Missing moment di The Rebel - Antipodi

di Dreamer In Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Primo incontro ***
Capitolo 2: *** 2. Quasi dolce ***
Capitolo 3: *** 3. Bacio ***
Capitolo 4: *** 4. Battaglia ***
Capitolo 5: *** 5. Ferite ***



Capitolo 1
*** 1. Primo incontro ***


1. Primo incontro
 
- Che cosa posso servirti straniero? -, domandò una voce leggera dall’altra parte del tavolo.
L'uomo non alzò nemmeno lo sguardo e passò distratto un dito fra le incanalature del legno.
 - Una birra. -, pronunciò, infine, arricciando le labbra sottili.
La sua ricerca lo aveva condotto in una squallida locanda di Mari dove l'insegna di un leone barcollava sulla porta d'ingresso. L'ambiente era angusto e poco illuminato; i clienti, poi, erano contadini che si ritrovavano a bere e a spendere soldi con i dadi. Sarebbe stato facile mantenere l’anonimato e cavare fuori da qualche balordo ubriaco interessanti informazioni.
- Nient'altro? Facciamo un’ottima zuppa. -, insistette la ragazza ancora accanto a lui.
Immerso nei pensieri, non si era nemmeno accorto che la cameriera non se ne era andata e che lo stava scrutando insistente. Decise, infastidito, di prestare attenzione alla donna che, probabilmente, stava solo cercando di aumentare gli incassi della serata. Aveva circa quindici anni, ben sette meno di lui; era avvolta in un abito scuro di pessima fattura e sulla vita teneva legato un lercio grembiule. Non era particolarmente bella: lineamenti semplici, un colorito sano, delle curve morbide e capelli color di carota raccolti in una coda alta. Poi, si soffermò sulle iridi castane della ragazza: occhi luminosi e gentili che lo osservavano determinati. Forse fu quella sicurezza nello sguardo e le labbra delicate incurvate in un'espressione serena o, semplicemente, lo stomaco che improvvisamente si era fatto vuoto ma il ragazzo desistette e ordinò la zuppa. L’arancio sorrise raggiante e annuì per poi avviarsi verso il bancone.
Il giovane si passò, confuso, una mano tra i capelli neri nascosti dalla stoffa del mantello e si lasciò sfuggire un ghigno. Con le iridi chiare seguì la figura agile della fanciulla che si destreggiava tra i tavoli e i clienti. Questa sparì oltre la porta della piccola cucina per uscirne, dopo qualche minuto, con un piatto fumante e un boccale di liquido ambrato.
La cameriera appoggiò il cibo al tavolo e sfoderò il palmo della mano in attesa dei soldi.
L’uomo con il cappuccio estrasse dalla tasca del mantello nero un fagottino e acchiappò alcune monete. Allungò la mano per darle all’arancio ma tergiversò.
- Conosci una certa Lione, figlia di Wohl? -, domandò noncurante.
Le iridi castane della giovane si fecero scure e sospettose. L’uomo la vide mordersi il labbro inferiore.
- Non conosco nessuno con quel nome. –
Il tono di voce si era fatto duro, in contrasto con la gentilezza di poco prima. Il moro alzò le spalle e diede le monete alla ragazza che, senza esitazione, si voltò per andarsene.
Veloce, lo straniero gli afferrò il braccio.
- Eppure, -, sibilò ironico, - ho l’impressione che tu la conosca. –
La donna si voltò lentamente e incontrò, per la prima volta, le iridi verdi del commensale. Aveva un volto duro ma virile e sulle labbra gli aleggiava un sorriso strafottente.
- Chi la sta cercando? -, decise di domandare.
Non si fidava di quell’uomo: non lo aveva mai visto da quelle parti e, sotto il mantello, la ragazza scorgeva la sagoma di una piccola elsa; per molti sarebbe passata inosservata ma non ha lei, che aveva passato anni circondata da lame di tutti i tipi. Eppure, negli occhi dello sconosciuto, apparentemente indifferenti, vi leggeva una certa disperazione.
Vide il ragazzo ghignare alla sua domanda.
- In pochi conoscono il mio nome, signorina. E ancor di meno sono quelli ancora vivi per pronunciarlo. –
Con uno strattone, la ragazza liberò il braccio. Soppesò per qualche istante il proprio sguardo sulle iridi chiare dell’uomo.
- Mi dispiace, signore, ma non è con le minacce che otterrà ciò che vuole. Se vuole scusarmi, ho altri clienti da servire. –, e si allontanò.
- Black. –
La cameriera si fermò a qualche passo di distanza dal tavolo. Era stato solo un sussurro ma lo aveva sentito chiaramente. Stranita, si voltò nuovamente verso il cliente.
- Come? –
- Non c’è bisogno che lo ripeta. –, rispose l’uomo, scrutando intensamente la ragazza, come per sfidarla.
L’arancio fece qualche passo verso il tavolo.
- E cosa vuoi da Lione? -, domandò, troppo curiosa per trattenersi.
Con uno sbuffo irritato il ragazzo rispose.
- Ti pagherò profumatamente per il tuo servizio e il tuo silenzio. Ora, dimmi, dove trovarla.–
- Credi che Lione incontri chiunque? Devi darmi qualche garanzia, altrimenti non ti porterò da lei.–
- Non ti basta sapere il mio nome? -, domandò Black cantilenante ed esasperato.
La ragazza si limitò ad alzare un sopracciglio, in attesa.
Infine, il moro sospirò.
- Riguarda una lama… particolare.–
Infine, alzò lo sguardo e scorse sulle labbra dell’arancio un sorriso soddisfatto.
- Aspettami fino alla chiusura. -, gli disse solo e, andandosene, la cameriera gli strizzò l’occhio.
 

Black attendeva quieto in un angolo buio del vicolo ormai da quasi un'ora. Dall'esterno, le luci dell'osteria apparivano tenui e timide. L'arancio lo aveva invitato ad aspettarla all'esterno e ghignò tra sè immaginando l'anonima cameriera che puliva i pavimenti. Quella ragazzina gli aveva dato filo da torcere.
Era abituato a donne infami e losche non certo a brillanti occhi nocciola, specchio dell’ anima, da cui aveva letto ogni emozione, ogni pensiero, della ragazza; ma non per questo l'aveva sottovalutata: infatti, l’arancio aveva dimostrato determinazione e prudenza. La giovane sapeva con chi aveva a che fare, Black era conosciuto nel Regno, eppure non lo temeva. Probabilmente si era cacciato nell'ennesima trappola, l'ennesimo tentativo di mettergli un cappio al collo e vendicare le morti di cui lui era solo un esecutore, ma, nonostante quei sospetti, aspettava.
Non aveva altra scelta.  Doveva sapere. Non poteva più attendere. Dopo aver perso, nuovamente, tutto quello che aveva costruito, aveva sentito la necessità di ripartire dal suo passato, quell'infanzia che gli era stata negata e che era finita nel dimenticatoio, insieme al suo vero nome. Si voltò di scatto, scorgendo sulla porta del Leone una figura incappucciata che armeggiava con la serratura. Il moro fece qualche passo avanti uscendo dall'oscurità e lasciando che il timido spicchio di luna che brillava nel cielo lo illuminasse.
La cameriera, al movimento di Black, si voltò e sorrise leggermente.
- Pensavo te ne fossi andato. -, cominciò la ragazza avvicinandosi.
- Lo speravi?-, domandò il moro con un ghigno strafottente.
- Sinceramente, sì ma sei disperato-, concluse la cameriera.
L'uomo alzò un sopracciglio a quell’affermazione.
- Allora? – esortò, fingendosi noncurante dell'espressione gongolante della ragazza.
Questa piegò la testa di lato, tirando le labbra in un sorriso. Allungò la mano.
Black, impassibile, fissava la ragazza.
- Prima dimmi quello che sai e, poi, avrai i tuoi soldi.
- Farò di più: ti porterò da Lione. Prima, però, … -
La cameriera lasciò in sospeso la frase mentre con un sorriso sornione muoveva la mano per incitarlo al pagamento.
Il moro perse le staffe. Con un passo si avvicinò alla ragazza, la afferrò per la vita e, tenendola contro di sè, gli punto un pugnale alla gola.
- Non scherzare con me, ragazzina. Sai con chi hai a che fare? -, sibilò nella notte.
I loro volti erano a pochi centimetri e, nuovamente, la ragazza poteva scorgere le iridi chiare di Black, sempre nascoste sotto il mantello. Questa sfoderò un ghigno ironico.
- Con una spia o, meglio, un assassino? Credi di farmi paura? Tu non sai con chi hai a che fare. –, e fece pressione con la lama, che teneva stretta nella mano, sullo stomaco del moro; non era l’unico a essere armato.
Vide le pupille dell’uomo dilatarsi e lo sguardo assottigliarsi.
- Hai davanti a te la persona che stai cercando e, ora, se vuoi scusarmi, dopo una giornata di lavoro, gradirei mettermi più a mio agio. -
Mentre Lione parlava, la presa del ragazzo si faceva meno salda fino a scomparire. Le iridi verdi di Black erano fisse in quelle castane di lei e la studiavano sospettose.
La giovane mantenne fiera quello sguardo per poi voltarsi e avviarsi verso casa.
Appena svoltò l'angolo sentì i passi di Black dietro di lei. Sorrise apertamente.
 
La stanza era composta di due spazi: una cuccetta con un comodino e un grande baule e la sala principale, dove si trovavano tavolo e camino. L’arredamento era spartano ma tutto ben pulito e curato. Lione mise dell’acqua sul fuoco e si sedette, poi, di fronte al suo ospite che la attendeva accasciato sulla sedia.
- Ebbene? Come posso aiutarti? -, lo invitò la donna appoggiando i gomiti sul tavolo, in attesa.
Black estrasse dalla cintola il suo pugnale e lo lanciò malamente sul legno. La lama uscì leggermente dalla custodia e l’arancio allungò le mani per portarsela davanti agli occhi.
Alla luce della piccola lampada, situata tra loro, esaminò le eleganti lavorazioni e soffermò la sua attenzione sulla piccola incisione che si trovava sull’elsa.
- Dove l’hai presa? -, domandò, tornando a posare lo sguardo sul suo ospite.
Questo, si mosse agitato sulla sedia per, poi, sporsi sul tavolo.
- Siamo in confidenza, per caso?-, ribatté ironico mentre l’arancio alzava gli occhi al cielo esasperata.
- Ascolta, bello. -, cominciò Lione e Black ghignò. – Non voglio farmi i fatti tuoi ma saperlo mi aiuterebbe a capire a chi appartiene. È per questo che sei venuto da me, giusto?–
Vide l’uomo bloccarsi come per soppesare le sue parole. Infine, si calò il cappuccio del mantello e si strofinò il viso tra le mani. I corti capelli neri ricadevano malamente sulla fronte lattea.
- Mi stai facendo disperare ragazzina. -, commentò in un suono soffocato.
Poi, con un lungo respirò, cominciò a parlare.
-Sospetto che sia l’unico cimelio di famiglia che mi rimane e l’unico ricordo del mio passato.–
L’arancio assottigliò lo sguardo.
-L’unico ricordo? –
Black si alzò bruscamente dalla sedia che strisciò sul pavimento. Spazientito, afferrò la lama e la rimise alla cintola. Afferrò, poi, qualche moneta e le appoggio sul tavolo.
- Non sono qui per confidarmi. Me ne vado. –
Si diresse a grandi falcate verso la porta. Stava per aprire l’uscio ma la voce della ragazza lo fermò.
- Aspetta. –
Il moro si voltò appena per scorgere la giovane, in piedi, con le mani al grembo e la testa bassa.
- La lama è stata fatta da mio padre ma è l’unica cosa che ho potuto costatare. Riprenditi i tuoi soldi, io non ti sono stata di alcun aiuto.–
L’uomo si era ormai girato completamente verso Lione.
Fermarlo era stato spontaneo per l’arancio, nonostante l’istinto le dicesse di stare in guardia da quell’uomo bello e terribile.
Le iridi chiare di Black si fermarono in quelle scure della ragazza. La diffidenza coinvolgeva ogni lineamento del viso dell’uomo. Poi, con una mossa veloce, l’uomo si calò il cappuccio sul volto e, in un attimo, sparì oltre il legno dell’appartamento. Lione rimase sola nella stanzetta mentre la porta aperta sbatteva nel vano per una ventata di aria fredda.



Salve,salvino!
Eccomi tornata a incasinarmi la vita. Questa ff sarà composta da pochi capitoli (tra i 5 e i 10, non so nemmeno io precisamente) e raccontano un po' la sotira di LIone e Black. Questa necessità è nata durante la stesura del capitolo 28 di The Rebel. Infatti, il capitolo è lungo già di per se, se avessi pure aggiunto tutte ste cose, avreste impiegato 5 giorni per leggerlo. La pubblicazione di questa ff non dovrebbe andare oltre i due mesi, per cui sarà una volta ogni 1/2 settimane in base anche ai miei impegni. Spero di non deludervi e di ricevere le vostre recensioni
un bacio
Ele

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Capitolo 2
*** 2. Quasi dolce ***


2. Quasi dolce
 
I giorni passarono veloci ma, nonostante lo scorrere del tempo, i pensieri di Lione continuavano a tornare a Black e ai suoi occhi limpidi e profondi in cui aveva scorto l’oblio. Dopo che il ragazzo aveva lasciato il suo appartamento, l’arancio si era fiondata a prendere carboncino e foglio per disegnare. Con mano veloce aveva steso linee e ghirigori sul bianco e il pugnale, che per pochi minuti aveva avuto modo di osservare, era stato fissato sulla carta.
Poi, sorseggiando il thè, era rimasta un’intera notte sveglia a meditare il da farsi.
Il pugnale di Blake era una lama reale, anche se non particolarmente preziosa, e la fattura portava la mano di suo padre. Doveva essere stata forgiata molti anni prima della sua nascita: l’imprecisione di alcune lavorazioni indicava chiaramente che Wohl era ancora alle prime armi.
L’unico modo per saperne di più era mostrare il disegno a suo padre: ma ne sarebbe valsa la pena?
Avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio, sola, passando per la prateria dove gruppi di mercenari bazzicavano portando terrore nelle piccole fattorie e disturbando i viaggiatori che si allontanavano dalle città assediate dal tiranno in cerca di salvezza. In più, a Lione era stato affidato un compito importante: una sua ipotetica cattura avrebbe causato una catastrofe per la ribellione e assentarsi per diversi giorni avrebbe comportato mettere a rischio la sua copertura.
Eppure, la curiosità non gli dava pace.
Perché un uomo come Black, temuto assassino, aveva bisogno di sapere a chi apparteneva quella lama? Quando, alla locanda, il ragazzo le aveva rivelato il suo nome, Lione aveva immediatamente capito di dover stare attenta: era un uomo da non sottovalutare, da cui stare lontana, ma l’espressione sul suo viso l’aveva colpita. Nonostante la durezza e la freddezza che il moro aveva ostentato, nelle iridi verdi Lione aveva riconosciuto un lampo di disperazione che l’aveva spinta a dargli una mano. Inoltre, era sicura che, l’indagine che l’uomo stava compiendo, non avesse nulla a che fare con complotti e vendette, ma fosse una faccenda personale.
Wohl le aveva insegnato a essere generosa con il prossimo e ad aiutare gli altri. Era stato uno dei motivi per cui aveva deciso di unirsi alla ribellione, oltre che per la morte di sua madre, e Lione sentiva che era stato il destino a farle incontrare Black.
Ed ecco che, con un bagaglio leggero sulle spalle e l’amato arco a tracolla, Lione camminava spedita tra i vicoli di Mari. In poco tempo, raggiunse la locanda.
L’insegna traballante che raffigurava un Leone le diede il benvenuto con un cigolio. Superò la soglia principale e svoltò l’angolo per raggiungere una porticina malandata. Bussò tre volte e, con un’occhiata veloce alle sue spalle, entrò nella cantina.
Il luogo era angusto e umido. In un angolo c’era una cuccetta di paglia e, steso su di esso, un uomo leggeva delle lettere, al lume di una candela.  Questo alzò lo sguardo solo quando Lione si fece più vicina.
- Anche oggi sei tornata. –
Lione sorrise leggermente.
- Anche oggi sana e salva, Omendo. -, rispose automaticamente.
Si conoscevano solo da pochi mesi ma quello scambio di battute era diventato un rituale. La loro missione era pericolosa e le comunicazioni tra i vari drappelli di ribelli erano spesso intercettate. Ogni giorno c’era il rischio che uno dei due non si presentasse all’abituale appuntamento serale e, nonostante le differenze, tra loro era nata una buona alchimia. La giovane appoggiò la sacca a terra e si sedette sull’angolo del letto, accanto al vecchio uomo. Non sapeva molto di Omendo e il suo aspetto trasandato non era invitante. Eppure, quando si era presentato alla taverna di Maria, al limitare del deserto, era stato accolto a braccia aperte. Aveva intuito, dai loro discorsi, che era un vecchio amico della ribellione ma che dopo la morte dei legittimi regnanti, due anni prima, era sparito dalla circolazione.
Lione si era fidata del giudizio della padrona di casa e quando questa aveva affidato loro la stessa missione aveva accettato: dovevano trovare degli alleati a Mari e organizzare una piccola resistenza; l’arancio, inoltre, doveva captare informazioni relative agli spostamenti delle guardie reali e, per farlo, aveva trovato come espediente la locanda che era diventata la loro base operativa.
- Buone notizie? -, chiese all’uomo la cui attenzione era tornata sui fogli che teneva tra le mani.
Questo scosse la testa ma per numerosi secondi non le rispose direttamente.
L’arancio seguiva gli spostamenti oculari di Omendo che si soffermavano velocemente sulle righe d’inchiostro. Poi, il vecchio piegò la lettera e sospirò rumorosamente.
- Auler non ha ancora ricevuto notizie da Eclipse. Molte persone si stanno radunando al limitare del deserto ma sono per lo più contadini in cerca di salvezza dalle guardie reali che ribelli. Coloro che sono disposti a combattere sono ancora molto pochi. –
- A tal proposito, -, cominciò la donna arricciando le mani al grembo, nervosa. - credo di avere in mano qualcosa di grosso. –
Vide l’anziano alzare dubbioso un sopracciglio.
- Cioè? –
Lione soppesò attentamente ogni parola. Le dispiaceva mentire a Omendo ma doveva seguire ciò che gli suggeriva il cuore. L’unica scusa che l’era venuta in mente per giustificare il suo viaggio era una missione per la ribellione.
- Non posso ancora parlartene. Devo prima accertarmi di alcune cose ma per farlo dovrò andare da mio padre. Partirò stanotte. –
Omendo si alzò dal giaciglio per disporsi davanti alla ragazza con mani ai fianchi e sguardo accigliato.
- Non se ne parla nemmeno, mi servi qui. –
L’arancio piegò leggermente la testa di lato.
- Non ti sto chiedendo il permesso. –
Lione si alzò e, prendendo di slancio la sua borsa, si avviò verso la porta.
- E’ pericoloso, Lione. Sarai da sola nella prateria e sei fondamentale per la ribellione. –
La voce dell’anziano si era fatta più dolce, preoccupata, e la ragazza si voltò per guardare Omendo: sul viso, scavato dalla vecchiaia - e forse anche da altro -, aleggiava un’espressione desolata. L’arancio si avvicinò di qualche passo e, con slancio, abbracciò l’uomo. Dopo qualche esitazione, anche Omendo chiuse le braccia attorno al corpo sottile della donna e con un sospiro la strinse a sé.
- Ho visto così tanti giovani morire. Promettimi che starai attenta. –
Lione si allontanò dal vecchio con un sorriso rassicurante. Sistemò meglio il bagaglio sulla schiena e uscì nel buio della notte.
 

Lione aveva camminato per un intero giorno e, alla luce di un nuvoloso tramonto, si sedette per mangiare qualcosa e riposarsi. Si trovava in un’insenatura del terreno circondata da arbusti bassi e rovi; una degna protezione per la notte. Accendere un fuoco era fuori questione: rischiava di essere rintracciata dai nemici e, per quanto sapesse combattere bene, sarebbe stata in minoranza contro uomini ben armati e senza morale. Morsicò affamata la carne secca che aveva tra le mani e sorseggiò dalla borraccia.
Un leggero fruscio di foglie la riscosse dai suoi pensieri. Per qualche secondo osservò, preoccupata, le fronde davanti a sè, scrutando nell’ombra. Poi, con un sorriso divertito, alzò leggermente un braccio, mostrando ciò che stava mangiando.
- Ne vuoi un po’? -, domandò a un cespuglio in cima a una piccola duna.
Sentì uno sbuffo e dei passi che si avvicinavano, comunque troppo leggeri per orecchie poco allenate nonostante il suo ospite non stesse più cercando di nascondersi.
La figura si sedette malamente di fronte alla ragazza, sull’erba, e afferrò il cibo che Lione gli stava porgendo. Gli ultimi raggi del sole illuminarono la figura di Black, mentre, con un gesto veloce, si calava il cappuccio del mantello pece. Le iridi verdi, ancor più chiare e luminose alla debole luce del crepuscolo, la osservavano beffarde e sul viso dell’uomo aleggiava un ghigno malizioso.
- A cosa devo l’onore di una tua visita?-, lo canzonò Lione mentre passava la borraccia a Black.
Il moro la fissò per qualche secondo, divertito e decise di stare al gioco.
- Dopo il nostro primo incontro, non ho fatto altro che pensare a te. –
Nonostante il tono beffardo, Lione non era poi così sicura che quella frase fosse solo un’innocua bugia e che celasse un po’ di verità.  Intanto, Black trangugiava avido l’acqua. Probabilmente, nella fretta di seguirla, non era riuscito a fare rifornimenti.
- Quindi quando sei interessato a una ragazza hai l’abitudine di pedinarla? Non è molto nobile. –
La spia allontanò la borraccia espirando rumoroso e si pulì con la manica la bocca.
- Ti sei accorta di essere seguita? Ammirevole. -, rispose l’ospite con un accenno scherzosamente compiaciuto.
- Da quando ho lasciato Mari, per la precisione. Te lo dico più che altro per ferire il tuo orgoglio da spia. -, affermò l’arancio studiando ogni minimo mutamento sul volto di Black.
Lione notò un accenno di sorriso, non il ghigno strafottente dietro cui l’uomo piaceva nascondersi, ma una smorfia soddisfatta e divertita.
- Non è da tutti accorgersi della mia presenza quindi, sì, direi che il mio orgoglio è ferito, Lione. Addirittura da Mari… -, schioccò con la lingua il proprio disappunto. – Sono proprio un disastro. –
- Non volevi nasconderti?-, domandò l’arancio, sorpresa.
In più, era la prima volta che il moro pronunciava il suo nome e, nonostante le parole taglienti, per quelle poche sillabe aveva usato un tono quasi dolce.
- Non da te, almeno. Comunque, credimi, se avessi voluto, avrei potuto sgozzarti mentre mangiavi e non te ne saresti nemmeno accorta. -, commentò laconico mentre vagava lo sguardo sul prato dietro Lione.
Aggrottò leggermente le sopracciglia ma non sembrava preoccupato.
L’arancio, intanto, aveva alzato gli occhi al cielo.
- Mi credi davvero così sprovveduta? –
Black riportò le iridi verdi sulla ragazza e accennò un sorriso malizioso.
- Solo un po’ ingenua e sconsiderata. Se fossi in te, non darei tutta questa confidenza a un tipo come me. –
Lione abbassò lo sguardo e iniziò a frugare nella sacca per sfuggire all’intensità di quegli occhi.
- Tu la chiami ingenuità ma io la definirei, piuttosto, fiducia. -, commentò con voce sottile, comunque ben udibile nel silenzio della radura.
Tornò a scrutare il moro che si era sbilanciato in avanti; la distanza tra loro si era decisamente accorciata.
- Fiducia eh? –, sussurrò Black e il suo fiato caldo investì il viso della giovane.
- Non sei davvero l’uomo che vuoi far credere di essere. -, continuò la ribelle, leggermente intimorita da quella vicinanza.
- Che impressione ti do? -, la canzonò la spia.
Intanto, il crepuscolo stava lasciando il posto a una notte scura e i cirri carichi di pioggia passavano veloci sopra le loro teste.
- Lasciando correre le cose che ho sentito di te, direi che ti poni come una persona indifferente, fredda, crudele. Sei sicuro di te e arrogante ma sono certa che da qualche parte, sotto la maschera che porti, un cuore ci sia; magari raggrinzito e nero, ma c’è. –
La risata del moro arrivò prepotente e beffarda.
Eppure, Lione aveva la netta sensazione che, ancora una volta, Black fosse stato colpito nel segno e che si stesse nascondendo dietro la sua amata maschera.
Poi, la voce profonda del ragazzo s’interruppe malamente e tornò a fissare attento dietro a Lione.
- Che ti prende?-, domandò dubbiosa l’arancio.
Black si mosse velocemente, afferrando la ragazza e trascinandola tra i cespugli. Nel buio, la ribelle scorgeva solo il bianco degli occhi della spia e la mano che salda, le teneva serrate le labbra, impedendole di respirare. Contro di lei, il petto del moro, che inizialmente si alzava e si riabbassava velocemente, era immobile e il respiro si era fatto corto e silenzioso. In quella vicinanza, Lione poteva sentire il profumo di pelle e muschio del ragazzo e un debole battito sul lato sinistro del torace.
Non capiva cosa stesse succedendo ma pazientò quieta accanto a Black.
Dopo interminabili istanti, alle sue orecchie giunse il rumore di passi che si fermavano proprio davanti a loro.
- Mi sembrava di aver sentito qualcosa. -, stava dicendo il soldato al suo compagno.
L’altro sbuffò.
- Qualche volpe. Forza andiamo, Riardo è ancora lontana. -, sollecitò mentre proseguiva.
Il primo rimase fermo ancora qualche istante in attesa ma non percependo nulla di strano raggiunse il resto della compagnia.
Black lasciò andare Lione e si sporse all’esterno del cespuglio.  A qualche metro di distanza un drappello di soldati marciava nella prateria.
- Ora è sicuro, puoi uscire. -, sussurrò il moro porgendo una mano alla ribelle per aiutarla a rialzarsi.
I mercenari si erano allontanati ma si poteva ancora sentire il rumore delle spade e delle armature che sbattevano durante la marcia. 
L’arancio emerse dalle fronde spettina, sgualcita e con un leggero broncio che gli contornava le labbra, alla quale vista, la spia, si lasciò andare a una leggera risata.
- Potevi essere più delicato. -, brontolò la ribelle.
- Se aspettavo te ora saremmo morti. Comunque, anche se so che odi la mia compagnia, -, e a quelle parole Black sfoderò uno dei suoi ghigni sghembi. -, dovremo proseguire il viaggio insieme. Non mi perdonerei mai se un’adorabile fanciulla come te non riuscisse ad arrivare da suo padre. –
Il moro si caricò la sacca dell’arancio sulle spalle, che era stata abbandonata in un angolo della radura e che fortunatamente era rimasta inosservata, e porse alla giovane l’arco e la faretra.
Lione esitò per qualche istante.
- Allora? -, la incitò il ragazzo. – Non voglio perderli di vista. Tu non sei l’unico motivo per cui sto andando a Riardo. -
Lione afferrò le sue armi e mentre si sistemava l’arco a tracolla scorse un sorriso sulle labbra del moro.
- Dai! Forza Lione. Non farmi pentire di portarti con me. -, la canzonò ancora Black, in maniera acida.
Forse quel barlume di sorriso era stato solo un’impressione ma il tono quasi dolce con cui Black aveva pronunciato il suo nome era inconfondibile.
Lione sorrise tra sè e si affrettò a seguire il suo nuovo compagno di viaggio.
 

Buonasera care lettrici!
Mi scuso per il ritardo ma è stato breve fortunatamente. Dovevo sistemare la forma e i dialoghi ma la cosa mi ha preso più tempo del previsto.
Spero che il capitolo vi piaccia e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate.
Lione è porpio così: ingenua e sconsiderata. Tra i due è quella che si è esposta di più, ma è solo l'inizio e presto scopriremo qualcosa di più su Black. Quest'ultimo, ovviamente, non ha nulla a che fare con il personaggio che è in The rebel. Qua siamo all'inizio della sua avventura e per quanto abbia avuto un infanzia difficile, dovete considerare che questo periodo è il più felice della sua vita: ha incontrato Leone.
E' un anima in pena, in cerca di una risposta e la ribelle lo incurioscisce, lo intriga, ma è diffidente all'amore per quel che è successo con Snow. Son tutte tematiche che presto verranno chiarite.
Per ora vi lascio e confermo l'appuntamento di settimana prossima con The rebel e Antipodi.
Un bacio,
Ele

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Capitolo 3
*** 3. Bacio ***


3. Bacio
 
Era stata una lunga notte.
Lione e Black avevano strisciato tra i campi e i cespugli per seguire, senza essere visti, i soldati del Re.
- Una mucca fa meno rumore di te. -, le aveva sussurrato il ragazzo quando per l'ennesima volta avevano rischiato di essere scoperti.
Al contrario, Lione era rimasta sempre più stupita dalle abilità del moro. Realizzò la veridicità delle parole che le aveva riservato qualche ora prima: se avesse davvero voluto nascondersi da lei, non se ne sarebbe accorta. I vestiti rigorosamente neri lo mimetizzavano al buio e il cappuccio calato sul volto impediva alla pelle candida di essere scorta. Portava un bagaglio leggerlo, ideale per lunghe marce e appostamenti, che non s’impigliava nei rami sporgenti.
Erano una coppia improbabile, compagni di viaggio agli opposti, ma nonostante le differenze si erano scoperti in sintonia. Pian piano, si erano abituati ai ritmi l’uno dell’altro: Black aveva adeguato il passo a quello più impacciato di Lione e, di buon grado, aveva accettato le soste e gli spuntini che la ragazza gli proponeva; il moro, poi, non aveva rinunciato alle battute taglienti e alle smorfie derisorie che la popolana accoglieva con sbuffi e sorrisi.
Alle prime luci dell'alba, i soldati si erano fermati a riposare per poche ore e anche i due inseguitori si erano appostati oltre una collina per ristorarsi.
L'arancio spalancò la bocca in un potente sbadiglio e Black, seduto accanto a lei, la fissò con un sopracciglio alzato.
- Puoi riposarti se vuoi. Resto io di guardia. -
La ragazza scosse la testa.
- Sono abituata a marciare giorno e notte, non è un problema. -
- Stanotte è meglio che tu rimanga sveglia, quindi dormi qualche ora. -
- Che dobbiamo fare stanotte? -, domandò noncurante cercando nella sacca qualcosa da sgranocchiare.
Trovò una barretta di miele e nocciole e la spezzò a metà, porgendola al suo compagno.
- Lì dentro hai cibo per un esercito. -, commentò l'uomo mentre, di buon grado, accettava l'offerta.
L'arancio ridacchiò.
- Mio padre va matto per questi dolcetti, quindi, quando vado a trovarlo, faccio scorta. -
- Sei una figlia premurosa. -
La ribelle alzò le spalle, imbarazzata.
- Gli voglio bene tutto qui. –
- Sangue del tuo sangue. -, puntualizzò Black mentre le iridi chiare seguivano il profilo del parto che si estendeva ai loro piedi.
Poi, il mugugno di Lione riportò la sua attenzione sulla ragazza.
La trovò con il viso corrucciato in una buffa espressione.
- Il sangue non c’entra. Avere il titolo di “parente” non ti lega per forza a una persona. Guarda com’è andata a finire per la famiglia reale. –
- E allora cosa ti lega a una persona? –
La domanda di Black stupì l’arancio. I loro occhi s’incrociarono per un istante: non c’era malizia nel suo sguardo, o ironia.
- L’amore. -, rispose semplicemente la ribelle e addentò il dolcetto che si stava squagliando al calore delle sue mani.
Tra i due calò il silenzio. Black tornò a guardare il paesaggio e Lione si leccò, soddisfatta, le dita.
- Perché abiti a Mari se sei così legata a tuo padre? -
La donna si prese qualche istante prima di rispondere. Osservò attentamente l’uomo seduto al suo fianco. Il cappuccio calato sui capelli lasciava scoperto il volto maturo e severo di Black. Gli occhi vagavano distratti sull’erba gialla della campagna e le labbra erano leggermente corrucciate. Le sue domande sembravano casuali ma, in realtà, nascondevano una sincera curiosità. Per l’ennesima volta, Lione ebbe l’impressione che Black fosse un uomo molto solo e desiderò sapere qualcosa di più su di lui.
- Io ti sto raccontando tutto della mia vita ma non so nulla di te. -
Le labbra del moro s'incurvarono in un sorriso storto.
- Tu rispondi di buon grado alle mie domande ma non vuol dire che io mi fidi di te. -
- Io non ci vedo nulla di male. Stiamo iniziando a conoscerci, a essere amici. Ma non può essere una conoscenza a senso unico. Parla. - e accompagnò quelle parole a una leggera spintarella.
Black corrugò la fronte.
- Amici? Mi servi solo per arrivare a tuo padre. Non ho nulla da spartire con te. -, commentò piccato.
Si voltò per osservare il viso corrucciato di Lione ma, al contrario delle sue attese, la ragazza lo osservava divertita.
- È inutile che tu faccia il gradasso. L'ho capito sai? -
- Che cosa hai capito? -
- Che ti piaccio. Sei incuriosito da me; fai troppe domande per essere solo una questione di affari. -
Il tono dell'arancio era saccente ma non si stupì quando il giovane iniziò a ridere.
- Cerco solo di estorcerti informazioni per poi ricattarti. -
Lione alzò un sopracciglio, scettica, e attese una risposta sincera da parte di Black. Questo sostenne lo sguardo, masticando rumorosamente il caramello. Poi, sbottò.
- Va bene, vuoi sapere la verità: m’irriti profondamente. Non ho mai conosciuto nessuno di così stupido e rumoroso. Probabilmente, manderai all'aria i miei piani ma preferisco tenerti d'occhio considerando che porti con te importanti informazioni. -
- Il pugnale? -, chiese ingenuamente la ragazza.
Ci aveva visto giusto: quell'oggetto era importante per Black.
Ricevette un accenno di consenso.
- Quindi non ti piaccio? -, tornò a chiedere l'arancio, delusa.
Non che fosse interessata a Black: aveva un fascino irresistibile ma era una persona imprevedibile di cui fidarsi poco. Eppure, si era lasciata andare fin troppo con lui.
- Beh! Scopriamolo. -, sbottava intanto quello e veloce prese il viso di Lione tra le mani.
Non le diede tempo per respirare. Infilò la lingua tra le labbra della ragazza e iniziò a perlustrare la sua bocca. La ribelle, con gli occhi sbarrati, intrecciati a quelli chiari di lui, lottava con tutte le sue forze per liberarsi dalla sua stretta. Tirò calci e pugni ma più s’impegnava senza successo più, sul viso di Black, compariva un ghigno malizioso e divertito.
Alle tante, la giovane serrò la mascella e morsicò la punta della lingua del moro. Questo si allontanò dolorante.
- Mi hai fabbo male. -, borbottò con la lingua pulsante e gonfia.
Lione, intanto, si era alzata, indignata.
- Vado a farmi un giro. -, sbottò e, con le braccia al petto, si avviò lungo la distesa che si apriva davanti a se.
Intanto, alle sue spalle, la risata di Black le arrivò sarcastica e umiliante.
 
 
La giovane lanciò un calcio a una pietra. Si era allontanata da più di mezzora e la sagoma di Black la opprimeva con la sua frustrante presenza sul basso pendio del colle; se non avesse saputo che si trattava di lui, non si sarebbe nemmeno accorta della sua figura: poteva sembrare un cespuglio o qualche strano animale. Se le guardie si fossero mosse, sarebbe andato a chiamarla, per cui si concesse ancora qualche minuto per pensare.
Black l'aveva baciata. Era stato un bacio arrogante e grottesco, nulla a che fare con ciò che aveva immaginato per il suo primo bacio. Non era mai stata una ragazza romantica ma, comunque, si sentiva usata e umiliata.
Eppure, nonostante la rabbia, i suoi occhi si adombrarono di dolcezza al sapore di miele e nocciola che Black le aveva lasciato sulle labbra. Aveva osato troppo con quella domanda sciocca e priva di fondamento ma, da quando si erano incontrati, si era scoperta divertita nel provocarlo, nello scorgere sul suo viso impassibile le più svariate espressioni. Stava imparando a conoscerlo e, più il tempo passava, più iniziava a notare le piccole sfaccettature del suo carattere: l’arroganza che nascondeva la sua vulnerabilità, per esempio.
Poi, le sorse un dubbio, e se quel bacio fosse stato un diversivo per non rispondere alla sua domanda.
Lione si ritrovò a sorridere. Sì, doveva essere così. 
Abbassando lo sguardo, scorse un piccolo fiore giallo, una primula, e si chinò per raccoglierlo. Annusò brevemente il tenue profumo per poi metterselo tra i capelli raccolti nella solita coda.
- Che bel fiorellino. -, commentò una voce sarcastica dietro di lei.
Lione si voltò, spaventata, per scorgere il viso beffardo di una delle guardie che stavano seguendo.
Rimase paralizzata. Non aveva niente con sé, solo un piccolo pugnale nascosto sotto i pantaloni, ma sarebbe morta nel tentativo di tirarlo fuori. Era stata una sciocca e una sconsiderata ad allontanarsi tanto. Anche urlare, sarebbe stato inutile; sempre che Black fosse intervenuto.
- Che ci fa una bella ragazza come te per la prateria. Mamma e papà non ti han detto che è pericoloso? -
Continuò l'uomo facendo qualche passo avanti. Lione indietreggiò.
- Come mai sei vestita da uomo? Ti sei allontanata troppo da casa? Se vuoi, posso riaccompagnarti. -
L’arancio scattò. Al contrario del suo nemico, imprigionato nella ferraglia e più anziano, la ragazza era più agile. Le gambe si muovevano veloci, in alternanza, sul prato verso la direzione che conosceva, sperando di riuscire a farsi vedere dal suo compagno o, nel migliore dei casi, riuscire a riguadagnare le sue armi e salvarsi. Poi, fu colpita alla schiena. Si ritrovò con la faccia a terra e con un uomo seduto cavalcioni sulla sua schiena. Le legò velocemente le mani mentre la giovane cercava di scorgere il suo aggressore. Capelli biondi contornavano un viso giovane e asciutto e gli occhi rubini la osservavano curiosi.
Intanto, passi pesanti e il cigolare dell’armatura si facevano sempre più vicino. Il primo aggressore di Leone si fermò a pochi passi di distanza con il fiatone.
- Dove l’hai trovata questa, Theo? -, domandò il biondo con voce limpida.
- Gironzolava nel prato, signore. -, rispose la guardia cercando di riprendere un respiro regolare.
Il giovane uomo si alzò e con uno strattone obbligò l’arancio a rialzarsi. Compì un giro attorno a lei e, afferrandole il mento, la studiò attentamente.
- Mediocre ma mi renderai bene al mercato degli schiavi. -, decretò, infine, mentre con una spinta indirizzava la ragazza verso l’altro soldato.
- Verrà con noi a Riardo, Theo, e mi raccomando, nessuno le torca un capello. -
Lione rabbrividì, terrorizzata: quella raccomandazione non la rassicurava.
- Agli ordini, Principe Bright. –
Le iridi castane della giovane si spalancarono stupite. Cosa ci faceva il principe nella prateria? Era con un numero limitato di uomini e allo scoperto. Era l’occasione per la ragazza di mettere fine alla tirannia: Aaron sarebbe capitolato senza il suo rampollo.
Poi, l’arancio si sentì issare in aria. Theo l’aveva caricata sulle spalle.
Lione strinse i denti. Cominciò a sbraitare, urlare e a tirare calci ma l'unica risposta che ricevette fu un colpo sul fianco.
- Nessuno ti può sentire qui, ragazzina. –
L’arancio fece scorrere lo sguardo sul pendio della collina. La figura di Black era sparita.


Buonasera a tutti!
scusate per il ritardo ma in questi giorni sono stata malata... virus intestinale che mi ha obbligata a letto per tre giorni e ho avuto l'esame per cui non sono riuscita ad aggiornare!
spero che questo capitolo vi piaccia. Abbiamo un primo avvicinamento tra i due. Lione è molto libertina e senza filtri mentre Black per ora si limita a provocarla, come ha sempre fatto e sempre farà. Chissà che davvero quel bacio non fosse per non ripspondere alla domanda.
Infine, la cara Lione viene catturata dai soldati che stanno seguendo e scopriamo che Bright è tra loro.
Vi lascio e vi confermo l'appuntamento per questo fine settimana con The Rebel e questa ff.
Un bacio
Ele

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Capitolo 4
*** 4. Battaglia ***


4. Battaglia
 
Lione inciampò nell’ennesima radice ma, stavolta, finì con la faccia a terra.
- Forza, orfanella! -, la incitò Theo con uno strattone alla corda con cui la trascinava.
L’arancio mugugnò la propria disapprovazione e, con fatica, si puntello sui gomiti. Con le mani legate, si scostò i ciuffi di capelli dal viso e cercò di pulirsi dal fango. Aveva le braccia e le ginocchia doloranti per l’impatto con l’erba e, soprattutto, aveva fame e sete.
Da quando l’avevano catturata, Lione aveva ciondolato dietro la stazza del suo carceriere che, obbediente, l’aveva protetta dagli altri sottoposti. Infatti, i soldati si erano divertiti a stuzzicarla, a prenderla in giro e ad accarezzarla viscidamente ma l’intervento di Theo aveva evitato il peggio. Il principe, invece, camminava in testa al gruppo, con sguardo fiero e attento, guardandosi intorno e consultando, ogni tanto, delle pergamene.
- Datemi da bere! -, protestò la ragazza all’ennesimo strattone della guardia.
Theo sbuffò rumorosamente. Si avvicinò a grandi falcate alla ribelle e si chinò su di lei. Sfoderò un ghigno annoiato e aiutò la giovane a mettersi seduta. Poi, con la lama del pugnale puntata sotto la gola, le alzò il viso per farsi guardare negli occhi.
Le iridi scure della ragazza scorsero, oltre al viso offensivo di Theo, l’interesse malizioso degli altri dieci uomini che la stavano circondavano.
Lione rabbrividì.
- Mi sto stufando a farti da balia, bambina. Sei solo un peso per me. –
- Dalle ciò che vuole. -, intervenne la voce del principe.
Tutti si voltarono verso di lui che, approfittando della pausa, stava nuovamente studiando quella che, l’arancio aveva ipotizzato, doveva essere una cartina.
Il sottoposto alzò gli occhi al cielo ma obbedì al suo padrone. Allungò la borraccia alla giovane che bevve avidamente. Poi, prese Lione per le ascelle e la issò malamente, mettendola in piedi.
Ripresero la marcia: il principe capo fila e Lione che chiudeva la comitiva incespicando.
L’arancio si assicurò di non essere vista e, con cautela, strappò con i denti un brandello di veste, facendolo cadere. Si sentiva una stupida a lasciare quelle briciole di sé sul suo cammino, perché non poteva fidarsi di Black, perché non c’era nulla che li legava. Eppure, quella speranza non la abbandonava.
 
 
Stavano camminando alla luce nuvolosa del tardo pomeriggio e si potevano scorgere in lontananza alcune abitazioni: doveva trattarsi di una piccola fattoria, con un campo coltivabile e qualche animale. Lione vide due guardie darsi una gomitata d’intesa e fare gesti osceni immaginando di incontrare qualche donna sulla loro strada. Gli altri, semplicemente, desideravano dormire in un luogo caldo e su qualche morbido giaciglio.
Theo diede voce ai suoi compagni.
- Principe Bright sono giorni che camminiamo ininterrottamente, non potremmo chiedere ospitalità? -, e fece un cenno alla casa che si stava facendo man mano sempre più vicina.
Il biondo scosse le spalle, noncurante.
- Fate come volete. –
La truppa aumentò il passo e s’incamminò sul vialetto acciottolato che li avrebbe portati alla fattoria. Arrivati davanti alla porta, bussarono insistenti fino a quando una donna sulla cinquantina e ben piazzata, aprì uno spiraglio.
Bright si era fatto da parte, intento a parlare fittamente con il fidato Theo, che teneva ancora al guinzaglio la prigioniera.
- Dobbiamo arrivare entro domani mattina. : una pausa breve e senza fare cazzate. -, stava ordinando il rampollo del Re.
- Signore, gli uomini sono stanchi. E han bisogno di qualche incentivo per andare avanti. –
- Sarete pagati profumatamente per questo lavoro, non approfittare della mia bontà Theo. Se mio padre lo venisse a sapere… -
Quella del principe era una minaccia velata e il cipiglio che aveva assunto lasciava trasparire tutta la sua sicurezza.
L’uomo annuì seccato, ma l’attenzione di entrambi – e di Lione che stava origliando quella conversazione - fu attratta dal rumore che proveniva a qualche metro di distanza.
Due soldati stavano strattonando la donna per obbligarla a farli entrare in casa e a farsi servire la cena ma questa stava opponendo resistenza. La popolana venne, però, colpita alla testa e si accasciò al suolo con un mugugno.
- Siamo poveri, mio signore, non abbiamo molto da offrire. –, mugugnò, allora.
L’uomo in ferraglia si chinò accanto alla signora e la esaminò attentamente.
- Se non puoi darci da mangiare, puoi comunque esserci utile. –
Il ghigno viscido che aveva assunto lasciava intendere fin troppo bene le sue intenzioni e, come la contadina, l’arancio rabbrividì a quelle parole.
Poi, dalla casa giunse un rumore e fuori dalla porta si fiondò un bambino, armato di una pesante spada – che riusciva a stento a tenere tra le mani – e che tentò ti attaccare la guardia.
Un altro soldato lo afferrò per le spalle e con un calcio lo buttò con la faccia a terra.
Il piccolo iniziò a piangere mentre la madre chiamava a gran voce il suo nome.
- Non fategli del male! -, supplicava i mercenari del Re che risposero con una sonora risata.
Lione si voltò indignata verso il principe: solo lui poteva fermare quello scempio ma trovò solo un uomo annoiato, che voltava lo sguardo da un’altra parte a quella scena e che si stringeva nelle spalle.
La giovane ribelle capì immediatamente: Bright era un codardo, un codardo che si nascondeva dietro l’inquietante figura del padre; non valeva niente come uomo e men che meno come regnante.
Intanto, la situazione si era aggravata. Il bambino era stato passato a fil di spada solo per il gusto di vedere il dolore negli occhi di sua madre e la donna stava per essere stuprata sotto lo sguardo sconvolto di Lione. Non trovava nemmeno la forza di opporsi, di fare qualcosa, davanti a quell’orrore: le urla della donna le trapanavano la mente, paralizzandola.
Poi, un movimento distolse la sua attenzione da quella scena.
Era un’ombra, nient’altro, talmente veloce che i mercenari non ebbero nemmeno il tempo di reagire: alla prima vittima, spezzò il collo; alla seconda infilò la lama del pugnale all’altezza dello stomaco: due colpi di tosse chiazzati di sangue e l’uomo cadde stramazzando al suolo; il terzo con uno sgambetto venne obbligato a terra e, con una rapida stilettata alla schiena, ammazzato.
Black affrontò il quarto uomo, mentre gli altri sei soldati brandivano le loro armi per reagire.
Intanto, Theo aveva allentato la presa su Lione e la ragazza ne approfittò per scappare e andare a soccorrere la donna. Estrasse il piccolo pugnale che aveva accuratamente nascosto nei pantaloni e passò indisturbata nella marmaglia di colpi e lame che la spia aveva scatenato, mentre si liberava le mani dalla corda.
La contadina piangeva a terra, abbandonata dal suo aggressore, ora, concentrato nella battaglia.
- Signora, si sbrighi, deve andarsene. –, sussurrò dolcemente l’arancio invitandola ad alzarsi.
- Hanno ucciso mio figlio. -, borbottava, invece, quella tra i singhiozzi.
Lione alzò la donna di peso, trascinandola verso la piccola stalla, per nasconderla e tornare a combattere con Black.
La sua corsa venne però interrotta.
- Dove state andando voi due?-, chiese uno dei soldati, sbarrando loro la strada.
La ribelle tentò un attacco ma l’uomo impugnava una lunga lama che le impediva di avvicinarsi e ferire. La ragazza schivava i colpi serrati sempre cercando di proteggere la signora. Poi, la guardia fece un affondo. Lione riuscì a scansarsi appena in tempo ma la spada del nemico penetrò nella carne: dietro di sé, Lione sentì un rantolo strozzato e voltandosi scorse il corpo della contadina cadere a terra.
- Bastardo. -, mugugnò piena di collera.
Con uno scatto veloce riuscì a piazzarsi alle spalle del suo nemico e a infilzarlo all’altezza della gola.
Il soldato cadde a terra. Lione sospirò rumorosamente. Era il primo uomo che uccideva, la sua prima vittima: un farabutto, un nemico, ma pur sempre una persona.
Lanciò, poi, uno sguardo alla signora: era troppo tardi per salvarla ma non poteva lasciarla da sola. Si chinò a terra, accanto a lei, e le prese il viso per portarlo in grembo. Strinse a sé la donna, lasciando che il sangue le sporcasse i vestiti e che le proprie lacrime sgorgassero dagli occhi. Lione sussurrava, piano, parole di conforto mentre la donna tossiva convulsamente e tremava. Dopo qualche minuto, il corpo si rilassò e l’arancio abbassò le iridi sul viso vuoto della vittima. Si asciugò velocemente le guance bagnate e adagiò piano la signora sull’erba. Poi, brandì la spada del soldato che giaceva ancora a pochi pasi da loro e ritornò davanti all’ingresso, dove Black stava affrontando il principe.
Il moro camminava su una distesa di corpi, con un ghigno feroce sul volto e l’amato pugnale saldo nella mano destra. Aveva sconfitto undici uomini, da solo.
- Pensavo fossi dalla nostra parte. -, stava dicendo Bright tenendo alta la spada in segno di difesa.
La risata amara della spia riempì la piccola radura.
- Io sono dalla parte del miglior offerente. Dammi ciò che voglio e potrai tornare a casa da tuo padre. –
Il principe si portò una mano al petto dove – Lione sapeva – teneva le carte che aveva consultato durante il viaggio. Esitò per qualche istante, poi, le estrasse dalla tasca interna e le buttò a terra, tra sé e il Black.
- Ecco. Ora, lasciami andare. –
Di nuovo, il moro scoppiò in una sonora risata di scherno.
- Non ci si poteva aspettare di meglio dal nostro principe. -
Bright strinse i pugni a quelle parole ma non rispose e iniziò a indietreggiare di qualche metro. Poi, si girò e iniziò a correre tra i campi.
Lione e il Black rimasero a osservare la figura del principe che con la coda tra le gambe fuggiva da suo padre.

 

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Capitolo 5
*** 5. Ferite ***


5. Ferite
 
Lione aveva lo sguardo ancora rivolto all’orizzonte, dove il principe Bright si era fatto sempre più piccolo. Gli ultimi raggi di sole della giornata rischiaravano debolmente il cielo ricco di cirri e il paesaggio rurale. Con un lungo sospiro, la ragazza svuotò i polmoni. Le immagine di morte e disperazione che avevano coronato quell’ultima ora le aleggiavano ancora davanti agli occhi: la contadina che chiedeva aiuto, il bambino assassinato, l’intervento di Black e lo scontro tra lui e il principe. Un brivido le percorse la schiena e si trovò a stringersi nelle spalle. L’adrenalina che aveva inondato il suo sangue durante la battaglia stava scemando, lasciandola sola con i fantasmi dei cadaveri che si trovavano alle sue spalle. Sospirò rumorosamente: nonostante avesse passato una vita ad allenare il suo corpo all’uso di qualsiasi arma, allo scontro fisico e ad acuire i sensi, nessuno l’aveva mai preparata alla morte.
Un rumore di passi leggeri la destò da quel vortice di pensieri. Una mano sorprendentemente calda si posò sul suo braccio irrigidito.
- Lione... –
La voce dell'uomo era sottile e prudente alle orecchie di Lione. Per qualche motivo, ciò infastidì la ragazza che si voltò scioccata verso Black.
I vestiti del moro erano intrisi di sangue e il volto cereo era costellato da piccole goccioline rosse; il cappuccio, che durante la battaglia era rimasto calato sul volto, mostrava addolcite iridi verdi.
- Stai bene? -, chiese preoccupato mentre la squadrava attentamente alla ricerca di ferite.
L’arancio annuì facendo un passo indietro per perdere il contatto con l’uomo. Black inarcò le sopracciglia, sorpreso, ma non disse nulla, mentre lasciava che la mano cadesse pesante lungo il fianco. Lo sguardo tenero di pochi istanti prima si perse nel muro impassibile del suo viso.
- Grazie per avermi salvata. -, sbottò acida la giovane. - Anche se sarà stata una scocciatura per te. –
Il moro ghignò a quelle parole.
- Non sai di cosa stai parlando. -, rispose seccato. – Sei solo sconvolta. –
Dopo di che, si voltò verso le guardie esanimi a terra e si avvicinò.
Passi veloci sull’erba lo obbligarono a fermarsi, insieme agli occhi nocciola di Lione che si paravano davanti a lui.
- Allora, spiegamelo. Perché sembra che mi hai solo usata per arrivare a quei documenti. Scommetto che anche il rapimento faceva parte del tuo piano. –
Black scosse la testa, infastidito e schioccò le labbra.
- Devo apparire come un mostro ai tuoi occhi: il terribile uomo assetato di sangue di cui tutto il regno parla. -, commentò ironico. – Credimi quelle guardie si meritavano anche di peggio. –
Lione spalancò le labbra per replicare ma le parole le morirono in gola: era una vena di delusione quella che aveva sentito nel tono del moro? Forse aveva esagerato; dopotutto, Black aveva fatto ciò che era necessario per proteggerla e impedire che persone malvagie girovagassero per il regno indisturbate seminando terrore. Inoltre, l’arancio non era mai stata avvezza a credere a stupidi pettegolezzi e, nonostante avesse constatato le abilità del moro, aveva la sensazione che quel lavoro scabroso fosse dato dalla sopravvivenza, null’altro.
Allora, perché rivolgergli parole cattive cui lei stessa, che le aveva pronunciate, non credeva? Serrò la mascella e si strinse nelle spalle, con le braccia incrociate, per osservare il suo compagno frugare tra le carcasse. Riportò l'attenzione ai corpi dei due contadini, gli unici a meritare una degna sepoltura. Lione si diresse sicura verso il bambino e, con mani tremanti, lo voltò supino per pulirgli il volto sporco di fango. Poi, entrò nella stalla, dove un asino e qualche capra ruminavano ignare, e afferrò una pala. Fece un giro intorno alla casa e individuò un prato fiorito sul retro. Cominciò a scavare, togliendo prima le zolle d'erba e, poi, scendendo sempre più a fondo nella terra umida. In un’ora aveva creato due buche e tornò sulla strada per chiedere una mano a Black nel trasportare i corpi. Intanto, sulla via principale, i soldati del re erano spariti. Lione decise di non voler assolutamente sapere che fine avessero fatto.
Insieme al moro, ancora silenzioso e rigido, trascinarono i due popolani, ma alla ragazza non sfuggì che i gemiti di sforzo dell’uomo erano più pesanti. Coprirono i corpi con la terra e segnarono la sepoltura con delle pietre. Rimasero entrambi a fissare i due tumuli, per qualche minuto.
- Forse c’è un marito, un padre, da qualche parte nel regno che è in viaggio verso casa e che quando arriverà scoprirà di essere rimasto solo. -, sussurrò Lione, sovrappensiero.
Le rispose solo il silenzio e l'arancio, finalmente, si decise a prestare attenzione alla spia. Black cercava di mantenere un atteggiamento posato ma sul viso gli aleggiava una smorfia di dolore. Il pallore mortorio, più accentuato del solito, brillava nella notte. Con una mano, si teneva un fianco. L'uomo barcollò indietro e si sedette pesante sull'erba.
Lione si avvicinò cautamente.
- Sei ferito? – chiese, anche se sembrava più un'affermazione.
Il moro annuì.
- Com’è successo? -
- Mi sono distratto per qualche secondo. È una sciocchezza. -, protestò, mentre la giovane gli spostava il braccio per controllare.
Aveva perso molto sangue e la casacca ne era inzuppata. Appoggiò una mano sulla fronte bianca della spia e costatò che scottava.
- Riesci ad alzarti? Vediamo se in casa avevano qualcosa per medicare. –
Si fece passare il braccio del giovane sulle spalle ma il ragazzo si ritrasse all’istante.
- Non mi serve il tuo aiuto. -, protestò orgoglioso e con una punta di amarezza nella voce.
- Invece è ovvio il contrario. -, ribatté Lione portandosi le mani in vita. – Non essere sciocco. –
Black piegò le labbra, ironico, e distolse lo sguardo. Lione passò un braccio sotto l’ascella del ragazzo e fece leva per alzarlo. Con passo incerto, raggiunsero l’interno della casa, ancora accogliente, in attesa di una quotidianità che non si sarebbe mai più presentata. L’arancio fece sdraiare il moro sul tavolo ingombro vicino al focolare, dove delle braci ostinate continuavano a emanare calore. Sistemò qualche ciocco di legna e soffiò per ravvivare le fiamme. Prese una lampada per vedere meglio la ferita e cautamente alzò la maglia di Black per scoprire la ferita. Si ritrovò ad arrossire alla vista del ventre piatto e ben allenato. Comunque, si trattava di un profondo taglio all’altezza dell’addome: nulla di grave ma doveva essere pulito per evitare un’infezione. Cercò tra i cassetti delle garze per tamponare l'emorragia e trovò in un angolo un secchio d’acqua. La ragazza si lavò le mani e, poi, prese uno straccio per pulire. Con cautela passava la stoffa sul fianco per poi immergerla nel contenitore che a ogni strizzata diventava sempre più rosso. Tentò, infine, un’escursione nel campo coltivato, dove trovò alcune erbe lenitive. Fece un impasto e lo stese sul taglio.
- Quella roba puzza. -, si lamentò Black mentre stringeva i denti al dolore.
- Se vuoi sopravvivere, sopportare l’odore è il minimo. -, disse noncurante la ragazza, ancora presa con le erbe.
- Dai per scontato che lo voglia. –
Lione alzò le iridi scure per incontrare quelle verdi della spia.
- Non è così? -, chiese stranita, aggrottando le sopracciglia.
- E’ da mesi che me lo chiedo e non ho ancora trovato una risposta. –
Quelle parole che trasudavano sincerità colsero Lione impreparata. La nota di disperazione che Lione aveva letto negli occhi del ragazzo e che l’aveva spinta a seguirlo ora aveva una spiegazione. Aveva sempre dato per scontato che la vita fosse il bene più prezioso di ogni uomo ma se essa non ha uno scopo, perde tutto il suo valore; e Black non aveva uno scopo.
Ritornò a concentrarsi sulla ferita che stava bendando.
- Non avresti lottato in quel modo se non t’importasse. -, tentò, ancora.
- Non l’ho fatto per me stesso. -, rispose lui, flebilmente.
L’arancio tornò a fissare l’uomo, sorpresa, ma lo trovò con gli occhi chiusi e il volto rilassato. L’impacco stava facendo effetto donando sollievo al giovane. Decise di non insistere e di lasciarlo riposare ma la curiosità le faceva torcere lo stomaco. Che cosa intendeva Black con quell’ultima frase?
Un rumore sordo proveniente dal proprio stomaco le fece capire che non era il tempo delle congetture: erano giorni che non mangiava decentemente e non vedeva l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Il suo compagno doveva ormai essersi addormentato e Lione ne approfittò per frugare nella dispensa della casa e darsi una pulita.
 
 
Il carretto si muoveva lentamente lungo il selciato. Avvolta nel lungo mantello che le copriva il viso e che la proteggeva dal freddo, Lione diede un’occhiata a Black, sdraiato sotto una coltre di coperte. Gli tastò sbrigativa la fronte, per costatarne la febbre, e sospirò. Durante la notte che avevano passato nella casa dei contadini, il moro era peggiorato. Nonostante le cure, la ferita si era infettata e, con amarezza, aveva dovuto ammettere di aver esaurito le sue competenze mediche. L’arancio aveva, allora, deciso di riprendere il viaggio sperando che il ragazzo non morisse durante il tragitto. L’asina e il carro, trovati nella stalla, si erano prestati volentieri alle sue esigenze. Stavano camminando ormai da diverse ore e all’orizzonte intravide la casa di suo padre. Lione incitò l’asina dandogli una pacca sul dorso e l’animale protestò appena, accelerando il passo.
 

 

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