o quella graziosa decorazione che ti ho fatto sul braccio, potrei riprodurla sul tuo bel visino la prossima volta” continuò a minacciarla “e per quanto riguarda il tuo amico…ti basti sapere che non ho scrupoli a far del male ad una ragazzina come te, immagina cosa potrei organizzare per lui…”. 

Concluse il suo discorso esibendo un ghigno orribile. 

Dopo un altro gesto della sua mano José la condusse fuori. 

Una volta arrivati davanti al camerino, la gettò dentro con brutalità. 

“Sbrigati a cambiarti, che io ho da fare” sbraitò chiudendo la porta.

 Rimasta da sola, Sabrina si cambiò rapidamente, cercando di non pensare, almeno per il momento, alle minacce del padrone del Dreamland. 

Aveva il terrore che le potesse succedere ancora qualcos’altro se non si fosse cambiata in fretta.

 La sua prioritaria preoccupazione era di uscire al più presto dal locale. 

José aveva un temperamento impulsivo e violento, soltanto Mr Orfeo riusciva a tenerlo a bada. 

Se lo avesse fatto arrabbiare, chissà cosa le avrebbe fatto. 

In fretta e furia si tolse la divisa ed indossò i suoi vestiti. 

Per evitare che l’ustione entrasse in contatto con la manica, la coprì con un pezzo di carta. 

Una volta afferrata la sua borsetta, bussò alla porta.

 José aprì e la osservò con disprezzo. 

“Sarà meglio che non mi hai fatto aspettare troppo” borbottò in un italiano stentato.

La strinse nuovamente per il braccio e la guidò fino all’uscita sul retro. 

Aperta la porta, la spinse con violenza sul cemento, facendola finire su un fianco. 

“Ora sloggia e non farti più vedere” le urlò dietro mentre lei si rialzava lentamente “a meno che tu non voglia farmi un bel servizietto…in tal caso sarai la benvenuta, sai dove trovarmi”. 

Sancì la sua proposta passandosi la lingua sulle labbra in modo ben poco equivocabile. 

“Non ci contare lurido porco…” sussurrò Sabrina una volta chiusa la porta e certa che il bestione non la potesse sentire. 

Si pulì rapidamente i vestiti, insozzati dalla caduta, e si diresse zoppicando verso il parcheggio in cui l’attendeva l’agente Orsi. 

Individuò la macchina e si avvicinò il più velocemente possibile. 

Giunta a pochi passi dalla vettura, si rese conto che il poliziotto stava beatamente dormendo. 

Fu percorsa da un fremito di rabbia. 

‘È questo il suo concetto di protezione? Starsene a dormire tranquillo qui fuori mentre io li dentro vengo aggredita in ogni modo?’ gridò dentro di sé, lo sguardo d’odio fisso sull’uomo addormentato.

 Stava per bussare con veemenza al finestrino, quando si fermò di colpo.

 ‘Cosa sto facendo?’ pensò tra sé 'lui non ha colpe, anche se fosse stato sveglio non avrebbe potuto fare qualcosa per aiutarmi…qui fuori non si sente niente di quello che accade nel locale. Il suo compito era soltanto di portarmi al lavoro e riaccompagnarmi a casa'. 

Voleva sfogare la sua frustrazione e la sua rabbia per le orribili esperienze di quella serata, ma non era giusto farlo su di lui. 

Chiuse gli occhi, fece un bel respiro e bussò delicatamente al finestrino. 

L’agente Orsi sobbalzò quando la vide. 

Si drizzò il più possibile ed abbassò il finestrino. 

“Buonasera signorina Pilore” farfugliò tirando fuori il cellulare dalla tasca e controllando l’ora “mi scusi ma pensavo che sarebbe uscita tra due ore, quindi ho fatto un pisolino. Sa, è stata una giornata dura e…”. 

“Non importa agente Orsi” lo interruppe Sabrina “comunque non si sbaglia, sono io ad essere uscita prima”. 

“Ah mi sembrava…che stupido, le faccio prendere freddo. Salga pure, prego!” balbettò agitato aprendo lo sportello del passeggero. 

"Stia tranquillo…” lo rassicurò lei facendo il giro per entrare nell’automobile. 

"C’è stato qualche problema?” le domandò una volta che fu dentro l’abitacolo. 

Sabrina rimase per un attimo in silenzio, lo sguardo fisso sui suoi piedi. 

La sua mente ritornò alle parole minacciose di Mr Orfeo e capì come doveva comportarsi. 

“No, niente…divergenze con il mio capo…mi ha licenziata” rispose laconicamente.

 Senza rendersene conto si portò la mano sul braccio con il marchio. 

L’agente non se ne accorse e sembrò credere senza dubbi alle sue parole. 

"Mi dispiace…comunque non era un posto adatto a lei, troverà un lavoro migliore!” esclamò cordialmente.

 Le sorrise e lei cercò di ricambiare, anche se riuscì soltanto ad abbozzare un sorriso. 

“Bene, ora la riporto a casa, deve essere stanca!” disse l’agente accendendo il motore. 

"Si…grazie…” sospirò lei, adagiando poi il capo sul poggia testa e chiudendo gli occhi. 

Per il resto del viaggio restò in silenzio e con gli occhi chiusi, sollevata per il fatto di non dover interagire oltre con l’uomo. 

Una volta giunta al portone di casa sua, scese dal veicolo salutandolo gentilmente. 

L’uomo fu piacevolmente sorpreso dal suo atteggiamento, soprattutto viste il disguido di poche ore prima, quindi ricambiò il saluto con entusiasmo.

 Una volta entrata nel cortile del palazzo lei sentì la macchina ripartire ed allontanarsi. 

Evidentemente sarebbe venuto qualcun altro a sorvegliare la zona quella notte. 

Salì lentamente le scale e quando accedé al suo appartamento le emozioni ebbero il sopravvento.

 Iniziò a piangere e singhiozzare non appena si chiuse la porta alle spalle. 

Voltandosi vide Hero che dormiva sul divano e allora si tappò immediatamente la bocca con entrambe le mani, per silenziare i suoi gemiti. 

Non aveva intenzione di svegliarlo e tantomeno voleva farsi vedere da lui in quello stato. 

Eppure una parte di lei avrebbe voluto andare a sdraiarsi al suo fianco, per sentirsi al sicuro. 

Da quando l’aveva salvata quella notte, il ragazzo era diventato per lei il simbolo della speranza. 

La speranza che il mondo non fosse completamente marcio. 

La speranza che la sua vita potesse cambiare per una volta in meglio.

 La speranza di non dover affrontare più le difficoltà da sola. 

La speranza era una sensazione che aveva sempre odiato. 

‘La speranza non ti permette di vivere in pace’ ripeteva spesso a se stessa ‘ti induce sempre a credere che le cose possano cambiare, migliorare…e poi la realtà ti travolge come un treno in corsa’.

 “La speranza serve soltanto a trascinarti da un’illusione all’altra, facendoti dimenticare la sofferenza della precedente” mormorò tra sé e sé. 

Si avvicinò al divano e si mise ad osservare il ragazzo. 

Le coperte erano finite per terra, lasciandogli il busto scoperto. 

Ciò che catturò l’attenzione di Sabrina fu però il suo viso. 

Aveva un’espressione contratta e sofferente, proprio come la notte in cui l’aveva guardato mentre dormiva nel letto dell’ospedale. 

Il suo era probabilmente un sonno senza pace. 

‘Chissà se nei sogni riesce a ricordare qualcosa del suo passato…’ si domandò mentalmente. 

Accorgendosi che sulle braccia del giovane si era formata la pelle d’oca, decise di rimboccargli le coperte. 

Nel compiere questa azione, si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. 

Lo fissò intensamente e provò il desiderio di baciarlo. 

Avvicinò le sue labbra a quelle di Hero, ma quando furono quasi a contatto si ritrasse di scatto. 

Rimase per un attimo bloccata davanti al divano e poi si avviò rapidamente verso camera sua. 

Si sedette sul bordo del letto, tremendamente confusa. 

"Ma che cosa sto facendo?” sussurrò mettendosi le mani tra i capelli.

 Non aveva mai baciato un ragazzo in vita sua. 

Molti ragazzi avevano cercato di baciarla, d’altra parte era abbastanza attraente, ma lei aveva una sorta di blocco psicologico. 

Ogni volta che qualcuno provava a baciarla lei si tirava indietro, spinta da una forte sensazione di ribrezzo.

 Non era mai riuscita a capire l’origine di questa sua repulsione verso i baci e, in generale, il contatto fisico con i ragazzi.

 Ovviamente nessuno si mostrava comprensivo verso questo suo problema e tutti si allontanavano da lei dopo averlo scoperto. 

A chi poteva interessare una ragazza che si rifiutava di farsi baciare?

 Il loro fine si era dimostrato sempre e solo di tipo sessuale. 

Nel migliore dei casi la lasciavano semplicemente perdere. 

Altre volte invece si divertivano a mortificarla, spargendo voci crudeli sul suo conto. 

Per questo motivo e per le umiliazioni subite al Dreamland, Sabrina aveva perso da tempo la fiducia nei maschi.

A dire la verità, per le sue esperienze complessive nella vita, non aveva alcuna fiducia nel genere umano, uomini o donne che fossero.

 Invece ora per poco non si era ritrovata a baciare un ragazzo che conosceva da pochi giorni e che per di più era addormentato. 

Non solo lui l’aveva spinta a credere nuovamente che ci potessero essere degli uomini buoni nel mondo, ma era anche quasi riuscito a farle superare la sua repulsione per il contatto fisico. 

La ragazza era ora travolta da un turbinio di emozioni e sentimenti tanto diversi quanto incomprensibili. 

A strapparla dai suoi pensieri fu una tremenda fitta di dolore nel punto in cui c’era il marchio. 

Senza rendersene conto vi aveva passato sopra la mano sinistra. 

Si tolse la giacca di pelle, che indossava ancora dal suo ingresso in casa, e lentamente tirò su la manica della maglia.

 Una volta rimossa la carta, che aveva sistemato tra la manica e la pelle per evitare il contatto, osservò con attenzione la grande D rosso fuoco sul suo avambraccio.

 La lettera era incisa molto in profondità nella sua pelle, tanto da esporre la carne viva. 

L’aveva già compreso la gravità della situazione al locale, ma ora sembrava persino peggiorata. 

In quel momento realizzò pienamente che avrebbe portato quel marchio a vita.

 Questo la sconvolse tremendamente. 

Nuovamente le lacrime scorsero sul suo viso. 

Per alcuni minuti, dopo aver visto Hero, si era quasi dimenticata di quel segno indelebile tracciato col fuoco su di lei. 

Il ricordo di quei terribili istanti la assalì nuovamente con estrema violenza. 

Andò in bagno e cercò una crema da passare sulla ferita.

 Ne trovò una adatta, se la spalmò su tutto l’avambraccio, che continuava a farle male da morire, e si fasciò poi la scottatura con delle garze. 

Sempre piangendo, tornò in camera sua, si tolse le scarpe e si mise sotto le coperte con ancora addosso i vestiti.

 Nel giro di tre giorni era quasi stata violentata, era stata molestata ed era stata marchiata a fuoco come un animale. 

Per di più aveva perso il lavoro che le permetteva di mantenersi. 

Era attanagliata dal terrore di finire un’altra volta a vivere in strada e patire la fame. 

"Perché non posso essere felice anche io?” si domandò malinconicamente. 

Pianse a lungo, riflettendo su quanto la vita finora non le avesse riservato altro che sofferenze e delusioni. 

Alla fine la stanchezza ebbe la meglio sui suoi angoscianti pensieri. 

Stremata da quella lunghissima giornata, si addormentò tra le lacrime.

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Capitolo 14
*** L'incubo ricorrente ***



Hero si svegliò di soprassalto nel cuore della notte a causa di un incubo. 

Era sudato fradicio, il cuore batteva freneticamente ed aveva il fiato corto. 

Le coperte erano gettate sul pavimento, segno che doveva essersi agitato parecchio nel sonno.

Si mise a sedere sul bordo del divano e cercò di calmarsi. 

Aveva sognato di nuovo della notte dell’aggressione a Sabrina. 

A differenza del sogno precedente, questo presentava immagini più chiare. 

Era in una stanza, inginocchiato sul pavimento con le mani incrociate dietro la testa. 

Davanti a lui un uomo con un passamontagna, l’aggressore di Sabrina, gli puntava contro una pistola. 

Si stava mettendo in tasca un cellulare ed un portafoglio, probabilmente proprio i suoi che infatti risultavano smarriti.

Dopodiché pronunciò delle parole che nel sogno lui non riuscì a sentire. 

Tolse la sicura alla pistola e, proprio quando stava per fare fuoco, Hero balzò verso di lui, afferrandogli il polso. 

Il colpo partì comunque ferendolo alla testa e provocandogli una sensazione di dolore bruciante. 

Nonostante ciò continuò a combattere con l’uomo mascherato per il controllo dell’arma. 

Dopo una strenua lotta riuscì a rivolgere la canna verso l'addome dell'aggressore.

Sentì un altro colpo, al seguito del quale l'uomo mollò la presa sulla pistola. 

Si portò le mani sulla pancia e presto furono macchiate di sangue. 

Guardò Hero con occhi spalancati, in un misto di rabbia e terrore, poi fuggì via dalla stanza. 

“Non finisce qui!” erano state le sue ultime parole prima di sparire. 

A quel punto Hero si era svegliato in preda al panico. 

Pensando al sogno si domandò se fosse effettivamente un ricordo reale o soltanto il frutto della sua fantasia. 

L’ispettore Tarri gli aveva esposto la sua teoria sullo svolgimento dei fatti, sostenendo che l’aggressore di Sabrina lo avesse minacciato con la pistola e derubato.

In seguito alla sua reazione, i due si erano sparati a vicenda nella colluttazione, che si era conclusa con la fuga del criminale. 

Quindi era possibile che la sua mente avesse rielaborato quella teoria nel sogno. 

Tuttavia c’era un particolare che lo tormentava in quel momento. 

Nel suo incubo, era più corretto chiamarlo così visto il contenuto, l’uomo col passamontagna intendeva ucciderlo dopo averlo derubato, ne era certo. 

E, cosa ancora più angosciante, fuggendo aveva promesso di fargliela pagare. 

La sua vendetta avrebbe certamente coinvolto anche Sabrina, dato che viveva con lei. 

Forse dopo essersi sbarazzato di lui, l’avrebbe violentata, come aveva intenzione di fare quella notte. 

"È soltanto un sogno, non è la realtà dei fatti” disse cercando di rassicurarsi “la polizia ci protegge, non si farà vivo. Inoltre lo stanno cercando e presto o tardi lo cattureranno…”. 

Lentamente il battito cardiaco e la respirazione tornarono alla normalità. 

Anche se non era pienamente convinto di ciò che lui stesso affermava, le sue parole riuscirono nel loro obiettivo calmante.

Guardò l’orologio appeso alla parete.

 Erano le quattro del mattino, perciò Sabrina ormai doveva già essere tornata a casa. 

La paura che il sogno gli aveva instillato lo spinse ad andare a controllare. 

Si diresse verso la camera da letto della ragazza e silenziosamente aprì la porta quel tanto che bastava per vedere il letto.

 Lei era lì, sdraiata su un fianco, con soltanto la testa che sbucava da sotto le coperte. 

Vedendola trasse un profondo sospiro di sollievo.

 Forse l’incubo lo aveva terrorizzato senza una valida ragione. 

Rimase a guardarla, proprio come quella notte in ospedale. 

Sul suo volto era disegnata un’espressione che era un misto tra tristezza e angoscia, ma restava comunque bellissima.

 In quel momento sentì il bisogno di avvicinarsi a lei. 

Entrò nella stanza facendo attenzione a non fare alcun rumore e si accovacciò di fianco al letto. 

Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. 

Le tolse delicatamente una ciocca di capelli che ricadeva sulla sua bocca, portandola dietro l’orecchio.

 A quel punto il suo sguardo fu catturato proprio dalle labbra della ragazza. 

Quelle labbra delicate che ancora riusciva a percepire sulla sua guancia ricordando il momento in cui lo aveva baciato poche ore prima. 

Provò allora l’irrefrenabile desiderio di baciarla e si sporse sopra il letto per farlo. 

Quando fu tanto vicino da sentire sulle sue labbra il respiro di lei si fermò. 

Distolse il capo chiudendo gli occhi e si rimise in piedi. 

'Non posso, anzi non devo farlo’ si riprese severamente passandosi una mano sul viso 'averla salvata non mi dà il diritto di prendermi queste libertà. Non sarei diverso dagli uomini che lei tanto disprezza se la baciassi così a tradimento'. 

Si girò rapidamente per uscire dalla stanza ma, prima di chiudere la porta, la osservò un’ultima volta. 

Ammirarne appieno la bellezza era un lusso che poteva permettersi soltanto quando lei non lo guardava. 

Escludendo le occhiate furtive e sfuggenti che riusciva a lanciarle durante il giorno, la notte era il momento migliore per soddisfare quel suo segreto desiderio. 

Ritornato in salotto si sdraiò sul divano, deciso a cercare di riprendere sonno. 

Ma ciò che aveva provato pochi istanti prima nella camera da letto di Sabrina lo turbava. 

‘Perché sono così attratto da lei? La conosco così poco, eppure è come se la amassi da tempo’ ragionò confuso ‘non è soltanto una questione di attrazione, per quanto sia innegabile che fisicamente mi piaccia. È qualcosa di più di un semplice colpo di fulmine. Ho voglia di stare sempre con lei, di proteggerla, di aiutarla e di farla star bene…si possono provare sentimenti così profondi per una persona dopo soltanto pochi giorni dal primo incontro?’. 

Oltre all’irrequietezza che gli procurava l’incomprensibilità dei suoi sentimenti, c’era qualcosa che lo affliggeva ancora di più. 

Era l’incertezza sul suo futuro insieme a lei. 

Il solo pensiero di doversi separare da lei gli faceva mancare il respiro. 

"Quando avrò recuperato la memoria dovrò tornare alla mia vita e non potrò più stare qui con lei” constatò amaramente “lei mi tiene con sé perché si sente in debito e non ho un posto dove andare. Non è innamorata di me come io lo sono di lei”.

 Era giunto alla conclusione che quello che provava era senza dubbio amore. 

Soltanto questa ipotesi poteva spiegare le sue emozioni irrazionali. 

Esiste qualcosa di più indecifrabile dell’amore? Chiaramente no.  

Era come se vivere al suo fianco fosse stato il suo desiderio più grande che finalmente si era realizzato. 

Purtroppo sarebbe potuto terminare proprio come era iniziato, in maniera improvvisa.

 “No! Non andrà così! Io combatterò per stare al suo fianco” sussurrò con orgoglio “anche quando recupererò la memoria, le rimarrò vicino, a meno che non sia lei a dirmi di allontanarmi”. 

Leggermente rincuorato da quei pensieri positivi, riuscì a riprendere sonno e, per sua fortuna, non ebbe più incubi a disturbarlo.

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Capitolo 15
*** Cattive notizie ***


A risvegliare Hero fu il suono acuto e penetrante del campanello. 

Ancora parzialmente addormentato, controllò l’ora. 

Erano già le otto e mezza. 

Non sapeva bene cosa fare, visto che quella non era casa sua, ma decise comunque di andare ad aprire la porta. 

Sabrina probabilmente era troppo stanca per sentire quel rumore. 

Era comprensibile dal momento che era tornata dal lavoro alle tre di notte.

Aveva intenzione di lasciarla riposare, se fosse stato possibile. 

Indossò rapidamente i pantaloni e si precipitò all’ingresso. 

Tuttavia non fece in tempo ad evitare un’altra suonata e si rammaricò per questo. 

Aperta la porta, si trovò di fronte una delle poche persone che conosceva e che allo stesso tempo avrebbe preferito non aver mai incontrato, l’ispettore Tarri. 

Rimase in silenzio a guardarlo. 

In quel momento gli tornarono in mente le parole dell’agente Orsi, il quale aveva preannunciato l’arrivo del suo superiore in mattinata.

“Buongiorno Smemorino! Anche per me è un piacere rivederti” ironizzò Tarri “mi fai entrare? Devo aggiornarvi sul caso e pensavo fosse meglio farlo qui piuttosto che in centrale”.  

Evidentemente non era per nulla riuscito a celare il suo disprezzo verso l’uomo, la sua espressione facciale doveva averlo tradito. 

In ogni caso era chiaro che neppure l’ispettore lo avesse in simpatia, come confermato dal nomignolo che gli aveva appena affibiato. 

Dopo avergli lanciato un’occhiataccia per questo, lo invitò con riluttanza ad entrare. 

“Dov’è Sabrina?” chiese l’uomo guardandosi intorno “pensavo che mi avrebbe accolto lei. Senza offesa, ma è decisamente una visione migliore di te…”. 

Hero fu percorso da un fremito d’irritazione. 

Come si permetteva di chiamarla per nome? 

Era fin troppo evidente che fosse attratto da lei. 

Cercò di controllarsi ed essere educato, per non abbassarsi al suo livello. 

“È ancora a letto, come saprà è tornata dal lavoro alle tre. Sarà stanca morta…” lo informò nel tono più neutro possibile. 

“Mi dispiace molto, ma non ho tempo da perdere purtroppo. Quindi se mi potessi indicare la sua camera da letto andrei a svegliarla personalmente” affermò con sguardo malizioso l’ispettore. 

Hero era sul punto di esplodere e tenne a freno i suoi istinti stringendo con forza le mani a pugno. 

Quell’uomo non era poi tanto diverso dai clienti che affollavano il locale in cui lavorava Sabrina. 

"Ci penso io a chiamarla, non si preoccupi. Lei può aspettare in salotto” gli disse indicandogli le sedie vicino al tavolo.

"Non dire sciocchezze ragazzino! Non mi faccio dare ordini da te! Aspettaci tu in salotto!” ribatté con astio Tarri “suppongo che la camera da letto sia questa…”. 

Pronunciando quelle parole si diresse proprio verso la porta giusta. 

Quando stava per afferrare la maniglia, Hero gli si parò davanti con un rapido movimento, frapponendosi fisicamente tra lui e la porta. 

“Le ho già detto che la sveglierò io, quindi non faccia un altro passo” asserì con voce decisa e lanciandogli uno sguardo di fuoco. 

Dopo l’iniziale stupore, l’ispettore mostrò a sua volta uno sguardo pieno d’ira. 

“Altrimenti cosa mi fai? Hai intenzione di aggredire un pubblico ufficiale? Lo sai che potrei sbatterti dentro per oltraggio?” lo minacciò esibendo un sorrisino diabolico.

“In tal caso ha fatto male a venire da solo, farebbe meglio a chiamare i suoi colleghi” sibilò Hero per nulla intimorito andando ad affrontarlo a muso duro.

"Credimi bamboccio, non ho bisogno di nessun aiuto per sbarazzarmi di uno come te…” replicò l’uomo con scherno.

"Basta parole, perché non mi fa vedere di cosa è capace? O è tutto chiacchiere e distintivo?” lo provocò Hero. 

Proprio in quel momento di massima tensione la porta della camera da letto si aprì leggermente e dallo spiraglio formatosi si affacciò Sabrina.

“Cosa sta succedendo Hero?” domandò farfugliando leggermente. 

I due uomini si voltarono verso di lei così che poté vedere l’ispettore. 

“Oh! Salve ispettor Tarri! Cosa ci fa qui?” chiese sorpresa stropicciandosi gli occhi. 

Il volto dell’uomo mutò istantaneamente e sulla sua bocca apparve un sorriso mellifluo. 

“Buongiorno Sabrina. Mi scuso per l’ora, so che hai lavorato fino a poche ore fa. Ero venuto per aggiornarvi sugli sviluppi del caso, ma il nostro caro smemorato qui presente non voleva che io ti svegliassi…” le spiegò prontamente. 

"Perché non glielo hai permesso Hero? È una questione importante, posso rinunciare ad un po’ di sonno” disse posando lo sguardo su di lui.

Il ragazzo non sapeva cosa rispondere, la convinzione che aveva mostrato pochi istanti prima sembrava svanita. 

“Beh io…vedi lui…” balbettò senza riuscire a terminare la frase. 

Eppure nella sua testa era chiaro ciò che avrebbe dovuto dire. 

'Quel porco voleva entrare in camera tua soltanto per guardarti, ho visto il suo sguardo mentre stava per aprire la porta’. 

Ma quelle parole non riuscirono a passare dalla mente alla bocca.

Infatti in quel momento si trovò a pensare che l’ispettore avrebbe negato tutto e lui avrebbe fatto la figura del ragazzo geloso agli occhi di Sabrina. 

Non era ancora pronto a rivelare ciò che provava per lei. 

Per questo motivo rimase in silenzio e diventò rosso per la vergogna. 

Sabrina lo guardò perplessa, non riuscendo a capire cosa lo turbasse. 

Tarri approfittò dell’insicurezza del ragazzo per metterlo in ridicolo. 

“Sarà colpa della sua ferita alla testa…non riesce a ragionare in maniera lucida, avrebbe proprio bisogno di farsi vedere da qualcuno come gli ha consigliato il medico” ipotizzò fingendo interesse.

Il rossore sul viso di Hero questa volta era di rabbia e non d’imbarazzo. 

Fulminò con lo sguardo l’uomo, il quale ricambiò con un sorriso sardonico. 

Sabrina, rendendosi conto del disagio del ragazzo, interruppe quella situazione prendendo l’iniziativa.

"Comunque ora sono sveglia, quindi possiamo parlare. Si accomodi pure al tavolo in salotto. Io vado soltanto a sciacquarmi la faccia e arrivo” propose cordialmente.

“Ma certo, nessun problema. Ti aspetto di là allora” convenne in un tono fin troppo smielato Tarri. 

Non appena la ragazza chiuse la porta del bagno dietro di sé, si avviò verso il salotto, fermandosi però al fianco di Hero.

“Se provi ancora a farmi una scenata come quella di prima moccioso, sappi che te ne farò pentire amaramente” gli sussurrò all’orecchio. 

Hero si voltò verso di lui con uno sguardo carico di ostilità. 

Prima che potesse controbattere, l’ispettore riprese a parlare. 

“Sai che il tuo medico mi ha detto che in casi come il tuo, oltre alla perdita di memoria, si possono presentare attacchi d’ira ingiustificati?”. 

Hero cominciava a comprendere dove volesse andare a parare con quel discorso e non gli piaceva per niente. 

"Se dovessi riferire all’ospedale che non sai controllarti, sai cosa farebbero?”. 

Hero si diede la risposta da solo ed i suoi occhi divennero improvvisamente il riflesso della paura. 

“Credo che tu l’abbia capito” continuò Tarri con un ghigno maligno a deformagli il viso “sarebbero costretti a rinchiuderti in una casa di cura…e allora ti potrai scordare di vedere ancora la tua amata”. 

Il ragazzo era atterrito.

Il suo nemico odioso aveva vinto. 

Minacciando di separarlo da Sabrina aveva colto nel segno. 

La sua condizione mentale giocava a suo sfavore e lui aveva il potere di rendere quelle intimidazioni dei fatti. 

"Sono stato chiaro?” bisbigliò a voce ancora più bassa l’ispettore. 

"Si, è stato chiaro” dovette rispondere a denti stretti lui. 

“Ottimo, ora sediamoci, a breve Sabrina ci raggiungerà” concluse accomodandosi su una sedia con un’aria soddisfatta. 

Lui lo seguì con la testa bassa e lo sguardo cupo, sedendosi a sua volta. 

Poco dopo Sabrina li raggiunse e si sistemò sul divano, poiché non c’erano altre sedie in casa. 

Percepì subito che qualcosa non andava in Hero, anche se non sapeva figurarsene il motivo.

Sebbene cercasse di stabilire un contatto visivo, lui evitava il suo sguardo tenendo il capo chino. 

L’ispettore, infastidito per l’essere ignorato a quel modo, attirò la sua attenzione con un colpo di tosse e iniziò a parlare. 

“Come vi ho anticipato, sono qui per aggiornarvi sugli sviluppi del caso. Il problema è che non ci sono buone notizie”. 

Entrambi i giovani puntarono il loro sguardo interrogativo verso di lui. 

“Suvvia non guardatemi così, non è colpa mia! Ora vi spiego tutto”. 

Fece una pausa, prese fiato, come se si dovesse preparare ad andare sott'acqua, e poi cominciò a spiegare. 

“Vi avevo già accennato di come avrei svolto le indagini, giusto? Ho interrogato i clienti abituali del Dreamland personalmente. Sabrina non hai idea di quanto fosse reticente il tuo datore di lavoro nel darmi i nomi, ma io sono riuscito a convincerlo”. 

Lanciò quindi uno sguardo trionfante verso la ragazza, pensando di aver fatto colpo. 

Lei in quel momento si toccò istintivamente l’avambraccio destro. 

Sapeva bene come il suo ex capo avesse preso le indagini della polizia. 

Deluso dal mancato apprezzamento di Sabrina, l'ispettore riprese il suo discorso facendo finta di niente.

“Quel Giovanni Lanami in particolare non sembrava molto contento di ricevere la mia visita”. 

Purtroppo anche di questo particolare Sabrina era già a conoscenza. 

Era stata proprio la visita di Tarri a scatenare la violenza del suo tormentatore. 

"Più che per il fatto di essere sospettato di tentato stupro, pareva preoccupato che la sua fidanzata venisse a sapere che genere di locali frequenta. E non ha tutti i torti, chissà che testa gli farebbe se lo scoprisse". 

Detto questo si fece sfuggire un risata divertita e Hero lo folgorò con lo sguardo. 

‘Come può fare dell’ironia in una situazione del genere?’ pensò infuriato. 

Si girò rapidamente a guardare Sabrina e vide che, per quanto fosse indispettita da quella battuta inutile, pendeva ancora dalle sue labbra. 

Era chiaro che aspettasse di conoscere il risultato dell’interrogatorio, dimenticandosi probabilmente la premessa del discorso di Tarri. 

Non c’erano buone notizie. 

Forse cogliendo il fastidio nell’espressione di Sabrina, l’uomo continuò il suo racconto con un tono di voce leggermente meno allegro. 

“Venendo al punto, è risultato che per l’ora dell’aggressione aveva un alibi. Siccome era ubriaco fradicio, si è fatto venire a prendere al locale da un taxi che lo ha accompagnato a casa, nei pressi della clinica privata Salvetti. Dista circa dieci chilometri da casa tua, perciò è impossibile che lui fosse lì per rapirti dopo il lavoro. Gli orari non coincidono”. 

Il volto della ragazza si rabbuiò di colpo.

Non credeva veramente che si trattasse di Giovanni, lo riteneva troppo vigliacco per compiere un gesto del genere, tuttavia, dopo l’aggressione al locale che le era costata il marchio sull’avambraccio, sperava fervidamente che in un modo o nell’altro quel lurido verme la pagasse. 

Hero condivideva le sue emozioni, ma con una differenza. 

Da quando lei gli aveva parlato di quell’uomo era certo che fosse lui il colpevole.

Per questo motivo la sua delusione fu ancora più grande rispetto a quella della ragazza.

Tarri aspettò un po’ per andare avanti, probabilmente per fare metabolizzare la cattiva notizia. 

"Sfortunatamente questo non è tutto”. 

A quelle parole i ragazzi lo guardarono allarmati.

“Anche tutti gli altri clienti, che fossero presenti quella sera o habitué del posto, hanno un alibi per l’ora dell’aggressione. Sono stati verificati uno ad uno e nessuno ha mentito a quanto pare”. 

Hero fissò preoccupato Sabrina, la quale sembrava sul punto di crollare per tutte quelle  pessime novità. 

"E per quanto riguarda i tre ragazzi che ti hanno molestata lungo la strada prima dell’aggressione…non può essere stato nessuno di loro. Pochi minuti dopo averti incontrata, sono entrati in un pub e ci sono rimasti fino all’alba”. 

Sabrina si coprì il viso con le mani, abbassando la testa.

"Quindi non ha ancora trovato il mio aggressore e non ha idea di chi possa essere, giusto?” chiese con un filo di voce. 

Hero sentì un crampo allo stomaco, provando empaticamente il dolore di Sabrina dentro di sé. 

Era certo che soltanto la cattura di quel criminale le avrebbe reso un minimo di pace. 

L’ispettore sembrava per la prima volta veramente a disagio.

"Pare che sia sparito nel nulla da quella notte. Abbiamo interrogato tutte le persone che abitano vicino a casa tua e nella zona del palazzo abbandonato in cui ti aveva portata, ma non ha portato ad alcun risultato. Nessuno ha visto o sentito niente” spiegò nervosamente “inoltre, come ti avevo già detto, non vi è stata alcuna segnalazione di un uomo trattato per una ferita d’arma da fuoco negli ospedali o nelle cliniche private. Credimi, se avessi avuto il minimo dubbio che uno degli alibi non fosse stato veritiero, avrei controllato personalmente il corpo del sospettato per verificare la presenza della ferita”. 

Quelle giustificazioni non ebbero il benché minimo effetto su Sabrina. 

Cercò di reprimere la frustrazione che le stava crescendo dentro ed alzò la testa per guardare dritto negli occhi Tarri. 

“Ma continuerà le ricerche, non è così? Lo troverà e lo sbatterà in prigione come mi aveva promesso, vero?” gli domandò con voce tremante.  

Nonostante quell’ondata di brutte notizie, Hero vide la speranza sul viso di lei, seppur accompagnata dall’angoscia. 

Si volse anch’egli verso l’ispettore che era ora la rappresentazione vivente della vergogna. 

Aveva lo sguardo puntato in alto, si mordeva nervosamente le labbra e si sfregava ripetutamente le mani. 

Hero intuì che ciò che stava per dire non sarebbe stato nulla di buono e con ogni probabilità avrebbe definitivamente distrutto Sabrina.

L’uomo si schiarì più volte la voce e poi si decise finalmente a rispondere alle domande piene di aspettative che lei gli aveva posto. 

“Ascoltami bene Sabrina, voglio essere assolutamente sincero con te. Ho fatto del mio meglio, ma non credo che troveremo mai quell’uomo a meno che…”. 

A quel punto si interruppe, senza terminare la frase. 

Hero realizzò all’istante ciò che Tarri non aveva il coraggio di dire. 

Senza rendersene conto, con gli occhi sbarrati per lo shock, concluse la frase per lui. 

“…a meno che non cerchi nuovamente di violentarla” sussurrò con un filo di voce. 

Sabrina divenne di colpo pallida, come se la vita avesse abbandonato il suo corpo. 

Aveva un’espressione atterrita e assente, lo sguardo fisso nel vuoto. 

“Purtroppo le cose stanno così, anche se è terribile detta in questi termini. Siamo in un vicolo cieco e ho tanti altri casi di cui occuparmi. Inoltre d’ora in avanti non potrete più avere la scorta. Abbiamo pochi uomini a disposizione e non possiamo tenerli fermi qui se non vi è un pericolo reale e imminente” li informò senza avere il coraggio di guardare in faccia Sabrina.

La ragazza era ormai distaccata dalla conversazione. 

Sembrava quasi che non sentisse nemmeno il suono della voce dell’ispettore. 

Probabilmente per questo motivo non ebbe alcuna reazione a quell’ulteriore pessima notizia.

Hero invece era ancora attento, seppur non più lucido per via delle sue emozioni. 

Infatti la semplicità con cui fu pronunciata quella frase, quasi fosse la soluzione più ovvia in quella situazione, provocò in lui un’ira funesta.

Si alzò di scatto dalla sedia sbattendo con forza i pugni sul tavolo. 

"Quindi non soltanto non è riuscito a trovare l’aggressore, ma ha anche intenzione di toglierle la protezione della scorta” gridò ormai fuori controllo “l’ha rapita sotto casa sua, davanti al portone. Non è ovvio che sia in pericolo? Sa dove vive e potrebbe tornare in un momento qualsiasi e portare a termine ciò che ha iniziato quella notte”. 

Aveva il viso infiammato dalla collera e le vene del collo si erano gonfiate.

Sabrina non reagì nemmeno a quello sfogo appassionato, come se non si trovasse nella stanza. 

Aveva lo sguardo fisso sul pavimento e non faceva il benché minimo movimento. 

Forse la sua mente stava tornando a quella notte. 

L’ispettore non prese per nulla bene la scenata di Hero e lo squadrò con ostilità. 

"Credi che mi faccia piacere lasciare il caso irrisolto e lei senza protezione? Non ci posso fare niente, è così che vanno le cose” rispose ad alta voce “Peraltro mi era sembrato di essere stato chiaro con te a proposito di questi problemi nel controllo della rabbia”. 

La velata ma esplicita intimidazione ebbe l’effetto desiderato. 

Hero, seppur controvoglia, si sedette. 

Se avesse seguito il suo istinto, avrebbe preso a pugni quell’inetto pallone gonfiato. 

"Così va meglio” esclamò in tono vittorioso Tarri "ora parliamo di te, ragazzino”. 

Sembrava soddisfatto di averlo messo nuovamente in riga, sapeva bene di averlo in pugno con quella minaccia. 

"Anche per quanto riguarda la tua situazione non ci sono buone notizie. Sei come l’uomo col passamontagna, non hai ancora un’identità e pare improbabile che la scopriremo in tempi brevi”. 

Il ragazzo, suo malgrado, si trovò ad ascoltare attentamente le parole dell’ispettore. 

“Ho mandato tutti gli uomini a mia disposizione a mostrare la tua foto in giro. Ci siamo concentrati sulla zona del palazzo abbandonato, visto che ti trovavi lì quella notte, ma nessuno ti ha riconosciuto”. 

Hero non riuscì a mascherare la delusione. 

Sentì che la rabbia che lo aveva invaso precedentemente stava sparendo, facendo posto alla tristezza. 

Aveva davvero sperato che le indagini lo avrebbero aiutato a scoprire chi fosse. 

Al pensiero di restare senza memoria per sempre una fitta gli attraversò la testa e conseguentemente una smorfia di dolore apparve sul suo viso. 

"Abbiamo appeso diversi volantini con la tua foto per la città, ma per ora nessuno ci ha contattati. Sembra che nessuno ti conosca. Più probabilmente nessuno ci tiene a te e questo non mi sorprende” osservò crudelmente. 

L’ennesima cattiveria questa volta ferì profondamente il ragazzo. 

Forse l’ispettore aveva ragione.

Lui non aveva nessuno e anche se lo avesse avuto, quel qualcuno non lo stava cercando, quindi non ci teneva veramente a lui. 

Non sarebbe stato difficile ritrovarlo, se solo ci fosse stata la volontà di farlo. 

“Se avremo novità te lo farò sapere” riprese con voce piatta Tarri “intanto tu dovresti andare a fare quelle sedute di terapia che ti ha consigliato il medico. Non sia mai che ricordi qualcosa e puoi tornare alla tua squallida vita”.

La battaglia interiore tra la parte istintiva, che voleva saltare addosso all’uomo per tappargli la bocca a suon di pugni, e quella razionale, che era conscia delle conseguenze che quel gesto avrebbe provocato, fu vinta dalla seconda. 

Hero si limitò a stringere con forza i bordi della sedia. 

"Lo farò…” mormorò frustrato. 

L’ispettore provava gusto nel trattarlo con cattiveria e umiliarlo, ne era certo, anche se non riusciva a capirne il motivo. 

Era stato così dal primo momento, un’antipatia viscerale reciproca. 

La gelosia per le attenzioni che gli riservava Sabrina, dalla quale anche lui era attratto, aveva soltanto peggiorato le cose.

"Mi spiace ma ora vi devo salutare. Ho degli impegni imminenti e non posso trattenermi di più” affermò alzandosi dalla sedia “Sabrina se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami, per te troverò sempre del tempo”. 

Le si avvicinò e le porse la mano. 

Lei, in un gesto automatico più che volontario, gliela strinse. 

"Su col morale” continuò lui passandole una mano tra i capelli “vedrai che andrà tutto bene”. 

Hero era sul punto di esplodere. 

Non poteva tollerare che quell’essere meschino si permettesse di compiere un gesto così intimo. 

Aveva tutti i muscoli in tensione e non pensava di poter resistere oltre alla voglia di separarlo a forza da lei e dargli la lezione che meritava. 

Fortunatamente quel contatto inappropriato non durò a lungo e dunque riuscì ad evitare di lanciarsi in qualche azione sconsiderata.

Tarri si diresse poi all’ingresso ignorandolo completamente. 

Sulla soglia si voltò per rivolgersi nuovamente a Sabrina. 

“Mi raccomando, se ti dà qualche problema” disse indicandolo col capo “chiamami. Forse sarà il caso che di lui si occupino dei professionisti”. 

Hero si aspettava quell'ennesimo colpo basso, quindi non fu affatto sorpreso. 

Quell’uomo aveva intenzione di separarlo da Sabrina e avrebbe usato qualsiasi mezzo a sua disposizione per farlo. 

La ragazza rimase stupita da quelle parole, ancora poco lucida per lo shock delle brutte notizie.

"Hero non mi sta dando alcun problema, perché dovrebbe?” rispose in tono incerto. 

L’aria infastidita che si palesò sul volto dell’ispettore all’udire quelle parole riempì di soddisfazione Hero. 

Tuttavia l’uomo incassò rapidamente il colpo e partì subito al contrattacco. 

“Presto lo scoprirai Sabrina…credimi” sibilò a denti stretti. 

Quando sembrava finalmente sul punto di andarsene, si arrestò ancora una volta. 

"Ah già! Quasi dimenticavo…oggi pomeriggio avrei bisogno di parlarti in privato Sabrina. Ti farò venire a prendere da un agente intorno alle cinque, va bene?” le domandò cordialmente. 

"Certo…non c’è problema…” accettò lei un po’ titubante. 

“Perfetto. Allora a più tardi. Buona giornata Sabrina” concluse uscendo definitivamente dall’alloggio. 

Hero rimase profondamente turbato da quell’ultima novità. 

Cosa poteva mai doverle dire che richiedesse un colloquio privato? 

Forse intendeva screditarlo, parlandole dei suoi possibili problemi nella gestione della rabbia causati dalla sua condizione mentale. 

L’avrebbe spaventata a tal punto da convincerla a non ospitarlo più a casa sua. 

A quel pensiero fu percorso da un brivido che era al contempo di rabbia e di paura. 

A fargli abbandonare quelle angoscianti elucubrazioni fu la voce di Sabrina. 

Senza che se ne accorgesse, si era alzata dalla sedia e ora si trovava davanti a lui. 

"Senti, io sono ancora stanca e le novità sul caso mi hanno un po’ scossa. Credo che tornerò a dormire. Mangia pure quello che vuoi per colazione” lo informò con un filo di voce. 

“Ma certo, mi sembra normale. Stai tranquilla, riposati pure. Io me la caverò” le rispose prontamente abbozzando un sorriso.

 “E Hero…” gli sussurrò appoggiando appena una mano sulla sua spalla “io non ti abbandonerò mai. Voglio dire…potrai stare con me finché ne avrai bisogno, ok? Quindi non ti preoccupare”. 

Lui rimase esterrefatto sentendo quelle parole. 

Sembrava che gli avesse letto nel pensiero. 

Il suo volto si illuminò dalla gioia.

"Grazie…” fu l’unica parola che riuscì a pronunciare.

 “Figurati, ne abbiamo già parlato, ricordi?” disse lei sorridendo leggermente "ora vado a letto, a dopo”. 

Pronunciate quelle parole, uscì dal salotto e tornò in camera sua. 

Solamente quando ebbe tolto la mano dalla sua spalla, lui si rese conto che aveva temporaneamente smesso di respirare. 

Buttò fuori l’aria e inspirò più volte a pieni polmoni. 

Era possibile che un gesto semplice come quello lo lasciasse senza fiato? 

O era stata la combinazione di quel contatto gentile e di quelle parole rassicuranti, che aveva l’assoluto bisogno di sentirsi dire, ad emozionarlo a tal punto? 

In quel momento si era quasi dimenticato delle brutte notizie che aveva portato Tarri e di tutta la rabbia e la frustrazione che aveva provato per il suo vile comportamento. 

Purtroppo quello stato di quiete mentale non durò a lungo e ben presto si ritrovò a ragionare su ciò che l’uomo aveva loro riferito. 

‘Come è possibile che qualcuno sparisca così nel nulla senza lasciare traccia? È anche ferito, qualcuno deve pur averlo curato, no?’ si domandò senza essere capace di darsi una risposta ‘inoltre come può la polizia lasciar perdere il caso così in fretta? Non capiscono che lei sarà sempre in pericolo finché non lo cattureranno?’. 

L’idea che Sabrina potesse rivivere quell’orribile esperienza lo rendeva tanto furioso quanto terrorizzato.

‘Ora che le toglieranno la scorta non sarà più al sicuro. Per di più lavorando al Dreamland rischierà sempre di incontrare persone deviate come il suo aggressore’ osservò mestamente.

La soluzione a quei problemi gli balzò in mente all’improvviso e si sentì uno sciocco per non averci pensato prima. 

“Ma certo” sussurrò a bassa voce “se non la proteggeranno loro, lo farò io. La accompagnerò al locale e aspetterò lì fuori fino alla fine del suo turno, poi torneremo a casa assieme”. 

Quel piano era tanto ovvio quanto efficace. 

“Per quanto riguarda il lavoro basterà trovarne uno nuovo, così non dovrà più stare a contatto con quei pervertiti”. 

Era sempre più esaltato via via che il suo ‘piano’ prendeva forma. 

“Potrei lavorare anche io. A pensarci bene probabilmente nessuno assumerebbe un ragazzo senza identità…beh al momento non importa, prima o poi recupererò la memoria e allora potrò aiutarla anche economicamente”. 

Nemmeno quel piccolo problema intaccò il suo entusiasmo. 

"Si, farò così. Sabrina sarà al sicuro e avrà finalmente la vita senza troppe preoccupazioni che si merita una ragazza della sua età.  Ha già sofferto abbastanza…ora ci penserò io a lei” concluse con decisione. 

Ora non gli importava più del fatto che nessuno lo avesse cercato. 

Tutto ciò di cui aveva bisogno era stare al suo fianco. 

Finché le fosse stato vicino sarebbe stato felice, ne era certo. 

Con questo spirito positivo si mise a sistemare il divano, sul quale erano ancora appoggiate le coperte. 

Dopo aver messo tutto in ordine si sedette e accese la tv, facendo attenzione ad abbassare il volume al minimo. 

Non vedeva l’ora che Sabrina si svegliasse. 

Voleva renderla partecipe del frutto delle sue riflessioni. 

Era convinto che le sue parole l’avrebbero tirata su di morale e rassicurata.

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Capitolo 16
*** Rassegnazione ***


Se Hero era di ottimo umore, non si poteva dire lo stesso di Sabrina. 

Era giù di morale, per usare un eufemismo, mentre si rigirava nel letto cercando di riprendere sonno. 

Aveva deciso di dormire perché era effettivamente stanca per la precedente terribile nottata e per le poche ore di sonno, tuttavia non erano solamente quelli i motivi. 

Infatti non voleva pensare alle cose che le aveva appena detto l’ispettor Tarri. 

Sperava di trovare un po’ di pace nel mondo dei sogni, visto quanto era tormentata da sveglia. 

Purtroppo ogni suo sforzo di addormentarsi si rivelò inutile. 

La sua mente era troppo carica di pensieri negativi. 

Aprì gli occhi, che aveva testardamente tenuto chiusi per favorire il sonno, e si mise seduta appoggiata alla testiera del letto. 

Era delusa e amareggiata. 

Aveva veramente sperato di ricevere delle buone notizie quel mattino. 

Ne sentiva un  profondo bisogno e invece l’incontro era stato tutt’altro che incoraggiante.

 Non si sarebbe mai ripresa dal trauma per l’esperienza vissuta quella notte, ne era conscia, però era anche convinta del fatto che vedere il suo aggressore dietro le sbarre le avrebbe restituito un minimo di serenità. 

Invece tutte quelle sue illusioni erano svanite dopo il resoconto di Tarri. 

L’uomo col passamontagna sembrava introvabile e questo avrebbe portato all’archiviazione del caso di lì a breve. 

La logica conseguenza era stata perciò la rimozione della scorta. 

Quel senso di sicurezza che aveva provato essendo accompagnata dall’agente Orsi all’andata e al ritorno dal lavoro, e sapendo che qualcuno vigilava davanti a casa sua, era ormai scomparso. 

“Ma chi sto prendendo in giro? Io non sono mai stata al sicuro nemmeno con loro a sorvegliarmi” affermò amaramente a bassa voce. 

Per il timore che Hero la potesse sentire attraverso il muro continuo il suo discorso mentalmente. 

'Non c’era forse quell’agente fuori dal locale quando sono stata aggredita da Giovanni e successivamente marchiata a fuoco da Mr Orfeo?’ constatò furente.

A quel ricordo si morse con forza le labbra. 

Non aveva mai provato un dolore del genere prima e non lo avrebbe dimenticato mai, ne era sicura. 

Come evocata dalle sue parole, una fitta di dolore l'attraversò nel punto in cui il suo ormai ex capo, con la collaborazione del suo titanico sottoposto, aveva premuto il gioiello a forma di D sulla sua pelle. 

Decise allora di sollevare la manica della maglia e rimuovere le bende con la massima delicatezza possibile. 

L’ustione era ancora tremendamente rossa, ma meno rispetto a quando l’aveva coperta prima di andare a dormire. 

Non aveva dubbi che le sarebbe rimasto il segno per sempre. 

Sarebbe stato il simbolo della sua impotenza nei confronti della malvagità degli uomini. 

Le avrebbe rammentato ogni giorno quanto fosse debole e incapace di difendersi da sola. 

‘Perché deve esserci tanta crudeltà nel mondo? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutte queste sofferenze?’ si domandò con le lacrime che iniziavano a scorrerle copiose dagli occhi ‘non ho mai chiesto una vita perfetta, vorrei soltanto essere lasciata in pace’. 

Una rabbia colma di tristezza la attanagliava soffocandola.

‘Credevo di aver subito qualsiasi forma di umiliazione e cattiveria, ma dopo gli avvenimenti di questi giorni ho capito che non c’è limite al peggio e io non posso fare assolutamente nulla per cambiare le cose’ concluse distrutta emotivamente. 

Strinse con entrambe le mani le lenzuola per la frustrazione. 

Non aveva alcun potere sulla questione della ricerca del suo aggressore, ma era ancora più avvilente la situazione con Mr Orfeo. 

Avrebbe potuto denunciarlo e sarebbe stato sicuramente condannato. 

Era talmente convinto che lei non avrebbe chiamato la polizia da non liberarsi della prova della sua aggressione, la collana con il pendente a forma di D. 

Il problema era che aveva tutte le ragioni per non temerla. 

Lei non lo avrebbe mai denunciato. 

Era terrorizzata dalle inevitabili ritorsioni che quel gesto avrebbe provocato. 

Inoltre non voleva che Hero restasse coinvolto nella vendetta del proprietario del Dreamland.

L’uomo era stato fin troppo chiaro. 

Se Sabrina avesse parlato, l’avrebbe fatta pagare ad entrambi. 

Nemmeno la polizia avrebbe potuto proteggerli, Mr Orfeo era un uomo potente e senza scrupoli. 

Gli sviluppi del caso sulla sua aggressione, con la protezione che le era stata assegnata per appena un giorno, non le avevano lasciato dubbi sulla decisione di non denunciare l’accaduto. 

'Non posso permettere che accada qualcosa ad Hero. Non voglio nemmeno pensare a cosa gli potrebbe fare Mr Orfeo con i suoi scagnozzi…già per salvarmi quella notte ha perso la memoria’ ragionò cupamente ‘non mi conosceva nemmeno e tuttavia non ha esitato a gettarsi in quella situazione pericolosa  per aiutarmi’. 

A quell’ultimo pensiero un sorriso involontario le increspò il viso. 

Hero era la prima persona ad averla aiutata senza un secondo fine, di sua spontanea volontà. 

Non avrebbe mai potuto dimenticare il suo gesto e gliene sarebbe stata eternamente grata.

Da quel poco che lo conosceva gli era sembrato un ragazzo dolce, generoso e buono. 

Tutte quelle nobili qualità latitavano negli uomini che aveva incontrato nel corso della sua vita. 

Le aveva ridato la speranza che il mondo non fosse interamente corrotto dalla cattiveria e che, per quanto improbabile, fosse stata lei ad essere estremamente sfortunata nell’incontrare soltanto persone crudeli.

L’aveva quasi convinta che potesse davvero migliorare la sua situazione ed iniziare a vivere una vita ‘normale’ semplicemente cambiando lavoro. 

Per di più si era sentita per la prima volta al sicuro con lui al suo fianco. 

Inconsciamente aveva pensato che non avrebbe mai permesso a qualcuno di farle del male, che l’avrebbe sempre protetta. 

Soltanto in quel momento se ne rendeva conto. 

Purtroppo la sera stessa la realtà aveva distrutto con estrema crudeltà le sue illusioni. 

‘Come ho fatto ad essere così stupida? È stato unicamente un caso che quella notte lui fosse lì per salvarmi. Come ho potuto sperare che fosse sempre presente a vegliare su di me? Nessuno potrà mai proteggermi da tutta la violenza di questo mondo, nemmeno un eroe come lui…’ considerò con estremo sconforto. 

Si portò le ginocchia al petto, come a difendersi dalla tremenda conclusione a cui era giunta. 

‘Non cambierà mai nulla. I deboli come me verranno continuamente sopraffatti e maltrattati, mentre non ci sarà mai alcuna punizione per le persone spietate. Non avrò mai giustizia per le violenze che ho subito’ gridò con rammarico dentro di sé. 

La rabbia fu presto sostituita da un tremendo senso di impotenza e, di conseguenza, dalla rassegnazione. 

Che senso aveva indignarsi se non c’era nulla che potesse fare per migliorare la sua situazione? 

Con chi poteva prendersela se non era forte abbastanza per combattere per i suoi diritti?

Per quanto potesse sembrare una scelta vile, arrendersi alla realtà dei fatti era il modo migliore per ridurre le sofferenze causate dalle ingiustizie che aveva subito e che avrebbe continuato a subire. 

La rinuncia a qualsiasi forma di reazione di fronte ad una difficoltà è decisamente uno dei punti più bassi che una persona possa toccare nella sua vita. 

Purtroppo gli eventi di quei giorni avevano spinto Sabrina proprio in quella direzione. 

Si sentiva stranamente vuota, quasi priva di emozioni. 

Anche le lacrime avevano smesso di rigarle il viso. 

Le aveva esaurite o aveva semplicemente perso lo stimolo a piangere con l’arrivo di questo spirito di accettazione? 

Forse era una combinazione di entrambe le cose, Sabrina non si preoccupò di darsi una risposta. 

Improvvisamente provò un grande senso di stanchezza e si sdraiò nel letto, in posizione fetale. 

Le palpebre si facevano sempre più pesanti. 

"Come sarebbe bello svegliarsi in un’altra realtà, non avere alcun ricordo di tutto ciò che ho vissuto finora e ricominciare tutto da capo…” mormorò a bassa voce. 

In quel momento pensò ad Hero ed invidiò per la prima volta la sua condizione. 

Per lui era un’esperienza terribile, mentre per lei sarebbe stata una manna dal cielo.

“Dimenticare ogni cosa…”. 

Assaporò per qualche istante quel magnifico sogno, ma la sua parte razionale la riportò con i piedi per terra rapidamente. 

"A che servirebbe perdere la memoria? Quei brutti ricordi verrebbero subito sostituiti da altre terribili esperienze, ne sono certa” riflettè malinconicamente “questo mondo è sbagliato, dimenticarlo non cambierebbe le cose”. 

A quell’ultima deprimente considerazione, Sabrina chiuse gli occhi. 

Nel giro di pochi secondi il tanto agognato sonno la colse. 

Malauguratamente per lei non sarebbe stato un sonno tranquillo e ristoratore, bensì inquieto e agitato.

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Capitolo 17
*** Una bugia a fin di bene ***


Erano ormai quasi le tre del pomeriggio e Sabrina stava ancora dormendo in camera sua. 

Hero iniziava a provare i primi morsi della fame, ma si sentiva a disagio a preparare da mangiare  soltanto per se stesso.

La leggera colazione a base di latte e cereali che aveva consumato intorno a metà mattinata era stata ormai ampiamente digerita. 

Adesso la sua pancia brontolava reclamando altro cibo, magari più sostanzioso. 

Non si aspettava che Sabrina avrebbe dormito così a lungo. 

Doveva essere decisamente sfinita, sia a livello fisico che mentale. 

Per ingannare l’attesa aveva fatto un po’ di zapping, tuttavia, non trovando alcun programma interessante, aveva spento la tv dopo poco. 

Allora aveva deciso di fare esercizio fisico, visto che la sera precedente lo aveva aiutato a distrarsi e a rilassarsi. 

Si era allenato fino allo sfinimento, per quasi due ore di fila, facendo meno rumore possibile per non rischiare di disturbare il sonno  della ragazza. 

Senza volerlo, dopo essersi sdraiato per riprendere fiato, si era addormentato. 

Purtroppo nemmeno un’ora dopo era stato svegliato dai crampi allo stomaco dovuti proprio alla fame. 

Adesso se ne stava seduto sul divano, le mani strette sulla pancia, cercando di resistere alla tentazione di consumare il pranzo senza Sabrina. 

Guardò per l’ennesima volta l’orologio e tese le orecchie per sentire se dalla camera da letto provenisse qualche rumore, ma non udì nulla. 

Non vi era alcun segnale di un suo imminente risveglio. 

Hero continuò questa routine per un’altra mezz’ora, poi, al limite della sopportazione, ebbe un’improvvisa illuminazione. 

"L’appuntamento con Tarri…” mormorò a bassa voce. 

Si ricordò soltanto in quel momento che lei alle cinque sarebbe dovuta andare in commissariato per parlare con l’ispettore. 

Se non si fosse svegliata a breve non avrebbe avuto il tempo materiale per preparare il pranzo. 

Sarebbe rimasta a digiuno fino a cena, sempre che il colloquio non fosse durato più a lungo e in tal caso avrebbe dovuto saltare anche quel pasto.

Come avrebbe fatto a superare un’altra nottata di lavoro senza aver mangiato nulla?

Per questo motivo, e anche per il suo impellente appetito, decise di cucinare da solo il pranzo, per poi svegliare Sabrina e farle trovare tutto già pronto. 

Andò con entusiasmo in cucina e iniziò ad esplorare il frigo e la dispensa per decidere cosa preparare. 

Siccome non si ricordava ancora quali piatti fossero alla sua portata, optò per cotolette e patatine fritte, per il semplice fatto che le confezioni riportavano la modalità di preparazione. 

Non fu affatto difficile seguire le istruzioni e in mezz’ora la tavola era imbandita con le pietanze belle fumanti. 

Avevano un aspetto invitante ed Hero, soddisfatto del risultato, si diresse alla camera di Sabrina per svegliarla. 

Bussò moderatamente alla porta, ma non ricevette alcuna risposta. 

Bussò nuovamente, con maggiore decisione, però l’esitò fu lo stesso. 

Allora provò a chiamarla.

"Sabrina, sono Hero! Scusa se ti disturbo…ho preparato qualcosa per pranzo, ti va di mangiare?” disse pacatamente. 

Rimase per alcuni secondi in ascolto, attendendo una risposta che non si presentò. 

Turbato da quello strano e prolungato silenzio picchiò alla porta con foga. 

“Sabrina! Stai bene?” domandò quasi gridando. 

Nessun segnale di vita si manifestò dalla camera. 

Preso dal panico decise di entrare spalancando la porta. 

La trovò sdraiata sul letto in posizione fetale, sul fianco sinistro. 

Incredibilmente stava ancora dormendo, non aveva sentito nulla. 

Il suo torace si alzava e si abbassava con regolarità, indicando uno stato di quiete che l’espressione contratta sul suo volto contraddiceva. 

Il ragazzo trasse un sospiro di sollievo e si avvicinò lentamente al letto. 

Si chinò su di lei e la scosse leggermente per la spalla. 

Poco alla volta lei aprì gli occhi, non senza fatica. 

"Hero, che ci fai qui?” borbottò con la voce ancora impastata dal sonno.

"Tra un’ora dovrai andare al commissariato, quindi ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa prima di uscire" le spiegò lui "devi essere affamata e…”. 

Si interruppe in evidente imbarazzo. 

Sabrina, che riusciva spesso ad intuire gli stati d’animo del ragazzo, lo percepì. 

Si mise seduta in mezzo al letto, con le mani incrociate sopra le ginocchia.

"È successo qualcosa?” gli domandò con gentilezza “hai una faccia così preoccupata…”.

Lui si grattò nervosamente i capelli prima di risponderle. 

“Beh vedi, ho bussato alla porta, ma tu non mi hai sentito. Allora ti ho chiamata e neanche così mi hai risposto…pensavo che ti fosse successo qualcosa di brutto…che avessi compiuto un gesto sconsiderato dopo ciò che ci ha detto l’ispettore stamattina…” ammise sinceramente. 

Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi, quindi tenne la testa abbassata. 

Si vergognava di aver avuto quei pensieri così spaventosi e tragici, temeva che lei l’avrebbe preso per un paranoico. 

Per questo motivo la reazione di Sabrina lo colse piacevolmente impreparato. 

Gli posò una mano sulla guancia sinistra e delicatamente gli fece ruotare il capo in modo da incrociare il suo sguardo. 

"Oh Hero…sei così premuroso con me” lo ringraziò riconoscente “mi dispiace di averti fatto agitare…”. 

L’espressione sul suo viso era dolce e affettuosa. 

“Hai ragione, le ultime novità sul caso mi hanno veramente demoralizzata, ma fidati di me, non farei mai una sciocchezza” gli spiegò a cuore aperto “ammetto di averci pensato…comunque credo che non ne avrei il coraggio…”. 

A quei tetri pensieri si rabbuiò. 

Allora fu Hero a prendere l’iniziativa per tirarla su di morale. 

"Non devi neanche pensarle queste cose!” esclamò con decisione, provocando un lampo di sorpresa nella ragazza. 

"Senti, so che non hai avuto una vita facile e anche adesso  sembra che vada tutto storto…ma non ti devi arrendere!” disse in tono rassicurante “farò tutto quello che posso per aiutarti a far sì che le cose migliorino, te lo prometto!”. 

“Hero, tu hai fatto già abbastanza per me…non mi devi nulla, anche se so che il tuo spirito cavalleresco ti spinge a soccorrere una fanciulla in difficoltà come me” replicò lei sorridendo.

“Non è soltanto quello! È che…” esitò non avendo il coraggio di concludere la sua frase.

Dopo alcuni secondi di silenzio si decise a concludere la sua affermazione. 

“…io ci tengo a te…non permetterò che tu soffra ancora e mi impegnerò al massimo affinché tu possa ottenere la vita che hai sempre desiderato”. 

Aveva pronunciato quelle parole tutto d’un fiato, velocemente, per paura di essere colto dall’imbarazzo nel bel mezzo della frase. 

Infatti l’imbarazzo non tardò a presentarsi e palesarsi con un intenso rossore su tutta la faccia. 

Sabrina, d’altra parte, era rimasta di sasso. 

Lo fissava con la bocca semi-aperta e gli occhi spalancati per lo stupore. 

Hero deglutì nervosamente pensando che forse si era spinto troppo oltre, facendole capire cosa provava nei suoi confronti. 

Da una parte non vedeva l’ora di confessarle il suo amore, ma dall’altra si rendeva conto che non era propriamente ‘normale’ innamorarsi di una persona dopo così poco tempo. 

Inoltre lei aveva appena subito un’aggressione sessuale, molto probabilmente non era propensa a relazionarsi subito con un uomo. 

E l’ultimo dubbio che lo turbava, ma non il meno importante, era che lei potesse non ricambiare i suoi sentimenti. 

Gli era chiaramente riconoscente perché l'aveva salvata da una fine orribile

L'aveva anche preso a cuore per ciò che quel gesto eroico aveva comportato, ovvero la perdita della memoria. 

Forse stava confondendo la sua gratitudine per amore. 

Anzi, ne era praticamente certo. 

Ad interrompere il flusso dei suoi pensieri e quell’imbarazzante silenzio fu proprio Sabrina.

"Hero…anche io ci tengo a te..." sussurrò dolcemente.

Dopodiché si spinse in avanti cingendogli il collo con entrambe le braccia e stringendosi a lui. 

“Credo che averti incontrato sia stato l’evento più bello della mia vita. Sei un breve sogno nel lungo incubo che è stata la mia vita” gli disse all’orecchio appoggiando la testa sulla sua spalla. 

Lo stringeva con forza, mantenendo quell’abbraccio come se staccarsi da lui l’avrebbe riportata al dolore che aveva provato fino a poche ore prima. 

D’altra parte nemmeno Hero desiderava interrompere quel momento di intimità. 

Appoggiò una mano sulla sua schiena e l’altra dietro il capo, accarezzandole con tenerezza i fluenti capelli. 

Gli mancava il respiro tanto era grande l’emozione. 

Era difficile da descrivere. 

Avvolto dal suo abbraccio si sentiva bene, in pace e completo. 

Malgrado l’amnesia, era sicuro di non essersi mai sentito così. 

Certe emozioni non si possono scordare. 

Avrebbe voluto essere capace di fermare il tempo, per assaporare quelle piacevoli sensazioni fino a che non ne sarebbe stato sazio.

Non aveva nemmeno il coraggio di dire qualcosa, temendo che così facendo avrebbe interrotto quel magnifico momento. 

Ad un certo punto percepì una sensazione di bagnato sulla maglia. 

Sentì Sabrina singhiozzare sommessamente e comprese che stava piangendo. 

A malincuore si sottrasse dall’abbraccio e, appoggiando le mani sulle sue spalle, la guardò dritta negli occhi velati dalle lacrime. 

“Ehi, non piangere…senti, so che non posso in alcun modo farti dimenticare tutte le tremende esperienze che hai vissuto. Non sono nemmeno in grado di assicurarti che d’ora in avanti andrà tutto bene. Però ti posso garantire che non dovrai più affrontare le avversità da sola. Io resterò al tuo fianco, qualunque cosa accada. È una promessa” esclamò con solennità. 

Lei smise quasi istantaneamente di piangere. 

Il suo viso rimase imporporato, ma in questo caso dall’emozione per le rassicuranti parole di Hero e non dal pianto.

“Non so che dire…non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto ciò che hai fatto e continui a fare per me…” disse con un filo di voce. 

“Non ti preoccupare, non devi fare nulla. La tua felicità e i tuoi sorrisi sono la più grande ricompensa che tu mi possa regalare” rispose con dolcezza indirizzandole un caloroso sorriso.

Lei provò un moto d’affetto irrefrenabile per il ragazzo e si sporse nuovamente in avanti per dargli un bacio sulla guancia. 

Presa dall’impeto del momento, lo baciò con troppo trasporto. 

Realizzò che quello che aveva appena dato non era interpretabile come un semplice bacio di ringraziamento. 

L’intenso rossore che apparve sulle guance di Hero ne fu la conferma. 

“Forse dovremmo andare a mangiare ora, altrimenti il cibo si raffredderà…” propose per tirare fuori entrambi da quella situazione imbarazzante. 

"Hai ragione, già non sono un ottimo cuoco, figuriamoci se dovessi riscaldare il pranzo cosa ne verrebbe fuori” ironizzò lui passandosi una mano tra i capelli. 

“Sono certa che non sei così male come dici” lo rassicurò gentilmente lei “se non ti dispiace vado soltanto un attimo in bagno e poi ti raggiungo”. 

"Oh certo, nessun problema. Ti aspetto a tavola allora” assentì ancora evidentemente a disagio. 

Detto ciò i due si separarono. 

Una volta in bagno Sabrina si sciacquò il viso con l’acqua gelata per destarsi del tutto. 

Asciugandosi ripensò al dialogo appena avuto con Hero.  

Era sempre così gentile e dolce con lei, in ogni occasione trovava una parola giusta per tirarla su di morale. 

Chissà come sarebbe stato vivere insieme a lui? 

Per via dei suoi problemi relazionali con i ragazzi, e anche per la pessima idea che si era fatta di loro, non aveva mai pensato a come sarebbe stato avere un fidanzato. 

Si rese conto soltanto in quell’istante dei sentimenti che stava iniziando a provare per Hero e realizzò che Andavano ben oltre la semplice gratitudine.


Era la prima volta che desiderava stare con un ragazzo. 

Si stava innamorando di lui. 

Cosa c’era di strano? Assolutamente niente.

'Come si fa a non innamorarsi di un angelo in un mondo di demoni?’ rifletté Sabrina. 

Era sempre stata sola e non aveva mai incontrato una singola persona che le avesse mostrato anche soltanto una millesima parte dell’affetto che le aveva donato Hero in pochi giorni. 

Sarebbe stato davvero bello passare il resto della propria vita con una persona che ci tenesse veramente a lei. 

Tuttavia il crudele pessimismo che l’aveva avvinta prima di addormentarsi quella mattina, non tardò a ripresentarsi. 

'Come fai a non capirlo?’ domandò mentalmente al suo riflesso ‘è soltanto un’altra illusione. Prima o poi recupererà la memoria e tornerà alla sua vita. È impossibile che un ragazzo speciale come lui non abbia una fidanzata’. 

A quel pensiero strinse con rabbia l’asciugamano. 

‘Più a lungo crederai alla possibilità di avere un lieto fine e più duro sarà il ritorno alla realtà’ continuò sempre rivolgendosi al suo alter ego oltre lo specchio ‘sono sicura che sia sincero quando ti dice di voler restare con te, purtroppo però non è veramente in grado di scegliere in piena consapevolezza. Sei l’unica persona a cui è legato in questo momento, è ovvio che voglia rimanere al tuo fianco. Ma appena avrà un’alternativa ti abbandonerà. Dopotutto chi vorrebbe mai vivere con una come te che non riesce nemmeno a baciare il ragazzo che le piace?’. 

Si mise le mani tra i capelli e abbassò la testa per interrompere quell’immaginario dialogo, e la sofferenza che ne derivava. 

"Non sono nata per essere felice…devo imparare ad accettarlo” sussurrò malinconicamente.

Si sentiva sul punto di piangere per l’ennesima volta. 

Non credeva di avere ancora lacrime, ma evidentemente si sbagliava. 

Le ricacciò indietro con la forza e si raddrizzò. 

Hero la stava aspettando e non voleva dargli ulteriori preoccupazioni. 

Dopo aver fatto un profondo respiro, aprì la porta e andò in salotto. 

La tavola era già imbandita e Hero era seduto in attesa del suo arrivo. 

Quando la vide il suo sguardo si illuminò. 

"Cotolette e patatine fritte, uno dei miei piatti preferiti. Come facevi a saperlo?” domandò stupita sorridendogli. 

“Davvero ti piace?” chiese lui a sua volta piacevolmente sorpreso. 

"Certo, io non mento mai” rispose lei assumendo un’espressione giocosamente altezzosa.

Aveva deciso di non far trapelare i suoi turbamenti emotivi di fronte ad Hero e di mostrarsi, per quanto fosse possibile, tranquilla. 

"Ottimo, mi piacciono le persone sincere. Comunque lo scoprirò non appena assaggerai il piatto che ti ho preparato, il viso tradisce sempre le nostre vere emozioni, lo sai?” affermò Hero con un sorriso di sfida. 

“Sei per caso uno di quegli esperti del linguaggio del corpo? In ogni caso non ci sarà bisogno che tu mi analizzi, ti dirò la verità, anche se dovesse farti male” esclamò sorridendo beffarda. 

"D’accordo, mi fido di te” concluse lui invitandola con un gesto della mano ad assaggiare il cibo. 

Lei iniziò a tagliare la carne e poi se ne mise un piccolo pezzo in bocca insieme ad un paio di patatine. 

Hero rimase in silenzio ad osservarla in attesa del suo giudizio. 

Lei masticò lentamente il boccone e, una volta deglutito, bevve un sorso d’acqua. 

Poi incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della sedia, fissando il piatto. 

"Allora…che ne dici?” le chiese titubante. 

Sabrina alzò leggermente gli occhi e lo guardò di traverso senza proferir parola. 

"Non…non è buono?” balbettò nervosamente Hero, il viso arrossato dalla vergogna. 

Lei gettò gli occhi verso il soffitto e sospirò profondamente. 

"Che cosa ti posso dire?” intonò con sguardo truce. 

"Mi piace un sacco” aggiunse prima di scoppiare a ridere. 

“Ma… mi hai preso in giro!” esclamò lui incredulo. 

“Scusami, non ho resistito! Avresti dovuto vedere la tua faccia, eri davvero atterrito” gli spiegò lei continuando a ridacchiare. 

“Mi hai fregato per bene. Questa me la paghi” promise ridendo a sua volta, lo sgomento sostituito dal sollievo e dal divertimento. 

“Sto tremando di paura” scherzò lei simulando i brividi. 

Dopo aver ottenuto ‘l’approvazione’ di Sabrina, anche Hero iniziò a mangiare e si convinse che il piatto non era poi così male. 

Il pranzo continuò in un’atmosfera distesa e rilassata.

Lei gli parlò dei piatti che era solita cucinare ed insieme ipotizzarono quali potessero essere le ‘ricette’ che Hero era in grado di preparare. 

Alla fine del pasto lui guardò l’orologio, erano già passate le quattro e mezza. 

A breve l’auto mandata da Tarri sarebbe arrivata per prelevare Sabrina ed accompagnarla al commissariato. 

Anche lei diresse il suo sguardo verso l’orologio, più per un riflesso condizionato dovuto al movimento di Hero piuttosto che per il reale interesse nel controllare che ora fosse. 

Si era così piacevolmente distratta durante il pranzo parlando con lui che il solo pensiero di dover andare al colloquio con l’ispettore di lì a poco la incupì di colpo. 

Non aveva la forza di parlare nuovamente degli eventi di quella notte, l’angoscia stava già iniziando ad assalirla. 

“Tra poco devo andare…” disse con un tono malinconico “prima però lavo i piatti. Non sarei una brava padrona di casa se lo facessi fare di nuovo a te, soprattutto oggi che mi hai anche preparato il pranzo”. 

Rivolgendogli un sorriso iniziò a sparecchiare la tavola, finché Hero non appoggiò una mano sulla sua per fermarla. 

"Lascia stare, ci penso io. Non è un peso per me, lo faccio volentieri” affermò in tono gentile, ma deciso. 

Sabrina lo guardò piacevolmente sorpresa. 

Stava già diventando rosso, molto probabilmente a causa di quel contatto fisico ipotizzò lei.

La cosa strana fu che anche lei si sentì le guance percorse da un improvviso calore. 

Non le capitava spesso di arrossire, figuriamoci per una situazione così innocente come quella. 

Per superare quel momento di imbarazzo puntò sull’ironia. 

“Non ho mai sentito in vita mia di un uomo a cui piacesse lavare i piatti…non vorrai mica farmi credere che rientri tra le tue attività preferite, vero?” gli domandò con sguardo inquisitore. 

Lui le lasciò la mano e rispose con tranquillità, pur senza riuscire a guardarla negli occhi.

“Certo che no, ho detto soltanto che mi va di farlo…così tu ti puoi riposare ancora un po’. È bello fare qualcosa per le persone a cui vuoi bene, non trovi?”. 

Sabrina rimase senza parole, lo sguardo fisso sul ragazzo. 

Non sapeva come rispondere a quella domanda. 

Era la prima volta che trovava qualcuno che ci tenesse a lei. 

In più anche lei provava sentimenti simili per lui. 

Non poteva essere soltanto gratitudine per l’enorme debito che aveva nei suoi confronti.

Forse era amicizia, anche se in cuor suo, inconsciamente, sperava che potesse essere qualcosa di più. 

“Credo di sì…” rispose infine timidamente. 

“Bene, visto che la pensiamo allo stesso modo permettimi di farti questo piccolo favore. Tu resta pure seduta tranquilla” concluse Hero sorridendo ed iniziando a sparecchiare la tavola.

Dopo aver portato i piatti e le posate in cucina, ritornò per prendere le ultime cose rimaste sul tavolo. 

Quando afferrò la bottiglia per il collo, per poter portare qualcos’altro con le dita libere, si accorse che il tappo non era chiuso bene, ma fu troppo tardi. 

La bottiglia si rovesciò sul tavolo senza che lui potesse fare niente per fermarla, avendo l’altra mano impegnata con i bicchieri. 

Malauguratamente neanche Sabrina riuscì a reagire in tempo. 

Era intenta a controllare il suo cellulare, cosicché non si accorse dell’accaduto finché non udì il rumore della caduta e, subito dopo, l’acqua che le bagnava gli avambracci appoggiati sul tavolo. 

"Scusami, il tappo non era ben fissato…che disastro che ho combinato!” borbottò nervosamente lui raddrizzando la bottiglia. 

"Stai tranquillo, non è niente, soltanto un po’ d’acqua” cercò di rincuorarlo Sabrina ripresasi dalla sorpresa.

“Sono stato così sbadato, ti asciugo subito!” propose per fare ammenda. 

Prese un tovagliolo ancora pulito e iniziò a tamponare la maglia bagnata di Sabrina.

"Davvero Hero non ce n’è bisogno, tanto dovevo cambiarmi” provò a fermarlo senza riuscirci. 

Continuava a muovere affannosamente il pezzo di carta e nel momento in cui lo appoggiò sul suo avambraccio destro, lei non riuscì a trattenere un grido di dolore. 

Hero si fermò al’istante, allontanando di scatto la mano.

Aveva un’espressione spaventata e sbalordita. 

"Ti ho fatto male?” chiese con un filo di voce. 

Sabrina, superato quel momento di sofferenza, si rammaricò subito per non essere stata in grado di controllare il suo dolore. 

Ora che cosa gli avrebbe detto? 

Non poteva in alcun caso raccontargli di ciò che le avevano fatto Mr Orfeo e Josè. 

Se Hero lo avesse saputo non avrebbe esitato a rivolgersi alla polizia per farle avere giustizia ed il suo ex capo era stato chiaro a riguardo. 

Se fosse stato denunciato non soltanto l’avrebbe fatta pagare cara a lei, ma anche Hero sarebbe finito nei guai. 

Doveva pensare in fretta e trovare una spiegazione convincente, però era nel panico. 

Temeva che il suo viso avrebbe rivelato ad Hero qualsiasi menzogna, sebbene ben congegnata. 

Perciò decise di non mentire del tutto, bensì di dire una mezza verità. 

“Mi sono ferita ieri al locale, è stato un incidente…” spiegò massaggiandosi delicatamente la parte dolorante “ma non ti preoccupare, non è nulla di grave”. 

'La prima parte è vera, la seconda un po’ meno…però è per il suo bene…’ cercò di giustificarsi. 

Gli sorrise, ma lui notò che qualcosa non andava. 

Non era uno dei suoi soliti sorrisi radiosi e gli occhi non sorridevano insieme alla bocca. 

"Mi spiace, non lo sapevo. Come è successo?” domandò turbato. 

Lei si morse il labbro inferiore per la tensione. 

Aveva davvero sperato che Hero non le ponesse ulteriori interrogativi sulla questione. 

Da lì in avanti non avrebbe potuto far altro che mentire e lei odiava veramente le falsità. 

“Beh vedi…sono caduta mentre stavo portando dei drink ad un tavolo, così una scheggia mi ha tagliato” improvvisò senza riuscire a reggere lo sguardo interrogatorio di Hero. 

Stava chiaramente iniziando a sospettare qualcosa. 

Sabrina non era abituata a mentire. 

Riusciva a controllare il tono della voce, ma non il linguaggio del corpo e lui sembrava cogliere ogni segnale contraddittorio che poteva smascherarla. 

Per distogliere l’attenzione di Hero dalla storia della ferita, provò a rassicurarlo con la notizia che non avrebbe più lavorato al Dreamland. 

Ne sarebbe stato sollevato e avrebbe così lasciato perdere quell’argomento, o almeno così sperava. 

Simulando nel miglior modo possibile allegria gli comunicò la novità. 

"Comunque devi sapere che non lavorerò più al Dreamland. Ieri è stato il mio ultimo giorno”. 

“Davvero?” chiese lui entusiasta.

I suoi si illuminarono dalla gioia, proprio come lei aveva auspicato. 

"Questa si che è una bella notizia! Non sai quanto fossi preoccupato sapendo che lavoravi in un posto del genere. Ieri mi avevi detto che avresti continuato a lavorare lì finché non fossi riuscita a trovare un altro impiego, cosa ti ha fatto cambiare idea? Come l’ha presa il tuo capo quando ti sei licenziata?” le domandò sia per curiosità che per preoccupazione. 

Presa alla sprovvista dalle domande, Sabrina rispose senza badare troppo alle sue parole.

“In realtà non mi sono licenziata…sono stata cacciata”. 

Nel medesimo istante in cui terminò la frase si rese conto dell’errore che aveva commesso.

‘Perché non sono brava a raccontare le bugie o almeno a tenere la bocca chiusa quando serve?’ si rimproverò mentalmente. 

"Come sarebbe a dire che ti hanno cacciata? Non sarà mica perché hai fatto cadere dei bicchieri? Che persone meschine potrebbero mai prendersela per una simile inezia?” osservò indignato. 

"Non mi hanno cacciata per quello, è stata colpa di Giov…”.

Si interruppe bruscamente, ben conscia del guaio che aveva appena combinato. 

“Per colpa di chi?” la incalzò immediatamente Hero. 

"No niente, cioè voglio dire nessuno…è solo che, vedi io…” balbettò Sabrina agitandosi nervosamente sulla sedia. 

"C’entra quel Giovanni, il cliente che ti molesta da quando hai iniziato a lavorare lì, giusto? Stavi per dire il suo nome prima, non negarlo. Dimmi la verità Sabrina” le ordinò in modo imperioso. 

Tra i due cadde un silenzio pieno di tensione.

“Ti prego Sabrina, raccontami cosa è successo con quell’uomo. Non ti fa bene tenerti tutto dentro. Ti puoi fidare di me” aggiunse Hero con un tono di voce più pacato e dolce vedendo la sua espressione angosciata e impaurita. 

Dopo un po’ di titubanza lei decise confessare. 

L’immaginazione di Hero lo avrebbe portato a visualizzare uno scenario ancora peggiore di quanto già non fosse in realtà. 

Inoltre aveva un assoluto bisogno di confidarsi con qualcuno. 

A volte mantenere dei segreti, soprattutto quelli traumatici, senza potersi sfogare con un’altra persona, consuma da dentro. 

Alla lunga porta irrimediabilmente all’auto-distruzione emotiva. 

E con chi poteva parlarne se non con lui? 

Non aveva nessuno a cui potesse rivelare quella scioccante esperienza. 

Soltanto Hero sembrava interessarsi alla sua vita, per quanto ci fosse entrato da pochi giorni. 

Così gli raccontò dell’aggressione di Giovanni, cercando di non scendere troppo nei dettagli per non provocare ulteriormente la rabbia di Hero nei confronti dell’uomo. 

Mentre parlava, lui rimase in silenzio, lo sguardo cupo e le mani serrate a pugno. 

Sabrina evitò accuratamente di menzionare le minacce di Mr Orfeo ad inizio serata e ancor di più la successiva violenza nel suo ufficio. 

Nella sua versione modificata dei fatti il proprietario del locale si era limitato a farle una sfuriata e non pagarle la serata, prima di farla sbattere fuori dal retro da José. 

Hero non avrebbe mai dovuto sapere dell’orribile sopruso che lei aveva subito. 

Era già stato un grosso errore lasciarsi sfuggire di Giovanni, non avrebbe peggiorato ancor di più la situazione. 

Hero non doveva farsi carico di quest’ennesima sofferenza, anche perché venirne a conoscenza lo avrebbe sicuramente messo in pericolo. 

Il suo innato spirito eroico lo avrebbe senza dubbio spinto ad agire per vendicare quell’ingiustizia. 

Non poteva sopportare in silenzio come aveva deciso di fare lei. 

Qualunque azione avesse compiuto, dall’andare alla polizia o, ancor peggio, affrontare direttamente il suo ex capo, l’avrebbe pagata a caro prezzo. 

Aveva quasi più paura per lui che per se stessa. 

Aveva già fatto abbastanza per lei e non aveva intenzione di ricompensarlo causandogli altre sofferenze, come se la perdita della memoria non fosse stata abbastanza grave. 

Quando finì di rievocare gli eventi di quella notte, si ritrovò, senza rendersene conto, con le lacrime agli occhi. 

Era l’ultima cosa che avrebbe voluto accadesse. 

Hero era ancora in piedi davanti a lei e la ragazza notò all’istante il fremito di rabbia che lo percorse alla vista delle sue lacrime. 

La rabbia covata per tutto il tempo in cui aveva ascoltato in silenzio il suo racconto che esplose all’improvviso. 

“Quel lurido verme ha provato a violentarti e nessuno è intervenuto?” gridò in preda all’ira “Per di più hai dovuto anche subire l’umiliazione del licenziamento per il semplice fatto di esserti difesa? Cosa avresti dovuto fare? Stare zitta e lasciare che quello facesse di te tutto ciò che voleva?”. 

Si muoveva nervosamente su e giù per la stanza come un pendolo, incapace di star fermo.

"Hero non fare così, calmati. Ormai è successo…non possiamo farci niente” cercò di tranquillizzarlo. 

Tuttavia le sue parole ebbero l’effetto opposto e non fecero altro che aumentare il fuoco della sua collera quasi fossero benzina.

"Come sarebbe a dire che non possiamo farci niente? Avresti dovuto dirlo all’ispettore, così sarebbe andato ad arrestare quel bastardo! È tentato stupro, lo stesso reato per cui è ricercato l’uomo che ti ha aggredita quella notte, te ne rendi conto?” le domandò furente. 

“Non è la stessa cosa!” strillò in risposta Sabrina guardandolo con asprezza, prima di scoppiare nuovamente a piangere. 

"Cosa intendi dire?” chiese perplesso lui, il tono reso meno brusco da quell’improvvisa reazione. 

“Intendo dire che le due aggressioni che ho subito sono diverse, non nella loro natura, bensì nel modo in cui vengono percepite dalla società” rispose con una freddezza che gelò il sangue nel corpo del ragazzo. 

Dopo una breve pausa per asciugarsi le lacrime riprese la sua spiegazione. 

“La notte in cui mi hai salvata ero stata rapita da uno sconosciuto di fronte al portone del palazzo in cui vivo. Quell’uomo mi aveva poi portata in un edificio abbandonato, legata ad un materasso gettato a terra ed era pronto a violentarmi quando sei intervenuto tu. Nessuno metterebbe in dubbio che io abbia subito un tentativo di stupro. Ora parliamo di ieri notte. Lascia che ti spieghi quale sarebbe la versione di Giovanni nel caso in cui io sporgessi denuncia e la polizia lo interrogasse. Direbbe che si trovava lì con i suoi amici soltanto per divertirsi e che io l’ho provocato. Dopotutto la mia ‘divisa’ lascia ben poco all’immaginazione e tutti lo sanno che le ragazze che lavorano in questo tipo di locali, per ‘soli adulti’ come li chiamano, sono facili e non vedono l’ora che i clienti mettano loro le mani addosso. Chiaramente i suoi amici lo sosterrebbero, questa è la mentalità del branco, e nessuno presente nel locale quella notte direbbe la verità. Hanno permesso che mi aggredisse senza muovere un dito, perché dovrebbero testimoniare a mio favore? Inoltre per non avere problemi anche il mio ex datore di lavoro mentirebbe. A chi crederebbe la polizia secondo te? A me o a tutti gli altri?”. 

Non si era fermata neanche un momento per rifiatare nell’impeto del discorso, tant’è che si ritrovò a respirare affannosamente. 

La faccia di Hero, più di mille parole, descriveva la sua incredulità di fronte a quelle parole.

“Devono crederti, perché mai dovresti mentire su una questione così seria? Non riesco a capire come possano considerare diverse le due aggressioni…” rifletté turbato. 

"Le ritengono diverse perché nel primo caso ero una ragazza qualunque che stava rientrando a casa a notte tarda, nel secondo invece ero una poco di buono che se l’è andata a cercare e ha ottenuto quello che si meritava, visto il lavoro che ha scelto di fare” lo interruppe lei con voce fremente di rabbia. 

Il ragazzo sembrò finalmente capire il ragionamento.  

“Ma…non è giusto…tu non hai colpe!” borbottò scandalizzato. 

“Lo so, però è così che vanno le cose…” osservò lei amaramente. 

“Se il mondo fosse popolato da persone come te sarebbe senza dubbio un posto migliore” continuò con maggiore pacatezza dopo aver notato l’espressione angosciata di Hero “purtroppo sei un’eccezione, non la regola”. 

Percependo ancora la collera nella rigida postura del ragazzo e nel suo sguardo truce, fece un estremo tentativo per convincerlo a desistere dal suo desiderio di trovare giustizia per lei.

“Voglio dimenticare questa storia. Non parlarne con Tarri, sicuramente non otterrei nulla denunciando Giovanni  e sarebbe soltanto un’altra umiliazione. Ti prego Hero, fallo per me” lo supplicò accoratamente. 

Dicendo questo si alzò in piedi, afferrò le sue mani e le strinse tra le sue. 

Hero esitò, incerto sul da farsi. 

Voleva dannatamente fare qualcosa per vendicare la violenza di cui lei era stata vittima, tuttavia il suo discorso lo aveva convinto dell’impossibilità di ottenere giustizia denunciando il fatto alla polizia. 

Il suo conflitto interiore fu risolto nel momento in cui alzò la testa ed il suo sguardo incrociò quello di Sabrina. 

I suoi grandi occhi azzurri, sempre meravigliosi seppur velati dalla lacrime, mostravano tutta la sua sofferenza e lo imploravano silenziosamente di esaudire quella richiesta. 

Non riuscì a sostenere lo sguardo per più di una manciata di secondi, anche se furono più che sufficienti per influenzare irrimediabilmente la sua decisione. 

“Va bene, non dirò nulla alla polizia. Resterà un segreto tra te e me. Te lo prometto” accettò a malincuore. 

Gli occhi di Sabrina si illuminarono per il sollievo. 

“Grazie…” sussurrò con un filo di voce prima di cingerlo con un abbraccio, appoggiando il viso sul suo torace. 

Lui ricambiò l’abbraccio e la accarezzò dolcemente sulla schiena. 

Riusciva a comprendere la ragione per cui gli aveva chiesto di mantenere il segreto, tuttavia non riusciva ad accettare quella situazione. 

Per questo motivo non riuscì ad abbracciarla con sentimento come avrebbe voluto e come lei ne avrebbe avuto bisogno. 

Percependo i turbamenti di Hero, si staccò da lui dopo pochi secondi. 

Comprese che l’unico motivo per cui aveva accettato le sue condizioni era l’affetto che nutriva per lei. 

Non era per nulla d’accordo con la sua scelta, ma era stato disposto a scendere a compromessi pur di non ferirla. 

Concluse che qualsiasi altra parola o gesto sarebbero stati superflui, se non addirittura dannosi. 

La frustrazione si leggeva a chiare lettere sul volto del ragazzo e l’unica cosa da fare era lasciargli il tempo per metabolizzarla e, possibilmente, superarla.

“Allora io mi preparo, ormai il mio passaggio per il commissariato dovrebbe arrivare a momenti…” constatò più che altro per spezzare quel silenzio imbarazzante in cui erano piombati. 

“Certo, meglio non farli aspettare” rispose Hero in tono piatto, ancora preso dai suoi pensieri. 

“Non dovrei fare tardi, quindi preparerò io cena. Come padrona di casa sono stata pessima finora, cercherò di rifarmi e inizierò proprio col cucinarti qualcosa di buono stasera, d’accordo?” propose sorridendo per stemperare la tensione. 

"Va bene, non vedo l’ora di assaggiare un tuo piatto. Senza dubbio sarai una cuoca migliore di me” esclamò questa volta con maggiore partecipazione. 

Abbozzò anche un sorriso in risposta a quello di Sabrina. 

Lei capì subito che si trattava di un gesto forzato, però apprezzo il suo tentativo. 

"Tu non te la cavi male dai! Non ti devi aspettare nulla di eccezionale da me, ricordati che non ho mai cucinato per nessuno. Perciò non ho idea se qualcuno può apprezzare il mio cibo. Spero di non fare una figuraccia!” diss scherzosamente. 

“Sono sicuro che non mi deluderai…forse ora è meglio che tu vada a cambiarti, mancano neanche dieci minuti alle cinque…dovresti sbrigarti” la informò premurosamente. 

"Giusto, hai ragione! Mi perdo sempre in chiacchiere…allora mi preparo” concluse prima di uscire dal salotto e dirigersi in camera da letto. 

Non appena fu uscita dalla stanza, Hero si lasciò cadere sul divano. 

Le rivelazioni sulla notte al Dreamland e ,soprattutto, la decisione di Sabrina di non denunciare il fatto, lo avevano sconvolto. 

Però in quel momento decise di non dare ulteriori segni del suo turbamento interiore. 

Non voleva che lei si sentisse in colpa. 

Trasse un profondo respiro e cercò di rilassarsi. 

Avrebbe avuto tutto il tempo per dare libero sfogo ai suoi pensieri e alle sue emozioni quando lei non fosse stata in casa. 

Dopo pochi minuti lei si palesò sulla soglia del salotto. 

"Dici che vado bene vestita così?” domandò timidamente “non sono mai stata in un commissariato prima d’ora…”. 

Hero alzò lo sguardo verso di lei e rimase a bocca aperta per lo stupore. 

Indossava un paio di jeans grigio chiaro, una cintura di cuoio marrone, una camicia bianca con sopra un gilet nero e la sua immancabile giacchetta di pelle nera. 

Nonostante quell’abbigliamento tutt’altro che appariscente, la sua bellezza risplendeva radiosa.  

Non importava veramente che cosa indossasse, la trovava sempre stupenda, come il primo giorno in cui l’aveva vista. 

Possedeva un fascino naturale, che era esaltato ancora di più dagli abiti semplici e dall’assenza di trucco. 

‘Non si trovano molte ragazze del genere, anzi, sono decisamente una rarità…’ osservò Hero. 

Tenne per sé quei pensieri e cercò di non far trasparire quanto fosse ammaliato da lei. 

Le rivolse un sorriso, che sperò risultasse rilassato, e rispose alla sua domanda. 

"Neanche io sono un esperto, o almeno non ricordo di essere stato in passato in un commissariato…ma direi che il tuo abbigliamento va benissimo per l’occasione ” la rassicurò. 

Sabrina, che inconsciamente aveva aspettato il ‘verdetto’ trattenendo il fiato, trasse un profondo respiro di sollievo e sorrise calorosamente. 

“Grazie, sono contenta che la pensi così…anche se in effetti hai ragione tu. Nessuno di noi due sa esattamente come ci si dovrebbe vestire in questa circostanza” concluse con una risatina che coinvolse anche Hero. 

Ad interrompere quel momento sereno fu il suono del campanello. 

“Dev’essere la scorta per il commissariato…” sospirò malinconicamente Sabrina. 

Non aveva alcuna voglia di parlare con l’ispettore. 

Di qualunque cosa si trattasse, non poteva che essere collegata ai fatti di quella notte. 

Lei voleva soltanto dimenticare quella terribile esperienza, andare oltre. 

Questo colloquio invece le avrebbe fatto rivivere quei momenti traumatici. 

Hero percepì la tristezza nella sua voce e cercò di sollevarle il morale. 

"Se l’incontro andasse troppo per le lunghe, potresti sempre dire che devi tornare a casa a prenderti cura del tuo coinquilino smemorato. Mi sembra un’ottima scusa per tornare a casa presto, non credi?” propose scherzosamente. 

Lei rise allegramente prima di rispondere. 

“Direi proprio di si, è davvero un buon piano Hero. Non ti facevo così machiavellico”. 

“Ci sono ancora tante cose che non sai di me…a dirla tutta neanche io ne so molte” puntualizzò lui con una buona dose di auto-ironia. 

“Vuol dire che le scopriremo insieme…” sussurrò lei dolcemente guardandolo dritto negli occhi.

Come gli succedeva ogni qualvolta i loro sguardi si incrociavano a lungo, Hero non poté fare a meno di arrossire e abbassare il capo per l’imbarazzo. 

“Forse dovresti andare…altrimenti potrebbero arrestarti per oltraggio a pubblico ufficiale se li fai aspettare troppo” scherzò per nascondere la tensione. 

“Già, meglio non correre rischi. Mi raccomando Hero…ricorda che stasera la cena la preparo io, intesi?” affermò assumendo un’espressione giocosamente autoritaria. 

“Casa tua, regole tue” acconsentì lui con finta solennità. 

“Perfetto. A più tardi allora…” lo salutò lei per poi avviarsi verso l’uscita. 

“A tra poco Sabrina…” rispose osservandola andare via. 

Una volta aperta la porta, si fermò sull’uscio e si voltò verso di lui. 

In un lampo colmò la distanza che li separava. 

Giunta di fronte a lui, si mise in punta di piedi appoggiandosi con le mani alle sue spalle e gli scoccò un bacio sulla guancia.

Le sue labbra rimasero in contatto con il viso del ragazzo per alcuni secondi e lui divenne tremendamente rosso, forse più di quanto lo fosse stato in qualsiasi altra precedente occasione. 

“Questo per che cos’era?” riuscì a balbettare. 

"Non si deve mai chiedere una spiegazione per un bacio...si rovina la bellezza del gesto. Inoltre non deve esistere per forza una motivazione, un  bacio dato istintivamente è migliore di uno nato dalla ragione, non pensi?” rispose lei sibillina. 

Mentre si dondolava su un piede, le mani intrecciate dietro la schiena, sembrava proprio una ragazzina. 

Dopotutto lo era, aveva soltanto diciott’anni, anche se le brutte esperienze della sua vita l’avevano costretta a sviluppare una maturità ben maggiore rispetto a quella delle sue coetanee. 

“Forse hai ragione tu...” replicò titubante lui. 

“Ora credo che dovrei andare per davvero. Ciao Hero! A dopo!” concluse prima di raggiungere la porta e uscire dall’appartamento. 

Hero rimase fermo in piedi in mezzo al salotto, fissando la porta ormai chiusa. 

Il turbinio di emozioni che aveva scatenato nel suo animo quel bacio non sembrava destinato a fermarsi a breve. 

Il cuore batteva contro il suo torace ad un ritmo forsennato e con tale foga che sembrava dovesse saltare fuori da un momento all’altro. 

Per calmarsi si sdraiò sul divano e, poco alla volta, respirando lentamente, il suo battito tornò alla normalità. 

Sabrina se ne era andata da pochi minuti e lui ne sentiva già la mancanza. 

“L’amore è al tempo stesso una croce ed una delizia…” borbottò a bassa voce. 

Era innamorato di lei, ormai non aveva più dubbi. 

Follemente innamorato. 

Dopodiché, forse per le troppe emozioni contrastanti vissute quel giorno, si addormentò senza rendersene conto. 

Tuttavia il suo non fu un sonno piacevole, bensì tempestato da incubi.

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