My Smooth Criminal

di Craggy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***





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Hermione stava leggendo da almeno un paio d’ore, ma sarebbero potuti anche essere due secoli: presa dalla trama e dai personaggi, non si era minimamente accorta dello schermo del cellulare che lampeggiava con insistenza ogni decina di minuti, segno che da qualche parte un padre preoccupato stava già immaginando gli scenari più disastrosi che avrebbero impedito alla sua adorata figlia di rispondergli.

Che fossero entrati dei ladri in casa, e avessero rinchiusa la sua bambina nello sgabuzzino?
E se invece fosse scoppiato un incendio a causa di un fornello lasciato acceso?
Forse avrebbe dovuto chiedere un permesso e prendersi il pomeriggio libero, uscire dalla centrale e fiondarsi a casa per assicurarsi che fosse tutto a posto e, più importante ancora, che la sua bambina stesse bene.

Dopo l’ennesima chiamata senza risposta, John Granger ripose il telefono in tasca, e con un sospiro si avviò verso l’ufficio del Comandante Freeman, sperando che avrebbe capito la situazione e gli avrebbe concesso l’uscita anticipata: dopotutto, con tutti gli straordinari che aveva fatto, si meritava un po’ di comprensione, no?
E sapevano tutti quando il “poliziotto più tosto del Dipartimento” si preoccupava della giovane figlia.

Prima che potesse alzarsi dalla scrivania, un giovane poliziotto gli si avvicinò sorridendo, come se avesse già visto quella scena centinaia di volte.
“Non dirmi che ancora ti preoccupi quando Hermione non risponde al telefono!” disse il ragazzo, accomodandosi sulla scrivania.

John sospirò. “Certo che mi preoccupo, che razza di padre – e poliziotto – sarei, se non mi allarmassi perché quella testarda di mia figlia si ostina a tenere il sua cellulare in silenzioso? A cosa le serve, se tanto non risponde mai alle chiamate o ai messaggi? Se tu avessi una figlia, Fred, non saresti così calmo. Sono cose che si capiscono solo quando le provi in prima persona. Vedrai che quando sarà lei ad essere preoccupata, verrà da me a lamentarsi dei figli che non comprendono le preoccupazioni dei genitori”.

Fred Weasley, ridendo sotto i baffi, si limitò a scuotere la testa: un giorno su due John riusciva a trovare qualcosa per cui preoccuparsi, e di solito riguardava sua figlia: il mese precedente era, a suo giudizio, “troppo taciturna e sfuggente”, il che aveva ovviamente portato a congetture che andavano dai brutti voti a scuola (cosa impossibile, gli aveva detto Fred, dal momento che Hermione era la studentessa più brillante che avesse mai conosciuto), fino agli estremi dell’uso di droghe (e qui Fred, che ormai era diventato il confidente di John sulla Questione Figlia, era scoppiato a ridere così forte che metà distretto si era girato a guardarlo).

Solo la settimana prima Fred era stato ingaggiato per tenere d’occhio Hermione, in quanto un ragazzo dall’aria sospetta la accompagnava a casa ogni mercoledì.
Dopo ore di sfiancanti appostamenti in macchina, si era scoperto che questi altri non era che un nuovo compagno di Hermione, che lo aiutava a studiare per non essere bocciato.

E l’ultima volta che Fred aveva visto la ragazza, questa gli aveva chiesto se a suo parere dovesse denunciare un giovane dai capelli rossi che si appostava con una vistosa macchina della polizia davanti al vialetto di casa sua.
John e Fred erano rimasti pietrificati per qualche minuto.

“Sono ancora giovane per dei figli, John, ma anche io voglio bene ad Hermione, e non vorrei mai che le succedesse qualcosa di brutto. Devi però capire che ormai è grande, e sono sicuro che farebbe scappare qualsiasi intruso a suon di libri in testa”
Vedendo che però l’espressione dell’altro rimaneva tesa,  con un sospiro tirò fuori il suo telefono e digitò rapidamente un breve messaggio per Hermione: Tuo padre è preoccupato; dimmi che sei viva o temo che correrà a casa con la pistola in mano.

“Adesso, senza farci prendere dall’agitazione, aspettiamo pazientemente la risposta mentre finiamo di compilare queste scartoffie: ti piace l’idea?” suggerì il ragazzo, porgendogli gli ultimi moduli.
John fece un lieve cenno di assenso, e i due lavorarono in silenzio per un po’ di tempo, fino a quando un leggero bip proveniente dalla tasca dei pantaloni di Fred indicò che un nuovo messaggio era arrivato.

Sto bene, stavo leggendo un libro. Di’ a mio padre che ero nel mezzo di un rave, e che non potevo rispondere alle chiamate visto che stavo usando il cellulare per tagliare della cocaina.
A Fred scappò una risata, facendo alzare la testa a John.
“Tutto bene, tranquillo. Stava leggendo.”

Per il quieto vivere di tutti, decise di omettere la parte del rave che, anche se finta, avrebbe fatto morire di preoccupazione il padre.
Il resto del pomeriggio passò senza altre preoccupazioni, e al termine della giornata John propose al giovane di venire a cenare da lui.

“Lo so che Molly ti vorrebbe più spesso a casa, ma credo che ad Hermione farebbe piacere vederti, siete sempre andati d’accordo ed è un bel po’ che non vi vedete. E poi, beh, mi devo sdebitare per quello che devi sopportare ogni giorno a causa della mia preoccupazione” disse l’uomo, un po’ imbarazzato perché consapevole di quando le sue preoccupazione potessero sembrare insensate.

Fred accettò, e mandò subito un messaggio a sua madre scusandosi per l’assenza: una cena a casa dei Granger era sempre uno spasso, e la ragazza era anche un’ottima cuoca (merito di mamma Weasley, che le aveva insegnato i segreti della cucina).
E mentre i due poliziotti uscivano dalla centrale, qualche isolato più avanti una giovane donna si asciugava le lacrime per il finale di un libro, in cui ovviamente il suo personaggio preferito moriva tragicamente tra le braccia dell’amata, che giurava vendetta contro chi le aveva portato via l’unica ragione di vita.

Ripresasi dal trauma, Hermione si avviò verso la cucina per preparare la cena, ancora in pigiama: aveva passato la domenica tra compiti e lettura, e non aveva avuto tempo né voglia per cambiarsi.
Dopo aver messo sul fuoco della carne, iniziò ad apparecchiare la tavola, canticchiando tra sé e sé; se infatti le piaceva stare a casa da sola, potersi immergere nella lettura o in un bel film senza interruzione, non amava particolarmente il silenzio insolito che regnava nelle stanze, e così aveva preso l’abitudine di canticchiare o ascoltare musica a volume alto.

Con un tempismo perfetto, un famigliare rumore di chiavi nella serratura interruppe il silenzio, seguito dall’usuale “Herm, sono tornato!” che annunciava il ritorno del padre dal lavoro.
E, come al solito, Hermione rispose con “E anche oggi sei riuscito a non farti sparare!”.

Andandogli incontro, la ragazza vide un’ondata di sollievo apparire sul volto di suo padre, e ancora una volta si sentì in colpa per non aver risposto alle sue chiamate; d’altra parte, detestava il suono delle notifiche del telefono, ed era proprio nel momento clou della trama.
“Ho invitato Fred a cena, spero che non ti dispiaccia. Magari ti puoi vestire e far finta che io ti abbia insegnato come accogliere degli ospiti, che ne dici?” propose ironico John, ben sapendo che sua figlia non avrebbe mai rinunciato al suo pigiama se non per dover andare a scuola, e che Fred di certo non si sarebbe scandalizzato.

I due avevano quasi la stessa età, Fred era di qualche anno più vecchio, ed erano andati d’accordo fin dal primo momento, quando John aveva invitato il ragazzo a casa sua, la prima settimana che era stato trasferito alla Centrale.
“Signorina Granger, ma quale eleganza! John, perché non mi hai detto che si trattava di un’occasione formale? Mi sarei messo in tiro, avrei portato quanto meno dei fiori!” esclamò con fare drammatico il rosso, mentre Hermione rideva dell’espressione del padre, che non poteva credere di aver a che fare con due bambini.
“Voi due siete dei casi disperati, lo sapete questo? Guarda qui, il giovane e promettente poliziotto e la studentessa più intelligente della scuola. Dove andremo a finire, io mi chiedo?”

Continuando a chiacchierare, i due uomini  sedettero a tavola, mentre Hermione serviva loro l cena; aveva aggiunto un posto a tavola, ma non era stato un problema. Suo padre era solito presentarsi a casa con qualche collega, e quando lei si lamentava dello scarso preavviso lui le rispondeva che sarebbe stata avvisata molto prima se solo avesse risposto a quel dannato cellulare.
I tre iniziarono quindi a mangiare, raccontandosi le rispettive giornate (il culmine fu quando la ragazza raccontò dell’emozionante momento in cui la finestra si era aperta da sola e lei, da esperta del sovrannaturale, era corsa in cucina ad armarsi di sale in caso fosse stato un fantasma vendicativo).
Nel bel mezzo del pasto, però, i cercapersone dei poliziotti suonarono in contemporanea.

“ Sparatoria in Wilson Avenue, due morti e diversi feriti. Tutti gli agenti disponibili nelle vicinanze si rechino sul luogo del crimine – ripeto … “
Ma prima ancora che la scricchiolante voce nella radiolina potesse finire di parlare, i due erano già volati in macchina, dopo aver brevemente salutato Hermione.
Con il suono delle sirene di sottofondo, la ragazza si alzò con il cuore che le batteva a mille: la sparatoria in Wilson Avenue poteva significare solo una cosa.


I Malfoy erano tornati in città.




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Craggy's Corner:
Salve miei cari, è da un po' di tempo che non ci vediamo.
E come chi già mi conosce ben sa, quando torno su Efp dopo un lungo periodo di tempo il motivo è uno solo: una nuova ff.
Come vedere è un AU dove non c'è la maGGia, e sia John che Fred sono poliziotti.
Non ho ancora inserito quale sarà il pairing perchè è una sorpresa che scoprirete nel prossimo capitolo, hehe.
Diciamo che questa è un'introduzione alla storia, i prossimi capitoli saranno sicuramente più lunghi.
Se proprio volete farmi felice, una rceensione sarebbe gradita, così come i vostri pareri ^^
Kisses,
Craggy


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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


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“Signor Malfoy, gli sbirri stanno arrivando. Che dobbiamo fare, signore? Randall dice che è meglio che ce ne andiamo, se non vogliamo finire dentro, ma io ho pensato che Randall è un maledetto idiota è che il capo è lei, signore.”

La voce, bassa e rauca, proveniva da un uomo tozzo, dai disgustosi abiti stracciati e sporchi di un’indefinita varietà di macchie variopinte; era fermo davanti alla porta, torcendosi le mani con fare nervoso  e guardando il luccicante pavimento della stanza, così in contrasto con l’evidente povertà dei suoi abiti.
Davanti a lui c’era un lungo corridoio, che si andava man mano allargando fino ad un’imponente finestra ai cui lati ricadevo pesanti due tende di velluto scuro; spesso erano giunte voci che quella stanza avesse la forma di una tomba, e che al centro di essa fosse sepolto il fondatore del clan Malfoy , il temutissimo Abraxas.

Era dunque diventata abitudine per i tirapiedi di Lucius chiamare quella stanza “Cassa da Morto”, sia per la forma peculiare del pavimento sia perché da lì spesso la gente non tornava indietro.

Nel silenzio del luogo, l’ometto credé di sentire il proprio cuore schizzargli fuori dal petto.
“Molto bene. Dal momento che questo … Randall … sembra essere un esperto, buttatelo in prima linea, e sparategli non appena i poliziotti lo vedono; non importerà a nessuno, alla fine, chi lo abbia ucciso, e non rischierà di confessare non appena il procuratore gli offrirà un accordo. Non ce lo possiamo permettere in questo momento.”
Lucius Malfoy, che stava contemplando il paesaggio all’esterno, si girò verso il suo interlocutore; continuando con la sua voce lenta e strascicata, gli si rivolse
nuovamente: “Bene, puoi andare …” e qui si interruppe, come per ricordare qualcosa.

“Hodgins, s-signore. T-Tom Hodgins.” Balbettò l’altro.
“Sì, molto bene Hodgins. Apprezzo chi sa rispettare le gerarchie in questa famiglia, lo terrò a mente. Vai pure, e di’ agli altri di tornare alla base a gruppi di tre: non vogliamo destare sospetti.”

E, girandosi nuovamente verso la finestra, fece intendere che la conversazione era chiusa.
Proprio mentre Hodgins si avviava a passo svelto verso la porta imponente, Lucius lo richiamò.

“Draco?” chiese di sfuggita, in tono casuale e disinteressato.
“I-il giovane Draco è uscito con dei suoi amici, signore. Era stato avvisato di non essere nei paraggi della sparatoria, e così ha deciso di andare al campo di moto cross, fuori città.” Rispose Tom, con il primo, timido sorriso da quando si era trovato al cospetto di Lucius: non  era un segreto che il Grande Capo tenesse a suo figlio molto più di quello che dava a vedere, e nonostante fosse molto esigente nei confronti dell’erede e a volte lo trattasse duramente, i suoi occhi solitamente inespressivi si accendevano di speranza.

“Io … io allora vado, signore” borbottò l’uomo impacciato, con il timore di poter offendere l’altro con la sua proposta ed andare a finire tra coloro che non erano più tornati dalla Cassa da Morto.
“Certo, certo. Ricorda, piccoli gruppi. E discrezione, discrezione, Tom. Se qualche idiota dovesse essere catturato, beh, saprò chi ritenere responsabile. Tu hai una figlia, giusto? Non vorrai che per colpa di qualche distrazione le capiti qualcosa.” Il tono di Lucius era diventato più tagliente, e anche se il suo sguardo era rivolto all’esterno, Hodgins si sentì trapassato da parte a parte da quegli occhi color ghiaccio che caratterizzavano tutti i Malfoy.

“No, signore. Mi assicurerò che fili tutto per il verso giusto, signore” e dopo essersi accertato che la conversazione fosse definitivamente conclusa, uscì di corsa senza osare voltarsi indietro.


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“Mangia la mia polvere, Potter!”
“Ti piacerebbe, eh?”

Con uno sventolio di bandiera, due moto partirono a tutta velocità; dagli spalti giungevano urla di incitamento, per lo più femminili, mentre a bordo pista qualcuno era riuscito a piazzare un po’ di scommesse.

Elder Bridge non era, come spesso i turisti pensavano, un ponte, bensì un grande campo abbandonato che era stato una volta sede di una qualche fabbrica di dolci; una volta che questa era fallita, il palazzo era stato abbandonato per diversi anni, fino a quando qualche teppista di strada non aveva iniziato ad usarlo come sede di un giro di spacciatori, che erano stati sterminati in massa da una qualche banda locale.

La polizia aveva arrestato decine di persone, e nomi importanti erano saliti in superficie, c’erano insomma tutti i presupposti per un’indagine che avrebbe tagliato molte teste ben pettinate; il caso era stato però velocemente archiviato in quanto “ Non c’erano abbastanza prove per ritenere che quello spiacevole incidente fosse altro che uno scontro tra giovani strafatti di chissà cosa”, così avevano detto i giornali.

La struttura era stata però demolita, ed un qualche ingegnere aveva presentato un progetto per la riqualifica della zona a parco divertimenti per famiglie.
Il risultato, dieci anni dopo, era un circuito fangoso in cui chiunque avesse una moto e fosse in grado di starci sopra poteva gareggiare: non era una meta popolare tra i ragazzi londinesi, soprattutto per la brutta fama della zona e dei tipi poco raccomandabili che ci bazzicavano dopo il tramonto; eppure non di rado gli spalti (delle vecchie impalcature abbandonate lì) erano pieni di gente.

Sulla pista stavano gareggiando due moto e due piloti: una rosso fiammante, con una grande testa di leone dipinta su di un fianco.
La guidava Harry Potter, il primo ad aver saputo sfruttare le potenzialità di quello spazio; aveva brillanti occhi verdi che sembravano sempre alla ricerca di qualcosa, dietro un paio di spesse lenti da vista. I capelli erano neri e sempre spettinati a causa del casco, il che causava ancora più attenzioni da parte delle ragazze, che venivano tenute a bada dalla sua fidanzata, Ginny.

Dall’altra parte, poco più indietro, una nuovissima Nimbus 20000 verde smeraldo si gettava all’inseguimento di Potter.
Draco Malfoy, pur nascosto dal casco, aggrottò le sopracciglia nel momento di massimo sforzo: a pochi metri dal traguardo, Potter era ancora in testa, e non sembrava intenzionato a cedergli il posto.

La vittoria era fondamentale per dimostrare agli altri che non aveva solo un padre ricco che si poteva permettere le moto più costose, ma che era anche in grado di starci sopra.

Un boato improvviso irruppe dalla zona degli spalti, segno che qualcuno aveva tagliato il traguardo e che la gara era finita; con un sorriso soddisfatto stampato sul volto, Harry Potter scese dalla moto e tolto il casco, si scompigliò i capelli.

Draco , che lo aveva raggiunto dopo qualche secondo appena, non potè fare a meno di sentire una fitta allo stomaco e l’amaro in gola; si avviò verso il Ragazzo Prodigio (così lo chiamavano i suoi amici) per congratularsi della vittoria, anche se il suo sorriso era molto, molto tirato.

“Bella gara Potter, complimenti. A quanto siamo ora, tre vittorie a testa? Uno di questi giorni dovremmo fare la gara decisiva, altrimenti quelle ragazze urlanti non sapranno più se dipingersi la faccia di verde o di rosso” disse Malfoy beffardo, gettando un’occhiata veloce alla torma di giovani che additavano l’altro ragazzo e saltellavano.
Con un cenno di assenso Harry lasciò intendere che avrebbero gareggiato nuovamente il sabato successivo, come erano soliti fare ormai da mesi; infatti, nonostante il nome dei Potter fosse importante quasi come quello dei Malfoy, il ragazzo aveva un carattere gentile ed educato e, dote ancora più straordinaria per una celebrità, fedelissimo alla sua ragazza.

A Draco non sarebbe dispiaciuto diventare suo amico, entrare a far parte di quel circolo di ragazzi che intrattenevano rapporti anche al di fuori di quel luogo fangoso, che organizzavano pomeriggi al cinema e cene di gruppo.
Ma non era un ingenuo, sapeva bene che non sarebbe potuto accadere: i genitori di Harry erano stati tra i migliori poliziotti della task force che era stata creata all’epoca in cui i Malfoy erano solo una delle tante famiglie che si erano messe al servizio di Lord Voldemort.

Era un pazzo, un criminale, un assassino che nonostante la crudeltà era riuscito ad assicurarsi con minacce e corruzioni la fedeltà di tutta la malavita londinese, di buona parte del corpo di polizia e di un gran numero di politici.
Erano stati tempi duri, era stato reinserito il coprifuoco a causa dell’alto numero di sparatori e guerriglie che infiammavano tutti i quartieri, dai più poveri fino a quelli dei ricchi, che la notte chiudevano la porta d’ingresso a doppia mandata e sbarravano le finestre, facevano installare l’ultimo sistema di allarme comparso sul mercato e spingevano perché la polizia facesse qualcosa.

Ma nessuno si fidava più di nessun’altro, per paura di essere compromessi o venduti al miglior offerente, e molti poliziotti che erano stati partner si ritrovarono ai due lati opposti di un campo di battaglia insanguinato; fu allora che venne nominato la squadra Fenice.
Militari, veterani, soldati e persino qualche agente dei servizi segreti erano stati convocati ed inseriti in una squadra che aveva avuto il preciso compito di stanare ed eliminare chiunque fosse affiliato a Voldemort, senza lesinare sull’uso della forza.

Uomini e donne valorosi avevano dato la loro vita per rendere la città un posto migliore, in cui i bambini potessero ancora uscire di casa senza paura di venire colpiti da un proiettile vacante, e dove i politici non insabbiassero il numero di vittime di quel massacro, che andava ogni giorno aumentando.
James e Lily Potter erano partner da sempre, nella vita come nel lavoro; erano sempre stati la coppia felice che organizzava cene per la squadra, e quanto Lily era rimasta incinta aveva chiesto  tutti loro di parlare alla sua pancia ancora poco sporgente, così che il piccolo Harry (o Rosie, se fosse stata una femmina. James era però convinto che sarebbe stato un maschio) potesse sentire le voci delle “persone che hanno salvato le chiappe ai tuoi genitori, ometto”, come aveva poeticamente asserito James.

Erano così pieni di speranza.

Per Voldemort erano un problema, e così una notte – la notte di Halloween – si era introdotto in casa loro e, con due colpi di pistola, aveva ucciso i due. James aveva provato a difendere la moglie, ma la furia omicida dell’altro aveva avuto la meglio.
E proprio quando aveva cercato di sparare anche al piccolo Harry, che aveva guardato la scena attraverso le sbarre della porta, qualcosa era successo: un colpo al petto, per cui Voldemort si era trovato costretto a fuggire il più in fretta possibile, mentre la sua mente cercava di capire chi lo avesse colpito; e mentre saliva su una macchina nera che lo avrebbe portato molto lontano, le sirene della polizia suonarono in lontananza.

L’unico segno tangibile di quella terribile, terribile notte che Harry ancora portava era una strana cicatrice a forma di saetta, dovuta ad una scheggia volante.
Dopo quella notte, comunque, Lord Voldemort era scomparso.

Persino CIA ed FBI si erano interessati al caso, ma non era servito a nulla: era svanito, e con lui molti dei suoi soci, che d’improvviso dichiaravano di essere stati costretti ad obbedire agli ordini da minacce e violenza, e che quindi erano totalmente innocenti del sangue che avevano versato.

Tra questi, anche i Malfoy. Draco era troppo piccolo per ricordarsene, ma in quel periodo la sua casa era un via vai di poliziotti, che interrogavano e convocavano i tribunale i suoi genitori insieme, poi separati, poi sua zia Bellatrix, i genitori dei suoi amici. E poi la vita era incominciata di nuovo.
I Malfoy avevano preso le redini della malavita della città, sempre però asserendo la propria innocenza davanti alle telecamere ed ai giornalisti.
Harry e Draco si erano rivisti molti anni dopo, a scuola, ed Harry pareva ignaro di chi fossero i Malfoy, mentre il biondo era ben consapevole di chi fosse l’altro.

In ogni caso, non erano mai stati amici.
Non che Draco ne avesse, di amici.
Era un cognome pesante, il suo, e suo padre non desiderava che lui coltivasse amicizie al di fuori del circolo di fedelissimi, come i Parkinson e i Nott; fin da piccolo era stato abituato a trovarsi da solo qualcosa da fare quando c’erano in programma rapine, omicidi o semplici affari, in modo da non poter essere preso in ostaggio, e così era arrivato a quel campo da moto cross, in quel momento, dopo quella gara.

E mentre Harry ancora festeggiava, Draco si diresse verso la strada principale per tornare a casa: era quasi ora di cena, dopotutto.

 

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“Non ci posso credere, com’è possibile?” John si guardava attorno senza capire: una sparatoria c’era stata, lo testimoniavano i cadaveri di due poliziotti e di un criminale che era stato colpito, oltre alle vetrine ed i muri della strada, scheggiati dalla pioggia di pallottole.

Eppure, nei dieci minuti che Fred e John avevano impiegato ad arrivare in Wilson Avenue, l’intera banda era riuscita a scappare, senza feriti tranne il poveraccio che giaceva a terra con un colpo in testa, forse – come avrebbe poi suggerito Fred – non più utile agli altri e quindi sacrificabile per il bene comune.
Mentre il suo partner interrogava alcuni testimoni, per lo più negozianti, John si avvicinò ad uno dei poliziotti che erano riusciti a bloccare i malviventi per qualche minuto; dopo aver mostrato il suo distintivo all’agente di sorveglianza, sorpassò il nastro giallo che delimitava la scena del crimine.

“Era da parecchio che non succedeva più. Non posso dire che mi sia mancato, comunque”
Prima ancora che l’agente Granger avesse posto alcuna domanda, l’altro uomo aveva iniziato a parlare.

“Agente Casper. Ero qui quando è iniziato tutto: colpi di pistola come pioggia, non si capiva chi fosse amico e chi nemico. Quello laggiù ce lo hanno buttato addosso, ecco perché l’abbiamo preso. Erano in dieci, armati fino ai denti e ben organizzati. In lampo hanno iniziato a spararci addosso, a me e la mia collega. Stavano facendo un giro di pattuglia programmato, questa non è una bella zona, soprattutto di sera.”

L’agente aveva aggrottato la fronte, mentre parlava, e muoveva le mani nell’aria circostante come per amplificare il contenuto del suo resoconto.
“Come hanno fatto ad andarsene in così poco tempo?” chiese John. Le sparatorie finivano solitamente con il criminale in manette, ferito o ucciso.
Questa volta era diverso.

Scuotendo la testa, Carter rispose:” Un furgone è arrivato nel retro del negozio in cui si erano accampati, e in due minuti al massimo non c’era più nessuno. Abbiamo diramato segnalazioni e posti di blocco, ovviamente, ma ancora nulla.”
“Il motivo della sparatoria? Stavano facendo una rapina, vi hanno visto e si sono agitati? Non hanno preso ostaggi, quindi non vogliono un riscatto.”

Un attimo di silenzio cadde tra i due.
“Erano proprio i Malfoy, non è così?” disse infine John, con tono lugubre.
Era l’unica spiegazione.

“Vorrei poter dire di no, ma mi sembra l’unica spiegazione. Le sparatorie erano all’ordine del giorno quando c’era Voldemort. Atti organizzati per il puro scopo di creare panico e tensione, e di ammazzare quanti più poliziotti possibili. Oggi è toccato a Rivera e Gave, ma se lui è davvero tornato ce ne saranno molti altri.

Se i Malfoy hanno ripreso con questi attacchi pubblici ed eclatanti vuol dire che c’è stato un ordine dall’alto; non sono dei santi, su questo non c’è dubbio, ma preferiscono l’anonimato. Per loro sarebbe un duro colpo perdere un pezzo grosso o essere messi sotto indagine di nuovo, hanno troppi affari tra le mani. E per quanto mi disgustino, sono infinitamente meglio di Voldemort. Loro sono commercianti, lui uno psicopatico violento”.

John annuì: aveva tutto perfettamente senso. Purtroppo.
Salutò l’agente Casper e salì in macchina, dove lo aspettava Fred.

“Allora?che si fa ora?” chiese il ragazzo, vedendo la faccia scura del partner e capendo che era proprio ciò che tutti temevano.
“Si prega Dio e si dorme con un occhio aperto e la pistola carica, ecco cosa si fa”.


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Craggy's Corner:
Bentornati, miei pandini!
Nuovo capitolo, in cui sono stati introdotto un po' di nuovi personaggi e qualche informazione sul passato di varie persone.
Che ne dite? Che succederà ora?
Ringrazio la meravigliosa Youth_ per la recensione, e con lei le altre persona che hanno aggiunto questa storia ai seguiti.
Ci vediamo tra un po', scuola permettendo.

Cheers,
Craggy.


 

 

 

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