The Memory Remains

di nikita82roma
(/viewuser.php?uid=908472)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** With or Without You ***
Capitolo 2: *** Always Will Be ***
Capitolo 3: *** Against All Odds ***
Capitolo 4: *** Iris ***
Capitolo 5: *** Lullabye ***
Capitolo 6: *** Bridge over troubled water ***
Capitolo 7: *** Secret Garden ***
Capitolo 8: *** Sorry seems to be the hardest word ***
Capitolo 9: *** Please forgive me ***
Capitolo 10: *** Always on my mind ***
Capitolo 11: *** Memory ***
Capitolo 12: *** Total Eclipse Of The Heart ***
Capitolo 13: *** Skyfall ***
Capitolo 14: *** Love Theme ***
Capitolo 15: *** See You Again ***
Capitolo 16: *** Fix You ***
Capitolo 17: *** Tears ***
Capitolo 18: *** Carry On ***
Capitolo 19: *** One Step Closer ***
Capitolo 20: *** Everything I do I do it for you ***
Capitolo 21: *** Wicked Game ***
Capitolo 22: *** Enjoy The Silence ***
Capitolo 23: *** Life ***
Capitolo 24: *** Stay on these roads ***
Capitolo 25: *** I'm Kissing You ***
Capitolo 26: *** Tears In Heaven ***
Capitolo 27: *** Father and Son ***
Capitolo 28: *** Suspicious Minds ***
Capitolo 29: *** Private Emotion ***
Capitolo 30: *** Resistance ***
Capitolo 31: *** Friends Will Be Friends ***
Capitolo 32: *** I Hope You Suffer ***
Capitolo 33: *** All I want for Christmas is you ***
Capitolo 34: *** My Father Eyes ***
Capitolo 35: *** A New Day Has Come ***
Capitolo 36: *** I Don't Want To Miss a Thing ***
Capitolo 37: *** Long Way From Happiness ***
Capitolo 38: *** The Reason ***
Capitolo 39: *** I Knew I Loved You ***
Capitolo 40: *** In My Veins ***
Capitolo 41: *** Flares ***
Capitolo 42: *** You saved me ***
Capitolo 43: *** Make You Feel My Love ***
Capitolo 44: *** Secrets ***
Capitolo 45: *** Barcelona ***
Capitolo 46: *** Whisper ***
Capitolo 47: *** No Hero ***
Capitolo 48: *** Wish you were here ***
Capitolo 49: *** The One ***
Capitolo 50: *** Amazing Grace ***
Capitolo 51: *** One Blood ***
Capitolo 52: *** Brothers in Arm - Conclusione ***



Capitolo 1
*** With or Without You ***


… I'll wait for you
Sleight of hand and twist of fate
On a bed of nails she makes me wait
And I wait without you …
Washington DC

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Gli orologi da parete sanno essere terribilmente fastidiosi quando scandiscono il rumore dei tuoi pensieri che ti martellano dentro la testa toccando ogni più nascosta corda dell’anima.
Odio la notte quando non dormo, il che vuol dire che praticamente odio tutte le notti quando sono da solo. Quel maledetto orologio nell’altra stanza. Ogni notte vorrei buttarlo via. Mi chiedo perché non l’abbia ancora fatto.

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Tra due giorni sono 3 anni, o forse dovrei dire domani, dato che è già mattina. 1096 giorni, 1096 notti. E mi chiedo ancora perché. 
Nel cassetto del mio comodino ho 3 biglietti aerei mai usati. Chissà, forse ne comprerò anche un quarto e non userò nemmeno quello.
Forse se Gibbs quella mattina non mi avesse chiamato per convocarmi subito in ufficio, poco prima di arrivare in aeroporto, gli altri due non li avrei mai comprati, sarei andato la prima volta. Poi c’è sempre una scusa, un motivo per rimandare e per non partire. E l’impulsività di comprare un altro biglietto e la ragione che mi fa rimanere. E così i mesi sono diventati anni ed adesso penso che forse è troppo tempo, che si sarà rifatta una vita e mi avrà dimenticato. Come è giusto che sia.

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Odio queste maledette notti che mi fanno pensare. A me, a te, a noi. A quello che sarebbe potuto essere e che non è stato, a quel negozio di hot dog. Ma perché ti parlo come se fossi qui? Come se potessi sentirmi? Che poi chissà se tu a tutto questo ci hai pensato mai o a quello che è stato e se anche per te è stato come per me.
Penso a quell’ultimo bacio e al fatto che fino all’ultimo ho pensato che tu mi avresti chiamato mentre salivo sull’aereo. Bastava una sola parola e sarei rimasto o ti avrei portato via con me.

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Mi sono sempre chiesto se eri gelosa di Jeanne e se quando le ho detto che tra di noi non c’era niente era perché in realtà non volevo legarmi a lei, perché poteva accadere. Zoe non l’hai conosciuta e se l’avessi conosciuta voleva dire che eri qui e quindi non poteva accadere nulla. Ora sto con una ragazza fantastica, Michelle una testa da secchiona su un corpo da Miss America. Mi ama, insieme a lei sto bene mi fa anche divertire. Però mi sento terribilmente in colpa perché non riesco a lasciarmi coinvolgere totalmente, non riesco ad essere suo. Perché ho sempre in mente te.

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Quanto sono stupido a parlare di notte, quando dovrei dormire, con qualcuno che mi ha lasciato andare via come hai fatto tu, come se tu potessi sentirmi. Ma ho solo bisogno di dire a me stesso tutte queste cose e quando voglio parlare con qualcuno, vorrei farlo con te. E lo faccio a modo mio.
Michelle vorrebbe sposarsi. E’ un brillante avvocato di un importante studio qui a DC. Io ci sto pensando e prendo tempo. Ma se non sono bastati 1096 giorni a dimenticarmi di noi, non basteranno altrettanti. Ho una tua foto a casa mia, a Michelle ho detto che sei una mia ex collega morta anni fa, così non le da fastidio che ti tenga lì, proprio all’entrata. Ah ed ho anche il tuo ciondolo. Lo porto sempre adesso e non sai le risate. Una volta un signore mi si sedette vicino sulla panchina al parco dopo che avevo fatto jogging e cominciò a parlare in ebraico. Io non capivo una parola e annuivo fino a quando non fu chiarito l’equivoco.
Pensa se mi avesse visto mia nonna con quel ciondolo, lei che tutte le mattine andava in chiesa e si raccomandava che diventassi un buon cristiano come da trazione familiare.

Tic Tac. Tic Tac. Tic Tac.

Sai cosa penso, che non ti metto da parte perché non voglio farlo in fondo. Mi sento un verme quando guardo Michelle e le parlo come vorrei parlare a te. Però devo andare avanti. Devo metterti in quel cassetto con i biglietti aerei, perché se non ho avuto il coraggio di venirti a riprendere, devo avere almeno quello di non lasciarti in sospeso nella mia vita. Devo continuare a vivere senza di te. Lo devo a me stesso e lo devo a Michelle. Ma non so perché dico tutto questo, se già so che non ci riuscirò.
Sono le 4 passate. Tra meno di 3 ore suonerà la mia sveglia e devo ancora dormire. In Israele ora sarà quasi ora di pranzo invece. Chissà se almeno tu hai dormito bene stanotte…

DRIIIIIIIN

Giù dal letto di corsa. Mi guardai allo specchio e mamma mia che faccia orribile mio caro Tony! Certo con 3 ore scarse di sonno non potevo aspettarmi di meglio. Doccia. Barba. Il vestito è ok. 
Squillò il cellulare. Michelle. 

-  Ciao Amore! Dormito bene senza di me stanotte?
- Come un bambino, mi sono addormentato pensandoti.
Mentii spudoratamente. 
- Allora questa sera ci possiamo vedere, così non avrai bisogno di pensarmi quando ti addormenterai.
- Mi pare un’ottima idea, non vedo l’ora che sia stasera. Ti chiamo dopo che adesso sono in ritardissimo com al solito ed il mio capo lo sai che tipo è! Ti amo!
Non aspettai nemmeno la sua risposta, misi giù il telefono ed uscii di casa.

Gli alberi carichi di foglie rosse, arancioni e gialle coloravano i viali di Wahington. Nelle vetrine già si vedevano le prime decorazioni di Halloween che sarebbe stato poche settimane. Una folata di vento alzo un mucchio di foglie dal marciapiede e mi avvolsero come in un girotondo. Mi strapparono un sorriso malinconico. Le temperature si stavano abbassando, alzai il bavero della giacca ed entrai nel mio solito coffeeshop. 
Doppia razione di caffè stamattina. Arriverò tardi, ma non se ne accorgerà nessuno, se ne accorgerebbero se arrivassi puntuale, magari si preoccuperebbero anche come già McPsicologo aveva fatto quando mi aveva trovato in ufficio alle 8 di mattina.
Non capisco perché a Gibbs il mio caffè non piace. Non l’ho mai capito, eppure è buono, ma lui si sa è di gusti difficili e… 

- Agente Speciale Di Nozzo? Chi è che mi chiama la mattina prima che abbia finito il mio caffè, dopo aver passato una notte insonne e non essere ancora in ufficio. Mi voltai contrariato e vedo una macchina scura dai vetri scuri con il finestrino posteriore abbassato.
- Agente Speciale Di Nozzo? Le dobbiamo parlare
Sì, ce l’ha proprio con me. Sfodero il mio miglior sorriso possibile 
- Agente Super Speciale Di Nozzo. Chi mi sta cercando?
- Non è il momento di fare battute Agente, entri e ci ascolti.
Ok, i tizi sono più seri del previsto, la versione Di Nozzo special non è piaciuta, facciamo i seri.
- Non so chi siete nè cosa volete da me, quindi signori, se mi volete parlare sarò tra… 30 minuti nel mio ufficio al NCIS che voi immagino sappiate bene dove si trova visto che mi avete cercato e ne possiamo parlare lì.
- No Agente Speciale Di Nozzo, non si tratta di lavoro. Si tratta di Ziva. Ci vuole ascoltare adesso?

Ziva.
Sentii una vampata di calore avvolgermi tutto il corpo, poi come all’improvviso il sangue gelarsi nelle vene e non scorrere più. Perchè mi stavano cercando per parlarmi di Ziva? Cosa le era successo?

- Agente Speciale Di Nozzo, non abbiamo molto tempo è urgente. Salga in macchina.
Lasciai cadere il caffè a terra, aprii la portiere a salii dentro come un automa. Le parole “Ziva” e “urgente” rimbombavano nella mia testa. Perchè dopo 3 anni dopo 1096 giorni Ziva mi faceva cercare? Doveva essere qualcosa di grave non c’era altra spiegazione.
- Cosa sta succedendo e voi chi siete, Mossad?
- Esatto Agente Speciale. Ziva è stata gravemente ferita in una missione in Siria qualche giorno fa. Non sappiamo se supererà la crisi, i medici sono molto preoccupati e lei ci ha chiesto solo di trovarla e di accompagnarla da lei. 

Balbettai qualcosa come a dire “va bene” ma i miei pensieri non erano più lucidi. Credo che le mie mani stessero anche tremando. Avevo paura, paura che non sarei arrivato in tempo. Avevo paura che non l’avrei più rivista.
Loro evidentemente non stavano aspettando una mia risposta ed appena salito in auto chiusero le portiere e partirono di corsa.

Ziva ed il Mossad. Pensai che ero uno stupido, che lei non voleva cambiare vita. Voleva la sua vecchia vita. Ed evidentemente la voleva più di quanto non volesse stare con me, di quanto non volesse la sua nuova vita qui negli Stati Uniti, con i suoi amici prima ancora che colleghi.
Forse, pensai ancora, il richiamo delle origini era più forte di tutto il resto. E se sei del Mossad non smetti mai di esserlo a costo di sacrificare la tua vita.
Avrei pensato solo a quanto ero stupido se gran parte della mia mente non fosse stata occupata da quel freddo pensiero di paura di perderla per sempre, anche se in fondo non si può perdere qualcosa che non è mai stato tuo se non per un breve istante utile a sovvertire tutto l’universo. Qualcuno che probabilmente tua non ha mai voluto esserlo.

Lo stordimento iniziale divenne sempre maggiore, la testa era pesante e vedevo solo la sua faccia. Mi addormentai in macchina. Ma non era per il sonno…

--- --- --- --- ---

Tel Aviv - Il giorno dopo

Sul tavolo si accumulavano i fascicoli da tradurre, il computer lì vicino era in standby. Avevo bisogno di una pausa e di un caffè.

Sorseggiavo lentamente guardando fuori dalla finestra sul retro. E’ bello l’autunno in Israele, quella stagione in cui il vento soffia leggero e ti accarezza la pelle e ti abbraccia con il suo tepore, ti coccola, ti scompiglia i capelli e scaccia via i pensieri.
Questo a Washington non c’è. E’ sempre troppo freddo o troppo caldo, anche nella stessa giornata.
Oggi sarebbe uno di quei giorni, da lasciarsi accarezzare dal vento nella speranza che si porti via anche i pensieri ma non sarà così. Perché oggi più degli altri giorni la mente inevitabilmente ritorna a quella scelta.

Il suono del campanello mi fece sussultare. Non aspettavo visite, nessuno di solito veniva qui, perché ben pochi sapevano dove fossi, Tamar e pochi altri, ma lei aveva la chiave, non aveva bisogno di suonare.
Presi la pistola dal cassetto del mobile, caricai mi avvicinai alla porta chiedendo chi fosse.
Rispose una voce giovane e squillante

- Fiori per lei!
Fiori? Per me? Stupita aprii la porta e davanti a me c’era un ragazzo sorridente capelli corti ed una strana kippah con un fiore disegnato al centro. Mi strappò un sorriso.
- Sei sicuro ragazzino che siano per me?
- Signora è lei Ziva David?
- Sono io.
- E allora i fiori sono per lei!
Lo guardai con aria interrogativa e lui per un attimo si preoccupò ma poi tornò a sorridere gentile come sempre.
- Sono per lei, mi creda! Il signore che ha voluto che glieli consegnassi ha lasciato anche un busta per lei, ci ha chiesto il mazzo più bello del negozio e che venisse consegnato a Ziva David il prima possibile lasciandomi anche una bella mancia!
- Ah allora è per questo che sei così sorridente!
Dissi cercando di rompere la tensione che più che altro era mia per quel regalo inaspettato…
- E chi sarebbe questo signore? 
Chiesi quindi incuriosita
- Non lo so signora. Magari glielo ha scritto nella busta che le ha lasciato. Ora mi può firmare questo foglio per la consegna? 

Scarabocchiai qualcosa ed entrai con il grosso mazzo di fiori che appoggiai sul tavolo.
Erano effettivamente dei bellissimi fiori ed emanavano un profumo intenso di rosa e menta. I più belli che abbia mai ricevuto. Ci pensai un attimo. Non avevo mai ricevuto dei fiori e sorrisi tra me e me amaramente. 

Presi la busta, non badai alla forma e l’aprii strappandone un lato. Potevano essere di Calum? Ma certo, da quella volta aveva cominciato una serrata ma discreta corte, mandare fiori poteva essere nel suo stile. Non feci in tempo a razionalizzare che Calum non conosceva il mio indirizzo che sulla mano scivolò un ciondolo ed il cuore saltò un battito.
Era il mio ciondolo. Il mio scudo di David che avevo dato a Tony l’ultima volta che ci eravamo visti prima che lui salisse quelle maledette scalette di quel maledetto aereo.
Nella busta c’era anche una foglio piegato a metà lo aprii velocemente cercando spiegazioni ma quello che trovai all’interno mi fece involontariamente emettere un urlo soffocato.
Una foto di Tony legato ad una sedia imbavagliato e privo di conoscenza in quello che con tutta probabilità era un vecchio hangar. E sotto solo un indirizzo scritto in ebraico. Tony era in Israele e qualcuno voleva che io lo sapessi.
Corsi in camera da letto aprii l’armadio e dall’ultimo cassetto presi la mia fondina ormai da tempo inutilizzata, la indossai facendo dei gesti automatici e vi riposi la pistola che avevo riposto dietro la schiena. Presi anche due pugnali e li legai uno per caviglia e un altro caricatore per sicurezza.
Gettai uno sguardo all’angolo della stanza, chiusi gli occhi e scossi la testa. Tony. Dovevo andare da Tony.

Uscii di corsa da casa, presi la macchina e lasciai il mio kibbutz guidando più velocemente che potevo verso quell’indirizzo e mentre guidavo scorrevo i numeri sulla rubrica del telefono. Non ne avevo cancellato nemmeno uno. Arrivai velocemente alla T. Chiamai il suo numero. Squillava e poi qualcuno rispose.
- Shalom Ziva.
Non era Tony, evidentemente. La cadenza era sicuramente israeliana ed in ebraico gli parlai.
- Chi sei? Cosa ci fai con il telefono di Tony? Dov’è lui?
- E’ qui con me, ti stiamo aspettando Ziva, fai presto, il tuo Tony non ha più molto tempo.
Riagganciò senza il tempo di farmi dire altro.

Cercai di nuovo sul telefono. Esitai per un attimo e poi lo chiamai.
Perché quando avevo qualche problema era sempre lui che chiamavo, perché come un padre, più di mio padre mi era stato vicino e mi aveva aiutato nei momenti di difficoltà, con tenerezza e con fermezza. Non pensai nemmeno che a Washington in quel momento era piena notte.
- Ciao Gibbs.
- Ziva? Ma…
- Lo so che è notte fonda, ma ho bisogno di te Gibbs. Si tratta di Tony
- Devo pensare che se mi chiami nel cuore della notte dopo 3 anni che non ti fai sentire sia urgente ma mi dispiace, non so dov’è Tony, oggi non è venuto a lavoro e non ha risposto al cellulare.
La sua voce era sarcastica ma nascondeva nemmeno troppo velatamente del risentimento. In altri momenti questo mi avrebbe ferita, mi avrebbe fatto dare spiegazioni e fare altre domande, ma non ora, non c’era tempo e se anche Gibbs mi avesse odiato ora non era importante.
- Lo so io dov’è Tony. E’ qui in Israele. Prigioniero di non so chi. Mi hanno appena mandato una sua foto. Io sto andando dove mi hanno appena detto, ma non so cosa mi aspetta.
- Cosa vuoi che faccia Ziva?
- Non lo so Gibbs. Volevo avvisarti, volevo sentirti, volevo qualcuno che mi dicesse che andrà tutto bene.
- Ziva… Stai attenta. Noi arriviamo.

“Arriviamo” di Gibbs voleva dire che sarebbero stati qui non prima di quanto, 12 ore forse 10 o 8? Non lo sapevo in quel momento ma Tony non aveva tutto quel tempo. Non potevo aspettarli. Mandai un messaggio al telefono di Gibbs con l’indirizzo di casa e di dove stavo andando.
Accelerai ancora, se era possibile, non c’era traffico su quelle strada a quell’ora ed io volevo solo arrivare il presto. 
Sentivo l’adrenalina scorrere nelle mie vene come da tanto tempo non accadeva, quel brivido dell’azione che volutamente avevo messo a tacere negli ultimi anni perché dovevo cambiare vita.
Presi di nuovo il telefono composi velocemente il numero a memoria.
- Tamar, sono io. Oggi non verrò.


Nota: Come vedrete poi anche in seguito, ogni capitolo si chiama con il nome di una canzone, la cui citazione sarà l’inizio del capitolo stesso. Alla fine della storia potrete avere spero una bella playlist. La scelta dei titoli è una cosa che mi ha sempre mandato in crisi, le canzoni mi aiutano a scrivere, quindi ho unito l’utile al dilettevole ed è venuto fuori questo. 
Ho cercato di usare canzoni i cui significati si sposassero bene con quello che era il senso del capitolo, anche se non sempre ricalcano esattamente quello di cui si parla. 
Anche il nome della storia è ovviamente una canzone, The Memory Remains dei Metallica, ma in questo caso il testo non c’entra nulla con il senso della storia. Ma la memoria e la sua importanza sia in fatto di ricordi sensoriali che ricordi concreti è il centro di tutta la storia per i personaggi principali e non solo. 
Ho cominciato a scrivere questa storia un po’ di tempo fa, creando la trama e l’intreccio, quindi anche se ho cercato di essere il più possibile vicino alla serie, può accadere che in alcune parti delle puntate più recenti si possa discostare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Always Will Be ***


… our day is done 
i'm left here wondering 
Is this the end, my final words to you…


- Chi sei, cosa vuoi da me?
- E’ importante per te Tony sapere chi sono? Stai per morire oggi, ma giustamente vuoi sapere chi ti ucciderà. Ma non te lo dirò io, Agente SuperSpeciale.
- Ziva, dov’è Ziva?
- Che tenero che sei Tony Di Nozzo. Stai per morire e ti preoccupi di una persona che per tre lunghi anni è sparita completamente dalla tua vita, che ti ha lasciato tornare solo a casa preferendo rimanere qui.
Qui. Ero in Israele quindi. 
Le sue parole mi facevano più male dei polsi stretti dietro la schiena e dei muscoli tesi da troppe ore in quella posizione. 
Forse aveva ragione lui. 
No, stavo delirando, stavo dando ragione a chi da lì a poco mi avrebbe ucciso. 
Pensavo di non arrivare in tempo per vedere un’ultima volta Ziva ed invece nessuno avrebbe più visto me. Era buffo no? Nessuno sapeva che ero lì, nessuno mi avrebbe più trovato se il mio aguzzino non avesse voluto farmi trovare. Sorrisi e trovai stupido che non riuscivo ad essere serio nemmeno quando stavo per morire. Allora aveva ragione McGee quando diceva che ero irrecuperabile.

Morire. Quante volte mi sono trovato davanti alla morte negli ultimi anni? Nemmeno le ricordo più, ogni volta eppure è diversa, perché in ogni momento che pensi di lasciare questo mondo sei tu che sei diverso. Chissà se i miei amici mi cercheranno o se mi troveranno mai. Se penseranno che me ne sono andato e li ho abbandonati. No Abby non potrebbe mai farlo. Abby… Quella ragazza è troppo sensibile. Abby sicuramente mi cercherebbe. E Michelle, secondo i miei conti a quest’ora dovevamo essere a casa sua, sul suo letto in una posizione certamente più comoda di questa. Forse per lei sarà meglio così, troverà qualcuno che la amerà come merita.

- Agente Di Nozzo, è preoccupato che sta per morire?
- No. Sono preoccupato per le persone che mi vogliono bene.
- Vede agente Di Nozzo, non pensavo che sarebbe stato così facile convincerla a venire qui. I miei informatori erano molto meglio informati di quanto pensavo, ma io non credevo che potesse esistere qualcuno così rammollito da buttare a terra il suo caffè salire in macchina con sconosciuti e lasciarsi portare in Israele solo per aver sentito un nome. Se questo è un agente speciale dell’NCIS mi immagino gli altri!

Fece una grossa risata, e sul suo viso rimase stampato un ghigno soddisfatto.
Non aveva paura a mostrarmi il suo viso, secondo lui tanto non avrei potuto raccontarlo a nessuno.

- Di Nozzo, Di Nozzo… lasci tutto e vieni qua per lei! Che sentimentale! Che romantico principe azzurro! Chi lo avrebbe mai detto che sotto quell’aria da Don Giovanni battesse il cuore di un così tenero innamorato… - Adesso si rivolgeva a me con un tono più colloquiale, così poteva deridermi meglio - E così in modo semplice semplice il mio piano si compie. Tu sarai accusato di essere entrato illegalmente in Israele ed aver ucciso un uomo del Mossad, Ziva ti ucciderà e contemporaneamente sarà accusata di alto tradimento dallo stato di Israele. Sai cosa accadrà, poi, vero?
- Cosa stai dicendo?
- Cosa c’è Di Nozzo? Ora hai paura di morire? O hai paura di chi ti ucciderà? Hai qualche idea in mente, vero?
- Stai mentendo.
- No, Di Nozzo, non sto mentendo. Ti sto solo spiegando il mio piano. Che secondo i miei calcoli si compirà tra poco tempo. Così la mia vendetta sarà completa e tutto sarà stato grazie a te. Perchè chi è che poteva sicuramente venire in Israele se avesse saputo che Ziva era in pericolo? O tu o il tuo capo. Ma il tuo capo non sarebbe mai salito al volo su una macchina del Mossad senza ragionare. Vedi qual’è il tuo problema Agente Speciale Di Nozzo? Tu non hai ragionato. Ti sei solo lasciato trasportare dai sentimenti. Gibbs non l’avrebbe mai fatto. Per questo abbiamo scelto te, anche se non speravamo nemmeno nei nostri sogni che sarebbe stato tutto così facile. Grazie Agente Super Speciale!

Rise ancora. 

Una pedina. Ecco cosa sono. Ecco cosa la mia stupidità mi ha portato a diventare, una pedina per un folle. Come ho potuto essere così stupido da credere che Ziva avesse mandato degli agenti del Mossad a cercarmi perché voleva vedermi. Ed ora sono qui, legato come un salame che sta per morire perché troppo stupido, perché forse è vero, mi sono rammollito e pensavo solo con il cuore. Mi prenderei a schiaffi da solo se non avessi le mani legate dietro la schiena. E vorrei che ci fosse Gibbs a darmi uno dei suoi scappellotti.

Il rumore di una macchina mi destò dai miei pensieri. Lo sportello sbattè violentemente in un rumore sordo che si amplificò nell’hangar vuoto. Poi dei passi rapidi che si avvicinavano sempre più. Una sagoma controluce apparve e se non era una visione era proprio lei. 



Eccolo era lì, seduto, come nella foto. Avevo aspettato 3 anni per rivederlo, ma non così.
Mi aveva visto, sentivo il suo sguardo.
Mi avvicinai velocemente.
- Tony!
- Piano Ziva, fai piano…
Non era la voce di Tony, era qualcuno dietro di lui una voce che mi sembrava familiare.
- Non ti ricordi di me? 
Fece due passi avanti e il suo volto ora era visibile. Era invecchiato, i suoi capelli diradati e quella cicatrice in più sulla guancia ma era lui. 
- Yehouda! 
- Brava Ziva, vedo che ti ricordi dei vecchi amici. Ho aspettato molto per vederti di nuovo e devo dire che non sei cambiata per niente, anzi sei ancora più bella di quanto eri da bambina, quando giocavi con Leah. Ti ricordi di Leah, Ziva? Aveva la tua età, oggi sarebbe stata bella come te se tuo padre non avesse deciso che era sacrificabile.
- Mio padre è morto Yehouda, cosa vuoi da me e da Tony?
- Lo so che tuo padre è morto, purtroppo. Non che mi dispiaccia per la sua fine, mi dispiace solo perché prima di morire non ho potuto farlo soffrire come lui ha fatto soffrire me.
- Vuoi uccidermi? Fallo, uccidimi, ma lascia stare Tony. E poi non credere, mio padre non avrebbe sofferto per la mia perdita. Non avresti avuto comunque la tua vendetta
- Ziva, come sei ingenua. Tuo padre avrebbe sofferto moltissimo non per la tua morte, ma per il fatto che avrei consegnato agli Stati Uniti un’assassina che agli occhi di Israele sarebbe stata solo una traditrice per aver ucciso un membro dell’NCIS e un agente del Mossad. In questo momento nella tua auto ci sono tutte le prove che ti inchioderanno, nella tua casa un cadavere fresco fresco del povero inesperto Shimon che ti stava pedinando da tempo. Sei finita Ziva David.

Cosa stava succedendo? Istintivamente portai la mano alla pistola, guardai Tony che aveva lo sguardo basso, sembrava rassegnato. 

- Uccidimi Ziva, dai non aspetto altro. Così tutto si compirà in 360 secondi.

Fu un attimo. Nemmeno ascoltai quelle parole. Sparai 3 colpi uno dietro l’anno. Yehouda cadde a terra.

Bip Bip Bip Bip

Tony alzò lo sguardo. 360, 359, 358, 357…
Appena colpii Yehouda un timer partì da una cintura che Tony aveva legata alla vita.

- Perchè sei qui Ziva?
- Zitto Tony fammi vedere!
Corsi verso di lui e mi abbassai a vedere quel congegno.
- Ziva perchè sei qui? Rispondimi!
- Perchè non posso vivere senza di te.
Tony rise. Una risata fragorosa che nulla centrava con quel momento.
- Ho già sentito questa frase Ziva, ma non l’hai detta tu. Non saresti dovuta venire.
La mente tornava ad anni prima, in Somalia, quando eravamo una davanti all’altro. Lo stava facendo apposta, adesso a rispondermi così.

Bip Bip Bip Bip

- Quanto sono lunghi 360 secondi Ziva? Bastano per dire tutto?
- Cosa dobbiamo dirci Tony? 
- Non so, Ziva, qualcosa… 
360 secondi non bastavano per dire tutto quello che gli avrei voluto dire. Forse non basterebbero nemmeno 360 giorni. Non basterebbe una vita.

Bip Bip Bip Bip

Quei maledetti fili rosso, blu, nero, giallo, verde… Cercai di ricostruire mentalmente tutto quel circuito ma quel maledetto bip bip mi entrava nel cervello.

- Sai qual è la cosa più buffa? Che non sono nemmeno i minuti più difficili della mia vita…
Il suo tono era quasi divertito, era la voce alla Tony, quella di chi non prende le cose mai sul serio… o quasi… Poi cambiò e mi urlò quasi rabbioso.
- Ziva dimmi qualcosa!
Sembrava che più che la situazione lo disturbasse il mio non parlare, ma tutte le mie attenzioni ora erano su quei maledetti fili.
- Zitto Tony, fammi concentrare, o moriremo entrambi tra poco.
- Io morirò Ziva. Tu puoi andartene quando vuoi. Non ho mai chiesto che qualcuno morisse per me.
Le sue parole mi colpivano come pugni in pieno volto, ma molto più dolorosi. Dopo tanti anni capii quando male potevo aver fatto con delle semplici parole sbagliate dette nel momento sbagliato. Ma ora non potevo permettermi di parlare, di lasciarmi sopraffare dalle emozioni. Ora dovevo essere gelida, più del solito. Non potevo lasciare Tony lì a morire da solo, ma ora non potevo morire nemmeno io. Yehouda mi aveva sottovalutato, 360 secondi bastavano per disinnescare quel congegno. 

- Tony ti fidi di me?
- Ho scelta Ziva?
Ci guardammo negli occhi, per qualche secondo di quelli che rimanevano. Sul timer i numeri sembravano scorrere ancora più veloci di quanto era in realtà. Tra un bip bip e l’altro sentivo solo il rumore dei nostri cuori che battevano in preda all’adrenalina. Avevo deciso quale filo tagliare, estrassi il coltello.
Guardai di nuovo Tony e lui guardava me.
- Vattene Ziva, vai via fai ancora in tempo.
No, non potevo andarmene, non potevo lasciarlo così. Lui non lo avrebbe mai fatto.
Presi il filo verde tra le mani, e mi avvicinai ancora di più a lui. Le nostre labbra si sfiorarono, gli occhi di Tony si spalancarono per la sorpresa del mio gesto. Poi chiusi i miei tagliai il filo mentre continuavo a baciarlo.

Diedi un colpo netto e sentii solo silenzio. Allontanai le mie labbra dalle sue, guardai il timer ed era spento. Sorrisi. Tony aveva ancora la faccia completamente inebetita. 
- Adesso dovresti dire “Ho vinto io” come Christian Slater in “Nome in codice: Broken Arrow” dopo che ha disattivato la bomba. - Mi erano mancate le sue citazioni dei film…
- E’ andata - sospirai sorridendo
- E se non andava?
- Era il modo migliore di morire, Tony
- Con una bomba?
- No, con te.



Con me.
- Dai Ziva, toglimi tutta questa roba di dosso.
Le sue mani con il pugnale rapidamente stavano sciogliendo tutte le corde che mi tenevano legato. Sembrava il battito d’ali di una farfalla che mi accarezzava dandomi la libertà di nuovo.
Sentivo i muscoli indolenziti degli avambracci muoversi lentamente e riprendere una posizione più consona, le caviglie libere e quella cintura finalmente slegata.
- Andiamo!
Non era un invito era un ordine. Mi alzai e barcollai un po’. Poggiò il suo braccio sul mio fianco e mi sostenne. La lasciai fare, posai il mio braccio sulla sua spalla ed uscimmo così dall’hangar.
La sua macchina era proprio lì davanti ma prima di riuscire ad entrarci diventammo il bersaglio una una serie di colpi che piovevano dall’alto. Li evitammo quasi tutti proteggendoci tra la vettura ed un albero fino a quando non sentii una fitta alla spalla destra e la voce di Ziva che urlava il mio nome.
Le bastò solo un colpo per abbattere quell’uomo rimasto sul tetto, poi mi fece salire in macchina e subito partimmo veloci.

- Devi andartene Ziva. Tra poco avrai tutto il Mossad che ti cercherà.
- Devo portarti in ospedale Tony. Al resto ci penserò dopo.



Devo pensare a te ora Tony. Devo pensare solo a te adesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Against All Odds ***


…’Cause we shared the laughter and the pain
And even shared the tears
You're the only one who really knew me at all …


Avrei raggiunto l’ospedale più vicino in un quarto d’ora circa traffico permettendo. Tony perdeva molto sangue dalla ferita alla spalla ma per fortuna non erano stati colpiti organi vitali. Lo aiutai a salire in macchina e gli diedi la mia giacca.
- Tienila premuta sulla ferita, ce la fai?
Annuì solamente e lo accarezzai sulla fronte. Sentii un brivido ma non riuscii a capire se ero io che stavo tremando o lui. Salii anche io e partii immediatamente. In auto nessuno disse una parola.

Arrivati all’ospedale sapevo che non potevo rimanere lì, che sarebbe stato troppo pericoloso per entrambi. Urlai per chiamare un infermiere che corse fuori a vedere la situazione. Tony aveva perso i sensi perché stava perdendo troppo sangue. Appoggiai le mie labbra sulle sue, gli accarezzai i capelli e poi scappai via correndo con le mani ancora sporche del suo sangue.

Non potevo andare a casa, non sapevo dove andare. Mi ritrovai senza fiato in un vicolo della vecchia di Tel Aviv vicino al porto di Jaffa e caddi in ginocchio a piangere. Erano passati 3 anni. 3 anni nei quali avevo volutamente soffocato il mio presente, cancellato il mio futuro per cercare di correggere il mio passato, per essere diversa. 3 anni nei quali avevo rinunciato a lui e a noi perché così sarebbe stato meglio per tutti. 3 anni in cui avevo cambiato vita pensando che certe situazioni non sarebbero più tornate. Ed invece no. Non è così. Non si può cancellare il passato, non si può cancellare quello che si è stati, non si può da un giorno fare finta di nulla, perché se tu non cerchi il tuo passato, sarà lui a cercare di nuovo te e lo farà sempre nel modo peggiore. Chi ero io adesso? Cosa ero? Una patria che più che una madre si è sempre dimostrata una matrigna che come un serpente mi avvolgeva nelle sue spire eppure dalla quale non riuscivo a distaccarmi per via di queste maledette radici che sentivo nonostante tutto così forti. Una seconda casa che mi aveva dato tutto quello che potevo volere e che avevo abbandonato. Ed ora non sapevo dove andare, e c’era Tony in ospedale e non potevo nemmeno sapere come stava.

Una mano si poggiò sulla mia spalla.
- Ziva…
Alzai lo sguardo e lo vidi. Erano passati quasi 2 anni dall’ultima volta, ma sapevo che la sua presenza era sempre vicino a me, silenziosa ma costante.
- Noah…
- Non ti preoccupare Ziva. Penso a tutto io.

E così fece. Salii nella sua auto, mi diede un nuovo cellulare, buttò via il mio, mi fece trovare una borsa con delle cose che aveva preso nella mia casa e mi portò fuori Tel Aviv in una zona isolata, dove non c’erano molte abitazioni. Parcheggiò davanti ad una casa bianca a due piani, circondata da un muretto di pietra altrettanto bianca. Non sapevo che posto fosse quello, non l’avevo mai visto. Era una casa modesta, il cui aspetto era rovinato dal vento e dalla sabbia e da una manutenzione non troppo frequente. Ci avvicinammo al piccolo cancello e la cosa che mi colpii è che invece che aprirlo Noah sollevò una mattonella del muretto e digitò un codice. Poi entrammo. Pochi passi e fummo davanti al portone, anche qui scostò una lastra metallica sul muro del portico ed inserì nuovamente un codice. Potemmo entrare.

L’aspetto interno della casa era completamente in contrasto con quello all’esterno, dismesso e non curato. Mi guardavo intorno titubante, osservavo moderni sistemi di sicurezza che riconoscevo dai controller e gli schermi per video sorveglianza sul muro, mobili ed arredi di pregio: dei grandi divani messi a ferro di cavallo con al centro un tavolo basso ed una grande tv a schermo piatto in fondo. Sulla sinistra una cucina di ultima generazione era divisa dall’ambiente principale solo da un basso muretto in pietra sopra il quale si trovavano una serie di apparecchiature elettroniche delle quali al momento non capivo la funzione.

- Seguimi - disse Noah indicandomi i tre scalini alla destra - Metto qui le tue cose.
Apri la porta di una camera dove c’era solo un grande letto matrimoniale e un armadio.
- Giù c’è il bagno, questa è la stanza più sicura di tutta la casa. Starai qua.
- Dove siamo?
- Era il rifugio di tuo padre. Da usare solo in caso di assoluta necessità. Qui c’è tutto quello che ti può servire per un bel po’ di tempo. Vestiti, soldi, acqua, cibo e munizioni.
- Ho chiuso con tutto questo, lo sai.
- Non si chiude mai Ziva.
- E lui?
- Non ora. Non è il momento.

Squillò un telefono. Era il suo. Ascoltò solamente non disse nulla e riattaccò.
- Era Yonah. Tony è stato operato, è fuori pericolo, ma è stato messo in stato di arresto dalla polizia dietro insistenza del Mossad. Appena starà meglio verrà preso in custodia da loro e trasferito.



- Agente Antony Di Nozzo, mi sente?
Feci segno di sì, con la testa, mi tolsi la maschera d’ossigeno dal volto. Avevo fili e tubicini ovunque e la testa che mi scoppiava. Tutto quello che ricordavo era un sogno o era vero? Provai a muovere il braccio destro ed una fitta dalla spalla si irradiò su tutto il corpo. Ok, era vero.
- Agente Antony Di Nozzo, la dichiaro in arresto per l’uccisione di un agente del Mossad e per essere entrato illegalmente in Israele. Appena le sue condizioni lo permetteranno verrà trasferito in una nostra struttura. Al momento rimarrà qui piantonato dai nostri agenti. Abbiamo già avvisato la sua ambasciata che è al corrente di tutto. Le manderanno un avvocato.
Tutto come aveva detto Yehouda prima… ma quanto prima? Quanto era passato? E Ziva dov’era? Se ne stavano andando
- Dov’è Ziva?
Dissi solo questo forse perché solo questo mi interessava.
- La stiamo cercando anche noi. 
Le sue parole non mi stupivano. Ero però contento perché se la cercavano vuol dire che era libera e se la sarebbe cavata.
- Che giorno è? - aggiunsi
- Sono passate solo poche ore da quando l’hanno porta qui Agente, abbiamo tutto il tempo per trovarla.
Se ne andarono. Guardai fuori dalla finestra, cominciava a fare buio. l’anestesia ancora non aveva esaurito del tutto il suo effetto. Con la mente che vagava in cerca di appigli tra i ricordi mi addormentai ancora.

La notte mi svegliai di soprassalto un paio di volte, rivivendo quanto successo. Mi agitai molto perché le macchine cominciarono a suonare e venne un’infermiera per darmi un sedativo. Il dolore alla spalla si faceva più intenso man mano che l’effetto dell’anestesia svaniva. Ma non era la cosa che faceva più male.
L’avevo rivista, per qualche istante, le avrei voluto dire 3 anni di pensieri, di notti insonni, ma non riuscii a dirle niente. Perché quando ero solo sapevo esattamente cosa dire, perché in 3 anni mi ero preparato 1000 diversi discorsi da farle se un giorno l’avessi potuta rivedere e trovandomela davanti non ero stato capace di dire nulla, ero stato solo il solito Tony? Con queste domande che mi tartassavano mi addormentai di nuovo.

- Signor Di Nozzo, dobbiamo portarla a fare un’esame.
Disse un infermiere in un inglese abbastanza buono.
Lui e la sua collega mi staccarono tutti quei tubicini fastidiosi e mi misero su una barella. Poi la collega si allontanò e mi l’uomo spinse la barella fuori dalla porta, ma appena la varcammo un agente ci fermò.
Parlarono in ebraico e non capii nulla di quello che si stavano dicendo, ma l’infermiere gli mostrò quella che doveva essere la mia cartella clinica facendogli leggere un foglio. Diede quindi l’autorizzazione a farci passare.
Appena girammo l’angolo e fummo nel corridoio laterale mi disse
- Abbiamo solo 40 minuti.
- Ma tu chi sei? 
- Sono uno che risolve i problemi… 
- Ah, allora sei il Signor Wolf di Pulp Fiction!
Non capii più nulla, vidi solo un’altra figura maschile con camice bianco che si avvicinava e mi mise un fazzoletto sulla faccia. Mi addormentai di nuovo.

Mi svegliai e non sapevo dove mi trovavo. Non era un ospedale, non era un carcere. Era una casa o almeno così sembrava. Ero su un letto matrimoniale ed avevo di nuovo un maledetto ago infilato nel braccio con qualcosa che scendeva piano piano.
Restai a guardarmi intorno per qualche minuto senza dire una parola, poi si aprì la porta.
- Ciao Tony.



Si era svegliato. Mi avvicinai lentamente fino a quando non fui vicino al letto. Gli passai una mano sulla fronte. Scottava molto, aveva sempre la febbre molto alta e non accennava a scendere. Lo guardai cercando di nascondere la preoccupazione dai miei occhi e abbozzai un sorriso. Lo fece anche lui. Come tolsi la mano dalla sua fronte, con la sua cercò di prendere la mia, la avvicinai alla sua e lo lasciai fare. Se la portò sulla guancia, cercando una carezza che non gli feci mancare.
- Resta con me - mi disse
Avvicinai la sedia e mi sedetti vicino al letto, senza mai lasciare la sua mano. Si addormentò di nuovo e io rimasi lì con lui ad aspettare il suo risveglio.
Tony continuava ad agitarsi e la febbre continuava a salire, stringevo la sua mano per fargli sentire che c’ero, che ero lì con lui, poi si svegliò improvvisamente, con gli occhi sbarrati guardava il soffitto e poi si girò verso di me.
- Non mi lasciare - sussurrò con un filo di voce
- Sono qui, Tony.
Noah entrò nella stanza senza bussare.
- Ah lui è l’infermiere… - Disse Tony cercando di usare il suo solito tono scanzonato ma Noah non gli prestò attenzione
- Ziva, Mi ha chiamato Yonah, devo sistemare una cosa. Torno fra poco.
Annuii e lui uscì.
- Chi è lui? - Chiese Tony non appena la porta si chiuse di nuovo
- Un amico.
- Un amico. Un amico come me?
- Nessuno è come te, Tony.
- Te l’ho già detto che è bello rivederti?
- No, non me l’avevi detto. 
- E’ bello rivederti, Ziva.
- E’ bello rivederti, Tony.

Avremmo voluto dire molto di più tutti e due, ma non riuscivamo a dire altro. Lo guardavo e vedevo la sua espressione stringersi in smorfie di dolore e poi cercare di sorridermi di nuovo. Sorrisi che ricambiavo cercando di nascondere la mia apprensione per tutta quella situazione. Era così diverso dall’ultima immagine che avevo di lui mentre saliva in aereo, eppure gli occhi erano gli stessi di quando mi stava dicendo addio, velati di tristezza che cercava di nascondere.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Iris ***


… And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
‘Cause sooner or later it’s over
I just don’t want to miss you tonight …

Mi svegliai all’improvviso sentendo la porta chiudersi. Guardai l’orologio era ancora sera. Mi ero addormentata per poco più di un’ora e tenevo ancora la mano di Tony. Anche lui dormiva. La lasciai delicatamente per non svegliarlo e presi la pistola. Mi appostai dietro la porta della camera scostandola appena.
- Ziva, sono io.
Era Noah, rimisi la pistola nella fondina ed uscii dalla camera. Era con Yonah. E non erano soli.
- Ciao Ziva.
- Ciao Gibbs.
Lo stupore per vederlo in quella situazione era tanta quanta la gioia per il fatto che fosse lì. La sua presenza mi rassicurava.
- Puoi dire al tuo amico di slegarci adesso?
Gibbs e McGee erano legati con le braccia dietro la schiena tenuti rispettivamente da Noah e Yonah che li liberarono immediatamente.
- Ciao Tim
- Ciao Ziva… era tanto tempo che… - balbettò McGee interrotto da Gibbs
- Bene, ora ci siamo salutati tutti. Dov’è Tony?
- E’ di là, sta riposando, è stato ferito.
- Perché è qui?
- Perché è accusato di aver ucciso un agente del Mossad e di essere entrato illegalmente nel paese. Lo avevano arrestato in ospedale. Lo abbiamo portato qui prima che venisse trasferito. Gibbs io…
- Dopo Ziva, dopo…
Così dicendo andò verso la camera dove si trovava Tony e lo seguii, rimanendo fuori dalla porta.

- Pivello! Tutto ok?
Tony nel sentire la voce del suo capo si svegliò e cercò di tirarsi su senza successo.
- Sì capo tutto ok. Dammi solo qualche giorno per rimettermi in piedi.
Gibbs si avvicinò a lui lo aiutò a tirarsi su. Anche lui si accorse di quanto scottava.
- Ziva! - Mi chiamò come ad impartirmi un ordine, come tante volte aveva fatto - Credo che sia meglio medicare quella ferita di Tony, ci pensi tu?
Annuii semplicemente ed andai a cercare tutto il necessario che Noah mi aveva procurato

- Ti trovo bene… - Mi disse McGee cercando di rompere il momento di imbarazzo dopo tanto tempo che non ci vedevamo e per la presenza di Noah e Yonah che lo mettevano visibilmente a disagio.
- Anche io Tim, ti sei dimagrito.
- Ci sei mancata. Molto. A tutti. Cioè, voglio dire, in maniera diversa, ma sei mancata a tutti.
- Mi siete mancati anche voi. Tutti.

La nostra squadra aveva sempre avuto una caratteristica particolare, facevamo tutti fatica ad esprimere i nostri sentimenti. Ognuno li celava a modo suo, aveva pudore a mostrarli. Tony con le sue battute ed il non prendere nulla troppo sul serio, Tim con la sua timidezza che difficilmente lo faceva esporre. Gibbs con i suoi silenzi infiniti e gli sguardi taglienti. Io con le mie negazioni e il costruirmi intorno barriere per non apparire debole. Sapevamo che ci volevamo bene, sapevamo che eravamo tutti importanti gli uni per gli altri ma non ce lo dicevamo. Tutti tranne Abby, ovviamente. Lei compensava per tutti noi con le sue dimostrazioni esagerate ogni volta. Non sopportavo i suoi abbracci all’inizio così come lei all’inizio non sopportava me, ora però mi mancavano. Erano abbracci caldi e sinceri anche nella loro esagerazione. Perché Abby era così, esageratamente sincera, senza filtri e ti dava tutto quello che aveva.

Avevo preparato tutto e stavo per andare da Tony quando sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla. Era Gibbs. Lui sempre così tremendamente di poche parole, oggi sembrava averne ancora meno. Poggiai la mia mano sopra la sua. Sembrò capire che gli stavo dicendo che lo ringraziavo per essere lì.
- Tony ti aspetta.
Non so se era solo una mia sensazione o una suggestione, ma mi sembrava che quell’aspetta non si riferisse a quel momento specifico. Era un’altra l’attesa che Gibbs voleva farmi intendere.

Entrai in camera ed accesi una luce più forte di quella flebile che veniva dalla lampada in fondo alla stanza.
Tony era seduto sul letto e sembrava provare fastidio per la luce così intensa. Aveva il torace nudo e una grande fasciatura che gli copriva la spalla destra e parte del torso.
Mi sedetti sul bordo del letto proprio davanti a lui e appoggiai sulla sedia tutto il materiale necessario per la medicazione. Facendo molta attenzione tagliai le bende scoprendo la sua ferita che non aveva per niente un bell’aspetto.
- Se tutte le infermiere in Israele sono così, verrò sempre a farmi curare qui.
- Smettila Tony - ma non riuscivo nemmeno a rimproverarlo per quelle battute sceme ed inappropriate.
- Come mai sono qui? Li ha avvisati l’ambasciata?
- No li ho chiamati io prima di trovarti. Non sapevo cosa sarebbe successo e ho chiamato Gibbs.
- Gibbs sa sempre cosa fare, vero?
La medicazione era finita ma quella cicatrice era veramente strana… Ora dovevo fasciarlo di nuovo. Lo alzai e vidi che non riusciva a rimanere seduto senza appoggiarsi allo schienale del letto.
- Appoggiati a me, così posso fasciarti più facilmente. - E così avvicinai il suo petto al mio. Sentivo il suo respiro sul mio collo e un flash passò nella mia mente. Non senza qualche difficolta facevo passare le bende intorno al suo torace.
- Non sai quante volte ho sognato di stare così - Mi sussurrò, ma io non risposi. Finita la fasciatura lo feci sdraiare nuovamente e lo coprii. Tremava. Gli passai una mano tra i capelli e sulla fronte. Era sempre più caldo, la febbre non scendeva.
- Andrà tutto bene Tony, stai tranquillo.
Ma non sapevo se lo stavo dicendo a lui o volevo convincere me stessa che quella sensazione che avevo non fosse vera.

Gibbs e McGee erano sempre nell’altra stanza quando mi videro arrivare.
- La pallottola che ha colpito Tony era avvelenata.
- E tu come lo sai Ziva?
Mi chiese Gibbs più preoccupato che sorpreso.
- Lo so perché le ho utilizzate molte volte. Devo trovare l’antidoto, altrimenti Tony… morirà!
Adesso ero visibilmente sconvolta. Gibbs con entrambe le mani strinse le mie braccia come a volermi scuotere, ma invece mi tenne ferma nella sua solida presa.
- Calmati Ziva. Ne sei proprio sicura?
Annuii.
- Va bene. Cosa vuoi fare?
- Porterò qui un medico e poi andrò a prendere l’antidoto. Al Mossad.
- Ziva, è folle - Intervenne Noah che fino ad ora aveva ascoltato la conversazione in silenzio, distaccato come se non lo riguardasse tutto quello che stavamo dicendo.
- Non ho altra scelta. Tony non ha altra scelta.
- Hai pensato alle conseguenze? Hai pensato a cosa potrebbe accadere?
- Non ho altra scelta, Noah. - Gli ripetei solamente questo.
- Io e Yonah veniamo con te.
- No, voi rimanete qui, con loro. Devo andarci da sola. Dammi le chiavi della macchina.
Poi andai verso un armadio dove Noah mi aveva detto che avrei trovato tutte le scorte di armi necessarie. Frugai un po’ tra i cassetti e poi trovai quello che cercavo. Riempii il caricatore della mia pistola.
- Ziva! - mi voltai verso Gibbs - Stai attenta.
Feci un cenno con la testa ed uscii.

Arrivai sotto casa del dottor Baer e non dovetti attendere molto che tornasse dal turno di notte. Aspettai che arrivasse davanti al portone.
- Ciao Chalom.
Si voltò sorpreso.
- Ziva, che piacere vederti.
- Ho bisogno del tuo aiuto.
- Va bene Ziva, si tratta di lui?
- No, andiamo. Prendiamo la mia auto.
E gliela indicai in fondo al viale. Si voltò e si diresse verso la macchina, io lo seguivo e quando fummo vicino all’auto lo colpii alla nuca. “Scusa Chalom” pensai. Lo caricai lato passeggero, gli misi un passamontagna e gli bloccai i polsi con una fascetta. Tornai velocemente verso casa.
Noah mi attendeva nel parcheggio. Non spensi nemmeno il motore.
- Lei è nel suo ufficio adesso. Sta aspettando una conference con gli Stati Uniti. Rimarrà fino a tardi.
Lo ringrazia per l’informazione, aspettai che prese il dottore per portarlo dentro e ripartii subito.

Quel palazzo lo conoscevo alla perfezione. Avrei potuto disegnare ad occhi chiusi una mappa di tutte le stanze e tutti i corridoi. Compresi quelli nascosti. Tutti sapevano che il quartier generale del Mossad era altrove, in pochi sapevamo che l’ufficio del direttore si trovava in un anonimo ufficio nella “Città Bianca” , in uno di quei palazzi in stile Bauhaus degli anni 30 in una traversa del Rothschild Boulevard.
Se non avevano cambiato troppo i sistemi di sicurezza entrare non sarebbe stato difficile, sapevo dove si trovava il quadro per disinserire i controlli perimetrali. Li disinnescai senza troppi affanni. Passando da una scala posteriore arrivai esattamente davanti ad una finestra nel corridoi del piano superiore. La forzai e fui dentro. Contai i passi che da lì mi avrebbero diviso dalla porta dell’ufficio del direttore. Appena vi fui davanti estrassi la pistola ed aprii la porta.
Lei era lì, seduta. Si voltò verso di me e mi guardava sorridente. Non sembrava sorpresa di vedermi. Anzi…
- Ziva, ma che piacere piacere rivederti dopo tanto tempo!
La sua voce era sarcastica, volutamente sarcastica. Le tenevo una pistola puntata contro eppure era estremamente calma, tranquilla.
- Non posso dire lo stesso Orli.
- Solo perchè tu non mi hai mai sopportata Ziva, per via di quel rapporto con tuo padre. Ti aspettavo sai?
La guardai perplessa. La sua totale mancanza di preoccupazione mi irritava.
- Sei stupita, Ziva? Ma veramente pensavi che avresti portato via un uomo sotto la nostra custodia così facilmente? E che altrettanto facilmente saresti arrivata fino a qui? Se lo hai fatto è perché te lo abbiamo permesso, perché evidentemente ci conviene così. Ed ora so benissimo cosa vuoi. Ti aspetti che io te lo dia, vero?
- Me lo darai Orli.
- E cosa ti fa credere che io ti dirò dove si trova?
Stava giocando con me. Mi stava provocando. E si divertiva.
- Sai Ziva, sono sempre più convinta che se tu non fossi andata negli Stati Uniti e non ti fossi unita ai tuoi amici dell’NCIS, se avessi seguito gli insegnamenti di tuo padre e gli fossi stata più vicino e più fedele, se fossi stata una figlia leale come lui avrebbe voluto che tu fossi da quando eri una bambina, oggi questo ufficio sarebbe il tuo. Invece non ti sei mai voluta evolvere Ziva, non hai mai cercato di diventare qualcosa in più nel Mossad se non un’assassina, un’esecutrice di ordini altrui.
Non volevo sentire ancora una parola dalla sua bocca. Sparai un solo colpo sulla sua mano sinistra poggiata sulla scrivania. Non fece un gemito, non si sentì altro rumore del sibilo della pistola con il silenziatore.
- Ora non solo mi dirai dov’è, ma lo prenderai tu, perché ti ho appena sparato con lo stesso tipo di proiettili con cui avete colpito l’Agente Di Nozzo.
- L’Agente Di Nozzo… Suvvia Ziva non essere così formale quando parli del tuo Tony!
Rise. Le avevo appena sparato una pallottola avvelenata su una mano e quella donna mi stava ridendo in faccia. Era una battaglia di nervi ed io nonostante tutto la stavo clamorosamente perdendo. La vidi muoversi verso il cassetto della scrivania allora alzai la mira della pistola.
- Non ti muovere
Lei rimase ancora impassibile. Si girò e mi guardò con un’espressione fintamente stupita
- Ma Ziva deciditi! Vuoi o non vuoi quelle fiale? Sono qui, nel mio cassetto. Ti ho detto che ti aspettavo e che sapevo cosa volevi. Ma tu, non mi hai dato tempo di prenderle. Vedi perché io sono su questa sedia e tu rimarrai sempre e solo un’assassina del Mossad?
Fece scivolare la confezione lungo la scrivania che si stava macchiando sempre più del suo sangue, ma lei non se ne curava. Aprii la confezione e controllai. C’erano 6 fiale. Istintivamente non so nemmeno perché lo feci, ne presi una e la lasciai sul tavolo.
- Io non sono su quella sedia perché non ho mai avuto intenzione di sedermici, non mi è mai interessato manovrare le persone come burattini e giocare con la vita delle persone.
- Già, tu di solito giochi con la morte delle persone, ti riesce meglio… Fai pure con calma ad uscire Ziva, nessuno ti fermerà e nessuno ti farà nulla. Oggi.
Disse “oggi” con ancora più sarcasmo di tutto il resto. Sembrava che nonostante tutto lei si stesse divertendo, che la commedia che aveva scritto stava andando esattamente come si aspettava e che io ero solo l’attrice che la stava interpretando seguendo il suo copione.
- Comunque non capisco perché sei venuta a cercare da me qualcosa che avevi già a casa… Dovevi solo cercare meglio… Salutami il tuo Tony ed anche il mio amico Gibbs… E’ un peccato che non mi abbia chiamato o non sia passato a salutarmi.
- Addio Orli.
- Oh no Ziva, non addio. Arrivederci. A molto presto.
Non la stetti più a sentire e me ne andai facendo la stessa strada che avevo fatto per arrivare. Quando raggiunsi la macchina guardai verso la sua finestra, la luce era ancora accesa e dietro alla finestra mi parve di vedere la sua ombra. Dovevo tornare a casa ora che avevo quello che mi serviva.

--- --- --- --- ---


- Agente Di Nozzo? Tony? Mi sente?
Sentivo una voce in lontananza, facevo fatica a risvegliarmi, facevo ogni volta sempre più fatica. Aprii gli occhi ma la luce anche se molto bassa mi dava fastidio.
- La sento - sussurrai con parole impastate perché facevo fatica anche a parlare.
- Sono il dottor Baer, la devo visitare.
- Va bene dottore.
Mi tagliò via la benda, guardò da vicino la mia cicatrice, mi tastò il petto. Sentivo dolore ma non riuscivo a reagire. Mi misurò la pressione, guardò gli occhi e la bocca. Poi lo sentivo parlare con Gibbs, anche lui era lì non lo avevo nemmeno visto, ma la sua voce mi indicava la sua presenza.

- Ha avuto problemi di nausea o vomito?
- Non che io sappia, ma non ha mangiato nulla. Si sta alimentando solo con queste flebo.
- Il battito molto alterato, la febbre alta ed i dolori addominali mi fanno pensare effettivamente ad un principio di intossicazione da tallio, sì probabile che fosse contenuto nel proiettile. Dovrei controllare che non sia rimasta qualche piccolo frammento.
- E’ grave?
- Se non troviamo un antidoto a breve può diventarlo.
- Ziva lo troverà.

- Capo sto morendo, vero?
- Di Nozzo, non scherzare. Ziva è andata a prendere l’antidoto. Non sei così grave!
Non ho mai capito se quelle parole che mi stava dicendo le pensava realmente o voleva solo rassicurarmi. Ma ero troppo debole per pensarci perché mi addormentai di nuovo.

--- --- --- --- ---

Era notte fonda quando rientrai, ma erano tutti svegli ad aspettarmi. Chalom era seduto sul divano, con una borsa del ghiaccio sulla nuca. Gli diedi il pacchetto con le fiale.
- Scusami Chalom
- Mi avevi già colpito tanto tempo fa Ziva, lo sai…
Arrossii, anche se non era quello il momento migliore.
- Andiamo da Tony, voglio trattarlo il prima possibile.
Ci spostammo tutti in camera da Tony che era evidentemente in preda alla febbre alta. Si agitava nel letto e si lamentava.
Chalom scoprì il torace di Tony, osservò ancora la ferita.
- Tony mi sente?
Tony aprì gli occhi e annuì.
- Ora le devo fare una cosa che le farà male, ma è necessaria, ha capito?
- Sì dottore.
Tony ci cercò tutti con lo sguardo: McGee, Gibbs e poi me.
- Qualcuno dovrebbe tenere fermo il braccio di Tony - Disse Chalom
- Lo faccio io. - Risposi subito.
Mi fece vedere come dovevo tenerlo, ma poi non guardavo più Chalom, ma solo Tony e lui aveva voltato la testa dalla mia parte.
Mentre il dottore puliva la ferita internamente, Tony cominciava a sentire molto dolore e stringeva forte la mia mano e più lui stringeva, più io lo stringevo e tenevo fermo il suo braccio. Volevo farlo stare fermo, sì, ma anche fargli sentire che c’ero, che ero lì con lui. Lo guardavo negli occhi, intensamente. “Va tutto bene” gli volevo dire “va tutto bene, sono qui con te”.
Chalom fu rapido e Tony sopportò bene anche le iniezione che gli fece dopo una con l’antidoto, l’altra con un calmante per farlo riposare, nonostante la paura per gli aghi lo fecero voltare dall’altra parte.
- Adesso lui deve solo riposare e noi possiamo solo aspettare domani sera per vedere come starà… O meglio stasera visto l’orario…
- Non possiamo fare altro per lui? - Chiese McGee visibilmente preoccupato per il suo amico
- No, l’unica cosa è tamponarlo con dell’acqua fredda per dargli un po’ di sollievo per la febbre altra. Nulla più.
- La vado a preparare - disse Tim

Rimanemmo tutti lì vicino a Tony, aspettando che si addormentasse, cosa che avvenne dopo poco. Tim rientrò con l’acqua e la mise sul comodino.
- Voi andate, rimango io qui con lui
- Al piano superiore ci sono delle stanze, potete andare a riposarvi. Noah vi darà tutto quello che vi occorre. Ah Chalom, grazie.
- Dovere…

Tim e Chalom se ne andarono. Gibbs rimase ancora vicino a me.

- Dovresti riposarti
- Ho fatto una certa esperienza di notti insonni Gibbs… Sto bene…
- Come vuoi… - Mi appoggiò una mano sulla spalla. Mi voltai a guardarlo.
- Non come Roy Sanders Gibbs, non come lui. Perché ogni volta è sempre così? Perché è sempre così difficile?
- Tranquilla Ziva, Abbiamo l’antidoto. Tony non è molto che è esposto al contagio. Tu l’hai capito subito. Si riprenderà vedrai. Tony è forte, lo devi essere anche tu.

Mi diede un bacio in fronte ed uscì anche lui lasciandomi sola con Tony

Nota: Roy Sanders era il protagonista della puntata 4x16 “Condannato a Morte”, un tenente della marina avvelenato da tallio. Tra lui e Ziva durante la puntata nascerà del tenero e nella puntata successiva si scoprirà che poi lui è effettivamente morto avvelenato.

Dopo i primi capitoli più introduttivi, stiamo entrando nel vivo della storia. Spero che quanto letto fino ad ora vi sia piaciuto.
Ora devo revisionare altri dei capitoli già scritti, quindi non penso che aggiornerò con la frequenza di questi giorni.
Se avete idee e consigli, ma anche critiche, scrivete pure che tutto è utile :)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lullabye ***


... Goodnight, my angel
Time to close your eyes
And save these questions for another day
I think I know what you've been asking me
I think you know what I've been trying to say ...


Eccoci qui Tony… Soli io e te… Tu che dormi e combatti su quel letto… Io qui che ti parlo convinta che in qualche modo tu possa realmente sentirmi. 
Non puoi lasciarmi ora Tony, non puoi. Devi resistere, devi essere più forte. Più forte del destino, più forte del veleno. 
Voglio rivederti salire le scale di quell’aereo che ti porterà nuovamente lontano da me alla tua vita, perché la cosa più importante è che tu stia bene.
Vorrei poterti dire di rimanere qui, con me, ma non sarebbe giusto nemmeno adesso. E venire via con te… Non sai come lo vorrei ma… Non posso dopo tutto questo tempo tornare dal nulla e sconvolgere la tua esistenza.
Mi rendo conto solo ora che sono stata vittima delle mie stesse scelte. Per cercare delle risposte a domande che una risposta non l’avranno mai ho rovinato il nostro futuro. 
Non sono mai riuscita a mettere a tacere i miei sentimenti in questi anni ma non pensavo che rivederti mi avrebbe così profondamente toccato, pensavo di essere più forte, di riuscire a controllare meglio le mie emozioni ed invece sei arrivato portando con te uno tsunami di emozioni contrastanti. 

Quante volte ci siamo allontanati e ritrovati? Quante volte ci siamo, nonostante tutto, cercati anche quando il destino diceva il contrario. Non siamo però mai stati in grado fino in fondo di dirci quello che provavamo, cercando rifugio in altro. Ho pensato molte volte che forse lo abbiamo fatto perché la nostra amicizia ed il nostro rapporto era così sincero, bello e profondo che non potevamo metterlo a rischio complicandolo con l’amore.

Questa volta pensavo proprio che il destino avesse smesso di giocare con noi, che avesse deciso che dovevamo rimanere distanti per sempre, non vederci più. Invece a quanto pare la parola fine non era stata scritta 3 anni fa, c’era un altro capitolo da raccontare della nostra storia.
Certe volte bisogna prendere le decisioni sbagliate per capire che lo erano, per capire quale invece sarebbe stata la cosa giusta. Il problema è che ce ne accorgiamo solo dopo.
La mia razionalità dovrebbe bloccare la mia mente, non farmi illudere che ci possa essere un futuro per noi. 

Vorrei avere un libro vuoto di 1000 pagine bianche da scrivere di noi insieme. Vorrei dirti tutto di me, vorrei sapere tutto di te. Vorrei scrivere di noi fino a quando le mani non saranno troppo vecchie e tremanti per scrivere.

Vorrei… crescere con te i nostri figli e vedere i nostri figli crescere i nostri nipoti.

Vorrei non essere così stupida da illudermi che il nostro futuro possa avere un lieto fine, ma soprattutto Tony, ora vorrei vedere che stai bene, vorrei rivederti in piedi che mi stringi in quell’abbraccio che non ci siamo ancora dati.

Nota: questo capitolo molto breve è solo un viaggio nella mente di Ziva che parla a Tony, una persona divisa tra quello che vorrebbe per loro e la sua vita, nelle sua perenne lotta tra quello che si deve fare ed i suoi sentimenti, tema che terrà banco per ancora altri capitoli. Spero che questi personaggi un po’ più introspettivi rispetto alla serie vi piacciano, anche se ho cercato di lasciare una parte delle loro caratteristiche originali.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Bridge over troubled water ***


… When you're weary
Feeling small
When tears are in your eyes
I will dry them all
I'm on your side
When times get rough …

McGee aveva usato tutta quella roba elettronica per creare un collegamento sicuro per comunicare con l’NCIS. Quando uscii dalla stanza di Tony era mattina presto, ma loro erano già lì al lavoro.

Dalla tv in fondo alla stanza la faccia del direttore Vance sembrava tutto tranne che contenta della situazione.
- Gibbs! Ma come ti è venuto in mente di andare a Tel Aviv con McGee senza autorizzazione e senza mettermi al corrente!
- Non c'era tempo per autorizzazioni e comitati di benvenuto, Vance!
- Perché sei lì con più di metà della squadra? Mi vuoi spiegare?
- La mia fonte a Tel Aviv mi aveva comunicato che Di Nozzo era stato rapito ed era in pericolo
- Era?
- Sì è stato liberato.
- Da voi?
- No, dalla mia fonte.
- E chi è la tua fonte che io non conosco?
- Ziva.
- Ziva? Ed è lì?
- Si direttore, sono qui.
- David... È bello rivederti, ti trovo bene. Ora volete gentilmente dirmi come stanno le cose?

McGee prese la parola per aggiornare il direttore sulla situazione, Gibbs gliene fu grato perché non aveva nessuna intenzione di parlare troppo. Come sempre.
- Di Nozzo è stato rapito a Washington da tre agenti del Mossad e portato in Israele. Ziva è stata contattata e messa al corrente. Poi ha avvisato Gibbs. Ha liberato Di Nozzo ma in seguito sono stati vittime di un agguato. 3 agenti del Mossad uccisi. Di Nozzo ferito con dei proiettili avvelenati. Portato in ospedale e messo in stato di arresto, Ziva lo ha portato via e condotto in questa postazione sicura.
- Quindi voi mi state dicendo che l'agente Di Nozzo è evaso dal Mossad e che è ricercato per omicidio dopo essere stato rapito dal Mossad stesso.
- Esatto direttore.
- E voi come siete arrivati lì?
McGee era in difficoltà a trovare una risposta, Gibbs intervenne.
- Un amico mi doveva un favore Leon.
- Non voglio sapere altro di questo Gibbs. Quindi voi ufficialmente non siete lì, giusto?
- Esatto.
- E la posizione di David qual'è?
- Civile. Ricercata per omicidio e tradimento.
- Qualche altra buona notizia Gibbs? - Chiese ironico il direttore
McGee poi ricordandosi di quello che gli aveva riferito Tony chiese se avevano notizie dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Israele.
- L’Ambasciata non sa nulla di voi, dovrebbero?
- A Tony avevano detto che l'ambasciata era stata avvisata della sua posizione. O qualcuno all'ambasciata fa finta di nulla o hanno mentito anche su questo. - Intervenni nella conversazione.
- Gibbs, McGee, David non fate azioni affrettate. Lasciatemi approfondire la situazione poi ci aggiorneremo.
Di Nozzo come sta adesso?
- Lo stiamo curando, questa sera vedremo se la cura farà effetto. - Disse Gibbs
- Fatemi sapere. Organizzerò il vostro rientro il prima possibile. Poi quando Di Nozzo...
- Direttore Vance, io ripartirò con tutta la mia squadra al completo. Fino a quando non saremo tutti in grado di partire da qui non si muoverà nessuno.
- Gibbs non sei tu a dare gli ordini.
- Non è un ordine Leon. È un dato di fatto.

La conversazione finì e lo schermo si spense. Istintivamente tutti e tre tirammo un sospiro di sollievo. Io ed il direttore Vance eravamo inevitabilmente per sempre legati da quella serata tragica, ma non mi ero mai completamente fidata di lui, a pelle non riuscivo a farmelo piacere del tutto.

- Gibbs, in tutta questa storia c’è qualcosa che non capisco. Ieri sera quando sono andata dal direttore Elbaz mi ha detto che mi aspettava, che sapeva che sarei andata da lei, sapeva cosa cercavo. E mi ha detto che era strano che cercassi quelle cose da lei, perché ne avevo qui a disposizione quanto volevo.
- Conosce questa casa quindi, sa dove siamo.
- Credo di sì. Ma non è tutto. Mi ha detto anche che tutto quello che avevamo fatto era perché lei lo aveva permesso. Sembra che mi stia usando, che stia usando tutti noi per ottenere qualcosa. Sapeva anche che tu eri qui.
- Ziva, oltre a noi che non abbiamo parlato con nessuno, qui ci sono solo i tuoi due amici. Del Mossad immagino…
- Sì, Noah mi è sempre stato vicino a modo suo, era l’uomo ombra di mio padre qui in Israele. Si fidava ciecamente di lui.
- Tuo padre si fidava anche di Bodnar Ziva…
Era tanto che non sentivo quel nome. L’origine di tutto questo, ancora lui a distanza di anni, con quello che aveva fatto, stava influenzando la mia vita indirettamente.
- Pensaci Ziva… Sicura che tutto quello che stanno facendo per te non lo stanno facendo con un secondo fine, che non fanno parte anche loro di tutto questa macchinazione
- Non lo so, Gibbs. Non so più niente… Non so più di chi mi posso fidare.
- Di noi ti puoi fidare Ziva. Della tua squadra ti puoi fidare.
La mia squadra. Gibbs mi vedeva ancora come una di loro.
- Ma Noah mi è stato vicino in un momento molto particolare… Mi ha aiutato…
- Ok Ziva, come vuoi tu. Tu lo conosci.
Lasciò cadere la discussione. Io immediatamente realizzai che erano già 4 giorni che era cominciata tutta questa storia…
- Devo andare Gibbs, devo fare una cosa urgente.

Incrociai Chalom che usciva dalla stanza di Tony
- Sta ancora dormendo - mi disse
Io non gli risposi nemmeno, presi le chiavi dall’auto dal tavolo
- Vado da Tamar - dissi a Noah ed uscii.

Dalla casa dove eravamo a quella di Tamar era circa mezz’ora di strada. Pensavo a cosa le avrei detto per essere spartita tutti questi giorni. L’ultima volta che ci eravamo sentite le avevo solo detto che non sarei andata quel giorno. Ne sono passati altri e non mi ero nemmeno fatta sentire. Chissà cosa stava pensando…

Parcheggiai fuori dal giardino e mi guardai intorno per vedere se era fuori, era fine ottobre ma le giornate erano ancora belle e calde. Arrivai davanti alla porta e bussai.
- Avram! Sei a casa anche tu? - Ero stupita di vedere il marito di Tamar a casa di mattina, non c’era mai. - Va tutto bene?
- Benissimo Ziva.
Tamar uscì dalla cucina con 3 tazze di te.
- Ciao Ziva - mi disse
- Ciao Tamar. Dov’è?
Mi indicò la porta dell’altra stanza ed io impaziente corsi dentro.
Quando entrai mi si gelò il sangue. C’era Orli Elbaz. Sorrise nel vedere il mio stupore e mi mostrò la mano fasciata, ricordo di poche ore prima.

- Te lo avevo detto Ziva che ci saremmo riviste presto.
- Dov’è?
- Al sicuro, non ti preoccupare. Sai Ziva, pensavo che bluffassi con quei proiettili invece erano veramente quelli di tuo padre. Me ne compiaccio.
- Dov’è? - Chiesi ancora più decisa.
- Te l’ho detto, è al sicuro. Ma tu pensavi veramente che io lasciassi la figlia di Eli David in Israele senza sapere tutto di lei? Senza sapere cosa faceva… Ziva, le traduzioni… Una con il tuo talento per uccidere che si mette a fare il lavoro da maestrina… Che spreco!
Rise di gusto, era contenta nel vedermi così tesa e preoccupata.
- Io so tutto di te Ziva. Tutto quello che hai fatto da quando sei tornata a Tel Aviv. Anche cosa è successo a Beer Sheva. Giorno dopo giorno. Stavo solo cercando il momento giusto per risolvere una questione che ho in sospeso da tempo. Ed ora i tempi erano maturi e le situazioni internazionali non potevano permettermi di rimandare oltre. Tuo padre aveva dei documenti. Mi disse che solo tu potevi prenderli, perché solo tu sapevi come poterli prendere. Solo tu avevi la chiave. Non abbiamo trovato nessuna chiave nella tua casa, quindi devo dedurre che sia una chiave non materiale. Quindi tu ora Ziva prenderai questi documenti per noi, ce li darai e noi ti ridaremo quello che abbiamo di tuo. Mi pare uno scambio equo, no?
- Io non so di cosa stai parlando Orli. Ma cosa c’entrano Tony e gli altri in tutto questo?
- Nulla Ziva, erano solo pedine. Avrei potuto fare tutto in altri modi, è vero. Ma così mi sono fatta molti più amici. Ho eliminato un elemento scomodo come Yehouda che ormai era incontrollabile, ma lo hai fatto tu. Ho fatto eliminare tre elementi già bruciati che non erano più utili ma sapevano troppe cose. E lo hai fatto sempre tu… per me. Ti ringrazio. Ho in Israele 3 cittadini americani entrati illegalmente di cui uno accusato di omicidio e per questo da Washington mi dovranno più di qualche favore…
- Persone che non c’entravano nulla… Persone innocenti…
- Ziva, ma ancora non hai capito? Ci sono cose più importanti… E le persone sono sacrificabili. Ricordatelo. Quel timer non sarebbe mai scattato, perché chi lo aveva dato a Yehouda lo aveva volutamente manomesso in modo tale che non sarebbe mai esploso qualunque filo tu avessi tagliato. Però così lui era convinto che si sarebbe vendicato, è anche morto felice che avrebbe ottenuto la sua vendetta contro tuo padre, non sei contenta per lui?
Rabbrividii.
- Cosa vuoi che faccia, dimmelo!
- Te l’ho detto. Devi portarmi quei documenti. Quando li avrai sistemeremo la questione. Intanto Noah ti terrà d’occhio. Come sempre.
- Anche lui?
- Tutti Ziva… ah no, non tutti… Shmeil… Quel povero vecchio ti voleva bene veramente, come i tuoi amici americani.

Se ne andò, lasciandomi lì a fissare la parete davanti a me. Il mondo mi era crollato addosso. Avevo abbandonato la mia vita in America per tornare in Israele ed essere solo usata dal Mossad. Tutte le persone che mi erano state vicino, tutte le persone che mi dicevano che era meglio che stessi lì lo facevano solo con un secondo fine…
Shmeil, quanto mi mancava adesso. Lui aveva sempre voluto che tornassi a Washington da Tony, lui che mi conosceva così bene, l’unica persona che dovevo ascoltare e non l’ho mai fatto…

- Mi dispiace Ziva…
Tamar era entrata dopo che Orli era andata via.
- Non lo dire Tamar, non dire nulla. Ti avevo affidato la mia vita. Mi hai tradito come il peggiore dei traditori. L’hai fatto nel modo peggiore, il più vigliacco…
- Ziva, piano con le parole…
Anche Avram ci aveva raggiunto… Portai la mano sotto la giacca ed impugnai la pistola. La estrassi e mi girai velocemente puntandogliela in faccia.
- Oh piano anche con questi giocattolini…
- Sei un bastardo Avram. Sei un bastardo…
- Mi aveva addestrato tuo padre, ho imparato dal migliore ad esserlo, non trovi?
- Mi vuoi uccidere? Vuoi sparare ad un uomo disarmato in faccia? - Si avvicinò alla canna della pistola - Pensi veramente che così facendo ti dimostreresti così migliore di noi come ti ritieni ora? Possibile che non capisci? Sei la figlia di Eli David e non capisci? Tutti siamo sacrificabili Ziva. Tutti. Anche le persone che tu ami, quelle che ami di più. Mi hai capito? Noi dobbiamo innanzi tutto pensare al bene del nostro popolo, alla salvezza della nostra nazione. Il resto è tutto di contorno. Possibile che non lo capisci Ziva?
No, non lo capivo. Forse non lo avevo mai capito, non lo avevo mai voluto capire e proprio per questo non sono mai riuscita a capire nemmeno mio padre. Forse per questo ero scappata negli Stati Uniti e per quanto mi fossi sforzata tornando di recuperare quello che ero prima non c’ero mai riuscita. Perché io non ero mai voluta essere questo.
- Ziva, metti giù quella pistola, non fare sciocchezze.
Era la voce di Noah ma non mi voltai nemmeno a guardarlo
- Cosa pensi che succederà alle persone a cui tieni se ora spari? Pensi che qualcuno vivrà ancora a lungo? Non hai ancora capito Ziva? Non devi fare nulla di complicato, devi solo prendere quei documenti, darli al direttore e poi tutto è finito.
- Non finirà mai Noah.
- Forse hai ragione. Ma così finirà subito e non nel modo in cui vorresti tu. Vuoi giocare con la vita delle persone che ami?
Abbassai la pistola, mi spostai ed ora li vedevo tutti e tre. Anche Noah aveva la sua pistola alta, puntata contro di me.
- Siamo arrivati a questo, dunque… Vi siete divertiti tutti alle mie spalle immagino eh… Vi ritrovavate a raccontare di quanto fossi stupida e patetica? Mi fate schifo…
- Ma tu - disse Avram - tu Ziva David, pensi di essere veramente migliore di tutti noi? Tu che hai ucciso tuo fratello per salvare uno sconosciuto, te lo ricordi?
- Mio fratello era diventato un terrorista, un traditore del suo paese, uno che uccideva persone innocenti.
- Ah, come te adesso quindi…
Feci finta di non sentirlo.
- Noah, io non so cosa voi vogliate. Non so nulla di questi documenti. Non so dove siano, dove cercarli, come prenderli.
- Se fosse stato facile li avevamo già presi, non credi? Ma se tuo padre ha detto che solo tu li potevi trovare, vuol dire che tu, in qualche modo sai come fare. Pensaci. Ma attenta a cosa dici e a chi… E soprattutto non fare nulla di avventato, non ti mettere a cercare quello che abbiamo noi. Altrimenti sai come finirà. Io sono convinto che adesso ci possiamo fidare di te, che non farai passi avventati, vero Ziva?
Annuii.
- Brava Ziva… Io e Yonah adesso ce ne andremo dalla casa di tuo padre. Ma sai che tanto ti terremo sempre d’occhio, no?
- Noah, rispondi ad una domanda.
- Dimmi Ziva.
- Orli stanotte mi ha detto che l’antidoto che cercavo al Mossad lo avevamo anche a casa. Tu lo sapevi vero? Tu sapevi sia che c’era l’antidoto sia che i proiettili erano avvelenati?
- Sai già la risposta.
- E se non lo avessi capito cosa ne sarebbe stato di Tony?
- Hai detto che dovevo rispondere ad una domanda non a due.

Me ne andai. Non riuscivo a realizzare. Nemmeno nei miei peggiori incubi potevo immaginare tutto questo. Girai in auto per qualche ora. Senza meta. Mi ritrovai alla fine nel posto dove avevo i miei ricordi più dolci e più tristi. Ero nel bosco degli ulivi dietro la mia casa. Mi sedetti a terra appoggiata al tronco di una pianta e piansi di rabbia, di nervosismo, di paura.

Tornai a casa che il sole si stava già abbassando. Ero stata fuori quasi tutto il giorno e non me ne ero nemmeno resa conto.
- Ziva! Ma dove diavolo sei stata tutto il giorno!
Gibbs mi parlava come se fosse ancora il mio capo, con la preoccupazione però che solo un padre può avere quando non vede tornare a casa un figlio.
- Scusatemi… Una pessima giornata. Avevo bisogno di staccare un attimo.
- I tuoi amici se ne sono andati.
- Lo so.
- C’è altro che sai che non ci hai detto?
- Avevi ragione su di loro. - Ero mortificata
Aveva lo sguardo di chi diceva “te l’avevo detto” ma non lo disse perché non ce n’era bisogno.
- Vogliono che trovi qualcosa, qualcosa che dicono solo io posso trovare, ma che io non so nemmeno cosa sia, nè dove cercare nè cosa cercare. Tony come sta?
- Ancora riposa. La febbre è diminuita. Il tuo amico dottore prima di andare via ha detto che era un buon segno e ce se continuava così era buon segno.
- E’ andato via?
- Sì - disse McGee che quando i discorsi si facevano troppo lunghi parlava al posto di Gibbs - lo ha riportato a casa Yonah prima di andarsene. Ha detto di fargli una fiala al giorno per le prossime 4 sere, di pulire le ferita una volta al giorno con quella soluzione che ha lasciato continuare con le flebo fino a che non gli viene appetito e se domani ce la fa farlo alzare.
- Faremo tutto quanto necessario. Ora scusate, ho bisogno di stendermi un po’…
- Ah, ti ha chiamato molte volte mentre dormiva. Pensavo ti facesse piacere saperlo…
- Grazie Tim.

Andai in camera. Volevo entrare da Tony, ma non ce la facevo. Mi sdraiai sul letto a fissare il soffitto.

- Io so tutto Ziva. Prima che Noah ci prendesse eravamo a casa tua.
Gibbs era entrato senza bussare. Sapevo di cosa parlava. In fondo ho sempre pensato che lo sapesse.
- Anche McGee?
- Lui era fuori. Lui non ha visto. Io sì. So tutto Ziva.
- No Gibbs, tu non puoi sapere tutto.
- So quello che ho visto. Era per questo che sei rimasta qui?
- No, questo è venuto dopo.
- Sarebbe giusto che Tony sapesse.
- No, Gibbs. Tony non può saperlo ora. Sarebbe troppo complicato.
- Non puoi ricominciare con le bugie, con i tuoi segreti, con il mettere le persone fuori dalla tua vita.
- Gibbs, per favore, fidati di me.
- Ziva, quante volte mi hai detto questa frase? Quante volte mi sono dovuto fidare di te? Quante volte poi ha lasciato tutti fuori dalla tua vita, dalle tue scelte e le abbiamo dovute solo subire? Perché tu non ti sei fidata di noi, non hai voluto condividere con noi quello che ti accadeva, ci hai semplicemente escluso. E se Tony non fosse venuto a cercarti e non si fosse così intestardito a volerti trovare a tutti i costi saresti sparita, rimasta in Israele e non avremmo saputo niente, nemmeno se eri viva o morta. Ed ora mi chiedi di fidarmi di te?

Non credo che avevo mai sentito Gibbs parlare così tanto. Cominciai a piangere così tanto che non riuscivo a smettere nè a trattenere le lacrime in nessun modo. Sapevo che aveva ragione lui. Sapevo che di lui mi potevo fidare più di ogni altra persona al mondo perché il suo volermi bene ed il suo proteggermi era sempre stato disinteressato.
Dalla prima volta che ci vedemmo era subito scattato qualcosa tra noi, un senso di reciproca fiducia, forse io in lui rivedevo quel padre che mio padre non era mai stato e lui rivedeva in me quella figlia che non aveva più.

- Cosa devo fare Gibbs perché tu ti fidi ancora di me? Dimmi quello che devo fare?
- Dimmi la verità. Tutta la verità Ziva.

Si era avvicinato al mio letto e si era seduto sul bordo. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, era troppo pesante, severo. Mi sentivo come una bambina che aveva fatto un guaio e doveva renderne conto al padre.
- Va bene
Gli dissi solamente questo. Poi mi buttai contro il suo petto a cercare un abbraccio paterno, che mi desse forza. Lo colsi visibilmente di sorpresa ma non tardò ad abbracciarmi.
- Calmati Ziva. Calmati.
Così feci. Parlai per molto tempo e lui in silenzio mi ascoltò senza mai dire una parola o interrompermi. Senza giudicare nulla di quello che gli stavo raccontando.
Parlò solo alla fine.
- Non sono d’accordo Ziva. Stai facendo un errore. Un errore enorme, del quale ti pentirai per tutta la vita. Però è una tua scelta, come sempre. L’unica cosa che ti dico è che poi devi essere pronta a pagarne le conseguenze e potrebbero essere molto più spiacevoli di quanto tu possa pensare. Pensaci bene.
- Gibbs?
- Dimmi Ziva
- Ti fidi di me?
- Mi sono sempre fidato di te.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Secret Garden ***


...She’ll look at you and smile
And her eyes will say
She’s got a secret garden
Where everything you want
Where everything you need
Will always stay...

- Buongiorno dormiglione?
- Ho dormito tutta la notte?
- Anche tutto il giorno in realtà.
- Che ore sono?
- Quasi le 20. Come ti senti?
- Meglio.
- La febbre è scesa, buon segno. Hai appetito?
- Un po’
- Ti vado a preparare qualcosa allora - Mi alzai
- No aspetta… resta un po’ qui.
Allungò il suo braccio per prendermi, gli presi la mano e mi sedetti di nuovo.
- Va tutto bene Ziva?
- Andrà tutto bene quando ti sarai ripreso e sarai di nuovo a casa.
- Saremo…
- Non è così facile Tony.
- Perché non vuoi che lo sia.
- Ti vado a preparare qualcosa. Il dottore dice che se mangi è un buon segno.

Andai in cucina, aprii il frigo e lo trovai ben fornito. Prima di andarsene Noah aveva veramente pensato a tutto… Come potevo pensare anche solo di ringraziarlo per questo dopo tutto quello che era successo però non lo capivo.
- Che fai Ziva? - Chiese McGee
- Tony si è svegliato e ha detto che ha fame.
- Buon segno no?
- Sì, buon segno…
- Cosa prepari?
- Qualcosa di leggero - dissi mentre mettevo a cuocere della carne e della verdura a vapore.
- Non sapevo che eri anche una cuoca…
- Non sono una cuoca Tim! - Mi strappò un sorriso, Tim con la sua innocenza da bambino era di una dolcezza disarmante a volte, imprevedibile nella sua spontaneità da sembrare goffo. - Mi piace solo cucinare. Però sono tante le cose che non sai di me.
Gli feci un occhiolino e sorrise anche lui.
- Ma noi invece? Ci dobbiamo arrangiare da soli? Di nuovo uova… e non c’è nemmeno il bacon!
- Se hai pazienza preparo qualcosa per tutti.
- Sono pazientissimo!
Mentre la cena di Tony si cuoceva, preparai del pollo con gli asparagi. Avevo scoperto che cucinare mi rilassava.
Finii di preparare la cena di Tony che tutta frullata non aveva un bellissimo aspetto, lo ammetto, e dissi a Tim di fare attenzione alla nostra che non si bruciasse. Non era difficile.
Gibbs era seduto con una birra e guardava la tv. Quando gli passai davanti per andare da Tony alzo lo sguardo ma non mi disse nulla. Non una parola di quanto ci eravamo detti prima.
Era buffo, sembravamo quasi una famiglia normale in attesa degli eventi. Solo che l’unica che doveva decidere a fare qualcosa ero io.

- Tony, ti ho portato la cena.
- Grazie
Mi sedetti sempre sulla stessa sedia ed appoggiai il vassoio sulle mie gambe.
- Ehm Ziva, non per criticare ma… devo mangiare quello?
- Tony, quasi quasi ti preferivo quando eri in preda alla febbre e non brontolavi su tutto.
Sorridemmo entrambi. Era proprio quello che ci voleva.
- Ora fai il bravo e apri la bocca.
- Sì mamma…
Mi bloccai.
- Ho detto qualcosa che non va?
- No no Tony tranquillo. Mangia.
Lo imboccai fino a quando non finì quasi tutto. Era quasi divertente.
- Comunque avrei potuto anche mangiare da solo eh!
- Certo Tony, puoi fare tutto da solo tu!
- Come te del resto, anche tu puoi e vuoi fare tutto da sola.

Ogni volta che rimanevamo soli e cominciavamo a parlare, poi arrivavamo sempre ad un punto che non riuscivamo ad andare oltre, perché farlo voleva dire mettere troppe cose in ballo. Tony mi conosceva bene, sapeva quali tasti toccare per provocarmi. Io non mi sentivo ancora pronta per questo e cercavo sempre il modo di allontanarmi.

- Ora vado a mangiare qualcosa anche io, ci vediamo dopo.
- Ok Ziva…
Mise la sua mano sulla mia che teneva il vassoio, mentre mi stavo alzando. Ci guardammo. Comunicavamo più con gli sguardi che con le parole. Sicuramente erano molto più sinceri di quello che ci dicevamo.
- …Grazie

Mangiammo piuttosto rapidamente senza dire una parola.
- Grazie Ziva, era ottimo - disse Tim
- Sì, grazie - aggiunse Gibbs - Da dove pensi di cominciare a cercare quei documenti?
- Non lo so, non so da dove cominciare.
- Non mi piace questa caccia al tesoro fatta sulle nostre vite. McGee appena hai finito mettimi in contatto con la centrale. Voglio parlare con Abby.
- Ok Capo. Però visto quanto successo dobbiamo presumere che la linea non sia così sicura come credevamo dovrei fare delle modifiche per cercare di criptare il nostro segnale e non farlo decifrare da loro.
- Non mi importa a questo punto se sanno o no quello che diciamo. Possiamo anche giocare a carte scoperte.

Lo schermo si accese e dopo pochi istanti fu riempito dal faccione di Abby
- Gibbs! Sei tu! Che bello vederti! Mi sei mancato tantissimo!
- Ci sono anche io Abby! - Disse Tim
- Oh sì Tim, mi sei mancato anche tu, certo, non volevo dire che non mi fossi mancato eh, ma Gibbs…
- Abby! - La richiamò Gibbs
- Sì, capo allora dove siete?
- Non ti ha detto niente Vance?
- Eh… no, mi doveva dire qualcosa?
- Siamo a Tel Aviv. Io, McGee e Di Nozzo.
- Anche Tony? E dov’è ora? Un momento, ma se sei a Tel Aviv… A Tel Aviv c’è anche lei… L’hai vista? Ci hai parlato? Hai in programmi di incontrarla? Perchè se la devi incontrare di nuovo ti devo dire delle cose che devi assolutamente dirle da parte mia. Innanzi tutto le devi dire che non può prendere e sparire per anni senza dire niente e nemmeno salutarmi. Poi devi dirle che
- Abby!
- Scusa capo, mi sono fatta prendere la mano, comunque hai capito no cosa le devi dire?
- Ti ha sentito.
- Ciao Abby. - Mi avvicinai allo schermo in modo che mi inquadrasse e mi vedesse.
- Ziva! Oddio sei uguale! Cioè non che mi aspettassi che fossi peggiorata, cioè, non volevo dire questo. Però ecco, io… Mi sei mancata Ziva!
- Anche tu Abby…
- Ma Tony? E’ arrabbiato con me che non mi vuole salutare? Tony! Tony dai fatti vedere!
- Tony non è qui Abby. E’ ferito. - Disse Gibbs cancellando la felicità dal volto della ragazza
- Oddio Gibbs è grave? Come è successo?
- Si riprenderà, ha bisogno di un po’ di riposo. Noi intanto rimarremo qui fino a quando non sarà in grado di tornare a casa. Bishop è lì?
Bishop. Quindi era questo Bishop l’agente che aveva preso il mio posto. Avevo pensato parecchie volte a chi mi avrebbe sostituito all’NCIS, come si sarebbero trovati con lui, se avesse avuto il mio stesso disagio di quando dovetti prendere il posto di Kate.
- Dimmi Gibbs
Dallo schermo apparve una ragazza bionda. Quindi non era un agente, ma una bellissima agente bionda. Chissà i commenti e le battute che avrà fatto Tony.
- Bishop, Abby, dovete trovarmi tutto quello che riuscite a trovare in ogni lingua, in ogni parte del mondo su Eli David. Non mi importa quanti protocolli di sicurezza dovrete violare.
- Ma David non è il nome della vostra collega?
- E’ lei. Era suo padre. Abby ti spiegherà tutto.
Chiuse la comunicazione.

- E’ brava?
- Se non era brava non poteva prendere il tuo posto. E’ un’entusiasta, ha una memoria eccezionale, vuole sempre le risposte a tutte le domande. Sa quali sono i suoi pregi e poi ogni tanto vuole fare le cose di testa sua. Come te.
- Vado a vedere se Tony ha bisogno di qualcosa.

- Ciao Tony, ti serve qualcosa?
Era sveglio, era già una buona notizia. Gli toccai la fronte, la febbre non era salita.
- Potresti leggermi le Storie di Erodoto.
- Cosa?
- Juliette Binoche, nel “Paziente Inglese” leggeva tutti i giorni quel libro a Ralph Fiennes.
- E di chi ti dovrei far ritrovare la memoria?
- Di una mia ex collega che da qualche anno è sparita dalla circolazione, che mi manca terribilmente. Ma Ziva, da quando in qua sei diventata esperta di film romantici?
- Da quando ho tanto tempo libero da passare a casa, nelle mie belle serate in solitaria davanti alla tv! - Risposi con voce soddisfatta per rompere nuovamente quel clima di ritorno al passato che si era ancora una volta creato e di nuovo lasciammo per qualche istante parlare solo i nostri sguardi.
- Ah, quindi adesso hai anche una Tv! A proposito, quando viene il tuo amico, perché è solo amico giusto, dottore a farmi quell’odiosa puntura?
- Te la farò io, lui è tornato a casa, non fare il fifone. E sì, è solo un amico.
Preparai il necessario e disinfettai il braccio. Lui continuava a fissarmi.
- Te la sto per fare eh! Se ti vuoi girare girati adesso.
- Non importa.
- Non hai più paura - dissi mentre l’ago entrava nella sua pelle e una smorfia appena segnò il suo viso.
- Voglio solo guardarti ogni momento che posso.
Abbassai lo sguardo dai suoi occhi al suo braccio, non credo che sarei stata in grado di sostenerlo ancora a lungo.
- Fatto… non era così doloroso no?
- Molto più di quello che tu possa pensare. - Disse serio, ma cambiò subito tono ed espressione - Hai sentito Abby? E’ sempre la solita Abby, no?
- Non credevo che cambiasse sinceramente. Abby non cambierà mai per fortuna, nonostante tutto quello che le possa capitare nella vita, lei è così, una bellissima anima pura. Ho visto anche la tua nuova partner.
- La mia nuova collega.
- Sì, lei.
- E’ simpatica, bella, intelligente, sveglia, allegra, solare, sorridente, meticolosa… - declinava come una lista tutte le qualità dell’agente Bishop e sentendo lui sembravano infinite. - … Ma non è te.
- Beh sei fortunato allora se non è me! Ora vado, è meglio che non ti affatichi troppo. Ci vediamo domani.
- Buonanotte Ziva.
- ‘Notte Tony.

--- --- --- --- ---


Buonanotte… erano giorni che non facevo altro che dormire. Avevo dormito più in quei 3 giorni che nei precedenti 3 anni.

Non capivo perché faceva così. Evitava tutte le mie battute su di noi, su quello che era stato, su quello che provavo. Ad ogni riferimento anche solo accennato che risvegliava qualcosa nella sua memoria si bloccava e cambiava discorso o peggio se ne andava.
Poteva nascondere le sue parole, poteva non dirmi niente, ma i suoi occhi, oh sì, i suoi occhi parlavano e mi dicevano tutto quello che lei non voleva dirmi. I suoi silenzi parlavano più di lei. Era sempre stato così, era sempre stato uno scoprirla da quello che non mi diceva più che dalle sue parole. Una lotta continua, non c’era niente di scontato, niente di facile. Ma proprio per questo me ne ero innamorato. Perché un suo sorriso, un suo gesto non erano regalati, erano conquistati.
Se solo ci fossimo parlati prima, se gli eventi non fossero precipitati così velocemente tutto poteva aver preso un altro corso, avrei avuto più tempo per entrare dentro quella corazza che si era costruita intorno.
Adesso mi sembrava di dover ricominciare tutto da capo. La mia unica paura era di non aver ancora una volta abbastanza tempo.

--- --- --- --- ---

La mattina seguente mi alzai molto presto. Cercavo di ripercorrere mentalmente ogni cosa che mio padre mi poteva aver detto per farmi capire cosa cercare e dove.
Anche McGee e Gibbs erano già a lavoro. Volevano capire chi è che aveva dato al Mossad così tante informazioni su di loro negli ultimi anni e perché controllavano la squadra così da vicino. Non avevano avuto più casi che coinvolgessero in qualche modo il Mossad o qualcuno dei loro uomini. Forse anche questa non era solo una coincidenza.
Squillò il cellulare sul tavolo.
Aspettai un attimo, guardai Gibbs che mi fece con la testa un cenno assertivo e poi risposi senza dire nulla. Potevano essere solo loro.
- Sono Noah
- Cosa vuoi?
- In quella casa dietro l'armadio in camera dove è Tony c'è una cassaforte. Te lo avevo detto che era la più sicura. Fai attenzione però. Ha inserito un congegno che se viene forzata o si inserisce per 2 volte un codice errato distruggerà con un acido tutto il suo contenuto. Me lo ha detto tuo padre. Tu hai la chiave di tutto Ziva, lui ha detto così, trova la chiave.
- Dovrei fidarmi di te?
- Fallo. Volevo bene ad Eli, voglio bene a te e... Voglio che questa storia si concluda bene per tutti per quanto è ancora possibile.
- Cosa vuoi dire?
- Niente, non ti preoccupare va tutto bene, credimi. - mise giù il telefono lasciandomi nell'angoscia dei miei dubbi.

- Ho un indizio - dissi a Gibbs e McGee - dobbiamo cercare in camera di Tony. C’è una cassaforte.

- Sveglia Di Nozzo! - La voce squillante di Gibbs riempì la camera di Tony che ancora sonnecchiava
- Agli ordini Capo! Che succede?
- Dobbiamo fare un po’ di indagini qua dentro… McGee aiutami - disse mentre prendeva l’armadio e cercava di spostarlo da solo di peso.
Li aiutai anche io e lo scostammo quel tanto che bastava per vedere che Noah non ci aveva mentito.
- Sì, è lì - McGee guardava il display incuriosito mentre Gibbs scostava ancora un po’ l’armadio e Tony ci guardava incuriosito - display grande 9 cifre mi sembra, sì 9 cifre… Mai vista una simile.
- Probabilmente mio padre se la sarà fatta fare personalizzata - puntualizzai
- Beh, quindi Ziva, la tua combinazione sarà con tutta probabilità di 9 cifre, sempre che non sia un modo per depistarci con un codice più corto.
- Ziva, precisamente, cosa ti hanno detto Orli e Noah? - Chiese Gibbs attento
- Che mio padre gli ha detto che io ho la chiave di tutto. Ma io non ho nessuna chiave.
- Ziva pensaci bene, tuo padre ti ha mai detto qualche cosa del genere?

Un flashback emerse dalla mia memoria. Avevo 5 o 6 anni. Mio padre mi parlava di quanto era importarsi comportarsi sempre bene ed essere fedeli alla causa di Israele “Ricorda Ziva, la lealtà è la chiave di tutto”. Ora ero più grande, stavo per entrare nell’Esercito Israeliano vedevo il volto di mio padre orgoglioso di quello che stavo facendo. “La lealtà Ziva… ricordi” “Certo papà, è la chiave di tutto”.

- La lealtà Gibbs. E’ la lealtà la chiave di tutto. Mio padre me lo ripeteva sempre quando ero piccola.
- Qui però abbiamo solo numeri… - obiettò
- Sì, numeri che in qualche modo devono venire fuori da questa parola.
Tornai nell’altra stanza e presi un foglio di carta. Scrissi in ebraico lealtà. Erano solo 6 caratteri. Come facevo a farli diventare 9?

- Capo ma che sta succedendo?
- Dopo Di Nozzo, dopo ti spiegherà McGee…
Tony era impaziente di sapere cosa accadeva, Gibbs aveva invece poca intenzione di perdere tempo in chiacchiere.
Mi raggiunse

- Allora Ziva, capito qualcosa?
- Non ancora. Sono 6 lettere che devono diventare 9 numeri.
- La tastiera numerica del cellulare, come un vecchio Nokia - dissè McGee che ci aveva raggiunto - tu premi su un numero ma corrisponde ad una lettera e secondo quante volte premi il numero la lettera cambia. Può venire un numero di 9 cifre scrivendo così la parola?
Presi il cellulare che era sempre sul tavolo, cambiai le impostazioni e cercai la vecchia tastiera. Digitai e mentre lo facevo appuntavo sul foglio 4 333 4 44 2 7
- Sei un genio Tim!
- Ora abbiamo due possibilità - Disse Gibbs
- Da sinistra a destra o da destra a sinistra?
- Da destra a sinistra Gibbs. La lealtà era a Israele.

Ero quasi totalmente sicura che il codice fosse giusto. Ma nel caso non lo fosse stato mi sarebbe rimasta solo una possibilità.
Digitai molto lentamente la combinazione sulla tastiera. La luce rossa lampeggiò 3 volte, poi uno scatto e diventò verde. Era quello giusto. Aveva funzionato.

La gioia per essere riusciti ad aprire la cassaforte si trasformò in frustrazione quando vedemmo che dentro non c’erano i documenti che stavamo cercando ma solo una serie di bigliettini con delle parole scritte in ebraico e sotto una serie di numeri. Le parole non volevano dire nulla, non avevano un senso compiuto, eppure per me erano così familiari…
- Cosa sono? - Mi chiese Gibbs mentre facevo scorrere alcuni di quei foglietti tra le mani.
- Sono parti di una filastrocca senza senso che mio padre faceva imparare a memoria quando eravamo piccole a me e mia sorella.
- Hai mai sentito qualcun altro pronunciare questa filastrocca?
- No, credo l’avesse inventata lui solo per noi… - provai un senso di malinconia pensando alla bambina che ero che giocava con il suo papà senza sapere nulla di quello che le avrebbe riservato il futuro e a quanto ridevo a sentire quelle buffe parole senza senso, poi però un pensiero mi turbò e non riuscii a tenerlo dentro - … lui non giocava con me, mi addestrava, da quando ero ancora solo una bambina… non faceva niente di spontaneo e divertente, tutto aveva la finalità di addestrarmi a qualcosa…
- Oppure a proteggerti - La voce di Gibbs, dolce e calma voleva evitare che rovinassi i miei ricordi di infanzia mischiandoli con i secondi fini di mio padre

Tony ci guardava discutere di queste questioni senza capirci poi molto fino a quando McGee non gli raccontò quale era la situazione e cosa stavamo cercando. Tim disse che Tony non sembrava molto convinto di tutta questa storia e che sotto ci doveva per forza essere dell’altro. Immaginava molto più di quanto sapeva ma non si stava sbagliando, anche se non potevo dirglielo.

Scrissi tutta la filastrocca, segnando pause, cambi di ritmo, battute. Tutto. E sotto ad ogni parte riportai i numeri. Tim prese tutti i dati e li inserì nel computer, mandò una copia anche ad Abby in modo che ci potessero lavorare anche loro. Altre prospettive e menti fresche avrebbero sicuramente aiutato.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sorry seems to be the hardest word ***


...What I got to go to make you want me?
What I got to do to be heard?
What do I say when it's all over?
Sorry seems to be the hardest word...

Era passata una settimana da quando ci eravamo ritrovati. Loro tre continuavano a lavorare sul cercare di decifrare quel codice infinito di numeri e McMatematico non riusciva a cavare un ragno dal buco. Se la situazione non fosse stata così frustrante per tutti glielo avrei fatto sicuramente notare. Io invece rimanevo qui in questa camera, concedendomi pochi passi tra il bagno ed il letto e non potevo far altro che pensare e ripensare visto che non mi rendevano più di tanto partecipe.

E a cosa potevo pensare se non al mio chiodo fisso da 3 anni? Rimanevo sempre con la sensazione che dovevamo dirci tutto e nessuno aveva il coraggio di cominciare a dirsi nulla. Stavamo quasi facendo finta che tutto fosse normale, una missione come tante. Da una parte era bello perché voleva dire che nonostante il tempo passato era tutto come sempre.
Però non doveva essere come era sempre stato prima.
Dovevamo trovare il coraggio di parlare, dovevo dirle quello che provavo, chiederle spiegazioni, chiederle cosa aveva fatto in questo periodo, se ora che ci eravamo ritrovati per volontà altrui per lei era cambiato qualcosa oppure no, se aveva mai pensato in questi giorni di riconsiderare le sue scelte. E soprattutto dovevo sapere se nella sua vita c’era qualcuno.
Mi cominciavo a sentire meglio, lo capivo anche dal mio appetito che tornava prepotentemente a farsi sentire. Appena avrei avuto occasione le avrei parlato. Dovevo sapere.

Proprio mentre stavo cercando di mettere ordine nei miei pensieri Ziva entrò nella stanza.
- Tieni Tony, questo telefono è sicuro. E’ già un po’ di giorni che sei qua e immagino tu voglia chiamare tua moglie.
Pensavo di aver capito male… Una moglie? Io? Sì, ok, Michelle ne aveva parlato ma io non avevo mai detto sì, non le avevo nemmeno mai detto di no, ma di certo non era nei miei piani sposarmi, almeno non a breve. Adesso poi non era proprio più nei miei piani nulla. E mi accorsi che in questi giorni a Michelle non avevo proprio pensato e mi facevo un po’ schifo da solo…
- Cosa stai dicendo Ziva?
- Che se vuoi puoi usare questo telefono per chiamare tua moglie a casa.
- Quale moglie, di cosa stai parlando?
- Non sei più sposato Tony?
- Ziva, ma cosa stai dicendo? Chi ti ha detto che io sono o ero sposato?
Ci guardammo negli occhi entrambi interdetti. Ognuno sembrava più stupito dell’altro nel sentire quei discorsi. Io, sposato? Ma chi aveva messo in testa a Ziva certe cose? Come le era venuto in mente? Era visibilmente sorpresa della mia risposta, sembrava anzi quasi arrabbiata.

- Non sei spostato Tony? Non lo sei mai stato?
Non capivo perché dovevo giustificarmi di qualcosa che non avevo mai fatto
- No, Ziva, non mi sono mai sposato… io… ho avuto delle storie, nulla di importante, come sempre… Perché sei convinta che fossi sposato? Come… come avrei potuto…
- Ti ho chiamato una volta, un paio di mesi dopo che eri stato qui…
Un colpo al cuore.
- Cosa hai fatto? - Scandii ogni singola parola.
- Ti ho chiamato. Era la sera di Natale, credo o la vigilia… Ho provato a chiamarti sul cellulare un paio di volte, ma eri sempre irraggiungibile. Ho pensato che avessi cambiato numero. Allora ti ho chiamato a casa.
Ziva mi aveva cercato e il mio cellulare era irraggiungibile. Cosa avevo fatto quella sera per non risponderle? Perché avevo il cellulare spento?
- Al telefono mi rispose una donna che mi disse che era tua moglie e sentii la tua voce chiamarla “Amore” e chiederle chi fosse. A quel punto agganciai dicendo che avevo sbagliato numero…
Una volta. Una sola volta che non rispondo al mio telefono. Doveva essere la volta più importante della mia vita.
- Perché non hai richiamato? Perché non hai voluto parlarmi?
- Pensavo che eri a casa con tua moglie la notte di Natale ed io non avevo nessun diritto ad interrompere la tua felicità.
La notte di Natale, il primo Natale dopo che se ne era andata… ma certo… ora ricordavo…
- Io non ricordo nemmeno chi fosse quella ragazza… Ero totalmente ubriaco quella sera… Dovevo passare il Natale con mio padre che come al solito mi diede buca perché aveva trovato una compagnia più gentile per passare la notte… Tu non c’eri, mi mancavi… Non ricordo nemmeno chi chiamai per farmi compagnia quella sera…
- Pensavo che ti fossi rifatto una vita Tony!

Il suo tono era aggressivo e non capivo. Si era irrigidita, mi stava dando la colpa per qualcosa che non avevo fatto. Cominciai ad agitarmi anche io e alzai il tono di voce.
- Dopo due mesi? Tu pensavi che dopo un paio di mesi io avevo conosciuto un’altra donna con la quale mi ero spostato? Dai così poca importanza alle mie parole? A quello che ti avevo detto solo due mesi prima? Pensavi che scherzavo quel giorno a casa tua? Quanto ti dicevo che avrei cambiato la mia vita per te? O pensi che io possa cambiare la mia vita per chiunque dopo “un paio di mesi”?
Ora ero io che la stavo aggredendo. Forse avrei voluto aggredire me stesso per non aver risposto a quella telefonata. Più parlavo più sentivo la rabbia salire.
- Ziva tu non sai cosa ho passato! Non sai come sono stato! Ho passato giorni senza dormire, ho messo a rischio il mio lavoro. Perché pensavo solo ad una cosa. Perché pensavo solo a te. Perché entrare in ufficio e vedere la tua scrivania vuota era un dolore lancinante, perché vedere qualcuno che ci si avvicinava o si sedeva mi faceva venire voglia di alzarmi e sbatterlo via. Rispondere al tuo telefono a chi ti cercava per ricordarti i tuoi appuntamenti e dire “Mi dispiace, non è più qui, non so dove trovarla” … Pensi sia stato facile? Chiedi a Gibbs, chiedi a McGee, chiedi a chi ti pare Ziva!
Stavo urlando e non me ne rendevo nemmeno conto. Lei mi guardava e tremava. Di rabbia, di dolore, di fastidio per quello che stavo dicendo. Stavo cercando di ferirla con tutte le parole che potevo e me ne rendevo conto.
- Non sono io che me ne sono andato, non sono io che non ho voluto che ci fosse un futuro per noi. Hai fatto tutto tu! E se non mi hai richiamato vuol dire che forse quello che mi volevi dire non era importante.

- Ora basta Tony! Smettila!
Gibbs era entrato nella stanza e non me ne ero nemmeno accorto. Si mise davanti a Ziva, come a volerla riparare dal fiume in piena di parole che le stavo lanciando contro come a volerla lapidare con le mie parole. Mi resi conto solo in quel momento che avevo urlato e mi ero agitato così tanto che avevo il fiatone come dopo una corsa.
- Basta Tony! Capito? Ti devi calmare adesso.
Mi ripetè Gibbs ancora una volta.
- Ok capo. Agli ordini…
Gli feci cenno di sì con la testa e mi buttai sul letto. Ziva era sempre dietro a lui, immobile e silenziosa. Sentivo il sangue che defluiva dalla mia testa e stavo riprendendo la calma. In quel momento avrei voluto chiederle scusa, ma lei uscì velocemente dalla camera e potei solo seguire la sua sagoma con lo sguardo.
Gibbs mi guardò e scosse la testa. Non mi disse nient’altro, ma non c’era bisogno. I suoi sguardi erano sempre più eloquenti di qualsiasi discorso. Erano più duri dei rimproveri e più rassicuranti di un abbraccio di un padre.

--- --- --- --- ---

Le stanze al piano di sopra erano molto più luminose. In questa mattina di fine ottobre il sole era ancora caldo e brillava facendo apparire luminosa e calda anche quella stanza così impersonale e vuota. Guardavo fuori dalla finestra la vita altrui scorrere. Le poche auto che passavano in quella zona così isolata, qualche uccello che voleva da un albero all’altro. Liberi. Ho mai conosciuto veramente cosa fosse la libertà? Forse mi sono sempre sentita prigioniera di qualcuno o di qualcosa, di mio padre, del Mossad, dell’NCIS, delle aspettative degli altri, di me stessa… Le volte in cui mi sono sentita veramente libera le potevo contare sulle dita di una mano, ed erano tutte con le stesse persone. Le uniche che mi avevano regalato la vera felicità e che forse avevo perso per sempre.
Sentii salire le scale e poi i passi avvicinarsi alla mia porta. Bussò due volte ma non aspettò che lo invitassi ad entrare.
- Posso Ziva?
- Certo Gibbs.
- Come stai?
Non era da Gibbs chiedermelo. Probabilmente però aveva capito anche lui che l’ultima frase detta da Tony mi aveva fatto male, mi aveva colpito come se mi avessero svuotato un caricatore addosso. Non so se pensasse veramente tutto quello che mi aveva detto, speravo di no, ma nei momenti di rabbia o di disperazione uno dice tutto quello che pensa senza filtri.
- Così…
- Tony era arrabbiato. Ha esagerato. Non erano quelle le sue parole…
Gibbs cercava di alleggerire la situazione, se lo avesse fatto un altro non ci avrei fatto caso, ma fatta da lui questa osservazione aveva un valore ancora più grande e forse mi faceva capire che invece quello che aveva detto Tony era ancora più duro di un semplice sfogo.
- O forse sì, erano proprio quelle. Quelle che mi sono meritata per come mi sono comportata… Regola numero 40 “Se ti sembra che qualcuno ce l’abbia con te, è così”
- Ogni tanto anche le mie regole non valgono… Tutti facciamo degli sbagli. Ognuno ha i propri tempi. Per Tony non è stato facile. Ha sempre sperato che tu un giorno lo cercassi, lo chiamassi. Ce lo chiedeva a tutti se ti avevamo sentito. Per settimane nemmeno riusciva a pronunciare il tuo nome. Non lo faceva nessuno, solo Abby, ma sai com’è Abby…
- Adesso potrei ricominciare a piangere come l’altra notte. - Dissi sforzandomi di sorridere
- Beh, ti ho visto piangere di più in questa settimana che in 8 anni…
- Anche io ti ho sentito parlare di più in questa settimana che in 8 anni, Gibbs, siamo pari.
Gibbs rise e la sua risata mi fece bene.
- Sai Ziva, tanti anni fa, dopo una missione molto particolare in Europa, quando tornammo a casa, potevo decidere di far prendere alla mia vita forse una svolta diversa. In quel momento ebbi paura e abbandonai quella persona che mi chiese di rimanergli vicino. Le nostre vite si divisero e quando si incontrarono di nuovo era troppo tardi. Io ero cambiato, lei era cambiata e non erano stati solo gli anni più dei vostri a cambiarci. Erano state le nostre scelte.
- Era Jenny vero?
- Già… - sospirò - Ma per te non è tardi Ziva. Puoi ripensarci. Hai più di un motivo per farlo.
- Forse ora è tardi per Tony…
- Non lo è… Fidati di me…
- Mi dispiace per tutto quello…
- Non dire niente, Ziva. Non c’è bisogno.
Mi diede un bacio in fronte e uscì dalla stanza scendendo poi velocemente i gradini per il piano inferiore.
Io rimasi lì, sola, con tutti i miei pensieri. Ma soprattutto con il pensiero che Tony non immaginava nemmeno quanto era importante quello che dovevo dirgli quella sera…

--- --- --- --- ---

- Tony!
- Dimmi Capo!
Gibbs era tornato. Sicuramente era stato a parlare con Ziva. Ci stavamo comportando come due bambini ed era tremendamente idiota, me ne rendevo conto. Io e Ziva sembravamo due calamite che invece che attrarsi si erano capovolte ed ora si respingevano. I nostri poli ugualmente feriti uno dall’altro ci allontanavano quando invece io avrei solo voluto averla vicino.
Gibbs prese la sedia vicino al letto, la girò e si sedette a cavalcioni così come faceva sempre anche il buon Mike Francis.
- No, dimmi tu Pivello… Cosa c’è che non va?
- Ho sbagliato tutto, vero Capo?
Annuì solamente.
- Sono un disastro ma… Quello che mi ha detto… Quanto tempo ho aspettato una sua chiamata, un suo messaggio, una sua mail… Poi scopro che mi ha chiamato che non so chi ha risposto al posto mio, lei ha capito male e non mi ha più cercato. Ho buttato quasi 3 anni di vita per non aver risposto UNA volta al telefono. Una volta sola. Perché non mi ha richiamato?
- Te l’ha detto perché Pivello… Non puoi dare la colpa a lei se tu fai rispondere al telefono di casa tua la prima ragazza che ti porti a letto…

- Cosa ne sai tu Capo di quello che ho passato io? Cosa ne sai di quello che c’è stato tra me e lei? Di quante notti ho passato a pensare a quello che era stato, a quello che poteva essere e non sarebbe stato, a chiedermi perché. Tu non lo sai. E poi non me la sono nemmeno portata a letto quella ragazza.
- E’ vero, non lo so.
- Tu… Tu… Dopo pochi giorni che se ne era andata già pensavi a rimpiazzarla, a formattare il computer, a dare la sua scrivania ad un’altra.
- Quello è lavoro Tony. Io ho solo cercato di rispettare le scelte di Ziva. Che non vuol dire che le approvassi o che non mi dispiacesse. Ma cercavo di rispettarle e di andare avanti. Ma non dire che non mi importava che non fosse più nella nostra squadra.
- Nemmeno a me importava che non fosse più nella nostra squadra Gibbs. A me importava che non fosse più nella mia vita.
- A volte le persone fanno delle cose che noi non vorremmo mai che facessero, delle cose che ci fanno stare male, delle cose che non accettiamo. Ma se quello che fanno è per il loro bene, dobbiamo fare in modo di farcele andare bene anche a noi. Un padre che insegna al figlio a camminare sa che quando staccherà le mani dalle sue per la prima volta il figlio probabilmente cadrà e poi piangerà. Il padre non vuole che il figlio pianga, ma sa che per farlo crescere, per farlo camminare, è inevitabile che il figlio debba cadere, piangere e capire come rialzarsi, da solo. Lui lo può guardare, gli può dare ancora la sua mano. Ma non può nè camminare per lui, nè portarlo in braccio tutta la vita solo per evitarli il dolore di una caduta.
- Questa non era una caduta Gibbs, lo sai anche tu.
- Forse no… O forse è stata solo una caduta più dolorosa di altre. Ma non si può evitare di correre il rischio. E adesso Pivello non scaricare su di me la tua rabbia. Tu mi accusi di aver voluto dare subito la sua scrivania a qualcun altro, tu a qualcun altro hai dato subito il tuo letto.
- Non l’ho mai dato a nessuno il mio letto - ci tenni a precisare
- Tony, sai bene cosa voglio dire.

Gibbs aveva ragione, ma per me era colpa sua se io mi sarei voluto portare letto la prima ragazza che quella sera mi aveva detto che era libera, perché se lei fosse stata con me, io non mi sarei portato a casa nessuno quella sera… Mi stavo agitando di nuovo. Dovevo calmarmi. Respirai profondamente…
- Ma lei…
- Non ci sono “ma” Tony.
- Come sta?
- Male. Pensaci Pivello…

Non mi fece nemmeno replicare. Mi lasciò solo con i miei rimorsi, rimpianti e sensi di colpa. Ero arrabbiato e triste, deluso di me stesso…

- Ehy Tony, ho il pranzo per te…
- Vieni McCuoco!
Erano passate forse un paio d’ore o anche qualcosa in più dalla chiacchierata con Gibbs quando McGee entrò con il vassoio del pranzo. Mi faceva molto ridere la sua andatura incerta cercando di non versare tutto. I giorni scorsi era Ziva a portarmi i pasti, quel giorno non potevo certo sperare che venisse lei, ed era meglio così, perché sarebbe venuta con il suo sguardo più glaciale che mi avrebbe fatto ancora più male…
- Allora cosa mi hai portato di buono?
- Non lo so… lo ha preparato Ziva… Polpette e spinaci, credo…
- Wow polpette e spinaci!
- Come va Tony?
- Bene McCurioso, non mi vedi? Sto mangiando polpette in un letto di una casa in Israele perché mi hanno prima quasi fatto esplodere, poi mi hanno sparato ed avvelenato. Sono servito e riverito dai miei colleghi ed ex! Cosa posso volere di più?
- Falla finita Tony! Sei stato settimane senza dormire per lei. Sembravi in un lutto perenne perché non l’avresti più vista. Mi chiedevi ogni settimana se avevo ricevuto sue notizie nonostante ti dicessi sempre di no. Controllavi la mail in modo compulsivo per vedere se avessi ricevuto un suo messaggio. Ed ora che fai? La aggredisci? Le riversi addosso la tua rabbia?
- McGee, io non sono stato settimane senza dormire per lei. Io ancora oggi non dormo per lei. Capito?
- Lo so Tony! Pensi che sia così stupido che non mi accorgo di come stai e che le tue sono solo sceneggiate? Pensi che le pillole nel cassetto della tua scrivania non le ho viste? Mi fai veramente così stupido o pensi che tu sei un così bravo attore che riesci a nascondere tutto quello che ti passa per la testa? Potevi anche ridere, fare le tue solite battute e scherzi ma i tuoi occhi erano spenti.
- Bravo McPsicologo. Mi è piaciuta la tua analisi. Ti devo pagare?
- Sì sì Tony, continua a fare battute. Tanto così facendo non prendi in giro me, ma te stesso.
Avevo finito di mangiare, McGee prese il vassoio vuoto e se ne andò.
- Scusa Tim! - Feci appena in tempo a dirgli prima che uscisse.
- Non è con me che ti devi scusare Tony… Lo sai…
Lo sapevo.



NOTE: Non è facile ritrovarsi dopo 3 anni, nemmeno per chi ha un rapporto così forte come i nostri due... Come si comporteranno ora? Aspettate il prossimo capitolo e non rimarrete delusi!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Please forgive me ***


...Please forgive me - I know not what I do
Please forgive me - I can't stop lovin' you
Don't deny me this pain I'm going through....

Erano passati dei giorni da quella litigata, sentivo la voce di Ziva provenire da fuori la mia stanza ogni volta parlava che con Gibbs e McGee. Sentivo quando chiedeva di me, di come stavo, le chiacchierate con Abby in videoconferenza. Ero uno spettatore passivo di tutto, anche se poi chiamavo Tim per farmi aggiornare su quello che succedeva anche oltreoceano, ma non era molto propenso a raccontarmi i dettagli.
Ormai stavo abbastanza bene, riuscivo anche a muovere il braccio discretamente e penso che, Mossad permettendo, saremmo potuti ripartire in pochi giorni. Un paio di volte ero anche uscito da quella camera che sembrava veramente una prigione adesso che stavo meglio e cominciavo a diventare insofferente per non poter fare nulla. L’avevo anche vista, ma lei faceva finta di niente. Semplicemente mi ignorava ero come inesistente, anche se sapevo che si preoccupava per la mia salute, ma forse solamente perché non vedeva l’ora che togliessi il disturbo e andassi via.
La mia paura di non avere più tempo, di non avere abbastanza tempo nemmeno questa volta si trasformava in realtà man mano che passavano i minuti, ma nonostante questo qualcosa mi frenava dal fare la prima mossa, forse la paura di non avere la risposta sperata, che sarebbe stato un altro buco nell’acqua con lei, forse ero solo un vigliacco, forse non so nemmeno io cosa
Le giornate trascorse senza fare niente, solo ascoltando loro là fuori mi stavano facendo impazzire e più non avevo niente da fare, più pensavo. Più pensavo e più pensavo solo a lei. Non mi importava di quello a cui lavoravano, non mi importava nemmeno sapere perché mi avevano rapito e messo in mezzo in questa storia. Le uniche risposte che volevo le volevo da lei.

- McChef! - Urlai dalla mia stanza per farmi sentire - Quando si cena stasera? Io ho fame!
- Ancora è presto Tony, aspetta! - Mi rispose dall’altra stanza.
Avrei potuto tranquillamente alzarmi ed andare di là a mangiare ma là c’era lei e non avevo ancora trovato le giuste domande per farmi dare le giuste risposte. Ma non c’erano domande giuste quando si ha paura di sentirsi dire quello che non si vorrebbe.

- Ciao - Non era McGee. Era Ziva.
- Ciao - risposi stupito di vederla - non pensavo che…
- Nemmeno io pensavo che sarei venuta.
- Almeno su qualcosa la pensiamo uguale - sorrisi - Ci sono novità?
Seduto sul letto la osservavo avvicinarsi. C’era un sottile imbarazzo tra di noi, l’imbarazzo creato dalle cose non dette e da quelle dette in modo sbagliato. L’imbarazzo della distanza e degli errori.
- No, nulla di concreto. Abby e Bishop stavano lavorando a due diverse piste per capire quel codice cosa fosse ma si sono rivelati due buchi nell’acqua. Quindi adesso ricominciamo da capo.
- Ho sentito che chiedevi come stavo… Sto meglio
- Sì, ti vedo
- Penso che se i tuoi amici del Mossad saranno d’accordo tra pochi giorni potremo ripartire.
- Non penso vi faranno problemi
- E tu?
- Io cosa?
- Tu non verrai?
- No Tony. Non c’è posto per me a Washington.
- C’è sempre posto per te. E non parlo dell’NCIS.
- Non mi faranno comunque partire se prima non gli avrò dato quello che vogliono.
- Troveremo il modo di farti partire Ziva, anche tu sei una cittadina americana, anche se te lo sei dimenticata.
Strinse le braccia al petto e nervosamente camminò verso la finestra. Guardava fuori o forse solamente non voleva guardare me… Niente, non riuscivo ancora a scardinare le sue difese. Come provavo ad avvicinarmi ad ogni discorso riguardante noi due, immediatamente si ritraeva e tornava sulla difensiva.

--- --- --- --- --- 

Magari mi fossi dimenticata di qualcosa. Il mio problema è che non dimenticavo proprio niente. La mia mente si isolò e in pochi istanti ripercorse tutto, poi improvvisamente i miei pensieri si fermarono.
Le sue mani sulle mie braccia. Lui era dietro di me e mi stava stringendo. Sentivo il battito del suo cuore premere sulla mia schiena, il suo respiro tra i miei capelli. Chiusi gli occhi.
- Mi sei mancata - mi sussurrò all’orecchio e un brivido percorse tutto il mio corpo.
Il suo volto disegnava il profilo sinistro del mio collo accarezzandomi con le labbra. Mi feci scappare un sospiro
- Una volta tutta questa distanza l’avevamo abbattuta… Non alzare muri tra di noi Ziva, non sono qui per farti del male

La mia mente e la mia razionalità mi dicevano di allontanarlo, sarebbero stati solo altri guai per tutti. Il mio cuore ed il mio corpo di stringermi a lui. Rimasi immobile, lasciandomi cullare dal suo abbraccio.
- Sono io che potrei farti del male Tony
- Lo so. Correrò il rischio.

Mi voltai e ora ci guardavano negli occhi, intensamente. Faticavo a catturare nella mia mente le parole che volavano via nel vortice scatenato dalla sua presenza così vicina a me. Respiravo il suo respiro. Eravamo di nuovo così vicini come tre anni prima, ed ancora una volta io dovevo decidere cosa fare.
- Ho fatto degli errori imperdonabili… Degli errori che non riguardavano solo me. Non volevo giocare con i tuoi sentimenti… Non dovevamo…
- No, Ziva, è stato perfetto com’è stato. Dovevi solo decidere di venire con me. Quel bacio non doveva essere un addio. - Mi accarezza il volto con dolcezza, la mano che tremava in un movimento lento quasi impercettibile - Penelope Cruz in Vanilla Sky diceva che ogni minuto che passa è un’occasione per rivoluzionare tutto, completamente. Siamo ancora in tempo per cambiare la nostra storia. Dobbiamo solo volerlo. Io la voglio cambiare. Non voglio salire di nuovo quelle scalette e lasciarti qui.
Adesso ero io ad accarezzare il suo viso. Aveva la barba di qualche giorno, come quel giorno.
- Sarebbe stato tutto più facile se non fossi tornato, se non ti avessero fatto tornare qui, dopo tutto questo tempo
- Più facile cosa?
- Tutto…
- Sei sempre in tempo a cancellare la lavagna Ziva… Io, se tu lo vuoi, sono sempre pronto a lottare per te. Sempre.

I nostri respiri si confondevano, le parole si sovrapponevano e le labbra si sfioravano. Svuotai la mia mente completamente in quell’istante, chiusi gli occhi e lasciai cadere ogni difesa.

Un bacio atteso tre anni porta dentro di se un sapore speciale. E’ dolce, struggente, tenero ed impaurito. Non aveva la timidezza della prima volta, nè la nostalgia dell’ultima. Era un bacio con la passione di due adulti e la purezza di due bambini. Era un cercarsi dopo essersi persi, un pozzo nel deserto di due anime stanche di stare lontane, un rifugio caldo in una gelida tormenta di emozioni. Era il ritrovarsi e l’essere insieme.

Non so quanto durò quel bacio. Mi sembrava un tempo infinito eppure era stato troppo breve.
Quando riaprii gli occhi il mio sguardo vide il suo, e nei suoi occhi vidi i miei. Sorridevamo prima che con la bocca con gli occhi che guardavano oltre i nostri volti, andando a scavare dentro la nostra anima.
- Non era così difficile, no? E nemmeno così brutto - Parlava mentre continuavamo a scambiarci baci fugaci a fior di labbra.
- Non ho mai pensato che fosse brutto… Dovresti sdraiarti un po’ adesso… Non esagerare, non sei stanco?
- Non ricominciare a cambiare discorso. - E mi strinse a se con vigore cingendomi con il braccio sinistro lungo la vita mentre con l’altro mi accarezzava i capelli. Eravamo di nuovo vicinissimi con i corpi uniti tanto da respirare in sincro.
- Io ti amo Ziva. Ti amo e so che anche tu mi ami, ma vorrei poterti leggere dentro per capire veramente cosa ti trattiene, cosa ti impedisce di concederti di essere felice con me. Perché se tu lo vorrai io farò in modo che tu lo sia sempre.
- Tony tu neanche ti immagini quanto già mi hai fatto felice.
- E allora dimmelo…
- Cosa?
- Che mi ami. Ho bisogno di sentirtelo dire
- Ti Amo Tony.
Ci baciammo nuovamente, per suggellare quello che ci eravamo appena detti. Era passato solo qualche minuto ma sembrava tutto così diverso. Non c’era paura, non c’era la smania del ritrovarsi. C’era la sincera consapevolezza di confermare quello che ci eravamo appena detti, l’essere così vicini da annullare le nostre insicurezze, da non vedere nulla di terribile in un futuro così incerto e pieno di ostacoli. E se prima erano state le nostre anime ad incontrarsi a fior di labbra, adesso erano i nostri corpi che si stavano trovando uno nelle labbra dell’altro.

--- --- --- --- --- 

Mi ero steso di nuovo sul letto con un sorriso idiota stampato sul volto. Guardavo il soffitto e in quel momento mi sembrava bellissimo, anche più di un cielo stellato in pieno deserto. Se non sentissi ancora il suo sapore sulle mie labbra penserei di aver sognato. La sentivo parlare con Gibbs e McGee ma ero talmente concentrato sulla sua voce che non sentivo quello che diceva.
Improvvisamente qualcosa mi riportò alla realtà: alla fine non avevo ancora mangiato. Andai in bagno e mi sciacquai il viso, presi una camicia pulita nell’armadio, mi andava un po’ grande ma pazienza abbottonai solo qualche bottone lasciandola aperta sopra e sotto, un paio di jeans e li raggiunsi.
Mi specchiai nell’anta del mobile lucido del corridoio e pensai che quel look era molto poco da Di Nozzo. Sembravo più un sospettato che un agente federale.
- Ehy gente, quella sedia libera è per me? - Erano seduti al tavolo, avevano appena iniziato a mangiare.
- Tony!
- Ciao McPivello! Ci siamo visti solo qualche ora fa, stavo nella camera accanto non è necessario che pronunci il mio nome con così tanta sorpresa. Qualcosa da mangiare anche per me c’è? Avevo detto che avevo fame un bel po’ di tempo fa ma nessuno mi ha portato nulla, quindi ho pensato di venire di persona prima che mi faceste morire di fame! - Guardai Ziva sorridendo e lei arrossì, mi faceva impazzire quando riuscivo a metterla in imbarazzo davanti agli altri
- Siediti Tony, ti vado a prendere un piatto.
Mi sedetti e quando lei si alzò mi accarezzò la spalla fugacemente e feci appena in tempo a sfiorare la sua mano. Avevo bisogno di sentirla, di tenere il contatto con lei.

Sul tavolo c’erano 2 piccoli vassoi con delle insalate ed altri piattini con delle salse e qualcosa che ricordava delle crocchette. Un vassoio più grande conteneva delle uova cotte con peperoni e pomodori e un altro del riso.
Ziva tornò con le stoviglie e mentre mi apparecchiava le diedi un bacio sul braccio noncurante della presenza di Gibbs e McGee
- Stasera Ziva ci ha preparato qualcosa di tradizionale, non è così? - La incalzò McGee
- Insalata israeliana di pomodori e cetrioli, tabulè - disse indicando le insalate - hummus di ceci, babaganush con melanzane, labneh con yoghurt di capra - illustrandomi le salse - quelle fritte sono kibbeh e falafel, shakshuka sono le uova e mejadra il riso.
Sorrideva molto orgogliosa di quello che aveva preparato.
- Per mangiare devo imparare a memoria tutti i nomi oppure posso anche senza?
E avevo già preso una pita per prendere un po’ di hummus…
La cena trascorse allegramente ci divertivamo a stuzzicare Ziva sulle sue doti di cuoca e lei ci raccontava dei piatti e delle tradizioni della cucina israeliana. Sembrava una comune cena tra amici. Ne avevamo tutti bisogno. Nel tavolo quadrato lei era seduta alla mia destra ed ogni tanto allungavo la mano per prendere la sua. La prima volta lo feci timidamente, ma non feci in tempo a sfiorarla che lei istintivamente la spostò impercettibilmente indietro. Desistetti per un po’, ma poi la presi alla sprovvista e la tenni stretta sotto la mia, la sentii rilassarsi. Avevo messo a segno un altro piccolo colpo nella sua barriera incrinandola ancora un po’.
- Capo, senti a proposito di quel codice io avrei un’idea
McGee interruppe le nostre risate e tutti e tre lo guardammo male. Capì che la sua uscita non era stata molto felice.
- Non questa sera Timothy, abbiamo tutti bisogno di qualche ora per riprendere fiato. Sono stati giorni emotivamente intensi. Per tutti.
Gibbs mi sorprese con quelle parole e mente finiva la frase spostò più volte lo sguardo tra me e Ziva. Credo avesse capito quando accaduto poco prima e che ne fosse anche felice.

Riprendemmo a chiacchierare ancora per un po’, poi McGee aiutò Ziva a sistemare alcune cose di là in cucina e io rimasi solo con Gibbs.
- Stai meglio pivello.
- E’ una domanda capo?
- No…
- Beh, comunque grazie è anche merito tuo.
- Merito mio?
- Sì, ecco, le ho parlato e poi…
- Non mi interessano i dettagli Tony. Mi basta solo sapere che stai meglio e che sta bene anche Ziva.
- Credo però che abbiamo infranto la regola numero 12.
- No Tony, voi non siete più colleghi…
- Ah, giusto capo. Ma se lo fossimo…
- Non lo siete - Disse alzandosi - ma nel caso, ci può sempre essere un’eccezione alle regole… - Sorrise e salì al piano superiore.
- Grazie Capo!

Ziva e McGee non si erano accorti che Gibbs era già andato nella sua stanza e Tim sembrò molto impacciato quando rimanemmo soli noi tre.
- Beh ecco io… Vado anche io adesso… Buonanotte ragazzi!
Lo salutammo ed ora eravamo solo io e lei.
- Andrei anche io Tony
- No aspetta occhioni belli. Resta con me.
- Non credo sia il caso adesso…
Le passai l’indice sulle labbra per farla tacere
- Non ti chiedo nulla. Solo di rimanere con me. Ho bisogno di te.
La presi per mano ed andammo in camera.

Ero seduto sul mio lato del letto mentre sbottonavo i pochi bottini chiusi della camicia. Lo facevo lentamente cercando di capire cosa lei stesse facendo. Era seduta dall’altra parte del letto e ci davamo le spalle sembrava imbarazzata dalla situazione, anche se aveva accettato con meno insistenza di quanto pensassi. Mi girai per guardarla proprio mentre lei faceva lo stesso. Ci trovammo con gli sguardi curiosi e colpevoli e ci sorridemmo. Indossava una maglietta nera e gli slip, i capelli totalmente sciolti sulle spalle. Io rimasi solo con i boxer perché non amavo dormire con troppi indumenti addosso.
Per essere fine ottobre ancora faceva piuttosto caldo, scostai il lenzuolo e sdraiandomi rimasi scoperto fino alla vita. Lei era sdraiata nella mia stessa posizione dall’altra parte del letto. Se avessi allungato il braccio l’avrei toccata.
- Ziva…
- Dimmi Tony
- Abbracciami
- Non posso…
- Non sei mica Edward Mani di Forbice!
Rise. Riuscivo a farla ridere ma tra noi ancora distanza, ancora barriere. Non lo sopportavo più, ogni volta che pensavo di aver fatto un passo avanti, se lasciavo correre, rischiavo che ne facevamo due indietro. Avevo capito che con lei non potevo ancora aspettare che le cose, semplicemente, accadessero: dovevo essere io a farle accadere.
Mi girai su un fianco avvicinandomi e provando ad abbracciarla. Lei per tutta risposta alzo il suo per tenermi a distanza e mi sfiorò la fasciatura sopra la ferita.
- Tony scusami, ti ho fatto male? - Chiese preoccupata
- Si tantissimo… - mentii spudoratamente - ora dovrai farti perdonare… - e mi sdraiai nuovamente dalla mia parte con un broncio fintissimo.
Non mi rispose, ma si avvicinò e si sdraiò vicino a me, appoggiando la mando sul mio petto e la testa sul mio braccio che spostai subito per abbracciarla ed avvicinarla ancora un po’ di più.
Ero soddisfatto. Sorridevo nel buio della stanza: ora non esisteva altro che lei. Esistevamo solo noi due. Ed era bellissimo così. Sentivo il suo respiro diventare sempre più calmo e lento, si stava addormentando, avevo sognato di addormentarmi così ogni notte negli ultimi tre anni. Ogni tanto abbassavo lo sguardo per vedere il suo volto fiocamente illuminato dalla luce della strada che filtrava da un angolo della tenda rimasto scostato. Era veramente lei. Per la prima volta, quella notte, anche io dormii tranquillo.

NOTE: Ci abbiamo messo 9 capitoli, finalmente si sono dichiarati a vicenda… Spero che vi piaccia la svolta e non la troviate troppo out dai personaggi. Di sorprese ancora ce ne saranno molte, come di problemi da risolvere… Se avete apprezzato, o anche se non lo avete fatto, e vi va di lasciare un commento anche su cosa vi aspettate nei prossimi capitoli, mi farebbe piacere saperlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Always on my mind ***


... Maybe I didn't treat you
Quite as good as I should have
Maybe I didn't love you
Quite as often as I could have
Little things I should have said and done
I just never took the time
You were always on my mind ...

Quando mi svegliai la mattina dopo ero solo nel letto ed improvvisamente pensai che avevo sognato tutto. Poi vidi il letto sfatto anche dall’altra parte e sorrisi. Presi il suo cuscino, profumava di lei. Indossai i jeans ed uscii dalla camera.

- Abby! Novità su quei codici?
- Oh Gibbs che bello rivederti! Ho pensato molto a quando mi avresti chiamato chiedendomelo ed ho anche pensato a come dirtelo, perché ecco, vedi Gibbs… Maledizione…
- Abby!!! Novità?
- No… Mi dispiace Gibbs niente. Ho cercato ricercato ma niente, niente che abbia a che fare con Eli David, adesso sto lavorando su un’altra pista
- Non limitare la ricerca a lui, cercami cosa possono essere in assoluto. Fammi sapere qualcosa Abby. E fallo rapidamente.
- Ok Gibbs, doppia razione di caffè e faccio finta che me lo hai portato te.

Gibbs e Ziva erano seduti sul tavolo, lui con il suo caffè, lei con il suo te.

- Ziva! Cosa vuol dire quella filastrocca, di che parla?
- Di niente!
- Come di niente?
- Di Niente Gibbs! Di niente, non vuol dire niente, non parla di niente. Sono solo parole inventate una dietro l’altra. E’ un gioco! Credo l’unico gioco che facevo con mio padre… Tu non hai mai…
Mi interruppi prima di finire la frase.
- Io… Non volevo scusa Gibbs…
- Regola numero 6 David… - e dicendo così si allontanò e mi vide.
- Buongiorno Tony… McGee!- urlò verso il piano superiore - Anche Di Nozzo è già in piedi oggi! Sbrigati!

- Nervoso il capo oggi eh!
- Colpa mia…
- Ho sentito. Capita di dire le parole sbagliate.
- Ti riferisci a quello che ho detto a Gibbs o ad altro?
- A tutto.
- C’è del caffè anche per te se lo vuoi.
- Ah caffè si… finalmente! - Ed andai verso la caffettiera e ne presi una tazza intera. Mi sedetti vicino a lei e guardavo il foglio con tutte quelle incomprensibili parole in ebraico che aveva scritto sopra. Lo girai verso di me, come se così potessi capirlo meglio, ma volevo solo interessarmi a quello che stavano facendo, perché mi sentivo tagliato fuori da tutto
- Cosa è?
- Quello che mio padre ha lasciato nella cassaforte. Parole e numeri apparentemente senza senso. Che però un senso devono averlo. - Era molto demoralizzata
- Ehy Occhioni belli, se tuo padre l’ha fatto sapeva che tu l’avresti trovato. E che ci saremmo stati noi ad aiutarti a trovarlo.

McGee scese di corsa dalla camera
- Ziva senti… ho un’idea ho studiato un’algoritmo questa notte ma devi farmi un’elenco di tutti i luoghi che sono stati importanti nella tua vita. Luoghi che abbiano un valore simbolico o pratico importante. In ordine cronologico sarebbe meglio.
- Ok Tim, va bene…
- Ah e scrivimi anche la traslitterazione di quella filastrocca.

- Che c’è qualche progresso? - Era tornato anche Gibbs
- Ehm ancora no capo, ma come ti dicevo ieri sera ho un’idea… Questa notte ho studiato un algoritmo e composto un codice per incrociare questi dati con delle rotte. Noi abbiamo sempre ragionato pensando che si trattasse di qualcosa, e se invece fosse un luogo? Ne ho parlato anche con Abby che mi ha aiutato a sviluppare questo sistema… Ora dobbiamo solo aspettare che i ricordi di Ziva ci mettano sulla strada giusta. Fino ad ora tutto si è basato su quelli.
- Le ricerche devono essere fatte su Ziva, non su Eli! Ma certo! McGee chiamami Abby devo dirle di cambiare la ricerca…
- Ehm Capo a Washington adesso è notte fonda ma…
- E’ sveglia ci abbiamo appena parlato.
- Non è necessario. Questa notte quando discutevamo del codice lo abbiamo capito anche noi e si è già messa al lavoro su questa nuova pista.
- Bravo McGee, bel lavoro.

Ziva cominciò a scrivere… Beer Sheva, Tel Aviv, Gerusalemme, Meron, Amman, Il Cairo… I luoghi della sua famiglia, della sua vita. Poi una serie di città in Europa, nei Balcani, Nord Africa e Medio Oriente, le sue missioni con il Kidon probabilmente. Alla fine mise Washington.

- Una vita movimentata Agente David! - le dissi sorridendo
- Anche troppo… E poi non sono più un’agente!
- Già…
- Da come lo dici sembra che ti dispiace… Era la prima cosa sulla lista, ricordi
- Certo, come potrei non ricordarlo. E’ che mi manca tutto questo… La nostra quotidianità, la nostra squadra…
- E’ il passato Tony
- Verrai via con me?
- Devo risolvere questa storia. E’ di vitale importanza
- Basta essere legata al Mossad, a tuo padre… Non ti fa bene… Non ti ha mai fatto bene…
- Non c’entra solo mio padre, c’è qualcosa di molto più grande in gioco.
- Che ovviamente non mi puoi dire… Al solito…
- Non è facile Tony…
- Non lo è mai Ziva… Per te non è mai facile fidarti di me…
- Non è vero Tony, io mi fido ciecamente di te. Metterei la mia vita nelle tue mani. - E così dicendo prese le mie mani e le mise in mezzo alle sue. - Ma non posso dirti di più ora…
- Rispondimi Ziva, verrai via con me? Quando questa storia sarà finita verrai con me a Washington?
- Devo dare questi fogli a McGee - Era evasiva, come sempre. Evitava le mie domande, evitava di darmi delle risposte.
Tim era a pochi metri da noi, assorto nei suoi calcoli al computer non si preoccupava di quello che dicevamo, anche se sono sicuro che non si perdeva una parola. Ziva uscì dicendo che doveva prendere una boccata d’aria. Rimase fuori qualche ora. Dalla finestra la potevo vedere fuori dalla casa seduta per terra a lanciare pietre oltre il muretto… Sarei voluto andare da lei, ma pensai che era meglio lasciarle del tempo per stare da sola, se l’avessi oppressa temevo di ottenere l’effetto contrario.

- Salgo da Gibbs! - Ci disse Ziva appena rientrata e velocemente salì le scale
- Allora McMatematico, trovato niente con tutti questi numerini?
- Non ancora Tony…
- Prima tu trovi tutto, prima sappiamo dove sono questi documenti prima Ziva torna a casa… Capito quello che voglio dire Pivello?
- Tu sei sicuro che Ziva tornerà a casa con noi?
- Cosa vuoi dire McGee? Vuoi forse mettere in dubbio…
- No Tony io non metto in dubbio nulla, ma non l’avrei fatto nemmeno l’altra volta, però poi sei tornato da solo.
- Questa volta sarà diverso… Tu sbrigati a dire dove dobbiamo andare a prendere questa roba che mi sono stufato di stare qua… Voglio un caffè come si deve…

--- --- --- --- ---

- Ciao Gibbs… - Ero entrata nella sua stanza senza bussare e stava anche lui, come facevo spesso anche io, affacciato alla finestra a guardare la vita scorrere fuori - Essere bloccati qui sta facendo diventare matto anche a te vero?
- Esatto Ziva… sarebbe stato molto più semplice andarlo a riprendere
- Non voglio correre rischi.
- Sicura che ora non li stai correndo? Ti puoi fidare?
- No Gibbs, non mi posso fidare di nessuno, tranne che di voi.
- Però con Tony e gli altri non ne hai parlato, non è il modo migliore di dimostrare la tua fiducia.
- Non è facile dirlo a Tony, soprattutto adesso.
- Non ho detto che sia facile, ho detto che sarebbe giusto che tu glielo dica. Più fai passare tempo, più sarà difficile e più creerai conflitti e malintesi che faranno male a tutti.
- Mi ha chiesto se tornavo con lui a Washington
- Ti stupisci?
- No… Sapevo l’avrebbe fatto.
- E cosa gli hai risposto?
- Non gli ho risposto.
- Ma tu cosa vorresti? - Gibbs mi stava obbligando a rispondere a quelle domande che evitavo, mi obbligava a dare delle risposte non a lui, ma a me stessa.
- Io vorrei stare con lui. Vorrei che fossimo una famiglia

- Capo! Ziva! - Era la voce di McGee che ci chiamava dal piano inferiore - Ho trovato qualcosa venite…
Ci precipitammo di sotto
- Allora Tim che hai trovato?
- Ecco, vi risparmio troppi particolari, comunque decriptando la serie di numeri tramite un algoritmo con codice automodificante abbiamo ricreato una sequenza. Con l’aiuto di Abby abbiamo costruito una scitala digitale dove abbiamo inserito questa sequenza e fatto roteare il tutto per trovare le possibili combinazioni…
- Stringi McGee…
- Abbiamo trovato delle corrispondenze con la lista di Ziva e quella che più si avvicina è Washington. Per la precisione un negozio di import export che fa affari unicamente con Israele vicino alla George Washington Univeristy.
- Sei sicuro che è questo il posto dove cercare McGee?
- Capo siamo quasi certi.
- Ti dice nulla questo posto Ziva? - Mi chiese Gibbs sperando in una risposta positiva
- No, assolutamente, mai sentito.
- Però è qualcosa che ha a che fare con Israele, potrebbe essere un’indizio - intervenne McGee per sostenere la sua ipotesi
- Al momento è l’unico che abbiamo, dobbiamo verificarlo - asserì Gibbs, poi rivolgendosi a me - tu che ne pensi?
- Che non possiamo lasciare niente di intentato, anche se non mi dice nulla. Se il posto è quello, ci sarà un motivo che ancora non conosco, come non conoscevo tutto il resto che ci ha portato lì.

- A questo punto sembra proprio che dovrai venire a Washington! - Esordì Tony facendo mostra del suo miglior sorriso
- Tony, tu come stai? - Chiese Gibbs
- Meglio capo…
- Te la senti di ripartire?
- Certo.
- Ziva quanto pensi che ti ci voglia a sistemare tutto per partire?
Mi prese alla sprovvista. Non pensavo di dover partire, non così presto.
- Dovrei parlare con Noah per avvisarlo che quello che cercano non è quei… Devo sistemare delle cose…
- Ti basta domani?
- Sì… Credo… - Non sapevo cosa dire. Gibbs sapeva bene la situazione qual era ma faceva finta di nulla.
- Bene. Ziva, parla con il Mossad. McGee, avvisa Abby. Tra due giorni si torna a casa.
Così dicendo salì nuovamente sopra. Credo che fosse un’azione di routine. Così come faceva all’NCIS, anche qui aveva trovato questa consuetudine di andare al piano superiore
- Gibbs, aspettami ti devo parlare…

Lo seguii fino alla sua stanza e chiusi la porta
- Di Nozzo sarà geloso che mi devi sempre parlare in privato, vieni in camera mia e chiudi la porta
- Perché fai finta che non ci sia nient’altro.
- Perché se fai finta tu, faccio finta anche io e mi comporto di conseguenza come uno che non sa niente.
- Ma tu sai Gibbs!
- Ma se io mi comportassi diversamente saprebbero anche gli altri. Quindi se vuoi che le persone si comportino diversamente, fallo per prima tu e dì quello che devi dire. Altrimenti le cose stanno così. Chiama il Mossad, avvisali che devi venire a Washington. E domani prenditi una giornata per rimettere apposto i tuoi pensieri e chiudere qualche conto in sospeso con il tuo passato. Fai quello che devi fare. Vai ora.

Tornai di sotto, dove Tony non mancò di farmi presente quello che Gibbs mi aveva appena detto
- Devo essere geloso del capo?
- Non fare lo stupido Tony.

Presi il cellulare e feci l’unico numero presente in memoria.
- Noah sono Ziva. Ci sono delle novità.

A Noah spiegai solamente quello che era necessario sapesse e mi disse che per andare a Washington non ci sarebbero stati problemi, ma che una volta partita, se poi fossi tornata in Israele, non sarebbe stato altrettanto facile partire di nuovo.

- Tony, come stai? - Gli chiesi sedendomi vicino a lui sul divano mentre era tutto intento a giocare una partita a solitario
- Bene, perché?
- Ti va domani di accompagnarmi a sistemare delle cose?
Lo presi alla sprovvista e rimase piacevolmente sorpreso della mia richiesta.
- Va tutto bene?
- Lo sai, fino a quando non finisce tutta questa storia, non può andare tutto bene
- Ma perché, cosa ti importa a te di quello che serve al Mossad? Ti prego Ziva lascia perdere una volta per tutte!
- Perché non ci lasceranno in pace. Guarda cosa ti hanno fatto? Lo hanno fatto solo perché volevano che io facessi questa cosa per loro.
- Tra due giorni torniamo in America, non devi sentirti sempre minacciata.
- Tony, ti hanno rapito a Washington. Pensi veramente che dove siamo sia un problema? Ti prego, fidati di me.
- Tu mi chiedi di fidarti di te, ma tu non ti fidi di me abbastanza da potermi dire cosa c’è che ti angoscia tanto.
- Ho bisogno di sapere che tu ti fidi di me e che mi sarai vicino. Se no non posso farcela da sola.
- Aspetta, aspetta… cosa mi hai detto? Ho sentito male? - Aveva sentito bene e aspettava che gli dicessi quelle parole forse da anni.
- Dai Tony…
- No, no no… Ziva David che dice a me che non può farcela da sola. Ti rendi conto, dovrei segnare questa data sul calendario! - Il suo viso era pieno del suo sorriso sbruffone che tanto mi faceva arrabbiare quanto adoravo.
- Ma smettila! Eravamo seri fino a qualche minuto fa ed ora metti in mostra la peggior versione di Di Nozzo!
- No, Agente David - mi strinse a se cambiando immediatamente espressione e tono di voce, da briosa e squillante a calma e profonda - io sono sempre serissimo quando parlo di te.
Il suo volto si fece pericolosamente vicino al mio. Poi mi stampò un bacio sulle labbra e si alzò di scatto dal divano e andò verso la camera.
- E ora Agente David, se ne vuoi altri vienili a prendere! - Il suo volto beffardo mi guardava dalla porta di camera prima di sparire dalla mia vista.
Scossi la testa e pensai che mi ero innamorata di lui anche per questo.

NOTA: uno dei primi misteri di questa storia tra poco sarà svelato. Ho lasciato abbastanza indizi per farvi capire di cosa si tratta? E cosa nascondono Ziva e Gibbs?
Mi sono accorta, rileggendo anche gli altri capitoli che ho già scritto e non ancora pubblicato, che mancano un po’ i battibecchi quotidiani tra loro. Dato che solitamente scrivo di getto lasciandomi portare dalle situazioni, ho pensato che in questo contesto un po’ particolare, di distacco anche dalla quotidianità dell’NCIS, molte consuetudini venivano meno, anche per un rapporto completamente cambiato e ricucito dopo 3 anni.
Voi che ne pensate? Preferite qualche frecciatina in più vecchio stile? Fatemelo sapere che mi farebbe piacere per variare un po’ anche la mia scrittura :)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Memory ***


… I remember the time I knew
what happiness was
Let the memory live again …

La mattina partimmo molto presto complice anche il sole che in questo periodo sorgeva prestissimo. Dissi a Tony di prendersi qualcosa di più pesante, perché ne avrebbe avuto bisogno. Attraversammo Tel Aviv per dirigerci verso nord, in Galilea.

Tel Aviv non sembra nemmeno una città del Medio Oriente. E’ vibrante, cosmopolita, piena di vita e di giovani che hanno voglia di divertirsi e sperimentare. Da noi si dice che “A Gerusalemme si prega, a Tel Aviv ci si diverte” e sarebbe proprio così: sul lungomare giovani con i loro apertivi chiacchierano allegramente e famiglie che si godono qualche ora di relax con i bambini che giocano allegri. Sarebbe tutto così bello…
Per le strade il silenzio mattutino era ancora squarciato da sirene e urla in una bella giornata di fine ottobre. Un altro attentato… non finiranno mai… La gente quasi non faceva più caso a queste cose, facevano tragicamente parte della quotidianità. La chiamano la terza intifada…

- Dove stiamo andando? - Mi chiese Tony a cui non avevo detto nulla della giornata che stava per iniziare
- A Meron
- Come mai?
- Potrei non tornare più.

La strada da Tel Aviv a Meron era di circa due ore. Cercai di impiegare meno tempo, ma non volevo dare troppo nell’occhio. Durante il percorso non parlammo molto.

- C’è stato qualcuno? In questi anni dico… - Tony ruppe il nostro silenzio
- Non nel senso che pensi tu
- E in che senso?
- Persone che mi sono state vicine. Solo questo. A te è inutile che lo chiedo…
- Già… Ma il chiodo scaccia chiodo non funziona…
- Niente di serio?
Tony era un po’ titubante a rispondere.
- Ci ho provato un paio di volte… Ed ora… C’è una ragazza in realtà a Washington che credo mi aspetti, o forse lo faceva…
Mi voltai a guardarlo con aria interrogativa un paio di volte mentre guidavo. Sembrava imbarazzato.
- Me lo dici così Tony? Adesso? Perché mi hai chiesto di tornare con te a Washington se stai con un’altra- Stavo rimettendo in gioco la mia vita con lui e lui aveva un’altra.
- Perché non è più importante ora.
- Non voglio stravolgere la tua vita
- Io invece è proprio quello che voglio. Voglio che tu stravolga completamente la mia vita.
Prese la mia mano che tenevo sul cambio e accompagnò il mio movimento nello scalare la marcia.
- E’ ora di cambiare, Ziva. Te l’ho già detto che io per te sono disposto a cambiare tutto.

Attraversammo la Valle di Jezreel, erano poco più delle 8 di mattina quando arrivammo a Meron.
Anche Tony sapeva dove stavamo andando. Era rimasto molto silenzioso dopo l’ultima conversazione in auto.

- Tutto bene Tony?
- Sì, certo, perché?
- Ti vedo pensieroso, in realtà dovrei esserlo più io
- Stavo pensando all’ultima volta che sono venuto qui.
- E…?
- E come oggi speravo che ti avrei trovato e riportato a casa.

--- --- --- --- ---

La guardai da qualche metro di distanza mentre pregava sulla tomba dei suoi nonni. Prese una manciata di terra e poi la lasciò volare via lentamente dalla mano sospinta dal vento mattutino.
Percorso da un brivido alzai la zip della felpa, ma non so se era la situazione o il clima a provocarmi quella reazione. Era tutto molto strano. Pensai a cosa avrei fatto io nella sua situazione. Dove sarei andato se mi avessero dato un giorno di tempo per “salutare” il mio paese con il rischio di non poterci più tornare. Mi venivano in mente solo cose stupide come il mio ristorante preferito… Pensai che l’unico posto dove sarei voluto stare era con i miei colleghi, anzi con i miei amici all’NCIS…

Si alzò, si pulì le mani dalla polvere e venne verso di me.
- Pronto per la prossima tappa?
- Prontissimo! - Le sorrisi - Dove andiamo?
- Gerusalemme

- Tony, mi prometti una cosa? - Mi chiese appena salimmo in auto con voce più allegra del solito
- Tutto quello che vuoi
- Niente discorsi tristi oggi, ok?

Avevamo scaricato un po’ di tensione. Il viaggio, lungo, da Meron a Gerusalemme fu molto diverso da quello della prima mattina. Parlammo, scherzammo, mi chiese di raccontargli cosa era successo all’NCIS in questi 3 anni, io le raccontai tutto, di Palmer che era diventato papà di una bambina, di McGee e Delilah, di Abby che era sempre la solita Abby, dei rapporti migliorati tra Gibbs e Vence ma di questo accennai appena, non volevo riportare la mente a quei giorni spiacevoli, avevamo detto niente discorsi tristi.
Le parlai anche di Bishop e mi fece molte domande, sinceramente incuriosita di sapere come era questa ragazza.

- Beh da come ne parli pare che siete stati fortunati!
- Non è stato facile sceglierla e non è stato facile per lei all’inizio lavorare in squadra però è un valido agente adesso ed anche una brava ragazza.
- Sono contenta. - La guardai perplesso e si voltò a guardarmi, poi di nuovo con lo sguardo fisso sulla strada mi disse - Veramente, Tony, sono contenta che avete trovato un valido elemento per la squadra. Spero l’abbiate trattata bene, so come si ci sente a sostituire qualcuno che era importante… e a me non hai riservato un gran trattamento all’inizio, te le vorrei ricordare! - Sorrise e sorrisi anche io.

Arrivammo a Gerusalemme che non era ancora mezzogiorno. Amavo questo clima più disteso che c’era tra noi.
Lasciammo la macchina in un parcheggio, insieme a tante altre vetture e pullman turistici. Eravamo a Yad Vashem.
Cominciammo a camminare in un giardino con stretti vialetti e alberi ai lati. Su una pietra c’era incisa una scritta in ebraico ed inglese “Garden of the Righteous Among the Nations”. Su altre steli, tra gli alberi, lunghi elenchi di nomi. Ziva sapeva dove andare, stavamo cercando un punto specifico. Arrivammo davanti ad uno di questi alberi e si fermò. Sotto un albero c’era il nome di un uomo: Giorgio Perlasca. Non mi diceva nulla, non sapevo chi fosse. Ci sedemmo sul muretto di pietra lì vicino. Fece un grande respiro e poi cominciò a raccontare.

- Quando ero piccola mio nonno, il padre di mia madre, mi accompagnava spesso qui. Avevo 7 o 8 anni la prima volta che mi portò. Lui viveva a Budapest quando era giovane. Quando cominciarono le persecuzioni ebraiche la sua famiglia fu in gran parte deportata nei campi di concentramento in Polonia, ma lui si salvò, grazie a questo uomo che gli offrì un finto salvacondotto per recarsi in Spagna e da lì poi venne in Israele. Mio nonno quando mi portava qui, mi raccontava tanti aneddoti di quel periodo, di come tanta gente a cui voleva bene sparì: amici, familiari, conoscenti… Può sembrare una cosa poco adatta ad una bambina, ma non lo faceva con l’idea di rattristirmi o angosciarmi. Lui diceva che la conoscenza e la consapevolezza erano fondamentali perché la storia non si ripetesse.
I genitori di mio padre invece furono deportati ad Auschwitz e liberati a fine guerra. Poi vennero subito in Israele dove nacque mio padre. Mio nonno non l'ho mai conosciuto. Mia nonna non ha mai parlato di quei tempi a Auschwitz fino agli ultimi anni di vita quando forse gli incubi erano ancora più forti e allora capitava che raccontasse qualche flash che riviveva. Mio padre ha vissuto sempre in questo clima, un figlio della Shoah. Per questo forse il senso della protezione di Israele era così forte in lui, per un senso di protezione verso i suoi genitori che per tutta la vita hanno dovuto fare i conti con i fantasmi di quel periodo.

Ascoltavo attentamente il suo racconto, sinceramente colpito da quanto mi stava raccontando della sua vita.

- Sai, - Continuò a raccontare - mio padre aveva la fobia dei treni. Non voleva mai salire su un treno, perchè gli ricordavano la deportazione dei genitori. Me lo disse mia madre una volta. Non ne abbiamo mai parlato, forse avremmo dovuto farlo ma l'argomento è sempre stato tabù. Ecco… volevo che tu conoscessi qualcosa di me di diverso…

- Grazie. E’ una cosa molto bella Ziva, molto bella veramente - La abbracciai e si appoggiò sul mio petto facendo attenzione a non premere contro la ferita.
Un gruppo di bambini che percorreva il vialetto cantando una canzone ebraica ci destò dal nostro abbraccio… Era un motivetto familiare.
- Anche se andassi nella valle oscura non temerei nessun male, perché tu sei sempre con me - Disse Ziva
- Perché tu sei il mio bastone, il mio supporto, con te io mi sento tranquillo. - Risposi e rimase stupita dalla mia risposta
- Sai il suo significato?
- Jona che visse nella Balena. Un film molto triste.
Ero sicuro che quella frase non era solo la traduzione della canzone da parte sua, come non lo era da parte mia.
- Avevamo detto niente cose tristi oggi - Sorrise visibilmente commossa
- Che io sia sempre con te non è triste! O almeno spero - Cercai di alleggerire la situazione. - Ehy dimmelo è triste che io sarò sempre con te? Dai dimmelo!
- Se farai tutto il tempo così sì Tony!
Sorrise ancora. Tenendoci per mano tornammo verso la macchina.

Parcheggiammo non lontano dalla Porta di Damasco e da lì entrammo nel cuore della città vecchia.
I profumi delle spezie dei souq nella parte araba della città erano inebrianti, così come i colori. Curcuma, cumino, noce moscata, cannella i profumi ci avvolgevano e mi sembrava di camminare in una favola da mille e una notte. Stoffe, ceramiche, oggetti in legno e metalli vari si susseguivano da una bottega all’altra. Oggetti con le effigi di tre diverse religioni, orrendi souvenir tribali con lo scudo di David, icone ortodosse, presepi cattolici, leoni di Gerusalemme, Menorah di vari formati, improbabili lampade di Aladino, sure del Corano… Tutto era un susseguirsi di colori e profumi delle spezie, della frutta secca e dei banchetti che preparavano cibo e pane d’asporto. Prendemmo delle cose che mangiammo camminando. Camminavamo sorridendo tra i turisti e gente del posto tra le strette vie che si snodavano una dietro l’altra in un complesso dedalo di botteghe. Ogni tanto Ziva si fermava a guardare questo o quel souvenir spiegandomi il significato, parlando con i vari negozianti indistintamente in arabo o ebraico a seconda di dove ci trovavamo.
Era felice e lo ero anche io. Eravamo per quei pochi minuti una coppia come tante.

Arrivammo alla piazza antistante al Muro Occidentale dopo aver superato severi controlli da parte delle forze dell’ordine. Ziva mi prese una Kippah perché gli uomini devono avere il capo coperto.
Rimasi un attimo ad osservare la moltitudine di gente diversa che si muoveva nella piazza, diverse etnie, diverse tradizioni, diverse liturgie, tutti uniti nel richiamo verso quel muro simbolo di una storia così complessa di guerre e divisioni, ma così carico di forza spirituale. Kotel come lo chiamano loro. La cupola d’oro della Moschea si vedeva al di là del muro, con il sole che splendeva era ancora più lucente. Tutto il paesaggio era così armonico che sembrava impossibile che quei due simboli fossero causa di guerre da anni che stavano destabilizzando molto più che solo questa regione.
Ero stupito nel vedere che uomini e donne dovevano separarsi per arrivare al muro e pregare. Ci avvicinammo insieme fino alle transenne, poi lei si coprì il capo con un foulard nero che teneva nello zaino, mi diede un foglietto ripiegato e uno lo prese per se.
Lo aprii era scritto in ebraico e non capii cosa c’era scritto, la guardai con l’aria di chi chiedeva cosa doveva fare.
- Se per te non è un problema, ti andrebbe di metterlo tra le fessure del muro? Io farò la stessa cosa, sarò proprio vicino alla divisione…
Ripiegai il foglietto feci un cenno di sì con la testa. Mi aveva colto di sorpresa questa richiesta e tutta la situazione era insolita. Stavo vedendo un lato di lei che non conoscevo…
- Va bene… Sarò dall’altra parte.
Le presi le mani e le portai vicino al mio volto per sfiorarle con un bacio appena accennato. Anche se solo per pochi minuti l’idea di salutarla mi dava fastidio, con la paura che si dileguasse tra la folla e mi lasciasse lì.

Camminai verso il muro, l’area per gli uomini era quella più grande, a sinistra, che era più dei due terzi di tutta la piazza. Entrai nella cosiddetta area di preghiera e mi guardai intorno. La sacralità del luogo mi metteva a disagio, c’erano turisti che facevano le foto, ma sembravano quasi inesistenti davanti alla solenne religiosità di tanta gente. C’era chi stava su una sedia seduto in meditazione, chi urlava prostrandosi verso il muro, chi in silenzio appoggiava entrambe le mani e pregava sottovoce. Gli ortodossi Chassidim vestiti di nero, con i loro cappelli a cilindro e i capelli che scendevano ai lati, uomini interamente vestiti di bianco con il capo coperto dal Tallit, giovani con le Kippah colorate… Ma quelli che colpirono di più la mia attenzione furono tre ragazzi, tre soldati con le loro uniformi verdi, i mitra dietro la schiena, i berretti che avevano lasciato il posto a bianche kippah ed il braccio avvolto nel tefillin. Pregavano con le braccia e la testa appoggiata al muro sembravano delle figure irreali in quel contesto, simboli però così vividi di una guerra perenne, mai finita. Ero solo io che li osservavo, segno che per loro era la normalità vedere dei militari in assetto da guerra pregare come chiunque al muro.
Arrivai nel punto stabilito, presi il foglietto dalla tasca. Lo guardai un attimo, poi istintivamente lo baciai e cercai un punto per inserirlo nel muro. Non sapevo cosa si fosse scritto, nè perché lo stavo facendo, ma se Ziva me lo aveva chiesto pensai che la cosa avrebbe avuto un senso e per lei era importante. Rimasi qualche istante a guardare quel foglietto nella fessura del muro, fino a quando non arrivò un altro uomo che mettendo il suo spinse il mio ancora più all’interno.

Tornai indietro, rimasi nella piazza fuori dall’area di preghiera ed aspettai che tornasse. Mi venne incontro sorridendo, ma gli occhi tradivano il fatto che fosse realmente commossa. Si tolse il velo dalla testa e affrettò il passo per raggiungermi, quasi correndo.
- Mi sei mancata…
La presi per mano e ci dirigemmo verso l’uscita: riconsegnai il copricapo e tornammo alla nostra auto, c’era ancora una tappa da fare: Beer Sheva.

--- --- --- --- ---

Stava già tramontando il sole quando arrivammo tra gli ulivi della mia casa natale.
Camminavo tenendo Tony per mano, le sue dita intrecciate tra le mie. Sapevamo entrambi quando ci saremmo fermati, ma non pensavo che lui se lo ricordasse.
- E’ qui? - Mi chiese
- Sì, è qui… - Risposi
- Non pensavo che avrei rivisto questo posto. Nella mia mente è sempre uno dei ricordi più nitidi.
Gli accarezzai il viso con entrambe le mani e poi tra esse lo incorniciai. Lo guardavo fisso negli occhi, avrei voluto che potesse leggermi nel pensiero così da capire tutto quello che avrei voluto dirgli. L’unico motivo per il quale avevo deciso di tornare lì era il ricordo di quella sera di tre anni prima e volevo che ci fosse anche lui.

- Anche l’altra volta era cominciato tutto così, con te che prendevi il mio volto tra le mani… - Mi disse accarezzandomi un guancia con il dorso della mano
- Ti ricordi tutto di quei giorni?
- Tutto, potrei ripeterti a memoria parola per parola quello che ho detto, ed oggi avrebbe lo stesso significato di allora.
Ci baciammo a lungo sotto gli ulivi, mentre l’oscurità scendeva.

Rientrammo a casa e vidi sul telefono varie chiamate senza risposta da un numero sconosciuto. Poco dopo il telefono squillò ancora.

- Ziva! Ma dove diavolo vi siete cacciati!
- Scusa Gibbs, eravamo fuori e non avevo sentito il telefono. Siamo a Beer Sheva, ormai si è fatto tardi, passeremo la notte qui.
- Ziva, lo sai vero che domani dobbiamo partire?
- Certo, non ti preoccupare, domattina saremo lì.
- Va tutto bene? Sei sicura?
- Va tutto bene Gibbs. Non ti preoccupare.
- Ok.
Riagganciò, ma la sua voce non era molto convinta.

- Abbiamo fatto arrabbiare il Capo? - Chiese beffardo mentre si sedeva sul divano
- Credo un po’… O almeno lo abbiamo fatto preoccupare - lo raggiunsi e mi sedetti di fianco a lui
- Avevamo il coprifuoco?
- No, non mi ha detto nulla… Sei stanco Tony?
- No, per niente… - Mi stava mentendo, lo vedevo che per lui era stata una giornata molto lunga, era ancora convalescente - … E’ stata una giornata bellissima. Grazie.
- Di cosa?
- Di avermi fatto conoscere te.
- Non mi conoscevi?
- Non tutto di quello che ho visto oggi. Ti amo Ziva David, per tutto quello che sei.
- Anche io Ti amo Anthony DiNozzo. Sei l’unica persona che so che non mi tradirebbe mai. E l’unica che mi ama per quello che sono, avendo visto anche il peggio di me.

Rimanemmo accoccolati sul divano per un po’. Senza dirci nulla, scambiandoci solo baci e tenerezze. Tony si addormentò ed io approfittai per vedere se nella dispensa avevo lasciato qualcosa da mangiare.
Tornai da lui che dormiva ancora, posai i due piatti con tonno, fagioli e mais sul tavolo: le mie scorte offrivano questo.
La temperatura la sera qui a Beer Sheva scendeva di più che a Tel Aviv, la casa stava diventando un po’ fredda. Presi delle coperte dal baule in fondo alla stanza per coprirlo, ma nel farlo lo svegliai.

- Ehm.. - Si schiariva la voce imbarazzato - addormentarmi non era quello che volevo fare, oggi.
Ridemmo.
- Sai che non stavi male oggi con la kippah?
- Per favore Ziva, se mi avesse visto mia nonna sai come ci sarebbe rimasta? Nonna Concetta detta Cetty, ma lei non ci si voleva far chiamare così. “Concetta mi chiamo” diceva - e lo disse in un buffo italiano - Lei che teneva la fotografia del Papa vicino a quella dei figli! Sacrilegio!
Ridemmo ancora. Ridere con lui mi faceva bene, perchè per qualche istante mi permetteva di non pensare. Cominciammo a mangiare quella che di certo non era la miglior cena preparata in vita mia.
- Era la tua idea dall’inizio fermarci qui per la notte, vero? - Mi chiese
- Più o meno… Ti dispiace?
- No, ho solo bei ricordi della notte passata qui… Mi preoccupa di più il giorno dopo. Tu ci hai più pensato a quella notte?
- Ogni giorno della mia vita. Credimi Tony, non c’è giorno della mia vita che non ho pensato a quella notte.

 

NOTA: questo capito ai fini della storia non ha alcun rilievo specifico, a parte un paio di cose che si ritroveranno nei capitoli successivi, ma potevano anche solo essere accennate o messe altrove.
Mi piaceva però l’idea di scrivere qualcosa di diverso, più personale andando a cercare qualcosa nel personaggio di Ziva che la legasse di più al suo paese e alle sue origini e parlasse un po’ della sua fede e della complessità della sua terra.
Non sono una grande esperta della religione ebraica, quindi spero di non aver fatto errori troppo gravi.
Spero che l’atmosfera dei souk vi sia arrivata così come la vivo io ogni volta che ci vado e che questo capitolo un po’ “turistico” vi abbia trasportato un po’ in quei luoghi.

Agli amanti del TIVA consiglio di non perdersi il prossimo... Grosse novità in arrivo!

Qualche riferimento:
- Yad Vashem è un complesso di monumenti per ricordare la Shoah a Gerusalemme, all’interno del quale si trova “il giardino dei giusti” dove ci sono gli alberi dedicati a tutte le persone di religione non ebraica che hanno aiutato gli ebrei a salvarsi dalla Shoah.
- La canzone che viene canticchiata è Gam Gam, una canzone normalmente insegnata a scuola ai bambini
- La città antica di Gerusalemme è divisa in 4 parti: Ebraica, Musulmana, Armena e Cristiana
- Il Muro Occidentale è quello che da noi è conosciuto come il Muro del Pianto ed è realmente diviso tra dove possono entrare le donne e dove gli uomini.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Total Eclipse Of The Heart ***


… I don’t know what to do and I’m always in the dark
We’re living in a powder keg and giving off sparks
I really need you tonight
Forever’s gonna start tonight …

Oh Tony, se solo tu sapessi quanto ho pensato a quella notte… Potrei rivivere ogni momento nella mia mente senza il timore di dimenticare nemmeno un attimo.

Ricordo il primo bacio, tra le piante di ulivo, la mia schiena sul tronco ruvido dell’albero e lui davanti a me che mi baciava con la passione che solo il primo bacio può avere. Le sue mani fredde, forti, sotto la mia maglia ed il mio corpo che rabbrividiva al suo contatto, ma non era freddo… Quante volte avrei voluto sentire le sue mani così su di me, le sue labbra sulle mie. E tutto stava accadendo in quel momento, nei minuti finali del nostro film, quando non sarebbe mai dovuto accadere per non caricare di nostalgia il dolore.

- No Tony, non possiamo…
- Perché no? - E continuava a baciarmi ed io non riuscivo nemmeno volendolo a sottrarmi ai suoi baci, alle sue mani.
- Io sono solo un’assassina. Uccido le persone. Sarò sempre e solo quello. Farò sempre e solo del male alle persone.
- Tu non sei questo. Io ti conosco, io so quale è la vera Ziva.
Mi baciava sempre con più passione, le sue mani mi avvolgevano e sembravano create per far tremare il mio corpo solo sfiorandomi. Facevo fatica a staccarmi da lui.
- Dopo sarà peggio… Farà più male…
Chiusi gli occhi per non vedere il suo viso, mi divincolai e corsi via, verso casa andando in camera mia. Chiusi la porta, sperando di lasciare fuori anche tutto il resto, sperando che lui rinunciasse… Illusa

Arrivò dopo pochi minuti, aprì la porta e mi venne incontro.
- Dimmi che non mi vuoi, dimmi che non lo vuoi anche tu - la sua voce era implorante ma io non riuscivo a rispondergli, perché non potevo mentirgli.
- Dimmi che non vuoi questo - mi baciò sulle labbra - che non vuoi questo - era sceso a baciarmi sul collo - che non vuoi me - e mi stringeva a se
- Non possiamo Tony…
- Non ti ho chiesto cosa possiamo fare, ti ho chiesto cosa vuoi e cosa non vuoi.
- No, Tony, ti prego… - Ma non sembrava convinto dalle mie parole, non lo ero nemmeno io. Mi sciolsi dal suo abbraccio e mi sedetti sul bordo del letto.
Mi guardava scuotendo la testa, ma non demorse. Si sedette vicino a me e riprese a baciarmi sul collo mentre io mi voltavo dall’altra parte per non vedere il suo viso. Se avessi voluto lo avrei allontanato, lo avrei steso, lo avrei picchiato, lo avrei cacciato via. Se…
- Ti voglio Ziva… Ti voglio come non ho mai voluto nessuna…
Sarebbe stato un errore imperdonabile, sarebbe stato qualcosa che ci avrebbe fatto soffrire più di quanto non avremmo comunque fatto. Sentivo il calore del suo corpo contro il mio anche se eravamo vestiti. Sentivo il suo respiro vicino al mio
- Ziva… - mi sussurrò vicino l’orecchio - dimmi cosa vuoi tu…
Riuscii solo a pronunciare “te” senza aggiungere altro. Ma tanto bastò per varcare la linea di confine.

Non volevo né potevo più nascondere la mia voglia di lui, che leggeva fin dentro la mia anima e nel più profondo dei miei pensieri e già sapeva cosa volevo prima che lo capissi io stessa.

Ci amammo in modo struggente, come solo due innamorati che stanno per lasciarsi possono fare, con l’emozione della prima e la disperazione dell’ultima volta. Ci amammo totalmente, donandoci una all’altro corpo e anima. Le nostre mani, le nostre bocche e i nostri corpi si toccavano, si cercavano, avevano brama reciproca, come a voler prendere qualcosa dall’altro da tenere sempre con se, come se quei baci e quelle carezze non dovessero finire mai, dovessero rimanere per sempre attaccati al nostro corpo e a noi ricordi. Ci toccavamo per imprimere nelle mani il ricordo indelebile del nostri corpi che danzavano uno sull’altro tra gemiti sospiri e lacrime.
In quel momento non esisteva nè lo spazio, nè il tempo, nè nient’altro. Eravamo una donna e un uomo, il mondo iniziava e finiva in noi.
Facemmo l'amore come se in quel momento fosse per noi ultima speranza rimasta. Non fu per fragilità, per cercare conforto, o per soddisfare un desiderio carnale. Fu il trovarsi dopo essersi cercati per una vita, un attimo prima di abbandonarsi. Fu la prima volta che gli dissi “Ti Amo” e glielo dissi con ogni parte del mio corpo. Fu amore vero forse per la prima volta nella mia vita e non sesso consolatorio.

- Avevi ragione - mi disse - ora fa molto più male amore mio…
Si andò a preparare lasciandomi lì con il sapore dei suoi baci sulle labbra. Sarebbe dovuto partire quella notte stessa.

Fu la notte che cambiò la mia vita.
Tony mi aveva lasciato una parte di se, che cominciava a crescere dentro di me.

Mi destai dai miei ricordi.
- Ti sei mai pentito di quella sera Tony?
- Sì - la sua risposta mi spiazzò - ma solo di essermene andato. E tu?
- Mai.
La mia mente continuava a vagare nei ricordi e nelle emozioni di quella notte. Istintivamente portai una mano sul mio ventre. Il pensiero di mio figlio, non so dove, tenuto lontano si impossessò prepotentemente di me. Piansi. Senza motivo apparente per Tony o forse interpretò quel pianto come una reazione ai ricordi di quella notte così carica di emozioni.

--- --- --- --- ---

Pianse.
Capii il perché solo molto tempo dopo, ma l’abbracciai più forte che potevo. Le accarezzavo i capelli ed il viso.
- Ho fatto qualcosa che non va?
- No Tony, tutto quello che tu hai fatto è perfetto. - Si asciugò le lacrime e si alzò dal divano - Forse sarebbe meglio andare a dormire, domani dobbiamo alzarci di nuovo presto ed oggi è stata una giornata lunga.
Non obiettai anche se sarei rimasto anche tutta la notte lì abbracciato con lei.
Mi andai a sistemare in bagno, feci per entrare in camera e mi fermai sulla porta.
La vidi in piedi in fondo al letto che ripiegava i pantaloni su una sedia. La osservai in silenzio. Pensai a quando tre anni prima ero entrato in quella stanza sperando disperatamente di farle cambiare idea, donandole tutto me stesso. Che illuso che ero stato… Quella notte aveva cambiato la mia vita. Con nessun altra era più stato lo stesso. Con nessun altra era più stato come con lei.
- Che fai vieni o rimani lì ancora a lungo? - Mi disse senza guardarmi, si era accorta della mia presenza, ma non poteva essere altrimenti.
Come al solito si era messa una tshirt per dormire. Mentre sistemava le sue cose, mi avvicinai al letto sbottonandomi la camicia. La spalla ed il braccio erano molto indolenziti, feci qualche movimento per cercare di scioglierli un po’, ma peggiorai la situazione e desistetti.
- Mi dispiace, ma qui non ho nulla da darti per farti dormire se hai freddo
Ero dietro di lei e la abbracciavo.
- Sai che non dormo mai vestito e poi al massimo se ho freddo mi scalderai tu… - Maledivo il mio braccio dolorante per non poterla abbracciare come avrei voluto.
- Dai Tony, non fare il bambino…
- Ti sembra che i bambini facciano così? - La accarezzavo in modo volutamente provocatorio
- Tony, no.

Il suo “no” era stato secco e distante, non era stato come quello dell’altra volta quando con la bocca diceva una cosa ma con i gesti l’esatto contrario. Mi aveva sorpreso. Capii che non era il caso di insistere.

- Ok, come vuoi tu. - La sciolsi dal mio abbraccio e le diedi solo un tenero bacio sulla guancia. - Va tutto bene… Tu sei qui, io sono qui, domani ce ne andremo finalmente via insieme. Avremo tutto il tempo del mondo. - Stavo parlando a me più che a lei. Ero io che mi dovevo rassicurare. Le diedi un altro bacio con la stessa tenerezza e mi andai a sdraiare. Lei fece altrettanto e spense la luce.

Non mi aspettavo un suo no, non quella sera, non dopo quella giornata dove tutto era stato perfetto, o almeno a me così era sembrata. Cominciai a farmi assalire dai dubbi. Ci stava forse ripensando? Domani sarebbe realmente partita con me oppure no? Non avrei sopportato di partire ancora una volta senza di lei e a costo di buttare all’aria tutta la mia vita, sarei rimasto qui con lei.
Ma no, quei documenti sembravano essere troppo importanti per lei, sarebbe sicuramente partita. Ma veniva via per i documenti o per me? Se non doveva venire a cercare quelle carte sarebbe mai partita con me? Stavo entrando in una spirale di dubbi e domande.

Perché oggi si era così aperta, come mai prima, mostrandomi una parte di se così intima e profonda per poi mettere stasera tutta questa distanza tra noi con una sola parola? Le domande vorticavano nella mia mente: stavo peggiorando, passavo le notti insonni a pensare a lei che era a pochi centimetri da me.

Mi giravo e rigiravo nel letto quando girandomi verso di lei mi accorsi che nemmeno lei stava dormendo. Trattenni un attimo il respiro per sentire il suo singhiozzo soffocato.
Basta, non sopportai oltre, mi avvicinai e la presi tra le mie braccia. Si lasciò raccogliere come un gattino impaurito. La cullai come si cullano i bambini che hanno fatto un brutto sogno.
- Cosa c’è che non va? - Le chiesi, ma non ottenni risposta.
- Ziva, parlami. Non ricominciamo con i soliti silenzi, con tu che ti tieni tutto dentro e mi lasci fuori dai tuoi problemi. Ci stai ripensando? Non vuoi più venire a casa?
Davo per scontato che “casa” fosse quella a Washington, invece per lei probabilmente casa era questa e la stava lasciando. Tutta quella giornata era stato un salutare i luoghi importanti della sua casa. Che stupido, riesco sempre a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
- Non è quello Tony, ma non è così semplice farlo.
- Non so quello che provi, se ti va sono qui e ti ascolto. Io ci sono e voglio esserci per quello di cui tu hai bisogno, mi hai capito? Voglio essere per te quello che tu vuoi che io sia.
- Tu ora sei… tutto.

Affondai il viso tra i suoi capelli respirando lei a pieni polmoni, la sua essenza, a voler imprimere il suo profumo nella mia anima.
Senza dirci altro cominciammo a baciarci, ne avevamo entrambi bisogno. Avevamo bisogno che io e lei tornassimo ad essere di nuovo noi, sempre lì, come tre anni prima.
Era ancora tesa, ma sentivo da come mi baciava che si stava sciogliendo. La sua bocca ancora sulla mia, i suoi denti mordevano le mie labbra. Non l’avrei mai forzata in nessun modo. Sentii le sue braccia stringermi più forte. Le nostre mani stavano riprendendo confidenza con la pelle dell'altro. Le mie labbra scesero sul suo collo. Adoravo il suo collo e sapevo che lei adorava essere baciata lì, lo sentivo da come aumentava il ritmo del respiro.
La baciai sulle guance, sulla fronte, sulle labbra, con dolcezza, protezione e passione… le baciai il collo e le spalle lasciandomi trasportare dai sensi inebriati di lei. Ero totalmente ubriaco di lei. Aveva un sapore speciale che mi entrava dentro e mi sconvolgeva.

Era lei. Ora ne ero certo. Era lei che stravolgeva totalmente i miei sensi. Perché con lei tutto aveva un altro sapore. Bastava lei e cambiava il volto di tutto il mio mondo. Ogni suo tocco era estasi per il mio corpo, ogni suo bacio ebbrezza per la mia anima e non riuscivo più a farne a meno. Fare l’amore non aveva mai avuto tanto senso come con lei o forse aveva avuto senso solo con lei. Perché noi facevamo letteralmente l’amore con ogni parte di noi. Sfioravo il suo corpo come un pianista i tasti del pianoforte, cercando gli accordi più dolci per donarle piacere e lei come un’abile violinista toccava tutte le corde del mio desiderio. Il nostro concerto d’amore suonava la melodia più dolce e passionale mai sentita: la nostra.

Mi aveva travolto come uno tsunami di piacere. Ero esausto sdraiato su di lei che mi accarezzava i capelli ed anche se era buio percepivo il suo sorriso sotto le mie labbra mentre ancora la baciavo e non avrei smesso mai.

Il suo corpo caldo trovava riposo tra le mie braccia, i nostri respiri affannati pian piano tornavano ad un ritmo più calmo, i battiti del cuore rallentavano. Alla fine chiuse gli occhi: la cullavo e la proteggevo prima di tutto da se stessa. Restammo così senza staccarci, senza preoccuparci per quella sera di cosa sarebbe stato il domani. Senza preoccuparci del mondo fuori da quella casa, della vita che poteva dividerci ancora, che avrebbe potuto annientare la nostra anima e farci a pezzi.
Tutto questo non aveva importanza quella sera, io e lei eravamo tornati ad essere noi e il mondo mi sembrava avesse di nuovo senso, dopo tutto il tempo inutile sprecato nello starci lontano.
Le sussurravo all’orecchio tutte le più dolci parole che conoscevo, tutte quelle che avevo pensato durante la nostra separazione e forse ne avevo trovate anche di nuove. Poi si addormentò e non mi sembrò mai così bella come quella notte.

 

NOTE: A sistemare questo capitolo ho fatto prima del previsto, forse perchè a me piaceva molto come l'avevo scritto e quindi ho modificato poco o nulla.
Un mistero intanto si è sciolto, almeno per chi legge. Avevate capito quale era il “piccolo” segreto di Ziva? Però non vi illudo, rimarrà segreto per il povero Tony ancora per un po’ abbiate pazienza…
Avevo detto agli amanti del TIVA di non perdersi questo capitolo, spero che gli sia piaciuto, sia nella parte dei ricordi con il missing moment, che del presente :)
Quel bacio in aeroporto non poteva essere il primo, ci doveva per forza essere stato dell’altro, no? :)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Skyfall ***


... Where you go I go
What you see I see
I know I’d never be me
Without the security
Of your loving arms
Keeping me from harm
Put your hand in my hand
And we’ll stand ...

Quella mattina il sole sorse troppo presto. Ero ancora sicura tra le sue braccia quando i primi raggi dell’alba entrarono nella stanza.
Fece una smorfia quando mi sciolsi dal suo abbraccio e sostituii il mio corpo con il lenzuolo. Non mi preoccupai di rivestirmi per andare in bagno e mentre stavo uscendo lui si svegliò. Sentii il suo sguardo che insisteva su di me e mi sentii in imbarazzo a lasciarmi guardare così alla luce del sole. Chissà se si sarebbe accorto del tempo che era passato e dei segni che una gravidanza inevitabilmente ti lascia. Istintivamente provai a coprirmi con le braccia, lui mi guardava sorridendo.
- Non lo fare, conosco già a memoria il tuo corpo
In quel momento avrei lasciato tutto e sarei tornata da lui su quel letto a regalarci altri momenti di piacere.
Fortunatamente il ricordo della telefonata di Gibbs della sera prima mi fece riacquistare un minimo di lucidità.
- Vado a farmi una doccia - gli dissi mentre stavo uscendo
- Aspetta! - Mi fermai e lui si alzò dal letto e mi raggiunse. Mi baciò, i nostri corpi nudi si sfiorarono appena, ma abbastanza per far scatenare dentro di me un incendio di emozioni. - Vado prima io!
Rise correndo in bagno, lasciandomi lì sulla porta imbambolata.
- Di Nozzo! - Urlai per farmi sentire dentro il bagno - Così non vale! Me la pagherai!
- Non vedo l’ora! - La sua voce squillante mi raggiunse regalandomi il primo sorriso di quella giornata che sarebbe stata molto più dura di quanto potessi pensare.

Aprii il grande armadio in fondo alla camera e ne tirai fuori un vecchio borsone un po’ logoro, non tanto grande, ma abbastanza capiente per i pochi ricordi che volevo portare via da quella casa, anche se i più importanti erano tutti nella mia mente.
Tony rientrò in camera tutto bagnato con solo un asciugamano in vita. Andai immediatamente in bagno, prima che la sua presenza potesse giocarmi brutti scherzi.

Quando fui pronta tornai da lui in soggiorno e mi accolse con una domanda totalmente inaspettata.
- Ziva, perchè hai un dinosauro in casa?
- E’ di… il figlio di una mia amica, siamo venuti qui una volta qualche settimana fa.
- Uh carino. Chissà se al figlio della tua amica manca il suo giocattolo, io quando ero piccolo avevo un pupazzo, un leoncino, dal quale non mi separavo mai. Lo adoravo letteralmente. Poi credo di averlo lasciato in uno degli hotel nei quali ogni tanto mio padre mi parcheggiava. Ho pianto tantissimo!
Raccontava la storia divertito, io risi cercando di non pensare
- Lo vuoi tenere per sostituire il tuo pupazzetto perso? Tanto non penso che avrò modo di rivedere la mia amica, no?
- Beh perchè no… Ciao amico mio - disse parlando con il piccolo dinosauro - come ti posso chiamare? Fammi pensare… Che ne dici di Jethro, sì mi pare perfetto! Tanto anche se ti dovesse interrogare non dirai mai il tuo nome, sarò salvo!
- Siete uguali… - mi lasciai sfuggire
- Chi? - Non aveva prestato troppa attenzione alle mie parole
- Tu e… il figlio della mia amica. Anche lui parla così al suoi dinosauri…
- Ah pensavo che dicevi che ero uguale al mio amico Jethro! - Disse mentre giochicchiava con il pupazzo - Ci passavi molto tempo con quel bambino?
- Sì, molto - cercai di tagliare corto
- E ti mancherà?
- Naturalmente
Speravo che la conversazione finisse lì. Già era difficile non dirgli nulla, mentirgli era ancora peggio.
- Sai - mi disse sempre guardando quel dinosauro, sembrava veramente interessato all’oggetto - non riesco proprio ad immaginarti come baby sitter di un bambino… Quanti anni ha?
- Due e mezzo - cercavo di essere il più evasiva possibile
- Ma è piccolo! No, non ti ci vedo proprio… A cosa lo fai giocare, al piccolo Killer?
Mi ferivano un po’ quelle parole, ma non potevo dargli torto. Non mi ci sarei vista nemmeno io al posto suo.
- Mi piacerebbe un giorno avere per casa dei piccoli Di Nozzo che giocano con i dinosauri. Non ora certo, magari tra qualche anno… Tu che ne pensi? - Mi chiese con la sua aria scanzonata sfoderando il suo miglior sorriso mentre metteva via il dinosauro.
- Che è tardi e dobbiamo andare se no Jethro ci sbrana e non Jethro il tuo dinosauro.

Guardai un’ultima volta le pareti di quella casa prima di chiudere probabilmente per sempre la porta davanti a me. Prima di salire in auto rimasi qualche momento in piedi ferma a guardarmi intorno. Cercavo di assorbire tutti gli odori, tutti i rumori di quel luogo. Fotografavo con la mente quel posto per portarmelo sempre con me. Salii, accesi il motore e partii velocemente.
Tony appoggiò una mano sulla mia gamba mentre velocemente percorrevo la strada per Tel Aviv.
- Ehy, tutto bene?
- Non lo so… - Ero sincera.
Era tutto molto strano, ma sapevo che fino a quando non fossi entrata per l’ultima volta a casa mia a prendere le mie cose non sarebbe stato tutto così reale.
Di nuovo silenzi tesi tra di noi e mi rendevo conto che la colpa era mia, ma non potevo dirgli la verità, non adesso. Era troppo pericoloso per tutti, soprattutto per lui e per nostro figlio. Non sapevo come avrebbe reagito e la paura che potesse far precipitare le cose mi bloccava. Odiavo non poter avere la situazione sotto controllo e dover sottostare passivamente al volere altrui.

Arrivammo a Tel Aviv prima di quanto Gibbs potesse immaginare.
- Siamo in orario capo? - Gli chiese Tony appena entrati in casa
- Per vostra fortuna sì. Vance ha parlato con il segretario di stato, informandolo di quanto sta accadendo. Hanno contattato direttamente il Mossad per via di quei documenti e pare che la cosa interessi anche molto da vicino il nostro governo. Hanno detto che l’indagine ha la priorità su tutto il resto. Ci manderanno anche un’auto ed un volo privato a prenderci.
- Perfetto! - Disse Tony con la voce entusiasta - Volo privato gentilmente offerto dal governo. Cosa volere più dalla vita! Almeno non ci saranno odiosi marmocchi piangenti a disturbarci il rientro! Tra quanto si torna a casa?
- Passeranno qui alle 10 ed andremo in aeroporto.
Guardai l’orologio. Avevo circa 2 ore per fare tutto.
- Gibbs io ora devo andare a casa mia. Devo assolutamente prendere delle cose prima di partire.

--- --- --- --- ---


La guardai uscire con l’aria del “per-favore-non-te-ne-andare-non-lasciarmi-solo-ancora”. Gibbs sparì nell’altra stanza. McGee guardava perplesso la mia espressione imbambolata.

- Tony, ma mica vorrai che si trasferisca senza prendere nulla delle sue cose
- Lo so McOvvio! Cosa credi che non lo so?
- E allora perchè hai quella faccia così persa nel vuoto?
- Non sono perso nel vuoto sono… rilassato!
- Se lo dici tu Tony… - E riponeva in una valigetta tutto il materiale informatico trovato
- Ci prendiamo tutte queste belle cose? - Gli chiesi
- Hanno detto di prendere tutto quello che avevamo che potesse esserci utile per il caso, per me questo sarà tutto molto utile!
- Per me non c’è nulla di utile in questa casa. Dovrò per forza prendere dei vestiti da mettermi per essere presentabile quando arriverò. Non vedo l’ora domani di poter aprire il mio guardaroba e scegliere qualcosa di più adatto a me.
- Per chi ti vuoi fare bello all’arrivo? Ti viene a prendere Michelle? - Chiese ingenuamente Tim ma non risposi. Michelle in quei giorni era stato quanto di più lontano dai miei pensieri e dopo l’ultima notte anche di più - Tony, mi vuoi dire che non l’hai avvisata? Non l’hai sentita mai da quando sei qui?
- Pivello non credo che i miei rapporti con Michelle siano affari tuoi, no?
- A Ziva lo hai detto almeno di lei?
- Nemmeno questi lo sono.
Andai in camera per stare un po’ da solo. McGee aveva ragione, ma non glielo avrei mai detto. Dovevo assolutamente dire a Michelle si Ziva e Michelle non avrebbe mai capito la situazione. Non sarebbe stato facile da spiegare nè perché ero sparito nè che la mia vita era totalmente cambiata e lei non ne avrebbe potuto fare più parte. Le avrei spezzato il cuore, sicuramente. Come avevo già fatto anni prima a Jeanne. Mi avrebbe detto che ero un bastardo, che avevo giocato con lei, che non la meritavo e forse avrebbe avuto ragione su tutto. La cosa più grave era però che se pensavo a Ziva tutto questo non mi importava, però mi facevo schifo da solo, ma ormai questi erano errori del passato, io pensavo solo a ricominciare tutta la mia vita con l’unica persona che avevo mai amato veramente.

Sentimmo il rumore di una macchina parcheggiare davanti casa. Era lei che tornava. Gibbs guardò fuori dalla finestra fece un cenno con la testa.
- Di Nozzo, McGee andiamo!
- Come Capo, dove andiamo?
- Via Di Nozzo, andiamo via, sono venuti a prenderci
- Ma Capo manca Ziva… - Panico. Stavo andando in panico totale.
- Pivello glielo avevo detto. Alle 10 ci vengono a prendere per andare in aeroporto. Era implicito che dovesse trovarsi qui per quest’ora no? Sono le 10:07. Andiamo.
- Ma…
- Tony, andiamo! - La sua voce si era fatta più comprensiva ma non meno autoritaria.

McGee uscì di casa con la valigia con i componenti elettronici che aveva preso e Gibbs mi invitò a fare lo stesso. Uscii come un automa o forse come un condannato a morte, rassegnato. Dalla monovolume nera uscirono due uomini, uno ci aprì la porta, l’altro andò incontro a Gibbs ed insieme portarono alla macchina un grosso borsone che sembrava essere molto pesante. Non sapevo cosa ci fosse e nemmeno mi interessava.
Io mi riportavo via solo la collana di Ziva, quella che mi aveva dato 3 anni prima, che aveva lasciato sul comodino in camera e un dinosauro di un bambino che avevo chiamato Jethro che non sapevo nemmeno perché avevo preso.
Non capivo se stavo vivendo un incubo adesso o se quello che avevo vissuto fino a stanotte era solo un sogno, era stata solo la mia immaginazione e quella era la realtà. Mi sentivo svuotato di ogni emozione felice. Il mio corpo era un guscio.
Maledivo quei giorni e l’illusione di averla ritrovata. I ricordi mi assalivano come uno sciame a pungere tutto il mio corpo e si trasformavano in una montagna che gravava interamente su di me opprimendomi tanto da farmi respirare a fatica.
Che stupido, che stupido che ero stato a pensare che sarebbe andato tutto come volevo, ad illudermi.
Ora faceva male 10, 100, 1000 volte di più, ora che i ricordi di lei erano più vivi che mai nella mia mente e nel mio corpo.

- Tutto bene Tony? - Mi chiese McGee
- No. - Risposi laconico. Poi mi rivolsi a Gibbs - Capo io non so se posso partire oggi.
- Fai la tua scelta Tony. E ricordati che anche gli altri faranno o hanno fatto le loro. - Era visibilmente contrariato da quello che gli avevo detto. Lui era sempre stato dell’idea che dovevamo rispettare le decisioni di Ziva anche se non le condividevamo.
- E per trovare quei documenti? Come facciamo senza Ziva - ci interruppe McGee. I documenti… Cosa me ne fregava a me di quei maledetti documenti…
- Non è un nostro problema McGee. Se il nostro governo li riterrà così importanti prenderanno contatti loro con il Mossad e faranno in modo che David arrivi a Washington. Fino a quando non mi dicono di prelevarla e portarla con noi non è un nostro problema.
“Non è un nostro problema”. Oh sì che è un nostro problema. E’ un mio grandissimo problema che lei ci sia oppure no. E’ vitale per me. Avrei voluto dire questo a Gibbs, ma non dissi niente.
- E se le fosse successo qualcosa? Ci hai pensato Gibbs? Qualcuno di noi dovrebbe rimanere qui per cercarla e vedere se sta bene… - Stavo cercando di appigliarmi a tutto
- Tony, è Ziva. Sta sicuramente bene. - Aveva ragione lui. Abbassai lo sguardo e non cambiai più posizione. Se qualche lacrima avesse dovuto rigarmi il volto non avrei voluto che la vedessero.

Arrivammo con l’auto fin sulla pista dell’aeroporto. Il forte rumore dei motori degli aerei rendeva tutto l’ambiente ovattato, ma il rumore dei miei pensieri era ancora più forte.
La macchina si fermò, uno dei nostri due uomini di scorta uscì per prendere i nostri pochi bagagli e Gibbs aprì la porta scorrevole per scendere.
- Andiamo - Ci disse. McGee lo seguì subito.
- No Capo, io non posso, non oggi. Magari cercherò un volo nei prossimi giorni. Mi servono un paio di giorni di ferie.
- Come vuoi Pivello.
Le avevo promesso che non sarei salito su quell’aereo senza di lei, che le sarei rimasto vicino.

- Agente Di Nozzo, che fai, mi lasci partire da sola?
Alzai la testa come una molla, il mio volto si aprì in un sorriso enorme. Era lei!
- Dai sbrigati che ci stanno aspettando! - Mi incalzò
Scesi velocemente dall’auto. Non avevo nulla con me. Avevo lei ed era tutto quello che di più importante potevo portare via da lì. Provai a prenderle il grosso zaino che portava ma con lo sguardo mi incenerì e capii che non era stata una buona mossa.
Le scalette dell’aereo erano proprio lì davanti a noi, lei fece un passo per salire il primo gradino.
- Aspetta!
Si volto. Ci guardammo negli occhi per un istante in cui socchiudo le labbra desiderando le sue, lei lo capisce e mi bacia. “E’ vera. E’ con me” pensai.
- Di Nozzo! David! Dobbiamo aspettare ancora molto?
La voce di Gibbs ci riportò sulla terra. Le presi la mano, la strinsi forte e questa volta, con tre anni di ritardo, salimmo insieme sull’aereo.

L’aereo era eccezionalmente comodo. Più che dei sedili aveva delle comode poltrone di pelle bianca, erano 8 in tutto, due blocchi da 4 con un tavolino in mezzo più un divano dietro di noi, prima della porta del bagno.
Gibbs e McGee si erano seduti uno difronte all’altro nelle prime 4 poltrone, io e Ziva ci accomodammo seduti vicini in quelle dietro. Il capitano ci informò che il volo sarebbe stato di circa 10 ore, molto più veloce di quello che presi l’ultima volta, pensai: i vantaggi si un volo privato. Ci riflettei un attimo ma pensai che anche se fosse durato 24 ore, sarebbe stato comunque più breve, perché non ero solo. Quel volo per me era durato 3 anni.
Ci allacciammo le cinture e le strinsi forte la mano. Non mi bastava vederla al mio fianco, avevo il bisogno fisico di sentirla, di avere sempre un contatto con lei.

L’aereo si alzò e Ziva dal finestrino guardava Tel Aviv allontanarsi sempre più. Avrei voluto entrare nella sua testa per capire cosa pensava in quel momento, cosa provava, così da trovare le parole giusto da dirle.
Rimase in silenzio a guardare fuori fino a quando non fummo abbastanza alti da non vedere nient’altro che nuvole sotto di noi. Lei guardava fuori, io guardavo lei.
Quando si volto verso di me aveva gli occhi lucidi.
- Hai pensato che potresti non tornare più? - Mi accorsi immediatamente di quanto la mia frase fosse fuori luogo
- Sì
- Ti dispiace? … Scusa, domanda stupida - Tentai di giustificarmi
- Non lo so… Ma credo di sì… Questo paese lo amo e lo odio… Avrei voluto portarti in tanti altri posti, per farti conoscere qualcosa in più di me, avrei voluto poter vivere con te altre giornate come ieri.
- Tipo?
- Non lo so, anche solo andare a Namal dove c’era il vecchio porto a mangiare in uno dei ristorantini sul lungomare. Portarti a vedere il deserto del Negev fiorito in inverno e passeggiare tra gli anemoni rossi. Cose normali…
- Lo sai che ti amo, vero?
Non mi rispose, ma appoggiò la testa sulla mia spalla, si portò le nostre mani unite vicino alle labbra e le baciò: come risposta mi andava più che bene.

Notai McGee che si era voltato un paio di volte a guardarci tra le due poltrone. Gibbs lo riprese, senza distogliere lo sguardo dal libro che stava leggendo. Sussurrò uno “Scusa Capo”. Probabilmente lo avesse fatto in qualsiasi altro contesto lo avrei distrutto, in quel momento non mi importava nulla.
Frugai con una mano nella tasca dove avevo la sua collana e gliela porsi.
- Te l’avevo regalata…
- Preferisco pensare che me l’avevi prestate fino a quando non fossi tornata. Ora che ho te, non ho più bisogno di lei.
Si scostò i capelli e gliela chiusi intorno al collo, ma non resistetti dal darle anche un bacio.
Si voltò a guardarmi con aria di rimprovero per quel gesto giudicato troppo audace, io alzai le sopracciglia e sorrisi malizioso. Scosse la testa sorridendo e si appoggiò di nuovo sulla mia spalla.
- Non mi importa dove staremo. L’importante è che saremo insieme. - Mi disse sottovoce
Era la frase più bella del mondo.

NOTA: Qualche timore che non partisse? Vabbè, in caso sarebbe rimasto Tony :)
Non pensate che ora che arrivano a DC le cose si semplificheranno perchè non sarà proprio così… ci sono taaanti problemi che arrivano, da quelli semplici quotidiani ad altri più importanti. Stay Tuned!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Love Theme ***


L'aereo aveva già cominciato le manovre di atterraggio. Guardando fuori dal finestrino si vedeva il profilo di Washington dall'alto. Viaggiando verso ovest arrivammo che era ancora giorno.

Mi sentivo strana, impaziente di risolvere questa storia, felice per essere con Tony di nuovo negli States ma tutto era sempre offuscato dal pensiero di Nathan. Mi imposi di pensarci il meno possibile altrimenti sarebbe stato impossibile essere abbastanza lucida per ricomporre tutti i pezzi del puzzle che mi aveva lasciato mio padre, ma era quasi impossibile. C'era sempre qualcosa che mi ricordava di lui, soprattutto la sua assenza.

Avremmo toccato terra a breve, si vedevano già le luci della pista.

- Contento di essere tornato a casa Tony?
- Certo contentissimo! Finalmente potrò bere un caffè americano come si deve e non quelle cose spezziate che fanno dalle tue parti. E poi vabbè dai, sì sono contento anche perché torni a casa con me, ma rispetto al caffè è secondario! - mi ammiccò - e tu sei contenta?
- Sì così avrò più tempo per decidere con quali dei 18 modi ti posso uccidere con una graffetta.

Mi baciò proprio un attimo prima che le ruote dell'aereo toccassero la pista e nel sobbalzare dell'atterraggio approfittai per mordergli il labbro inferiore

- Ahi! - si lamentò
- Prova a bere una tazza di caffè, ti farà passare tutto - lo provocai
- David questa me la paghi eh!

Fuori dall'aereo il direttore Vance ci aspettava. Ci salutammo cordialmente e ci diede appuntamento per il giorno dopo in ufficio. Avrei preferito cominciare subito, ma capii che erano stati giorni complicati ed avevamo tutti bisogno di riposo. Passammo i controlli da una porta riservata ed eravamo fuori.
In quel momento realizzai che non avevo in realtà una casa dove tornare visto che la mia era in affitto.

- Dovrò trovarmi un albergo per qualche giorno fino a quando non trovo un posto dove stare.
- Come scusa?
- Ho detto che devo trovare un posto dove stare
- Perché?
- Perchè andare a dormire in un parco o sotto un ponte non mi pare la cosa più indicata DiNozzo, tu che dici?
- Io davo per scontato che tu venivi a casa con me.
- Tony non voglio nè dormire io sul divano nè farti dormire a te.
- Quindi tu non sei una di quelle donne da “due cuori ed una capanna” - Sorrise - Il mio letto comunque è comodo per dormirci in due
- Tony se non hai cambiato letto il tuo non era comodo nemmeno per dormirci da soli.
- Ho cambiato qualcosa in più del letto...

Eravamo quasi arrivati all'uscita dell'aeroporto, ci fermammo in mezzo a tutta la gente che affannata cercava amici o familiari e ci scambiammo un dolce bacio. L'idea di vivere a casa con lui mi spaventava e mi elettrizzava contemporaneamente. Dentro di me, però, speravo che me lo proponesse.

--- --- --- --- ---

Un urlo ed uno strattone al braccio ancora indolenzito mi obbligarono a staccarmi da Ziva. Riconobbi subito quella voce. Mi voltai e la vidi prima ancora di sentire lo schiocco delle sue dita sulla mia faccia che mi colpirono con forza. Michelle sapeva che sarei arrivato, era lì e ci aveva visto. “Perfetto” pensai “almeno il problema di come dirglielo è risolto”

- Tony! Sei un bastardo! Sono stata giorni a preoccuparmi per te perché eri sparito. Chiamavo in ufficio tutti i giorni per avere tue notizie e oggi quando ho parlato con Bishop non mi sembrava vero che saresti tornato... Pensavo di farti una sorpresa ed invece la sorpresa l'hai fatta tu a me!
- Michelle le cose sono complicate. - Le dissi con voce sinceramente dispiaciuta

- Complicate dici? A me sembrano chiarissime. Un fantasma torna dal tuo passato e tu butti all'aria la nostra storia. Ma quanto sono stata stupida a credere alla favola dell'amica e collega morta per difenderti eh? Quante risate ti sei fatto pensando a come bevevo le tue cazzate per giustificare una foto.
- Michelle hai tutte le ragioni del mondo per essere incazzata oggi ma non mi pare il posto adatto per fare queste scenate - cercavo di essere comprensivo, lei aveva tutte le ragioni del mondo a considerarmi un bastardo

- Non ti sembra il posto giusto? Hai paura di far sapere a tutti che gran bastardo che sei?
- In questi giorni mi hanno rapito, mi hanno messo una cintura esplosiva alla vita, mi hanno sparato e avvelenato. Pensi veramente che mi fa paura una sceneggiata? Lo dicevo per te...

- Tu non ti devi preoccupare più di nulla di quello che riguarda la mia vita. Hai capito Tony? Nulla. Quindi se devi pensare a qualcuna pensa alla puttanella che ti sei riportato a casa.
- Michelle, capisco che sei sconvolta ma non ti azzardare mai più a parlare di Ziva così. - La mia pazienza era finita nel momento stesso in cui aveva toccato lei.
- Cos'è, - disse rivolgendosi a Ziva che la guardava senza proferir parola, una maschera di cera impassibile, abituata a sopportare ben altre situazioni senza perdere il controllo - In Israele non avete abbastanza uomini da venire a prendere quelli che sono qui?
- Ora basta Michelle, stai passando il limite. Prenditela con me, insulta me non lei che non c'entra nulla.
- Ti vuoi far vedere cavalier servente che la difendi? Non è capace a farlo da sola? - Mi venne sa sorridere pensando a cosa sarebbe stata capace di fare Ziva se solo avesse voluto in quel momento e Michelle doveva aver interpretato questo mio sorriso per una presa in giro per lei, fortunatamente una voce amica interruppe la discussione

- Pivello qualche problema? - Gibbs prima di uscire aveva visto tutta la scena e ci aveva raggiunti
- No capo tutto a posto. Ora ce ne andiamo a casa.
- Ci vediamo domani ragazzi. - ed uscì verso il parcheggio comportandosi come se Michelle nemmeno esistesse.

- Te la porti a casa tua? Complimenti Tony, io in 8 mesi casa tua forse l'ho vista un paio di volte.
- Non la porto a casa mia, la porto a casa nostra. Evidentemente un paio di volte sono state anche troppe. Ed ora scusami Michelle, so bene che dovrei dirti che mi dispiace e che non volevo. Sicuramente mi dispiace che stai male per questa situazione ma oggi io sono troppo felice per lasciare spazio ad altri sentimenti perché oggi ho esattamente quello che ho sempre voluto.
- Sei un bastardo Tony, un bastardo!
- Ciao Michelle, stammi bene

Non ascoltai più le sue parole, abbracciai Ziva e andammo verso i taxi.

- Mi dispiace per questa sceneggiata e per quello che ti ha detto.
- Era sconvolta dalla situazione Tony, è comprensibile.
- Perchè sorridevi prima?
- Immaginavo cosa potevi farle se ti fossi voluta difendere
- Sono così cattiva?
- Quando ti arrabbi sì e ne so qualcosa!

Andai verso il primo taxi libero

- Allora che fai, vieni con me o no? - Le chiesi mentre salivo
- Fammi spazio Di Nozzo!

Diedi al tassista l’indirizzo di casa e partimmo.

- Dove andiamo? - Mi chiese Ziva
- A casa!
- Ma casa tua non è qui!
- Sì che lo è. Mi sono trasferito due anni fa.
- È una bella zona.
- Lo è.
- E…?
- Zio Renny Paddington... Ed io che pensavo fosse solo una leggenda la sua esistenza! Pare invece che la storia su di lui che aveva fatto fortuna non si sa come in Sud America fosse vera. Era tornato negli States qualche anno fa da quello che mi hanno detto. Viveva a Miami. Aveva disposto vari lasciti tra associazioni e amichette varie, il resto è andato al suo unico erede.
- E tuo cugino come si chiamava?
- Crispian? Ha avuto qualche problema con la giustizia in Inghilterra dopo aver preso l’eredità di Clive.
- E tu invece che hai fatto?
- Ho cambiato casa, macchina…
- Ti sei preso la famosa Ferrari 599 che volevi prendere con l’eredità di zio Clive?
- Ehm no… Ti ricordavi della mia amata Ferrari?
- Tony hai tenuto una settimana o più quella foto appesa in ufficio e sulla tua scrivania…
- Comunque no, qualcosa di molto più sobrio… Poi ho ripagato i debiti di Senior e lasciato qualcosa per togliermi qualche sfizio. Nulla di particolare, ma grazie a zio Ranny ora ho tutto lo spazio per te! Ehy zio lassù se mi senti grazie eh!
- Ah bene ora sei diventato anche un buon partito!
- Motivo in più per rimanere sempre con me...

--- --- --- --- ---

Salimmo in ascensore e Tony schiacciò il tasto dell’ultimo piano.

La casa era molto luminosa, molto più della precedente. Arredata in stile contemporaneo, mobili laccati bianchi e neri con rifiniture in acciaio satinato. Era elegante e raffinata. Dopo un breve corridoio l’ambiente principale era un grande open space con un bancone con il piano nero lucido e gli sgabelli intorno che divideva la zona cucina dai divani di pelle bianca messi ad angolo davanti ai quali c’era tavolo basso in cristallo e sulla parete tra le due finestre panoramiche un enorme tv e l’impianto di dolby surround con accessori vari. Mi immaginavo la scena… Tony su quel divano con qualche scatola di cibo cinese da asporto poggiato sul tavolo a vedere i suoi film… I suoi immancabili dvd che riempivano tutta la libreria sulla parete tranne un piccolo spazio dove c’era qualche decina di cd, prevalentemente le colonne sonore dei suoi film preferiti.

Posò il suo zaino in un angolo del corridoio, io continuavo a tenere il mio ben più grande sulle spalle mentre mi guardavo intorno incuriosita di questa nuova sistemazione che mi aveva colto di sorpresa perché non mi aspettavo una casa così da Tony, ma la cosa che mi colpì di più fu vedere sul mobile dell’ingresso, vicino ad una scatola di legno scuro probabilmente di ebano dove Tony mise le chiavi, una cornice dello stesso materiale con dentro una foto di noi due sorridenti abbracciati. Non riuscivo a ricordare quando l’avevamo scattata ma era veramente bella. Pensavo che doveva avercela sicuramente scattata Abby in qualche momento di relax. Lo guardai e mi sorrise.
- Ti volevo con me. - Disse guardando anche lui la foto - Benvenuta a casa

--- --- --- --- ---

- Questa è casa tua? - Mi chiese stupita
- Già… Vieni dai, posa questo zaino ti faccio vedere

Le mostrai la camera da letto con il grande bagno e la cabina armadio che di fatto era un altro vano, la stanza per gli ospiti mai usata, una grande sala da pranzo con un lungo tavolo di cristallo e sedie di acciaio e divani intorno: l’avevo sempre immaginata per le feste con gli amici in realtà l’unica persona che ci entrava era la donna delle pulizie a spolverare.

- E lì cosa c’è? Non ci si può entrare? - Chiese indicandomi la porta di una stanza che avevo saltato
- No, quella è l’ala ovest, è vietato - Sorrisi ma lei non capì la battuta, evidentemente - Non hai mai visto la Bella e la Bestia?
- Si perchè, quando ero piccola, una volta forse…
- Niente lascia stare… - Aprii la porta - Qui non c’è niente!
- Perchè?
- Non sapevo cosa metterci, inizialmente pensavo di farci una stanza solo per vedere film, poi però l’idea di chiudermi proprio in una stanza non mi allettava… Secondo la mia arredatrice ci sarebbe stata bene una palestra privata ma da come le ho riso in faccia quando me l’ha proposto non ha insistito. Quindi le ho proposto io di arredarmela come “stanza del piacere”, però dallo schiaffo che mi ha dato ho capito che forse non dovevo insistere io e che dovevo cercarmi una nuova arredatrice, quindi è rimasta vuota.
- Te lo sei meritato, ha fatto bene!
- Non era mica un invito a lei, era una mia idea, in generale, poteva sempre essere utile, no?
- Tony…
- Ok, ok David. Sto zitto.
- Comunque secondo me la palestra era un’ottima idea, pratica per allenarsi.
- Io preferisco altri tipi di allenamento fisico, capisci cosa intendo…
- Tony!

--- --- --- --- ---

Avevo appoggiato le mie cose in camera sua, non avrei riempito nemmeno un armadio, figuriamoci la sua enorme cabina con le poche cose che alla fine avevo portato via. Forse quando le avevo prese avevo in mente che sarei tornata presto, molto più probabile però che pensavo che non mi serviva molto di quello che avevo.
Sistemai i miei vestiti in un ripiano, tutti troppo leggeri per le temperature di Washington: nei prossimi giorni dovevo assolutamente andare a fare un po’ di shopping. La scatola con le cose più importanti che mi ero portata via la lasciai dentro allo zaino che chiusi con stringendo forte i lacci, come a voler chiudere dentro i ricordi e lo misi nel ripiano più alto.

Tornai in living e Tony non c’era. Cominciai a guardare la sua libreria di film scorrendo con il dito il profilo dei vari dvd.
Accesi l’impianto hi-fi e la casa fu subito avvolta da una dolce melodia, molto malinconica, con struggenti note di violino.
Lo sentii alle mie spalle che mi stava abbracciando mentre ascoltavamo la musica.
- E’ la colonna sonora di un film italiano dove il protagonista è un bambino fissato per il cinema ed ama una donna ma per una serie di coincidenze non la può avere e le loro vite si separano… - mi voltai verso di lui che continuava il suo racconto - un giorno si incontrano di nuovo e lui le dice “Anche se il tempo passava, in tutte le donne che incontravo, io cercavo solo te…” - Mi accarezzava il volto mentre mi parlava
- E poi? - Ma in realtà non gli stavo chiedendo la trama del film
- Poi loro stanno insieme per sempre… - Scoprii solo tempo dopo che mi mentì spudoratamente sul film
- E’ molto commovente questa musica…
- Già… Alla fine lui è seduto da solo da adulto dentro un cinema e guarda tutte le scene dei baci dei grandi film del passato e ripensa alla sua vita…
- La stavi ascoltando per questo? - Glielo chiesi, ma non attesi una risposta. Lo baciai in quel momento, proprio quando la musica raggiungeva il suo climax.

Tra le sue braccia con quella musica di sottofondo mi sembrava di ballare. Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Forse il sogno di bambina di diventare una ballerina era questo.

 

NOTA: Il film al quale si fa riferimento è ovviamente “Nuovo Cinema Paradiso” e la musica è “Love Theme For Nata” di Ennio Morricone. Mi piaceva l’idea di inserire tra le citazioni cinematografiche di Tony questo film perchè la musica di Morricone è veramente bellissima e la trama del film mi ha dato uno spunto per scrivere l’ultima scena del capitolo. Se volete provate ad ascoltare la musica mentre leggete l’ultima parte, farà più effetto!
Godetevi questo capitolo dolce perchè i prossimi saranno un po' più movimentati...
Vi faccio un piccolo Spoiler: il personaggio di Michelle tornerà tra qualche capitolo e riserverà qualche colpo di scena!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** See You Again ***


…So let the light guide your way
hold every memory as you go
and every road you take
will always lead you home …

- Scusi, lei signora, dove sta andando?
Una guardia all’entrata dell’NCIS mi bloccò
- In ufficio
- Tesserino?
- Arthur vieni qua… - Intervenne Tony parlando al giovane ragazzo - … Lei è con me. Ziva David. Agente qui per anni, quando tu forse ancora guardavi i cartoni in tv.
- Mi spiace signore, ma io non la conosco…
- Lo so che TU non la conosci, per questo ti spiegavo chi fosse. Il direttore Vance ci sta aspettando.
- Agente Di Nozzo, è la regola, se non ha il tesserino dell’NCIS non può entrare, deve andare a farsi autorizzare come visitatore, se glielo dice lei agente non avranno problemi a farlo. E’ la regola… - tentava di giustificarsi davanti a Tony spazientito.
- Ok Arthur… è la regola… Me ne ricorderò
- Agente non è colpa mia, è la regola! - E la sua voce sembrava quasi quella di un bambino
Tornò indietro e andammo insieme a farmi dare il pass come visitatore.
- Dai poverino non è colpa sua, ha ragione.
- Sai da quanto sta qua? Da meno di un anno.
- Ma che c’entra Tony, è la regola, sempre stato così. Perchè ti sei innervosito?
- Niente, niente, dai andiamo…
- Ecco Arthur il mio tesserino, il mio distintivo, il pass di Ziva David. Vuoi altro adesso? - Il tono della voce di Tony era minaccioso.
La giovane guardia non controllò nulla, ci fece solo un cenno veloce con la testa.
- E’ tutto apposto Agente Di Nozzo, andate prego!
- Grazie Arthur - lo salutai poi dopo esserci allontanati di qualche passo prima di prendere l’ascensore - Tony hai esagerato con quel ragazzo, è stato un comportamento fuori luogo.
- Ok, altro Ziva?
- Tony ma che ti prende oggi?
- Niente… niente.

--- --- --- --- ---

Il fatto che avessero bloccato Ziva mi aveva dato enormemente fastidio. Troppo. Lei era una di noi, non una visitatrice.
Aspettammo e poi entrammo in ascensore senza dirci più una parola.
Era la prima volta che tornavamo lì, non eravamo rientrati a Washington da nemmeno 24 ore e già sembravamo quelli di anni fa, che passano le giornate a bisticciare come bambini.
Le porte si chiusero e l'ascensore si mosse. Lei muta nemmeno mi guardava. Buttai un occhio sulla pulsantiera e fermai l'ascensore.

Si girò e mi guardò. Era ancora arrabbiata.
Senza dirle niente la spinsi verso la parete e la tenni ferma con la braccia bloccate dalle mie mani vicino alla testa ed il mio corpo a fermare il suo. Sapevo che se avesse voluto mi avrebbe steso comunque, ma rischiai. Se c’era qualcosa che avevo capito di lei era che dovevo sempre rischiare.
La guardai solo un attimo e poi la baciai. Un bacio duro, forte, passionale al quale dopo un istante di reticenza partecipò anche lei. Non l'avevo mai baciata così. Un bacio di solo istinto, carnale. Le lasciai le braccia e non si mosse. Le presi la testa tra le mani per avvicinarla se era possibile ancora più a me. Lo avevo sognato per anni un bacio così e appena la lasciai glielo dissi.

- Tony cosa ti è preso? - mi chiese rossa in viso mentre si sistemava i capelli magnificamente raccolti nella sua treccia scura che le scendeva lungo la spalla.

- Ho sognato un bacio così, qui, per anni. Ogni volta che entravamo soli in ascensore avrei voluto farlo. Bloccare le porte, sbatterti al muro e baciarti come ho fatto oggi.

Non mi rispose, arrossì ancora di più. Feci ripartire l'ascensore, anche se a guardarla così lo avrei tenuto bloccato per ore.

--- --- --- --- ---

Prima di uscire dall’ascensore mi prese per mano. Quel bacio così diverso da tutti gli altri mi aveva fatto dimenticare tutta l’ansia di quel ritorno e mi preoccupavo solo che qualcuno si potesse accorgere di qualcosa. Mentre si aprirono le porte feci un respiro profondo, strinsi forte la sua mano e poi la lasciai.

- Buongiorno gente! - Disse Tony come se nulla fosse
- Ciao Tony! Ciao Ziva! - Ci salutò McGee
Gibbs non c’era, ma alla “mia” scrivania c’era lei, la biondina dei collegamenti che molto carinamente si alzò e venne a presentarsi.
- Ciao io sono Eleanor Bishop, Ellie…
- Ciao Ziva David
- Sì, so bene chi sei, non si può non sapere
- In senso positivo o negativo? - Cercavo di stemperare l’imbarazzo
- Negativo David, ovvio! - Intervenne Tony
- Beh ecco io… dovrei sistemare delle cose, non ti dispiace, vero che io… - e indicò la scrivania dove era seduta fino a qualche minuto prima
- Tranquilla Ellie, è la tua scrivania quella.
Annuì e tornò dietro allo schermo.
- Ziva, abbiamo fatto una richiesta per sequestrare l’intero stabile del negozio di import export. Stiamo aspettando l’autorizzazione e appena che l’avremo andremo a fare un sopralluogo. Ho chiesto la massima urgenza.
- Grazie Tim
In quel momento arrivò anche Gibbs
- McGee, novità?
- Capo come dicevo a Ziva ho fatto…

- David nel mio ufficio! - Urlò il direttore Vance da sopra la scalinata, mi allontanai dai due che si aggiornavano sul caso e andai verso l’ufficio del direttore.
L'ultima volta che c'ero stata avevo di fatto messo fine alla mia vita qui a Washington. Salii le scale sentendo lo sguardo ti tutta la squadra che seguiva i miei passi e mi chiusi la porta alle spalle.

- Direttore.
- David, ci ritroviamo alla fine.
- Già. - faticavo sempre a capire cosa passava per la testa di quest'uomo. Con mio padre aveva un eccellente rapporto, uno dei tanti che aveva subito il fascino della sua posizione fin quando era stata solida e che voleva fare di tutto per mantenerla perchè sapeva ne avrebbe beneficiato anche lui. Un’amicizia di convenienza che probabilmente ora malediva, visti i risvolti del caso.

- Veniamo subito al punto dato che i convenevoli se non ricordo male non ti sono mai interessati
- Sì molto meglio
- Tu non sei più un agente dell'NCIS e non fai più parte del Mossad
- Questo lo so
- E in che ruolo sei qui a seguire questa indagine?
Gli mostrai in modo ironico il tesserino che mi avevano dato all'ingresso che tenevo agganciato sulla cintura dei pantaloni dove di solito mettevo il distintivo.
- Visitatrice? Sono la persona che può trovare quello che a quanto pare interessa ad entrambi i miei ex datori di lavoro
- David, giochiamo a carte scoperte, cosa pensi di fare trovati questi documenti? Tornare in Israele? Rimanere a Washington?
- Non lo so cosa voglio fare ma non credo che questo cambi qualcosa ai fini di questa missione - Non lo sapevo veramente ed anche se l’avessi saputo in quel momento Vance era l’ultima persona a cui l’avrei detto.

- Gibbs mi ha chiesto di farti rientrare in squadra con lui intanto come agente di affiancamento per seguire questo caso. Poi dopo deciderai tu - Mise sulla scrivania un distintivo con la pistola. - Il tesserino lo avrai da domani, tempi tecnici, sempre se accetterai.

Presi la pistola e lasciai il distintivo sul tavolo.

- Direttore mi dia 24 ore per pensarci. Quando me ne ero andata mi ero ripromessa di non avere più distintivi a legarmi.
- Certo David capisco che la tua situazione ora sia profondamente cambiata. Proprio per questo ti chiedevo se pensavi di tornare in Israele o di stabilirvi qua.

Stabilirvi? Il direttore Vance sapeva! No, non poteva essere stato Gibbs a dirglielo! Misi da parte ogni forma di rispetto del ruolo, sbattei la pistola sul tavolo

- Stabilirvi? Vance cosa sai? E soprattutto come lo hai saputo?
- So che la tua famiglia conta un nuovo arrivo, a proposito congratulazioni. - Disse in tono falsamente cortese - Prima di farvi tornare ho parlato con il direttore Elbaz che mi aggiornato sulla tua posizione e mi ha pregato di darti carta bianca su questa missione.

- Direttore le cose non sono come sembrano
- Che vuoi dire David?
- Che il direttore Elbaz non è quella che fa vedere di essere. È lei che ha fatto rapire Tony, è lei che lo ha usato per farmi contattare per andarlo a salvare ed è sempre lei che mi sta ricattando per avere quei documenti.
- Ricattando?
- Direttore cosa sa di mio figlio?
- Che lo hai lasciato da dei parenti
- Io non ho parenti. I miei parenti sono morti. Tutti. Lo ha preso il Mossad! Loro hanno mio figlio! - sbattei violentemente i pugni sul tavolo - siamo tutti delle marionette in mano loro e ci stanno usando come vogliono!
- David ne sei sicura, sei sicura che sono stati loro?
- Anche Orli ha giocato a carte scoperte con me. A me di quei documenti, del Mossad, di quello che voleva mio padre, di quello che vuole il governo degli Stati Uniti non mi interessa nulla. Io voglio solo ritrovarli per riprendere mio figlio. - gli raccontai dettagliatamente come era stato organizzato il piano, come erano stati impiegati gli uomini per controllarci e di quanti erano stati sacrificati per raggiungere il loro scopo

- Questo cambia le cose. Dovrò avvertire...
Attaccai il suo telefono prima che chiamasse
- David! - Mi urlò visibilmente contrariato del mio gesto
- No direttore. Lasciamo le cose così come sono. - ripresi la pistola e la misi dietro i pantaloni - Questa informazione non deve uscire da questa stanza. Ne va della vita di mio figlio. E se qualcuno la mette in pericolo io non ho più nulla da perdere, capito cosa intendo?
- Mi stai minacciando Ziva?
- No Vance. Ti sto avvisando. - lo sfidavo - Sai anche tu cosa si prova quando ti portano via qualcuno di caro, non è così?

- Va bene David, - disse sedendosi - rimarrà una cosa dentro la squadra.
- Direttore ho detto dentro questa stanza non nella squadra.
- Gibbs, Di Nozzo e McGee non sanno nulla?
- Sanno di tutto quello che è successo con il Mossad, che Tony è stato rapito da loro, di tutto quello che c'era dietro. Tutto ma non che è coinvolto mio figlio. Tranne Gibbs nessuno sa che ho un figlio e così deve rimanere fino a quando lui non sarà al sicuro fuori da Israele.
- David non credo che sia un bene tralasciare agli altri questa informazione
- Questa "informazione" come la chiama lei, fa parte della mia vita e deve rimanere fuori da ogni discorso Direttore, non lo ripeterò ancora.
- Va bene. Come vuoi tu. Attendo per domani la tua risposta in merito al reintegro. Spero che le tue situazioni personali non abbiano ripercussioni sulla squadra
- Non si preoccupi, so tenere mio figlio fuori da tutto questo, non mi farò condizionare nel mio operato se non per risolvere tutto più in fretta possibile
- Non mi riferivo a tuo figlio, parlavo dell'agente DiNozzo
- Nemmeno questo sarà un problema
- Se lo dici tu io devo solo fidarmi, no? - Sorrise beffardo.

Avevo sempre l'impressione che quando Vance parlasse non fosse mai completamente sincero, che quando mi parlava pensasse sempre ad altro, ad un secondo fine. E queste mie sensazioni erano presenti anche quel giorno. Non avrei dovuto dirgli tutto quanto, ma era l'unica soluzione possibile. Doveva sapere. Anche se i suoi rapporti ambigui con Orli mi preoccupavano, ma almeno di una cosa ero certa: era padre anche lui, se sapeva che c'era mio figlio di mezzo non avrebbe rischiato la sua vita. O almeno volevo crederlo e convincermene. Ne avrei comunque parlato con Gibbs per sapere cosa ne pensava anche lui.

Il direttore mi vide un attimo persa nei miei pensieri
- Qualcosa non va? Ci sono domande David?
- Una sola. Cosa ha spinto il dipartimento della difesa ad accettare le richieste del Mossad? Cosa c'è in quei documenti che interessa tanto tutti?
- Veramente non lo sai?
- No.
- Daesh.
- Daesh… - ripetei scuotendo la testa - … adesso vado.
- David! Capisci perché è importante?
- Certo. Ma per me continua a non essere una priorità il contenuto dei documenti. Se lo ricordi.

Tony, McGee e Gibbs erano stati convocati nell'ufficio di Vance subito dopo di me.
Senza una scrivania mi sedetti sopra quella di Tony, facendo attenzione a non spostare nulla. Bishop era davanti a me, a quella che era la mia scrivania e mi guardava imbarazzata da dietro il monitor.
Presi la pistola, la guardai, la smontai e rimontai. Mi stupivo con quanta naturalezza facevo quei gesti dopo così tanto tempo.

- Tu fai sempre così? - mi chiese Bishop che ora osservava attentamente le mie mosse con la pistola mentre finivo di sistemarla
- Così come?
- Con le armi dico, le smonti e le rimonti?
- Le controllo quando me le danno. Potrebbero salvare la vita a me o qualcun altro devo essere sicura che funzionino bene, che siano apposto.
- Io non ne sarei capace.
- No? Dai dammi la tua pistola, fammi vedere. - cercavo di essere gentile con lei se la situazione era imbarazzante per me lo era ancor di più per lei.
Mi porse la sua SIG Sauer calibro 9, scesi dalla scrivania e la presi. Con la stessa facilità con cui ispezionai la mia feci lo stesso con la sua.
- Tutto apposto
- Bene, grazie.
- Figurati.

Lei tornò al suo lavoro al computer io mi guardavo intorno. Non era cambiato nulla, nè nell'ambiente nè nel trovarmi lì. Come se il tempo si fosse fermato, come se 3 anni che avevano stravolto la mia esistenza interiore non ci fossero stati. Non avevo più la mia scrivania, certo, ma era normare essere lì. E mi accorsi che la normalità che tanto avevo inseguito ce l'avevo sempre avuta, dovevo solo liberarmi dai miei demoni del passato e l'avrei capito. Invece avevo deciso di cambiare tutto e visto quanto successo non potevo nemmeno rinnegare le mie scelte. Probabilmente doveva andare così, era anche quello un passaggio fondamentale per capire. Andarmene, provare a fare una vita diversa, farmi sconvolgere l'esistenza dall'esperienza più bella che una donna possa vivere, poi tornare e capire quale fosse il mio posto nel mondo.

Gibbs e gli altri tornarono e sedettero alle loro scrivanie, io feci per scendere da quella di Tony ma lui mi bloccò
- Stai pure, il panorama mi piace
- Tony non fare lo stupido! - e mi misi a sedere su una sedia vicino agli schermi.
- Peccato...

Squillò il telefono di Gibbs
- È scomparso un Marine dalla base di Quantico. Andiamo.

Istintivamente mi alzai. Gibbs mi guardò serio
- No Ziva, tu non sei un'agente, sei qui solo per un caso. DiNozzo, McGee andiamo! Bishop vieni anche tu!

Scattarono tutti in piedi e seguirono Gibbs all'ascensore e rimasi sola. Il mio comportamento era la risposta alla domanda che mi facevo da prima quando ero nell'ufficio di Vance. Ne avrei parlato con Tony quella sera, volevo sapere cosa ne pensava, se la cosa poteva creargli problemi o no.
Pensai che ancora non ero andata a salutare il dottor Mallard e nemmeno Abby. Non mi avrebbe mai perdonato!

Squillò il telefono di Tony. Ebbi un attimo di titubanza poi visto che non c'era nessuno riposi. Per un attimo ebbi il timore che dall'altra parte avrei trovato la voce languida di qualche sua conquista recente

- Scrivania dell'Agente Anthony DiNozzo
- Ciao Ziva! Senti potresti passare qua da me che ho delle carte per Tony quando torna? Scusa se non salgo ma sono super carica di lavoro!
- Certo Abby non c'è problema.

Scesi fino al suo laboratorio che a vederlo da fuori era la cosa che mi sembrava cambiato di più. Le vetrate erano coperte da tende nere che sì erano in perfetto stile Abby però erano strane. Magari stava lavorando a qualcosa di particolare.
Suonai e la porta elettronica si aprì.

Erano tutti lì. Abby, McGee, Ducky, Palmer, Bishop, Gibbs e Tony. Sopra di loro un grande striscione "Welcome Home".
Abby suonava la sua trombetta stile carnevale e mi venne incontro correndo prima di tutti gli altri abbracciandomi con uno di quegli abbracci che solo lei sa dare. Guardavo i volti di tutti i miei amici sorridenti.

- Sorpresa! - Disse Tony - ha organizzato tutto Abby ma ci ha minacciato pesantemente a tutti per non dirti nulla.
- Ziva quanto mi sei mancata! Ho minacciato anche Gibbs per farlo stare al gioco!
- Beh mi pare che ha fatto bene la sua parte! - Le dissi mentre la stringevo forte.

Salutai affettuosamente Palmer congratulandomi per la sua bambina

- Mia cara Ziva, che piacere ritrovarti qui con noi!
- Ciao Ducky, è un piacere anche per me! Ti trovo benissimo come sempre!
- Figliola non lusingare un anziano signore, potrei anche crederti!

- Ecco Ziva io... Sono felice che sei qui. Sono felice per tutti noi - mi disse Tim guardando Tony che stava in disparte rispetto agli altri a guardarsi sorridente la scena
- Lo so. Grazie Tim. Anche per tutto quello che hai fatto quando non c'ero.

- Ziva...
- Gibbs…
- Hai capito cosa vuoi fare?
- Penso di sì.
- Sono contento. Bentornata.
Gibbs era sempre Gibbs, poche parole e sguardi che parlavano più di tutto il resto.

- Beh - disse Bishop - ti dico bentornata anche io. So che la nostra posizione è un po' complicata però…
- Non ti preoccupare Ellie, non sono qui per togliere niente a nessuno.

Sulla scrivania di Abby mi accorsi ora che c'erano dolcetti e stuzzichini e man mano che mi salutavano andavano tutti a prendere qualcosa da quel piccolo buffet in mio onore.

- Posso darti il bentornata anche io? - Tony si era avvicinato e noncurante di tutti mi aveva abbracciato cingendomi la vita.
- Certo.
- Bentornata amore mio. - mi sussurrò e prima che potessi dire altro mi baciò davanti a tutti: mi accorsi solo dopo che avevano smesso di chiacchierare e ci guardavano più o meno stupiti. Sarei voluta sprofondare per la vergogna

- Siiii io l'avevo sempre saputo!!! - Abby battendo rumorosamente le mani ci abbracciò entrambi. - Oddio quanto sono felice!!! Che ti dicevo McGee??? Te l’ho sempre detto che sarebbero finiti insieme loro due! Era chiaro per tutti no?
Risero tutti dell’entusiasmo di Abby ed anche per la situazione.
- Beh - disse Tony - ora lo sapete tutti!
Poi si avvicinò al mio orecchio e notando il mio imbarazzo mi sussurrò
- Scusami ma punto primo avevo voglia di farlo e punto secondo era il modo più facile per dirlo a tutti

Gibbs prese una bottiglia di champagne da una delle celle frigorifero di Abby e la aprì
- Dobbiamo festeggiare no? - Ci disse
Brindammo nei bicchieri di carta del caffè. Era bello ritrovarsi lì con tutti loro.

Tony era sempre vicino a me, non aveva staccato per un attimo la mano dal mio fianco tenendomi stretta a lui.
Guardai Gibbs dietro tutti gli altri. Sorrideva, ci scambiammo qualche occhiata e lui mi fece cenno di sì con la testa. Non sapevo lui a cosa si riferisse, ma lo presi come il suo benestare ad infrangere la regola numero 12 con Tony.
 

NOTA: Voi che ne pensate del direttore Vance? Siete anche voi convinti che sia un personaggio ambiguo oppure la vicenda della moglie lo ha cambiato? Pubblicherò presto il prossimo capitolo perchè è in realtà la continuazione di questo ma non volevo che fosse troppo lungo.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Fix You ***


… Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you …

Io e Tony fummo gli ultimi a salutare Abby per tornare a lavoro, lui si trattenne ancora un po’ con lei per esaminare dei proiettili ritrovati su un caso di qualche tempo fa.
Quando tornai in ufficio, McGee stava guardando dentro una grande scatola aperta appoggiata sulla scrivania di Tony
- Bracciale, collana, ciondolo - diceva mentre apriva e chiudeva scatolette - completini intimi - alzando con una matita un tanga nero - altri completini intimi - ora era uno leopardato - camicia di seta, vestito da sera...

Mentre continuava il suo inventario, con Bishop che osservava ridendo e io che mi stavo innervosendo, si aprì l'ascensore ed arrivò anche Tony

- McGee cosa diavolo stai facendo! - Urlò Tony

- Tony un fattorino ha portato questa scatola così, già aperta dallo studio Emmanuel & Partners pensavo si trattasse di qualche caso.
- Non è roba di un caso McGee non curiosare.
- Veramente Tony… Tim ha già inventariato tutto il contenuto - disse Bishop
- Ecco sì, ci sono 3 completi intimi, 2 bracciali, 1 collana, una vestaglia di seta….
- Basta così Pivello so cosa c'è. - gli levò il foglio di mano e lo buttò nel cestino -
- Prese tutta la roba, chiuse la scatola infilando tutto dentro e la buttò a terra.
- Poi fate buttare tutto
- Ma Tony ci sono gioielli lì dentro! - intervenì McGee
- Non mi interessa Tim, non la voglio questa roba.
- Ma lo studio Emmanuel & Partners è dove lavora Michelle! - Si illuminò Tim
- Bravo McSherlok!
- Le avevi regalato tutte queste cose?
- Le hai pagate tu McGee?
- Nemmeno un anello di solito si usa tra fidanzati?
- Io non regalo anelli a caso. La possiamo finire ora?

Tony era visibilmente irritato. Io ero molto infastidita: ero gelosa. Andai alla macchinetta automatica a prendere uno snack.
Mi raggiunse.

- Ti eri accorto che c'ero anche io allora!
- Che c'è Ziva?
- Niente.
- Non è vero.
- Niente Tony!
- Non devi essere gelosa del passato
- Non sono gelosa
- Sì che lo sei. E mi piace da morire
- Senti Tony, non puoi buttare dei gioielli
- Non darei mai a te qualcosa regalato ad un’altra.
- Ma io non li voglio. Però potresti far felici delle persone che ne hanno bisogno che potrebbero farci qualche dollaro, che ne pensi?
- Che sei una persona meravigliosa.

--- --- --- --- ---

Dopo il break che ci eravamo concessi da Abby tornammo tutti alle nostre occupazioni di routine. Tutti tranne Ziva che stava seduta su quella sedia ad osservarci.
- Tim, ti hanno risposto per il mandato?
- No Ziva, ancora niente.
- Quanto ci vuole per avere un mandato!
- Non lo so, ho sollecitato…
- Ziva - intervenne Gibbs - vatti a prendere qualcosa.
Spostò la sedia rumorosamente ed uscì senza dire nulla.
- Capo posso andare… - non mi fece finire la frase
- No DiNozzo. Resti qua a lavoro. Non ha bisogno della balia.

Presi il cellulare per mandarle un messaggio, ma mi ricordai che lei non lo aveva più. Rimasi lì alla scrivania a far finta di lavorare ad un caso di una partita di droga ritrovata su una nave dei marines della quale non me ne fregava nulla in quel momento.
Ritornare alla normalità era più difficile di quanto pensavo.

--- --- --- --- ---

Caffè no, pensai, ero già troppo nervosa. Il fatto di essere lì e non poter fare nulla sapendo dove dovevamo andare mi stava facendo impazzire. Mi imponevo di rimanere calma, perché se non mantenevo la calma e la lucidità di sicuro le cose non sarebbero migliorate.
Dovevo parlare con Gibbs, dovevo dirgli della conversazione con Vance avuta quella mattina. Se fossi rientrata e gli avessi chiesto di parlargli mi avrebbe detto di no, mi serviva Abby.
Scesi nel suo laboratorio e feci fatica a farmi sentire visto che aveva la musica a palla. Si accorse di me e tolse il volume.
- Ehy Ziva novità?
- No, mi serve il tuo aiuto. Stai lavorando a qualche caso per Gibbs?
- Te lo posso dire? No perché vedi, tu in realtà non saresti…
- Abby, non mi serve sapere niente di nessun caso, volevo solo sapere se stavi lavorando a qualcosa per lui.
- Beh sì, a parte quelle cose per te, sì ma non ho novità su niente.
- Ok, chiamalo e digli che gli devi dare delle novità su qualcosa
- Sei sicura che è una buona idea? Poi se non ho niente si arrabbia con me.
- Tranquilla non si arrabbierà con te, ma ci devo parlare io urgentemente.
- Ok, se lo dici tu.
Prese il telefono e con voce un po’ titubante chiamò sopra.
- Ehy Gibbs, ciao sì sono Abby, chi altro dovrebbe essere… tutto bene Gibbs, perché? Ti sembra che non sto bene? Sto benissimo… Ti volevo dire che per quel caso della partita di droga, ecco per i tessuti che mi hai mandato, ecco, ci sarebbero delle novità, puoi venire qui un momento? No, non te lo posso dire al telefono devo farti vedere una cosa. Ti aspetto Gibbs!
- Grazie
- Se mi uccide l’ho fatto per te, perché ti voglio bene!
- Abby non fare la drammatica!

Gibbs arrivò dopo pochi minuti con il caffè gigante per Abby
- Allora Abby che novità mi dovevi far vedere?
- Ecco io…
- Nessuna Gibbs - intervenni - ti devo parlare io.
- Ziva, non ora.
- Gibbs è importante.
- Ti ho detto non adesso. E tu Abby che ti presti a queste cose…
- L’ho obbligata io a farlo Gibbs. Dobbiamo parlare. Si tratta di Orli Elbaz. Ha parlato con Vance.
Finalmente mi stava a sentire.
- Ok, andiamo di sopra.
- Non davanti agli altri Gibbs. Abby tu non hai sentito nulla, ok?
Mi fece cenno di sì con la testa mentre uscivamo Abby mi salutava con la mano ed un espressione preoccupatissima, almeno fino a quando non prese il suo caffè nuovo e mise di nuovo la musica a tutto volume.

Andammo in una saletta, Gibbs chiuse la porta e ci sedemmo ai due lati del tavolo che sembrava quello della sala interrogatori.
- Allora Ziva, che c’è?
- Quando eravamo in Israele, Orli ha parlato con Vance, solo che gli ha detto un sacco di cazzate.
- Pensavi che gli avesse detto che aveva organizzato il rapimento e tentato di uccidere un agente federale?
- No, ma ha detto a Vance di mio figlio!
- Cosa gli ha detto di preciso di tuo figlio?
- Nulla di preciso, solo che io ho un figlio e che per venire qui a risolvere il questo caso l’ho temporaneamente affidato a dei parenti. Perché ha detto a Vance di lui? Perché metterlo in mezzo?
- E’ per questo che sei così nervosa?
- Sì, anche per questo.
- E poi cos’altro?
- Orli ha detto a Vance cosa contengono quei documenti
- Informazioni su Daesh.
- Tu lo sapevi Gibbs?
- Sì, me lo ha detto Vance quando mi aveva comunicato l’interesse del nostro governo.
- Perché non me lo hai detto
- Dicevi che di quei documenti non ti interessava nulla.
- E’ così. Mi preoccupo solo che questo possa mettere in pericolo mio figlio.
- Dell’altra situazione cosa mi devi dire?
- Di quale?
- Di te, qui, oggi.
- E’ tutto strano. Voi che lavorate, io che vi guardo su una sedia, senza fare nulla…
- A questo puoi porre rimedio, sai come fare, te l’ha detto Vance, no?
- Sì
- Tu cosa vuoi fare per adesso?
- Vorrei accettare.
- Fallo.
- Ne vorrei parlare prima con Tony. Non vorrei che la cosa gli creasse problemi.
- Credo che gli crei più problemi vederti così. Però se deciderai dopo aver parlato con lui, ne sarà felice.

Cambiai completamente discorso. Ma ora Gibbs era l’unica persona con la quale mi potevo confidare. E lui mi stava ad ascoltare. Il burbero capo lasciava sempre più spazio ad una figura che sembrava quella di un padre con la propria figlia.
- Pensavo che sarebbe stato più facile non dire niente a Tony di nostro figlio, invece mi rendo conto che con lui non riesco a fingere, che alcune volte mi capita, quando siamo da soli, che comincio a piangere e non riesco a spiegargli il perché.
- Allora glielo devi dire Ziva. Devi dire a Tony di suo figlio.
- Io… Non ce la faccio Gibbs. Non riesco a dirgli che gli ho tenuto nascosto un figlio per oltre due anni…
- Lo devi fare Ziva. Più passa il tempo più sarà complicato e doloroso.
- Come faccio ora a dirgli che nostro figlio è in mano al Mossad, che non so dove si trova e mi stanno ricattando per ridarmelo?
- Così, come lo hai detto a me.
- E se lui questo bambino non lo vuole? Se non si sente pronto per fare il padre?
- Conosci così poco Tony per farmi questa domanda? Non si è mai pronti per essere genitori. Questo non vuol dire che non si voglia esserlo. Per te non è stato così?
- Sì… è stato così… Credimi Gibbs, io ero veramente convinta che Tony si fosse rifatto una vita ed avesse una famiglia.
- Io ti credo Ziva, ma sono convinto che tu lo hai voluto credere perché la vedevi come la cosa più facile. Quella che ti poneva davanti a meno scelte. Così eri convinta che qualcun altro avesse scelto per te. Ora hai visto che non è così, gli devi parlare. Io più che dirti questo e metterti in guardia su come i problemi si moltiplicheranno per ogni giorno che passa non posso fare.
- Lo so che tu non puoi risolvere questa situazione.
- Se potessi farlo, lo farei, ma questa cosa la devi fare tu. E’ una tua responsabilità.
- Grazie Gibbs.
- Prego Ziva. Ma ora vatti a comprare un cellulare che non puoi farmi chiamare dalla povera Abby con il terrore di te che la minacci con una pistola per farlo e io che la riprendo!
- Non l’ho minacciata con la pistola! - Gli dissi mentre uscivamo
- Ma saresti capace di farlo - Rispose serio

--- --- --- --- ---

Gibbs tornò dall’ufficio di Abby, feci finta che mi interessava qualcosa quello stupido caso, che tanto era ovvio che lo spacciatore che si riforniva in Messico durante il cambio di equipaggio era il macchinista di bordo, con quella faccia non poteva che essere lui, ne ero certo.
- Allora capo novità sul mio sospettato?
- No DiNozzo, niente. La pista di Abby si è rivelata un nulla di fatto siamo sempre al punto di partenza. McGee? Novità su quell’autorizzazione?
- Ancora niente Capo, credo che ormai prima di domattina non l’avremo.
- Già, lo credo anche io. Tony come va il braccio?
- Un po’ indolenzito Capo, ma bene.
- Come primo giorno basta così, vai a casa per oggi, tanto non penso che avremo novità su nessuna delle due cose. Non vorrei che poi dici che sei stanco e i prossimi giorni ti dai malato.
- Capo quando mai l’ho fatto io?
- Tante volte Tony! - Disse McGee
- Sì, c’ho provato ma poi sono sempre arrivato puntuale a lavoro - mi guardarono entrambi malissimo - vabbè, quasi puntuale. Ma Ziva capo?
- L’ho intravista qui fuori mentre tornavo di Abby
- Ok, va bene bella gente, allora ci vediamo domattina, mi raccomando non lavorate troppo e non vi stancate! - Dissi allegro salutando tutti ed andandomene.

Lei era proprio lì fuori con una tazza in mano.
- Cosa bevi di buono?
- Cioccolata calda.
- Carenza di affetto? - Le dissi dandole un bacio sul collo che ormai sapevo alla perfezione essere il suo punto debole.
- Dai Tony… Ma è l’aria di casa che ti fa essere così?
- Così come?
- Così DiNozzo, ecco come!
- Adoro i nostri battibecchi!

Entrammo in ascensore e mentre stavo per premere la pulsantiera mi fulminò con lo sguardo
- Non ci provare ancora Tony eh! - Ritrassi la mano
- Oggi no, ma ti giuro che quando meno te lo aspetterai, farò il bis.
Sospirò rassegnata, mentre io ridevo.

- Andiamo a casa? - Mi chiese salendo in macchina
- No, andiamo a fare un giro e poi a fare shopping.

Portammo quei gioielli ad una casa famiglia non lontano da dove abitavo prima, non sarebbero state cifre enormi quelle che avrebbero ricavato, ma un po’ di contanti di sicuro non gli avrebbero fatto male. Ero contento di quello che avevo fatto, mi sentivo bene.

Malgrado le sue reticenze riuscii veramente a portarla in giro per qualche negozio come premio per la mia buona azione mi disse. Innanzi tutto a prendere il nuovo cellulare e poi anche qualche vestito più adatto al clima di Washington.
Misi la macchina in garage e andai a prendere i pacchi nel portabagagli ma lei mi aveva preceduto
- Dai te li porto io - le dissi
- Tu sei ancora convalescente con la spalla
- Ma dai ce la faccio eh!
- Tony, ce la faccio anche io, non mi serve uno schiavetto che porta le mie cose
- Non sono uno schiavetto, volevo solo essere gentile - le dissi rassegnato. - Cosa mangiamo stasera, cinese, pizza o qualcos’altro?
- Pizza, mi pare un’ottima idea…

Il ragazzo delle pizze arrivò puntuale all’orario stabilito. Appoggiai i cartoni sul tavolo davanti alla tv, presi 2 birre dal frigo e mi sedetti sul divano.
Sentii il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia interrompersi.
- Sono arrivate le pizze! - Le urlai
- 5 minuti e arrivo.

- Ho preso il tuo accappatoio, non ti dispiace vero?
- Prendi quello che vuoi.
- Intanto comincio da un pezzo di pizza che ho fame! - Disse aprendo la sua scatola mentre si sedeva vicino a me.
- Ti ricordi la prima volta che abbiamo mangiato una pizza insieme?
- Fuori dal mio hotel, sotto la pioggia. Stavi buttando l’ultimo trancio e poi me lo hai dato a me.
- E tu mi hai portato un caffè perchè avevi scoperto da poco che ti pedinavo.
- Lo avevo scoperto da subito Di Nozzo! - Rise ed era bello sentirla ridere

- Come è stato il tuo ritorno? - Dissi mentre addentavo la mia pizza
- Strano. Bello ma strano.
- Cioè?
- Beh, guardarvi lavorare e stare senza fare niente non è il massimo.
- Beh, sei tu che avevi detto “basta distintivi”… Che ti ha detto Vance stamattina?
- Ecco, proprio di questo ti volevo parlare…
- Dimmi - Smisi di mangiare e la ascoltai
- Mi ha detto se volevo tornare in squadra, almeno temporaneamente, come agente in affiancamento alla squadra. Secondo lui sarebbe più facile per me seguire il caso così.
- Cosa gli hai risposto?
- Che mi servivano 24 ore per pensarci.
- Ci hai pensato?
- Ancora le 24 ore non sono finite. Ne volevo parlare con te. Non volevo decidere da sola.

- Forse non ti sei accorta, ma mi hai appena detto una cosa bellissima.
- Cosa?
- Che non vuoi decidere da sola.
- E’ così. La mia scelta riguarda anche te. Tu cosa pensi?
- Che devi fare quello che ti senti di voler fare. Io voglio che tu sia felice. E voglio che resti con me, qui. Non mi importa se all’NCIS o no. Io ti voglio qui con me.
- Pensi che avresti problemi a lavorare con me adesso?
- Problemi? Perché dovrei avere problemi a lavorare con te?
- Perché sono cambiate le cose. Perché oggi hai esagerato solo perché una guardia faceva il suo lavoro, non vorrei che fossi condizionato da me.
- Sei la migliore partner con la quale ho mai lavorato. Sarei solo onorato di poterlo fare ancora.
- Promettimi che mai farai qualcosa di insensato.
- Non più di quanto ho già fatto in passato. Pensi che posso fare qualcosa di peggio di farmi catturare da un gruppo di terroristi per riportarti a casa?
- Non lo so Tony… Non pongo limiti alla tua avventatezza

Le passai il telefono
- Chiama Vance
Mise il telefono sul tavolo
- No, ci parlerò domattina. Adesso ho qualche altra idea…
E mentre mi parlava, scioglieva l’accappatoio e io mi scioglievo davanti a lei…


NOTE: Ecco la fine della prima giornata all'NCIS. Più di qualcuno mi chiede quando conosceranno il piccolo DiNozzo, beh dovrete avere ancora un bel po' di pazienza, non sarà così facile ed immediato. Però vi prometto molti altri colpi di scena in mezzo e molti momenti forti, sia positivi che negativi. Spero che non vi annoierete per questo racconto che sarà ancora molto lungo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Tears ***


… Memory you never let me cry
and you, you never said good-bye
Sometimes our tears
blinded the love
We lost our dreams along the way…

- Dai Tony alzati o facciamo tardi!
- 5 minuti ancora…
- Sbrigati Tony! E’ mezz’ora che mi dici 5 minuti!

Mi ero già fatta una doccia e vestita e lui era ancora lì a rigirarsi nelle coperte.

- Ma fai tutte le mattine così? Ecco perché a lavoro arrivi sempre tardi - sbuffai
- No, non sempre… solo quando la sera prima sono stato parecchio occupato occhioni belli - mi disse mentre finalmente si stava alzando. Passando per andare in bagno mi diede una pacca sul sedere sghignazzando

- Di Nozzo, tieni a posto le mani che è tardi
- Eppure stanotte non volevi che le tenessi a posto
- Stanotte non era tardi

Ero in piedi appoggiata al bancone della cucina e stavo controllando che avessi preso tutto. Allacciai la fondina e inserii la pistola. Una sensazione tanto strana quanto normale.

- Ferma così David… Non. Ti. Muovere.
- Tony dai… è tardi
- Solo un momento, ferma così.

Era dietro di me, sentivo il suo sguardo. Mi passò le mani sulle spalle, scendendo lungo il profilo della schiena fino alla vita e poi sui fianchi.

- Però David, dopo 3 anni sei sempre in splendida forma, esattamente come mi ricordavo
- Tony hai “esaminato” la mia forma fisica anche in passato?
- Oh sì, tante, tante volte… - Mi fece un occhiolino mentre con le mani faceva come a tracciare la sagoma in aria - Però così dal vivo è molto meglio e molto più divertente
- Di Nozzo, sono armata. - Gli dissi indicando la pistola
- Ma non è quella la tua arma più pericolosa con me…

Sospirai rassegnata. Aspettai che fu pronto e andammo insieme a lavoro.

--- --- --- --- ---

- Ziva, Tony, abbiamo l’autorizzazione. - Ci disse McGee venendoci incontro con un foglio stampato. - Aspettavamo solo voi.
- Bravo Pivello! Mi piace quando la mattina mi dai buone notizie - Dissi dando uno scappellotto a McGee.
- Ehy Ziva, tieni. - Gibbs le stava porgendo distintivo e tesserino - Bentornata, ufficialmente.
- Grazie Gibbs.
Si sistemò il distintivo sul bordo dei pantaloni, mise via il tesserino andammo verso il magazzino.

Per essere un magazzino era un posto veramente particolare. Il palazzo sembrava tutto tranne che quello di un luogo di smercio ed anche la zona era inusuale.
Non sapevamo cosa aspettarci là dentro, poteva esserci di tutto e chiunque.
Gibbs ci fece un cenno. Io e lui andammo verso l’entrata, Ziva, McGee e Bishop rimasero dietro armati.

La massiccia porta di legno non lasciava vedere nulla dell’interno e i vetri delle finestre erano oscurati con dei pannelli adesivi con i nomi della società.
Bussai, mi venne ad aprire un signore sulla cinquantina vestito in maniera molto distinta, sembrava più un dipendente di un’azienda che di un magazzino
- Buongiorno, NCIS Agente Speciale Gibbs e Agente Speciale Di Nozzo. - Si identificò Gibbs
- Buongiorno, cosa posso fare per voi.
- Ad esempio potrebbe dire a tutte le persone che sono all’interno di uscire, perché tutto lo stabile è sotto sequestro. - Aprii la porta completamente mentre lui incredulo guardava la copia dell’autorizzazione che gli avevo appena dato. Gibbs fece cenno agli altri di seguirlo dentro.
- Ma, ma io non capisco… Per quale motivo?
- Troverà tutto scritto lì. Dov’è il signor Samuel Roche?
- Glielo vado a chiamare.
- No, non c’è bisogno di scomodarlo, andiamo noi da lui adesso… E’ qui?
- Certo nel suo ufficio

Raggiunsi Gibbs insieme all’impiegato.
- Capo, il signor Roche è nel suo ufficio.
- Ok DiNozzo vado io, tu e gli altri finite di identificare tutti i dipendenti e poi cominciate sigillare tutto per farlo portare all’NCIS
- Cosa? Portare tutto via? Voi siete matti.
- Signor… come si chiama lei? - Chiesi all’impiegato
- Salomon Freser
- Bene signor Freser, forse non le è chiaro. Tutto quello che è qui e tutto lo stabile è sequestrato da noi. Il che vuol dire che noi possiamo prendere, togliere, portare via quello che vogliamo. E se vogliamo possiamo smontare apparecchiature, pavimenti, muri fino a quando non siamo proprio proprio sicuri che abbiamo tutto quello che cerchiamo. Facile no?
E così dicendo raggiunsi gli altri.

Nella grande stanza erano ordinatamente disposte in scaffali scatole non tanto grandi, ben confezionate.
Tutto era tanto, troppo, curato ed ordinato per essere un magazzino.

- Signor Freser, singolare questo magazzino, così elegante, con magazzinieri così distinti…
- Facciamo importazione di prodotti particolari, ma tutto assolutamente regolare, controllate pure tutti i nostri documenti
- Certo lo faremo, ma sa, a me piace più ascoltare che leggere… Mamma quando ero piccolo mi diceva che è perché sono pigro e questo difetto me lo sono tenuto anche da adulto, quindi mi racconti un po’ cosa abbiamo in queste belle scatole… - E così dicendo ne presi una e cominciai ad agitarla
- No, no per favore faccia attenzione
Riposi la scatola.
- Ma certo, faccio attenzione… Mi dica quindi…

- Tony io e Ziva andiamo a controllare al piano inferiore
- Va bene McGee… Quindi dicevamo signor Freser?
- Componenti elettronici
- Oh ma ci voleva tanto. Componenti elettronici. Grazie signor Freser. Grazie per considerarmi un idiota. - Stavo perdendo la pazienza ed il mio tono da ironico stava diventando aspro
- Cosa sta dicendo?
- Cosa vuol dire componenti elettronici? Tostapane? Aspirapolvere? Computer? Bombe?
- Robotica.
- Già meglio. Da chi a chi?
- Varie industrie in Israele ad altre industrie qui negli Stati Uniti, o anche privati.
- Va bene Signor Solomon Fraser, ora può anche andare con gli altri, qui non avete più nulla da fare.

--- --- --- --- ---

Ero al piano inferiore con McGee e più che un magazzino sembrava un caveau per come era fatto. Pareti pesanti e alcune stanze che si snodavano una dietro l’altra. Ovunque scaffali con scatole ordinate e catalogate.

- Tim e se i documenti non fossero cartacei ma digitali?
- Dici nascosti dentro qualcuno di questi componenti elettronici?
- Esatto.
- Beh, se fosse così per esaminarli tutti ci vorrà del tempo…
- Incoraggiante. - Sospirai - Dobbiamo far portare via tutto e poi controllare la struttura vuota, non vorrei che ci fosse qualcosa qui, nascosto tra queste pareti. - Dissi colpendone una con un pugno e saggiandone la solidità
- Se ti rompi una mano non sarai di maggiore aiuto Ziva…

Tornai di sopra lasciando McGee indietro. Anche Gibbs era uscito all’ufficio di Samuel Roche che stava ancora discutendo sul provvedimento.
- Non potete fare questo! Io impugnerò questo provvedimento, farò ricorso a tutte le mie conoscenze politiche per impedirvi di fare questo abuso.
- A meno che non conosce Obama, non vedo chi possa conoscere per scavalcare il Segretario della difesa. - Lo irrise Tony e quello se ne andò su tutte le furie.

- Che ne pensi Gibbs? - Gli chiesi
- Che questo posto è strano. E tu?
- Che i documenti potrebbero non essere dei comuni documenti cartacei, ma file digitali, nascosti in qualcuno di questi componenti qui. Chissà quali.
- Se saranno criptati come minimo ci aspetta un lavoro di mesi o anche anni! - Intervenne Bishop e le sue parole mi innervosirono
- Noi non abbiamo mesi, figuriamoci anni di tempo. - Uscii velocemente dall’edificio sbattendo la porta.

Appoggiata al muro respiravo affannata per la rabbia. Mesi, anni…
Erano passate 2 settimane da quando non avevo notizie di mio figlio e già mi sembrava di impazzire, come potevo aspettare “mesi” che tutto il materiale venisse analizzato?
- Ziva! Torna dentro, non abbiamo ancora finito - Mi urlò Gibbs dalla porta.
Feci un respiro profondo e rientrai.
- Andate a prendere tutti documenti che ci sono in quell’ufficio e metteteli in una scatola. Prendete tutto, anche gli scontrini che trovate nel cestino. Voglio tutto e non voglio ripeterlo. McGee tu occupati dei computer che ci sono qua dentro. Voglio che siano tutti all’NCIS.
- Sì Capo - dicemmo tutti
- Ziva aspetta. - Rimasi lì mentre gli altri andavano. Tony camminava voltandosi in continuazione per vedere cosa succedeva fino a quando Gibbs non lo fulminò con uno sguardo e raggiunse Bishop in ufficio. - Non fare mai più una cosa del genere, mi hai capito? Mai più.
- Sai perché l’ho fatto.
- Perché non vuoi sentirti dire la verità. Una volta eri più brava a nascondere le tue emozioni Ziva.
- Una volta era diverso.
- Allora quando lavoriamo vedi di ricordarti come facevi. Oppure parla chiaro con tutti. Capisci cosa voglio dire? Non voglio più vedere situazioni del genere nella nostra squadra.
- Sì Gibbs.
- Vai, forza.

--- --- --- --- ---

Tornammo in ufficio in serata dopo aver supervisionato che tutto venisse caricato correttamente senza danneggiare nulla e che niente venisse tralasciato, quindi relazionai Gibbs su quello che avevamo fatto.
- Ehy Capo, abbiamo finito di scaricare ora tutto. Giù ci sono tutti i componenti elettronici del magazzino, quelle sono le scatole dei documenti in ufficio e i computer che abbiamo preso sono da Abby che ha già cominciato ad analizzare gli hard disk.
- Bene Di Nozzo. Potete andare domani cominceremo ad esaminare tutto. - Mi rispose soddisfatto
- Gibbs io resto, comincio a guardare questi fascicoli.
- No Ziva, vai a casa anche tu.
Lei era veramente nervosa da quella mattina al magazzino, ma Gibbs non la stava certo aiutando. Pensavo che avrebbe avuto essere più paziente con lei, in fondo era appena tornata.
- Ehy David, perché non vai giù e mi aspetti in macchina? Arrivo subito
- Che c’è Tony - mi chiese Gibbs appena le porte dell’ascensore si chiusero con Ziva dentro
- Ecco, io credo che con lei sei un po’ troppo duro.
- Mi stai dicendo che non gestisco bene la mia squadra Di Nozzo?
- No Capo. Ti sto dicendo che forse non stai gestendo bene l’Agente David che è appena rientrato in squadra.
- L’Agente David o Ziva?
- Entrambe Capo. Credo che in questo periodo è successo qualcosa, ma ovviamente lei non ne vuole parlare. Non credo che si sia allontanata subito dal Mossad ed ho paura che sia stata coinvolta in qualche missione particolare.
- Glielo hai chiesto?
- Non, non voglio forzarla a parlare di qualcosa che evidentemente vuole cancellare dalla memoria. A distanza di anni ancora non mi ha mai parlato nemmeno di quando era in Somalia.
- Tony, Ziva fa parte della nostra squadra, è un agente come gli altri. Le farei un torto a considerarla diversamente. Soprattutto lo farei alla sua intelligenza e alle sue capacità.
- Va bene Capo. Come vuoi tu.

Per niente soddisfatto di quella conversazione con Gibbs andai al parcheggio. Mi guardai intorno ma Ziva non c’era. Sul tergicristalli della macchina un foglietto “Non aspettarmi, Ziva”. Provai a chiamarla ma aveva spento il cellulare. Salii in macchina sbattendo la portiera, presi a pugni il volante e andai a casa. Da solo.

--- --- --- --- ---


L’avevo fatto di nuovo. Lo avevo mollato lì e me ne ero andata senza motivo, senza una spiegazione. Avevo bisogno di stare sola e non gli potevo dire perché. Così ora stavo male anche per questo. Non si meritava di essere trattato così.
Andai al poligono e svuotai non so quanti caricatori sulle sagome.
- Mi servono altre munizioni - dissi al responsabile
- La tua mira mi sembra buona, non ti sei allenata abbastanza?
- Non mi sto allenando. E la mia mira non è buona. E’ ottima.
- Beh, se la tua mira è così ottima ti va una sfida? - Mi girai e vidi un gruppetto di Marines poco più che ventenni capeggiati da uno sbruffone palestrato - Se non hai paura di perdere si intende.
- Lascia stare, non è aria ok?
- Ehy sentito? La ragazza prima la spara grossa e poi nemmeno accetta una piccola sfida per divertirsi - disse al suo gruppo e tutti risero
- Dai John magari è ottima a fare altro - disse un altro di quelli dietro.
Mi sforzavo di ignorarli quando quel John si avvicinò troppo mettendomi una mano addosso.
- Dai ha ragione Wesley, magari mi fai vedere in cosa sei brava allora…
Gli presi il polso e gli feci leva sull’articolazione
- Se ti spezzo il polso poi non puoi sparare più lo sai?
- Ehy ragazza, calma… Dai spariamo qualche colpo, perdona i miei stupidi amici.
- Se proprio ci tieni ad essere umiliato… - gli risposi decisa a porre fine a questa storia
Prese la sua pistola e svuotò il caricatore sulla sagoma. Quando la figura si avvicinò notai i 15 colpi, tutti nell’area del torace. Soddisfatto mi disse
- John Tennence, addestrato nei Marines
Presi la pistola e mi preparai a fare fuoco quando bloccò il mio braccio.
- Ma non con quella, usa una vera pistola da uomo, ed occhio al rinculo è un po’ forte - Mi disse sorridendo mentre mi porgeva la sua Beretta 9mm.
La soppesai, controllai il mirino e feci fuoco svuotando il caricatore. Gliela restituii.
Si avvicinò la mia sagoma. 15 colpi tutti nel cuore.
- Ziva David, addestrata nel Mossad. Bravo Marines, ma puoi migliorare, soprattutto se curi di più la tua arma che non è ben bilanciata.

Lo lasciai lì, sbeffeggiato dai suoi amici. Presi le mie cose e me ne andai.

Aveva cominciato a piovere. Camminavo senza meta sotto la pioggia. Le macchine passavano veloci a lato della strada alzando schizzi d’acqua quando una si fermò dietro di me e sentii qualcuno scendere.
- Ziva David!
Mi voltai, era il Marines del poligono ma feci appena in tempo a riconoscerlo che mi colpì con uno schiaffo in faccia facendomi perdere l’equilibrio e caddi a terra sulla schiena. Lui si buttò sopra di me con tutto il suo peso
- Non dovevi umiliarmi davanti ai miei amici. Te la faccio pagare. - E dicendo così mi diede un altro violento schiaffo.

Non ci misi molto a liberarmi della sua presa dopo averlo colpito allo stomaco e alle parti intime e a metterlo faccia a terra bloccato con un ginocchio sulla schiena e il braccio immobilizzato facendo leva sul polso verso la spalla.
- Te l’ho già detto Marines, se ti spezzo il polso poi non spari più, non me lo far ripetere un’altra volta. Ed ora vattene via prima che ci ripenso e ti uccido qua - gli dissi dopo aver tirato fuori la pistola e puntata alla sua nuca - oggi ne avrei proprio voglia. - Gli diedi un forte strattone alla spalla e sentii chiaramente la sua articolazione uscire.

Rinfoderai la pistola e mi alzai: ero tutta bagnata e perdevo sangue dal naso. Ripresi a camminare sotto la pioggia come se niente fosse ma accelerai il passo sempre di più, fino a correre. Correvo senza meta. Correvo piangendo.
Era notte fonda quando arrivai sotto casa e mi resi conto che non avevo le chiavi. Mentre stavo per suonare al citofono ci ripensai. Mi sedetti sugli scalini e piansi ancora.

NOTA: Portare dentro certi segreti è difficile, soprattutto quando si devono nascondere alle persone con le quali lavori insieme e ancora di più se le devi nascondere alla persona che ami. Riuscirà Ziva a convivere con il suo? E per quanto ancora? Metterà in crisi il suo rapporto con Tony? Il prossimo capitolo arriverà presto, visto che già completi e sistemati ne ho già parecchi. ;)
Stay Tuned e ditemi che ne pensate, se vi va. Sono ben accette anche le critiche.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Carry On ***


Carry on when the day is long
Forever carry on
For as long as we're together
Then forever Carry On

Quando la sveglia suonò ero già pronto da tempo, decisamente più facile alzarsi dal letto quando la notte non si dorme, è una liberazione. Le belle vecchie abitudini che mi avevano accompagnato fino a pochi giorni fa… Io solo a casa a pensare a lei. Con l’unica differenza che lei era qui fino a qualche minuto prima e che ancora una volta mi aveva lasciato solo senza darmi una spiegazione, un motivo. Qualsiasi cosa facessi mi sembrava di essere sempre al punto di partenza e quando ero convinto di averla finalmente raggiunta mi scappava di nuovo.
Mi guardavo allo specchio e cercavo risposte in me stesso, sul perché da anni continuassi questa rincorsa folle. Poi mi passavano per la mente tutti i, troppo pochi, momenti belli con lei e la risposta era lì.
Che stupido a non riuscire a farne a meno. Eppure ero convinto che ogni attimo vissuto con lei valesse tutto quanto.

Provai a richiamarla ancora una volta prima di uscire, ma il cellulare era sempre staccato.
Stavo per andare in garage a prendere la macchina quando mi ricordai che la sera prima avevo parcheggiato in strada. Da ieri pomeriggio ancora stava piovendo. “Grandioso” pensai “anche il cielo si adeguava al mio umore grigio”.

Aprii il portone e la trovai lì, seduta sui gradini che si teneva le ginocchia strette al petto. Era tutta bagnata. Mi si strinse il cuore a vederla così.
Avrei voluto prenderla ed abbracciarla, sollevato di vederla, portarla a casa asciugarla, coccolarla, dirle quanto l’amavo, quanto mi era mancata, quanto ero stato in pena per lei, quanto era importante per me, che mi mancava l’aria quando non c’era e la paura che le fosse successo qualcosa mi faceva impazzire. Avrei voluto baciarla fino a consumarle le labbra e fare l’amore con lei tutto il giorno. E non mi sarebbe comunque bastata, ne avrei voluto di più.
Ma per orgoglio e testardaggine non feci nulla di tutto questo, ero ancora arrabbiato con lei.
- Che ci fai qui Ziva?
- Non lo so - Mi parlava continuando a tenere la testa bassa guardando a terra
- Perché non sei venuta a casa stanotte?
- Non avevo le chiavi.
- “Non avevo le chiavi” una scusa più stupida non l’hai trovata? Potevi suonare no? Da quanto sei qui?
- Non lo so, da stanotte. 5/6 ore forse, non me lo ricordo. Non ti volevo disturbare.
- Siamo a questo punto Ziva? Pensavo che eravamo andati un po’ oltre… Guardami quando ti parlo! - Le dissi spostandole il viso con una mano. Lei fece una smorfia e vidi i lividi il segno del sangue su un lato del volto.
- Che hai fatto? - le chiesi preoccupato
- Niente Tony, divergenze con un Marines sull’uso delle armi da fuoco.
- Ziva, non scherzare, che ti ha fatto?
- Niente te l’ho detto, quello che vedi, un graffio, nulla di che. Non ti preoccupare.
- “Niente”, “Non ti preoccupare”, “Non ti voglio disturbare”… Fai come vuoi, non so cosa dirti. Io… non lo so… Tieni, vai a casa, fatti una doccia e datti una sistemata, ci vediamo a lavoro.
Le lasciai le chiavi di casa, salii in macchina ed andai in ufficio. Non provò nemmeno a fermarmi.

- Tony, dov’è Ziva? - Mi chiese McGee sorpreso di vedermi arrivare da solo
- A casa arriva tra un po’ - risposi seccato
- E’ successo qualcosa?
- No Pivello, non è successo niente.

Non avevo nemmeno fatto caso al fatto che erano state spostate delle strutture ed era stata inserita una scrivania in più. Guardai Gibbs stupito
- Quei dispositivi possono anche stare laggiù, c’è un po’ meno spazio per passare, ma faremo attenzione. Tutti devono avere il proprio posto.
- Grazie Capo - gli dissi
- Come mai ancora non è arrivata? Ieri sera non voleva nemmeno andare via…
- Arriverà tra poco
- Va tutto bene Tony?
- Va tutto come sempre Gibbs. Mettiamola così. Prendo quella scatola, comincio ad esaminare quei documenti lì

C’era un silenzio di tomba, stavamo tutti controllando quelle carte e nessuno diceva nulla. Ellie era di sotto a dare istruzioni ad una squadra scientifica che era venuta in nostro aiuto per catalogare tutti quegli elementi elettronici trovati. Io, Tim e Gibbs spesso ci lanciavamo delle occhiate senza dirci niente. Che era successo qualcosa lo avevano capito ma nessuno diceva nulla.
Quando si aprì l’ascensore pensavo di vedere Ziva che entrava, invece era Ellie che stava tornando.
- Ciao Tony, hai visto il cambiamento che ha fatto il capo oggi? - Indicandomi le scrivanie
- Visto, molto, molto interessante.
- Non ti dispiace se resto qui? Nel senso alla scrivania questa che era…
- No Ellie, è la tua scrivania ora, ci sono tutte le tue cose, non sarebbe pratico spostare tutto. Poi non sappiamo Ziva quanto rimarrà, se solo fino a quando questa storia non sarà finita oppure no.
McGee e Gibbs ora mi fissavano.
- C’è qualcosa che devi dirci che non sappiamo Tony? - Chiese Gibbs con fare interrogatorio
- No capo, è solo una constatazione.
Proprio quando finii di parlare lei arrivò. Il volto non era più sporco di sangue ma i lividi mi sembrava che si vedessero ancora di più di prima. Mi faceva male vederla così.

- Buongiorno a tutti, scusate il ritardo.
- Buongiorno Ziva, ti puoi mettere lì, Gibbs l’ha fatta preparare per te. - Le disse Tim
- Grazie. - Posò lo zaino a terra, sistemò lo schermo del computer ed il telefono, mise il cellulare sulla scrivania, controllò i cassetti. - Posso cominciare con questi Gibbs? - Chiese mostrando un pacco di cartelline prese dalla scatola.
- Con quello che vuoi - le rispose
Stavano facendo tutti finta di niente. Guardavano lei e poi guardavano me, senza dire una parola. Sarei scoppiato entro pochi minuti.
- David, DiNozzo venite con me.
Gibbs si era alzato e ci stava ordinando di seguirlo. Perfetto. Ci mancava solo questa.

- Allora, mi spiegate cosa sta succedendo? - Ci chiese appena arrivati sul retro
- Niente Capo - gli dissi
- Ziva, che hai fatto?
- Ho avuto un diverbio con un Marines ieri sera.
- Dove?
- Al poligono.
- E poi?
- E poi mi ha seguita e c’è stata una colluttazione. Fine della storia.
- Chi era?
- Non ricordo il nome.
- Ziva, sei sicura che non è successo altro? E tu Tony sei sicuro?
- Io Capo? Ma cosa stai pensando?
- Non lo so Di Nozzo, che dovrei pensare?
- Gibbs, ma sei impazzito? Non mi starai accusando di averla picchiata io?
- Tu lo stai dicendo Tony.

Il suo sguardo era gelido. Io ero sorpreso e amareggiato, come poteva pensare una cosa del genere?
- Capo ma che stai dicendo? Sono io, sono Tony!
- Gibbs - intervenne Ziva - Tony non mi ha fatto nulla, credimi. Come fai a pensarlo?

La voce di Ziva sembrava quasi supplicarlo di crederle.
- Mi ferisci Gibbs così - gli dissi - mi consideri un uomo di così poco valore che picchia la sua donna?
- Mi dispiace Di Nozzo, ma dovete riuscire a tenere i vostri problemi fuori dalla squadra.
- Capo, noi riusciamo a tenere i nostri problemi fuori dal lavoro. A me sembra che sia la squadra che non riesca a stare fuori dai nostri problemi. Da quando sono arrivato che fate domande, da quando è arrivata Ziva che mi squadrate. Chi è che non riesce a gestire la cosa, noi o voi? Ed ora scusami, vado a lavorare, nella speranza che qualcun altro non mi faccia passare per il marito violento di turno.
Li lasciai lì e me ne tornai alla mia scrivania

--- --- --- --- ---

- Gibbs hai esagerato con Tony. Hai sbagliato. Lo dici tu che bisogna sempre fidarsi della propria squadra.
- E’ vero.
- E Tony ha ragione quando dice che siete più voi a farvi influenzare da noi che non il contrario. Se il clima deve essere questo io non penso che posso restare.
Mi accarezzò il volto delicatamente.
- Che c’è Gibbs? Qualcosa non va?
- No, Ziva, dobbiamo solo abituarci tutti. Hai detto che non ti ricordi il nome di quel Marines, giusto?
- No, non lo ricordo.
- Quindi lo sai, prima che vai via lo voglio sulla mia scrivania.
- Non è necessario Gibbs.
- Nessun Marines può andare in giro a picchiare una donna e passarla liscia. Ancora meno se la donna è una persona a cui voglio bene.
Le parole di Gibbs mi avevano colpito. Con me era sempre in questo limbo tra l’essere il capo severo ed il padre amorevole. O forse proprio come un padre, era severo ed amorevole contemporaneamente. L’unica cosa certa è che riusciva sempre ad esserci quando avevo bisogno di lui, delle sue parole dolci ma anche di quelle dure.
- La sua spalla per un po’ gli ricorderà di tenere le mani e la lingua a posto, non ti preoccupare.
Gli feci un occhiolino e andai alla macchina del caffè.

- Per te.
Appoggiai sulla scrivania di Tony una tazza di caffè ed una barretta di cioccolata.
- Grazie
Tony mi aveva risposto senza alzare nemmeno gli occhi dai fogli che stava leggendo. Avrei voluto dirgli qualcosa ma lasciai perdere e tornai alla mia scrivania e mi concentrai a studiare tutte quelle carte per cercare qualche minimo appiglio.

Più tardi tornammo in quell’edificio, adesso totalmente vuoto, per vedere se la soluzione più che in quello che c’era dentro fosse stata nella la struttura stessa. McGee e Bishop erano rimasti in ufficio per esaminare con la scientifica i componenti elettronici. Ci ritrovammo io, Gibbs e Tony soli in macchina. Nessuno diceva nulla a nessuno. Ci parlavamo solo per scambiarci informazioni necessarie al caso.
Esaminammo tutta la struttura con una squadra di tecnici che escluse stanze nascoste, intercapedini tra i muri. L’unica cassaforte presente era stata già aperta il suo contenuto era di nessuna importanza. Provammo a vedere se c’erano indizi in ogni parte della struttura, ma tutto quello che trovammo fu il nulla totale.
Speravo fortemente che la soluzione si trovasse lì e non in quella miriade di chip e circuiti da analizzare perché sarebbe stata molto più veloce. Ero molto amareggiata.

Quando tornammo all’NCIS McGee ci aggiornò di quello che avevano fatto
- Ecco, quelli là li abbiamo già processati tutti. Abbiamo copiato tutti i loro codici nel nostro sistema. - Indicò una catasta di scatole - sono già un bel po’ per mezza giornata di lavoro no?
Tra tutti era quello che cercava di essere più positivo.
- Poi dobbiamo solo decifrarli tutti e capire se vogliono dire qualcosa - Disse Bishop che ci aveva raggiunti
- Grazie Ellie che ci porti sempre queste ventate di ottimismo ed entusiasmo! - Rispose ironico Tony - Io torno di sopra a vedere se in mezzo a quei maledetti ordini c’è qualcosa.

Andammo tutti al piano superiore mentre McGee e Bishop continuavano con quelle apparecchiature.

- Ehy Ragazzi! - Abby era salita dal suo laboratorio - Ho esaminato tutti gli hard disk dei computer, ma niente di strano o di anomalo. Se non possiamo mettere in relazione i dati con qualche altra cosa, al momento non c’è veramente nulla di diverso da quello che dovrebbe esserci in un’attività del genere.
- Ok Abby, vai da McGee e Bishop e aiuta a catalogare il resto.
- Ok Gibbs! - Indicò la guancia per farsi dare un bacio e Gibbs non glielo negò

- Capo c’è un problema - Disse Tony - Tra questi documenti che sto osservando, almeno la metà sono scritti in ebraico.
- Non è un problema - sorrisi cercando di stemperare il clima tra di noi
- Per me sì Ziva, per me è un problema. Non ci capisco niente! - Rispose acido
Mi avvicinai a lui e guardai quei fogli.
- E’ un ordine di una casa farmaceutica per un componente per dosaggi di precisione. - Gli dissi mentre leggevo il foglio - Chiedono 10 pezzi nel minor tempo possibile settati su diversi dosaggi con uno scarto di 0,0001mg di errore. Se vuoi controlliamo insieme.
- No meglio di no, ci mettiamo di più. Separo tutta la documentazione in ebraico e te la passo a te. Io guardo il resto.
- Ok, come vuoi tu.
Tornai a sedermi e la distanza tra noi era molto di più di quella dei pochi passi che separavano le nostre scrivanie.

Era ormai buio da un pezzo ed era tutto il giorno che stavamo leggendo quei fogli. Nessuno aveva senso. Stavo appuntando, ordini, fornitori nomi dei clienti per vedere se qualcosa potesse in qualche modo portare ad altro, ma niente, nessun nome, nessuna data, niente di niente mi diceva qualcosa.
- Basta, io non ce la faccio più - Sbottò Tony - E’ da questa mattina che leggo questi maledetti fogli, mi si stanno incrociando gli occhi.
- In effetti si è fatto tardi - disse Gibbs - continuiamo domani. Se non siamo lucidi è inutile.
Tony prese il suo zaino ed andò verso l’ascensore senza dire nulla. Presi il mio e corsi verso di lui. Misi la mano in mezzo alle porte appena in tempo per entrare.

Non ci pensai troppo, feci come lui qualche giorno prima. Bloccai prima le porte e poi lui. Lo avrei voluto baciare nello stesso modo, ma voltò la testa e non me lo permise. Gli lasciai le braccia e presi il suo volto tra le mie mani obbligandolo a guardarmi. Lui fece la stessa cosa con il mio volto.
- Cosa c’è Tony, non ti va nemmeno di vedermi così? Eppure mi hai visto ridotta anche peggio in Somalia
- Che ti hanno fatto ieri sera?
- Niente Tony, quello che vedi.
- Sei sicura?
- Sì.
- Non ti hanno fatto… altro
- No. Stai tranquillo. - Riuscii a rubargli solo un bacio sfiorando appena le sue labbra.

Ci lasciammo da quella presa insolita. Feci ripartire l’ascensore.
- Le chiavi di casa le ho io
- Già, me ne ero anche dimenticato
- Tieni - gliele porsi
- No, tienile tu, dopo prendo la copia che ho in camera.
- Sei sicuro?
- Non è un litigio che mi fa mettere in discussione la mia vita. Almeno per me è così. Per te è diverso?

Arrivammo al parcheggio e uscendo dall’ascensore non risposi alla sua domanda.

- Allora per te è diverso? - Mi chiese di nuovo mentre guidava verso casa
- Cosa?
- Per un litigio cambia tutto tra noi?
- No.
- Bene. Sono stato in pensiero questa notte. Non sparire così.
- Ci proverò, ma non te lo posso promettere.
- Lo so.
- Grazie.
- Di cosa?
- Di accettarmi così come sono. Con tutti i miei difetti.
- Io non ti accetto, io di amo David, anche se alcune volte è proprio difficile. Come ora. - la sua voce era veramente sconfortata
- Lo so Tony e mi dispiace, non vorrei fosse così.
- Se non lo vuoi, fai in modo di non farlo accadere. Non escludermi dai tuoi problemi, da come ti senti. Vuoi andare al poligono a sparare? Ci andiamo insieme.
- Alcune volte ho bisogno di stare da sola Tony.
- Ok. Stai da sola. Ma poi torna. E se ti succede qualcosa chiama. Non puoi dividere la vita con qualcuno e pensare che disturbi se citofoni la notte o telefoni se hai un problema. Non sono un conoscente o il vicino di casa. Non mi trattare così.

Mangiammo qualcosa preso al take away sotto casa e poi andammo a dormire. Non parlammo praticamente più per tutta la sera tranne che per i convenevoli.
- Buonanotte - mi disse spegnendo la sua luce e voltandosi nel letto dandomi le spalle.
- Buonanotte - gli risposi guardandolo girarsi.
Spensi la luce anche io e mi avvicinai a lui che faceva finta di non sentirmi. Mi appoggiai alla sua schiena lo abbracciai portando la mia mano sul suo petto. Non disse niente e non si mosse, mise la sua mano sopra la mia. Faticai a prendere sonno quella sera.

NOTE: Che ne dite, troppo duro Gibbs con Tony? Forse un po' sì, ci ho pensato molto se togliere quel pezzo, ma un po' di tensione mi piaceva. Alla fine anche il grande capo ogni tanto sbaglia.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** One Step Closer ***


… I find the answers aren't so clear
Wish I could find a way to disappear
All these thoughts they make no sense …

- Marine trovato morto in auto vicino all’aeroporto. Andiamo! David, anche tu!
Cominciò così quella giornata di vecchia routine all’NCIS. Era il primo caso sul campo a cui lavoravo dal mio ritorno di pochi giorni prima.

Nei giorni passati eravamo stati impegnati soprattutto ad esaminare i documenti ed il materiale del deposito, senza molta fortuna ma con molta frustrazione. La convivenza con Tony non era sempre semplice. Era difficile spesso riuscire a far conciliare i nostri caratteri senza scontrarci, ma poi quasi sempre finiva tutto con un bacio. Tentavamo pian piano di capirci e di parlarci di più di evitare di cadere nei nostri silenzi. Ma se con le parole non eravamo sempre capaci di spiegarci quello che pensavamo, i nostri corpi comunicavano tra di loro senza problemi, in maniera totale, ed ora mi chiedevo come avevamo fatto per tanti anni ad ignorarci e resistere.

Scattai delle foto alla zona intorno alla vettura, soffermandomi sulle tracce che andavano dalla portiera del guidatore e si allontanavano, mentre Tony e Bishop si dedicavano al cadavere e all’interno dell’auto e Gibbs stava parlando con un addetto dell’aeroporto che aveva notato la macchina quando era smontato dal turno di notte.

Arrivarono Ducky e Palmer ed esaminarono il corpo
- Soldato di prima classe Wesley Venters, 23 anni povero ragazzo, una vita davanti… - disse Ducky
- Causa della morte?
- Nessuna ferita da arma da fuoco o da taglio - disse esaminando il corpo - a giudicare dai segni presenti posso affermare con quasi l’assoluta certezza che gli è stato spezzato il collo con una mossa di costrizione prendendolo da dietro.
E così dicendo voltò il viso del ragazzo verso di me mimando la mossa che doveva aver fatto il suo omicida
- Io l’ho già visto questo marine - dissi e tutti si voltarono a guardarmi - Era nel gruppo di John Tennence al poligono qualche sera fa.
- Ah quindi si chiamava John Tennence, vedo che ti è tornata la memoria… - Mi rimproverò Gibbs che da giorni mi chiedeva quel nome, mentre Tony se lo segnava sul suo taccuino guardandomi storto. - … Cosa sai di questo Marine Ziva?
- Che era piuttosto maleducato e facile a fare battute sessiste e che poi era tra quelli che stavano deridendo di più il loro amico dopo che aveva perso una gara di tiro al bersaglio con la sottoscritta. Fine della mia conoscenza
- Tony, chiama McGee e digli di trovarci questo John Tennence e fatelo portare all’NCIS. - Ordinò Gibbs
- Jethro noi abbiamo finito, faccio portare il corpo in obitorio per l’autopsia così sapremo l’ora precisa. - Intervenne Ducky.

Salimmo tutti e quattro in macchina e tornammo in ufficio.
- Cosa dobbiamo sapere di questo Tennence, Ziva? - Mi chiese Gibbs mentre Tony seduto davanti vicino a lui si voltava a guardarmi. Ancora un velo violaceo appariva sul mio viso in ricordo di quella sera.
- Alto, palestrato, molto presuntuoso e direi anche irascibile, maschilista, non particolarmente intelligente vista la facilità con la quale ho ribaltato la sua presa. Uno che pensa che con i muscoli può risolvere tutto. Era il capo del suo gruppetto, ma un capo che conquista i suoi solo perché è quello che “mena più forte”, una volta che lo hanno visto sconfitto non ci hanno messo molto ad irriderlo.
- Quanto tempo ci sei stata insieme? - Mi chiese Bishop seduta al mio fianco
- Il tempo di svuotare un caricatore su una sagoma al poligono e di una breve colluttazione dopo. Sufficiente per capirlo.

- Capo, John Tennence è nella sala interrogatori - Ci disse McGee appena arrivammo
- Ottimo lavoro McGee!

Gibbs prese un fascicolo con dentro dei fogli e delle foto e si diresse nella sala interrogatori. Io e Tony lo guardavamo dall’altra parte del vetro.

- Soldato di prima classe John Tennence - il ragazzo era seduto con un vistoso tutore alla spalla sinistra
- Perchè sono qui?
- Stabiliamo una cosa soldato. Qui le domande le faccio io, non tu. Quindi adesso stai in silenzio e rispondi quando te lo dico io.
- Io non ho fatto niente. Quindi voglio sapere perché sono qui.
- Chi dice che tu abbia fatto qualcosa? Hai fatto qualcosa soldato?
- No Agente.

Gibbs aprì il fascicolo prese una mia foto e la mise sul tavolo. Io e Tony ci guardammo.
- Ma non lo sta interrogando per Wesley Venters! - Dissi
- Lascia fare Gibbs, Ziva.

- Conosci questa persona?
- No Agente.
- Guardala bene
- No Agente.
- Ne sei proprio sicuro?
- Sì Agente mai vista.

- E’ lui? - Mi chiese Tony
- Sì è lui.
- E perché nega di conoscerti?
- Perché non gli ho detto che sono dell’NCIS
Gibbs fece un cenno per invitarmi ad entrare e così feci lasciando Tony fuori a guardarci

- Ciao John ci rincontriamo! Sistemata la tua pistola poi?
- Ma… ma… tu cosa ci fai qui?
- Ci lavoro. - Dissi indicando il distintivo
- Ma tu avevi detto che eri del Mossad.
- No, io avevo detto che mi ha addestrato il Mossad. Però tu evidentemente non ci hai creduto, visto che sei venuto a sfidarmi dopo. O sottovaluti il mio addestramento, o sopravvaluti il tuo.
- Beh ecco, mi dispiace per l’altra sera
- Non c’è problema, penso che la ricorderai più tu che io.

- Posso andare ora? - Chiese a Gibbs
- No. Perché all’agente David le scuse bastano, a me no.
- Se sapevo che era dell’NCIS non l’avrei mai…
Gibbs non gli fece finire la frase sbattendo le mani sul tavolo si alzò e gli urlò in faccia tutto il suo disappunto
- Soldato, un Marines non picchia una donna, non perché è o meno dell’NCIS, ma perché è una cosa ignobile. Hai capito?
- Sì agente.
- E non picchia una donna se lo umilia sparando meglio di lui con una pistola non sua.
- Io sono il migliore del mio reparto a sparare.
- Ne sono contento.
- Voglio diventare un tiratore scelto.
- Non lo sarai mai.
- Non mi ha mai visto sparare
- Non è questione di mira, è questione di testa.
- Con tutto il rispetto agente Gibbs, non credo che lei lo sappia

Mi feci scappare una risata
- Sergente Capo d’Artiglieria. Sono stato tiratore scelto a Panama e Desert Storm. Se non sei in grado di controllarti per una sconfitta, non sarai mai in grado di aspettare per colpire il tuo nemico.
- Mi scusi Signore.
- Torniamo a noi. Agente David, conferma quindi che è lui ad averla aggredita?
- Sì Capo.
- Bene, per me è tutto. Sarà incriminato di aggressione ad un agente federale. Credo che la sua carriera nei Marines finirà a breve. Ora verrà il mio collega a farle qualche altra domanda.

Uscimmo e Gibbs disse a Tony di andare a concludere l’interrogatorio sulla morte di Venters. Ora eravamo nelle posizioni opposte, io e Gibbs fuori, Tony dentro.
- Perché lo hai fatto?
- Deve capire. - Disse Gibbs bevendo il suo caffè mentre osservava Tony dall’altra parte
- Pensi sia stato lui ad uccidere il suo amico?
- No.
- Lo hai voluto mortificare
- Sì, ed anche spaventare.
- Non sarà mai incriminato, non l’ho nemmeno denunciato.
- Io lo so, lui no.

- Oh eccoci qui con il Marine cuor di leone…
Tony rimaneva in piedi vicino al tavolo mentre guardava il fascicolo.
- Vediamo, di cosa possiamo parlare… Ah sì, dei tuoi amici… Perché eri con i tuoi amici quella sera vero?
- Sì Agente.
- Bene… Erano simpatici questi amici? Oppure ti davano fastidio quando ti deridevano perché l’agente David ti ha umiliato?
- Sono cose tra compagni Agente, niente di particolare. Si ride ci si diverte ci si prende in giro.
Tony gli girava intorno e si posizionò alle sue spalle.
- Bravo Marine, sono cose tra compagni, giusto, come ho fatto a non pensarci, come ho fatto a non pensare che tra compagni è normale importunare le persone…
E gli diede una pacca sulla spalla lussata facendolo sobbalzare
- Oh scusami non volevo… fa male? Eh sì certi ricordi fanno sempre male… Ora dimmi - guardò il nome sulla cartellina facendo finta di esserselo dimenticato - John Tennence, di lui che mi dici?
Gli mostrò la foto Wesley Venters morto.
- Cosa vuol dire questa cosa agente?
- Non lo so, cosa ti sembra? Dimmi tu. E’ un tuo amico?
Tony continuava a girargli intorno come un avvoltoio
- Sì è Wesley, cosa gli è successo?
- Lo abbiamo trovato morto questa mattina in un auto vicino all’aeroporto. Aveva il collo rotto. Gli hanno fatto fare crack al collo.
- Oddio Wesley…
- Tu dove eri questa notte? Diciamo tra le 4 e le 5 del mattino?
- Ero di turno, ci sono tutti i miei compagni a testimoniarlo.
- Va bene lo verificheremo.
- Posso andare? - Disse Tennence mentre si stava alzando
- Non ancora - rispose Tony rimettendolo seduto premendo con la mano sulla sua spalla infortunata e stringendola mentre parlava
- Piano agente per favore…
- Vedi Tennence, se tu ci riprovi un’altra volta, in questa città o in qualunque altra parte del mondo io lo scoprirò e ti verrò a prendere e non sarò così gentile come oggi. Sono stato chiaro?
- Sì Agente.
- Bene
Gli lasciò la spalla ed uscì, lasciandolo lì dolorante. Gibbs tornò alla sua scrivania. Io rimasi lì ad aspettare Tony.

- Andiamo David? - Mi chiese Tony affacciandosi al retro della stanza degli interrogatori
- Di Nozzo, vieni qua… - gli feci segno di avvicinarsi con la mano e quando fu abbastanza vicino senza dirgli nulla lo baciai.
- Perchè? - Mi sorrise subito dopo
- Avevo voglia di farlo. Andiamo ora se no ci vengono a cercare
- Tu mi farai impazzire prima o poi lo sai?
- Impazzisci per così poco? - Gli diedi una pacca sul sedere ridendo

--- --- --- --- ---

Gibbs tornò dal laboratorio di Abby con delle novità
- Le tracce sull’auto ci dicono chi era alla guida. Il Sergente Dale Brooks che questa mattina non si è presentato alla base. McGee, Bishop, trovatemi tutto su di lui.
- Di Nozzo, David, voi andate a parlare con la moglie del Sergente.
- Ok Capo.

Partii con Ziva per parlare con la signora Brooks, ma fu un viaggio completamente inutile. La donna era separata di fatto dal marito da molti mesi e i due non avevano rapporti. Chiamammo subito Gibbs per avvisarlo e la cosa non la prese bene. Quando arrivammo McGee aveva scoperto che esisteva anche una presunta amante di questo Sergente ma risultava irreperibile. Ed eravamo al punto di partenza.

Ziva appena tornata in ufficio ricominciò a cercare tra i documenti del magazzino.
- Gibbs qua non c’è niente, assolutamente niente. E se ci fosse qualcosa tra tutti questi fogli è impossibile capire cosa può essere il collegamento.
- Ziva non ti scoraggiare. - Le dissi
- Non mi sto scoraggiando, sto dicendo la verità. Ha ragione Bishop ci metteremo anni.
- McGee novità dai componenti che state esaminando? - Intervenne Gibbs
- No, Capo, stiamo sempre finendo di raccogliere i dati. Un paio di giorni e poi avremo tutto e potremo incominciare ad analizzarli.
- Dovete fare più velocemente McGee! Stiamo già sprecando troppo tempo!
Mi avvicinai alla scrivania di Ziva, le misi un braccio intorno alle spalle e mi avvicinai a lei e per non farmi sentire dagli altri quello che le dicevo
- Occhioni belli, non ti scoraggiare. Sei tu la chiave per risolvere questo rompicapo, ce la farai vedrai.
- La chiave…. La lealtà… Gibbs ho avuto un’idea. C’è una società che ha fatto varie ordinazioni negli ultimi anni, si chiama “Loyalty Group” mio padre diceva che “la lealtà è la chiave di tutto” possiamo fare dei controlli?
- Bishop, McGee voglio tutto quello che c’è da sapere su questa società. E dite ad Abby di cercare su quegli hard disk qualsiasi cosa ci possa essere.

Potevamo essere sulla strada giusta. Per la prima volta avevamo un’idea su cosa cercare. Cominciammo a cerare tutti gli ordini di quella società, li catalogavamo secondo diversi ordini, McGee era andato a vedere se tra i pezzi robotici repertati c’era qualcosa catalogato sotto questo nome ma nulla, risultava tutto consegnato.

Ci lavorammo fino a tarda sera, senza però trovare nulla. Guardammo tutte le informazioni possibili sulla società dai nostri archivi e non solo, ma non venne fuori nulla di interessante.
Ogni volta che ci sembrava di fare un passo avanti poi ci trovavamo a farli due indietro. Maledivo il padre di Ziva e tutto il Mossad per questa situazione. Poi però pensavo che se non era per tutto questo forse non l’avrei più vista perché non avevo mai avuto il coraggio di cercarla e chissà se lo avrei mai avuto in futuro. Allora ne ero quasi contento, nonostante vedessi la sua frustrazione per non venirne a capo.

Anche quella sera a casa mangiò pochissimo, come i giorni precedenti ed avevo paura che così si facesse solo del male inutilmente. Vedevo che si sforzava di non farmi pesare la cosa, ma non era lei, non era spontanea. Non volevo che fingesse.
- Non devi fingere che vada tutto bene se non è così per te. - Le dissi mentre eravamo ancora seduti dopo aver mangiato impegnati in una stupida conversazione sul nulla
- Cosa vuoi che faccio Tony? Mi sto sforzando di essere quella che tu vorresti, non va bene
- No, tu non ti devi sforzare di essere quella che voglio io, io voglio te per quella che sei. Non voglio che fingi di essere un’altra, voglio che condividi con me i tuoi problemi, no che fai finta che non ci sono problemi.
- E’ che questa storia dei documenti non mi da pace, penso che non arriverò mai alla fine, non troverò mai una conclusione.
- Ziva, ma perché sei così coinvolta? Li devi trovare tu, ok, ma adesso sei qui con me, siamo insieme. Troveremo quello che cerchi, ci metteremo più tempo, ok. Ma non ti faranno del male qua. Io non lo permetterò e nemmeno Gibbs lo farà
- Non è questo Tony. Questa storia ci riguarda tutti da vicino.
- Ma perché, basta con questa ossessione per tuo padre ed il Mossad te l’ho già detto!
- Tony tu ora non puoi capire lo so, ed io non posso dirti altro, ma credimi, ti prego credimi, tutta questa storia ci riguarda molto da vicino.
- Dimmi che c’è
- Non posso farlo adesso. Ti prego fidati di me se ti dico che è di vitale importanza trovare quei documenti il prima possibile.
- Io non capisco perché mi tieni fuori.
- Lo so e mi dispiace immensamente. Ma se mi ami fidati di me questa volta. Solo questa.
- Ogni volta è sempre “solo questa”. Poi ci sarà un’altra volta che sarà di nuovo solo questa? Io mi posso fidare di te, ma perché tu non ti puoi fidare di me?
Ero amareggiato. Mi prese le mani.
- Ho bisogno di sapere che tu sei con me Tony. Adesso ne ho tanto bisogno. Ho bisogno della forza che mi dai.
- Va bene. Dimmi solo una cosa però, riguarda qualcosa che è successo in questi anni a Tel Aviv.
- Sì.
- Me lo dirai?
- Sì, te lo dirò.
- Ok David.

Avevo sempre pensato che dietro questa storia c’era dell’altro che non sapevo, ma almeno adesso avevo la certezza di sapere di non sapere. Che discorso assurdo. Gli ultimi giorni non erano stati facili per noi. Più bassi che alti, più silenzi che parole, più distanza. Però poi mi bastava prendere le sue mani per sentire tutta la vita scorrere attraverso le mie, mi bastava guardarla negli occhi per capire che tutto il mio mondo passava da lei, un suo bacio mi faceva dimenticare tutti i problemi.
Avessi avuto un amico che si comportava come me gli avrei detto che era un perfetto idiota. Mi avessero detto anni fa che io mi sarei comportato così, gli avrei dato dei folli.

NOTA: Questo capitolo è un po' di transizione. Stanno cercando di risolvere questo problema ma non ne vengono fuori, i rapporti tra Tony e Ziva sono sempre altalenanti e lui comincia a sospettare che ci sia qualcosa sotto. Sarà vicino alla realtà? Indagherà di più o si fiderà di lei?
Vi do appuntamento a giovedì per il prossimo capitolo. Vi avviso, se c'è qualcuno che è troppo sentimentale prepari un fazzoletto... ;) Stay Tuned

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Everything I do I do it for you ***


Look into my eyes - you will see
What you mean to me   
Search your heart - search your soul       
And when you find me there you'll search no more


Quella mattina mi svegliai alla solita ora, ma Tony non stava ancora dormendo come al suo solito. Entrò poco dopo in camera con un vassoio con la colazione e una rosa.
- Buon compleanno amore.
Guardai la sveglia sul comodino: 12 novembre. Non ci avevo nemmeno pensato.
- Beh? Ti eri dimenticata del TUO compleanno?
- Ehm… Sì… Grazie Tony. - Gli dissi pendendo la rosa - Era tanto che non festeggiavo il compleanno.
- Stasera ti passo a prendere alle 19. Mi raccomando, sii puntuale e vestiti elegante.
- Tony, che vuol dire che mi passi a prendere tu abiti qui, casomai usciamo insieme, no?
- No, ti passo a prendere, me lo concedi un appuntamento come una coppia di fidanzatini qualsiasi? Uno di quelli che non abbiamo mai avuto?
- Elegante hai detto?
- Sì, elegante. Ci vediamo dopo in ufficio.
- Ma è presto! Non mi aspetti? 
- No, devo sbrigare delle cose urgenti
Scappò via dopo avermi dato un bacio. Mi ritrovai a sorridere da sola per quella situazione paradossale mentre facevo colazione. Pensai che dovevo trovarmi un’auto perché non potevo continuare ad andare in giro in taxi ogni volta che lui aveva da fare.

Quando arrivai all’NCIS Tony non era ancora arrivato e mi sembrava strano visto che era uscito ben prima di me.
- Ma Tony non è ancora arrivato? - Chiesi a McGee
- Ehm no… Mi ha detto che doveva fare delle commissioni importantissime e poi sarebbe venuto. Ah Auguri Ziva!
- Grazie Tim.
- Auguri di cosa? - Chiese Gibbs
- E’ il compleanno di Ziva, Capo!
- Ah, auguri Ziva
- Grazie Gibbs

Squillo del telefono
- Agente David

- Ciao Ziva, puoi venire qui in laboratorio per favore?
- Novità sui documenti?
- Ehm sì, quasi… ti aspetto ciao. - Disse tutto di un fiato e riattaccò

- Abby mi cerca, vado. - Dissi ai miei compagni e scesi da lei.
- Allora Abby, che novità hai?
- Nessuna. - La guardai severa - Tanti auguri amica mia!
Mi sfoderò uno dei suoi sorrisi irresistibili mentre mi allungava un pacchetto sapientemente incartato con tanti nastrini colorati. Ebbi qualche difficoltà a sciogliere tutti i fili poi vidi un libro che Abby aveva fatto appositamente per me, con tutte le foto della nostra squadra, le nostre missioni, i travestimenti, i momenti di relax, le cene fuori, tanti episodi buffi, c’eravamo tutti, anche chi non c’era più come il direttore Shepard e Mike Francis. C’erano tante foto mie e di Tony insieme e mentre lo sfogliavo velocemente non pensavo che ne avevamo veramente così tante insieme. Ogni tanto sorridevo ricordando qualche episodio particolarmente divertente, altri erano molto teneri, c’erano le foto della prima missione sotto copertura mia e di Tony quando facevamo la parte di marito e moglie, le nostre foto a Parigi, con Abby mentre facevamo degli scherzi a McGee addormentato, Tony tutto bagnato dopo che gli avevamo rovesciato un secchio d’acqua in testa, la foto della mia finta gravidanza… Mi emozionò vederla, ripensai a quando ero incinta e non ero proprio come in quella foto, anzi… 

- Abby è bellissimo, grazie. Non so che dire…
- Così se deciderai di lasciarci di nuovo, ci ricorderai così e magari ti verrà voglia di tornare prima.
La abbracciai io questa volta.
Ripresi a sfogliare le ultime pagine dove non c’erano più foto, ma 4 frasi, scritte da lei, Gibbs, McGee e Tony.
Ovunque sei non scordarti che sei la mia Amica - Abby
Segui il tuo cuore e non sbaglierai strada - Gibbs
Buon viaggio e non dimenticarti degli amici - Timothy
Mi manchi - Tony

- Una volta quando non c’eri ho chiesto cosa avrebbero voluto dirti. Ecco, tutto qua.
- E’ un regalo splendido, splendido veramente Abby, mi fai commuovere… Ora torno su c’è da lavorare.
- Certo, certo vai! Non vorrei che poi Gibbs si arrabbia con te per colpa mia, e poi si arrabbia anche con me e poi non mi vuole più bene.

--- --- --- --- --- 


Era tardissimo, anche più tardi di quanto pensassi. 
- Scusa scusa Gibbs… lo so è tardissimo, ma oggi è una giornata particolare e troppo importante!
- Siediti Di Nozzo e lavora!
- Ziva dov’è?
- Eccomi ritardatario. - Mi disse rientrando e sedendosi alla scrivania.
Andai alla sua scrivania e la baciai
- Buon compleanno Amore Mio!
- Dai Tony, non qui - mi disse sottovoce invitandomi a tornare al mio posto.
Ecco, quel giorno avrei voluto tutto tranne i suoi rifiuti.
- Ziva vieni con me un attimo? - Guardai Gibbs per ottenere la sua autorizzazione e mi fece cenno con la testa
- Vai Ziva - le disse e lei mi seguì non molto convinta.

- Che c’è Tony? - Mi disse quando eravamo soli
- Perché quando ci sono gli altri sei così distante? - Le chiesi
- Cosa ti preoccupa Tony?
- Sembra che ti vergogni di quello che provi per me. Di noi due…
- No Tony non è questo. Io non mi vergogno di nulla. Ma quello che c’è tra noi per me è così grande e così importante che voglio che sia solo per noi, non voglio che gli altri…
La baciai per farla tacere.
- Va bene così? - Le dissi - Qui non ci vede nessuno…
Mi baciò anche lei 
- Lo prendo come un sì David.

Il lavoro riprese con la solita routine, fogli da leggere, fogli da controllare, nulla che veniva fuori…
- Bishop cosa succede? - Le dissi vedendola visibilmente contrariata mentre ammucchiava le cartelline con i documenti presi al magazzino
- Tony abbiamo controllato ogni documento di quel magazzino degli ultimi 2 anni e non c’è nulla! - Rimase in silenzio con lo sguardo fisso davanti a se. Stava pensando a qualcosa, poi un flash balenò nei suoi occhi - No, ma aspettate un attimo, come abbiamo fatto ad essere così stupidi, tutti! 
- Bishop che c’è?
- Due anni! - Si alzò Ziva - Non è l’attività ma il posto! Come abbiamo fatto a non pensarci? Mio padre è morto da quasi 4 anni, non credo che avesse doti divinatorie da sapere cosa avrebbero messo 2 anni dopo la sua morte lì.
- No! No! - dissi io - ma veramente mi stai dicendo che sono giorni che stiamo leggendo questi fogli inutilmente perché non abbiamo pensato ad una cosa così banale?
- Sì Tony - mi rispose Bishop.
Gibbs tra tutti noi era quello che sembrava meno turbato. Sembrava però
- McGee voglio sapere TUTTO quello che c’è stato in quello stabile, da quando è stata fondata Washington a quando è morto Eli David. Tutto. Se nei fine settimana ci facevano i mercatini voglio sapere chi li organizzava. Voglio tutto e lo voglio velocemente.
- Ehm ok Capo, ma tutta la roba che abbiamo sequestrato… 
- Resta qui per ora.
- Ok Capo - mi metto al lavoro.

Ziva ora era impaziente la vedevo che camminava nervosa avanti e indietro.
- Ziva siediti - Le disse Gibbs
Lo fece ed altrettanto nervosamente comincio a giocherellare con una penna fino a quando McGee non si illuminò

- Ok! Forse stavolta ci siamo veramente. Prima della nostra ormai cara ditta, in quello stabile per molti anni c’è stata niente di meno che una banca che si è trasferita in un’altra sede circa 6 mesi dopo la morte di Eli David.
- Perfetto, ora sequestreremo una banca intera! Interessante! - Dissi tra le occhiatacce di tutti ed uno scappellotto di Gibbs che arrivò puntuale.
- E’ una piccola banca - riprese McGee - che si occupa solo di cassette di sicurezza e conti cifrati. Chiunque si affidi a loro è perché innanzi tutto vuole riservatezza. Non ci sono nomi sui loro conti, non si può risalire a nessuna persona. Solo numeri e, da quello che leggo nel loro prospetto, per autenticarsi per fare le operazioni quello che chiedono è la scansione della retina. - McGee cominciò a far scorrere delle slide con le varie notizie. - La BSL Bank è una banca molto vecchia in realtà, risale agli inizi del 1900, è stata fondata da degli ebrei che sono venuti negli Stati Uniti. Non è famosa a livello nazionale ma molto stimata nell’ambiente ebraico americano. Inoltre BS sta per…
- Beer Sheva - lo interruppe Ziva
- Sì Ziva, i suoi fondatori venivano da lì. La “L” è stata aggiunta nell’acronimo successivamente, prima il nome completo era BS Loyalty Bank. 
- Beer Sheva e Washington… Il primo luogo, dove sono nata, e l’ultimo dove mio padre sapeva che mi trovavo… La “lealtà” che è la chiave di tutto.
- Direi che adesso abbiamo qualcosa in più. - Disse Gibbs

- Riprendo quei fogli che avevamo trovato nella cassaforte a Tel Aviv, magari il numero del conto sarà lì, da qualche parte in quei numeri. - Esclamò Ziva
- Poi resta il problema dell’identificazione con l’iride se Ziva non è mai andata lì
- Non proprio - intervenne Bishop - questa informazione sarà stata sicuramente in mano al Mossad nella scheda di Ziva. Non è altro che un codice rielaborato in base alla proiezione dell’occhio seguendo un algoritmo, avranno inviato il codice “spiegato” e inserito nel loro database, una procedura non standard, ma per certi amici i favori si fanno.
- Ha senso… - Disse Tim soddisfatto… - Ha senso…. 

Ziva comincio a segnare, spostare, moltiplicare quei numeri in 1000 modi, li associava a caratteri ebraici a me ignoti. Guardai l'orologio erano già le 4 del pomeriggio.
- Ziva ti ricordi che stasera abbiamo un appuntamento?
- Non possiamo rimandare? Non è importante che sia il mio compleanno...
- No Ziva ti prego...
- Ma Tony abbiamo finalmente qualcosa di concreto su cui lavorare!
- E lo avremo anche domani. Una serata ti chiedo, solo questo. Da domani ti giuro staremo qua 24 ore al giorno fino a quando non troviamo quello che cerchi ma regalami questa serata. 
- Ok… - mi disse più per farmi contento che per vera convinzione

--- --- --- --- ---

Ok, per una sera potevo staccare, glielo dovevo dopotutto, per come mi stava vicino nonostante i miei segreti. Pensai molto su cosa indossare per quella sera. Alla fine decisi di rimanere sul classico. Un vestito nero con una morbida scollatura davanti ed una molto più profonda dietro, Tony aveva sempre dimostrato di apprezzare molto i miei vestiti con le scollature che lasciavano scoperta la mia schiena. Mi truccai in modo più marcato del solito, accentuando il profilo delle labbra e il contorno degli occhi e mettendomi due gocce di Amouage che a lui piaceva tanto. Il décolleté  argentato con il tacco a spillo 12cm sarebbe sicuramente piaciuto a Tony.

Sms: "ti aspetto sotto"
Presi il lungo cappotto nero lo chiusi con la cinta in vita, la pochette ed andai da lui.

Mi aspettava appoggiato alla macchina elegante più del solito. Dal suo cappotto corto aperto si vedeva un elegante completo nero con camicia e cravatta color ghiaccio tono su tono ed una sciarpa dello stesso colore, lasciata sciolta sul cappotto, per vezzo. In mano aveva un mazzo di rose rosse dal gambo lunghissimo.

- Sei splendida - mi disse accogliendomi con un bacio sulla guancia
- Anche tu non sei male 
- Beh, pensavo qualcosa di più di “non male” ma vedrò di accontentarmi per ora.

Eravamo imbarazzati e sorridevamo nervosi. In fondo era sempre il nostro primo appuntamento anche se inconsueto.

- Dove mi porti? - gli chiesi curiosa appena salita in auto
- È una sorpresa, stasera non mi fare troppe domande ok? Goditi la serata per il tuo compleanno

--- --- --- --- --- 

Il bistro francese che avevo scelto per festeggiare il suo compleanno aveva un’atmosfera molto bohémienne parigina, arredato con antichi vasi e stampe di inizio novecento alle pareti con poltroncine al posto delle sedie, lampadari e tendaggi rossi. 
Appena entrati il maître ci prese i cappotti e mentre lei se lo toglieva rimasi a bocca aperta a guardarla. Era bellissima elegante e provocante. Devo dire che quando un paio di ospiti si girarono per guardarla mentre andavamo al nostro tavolo mi sentivo estremamente orgoglioso di averla al mio fianco e terribilmente geloso. La accarezzai scivolando con la mano lungo la curva della sua schiena nuda. La sentii scossa da un brivido e le feci l’occhiolino. Arrossì e in quel momento maledii il fatto che eravamo in un ristorante in mezzo a tanta gente.

- Eccoci arrivati, avrei voluto portarti a Parigi, ma era difficile organizzare per cena, quindi ho pensato a questo posto
- È perfetto 

Avevo riservato un tavolo isolato e un paravento ci regalava la giusta intimità, sul tavolo la luce soffusa di una candela e una rosa alla quale mi ero raccomandato di legare il biglietto che gli avevo lasciato la mattina e fortunatamente era lì. 

Ci sedemmo e quando il cameriere ci servì un calice di champagne e ne approfittammo per un primo brindisi, ovviamente a noi.
- David però vestita così stasera mi metti in difficoltà a concentrarmi su qualsiasi cosa
- Avevi detto elegante e ti ho preso in parola
- Evidentemente mi ero dimenticato l'effetto che mi fai
- Quanto sei scemo Tony
- Non l'hai visto che quando passavi si sono girati tutti a guardarti? Non sono solo io! 
- Ma a me interessi solo tu
- Grazie per aver accettato il mio invito
- Ma dai Tony viviamo insieme!
- Lo so, ma è diverso, stasera è un'altra cosa. È la nostra serata da fidanzati
- Noi non siamo fidanzati però
- È un dettaglio questo Ziva - e mi avvicinai per baciarla - c'è un bigliettino per te lì 

Prese la rosa ed aprì il biglietto “Oggi è il tuo compleanno ma il regalo sei tu che lo fai a me. Auguri amore mio Tony"

- Poi mi dovrai dire certe frasi da quale film le prendi eh! E non mi far commuovere che si scioglie il trucco
- Scusa, mi dimentico sempre che hai un cuore e ti commuovi anche tu! - mi piaceva tantissimo stuzzicarla

La cena trascorse piacevolmente tra piatti gustosi e champagne, tra un bacio ed uno sguardo languido, tenendoci per mano praticamente sempre quando non mangiavamo.

Stanton Park era a due passi dal ristorante e dopo cena le chiesi se aveva voglia di camminare un po’ nonostante la temperatura si fosse molto abbassata. Passeggiammo nel parco mano nella mano ridendo sulla possibilità di incontrare qualche maniaco o serial killer e le facevo notare che se c’era lei io mi sentivo sicurissimo.
- Non credo che con questo vestito e questi tacchi sarei altrettanto efficace! - obiettò
- Al massimo toglilo, no?
- Tony non fare il DiNozzo!

Arrivammo ad una panchina dolcemente illuminata da un lampione che diffondeva una calda luce giallastra. Tutte intorno ai nostri piedi le foglie arancioni e rosse degli alberi segno dell’autunno che in quella giornata di metà novembre stava lasciando pian piano il passo al più spoglio inverno.

Ci sedemmo e le presi le mani. Le mie erano bollenti in confronto alle sue gelate. Le diedi la mia sciarpa e gliela passai intorno al collo.
- Ok Ziva, ora mi devi promettere una cosa. Qualunque cosa succederà adesso tu non ti metterai a ridere e mi farai finire di parlare senza interrompermi, va bene?
- Ok Tony… - Cominciò a sorridere
- No dai Ziva, seriamente, non ridere già adesso… Sono serio!
- Va bene, va bene, te lo prometto! - Si sforzava di essere seria, il mio imbarazzo la divertiva. In effetti quando misi la mano in tasca del cappotto mi accorsi che era tutta sudata.
Presi la piccola scatola che custodivo gelosamente da quella mattina, la tirai fuori e la aprii davanti a lei.
Provai a schiarirmi la voce senza troppo successo, me ne accorsi da come uscirono rauche le prime parole che pronunciai. La guardavo negli occhi che brillavano emozionati. Feci un sospiro per darmi coraggio, lei sorrise ancora.

- Voglio che diventi mia moglie perché voglio andare a letto tutte le sere e svegliarmi tutte le mattine con te.
Voglio che diventi mia moglie perché in te c’è tutto quello che desidero: la mia amica, la mia amante, la mia donna.
Voglio che diventi mia moglie perché come diceva Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”, io  difenderò con le unghie e con i denti ogni centimetro che ho conquistato di te. Non permetterò ai tuoi dubbi ed alle tue insicurezze di allontanarti perché tu sei la mia meta.
Voglio che diventi mia moglie perché quando ti guardo vedo tutti i motivi per cui sono felice quando sei con me e tutti i motivi per i quali sono triste quando non ci sei.
Voglio che diventi mia moglie perché hai avuto tante occasioni per uccidermi e non l’hai mai fatto e perché non troverò nessun’altra donna che sa uccidere in 18 modi diversi con una graffetta.
Voglio che diventi mia moglie perché ti ho aspettato 3 anni e ora so che ti avrei aspettato per sempre.
Voglio che diventi mia moglie perché mi farei rapire altre 1000 volte se mi dicessero che ti ritroverei ogni volta.
Voglio che diventi mia moglie per dimostrarti che tutte le volte che mi hai detto che non sarei mai cambiato ti sbagliavi, mi serviva solo la donna giusta.
Voglio che diventi mia moglie per poterti far ridere ogni giorno perché amo la tua risata e per offrirti sempre il mio petto per piangere quando ne avrai bisogno.
Voglio che diventi mia moglie perché come ti avevo detto tanto tempo fa, non posso vivere senza di te.
Voglio che diventi mia moglie perché “Anee ohev otakh” *
Voglio che diventi mia moglie per questi e per altri centomila motivi che trovo ogni giorno quando stiamo insieme.
Ziva, mi vuoi sposare?

Ripresi fiato. La guardavo, lei mi guardava. Il silenzio tra noi mi imbarazzava di più di quello che avevo appena fatto. Aveva gli occhi lucidi e le mani sempre gelide, me ne accorsi quando prendendo l’anello dalla scatola, andai a sfiorare la sua mano che volevo prendere per metterglielo al dito ma rimase rigida.
Mi sentii crollare il mondo addosso.

- Ehy David, ho finito, ora se vuoi puoi parlare e rispondermi. - Cercavo di sdrammatizzare quel momento che per me stava diventando semplicemente tragico - Ok, forse ho accelerato un po’ le cose… 
- Sì Tony
- Sì cosa, che ho accelerato troppo?
- Sì che voglio diventare tua moglie.
Mi sentii come se mi avessero sollevato un macigno da 100km da sopra il petto. Respirai profondamente.
- Hai detto sì?
- Ho detto sì.
Presi la sua mano questa volta sì, morbida al mio tocco e le misi l’anello
- Oramai mi hai detto sì, non ci puoi ripensare eh!
Come risposta mi baciò, le sue labbra fredde a contatto con le mie cominciarono presto a scaldarsi e a me questa risposta andava benissimo.
- Ora, quindi, siamo fidanzati David, no?

 

— 

 

Gli avevo detto di sì. Di getto. Senza pensare. Senza considerare la situazione, senza riflettere sulle conseguenze. Avevo fatto per una volta una cosa pensando solo a me, a quello che volevo in quel momento, senza farmi condizionare da nulla. Gli avevo detto di sì, ed era esattamente quello che volevo.

Penso che nei sogni di ogni bambina c’è quello di ricevere una proposta del genere, dalla persona che si ama e Tony aveva questa capacità, di far ritornare dentro di me, le emozioni di quando ero solo una bambina, prima che la mia vita cambiasse, prima che io diventassi un’altra. Sapeva guardare oltre, non so se lo faceva coscientemente o era solo un istinto, ma riusciva a farmi ricordare chi ero e cosa sognavo. Riusciva a regalarmi in questi giorni attimi di spensieratezza che pensavo non potessi mai provare.

Rimanemmo a lungo su quella panchina abbracciati a scambiarci teneri baci, ridendo di noi. Come due fidanzati.

--- --- --- --- ---

Tony era in bagno quando squillò il mio telefono. Era notte fonda, guardai il prefisso “+9723”: Tel Aviv.
- Shalom Ziva
- Noah!
- Ho saputo che avete fatto progressi
- Forse sì. Perchè mi chiami?
- Dovrebbe essere il tuo compleanno oggi no?
- Ormai ieri, ma non credo che tu mi chiami per farmi gli auguri
- Ah, abbiamo fatto confusione con il fuso orario evidentemente… - rise beffardo - comunque visto che avevi queste belle novità, qulcun altro voleva farti gli auguri e così magari ti ricordi perchè ti devi sbrigare.
- Mamma! - il mio cuore si fermò. Tony era a pochi metri da me in bagno, dovevo contenermi, dovevo sforzami assolutamente, per fortuna non capiva nulla di quello che ci stavamo dicendo.
- Piccolo, come stai?
- Mamma quando vieni? Mi manchi tanto
- Anche tu piccolo mio mi manchi tantissimo. La tua mamma ti pensa sempre, non te lo dimenticare mai, capito. Ti voglio bene da morire.
- Anche io mamma, tanto tanto.
- Tempo esaurito Ziva. Tuo figlio sta bene, gli manchi. Vedi che puoi fare. Ci sentiamo prossimamente.

Attaccò senza darmi la possibilità di replicare. Rimasi imbambolata con il telefono in mano.
- Che succede futura moglie? Ehy Ziva? Che c’è? 
Ero completamente assente.
- Mi ha chiamato Noah. Sanno dei nostri progressi. Mi hanno invitato a fare presto. 
- Solo questo? 
- Lo hanno fatto in modo abbastanza esplicito
- Non ti succederà nulla vedrai… Non ci pensare ora, vieni qua… Dobbiamo concludere bene la nostra serata…
Si era avvicinato e mi stava baciando sul collo. In qualunque altro momento sarei crollata ai suoi baci. Ora nella mia mente risuonava solo la voce di Nathan.
- Scusa Tony, credo che ho preso freddo, non mi sento bene. - Mi odiavo per quello che gli stavo dicendo, per aver rovinato una serata così bella.
- Ok… - Si mise sotto le coperte e io feci lo stesso. - Se hai freddo vieni qua, ti scaldo io.
Andai tra le sue braccia e stare vicino a lui riusciva a riscaldarmi soprattutto il cuore. Sapeva che gli stavo nascondendo qualcosa ma si fidava di me e mi odiavo perchè sapevo che quella fiducia incondizionata che mi stava dando io l’avrei tradita non appena gli avessi detto cosa nascondeva. Si fidava di me a tal punto che mi aveva chiesto di sposarlo e sapevo quanto questo volesse dire per Anthony DiNozzo Junior, lui che era sempre stato restio ad ogni forma di legame stabile.
- A cosa pensi piccola ninja?
- A quanto sono fortunata ad avere te vicino a me e che non te lo dico e non te lo dimostro mai abbastanza.
- Oggi quello più fortunato sono io. Con una sola parola mi hai reso l’uomo più felice del mondo. Ti amo, voglio che diventi mia moglie e voglio costruire con te la nostra famiglia, voglio che diventi la madre dei miei figli e la mia compagna per sempre.

A quelle parole, le lacrime che tenevo dentro da prima non riuscii più a tenerle e piansi aggrappata al suo petto. Nella mia mente sentivo la voce di nostro figlio che mi chiamava “mamma” e quella di Tony che diceva che dovevo diventare la madre dei suoi figli. Riuscii a stento dal trattenermi e dirgli tutto, dirgli che già lo ero, che eravamo già una famiglia. Riuscii a ricacciare quel pensiero dentro di me e a calmarmi. Mi tenne abbracciata a lui tutti la notte sorpreso da quella reazione così forte alla sua dichiarazione che per lui erano solo parole d’amore, per me molto di più.


* “Ti Amo”

NOTE: Credo che in questo capitolo ci trovate un po' di tutto, indagini, suspace finale, qualche battibecco e tanto amore... 
Piaciuta la dichiarazione di Tony? Fatemi sapere cosa ne pensate che sono curiosa!!! E la telefonata con il figlio finale?
Spero che comunque quando leggete teniate sempre a mente la difficile posizione di Ziva, divisa tra i suoi due mondi e quale turbinio di emozioni contrastanti possa vivere. E non dimenticate nemmeno quello che sta facendo Tony e come si sta fidando di lei, perchè sarà importante per come si svilupperà la storia tra 4/5 capitoli, quando accadrà quello che tutti mi chiedete da tempo, ovvero quando saprà del figlio. Quindi ora sapete più o meno ancora quanto dovete attendere, visto che me lo chiedete sempre, così almeno lo sapete e vi preparate psicologicamente :D 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Wicked Game ***


… What a wicked game to play  
To make me feel this way
What a wicked thing to do …

- “Hey, Ziva, is it cold In your little corner of the world?” - Tony canticchiava in macchina mentre andavamo a lavoro. 
- Eh? -
- Niente, una canzone di Sir Elton John che mi ricordava te… Sei molto silenziosa e pensierosa, ti stai pentendo di avermi detto sì?
- Quella è l’unica cosa giusta che ti ho detto in realtà - quasi mi pentii di quella frase uscita troppo velocemente.
- Uhm… non so se essere felice o preoccupato allora! - Lui però sorrise e non ci pensò. Era di buonumore da ieri sera, da quando gli avevo detto che volevo sposarlo. Io invece nonostante fossi felicissima di avere vicino una persona come lui, dopo aver sentito mio figlio non riuscivo più ad essere così felice e mi dispiaceva perchè avrei voluto condividere con lui questo momento in maniera diversa.

Appena arrivati in ufficio cominciammo a studiare qualcosa in più sulla BSL Bank per capire come muoversi per trovare il conto o la cassetta di sicurezza o quello che doveva essere.
Ripresi tutti gli appunti di quando ero a Tel Aviv. L’unica cosa che mi rimaneva in mente era la frase di mio padre “La lealtà è la chiave di tutto” e fino ad allora era l’unica chiave che aveva aperto qualcosa.
Presi il codice che aveva aperto la cassaforte “4 333 4 44 2 7” e i fogli con la filastrocca. Foglio 4 terza cifra, foglio 3, terza cifra.. E così via… 1 666 9 99 7 3

Mentre che ero tutta presa dai miei ragionamenti non potei non sentire i discorsi di McGee e Bishop mentre Tony parlava con l’amante di Dale Brooks appena rintracciata da McGee e convocata

- Ellie, guarda Tony!
- Che cosa c’ha di particolare McGee?
- Guarda, sta parlando con quella bella biondina da 5 minuti e non le ha ancora chiesto il numero di telefono.
- Ehm… - Ero dietro Tim e Bishop mi aveva visto.
- C’è Gibbs qua dietro? - Le chiese lui
- Peggio McGee…
- Ciao Tim - Gli dissi con un sorriso forzato e voce squillante
- Ehm… Ciao Ziva
- Tony ci tiene alla vita, più di te a quanto pare… - Gli dissi ridendo mentre giochicchavo con una graffetta che poi posai sulla sua scrivania lasciandola aperta e con la punta metallica ben in vista.
- Scusa Ziva. 

- Allora bella gente di cosa state parlando? - Disse Tony che ci aveva raggiunti dopo aver congedato la ragazza
- Uhm… nulla Tony - disse McGee
- Novità su Brooks dalla ragazza? - Chiese Bishop
- No, non lo vede o sente da un paio di settimane, o almeno così dice. - Rispose Tony
- In ogni caso abbiamo il suo telefono sotto controllo, se mente lo sapremo - Concluse Ellie
- Voi novità?
- Io forse una ce l’ho. - Mi guardarono tutti - Però McGee mi servirebbe una conferma. Dovrei sapere i codici dei conti o delle cassette di sicurezza della banca di quante cifre sono. Pensi di riuscirci Tim?
- Posso vedere se trovo qualche informazione forzando i loro sistemi ma ci vorrà un po’ - Mi rispose
- Hai l’idea di un numero Ziva? 
- Sì Tony
- E se intanto andiamo e proviamo? Al massimo non sarà così… Ma Gibbs dov’è?

- Eccomi Di Nozzo, problemi?
- No Capo, mi preoccupavo. 
- Ero da Vance, Ziva che voleva da te il Mossad ieri sera?
- Erano contenti che avevamo fatto dei progressi. Immagino che qualcuno glielo abbia detto, quindi.
- Il Direttore dell’NCIS ha parlato ieri sera con quello del Mossad che premeva per avere aggiornamenti.
- Alcune volte non capisco chi sta di qua e chi di là… E chi sta dalla parte nostra - E così dicendo andai a prendere un caffè

Gibbs mi raggiunse
- Qual’è la parte tua, Ziva?
- Quella di chi vuole trovare rapidamente quello che stiamo cercando senza mettere in pericolo le persone.
- Io sono dalla tua.
- E Vance?
- Anche, a modo suo.
- E’ questo che mi preoccupa. Tieni bevilo tu il caffè io sono già abbastanza nervosa. - Dissi dandogli il bicchiere in modo un po’ rude, ma lui fece finta di non accorgersi, lo prese e lo sorseggiò
- Ho sentito che hai un idea per il numero della cassetta di sicurezza. 
- Sei certo che sia una cassetta di sicurezza quello che cerchiamo?
- A meno che tuo padre non ci ha fatto fare tutto questo per regalarci un tesoro in Shekel direi di sì.
- C’è dell’altro Gibbs. Ieri c’ho parlato.
- Con lui?
- Sì, quando mi hanno chiamato. E’ stata dura. Molto.
- Lo riporteremo a casa. Ah, congratulazioni!
- Per cosa?
Mi guardò l’anello alla mano ammiccando. Non gli sfuggiva nulla.

- Ziva ho trovato delle informazioni su quelle cassette di sicurezza. 
- Cosa?
- La procedura è semplice. Tu vai in banca, devi digitare il tuo codice e fare la scansione dell’iride. Se corrisponde verrai accompagnata in una sala. Lì ti verrà consegnata la tua cassetta da un’apertura nella parete e tu la potrai consultare. Quando avrai finito la posizionerai nella stessa apertura e verrà rimessa a posto. Massima segretezza, massima riservatezza.
- E la lunghezza dei codici?
- Non ho trovato nulla in merito.
- Che facciamo Gibbs? - Gli chiesi
- Vuoi provare?
- Sì.
- Allora andiamo. 
- Vengo anche io Capo! - Esclamò Tony mentre già prendeva il suo zaino
- No Di Nozzo e gli altri dovete occuparvi di Venters. Abbiamo un Marines morto ed un altro sparito da trovare.
- Ma Capo…
Non gli rispose, chiamò l’ascensore e mi invitò ad entrare. I rapporti tra Gibbs e Tony dal giorno della discussione con le velate accuse di avermi picchiato erano abbastanza freddi. La cosa mi dispiaceva, perché so quello che Gibbs pensava realmente di Tony ed anche quanto Tony fosse legato a quello che era molto più di un capo, per tutti noi.

Consegnai la mia pistola a Gibbs prima di entrare nella banca.
L’edificio era asettico. Una parete grigia di marmo su cui si leggeva al rilievo il nome della banca. Una porta nera senza maniglie quasi scoraggiava ad entrare. Mi avvicinai e si aprì entrai e si richiuse alle mie spalle. Ora ero in un limbo. Dietro di me la porta chiusa, davanti uno schermo con una telecamera e una tastiera.
Le indicazioni sul monitor in inglese ed ebraico mi invitavano a inserire il codice e poi guardare fisso verso la telecamera per il riconoscimento. Feci quanto indicato ed aspettai il responso. Alcuni secondi che mi sembravano ore e nei quali pensai a tute le cose più positive e negative che mi passavano per la testa.
Una luce verde e sentii un click venire da destra. Mi voltai e si era aperta una porta. Entrai e trovai davanti a me un signore che mi diede il benvenuto.
- Shalom signora.
- Shalom
- La accompagno nella sua stanza. La sua richiesta verrà evasa il prima possibile.
Nel lungo corridoio non c’era nulla. Era completamente vuoto. I marmi e gli stucchi neri e grigi erano molto eleganti, così come l’illuminazione. Solo una serie di porte elettroniche una dietro l’altra. In fondo al corridoio un’ascensore. Lo prendemmo ed andammo un piano inferiore. Quando le porte si aprirono un altro corridoio uguale a quello precedente.
- Prego signora - mi disse lasciandomi davanti ad una. - Quando avrà finito sarò qui ad aspettarla per accompagnarla fuori.
- Grazie

La stanza era un vero salotto. Un tavolo con due sedie, una divano, su mobile una grande selezione di bevande alcoliche ed analcoliche. Giravo nervosamente intorno al tavolo in attesa. Dalla parete si aprì una serranda e dentro c’era una scatola metallica. 
La presi con le mani che mi tremavano, la poggiai sul tavolo e la aprii. Dentro c’era una grande busta di carta che conteneva un grande fascicolo, alcuni cd, memory card e penne usb. Sul fondo della cassetta c’era un’altra busta, una lettera, con scritto a mano in ebraico “a Ziva”. Era la calligrafia di mio padre.
Presi tutto senza guardare, misi nello zaino, chiusi la cassetta e la rimisi nella fessura nel muro che si richiuse portando via il contenuto.
Attesi pochi minuti e sentii bussare alla porta. Era la stessa persona che mi aveva accompagnato lì.
- Possiamo andare signora?
- Certo
- Bene, mi segua.

Facemmo il percorso inverso di prima, mi accompagnò alla porta principale e mi disse di farmi riconoscere per poter uscire. Ripetei il codice e scansione e finalmente la porta si aprì. Gibbs era fuori che mi aspettava.
- Allora? - Mi chiese
- E’ tutto qui. - Gli dissi mostrandogli lo zaino.
Mi diede subito la pistola mi disse di andare di corsa alla macchina, non voleva che stessimo troppo in giro con quei documenti.
La guida di Gibbs dicevano che era spericolata tanto quanto la mia e così arrivammo in brevissimo tempo all’NCIS.

Bloccai l’ascensore.
- Dimmi Ziva
- Gibbs, mi devi fare un favore. Prima di dire a Vance che abbiamo trovato i documenti, voglio che fai fare una copia di tutto ad Abby. Fogli, foto, testi, materiale informatico. Tutto. Voglio una copia di tutto e lo dobbiamo sapere solo noi. 
- Non ti fidi
- No. Di nessuno, solo di voi. Io non voglio quei documenti per sapere cosa c’è, non adesso, non mi importa. Voglio una copia solo come assicurazione. Fino a che mio figlio non è qui. Poi non mi interessa più nulla.
- Va bene, andiamo subito da Abby.

- Abby chiudi tutto.
- Cosa Gibbs?
- Tutto. Porte, tende, comunicazioni audio tutto. Questa stanza ora deve essere isolata solo con noi tre.
- Mi devo preoccupare.
- No, fallo e basta.

Ed Abby così fece.
- Ora mi spiegate che succede? Sono chiusa qui dentro ed anche senza caffè! - Disse aspirando con la cannuccia gli ultimi sorsi del suo bicchiere ormai vuoto.
- Devi copiare tutto quello che c’è qui. - Mise sul tavolo la busta. - Una copia di tutto. Cartaceo e digitale. Questa cosa non la deve sapere nessuno. Deve rimanere solo tra noi. E tutto il materiale cartaceo me lo devi analizzare, voglio sapere che carta è da dove proviene, tutto quanto.
- Sì, Gibbs, ma per cosa è?
- Il mio caso - dissi
- Hai recuperato i documenti! Ce l’hai fatta!
- Sono questi. Ma prima che chiunque lo sappia, ho bisogno di avere una copia di tutto. E che non lo sappia nessuno, soprattutto Vance.
- Quanto ti ci vuole Abby?
- Beh, per copiare i dati poco. Per il cartaceo qualcosa in più, soprattutto se lo devo esaminare.
- Datti da fare, noi aspettiamo qui.
- Ok Gibbs ma dopo me lo porti il caffè?
- Te ne porto due, basta che ti sbrighi.

--- --- --- --- --- 

- McGee!!! Da quanto tempo se ne sono andati?
- Tony me lo hai chiesto anche 5 minuti fa! Saranno 3 ore, più o meno…
- Perchè non chiamano? Perchè non dicono nulla?
- Avranno da fare in banca con le varie pratiche burocratiche
- Ma se prima hai detto che è tutto automatizzato McBugiardo!
- E allora non lo so Tony!

Provai a chiamare Ziva, il suo cellulare suonava a ma non mi rispondeva.
Allora provai a chiamare Gibbs, ed ebbi più fortuna
- Che vuoi DiNozzo!
- Ehy Capo anche io sono felice di sentirti… Come va?
- Bene
- Bene… E Ziva?
- E’ in banca.
- Non mi risponde al telefono
- Lo ha lasciato in macchina.
- Sicuro che va tutto bene?
- Sì DiNozzo, fino a quando tu non chiamavi andava tutto bene. Ci vediamo dopo.

Mi riattaccò. Non capivo perchè mi avessero lasciato fuori da questa storia. Gibbs sapeva qualcosa di questa storia, sicuramente era così. Da quel giorno che mi aveva accusato di aver picchiato Ziva non riuscivo più ad essere me stesso con lui e credo che anche lui provava lo stesso. Mi irritava profondamente essere all’oscuro di tutto e per colpa di questo ieri sera era andato anche a monte il mio fine serata con lei. 

- Senti Tony, ti posso chiedere una cosa? - Mi disse Bishop destandomi dai miei pensieri
- Dimmi Ellie
- Hai chiesto a Ziva di sposarti?
- Eh?
- No, è che ho visto Ziva stamattina ed aveva un anello all’anulare sinistro, un bell’anello… Non l’aveva mai messo da quando è qui, quindi mi chiedevo se tu…
- No Ellie - intervenne McGee - Tony non regala anelli, l’ha detto lui ti ricordi?
- Sì gliel’ho chiesto.
- Cosa? - Disse Tim meravigliato? - Lo hai fatto?
- Sì, perchè Pivello non si può? 
- Certo, certo Tony è che da te non me lo aspettavo. E immagino che lei ti abbia detto sì.
- Come sei perspicace Tim. Dovrebbero darti una promozione.
- Tony sono molto felice per te, veramente! - Mi disse Bishop
- Grazie Ellie, sono molto felice anche io, anche se lo sarei ancora di più se si degnassero di farmi sapere dove sono e cosa diavolo stanno facendo.
- Vi devo dire una cosa anche io. Con Jake abbiamo deciso di riprovarci. Vediamo come va…
- Beh, in bocca al lupo allora

Il rumore dell’ascensore mi fece scattare la testa come una molla a vedere se erano loro che tornavano. Sì, erano loro
- Allora, novità
Gibbs aveva una busta di carta in mano 
- Ecco le novità. Questo è quello che c’era nella cassetta di sicurezza.
- E cos’è? - Chiesi curioso
- Non lo so, non lo abbiamo voluto vedere per ora.
- Quindi noi abbiamo fatto tutto questo senza sapere perchè?
- Esatto. 

- Gibbs! - La voce di Vance risuonò - Siete andati a prendere i documenti e non mi avete detto niente?
- Non mi hai detto di avvisarti quando saremmo andati a prenderli - lo sfidava Gibbs
- Non dovevate andare da soli. E non potete lasciare certe cose così incustodite.
- Non sono incustodite, sono in mezzo a 5 agenti federali. 
- Quei documenti dovevano essere prelevati da agenti della sicurezza nazionale. Questi erano gli accordi.
- A me nessuno ha parlato di questi accordi.
- Direttore Vance - intervenne Ziva - i suoi agenti non li avrebbero mai potuti prelevare, quindi se li faccia andare bene così - disse prendendoli e sbattendoglieli addosso.
- Bene. Organizzo subito una videoconferenza con il direttore Elbaz per discutere della modalità della consegna.
- Voglio partecipare anche io - precisò Ziva
- E’ escluso David
- Non era una richiesta direttore. 
Vance rimase qualche istante in silenzio
- Ok David, vieni nella sala delle conferenze, risolviamo questa questione.

--- --- --- --- ---

Assistevo in disparte a quell’odiosa conversazione
- Buonasera Orli, scusaci per l’orario
- Oh Leon non preoccuparti, quando si tratta di ricevere buone notizie, ogni ora è quella giusta.
- Abbiamo finalmente quello che cercavi.
- Bene, lo hanno gli agenti della sicurezza?
- No, Orli, ecco ce l’ho io.
- E come mai?
- Perchè sono andata a prenderlo io - intervenni - era l’unico modo per poterlo prendere.
- Ziva, mia cara, sei sempre così testarda ed impulsiva. Avresti dovuto rispettare gli accordi e consegnarlo direttamente ad un agente incaricato, non portartelo in giro per Washington.
- Basta giocare Orli, qui c’è il tuo fascicolo. Dimmi come lo vuoi e soprattutto dimmi quando posso venire a riprendere mio figlio.
- Temo che le cose non siano così facili, Ziva. Innanzi tutto io devo avere la certezza che le informazioni presenti in quel fascicolo non sono state compromesse o divulgate e questo comporterà che io dovrò avere i miei tempi per farlo, mi capisci, no? E poi non credo che tu possa venire a riprendere il tuo “mamzer”, diciamo che il tuo rientro in Israele sarebbe una cosa abbastanza complicata al momento. E’ con i tuoi amici sta bene, di cosa ti preoccupi? Glielo hai lasciato tu prima di andare a salvare l’agente Di Nozzo, no?
- Orli io giuro che vengo fino a lì e ti uccido con le mie mani.
- David basta! - Mi fermò Vance
- Scusami Orli, dicevamo come vuoi che avvenga la consegna dei documenti? 
- Manderò domani un mio uomo che è a DC a prenderli e me li porterà personalmente. Poi ci sentiremo di nuovo. Ah, Ziva, visto che sei stata così brava a recuperare i segreti di tuo padre ti concedo un regalo.

Spostò la telecamera ed inquadrò il pavimento della sua stanza. Nathan era lì seduto che giocava con delle costruzioni, era tutto intento nel suo gioco, non sapeva che cosa stava accadendo. I suoi boccoli erano cresciuti, mi piaceva con i capelli così più lunghi. Sembrava tranquillo e mi provò sollievo per un attimo. Insieme a lui c’era Tamar che guardava in video con l’espressione di chi sa di aver tradito, però almeno sapevo che era con persone che conosceva, almeno sarebbe stato meno difficile per lui o quantomeno lo speravo. Furono pochi secondi, poi la connessione fu interrotta.

Mi sedetti cercando di mantenere la calma. Respiravo profondamente e lentamente.
Vance era seduto due poltrone di distanza da me.
- Le hai anche chiesto scusa Vance. Tu hai chiesto scusa a lei.
- Cosa avrei dovuto fare, accusare la direttrice del Mossad di rapimento di un bambino sul quale io non ho nessuna giurisdizione?
- E’ stato tutto inutile. Tutto. - Constatai amaramente. - Tutto inutile.
- Cosa pensi di fare ora David?
- Non lo so. Non so nulla.
Mi mise una mano sulla spalla
- Non mi toccare direttore. Non ho bisogno di commiserazione.
- Vuoi che dica a Di Nozzo di venire qui? - Mi chiese ritraendo la mano
- No, Gibbs.

Vance uscì e dopo un paio di minuti la porta si aprì di nuovo.
Ero seduta al buio e nel grande schermo davanti a me non c’era più nessuna immagine. Gibbs si sedette vicino a me in silenzio. Aspettava che parlassi io
- Non mi ridaranno mio figlio.
Silenzio
- Non dici nulla Gibbs?
- Lo sospettavo.
- E me lo dici adesso?
- Quando te lo dovevo dire?
- Non dovevo tornare negli Stati Uniti. Non senza di lui. Sono stata una stupida.
- Hai fatto la cosa più sensata per non metterlo in pericolo.
- L’ho visto.
- E?
- Sta bene. Era nell’ufficio di Orli che giocava.
- Almeno sai che sta bene. 
- Dovrei essere contenta?
- Sì. Dovresti. Non era scontato.
- Domani torno in Israele. Lo vado a prendere.
- Come metti piede in Israele sei morta. Lo sai vero? Cosa se ne fa tuo figlio di una madre morta?
- Gibbs devo fare qualcosa.
- Sì, devi ritrovare un po’ di lucidità. Ti dirò una cosa che non ti farà piacere, ma devi fare spazio alla vecchia Ziva. Devi analizzare la cosa in maniera distaccata. Fagli arrivare i documenti e vediamo cosa dicono. Intanto parlerò anche con Vance per vedere come risolvere la questione.
- E’ inutile parlare con Vance, lui chiedeva scusa a Orli perché io l’ho aggredita.
- E’ il suo ruolo Ziva. Ma questo non vuol dire che non voglia che tuo figlio torni da te.
- Se ti fidavi di lui perché siamo andati da Abby prima?
- Perché tu me lo hai chiesto. Ed io mi fido di te e del tuo istinto.
- Non è così facile lasciare fuori le emozioni una volta che le hai fatte entrare dentro di te.
- Lo so Ziva. Ma hai sempre un’altra possibilità. Scegli la cosa che ti sembra più facile. Resta qualche minuto qui per riprenderti. Ti aspetto di là.

--- --- --- --- --- 

- Ehy Capo, Ziva? - Chiesi a Gibbs vedendolo tornare da solo
- Stava discutendo alcune cose con Orli Elbaz, non capivo quello che si stavano dicendo. Ci raggiungerà appena avrà finito.
- Quindi adesso documenti presi, glieli impacchettiamo e glieli mandiamo, ed è finito tutto no? Si può festeggiare!
- Non ancora Tony - Era lei che stava scendendo
- Perchè? - Le chiesi
- Dobbiamo prima avere un riscontro che è effettivamente quello che stavano cercando, poi potremo considerare il caso concluso. Per ora concentriamoci sulle altre cose, che per questo non possiamo più fare nulla. Gibbs, facciamo riportare al magazzino tutte le cose che abbiamo sequestrato? - Parlava con un tono diverso, molto più fermo, distaccato quasi.
- Sì Ziva. McGee occupatene tu! Voi altri invece recuperate tutto il materiale cartaceo e impacchettatelo.
- Ok Capo - rispose Tim

Così mettemmo via tutta quell’inutile cartaccia che per giorni ci aveva inchiodati a leggere altrettanto inutili ordini sperando di trovarci qualcosa.
Avevo una strana sensazione addosso. Ziva era venuta a DC per risolvere questa situazione che ora sembra ad un passo dalla chiusura ed io avevo paura che, come fosse venuta, sparisse di nuovo. 

La sera prima le avevo chiesto di sposarla, lei aveva accettato era stato tutto perfetto ed ora mi sembrava che fosse una cosa tanto lontana, eppure erano passate nemmeno 24 ore. Forse mi sarei aspettato da parte sua una reazione diversa, che avremmo annunciato la cosa ai nostri amici, invece nulla e la cosa mi dispiaceva perché io ero così felice che avrei fatto i manifesti e li avrei attaccati per tutta la città. Sapevo che Ziva era molto più riservata di me nel mostrare le sue emozioni e alla fine imputavo a questo la causa del suo comportamento: se aspettavo lei, ancora dovevamo dire a tutti che ci eravamo innamorati, anche se credo lo avessero capito gli altri prima di noi. Per me l’importante comunque era che mi aveva detto sì, il resto era un di più. 
Il mio problema era che mi sentivo dentro come se adesso fosse finito lo scopo del perché lei era qui ed avrei preferito che quei documenti non li avesse mai trovati, perché avevo l’irrazionale paura di perderla.



NOTE: Dopo un capitolo motlo dolce ecco che arriva uno completamente opposto, ma vi avevo avvisati che i prossimi sarebbero stati diversi. Siamo arrivati ad un punto di svolta, finalmente i documenti sono stati trovati, ma non si sa ancora cosa c'è e a quanto pare non bastano per liberare il piccolo. Ziva è ad un bivio: dire tutto o continuare a mentire. Sceglie la seconda ipotesi e vedremo nei prossimi capitoli come pagherà dazio per questo e se avrà fatto la scelta migliore... La odiate un po' anche voi il direttore del Mossad? :D

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Enjoy The Silence ***


… Words like violence 
Break the silence 
Come crashing in 
Into my little world 
Painful to me 
Pierce right through me 
Can't you understand …

- Mi fai guidare? - Mi chiese mentre stavamo per salire in macchina
- Solo se mi prometti che mi fai arrivare a casa vivo
- Ci proverò Di Nozzo! - Esclamò mentre afferrava le chiavi che le avevo lanciato
In realtà non ci provò molto, la sua guida era sempre la stessa. Arrivammo a casa in metà del tempo che ci avrebbe messo qualsiasi persona sana di mente.

- Che è successo da Vance? - Buttai la giacca sulla sedia in camera e sciolsi la cravatta. Una sensazione sempre meravigliosa dopo una giornata di lavoro.
- Niente, perché? - Mi rispose mentre si slacciava la fondina riponendo la pistola nel comodino.
- Così, sei entrata in un modo e sei uscita che sembri un’altra persona.
- Che vuoi dire Tony?
- Che mi sembri diversa.
- Non sono diversa, sono sempre io - precisò mentre si scioglieva i capelli, muovendo la testa per fargli riprendere volume dopo averli tenuti legati tutto il giorno - sto solo metabolizzando che il compito che avevo da fare è finito.
- E che vuol dire questo?
- Nulla.
- Allora cosa cosa devi metabolizzare se non vuol dire nulla?
- Devo scegliere cosa fare adesso.
- Pensavo ieri una decisione l’avessi presa.
- Hai dubbi su quello che ti ho detto? - Mi chiese
Non le risposi immediatamente, avevo dei dubbi su quello che mi aveva detto? No, credo di no. Però non lo sapevo nemmeno io. 
- Tony, hai dei dubbi tu? - Mi si era posta davanti come se stesse sfidandomi.
- No Ziva. Non ho nessun dubbio io.
- Ieri sera abbiamo lasciato la nostra serata a metà… 
Cominciò a baciarmi con passione, a lungo. Se doveva trovare un modo per farmi smettere di farle domande era sicuramente quello più efficace. I dubbi se li avevo non li ricordavo più.

--- --- --- --- ---

Basta domande, basta interrogatori, basta spiegazioni. Non ne potevo più. Dovevo isolarmi, dovevo anestetizzarmi. Dovevo tornare quella di prima. Dovevo svuotare la testa.

Basta Tony, non farmi altre domande” questo pensavo mentre lo baciavo. Un bacio di cui avevo bisogno. Un bacio senza tenerezza. Quante volte lo avevo fatto in passato? Rifugiarmi tra le braccia di qualcuno per consolarmi, solo per provare piacere, senza coinvolgimenti. Momenti di debolezza in un mondo che la debolezza non la contemplava. Nemmeno ora potevo permettermi momenti di debolezza. Aveva ragione Gibbs, avevo solo due scelte: dire tutta la verità a Tony o fare finta di nulla, ma farlo veramente. Senza lasciar spazio alle indecisioni. Si sarebbe trattato ancora di pochi giorni, pensavo, tempo che quei documenti arrivassero a Tel Aviv, poi la storia si sarebbe conclusa in un modo o in un altro. Ora non potevo angosciare anche Tony con il pensiero di nostro figlio.

Adesso, per la prima volta, anche con lui mettevo la mia anima da parte. Ero una donna e lui era un uomo. E lasciavo alle sue mani di disporre del mio corpo come preferiva. Gli chiedevo solo di non smettere, di continuare, di darmi quel piacere fisico che avrebbe dovuto alienare la mia mente dal resto. Usavo il suo corpo, volevo che lui usasse il mio. Volevo solo questo in quel momento. Come se così avessi potuto lasciare tutto il resto fuori. Amore, emozioni, sensazioni. Tutto quello che c’era sempre stato, ogni volta dalla prima volta che ci scoprimmo amanti nel letterale significato di coloro che si amano.

Ora stavo mettendo via tutto questo. Stavo togliendo i sentimenti e l’anima con l’uomo che amavo per salvarmi. Stavo negando i miei sentimenti alla persona che poche ore prima mi aveva chiesto di sposarlo.

Lui non sapeva tutta la mia lotta interiore. Non stavamo più danzando insieme, non stavamo più componendo melodia, non stavamo più scambiandoci l’anima. Stavamo facendo solo dello splendido sesso, conducendo il gioco a momenti alterni, rotolandoci sul grande letto. Mi lasciavo condurre solo dalla voglia e lasciavo che lui volesse me fino in fondo, in ogni modo.

La frenesia ci lasciò sfiniti e trafelati. 
- Come fai David?
- A fare cosa?
- A riuscire a sorprendermi sempre. Con te ogni volta è una scoperta…
- Non hai ancora visto niente Di Nozzo.
- Stanotte è stato…
- Tony, non c’è bisogno di commentare.

Zitto Tony, non dire cosa è stato stanotte, potrei stare peggio” 

--- --- --- --- ---

- Perché quel Marine sta guardando Ziva così?
- Così come Tony?
- Così McGee… Così! Ecco guarda? Lo vedi come la guarda? Guarda che non gli stacca gli occhi di dosso.
- Eh, ma come la guarda, la guarda come guardavi tu tutte le ragazze carine che venivano in ufficio
- Ecco sì, così - Riflettei e la cosa mi irritava ancora di più - Perché la guarda così?
- Beh perché, Tony, è ovvio! Perché Ziva è molto, molto provocante.
- Che stai dicendo Pivello?
- La verità, tu non lo pensi?
- Cosa c'entra quello che penso io? Quello che penso io è diverso visto che noi stiamo insieme! 
- Beh ma Ziva è provocante ugualmente. Forse lei nemmeno se ne accorge o forse sì e fa apposta, però quando ti gira intorno e ti guarda fisso...
- Pivello, basta!
- Tony, tu mi hai chiesto perché io te lo dico. Non è necessario che si vesta con scollature o minigonne, basta una maglietta aderente e…
Diedi un forte scappellotto a McGee
- Falla finita Pivello!
- Ma lo fa apposta o no a provocare, Tony?
- Non sono affari tuoi. E poi da quando tu esamini Ziva così? In tanti anni non lo hai mai fatto e cominci adesso?
- Se non te l'ho mai detto non vuol dire che non lo abbia mai fatto Tony. Ho osservato molto bene come Ziva seduce le persone quando vuole ottenere qualcosa. 
- Pivello non una parola di più sull'argomento? Chiaro? Fai conto che se prima non ne parlavi ora non lo devi più nemmeno pensare, ok?
- Tony ma lei è così, non puoi essere geloso!
- Non sono geloso.
- Ah no?
- No. Magari solo un po'... Un pochino...

Ziva salutò il Marine e venne da noi
- Di cosa parlavate?
- Di te - disse McGee
- Di niente - lo coprii io
- Tony come mai sei così rosso?
- Ho caldo Ziva, caldo...
- Allora spogliati no? - la fulminai con lo sguardo - nel senso togliti la giacca, che hai capito? - mi disse maliziosa mentre tornava a sedersi
- Ecco Tony - mi disse McGee - a bassa voce intendevo questo. Lo fa apposta?
- Taci Pivello... - e mi allentavo il nodo della cravatta guardandola ridere sotto i baffi. Sapevo che si stava divertendo a provocarmi. 

Mi avvicinai alla sua scrivania
- Chi era quello che ti guardava così?
- Mark Tennence, il fratello di John Tennence.
- E cosa voleva da te?
- Si è scusato per il comportamento del fratello.
- Ah… 
- Che c’è?
- Niente mi sono sembrate scuse lunghe.
- Mi ha invitato a bere una cosa. - Mi guardò e sospirò - ma ho declinato l’invito.
- Beh mi pare il minimo… ma tu non essere così provocante
- Che stai dicendo Tony? Provocante?
- McGee dice che lo sei
- McGee! - Gli urlò lei - Ma cosa dici? Devo venire lì e farti passare la voglia?
Tim diventò tutto rosso senza dire più una parola e ridemmo tutti, però cavolo sì, era veramente provocante, anche in quel momento.

- Ci si diverte oggi eh! - Ci redarguì Gibbs appena arrivato
- Ziva ti aspettano per i test attitudinali per il reintegro effettivo.
- Quando Gibbs?
- Subito!
- Vado!
Ed andò verso l’ascensore camminando adesso sì in modo volutamente provocatorio, azzerandomi la salivazione.

- Di Nozzo, e tu contieni i tuoi ormoni - Mi disse Gibbs
- Ci provo Capo!
- Riescici Tony.

--- --- --- --- ---

- Ziva David, passano gli anni e periodicamente ci rincontriamo.
- Dottoressa Bracco, buongiorno
- Allora, vuoi di nuovo rientrare all’NCIS
- Sì, l’idea sarebbe questa.
- Bene… Certo è un po’ strano, non trovi? Quante volte hai dato le dimissioni e sei rientrata nel corso degli anni? 3 o 4?
- Un po’
- Singolare no? Dimostra quantomeno che non hai le idee ben chiare su quello che vuoi fare
- Spesso le scelte non sono determinate solo da noi, ma anche da altri fattori.
- Ne sono consapevole David, ma certi ruoli non si assumono e tolgono nel giro di poco. E’ anche una questione di fiducia
- I miei colleghi hanno tutti fiducia in me e nelle mie capacità
- Certo, è passato un po’ di tempo stavolta, quando, vediamo… Oltre 3 anni… Non stiamo parlando di una pausa di qualche mese di riflessioni. 3 anni è una bella pausa…
- Lo so. Sono stata occupata in altro.
- Per esempio?
- Facevo traduzioni.
- Non molto attinente, un bel cambio non c’è che dire. Da missioni antiterrorismo a traduzioni. Sicura di essere in grado di rientrare?
- Certo. Se vuole dopo le porto anche tutti i risultati dei test pratici che devo andare a fare.
- Non metto in dubbio la tua capacità di sparare o qualsiasi altra cosa, ma la tua tenuta mentale. Rientrare in certi meccanismi dopo tanto tempo non è immediato
- Nella mia vita sono entrata ed uscita da meccanismi talmente contorti che tornare a lavorare con i miei colleghi è quanto di più facile al mondo.
- So bene le fasi della sua vita - disse mentre sfogliava il mio fascicolo soffermandosi su alcune pagine che avrei preferito non ricordare - Per il resto, nella sua vita ci sono state delle novità? Qualcosa di cui dovremmo essere al corrente?
- Io e l’agente DiNozzo abbiamo una relazione. Ma questo penso che ormai qui lo sanno tutti.
- Sì, questo sì. Volevo sapere se c’era altro, qualcosa accaduto in questi anni, magari potrebbe avere un rilievo sul suo profilo personale.
- No, niente di rilevante. - Mentii
- Non pensa che avere come partner durante le missioni una persona con la quale condivide molto di più del lavoro potrebbe portarla a compiere degli errori?
- Quali errori dottoressa?
- Non so, magari valutazioni errate di alcune situazioni, mettere la sua sicurezza prima di quella di un’ipotetica persona da proteggere, farsi prendere dal panico se dovesse essere colpito in azione e questo comprometterebbe la sua capacità di reazione.
- Dottoressa Bracco, sono stata addestrata nel Mossad. Ho sopportato condizionamenti mentali che lavorare con il mio compagno è la cosa migliore che possa capitarmi nella vita. Questo vuol dire che lavorerò con una persona della quale so che posso fidarmi ciecamente e mi creda, non è sempre stato così scontato durante le mie azioni, nelle quali capitava che dovevi guardarti sia dal fuoco nemico che da quello amico. 
- Bene. La ringrazio della chiacchierata David. Attendo gli altri risultati, ma so già che saranno perfetti e appena avrò tutto comunicherò il tutto al direttore Vance così se è il caso, da rendere definitiva la sua posizione.
- Va bene, buona giornata dottoressa.

Tornai dagli altri infastidita da quell’incontro.
- Come è andata? - Mi chiesero tutti
- Insomma… La Bracco non mi sembrava molto ben disposta nei mei confronti. Ha insistito più volte sul fatto che il mio comportamento è inaffidabile e non ispira fiducia.
- Non ti preoccupare Ziva - mi disse Gibbs - Se tu vuoi rimanere qui, questa è la tua squadra, di quello che dice la psicologa me ne frego, i miei uomini li scelgo io.
- Ziva, noi ci fidiamo tutti di te - Mi disse McGee
- Grazie Tim. Lo apprezzo.

--- --- --- --- ---

I giorni stavano trascorrendo in modo piuttosto normale. Sembrava quasi che stessimo trovando un equilibrio, ultimamente fatto molto più di scherzi e battute che di tenerezza come era all’inizio. Non che la cosa mi dispiacesse perché divertirmi con lei mi era sempre piaciuto e ci veniva naturale scambiarci battute e frecciatine. Ormai a lavoro anche McGee dopo un’inizio in cui era quasi intimorito dal nostro nuovo rapporto, era tornato a comportarsi con estrema naturalezza, solo Bishop era sempre abbastanza esclusa dai nostri battibecchi e non sembrava nemmeno intenzionata ad entrarci, così come ogni volta che provavamo a coinvolgerla in qualche uscita, per un motivo o un altro ci dava sempre buca.

- McGee che cos'hai oggi?
- Sono stanco Tony
- E come mai? Troppe ore in chat questa notte con Delilah?
- No Tony, è arrivata a Washington questa notte e sono andata a prenderla in aeroporto.
- Ah ah ah McGee ci vuoi far credere che quegli occhi sono colpa di un volo in ritardo? 
- Tony non sono come te che dopo ogni tua serata particolare raccontavi tutti i dettagli in ufficio!
- Ah ma quindi ammetti che hai avuto una serata particolare Pivello! Bravo sono felice per te! Non essere timido su!
- Beh Tony di timido qui ci sei anche tu adesso, visto che è molto tempo che non ti vanti più la mattina... O sei diventato timido oppure non hai più niente di cui vantarti senza motivo!
- McGee non è timidezza, è solo istinto di sopravvivenza, credimi. E comunque qualche buon motivo per vantarsi devo dire che il ragazzo ce l'ha... - Intervenne Ziva che con una frase mi aveva praticamente mandato su di giri
- Ziva allontanati da me adesso perché sei pericolosa! - le dissi mentre mi veniva incontro. Lei per tutta risposta mi tirò un bacio e si andò a sedere.
- Comunque pensavo che dovremmo organizzare una di queste sere, no? - chiesi a McGee
- Per me va bene anche questa sera, sento Delilah se non è troppo stanca, che ne pensate?
- Sì, va bene, per me si può fare - Disse Ziva
- Perfetto allora! - esclamai

La sera andammo in un ristorante sulla 14th strada che frequentavamo spesso per le nostre uscite serali, uno di quelli con quel giusto ambiente informale per passare una serata tra amici senza troppi pensieri, con qualche cocktail per accompagnare il buon cibo e divertirsi un po’

- Ciao Delilah, piacere di conoscerti
- La famosa Ziva David… Ho sentito veramente tanto parlare di te.
- Posso immaginarlo

La serata scorreva tranquillamente, tra chiacchiere e battutine. Ziva e Delilah si trovarono subito in sintonia, grazie anche a qualche esperienza in comune

- Ah ecco cosa mi mancava… Andare in un locale e poter bere un cocktail senza problemi - Esclamò Delilah mentre sorseggiava il suo Cosmopolitan
- Già, questo è un vero peccato in quella città! - Le fece eco Ziva gustando lo stesso cocktail
- Così anche tu conosci Dubai 
- Sì, ci sono stata molte volte anche molti anni fa, quando era completamente diversa da ora.
- Beh si immagino, la città cambia di giorno in giorno, mi immagino di anno in anno. Sei venuta per divertimento o shopping? - Chiese Delilah
A Ziva scappò una risata
- La prima volta credo che ci fosse solo un centro commerciale in tutta Dubai, quindi shopping direi di no. Diciamo lavoro. Ma è stata una missione abbastanza rapida, in meno di 24 ore abbiamo sistemato tutto.
- Ah quindi voi dell’NCIS agite anche a Dubai
- No, eravamo noi del Mossad - precisò sorridendo
- Ah. Giusto dimenticavo, il Mossad.
- Però poi sono venuta anche per altre missioni altre volte e mi sono fermata più a lungo. Quando stavo a Tel Aviv mi è capitato di andare a fare dei week end con degli amici. Devo dire che adesso adoro andare a fare shopping a Dubai Mall è fantastico trovi qualsiasi cosa anche se è un po’ che non ci torno.
- E come entravi a Dubai? Sì, insomma so che gli israeliani non possono entrare negli Emirati…
- Con il mio passaporto americano. Siamo in molti ad avere doppie cittadinanze, con parenti arrivati da metà Europa è abbastanza facile, sono utili.
- Oh beh certo… E’ elettrizzante vero lo shopping sfrenato? 
- Decisamente! Ma mi hanno detto che adesso la zona della Marina è diventata molto di tendenza, confermi?
- Se ti vuoi divertire la sera e fare incontri interessanti è il posto migliore. Bei locali, bella gente, begli ambienti e lì sì ora si trovano molti locali negli hotel dove spassarsela con ottimi drink… Poi ti do qualche nome, così se torni sai dove andare a colpo sicuro. Il Buddha Bar al Grosvenor House fidati è il top a Marina, ma se ti vuoi scatenare sulla spiaggia c’è il Barasti Bar a Mina Seyahi con la discoteca all’aperto fino a tarda notte, cosa c’è di meglio di ballare sul mare? - Disse mentre si muoveva sulla sedia ad un ritmo di musica immaginario.
Delilah continuava ad elencare posti su posti “top” e McGee era sempre più nervoso ed imbarazzato.
- Ehm Delilah, ma tu a Dubai lavori o cosa? - Intervenne McGee
- Certo che lavoro Tim, ma ogni tanto qualche svago ci vuole, no?
- Dipende dagli svaghi… - precisò lui
- Dai Tim non fare il geloso! Quante volte ti ho detto di venirmi a trovare? Sei tu che non vieni mai! Comunque prima frequentavo quasi tutti ragazzi e ragazze americane, sai lì ci si divide molto per nazionalità. Adesso invece sono diventata amica di una ragazza del posto e mi capita di uscire con lei e le sue amiche. Seratine di sole donne da sballo tra ristoranti da favola e SPA che ti rimettono al mondo. - Pensa che cosa succederebbe a partecipare ad una di queste seratine nelle SPA per sole donne, Pivello! - dissi a McGee
- Tony, a te succederebbe che dopo saresti morto, ad esempio. - Mi fulminò Ziva
- Tony, io lo prenderei sul serio il suo avvertimento - mi disse Tim
- Sì, anche io - risposi facendo finta di essere preoccupato
- Timmy, tesoro, dovresti preoccuparti anche tu nel caso - sentenziò Delilah 

Ridemmo tutti e continuammo così tra un cocktail e l’altro fino a quando non fu abbastanza tardi per tornare a casa.

 

NOTE: Un capitolo più leggero e un po’ più malizioso, nel quale Ziva prova a non pensare al resto, alzare il suo muro emotivo per non crollare. Qualche pezzo di vita di gruppo, per allentare un po’ la tensione che vi avviso arriverà tra un paio di capitoli e per un po’ poi non ci lascerà, quindi godetevi a cuor leggero questo capitolo ed il prossimo molto più frivoli di quelli che verranno in seguito che saranno molto, molto carichi emotivamente e forse mi odierete un po’…

Ma un commento su Tim che parla di Ziva lo fate? Alla fine pure lui ha gli occhi per guardare, no? ;)

Una precisazione sul titolo. Enjoy the Silence, il silenzio non è quello delle parole, ma delle emozioni. Ziva uscendo dalla sala conferenze ha deciso di rimandare ancora una volta la decisione di parlare con Tony. Ha capito però cosa vuole dire Gibbs: se non ne parla, deve evitare di mettere in mezzo le proprie emozioni perchè se no è troppo fragile e capirebbero tutti che qualcosa non va. Quindi rimane “emotivamente” in silenzio e va avanti per la sua strada, come le hanno insegnato al Mossad… Almeno per ora… Qualcuno mi ha scritto che odia Ziva per questo comportamento. Beh, diciamo che a breve non sarà più la sola ad odiarla, però provate anche a mettervi nei suoi panni. Vuole evitare di far soffrire e preoccupare Tony tanto quanto sta facendo lei. 

Se volete i locali a Dubai segnateveli perché sono veramente tra quelli più di tendenza al momento :D

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Life ***


… Life indeed can be fun
if you really want to
Sometimes living out your dreams
Ain’t as easy as it seems …

Da quando le avevo chiesto di sposarmi mi sembrava cambiata. Non so se era solo una mia sensazione, ma la sentivo diversa. Avevo tanti dubbi, stavo forse correndo troppo per recuperare il tempo perduto? Ma come potevo dirglielo adesso, magari se le mie sensazioni erano sbagliate avrebbe pensato che ero io che pensavo di aver fatto un errore. 

Approfittai per parlare quando eravamo in macchina e stavamo tornando a casa.
- Pensi che stiamo correndo troppo?
- No Tony, penso che vai anche troppo piano, come sempre quando guidi tu.
- David sono serio! Noi due stiamo correndo troppo?
- Ci stai ripensando Tony?
- No no... Io non... Oh insomma io voglio veramente che tu diventi mia moglie, ma solo se tu lo vuoi. Non ne avevamo mai parlato, non so cosa tu volessi, se era una cosa che avevi mai pensato o programmato per il futuro.
- L'ultima volta che ci avevo pensato ero una bambina. Sai quando sogni il matrimonio da favola, ecco quello con il principe azzurro, il castello, le favole... Poi no, non ci avevo più pensato. Fino a quando non me lo hai chiesto. Tu invece?
- Io ci ho pensato tante volte. Da quella volta che abbiamo lavorato sotto copertura facendo una coppia di sposi.
- Dai fai il serio! 
- Sono serio! Quando eravamo legati ti pensavo veramente come se fossi stata mia moglie.
- Questo si chiama immedesimarsi nella parte DiNozzo!
- Dici solo quello? No io non credo... 
- Tony seriamente non hai mai pensato di sposarti con nessuna?
- No. Non perché non avessi voluto ma nessuna era quella giusta per farlo. Michelle me ne aveva parlato più volte ma non l'avrei mai fatto, credo... Ora è il momento giusto. E soprattutto ho la persona giusta per viverci tutta la vita insieme e fare la mia famiglia con lei. 
Arrivati nel garage lei stava già scendendo e la fermai. Presi una busta dalla tasca interna del mio cappotto e gliela porsi

- Per te.. 
- Cos'è?
- Apri dai...
Aprì la busta e tirò fuori i due biglietti per l’Opera che avevo preso, per il 21 novembre, il giorno seguente. 
- Oh... 
Era veramente stupita e ne ero felice
- È il regalo più bello che mi potevi fare. Era tutto esaurito
- Qualcuno mi doveva un favore - le dissi
- Non ho parole
- Non devi dire nulla. Ho preso due biglietti ma se vuoi andare da sola non è un problema.
- No, no! Io voglio che tu vieni con me.
- Beh, è una cosa tua, non ti fare problemi, veramente.
- Penso che anche a mia sorella farebbe piacere vedermi con una persona vicino come te.
- Ti avviso che io non ci capisco nulla eh! Non ti vorrei far fare brutta figura.
- Tu non mi fai fare mai brutta figura… o quasi - mi sorrise, avrei voluto farle una battuta per pareggiare i conti, ma ci ripensai e tirai fuori una delle mie citazioni
- Fa molto Pretty Woman questa cosa solo che io nei panni di Julia Roberts mi ci vedo poco - scherzai
- Beh è "La Traviata" andiamo anche a vedere la stessa opera!
- Perfetto! Ti prometto che non farò nessun commento sconveniente con nessuna vecchia signora impellicciata

--- --- --- --- --- --- 

Era la prima volta che andavo all'Opera con qualcuno in quell’occasione così personale. Di solito quello era un momento che volevo vivere da sola, per ricordare mia sorella nel giorno del suo compleanno. Ora però era diverso. Tony faceva parte della mia vita e volevo che facesse parte anche di questo. 
Era un cavaliere impeccabile ed elegante.
I posti in platea che aveva preso erano superbi per ammirare lo spettacolo. Lesse una parte del libretto e gli spiegai brevemente la storia prima che cominciasse il primo atto.

Lo spettacolo fu bellissimo e la prova di cantanti ed orchestra molto toccante. Quando le luci in sala si riaccesero Tony aveva gli occhi lucidi
- Ti sei commosso?
- No macchè è quest'aria forzata che mi secca gli occhi e lacrimano un po'
Lo guardai storto
- Sì mi sono commosso - ammise
- Capita a tutti mi sono commossa anche io che già la conoscevo
- Non si dovrebbe mai rinunciare al proprio amore - mi disse serio
- Parli dell'opera? 
- Hai pensato a quanto potevano essere più felici insieme se lei non avesse dato ascolto al padre di lui? Quanto tempo avrebbero vissuto di più felici insieme se lei non si fosse privata del suo amore per gli altri?
Sapevo che ora non parlava dell'opera un e con leggero bacio a fior di labbra lo feci tacere mentre uscivamo dalla sala.

--- --- --- --- --- --- 

- Ziva? Ziva David?
Sentii chiamare il suo nome nel foyer del teatro da una voce nuova con uno strano accento. Lei si voltò e sorrise alla persona a me sconosciuta.
- Gael!
Il ragazzo, un biondino magro e slanciato, si precipitò a salutarla calorosamente abbracciandola.
- Come sei arrivata da Tel Aviv a qui a DC mia dolce Ziva? - le chiese il ragazzo con voce languida ed un dolce accento francese
- Lavoro, tu?
- Beh Tel Aviv mi stava stretta. Tutto quello che volevo era qui quindi mi sono trasferito qualche mese fa.
- Sono molto felice per te. Lui è Tony - le disse infine presentandomi ricordandosi anche della mia presenza
- Ah finalmente conosco il famoso Tony! Ziva mi ha parlato tantissimo di te! Ma lui presumo che non sia lavoro, se non ricordo male, no?
- Ricordi bene… - Ziva arrossì imbarazzata 
- Beh, in realtà sono anche “lavoro” - dissi dando particolare enfasi quella parola - Ma se ti ha raccontato cose negative su di me sono tutte vere - cercai di sdrammatizzare 
- Ah beh allora mio caro, visto come parlava incantata di te, saranno state tutte menzogne! - Rise compostamente
Il ragazzo era molto disinvolto lo conoscevo da un paio di minuti e si prendeva la confidenza come se lo conoscessi da sempre. Mi irritava, soprattutto come parlava a Ziva
- Allora Ma Chère ti è piaciuta questa rappresentazione? Molto enfatica non trovi?
- Molto bella sì. Ottimi protagonisti
- Già senza dubbio. A te Tony è piaciuta? Che ne pensi?
- Non sono un esperto mi dispiace. Era la prima volta.
- Oh un bel battesimo allora, un'opera molto significativa
- Già, anche troppo.
- Ma scusatemi un attimo - fece cenno ad un ragazzo di raggiungerlo - Ziva, lui è Ayman, il motivo per il quale mi sono trasferito.
- Ciao Ayman è un piacere conoscerti di persona
- Piacere mio Ziva, le amiche di Gael sono anche mie amiche.
Ci presentammo e mi sentii sollevato. Mi resi conto che la gelosia che provavo verso quel ragazzo mi aveva fatto essere scortese. Rimanemmo qualche altro minuto a chiacchierare, con la promessa tra Ziva e Gael che si sarebbero tenuti in contatto e rivisti anche qui a Washington.

Mi raccontò poi brevemente la storia di quel ragazzo, conosciuto a Tel Aviv con il quale in comune aveva la passione per l’opera e l’arte in generale. Mi disse che era stato uno dei suoi pochissimi amici e che con lui riusciva a stare bene perché una persona totalmente estranea al nostro mondo con cui andava a teatro e alle mostre o con il quale passava i pomeriggi a parlare di libri e bere tè. Sapevo che a Ziva piaceva leggere, ma io l’avevo sempre vista come una donna d’azione, non la riuscivo ad immaginare a passare le giornate seduta a chiacchierare con gli amici bevendo un tè e parlando di letteratura. Mi raccontò che lui scappato per amore, un amore difficile da vivere per un ragazzo oltretutto musulmano come era Ayman. Voleva da sempre raggiungerlo in America per sentirsi liberi di vivere la loro vita e ci era riuscito nonostante il parere contrario della famiglia, molto ortodossa, che dalla Francia dove era nato si era trasferita in Israele quando era ancora un bambino.

Quando rimanemmo soli ripensò al nostro incontro nel foyer scoppiò a ridere mentre camminavamo verso il parcheggio multipiano per riprendere l'auto
- Dovevi vedere la tua faccia quando mi ha chiamato "Dolce Ziva”! 
- Avresti visto come sarebbe stata poi la sua se lo avesse fatto ancora! - gli risposi a denti stretti
- Sei geloso anche di Gael? - E ci tenne a specificare “anche”. 
- Ora meno. - Mi rimproverava spesso di essere troppo geloso, anche se io non mi consideravo tale. Credo che la sua abitudine a stare sola le facesse pesare la mia gelosia ancora più del normale.
- Meno?
- Sì beh, non si sa mai. Ma gli avevi veramente parlato di me o lo ha detto tanto per dire?
- A lui mancava Ayman, a me mancavi tu. 
- Beh se ti mancavo tanto potevi dirlo a me, non a Gael. 
- Tony non ricominciamo per favore!
- Ok ok è solo che ogni volta che ci penso divento matto al pensiero di tutto il tempo che abbiamo perso.
Ed era vero. Il pensiero del tempo che avevamo sprecato ad ignorarci e rincorrerci mi faceva diventare matto. Pensavo che se fossimo stati meno stupidi ora potevamo essere molto più felici da tempo, potevamo già essere una famiglia. Il tempo perso in cui non ho potuto amarla come avrei voluto fare sempre. Eravamo arrivati. Nel parcheggio non c'era nessuno.
- Il tempo che abbiamo perso nel quale avrei potuto mille volte prenderti, spingerti verso la mia auto, bloccarti con il mio corpo e baciarti fino a toglierti il fiato - Le dissi con voce carica di desidero e accompagnavo ogni mia parola con i fatti. Ed ora eravamo proprio lì così, a baciarci fino a dimenticarci di respirare. Ci staccammo solo per riprendere fiato. 
- Tony, così no… Poi io non…
- Cosa, non ti controlli più? E se faccio così - le alzai il vestito fino a lasciare scoperta una gamba fin sopra le autoreggenti - e poi ti accarezzo così - le accarezzavo la gamba ed il gluteo - tu che fai?
- Tony ti prego… 
- Mi preghi? Di fare cosa, di fermarmi o di continuare?

Il rumore di una macchina che stava percorrendo la rampa ci fece riacquistare quel briciolo di lucidità per fermarci. La lasciai, aprii la macchina, salimmo velocemente e guidai verso casa. In macchina ridevamo imbarazzati di noi stessi.
- Pensa se ci avessero visto - mi disse
- Pensa se ci avessero denunciato. “Atti osceni in luogo pubblico” non ce li toglieva nessuno - ammiccai
- E pensa quando l’avrebbe scoperto Gibbs!
- No, a questo meglio che non ci pensiamo. - Ridemmo ancora.

Parcheggiai la macchina in garage e già quel tragitto in ascensore per arrivare a casa mi sembrava troppo lungo per aspettare, così ripresi a baciarla fino a quando con difficoltà non aprì la porta di casa che richiudemmo velocemente alle nostre spalle.

La spinsi verso il muro del corridoio e la baciai come prima nel parcheggio, togliendo ogni indumento che si frapponeva tra lei e me.
- Dove eravamo rimasti prima? -  E non facemmo in tempo ad arrivare in camera da letto.

Dopo quella sera all'Opera nei giorni seguenti la nostra vita era molto più tranquilla. Ziva aveva finalmente preso una sua auto, una mini rossa del tutto uguale a quella che aveva per riprendere le abitudini della sua vecchia vita. Era più autonoma e meno insofferente a doversi sempre far accompagnare ovunque. Era uscita anche con il suo amico Gael per “chiacchierare come fanno le amiche” mi diceva ammiccante, ma a me un fondo di gelosia per quel ragazzo mi rimaneva, nonostante sapessi fosse del tutto infondata. Mi ero guardato bene però da dirglielo altrimenti mi avrebbe preso in giro fino allo sfinimento. 
Era circa un mese che eravamo tornati da Israele ma avevamo vissuto così intensamente che mi sembrava molto di più, come se lei fosse qui da sempre, che quella fosse la nostra vita normale, quella che io avevo sempre voluto.

Ziva mi sorprese chiedendomi se avevo voglia di organizzare il giorno del Ringraziamento da noi, visto che avevamo quella grande sala da pranzo inutilizzata.
McGee accettò di buon grado, la sua donna era tornata a Dubai e lui era di nuovo solo. Anche Ducky fu felice di venire, così come Abby. Avevo molti dubbi che Gibbs accettasse sia per il suo essere sempre solitario, sia per i rapporto molto più freddo che ultimamente c’era tra me e lui, ed invece anche lui si unì a noi. 

Mi divertii a preparare con lei il pranzo e la prendevo in giro perché era un'israeliana che preparava un tipico pasto americano per americani. Alla fine il risultato era più che soddisfacente: il nostro tacchino sembrava buono, il mashpotato era cremoso al punto giusto e le verdure al forno avevano un aspetto molto invitante. Al dolce avrebbe pensato Abby che aveva insistito molto per farlo e contraddire Abby sarebbe stato pericoloso. In tutta la casa quel giorno c'era un buon odore di famiglia. 

La tavola era apparecchiata e tutti i cibi disposti, attendevamo solo i nostri ospiti. Ziva passeggiava per il corridoio.
- Sei nervosa?
- Un po’…
- Non il primo pranzo che facciamo insieme agli altri, anche prima a casa tua, li abbiamo fatti
- Sì, ma ora è diverso. 
- No, è tutto come sempre, siamo sempre noi, i tuoi amici.
- Tu non sei un amico - mi disse mentre mi baciava
- Te l’ho detto che in questi giorni sei ancora più bella?
- No, ricordati di dirmelo più spesso che mi piace!

Il suono del campanello interruppe le nostre smancerie. McGee arrivò per primo e subito dopo anche Ducky.
Andammo a bere qualcosa in attesa degli altri. Quando arrivò Gibbs fu Ziva ad andare ad aprire la porta. Gibbs era l’unica persona al mondo della quale non ero geloso quando la stringeva tra le sue braccia. Anzi, ne ero felice, perché lui era l’unico che le dava una delle cose che nella vita le erano mancate di più: la protezione di un padre.
Vennero verso di noi e poggiarono sul bancone le due bottiglie di vino che Gibbs aveva portato. 
Dopo aver versato un aperitivo anche a lui, mi prese da parte per parlarmi.
- Tony mi dispiace per aver dubitato di te. - Vidi Gibbs per la prima volta imbarazzato e rimasi molto colpito: era sincero, si percepiva
- Capita a tutti Capo. Sono periodi… diciamo emotivamente intensi.
- Sono felice per voi.
Non mi fece replicare e tornò da Ziva e McGee e Ducky.

Mancava solo Abby ed avremmo iniziato a mangiare e quando arrivò quello che fece ci lasciò tutti di sorpresa, e non è facile, considerando che da Abby uno si può sempre aspettare di tutto.

- Ciao Abby, entra!
- Aspetta Tony - mi disse rimanendo fuori dalla porta - Gibbs c’è?
- Sì, anche il grande capo ha accettato l’invito, dai vieni entra.
- No aspetta. Io dovrei dirvi una cosa… Chiami Gibbs?
- Eccomi Abby - disse arrivando verso la porta - che c’è?
- Ciao Gibbs, ecco… io … insomma… tu mi vuoi bene, no? Anche tu Tony mi vuoi bene vero? 
- Abby, ti vogliamo bene tutti. Che succede? - Gibbs odiava i giri di parole e il non venire al punto, a lavoro come fuori. Nel frattempo anche Ziva, McGee e Ducky si erano avvicinati incuriositi dall’insolita situazione.
- Ecco, Gibbs che poi in realtà lo dovrei dire a Tony visto che casa è sua, però tu sei il capo ed io sono abituata a parlare con te… 
- Abby! - La richiamammo insieme io e Gibbs
- … È un problema se non sono sola?
Io e il capo ci guardammo perplessi, Ziva si fece avanti
- Ciao Abby non è un problema, c’è posto per tutti, dai venite!
Abby entrò timidamente in casa e dietro di lei c’era un ragazzo: a prima vista la cosa che mi colpì era che rispetto ad Abby era molto, molto più colorato, nel senso che era vestito come una persona normale, senza teschi e cose simili. Teneva in mano una grande scatola e entrando ci salutò con un gran sorriso e muovendo solo la testa avendo le mani impegnate.
- Ciao, benvenuto - gli dissi 
- Ciao Tony! Io sono Stevy - Mi rispose - Qui c’è il dolce che ha preparato Abby
Presi la scatola, la appoggiai in cucina. Ziva stava prendendo i piatti per apparecchiare anche per lui. Abby le andava dietro come un cagnolino per raccontarle cosa stava succedendo e il povero Stevy si trovò tra noi quattro ma non sembrava nemmeno troppo imbarazzato, anzi aveva una bella parlantina.
- Allora, tu sei Tony e sei il Peter Pan che ora sta con Ziva che è quella là. Tu sei McGee, Timothy detto Tim, lui è il professor Mallard, Ducky, l’unico che chiama Abby Abigail il suo nome vero. E lei signore è il capo Gibbs che le porta il caffè e sa che deve andare da lei prima che lei la chiama. Giusto?
Scoppiai a ridere. 
- Io sono Peter Pan? 
- Lo dice Abby, perché non volevi crescere ma ora sei andato via dall’Isola che non c’è. - Certo non si può dire che questo Stevy si faccia problemi a parlare, anche lui senza filtri, come Abby!
- Sai Tony che come definizione non è male? - Mi disse McGee
Risero tutti, io meno.
- E’ un vero piacere conoscerti figliolo - Disse Ducky con il suo solito fare molto gentile ed educato.
- Sì, ecco, siamo un po’ sorpresi perché questa è una cosa molto poco da Abby - disse McGee
- Eh sì, non era una cosa programmata. Mi dispiace se sono piombato qui così, ma Abby ha insistito quando ha saputo che sarei stato da solo, lei voleva rimanere con me, ma a me dispiaceva se non veniva qui con voi, perché so quanto ci tiene e alla fine mi ha detto di venire anche a me eh… beh sono qua. - Disse allargando le braccia.
Alla fine però 
Stevy era un ragazzo simpatico, un gran chiacchierone, non capivo come facevano lui e Abby insieme, o parlavano uno sopra l’altro o non parlavano per niente… Era alto, con i capelli castano chiari un po’ lunghi e una leggera barba, sicuramente più giovane di lei o forse era anche l’abbigliamento così sbarazzino. Pantaloni cargo color sabbia una larga felpa con zip azzurra con disegni tribali tono su tono e sotto si intravedeva una maglietta arancione che riprendeva il colore delle scarpe da ginnastica. 
Forse si era accorto che stavo scrutando il suo abbigliamento, in netto contrasto con i nostri molto più classici, ma non sembrava per niente a disagio
- Scusate per l’abbigliamento, ma non avevo niente per l’occasione
- Ah, figurati, nessuno qui si formalizza sui vestiti, accettiamo anche McGee senza problemi - gli dissi ridendo mentre Tim mi guardava contrariato, ma dovevo restituirgli la battuta di prima sul Peter Pan.
La cosa strana era che eravamo più in imbarazzo noi che lui. Gibbs non aveva detto mezza parola e lo osservava.
- Me lo ha detto Abby che il capo è uno che parla poco, non vi preoccupate.
Ridemmo tutti, anche Gibbs poi Ziva ci chiamò per andare a mangiare.

In tavola c’era tutto quello che la tradizione richiede dal tacchino in giù. Ero molto orgoglioso di quello che eravamo riusciti a preparare anche se il mio compito più che altro era quello di assaggiare e di tagliare le verdure facendo attenzione a farlo bene dopo ripetute minacce di Ziva con il coltello in mano che non è proprio la cosa più tranquillizzante del mondo.
Anche l’atmosfera che c’era a casa nostra era più che piacevole: lasciammo il posto a capotavola a Gibbs, io Ziva e McGee alla sua destra, Ducky Abby e Stevy alla sua sinistra.

- Capo lasciamo a te l’onore di dividere il tacchino! - Gli dissi.
- Un attimo ragazzi, come da tradizione prima dovremmo dire due parole… - Disse Ducky alzandosi in piedi - … se permettete comincio io. Non vorrei fare un discorso religioso, nè una preghiera, volevo ringraziare per tutti voi per essere qui a celebrare una rinnovata amicizia e stima nei vostri confronti che permettete a questo anziano signore di passare un giorno importante con delle persone importanti come lo siete voi, molto più che colleghi ma amici sinceri.

Dopo Ducky si alzò Abby - Ho tanto da ringraziare per questo anno. Ziva è tornata da noi, Tony è felice, tra McGee e Delilah va tutto bene nonostante la distanza, Gibbs mi vuole sempre bene nonostante qualche volta l’ho anche deluso e vicino a me ora c’è Stevy. - Disse mentre gli prendeva la mano - So che non vi ho detto nulla fino ad ora e mi dispiace ma per me non era facile spiegare tutto. Ma sono contenta che lo abbiate saputo così, in una giornata da passare in famiglia perché voi siete tutti come la mia famiglia. Dai Stevy tocca a te ora!

Il ragazzo ora un po’ emozionato ora si alzò e ci guardò tutti
- Beh ecco, io a voi vi conosco. Abby mi ha parlato tantissimo di voi, di tutti voi. Quindi per me siete tutti già come un po’ di famiglia, sono io che sono per voi l’estraneo - rise - Per Abby siete tutti molto importanti e sono felice di essere qui con voi e ringrazio il cielo per tutti voi per essergli sempre stati vicino nel corso degli anni.

- Dato che siamo in tema di rivelazioni - disse McGee alzandosi - volevo dirvi che Delilah tra 6 mesi più o meno tornerà a Washington e noi abbiamo deciso che poi ci sposeremo. Ecco, approfitto che siete tutti qui per dirvelo ed ovviamente per invitarvi già da ora al matrimonio anche se non so quando ci sarà. Ed il mio ringraziamento è per essere qui con tutti voi, ed anche perché vedo finalmente i miei amici felici. 
Mentre McGee parlava io e Ziva ci tenevamo per mano. Ci complimentammo tutti con McGee riproponendoci di organizzare un altro pranzo quando Delilah fosse tornata, poi mi alzai e cominciai a parlare io

- Ehm credo che il prossimo anno ci sarà più di un matrimonio allora! - dissi facendo sorridere tutti - Il mio ringraziamento è un po’ particolare, è per chi mi ha rapito. Hanno fatto quello che non avevo il coraggio di fare. Tornare in Israele a riprendermi la mia vita - mi voltai a guardarla - Tutto qua.

Ziva rimase in silenzio e con mia sorpresa si alzò Gibbs a parlare
- Credo che quest’anno abbiamo molto per cui ringraziare. Per quello che abbiamo passato, perché abbiamo dimostrato che tutti insieme possiamo superare sfide complicate e che lo possiamo fare perché siamo insieme e ci fidiamo gli uni degli altri. Altri momenti difficili verranno, ma dobbiamo sempre ricordarci che prima di essere una squadra, siamo delle persone che si stimano e si vogliono bene. Per le persone che sono con noi, per quelle che sono tornate e per quelle che presto verranno.

--- --- --- --- --- --- 

Gibbs stava per tagliare il tacchino, mi alzai anche io
- Io ancora non sono molto pratica di queste tradizioni, quindi scusatemi sia se qualcosa non va nel cibo che in quello che dirò. Però anche io vorrei ringraziare e voglio ringraziare tutti voi. Perché non è scontato sparire per tanto tempo e trovare persone che sono disposte a accettarti di nuovo nelle loro vite come se niente fosse. Ho ritrovato gli amici di un tempo, ho ritrovato qualcuno che con me si è sempre comportato come un padre, l’unico che lo ha fatto - dissi guardando Gibbs - ed ho ritrovato Tony che non so adesso come definirlo senza imbarazzarmi di più di quanto non lo sia già, però lui lo sa quanto è importante per me. 
- Sì, più o meno lo so… - mi interruppe cercando di togliermi da quell’impasse in cui mi ero messa
- Quindi - ripresi - non posso far altro che ringraziare anche io con l’augurio che il prossimo anno a festeggiare con noi ci possano essere anche quelle persone che oggi non sono qui.
- Grazie Ziva, grazie Capo. - Disse McGee. Ovviamente tutti pensavano che quel riferimento a chi non c’era fosse per Delilah. In realtà solo noi sapevamo che ci stavamo riferendo soprattutto a mio figlio. Gibbs mi guardò facendomi cenno di sì con la testa, con quel gioco di sguardi che bastò per rassicurarmi, capirci e dirci tutto
Si avvicinò al vassoio del tacchino e lo tagliò
- Bene direi che è ora di mangiare no? - Disse mentre faceva i piatti.

 

NOTA: Ok, con questo capitolo finiamo una parte della storia un po’ più soft quando abbiamo appena superato la metà. (Ecco, lo sento che vi preoccupate che la cosa va ancora per le lunghe!!!! ma spero di non annoiarvi perchè dal prossimo capitolo cominceranno intrecci nuovi)
Spero che vi siate goduti questi spaccati di vita familiare, la tradizione dell’Opera per il compleanno di Tali e una cosa tipica americana come il giorno del ringraziamento.
Se ve li siete goduti, preparatevi perché dal prossimo capitolo ci sarà un po’ più di adrenalina e per un po’ poche smancerie ma tante emozioni forti tra i nostri due…

Ho voluto mettere anche due personaggi nuovi: Gael e Stevy per movimentare un po’ le cose e poi in futuro potrebbero essere utili entrambi ;)
Vi piace Abby con il fidanzato più giovane così diverso da lei?

Appuntamento a Venerdì con il prossimo capitolo, poi forse vi lascio per un po' in sospeso perchè devo partire per lavoro....

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Stay on these roads ***


… Stay on these roads
We shall meet, I know
Stay on...my love
You feel so weak, be strong
Stay on, stay on … 

- Tony aspettami un attimo, mi sono dimenticata una cosa a casa
Salì rapidamente con l’ascensore e dopo pochi minuti fu di nuovo in garage

- Guido io? - Le chiesi sventolando le chiavi ma andando già verso il lato passeggero
- Va bene - mi rispose prendendomi in contropiede e girai velocemente per mettermi alla guida.
- Ok... Sicura eh? Poi non ti cedo il posto...

- Stasera ti devo parlare Tony
- Se mi devi dire qualcosa fallo adesso, con il traffico di questa mattina ci metteremo più del solito ad arrivare
- No, preferisco farlo stasera con calma. E’ una cosa importante. - Mi disse seria
- Va bene amore - Vidi una smorfia, non amava che la chiamassi così, però a me spesso veniva naturale.
Mentre guidavo di tanto in tanto mi voltavo a guardarla, non sapevo se dovevo preoccuparmi o no, ma se fosse stato qualcosa di grave me l’avrebbe detto subito, o almeno così speravo.
- Tutto bene? Le chiesi mentre appoggiavo la mia mano sulla sua gamba.
- Certo Tony tutto bene - rispose prendendomi la mano e le nostre dita si incrociarono stringendosi in una cosa sola.
- Di cosa mi devi parlare stasera? Lo sai che sono curioso! - Ci riprovai non avrei resistito fino alla sera, glielo avrei chiesto fino a quando non me l’avrebbe detto
- Dovrai tenerti la curiosità fino a questa sera Agente Di Nozzo! - Ora mi parlava in modo più disteso
- Mi devo preoccupare?
- Ti devi sempre preoccupare con me! - Rise e lo feci anche io
- Lo so... E tu lo sai che te lo chiederò ancora?
- Sì. E tu lo sai che non ti dirò niente fino a stasera? - Mi sorrise, presi la sua mano e gliela baciai.

La vidi chiudersi la giacca fino al collo
- Hai freddo? 
- Un po’

Accesi il condizionatore e in poco tempo l’abitacolo della macchina si riempì di tepore. Novembre aveva già lasciato il posto a dicembre ed erano già caduti i primi fiocchi di neve qualche notte fa.

Erano già passate varie settimane da quando Dale Brooks era sparito e di lui non avevamo più nessuna traccia. Ci avevano già fatto un paio di soffiate ma nessuna aveva portato a nulla. Avevamo seguito una pista che portava fino al confine con il Messico per un traffico di stupefacenti ma un altro buco nell’acqua. Gibbs odiava questa situazione, soprattutto perché Vance ci stava col fiato sul collo.
Ero alla mia scrivania abbastanza infastidito da non riuscire a trovare nessuna pista e ascoltavo Ziva che chiacchierava allegramente al telefono

- Ma certo Mike… no, no, hai fatto benissimo a chiamarmi… eh dispiace anche a me che non possiamo più vederci la mattina… no, mi sono trasferita proprio in un altra zona… sì, mi ricordo era veramente una fatica starti dietro… ah sei anche migliorato? Allora bisogna che un giorno mi organizzo e vengo a provare di persona, non so però se adesso riesco a tenere il tuo ritmo… ma certo, segnati il numero, così mi puoi chiamare direttamente sul cellulare… 

Uscii a prendere un caffè e quando passai davanti a lei le lanciai un’occhiataccia e scossi la testa in segno di disappunto.
La macchinetta non aveva ancora finito di erogare il mio caffè e lei era già lì.
- Allora che c’è Tony?
- Nulla, dovrebbe esserci qualcosa
- Falla finita. Non posso nemmeno chiacchierare con un amico al telefono?
- Un amico che devi provare di persona…
- Vive vicino a dove abitavo io prima, ha saputo da Warren della sicurezza che ero tornata e mi ha cercato. Spesso andavamo a correre insieme la mattina. Ma non capisco perché ti devo tutte queste spiegazioni adesso. Come se avessi fatto chissà che.
- Io non te l’ho chieste sei tu che me le stai dando.
- Ti stai comportando come un ragazzino. Ti vedo, aspetti che mi giustifico per un nulla e non capisco perché dovrei farlo.
- Perché stiamo insieme Ziva. Ecco perché. Se sento la mia donna che dice che deve provare di persona se riesce a stare dietro a qualcuno a me da fastidio.
- Non tutti gli uomini sono come te Tony, non tutti se parlano con una pensano solo a portarsela a letto.
- Grazie Ziva. Che bella considerazione che hai di me.
- No, Tony scusa… non volevo dirti così.
- No, no… Se l’hai detto evidentemente pensi ancora questo di me, va bene…
- No Tony, non è così, non volevo dire quello - provò ad accarezzarmi il viso ma mi scostai
- Lascia stare. Non ne possiamo parlare qui.
Tornai alla mia scrivania senza nemmeno bere il caffè. Mi si era chiuso lo stomaco.

Ero stata una stupida, gli avevo detto una cosa che sapevo che lo avrebbe ferito e sapevo anche che non era vero, ma sentirmi così controllata e sentire che lui aveva così poca fiducia da arrabbiarsi anche per una telefonata mi aveva fatto saltare i nervi. Non era facile abituarsi ad avere qualcuno vicino quando si è stati troppo tempo da soli e per me che ero sempre stata sola lo era ancora meno, soprattutto perché Tony era veramente eccessivamente geloso e se a volte sfogava la sua gelosia con battute e ci ironizzava sopra, altre volte invece il suo comportamento risultava più pesante. Amavo il modo in cui era premuroso e si prendeva sempre cura di me e sapevo razionalmente che la sua gelosia era solo un sintomo di quanto lui ci tenesse a me, ma nello stesso tempo alcune volte sembrava togliermi il fiato.
Ma quel giorno era oltretutto il giorno peggiore per fare certe discussioni, visto che la sera avrei voluto parlare con lui di ben altro e forse anche io ero particolarmente nervosa per quello che gli avrei detto.

- Capo senti questo messaggio - disse McGee facendo partire la registrazione di una telefonata arrivata al centralino dell'NCIS

"Il sergente Dale Brooks si trova prigioniero a casa di Roy Dunn"

- Tutto qui McGee? Di chi è la voce? - chiese Gibbs
- Chiamata anonima fatta da un telefono pubblico con un sintetizzatore vocale per computer. Abby lo ha analizzato abbiamo il nome del software utilizzato ma è un programma molto conosciuto per chi ne fa uso professionale.
- Chi è questo Roy Dunn? Voglio sapere tutto di lui - incalzò Gibbs
- Capo Roy Dunn è presente nei nostri archivi. Sta scontando i domiciliari con l’accusa di aver ucciso un caporale della Marina, Earl Nelson anche se a suo carico ci sono solo prove circostanziali. - Concluse Tony

- Uso professionale, è già qualcosa. McGee continua a cercare altre notizie, voi preparatevi, andiamo da questo Roy Dunn

Ebbi un momento di indecisione, stavo ancora pensando alla discussione con Tony e a quello che gli avrei detto una volta a casa; certo dopo la discussione di prima ed il suo umore nero non sarebbe stato ancora più difficile. Gibbs non si lasciò sfuggire la mia distrazione
- Ziva che fai tu non vieni? Dai muoviti!
Presi lo zaino e corsi verso l'ascensore.

Nell’auto di Gibbs, io e Bishop eravamo dietro, Tony vicino a lui che guidava. Per tutto il percorso nessuno disse nulla. Tirai fuori la pistola e la controllai due volte sotto lo sguardo attento di Bishop, per sicurezza e per allentare la tensione.

Parcheggiammo la macchina a una cinquantina di metri dalla casa e ci avvicinammo piano. Gibbs mandò me e Bishop sul retro, mentre lui e Tony sarebbero entrati dall’entrata principale.

Feci cenno a Bishop di seguirmi in silenzio. Le assi del giardino erano sconnesse e cercando di fare il minor rumore possibile entrammo nel retro della casa. Quel giardino era un vero e proprio schifo, erbacce ovunque, scarti di lavorazioni edilizie, sporcizia.
Tenevo la pistola in mano e mi aggiravo per il giardino facendo segno a Bishop di coprirmi le spalle fino a quando non entrai nel garage

- NC…
Appena entrata sentii una gran fitta all’addome che mi tolse il fiato e mi piegai istintivamente sulle ginocchia: un colpo dato con una mazza da baseball in piena pancia in orizzontale, mi si bloccò l’aria nei polmoni e feci fatica a respirare, non me l’aspettavo e i miei muscoli erano rilassati ed il colpo mi sembrò ancora più forte, senza possibilità di attutirlo . Credevo in quel momento che le mie costole si fossero tutte frantumate. Un altro colpo mi arrivò dal basso verso l'alto, sicuramente una ginocchiata. La pistola mi cadde dalle mani ed un calcio la allontanò, cercai di recuperare forze e lucidità e provai a colpirlo, lo presi cercando di immobilizzarlo, volevo portarmi dietro di lui per sottometterlo. Urlavo a Bishop di aiutarmi ma non riusciva a fare nulla perché eravamo troppo vicini. Mi diede un altro calcio all’addome che mi fece vacillare e lasciai la presa, mi sentii priva di forze. Poi non ricordo più nulla. Persi i sensi sbattendo la testa.

--- --- --- --- ---

Sentii le urla di Ziva che chiamava Bishop e corsi verso il retro più veloce che potevo. Sentii degli spari
- Ziva! Ziva! 
Urlavo il suo nome mentre correvo fregandomene di quello che urtavo passando per quella casa, nè di andare da una stanza all’altra senza avere la giusta copertura.
Arrivai in garage e la vidi a terra. Guardai il sul corpo non c'erano colpi di arma da fuoco ma aveva sbattuto la testa su una cassetta. Stava perdendo sangue. Le mani mi tremavano. Mi buttai immediatamente in ginocchio al suo fianco.

- Gibbs! Aiutami! - Gli urlai. Era proprio dietro di me, mi aveva seguito nella mia corsa e non me ne ero nemmeno accorto.
- Fermo Tony non la toccare, non la muovere!
Chiamò immediatamente i soccorsi dando la posizione e descrivendo le condizioni di Ziva.
- Bishop che è successo? - Le chiese Gibbs
- Ziva è entrata lui la ha colpita, lei è caduta a terra non riusciva a rialzarsi, erano troppo vicini non potevo sparare. Poi lui l'ha buttata via, lei ha sbattuto la testa, mi ha colpito con un taser, sono caduta... È passato di là è scappato con una macchina sembrava che qualcuno lo aspettasse. Ho provato a sparare alla macchina quando mi sono ripresa ma nulla. - Bishop parlava con Gibbs con tono precipitoso, riferiva i fatti uno dietro l’altro in modo confuso, io però non la ascoltavo.
 Accarezzavo il viso di Ziva senza muoverla per paura di fare peggio
- Gibbs tra quanto arrivano i soccorsi? Sta perdendo sangue! - Urlai ancora impaziente e spaventato

Era priva di sensi ma io le parlavo, le dicevo di non lasciarmi e di essere forte, le chiedevo scusa. Le stringevo le mani, il suo respiro era affaticato ma il cuore batteva velocemente. “Dai amore mio… dai…
Rimasi lì in ginocchio fino a quando non arrivarono i paramedici che mi spostarono di peso per portarla in ospedale. Le bloccarono la testa sulla barella con un collare e prima di farla salire sull'ambulanza vidi che mosse una mano. 
- È lei Tony? - Mi chiese uno dei paramedici
- Sì
- Venga presto che la stiamo portando via, ha chiesto di lei

Corsi vicino a lei le presi la mano per un attimo
- Ti amo - mi disse con un filo di voce - Amore mio… non… non te lo dico mai.
- Non parlare... Non ti affaticare… Ti amo anche io amore mio. - Le risposi cercando di non mostrarmi preoccupato.
La caricarono sull'ambulanza che partì veloce verso l'ospedale. 

Mi sedetti per terra sul marciapiede a guardare nel vuoto.
- Tony mi dispiace - mi disse Bishop sedendosi vicino a me e passandomi un braccio intorno alle spalle
- Non è colpa tua Ellie - provai a rincuorarla
- La dovevo aiutare non sono stata abbastanza pronta…
- Ellie, non potevi fare di più, erano vicini, rischiavi di colpire Ziva. È stata presa anche lei alla sprovvista altrimenti non l’avrebbe mai neutralizzata - La rassicuravo
- Tony ha ragione, Bishop. Non sentirti in colpa. Non potevi fare di più - Intervenne Gibbs.

Mi presi la testa tra le mani e respirai profondamente.
- Devo andare da lei. - Mi alzai e camminai nervosamente - Devo andare da lei.
Gibbs mi diede la chiavi della sua auto
- Prendila Tony, ho già chiamato McGee sta venendo qui per fare i rilievi. Tu non sei lucido, saresti inutile per le indagini.
- Grazie Gibbs.

Guidavo verso l'ospedale come un automa. Mi venne anche il dubbio di aver capito correttamente dove la stavano portando. 
Guidavo e vedevo solo davanti a me l'immagine di lei stesa a terra che perdeva sangue. 
Lei, la mia Ninja, la mia guerriera infallibile. Era lì inerme a terra. Non riuscivo a capire come l'avesse presa così di sorpresa e come fosse riuscito a neutralizzarla così. Non erano i 3 anni di lontananza ad averla cambiata, avevo visto a Tel Aviv quando era venuta a liberarmi come si muoveva, era sempre lei e McGee mi aveva raccontato cosa aveva fatto al Mossad a Tel Aviv, e lei stessa come aveva neutralizzato il Marines che l’aveva aggredita. Non riuscivo a credere a Ziva sconfitta così facilmente da un delinquente comune.

Tutti i pensieri peggiori del mondo passarono nella mia mente in quel breve percorso. Come potevo pensare di vivere senza di lei ora che avevo assaporato la bellezza di averla ogni giorno vicino a me? Avrei potuto fare a meno dei nostri battibecchi? Del nostro fare la pace sempre nello stesso splendido modo. Mi sarebbero mancati anche i nostri silenzi, ne ero certo. 

"Non si è fatta niente" mi ripetevo. "Non ti far condizionare dal sangue, hai visto che ti ha anche parlato". Dovevo vedere la cosa razionalmente lei mi aveva parlato, aveva ripreso i sensi quindi stava meglio.
Poi però venivano alla mente tutti i casi di persone uccise per banali botte alla testa e non riuscivo a mandarli via. L’ultima volta che avevamo parlato avevamo discusso… Ripensavo a tutte le parole che ci eravamo detti solo poco prima. Pensavo che se non si fosse ripresa l’ultima cosa che avevamo fatto era stato discutere per la mia gelosia. Perché eravamo sempre così stupidi da farci del male da soli, perché a volte sembrava che avessimo paura ad amarci e dovevamo per forza scontrarci? “Dio ti prego fa che non le sia successo niente”. Mi ritrovai anche a pregare. Quante volte avevo pregato in vita mia? Giurai a me stesso che se fosse stata bene non avrei più sprecato il tempo in inutili discussioni. “Dio ti prego fa che stia bene” 

Lasciai la macchina nel primo posto che trovai al parcheggio dell'ospedale e corsi all'intero.

- Ziva David, NCIS, dov'è? 
- Signore lei non può stare qui.
- Agente federale, devo trovare la mia partner.
Ripetevo la domanda ad ogni infermiera che incontravo nei corridoi fino a quando una non mi rispose
- L'agente ferita alla testa arrivata in ambulanza?
- Sì lei, dov'è?
- L'hanno appena portata in sala operatoria, ma non so per cosa, aspetti lì - mi indicò un corridoio poco più avanti con delle panchine - più tardi arriverà il dottore e le darà più notizie.
- Era vigile quando è arrivata?
- Mi dispiace agente, non lo so.

In sala operatoria? Per cosa? La mente ricominciava a vagare tra tutte le cose negative che avevo visto in vita mia. “Ziva è forte” mi dicevo “Non si è fatta nulla, sarà per una cosa da niente”. 
Le avevo chiesto di sposarmi e poi non ne avevamo nemmeno più parlato. Forse le avevo dato l'impressione di averci ripensato, che non ero così sicuro. Dovevo dirglielo che fosse stato per me l'avrei sposata anche il giorno dopo, anzi anche oggi stesso. E sì, glielo avrei detto appena l’avrei vista che se voleva ci potevamo sposare anche subito.
Forse era lei che non era più sicura di volerlo fare ed avevamo precipitato i tempi. Se non voleva ok, non le avrei messo fretta. Avrei fatto tutto quello che voleva, avrei rispettato i suoi tempi, era una vita che aspettavo, con lei, che fosse sempre il momento giusto per fare qualcosa. Mi aveva detto di sì, mi bastava quello, lo avremmo fatto quando avrebbe voluto lei. Oggi, domani, tra un mese o un anno. “Però Dio ti prego fa che stia bene".

Il corridoio dell’ospedale era illuminato con quelle luci fredde, fredde come quello sentivo dentro, freddo di paura. L’odore di disinfettante mi entrava fino al cervello ricordandomi ad ogni respiro se mai ce ne fosse bisogno dove ero e perché ero lì. Nelle file di sedie messe a gruppi di tre c’ero solo io e poco più avanti una signora con un bambino. Un medico uscì mi alzai speranzoso che venisse da me, invece si fermò da loro. Dalla reazione della donna non ricevette buone notizie, sentii i suoi singhiozzi e quelli del bambino che nascondeva il volto tra le pieghe della gonna della donna, mentre il dottore l’accompagnava fuori da quel maledetto corridoio. Ora ero terrorizzato che potesse succedere la stessa cosa a me, a lei… “Dio ti prego fa che stia bene” ripetevo dentro di me come un mantra.

L’attesa mi stava consumando. Presi il telefono. 
- Abby, ciao sono Tony... Ti hanno detto di Ziva?
Avevo bisogno di parlare con qualcuno di sentire una voce amica.

 

NOTE: Con questo capitolo entriamo in una nuova fase della storia che avrà ripercussioni per i nostri due amati protagonisti sotto vari punti di vista.

Cosa è successo a Ziva? Ve lo dico subito, niente drammi da questo punto di vista, non muore, però come starà? Tony per ora prega e già questa è un’immagine insolita, no?

Vi lascio con qualche domanda: Chi è questo Roy Dunn? Perchè aggredisce Ziva e poi scappa? Chi lo sta aiutando? Perché qualcuno ha detto all’NCIS che il Marine che cercavano da qualche tempo ed era sparito è a casa sua? Cosa c’è dietro tutta questa storia? Non tutto sarà come sembra all’inizio, ma ve lo avevo detto che i colpi di scena erano appena iniziati.

Vi preannuncio che il prossimo capitolo sarà quello in cui finalmente Ziva parlerà con Tony… 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** I'm Kissing You ***


… Pride can stand a thousand trials, 
the strong will never fall 
But watching stars without you, 
my soul cried. 
Heaving heart is full of pain, 
oh, oh, the aching. 
'Cause I'm kissing you, oh …


- Dottore, come sta Ziva David?
- Lei è un parente?
No, non ero un parente. Cercai di trattenere l’emozione
- No, sono dell’NCIS. - Mostrai il distintivo - E’ la mia partner, dobbiamo sapere le sue condizioni per… per il rapporto.
- Lei sta abbastanza bene, ferite guaribili in una settimana circa. Abbiamo bloccato la piccola emorragia interna, da tac fatta di controllo alla testa c’è solo un piccolo versamento interno riassorbibile in pochi giorni. La terremo qui in osservazione per il trauma cranico, per sicurezza. Il feto purtroppo non ce l’ha fatta.
Mi si gelò il sangue nelle vene. Parlava in modo asettico senza trasparire la minima emozione per quello che diceva nonostante le parole di circostanza. Anche noi apparivamo così quando leggevamo i rapporti dei vari omicidi e le autopsie? Anche noi eravamo così quando andavamo a dare brutte notizie ai parenti di qualche vittima? Erano vite umane e anche noi li trattavamo come semplice lavoro in modo così impersonale? “Feto”?
- Come scusi?
- La sua collega era incinta, non lo sapeva? Poche settimane, non ha resistito. Ci dispiace ma non abbiamo potuto fare nulla. Tra pochi minuti la porteranno in camera se vuole vederla. E’ cosciente e sa già tutto. - Fece una pausa e stava per andarsene - Ah non so se ha qualche parente che dovete avvisare…
- No, non ha parenti. Rimarrò io con lei
- Certo, lo dica all’infermiera. Mi scusi, ma adesso mi attendono in reparto.

Se ne andò. Rimasi lì come una statua di sale. Immobile. Un’infermiera uscì con un paziente su una barella, mi urtò e mi urlò di scansarmi, feci meccanicamente un passo verso sinistra e mi appoggiai al muro.
Ziva era incinta e non mi aveva detto nulla. Perché? Perché non aveva voluto condividere con me quella gioia immensa? Mi voleva parlare di questo? Era questa la cosa importante che mi doveva dire stasera? Mi voleva dire che era incinta ed oggi avevamo litigato per una cazzata… Perché se lo sapeva non aveva evitato di farsi coinvolgere in questa missione? Cosa le avrei detto adesso? Cosa si dice in questi casi? Come si gestisce il dolore per la perdita di qualcosa che non sapevi di avere. Dovrebbe essere tutto come 10 minuti fa, no? No. 

- Tony? Come sta Ziva? - Era arrivato anche Gibbs
- Bene - balbettai
- Ma? - Questa volta non era necessario uno come Gibbs questa volta per capire che c’era dell’altro.
- Ha perso il bambino. Era incinta e l’ho saputo adesso. - Non avevo il coraggio di guardare nemmeno lui in faccia. Parlavo con lo sguardo fisso verso la porta dietro la quale si trovava ancora lei. Mi mise solo una mano sulla spalla stringendomela forte, non disse nulla.
Non riuscii a muovermi nemmeno quando la porta si aprì e un’infermiera uscì con la barella di Ziva. Aveva la testa inclinata dalla parte opposta nella quale ci trovavamo noi, non so se ci aveva visto, ma l’infermiera si fermò vicino a me dicendomi in quale stanza l’avrebbe portata. Lei non si girò io provai ad allungare la mano per toccare la sua, ma mi fermai prima di prenderla. Non ci riuscii ed avevo paura di quello stavo provando. Mi sentivo un vigliacco. Le avevo promesso di starle sempre vicino e adesso non riuscivo nemmeno a prenderle la mano.
Ziva stava bene, avevo pregato così tanto che me lo dicessero fino a poco fa ed ora invece mi sembrava che il mondo mi fosse caduto addosso e non sapevo come comportarmi con lei. Capii che non sapevo gestire il dolore, questo tipo di dolore così grande e intimo.
- Vai da lei Tony. Devi farlo. - Asserì Gibbs con voce indulgente.
- Sì capo… Devo…

Aprii la porta della sua stanza. Sdraiata in quel letto con la testa rivolta verso sinistra sembrava guardasse fuori dalla finestra, ma era solo il suo sguardo perso nel vuoto in quella direzione.
Presi la sedia in fondo alla stanza e la portai vicino a lei, mi misi seduto proprio nella direzione dove lei stava guardando, per bloccare il suo sguardo verso l’infinito. Si girò dall’altra parte. Questa volta le presi la mano e la strinsi forte. Si girò di nuovo ma teneva lo sguardo basso, senza guardarmi.
- Io… io… non conosco le parole da dire ora … - balbettai - troveresti tutto stupido credo … 
Non mi diceva nulla nè mi guardava. Vedevo le lacrime scendere dai suoi occhi che brillavano con la luce del sole pomeridiano che entrava di traverso dalla finestra. 
Avevo paura che qualsiasi cosa dicessi la potessi ferire o potesse essere inadeguato.
- Io… Ti Amo… - Era la cosa più banale di tutte, ma l’unica che mi passava per la testa. Non era il momento di fare domande e chiedere spiegazioni, ma sembrava che quelle parole così semplici che le avevo già ripetuto non so quante volte da quando ci eravamo ritrovati avessero fatto un effetto peggiore di tutte le altre. Piangeva più forte.
- Ti prego, guardami, parlami, non ti tenere tutto dentro ancora una volta. Sono qui, per te, con te.
- Mi dispiace - sussurrò tra i singhiozzi.
- Anche a me… - il suo pianto non cessava. “Anche a me” certo che mi dispiaceva, ma glielo dovevo dire in quel modo? “Mi dispiace”: quelle semplici due parole racchiudevano tutto il dolore del mondo ed erano cariche di sensi di colpa, ed io le avevo detto solo “Anche a me”. Aspettai un attimo, che il suo pianto fosse meno forte - Ho avuto paura di perderti oggi… Tanta paura Ziva… Tanta.

Non ci dicemmo altro. Ci tenevamo per mano come due bambini che si sono persi per strada. Io la guardavo e lei guardava il lenzuolo bianco. Ognuno rinchiuso nel suo dolore, io con le mie domande che non avevo il coraggio di fare, lei con i suoi sensi di colpa che non aveva il coraggio di tirare fuori.

Si era fatta notte, quando entrò un’infermiera e mi disse che dovevo andare. Riuscii a rubarle altri 10 minuti per stare lì con lei. Altri 10 minuti di silenzi.
- Ragazzo mio, ora deve proprio andare - mi disse alla fine quell’infermiera con fare molto materno
- Certo, certo signora, grazie - uscì e ci lasciò soli per un saluto - Ci vediamo domattina…
Avevo già la porta aperta quando mi chiamò
- Tony… Ti Amo anche io… 
Tornai indietro e le diedi un leggero bacio sulle labbra.
- Lo so… Lo so.

Guidai fino a sotto casa. Parcheggiai lungo il marciapiede e rimasi dentro la macchina con il motore spento per un po’. Non riuscivo a scendere. Misi di nuovo in moto e ripartii fino all’NCIS. Dovevo anche andare a riprendere la mia macchina e riportare questa in garage.

Era tardi, ma quando si aprirono le porte dell’ascensore li trovai tutti lì riuniti in piedi vicino ai monitor. C’erano anche Ducky e Palmer, non credo parlassero di lavoro perché sugli schermi non c’era niente.
Camminavo come uno zombie verso la mia scrivania quando Abby corse letteralmente verso di me abbracciandomi fortissimo.
- E’ tutto ok Abby… Tutto ok.
- Oh Tony, Tony, Tony non è giusto! - Mi ripeteva lei dandomi accompagnando le sue parole con dei pugni sulla mia schiena. - Oh scusa, non volevo farti male…
- Tranquilla Abby, oggi non mi fa più male niente.
Mi andai a sedere e sentivo che tutti seguivano i miei movimenti con lo sguardo.
Ducky si avviciò alla mia scrivania
- Coraggio figliolo. E’ una dura prova ma la supererete.
- Tony, noi siamo tuoi amici, se ti serve qualcosa… - McGee mi parlava con voce veramente provata, mi colpì.
- Grazie Pivello, lo so. Ma ora non mi serve niente.
Accesi il pc e rimasi a fissare lo schermo.
- Novità su Roy Dunn?
- Nessuna. Sembra essersi smaterializzato.
- Maledizione non può essere svanito nel nulla quel bastardo - feci sobbalzare la mia scrivania quando sbattei forte i pugni sopra.
- Tony, Non sarebbe meglio che andassi a casa anche tu? - Mi incalzò Bishop mentre prendeva il suo zaino per andarsene
- No, sto bene qui.
McGee mi chiese se volevo che rimanesse con me, Abby se volessi mangiare qualcosa, Palmer se avevo bisogno di un posto dove stare se non volevo tornare a casa… Mi facevano domande su domande, stavo per esplodere.
- Ragazzi miei, credo che Tony ora voglia solo stare un po’ tranquillo. Concediamoglielo senza fargli troppe pressioni. - Ducky, come sempre, aveva capito tutto.
- Grazie dottore.
- Se avrai bisogno saprai tu dove trovarci.
Abby corse a stringermi di nuovo in uno dei suoi soliti abbracci infiniti. Aveva gli occhi lucidi anche lei. Mi lasciai abbracciare e mi fece bene. Poi se ne andarono tutti, lasciandomi lì, da solo.

I giorni successivi furono tutti uguali e di Roy Dunn ancora nessuna traccia. Le giornate le passavo vicino a Ziva, che fortunatamente migliorava almeno nel fisico abbastanza rapidamente, ma questo non mi stupiva: era sempre stata forte. 
Quello che mi lasciava completamente inerme era il suo totale mutismo. Non parlavamo, non comunicavamo. Non mi diceva nulla. Solo risposte a monosillabi a domande standard, ma non era questo che io intendevo per parlare. Si stava portando dentro un dolore enorme e mi stava escludendo. Io avevo sempre più domande da farle che mi giravano in testa, tanti perché di quel suo comportamento ma data la situazione non riuscivo a chiederle nulla. E le domande si facevano sempre più grandi ed opprimenti come i suoi silenzi che mi facevano impazzire.
I ragazzi della squadra e soprattutto Abby mi chiedevano se potevano andarla a trovare, ma gli consigliai di evitare ed aspettare ancora un po’, non voleva vedere nessuno. Fu una mia interpretazione ai suoi silenzi, ma non credo che fosse distante dalla realtà.

Stavo lì, tutto il giorno in attesa che decidesse di parlarmi e la sera tornavo all’NCIS per cercare qualche notizia su chi aveva rovinato la mia vita. Non riuscivo a tornare a casa. Dormivo qualche ora alla scrivania, mangiavo schifezze delle macchinette e per fortuna avevo qualche cambio per le emergenze nel mio armadietto e in macchina. Non avrei retto ancora a lungo: se non mi parlava lei, dovevo prenderla di petto e farlo io. Questi silenzi ci stavano uccidendo e non ci avrebbero portato da nessuna parte.

--- --- --- --- ---

Guardai l’orologio sul muro in fondo alla stanza. Tra poco Tony sarebbe tornato e come gli altri giorni sarebbe stato qui vicino a me. In silenzio, discreto. Non era da Tony, ma non potevo non apprezzare quanto stava facendo per me, non lasciandomi mai sola nonostante i miei dolorosi silenzi. Non ce la facevo a parlare, avevo paura a farlo.
Arrivò, puntuale come era sempre stato quei giorni. La sua dolcezza nel guardami era disarmante, ma dentro i suoi oggi leggevo la tensione e la tristezza accumulata in tutti quei giorni. Si sedette come al solito vicino me, mi prese la mano, la accarezzava e non disse nulla.

Era arrivato il momento di dirglielo. Ero sicura che dopo le cose non sarebbero state più come prima, ma tutto questo doveva finire, in un modo o in un altro. Avevo avuto tanto tempo per pensare in questi giorni, pensare a tutto quello che era successo in questi giorni e in questi anni. I miei errori si accumulavano sui precedenti creando solo dolore su dolore, dovevo spezzare questa spirale malsana.

- Tony…
- Dimmi, cosa c’è?
- Baciami, ti prego.
Era sorpreso dalla mia richiesta. Vedevo i suoi occhi brillare di emozione e lacrime mentre si avvicinava al mio viso. Mi accarezzò la guancia e dolcemente mi baciò con tutta la tenerezza che poteva. Volevo che quel bacio non finisse più, volevo ricordarmelo per sempre. Ero sicura che sarebbe stato il nostro bacio d’addio. Si mise di nuovo seduto vicino a me, mi guardava sorridendo e guardandomi così mi sentivo ancora peggio per quello che stavo per fare.

- Ti ricordi quando mi hai chiesto se avevo più pensato alla notte passata insieme nella mia casa a Beer Sheva? - Le parole mi uscivano con un filo di voce.
- Certo.
Era stupito di sentirmi parlare, forse ancora di più di quella domanda in quel momento.
- Ti ricordi cosa ti avevo risposto?
- Che ci avevi pensato tutti i giorni, ma cosa c’entra questo adesso?
- Aspetta Tony, fammi finire. C’è un motivo se a quella notta ci ho pensato tutti i giorni, proprio tutti. Quel motivo si chiama Nathan Anthony… è bellissimo… ti assomiglia. 
Si ritrasse lasciando di colpo la mia mano, quasi gettandola via, come se stesse tenendo qualcosa di incandescente che lo aveva appena ustionato.
Chiusi gli occhi un attimo e capii che tutte le mie paure erano diventate realtà, ma ormai non si tornava più indietro.
- Non mi stai dicendo quello che penso, vero Ziva? Dimmi. Che ho. Capito. Male. - Scandiva le parole in modo ritmato. Il suo volto era cambiato: i lineamenti erano diventati duri e i suoi occhi vibranti ora erano delle piccole fessure verdi taglienti.
- Hai tutto il diritto di essere arrabbiato Tony. Hai tutto il diritto di odiarmi. - Mi ero già condannata e letta la sentenza.
- Tu mi stai dicendo che hai un figlio… che è mio figlio?
- E’ tuo figlio. - Sussurrai. Silenzio: attimi di silenzio totale in cui sentivo solo il suo respiro profondo.
- E me lo dici ora? Me lo dici adesso? Cos’è mi hai visto triste ed hai voluto darmi questa notizia? Se questa tragedia non accadeva non me lo avresti mai detto?
- Non è semplice Tony, ma non è per questo. È solo che non riesco più a reggere il peso di mentirti.
Scosse la testa, deglutì. Si passò le mani tra i capelli e poi sul viso. Era un fascio di nervi, tremava.
- Dov’è adesso? Dove lo hai lasciato? Perché non è con noi? - Mi incalzava con le domande, tutte quelle domande che temevo, alle quali non trovavo risposte convincenti nonostante ci pensassi da tempo.
- Non lo so dov’è. Il Mossad lo ha preso quando tu sei stato ferito e mi avevano detto che fino a quando non avevano quei maledetti documenti non mi avrebbero ridato nostro figlio. E invece…
- Nostro figlio… te lo ricordi ora che è nostro figlio? Te lo ricordi adesso Ziva? Fino ad ora era tuo figlio vero? Perché non me lo hai detto subito? Perché non mi hai detto che eri incinta? Perché ti sei tenuta nostro figlio solo per te?
- Avevo provato a chiamarti quella sera Tony, ma poi quella telefonata…
Avevamo già discusso a Tel Aviv per quel fatto. Forse allora non aveva capito bene la mia reazione, ma ora vedevo che nella sua mente tutta la scena era chiara, ma non era comunque una giustificazione.
- Tu sei incinta di mio figlio e perché una risponde al mio telefono non mi dici nulla? Non richiami? Non parli con me? Conto così poco io per te da non valere nemmeno una seconda telefonata per dirmi “Ehy Tony guarda hai lasciato qua in Israele una cosa prima di andartene… diventerai padre, ti interessa?” - il suo tono sarcastico era peggio di una coltellata.
- Io ero confusa Tony, nemmeno sapevo se sarei stata in grado di tenere questo bambino. Se avrei mai potuto essere una madre per lui.
- Nemmeno io sapevo se sarei stato in grado di essere un padre, ma avrei voluto pormi il problema di chiedermi se anche io potevo essere un padre per lui e non trovarmi davanti al fatto compiuto.
- Io non ti sto chiedendo nulla Tony, se tu non vuoi non devi…
- Pensi che io sia arrabbiato perché non voglio prendermi cura di mio figlio?
No, io sapevo che lui non lo avrebbe mai fatto. Aveva sofferto troppo per la mancanza di un padre per farlo e solo ora capivo realmente cosa avevo fatto per lui.
- Tu e la tua maledetta voglia di fare sempre tutto da sola, di escludere gli altri dalla tua vita. Senza chiedere niente. Ma questo Ziva non riguardava solo te. Era mio figlio. Perché non mi hai detto niente?
- Non volevo farti preoccupare, non volevo che tu vivessi la stessa angoscia che sto vivendo io di non sapere dov’è.
- Non ora Ziva, perché non mi hai mai detto niente in tutto questo tempo! Hai avuto 3 anni di tempo per dirmi di lui!

Non riuscivo a trovare nessuna parola per ribattere.
- Tu… Come hai fatto a partire, a lasciare nostro figlio nelle mani di non si sa chi e non fare nulla per riprenderlo? Tu! La Ziva che credevo di conoscere non lo avrebbe mai fatto! Perché non abbiamo lui invece che quei maledetti documenti Ziva? - Tony stava perdendo il controllo e la sua voce era sempre più alta. Un’infermiera entrò invitandoci a rispettare il posto dove eravamo e a parlare a bassa voce. Tony si scusò e questa interruzione gli permise di riprendere fiato e calmarsi. Durò solo un istante, appena la donna uscì tornò ad incalzarmi con le sue domande.

 - Ci hai mai pensato a lui in questo periodo? Ti importa qualcosa di quel bambino? Oppure pensavi che potevamo farci una famiglia facendo finta di niente eh? Se questo bambino fosse nato mi avresti mai detto che avevamo da qualche parte nel mondo un altro figlio? Oppure chiodo scaccia chiodo? Eri incinta e non mi hai detto nulla per due volte…
Era la prima volta che parlava di quanto accaduto pochi giorni prima. Sentirmelo dire era come prendere coscienza della cosa. Mi sentivo dilaniata dal dolore. Per quella vita non ancora nata e già persa, per Nathan e per Tony. Sentivo che in un momento avevo perso tutte le cose più importanti della mia vita. Ed era solo colpa mia. 
Cercai comunque di trovare una giustificazione a quello che avevo fatto ma la prima a non esserne convinta ero io.
- Non è la stessa cosa. Te lo volevo dire… Ti volevo parlare di questo…
- Di questo…. Ho saputo che aspettavamo un figlio da un medico che mi faceva il resoconto di un intervento… Mi hai privato della gioia di sentirmelo dire da te, mi hai privato della gioia di accarezzare il tuo ventre con nostro figlio dentro, mi hai privato della gioia di passare anche una sola notte a pensare che volto avrebbe avuto quando sarebbe nato. Per due volte Ziva… Per due volte!
- Non parlarmi così… - lo stavo implorando
- No? Come dovrei parlarti? Mi hai tenuto per due volte nascosto che aspettavamo un figlio e mi dici dopo 3 anni che ho un figlio che non sai nemmeno dov’è… come dovrei parlarti?  
- Io amo nostro figlio più della mia vita. Ed è per questo che ho fatto di tutto per cercare quei documenti, per questo ora sto facendo di tutto per cercare una soluzione… anche quando tu mi dicevi che erano la mia ossessione per via di mio padre. Non erano la mia ossessione per mio padre, ma per mio figlio, per Nathan.
- La tua vita… Perché quando Gibbs ha detto di prepararci ed uscire non hai detto semplicemente “Ehy ragazzi scusate, non sto bene, non me la sento”. - Passava da una cosa all’altra senza nemmeno troppa razionalità, tutti i silenzi di questi giorni li stava sfogando in pochi minuti, mi lanciava le sue accuse e le sue domande senza risposte accettabili così come gli venivano - Troppo umiliante per te dire UNA volta che non te la senti di fare qualcosa? Oppure questo bambino era solo un errore per te Ziva?
- Tony, ti supplico, non pensare mai questo.

- Abbiamo un figlio e non mi hai detto niente. Eri incinta e non mi hai detto niente. Cosa sono io per te Ziva? Conto qualcosa anche io o sono solo un tuo giocattolino?
- Tu sei la cosa più importante che abbia mai trovato nella mia vita, tu mi hai regalato…
- Zitta Ziva. Stai Zitta. Non dire altro, non dirmi nulla. Non riesco a credere ad una parola che esce dalla tua bocca. Sono così deluso… Così deluso… Pensavo di essere qualcosa in più per te di una scopata consolatoria, come Rivkin o Adam e chissà quanti altri. O forse loro erano stati più bravi e non c’erano state spiacevoli conseguenze.
- Nathan non è una spiacevole conseguenza Tony. Non puoi parlare di lui così. Nathan per me è tutto.
- Lo avevi detto anche a me che per te ero “tutto”. Evidentemente devi rivedere la tua idea di “tutto” perché mi sembri quantomeno confusa.
- Io ero convinta che tu ti fossi rifatto una vita e che te l’avrei solo stravolta. Che se dopo così poco tempo avevi una nuova famiglia forse per te non era stato così importante. Che quel bambino non lo avresti voluto e ti avrebbe incasinato la vita. Quando poi ti ho rivisto, abbiamo parlato ed abbiamo discusso, ho capito che non era così ed è stato un trauma per me…
- Per te è stato un trauma… 
Poi pensò a quello che gli avevo appena detto e se è possibile si arrabbiò ancora di più. Rimase qualche secondo in silenzio e più che rabbia sul suo viso ora vedevo delusione e sofferenza e sapere che tutto questo glielo avevo provocato era straziante da sopportare. 
- Non mi dire questo Ziva, ti prego, non dirmi anche questo. Non sminuire il mio amore così, non lo considerare di così poco valore. Se lo avessi saputo avrei preso il primo aereo per venirti a prendere e portarti a casa e non me ne sarei andato fino a quando non lo avresti fatto. Oddio Ziva… mi avrebbe fatto meno male se mi avessi detto che avevi un altro che questo. Potevo accettare che tu ti innamorassi di qualcun altro, potevo accettare che tu non mi amassi, ma non che considerassi il mio amore per te così poco, che le mie parole non avevano alcun valore… Come puoi pensare che io non avrei voluto un figlio nostro? Io avrei fatto qualunque cosa se l’avessi saputo, sarebbe stata la cosa più bella della mia vita. Avrei fatto tutto! Ma tu… tu pensi solo a te stessa, decidi tu per tutti. Poi te ne freghi se le tue decisioni avranno conseguenze anche sugli altri, per te al mondo ci sei tu e basta, tu e le tue maledette decisioni. Ho un figlio che non so che faccia abbia, che non ho mai visto, che non ho mai tenuto in braccio… Che non so quando e se vedrò mai…
- Non lo dire Tony. Non lo dire nemmeno per scherzo.
- Adesso ti preoccupi che non lo potrai rivedere? Strano, negli ultimi tempi non mi sembravi così preoccupata non me ne hai mai parlato. - Disse sarcastico prima di tornare a farsi serio - Nel Mossad vi insegnano a tutti a non amare e sacrificare i vostri figli?
Le sue parole erano crudeli, il suo sguardo ancora di più. Voleva colpirmi due volte, come madre e come figlia e ci riuscì in entrambi i modi. So che aveva tutte le ragioni del mondo ma non lo potei accettare e gli diedi uno schiaffo in pieno volto.

Il rumore dello schiocco interruppe la sua foga
- Bene, direi che adesso ci siamo proprio detti tutto. - Disse toccandosi la guancia, ma sapevo che non gli avevo fatto male, non avevo nè la forza nè voglia di farlo ancora.
Se ne andò sbattendo con forza la porta della camera. Io mi ributtai sui cuscini a peso morto e tutto il peso di quella conversazione mi schiacciava violentemente verso il basso, comprimeva il mio petto tanto da rendermi difficile respirare.
Ed il terrore che niente sarebbe più stato come prima si stava tramutando in una inevitabile certezza.

 

NOTE: Il capitolo è lungo, le note pure :D
Ho fatto di tutto per sistemarlo al meglio per pubblicarlo prima di partire. Sarò a Berlino per lavoro per una settimana, ma non vado a cercare nessun serial killer del Mossad, ho un lavoro molto più tranquillo e chissà, magari mi verrà l’ispirazione per qualche altra storia ambientata lì :D

Oltre a ringraziare chi commenta i vari capitoli, vorrei dire a mon_petit_pois che se sono stata alla fine anche io scontata con questo risvolto, è perchè mi serviva un’azione grave e ripetuta di Ziva per far incazzare di più Tony con lei ma non solo, e per creare un motivo scatenante per Ziva per rovesciare il suo mondo che si era costruita, quindi spero mi perdonerai la banalità ;)

Credo che questo sia il capitolo più duro di tutto il racconto. Sicuramente per me è stato il più emotivamente impegnativo da scrivere insieme al prossimo. 

Molte frasi e molte domande sembrano non avere molto filo logico con quanto detto prima, ma è una cosa voluta. Mi sono immedesimata in una discussione quando due persone litigano e si buttano contro tutto quello che hanno dentro, non per chiarirsi ma con l’unico scopo di farsi più male e per questo diventa tutto più concitato e senza un vero e proprio filo conduttore. Mi sono immaginata la mente di Tony così, con tutte le cose che aveva in sospeso da dire, tutti i dubbi che lo affliggevano usati come un’arma contro di lei. Spero che come l’ho scritto renda l’idea.
Anche Ziva non è sempre molto coerente in quello che dice, perchè sa bene che una vera giustificazione a quello che ha fatto non c’è, se non una sola: la paura, ma se non lo ammette prima con se stessa, non potrà farlo con gli altri e troverà sempre giustificazioni stupide.

Non si può mai sapere come reagisce una persona ad una notizia del genere e non è detto che l’amore basti a frenare la rabbia, soprattutto quando riaffiorano tutti i fantasmi del passato. E il povero Tony è stato meno forte di quando forse qualcuno leggendo i capitoli precedenti potesse pensare… Supereranno anche questa? Che ne pensate? ;)

Il prossimo capitolo sarà un capitolo introspettivo nei pensieri di Ziva, come sta vivendo lei questo momento estremamente difficile, nel quale deve prendere coscienza che è totalmente sola. 

Sulla canzone scelta:  ho pensato molto a quale fosse la canzone più adatta per questo capitolo, ho cambiato idea almeno 3 o 4 volte, perchè trovare una canzone adatta a questa situazione non è facile. Alla fine ho scelto questa perchè da sempre la reputo una delle canzoni più tristi in assoluto e l’ho ascoltata molte volte mentre scrivevo questo capitolo e poi mi piaceva associarla al bacio che Ziva chiede a Tony prima di raccontargli tutto e secondo me esprime bene il dolore che lei provava baciandolo credendo che sarebbe stata l’ultima volta.

Prima dei fuochi d’artificio però vi ho voluto lasciare con qualche momento tenero:  Tony che assiste Ziva in silenzio e lei che prima di dirgli tutto gli chiede un ultimo bacio, piaciuta l’idea? Vabbè, non è molto, accontentatevi di questo per ora… 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Tears In Heaven ***


… Time can bring you down; 
time can bend your knees            
Time can break your heart,
 have you begging please …

Dicono che la follia sia evadere dalla realtà, fare finta che non esista per sopravvivere al dolore e alla nostra stessa vita. Se la follia fosse questo io probabilmente ero diventata folle per non impazzire. Ci sono dei dolori e delle sofferenze dell’animo che solo facendo finta che non esistano si possono superare e si può vivere. Anzi, si può sopravvivere.
Di tutte le cose che Tony mi aveva detto, quella che mi aveva realmente devastato, era stata l’accusarmi di non provare nulla per nostro figlio e di aver fatto finta di niente, per tutto questo tempo, mentre noi eravamo a Washington e lui in Israele. Era stata come un faro acceso, puntato dritto in faccia, che faceva risplendere il mio dolore in modo così intenso che abbagliava e mi annebbiava anche la vista.

Quante volte ho pensato di dirglielo, quante volte sono stata sul punto di cedere, di liberarmi da questo macigno. Ogni volta che lui diceva di amarmi, che parlava della nostra vita insieme, vivevo con la sensazione di tradirlo, ogni momento. Ma parlarne con lui sarebbe stato rendere tutto ancora più reale, sarebbe stato uno straziarsi in due, con la paura, che ormai è una certezza, che non avrebbe capito, che sarebbe finito tutto e, egoisticamente, non lo accettavo. Avrei voluto dirgli tutto presentandogli suo figlio, quando finalmente sarebbe stato qui. Avrei voluto vederli guardarsi negli occhi e riconoscersi, quegli occhi così uguali, che sapevano trafiggermi l’anima. Non è stato possibile. Ora non sarebbe stato possibile più niente.

Le parole di Tony sono state la presa di coscienza che strappa il velo di follia e fa impazzire di dolore. Nathan era stato tutta la mia vita nei 3 anni in Israele. Da prima che nascesse quando era dentro di me, era la mia unica ancora di salvezza e l’unica cosa che mi dava ogni giorno la forza di andare avanti. Nathan era veramente il mio dono. 
Concentrarmi solo su quello che dovevo fare, su quello che dovevo cercare, era l’unico modo per non impazzire nell’attesa di poterlo riabbracciare. Scacciare di continuo la sua immagine dalla mente era l’unico modo per non cedere a crisi di pianto, fare finta di nulla era l’unico modo per non cadere nel baratro dell’angoscia per la paura di non vederlo più.

Nathan era parte di me. Era la parte migliore di me ed era quello che mi aveva fatto capire che dentro di me c’era altro. Nathan era come suo padre: l’unico che sapeva toccarmi tutte le corde del cuore, che riusciva a farmi provare un amore smisurato ed infinito. Era il frutto dell’amore più vero che abbia mai provato, dell’amore più dolce e sincero. Per questo per me era veramente un Dono d’Amore. Nei suoi occhi c’erano gli occhi di Tony, lo stesso sguardo furbo e mascalzone di chi aveva già capito che per me era impossibile non cedere davanti a lui. Magari lo avessi fatto anche con suo padre prima di quanto il destino avesse mi quasi imposto di farlo, facendomelo ritrovare davanti.
Passavo le ore a guardare mio figlio. E quegli anni sono volati nel vederlo crescere, troppo velocemente, per riuscire ad assaporare ogni momento. Dal suo primo pianto, piccolissimo, appena nato, in anticipo rispetto a tutte le tabelle, perché aveva tanta voglia di vedere il mondo, a quando me lo hanno appoggiato sul petto la prima volta ed apriva gli occhi al mondo. La prima volta che ho visto nei suoi occhi gli occhi di suo padre, ed in quel momento era tutto così chiaro del perchè lui era lì, lui era nato. Quel primo sguardo così intenso da farmi dimenticare che c’era tutto un mondo intorno a noi, così forte da sembrare che anche tutto il mondo ora girasse in modo diverso, girasse solo in funzione sua. La sua manina che stringeva con una forza esagerata per un corpicino così piccolo il mio dito. Le notti insonni passate a cullarlo, le giornate insieme sul lettone a giocare e a farci le coccole. Le prime parole, i primi passi. La prima volta che mi ha chiamato mamma. Il suo sorriso, le sue risate. Lui e la sua palla, che all’inizio era più grande di lui e non riusciva a portarla nemmeno con tutte e due le braccia e i pomeriggi passati a giocarci. Lui ed i suoi dinosauri che si mangiavano tra loro e “tu tieni questo che è quello buono” quando mi dava quello con l’espressione meno cattiva. Perché lui era l’unico che in me vedeva solo la mamma, l’unico ad avermi visto solo per quello che ero con lui, non per quello che ero stata e che sarei stata ancora, l’unico che non mi giudicava e che si fidava di me in maniera incondizionata.

Le sere passate a leggergli le sue storie preferite prima di dormire e la sua mano che non si staccava dalla mia fino a quando non era completamente nel mondo dei sogni, guardare i cartoni animati, sempre quelli, allo sfinimento. Vederlo addormentare e dormire beato con i suoi boccoli lo stesso colore dei miei arruffati sul cuscino,. Le volte che la notte si svegliava piangendo e dormivamo insieme abbracciati, portarlo nel mio letto e tenerlo stretto a me tutte le volte che io avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino, reale: lui non lo sapeva quante volte mi aveva salvato solo con la sua presenza, quante volte le sue manine che mi sfioravano erano state capaci di calmare la mia anima inquieta. 

La prima volta al mare e quanto gli piaceva quando lo tenevo in braccio ed andavamo insieme verso le onde e lui rideva con gli schizzi dell’acqua e voleva sempre di più. Le sue forti risate in altalena o nel passeggino quando andavo a correre e lo spingevo e lui sentiva il vento sul viso e gli piaceva ed io mi sentivo libera a correre con lui sul lungomare anche quando la gente ci guardava perplessi. Come si sporcava quando mangiava il gelato e diceva sempre “tanta panna mamma”!

Ripassavo mentalmente ogni momento di lui, ogni momento di noi. Ed ogni pensiero era come una manciata di sale buttato su una ferita viva. 
Solo una madre sa cosa prova per il proprio figlio, ma non ne facevo una colpa a Tony di questo. Più pensavo a Nathan, a tutto quello che avevamo vissuto noi due da soli in quel troppo breve periodo, più realizzavo quanto Tony stava soffrendo in quel momento. 
A lui non importava per quale motivo lo avessi fatto, se fosse stato a fin di bene, involontariamente o di proposito. Più pensavo a lui, più mi rendevo conto che avevo privato Tony di tutto questo. Che lui non aveva mai sentito come Nathan rideva quando andava in altalena. Non conosceva il suo pianto quando aveva paura la notte. Non aveva mai sentito la sua vocina chiamarlo “papà”, non aveva mai visto il suo sorriso la mattina quando lo svegliavo riempiendolo di baci né aveva mai visto la gioia nei suoi occhi davanti ad un regalo. 

Non potevo fare nulla per fargli rivivere la gioia di quando è nato, per ridargli i suoi primi passi, le sue prime parole… 

 

Scoprire di avere un figlio ostaggio del Mossad e di aver perso un figlio che ancora non sapeva di aspettare. “Mi hai privato della gioia di sentirmelo dire da te, mi hai privato della gioia di accarezzare il tuo ventre con nostro figlio dentro, mi hai privato della gioia di passare anche una sola notte a pensare che volto avrebbe avuto quando sarebbe nato”. Le sue parole rimbombavano nella mia mente di continuo ed erano dolore al dolore, angoscia all’angoscia. Non riuscivo nemmeno più a piangere. Avevo distrutto le nostre vite, era solo colpa mia, ancora una volta, ma non si trattava più solo di noi due.

Portai una mano sul ventre, desolatamente vuoto. Era stato in me così poco tempo ma già sapevo di amarlo così tanto. In quei pochi giorni che sapevo che stava crescendo in me, avevo pensato a tante cose per il suo futuro, come saremmo stati tutti e quattro una famiglia, alla faccia di Tony quando gli avrei detto che aspettavo un bambino, a come avrei vissuto diversamente questa maternità: non sola con la paura del futuro ma con un uomo vicino con cui condividere ogni momento bello ed ogni preoccupazione. Pensavo alle parole di Tony, pensavo a lui che avrebbe accarezzato il mio ventre che cresceva e l’angoscia mi schiacciava come una morsa insieme ai sensi di colpa e alla sensazione di fallimento. Mi immaginavo il suo volto, se fosse stato un altro bimbo o una bambina, se avrebbe avuto gli occhi di Tony come Nathan o se come Tony avrebbe avuto il naso o le labbra: sarebbe stato comunque bellissimo. Già mi immaginavo la nostra emozione nel sentire la prima volta il suo cuoricino battere alla prima ecografia che avevo già prenotato. Fantasticavo su di noi, di come saremmo potuti essere felici insieme a fare le cose normali che fanno tutte le famiglie. Ed era finito tutto prima di cominciare. Era svanito tutto, proprio tutto.

Tony mi conosceva come nessun altro e proprio per questo quando voleva ferirmi riusciva a farlo in modo così devastante. In un momento quel giorno la realtà si spalancò ai miei occhi con le sue parole e capii che avevo fallito in quello che una madre non dovrebbe mai fallire: proteggere i suoi figli. 
Tony mi odiava. Il suo tono, le sue parole, i suoi occhi. Aveva tutte le ragioni del mondo per farlo, ma non riuscivo a sopportarlo. Ecco perché me ne ero andata, ecco perché ero sparita. Non avrei sopportato che lui mi guardasse e mi parlasse così e forse avevo sempre temuto che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa che lo avrebbe portato a farlo. Per paura di soffrire avevo evitato di vivere. 
Dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che avevamo passato negli anni lui ancora mi amava ed io lo avevo tradito così. Ora capivo quanto avevo sbagliato ma non potevo fare più nulla. Prima mi ero rassegnata a vivere senza di lui adesso invece mi sembrava impossibile poterlo fare.
Ora mi rendevo conto di quanto ero stata stupida a lasciarlo fuori dalla nostra vita tutto quel tempo, quanto ero stata stupida a non dirgli nulla. Ora, solo ora, capivo quanto mi ero lasciata condizionare dalle mie stesse scuse per giustificare il mio comportamento. Quanto ero stata egoista ad impedire a Tony di conoscere suo figlio e a mio figlio di crescere conoscendo suo padre, solo perché io avevo il terrore di vederlo con un altra donna convinta che non mi amasse e non mi volesse più. 

Volevo gridare, prendermela con il mondo, distruggere tutto quello che avevo a portata di mano, ma non potevo. Non erano le ferite del corpo ad impedirmelo, ma la mia anima era svuotata, inerme su quel letto.
Maledicevo me stessa ed il fatto che dovunque passassi sembrava potessi lasciare solo una scia di morte e dolore nelle persone che amavo di più. Chiunque amassi mi veniva portato via.

Ero sola in quella stanza. Sola con il mio dolore e la mia disperazione. 
Pensai a mia madre. 
Era anni che non mi capitava di voler così tanto mia madre vicino a me. Lei che da troppo tempo non c’era più e mai come adesso avrei avuto bisogno di lei, di quell’abbraccio che solo una madre sa dare, ed ora capivo cosa c’era dietro l’abbraccio di una madre, perché solo quando sei madre capisci quanto una madre ti ama.
 “Nel Mossad vi insegnano a tutti a non amare e sacrificare i vostri figli?” L’immagine di mia madre che ci porta via, lontano da Israele. Io, lei e Tali. Sole ma felici, lontano da tutto. Mia madre aveva fatto di tutto per proteggerci, per allontanarci dalla vita di mio padre. Poi lei non c’era più e tutto era crollato. Mia madre ci aveva protetto fino alla fine, fino a quando aveva potuto. Avrei voluto essere come lei. Avrei voluto sacrificare la mia vita per i miei figli, ed invece era il contrario. Ora ero io che avrei voluto essere ancora figlia tra le braccia di mia madre e piangere, piangere e piangere ancora mentre lei mi cullava per farmi addormentare e mi diceva “Andrà tutto bene Ziva, è solo un brutto sogno”. “Cosa mi avresti detto oggi mamma? Mi avresti aiutato in questi anni a fare la cosa giusta?” Ma nella mia mente non c’erano risposte a questa domanda, c’era solo la voglia di un abbraccio che non sarebbe mai arrivato, quello della mia mamma.

Lei non c’era e non era solo un brutto sogno: ero totalmente sola e pensavo che me lo meritavo. In quel momento sarei voluta morire per mettere fine a quello strappo dell’anima che non si sarebbe mai ricucito.

Mi sfilai l’anello che mi aveva dato la sera del mio compleanno e lo appoggiai sul comodino, ora non aveva più senso tenerlo. Non aveva più senso niente.

 

NOTE: Ok, ok, anche questo è stato duro, almeno per me scriverlo. E’ stato il capitolo che ho corretto più volte, perchè non ne ero mai soddisfatta al 100% e in realtà non lo sono nemmeno ora.
Mi piacerebbe veramente sapere cosa ne pensate ora di Ziva, soprattutto chi mi aveva detto di odiarla per come si era comportata. Ho provato a portarvi un po’ dentro la sua mente e di farvi provare le sue emozioni così come me le sono immaginate io. 
Mi piacerebbe soprattutto sapere se pensate che c’era ancora qualcosa da chiarire del suo comportamento che non ho preso in considerazione, così visto che sto risistemando un po’ di capitoli, magari trovo il modo di fare chiarezza su qualcosa che per me è scontato e a voi sfugge.

Tony non l’ho messo da parte, ci sarà un po’ nel prossimo capitolo, ma avevo bisogno di uno spazio specifico per parlare di lei e delle sue sensazioni in un momento così complicato, con tre diversi tipi di dolore da gestire.
Vi scrivo da Berlino, fortunatamente qua il wifi in hotel è buono e forse mi è venuta anche l’idea per un’altra FF vedremo….

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Father and Son ***


… I was once like you are now
And I know that it's not easy
To be calm when you've found    
Something going on
But take your time, think a lot
I think of everything you've got
For you will still be here tomorrow
But your dreams may not …

Il rumore della porta che sbatteva riecheggiava nel corridoio. L’infermiera di prima mi venne incontro. Stava di nuovo riprendendomi per il mio comportamento poco consono. Annuivo ma nemmeno l’ascoltavo.
- Se è tutto, io adesso andrei, ok? 
Non aspettai una risposta, me ne andai dall’ospedale e non ci tornai più. Sapeva come avrei reagito, ecco perché mi aveva chiesto quel bacio prima. Era il suo bacio d’addio, ancora una volta. Addio… Rabbia ed angoscia si divertivano a giocare dentro di me. “Ziva David, perchè ti diverti a giocare con me, con i miei sentimenti? Perchè prendi il mio cuore e lo calpesti?

Tornai all’NCIS.
Appena si aprì l’ascensore gli occhi di Gibbs, McGee e Bishop erano tutti su di me.
- Ciao Tony, come mai così presto? - Mi chiese McGee
- Ziva non ha più bisogno di me.
- Sta meglio? - Mi chiese Bishop innocentemente e speranzosa. Si sentiva ancora in colpa per non aver potuto fare nulla.
- Non lo so. - Risposi secco mentre facevo scorrere le immagini di un caso sul pc senza in realtà guardarle.
Gibbs ci osservava da dietro il monitor senza proferir parola. Si tolse gli occhiali e si alzò.
- Tony, vieni con me
Lo seguii nella sala riunioni, chiuse la porta con forza.

- Allora Tony? Cosa diavolo sta succedendo.
- Capo, credo che tra me e Ziva sia stato tutto un equivoco, pensavo di conoscerla… Mi ha solo preso in giro…
Mi guardò perplesso nel sentire le mie parole, gli raccontai quanto accaduto prima cercando di essere il più lucido possibile, per quanto potevo e riuscivo in quel momento. Non ricordavo molto di quanto le avevo detto, mi venivano in mente frasi a caso insieme ai flash del suo volto che rigato dalle lacrime nel sentire le mie parole d’accusa. Gibbs ascoltava in silenzio, come suo solito, ma non riusciva a nascondere il suo disappunto nel sentirmi ripetere certe frasi. So cosa provava per Ziva. 

- Un figlio Gibbs! Ti rendi conto? Io ho un figlio e non sapevo nemmeno che esistesse!Io sono stato un fantasma nella sua vita. Chissà cosa avrà pensato di un padre inesistente. Forse mi odia e non lo so.
- Ne hai parlato con Ziva?
- No! Non voglio parlare con lei. Non adesso! Mi ha tolto 3 anni di mio figlio ed ora non sappiamo nemmeno dove sia, chi ce l'ha... come posso perdonarla?
- Non spetta a me dirtelo Tony. Ma non credo che evitare di parlare sia la soluzione migliore.
- C’è una soluzione a tutto questo Gibbs? Non esiste soluzione.
- La devi trovare tu, anzi voi. Comportandovi da adulti responsabili.
Rimasi un po’ in silenzio anche io. Ci guardavamo. Gibbs non se ne andava, sapeva che avevo altro da dire, aspettava i miei tempi. Non ero mai stato così taciturno.
- Io... Non so niente di lui
- Gli piacciono i dinosauri e il calcio. - Mi disse semplicemente, come fosse la cosa più normale del mondo che lui lo sapesse
- E tu che ne sai capo?
- Quando eravamo a Tel Aviv prima di trovarvi ero andato a casa di Ziva, vidi la camera di tuo figlio e molto foto di loro due insieme. Non ci misi molto a capire chi fosse quel bambino. 

Anche Gibbs conosceva mio figlio più di me. Mio figlio. Mi faceva così strano anche solo pensare quelle parole. Ero totalmente stordito ed arrabbiato.

- Lo sapevi da allora Gibbs. E non mi hai detto nulla! Lo sapevi per tutto questo tempo delle indagini! Sapevi perché Ziva era così nervosa a volte, sapevi perché dei suoi scatti improvvisi. Mi avete lasciato fuori da tutto! Eppure lui riguardava anche me! - Gli urlai contro
- Non ero io a doverti parlare di questo Tony. 
- Ziva lo sa che tu sapevi?
- Sì, ne abbiamo parlato a Tel Aviv, mi disse lei che quel bambino era tuo, ma ne ero certo anche da prima che me lo confessasse.
- Perchè pensavi che fosse mio?
- Lo pensavo non c’è un perchè. - Già, lui era Gibbs, le cose le sapeva, senza bisogno che nessuno dicesse nulla - Dovresti parlarci anche tu. Le cose non sempre sono semplici come sembrano. 
- La stai giustificando Gibbs. Non ci sono giustificazioni.
- Non la sto giustificando, sto dicendo che le cose possono essere complicate e non per la nostra volontà.
- Tu non sai Gibbs cosa vuol dire scoprire di avere un figlio e che nessuno te lo aveva detto per tre anni... 
- Mi dici sempre che io non so cosa stai passando tu, cosa hai provato tu. Non hai l’esclusiva del dolore Tony. E comunque no, non lo so cosa vuol dire. Mi piacerebbe saperlo. So cosa si prova a perdere una figlia e la donna che ami. Tu dopo 3 anni hai ritrovato entrambi. - Il tono della sua voce passò da arrabbiato a triste. - Non so cosa provi, è vero. So, però, che sei fortunato.

Era la prima volta che mi parlava della sua famiglia. Mi sentivo tremendamente stupido in quel momento. Per quanto potessi essere deluso ed arrabbiato con Ziva lei c'era e c'era anche nostro figlio, da qualche parte in Israele. Per quanto fossi tremendamente arrabbiato con lei e mi sentissi preso in giro non potevo nemmeno pensare in quel momento a cosa dovesse aver provato lui e quanto dovesse essere straziante. Ripensai a come mi sentivo quando l’avevo vista a terra, a quanto ho avuto paura di perderla, quando prima di rapirmi mi dissero che era in pericolo di vita e mi sentii gelare il sangue. Non riuscivo a capire cosa si potesse provare a perdere in un solo istante la donna che ami e tua figlia, forse non c’è una parola per esprimere un sentimento così annientante. 

- Scusa Gibbs... Non volevo...
- Già… Non volevi…
- Gibbs, mi sento…
- Deluso, confuso, triste, dilaniato - mi disse facendo la radiografia dei miei sentimenti
- Tutto quanto, sì.
- Lo so.
Se ne stava andando, probabilmente voleva vedere come stava Ziva. Io in questo momento non riuscivo nemmeno a prendermene cura, avrebbe fatto quello che avrei dovuto fare io, e mi sentivo un vigliacco per questo.
Le avevo vomitato addosso parole che mi vergognavo anche solo di aver pensato e lo avevo fatto volutamente, un’altra volta.
- Gibbs! Ma il calcio… sei sicuro? Io non so nemmeno come si gioca a calcio... 
- Imparerai pivello... Imparerai. Vattene a casa ora

Lo feci, ma prima passai dal dottor Mallard. Lui che era sempre a contatto con i morti capiva le cose della vita con una lucidità disarmante. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e sapevo che lui poteva ascoltarmi. E mi ascoltò, in silenzio, cercando solo di farmi coraggio e di consolarmi.
- Tony, l’amore è una cosa tanto grande e misteriosa. E più è grande più può far male e ferire, perché è come un elastico che più lo tiri più ti può tornare indietro con forza se te lo lasci sfuggire. Lo devi tenere con mani ferme. Non puoi lasciare che ti scappi via qualcosa che insegui da anni, senza nemmeno parlare.
- Era così chiaro Ducky che erano anni?
- Per chi vi era vicino, era chiaro da prima che lo capiste voi.

Non ero più tornato a casa dall’ultima mattina in cui uscimmo insieme per andare all’NCIS.
Il rumore della chiave nella serratura che girava era tremendo. Pensavo a tutte le sere di quei tre anni quando tornare a casa era sempre la stessa tortura. Speravo di non doverlo rivivere più. Ora però anche la casa era diversa. Perchè non c’era più un angolo di quella casa dove nei miei ricordi non c’era anche lei. Non era più un’entità, un ricordo o una speranza. In ogni luogo di quella casa c’era lei che in così poco tempo l’aveva totalmente riempita e resa bellissima. C’ero io con lei. C’eravamo noi.

Buttai le chiavi nella solita scatola e accesi la luce. C’era sul divano ancora la maglia di Ziva, quella nera con la quale dormiva, chissà perchè quella mattina l’aveva lasciata lì, non era da lei. Andai verso il frigo a prendere una birra. Poi ci ripensai ci voleva qualcosa di più forte. La bottiglia di Whiskey sul bancone sembrava l’ideale. Non presi nemmeno un bicchiere perché non serviva, volevo solo bere e dimenticare. Vicino alla bottiglia c’era una piccola scatola lunga e stretta, con degli orsacchiotti disegnati sopra. Ero sicuro di non averla mai vista. Un brivido mi percorse. La presi insieme alla bottiglia e mi misi sul divano. 
Buttai via il tappo, bevvi un lungo sorso mentre giravo la scatola tra le mani senza il coraggio di aprirla. 
Bevvi un altro sorso. 
Aprii la scatola ed era quello che temevo. 
Un test di gravidanza, due linee blu e sul fondo della scatola la scrittura di Ziva era inconfondibile “Auguri Papà”. 
Buttai via la scatola lontano. 
Bevvi ancora e cominciai a piangere e singhiozzare. Credo di non aver mai pianto tanto come quella sera. 
Mi sdraiai sul divano e proprio lì vicino c’era la maglia di Ziva. La presi la strinsi forte, la portai sul mio viso: profumava di buono, profumava di lei. Chiusi gli occhi ed ora la vedevo, seduta su quell’angolo del divano con in mano la sua tazza di te ed un libro, era così reale che mossi anche il mio braccio per toccarla. La vedevo sorridente qui a casa, in ogni angolo, chiudevo gli occhi più forte e sentivo la sua mano che mi accarezzava i capelli. Non riuscivo a pensare a lei, a quella lei di ora, che era in ospedale. Quella Ziva la odiavo, io nella mia mente vedevo solo la mia Ziva, quella che ricordavo fino a pochi giorni prima. Ora odiavo quella donna che inerme su un letto era riuscita a ferirmi più del mio peggiore nemico. Dal tuo nemico ti aspetti un attacco, anche vigliacco, alle spalle, un nemico sei pronto a combatterlo, sei pronto ad ucciderlo, vuoi distruggerlo. Ma io come potevo distruggere lei? In quel momento mi sentivo dilaniato in due. La odiavo per quello che aveva fatto, ma non riuscivo a smettere di amarla. 
Ripensavo a quello che mi aveva detto Gibbs a come mi sarei sentito se lei non ci fosse più. Una fitta allo stomaco mi prese tanto da farmi venire i crampi e la nausea. Tossii più volte, per sputare fuori dal mio stomaco quella sensazione di vuoto che il solo pensiero mi aveva generato. La vedevo a terra, con il sangue intorno a lei, ripensavo alle mie urla, a cosa avrei fatto se non avesse riaperto gli occhi. Forse urlai realmente in quel momento. Poi la rivedevo lì, su quel letto che mi diceva di nostro figlio e un moto di rabbia mi risaliva nelle vene fino a riempirmi la testa. Mi tornavano alla mente tutte le volte che mi aveva ferito, mi aveva abbandonato, mi aveva escluso dalla sua vita, mi aveva mentito. Perché nonostante tutto io ero ancora lì a piangere per lei, terrorizzato all’idea che le potesse essere successo qualcosa? Come si potevano provare sentimenti così forti e così contrastanti per una persona?
Pensai a quel bambino da qualche parte in Israele di cui non conoscevo nemmeno il volto e a quello che il cui volto non avrei visto mai. Erano i miei figli anche se uno non lo sarebbe mai stato.
Inspirai ancora profondamente il suo profumo su quella maglietta ormai piena delle mie lacrime, non sapevo se mi faceva stare meglio o peggio, ma era come se fosse ossigeno, mi era necessario farlo. 
Non smisi mai di piangere.

--- --- --- --- --- 

- Signore non può entrare. Non è orario di visita.
- NCIS, devo parlare con la paziente. 
- Ma…
Gibbs entrò senza curarsi delle rimostranze dell’infermiera. La sedia solitamente occupata da Tony era ancora lì e ci si sedette lui.
- Perché non mi hai detto nulla Ziva? Dovevi avvisarmi, non ti avrei coinvolto. - Non mi salutò nemmeno, venne subito al punto, come era suo solito. La sua voce era severa, mi stava rimproverando ma sentivo anche il suo dolore.
- Ma io Gibbs…
- Basta Ziva, basta scuse e giustificazioni. E basta soprattutto pensare che puoi fare sempre tutto da sola.
- Ormai è troppo tardi. Ora sono sola.
- Quanto è accaduto questa volta te lo sei cercata. Ti sei cercata tutto Ziva! Odio dirtelo, però ti avevo avvisato che più tempo facevi passare peggio sarebbe stato.
Aveva ragione.
- Hai parlato con lui? - Gli chiesi
- Sì, ma non chiedermi come stava, sarebbe inutile.
- Mi guardava con… odio…
- Non era odio, era delusione. Era rammarico, Ziva.
- Stagli vicino almeno tu Gibbs, ti prego. Io riesco solo a fare male a tutte le persone che amo, ad allontanarle da me. Sono io il problema.
- E’ vero. Sei tu il problema. Ma solo perché tu non ti vuoi fidare degli altri. Solo perché pensi di poter fare tutto da sola. Le persone che ti vogliono bene sono felici di aiutarti se tu glielo chiedi. E chiedere aiuto non è debolezza, è forza. 
- Gli starai vicino? Tu sei importante per lui.
- Non credo che ora voglia nessuno vicino. Deve capire da solo quello che è successo, deve elaborare la cosa a modo suo. A te non chiedo come stai, si vede.
Mi accarezzò il volto, scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte. 
- Sto male Gibbs. - Mi lasciai andare.
- Lo so. 
- Non sono stata capace di proteggerli… Non li merito… Non merito di essere madre…
Mi prese per le spalle e mi scosse
- Non dire mai più una cosa del genere. Mai più. Hai capito Ziva? Mai più.
Mi buttai tra le sue braccia e lo colsi di sorpresa.
- Ti prego Gibbs, non mi lasciare anche tu.
- Io ci sarò sempre quando avrai bisogno di me.

Mi tenne tra le sue braccia paterne per tanto tempo. Se ne andò, dandomi l’appuntamento al giorno seguente, perché secondo lui non dovevo stare troppo tempo da sola. 
Passò a trovarmi McGee. Fu una visita breve, Tim non era uno che mi parlava molto, ma sapevo che mi voleva bene, così come ne voleva a Tony. 
Mi portò una barretta della mia cioccolata preferita.

- Abbiamo avuto tutti paura per quello che ti è successo.
- Non dovete preoccuparvi troppo per me.
- Ci si preoccupa sempre per le persone a cui vogliamo bene, Ziva.
- Tony? - Avevo bisogno di avere sue notizie
- Non lo so, oggi non si è visto. Ma ieri non stava bene.
- Già… 
- Ehy Ziva, vedrai che a Tony gli passerà. Lui ci tiene tanto a te, ci ha sempre tenuto a te, non ha mai voluto perderti, non si è mai arreso nonostante tu… beh, tu non sei stata proprio una facile. Non lo farà ora.
Credo che McGee non sapesse ancora di Nathan, per questo parlava così. Ma in quel momento non avevo voglia di spiegargli tutto e mi limitai a ringraziarlo e a prendere quelle parole di speranza per buone.
- Grazie Tim…
- Ci si vede Ziva. - Mi diede un bacio affettuoso sulla fronte.

La mattina dopo, molto presto, fu il turno di Abby. Il suo affetto sincero mi aveva fatto bene, e poi parlava, parlava, parlava… tantissimo come sempre. Era riuscita anche a strapparmi qualche sorriso con i suoi aneddoti e le sue storie buffe. Le chiesi come andava con Stevy ed era felicissima ancora più entusiasta del solito quando si parlava di lui, e considerando lo standard di Abby non era facile immaginarla ancora di più. Ero sinceramente molto felice per lei e poi quel ragazzo mi era rimasto subito molto simpatico, si vedeva che era una persona per bene ed il fatto che fosse così diverso da lei secondo me era una cosa positiva. Non avevamo parlato di nulla di quanto accaduto fino a che non stava andando via.
- Non è giusto però! - Mi disse rabbuiandosi
- Cosa?
- Tutto Ziva! Tutto! Non puoi lasciare che tutto finisca così tra te e Tony!
Abby era diretta senza filtri. Ti diceva quello che pensava a volte anche in modo poco ortodosso.
- Io capisco che perdere un bambino è un dolore enorme, credimi Ziva ti capisco molto bene, ci sono passata tanti anni fa. E’ qualcosa che ti rimane dentro, ci sarà sempre un momento in cui ci ripenserai e ci starai male, penserai a quello che poteva essere e non è stato… 
- Abby tu… Non lo sapevo, mi dispiace.
- Io ero una ragazzina, ultimo anno di college, alcune volte penso sia stato meglio così, ma in tutti questi anni ho sempre pensato come sarebbe stato. Ma non dobbiamo parlare di me, adesso, dobbiamo parlare di te e di Tony. Ziva voi non potete distruggere tutto quello c’era tra voi nemmeno per un dolore così. Non è colpa tua, non sentirti in colpa. Io mi ci sono sentita per tanto tempo ma poi ho capito che non era colpa mia, non ti angosciare per questo. E anche Tony lo capirà che non è colpa tua e potrete averne altri di bambini… Voi vi amate!
Nè Tony nè Gibbs le avevano detto nulla. Era giusto che sapesse anche lei adesso, non avevo nessun motivo adesso per tenerglielo nascosto.- Abby, in questo caso è colpa mia. Potevo evitare di andare con la squadra. Potevo essere più prudente, mettere la mia famiglia e mio figlio prima di tutto. Invece non lo so… Ho avuto un momento di indecisione, ma quando Gibbs mi ha chiamato ancora… Non lo so, sono uscita con la squadra come se nulla fosse, mettendo me stessa ed il mio lavoro prima di tutto il resto.
- Ziva, non potevi pensare che per un semplice controllo accadesse tutto questo.
- Lo dovevo mettere in preventivo Abby, quante volte è già successo? Non mi giustificare non merito giustificazioni. Ma non è questo il motivo del comportamento di Tony… Noi abbiamo un figlio… 
- Coooosa? Ziva cosa stai dicendo?
- Tony lo ha saputo ieri, ecco perchè ha avuto quella reazione, è stata questa che ha scatenato tutto… 
- No Ziva! Questo non lo dovevi fare al povero Tony! E’ successo l’altra volta in Israele oppure era già successo prima che decidessi di andartene?
- In Israele - e mi sforzai per non pensare a quella sera senza piangere.
- Lo sapevo! Lo sapevo che tu dovevi avere un motivo per non farti più vedere e sentire… però Ziva, no! Non dovevi fare questo al povero Tony! Il mio Tony… non ti offendi vero se lo chiamo così? Lui stava malissimo per te! Io gli ho detto tante volte di dimenticarti ma lui non c’è mai riuscito! Non perché io volessi che ti dimenticasse veramente, nemmeno io ti volevo dimenticare, hai visto nel mio laboratorio ho sempre le tue foto. Glielo dicevo perché volevo che lui si riprendesse.
- Lo so Abby, non ti giustificare, non sei tu a doverlo fare…
- Oddio ma lui dov’è ora? Dov’è il piccolo Di Nozzo?
- Con il Mossad.
Abby si portò entrambe le mani sulla bocca lasciandosi scappare un urlo soffocato.
- Era lui! Era lui che dovevano consegnarci per i documenti! Non era qualcosa era il piccolo Di Nozzo, Vero Ziva? Era lui!
- Sì… Era lui…
- Tu… tu sei mamma… - Il suo viso si aprì in un sorriso quando realizzò la cosa
- Sì… - io non riuscii a sorridere e lei mi abbracciò ancora.

Bussarono alla porta. Credevo fosse l’infermiera per qualche prelievo o qualcosa del genere, invece era il dottor Mallard.
- Oh Ducky che bello che anche tu sei venuto a trovare la nostra Ziva! Io adesso stavo proprio andando perché ho tanto lavoro da fare all’NCIS.
- Buongiorno Abigail non sapevo di trovarti qui!
- Nemmeno io, infatti sto scappando da Gibbs se no mi ucciderà!
“Perfetto tutta l’NCIS sta venendo qui in pellegrinaggio a trovare la povera idiota” Pensai.
Abby uscì così come era entrata, come un terremoto. E tutto il suo brio fu sostituito dal caldo affetto rassicurante di Ducky.
- Figliola, come stai?
- Come se mi avesse travolto un carro armato
- Al dolore fisico si può più facilmente mettere un freno, trovare una cura o un palliativo per non sentire dolore. E’ quello dell’anima, mia cara, che non ha medicine realmente efficaci.
- Proprio a quello mi riferisco
- Ora vorrei dirti che non ti devi colpevolizzare per quanto accaduto, che la tua perdita non è colpa tua…
- Quindi pensi che lo sia?
- Oh no mia cara, tutto il contrario. Io sono certo che tu non hai colpe, ma che io te lo dica o no, fino a quando non sarai tu stessa a capirlo non servirà a nulla. Ziva, tu non hai mai avuto paura del dolore fisico, quanto invece per l’altro tipo di dolore… beh, di tutti gli agenti sei quella che lo ha sempre temuto di più, non è vero? Per questo ti trinceravi dietro le tue difese alte ed impenetrabili, perché avevi paura di sentire dolore, quel dolore che provi adesso. Avevi paura di perdere le persone a cui tenevi di più, per questo evitavi di legarti a chi effettivamente tenevi. 
- Se ti dicessi che non è vero cambierebbe qualcosa Ducky? - Sorrisi
- Beh sì, cambierebbe che stai ancora negando a te stessa quello che provi e quello che sei, ma so che non è vero. Sei una donna innamorata, sei una mamma, non puoi più fare finta di non provare nulla, non ne sei più capace adesso. Quando è nato tuo figlio qualcosa è cambiato per sempre dentro di te, ha spalancato le porte della tua anima e per quanto tu abbia provato a richiuderle non ci riuscirai mai più completamente.

- Tu lo sai allora…
- Non volevi che lo sapessi? E’ stato Anthony a dirmelo. Quel ragazzo sta soffrendo terribilmente, ma questo credo che tu lo sappia già, non è vero?
- Cosa sei Ducky, il mio grillo parlante? - Gli sorrisi
- No mia cara. Sono solo un povero vecchio - si sedette sulla sedia vicino al letto e mi prese la mano - che ha visto tante cose nella vita. Tante cose belle ma sfortunatamente tante cose brutte e sa riconoscerle. E tra te e l’agente Di Nozzo quello che c’è è qualcosa di bello. E mi dispiace vedere due ragazzi come voi farsi del male a vicenda stando lontani.
- C’era Ducky. Credo che ormai tra me e Tony non ci sia più niente. Lui adesso mi odia solamente.
- Non è così. Ho visto gli occhi di Anthony parlare di te, non parlavano di odio. Si sente ferito, tradito, ma non ti odia, non credo ne sarebbe mai capace. Tu e lui siete molto più simili di quanto crediate, figliola.
- Io so odiare, so odiare profondamente.
- Non ho motivo di credere che tu non sappia odiare Ziva, anche perchè vedo che adesso stai odiando prima di tutto te stessa, ma non mi riferisco a questo. Siete simili nel nascondere i vostri sentimenti. Non fosse così vi sareste trovati molto prima. Anche Anthony come te ha paura di ferirsi, di sentire dolore. Solo che lui reagiva al contrario di te. Più tu ti chiudevi in te stessa per non far avvicinare nessuno, più lui si apriva a tutte, anche troppo effettivamente, perché così non poteva mai affezionarsi a nessuna e nessuna lo poteva ferire perché non gli interessava. L’agente Di Nozzo è un ragazzo molto più sensibile di quanto voglia far vedere, ma credo che questo tu lo abbia già capito da sola.
- Già… E’ per questo che… - mi fermai
- Che lo ami. Dillo Ziva, non c’è nulla di male ad ammettere di amare qualcuno! L’amore è il sentimento più bello che c’è! È quando il tuo cuore non è capace di provare amore che ti devi preoccupare, non quando sei innamorata. Vedi bambina, tu sei così diversa da quello che hai voluto essere per tanto tempo, ma ti sei talmente convinta di essere un’altra che ora non trovi più te stessa e non sai più quale sia la vera Ziva.
- Come fai dire sempre la cosa giusta?
- Potrei dirti grazie alla mia laurea in psicologia, ma più probabilmente sono gli anni che mi porto sulle spalle a farmi riconoscere le persone. Soprattutto se sono persone che ho potuto conoscere molto bene per molti anni. Persone come te, mia cara, o come Anthony a cui sono molto affezionato. Adesso ti annoierò con uno dei miei ricordi… Tempo fa, nemmeno troppo a dire il vero, per motivi puramente professionali ebbi modo di lavorare e di stringere una sincera amicizia che dura tutt’ora, con una eccellente collega, una brillantissima mente in campo scientifico. Lei, come te, era completamente chiusa in se stessa e per non soffrire rifiutava ogni forma di coinvolgimento emotivo riducendo ogni suo sentimento a pure reazioni chimiche e rielaborandolo solo con la razionalità. Poi in un momento di debolezza, perché tutti li abbiamo, anche le persone più corazzate, si lasciò andare con la persona che aveva sempre amato. Scoprì di essere incinta e grazie questo evento miracoloso, che è la vita, scoprì anche tante altre cose di se, che teneva nascoste, principalmente, a se stessa. Ora ha una famiglia felice, si è sposata con quello che, per anni, non aveva voluto ammettere a se stessa che fosse il suo grande amore, un bravo ragazzo che la ama immensamente. Ti ricorda qualcuno questa storia, mia cara? 
Sospirai ed annuii solamente, capendo bene quello che voleva dire…
- Ziva, ricordati che una nuova vita, per quanto le circostanze in questo caso tendano a far pensare il contrario, non potrà mai dividere due persone che si amano, magari il percorso sarà più tortuoso ma non interrotto. Tu sei sempre stata una donna impenetrabile Ziva, ma non forte. Ora devi essere forte ed affrontare quel dolore che ti fa più paura. Beh ora si è fatto tardi, devo andare anche io, il signor Palmer mi starà aspettando…
- Grazie Ducky
- Grazie a te Ziva, di aver permesso a questo anziano signore di annoiarti un po’ con i suoi discorsi
- Torna quando vuoi ad annoiarmi, è sempre un piacere.
- Lo farò Ziva. E spero che ci saranno giorni migliori.

 

NOTE: dopo il precedente un altro capitolo molto introspettivo, visto il momento ci stava. La storia riprende esattamente da dove si era interrotto il capitolo 25, ovvero da Tony che esce dalla stanza. Ecco il suo punto di vista su quanto accaduto, vi fa un po’ tenerezza nella sua fragilità? Ed il paterno Gibbs che mette sul piatto anche i suoi sentimenti per far ragionare uno sconvolto Tony vi piace?
Ho fatto soffrire un po’ Abby per creare un momento di empatia con Ziva e poi Ducky a dispensare qualche pillola di saggezza ed un po’ di speranza. 
Per quanto riguarda il titolo, Father and Son, è certamente riferito a Tony e Nathan (mica avrete sperato che Nathan arrivava così presto all’improvviso a rimettere apposto le cose? Non sarebbe da me :D) , ma anche al comportamento di Gibbs con lo stesso Tony e Ducky che più che il papà è il nonno buono di tutti :)

Avete riconosciuto chi è la “brillantissima mente in campo scientifico” amica di Ducky? Bones e Ziva: due donne che per troppo tempo hanno nascosto i propri sentimenti per paura di soffrire. Chiamiamolo un “Easter Egg” e chissà che non ce ne saranno altri.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Suspicious Minds ***


… We can’t go on together 
With suspicious minds 
And we can’t build our dreams
On suspicious minds
Oh, let our love survive 
Or dry the tears from your eyes
Let’s don’t let a good thing died …

Erano passati tre giorni e non ci eravamo più parlati. Ma io non avevo smesso un attimo di pensare a lei, a noi, a nostro figlio. 

Mi resi conto che il pensiero di Nathan stava diventando nella mia mente una costante come quello di sua madre, anche se mi provocavano sentimenti opposti. Passavo il tempo ad immaginarmi come fosse, ero convinto che Ziva da qualche parte avesse qualche sua foto, ma non ebbi nè il coraggio nè la voglia di cercarle. Nè, tantomeno, di chiederglielo. Nathan era la mia speranza, per il futuro, per il presente ed anche per il passato: era il segno che qualcosa di buono lo avevamo comunque fatto, perché io quel bambino non lo conoscevo, non sapevo nulla di lui, ma ero sicuro che fosse qualcosa di buono, non poteva essere altrimenti. Era la mia speranza per il presente, perché in quel momento a qualcosa dovevo aggrapparmi e non c’era nessun appiglio più forte e sicuro della volontà di conoscerlo, di fargli da padre. Non avevo mai avuto il minimo dubbio di questo, da prima che realizzassi completamente le parole di Ziva, io volevo essere suo padre. Faticavo ad ammetterlo anche con me stesso, ma era la mia speranza anche per il futuro, per riuscire a cicatrizzare le ferite, ricucire uno strappo forse impossibile, perché potessimo essere quello che saremmo dovuti essere da subito, la sua famiglia. Mi ritrovavo a pensare a me e Ziva genitori di quel bambino senza volto, ma che immaginavo uguale a lei: pensavo a noi a fare le stesse cose semplici di tutte le famiglie i pic nic al parco, le giornate al mare, le coccole sul divano, il cinema… Pensavo a lui, pensavo a noi e forse sognavo. 

Poi la realtà tornava prepotentemente nella mia mente, scalzando i sogni e facendomi ripiombare nel dolore. Potevo perdonarla? Potevo veramente pensare a noi insieme dopo quello che mi aveva fatto? Potevo credere di avere un futuro con una persona che mi aveva nascosto di avere un figlio, mio figlio? Come avrei potuto fidarmi ancora di lei per qualsiasi cosa in futuro? Era possibile passare sopra ad una cosa così grande? Dove avrei trovato la forza di farlo, se adesso non avevo nemmeno quella di vederla, o peggio, di parlarle?

Non era mai stato facile stare vicino a lei e solo adesso che ci eravamo ritrovati aveva cominciato a mostrare lati del suo carattere che erano completamente sepolti dalle sue sovrastrutture; con lei era sempre una guerra di emozioni continua, tra quella che era e quella che era stata, tra quella che era e quella che voleva essere o fingeva di essere. Prima ero convinto di conoscere quale fosse la vera Ziva, quella che conoscevo solo io, quella che solo a me mostrava i suoi sentimenti, quella che ho sempre saputo che c’era, dietro la sua maschera. Ora però avevo mille dubbi, mille paure. Mi aveva mentito su mio figlio, poteva mentirmi anche sul resto? Poteva mentirmi su chi era veramente, su quello che provava per me? Poteva essere che mi ero sempre illuso di sentirla così mia? Mi ripetevo che no, non poteva essere, non poteva essere così brava a farmi credere di provare certe cose, di trasmettermi certe emozioni se fossero state finte. Non potevo credere che per anni mi ero illuso di aver conosciuto, inseguito ed amato una persona che non esisteva se non nella mia mente, che era tutta una mia proiezione mentale. Ripensavo alle sue tenere carezze, alle sue mani che stringevano le mie, ai suoi abbracci disperati in cerca di protezione, ai suoi occhi che brillavano emozionati quando diceva di amarmi, a come facevamo l’amore con ogni parte del nostro corpo e della nostra anima. Non poteva essere finto tutto questo.

Però in un angolo della mia mente, un punto nero era sempre presente. Un dubbio che in alcuni momenti si espandeva fino a includere tutto, a farmi dubitare di qualsiasi cosa, anche di me.

La mia mente era affollata da tutti questi pensieri e non l’avevo nemmeno più sentita, ma in realtà non avevo più parlato con nessuno e non avevo più visto nessuno. Avevo paura di vedere chiunque, di sentire chiunque. Non volevo sentire prediche, frasi fatte, ricevere consigli. Mi veniva la nausea a pensare che qualcuno potesse dirmi “vedrai, la supererete” o che mi spiegasse quanto lei mi amasse o volesse ricordarmi quanto io amavo lei. Lo sapevo, purtroppo, quello che provavo per lei. Tutto quello che provavo per lei, tutto insieme, mischiato in maniera così confusa che non capivo dove finiva un sentimento e dove cominciava un altro. 

Avevo passato 3 giorni chiuso in casa a bere Whisky. Andai in bagno a farmi una doccia, mi guardai allo specchio avevo una faccia che faceva schifo e la barba lunga. Disegnate sul mio viso c’erano tutta la tristezza, rabbia e vergogna. E il dolore.
L’acqua scorreva fredda sulla mia pelle, speravo che servisse a risvegliarmi dal quell’incubo emozionale, che mi lavasse via quel senso di sporco che mi portavo addosso, perché mi sentivo in colpa per non riuscire ad affrontare la situazione e me ne stavo rintanato come un’animale.
Il dolore per quello che era successo non mi dava tregua.
Ero arrabbiato con Ziva per quanto mi aveva fatto, per quello che non mi aveva detto, l’avrei voluta odiare per questo, ma non ci riuscivo ed allo stesso tempo ero così triste per me e lei… Per noi… E mi vergognavo per quello che le avevo detto. Non bisognerebbe mai usare le parole di proposito per ferire le persone, oltre a tutto il resto adesso dovevo fare i conti anche con uno strano senso di colpa per aver infierito su di lei nel momento in cui era più vulnerabile. Che uomo ero? Le avevo promesso mille volte che non le avrei mai fatto del male e alla prima occasione ho fatto molto peggio, ho sfruttato tutti i suoi punti deboli per farlo.

Uscii dalla doccia e vidi una chiamata persa sul display dello smartphone. Richiamai.
- Tony mi ha chiamato l’ospedale, oggi pomeriggio dimettono Ziva.
- Ok.
- Se poi la cerchi è a casa mia.

Attaccò senza darmi possibilità di replica.
Dava per scontato che io non c’ero. Anzi, davano. Ziva e Gibbs, entrambi.
L’ospedale aveva chiamato Gibbs. Era lui che si stava prendendo cura di lei al posto mio. Era lui il suo punto di riferimento perché io non c’ero. Avvertii un senso di disagio. Cosa pretendevo, che avessero avvisato me? Che Ziva avesse dato a qualcuno il mio recapito in caso di bisogno? Però io lo davo per scontato che ero io, nonostante tutto. Mi sentii svuotato di un’altra parte di me. Allora era proprio così che stava finendo? Lei a casa di Gibbs ed io di nuovo qui da solo.

Non potevo darle torto visto che non mi ero più fatto né vedere né sentire e dopo quanto ci eravamo detti forse ricominciare era impossibile. Avrei avuto bisogno di uno dei consigli di Gibbs adesso, ma non potevo chiedergli niente. Anche con lui mi ero comportato da perfetto idiota.
Non sapevo cosa volevo. Provavo a percorrere tutte le strade possibili della mia vita e tutte mi facevano male e tutte in un mondo o in un altro avevano sempre una presenza costante: lei. 
Mi faceva male amarla quanto odiarla. L’avrei voluta odiare per come stavo soffrendo, e mi odiavo perché sapevo che anche lei soffriva per me, perché non potevo o non volevo amarla. Ma in realtà non ero certo nemmeno di questo, anzi ero certo del contrario, ero certo di amarla, dentro di me lo sapevo, ma non sapevo se sarei riuscito a fidarmi ancora, a rischiare di farmi ferire ancora, perché stare con lei mi sembrava come buttarsi nudi su un roveto per cogliere la rosa più bella. Ero disposto a soffrire ancora, perché sapevo che sarebbe successo, era questione di tempo. Valevano quei momenti di totale estasi e gioia che provavo con lei il baratro della sofferenza nel quale ero caduto per la sua assenza, per le sue menzogne?
Mi sembrava di impazzire e mi mancava l’aria. Cosa fare quando ogni cosa sembra sbagliata, anche il non fare niente?

--- --- --- --- --- 

Presi dall’armadietto la tuta nera che mi aveva portato Abby e cominciai a vestirmi; le cose che avevo erano tutte a casa di Tony e negli ultimi giorni non si era fatto vivo con nessuno, non volevo disturbarlo, le avrei riprese poi, tanto adesso non mi serviva nulla. Gibbs convinse Abby che era meglio se mi sistemavo da lui in questi giorni: anche lei si era offerta di ospitarmi, ma per quanto le volessi bene, adesso avevo bisogno di Gibbs, dei suoi abbracci ma anche dei suoi rimproveri che in quei giorni non mi aveva mai fatto mancare, costringendomi a prendere coscienza di tutto, facendomi capire gli errori che avevo fatto ma, come mi aveva ripetuto più volte in quesi giorni, fino a quando non ci sbattevo la faccia non me ne rendevo conto. 
Le ferite si stavano rimarginando, rimanevano solo i lividi sulla pelle. Dentro di me, invece, le ferite diventavano ogni giorno più profonde. Ogni giorno acquisivo maggiore consapevolezza di quanto era successo ed ogni giorno faceva più male. Mi sembrava di aver perso tutto, ancora una volta.
L’unica cosa che mi dava la forza di andare avanti e non lasciarmi andare era il pensiero di Nathan.

Sentii la porta aprirsi.
- Gibbs, sono pronta devo solo mettermi le scarpe. - Non mi rispose, ma non era strano per lui. Allacciate le scarpe e mi voltai. 
Era davanti a me con i lineamenti tirati e gli occhi arrossati, ma era lui. Rimasi immobile a fissarlo ed anche lui lo faceva. Mi sentivo trafiggere l’anima dal suo sguardo carico di tutto. Non ero preparata a sostenerlo, né mentalmente né fisicamente. Non sapevo perché fosse qui, non mi aveva detto nulla per giorni. Mi appoggiai al bordo di ferro del letto per sostenermi. Notò la mia incertezza ed ero sicura di vedere sul suo viso una smorfia di preoccupazione, ma gli feci cenno che era tutto ok. 
- Non sono Gibbs, spero vada bene lo stesso… - ruppe lui quell’imbarazzante silenzio.
- Tony… Non pensavo… non credevo saresti venuto… - Farfugliai qualcosa emozionata e confusa per vederlo lì. 
- Non lo credevo nemmeno io… - Non riuscivo a sostenere il suo sguardo adesso. La sua voce era diversa, non era quella adirata che mi rimbombava nella testa dell’ultima volta che ci eravamo visti, ma non era nemmeno la sua solita voce: non aveva più i suoi toni squillanti, né quelli profondi che mi facevano tremare ogni volta che mi parlava. Era spento, così come i suoi occhi verdi segnati dalle troppe lacrime.
- Tra poco dovrebbe venire Gibbs a prendermi - gli dissi guardando il pavimento per non incontrare la sua sofferenza che sapevo essere solo causa mia.
- Lo so, ma non lo farà.
- E’ successo qualcosa? Sta bene? - Mi preoccupai, non era da Gibbs
-  Non ti preoccupare. Gli ho detto io di non venire.
- Perché? - Non capivo né lui e nemmeno Gibbs che non veniva senza avvisarmi. Avevo paura, aveva detto che ci sarebbe sempre stato per me, ed ora avevo bisogno di lui, del suo abbraccio protettivo che mi diceva che sarebbe andato tutto bene. E lui non sarebbe venuto.
- Andiamo a casa. - Mi allungò una mano.
Ero stordita. Da lui, dalla situazione, dalle mie emozioni. Mi stava veramente chiedendo di tornare a casa con lui? Avevo capito bene? Erano un po’ di giorni che non lo vedevo e l’ultima volta mi aveva detto di tutto.
- Ne sei sicuro? - Gli chiesi intimorita, ma lui per tutta risposta fece un passo ancora verso di me, sempre con la mano protesa, aspettando un mio gesto.
- Sinceramente? Non lo so Ziva. La mente mi dice di no. Il cuore mi dice di sì. Penso che dobbiamo cominciare a credere di più ai nostri sentimenti e meno ai nostri ragionamenti che ci hanno solo allontanato e fatto del male. Quindi… Ora andiamo a casa, poi vediamo.
Le sue parole non sapevo se mi stavano facendo bene o male, ma ero contenta che fosse lì, per me, nonostante tutto, anche se quel “poi vediamo” era peggio dell’attesa di una condanna a morte. Mi ero già messa l’anima in pace che non ci sarebbe stato più niente tra noi, che non sarei più andata in quella che per troppo poco tempo era diventata casa nostra, mi ero già accordata con Abby per farla andare a prendere le mie cose.
Strinsi forte la sua mano e nel toccarlo sentii come se la vita tornasse a scorrere nelle mie vene, indotta dal solo contatto con la sua pelle. Quando lui strinse la sua sulla mia credevo di svenire in quell’istante tanto mi sentivo sopraffatta da un’emozione che non credevo avrei più provato: quella stretta forte mi dava speranza, più delle sue parole. Avevo ancora una possibilità.
- Non pensavo saresti venuto a prendermi. - Non sapevo cosa dirgli, o meglio sapevo cosa avrei voluto dirgli, ma non ne avevo il coraggio e magari ora non mi avrebbe nemmeno creduto. Avrei voluto abbracciarlo, avrei voluto che mi tenesse stretta a se, avrei voluto baciarlo e dirgli quanto lo amavo nonostante tutto quello che gli avevo fatto. Gli avrei voluto chiedere scusa in mille modi diversi se fosse servito.
- Beh, sono venuto a prenderti in luoghi più pericolosi di un ospedale a pochi isolati da casa - cercava di stemperare la tensione tra noi, in parte ci riuscì. Era incredibile come nonostante tutto quello che era successo lui trovasse sempre la forza per dire qualcosa per cercare di strapparmi una risata - Non credo che qui mi spareranno mentre ti porto via, anche se quell’infermiera là mi odia. Andiamo a casa Ziva.

Ma io sapevo che non era vero. Sapevo che lui aveva molta più paura adesso che in tutti i luoghi in cui era venuto a cercarmi. Sapevo che stava mettendo in ballo qualcosa di molto più grande e che avrebbe preferito entrare altre cento volte in un covo di terroristi piuttosto che in questo ospedale dopo quello che era successo pochi giorni prima. 

In auto non parlammo e la distanza tra noi era molta di più dei pochi centimetri che ci separavano. Ci giravamo a guardarci a turno, non volendo che l’altro ci vedesse, ma i risultati erano scarsi, ed incrociavamo sempre i nostri sguardi con aria colpevole, come se non volessimo ammettere che ci stavamo cercando.
Con la radio spenta rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto. 
Stavo mentalmente ricomponendo il mio mondo considerando il fatto che lui ne avrebbe potuto fare di nuovo parte, dopo che avevo passato i giorni precedenti ad immaginare una vita senza di lui. Credevo che avrei dovuto cambiare di nuovo lavoro, non potevo certo pensare di andare tutti i giorni ad una scrivania ed averlo davanti come se niente fosse. L'unica cosa di cui ero certa era che sarei rimasta qui, che far crescere qui Nathan sarebbe stata la cosa migliore per tutti, soprattutto per lui, che avrebbe potuto avere un padre vicino e presente nonostante quello che c'era tra noi. Non glielo avrei mai fatto mancare, a nessuno dei due. Non dovevano essere loro a pagare ulteriormente i miei sbagli. Liberarmi del peso delle menzogne mi aveva alleggerito e in questi giorni di riflessioni forzate mi aveva fatto essere anche più ottimista sul fatto che Nathan potesse presto essere qui, con noi. Anche se non era proprio il tipo di noi che speravo per tutti noi. Sapevo, o per lo meno speravo, che adesso anche Tony avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa, ora che non dovevo più agire nell'ombra ma che tutti ci potevano aiutare. Forse sarebbe stato più facile. 

Ma ora ero con lui e tutti i ragionamenti fatti prima erano inutili: non sapevo per quanto, non sapevo cosa sarebbe accaduto tra noi, ma avevo la consapevolezza che probabilmente non ci sarebbero state altre possibilità e che non potevo più sbagliare nulla.

- Eccoci qua… - Disse appena chiuse la porta di casa dietro di noi - … a casa
Tony aveva da subito cercato in tutti i modi di farmi capire che dovevo sentire questa casa come casa mia. Non avrei immaginato di poterla ancora considerare così. Eppure quel luogo dove avevo trascorso così poco tempo, era il posto al mondo dove mi sentivo veramente a casa, forse quello che ho più sentito così in tutta la mia vita. Il mio mondo era lì con lui, solo questo volevo. E nostro figlio. 
- Non è molto in ordine… - Parlava per rompere il momento ti impasse che si era creato. Vidi la bottiglia di whisky vuota sul tavolo e non ci misi molto a capire come aveva passato quei giorni, la mia maglia ancora sul divano e la scatola con il test di gravidanza buttata per terra. Avevo immaginato che lo avrebbe visto in tutt’altro modo quando ero risalita a casa per lasciarlo lì, senza che se ne accorgesse: avrei voluto vedere la gioia e solo lacrime di felicità nei suoi occhi, immaginavo come ci saremmo abbracciati ed il suo sorriso da bambino nel sapere che ero incinta. Ero. Le lacrime cominciarono a scendere senza chiedere il permesso.
Lasciai la borsa sul bancone e andai a raccoglierlo. Ero piegata e non avevo il coraggio di prenderlo. Vidi la mano di Tony sopra la mia.
- Non devi più fare le cose da sola. - Sentii dentro di me come se si fosse distrutta una diga e le emozioni, tutte insieme, prendessero possesso del mio corpo. Si era rotta la distanza tra noi e la sua voce era quella che riusciva a farmi tremare anche solo con un sussurro. Presi lo stick del test di gravidanza e lo strinsi forte, era tutto quello che mi rimaneva di una gioia così grande e così breve. Tony strinse la sua mano sopra la mia. 

Scivolai seduta a terra, sul pavimento freddo. Lui fece lo stesso e mi abbracciò e mi cullò come fossi una bambina. Non riuscivo a capire se era una proiezione della mia mente o stava succedendo veramente. Le sue braccia, l’unico posto nel mondo dove mi sentivo totalmente al sicuro. E lui mi stringeva sempre di più ed io capivo che era vero, anche se sembrava impossibile.
- Scusami Ziva per tutto quello che ti ho detto, ma ero così arrabbiato, così triste… Volevo farti soffrire con le mie parole come stavo soffrendo io per le tue… 
Lui mi stava chiedendo scusa, dopo tutto quello che io avevo fatto a lui. 
- Lo sai vero che per me non sei un gioco? Non lo sei mai stato, non sarai mai un gioco per me.  - Gli parlavo tra i singhiozzi che non riuscivo a fermare. Non so perché di tutte le cose quella era stata la prima che avevo voluto dirgli, ma avevo bisogno che lui sapesse quanto era importante per me, quanto lo era sempre stato, perché niente di quello che avevo fatto lo avevo fatto a cuor leggero, anche se era sbagliato.
- Sì, lo so. 
- Perdonami Tony, perdonami per tutto…

Rimanemmo così fino a quando non mi calmai, poi mi aiutò ad alzarmi e insistette che mi sedessi sul divano per riposarmi, come aveva detto il dottore prima di uscire dall’ospedale. Era andato a parlarci e si era informato di tutto quello che avrei dovuto fare e non fare nei giorni successivi. Mi preparò una tazza di tè e poi si sedette vicino a me. Si preoccupava per me, nonostante tutto. 

- Hai mai pensato che era meglio che noi non ci fossimo mai incontrati? - Gli chiesi
- Sì… Tante volte… Ogni volta che stavo male perché non c’eri. 
Non mi aspettavo quella risposta, mi destabilizzò, ma lo capivo. Dovevamo essere sinceri completamente, anche a costo di farci male, perché niente ci avrebbe fatto peggio di nuove bugie.
- Ora lo pensi?
- No.
- Perché? - Forse era una domanda stupida
- Ho capito una cosa. Se ti amo nonostante tutto, se ti amo anche se volevo solo odiarti, se ti amo così tanto in questo momento, vuol dire che ti amerò per sempre. Mi hai fatto male Ziva, Dio solo sa quanto. Però mi fa tremendamente più male quando tu non ci sei. Questi giorni mi sono serviti per capire questo. Che stavo più male per la tua assenza.
- Io ho sbagliato tutto con noi. Ho fatto delle cose imperdonabili a cui non potrò mai porre rimedio.
- Abbiamo sbagliato tutti. E l’errore più grande lo abbiamo fatto all’inizio, a non credere fino in fondo nei nostri sentimenti, a considerarli marginali rispetto al resto. Alla tua ricerca di risposte nel passato, alla mia vita qui e alla mia carriera. Abbiamo passato più tempo e sprecato più energie per respingerci che per amarci. Quante frasi non dette, parole interpretate male, quante volte ci siamo fermati sul punto di fare qualcosa che se l’avessimo fatta forse avrebbe cambiato completamente il corso della nostra storia? Tutte per il troppo orgoglio o la paura di ricevere un “no”. 

Mentre lui parlava rivedevo nella mia mente tutte quelle situazioni in cui sarebbe bastata una parola o un gesto per far sì che la nostra vista fosse totalmente diversa. Tutte le volte che lo aspettava lui o lo aspettavo io e nessuno dei due aveva mai il coraggio di farlo, quanti chiari segnali volutamente ignorati, quante parole interpretate come faceva più comodo…

- Anche adesso ho paura. - Continuò -  Che le cose cambino, che non sia più come prima, che qualcosa si sia rotto per sempre e non sarà più possibile metterlo apposto. Ho paura che saremo diversi, che potremmo non essere più noi, che in fondo ci odieremo sempre per esserci fatti del male e che nei momenti difficili tireremo di nuovo fuori tutto il peggio di noi. Ho paura, ma non posso per questo oggi rinunciare a quello di bello che invece potrebbe ancora essere.
Mi prese la mano e riprese fiato.
- Siamo una famiglia Ziva. Io, te e nostro figlio. E io voglio che questa famiglia si riunisca e voglio lottare per averla. Però dovremo essere in due a volerlo e in due a lottare. Come una famiglia.

Come si poteva rispondere ad una cosa del genere? Era la più bella dichiarazione d’amore che mi aveva mai fatto: amarsi nonostante i problemi, nonostante i dolori provocati, volerci provare a tutti i costi per non avere rimpianti, essere disposti a correre il rischio di soffrire ancora per non perdersi. Ora era lui a parlare della nostra famiglia e voleva le stesse cose che volevo io. Sentivo il cuore esplodermi nel petto perché non era in grado di assimilare tutto quello che avevo appena sentito.

Poi i pensieri cupi tornarono ad invadere la mia mente. Avevo fatto soffrire tremendamente quest’uomo che era ancora qui a dichiararmi il suo amore dopo tutto quello che gli avevo fatto. Non era giusto.
- Forse tutto questo che sto passando è la giusta punizione per tutto il dolore che ho provocato nella mia vita. Un’altra parte di me è morta. Come dopo la Somalia, come dopo il Mossad, come dopo Israele… Molte volte penso che sarebbe meglio se la facessi finita, così smetterei di causare dolore alle persone che amo, tu e Nathan prima di tutti.
- Ehy guardami… - mi alzò la testa e mi obbligò a guardarlo negli occhi che evitai tenendo i miei bassi. - Ziva, ti ho detto guardami. - Non era una richiesta, era un'ordine. Lo feci e mi sentii sprofondare dentro di lui - Non devi mai, mai, mai più pensare una cosa del genere, mi hai capito? Mai.
- Tu e Nathan siete l’unica cosa bella della mia vita… E per colpa mia state tutti e due soffrendo… Non è cambiato nulla Tony, sono sempre io la fonte di tutto il dolore delle persone che amo. Nonostante quello che ho fatto per provare a cambiare non è cambiato niente, ho aggiunto solo dolore al dolore. E sono sempre allo stesso punto di partenza anzi, peggio.
- Non lo devi fare da sola. Lo faremo insieme. Magari non sarà facile, ma saremo insieme. Nonostante tutto oggi siamo ancora qui, io e te. Abbiamo superato delle prove immense, che avrebbero abbattuto chiunque e noi invece siamo qui. Feriti, doloranti, arrabbiati, con il cuore a pezzi. Però ci siamo, vorrà pure dire qualcosa questo?
- Che siamo pazzi… - sorrisi per la prima volta
- Anche quello.
Mi baciò dolcemente e pensavo che non avrei mai più sentito il sapore delle sue labbra, la sua morbida pressione sulle mie: ora non volevo più lasciarle. Gli diedi tanti piccoli baci e dolci morsi sorridendo felice per quel contatto ritrovato, accarezzai il suo volto con entrambe le mani e lo percorsi più volte, come a volermi assicurare che fosse lui, vero e reale più di quanto non lo sentissi. 
Lui poi appoggiò il suo viso sulla mia spalla. 
- Mi è mancato il tuo profumo, David. Mi sei mancata tu.
Sentivo che respirava profondamente ed era in quel momento un gesto così intimo e così bello che mi fece venire i brividi. Chiusi gli occhi per assaporare al meglio tutte le sensazioni che mi stava dando solo con la sua presenza e poche altre volte l'ho sentito così vicino.

- Mi devi promettere una cosa Tony…
- Quello che vuoi
- Che per Nathan tu ci sarai sempre, qualsiasi cosa accada tra noi.
- Tra noi non accadrà nulla. Io ci sarò sempre per te e per lui. Se oggi sono qui, che ti stringo a me, nonostante tu abbia minacciato di spararmi più di qualche volta, te ne sia andata senza dirmi nulla varie volte, sei sparita per tre anni, mi hai nascosto che avevamo un figlio… - sorrise mentre faceva quell’elenco che sarebbe anche stato divertente, per come lo enunciava, se non fosse stato tutto vero - se ci sono sempre, vuol dire che ci sarò sempre, cosa altro puoi combinarmi di peggio, occhioni belli? Ora devi essere tu a promettermi una cosa: basta segreti, basta cose non dette, basta tenerti tutto dentro. Me lo prometti?
- Ci proverò.
- Ci devi riuscire. Lo devi fare per noi.

Ero a casa, ero con lui che era lì a stringermi a se, nonostante tutto. Non avrei mai sperato tanto. Mi sentivo leggera. Gli avevo promesso di essere me stessa fino in fondo e questa volta volevo farlo veramente.

--- --- --- --- --- 

- Aspettami qui - Mi disse mentre andava verso la nostra camera.
Dopo poco tornò con il suo computer portatile e una scatola.
- Cos’è? - Le chiesi
- Ricordi…
La aprì: una tutina e delle scarpette bianche. Un cappellino. Un ciuccio… Erano di mio figlio. Mi sembravano due parole così strane da mettere insieme: mio figlio. 
- Quando è nato era così piccolo che gli stava grande anche la tuta più piccola. - disse facendo fatica a trattenere la commozione mostrandomi la tutina piccolissima. - Aveva molta voglia di venire al mondo e così è nato di 35 settimane, un esserino di poco più di 2 chili e mezzo. Era qualche giorno che non stavo bene, così il mio medico Chalom Baer, quello che ti ha curato a Tel Aviv a casa, mi aveva fatto mettere sotto osservazione in ospedale. Le cose però degenerarono rapidamente. Quando mi accorsi che stavo per partorire fui presa dal panico, avevo paura per lui, perché era ancora così piccolo. Non ricordo quasi nulla del travaglio, del dolore, delle urla. Ricordo solo la paura che il mio piccolo non ce la facesse perché non era ancora il momento.

Mi stava raccontando di lui. 
Prese una foto dalla scatola e me la mostrò. Era lui. Era la prima foto che vedevo di mio figlio, appena nato appoggiato sul petto di Ziva. Mi morsi le labbra per non piangere. 

- E’ stata un’emozione immensa in quel momento sentirlo su di me. Mi strinse istintivamente un dito mentre gli accarezzavo la manina. Fu solo per pochi istanti, solo perchè stavo urlando che lo volevo vedere, lo toccare, volevo essere sicura che stava bene, che era vivo, sentire il suo respiro leggero. Poi lo portarono via subito e rimase in incubatrice per un po’ perché era troppo piccolo. Ricordo solo l’angoscia a vederlo lì, dal vetro, senza poterlo prendere in braccio: potevo accarezzarlo solo qualche minuto e non volevo più togliere la mano quando la prendeva stretta stretta. Anche dopo che mi avevano dimessa, stavo tutto il giorno lì, nei corridoi dell’ospedale, ad aspettare quei pochi momenti da passare con lui. 

- Non dovevi essere da sola ad affrontare tutto questo. Dovevi chiamarmi. Dovevi dirmelo. Sarei venuto subito da voi. Io per te ci sarei stato sia per condividere la gioia della nascita di nostro figlio, che per sostenerti nei momenti difficili 
Non volevo rinfacciarle continuamente il fatto di non sapere nulla, ma pensavo sul serio che non era giusto che avesse passato quei giorni di angoscia da sola. Non mi disse nulla ma qualsiasi parola sarebbe stata inutile. Continuò invece a raccontarmi di lui
- Aveva tanta, tanta voglia di vivere, voleva mangiare in continuazione!
- Tutto il papà.
Sorrise.
- Dopo circa 10 giorni di osservazione nonostante il calo fisiologico lui aveva preso qualche grammo e dato che anche i polmoni era ben sviluppati me lo fecero portare a casa. Lo chiamai Nathan. Nathan Anthony. Volevo che avesse una parte di te. “Dono di Anthony” e non mi sembrava scelta più giusta, perché era proprio quello, un dono.
- Nathan - ripetei, sapevo già come si chiamava, ma adesso era diverso.
- Spero che ti piaccia come nome - mi disse con una semplicità disarmante. Come se in tutta quella storia la cosa più importante fosse se mi piaceva o no il nome scelto per mio figlio. Sarebbe stato un nome perfetto qualsiasi fosse stato.
- Certo, è bellissimo - le risposi prima che riprendesse a raccontarmi quello che per troppo tempo mi aveva nascosto. La cosa che mi fece più piacere fu che non mi raccontò solo di nostro figlio, ma anche di lei, di come aveva vissuto tutto quel periodo.
- Quando ho scoperto di essere incinta non è stato facile. All’inizio non sapevo cosa fare, se sarei stata in grado di fare la mamma, sei sarei mai diventata una buona madre per lui, se potevo proteggerlo. - Fece una pausa - Evidentemente no… Non sapevo se sarei stata in grado di crescere un figlio. Passai diversi giorni per decidere cosa fare, valutando ogni possibilità. Però man mano che lo sentivo crescere dentro di me, sentivo che qualcosa stava cambiando, che io stavo cambiando e mi stavo facendo sempre più coinvolgere da quell’esserino che tutte le mattine mi provocava nausee incredibili e poi man mano che cresceva non la smetteva più di prendermi a calci. Eravamo io e lui. Gli parlavo da prima che nascesse, gli dicevo quanto lo volessi, quanto era già diventato importante per me, che sarebbe stata l’unica cosa bella che avevo fatto in tutta la mia vita. Era diventato il centro di tutto il mio mondo prima che me ne rendessi conto, per lui sapevo che potevo cambiare tutto.
- Avrei voluto esserci
- Mi dispiace Tony… 
Presi una foto, anche qui era piccolissimo
- Questa? - Le chiesi
- Era il giorno l’ho portato a casa. Era la prima volta che lo allattavo. - Si commuoveva nel ricordare
- Emozionante?
Non mi rispose, mi fece solo cenno di sì con la testa, deglutì e si asciugò una lacrima.

Prese altre foto. Molte erano solo di Nathan nelle pose più buffe e dolci del mondo. Ero già innamorato pazzo di quel bambino che ancora dovevo conoscere. Ce ne erano anche alcune di loro due insieme. Ne presi una in mano e mi soffermai a guardarla. Mi piacevano le foto di loro due insieme, mi piaceva vederla così diversa dal solito.
- Qui aveva 3 mesi più o meno, si era appena addormentato.
- Il tuo sguardo è… non lo so, così da mamma, credo. Tu sei questa Ziva - le dissi indicandola sulla foto, e lì era come la vedevo sempre io e volevo che si vedesse anche lei così, volevo che si vedesse con i miei occhi - non lasciare che i tuoi demoni vincano su quella che sei realmente. Fallo per lui e se vuoi fallo anche per noi.
- Ci sto provando Tony. Ma poi succede sempre qualcosa che mi trascina indietro.
- Non lo devi fare da sola. Lo faremo insieme.
Le ripetevo in continuazione che eravamo insieme, che dovevamo fare le cose insieme, perchè era stato proprio il suo voler fare tutto da sola che aveva causato tutta questa situazione. Doveva fidarsi, anzi affidarsi agli altri. Sapevo che ne aveva paura perchè troppe volte era stata tradita, ma non poteva avere questa paura anche con me, altrimenti non saremmo andati da nessuna parte.

Mi mostrò tutte le altre e per ogni foto mi raccontava cosa aveva fatto, mi raccontava di lui. 
Vidi le foto mentre giocava con i dinosauri e tra i tanti riconobbi il “mio Jethro”. 
- E così gli assomigliavo mentre giocavo con il dinosauro? - Ricordandomi cosa aveva detto quella mattina a Beer Sheva. Ed ora ero così felice di aver trovato e preso quel pupazzetto.
- Siete uguali. - Mi sorrise.
- E questa? - Chiesi mentre vedevo un’altra foto di lui con una bambina
- Questa era una delle sue tante conquiste al parco 
- I geni non mentono! Tutto il papà, già da piccolo un rubacuori.
- Tony ma qui aveva due anni!
- Dai Ziva non fare la mamma gelosa! Io a due anni diedi il mio primo bacio ad una bambina ed era anche più grande!
La situazione era paradossale. Mi stava facendo vedere le foto di mio figlio, che non avevo mai visto, che non sapevamo dove era, però riuscivamo anche a sdrammatizzare la situazione.
Mi raccontò che amava il calcio: in Israele il calcio era lo sport più seguito e praticato e mio figlio non era da meno. Mi spiegò della sua squadra preferita, mi fece vedere una sua foto con la maglia del suo giocatore preferito ma io non ci capivo niente, nonostante le mie origini italiane il calcio non sapevo nemmeno cosa fosse, se non un gioco da femmine al college. 

Avevo solo una grande domanda che mi tormentava, ma non trovavo il coraggio di farle.
- Ziva, ma lui sa che io… esisto?
Lasciò le foto, mi prese il volto tra le mani.
- Certo che sa che esisti. Io non ero pronta per dirtelo e più passava il tempo, più diventava difficile. Però non ho mai nascosto a Nathan che aveva un papà, che è una persona speciale, che non lo poteva vedere solo perché era molto molto lontano a combattere contro le persone cattive.

Sapere che lui sapeva di me mi diede conforto. L’ultima foto che mi fece vedere era di poche settimane prima del mio arrivo. Quel bambino minuscolo era diventato un ometto. Aveva i capelli mossi con i boccoli dello stesso colore di quelli di Ziva, una faccia vispa ed un sorriso contagioso. Sorridevano insieme, felici e abbracciati.
- Gli occhi sono i tuoi - Mi disse - Ogni volta che li guardavo vedevo te.
- E’ bellissimo, come te.
Tenevo la foto in mano, la guardavo ininterrottamente e in quel momento giurai a me stesso che avrei fatto qualsiasi cosa per riportarlo da noi.
La posso prendere? - Le chiesi
- Certo che la puoi prendere. Sono tutte qui, non le devo nascondere più.
- Avrei voluto essere lì per scattarle io queste foto…
- Ti vorrei dire che avrei voluto che tu ci fossi, ma so che ti suonerebbe falso ed ingiusto. Però lo avrei voluto veramente. Avrei voluto che mi stringevi la mano mentre nasceva, che sorridevi con me quando l’ho visto la prima volta. Mi dispiace per averti negato tutto questo. Mi dispiace tanto…
- Dispiace anche a me. Tremendamente.

Aprì il computer ed in una cartella c’erano solo video. Cominciò a riprodurli e per la prima volta, dopo averlo visto, potei sentire anche la voce di mio figlio. Inizialmente erano solo pianti e qualche risata. I suoi primi passi, le prime pappe… Ziva gli parlava in ebraico e non capivo nulla di cosa gli dicesse, ogni tanto le chiedevo di tradurmi qualcosa, soprattutto quando anche lui cominciava a dire qualche parola.
Improvvisamente pensai ad una cosa che mi turbò…
- Lui parla solo ebraico
- Prevalentemente sì. Gli stavo insegnando anche un po’ di inglese, con i cartoni animati… 
- Ah… 
- Tony, non ti preoccupare. E’ un bambino, imparerà subito. Già guardava i cartoni in inglese, dovrà solo abituarsi.
I video scorrevano fino a quando non arrivammo ad uno dove Nathan giocava con dei pupazzi e dei dinosauri con Ziva
- “Tu i cattivi io i buoni” “Va bene piccolo, e quello chi è?” “Papà che sconfigge tutti i cattivi e poi torna” 
Mi aveva tradotto il video e poi lo aveva interrotto. Io adesso ero visibilmente commosso. Troppe emozioni in una sola giornata.
- Tutto bene Tony
- Credo di sì… 
- Lo sa che ci sei. Ho fatto tanti sbagli, però lo sa che ci sei. - Voleva rassicurarmi.
I video si susseguivano uno dietro l’altro. Lui che giocava a pallone, al mare, con Ziva mentre festeggiavano l'Hannukkah vicino alle candele, tutto sporco mentre mangiava il gelato, mentre soffiava le candeline nel suo ultimo compleanno…
C’era un ultimo di video cliccai io sull’icona e si vedeva solo Nathan che camminava con le braccia protese in avanti dicendo qualcosa che non capivo. Ziva stava piangendo.
- Che cosa ha detto?
- “Mamma ti voglio bene” - rispose singhiozzando - Mi manca… Troppo… Lui è… parte di me…
Mi gettò le braccia al collo, facendo cadere la scatola con tutte le foto che aveva sulle gambe che ora erano sparse sul pavimento. La realtà tornò a bussare ferocemente alle nostre porte. Pianse così tanto da bagnarmi la camicia con le sue lacrime che non riusciva a fermare. La abbracciai ancora una volta, ne aveva bisogno lei e ne avevo anche io. Voleva sentirsi protetta ed io volevo proteggerla.
- Lo porteremo a casa Ziva… Te lo giuro.



NOTE: Non riesco a farli stare separati per troppi capitoli, si è capito? :) Spero che questo vi abbia ripagato dei precedenti capitoli molto più duri: è venuto molto lungo rispetto agli altri (il doppio più o meno) ma c’erano parecchie cose da sistemare e non mi andava di spezzarlo in due come inizialmente avevo pensato, così vi ho lasciato tanto love che per un po’ state apposto, no? :D

Personalmente lo trovo uno dei capitoli più teneri che ho scritto, perché è facile fare gli sdolcinati quando va tutto bene, quando le cose sono difficili ci vuole ancora più amore. In compenso è stato uno di quelli che mi ha chiesto più tempo per la stesura, che ho modificato molte volte, perchè volevo evitare che fosse banale e troppo semplice sia nel descrivere lo stato d’animo confuso di Tony all’inizio che nel far sciogliere la tensione e la distanza tra i due. Alla fine ho deciso di usare l’escamotage del test di gravidanza per creare un momento di vicinanza che andava a rompere lo scenario che si era creato facendo crollare tutte le “intenzioni” dei due. Spero che vi sia piaciuto questo pretesto. 

Quindi se mi fate sapere che ne pensate questa volta, ne sarei veramente felice.

Due parole sulla canzone. Questa strofa l’ho trovata perfetta per i nostri due in questo momento. “Lascia che il nostro amore sopravviva, asciuga le lacrime dai tuoi occhi e non permettiamo che una cosa bella muoia”. Non vi pare anche a voi perfetta?

Purtroppo ancora non ci sarà fisicamente per un po’ il piccolo Nathan, ma vi sembra di conoscerlo un po’ di più anche a voi questo bambino adesso?

Ah, preparatevi per qualche capitolo un po’ movimentato… Ci sono ancora molte situazioni in sospeso… Nathan è sempre in Israele ed ora sono in due a volerlo riportare a casa e Roy è sempre in giro… magari non è nemmeno solo…

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Private Emotion ***


… Every endless night has a dawning day
Every darkest sky has a shining ray …

Passai la notte completamente in bianco, a guardare il soffitto della camera in cerca di risposte alle tante domande che riposta non l’avevano avuta e non l’avrebbero avuta mai, semplicemente perchè non esisteva risposta valida a spiegare la situazione che si era creata. Il fatto che Ziva avesse passato tutta la notte usando mio petto come cuscino, dormendo e piangendo di tanto in tanto, era l’implicita spiegazione al fatto che, io, altre non ne avrei cercate, che mi ero fatto andare bene quella situazione ed ero disposto ad andare avanti, con tutte le difficoltà che questo comportava, perchè lo sapevo che non sarebbe stato facile, niente lo era. Quella notte insonne era stata comunque decisamente la migliore da quando tutta la situazione era precipitata il giorno che andammo a casa di Roy Dunn. La prima che passai di nuovo a casa con lei e forse, anche solo per questo, era la migliore.

Quando il giorno precedente ero andato a prenderla in ospedale non credevo che saremmo stati già a questo punto, così vicini. Ero convinto di volere più tempo, di voler mantenere ancora le distanze da lei, che dovessi con calma metabolizzare quanto accaduto e riavvicinarci piano: tornare a fidarci di noi stessi poco per volta.
Invece in un attimo tutto è precipitato e quando l’ho vista piegata sul pavimento, piangere senza riuscire a prendere quel test di gravidanza che avevo lanciato via poche sere prima, tutti i miei propositi si sono dissolti.
Davanti a me non c’era la donna che mi aveva tenuto nascosto che avevamo un figlio, c’era la donna che aveva appena perso nostro figlio e che stava soffrendo per tutta questa situazione tanto quanto me. C’era una donna fragile che non riusciva a muoversi, sopraffatta dalle emozioni, dal dolore e dalla paura che anche io avevo contribuito a creare. Che senso aveva continuare a farsi del male adesso? Avvicinarmi a lei, aiutarla, dirle che non era sola, che sarebbe andato tutto bene, fu solo la cosa più istintiva che mi venne da fare, quello che volevo fare, senza troppi ragionamenti. 
Abbracciarla, stringerla a me, rassicurarla: era quello di cui aveva bisogno lei, ma ne avevo bisogno anche io, per capire cosa avessi voluto per noi, se effettivamente ci poteva essere ancora un noi. Appena la sentii piangere tra le mie braccia, mentre stringevo la sua mano dentro la quale teneva il test di gravidanza, lo capii.
Da qualche parte nell’universo c’era un bambino che non sarebbe mai nato, del quale rimaneva solo quello che stringevamo tra le nostre mani, che forse sorrideva nell’averci fatto abbracciare di nuovo, nell’aver fatto ritrovare la giusta direzione da seguire a quelli che sarebbero stati i suoi genitori. Mi scese una lacrima nel pensarlo e lo ringraziai.

Tornare in ufficio fu la cosa più difficile. Non volevo lasciarla sola, avrei voluto continuare a farle da cuscino per tutto il giorno, accarezzandole i capelli e la schiena disegnando cerchi immaginari sopra la sua maglietta.
Chiesi a Ziva più volte se voleva che rimanessi con lei quel giorno, ma la sua risposta fu sempre la stessa: “Vai” e la cosa non mi stupì, sapevo che non mi avrebbe mai chiesto di rimanere anche se lo avesse voluto, o forse aveva proprio bisogno di stare un po’ da sola, sarebbe stato da lei.

Era qualche giorno che mancavo ed ormai la novità la sapevano tutti, anche se nessuno ne parlava. Quando arrivai erano già tutti seduti ai loro posti, mancavo solo io. Mi seguirono con lo sguardo dall’ascensore alla scrivania senza dire una parola.
- Buongiorno a tutti eh! Non usa più salutare qui dentro?
Non mi andava che mi trattassero in modo diverso.
- Buongiorno - Mi salutarono McGee e Bishop all’unisono.
- Di Nozzo ti devo parlare - Mi disse invece Gibbs.
- Ok capo, dammi solo un attimo. - Misi la foto di Ziva e Nathan sulla mia scrivania. Li volevo sempre avere davanti a me adesso, per ricordarmi ogni istante su cosa mi dovevo concentrare. - Ok, cosa devi dirmi?
- Andiamo a prendere un caffè…

Ci spostammo nell’area relax
- Hai fatto la cosa giusta Pivello.
- A cosa ti riferisci Capo?
- Alla telefonata che mi hai fatto ieri.
- Ho fatto quello che volevo fare, ed è stato meglio così.
- Hai avuto le risposte che cercavi?
- Alcune sì, altre credo che non avranno mai una risposta conoscendo Ziva, o forse non avranno mai una risposta che giustifichi tutto. Abbiamo deciso di ricominciare. 
- Non sarà facile Tony, ma sono contento per voi. Hai realizzato quello che ti sta succedendo?
- Un po’. Non è facile e alcune volte non mi sembra nemmeno reale, anche perchè lui non è qui.
- Ziva?
- Piange, spesso. Però ieri abbiamo parlato, di noi e di nostro figlio. Avevi ragione, le cose non sono sempre facili come sembrano.
Mi diede una pacca sulla spalla, sapevo che era il primo ad essere felice ed il primo a preoccuparsi per noi.

Tornammo di là e notai che tutti erano intorno alla mia scrivania. Era arrivato anche Ducky dalla sala autopsie e Abby che da dietro spingeva per farsi spazio, sicuramente avvisati da Tim.
- Allora! Cosa avete tutti da curiosare tra le mie cose?
- Oh Tony ma è lui? - Abby mi venne incontro con le braccia protese per abbracciarmi e non potei sottrarmi al suo abbraccio. 
- Sì è lui!
- E’ bellissimo! E’ uguale a Ziva! Cioè, non che se assomigliasse a te non sarebbe stato bello, sarebbe stato bello ugualmente ma in modo diverso! Insomma hai capito no? Oh Tony è bellissimo!
- Gli occhi sono i miei però. Lo dice anche Ziva.
- Lo avrà detto per farti contento! - Disse McGee salvandomi dall’abbraccio scomposto di Abby
- Pivello, se lei lo ha detto vuol dire che è vero, o vuoi saperne di più tu? - Gli diedi uno scappellotto.
- No ecco, ma da questa foto non sembra che…
- Sarà la foto McGee, ok?
- Comunque complimenti Tony, sei un cecchino! Fatto centro al primo colpo! - Lo disse in tono ironico e mi fece l’occhiolino, ma io non avevo nessuna voglia di scherzare sull’argomento
- Tim, evita queste battute che sarebbero scadenti anche se le facessi io. - Risposi indispettito e lui si accorse del mio disagio facendo un passo indietro.
Fortunatamente intervenne il dottor Mallard
- Anthony, mio caro, è un bambino bellissimo. Come i suoi genitori.
- Grazie Ducky.
- Veramente Tony, è un bambino bellissimo - mi disse teneramente Ellie
- Ora dobbiamo solo riprenderlo - Disse Gibbs riportandoci tutti alla realtà del momento.
- Non sarà così semplice… - intervenne Bishop guardando con tenerezza la foto
- Capo ho un'idea, cioè io e Abby abbiamo avuto un’idea… - McGee si fece avanti
- Avanti McGenio cosa hai pensato?
- Tony non sei tu il capo… 
- McGee! Parla! - Gibbs non amava le perdite di tempo, nè i battibecchi
- Ecco... Il bambino è solo cittadino israeliano adesso…
- Vai avanti...
- Se noi riuscissimo ad avere un campione del suo dna, magari Ziva ha qualcosa di lui che si è portata via, potremmo fare un riscontro con quello di Tony che se sarà compatibile…
- Togli il se McDubbioso è mio figlio - precisai infastidito
- Dicevo essendo compatibile con quello di Tony potremmo fare un riconoscimento. Di conseguenza sarebbe cittadino americano e potremmo ufficialmente chiedere il rilascio.
- Come facciamo a fare il riconoscimento adesso da qui a Tel Aviv? - Chiese Gibbs
- Gibbs Gibbs ascolta. - Intervenne Abby rimasta nel nostro ufficio - Ci serve solo il DNA del piccolo Nathan, poi mi procurerò una copia dei documenti per fare il riconoscimento della nostra ambasciata in Israele, Tim forzerà i loro sistemi e farò in modo che la pratica risulti regolarmente registrata e depositata precisamente nei giorni che anche Tony era a Tel Aviv. Non avranno la copia cartacea ma quello che avrà valore saranno i dati dei sistemi centrali. Nathan sarà un cittadino americano a tutti gli effetti. Lo faremo Gibbs! Lo riporteremo qui il nostro nipotino!
Guardammo tutti Abby perplessi.
- È il primo figlio della nostra squadra! Noi siamo tutti un po' i suoi zii, no? - Disse con un sorriso contagioso
Ci abbracciò tutti riprese il suo caffè e si diresse all'ascensore per tornare in laboratorio, soddisfatta del suo piano che riteneva, nella sua semplicità, perfetto.
- Tony che ci fai ancora qui vai da Ziva a cercare qualcosa se no sarà tutto inutile.
Ero sicuro che Ziva in quella scatola insieme alle foto e ai vestiti aveva anche un ciuccio di Nathan. Speravo di non aver visto male perché con tutto quello che era successo il giorno prima ancora faticavo a capire cosa era vero e cosa frutto della mia immaginazione e dei miei desideri. E speravo che fosse stato sufficiente. 

Entrai in ascensore e un attimo prima che le porte si chiudessero, una mano tra le due ante lo fece riaprire. Tim entrò, non dissi nulla e premetti il pulsante per andare al parcheggio, ma Tim bloccò subito la sua corsa
- Scusami Tony per prima
- Capita a tutti una battuta venuta male, ne so qualcosa
- Sì, ma ecco, ero un po’ in difficoltà, insomma, sì ecco… Non pensavo che voi già allora foste così intimi, anche se tutti facevamo scommesse su di voi, mi hai fatto perdere una bella somma che ora dovrò andare a riscuotere di nuovo… - stava cercando ancora di superare il suo imbarazzo
- Ah così scommettevate su di noi?
- Ehm… sì…
Feci una risata, rise anche lui
- Se lo sapevo mi davo da fare prima allora!
- Tony, mi dispiace io ti ho giudicato male in questi giorni quando ti eri allontanato da Ziva; pensavo che la tua reazione fosse esagerata, non sapevo che c’era questa situazione dietro la vostra separazione, per fortuna solo temporanea.
- Avrei dovuto dirtelo Pivello, ma non avevo voglia di parlarne, scusami.
- Me ne ha parlato Abby, non ti preoccupare. 
- Allora mi immagino quanto abbia romanzato tutto…
- Beh forse un po’ sì - sorrise - Se contento? Scusa domanda stupida…
- Sì, Pivello, sono contento dell’idea. È difficile ma lo sono. Anche se fino a quando non sarà qui, sarà difficile rendersene conto e sarà impossibile esserlo a pieno.
- Sono felice per voi. E faremo qualsiasi cosa per aiutarvi a riprendere vostro figlio
- Sarà meglio andare ora prima che qualcuno pensi male che siamo bloccati qui dentro insieme… Non vorrei rovinare la mia reputazione di cecchino… - risi e vidi Tim ancora imbarazzato per la sua battuta - Ehy Pivello grazie, sei un amico.
Gli diedi una pacca sulla spalla e uscii dall’ascensore mentre lui tornava in ufficio.

— — — — —  

Ora era tutto più reale. Non dovevo più nascondere le mie angosce e far finta che non esistevano. Ora faceva ancora più male. Tony aveva messo delle foto mie e di Nathan sulla libreria e facevo fatica a guardarle.
Risentivo continuamente nella mia mente la sua vocina che mi chiama e pensavo a quante volte lo aveva fatto in questo periodo senza aver avuto risposta, quante volte si era addormentato senza tenere la mia mano, quante favole non lette… Ora che non dovevo più negarlo a tutti, soprattutto a me stessa, diventava insopportabile la sua assenza.

La giornata precedente era stata come salire sulle montagne russe, emozioni e paure che si rincorrevano e non lasciavano spazio a potersi fermare per riprendere fiato. Ma se solo ripensavo 24 ore prima, non avrei mai immaginato di essere il giorno dopo a casa, a casa nostra, di aver dormito abbracciata a lui che mi stringeva un po’ di più ogni volta che mi sentiva piangere.
Ero stata felice di avergli parlato di nostro figlio, di aver condiviso almeno a parole quello che non avevamo vissuto insieme e la cosa che mi aveva dato una gioia immensa era vedere nei suoi occhi tutto l’amore che già provava per quel bambino che non conosceva, cancellando ogni paura.

Sentii la porta aprirsi, Tony era tornato prima del previsto.
- E’ successo qualcosa? - Chiesi subito allarmata prima di salutarlo
- McGee e Abby hanno avuto un’idea, dov’è la scatola con cose di Nathan?
Gliela indicai, l’avevo lasciata sul tavolo vicino al divano. L’aprì e trovò subito quello che cercava.
- A cosa ti serve il suo ciuccio?
- Mi serve il suo DNA, anzi prendo anche tutti i suoi vestiti, magari Abby trova qualcosa.
Mi spiegò velocemente la loro idea
- Pensi che il Mossad cederà così facilmente? Solo perché Nathan sarà un cittadino americano?
- Non lo so Ziva, ma dobbiamo provare.
- Hai preso nessun documento suo? Certificati, cartelle cliniche?
- Sì, ho tutto. Ho preso tutto quello che avevo.
Andai a prendere tutti i documenti e glieli diedi. Mi diede un bacio. 
- Ehy, occhioni belli… Andrà tutto bene. Lo riporteremo a casa.
Fece per uscire ma lo fermai.
- Tony aspettami, voglio venire anche io.
- Non penso sia il caso che tu venga… Ti devi riposare, sei uscita ieri dell’ospedale.
Era premuroso, come sempre e a me bastava questo per farmi stare meglio. Saperlo con me, sapere che finalmente stavamo combattendo insieme la stessa battaglia era la migliore cura. 
- Tony… - lo implorai
- Se tu sei sicura di volerlo fare… - non era molto convinto di farmi andare con lui, ma non oppose troppa resistenza. In fondo lo avrei solo accompagnato.

Quando si aprirono le porte dell’ascensore e videro che con Tony c’ero anche io, McGee, Gibbs si alzarono istintivamente per venirmi incontro. Anche Bishop forse seguendo i movimenti degli altri due si alzò. 
- Ziva, come stai?
Gibbs era vicino a noi, proprio fuori dall’ascensore e mi salutò con un bacio sulla fronte.
- Non lo so… 
- Non ti preoccupare
- Capo - intervenne Tony, ci pensi tu? Io vado a Abby a portargli tutto quello che abbiamo trovato.
Fece un gesto come a consegnarmi a Gibbs, che mi abbracciò e mi fece sedere alla scrivania di Tony e non potei non vedere la foto che aveva già messo in bella vista. Accarezzai il viso di Nathan sulla carta, nell’illusione che ovunque si trovasse, potesse sentire che non era solo.
Ripresi fiato. 
- Novità su Roy Dunn? - Chiesi e tutti mi guardarono come se avessi nominato un fantasma.
- Nessuna Ziva - Balbettò Tim - Lo sta cercando anche l’FBI.
- E sul sergente Brooks?
- Nemmeno.
- McGee cosa c’è che mi guardi così?
- Niente Ziva, io… ecco… mi sembra strano che riesci a parlare così di una cosa che ti riguarda così da vicino.
- Questo è lavoro McGee, riesco ancora a distinguere la mia vita dal lavoro.
- Ziva, non c’è bisogno che ti alteri. - Gibbs aveva seguito da dietro il monitor il nostro battibecco - McGee ha ragione. Fare come se nulla fosse non cambia le cose e devi stare fuori da questo caso da ora in poi.
- Ma io…
- Niente “ma” Ziva. Basta così. Non sei venuta qui per lavorare oggi.

— — — — —  

- Abby quanto dobbiamo aspettare per i risultati del DNA
- Non lo so Tony, intanto devo esaminare queste cose per vedere se lo trovo
- Ok, se lo trovi quanto tempo ci metti?
- Tony che c’è? Hai dei dubbi che lui non sia tuo figlio?
- Non ho dubbi Abby, ma ho bisogno di certezze.
- Non ti fidi di quello che ti ha detto Ziva?
- Pensa Abby, di tutto quello che mi ha detto, di tutte le cose che non mi ha detto, non ho mai pensato che mi mentisse sul fatto che fosse mio figlio. E se me lo ha detto così, sono convinto che lo sia, perché forse sono un folle, ma di lei mi fido.
- Non sei folle Tony! Sei solo un cucciolo innamorato!
- Abby, riesci sempre a regalarmi un sorriso, anche quando tutto va malissimo. 
La abbracciai io questa volta. 
- Dai Tony non fare così che mi commuovo e poi ci metto di più!!! Vammi a prendere un caffè mentre io esamino queste cose.
- Abby… ma il ciuccio…
- Devo solo vedere se trovo dei residui di saliva. Poi lo riporto a Ziva, tranquillo Tony.
- Grazie.

Il distributore di caffè era al piano superiore. Mi fermai un attimo a riflettere. Non avevo mai nemmeno considerato il fatto che quel figlio non potesse essere mio. Ziva mi aveva detto che lo era, ed io non avevo dubbi in merito, solo perché me lo aveva detto lei. Non mi sono nemmeno posto il problema che poteva non esserlo. Ed ora che Abby stava per fare quel test, avevo una fottuta paura che quel bambino che non conoscevo non fosse mio. Ma lo avevo detto anche ad Abby, io nonostante tutto di Ziva mi fidavo.

- Tony, ci sono problemi?
- No, Ziva perché?
- Sei qui da un po’ in silenzio, ti stavo guardando… Cosa c’è?
- Non mi ero accorto, tanto per cambiare… I tuoi poteri da ninja… - le sorrisi - Comunque niente, va tutto bene
 Tu non sai mentire Tony - mi accarezzò - non sei mai stato capace…
- Io… Sto sperando con tutto me stesso che questo bambino sia mio figlio.
L’avevo colta di sorpresa con quell’affermazione. Non credo che si aspettasse questo mio dubbio, in fondo non glielo avevo mai palesato. Il suo viso diventò triste e preoccupato, ma non per il responso, preoccupato che io non credessi a quello che mi stava dicendo.
- Tony, Nathan è tuo figlio. Lo è. Non ti avrei mai detto una cosa del genere se non fossi assolutamente sicura che è così. Non è facile adesso, ma credimi ti prego.
- Io ti voglio credere e nonostante tutto mi fido di te. Ma ora ho bisogno di certezze. Prova a capirmi. - Era esattamente così, non era un discorso facile, ma dopo tutto quello che era successo, non poteva accusarmi se avevo bisogno di qualcosa di concreto.
- Certo. Ti capisco.
- Devo portare il caffè ad Abby. 
- Ok ti aspetto qua.
Le diedi un bacio sulla guancia e ordinai il caffè.
Accarezzò la mia mano mentre prendevo il bicchiere con il caffè prima di andarmene ed io appoggiai l’altra per un istante sopra la sua.

Tornai dopo poco nel laboratorio
- Ecco le tue scorte di caffeina, - esordii posando il suo caffè vicino al microscopio dove stava analizzando il ciuccio - hai buone notizie per me?
- Ottime Tony. Ho trovato sia un capello nel cappellino che tracce di saliva nel ciuccio. Li sto esaminando adesso… Oh, ecco guarda lo schermo, coincidono, quindi questo vuol dire che sia capello che la saliva sono della stessa persona… 
- Abby, per forza, sono entrambi suoi! - Stavo spazientendomi per delle cose che mi sembravano ovvie
- Sì, ma se abbiamo due campioni che coincidono il riconoscimento sarà migliore, siamo sicuri che il dna non è alterato ed il test sarà efficace. Tony ma perché ti sto spiegando tutte queste cose e tu nemmeno mi senti?

Stavo guardando i documenti.
- E’ nato il 17 giugno…
- Non lo sapevi?
- No… non so quasi niente di lui
- Tony ti posso fare una domanda… ehm… privata?
- Spara…
- Ecco… quella notte, quando insomma tu e Ziva…
- Abbiamo fatto l’amore. Questo vuoi sapere? - Era la prima volta che parlavo di quella sera con qualcuno, e con tutti avrei pensato di farlo tranne che con una donna, con Abby!
- Sì, cioè, no… è solo che volevo dire… è stata una cosa così, oppure no?
- Non è stata una cosa così. E’ stata una cosa importante per me.
- Allora basta Tony. Sai quello che devi sapere per ora di tuo figlio. Che è nato dall’amore, no?
- Sì Abby. Dall’amore. - Sapevo che ora avrebbe cominciato con i suoi discorsi da libro delle favole, avrei voluto fermarla prima che cominciasse ma una parte di me voleva sentirli.
- L’amore da sempre dei frutti bellissimi e questo bambino ne è la prova. Senza l’amore non ci sarebbe nulla! Saremmo tutti più tristi! Quindi qualsiasi cosa sia successa dopo passa in secondo piano, rispetto a quello che l’amore crea nonostante noi non ce ne accorgiamo, perché l’amore si accorge che c’è prima di noi!
- Come sei poetica oggi!
- Saranno tutte queste cose da bambini che mi fanno commuovere! - Disse asciugandosi gli occhi.
- Allora Anthony Di Nozzo e Ziva David - Disse mentre digitava i nostri nomi del database - Eccovi qua… Ed ora aggiungiamo il campione che per ora chiamiamo Piccolo DiNozzo…
- Si chiama Nathan - La interruppi precisando il nome di mio figlio ed indicando il nome sul fascicolo
- Ok, inseriamo campione Nathan - cancellò e riscrisse il nome - Dai amico mio, comincia a correre adesso. 
Diede ok e i numeri cominciarono ad alternarsi sullo schermo.
- Tieni, questi li puoi riportare alla mamma. - Disse dandomi i suoi indumenti - Sai che mi fa strano pensare a Ziva mamma? Cioè, Ziva tu la immagini che spezza un braccio a qualcuno, che spara ai cattivi, che fa fuori una banda intera di malviventi… Magari tu la immagini anche in qualche altro modo diverso, certo… 
- Abby!!! - Esclamai richiamandola ad evitare di parlare di certe cose
- Sì, scusa Tony… Però è così strano pensarla tra pappe e pannolini… Ma sono sicura che sarà bravissima!
- Non è facile nemmeno per me adesso. Anche se ho visto foto e video e sembra che per lei sia la cosa più naturale del mondo. - Mi stavo commuovendo di nuovo ed Abby mi abbracciò. Mi asciugai velocemente gli occhi.
- Sui documenti ci dovrò lavorare ancora un po’. Vai su appena ho i risultati te li porto. - Cambiò discorso capendo la mia difficoltà
- Aspetto qui.
- No Tony, mi disturbi adesso, vai via. Sei un uomo da prendere a piccole dosi… Soprattutto quando sei così poco DiNozzo e troppo Tony - Mi parlava accompagnando le sue parole ad ampi gesti eloquenti sul volermi cacciare dal suo laboratorio
- Va bene, va bene… Dì al tuo amico cervellone di sbrigarsi però!
- Tu vai che adesso parlo con lui! - Disse mentre accarezzava lo schermo come se fosse un cagnolino e non un computer
Stavo uscendo quando sentii un bip prolungato provenire dalle sue apparecchiature.
Mi voltai di scatto guardai lo schermo dove lampeggiava una scritta verde, poi guardai Abby che sfoderando il suo miglior sorriso mi disse solamente “Congratulazioni papà!”

Tornai di corsa al piano superiore, molto sollevato.
Ziva era seduta vicino il distributore del caffè. Si teneva la testa tra le mani con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. 
- Ziva… 
Si alzò di scatto e mi guardò. Credo che avesse pianto dopo che ero sceso da Abby, aveva gli occhi arrossati.
- Tieni - le porsi le cose di nostro figlio, ora ne ero certo
- Ha trovato qualcosa?
- Sì, il dna di nostro figlio.
- Io lo sapevo che era nostro figlio e non solo perché non poteva essere di nessun altro. Ma perché Nathan poteva essere solo il frutto di quella notte. - La sua voce si mescolava ai singhiozzi mentre tornò a coprirsi il volto con le mani
- Ziva, non piangere adesso. Lo riportiamo a casa nostro figlio. Abbiamo fatto un altro piccolo passo oggi. Dai…
Mi piegai davanti a lei che non riusciva più a trattenere le lacrime.
- Ehy Ziva… Andiamo a casa dai… 
Sentii una mano sulla mia spalla. Era Gibbs. Mi fece cenno di andare e si mise esattamente dove ero io. Sulla porta dietro di noi, tutta la squadra aveva assistito alla scena. Mi sentivo fortemente imbarazzato per aver condiviso un momento così personale con tutti loro. 

— — — — —  

- Ziva…
Tentai inutilmente di asciugarmi gli occhi e lo guardai. Gibbs era davanti a me. Mi prese sotto le braccia invitando ad alzami.
- Andiamo a prendere un po’ d’acqua di là.
Lo seguii nell’altra stanza dove eravamo solo io e lui. Mi fece sedere e mi portò un bicchiere di acqua fresca.
Prese la sedia e si mise vicino a me
- Come vuoi che ti parli adesso?
- Che vuoi dire?
- Vuoi che stia qui a commiserarti?
- Non ho mai voluto la compassione. Voglio che mi dci quello che pensi.
- Devi reagire, non è facile ma lo devi fare. Qui faremo tutto il possibile per riportare tuo figlio a casa. Ma non è solo questo. Quello che hai passato questi giorni è qualcosa di importante. Non lo puoi accantonare e far finta che non c’è. Perché poi il dolore tornerà quando non te l’aspetti e farà più male. Un dolore non sostituisce un altro. 
- Io adesso sto solo pensando al mio bambino che non so dov’è e che vorrei qui. Ora che… che…
- Dillo Ziva! Lo devi dire tu.
- Che l’altro non c’è più.
Mi abbracciò con le sue braccia forti. 
- Ascoltami. Qualche giorno fa pensavi che non avevi più nulla. Avevi perso il tuo bambino, non avevi notizie di tuo figlio e Tony non c’era. Oggi sei qui, con Tony vicino a te che sta male per te. Tu eri convinta che ti odiava, che non ti voleva più vedere.
- Tony è… è Tony
- Ricordatelo questo. Fidati di lui. E fidati di tutti noi. Stiamo facendo dei progressi con questa nuova strada per riportare qui Nathan. Siamo tuoi amici, siamo la tua squadra. Lavoriamo tutti insieme. 
- Grazie Gibbs. - Mi asciugai le lacrime - Ultimamente non faccio che ringraziarti
- Ziva… Ti prometto che quelli che hanno fatto tutto questo, qui e altrove, la pagheranno. Non so quando, ma non finirà senza conseguenze.

— — — — —  

Eravamo di nuovo a casa. Le portai una tazza di te sul divano. Poi mi sedetti vicino a lei e la abbracciai facendola appoggiare sul mio petto. Era pallida.
- Stai bene?
- Sì
- Sei sicura?
- Ora sì. - disse accoccolandosi meglio.

Mentre sorseggiava il te mi accorsi che mancava qualcosa…

- Dov’è l’anello?
- Io l’avevo tolto. - Mi rispose con tono colpevole - Mi faceva male vederlo, pensavo che tra noi fosse tutto finito… te l’avrei ridato, non lo avrei tenuto - Si precipitò a concludere
- Ok, dove l’hai messo?
- Nella borsa.

Mi alzai e le portai la borsa, lei lo trovò e lo presi.
Poi presi anche la sua mano.
- Voglio che diventi mia moglie perché mi hai spezzato il cuore e quello che ne resta ti ama come prima. 
Voglio che diventi mia moglie perché voglio che noi tre diventiamo una vera famiglia.
Tu lo vuoi sempre?
- Sì. 


 

NOTA:Questo è un capitolo un po' interlocutorio, per chiudere in parte gli eventi precedenti ed aprire la nuova pista che dovrà portare al ritorno tanto atteso del bambino, ma non solo... Dal prossimo altre novità e qualche vecchia conoscenza della storia che ritorna...
Prima che me lo chiediate, ho scelto come data di nascita il 17 giugno perché più o meno rientravamo con i tempi del parto e poi perché per me il 17 giugno è una data speciale, è l’eccezione che conferma una vita di “mai na gioia” quindi perfetta per la nascita di Nathan ;) 
E ricordatevi che Gibbs mantiene sempre le sue promesse ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Resistance ***


…If we live a life in fear
I'll wait a thousand years   
Just to see you smile again…

- Cosa leggi Tony? 
Prese il libro e guardò la copertina perplessa “Come seguire una partita di calcio” di Ron Rhodyù
- Hai bisogno di un libro per vedere una partita? - Mi disse prendendomi volutamente in giro. Era divertita, io molto meno.
- Volevo capirci qualcosa per non fare la figura dell’idiota. Tu ci capisci qualcosa di calcio?
- Certo che ci capisco di calcio, per chi mi hai preso! In Israele tutti seguono il calcio
- Ma è uno sport da donne!
- Solo qui è uno sport da donne! In tutto il resto del mondo che non vive di basket, baseball, il “football” è il calcio e si gioca con i piedi da uomini spesso anche decisamente piacenti in pantaloncini corti. 
- Ah la metti così? - Mi alzai e le andai difronte cingendole i fianchi - Decisamente piacenti eh? Devo andarmi a cercare dei pantaloncini corti?
- Tony, se non hai il fisico è inutile… - disse mentre dava dei colpetti sulla mia pancia
- David! Io ce l’ho il fisico! - Certo non avevo la tartaruga e non ero palestrato, ma insomma me la cavavo sempre!
- Non ti preoccupare DiNozzo, mi piaci anche così, un po'... morbido - E mi diede un bacio sul collo prima di allontanarsi per finire di prepararsi.
Mi stava implicitamente dicendo che non ero in forma, ma che a lei andavo bene ugualmente. Non sapevo de essere felice o no, preferii tornare a parlare di calcio.
- Io continuo a preferire quello che si gioca con le mani di football. - Le dissi imitando le finte per sfuggire ad un placcaggio tenendo il libro come una palla ovale.
- Allora potresti fare il portiere!
- Spiritosa…
- Dai andiamo se no facciamo tardi!
- Vieni anche tu oggi? - Le chiesi perplesso
- Sono stata anche troppo a casa. Non mi fa bene stare tutto il giorno qui a pensare senza fare niente.
- Ti devi riposare ancora qualche giorno. Lo hanno detto in ospedale.
- Tony, se rimango ancora qui così impazzisco. Ho bisogno della mia vita. - Mi disse con gli occhi che supplicavano
Indossai la mia fondina, lei fece lo stesso.
- Non è necessario che la porti, non ti muoverai dall'ufficio - le dissi serio e irremovibile
- Non lo faccio perché è necessario ma perché così mi sembra tutto più normale.
- Non dobbiamo fare per forza finta che lo sia, Ziva. 
La abbracciai e la tenni così per un po', stretta a me, mentre le sussurravo tra i capelli
- Io non so più adesso cosa è normale e cosa no. Voglio prendere quel bastardo che ti ha fatto questo. Voglio riportare nostro figlio a casa. Voglio vederti sorridere. - Lei mi guardò e sorrise - Con gli occhi Ziva, ti voglio veder sorridere con gli occhi. Non far finta che è normale, poi stai peggio.


Appena uscimmo dall’ascensore sentii McGee parlare con uno degli agenti di sicurezza. Avevano catturato Roy Dunn ad un posto di blocco.
- Dov’è? - Mi impaurii del mio stesso tono di voce. 
- Tony, forse dovremmo aspettare Gibbs…
- Pivello ti ho chiesto dov’è? Se Gibbs non c’è qui il più alto in grado sono io, non te lo devo ricordare, vero? - Stavo trattando malissimo McGee, ma in quel momento non riuscivo a ragionare lucidamente. Volevo quel bastardo davanti a me, lo volevo subito.
- Nella sala interrogatori. - Mi disse rassegnato
Andai verso la sala interrogatori come una furia. Prima di entrare notai Ziva nella stanza accanto che fissava Roy Dunn dal vetro. Stava in piedi le braccia incrociate sul petto, lo sguardo fermo, era una statua. La guardavo guardare oltre la parete in direzione dell’uomo che le aveva stravolto la vita pochi giorni prima. Il suo sguardo era impassibile, così come la sua postura. Chiunque l’avesse vista e non sapesse cosa le era successo, non avrebbe mai immaginato nulla, non lasciava trasparire nessuna emozione, anzi sembrava tranquilla, determinata ma tranquilla. Se qualcuno glielo avesse chiesto lei avrebbe detto che era stata addestrata nel Mossad, lì ti insegnano queste cose, perchè non bisogna essere deboli davanti al nemico: mai.
Avrebbe potuto ingannare chiunque, ma non me. Sapevo che dietro quella corazza c’era una donna fragile che ancora soffriva terribilmente. La sentivo quando la notte si svegliava singhiozzando di soprassalto, quando durante la giornata all’improvviso qualcosa catturava la sua attenzione e lei spariva dal mondo e i suoi occhi diventavano sempre più tristi, sempre più pesanti, gonfi di lacrime che voleva ricacciare via. Sapevo quanto stava male e non potevo fare nulla per lei ed era straziante per me che avrei preso le sue sofferenze se fosse stato possibile per farla stare meglio.
- Ehy occhioni belli… - Le dissi con tutta la dolcezza che potevo e che riuscivo a mettere in quel momento. 
- Tony? - Si volto verso di me sorpresa più lei di vedere me di quanto non avrei dovuto essere io a trovarla lì.
- Spero non siano in molti a chiamarti così. - Cercavo di sdrammatizzare - Non dovresti essere qui, non è necessario.
- Voglio essere qui. Mi raccomando Tony… 
Sapevo cosa voleva dire, mi conosceva anche lei, sapeva che vulcano avevo dentro e che non avevo il suo autocontrollo. Nel tempo aveva imparato a condurre perfettamente degli interrogatori senza farsi condizionare da nulla, non come quando era arrivata che sapeva interrogare solo tramite tortura e trovava singolare il fatto che non potevamo fare danni fisici. In quel momento avrei preferito che fosse lei ad interrogarlo e che non fossimo a Washington ma a Tel Aviv. Sarebbe stato tutto più giusto.
 Misi da parte la mia rabbia per avvicinarmi a lei ed accarezzarla, rassicurarla o forse rassicurarmi.  
- Non ti preoccupare.

Entrai senza guardarlo in faccia. Feci sbattere i fascicoli sul tavolo, spostai la sedia e mi sedetti. Aprii con calma la cartellina con la sua scheda.
- Bene, bene… Roy Dunn. - Rimasi qualche secondo in silenzio fissandolo non sapevo se percepiva tutto il mio odio, ma lo speravo, dove sapere quanto era odiato da tutti qui dentro - In attesa di processo per l’omicidio di un Marine, il caporale Earl Nelson, qualche furto, qualche denuncia per rissa e poi l’aggressione all’agente David. Un bel curriculum, non c’è che dire.
- Non avete prove per l’accusa di omicidio. Ed il fatto che fossi libero ne è una prova. 
- Non eri libero, Roy. Eri ai domiciliari. E’ diverso. Ma non siamo qui per parlare dell’omicidio del povero caporale Nelson, di quello se ne occuperanno altri… Come mai qualcuno ci ha portato a casa tua, dicendo che il sergente Dale Brooks si trovava da te? E soprattutto perché se tu eri pulito hai pensato bene di aggredire un agente dell’NCIS?
- Perché credevate che questo tizio fosse da me lo dovete dire voi, non io. Non sono mica io che vi ho invitato ad entrare… - mi rideva in faccia - E per quanto riguarda l’agente, beh se si fosse identificata non l’avrei mica aggredita.
- Roy non giocare con me. E’ un gioco molto pericoloso oggi…
- Io non sto giocando, ma se quella moretta si fosse ricordata di dirmelo che era dell’NCIS sarei stato buono, a me non piace mica picchiare le donne, tranne in certe situazioni, sa cosa voglio dire, vero agente… E quella lì sarebbe stato un piacere domarla altrove… deve essere un bel peperino visto i calci che da… capito che intendo, no?
In quel momento non capii più niente nella mia mente le immagini di lui che la toccava mi annebbiarono completamente il cervello e mi fecero perdere tutto l’autocontrollo che mi ero imposto di avere, sapendo che lei mi stava osservando. Ma sapevo anche che lei stava sentendo tutto e questo mi fece perdere l’ultimo briciolo di razionalità che mi era rimasta. Mi alzai di scatto, lo presi per il bavero della camicia e lo sbattei al muro. Mi guardava ridendo ci ero cascato come un pollo, ma ormai l’avevo fatto.
- Senti bastardo, te lo dico una volta e non te lo ripeto più. Un’altra parola fuori posto e da questa stanza tu ci esci morto e spera che sia una morte rapida.

La porta della sala interrogatori si aprì proprio mentre finivo di parlare.
- Di Nozzo, esci. Subito. - Era Gibbs, era arrivato, ma io continuavo a tenerlo contro il muro facendo sempre più pressione, mentre Roy mi guardava con un sorriso sempre più soddisfatto. - Ti ho detto subito, Tony.
- Agente Di Nozzo, le conviene dare ascolto al suo superiore. Di certo non sarà un bene per il proseguo di questa conversazione il fatto che lei abbia appena minacciato di morte il mio assistito, che oltretutto stava interrogando senza il suo legale.
Conoscevo bene quella voce, anche se il tono era completamente diverso. Lasciai andare Dunn e mi voltai verso quella voce
- Michelle!
- No, agente Di Nozzo. Non sono Michelle per lei. Sono l’avvocato Sandler dello studio Emmanuel & Partners. Se lo ricordi.
- Cosa ci fai qui?
- Difendo un mio cliente, mi pare ovvio.
- Di Nozzo, ti avevo detto di andartene subito. - Intervenne Gibbs visibilmente alterato.
- Sì Capo…
Confuso uscii e andai nella stanza dietro la sala riunioni dove ora oltre Ziva c’erano anche McGee e Bishop.
Mi guardavano con aria visibilmente di rimprovero.
- Cosa avete da guardare tutti? - Ero arrabbiato con me stesso e me la prendevo con loro
- Tony, non dovevi reagire così. Ti stava volutamente provocando. 
Ero ancora con l’adrenalina a mille e non le rispondevo.
- Tony, mi stai ascoltando? Se fai così peggiori solo le cose.
- Scusami Ziva se io non sono come te, che riesce a rimanere di ghiaccio davanti a chi gli ha rovinato la vita. Scusami tanto, a me non hanno addestrato nel Mossad, sono un semplice poliziotto americano.
Andai nel bagno degli uomini, mi sciacquai il viso. Ma cosa le avevo detto? Non feci in tempo a razionalizzare che me la trovai dietro, la vidi nello specchio.
- Amore mio, mi dispiace - non la chiamavo spesso così, so che a lei i nomignoli non le piacevano ed evitavo.
- Anche a me dispiace. Dispiace che nonostante tutto tu continui a vedermi sempre nello stesso modo, una del Mossad, perché ogni volta che ti arrabbi me lo rinfacci. Non posso cancellare quello che è stato Tony. Vorrei farlo ma non posso. 
- Perdonami Ziva… Ma quando parlava di te, io non ho capito più niente ed ho perso le staffe
- Fai solo il suo gioco così, lo capisci? 
- Io quel bastardo lo vorrei solo uccidere con le mie mani. - Le dissi stringendo i pugni immaginando di poterlo stritolare stringendo sempre più forte.
- Una volta queste cose le dicevo io. - Cercava di essere comprensiva ed alleggerire la situazione. 
- Ed io ero quello che ti diceva di calmarti. Sono cambiate le cose si vede.
Mi prese le mani che continuavo a stringere forte fino a farle diventare bianche per lo sforzo senza nemmeno accorgermene. Aprì i miei pugni, mise le sue mani tra le mie e lasciò che le nostre dita si incrociarono, stringendosi insieme. Insieme. Eravamo e saremmo stati insieme, ad affrontare tutto, adesso che ci eravamo lasciati alle spalle bugie e segreti, anche Roy Dunn che forse faceva più paura a me che a lei.
- Ehm ragazzi… Il capo ci vuole parlare… - Anche McGee era entrato e quel bagno stava diventando troppo affollato.
- Ok Pivello, 2 minuti e arriviamo.
- Vi aspettiamo su.
- Tony, sei sicuro che è tutto ok? - Mi chiese
- Sì, è tutto ok.

--- --- --- --- --- 

Arrivammo sopra e Gibbs con McGee ci stavano aspettando. 
- Ziva, siediti - mi disse Gibbs con tono serio
- E’ successo qualcosa?
- Sì.
In quel momento la mia mente andò subito a Nathan. C'erano novità? E se sì, erano positive o negative? Il suo viso purtroppo non faceva pensare nulla in positivo.
- Roy Dunn ed il suo avvocato sostengono che tu non ti sei identificata quando sei entrata nel retro con Bishop e che il tuo distintivo non era visibile. - Tirai mentalmente un sospiro di sollievo. Non riguardava mio figlio. Poi mi concetrai su quello che stava dicendo e caddi dalle nuvole.
- Ma no Gibbs, mi sono identificata, come sempre ed il mio distintivo è dove lo tengo sempre in questi casi - indicai la cintura
- Ziva, sei sicura? Hai preso una botta in testa, sei sicura che i tuoi ricordi sono lucidi?
- Gibbs, perché metti in dubbio le mie parole, chiedi anche a Bishop… - Realizzai che Bishop non era lì - Dov’è?
- Non l’ho voluta qui, volevo sentire te. - Il tono di Gibbs mi stava facendo preoccupare adesso.
- Perché?
- Anche lei dice che non si ricorda di averti sentito identificare.
- Gibbs ma… credimi mi sono identificata! Non farei mai un errore del genere!
- Era tanto che non facevi più delle azioni sul campo… - stava dubitando di me? delle mie capacità?
- Ne avevo fatte altre dal mio rientro, cosa stai dicendo?
- Capo, se Ziva dice che si è fatta riconoscere, lo ha fatto - intervenne Tony nel suo ormai solito atteggiamento difensivo nei miei confronti, anche quando non c'era motivo, soprattutto con Gibbs.
- Tony, stanne fuori, hai già fatto troppi danni oggi. - Era ancora decisamente arrabbiato per quando accaduto prima e non poteva essere altrimenti conoscendolo. Non lo avrei detto a Tony, ma in questo caso ero assolutamente con Gibbs, aveva sbagliato su tutta la linea.
- Come vuoi Capo… come vuoi tu. - Non era tutto ok, ma lo sapevo. Tony se ne andò e non era da lui lasciare le riunioni con Gibbs così, ma lui non si oppose, in fondo lo capiva e credo che al posto suo avrebbe fatto anche peggio. Magari non in sala interrogatori ma lo avrebbe fatto. 
- Gibbs, credimi. Io non so perché Bishop dica questo ma non è vero. Il mio distintivo era ben visibile, mi sono identificata come agente nell’NCIS appena entrata, come sempre. Lei era qualche passo dietro di me, ma deve aver sentito per forza.
- McGee, vai a cercare Tony e portamelo qui dopo che si è calmato un po'. - Poi rivolgendosi a me - Ziva, io ti credo. Se no non eravamo qui a parlare tra di noi. L’avvocato di Dunn vuole usare questo cavillo per far cadere le accuse sul suo assistito, se lo farà ci sarà un’indagine interna su di te, lo sai vero? Per ora è meglio che tu ne stia fuori.
- Lo so Gibbs, lo capisco.

McGee e Tony erano tornati.
- Tony, adesso mi dici tutto quello che devo sapere sull’avvocato di Dunn visto che tra noi sei quello che la conosce meglio.
- Cosa ti devo dire capo? E’ meticolosa, studia le cause in maniera maniacale, cerca sempre ogni appiglio. Da quello che so, ha sempre vinto ogni sua causa. Nel suo studio è considerata tra le migliori. Non ha paura a sporcarsi le mani, ma nel periodo in cui siamo stati insieme non ho mai saputo di pratiche fuori dalla legalità per ottenere quello che vuole.
- Capo, - intervenne McGee - ho fatto una ricerca adesso sul suo studio, è uno dei più affermati dello stato. Molto potente soprattutto nella cause contro il “sistema”. Si sono occupati di vari casi spinosi come quello di Bobby C. Edwards accusato di aver malmenato un poliziotto durante una rapina in cui lo stesso Edwards è rimasto ferito. Il giudice alla fine ha condannato il ragazzo solo per rapina ed accusato il poliziotto di tentato omicidio per aver sparato a Edwards.
- Non sarà una storia semplice… - Affermò Gibbs
- Mi dispiace, se fossi stata più attenta non sarebbe successo tutto questo. - Dissi - ho bisogno di prendere un po’ d’aria, scusatemi

--- --- --- --- ---

Ziva uscì. Stava male, si sentiva in colpa ed io non avevo niente di meglio da fare che dire frasi a cazzo per farla stare peggio. Ma come mi era uscita quella frase sul Mossad?
Scesi per cercarla e invece incontrai Michelle.

- Buongiorno Agente Di Nozzo
- Buongiorno Avvocato - Il gelo tra di noi avrebbe rinfrescato un deserto ad agosto.
- Credo che il mio assistito vi saluterà presto.
- Perché stai difendendo quel bastardo?
- Se lo dice lei che è un bastardo dovrei crederle Agente, è uno che di bastardi se ne intende a quanto pare.
- Non finisce qui Michelle…
- Agente Di Nozzo, io capisco che lei è ancora sconvolto per la sua perdita, ma sa a volte capita che le persone perdano qualcosa a cui tengono improvvisamente e non è colpa di nessuno, no? Sono cose che accadono, è il destino…
- Chi te lo ha detto?
- Cosa, della sua perdita? L’ho letto nelle carte Agente. Vorrei dirle che mi dispiace, ma oggi ho proprio altri pensieri per la testa, si dice così in questi casi, no?
- Sei… lasciamo perdere.

Corsi fuori e vidi Ziva appoggiata al muro vicino all’entrata. Non le dissi nulla, semplicemente l’abbracciai. Nel frattempo anche Michelle stava uscendo e ci guardò sorridendo. Spostai le sguardo per non vederla.
- Andrà tutto bene Ziva. Tutto bene… Andiamo ora che prendi freddo qua fuori così.


Tornammo in ufficio. Bishop ancora non si vedeva, la stavano interrogando gli affari interni su tutta questa situazione. Ziva passò quasi tutta la giornata da Abby per perfezionare i documenti di Nathan che erano finalmente pronti per essere “inseriti” nel sistema dell’ambasciata.
Quella sera vidi nei suoi occhi un briciolo di speranza in più, ma la mattina dopo la chiamata di Vance per comunicare a Ziva che era sotto indagine e sospesa non fece altro che far aumentare di nuovo la mia rabbia per tutta quella situazione. Per lei invece la cosa più grave era che non poteva seguire direttamente l’andamento della vicenda di Nathan.


Quando arrivai, da solo, in ufficio avevo un unico chiodo fisso. Ci avevo pensato tutta la notte. Qualcosa non mi tornava in tutta questa storia.
- Capo voglio vedere il fascicolo di Dunn con il resoconto dell’interrogatorio.
- Di Nozzo, tu devi stare fuori da questa faccenda.
- Capo è importante. C’è una cosa che non mi torna
- Cosa?
- Ieri ho incrociato Michelle e mi ha parlato della “mia perdita”. Ci ho riflettuto tutta la notte. Lei sapeva che Ziva era incinta ed ha detto di averlo letto nel suo fascicolo. Mi avevate detto che non era stato inserita questa storia. Che era una cosa che sarebbe rimasta solo nostra, perché non era rilevante per le indagini! - Urlai
- Tony, dovrai imparare a controllarti, altrimenti sarà un problema
- Scusa Capo è che è passato così poco tempo…
- Comunque nessuno lo messo nei verbali.
- Tu non le hai detto niente durante gli interrogatori?
- No, perché avrei dovuto?
- Bishop! Glielo hai detto tu quando avete parlato anche del resto?
- Tony no! Non le ho detto nulla di Ziva! Quando l'ho incontrata nemmeno lo sapevo!
- Eppure da qualche parte deve averlo saputo! Qualcuno di noi glielo deve aver detto!
 

Andai fuori a prendere un caffè e in quel momento incrocia Bishop che stava rientrando in ufficio dai bagni
- Ellie, ti devo parlare, andiamo di là
Lei mi seguì nella piccola stanza attigua a quella degli interrogatori. 

- Perché lo hai fatto Ellie? Perché sei andata a parlare con Michelle di cose che riguardavano il caso? - Le chiesi appena chiusa la porta.
- Io non sapevo... Mi ha chiesto che era successo... Stavamo parlando normalmente, mi ha detto che era preoccupata che tu fossi rimasto ferito perché aveva saputo che c'era un agente ferito e aveva sentito mentre parlavo con Abby che eri in ospedale... 
- No, Ellie, scusa, tu quando hai parlato con Michelle?
- Il giorno che siamo andati a casa di Roy Dunn, quando sono tornata e stavo portando delle prove a Abby per farle esaminare, lei era qui perché ha detto che doveva ritirare degli incartamenti per un caso… Io non so, Tony veramente mi dispiace, non pensavo...
La sua voce era veramente dispiaciuta per l'accaduto, non sapeva che ci fossimo lasciati così male con Michelle, ma infondo non è che ultimamente avessimo parlato molto. Nonostante questo la mia rabbia nei suoi confronti non passava. Stavo cercando un colpevole, una valvola di sfogo?
- Non pensavi Eleanor? Non pensavi? Quando mai tu non hai pensato? Incontri una persona qualsiasi e casualmente parli di un caso dell'NCIS? Mi prendi per stupido?
- Tony è così! Ho sbagliato! Michelle mi sembrava seriamente preoccupata per te!
- Perché poi quando ieri ti hanno chiamato gli affari interni per interrogarti non hai detto che ti eri sbagliata, che era una frase uscita in un momento di stress emotivo? Perché hai confermato di non aver sentito Ziva identificarsi e ti sei fatta tutti quei dubbi su dove porta il distintivo?
- E’ è quello che mi ricordo Tony. Io non sono sicura che lo abbia fatto. E nemmeno che il suo distintivo era visibile e non nascosto dalla maglia. 
- E se non sei sicura metti nella merda una persona della squadra? Per un tuo fottuto dubbio? Sai cosa vuol dire essere una squadra Ellie? Lo hai capito? Perchè non ne hai parlato con lei?
 Lei non aveva solo messo in mezzo Ziva, ma tutta la nostra squadra mettendo in dubbio la capacità di un nostro elemento.
- Tony qual è il tuo problema eh? Che non ho rispettato la squadra o che non ho rispettato Ziva?
Ora il suo tono era cambiato, forse anche per reazione alle mie parole così dure e dirette. Non si stava più scusando, stava contrattaccando.
- Vuoi mettere in dubbio anche me adesso? La mia lealtà? La vuoi mettere solo sul piano personale?
- Dai Tony, non prendiamoci in giro, non avresti avuto la stessa reazione se al posto di Ziva ci fosse stato McGee o io o Gibbs.
- Non ti permetto di dirmi questo Eleanor. Io non ho mai tradito un compagno di squadra. Mai. Ci siamo sempre difesi spalla a spalla. Anche in casi peggiori, quando tutto sembrava contro di noi, siamo sempre stati un gruppo, fidandoci gli uni degli altri.
- Tu metteresti la mano sul fuoco per lei? Tu saresti assolutamente sicuro che quello che ti ha detto è vero?
- Sì Eleanor, io ce la metto la mano sul fuoco per lei.
- Non è detto che le persone siano quelle che noi pensiamo che sono. Non è perché lei è la tua donna vuol dire che non ti tradirà o non ti mentirà.
- Ora chi è che mette in mezzo le questioni personali? Ziva non è tuo marito. E se anche tra noi non ci fosse più nulla so che non tradirebbe mai la nostra squadra.
- Non è carino tirare fuori i trascorsi di mio marito adesso. 
- Non è stato carino nemmeno far sospendere Ziva. Che c’è ti senti minacciata da lei?
- Basta Tony! - Se ne andò via piangendo.

Ero tornato alla mia scrivania e Bishop era davanti a me ma non riuscivo a guardarla in faccia. Mi sentivo tradito. 
- Di Nozzo, McGee, ci ha chiamato Vance. Dobbiamo andare da lui!
- Anche io? - Chiese Ellie
- No Bishop, tu no. Solo noi.

- Bene, siete tutti e tre qui…  L’avvocato Sandler ha denunciato l’NCIS.
- Per cosa? - Chiese Gibbs
- Fabbricazione di prove false, violazione di domicilio, ingiusta detenzione, minacce… Una bella lista di cosa - disse sbattendo un fascicolo sulla scrivania
- E’ assurdo - Intervenni
- Già, è assurdo. Però è così, e di certo un agente che in un interrogatorio minaccia di morte un sospettato non aiuta le cose, che ne pensi Di Nozzo?
- Che non avrei dovuto solo minacciarlo direttore.
- Sulla base di cosa avremmo fabbricato false prove? - Chiese Gibbs
- Il sintetizzatore vocale usato per la telefonata è uguale a quello che abbiamo noi in dotazione, ed è stato accusato un soggetto in corso di altre indagini con l’intento di screditare la sua figura
- Ma è assurdo! Quale giudice può dare credito ad accuse così ridicole! - Sbottai
- Evidentemente lo studio Emmanuel & Partners conosce chi lo farebbero, visto che lo hanno fatto ed anche molto celermente.
- Quindi? Che dobbiamo fare? - Gibbs stava perdendo la pazienza con queste chiacchiere
- Niente Gibbs. Nessuno di voi tre. Il caso sarà spostato ad un altra squadra e voi siete temporaneamente sospesi fino a nuove disposizioni ed accertamenti. Ordini superiori. Bishop non è stata inclusa nel provvedimento perché ieri ha collaborato durante il suo interrogatorio. Consegnatemi distintivi e pistole.

McGee era allibito e meccanicamente senza proferir parola mise gli oggetti sulla scrivania di Vance. Gibbs sorrideva scuotendo la testa e so che in quel momento aveva il sangue che ribolliva di rabbia come il mio. 
- Tieni Vance - Disse dando i suoi effetti nelle mani del direttore - Fanne buon uso.
Io mi slacciai la fondina, strappai via il distintivo e li misi  sulla scrivania poggiandoli con tutta la forza che avevo. Il rumore rimbombò per tutta la stanza. Mi guardarono tutti e tre, ma nessuno mi disse nulla. Stavamo uscendo quando Vance ci richiamò
- Gibbs! Hai un’ora di tempo prima che vengano a prendere i computer ed il materiale cartaceo. Usala bene.

Corremmo velocemente giù per le scale, ogni momento era prezioso.
- McGee, scarica tutto quello che abbiamo sul caso, fai una copia di tutti i documenti, di tutti i video e le registrazioni. Tony, occupati di tutti i verbali. Io vado a parlare con Abby.
- Bishop - la guardai con vero odio - se ti azzardi a dire a qualcuno quello che stiamo facendo rimpiangerai il giorno che sei venuta a lavorare qui.

Copiammo tutto quello che potemmo e lo portammo in macchina di Gibbs che andò via prima dell’arrivo della squadra che avrebbe requisito il materiale. Io e McGee assistemmo al sequestro di tutti i nostri strumenti. Ci invitarono ad andarcene senza prendere niente, e quasi non mettevo le mani addosso ad un bellimbusto che non voleva farmi prendere la foto di Ziva e Nathan che tenevo sulla scrivania.
Eravamo rimasti d’accordo di vederci da Gibbs il giorno dopo, la nostra unica speranza era Abby, che doveva essere i nostri occhi e le nostra braccia dentro l’NCIS. E poi c’era sempre la questione di Nathan aperta, un caso non ufficiale ma al quale noi stavamo lavorando tutti con il benestare di Vance e che ora avrebbe subito una battuta d’arresto.

Tornai a casa molto amareggiato. Queste giornate sembravano montagne russe, le speranze di un giorno diventavano amarezza nel giorno successivo.
Aprii la porta sperando di potermi presto rifugiare nelle sue braccia e passare il resto della giornata a coccolarci, almeno quel pomeriggio avrebbe avuto un senso.
Quando entrai la vidi accovacciata a terra, appoggiata con la schiena alla base del bancone della cucina ed il cellulare in mano. Buttai tutto per terra e corsi da lei, spaventato nel vederla così, ok che durante la giornata le capitavano i momenti di sconforto ma mai così.
- Cosa è successo? - Le chiesi preoccupato chinandomi e scostandole una ciocca di capelli dal viso e passandogliela dietro l’orecchio
- Nulla
- Ziva… - nella mia voce c’era delusione e rimprovero. Perché non voleva confidarsi con me?
- Mi ha chiamato la clinica per ricordarmi che domani avevo appuntamento per fare l’ecografia.

La vidi portarsi, forse inconsciamente, una mano sul ventre. Mi misi seduto vicino a lei, la stringevo a me e la cullavo come avevo fatto il giorno che eravamo tornati a casa dall’ospedale senza smettere di baciarle i capelli e rassicurarla che non era sola, che c’ero io con lei e che avremmo superato tutto insieme. La sua fragilità in quei momenti mi spiazzava. Non mi ero ancora abituato a vederla sempre più spesso così, del tutto differente dall’immagine che avevo sempre avuto di lei, o meglio quella che lei voleva mostrarmi. Mi straziava sapere di non poter far nulla per farla stare meglio. Ogni volta che mi sembrava stesse meglio, c’era sempre qualcosa che la riportava indietro. Erano passati ancora pochi giorni, ma a me sembravano un’eternità. 

- Perché sei già a casa? - Mi chiese quando si rese conto che ero tornato molto prima di quanto si aspettasse.
- Ci hanno sospesi.

 

NOTE: il libro esiste veramente, il titolo originale è “SOCCER A Spectator’s Guide: How to Watch a Soccer Game” ed è un libro commercializzato negli Stati Uniti per spiegare come seguire una partita di calcio a chi non lo ha mai visto. Quando ho visto che esisteva questo libro la tentazione di inserirlo nella storia è stata troppo forte, anche perchè il calcio molto seguito in israele in contrapposizione con gli sport americani lo farò tornare un po’ di volte nel corso della storia e poi Nathan dovrà essere tifoso di qualche squadra, ma non ci metto nessuna italiana, così non si arrabbia nessuno :D

Questo sarà il primo di 3 capitoli un po' più movimentati... abbiamo sempre delle indagini in corso, mica ce lo dimentichiamo!
E per la serie “A volte ritornano” ecco a voi Michelle! Che era avvocato si sapeva, no? Potevo dedicarle un pezzo senza che avesse uno sviluppo in seguito la sua storia? 
Comunque credo che il mio Tony prima della fine della storia lo faranno santo… Oppure mi devo inventare qualcosa per umanizzarlo un po’


Volevo approfittare per ringraziare tutti quelli che stanno leggendo questa storia e quelli che commentano, siete sempre molto gentili.
Ovviamente non lo nego, sapere le vostre opinioni e quello che vi piace di più è sempre uno stimolo per andare a rivedere e correggere quello che ho già scritto prendendo spunto da quello che funziona di più e di meno, quindi se continuate mi fate solo piacere :)

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Friends Will Be Friends ***


... It's so easy love cos you got friends you can trust 
Friends will be friends   
When you're in need of love they give you care and attention
Friends will be friends ...

La mattina eravamo tutti a casa di Gibbs ad esaminare quello che McGee era riuscito a recuperare prima che l’FBI ci sequestrasse tutto il materiale e ci sospendesse tutti.
Una grande lavagna bianca era proprio dietro il tavolo di Gibbs e McGee davanti segnava tutti i punti del caso.

- Ricapitoliamo - disse Gibbs - qualcuno sapeva che stavamo indagando sulla scomparsa del sergente Dale Brooks e ci ha voluto far andare a casa di Roy Dunn.
- Questo qualcuno - aggiunsi - sapeva che lì non avremmo trovato nulla del sergente.
- Che vantaggio poteva avere a farci andare a casa di un sospettato di omicidio di un altro Marines a cercarne uno sparito? - Chiese McGee
- A far cadere le accuse anche sul primo caso. - Disse infine Gibbs
- Ma certo Gibbs! Cosa ha detto l’avvocato Sandler  l’altro giorno? “Smettetela di fabbricare prove contro il mio assistito”. Se lei dimostra che Roy Dunn è stato preso di mira da noi con tanto di prove false, avrà vita facile nel dimostrarlo anche per il primo caso, facendo leva sull’accanimento dell’NCIS nei suoi confronti, anche se non ci siamo occupati noi di Earl Nelson. - Intervenne di nuovo McGee
- Tony? - Mi interpellò il capo
- Non so, mi sembra assurdo che Michelle abbia fatto tutto questo solo per vincere una causa e liberare un assassino.

- E se non fosse solo questo?
Gibbs mi stava insinuano un dubbio tremendo.
- No Gibbs, Michelle non può aver fatto tutto questo solo per farmela pagare…
- Ne sei sicuro Tony?
- Ormai non sono più sicuro di nulla.
- Tony pensaci… L’avvocato Sandler dice a Roy Dunn che avrebbe mandato l’NCIS a controllare a casa sua per un caso in cui lui non c’entrava nulla. Lui doveva solo dire che noi non ci eravamo fatti riconoscere per screditare tutto il nostro lavoro e anche quello dei nostri colleghi fatto precedentemente così lei poteva farlo passare come una povera vittima del sistema che lo stava perseguitando.
- Da dove è stata fatta la chiamata che ci avvisava di andare a cercare a casa di Roy Dunn?
- Da un telefono pubblico tra la 19° e Dupont Circol, ma non c’è niente che ci collega a Roy Dunn o a Michelle Sandler. - Rispose McGee controllando i dati
- Per voi no… Per me sì! C’è il Cafè Dupont, è il ristorante preferito di Michelle! E’ una cliente abituale, quando ha casi importanti i pranzi di lavoro li fa sempre lì, ed anche le cene. Le riservano sempre un tavolo in un privèe

- E il sintetizzatore vocale? - Chiese McGee
- Michelle ne aveva uno, lo usava spesso per sentire le arringhe che aveva scritto.
- Era lo stesso software del nostro caso?
- Non lo so McGee! Non mi informavo quando stavo con lei su quale software usasse per far leggere il suo computer!
- Ma come faceva a sapere che stavamo indagando sul sergente Dale Brooks? - Chiese Ziva
- Bishop! - Intervenni - Che era con Ziva quando siamo andati da Dunn e che ha detto di non ricordarsi se lei si era identificata o meno.
- Bishop e Michelle si conoscevano? - Mi chiese ancora Ziva
- Siamo usciti qualche volta in quattro, nulla di più approfondito, che io sappia - Mi dava tremendamente fastidio parlarle di quello che c’era stato tra me e Michelle, è stupido e insensato ma la sensazione era quella di averla tradita.
- E soprattutto come faceva a sapere che Ziva era incinta se non lo sapeva nessuno di noi, nemmeno tu? - Chiese McGee
- Qualcuno ci stava spiando. O meglio, stava spiando Ziva. Non credo che Bishop sia coinvolta in questa storia Tony - Disse Gibbs. Poi rivolgendosi a Ziva - Cosa hai fatto quando hai scoperto di essere incinta e da quanto tempo lo sapevi?
- E’ necessario Capo? - Chiesi turbato
- Tony, è tutto ok. Avevo comprato un test di gravidanza, una settimana prima più o meno. Poi per sicurezza sono andata a fare delle analisi. Quando ho avuto la conferma sono andata in un negozio per bambini…
- Ok Capo basta così. - La interruppi non volevo nè che lei rivivesse tutto, nè volevo farlo io
- Evidentemente qualcuno ti stava seguendo. Ma forse questo era qualcosa che all’inizio non era stato previsto, qualcosa in più.
- Giusto capo, magari il loro intento era solo quello di rovinare la carriera di Ziva - intervenne McGee

Qualcuno bussò alla porta, Gibbs andò ad aprire ed Abby entrò come una furia. Era l’unica a non essere stata sospesa.
- Ragazzi ho delle novità! Ho fatto un’indagine su tutti i membri della famiglia Sandler e guardate cosa ho scoperto… - Ci mostrò dei tabulati - Odio tutta questa roba di carta, ma era l’unico modo per portare queste cose da voi… Mi mancate tanto, senza di voi non è la stessa cosa…
- Vieni al punto Abby! - La incalzò Gibbs
- Allora, dicevo che ho indagato su tutta la famiglia e un fratello di Michelle Sandler, un certo Jordan Sandler un mese fa ha fatto un grosso prelievo dal suo conto in banca: 75.000 dollari.
- 75.000 dollari per Jordan sono le spese per un weekend con qualche attricetta conosciuta in qualche night - intervenni beffardo
- Ma non è tutto Tony! Ho indagato anche su Roy Dunn ed ho scoperto che ha una sorella, Betty Dunn, 24 anni che ha una figlia di poco più di un anno, Anne. E sul conto di Betty Dunn due giorni dopo è stata versata la stessa cifra in contanti.
- Quindi Jordan Sandler ha pagato Roy Dunn tramite sua sorella.

- Sì, Gibbs, ma c’è dell’altro, fammi finire! Già che c’ero ho fatto qualche altra ricerca… Dunn è accusato di aver ucciso il caporale Earl Nelson durante una rissa per banali motivi, tanto banali che sostengono sia stato incastrato da un’altra squadra dell’NCIS. Ho scoperto che la figlia di Betty Dunn è malata di talassemia e che sia la madre che il caporale Nelson sono entrambi microcitemici, ovvero portatori sani. La figlia di Betty potrebbe essere del caporale!
- Quindi si spiegherebbe perché Dunn lo ha ucciso, lui ha messo incinta la sorella, poi l’ha lasciata ed il fratello si è voluto vendicare. - Conclusi.
- Però Capo, se non proviamo che la Sandler ha pedinato Ziva e portiamo delle prove concrete, sarà tutto inutile e le nostre saranno solo congetture - McGee ci riportò tutti con i piedi per terra
- Abby cerca dei prelievi di somme ricorrenti dai conti della Sandler, della sua famiglia e dello studio e incrocia i dati con tutti gli investigatori privati, di poliziotti in congedo o di qualsiasi informatore che abitualmente lavora con Emmanuel & Partners. Voglio che cerchi ovunque. Tutto.
- Certo capo, farò di tutto
- Abby sei la nostra unica fonte all’NCIS, ti prego. - Le dissi
- Oh Tony ti giuro che farò tutto quello che mi è possibile e anche di più!
Scappò via

- Capo, io so dove abita Michelle, ovviamente. Ed ho anche una copia delle sue chiavi che ehm... non ho avuto modo di ridarle... se non ha cambiato la serratura....
- Tony no! E’ troppo pericoloso, se ti scoprono hai rovinato la tua carriera! - Ziva cercava di dissuadermi ma ormai avevo deciso, feci finta di non sentirla
- Qualcuno controlli Michelle Sandler e mi avvisi se torna a casa. Io farò più in fretta che posso.
- La controllo io - disse Ziva
- No, tu ne stai fuori da questa storia Ziva. Non permetterò che ti mettano in mezzo ancora, in nessun modo.
- Ziva, ci penserò io. - Disse Gibbs - Ha ragione Tony, tu devi starne fuori.
Si alzò ed andò verso un mobile basso dall’altra parte della stanza. Aprì uno degli sportelli spostò alcune cianfrusaglie davanti e tornò con due pistole. Me ne porse una.
- Sono pulite, se la devi usare, nessuno arriverà a noi.
- E’ una Jerico semiautomatica, 9 millimetri, 15 colpi più uno in canna. - Disse Ziva guardando Gibbs
- Sì, giusto
- Quindi? - Chiesi non capendo quale importanza potesse avere che pistola fosse, nè avere una descrizione così dettagliata.
- E’ una pistola israeliana, la usavamo nel Kidon. Non viene usata da nessun corpo militare negli Usa. E l’ho usata l’ultima volta a Tel Aviv ad ottobre.
- Non è quella - specificò Gibbs - Ti ho detto che non sono riconducibili a noi in nessun modo.
- Dove le hai prese Gibbs? - Chiese ancora Ziva
- Diciamo che sono regali di un vecchio amico a cui ora non servono più. È un problema?
- No, tutto apposto. Ora non penso che posso esservi più di aiuto, visto che avete deciso di lasciarmi fuori. Vado a casa.

--- --- --- --- --- 

Non ci potevo credere. Mi avevano veramente pedinato per giorni e non me ne ero accorta? Ma come ho potuto non accorgermi di una cosa così? E’ sempre stata una delle basi del mio addestramento.
Questa eventualità mi stava rodendo dentro come un tarlo. Avevo veramente fatto un errore così stupido di valutazione? Dopo 3 anni forse non ero più in grado di fare il mio lavoro come prima?
Pensai a come mi sentivo in quei giorni…
Congratulazioni signora David, lei è incinta!” Le parole del medico continuavano a risuonarmi nella testa mentre camminavo per tornare a casa. I miei presentimenti dei giorni scorsi allora erano veri, il test di gravidanza che avevo ripetuto due volte non si sbagliava. Ero incinta e finalmente questa volta avrei potuto dire tutto a Tony e vivere insieme a lui questa meravigliosa avventura. Gli avrei detto anche di Nathan, era il momento giusto. Non sarebbe stato facile da fargli capire perché glielo avevo tenuto nascosto, ma sono sicura che sarebbe stato felicissimo di sapere che saremmo stati una famiglia prima di quanto lui potesse pensare.
Questa nuova vita stava stravolgendo tutto, ancora una volta. Ma era meraviglioso e riuscivo a vedere solo tutto quello che di positivo ci potesse essere. Già fantasticavo se fosse stato un fratellino o una sorellina per Nathan e a come avrebbe accolto anche lui il nuovo arrivo.  Sarebbe stato tutto perfetto, ne ero sicura. Mi immaginavo gli occhi ti Tony brillare quando gli avrei detto del nostro bambino, dei nostri bambini. Mi immaginavo la tenerezza con la quale mi avrebbe baciato, la dolcezza dei suoi abbracci, le sue mani che avrebbero accarezzato il mio ventre e quella sarebbe stata un’esperienza del tutto nuova anche per me. Quanto mi era mancato non poter condividere tutto questo quando aspettavo Nathan, ma non potevo recriminare nulla perchè ero stata io a negarmelo. Ora no, ora sarebbe stato tutto diverso. Ora eravamo insieme, sarebbe stato con me durante la prima ecografia, avremmo sentito insieme il suo cuore che batte per la prima volta e sempre insieme avremmo scoperto se sarebbe stato un altro maschietto o una bambina. Chissà lui cosa sperava, una femmina, ne sono sicura.
Avevo comprato quella scatolina per fare una sorpresa Tony, il test di gravidanza positivo che avevo conservato, per dirgli che avremmo avuto un bambino. Lo avevo lasciato sul tavolo tornando a casa con una scusa prima di andare a lavoro. Lo avrebbe visto quella sera quando sarebbe tornato. Tutti i segreti tra noi sarebbero finiti quella sera. Un nuovo inizio.
Illusa, ero solo un’illusa. Quella sera non sarebbe mai arrivata ma in quei giorni ero talmente felice e speranzosa da dimenticarmi di tutto. Mi ritrovai a piangere da sola al pensiero di tutto quello che non era stato.

--- --- --- --- --- 

- Tony, Michelle sta uscendo dal tribunale adesso. Se viene direttamente a casa, hai circa mezz’ora. A che punto sei.
- Ho tutte le foto scattate a Ziva.
- Prendi tutto. Poi vediamo cosa fare.
Presi le foto e le memory card ed andai via dall’appartamento di Michelle così come ero venuto, solo con un gran senso di nausea in più. Speravo veramente che ci eravamo sbagliati e che non avrei trovato nulla a casa sua.
Ci ritrovammo con gli altri di nuovo a casa di Gibbs. C’eravamo tutti tranne Ziva, ci aveva raggiunto anche Abby.
Sfogliavamo le foto, guardavamo i video. La stavano pedinando da parecchi giorni…

- Io comunque la cosa che non capisco è come ha fatto Ziva a non accorgersi che la stavano pedinando. Ragazzi Ziva! Si accorgeva anche se la guardavi mezzo secondo di più - esclamò McGee
- Evidentemente si sentiva tranquilla e non ci pensava - provai a giustificarla
- Non è da Ziva è vero. - disse Gibbs
- No, no ragazzi siete ingiusti! Ragionate! Ziva è un essere umano e come tutti noi può sbagliare! - ci redarguì Abby
- Sì ma Abby non è un errore da Ziva! Lei queste cose non le sbaglia mai - insistette Tim
- Ma perché la giudicate? Ma voi avete pensato a cosa avrà passato in questo periodo? Cioè Ziva ha sbagliato, ha sbagliato tanto, ci doveva coinvolgere, doveva farsi aiutare da tutti noi ma voi invece che giudicarla avete mai provato a pensare lei cosa avrà provato in questo periodo? Far finta con tutti che non c'era niente ed essere dilaniata dal dolore per il figlio, quante volte dietro i suoi sorrisi ci sarà stata tanta tristezza. Di quanta forza ha avuto bisogno per lavorare nonostante tutto, senza lasciarsi andare. Sì è vero ci doveva mettere al corrente, avremmo lavorato tutti insieme meglio e l’avremmo aiutata anche a farsi forza, l’avremmo capita di più, ma quanta angoscia si è tenuta solo per se? Glielo possiamo concedere di non essere stata lucida di accorgersi di tutto come sempre?
Tim ascoltava Abby sentendosi colpevole per quello che aveva detto, io ero un po’ scosso perché non avevo mai pensato a tutto questo. Avevo pensato solo a come mi ero sentito io per non aver saputo nulla. Mai a quello che aveva passato lei. Ero ancora più confuso su tutto.

- Scusate non ci avevo pensato
- Ehy McGee abbiamo sbagliato tutti. Tutti abbiamo pensato a quanto ci dispiaceva che Ziva non ci avesse reso partecipi della propria vita e non abbiamo pensato a come si doveva sentire lei. Beh tutti tranne Gibbs ovviamente - continuò Abby - voi siete uomini non potete capire. Ma una ragazza che sta andando a ritirare un test di gravidanza a tutto pensa tranne che se la segue qualcuno oppure no! Nemmeno avrà capito dove si trovava! Ziva non è un robot come pensate voi! È sensibile anche lei! 

Abby si era commossa a parlare di Ziva così. Gibbs la abbracciò e gli diede un bacio in fronte.
Io non sapevo più cosa pensare. Ogni volta che vedevo e rivedevo la situazione sotto diversi punti di vista mi sembrava sempre di non vederne un aspetto. Mi immaginavo la scena di Ziva che andava a ritirare le analisi e scopriva di essere incinta e a come si doveva essere sentita in quel momento, a cosa pensava se aveva paura o stava pensando al nostro futuro insieme, magari veramente pensava a come me l’avrebbe detto. Un pesante velo di malinconia mi colpì e se ne accorsero anche gli altri perché smisero di parlare.
- Cosa intendi fare Tony ora con queste foto? Come prove non le possiamo usare…
- Andrò a parlare con Michelle. Io non le posso usare come prove. Ma nemmeno lei e non potrà mai denunciarne il furto. Proverò a fare un bluff. Spero che ci caschi. Abby tu però ci devi portare più prove possibili per l’altro caso di Roy Dunn. Dobbiamo incastrarlo per quello ma prima dobbiamo tornare a lavoro.
Ci saremmo aggiornati il giorno seguente. Ora volevo solo andare a casa da Ziva. Le parole di Abby mi avevano segnato. Avevo bisogno di stare con lei.

Tornai a casa turbato per quei discorsi di Abby.
Quando rientrai era sul divano e stava leggendo un libro. Alzò solo un attimo lo sguardo e mi sorrise poi tornò a leggere. Malgrado il freddo fuori in casa il tepore era avvolgente tolsi il maglione buttandolo sul divano e mi guardò con aria di rimprovero: non le piaceva quando lasciavo le cose in giro per casa.
Mi sedetti vicino a lei guardando la copertina del libro.

- Ti va di parlare un po'?
- Di cosa?
- Di noi...
Chiuse il libro e lo appoggiò sul tavolo
- Qualcosa non va?
- Oggi Abby ha detto delle cose che mi hanno fatto pensare. Tu hai mai pensato a quello che ho provato io quando mi hai detto di Nathan?
- Sì, certo - abbassò lo sguardo - ed era per questo che non sapevo come riuscire a dirtelo. Sapevo che saresti stato male.
- Io invece non avevo mai pensato a come eri stata tu. Non fino ad oggi. Non avevo mai pensato a cosa avesse voluto dire tenersi tutto dentro e fare finta di niente. Ora non sei sola. Non lo sei più. Non devi fare più finta di niente.
La presi tra le mie braccia e la avvicinai a me. La tenevo stretta e le baciavo i capelli che profumavano di lei. In quel momento realizzai quanto mi mancava tutto di lei. Le spostai i capelli e comincia a baciarle il collo scoperto. Sotto le mie mani che accarezzavano le sue forme gentili sentivo il suo respiro aumentare e lei non poté non sentire il mio desiderio di lei che aumentava.
Si alzò di scatto, quasi impaurita. Mi dava le spalle. Rimasi interdetto un attimo, poi mi alzai anche io, la obbligai a girarsi e guardarmi, ma teneva lo sguardo basso, come se si vergognasse.
- Cosa c’è che non va? Non stai bene?
- No… non è quello…
- Non ti va? Non è un problema…
- No Tony… - mi passò una mano sul petto e non faceva che aumentare quanto la desiderassi in quel momento.
Da quando era uscita dall’ospedale non c’era stato più nessun tipo di rapporto. Vedevo nei suoi occhi la paura di una bambina. Le bloccai la mano sul mio petto e la baciai dolcemente.
- Non avere paura - le sussurrai tra un bacio e l’altro - lasciati amare…

--- --- --- --- --- 

Di cosa avevo paura? Di lui o di me? O del nostro amore? Mi sentivo paralizzata e non sapevo perché.
- Non avere paura - mi ripeteva mentre mi baciava con una dolcezza infinita.
Nella mia mente si susseguivano i ricordi di tutte le sensazioni orribili provate negli ultimi tempi. Il vuoto infinito dopo la felicità immensa. Il dolore fisico e psicologico.
Lui era qui ora davanti a me e mi guardava così pieno di amore. Come potevo avere paura di lui, di noi?
- Sono stata così male… - gli sussurrai con la voce che tremava nel ricordo
Mi prese in braccio e non sembrò nemmeno faticare
- Ti sei dimagrita troppo in questi giorni David...
Mi mise sul letto con la delicatezza con cui si ripone un oggetto fragile e prezioso. Mi sentivo così a disagio a ricevere questo tipo di attenzioni ma era così bello...
Si tolse la maglietta rimanendo a torso nudo solo con i jeans.
Lo guardavo intensamente cercando di comunicargli tutto quello che avevo dentro e che a parole non riuscivo a dirgli. Mi sfilò la maglia e si sdraiò vicino a me. Le sue carezze sul mio corpo erano dolci e dove passavano le sue mani subito dopo mi baciava con la stessa dolcezza. Quando passò la mano sul mio ventre la mia prima reazione su un sussulto e un lamento. Misi la mano sulla sua, per farlo smettere. Fermò i suoi baci e mi guardò per un lungo istante. Poi appoggiò la testa sulla mia pancia e cominciò a baciarmi lì riprendendo ad accarezzarmi. "Perché mi stai facendo questo, Tony?” Sentii una sua lacrima bagnarmi il ventre e capii quanto anche lui stava ancora soffrendo, era il suo modo di dirmelo. Avevamo parlato tanto di Nathan in quei giorni ma quasi nulla di quello che era successo, anche a pensarlo mi veniva difficile chiamarlo con il suo nome: aborto. Chiusi gli occhi e gli accarezzavo i capelli. Lui era lì, mi stava amando, nonostante tutto ed io mi sentivo così fortunata ad avere vicino una persona come lui.
Mi sfilò via i pantaloni e l'intimo rapidamente e lo stesso fece con i suoi. Percorse al contrario il mio corpo fino ad arrivare di nuovo alle mia labbra salate di lacrime.
- Dov’è finita la mia ninja, David? - Cercava in tutti i modi di farmi sorridere
- Cosa vuoi fare Tony? - Era la domanda più stupida del mondo. Eravamo nudi a letto e mi stava baciando su tutto il corpo. Cosa avrebbe mai voluto fare?
- Niente che tu non voglia… Dimmelo tu…
Rimanevo in silenzio e non riuscivo a parlare. Era sempre così difficile dire quello che sentivo, quello che volevo. Ogni volta che mettevo sul piatto i sentimenti era così difficile dirgli quanto lo volessi, quanto avessi bisogno di lui. Un bisogno che mi intimoriva.
- Dimmi Ziva, cosa vuoi… Ho bisogno anche io di sentirmelo dire…
- Amami - gli sussurrai
- Ti amo sempre… - mi rispose mormorando tra le mie labbra prima di ricominciare a baciarmi
- Tony aspetta… - Si fermò e mi guardò preoccupato - … io adesso… non vorrei rischiare di nuovo che…
Mi accarezzò e mi sorrise. Non dovetti dire altro, capì quello di cui avevo paura. Aprì il cassetto del comodino e prese un preservativo dalla scatola. Anche per questo lo amavo così tanto. Tornò a baciarmi, come se nulla fosse, anzi ancora con più tenerezza. “Niente che tu non voglia”, le sue parole rimbombavano nella mia mente mentre mi lasciavo andare alle sue amorevoli carezze, ai suoi delicati baci e non credevo che si potesse fare l’amore in modo tanto dolce e gentile.

--- --- --- --- --- 

Questa era la parte di lei che preferivo, quella che era solo mia, che nessuno avrebbe mai conosciuto, perché avevo tutta l’intenzione di tenerla con me per sempre ed in questi momenti capivo quanto era giusta, nonostante tutti i problemi, la decisione presa di ricominciare tutto insieme. Certo dare una famiglia a nostro figlio era importante, ma se non c’era tutto questo, che famiglia potevamo dargli? Due persone che si sopportavano e stavano insieme per dovere? No, non era quello che volevo per lui. Non era quello che avrei voluto mai per me e nemmeno per lei. Stare insieme per dovere non era un’opzione praticabile e per fortuna era quanto di più lontano potesse essere dalla realtà. Eravamo insieme perché lo volevamo, perché ci amavamo, nonostante tutto, nonostante noi stessi, che sapevamo tanto amarci quando farci del male.
Ora però era tutto giusto, io, lei… noi.
Come avrei potuto pensare di lasciarmi andare via tutto questo? E non pensavo solo al sesso, che ovviamente aveva la sua importanza, perché negarlo sarebbe stato stupido e con lei in ogni situazione, in ogni modo non era mai banale, era sempre un’onda che mi travolgeva dalla quale mi sarei fatto trasportare all’infinito, uno tsunami emotivo che non lasciava macerie ma solo certezze. Era splendido tutto questo, era splendido come alcune volte sembrava che riuscivamo a comunicare meglio con i nostri corpi che a parole, perché i nostri corpi non si fraintendevano mai, sapevano sempre cosa volevano e come rispondersi.
Ma non era solo questo e non era questo quello che mi faceva capire, soprattutto, che la decisione era quella giusta.
Era il dopo. Quando finita l’adrenalina e lo scombussolamento ormonale, i sensi si rilassavano e noi continuavamo a rimanere abbracciati, vicini tra coccole e carezze, spesso facendo finta di dormire, senza che nessuno dei due in realtà volesse farlo, ma senza dircelo. Quando intrecciava le sue gambe con le mie e posava una mano sul mio cuore ed io pensavo che sì, ce la poteva tenere lì, perché tutto quello che c’era lì sotto era suo. Quando decidevamo di svegliarci e la guardavo nei suoi occhi profondi e maliziosi e mi sorridevano prima delle sue labbra e se avevo un minimo dubbio di qualsiasi cosa svaniva nel suo abbraccio che diventava improvvisamente forte e protettivo, come lei, che poi tornava ad essere quella che era solo mia, e si lasciava proteggere da me e dalle mie braccia.
- Vorrei che fosse sempre così - mi disse mentre con la testa appoggiata sul mio petto mi accarezzava la pelle nuda provocandomi un dolce piacere ad ogni suo leggero tocco.
- Beh, a me piacerebbe che fosse anche un po’ più movimentato - e ridendo le accarezzavo la testa mentre lei si tirò su di scatto coprendosi con il lenzuolo. Conoscevo il suo corpo a memoria oramai, ogni centimetro della sua pelle non aveva più segreti per me, eppure ogni momento in cui non eravamo persi nella nostra passione e abbandonati al desiderio, lei aveva pudore a mostrarsi, quasi si vergognasse di farsi vedere nuda ed io sorridevo dentro di me per questo, perché sapevo esattamente cosa si celava sotto quella leggera stoffa e non i sarei mai stancato di vederla.
- Non ti è piaciuto? - Nella sua voce c’era un misto di delusione e preoccupazione, ed io sorrisi pensando che se avesse saputo a tutto quello che pensavo fino a qualche minuto prima avrebbe trovato quella domanda quantomeno ridicola.
Ma questo suo timore mi faceva capire ancora di più quanto, dietro a quella maschera che si era perfettamente cucita addosso, si nascondevano ancora troppe insicurezze. Ma come poteva dubitare di una cosa del genere? Forse ero stato io a non farle capire abbastanza quanto mi piaceva con lei, sempre. E non perché lo facevamo con tenerezza o con passione, non perché era delicato o movimentato, perché era con lei. Era necessario dirglielo? Pensavo che le mie reazioni fossero eloquenti, non sentiva che ad ogni sua carezza il mio corpo reagiva immediatamente? Infondo per noi maschietti mentire e fare finta è impossibile…
- Mi piace sempre con te, Ziva! - La presi e la ributtai di nuovo addosso a me, spostando il lenzuolo per sentire la sua pelle a contatto con la mia - E poi non fare le domande da uomo! - Sorrise anche lei
- Perché tu chiedevi alle tue donne se gli era piaciuto? - Nella sua voce c’era un pizzico di gelosia che mi faceva impazzire, perché lei non lo ammetteva ma lo sapevo quanto lo fosse, era nel suo carattere esserlo: gelosa e possessiva di tutto quello che era suo, ed io lo ero, totalmente ed assolutamente suo.
- Qualche volta… - risposi a stuzzicarla ancora di più mentre la tenevo sopra di me e la guardavo fissa negli occhi ed avevo di nuovo voglia di lei e non poté non accorgersene.
- A me non lo hai mai chiesto - Disse con voce languida mentre alzandosi si mise a cavalcioni su di me mentre mi accarezzava i pettorali con le mani aperte, come a volermi fare un massaggio
- A te non c’era bisogno di chiedertelo. - La guardai malizioso e provai ad alzarmi per baciarla, ma le sue mani divennero rigide mi bloccarono. Mi sorrideva provocandomi mentre percorreva il mio corpo scendendo sempre più in basso.
- Se ti piace un po’ più movimentato… - disse mentre si sporse verso il cassetto e non so se non finì la frase o io non la sentii sopraffatto dal piacere, che mi stava donando con le sue mani ed il suo corpo che subito dopo si muoveva ritmicamente su di me.

Per la prima volta, dopo tutto quello che era successo, sentii che eravamo di nuovo noi: amici, amanti, complici e innamorati.


NOTE: Il capitolo comincia con l'amicizia, perchè la squadra non sta indagando solo per risolvere un caso che gli è stato tolto e riscattarsi, ma perchè è il caso che ha coinvolto direttamente tutti loro. Gli amici ci sono sempre quando servono.
Michelle in tutta questa storia c'entra molto più di quanto si pensasse all'inizio, evidentemente non era interessata al caso solo in qualità di avvocato... ci sarà ancora dell'altro?
Ho voluto fare poi una digressione su Ziva e quello che ha passato quando ha scoperto di essere incinta, visto che la cosa per motivi narrativi non era stata toccata e poi c'è Abby che fa la predica a tutti i ragazzi e Tony ne resta un po' spiazzato.
Finiamo in maniera inizialmente dolce, dove le fragilità vengono messe a nudo (in tutti i sensi :P) e poi si conclude un po' hot, in fondo questo rating arancione, in qualche modo lo devo giustificare ;)
Quale sarà ora la prossima mossa di Tony con la sua ex? Preparatevi ad un confronto molto sofferto nel prossimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** I Hope You Suffer ***


… I hope you do
I hope you suffer
I hope you do
Just like I've suffered…


- Michelle… - La salutai spostandomi dalla colonna dell’ingresso del suo palazzo, prendendola di sorpresa, mentre usciva di casa. Era freddo quella mattina, Natale si stava avvicinando e la neve ai bordi delle strade si stava accumulando sempre di più. Io però in quel momento non riuscivo nemmeno a sentire la temperatura rigida, forse perché dovevo essere io, ad essere ancora più glaciale della neve o non sarei riuscito ad arrivare fino alla fine di quella mattinata incolume, non fisicamente ma mentalmente.
- Tony hai un bel coraggio a farti vedere qui, sotto casa mia, questa mattina - Sentendola parlare non sapevo però se era più impaurita o più sorpresa.
- Sai, in questi giorni ho molto tempo libero, ne approfitto per andare a trovare i vecchi amici - cercavo di mantenere un tono di voce impassibile
- Anche senza invito a quanto pare. - Sapeva che ero stato nel suo appartamento
- Non mi inviti ad entrare?
- Devo andare a lavoro, e poi mi pare che entri anche da solo, no? - La conferma a quanto pensato prima.
- Ti conviene più parlare con me che andare a lavoro oggi. - Il mio tono era diventato più minaccioso. Mi fissò per qualche secondo e lessi come una traccia di smarrimento nei suoi occhi, subito ricacciata via.
- Se lo dici tu, allora andiamo. - Adesso voleva stare al gioco.

Tornò indietro e prendemmo l’ascensore per salire a casa sua.
- Cosa c’è Tony, pensi a quello che abbiamo fatto in questo ascensore?  - Mi chiese maliziosa
- No. - Mentii. Far finta che un rapporto di 8 mesi non era esistito non era possibile e nemmeno cancellare i ricordi.
- Io invece ci penso spesso. - Mi disse appoggiandomi una mano in mezzo alle gambe - e mi ricordo tutto quello che mi facevi… - diventò più audace, stringendo la sua mano e tastandomi.
- Faresti meglio a non pensarci più - Tolsi la mano disgustato, allontanandola con forza.

Entrammo e le buttai le chiavi sul tavolo.ù
- Non pensi di usarle più? - Mi chiese sarcastica
- No.
- Sicuro che non ti va di divertirti un po’ come ai vecchi tempi? - Si era avvicinata al mio collo e parlava sussurrandomi volutamente provocatrice.
- Non credo potresti farmi divertire in alcun modo.
- Peccato… Tu mi facevi divertire molto, invece… - mise il cappotto sull’attaccapanni e rimase con un tailleur nero, al suo solito quando andava a lavoro - Di cosa volevi parlarmi?
- Di quello che ho trovato qui.
- Non credo che lo potrai usare in alcun modo contro di me visto come l’hai preso. - Era perfettamente rientrata nel ruolo dell’avvocato senza scrupoli dopo che il suo tentativo di seduzione era miseramente fallito. Poteva veramente pensare di avere una chance con me adesso?
- Io sono entrato qui con le chiavi che mi avevi dato tu. E’ un reato questo? - Lei era avvocato, ma la legge la conoscevo bene anche io, ed avevamo studiato tutte le possibilità.
- No, ma prendere delle cose da casa mia senza il mio permesso lo è. 
- Erano in bella vista, sai è tutto opinabile… Ma comunque credo che nemmeno tu lo potrai usare contro di lei.
- Quindi sei venuto qui a parlare di lei? Pensavo dovevamo parlare del caso, non di lei. - Il modo in cui pronunciò “lei” era carico di disprezzo e disgusto.
- No. Sono venuto qui a proporti un accordo.
- Sarebbe?
- Ritira la denuncia contro la squadra e noi faremo cadere le accuse per Dunn su questo caso.
- Quindi lasci che chi ha picchiato la tua donna la passi liscia? Chi ha ucciso il tuo… bambino?
Era una guerra di nervi ma lo sapevo già da prima.
- Faccio quello che reputo più utile per la mia squadra.
- Però non mi hai risposto. Lasci impunito quello che è successo alla tua donna e a suo figlio?
- Sì - dissi strozzando le parole in gola.
- Pensavo che ci tenessi di più a lei e anche ad un vostro figlio, ma in fondo tu non sei un uomo da figli e da famiglia, no? Però conoscendoti credevo che saresti andato fino in fondo nonostante tutto.
- Tu non mi conosci così bene Michelle.
- A quanto pare no. 
- Perché mi dovrei fidare di uno come te, Anthony DiNozzo? Perché mi dovrei fidare di uno che mi ha lasciata senza dirmi nulla, che è scappato dall’altra parte del mondo e ritorna qui con il suo vecchio amore?
- Perché sai che conviene anche a te. Noi ammettiamo di aver sbagliato con Roy Dunn alla luce di quanto emerso. - Evitavo ogni sua illazione sui miei sentimenti per Ziva
- Quindi alla fine farai pagare a Ziva per salvare tutti voi.
- Qualcuno di sacrificabile ci deve essere. Poi quello che accadrà tra noi e Ziva non saranno più problemi tuoi.
- Lei sa che sei qui?
- Sì
- Sa quello che mi stai proponendo?
- Sì
- E lo accetta di buon grado? Deve amarti proprio tanto quella donna da anteporre la tua carriera alla verità su chi la ha volontariamente picchiata per procurarle un aborto.

Le sue parole erano come macigni.

- Ah quindi è stato volontario prenderla a bastonate e a calci nel ventre. Tutto studiato. - Avevo ottenuto un’informazione in più. Però mi stava devastando. Avrei voluto gridare, avrei voluto prendere Michelle e farle tanto dolore quanto aveva sofferto Ziva, quanto avevo sofferto io. 
- Cosa avrebbe fatto più male ad una donna di quello? 
- Niente, è vero. - Le sue parole erano come sale su una ferita aperta e lei le pronunciava con una naturalezza e semplicità come se non avessero alcun peso. Ero allibito, io avevo passato otto mesi della mia vita con questa persona?
- E nonostante questo, lei accetta che non le venga fatta giustizia. Curioso… - il suo sarcasmo era insopportabile.
- E’ stata addestrata nel Mossad. Sa che nella vita ci sono delle regole da rispettare e le accetta. 
- Ma che bravo soldato che è… Ha tante qualità quella ragazza… Sarebbe stata sicuramente un’ottima madre.

Pensavo che se avessi superato questo senza metterle le mani addosso avrei superato qualsiasi cosa. Cambiai discorso.

- Comunque quando ho visto la cabina dalla quale è partita la chiamata è stato semplice capire che l’avevi fatta tu. Il Cafè Dupont è sempre il tuo locale preferito.
- Te lo ricordi allora Tony. Avevo una colazione di lavoro quel giorno. Passavo da quelle parti.
- Io però ancora non capisco perché hai fatto tutto questo?
- Ho unito l’utile al dilettevole Tony. Aiutare un mio cliente con una vecchia storia e fartela pagare a te.
- Pensi di esserci riuscita?
- Penso di sì, entrambe le cose. Non hai una bella cera agente DiNozzo.
- Ho passato giorni migliori è vero. - Non era necessario mentire su questo.
- Sai vorrei dirti che mi dispiace, ma non sarebbe vero. Era esattamente quello che volevo Tony. Vederti soffrire come ho sofferto io quando ti ho visto in aeroporto con lei.
- Non mi pento di niente Michelle.
- Nemmeno di aver causato tutto questo? Nemmeno di averle causato un dolore così straziante per una donna? - Voleva farmi sentire in colpa, voleva dire che tutto quello che avevamo passato era colpa mia e delle mie scelte.
- Non riuscirai a mettermi questo dubbio in testa Michelle.
- In realtà te l’ho già messo nel momento esatto in cui te l’ho detto. - Era vero. In quel momento quel dubbio mi stava dilaniando. Aveva ragione lei e lo sapeva. Per questo aveva quel sorriso beffardo mentre mi guardava.
- Non credo che abbiamo più niente da dirci. 
- Io in realtà avrei ancora qualcosa da dirti Agente Di Nozzo.
- Sarebbe?
- Spero che questo sia solo la punta del dolore che proverai che si moltiplicherà quando lei saprà perché è successo tutto questo e capirà che tu alle donne puoi solo fare del male. Spero che ti disprezzerà quando saprà che tutto quello che ha perso è stato solo per colpa delle tue scelte. E spero che tu soffrirai ogni giorno di più.

Uscii e me ne andai di corsa da quel palazzo. Avevo i crampi allo stomaco e i conati di vomito. Michelle aveva ragione. Era colpa mia. Aveva fatto tutto questo per ferire me e ci era riuscita perchè aveva ferito la cosa a cui tenevo di più al mondo. Mi fermai appena girato l’angolo in un viicolo stretto e buio, mi accovacciai per terra per qualche minuto. Fissavo un bidone della spazzatura a pochi metri da me e guardavo le cartacce che uscivano fuori fare le capriole sospinte dal vento che si incanalava tra i muri di mattoni e cemento. Mi sentivo come loro, in balia del vento gelido del dolore e dei sensi di colpa, del rimorso e della paura. 
- Tutto bene signore? - Un ragazzino con lo zainetto e lo skate si era avvicinato e si era chinato su di me. Mi rialzai e mi ricomposi.
- Certo ragazzo, tutto bene. Grazie - Gli sorrisi, lui mi fece un cenno con la testa, posò a terra la sua tavola e proseguì la sua corsa. Io mi alzai, Avevo lasciato la mia auto ad un paio di isolati di distanza, li percorsi velocemente respirando in profondità per calmarmi. Il cellulare squillò quando ero quasi arrivato.

- Dimmi Capo.
- Abbiamo registrato tutto. Bel lavoro Tony.
- Grazie Capo.
- Ti aspettiamo da me.

--- --- --- --- ---

- Sei qui? - Mi chiese Tony stupito ed imbarazzato. La domanda retorica non avrebbe avuto bisogno di risposta.
- Sì.
- Perché? - Aveva gli occhi tristi e arrossati, e quel perchè nascondeva mille domande. 
- Per te. - Lo abbracciai
- Da quanto? - Mi chiese mentre si lasciava tenere stretto e lo sentivo tremare tra le mie braccia.
- Dall’inizio.
- Non dovevi sentire certe cose. - Era preoccupato per quello che gli aveva detto Michelle. 
- Non mi devi spiegare niente. Capito? - Tentai di rassicurarlo.
- Come stai? - Mi chiese con un filo di voce
- Preoccupata per te. - Gli dissi sincera
- E tu non devi preoccuparti per me. - “Come se mi fosse possibile” gli risposi mentalmente, ma evitai di dirglielo..
- Sei stato bravissimo. Veramente. - Volevo alzare il suo morale che era ben sotto i tacchi.
- Bravo… - disse scettico
- Sei rimasto freddo come un agente del Mossad - sorrisi sulle sue labbra.
- E’ un complimento? - In effetti ultimamente non scherzavo molto sui miei passati addestramenti e a quanto pare non mi riusciva benissimo nemmeno l’ironia.
- Oggi lo è. - Ed era vero. Oggi era stato glaciale, come spesso mi rimproverava di essere, quando gli sembrava che non provassi emozioni, davanti a situazioni che mi toccavano.
- Ziva io…
Non gli feci finire la frase, gli diedi un bacio lieve sulle labbra. Mi strinse di più a se e continuò lui quel bacio, con più forza, e lo lasciai fare. 
- Ci aspettano dentro. - Gli dissi quando ci allontanammo quel tanto che era necessario per respirare. Annuì e con poca voglia mi sciolse dal suo abbraccio e prendendomi per mano entrammo in casa.

Intorno a McGee che si destreggiava sul computer, c’erano Gibbs ed il direttore Vance. Tony rimase molto sorpreso nel vederlo.
- Buongiorno direttore
- DiNozzo ben fatto. Abbiamo nella registrazione tutto quello che ci serve.
- Ottimo. - Rispose laconico Tony
- Ora devo andare. Farò la mia relazione e chiederò il vostro reintegro immediato. Passate nel pomeriggio per riprendere i vostri distintivi. Ziva, per il tuo ci vorrà un po’ di più, ma appena interrogheremo Dunn sono sicuro che verrà fuori la verità.
- Va bene Vance. L’importante è che gli altri possano rientrare quanto prima, anche per l’altra questione.
- Stiamo facendo di tutto Ziva.

- Gibbs hai qualcosa di forte? - Chiese Tony e lui gli porse una bottiglia di bourbon ed un bicchiere. Lo riempì quasi completamente e bevve in un solo sorso.
- Va meglio DiNozzo? - Chiese Gibbs appena Tony aveva finito di buttare giù il liquore
- No. - Ed io sentendolo mi sentii morire. Avrei voluto stringerlo e dirgli che andava tutto bene e stare sul quel divano abbracciati fino a quando non si fosse calmato. Ma la presenza di Gibbs e Tim mi bloccò da fare qualsiasi cosa, anche di avvicinarmi e sedermi vicino a lui e prendergli una mano per dargli forza. Rimasi lontana e non capii nemmeno io perchè. Stavo in piedi vicino alla finestra appoggiata al muro con le braccia conserte ad osservare la situazione.
McGee lavorava sul portatile per riversare tutto il contenuto della registrazione di Tony sui server dell'NCIS. Gibbs era seduto come al suo solito con la sedia girata al contrario appoggiandosi allo schienale e parlava con Tony, seduto in poltrona che beveva un altro bicchiere di bourbon.

- Perché hai lasciato che sentisse tutto? - parlava di me con Gibbs come se io non ci fossi
- Non è una bambina ha deciso lei - la risposta del nostro capo era seria, come sempre è lui. Non c’era spazio per lui per essere compatiti e lo ringraziavo perché non lo volevo per le cose serie, figuriamoci per delle frasi dette appositamente per creare in Tony quello stato d’animo che non si scrollava di dosso.
- Glielo dovevi impedire
Gibbs mi guardò e io gli feci cenno con la testa di andare avanti.
- Ziva sa come funzionano queste cose. Probabilmente lei avrebbe fatto anche di peggio. - Mi scappò un mezzo ghigno. Era vero.
Tony si voltò a guardarmi. Io rimanevo nella mia posizione di chiusura e di difesa. Li guardavo e li ascoltavo senza intervenire.
- Non hai niente da dire? - mi chiese Tony
- So quello che pensi e quello che provi. Non mi serve altro. E non devi credere a nulla di quello che ha detto Michelle. Se ti senti così, gliela stai dando vinta, fai il suo gioco. - Gli risposi. Ero stata gelida anche nella risposta. “So quello che pensi e quello che provi” era la trascrizione asettica di “So che mi ami e che stai male anche tu”, quello che gli avrei detto in qualunque altra occasione se fossimo stati da soli. E ripetendomi la frase mentalmente mi accorgevo che faceva tutto un altro effetto.

Suonò il campanello e Gibbs mi fece cenno di aprire. Era Bishop.
- Buongiorno a tutti.
- Ciao Bishop - le disse Gibbs - grazie di essere venuta
Aveva in mano delle pizze la aiutai a poggiarle sul tavolo. Quindi l'aveva invitata lui.
- Ho pensato di portare qualcosa per pranzo - disse un po' a disagio
- Grazie Ellie - le dissi e anche McGee le fece un cenno di ringraziamento 
- Che ci fa lei qui? - chiese invece Tony con astio
- Credo che voi due dovreste parlare - disse Gibbs - visto come sono andate le cose dovresti delle scuse. 
- E la regola numero 6 capo? 
- C’è anche la regola numero 15 DiNozzo. Lavorare sempre come una squadra. Io ho bisogno che i componenti della mia squadra si fidino gli uni degli altri. Ti ricordi cosa è successo quando questo non è avvenuto?

La frase di Gibbs mi colpì come un tir in autostrada, ma non mossi un muscolo. Sapevo che si riferiva a me, a quello che era successo dopo che gli avevo detto che non mi fidavo di Tony, al domino che si era scatenato fino a portarmi in Somalia.
Tony si girò di scatto a guardarmi e feci finta di niente. So quanto la storia di Michael lo aveva addolorato, quanto aveva segnato il nostro rapporto, quanto era stato ferito da quello che avevo detto e fatto e soprattutto quanto ero stata stupida a non capire subito perché lo aveva fatto, a dubitare di lui.
Credo che mentalmente avesse ripercorso ogni momento di quella storia anche lui.
- Hai ragione Capo. Bishop, mi dispiace. 
Lei rimaneva in silenzio, era l’attrice non protagonista del confronto tra Tony e Gibbs.
- Tony lo dici tanto per dire o ne sei convinto? - Gli chiese Gibbs
- Capo lo dico perché lo penso. Mi dispiace di quello che è successo con Ellie. Però avrò bisogno di un po’ di tempo.
- Ok Tony - intervenne lei - dispiace di aver agito da sola, senza avervi parlato ed essermi consultata con voi prima di fare la mia deposizione. Ziva, mi dispiace aver messo in dubbio le tue capacità. Io… mi dispiace, veramente… E’ che quando è tornata Ziva io mi sono sentita come se fossi un corpo estraneo a voi, un di più, mi rendevo conto che non riuscivo ad entrare nella vostra alchimia, mi sono sentita esclusa dalla squadra.
Quello che diceva era così logico e prevedibile. Mi dispiaceva sinceramente per lei. 
- Eleanor, mi dispiace se il mio ritorno ti ha creato problemi, non era questa la mia intenzione e credo di nessuno degli altri. - Le dissi conciliante
- Bishop non è comunque un buon motivo per accusare un compagno senza prima parlarne con gli altri - la rimproverò Gibbs
- Hai ragione Gibbs. - Replicò mortificata
- Ellie - intervenne McGee - forse eravamo tutti su di giri per il ritorno di Ziva, soprattutto Tony, ovviamente, però non ti abbiamo mai escluso. E tu non hai mai mostrato di voler essere inclusa più di tanto. Tutte le volte che ti abbiamo invitato ad uscire a bere qualcosa hai sempre declinato i nostri inviti. 
- Dire quello che abbiamo o non abbiamo fatto non serve - Dissi - Io di lei mi fido. Spero lo facciate anche voi. - Rivolta a Tony e McGee che mi guardarono perplessi.
- Dai, mangiamo queste pizze prima che si congelano - disse Tony - che dopo voglio andare a riprendere il mio distintivo.

--- --- --- --- ---

- Sicuro che te la senti Pivello? 
- Certo Capo.
- Dopo l’ultima volta non so se sia il caso.
- Fidati di me Gibbs. So quello che faccio. Mi so controllare.
Presi il fascicolo, guardai se dentro c’era tutto quello che mi serviva, lo chiusi ed entrai nella sala interrogatori. Feci un grande respiro, chiusi la porta e mi sedetti.

- Bene Roy Dunn, ci incontriamo di nuovo, a quanto pare.
- Dov’è il mio avvocato?
- In una sala tipo questa, seduta nella tua stessa posizione. Quindi credo che no, non verrà oggi. Ora se vuoi in attesa che arrivi un avvocato d’ufficio possiamo fare due chiacchiere io e te, ti va?
- Se dico di no?
- Perfetto, mi alzo e me ne vado ed aspettiamo. Però magari dopo posso essere meno collaborativo. In fondo è colpa del tuo avvocato se sei qui, no? È stata lei a dirti di fare certe cose, a metterti in mezzo in questa storia. Una storia in cui tu non c’entravi nulla. Altrimenti tu saresti ancora a casa tua, in attesa del processo per quell’altro caso con così poche prove… Non è vero Roy?
Stava pensando. Avevo fatto breccia nelle sue indecisioni. Sapeva che avevo ragione, che era stato usato.
- Cosa vuoi agente? - Aveva perso tutto il suo fare spavaldo della volta precedente.
- Fare un gioco, ti va di fare un gioco con me?
Non rispose e mi guardava perplesso.
- Allora Roy facciamo un gioco… Vediamo… - presi una foto di Ziva dal fascicolo e la misi sul tavolo - questa ragazza, mettiamo che sia mia sorella… - misi vicino una foto mia
- È tua sorella? 
- No, te l’ho detto Roy, è un gioco… Fammi finire… Ora, mettiamo che qualcuno tipo questo - presi una sua foto e la misi vicino alle altre due - faccia del male alla mia sorellina, io come mi dovrei comportare? Tu come ti comporteresti se fossi al posto mio? - Spostai la sua foto sopra la mia - e se al posto dell’agente David ci fosse… - cercai un’altra foto dal fascicolo e la misi su quella di Ziva - ci fosse tua sorella?
- Cosa vuoi dire? Cosa c’entra lei? - Era interdetto dalle mie mosse. Non pensava dovesse parlare di questo
- Niente, Roy, è un gioco, rilassati… Ma dimmi Roy, come ti comporteresti tu, al posto mio, se al posto di Ziva ci fosse Betty? Come si dovrebbe comportare un fratello quando sua sorella viene aggredita da un uomo - tirai fuori la foto di Earl Nelson
Il suo sguardo era pieno d’odio, faceva fatica a contenersi.
- Quel bastardo…
- Che c’è Roy? Fa male vederlo davanti a te? Come si dovrebbe comportare un uomo che vede una ragazza dilaniata dal dolore, che scoppia a piangere improvvisamente, che pensa che la sua vita sia rovinata. Come si dovrebbe comportare un fratello che vede sua sorella così? Cosa dovrebbe fare all’uomo che l’ha ridotta così? Dimmelo Roy. Cosa faresti tu al posto mio? Cosa faresti a chi le ha impedito di vedere il volto di suo figlio, a chi non gliel’ha mai fatto conoscere? Cosa faresti tu se non ci fosse? - Presi una foto di Anne, la figlia della sorella e gliela strappai davanti agli occhi. - Nei suoi occhi c’era sempre più rabbia, mista a tristezza e dolore. Strappai la foto ancora una volta - Cosa faresti tu se qualcuno avesse impedito che nascesse, volutamente? E’ brutto vero? 
- Quel bastardo ha fatto la fine che si meritava.
- Cioè Roy? Dovrei anche io prendere una pistola e sparargli un colpo al cuore? - Mi alzai in piedi estrassi la pistola e gliela puntai al petto
- Che stai facendo, che vuol dire questo?
- Hai detto tu, Earl Nelson ha fatto la fine che meritava. Dal suo rapporto c’è scritto che è morto per un colpo di arma da fuoco dritto al cuore. Quindi io dovrei fare la stessa cosa a te…
- Lei non è tua sorella, l’hai detto tu.
- Quindi devo chiamare suo fratello per farti uccidere? In quel caso andrebbe bene?
- Mi vuoi sparare? Sparami, non mi pento di quello che ho fatto. Quel porco ha fatto la fine che si meritava. Ha violentato mia sorella. Anne è l’unica cosa bella che c’è nella sua vita, è malata. Rifarei tutto quello che ho fatto, tutto. Mi dispiace per la tua amica, ma quei soldi mi servivano.
- Hai ucciso una vita per vendetta. Ed una per 75.000 dollari. - Tenevo sempre la pistola puntata verso di lui - perché io ora non ti dovrei uccidere?
- Te l’ho detto, non mi pento per quello che ho fatto. Con quei soldi Anne avrà le sue cure per un bel po’.
Misi la pistola nella fondina e mi sedetti di nuovo.
- Chi ti ha detto di dire che l’agente David non si era identificata?
- Il mio avvocato. Diceva che così non avrei avuto problemi per l’aggressione.
- Sapevi che era incinta?
- Sì. - balbettò
- Bene, Roy. Direi che come confessione può andare bene. Auguri per il processo. Presi tutte le foto e le rimisi nel fascicolo. Lasciai lì solo quella della nipote strappata. Stavo per andarmene, quando mi richiamò
- Agente, ma tu chi sei?
- Il padre di quella vita che per colpa tua non nascerà mai. - Le mie parole erano tanto glaciali quanto dentro di me c’era un incendio di emozioni dove la rabbia e la tristezza giocavano per il predominio.
Chiusi la porta e feci un paio di respiri profondi. Mi appoggiai alla parete e chiusi gli occhi più forte che potevo per non farmi vincere dall’emozione.

McGee mi passò davanti, era con gli altri nella sala attigua a quella degli interrogatori ed aveva visto insieme a loro tutta la scena. Mi diede due pacche sulla spalla e senza dire niente tornò alla sua scrivania.

In quel momento passò Michelle, scortata da due agenti che la stavano portando via.
- Sei un bastardo Tony! Avevi detto che non avresti usato quelle foto per denunciarmi
- Non l’ho fatto. Ho usato la registrazione della nostra conversazione
- Che gran bastardo che sei!
- Ho capito Michelle! Sono un bastardo! Inventati qualche insulto nuovo, perché questo detto da te, ormai è un complimento.

- Di Nozzo! - L’inconfondibile voce del direttore Vance quando qualcosa non va
- Cosa c’è direttore? 
- Non ti azzardare mai più a minacciare un sospettato durante un interrogatorio
- Era scarica - gli diedi la pistola per controllare - se no la tentazione sarebbe stata troppo forte.
Non la guardò nemmeno e me la ridiede
- Era scarica Vance. - disse Gibbs - Altrimenti non glielo avrei mai fatto fare.
- Gibbs tu sapevi quello che voleva fare?
- Sì, certo, gliel’ho suggerito io. - Disse a Vance che lo guardava contrariato. Non era vero, ma era il suo modo per proteggermi dalle ire del direttore che con lui era sempre più tollerante che con noi. - Bel lavoro Tony
- Grazie Capo.
- Gibbs riuscirai mai a rispettare qualche regola in vita tua? - Rimproverò Vance
- No - rispose.

Ero alla mia scrivania a scrivere il rapporto dell’interrogatorio, quando Vance convocò me e Gibbs nella sala conferenze. Orli Elbaz era in collegamento da Tel Aviv. 

- Direttore Vance, mi aspettavo di trovarla in compagnia diversa - esordì la donna con il suo solito atteggiamento irriverente
- Ziva non può essere qui oggi, Orli - rispose Vance
- Oh mi dispiace, spero stia bene. - Il suo tono sarcastico non era per niente celato - Comunque Leon, sono molto addolorata delle notizie che mi giungono. Non pensavo che avreste fatto questo atto di forza, speravo che avremmo risolto la questione tra noi in modo amichevole.
- Le circostanze sono cambiate Orli. - La voce di Vance era piatta non faceva trasparire nessuna emozione.
- Agente Di Nozzo, le dovrei fare le mie congratulazioni.
- Non sono necessarie - le risposi
- Mi fa piacere che quando era qui da noi, nonostante le sue precarie condizioni di salute ha avuto tempo e modo di riconoscere suo figlio dopo tutto questo tempo.
Mi stava provocando e mi stavo imponendo di non risponderle. Dovevo farlo per Nathan.
- Comunque - continuò il direttore Elbaz - perché non avete chiesto di poter riportare con voi vostro figlio quando siete ripartiti da qua. Singolare, no? Che questa idea vi sia venuta solo ora… Ma atteniamoci ai documenti "ufficiali" del piccolo Nathan Anthony David che ora diventerà, se tutto sarà in regola, Nathan Anthony Di Nozzo, giusto?
- Giusto. - Ripetei a sottolineare la cosa.
- Bene. Chi lo avrebbe mai detto che il direttore del Mossad si dovesse occupare dei certificati di nascita di un bambino, benché sia il nipote di Eli David... Quasi un mio nipote potrei dire. - Fece una risata forzata.
- Orli - intervenne Vance a fermare il delirante discorso - spero in una vostra celere risposta affermativa. Abbiamo molta fretta che torni a casa.
- Torni a casa? Non ha mai lasciato Israele! Curioso no che consideriate la sua casa un luogo che non ha mai visto? 
- La sua casa adesso è qui. - dissi fermo
- Ma certo Di Nozzo, certo. Immagino abbia molta voglia di recuperare tutto il tempo che non ha dedicato a suo figlio in questi anni.
- Certamente.
- Bene adesso vi devo salutare. Direttore Vance, Agente Di Nozzo.... Agente Gibbs che come al solito è di poche, pochissime parole... Salutatemi anche l'agente David e ditele che ci sentiremo sicuramente presto

La sua faccia sparì dallo schermo.
- Che ne pensi Vance? - Chiese Gibbs rimasto in silenzio per tutto il tempo
- Sa che i documenti li abbiamo creati dopo ma non può fare comunque nulla adesso. Prenderà il tempo che crede, ma sarà costretta a lasciare tornare Nathan dalla madre. Tu che ne dici Gibbs?
- Che non mi fido di quella donna e di tutto quello che c’è dietro a questa storia.
- Nemmeno io - dissi ancora nervoso per la conversazione precedente
- Oggi non possiamo fare altro. Poi abbiamo ancora un paio di jolly da giocare se la situazione non si sblocca. Non ho voluto scoprire tutte le mie carte.
- A cosa ti riferisci Vance? - Chiese Gibbs
- L’altra volta, quando era in collegamento con Ziva, Orli ha fatto un errore che potrebbe risultarci molto comodo…

--- --- --- --- ---

 Roy Dunn è stato arrestato. Al processo per la morte del caporale Nelson non avrà possibilità di cavarsela con la confessione di oggi. Purtroppo non possiamo usare nulla di quello che ha detto su di te… Michelle è stata arrestata e insieme a lei il fratello Jordan per complicità per aver assoldato Dunn. - La sua voce non era tranquilla mentre parlavamo sul divano finendo la nostra cena cinese
- Cosa c’è Tony?
-  Non abbiamo notizie su chi ti pedinava. E i Sandler con tutti i loro avvocati e gli agganci politici saranno fuori a breve. Non ci sarà giustizia per quanto ti hanno fatto.
- Ci hanno fatto. - Precisai - Tu ne hai sofferto quanto me. La giustizia non ci ridarà indietro quello che ci hanno tolto.
- Vuoi vendetta? - Mi chiese preoccupato
- Oggi voglio solo andare avanti. La vendetta non mi ha mai portato nulla di buono. Ogni volta che l’ho cercata mi ha sempre allontanato di più da quello che volevo e che amavo. Anche da te.
- Mi dispiace per quello che hai dovuto sentire da Michelle. Non avresti dovuto sentire certe cose.
- Non puoi tenermi sotto una campana di vetro, Tony. E tu non puoi farti una colpa di quello che è successo. Non è colpa tua. Non potrà mai esserlo.
- Non riesco a togliermi quest’idea dalla mente. Lei lo ha fatto per colpire me, ti ha usato e…
- Basta. Non dire altro. Non colpevolizzarti, è da questa mattina che ti stai torturando per niente. Io non potrò mai nè ritenerti responsabile nè disprezzarti. Da questo dovresti capire quanto le sue parole sono senza senso. - Gli tolsi la scatola dalle mani e l’appoggiai sul tavolo, vicino alla mia. Presi le sue mani e le strinsi tra le mie - Tu nella mia vita hai portato solo cose belle, ma lei non lo può sapere, perchè non sa niente di noi. 

Guardavamo entrambi le nostre mani, le mie che benchè più piccole racchiudevano le sue e le tenevano strette, come a non volerle far scappare, a non voler far scappare via lui dietro i suoi pensieri oscurati dal senso di colpa e dal dubbio. Doveva rimanere qui, con me, al sicuro tra le mie mani e tante volte mi aveva dato sostegno lui, quanto adesso dovevo darglielo io, anche se non ero ne capace come lui e non riuscivo a dirgli tutto quello che mi passava nel cuore prima ancora che nella mente. Gli lasciai le mani e in quell’istante vidi nei suoi occhi verdi, nei quali potevo perdermi senza rendermene conto, la paura dell’abbandono sentendosi le mani senza la mia protezione, ma lo feci solo per portale intorno al suo collo ed avvicinarlo a me. Non mi bastava più sentire le sue mani, volevo sentire tutto il suo corpo vicino al mio, volevo stringerlo, fargli capire quanto lui fosse giusto per me. Giusto nell’accezione più alta del termine: eroico, onesto, vero, meraviglioso, l’unico che avrei voluto. 

- Questa volta sono io che non so se avrò la stessa tua forza. - Mi confessò alla fine dopo che ci eravamo seduti di nuovo vicini.
- Oggi ce l’hai avuta da quello che mi hanno raccontato.
- Ci sono troppi uccellini che cantano all’NCIS. - mi fece un sorriso tirato - Ha detto Vance che da domani puoi tornare a lavoro e io ho chiesto a Gibbs se puoi essere di nuovo la mia partner.
- Mi vuoi tenere d’occhio? Non ti fidi di me? - Ero un po’ delusa…
- No, semplicemente vorrei lavorare con la migliore. Una volta funzionavamo bene come coppia io e te, no?
- Secondo me funzioniamo bene anche ora. - Gli dissi accoccolandomi sul suo petto, mentre passava un braccio sopra la mia spalla, andando a cercare la mia mano per incrociare le nostre dita. Mi piaceva questo gesto che stavamo facendo sempre più spesso. Mi dava l’idea di unione e della forza di stare insieme, che ci rendeva più forti.
- Oggi abbiamo avuto una videoconferenza con Orli Elbaz - mi disse mentre mi accarezzava i capelli. Mi irrigidii e mi alzai rompendo quel bel momento che si era creato.
- Dovevate chiamarmi! Che vi ha detto?
- Che le sono arrivati i documenti con la nostra richiesta tramite l’ambasciata per portare Nathan a casa. E’ stata molto sarcastica e tagliente. Non ha rinunciato a lanciarmi qualche frecciatina. Sa che i documenti li abbiamo fatti dopo, non può dimostrarlo. Ha detto che si sarebbe fatta risentire quando li aveva finiti di esaminare. Vance è ottimista.
- E Gibbs?
- Non si fida, come al solito. Dai rimettiti giù, mi piace quando ti rilassi su di me e mi piace accarezzarti i capelli…
- Non sono molto rilassata ora…
- E allora lascia che ci pensi io, ora, a rilassarti - Mi disse mentre riprendeva ad accarezzarmi i capelli e la schiena. Provai senza successo rilassarmi, ma tra le sue braccia era il posto migliore per nascondere le mie preoccupazioni.

 

 

NOTE: Sento un profondo odio verso Michelle da parte vostra o sbaglio? Comunque una parte del mistero è risolto, Roy Dunn in tutto questo è stato solo una pedina. Ora resta da capire chi ha ucciso Wesley Venters e che fine ha fatto Dale Brooks, oltre naturalmente a capire chi è che pedinava Ziva… Ma per un po’ credo che questi discorsi li terremo da parte perchè mentre da noi è quasi Pasqua, dai nostri amici a Washington si sta avvicinando il Natale… Chissà che non arrivi qualche regalo (in)aspettato… :) 

Vi consiglio di non perdervi e prossimi capitoli e di farmi sapere cosa ne pensate di questo risvolto della storia con Michelle :)
Ah ovviamente la canzone è stata scelta in base al discorso di Michelle a Tony... 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** All I want for Christmas is you ***


… Oh, I don't want a lot for Christmas 
This is all I'm asking for 
I just want to see my baby 
Standing right outside my door 
Oh I just want him for my own 
More than you could ever know …

Il periodo delle feste si stava avvicinando mancavano pochi giorni a Natale. Washington era già da tempo tutta addobbata a festa con le luci, gli alberi scintillanti multicolori, i Babbo Natale nei centri commerciali, nelle strade e nei locali il profumo di dolci, di cannella e zenzero. Le persone come sempre affollavano i negozi alla ricerca dei regali da fare. Nonostante Ziva non celebrasse il Natale, avevamo sempre avuto tra noi colleghi l’abitudine di scambiarci un regalo per le feste, quest’anno non sarebbe stato diverso. Avevo chiesto a lei di occuparsi dei regali per i ragazzi dell’NCIS, avevamo deciso anche per ringraziarli della loro disponibilità nei nostri confronti di fare un regalo ad ognuno di loro, e mi aveva accontentato anche se non molto contenta, non perchè non volesse fare i regali a loro, piuttosto perchè faticava a lasciarsi andare. Era una festa strana quest’anno, il giorno di Natale coincideva con l’inizio dell’Hanukkah e la distanza da Nathan, in un giorno di festa, le pesava molto.

Giravo per Georgetown per trovare qualcosa da regalarle, cercavo qualcosa di particolare, per farle capire quanto era importante per me, ma non trovavo niente che riuscisse a colpirmi realmente, fino a quando non vidi un negozio diverso dagli altri ed entrai…

--- --- --- --- ---

In un altro momento mi sarebbe piaciuto andare in giro a fare regali, girare tra negozi per cercare la cosa giusta, quella particolare per rendere felice un amico. Ora invece no. Non avevo idee e tutta quell’atmosfera di festa, di genitori che facevano regali ai figli erano in completo contrasto con la mia nostalgia. Nathan non aveva mai festeggiato il Natale, quest’anno però mi sarebbe piaciuto averlo qui e fargli vivere anche a lui l’atmosfera, per lui tutta nuova, di questa festa che ero sicura, gli sarebbe piaciuta tantissimo. Mi ritrovai così a comprare il mio unico regalo di quel giorno a lui.
Con il mio unico pacchetto per un destinatario che non lo avrebbe ricevuto, mi imbattei in un negozio che sembrava uscito da un libro di favole, pieno di addobbi, alberi, ghirlande, statue del presepe, luci…  Entrai attratta dal calore che emanava, rimasi estasiata a guardare dentro quella piccola bottega quanto amore ci poteva essere, in ogni luce, in ogni addobbo, nell’espressione di ogni statuina.
Sapevo quanto Tony amasse il Natale. Pensai alla nostra casa che era ancora così fredda in quei giorni e decisi che quando sarebbe tornato a casa l’avrebbe trovata diversa.

Tornai a casa con tre buste piene di decorazioni natalizie. Ghirlande argentate con le stelle di natale rosse da appendere alle pareti; un filo di luci al led color ghiaccio nascoste dentro grandi fiocchi di neve di cristallo circondava il profilo delle finestre e passava intorno alla tv; i tre pupazzi di neve di diverse dimensioni li misi sul mobile all’entrata di casa, vicino alla nostra foto e dato che non ero portata per fare l’albero di Natale, presi dei vasi trasparenti con dentro palline rosse e argentate con vari disegni e luci al led calde da mettere sul bancone di cucina e sul tavolo davanti alla tv.
Magari non sarà stata la casa più natalizia del mondo però io ne ero orgogliosa. 
Spensi tutte le luci e lasciai accese solo le decorazioni aspettando l’arrivo di Tony. 

Sentii la chiave girare nella serratura e andai velocemente nel corridoio per vedere la sua espressione quando sarebbe entrato. La sua faccia da bambino sorpreso fu la più bella ricompensa per il lavoro fatto.
- Sorpresa! So che ti piace l’atmosfera del Natale e casa nostra ancora era un po’ spoglia… - Nel buio della stanza i suoi occhi brillavano illuminati dall’intermittenza delle luci al led
- Grazie… - disse visibilmente stupito - Erano tanti anni che nessuno faceva questo per me… E’ bellissimo.
Accesi la luce, guardò le ghirlande e tutte le decorazioni con lo sguardo perso in ricordi lontani nel tempo. Si tolse il cappotto e la giacca cominciò a raccontarmi qualcosa di lui che non conoscevo.
- Mia madre quando ero piccolo addobbava sempre tutta la casa per le feste di Natale. Faceva un enorme albero pieno di palline colorate e luci, metteva ghirlande ovunque, addobbava le scale con dei nastri rossi e dalle porte pendevano addobbi di tutti i tipi. L’odore delle candele profumate al sandalo, delle stecche di cannella e vaniglia in infusione nei vasi si mescolavano con quello dei rami di pino freschi usati per gli addobbi. Tutte le sere mi preparava dei biscotti allo zenzero, a forma di stella o di pupazzo di neve o di campanella, ci faceva passare un nastro dorato e me li faceva trovare appesi in camera. In quei giorni faceva risuonare sempre canti natalizi e la nostra casa era piena di calore. Io attendevo con ansia la sera della vigilia per vedere con lei un film in tv che tutti gli anni veniva immancabilmente trasmesso: “It's a Wonderful Life”. Lei mi abbracciava forte e mi diceva che ero io che facevo la sua vita meravigliosa. Poi all’improvviso tutto questo finì. Mamma non c’era più e non ci fu più un Natale con gli addobbi, con l’albero, le candele. Niente più musica e profumi, niente più biscotti. Niente più film abbracciato a lei. C’erano solo i regali che qualche segretaria comprava per mio padre. Ed io li odiavo.

Mi si strinse il cuore a sentire il suo racconto. Ricordavo quel film, una volta insistette perché lo vedessimo tutti all’NCIS. Era la prima volta che mi parlava della madre, di qualcosa di lui quando era piccolo, qualcosa che evidentemente ancora lo turbava. Aveva sofferto la mancanza della mamma più di quanto volesse far vedere. Sapevo cosa voleva dire perdere la propria madre, io ero poco più grande di lui quando rimasi sola, ma Tali, che era più piccola, faticò molto a riprendersi e credo non lo abbia mai fatto del tutto. Sapevo che gli piacevano gli addobbi natalizi, quando avevo visto la sua casa, in passato, durante le feste, era sempre addobbata, anche se in maniera molto discreta. Non pensavo, però, che avrebbe avuto questa reazione: avessi saputo che per lui era una cosa così importante, avrei fatto molto di più. Aveva gli occhi lucidi commosso per la sorpresa e per i suoi ricordi.
- Grazie… - mi disse ancora una volta prima di accarezzarmi il viso con dolcezza.

--- --- --- --- ---

Per essere perfetta alla nostra cosa mancava ancora qualcosa, qualcosa che parlasse di lei. Per ricambiare la sorpresa che mi aveva fatto il giorno prima, le feci trovare vicino alla finestra un Menorah per la festa delle luci. Sapevo poco di questa festa, ma l’idea dei desideri e delle luci delle candele che illuminavano la nostra casa mi piaceva, così come mi piaceva vedere come le nostre due culture si fondevano tra di loro. Ziva non era praticante, però sapevo che anche a lei piaceva ricordare certe tradizioni, più per rievocare i ricordi felici di quando era piccola che per fede, un po’ come me. 

Alla fine riuscimmo a fare tutti i regali: a Gibbs una bottiglia di uno tra i migliori bourbon in circolazione, il Jefferson's Presidential Select, sperando che la potesse usare presto per brindare. 
Per Abby Ziva trovò on line un’edizione limitata autografata dei Suicide Commando, una delle sue band preferite; a Ducky regalammo due biglietti per l’Opera per vedere la Carmen così sarebbe potuto andare con quella collega che diceva essere solo un’amica e per Palmer le scelta fu quella di prendere dei regali per la figlia, in fondo il Natale è prima di tutto una festa per bambini. A McGee un maglione di Armani e a Bishop un profumo Amouage, di quelli dalle tipiche fragranze mediorientali che tanto piacciono a Ziva e che tanto piacciono a me, su di lei.

Quella vigilia di Natale ci recammo in ufficio come sempre, con la speranza che fosse una giornata più tranquilla di quella dell’anno passato, quando per colpa di un duplice omicidio lavorammo ininterrottamente tutta la notte di Natale. Prima di uscire lasciai le chiavi al portiere, l’avevo già avvisato di quello che sarebbe successo. Gli ricordai di chiamarmi nel caso ci fossero stati dei problemi.

Fortunatamente quel giorno non ci furono sorprese, la solita routine di lavoro d’ufficio, qualche aggiornamento su dei casi ancora aperti, ma nulla di che. Ci scambiammo i regali, e la nostra gioia più grande fu quella di vedere che tutti i nostri amici ormai ci vedevano realmente come una famiglia. Tutti i regali erano pensati per noi, non per me o per lei, era la prima volta e questo ci emozionò molto: Abby e la sua cornice con le nostre foto ed uno spazio vuoto 
- Per mettere quella con vostro figlio -  ci disse e a stento trattenemmo le lacrime.
Il regalo che più ci emozionò però fu quello di Gibbs. Aveva realizzato una scatola con dei disegni intagliati e sul coperchio una frase “Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare, e motivi per restare”: ci avremmo conservato i nostri ricordi più cari. 

Avevamo invaso le scrivanie di carte, nastri, buste e pacchetti quando Abby nei suoi soliti slanci fece una domanda a me e Ziva
- Ma voi due piccioncini non ve lo scambiate un regalo?
- Abby ma magari vogliono farlo quando sono soli no? - La riprese Bishop cercando di toglierci dall’imbarazzo, ma Ziva prese dalla borsa una scatolina e me la porse, cercando di superare l’imbarazzo di avere gli sguardi tutti su di noi.
Un bracciale di cuoio con una piastra d’argento con due incisioni, nella parte superiore “אני אוהבת אותך” e nella parte inferiore i nostri nomi incisi. Passai un dito sopra l’incisione accarezzandola. Non sapevo cosa ci fosse scritto e la guardai sorridendo con aria interrogativa.
- Ti amo. - Mi disse schiarendosi la voce - C’è scritto questo. 
Tutti risero del suo imbarazzo e credo che se avesse potuto sarebbe sprofondata in quel momento o più probabilmente ci avrebbe ucciso tutti.
Le diedi il mio, era una collanina con 3 cuori che si incastravano uno dentro l’altro formandone uno solo. Su ogni cuore c’era inciso un nome, il mio, il suo e su quello centrale più piccolo “Nathan”. 
McGee era proprio vicino a Ziva e curiosava dentro la scatolina.
- Tony ma da quando sei diventato così romantico?
Mi allungai per dargli uno scappellotto ma si spostò persi l’equilibrio e per poco non finii a terra.
Tutti scoppiarono a ridere rumorosamente e Ziva abbracciò McGee.
- Grazie Tim mi hai salvata! - E lo abbracciò calorosamente
- Ah brava tu eh! Io ti faccio i regali e tu abbracci il Pivello! - La rimproverai fingendomi arrabbiato, lei si voltò e si alzò i capelli, chiedendomi di aiutarla a chiuderla ed io dovetti trattenermi non poco per non cominciare a riempirla di baci.

Prima di andare facemmo un paio di brindisi. Ci preparavamo a gustarci i due giorni di riposo, ma prima di tornare a casa, avevamo appuntamento con Abby e Stevy ad un Cafè: sarebbe dovuto venire anche McGee ma alla fine aveva accettato l’invito della sorella di passare il Natale insieme e quindi partì subito per il Maryland. Passammo il resto del pomeriggio tra cioccolate calde, tè, torte e biscotti a chiacchierare. Un pomeriggio ad alto contenuto glicemico!
Era bello vedere anche Abby felice e serena con quel ragazzo così diverso da lei. In quel mese da quando lo avevamo conosciuto avevamo scoperto qualcosa in più di lui durante qualche uscita che avevamo fatto insieme: veniva da Santa Barbara, con Abby si erano conosciuti nella stessa associazione di volontariato, dopo che lui si era trasferito a Washington per lavoro. Quel suo abbigliamento sempre molto colorato era uno dei suoi tratti distintivi, da piccolo era sempre stato un grande appassionato di surf: fino a quando stava sulla costa ovest la tavola e le onde catalizzavano tutta la sua vita, insieme all’altra sua grande passione, l’antropologia. Aveva poi vinto una borsa di studio al Jeffersonian Institute come tirocinante e si era trasferito da poco più di un anno. A vedere quel ragazzo così sbarazzino nessuno lo avrebbe immaginato col camice in laboratorio, ma pensandoci anche di Abby si potrebbe dire la stessa cosa!

Tornammo a casa felici per il bel pomeriggio passato insieme ai nostri amici. Ogni tanto faceva bene staccare completamente la spina, lasciare i problemi e le preoccupazioni fuori dalla nostra vita, altrimenti rischiavamo di distruggerci da soli. Ora però era arrivato il momento della sorpresa per lei.
- Ziva, mi sono dimenticato le chiavi a casa, apri tu?
Aprì la porta di casa e, ad accoglierci, c’erano le calde luci degli addobbi che aveva volutamente lasciato accese. Dopo una giornata passata con i nostri amici, tornare a casa e trovare il calore del Natale che si mescolava con quello dell’Hanukkah rendeva tutto così unico, così nostro. Ero curioso di vedere come era venuta la mia sorpresa per lei tanto quanto ero curioso di mostrargliela.
- Ti devo ancora mostrare un mio regalo - le dissi una volta entrati.
- Io non voglio altri regali da te, non devi esagerare come tuo solito! - Mi rimproverò. I regali le piacevano ma sembravano imbarazzarla, il tipico atteggiamento di chi per troppo tempo non ha avuto l’abitudine a riceverli, la mettevano a disagio e non sapeva come comportarsi, come se avesse timore nel mostrarsi felice di accettarli, come se ancora avesse paura di mostrare quel suo lato fanciullesco.
- Sono certo che questo ti piacerà, vieni. - La portai davanti alla stanza che era sempre rimasta vuota - Ora ho trovato cosa metterci.
Aprii la porta, accesi la luce e la feci entrare. Era proprio come mi aspettavo. Le pareti con la carta verde acqua, una sfumatura pastello molto leggera ed irregolare, i mobili erano bianchi e color sabbia: un letto basso alla francese, largo per un bimbo piccolo, ma così se avesse voluto nel letto con lui uno di noi, avremmo potuto stare comodi, con biancheria bordata dello stesso colore delle pareti. Completavano l’arredamento l’armadio, la cassettiera e la scrivania, tutti con rifiniture verde acqua. La parete in fondo alla stanza vicino alla finestra era piena di giochi, pupazzi e un grande box con palline di plastica colorate dentro. Alle pareti alcuni ingrandimenti di foto di Ziva e Nathan, quelle che mi piacevano di più, fatte tono su tono color sabbia. Al centro della stanza un grande tappeto morbido per farlo giocare per terra che riprendeva i colori dell’arredamento e una poltrona, dove immaginavo ci saremmo seduti per leggergli le favole.
Ziva si guardava intorno stupita, passando la mano sui mobili, accarezzando il lettino, fino ad arrivare ai vari pupazzi e giochi. Io rimasi ad osservarla dalla porta, mi stavo godendo la scena del suo stupore, contento di aver fatto centro.
- Allora? - le chiesi quando aveva visto tutto - Ti piace?
- E’ perfetta. Non so cosa dire.
- Non devi dire niente. Spero che possa piacere anche a lui quando sarà qui. - Andai verso di lei e la abbracciai - vedi, c’era un motivo se era sempre rimasta vuota. Aspettava questo momento, ma non lo sapevo.
- Non potevi farmi un regalo più bello. Hai pensato a tutto per lui. - Disse vedendo i seggiolini per la macchina appoggiati in un angolo
- Io non sapevo che cosa potesse realmente servire e cosa no. Mi sono lasciato consigliare.
- Non hai ancora conosciuto tuo figlio e sei già un padre perfetto Anthony Di Nozzo.
Volevo emozionare lei, mi stavo emozionando io.
- David, rispettiamo le tradizioni, abbiamo un film da vedere, ti va?
La presi per mano ed uscimmo dalla stanza. Chiusi la porta dietro di noi, con la speranza che presto lì ci saremmo andati tutte le sere per dare il bacio della buonanotte a nostro figlio. 
Prima di cominciare a vedere il film, Ziva accese la prima candela dell’Hanukiah e la luce scintillante della nuova fiamma sembrò scaldare ancora di più la nostra casa. 
- Hai espresso il tuo desiderio? - Le chiesi
- Sì, ma non te lo posso dire! - mi sorrise ma non ci voleva molto a capire cosa fosse, quello che volevamo entrambi.
Poco dopo eravamo sul divano, lei sdraiata sulle mie gambe e  sulla tv i titoli di testa di “It's a Wonderful Life”. E la mia la stava diventando veramente. Mancava solo il nostro piccolo ometto ma quella sera avevo il cuore pieno di speranza che sarebbe stato presto con noi.
- Tony…
- Dimmi
- Tu rendi la mia vita meravigliosa

--- --- --- --- ---

Mi svegliai presto quella mattina, dovevo preparare a Tony il pranzo del Natale. Mi aveva raccontato di come in quel giorno si ritrovavano tutti a casa della nonna ed era lei che gli preparava il pranzo con piatti tipici italiani, almeno così diceva lui, raccontando di lasagne, tortellini in brodo e arrosto. Nei giorni precedenti ero andata a cercare in alcuni negozi tipici tutti gli ingredienti, ripassai le ricette e cominciai a preparare quello che doveva essere un pranzo veramente speciale.
Quando si svegliò la casa era invasa dai profumi di carne bollita, ragù e arrosto. Si trascinò assonnato in cucina e mentre preparavo si mise dietro di me abbracciandomi.
- Mi sono risvegliato ed ho scoperto di avere di nuovo 7 anni - mi disse - Grazie David…
- Aspetta ad assaggiare per ringraziarmi DiNozzo!
- Intanto posso assaggiare te… - e malizioso mi dava dolci morsi sul collo
- Fermati Tony o non mangeremo niente oggi.
- Sarebbe un problema?
- Beh sì! - Dissi cercando di farlo smettere - riprendiamo dopo che ho preparato?
- Promesso?
- Promesso! - Gli diedi un bacio per convincerlo a desistere. Si preparò un caffè ed andò a farsi una doccia.

Ogni promessa è un debito, così dopo pranzato abbandonammo ogni idea di uscire per andare al cinema e a cena fuori come avevamo inizialmente programmato e restammo a casa, pensando solo a noi.
Nel pomeriggio una telefonata però cambiò tutto.

- Shalom Ziva
- Noah...
- Oggi è festa.
- Per me non c'è festa fino a quando Nathan non sarà con me.
- Per questo ti chiamo
- Alla fine dell'Hanukkah potrete venire a prendere tuo figlio
- Cosa stai dicendo Noah? È vero?
- Quando tornerai all'NCIS troverai l'autorizzazione. Io l'ho saputo oggi e te l'ho voluto dire in anteprima. 
- Dovrei ringraziarti?
- No, mi devi stare a sentire. Se non vuoi mettere in pericolo tuo figlio non venire
- Mi hai chiamato per dirmi che lo posso venire a prendere e di non venire?
- Ti ho chiamato per metterti in guardia. Se vieni tu lui potrebbe essere in pericolo, più di quanto potresti esserlo tu. Fai venire suo padre a prenderlo e non farlo venire da solo. Così sarai sicura che nessuno correrà rischi.
- Perché tutto questo Noah?
- Non te lo posso dire ma fidati
- Perché dovrei fidarmi?
- Perché ne va della vita tua e di tuo figlio. Aspetta in linea non attaccare

- Mamma!
- Nathan!
- Mamma è tanto tempo.
- Lo so amore mio
- Quando vieni?
- Tra pochi giorni amore mio. Finite le feste ti vengo a prendere e non ti lascio più
- Mi manchi mamma
- Anche tu piccolo
- Mi vuoi sempre bene?
- Più di prima Nathan.
- Mi hanno regalato le costruzioni nuove
- Poi ci giochiamo insieme piccolo mio. Quando vieni abbiamo tanti regali per te e una sorpresa grande grande.
- Ti voglio bene mamma
- Anche io amore mio.
- Mamma vieni presto.

- Ziva... Ricordati quello che ti ho detto. Non fare cose avventate.

Noah riattaccò ed io non riuscivo ancora a mettere a fuoco le emozioni che stavo provando.

- Ci hai parlato vero? - Mi chiese Tony mentre rimanevo con il telefono in mano fissando il vuoto davanti a me.
- Sì… Sì… - balbettai
- L’ho capito dal tono della tua voce. Tutto bene? - Mi spostò una cioccà di capelli dal volto ed approfittò per farmi una carezza.
- Sì. Ha detto Noah che alla fine dell’Hannukah autorizzeranno la partenza di Nathan.
Il viso di Tony si illuminò. 
- Veramente? È il più bel regalo di Natale che potevamo ricevere! Andremo a prendere nostro figlio!
Era al settimo cielo e aveva stampato sul viso il suo sorriso più grande.
- Che è quella faccia non sei contenta? - Mi chiese vedendo che non partecipavo al suo entusiasmo
- Certo che sono contenta, cosa stai dicendo? Solo che sono ancora scossa dall'averlo sentito... 
- È normale. Ma tra poco lo sentirai continuamente, andrà tutto bene. - Sapevo che in questo momento per Tony il mondo era tutto colorato da un arcobaleno che faceva diventare tutto bellissimo.
- Poi c'è una cosa... Mi ha detto che è meglio che io non vada a prenderlo perché sarebbe rischioso per me e per lui. Secondo lui dovresti andare tu, accompagnato da qualcuno, per sicurezza. 
- Dimmi quando devo partire e vado. - Si fece serio
- Quando torneremo in ufficio dice che troveremo la comunicazione ufficiale. Sei raggiante Tony! - Gli dissi accarezzandolo cercando di ricomporre il mio quadro emozionale in quel momento totalmente confuso.
- Sono felice. Tutto andrà bene, vedrai. Presto saremo tutti insieme.
- Anche io lo sono. Anche se ancora adesso ho paura perché in tutta questa storia ci sono tante cose che continuo a non capire… Ho così tante emozioni dentro che mi viene da piangere.
- Fallo amore... Sfogati! Ian McKellen nel Signore degli Anelli diceva che non tutte le lacrime sono un male
- E Tony cosa dice?
- Che se vuoi piangere la mia spalla ci sarà sempre.
Sapevo che era sincero, me lo aveva sempre dimostrato, anche quando facevo finta di non accorgermene. Mi strinsi a lui e lasciai che le lacrime uscissero senza trattenerle più. 

 

NOTE: Allora ci siamo quasi… O no? Un bel regalo di Natale per i nostri due che ne pensate? Certo ancora non è lì, ma è già un inizio? Sono sincera, dei capitoli che ho scritto questo è uno di quelli che mi convince di meno, ci sono stata un po’ a correggerlo e rivederlo, ma niente… Non ne sono soddisfatta, ma mi serviva quindi lo prendete così com’è :)

Ho inserito un altro “Easter Egg” su “Bones” un po’ perchè mi piaceva l’idea di questo ragazzo così sbarazzino che in realtà è uno scienziato (ed ha un punto in comune con Abby) e poi perchè questo mi servirà per il futuro ;)

Il prossimo capitolo sarà un pochino diverso, spero vi piaccia… diamo un po’ di spazio anche al grande capo Gibbs!

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** My Father Eyes ***


When will I learn the words to say? 
How do I teach him? What do we play?
If I did, I’d realize
That’s when I need him, that’s when I need my father’s eyes.


Ci eravamo goduti quei due giorni di pausa natalizia, resi ancora più belli dalla notizia che potevamo andare a riprendere nostro figlio. Certo, ora più si avvicinava il momento più ero agitato. Mi chiedevo se i papà si sentivano così anche prima del parto. In fondo per me era un po’ come se lo fosse, fino ad ora avevo conosciuto mio figlio solo dai racconti di Ziva, presto lo avrei abbracciato per la prima volta.
In quei giorni mi rendevo conto che il bambino sembravo io, passavo da un negozio all’altro prendendo tutto quello che pensavo potesse servire, anzi due di tutto, per sicurezza e per esasperare Ziva.
Mi preoccupavo che a mio figlio non mancasse nulla una volta qua, dai giocattoli ai vestiti a tutti gli oggetti di uso quotidiano. Non avendo mai visto Nathan avevo enormi problemi con i vestiti, secondo Ziva non ne azzeccavo uno nemmeno per sbaglio, sempre troppo grandi o troppo piccoli. 

- Ma non ti sembra esagerato voler comprare un vestito con la cravatta ad un bambino così piccolo? - Mi chiese perplessa quando avevo scelto un bellissimo completo grigio con camicia e cravatta abbinata 
- Dai Ziva è bellissimo! E’ uguale a quello che ho comprato io il mese scorso! - E forse vide la felicità nei miei occhi, ma me lo lasciò comprare, dopo aver controllato la taglia varie volte.
- Poi voglio vedere dove lo porterai vestito così eh!
Nei negozi di abbigliamento per bambini ci dividevamo per reparti: le andava a cercare tutte cose pratiche e comode: tute, pigiami, felpe, jeans, piumini il tutto ovviamente con pupazzi e personaggi dei cartoni animati.
Io invece giravo per le grandi firme: cardigan, polo, maglioni, pantaloni di velluto, cappottini, giacche, camice… Nathan non aveva niente di adatto al clima di Washington, aveva bisogno di tutto il necessario per l’inverno ed io non volevo che gli mancasse nulla, per ogni occasione.
- Tony, stai spendendo una fortuna in vestiti per un bambino che la prossima stagione sarà cresciuto di svariati centimetri e non li porterà più. 
- Mi concedi di viziare mio figlio e comprargli tutto quello che avrei sempre voluto comprare? 
Era stranamente accondiscendente quel giorno ed io che me ne ero accorto approfittai per prendere le cose più particolari e sfiziose per Nathan e alla fine cominciò a divertirsi anche lei a scegliere con me.
- Sai cosa mi preoccupa Tony? - Mi disse mentre tornavamo in auto a mettere le buste di tutto quello che avevamo comprato, prima di andare a fare un altro giro?
- Cosa amore? - Chiesi preoccupato a mia volta
- Che se tu continui così, io dovrò occuparmi di due bambini per casa… - Lei ora rideva ed io mi ero preoccupato realmente!
- Non mi dire più così, che mi spavento! - Le dissi mettendo il broncio, ma bastò un suo bacio per farmi dimenticare tutto. 
- Pronta per il secondo round David? - Prendendola per mano tornammo dentro il centro commerciale.

Il giorno che tornammo tutti a lavoro, volevamo dare la notizia a tutti, ma la notizia era arrivata prima di noi.
- Tony, Ziva, ci aspetta Vance nel suo ufficio. - Gibbs non ci aveva nemmeno salutati, era già in piedi che ci aspettava per salire dal direttore.

- David, Di Nozzo… So quanto è successo il giorno di Natale, immagino sia stato un bel regalo.
- Splendido direttore - gli risposi
- Bene, avrei gradito comunque essere informato immediatamente - ci rimproverò
- Scusami Vance, ma in quel momento sei stato l’ultimo dei miei pensieri. - La voce di Ziva era tagliente come una katana e lei era la mia ninja che la brandiva per difesa.
- Capisco la situazione David, ma oltre il lato emotivo c’è anche uno pratico da considerare.
Temevo che Ziva rispondesse ancora scatenando una guerra dialettica infinita di quelle che le piacevano tanto e nelle quali voleva sempre avere l’ultima parola, ma non rispose, anche perchè Gibbs parlò prima di lei.
- Leon, possiamo andare avanti e superare quello che non è stato due giorni fa, non un mese, e venire al punto? - Lui le perdite di tempo in chiacchiere inutili proprio non le tollerava, soprattutto se dovevano essere delle stupide accuse per Ziva
- Va bene, oggi mi è arrivata una mail dal Mossad ed una dalla nostra ambasciata a Tel Aviv. 
- E quindi Leon? - Chiese ancora Gibbs
- Quindi nei prossimi giorni arriverà il passaporto di Nathan e con quello l’agente David e l’agente Di Nozzo potranno andare a riprendere loro figlio.
- Io non andrò - disse Ziva suscitando lo stupore degli altri due
- Cosa vuol dire che tu non andrai Ziva? - Chiese Gibbs perplesso
- Una parte della telefonata che ho ricevuto aveva un contenuto diciamo non ufficiale, nel quale mi veniva consigliato di non rientrare in Israele per non mettere in pericolo la vita mia e soprattutto di mio figlio. Non so se le minacce siano vere o no, ma non voglio rischiare.
- Abbiamo tutto il tempo per verificarle Ziva - disse Vance con tono più morbido
- No Vance, non mi interessa. Non voglio in alcun modo mettere in pericolo Nathan. 
- Cosa altro ti hanno detto? - Chiese Gibbs più preoccupato. Evidentemente anche lui aveva la stessa considerazione di Orli Elbaz di Ziva e non si fidava.
- Che era meglio se andasse Tony accompagnato da qualcuno.
- Bene, si farà accompagnare da McGee - disse Vance.
- No, Leon - lo fermò Gibbs - Vado io con lui.
- Gibbs, tu mi servi qui.
- Allora prenderò dei giorni di ferie, ne ho tanti da usare… 
- Gibbs, so già che non ti farò cambiare idea, vero?
- In alcun modo.
- Va bene - disse alla fine Vance rassegnato - appena ci daranno l’ok da Israele farò organizzare un volo per Tel Aviv. Non voglio che rimaniate giù più del tempo strettamente necessario e voglio che questa storia si chiuda al più presto.
- E’ quello che vogliamo tutti Direttore - dissi.
- Presto e bene - concluse Gibbs.
- Grazie Vance - disse Ziva prima di uscire per ultima dalla stanza.

Quei giorni lavorare era quasi impossibile, ogni mail, ogni pacco, ogni lettera che arrivava speravamo fosse qualcosa che riguardava Nathan. Ormai avevamo contagiato tutti.

Fu la seconda mattina del nuovo anno che quello che stavamo tanto aspettando arrivò.
- Mamma, papà, guardate cosa c’è qui? - Bishop sventolava un passaporto nuovo di zecca. Ellie era stata sempre la meno espansiva verso di noi, ma lo sapeva bene quanto stessimo aspettando quel documento e sentirla così gioiosamente coinvolta mi fece molto piacere, soprattutto dopo quello che era successo dopo l’irruzione da Dunn.
Corremmo a prenderlo e ci mettemmo vicini per vederlo. Era strano essere emozionati nel vedere un documento, ma per noi era importantissimo.
Ziva lo aprì e il viso di Nathan sorridente era più bello che mai.
- Nathan Anthony DiNozzo. Nato a Tel Aviv il 17 giugno 2014 - Sorrise Ziva - E’ il suo primo documento con il nuovo nome. 
In effetti tutti in gli altri altri aveva il cognome di Ziva. Avevo un sorriso ebete stampato sul volto mentre lo guardavo
- Ti dispiace che ora è un DiNozzo? - Le chiesi
- Solo se diventa egocentrico e vanitoso come il papà - mi stuzzicò, poi mi guardò con il suo sguardo più dolce - E’ perfetto. Come doveva essere da sempre.
- Ci pensi David, Nathan ci ha messo meno di te ad avere il passaporto americano. - Era più forte di me, dovevo punzecchiarla un po’ oppure sarei scoppiato a piangere.
- DiNozzo, perchè devi farmi sempre ricordare in quanti modi ti posso uccidere con questa? - Disse prendendo una graffetta dalla scrivania
- Perchè ti amo anche quando fai così - e le diedi un bacio a stampo sulle labbra solo per farla imbarazzare di più, perchè lei si imbarazzava sempre quando la baciavo davanti agli altri e a me piaceva tremendamente farlo anche solo per vedere il suo sguardo in quel momento.

Nei giorni seguenti arrivò anche la comunicazione da Tel Aviv che ci aspettavano per il 15 gennaio. Vance si adoperò subito per organizzare il nostro viaggio ed io cominciai a fare il conto alla rovescia insieme a Ziva, in un attesa che ogni giorno era crescente e lei non perdeva occasione per ricordarmi che nemmeno quando era incinta era mai stata così nervosa, perchè essendo Nathan nato prima del previsto, non si era mai trovata a dover fare il conto alla rovescia e di questa cosa ne ridevamo insieme, anche per stemperare quella tensione crescente.

--- --- --- --- ---

Due giorni prima della partenza, Gibbs mi disse di prendermi un pomeriggio libero perchè dovevo andare a casa sua. Pensavo volesse chiedermi di Nathan, avesse bisogno di qualcosa, invece quando arrivai da lui, vidi subito il tavolo dove c’erano tutti i documenti che avevamo copiato del dossier che avevamo spedito al Mossad.

- Hai letto già tutto vero? - Gli chiesi
- No ho letto molto poco. Non c'è molto in inglese. Tutto in ebraico e arabo.
- Questo è farsi - gli dissi indicando uno dei fogli che aveva sul tavolo.
- Per capire comunque è stato sufficiente. I fatti risalgono a qualche mese prima che tuo padre fosse ucciso a vedere da quando sono presenti gli ultimi documenti. Le foto sono abbastanza esplicite. Una parte del Mossad ha pagato dei ribelli sunniti in Iraq per coalizzarsi contro lo stato sciita e andare ad indebolire ed attaccare in seguito anche l'Iran. Il tutto mentre tuo padre stava invece cercando un accordo.  Guarda tu stessa - mi disse porgendomi delle foto - Qui ci sono delle nostre conoscenze su tutti Elbaz e Bodnar. Mi pare evidente che una volta che hanno preso i "finanziamenti" e i "mezzi” le strategie di questi gruppi sono rapidamente cambiate ed anche il raggio di azione. Quindi dall’Iraq non sono passati in Iran ma in Siria. Capisci cosa vorrebbe dire la pubblicazione di questi documenti in ambito internazionale? 
Certo, lo capivo. Presi un paio di fogli scritti in arabo e cominciai a leggere qualcosa, in effetti quello che diceva Gibbs combaciava con quanto scritto. Poi li lasciai sul tavolo, non volevo andare avanti. Trovavo tutto assurdo.
- E il governo degli Stati Uniti perché era interessato? - Chiesi 
- Credo che fosse almeno informato se non avesse proprio dato il suo consenso o peggio.
- Quindi abbiamo tutto questo, abbiamo la possibilità di mettere fuori gioco Orli Elbaz e non lo possiamo fare per non scatenare una crisi internazionale
- Esatto.
- Lei lo sapeva che non avremmo potuto dire niente. Ecco perchè si sente così tranquilla. - Dissi amareggiata
- Già.
- E perchè adesso ha acconsentito a lasciare Nathan?
- Perchè anche lei ha fatto un errore e sa che adesso non potrebbe fare altrimenti.
- Errore? Quale errore?
- Un errore stupido, dettato dalla troppa sicurezza. Così ha detto Vance, non ne so di più.
- In tutto questo comunque Gibbs c’è più di qualcosa che non riesco a capire. Perchè mettermi in mezzo? Perchè organizzare tutto questo per trovare dei documenti che se nessuno avesse trovato sarebbe stato meglio? Se li potevo trovare solo io, come dicono loro, perchè chiedermi di cercare qualcosa che io ignoravo esistesse?
- Non lo so Ziva, me lo sto chiedendo anche io da tempo. Ci sono tanti punti che non sono chiari in tutta questa situazione ed ogni volta che sembra arriviamo ad una soluzione, in realtà ci allontaniamo dalla verità.
- Vuoi leggere altro? - Mi disse porgendomi i documenti
- No Gibbs, te l’ho detto, non mi interessa. Non ne voglio sapere nulla di più di questa storia. Mio padre è morto non sono affari che mi riguardano, anche perchè comunque non possiamo fare nulla. Vorrei non mi riguardasse più nulla di quello che fa il Mossad.
- Ne sei sicura? - Mi chiese guardando il caminetto che scoppiettava
- Sicura Gibbs.
- Poi non saprai mai cosa altro c’era dietro il comportamento di tuo padre. Potresti rimpiangerlo.
- No, non lo farò. Ogni cosa in più che so mi provoca solo dolore e fastidio. Voglio che tutto questo sia un capitolo chiuso per me. Devo cominciare una nuova vita ed ora so con certezza dove e con chi ricominciare.
- Ok. - Mi disse. Ero convinta che l’avrebbe distrutto, invece lo prese e lo ripose in un cassetto.
- Perchè? - Gli chiesi
- Perchè tuo figlio ancora non è qui. - Mi diede un bacio sulla fronte.
Andò a prendere un paio di birre e me ne diede una. Ero contenta di passare quel pomeriggio con lui.

- Di Nozzo non è geloso che passi il pomeriggio con me? - Chiese Gibbs ridendo
- Penso che sei l’unica persona al mondo della quale non è geloso
Gibbs sorrise compiaciuto e non disse nulla, ma bevve un sorso di birra. 
- Grazie di tutto Gibbs, per esserci sempre stato e per accompagnare Tony. È molto importante, per lui ed anche per me sapere che ci sarai anche tu.
- Sai che non lo avrei mai mandato da solo nella tana del lupo. Agitata all’idea di rivedere tuo figlio?
- Sì. Mentirei se ti dicessi il contrario. Ho paura di come possa reagire dopo tutto questo tempo.
- Sei sua madre, come dovrebbe reagire?
- Non lo so. Si sarà sentito abbandonato.
- Quando Kelly aveva poco più di 3 anni, sono dovuto andare per alcuni mesi su una base navale. Ti assicuro che quando sono tornato non era arrabbiata con me, solo molto più affettuosa.
- Tu avevi avuto la possibilità di spiegarglielo e lei era con sua madre.
- È vero, ma non farti venire strane idee. Tuo figlio non aspetta altro che stare con te, non stare in pena per questo. 
Nel parlare della figlia, il volto di Gibbs si era contratto visibilmente. Non parlava mai della sua famiglia, erano passati tanti anni e per lui era sempre una ferita aperta. Mi aveva spiazzato con quel ricordo tirato fuori chissà da quale angolo del cuore. Avevo perso tanti familiari ma non potevo immaginare quanto potesse essere straziante perdere la propria metà ed un figlio.
- Ti manca molto, vero Gibbs?
- Sempre Ziva, Sempre. Mia figlia avrebbe la tua età. Non c’è giorno che non ci pensi a lei, che non immagini come sarebbe diventata, se si sarebbe sposata, magari ero già nonno. Mi chiedo se avessi avuto ancora lei e Shannon se avrei continuato a fare questo lavoro oppure no; magari avrei fatto qualcosa di più tranquillo. Chissà se sarei riuscito a starmene lontano dai guai. - Sorrise di se stesso, immaginando per quanto sarebbe riuscito a restarci: poco, sicuramente. Poi si fece di nuovo serio - Tornassi indietro avrei rinunciato a tutto per loro, per Kelly e Shannon, ma quando sei giovane certe cose non le capisci, metti certi valori davanti a tutto, anche davanti alla tua famiglia.
- Sono sicura che tua moglie ti amava anche per questo Gibbs, per l’uomo che sei ed i valori che hai e non avrebbe mai voluto che tu ti snaturassi e rinunciassi ad una parte così importante di te, nemmeno per lei. - Gli dissi prendendogli la mano. Sapevo quanto era difficile per lui parlare di loro ed il fatto che lo stesse facendo così a cuore aperto in maniera così diretta mi lusingava, perchè Gibbs stava mostrando di fidarsi di me a tal punto da concedermi di conoscere i suoi ricordi e i suoi sentimenti per la moglie e la figlia, argomento da sempre tabù.
- Si possono amare tante persone, io credo di aver amato tante donne e di essere stato quasi sempre sincero con loro, ma solo una è la persona della nostra vita quella che la rende perfetta. La mia era Shannon e non ce ne sarà un’altra. - La sua dichiarazione era piena di amore ed amara allo stesso tempo, aveva la consapevolezza dopo tutti questi anni, che mai nessuna persona gli avrebbe più fatto battere il cuore come sua moglie, perchè nonostante ne avesse avute molte, per lui sua moglie è sempre stata lei.
- Tu l’hai capito subito che lei era la persona che rendeva la tua vita perfetta?
- Sì, da subito. Che c’è Ziva? - Mi chiese vedendomi rabbuiata
- Io e Tony c’abbiamo messo anni a capirlo.
- Avete fatto finta di non capirlo, per tanto tempo. Quando io ho incontrato Shannon eravamo due ragazzini, ancora non contaminati dalla brutalità della vita. È stato più semplice lasciarsi andare seguendo solo il nostro cuore.
- Ti sei mai pentito di averla incontrata visto come sono andate le cose?
- No. Mai. Nemmeno un attimo. Tutti i ricordi, tutte le emozioni che mi ha dato quando siamo stati insieme sono le cose più belle che ho, che mi porto sempre dentro e sono sempre vivi nel mio cuore anche se sono passati tanti anni. Perchè me lo hai chiesto?
- Avevo fatto la stessa domanda a Tony dopo che mi era venuto a prendere in ospedale. 
- E…?
- Mi ha detto che si era pentito tante volte, tutte le volte che stava male perchè non ero con lui.
- Tony era ancora scosso per quanto accaduto nei giorni precedenti. - Mi strinse la mano come per incoraggiarmi
- Va tutto bene Gibbs, veramente. So quello che prova per me, quello che ha fatto vale più di tutte le parole. 

Rimanemmo un po’ in silenzio a bere le nostre birre, poi Gibbs mi disse una cosa che mi colpì nel profondo.
- Avrei voluto che mia figlia da grande ti assomigliasse: avrei voluto che avesse la tua forza, la tua lealtà ed il tuo cuore.
- È la cosa più bella che mi potevi dire. Mi dispiace se ti ho deluso e mi dispiace se lo farò ancora in futuro.
- Capita di deludere le persone. Nessuno è perfetto. Ma ognuno deve fare le proprie scelte ed i propri errori.
- Io ti devo tutto Gibbs. Quello che sono oggi lo devo tutto a te. Che mi hai dato fiducia e mi hai aiutato a crescere e a capire tanto di me. Se non era per te non avrei mai avuto quello che ho oggi e non sarei quella che sono. Sei e sarai sempre parte della mia famiglia. E per me sei come un padre. L’unico che si è mai comportato da padre con me.
- Grazie ragazza mia.
Ora ero veramente commossa e facevo fatica a trattenere le lacrime.
- Tempo fa non sarei mai riuscita a dirti tutto questo. 
- Nemmeno io. Adesso era il momento giusto.
Pensai a quello che aveva detto della figlia… Volevo trovare il modo per fargli capire quanto era importante per noi, senza però avere la pretesa di sostituire quello che non sarei mai stata.
- Gibbs, io so che non è la stessa cosa e non lo potrà mai essere, però io vorrei che tu facessi parte della vita di mio figlio. Perché so che anche lui avrà bisogno di una persona come te, come lo abbiamo anche io e Tony.
Mi diede un bacio sulla fronte e quella risposta valeva come mille parole.

 

NOTA: tenendomi con le date più o meno in base alla messa in onda americana, in questa storia siamo un po’ nel futuro, infatti più o meno per tutto il calendario delle feste, ho tenuto conto di quelle del 2016, quindi anche per l’età di Nathan. 
Come si dice in questi casi, ho messo un po’ di family con Tony e Ziva alle prese con lo shopping per il figlio. 
Ma la parte più importante per me è il confronto Ziva/Gibbs. Vi è piaciuto?

Ah il prossimo capitolo sarà quello che in parecchi mi avete chiesto da tempo: Tony incontrerà il figlio! I prossimi due saranno dedicati a questo argomento, non perdeteveli!

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** A New Day Has Come ***


…Where it was dark now there's light
Where there was pain now there's joy
Where there was weakness, I found my strength
All in the eyes of a boy …

 

ATTENZIONE: per comodità i dialoghi in ebraico con Nathan sono in corsivo per non starlo a ripetere tutte le volte e saranno così anche nei prossimi capitoli e leggibili solo quando la voce narrante sarà Ziva.

 

Entrai in camera e vidi Ziva che stava pregando. Rimasi sorpreso perché non l’avevo più vista pregare da quel giorno che eravamo in giro per Israele, prima di tornare a Washington. Si accorse della mia presenza e si fermò. Mi dispiaceva aver interrotto quel momento così personale. Non parlavamo mai di religione, al massimo dei suoi simboli, come avevamo appena fatto per il periodo delle feste, ma più per ricordare rituali che ci riportavano alla nostra infanzia che spinti da sentimento religioso. Però non potevo ignorare il fatto che per ogni israeliano la propria religione era qualcosa di più che si mescolava direttamente con la vita politica e con la propria esistenza e sopravvivenza stessa. 

- Scusa, non ti volevo disturbare, vado di là. - Le dissi appena alzò lo sguardo
- No, Tony non ti preoccupare. Vieni qua. - Ed accompagnò il suo invito con un gesto della mano.
Mi sedetti sul letto vicino a lei.
- Ti ricordi quando siamo andati al Muro a Gerusalemme e ti ho dato quel biglietto?
- Certo. Avrei sempre voluto chiederti cosa c’era scritto, ma aspettavo che me lo dicessi tu.
Come potevo dimenticare quel giorno, era stato il nostro primo vero giorno insieme, da soli, io e lei nel suo mondo nel quale mi faceva entrare consapevolmente per la prima volta.
- Di riunire la nostra famiglia. Io, te e nostro figlio. Per questo ho voluto che lo facessi anche tu, anche se so che per te non aveva alcun valore.
- No, no per me è stato importante, molto importante. - Avevo l’urgenza di farle capire che era stato importante anche per me - Perché abbiamo condiviso questa cosa insieme. Ed ora che so il motivo ha ancora più valore.
- Tra pochi giorni accadrà e io non so come sentirmi. Ho paura di come possa reagire Nathan, magari ce l’ha con me, non vorrà nemmeno vedermi.
- Ma se hai detto che al telefono ti pregava di andarlo a prendere presto! Dai Ziva stai tranquilla: è tuo figlio, sei la sua mamma. - Le asciugai una lacrima
- Fino a che non sarete qui non sarò tranquilla. Ormai non mi fido più.
- Fidati di me e di Gibbs. Non torneremo senza di lui, te lo giuro. Dovresti averlo capito David che io non torno più da Israele senza aver ripreso le persone che amo. Non lo faccio più questo errore. - Le strappai un sorriso e vederla sorridere era sempre bellissimo.

Sarei partito il pomeriggio seguente insieme a Gibbs. Vance aveva fatto in modo che avessimo un aereo privato vista la complessità della situazione. Ci aveva rinfacciato che adesso era in debito di molti favori con tanta gente, ma che ne valeva la pena. Saremmo rimasti a Tel Aviv solo per il tempo necessario di prendere Nathan e saremmo ripartiti subito. Non avevo per niente voglia di fermarmi più a lungo lì, ogni volta che c’ero andato era sempre stato per qualcosa di forte: la morte di Rivkin e Ziva che rientra nel Mossad, il nostro addio di 3 anni prima il giorno più devastante della mia vita, il mio rapimento che almeno mi ha permesso di ritrovarla. Ed ora dopo essermi andato a riprendere sua madre, mi sarei andato a riprendere anche mio figlio, per chiudere i conti con quel paese una volta per tutte.

Non riuscii a chiudere occhio quella notte. Il pensiero di vedere mio figlio per la prima volta riempiva ogni angolo della mia testa. Le preoccupazioni che aveva Ziva, nella mia mente erano amplificate all’ennesima potenza. Ok, lui sapeva che io esistevo, sapeva di avere un papà da qualche parte nel mondo, però non mi aveva mai visto, non sapeva chi ero. Se non mi avesse voluto? Se non avesse voluto saperne niente di me? Se si fosse messo a piangere quando lo avrei preso in braccio? In fondo per lui ero un perfetto estraneo e anche lui lo era per me, non sapevo quasi niente di lui, avevo fatto mille domande a Ziva, ma mi sembravano sempre poche per sapere qualcosa di lui. Come gli piaceva essere tenuto in braccio? Come preferiva dormire? Come ci avrei parlato in tutte quelle ore in aereo? E se non avesse voluto stare con me?

Mi giravo e rigiravo nel letto. Ziva era ferma immobile invece, ma aveva gli occhi aperti fissi a guardare il soffitto, come faceva ogni volta che era preoccupata e non dormiva.
- Occhioni belli, cosa c’è?
- Dimmelo tu, che non hai smesso un attimo di agitarti.
- Sono nervoso ed ho centomila dubbi.
- Fai quello che ti viene istintivo e non sbaglierai. Nessuno ci insegna ad essere genitori.
- Tu come hai fatto?
- Così, ho seguito il mio istinto. E tu agente Di Nozzo, hai un istinto eccezionale.
- Vieni qua, agente David, lasciati coccolare un po’…
Nessuno di noi dormì quella notte così carica di aspettative e paure per i giorni seguenti, ma eravamo insieme, consapevoli in quel momento, che finalmente la nostra famiglia sarebbe stata al completo, che quei giorni di angosce e menzogne stavano per finire. Consapevoli che eravamo insieme.

Avevamo appuntamento con Gibbs alle 13:00 in aeroporto. La partenza era fissata un’ora dopo e se non avevo fatto male i calcoli, saremmo arrivati a Tel Aviv la mattina dopo circa alle 07:00, ora locale.
La mattina venne McGee a casa nostra, la sua visita era inaspettata ma molto gradita.
- Ciao Tony, Ziva… Ecco, io e Abby abbiamo pensato ad una cosa per voi, per facilitare un po’ le cose quando Tony incontrerà Nathan.
Ci diede due scatole, ognuna conteneva un tablet.
- Ecco, li abbiamo collegati tra loro ed entrambi hanno un collegamento satellitare che abbiamo fatto sfruttando dei codici di accesso dell’NCIS, non se ne accorgerà nessuno… Abbiamo creato un’applicazione che vi permetterà di rimanere in contatto come se fosse una videochiamata, ma con una definizione migliore e con molto meno ritardo nel collegamento.
- Grazie Tim, è un bel pensiero - disse Ziva
- Ehy sì amico, grazie è fantastico!
- Così Ziva, puoi comunicare subito con lui quando sarà con Tony, magari anche per vostro figlio sarà più facile se la mamma gli spiegherà quello che sta succedendo. E poi magari non ci avete pensato, ma potresti registrare sul tablet di Tony dei videomessaggi, così li potrà vedere in aereo e stare più tranquillo, nel caso ci siano problemi di collegamento durante il volo.
- Hai pensato proprio a tutto Pivello, grandioso!
- Tim, ringrazia anche Abby, veramente, è una cosa molto bella. - Disse Ziva veramente colpita dal quel pensiero.
- Beh, l’idea è stata sua, io ho dato una mano per realizzarla e consegnarla. Ora vi lascio, così potrete finire di prepararvi e pensare a cosa registrare per lui. Ehy Tony…
- Dimmi Pivello.
- Mi raccomando, questa missione la devi portare a termine con successo. Facciamo tutti il tifo per te.
- Grazie Tim. Non ci saranno intoppi, vedrai. - Io e McGee ci punzecchiavamo sempre molto, a dire il vero più io che lo facevo con lui che assorbiva bene i miei colpi, qualche volta anche bassi, ma sapevo che era un vero amico, di quelli che puoi chiamare anche in piena notte se hai bisogno e non si tirano indietro, che sanno stare in silenzio ad ascoltarti se ne hai bisogno, senza imporre la propria presenza. Non ce lo dicevamo, ma ci volevamo bene e lo sapevamo.

Ziva insistette per accompagnarmi in aeroporto. Controllammo due volte che avevo preso tutto, i vestiti di ricambio per Nathan, visto che qui faceva molto più freddo, un po’ di tutto quello che secondo lei mi poteva servire in caso di necessità, dimenticandosi che metà dei quelle cose io non sapevo nemmeno a cosa servissero, il mio regalo che nemmeno a dirlo era un dinosauro e naturalmente il tablet.
- Non hai preso nulla per te?
- Non ho intenzione di fermarmi a Tel Aviv molto tempo David - le dissi sulla pista mentre stavo per partire.
- Siamo dall’altra parte del mondo, stai per fare il viaggio inverso, tornerai tra pochi giorni con nostro figlio, ma salutarti così, su questa pista in aeroporto… mi fa venire in mente solo brutti ricordi. 
- Fai come me, non ci pensare. - Mentii spudoratamente, pensavo a quel momento da quando avevamo messo piede su quella pista e vedevo le scalette dell’aereo -  Ed ora vai, se no non trovo nemmeno il coraggio di salire su quell’aereo se ti vedo qui. Tieni acceso il tablet, così ci vediamo appena posso. - Le diedi un bacio che doveva essere solo un saluto, diventò più come se fosse questione di vita o di morte - Già mi manchi David… 
Salii di corsa in aereo senza guardarmi indietro. Quella scena era ancora un macigno, l’avevo rivissuta mille volte e dentro di me da quel giorno era nato un odio per gli aeroporti, gli aerei e le scalette degli aerei. Un odio immenso. 
Avrei voluto condividere con lei ogni singolo istante di quello che stava per accadere, avrei voluto che leggesse sul mio viso ogni singola emozione e avrei voluto vedere le sue. Non sarei mai voluto partire senza di lei, ma soprattutto volevo che potesse riabbracciare nostro figlio il prima possibile. 
Gibbs era già dentro seduto a leggere un libro. Mi scrutò mentre salivo alzando appena lo sguardo dalla pagina.
- Odio i saluti in aeroporto Capo. - Mi giustificai
- Lo so DiNozzo. Anche io.

Il volo era piuttosto lungo e purtroppo non potevo tenere acceso il collegamento satellitare per parlare con Ziva
Stare fermo svariate ore in aereo non era la mia attività preferita, soprattutto quando smaniavo per arrivare.

- Che c’è DiNozzo? - Mi chiese Gibbs sentendo il mio ennesimo sbuffo
- Sono nervoso Gibbs
- E’ normale
- Ho paura di non essere in grado di fare il padre. Non so che fare, ho il terrore di sbagliare qualsiasi cosa.
- Lo penserai sempre Pivello, ogni giorno. Ogni decisione che prenderai avrai paura che non sarà quella giusta. - Fece un segno sulla pagina che stava leggendo e chiuse il libro sul tavolino davanti a se.
- Grazie Capo, tu sì che sai sempre dire una parola giusta per tirare su di morale gli altri. - Gli risposi sarcastico
- Non voglio prenderti in giro con frasi di circostanza Tony.
- Lo so Gibbs, lo apprezzo.
- Sarai un buon padre Tony.
- Lo pensi veramente? - Chiesi sorpreso
- Certo.
Riprese a leggere il suo libro, io invece ero sempre smanioso su questa poltrona. Avrei voluto parlare con Ziva, sapere che stava facendo, sentirla mi avrebbe sicuramente calmato. Guardai l’orologio eravamo a metà del viaggio. 
- Gibbs…
- Dimmi DiNozzo - mi rispose esasperato dalla mia insofferenza
- Ecco, io pensavo… che vorrei essere un padre come te. Io non ho avuto con Senior un gran punto di riferimento, quindi dovendomi ispirare a qualcuno, mi ispiro a te. Però un po’ più affettuoso. Anzi, molto di più.
Sorrise e non mi rispose, ma sapevo che non l’avrebbe fatto. Tornò ancora sul suo libro e dopo qualche istante mi chiamò
- Di Nozzo!
- Dimmi Capo.
- Rilassati un po’, se no ti butto giù dall’aereo.
- Certo Capo.

Chiusi gli occhi e pensai a come ero arrivato ad essere lì, in quel momento.
Rividi gli ultimi anni della mia vita scorrere uno dietro l’altro, da quando quella ragazzina israeliana così impunita era entrata la prima volta all’NCIS fino al bacio che ci eravamo scambiati prima di partire.
Le scene scorrevano nelle mia mente come in un film. Pensavo a quante volte avrei potuto dichiararmi e non l’avevo mai fatto, ai nostri battibecchi, a tutte le volte che la riprendevo perché sbagliava tutti i modi di dire, agli scherzi, alle missioni che avevamo fatto insieme, alle nostre risate sul lavoro e quando ci vedevamo fuori per una pizza a casa sua o a bere qualcosa. Ripensai a Parigi, a Berlino, a Los Angeles, a Tel Aviv, a Beer Sheva, in Somalia. Le avevo detto che non potevo vivere senza di lei e non mi aveva nemmeno preso sul serio. Ripensai a quella notte che non lo sapevo allora ma avrebbe cambiato per sempre le nostre vite, quella notte che avrei voluto non finisse mai, quando avrei voluto trattenere il tempo all’infinito. 
Una sola notte che è diventato il sogno di tutta la mia vita, quando avevo conosciuto l’amore più intenso ed dolore più forte per la consapevolezza che lo avevo già perso, prima ancora di rendermi conto di averlo trovato.  
Ripensai al vuoto di quei 3 anni senza avere sue notizie, a come mi sentivo morto dentro, a quanto era difficile fare finta che tutto fosse normale, a quanto mi mancava e dover fare come se nulla fosse ed andare avanti negandolo anche a me stesso. Ripensai a pochi mesi fa, quando mentre tagliava i fili della cintura esplosiva mi baciava, alla paura di vederla a terra a casa di Roy Dunn, alle litigate e alle urla in ospedale, a quando mi aveva detto che avevamo un figlio, a quando mi aveva detto sì. Avevamo vissuto talmente tanto da riempire tre vite eppure alla fine stavamo realmente insieme solo da qualche mese ma era quello che avrei voluto da anni.

Accesi il tablet e guardai i video che aveva fatto per Nathan. Non sapevo cosa diceva, mi aveva detto che erano una ninna nanna ed la sua storia preferita. Tolsi l’audio, mi bastava guardarla. Avrebbero dovuto tranquillizzare lui, tranquillizzarono me.

Atterrammo in perfetto orario. Lasciai a bordo la borsa con i cambi di Nathan, tanto non mi sarebbe servita a terra. Presi solo il mio zaino ed il suo regalo.
Ah l’aria di Tel Aviv… non mi era mancata per niente. Non faceva freddo per essere una mattina presto di gennaio, i miei brividi nello scendere a terra, non dipendevano di certo dal clima, visto a che a Washington avevamo la neve ai lati delle strade in quei giorni.
Fosse stato per me, sarei voluto scendere dall’aereo, prendere mio figlio sulla pista, salire e ripartire immediatamente, senza stare un minuto di più, senza uscire dall’aeroporto, ma le cose non andarono proprio così. Perchè mai una volta che ho messo piede in quel paese le cose sono andate come mi aspettavo che andassero.

- Agente Gibbs, Agente DiNozzo...
- Noah... - Lo salutò Gibbs sicuramente più diplomatico di me
- Dov'è mio figlio? - Chiesi subito
- A giudicare dall'orario direi che sta ancora dormendo. - Rispose lui calmo guardando l’orologio
- Voglio andare da lui, prenderlo e tornare indietro il più velocemente possibile. - Precisai 
- Temo che questo non sarà possibile, almeno non nei tempi che tu ti aspetti Tony. Il vostro volo di rientro è programmato per domani pomeriggio, quindi abbiamo tutto il tempo a disposizione per fare le cose con calma.
- Non mi interessa fare le cose con calma. Il volo lo possiamo schedulare per oggi pomeriggio, è un tempo più che sufficiente per fare tutto.
- Tony, ti devo ricordare dove sei e che qui la tua autorità conta zero?
- Pivello calmati. - mi disse Gibbs mettendomi una mano sulla spalla - dove andiamo ora Noah?
- A prendere un caffè, che ne dici Gibbs?

Andammo realmente a prendere un caffè. Noah ci spiegò che aveva già detto a Nathan che sarebbe venuto via con noi per andare dalla mamma ed era stato subito molto felice, ma su questo non avevo dubbi, solo Ziva poteva pensare che suo figlio non volesse rivederla. Dovevo fidarmi ed affidarmi a quell'uomo non avevo alternativa. 
Mi allontanai un attimo dal cafè per chiamare Ziva. A Washington era notte fonda ma ero certo che non stava dormendo

- Ciao occhioni belli
- Tony! Siete arrivati? Hai visto Nathan?
- No Ziva. Siamo con Noah a prendere un caffè
- Che vuol dire Tony?
- Non lo so, volevo chiederlo a te.
- Che ti ha detto? 
- Ha già avvisato nostro figlio che saremmo venuti a prenderlo per portarlo da te. Però prima di domani pomeriggio non possiamo partire. Saremo a Washington domani in tarda serata per te.
- Speravo prima... - sospirò
- Anche io, ma ci siamo quasi. - Tenni per me il mio disappunto, non volevo contagiarla, anzi.
- Tony chiamami in qualsiasi momento quando vedi Nathan capito?
- Non ti preoccupare, lo farò. Ti amo Ziva.
- Anche io ti amo.

Tornai al tavolo
- Immagino che Ziva sia impaziente di vedere di nuovo suo figlio - Disse Noah sorseggiando il suo caffè
- Non ci vuole molta immaginazione per questo - risposi sarcastico
- Ti sento nervoso Tony.
- Non dovrei esserlo? Voglio solo prendere mio figlio e riportarlo da sua madre.
- Non essere precipitoso. Dobbiamo farlo abituare all'idea di partire con degli sconosciuti, non vorrei si traumatizzasse
Scoppiai in una risata isterica
- Mi fa piacere che ti preoccupi per lui e non lo vuoi traumatizzare. Infatti immagino che quando lo avete tolto da sua madre lo avete abituato all'idea di non vederla per mesi, vero? 
- Era con tutte persone che già conosceva
- Ma non era con la madre! - Urlai
- Tony abbassa la voce! - mi intimò Noah
- Non. Era. Con. Sua. Madre. - Ripetei a bassa voce scandendo ogni parola ed ognuna era come un macigno. Strinsi i pugni sul tavolo fino a farmi male.
- Direi che il tempo del caffè è finito. - intervenne Gibbs - è ora di andare a conoscere questo bambino. E lo faremo adesso Noah. Non mi importa di chi ha l’autorità qui. - La sua voce era calma e tagliente.
- Ok, ok... Andiamo. - Gibbs se ne fregava che eravamo in Israele e Noah era del Mossad, evidentemente anche qualcuno molto vicino ad Orli Elbaz. Non si era fatto problemi a sfidare anche Eli David per Ziva, figuriamoci lui.

In macchina mandai un sms a Ziva avvisandola che stavamo andando da Nathan e che avrei attivato la telecamera del tablet così da farle vedere tutta la scena e quello che accadeva e così feci appena scesi dall'auto.

Era una grande villetta bianca a due piani. Assomigliava a quella dove eravamo ad ottobre, ma molto più nuova.
Ci venne ad aprire una ragazza che avrà avuto più o meno l'età di Ziva.

- Piacere Tamar - ci disse in un inglese più che buono, porgendoci la mano ma nè io nè Gibbs la prendemmo limitandoci a salutare. - Nathan si è svegliato da poco lo devo ancora vestire. Prego entrate, aspettatemi qui. 

Gibbs e Noah si sedettero. Io rimasi in piedi girando per la stanza per far vedere il più possibile dell'ambiente a Ziva.
- Tony mi raccomando adesso lascia parlare noi con Nathan. Gli spiegheremo chi siete. - Mi disse Noah mentre mi spazientivo nell’attesa.
- Ho un tablet con un collegamento con Ziva. Preferirei che parlasse lei con suo figlio, sicuramente vedere e parlare con la mamma anche se tramite un video sarà meglio per lui. 
- Pensi già di sapere cosa sia meglio per il figlio di Ziva che nemmeno conosci? - La sua risposta mi colpì come un colpo da KO e non riuscii a replicare, nonostante volessi insultarlo in un milione di modi.
- E’ anche suo figlio - Disse Gibbs glaciale - Tu hai figli Noah?
- No. - Rispose l’israeliano
- E allora non sai cosa vuol dire. - Le parole di Gibbs non erano una risposta, erano una sentenza alla quale l’uomo non osò replicare ancora.

 

--- --- --- --- --- --- 

 

Vedevo esattamente tutta la scena. Vedere Tamar scendere le scale con Nathan in braccio era un colpo al cuore. Vederlo così in braccio a lei mi faceva capire quanto fosse cresciuto in pochi mesi, sicuramente se fosse stato con me non mi sarei accorta di quanto cambiava in così poco tempo.
Tony era immobile, l'immagine era fissa. Avrei dato qualsiasi cosa per essere lì ora, per prendere nostro figlio e metterlo nelle braccia di suo padre per la prima volta e guardare lo stupore e l'amore nei suoi occhi identici a quelli del figlio.

- Eccoci qui - disse Tamar - lui è Nathan
- Beh Tony non hai nulla da dire? - era la voce di Noah, anche se non inquadrato la riconoscevo
Tony teneva l'inquadratura dritta davanti a se, probabilmente teneva il tablet sottobraccio appoggiato al suo petto.
- Beh... È... È bellissimo. - Tony balbettava. Avrei tanto voluto vedere i suoi occhi spalancati, stupiti e pieni di gioia nel vedere la prima volta suo figlio, lì davanti a lui.

- Nathan questi due signori sono due amici della mamma, domani ti porteranno da lei - Tamar parlava a mio figlio con tono amorevole. Questo mi rassicurava perchè sapevo che lei non gli avrebbe mai fatto del male, ma vederla accudire così mio figlio, accarezzagli la fronte e spostargli i capelli, quel gesto che facevo sempre, mi provocò un moto irrazionale di gelosia e aumentò, se possibile, ancora il desiderio di averlo con me, subito.
- Voglio la mamma! - disse Nathan e sentirlo era un'esplosione di sentimenti
- Cosa gli hai detto? - chiese Tony a Tamar
- Che siete amici della madre e domani lo porterete da lei.
- Io non sono proprio un amico
- Non mi sembra il caso di dirglielo ora
- Non sei tu a decidere. Vorrei che lo facessi parlare con sua madre. Deciderà lei cosa dirgli. - Tony girò il tablet, cambiò l'impostazione della telecamera ed alzò il volume. 
- Mamma! - Nathan indicò lo schermo Ora sapevo che mi poteva vedere e mi riconosceva. Mi sentii improvvisamente sollevata, avevo il terrore che in questi mesi potesse in qualche modo avermi dimenticato. Tamar prese il tablet dalle mani di Tony  e si sedette su una delle poltrone. La vedevo con mio figlio in braccio. Provò a parlarmi ma la bloccai subito. Non volevo parlare con lei, non mi interessava volevo solo parlare con mio figlio che passava la sua manina sullo schermo quando vedeva il mio viso. - Mamma! - mi chiamò di nuovo. Cercai di non piangere per non farmi vedere triste da lui.
- Nathan, amore mio. Domani saremo insieme sei contento?
- Perché non sei qui?
- Non potevo venire amore. Però ho mandato queste due persone a cui voglio tanto bene. Tu devi andare con loro e loro ti porteranno da me.
- Io voglio te mamma
- Domani saremo insieme e non ti lascio più piccolo. Tony, sei sempre lì davanti a lui?
- Sì Ziva.
- Nathan, lo vedi quel signore davanti a te? Sai chi è quello? È il tuo papà.
- Papà?
- Sì piccolo, è il tuo papà che è tornato per prenderti e portarti da me. Devi stare con lui, capito Nathan?
- Sì.
- Bravo piccolo mio. Ti voglio tanto bene. Tanto così! . Gli dissi spalancando le braccia e lui fece lo stesso. Chiusi la conversazione anche se sarei stata lì a parlare con lui per sempre. Avevo bisogno di rifiatare un attimo, le emozioni stavano avendo il sopravvento.

 

--- --- --- --- --- --- 

Non sapevo cosa Ziva e Nathan si fossero detti. Avevo capito solo una parola "Abba" perchè non dimenticherò mai l'urlo di Ziva quando aveva visto suo padre morto. Era stato l'inizio della nostra fine. Ora però quella parola detta con stupore da quel bambino, con gli occhi uguali ai miei e tutto il resto identico a Ziva, aveva tutto un altro senso. Il senso del mio mondo.

- Gli ha detto che sei suo padre - mi disse Tamar
- Sì questa è l'unica cosa che ho capito.
- Sei mio papà? Abba? - Mi disse Nathan con un buffo accento, ma il mio cuore in quel momento si fermò o almeno così mi sembrava.
- Sì sono il tuo papà
- E i cattivi?
- Non ci sono più 

Allungai le braccia per prenderlo e Tamar me lo porse. Non sapevo bene come tenerlo, la cosa che mi venne più naturale fu appoggiarlo sulla mia spalla e stringerlo sul mio petto. Era più grande di quanto pensassi, mi sembrava più grande anche di quanto avevo letto fossero le medie per la sua età. 

- Ti voglio bene piccolo mio - gli sussurrai mentre lo stringevo, sperando che lo capisse
- Abba?
- Sì Nathan sono il tuo papà.

Quel primo contatto con mio figlio durò troppo poco. Tamar lo riprese senza nemmeno dirmi nulla e io colto alla sprovvista glielo lasciai. Disse che doveva farlo mangiare e non obiettai. Lo guardai mangiare, giocare con le costruzioni, rincorrere la palla, guardare la tv, mangiare ancora. Lo guardavo fare tutte quelle cose normali che per me erano straordinarie solo perché le faceva lui.

Ero stordito. Non sapevo cosa aspettarmi quando lo avrei visto, cosa avrei provato, pensavo di poter descrivere un’emozione, invece non era così, perché erano tante emozioni insieme che si alternavano. Amore, gioia, stupore, paura. Ero intimidito dal quel piccolo ometto che mi guardava interrogativo, curioso, amorevole. Lui mi studiava, io lo studiavo. Ogni tanto mentre giocava si girava a guardarmi e mi fissava qualche secondo. Io come un idiota gli sorridevo e lo salutavo. Chissà cosa pensava di questo sconosciuto con la faccia imbambolata che seguiva ogni sua mossa. Parlò ancora una volta con Ziva con il tablet ed era dolcissimo vedere come con le manine andava a cercare il suo viso sullo schermo. Pensai a quanto le doveva essere mancata in tutto quel tempo. Io ero dietro di lui e potevo vedere anche lei come lo guardava con gli occhi carichi d’amore e mi si strinse il cuore ripensando a cosa le avevo detto quando avevo scoperto di avere un figlio.

Quando si addormentò nel pomeriggio rimasi per un po’ a guardarlo dormire. C’era una cosa però che avrei voluto fare, ma non potevo farla da solo.
Nella sala da pranzo di Tamar, Gibbs e Noah stavano bevendo un altro caffè.
- Tutto bene Tony?
- Credo di sì capo… Noah, vorrei chiederti un favore.
Mi guardò stupito credo sia dalla mia richiesta che dal tono molto più conciliante della mattina.
- Se posso…
- Vorrei vedere la casa dove Ziva viveva con Nathan.
Gibbs mi guardò perplesso, Noah meno.
- Glielo hai chiesto? - Mi chiese l’israeliano
- No.
Rimase un attimo a pensare, poi mi disse che andava bene.
- Perchè lo vuoi fare? - Mi chiese Gibbs
- Non lo so, per curiosità, per capire qualcosa in più…

Il capo rimase lì, io e Noah uscimmo. Mi sorpresi a quando mi disse che la sua casa era lì vicino, a qualche decina di metri. Solo un’altra abitazione divideva la casa di Ziva a quella di Tamar. L’aspetto esteriore era simile, ma la casa era molto più piccola, ad un solo piano. Mi aprì la porta ed entrai da solo. Guardai tutto intorno, c’erano molte cornici senza le foto, lì ci dovevano essere quelle che aveva portato via. Sul muro c’era una tela con un’ingrandimento di una foto con due mani, era quella di Ziva, la riconobbi subito, che teneva la mano di Nathan. La tolsi dal muro, volevo portarla con me. Sul tavolo al centro della stanza c’era ancora una pila di fogli un computer ormai spento e tanti fogli con appunti: le sue traduzioni. Sorrisi pensandola lì seduta a tradurre testi, era un’immagine così diversa da quella che avevo di lei. Sul divano c’erano sparsi dei giochi e guardando bene, tracce di Nathan erano un po’ ovunque. Nella piccola cucina c’erano ancora alcuni pacchi i suoi biscotti, andai in quella che era la sua cameretta, era piccola, molto più piccola di quella che avevamo arredato a Washington, ma si sentiva tutto l’amore che Ziva aveva messo per prepararla. Mi fermai a pensare quanto doveva essere stato difficile per lei organizzarsi con un bambino in arrivo, dovendo fare tutto da sola, sola con il suo immenso orgoglio e la sua testardaggine. Provavo ad immaginarmela a scegliere i mobili, i vestiti, a leggere sicuramente ogni libro che aveva trovato sulla gravidanza e sui neonati perchè lei non lasciava nulla al caso, chissà se aveva fatto lo stesso anche in questo caso. Me la immaginavo lì che lo cullava e lo guardava dormire appoggiata alle sbarre del lettino e mi ritrovai io stesso in quella posizione a guardare il letto vuoto ancora con le lenzuola arrotolate ed i peluche dentro. Ne presi uno e c’era ancora il suo profumo, quel profumo di bimbo che mi aveva inebriato quando lo avevo preso in braccio. C’erano sui muri dei poster di dinosauri e di calcio, una sciarpa e una maglia blu e rossa erano appoggiate su una sedia. Un pallone in un angolo degli stessi colori. Nell’armadio c’erano pochi vestiti tutti estivi, pensai che la maggior parte li avessero presi loro per questo periodo. Presi la sciarpa e la maglia, volevo metterle nella sua nuova camera, pensai che ritrovare qualcosa di casa sua gli sarebbe piaciuto. Il peluche, un piccolo elefantino azzurro, lo tenni per me.
C’era un ultima stanza, mi fermai davanti alla porta, non sapevo se entrare o no: lo feci. Anche qui delle cornici senza foto, una sul comodino alcune sul comò. Altri giocattoli lasciati sul letto ancora sfatto. Mi sedetti e presi il cuscino e lo strinsi: era quello di Ziva, profumava ancora di lei, nonostante fossero passati mesi. Rimasi qualche minuto seduto con il cuscino tra le braccia ad inspirare profondamente fino a calmare il turbinio di emozioni della giornata.
Nel cassetto del comodino aperto c’era un libro lo presi istintivamente e lo aprii ad una pagina segnata con una foto. C’era una frase sottolineata “Più è difficile avere una cosa, più la si ama”. Girai la foto ed una foto nostra di molti anni prima, forse una delle prime che avevamo fatto insieme. Lo misi insieme alle altre cose ed uscii velocemente da quella casa.

- Hai fatto spesa agente Di Nozzo?
- Ho preso delle cose che a Ziva penso faccia piacere avere.

Tornai a casa di Tamar e Nathan si era svegliato, mi stupì trovarlo a giocare con Gibbs.
- Capo credo che gli piaci! - Gli dissi ridendo
- Tu credi Pivello?
Nathan rise.

Gli diedi il dinosauro che gli avevo comprato, lo studiò ben bene, guardandolo da ogni prospettiva, sentendo i denti e tutte le squame. Presi un dinosauro dei suoi e giocai con lui. Era tutto così strano e naturale.
Prima di andare a dormire volle parlare ancora con la madre e fui felice di accontentarlo. Cambiava completamente espressione quando la vedeva ed era una gioia vedere l’amore nei loro occhi mi faceva innamorare ancora di più di entrambi. 
Tamar lo mise nel lettino in quella che negli ultimi tempi doveva essere stata la sua camera, una stanza molto impersonale a dire il vero, con solo qualche gioco sparso sul pavimento, un lettino e un mucchio di vestiti buttati su una sedia. Aspettò con lui fino a quando non si fu addormentato, quindi mi invitò ad uscire, ma obiettai rimanendo in contemplazione di mio figlio che dormiva ancora per un po’.

 

NOTE: Ecco, ci siamo. Quello che mi avete chiesto da quando avete saputo della sua esistenza è arrivato. Il capitolo dell’incontro tra padre e figlio :) Ve lo immaginavate così o qualcosa di diverso? 
Per le interazioni di un bambino di quell’età, anche pensando al fatto che deve poi parlare più lingue, mi sono basato sul figlio di una mia amica che da prima che avesse 3 anni parlava sia arabo che inglese (e l’inglese lo parlava anche meglio di me, sigh!), quindi mi sono un po’ ispirata a lui :)

Se l’incontro Tony / Nathan vi ha emozionato, aspettate a vedere quello con Ziva e di conoscere la “mia” Ziva-Mamma, sperando di non andare troppo OOC :D
Vi è piaciuta la scena di Gibbs e Tony sull’aereo? E Tony che vuole andare a vedere la casa dove viveva Ziva e trova una loro foto è abbastanza romantico?

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** I Don't Want To Miss a Thing ***


... I could stay awake just to hear you breathing
Watch you smile while you are sleeping    
While you're far away dreaming
I could spend my life in this sweet surrender      
I could stay lost in this moment forever     
Every moment spent with you is a moment I treasure ...

 

Noah ci disse che quella sera saremmo rimasti a dormire lì a casa di Tamar. Aveva preparato una stanza per me e Gibbs. La presenza del mio capo era stata molto discreta ma forte. Sapere che era lì mi aiutava ad essere più tranquillo, e se c’era qualcuno di cui fidarmi totalmente, qualunque cosa fosse accaduta lì, era lui. A Gibbs e Ziva avrei potuto affidare ciecamente la mia vita, senza il minimo dubbio.

Uscii dalla casa e mi misi seduto sulle scalette fuori dalla porta. L’aria frizzante della notte israeliana mi teneva sveglio, ero stanchissimo ma non volevo dormire. Avrei voluto parlare con Ziva, ma non c’era un posto abbastanza intimo per farlo e non volevo che qualcuno ci ascoltasse. La chiamai al telefono solo per dirle che andava tutto bene e darle appuntamento al giorno dopo. Avrei voluto averla vicino per condividere tutte quelle emozioni così totalizzanti. Pensavo a Tamar ed al suo strano rapporto con Nathan, oggi mi era parsa quasi gelosa nel darmi mio figlio, nel vederlo parlare con la madre. Sicuramente voleva bene al bambino e non gli aveva fatto mancare nulla in questo periodo e lui con lei era tranquillo. 

Il mio ometto dormiva al piano di sopra in quella casa, da qui seduto vedevo la finestra della sua camera con la luce soffusa. La mia vita sarebbe cambiata definitivamente o forse già lo era. Quel piccolo uomo avrebbe catalizzato sempre le mie attenzioni, sarebbe diventato il centro delle mie decisioni. C’era una vita che dipendeva da me, una persona a cui avrei dovuto sempre rendere conto delle mie azioni. Solo fino a qualche mese fa l’idea di avere un figlio mi avrebbe soffocato, ogni volta che Michelle ne parlava ero categorico sul non volere complicazioni. Ecco sì, un figlio era solo una complicazione. Invece ora quell’ometto era la cosa più bella del mondo: era mio figlio, era nostro figlio, mio e di Ziva e per questo la cosa non mi spaventava. Ora capivo cosa voleva dire quando aveva pensato ogni giorno a quella notte. Nella mia mente tutte quelle sensazioni si riaffacciarono prepotentemente: amore, passione, speranza, delusione, tristezza. Lui era il frutto di quella notte e non poteva esserci cosa più bella.

Una mano amica sulla spalla mi destò dai miei pensieri.
- Come va Tony?
- Pensieroso Gibbs… 
- L’hai sentita?
- Sì, prima. Non vede l’ora che torniamo.
- Come tutti. E’ meglio che dormi qualche ora, se no domani spaventerai tuo figlio con quella faccia.
Andai in camera e nel tornare sentii chiaramente Tamar piangere nella sua. Dormire non fu facile.

- Agente Di Nozzo, Agente Gibbs… credo che sia il momento dei saluti. - Noah teneva Nathan per mano sulla pista dell’aeroporto
- Credo di sì - gli risposi
Parlò un po’ al piccolo, gli diede un bacio sulla fronte e poi lo invitò a venire da me. Un po’ esitante e guardandosi più volte indietro percorse quei due metri scarsi che ci separavano. Lo presi per mano e mi guardava come se volesse capire qualcosa in più di me.
- Ho già fatto caricare una valigia dove ci sono le sue cose, dei vestiti e i suoi giocattoli preferiti.
- Grazie.
- Shalom Tony, Gibbs.
- Shalom Noah - lo salutò Gibbs

Presi in braccio mio figlio e salii le scalette dell’aereo. Lui guardava allontanarsi quell’uomo che conosceva e al quale era affezionato ma che non sapeva essere stato quello che lo aveva allontanato dalla sua mamma.

Prima di partire diedi a Nathan il tablet e contattai Ziva.

--- --- --- --- --- 

Sentii il tablet vibrare. Guardai l’orologio era mattina presto. Accettai la chiamata e vidi i miei due uomini seduti in aereo, Nathan in braccio a Tony.
- Mamma!
- Ciao piccolo tra poco ci vediamo, sei contento?
-
- Adesso fai il bravo con il tuo papà
- Lui è papà?
- Sì Nathan lui è il tuo papà.
- Quando vieni mamma?
- Tra poco.
- Poi mi racconti una storia?
- Tutte quelle che vuoi. - Poi parlai con Tony che osservava le nostre conversazioni imbambolato - Come va?
- Va tutto bene David, non vedo l’ora di essere da te.
- Anche io non vedo l’ora che arrivate.
- Anche io non vedo l’ora che arriviamo, Ziva! - Era la voce di Gibbs che non vedevo ma sentiva tutto.
- Salutami Gibbs, ci vediamo in aeroporto.
- Voliamo da te! - Tony mi sorrise mandandomi un bacio, io feci lo stesso e Nathan ci imitò.

Chiuse la comunicazione e quando li avrei rivisti sarebbero stati qui. Le ore di quel volo sarebbero state le più lunghe della mia vita. Andai nella camera che avevamo preparato per lui e mi misi seduta sulla poltrona vicino a quello che sarebbe stato il suo letto. Quella notte avrebbe dormito lì e non mi sembrava vero.

--- --- --- --- --- 

- Ehy piccolo sveglia… Siamo quasi arrivati dalla mamma!
Continuavo a parlargli convinto che lui avrebbe capito tutto quello che stavo dicendo. Si tirò su, si stropicciò gli occhi aveva la faccia assonnata ed i capelli arruffati. Gli passai un paio di volte le mani tra i capelli cercando di sistemarglieli ma era una missione impossibile, almeno per me.
- Nathan, andiamo dalla mamma, ok? Capito?
Mi fece di sì con la testa
- Bravo ometto, ora però diamoci una sistemata, ok?
Mancava poco meno di mezz’ora all’atterraggio presi la borsa che Ziva mi aveva preparato e andai in bagno per fargli fare la pipì e cambiarlo: la temperatura a Tel Aviv era molto più alta rispetto a quella di Washington.

Ero impacciato, non sapevo cosa fare, lui forse se ne accorgeva perché rideva, o forse perché gli facevo il solletico, non lo so. Mi avevano spiegato tutto per filo e per segno delle sue abitudini. Era la mia prima esperienza con un bambino e mi sembrava tutto difficilissimo. Per alcune cose mi sembrava già autonomo nonostante fosse così piccolo, per altre invece non sapevo dove mettere le mani. Mi avevano spiegato sia Ziva che i suoi “amici” a Tel Aviv cosa dovevo fare per portarlo in bagno, per cambiarlo, pulirlo… Fortunatamente Gibbs mi aveva aiutato la prima volta, lo guardavo ed era nervoso ad avere a che fare con un bambino piccolo, ma allo stesso tempo nei suoi occhi glaciali c’era un luccichio diverso. Voleva bene anche lui a Nathan, si vedeva da come lo guardava e da come faceva con lui cose che non mi sarei mai immaginato di vedergli fare. Lo aveva tenuto in braccio anche lui durante il volo e ci aveva giocato. Chissà cosa passava per la sua mente, se pensava a sua figlia… Ora che avevo mio figlio con me, riuscii a capire quanto doveva essere profondo il dolore che si portava dentro da anni e mai mi sentii vicino a lui come in quel momento.

Non pensavo che per stare dietro ad un bambino c’erano tutte quelle cose da fare!
- Beh dai, mamma ci può stare, per essere la prima volta, non è male, no?
Lo dissi a lui, ma parlavo essenzialmente con me stesso. Lo misi in piedi sul tavolino per guardare meglio come lo avevo vestito. Pantaloni di velluto blu, camicia bianca con dei piccoli orsetti stilizzati blu ed maglioncino di cachemire con scollo a V azzurro. Avevo scelto personalmente cosa portare per fargli indossare, nonostante Ziva mi avesse più volte ripetuto che una tuta sarebbe stata più comoda e pratica. Io non avevo sentito ragioni e lei alla fine aveva ceduto, anche se l’aveva comunque messa tra le cose che avevo nella borsa, tra i possibili cambi.
Alla fine il risultato mi sembrava decente, anche se la camicia era un po’ storta.
Io facevo i miei discorsi e lui per lo più mi rispondeva ridendo o guardandomi attento, ci dovevamo ancora conoscere e scoprire. Però ogni volta che dicevo mamma, quello sì lo capiva e lo ripeteva.

- Dai ometto che tra poco atterriamo
- Mamma
- Sì, tra poco la vedrai la tua mamma.
Prese di nuovo il tablet e guardò per l’ennesima volta i video che Ziva gli aveva registrato. Con le sue manine le accarezzava il viso sullo schermo. Feci ricorso a tutta la mia forza per non commuovermi e guardai altrove.
- Pivello, tutto bene?
- Sì Gibbs, benissimo. E’ solo che è complicato.
- Lo sarà sempre di più. - Mi sorrise
- Gibbs, grazie.
- Di cosa Pivello?
- Di esserci. Di esserci sempre stato.
- Ci sarò sempre Tony.

Stavamo per atterrate, tolsi il tablet a Nathan non senza qualche sua insistenza nel volerlo ancora, gli allacciai la cintura di sicurezza e lo osservavo mentre guardava le luci fuori dal finestrino.
Attesi il rullaggio in pista per alzarmi e prendere il suo zainetto e la borsa. 
- Lascia stare Tony, li prendo io - mi disse Gibbs - Tu vai.
Misi il cappotto a Nathan e non fu facile, visto che non voleva indossarlo e dovetti far ricorso ad una scorta di pazienza che non sapevo di possedere. Una volta coperto bene, lo presi in braccio ed attesi che la scaletta dell’aereo fosse agganciata e la porta si aprisse: un ventata fredda salutò il nostro arrivo.
La vidi subito. Era a pochi metri dall’aereo insieme al direttore Vance. 
Come ci vide apparire sulle scale si portò le mani davanti alla bocca, non potevo vedere la sua espressione celata tra le luci della pista ed il buio circostante, ma di certo era commossa più di quanto avrebbe voluto far vedere.
- Guarda Nathan, ecco lì la mamma - gliela indicai mentre scendevamo le scalette
- Mamma! - Urlò con la sua vocina squillante e vidi Ziva cadere in ginocchio
Appena toccammo terra lo lasciai andare e correva con le sue gambine veloce verso di lei che lo aspettava con le braccia protese. Io mi avvicinavo lentamente, volevo lasciare quei momenti solo per loro. Non credo che avevo mai visto Ziva così commossa come in quel momento, quando, dopo troppo tempo, riabbracciava nostro figlio.
Gibbs mi raggiunse con la valigia con tutte le cose di Nathan
- Non vai da loro Tony? Dalla tua famiglia?
- Volevo lasciargli un po’ di tempo solo per loro due. Guardali Gibbs… sono così… 
- Sono madre e figlio. E’ normale Pivello. Ti abituerai.


--- --- --- --- --- 


Lo vedevo correre verso di me, ma ero talmente emozionata che non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi a lui. Sentii le sue manine stringermi il collo e lo strinsi forte a me. Non era possibile con un abbraccio cancellare quei mesi di lontananza ma poterlo tenere tra le mie braccia era tutto quello che volevo e che potevo fare per fargli capire quanto mi fosse mancato. Avevo il bisogno fisico di sentirlo, di lui, era qualcosa di ancestrale che non si poteva spiegare a parole. 
Era sicuramente più alto, un centimetro almeno forse di più. O era la mia mente a farmelo ricordare più piccolo di quanto fosse, andando a scavare in ricordi ancora più lontani. 

- Non ti lascio più, mamma non ti lascia mai più
- Mi sei mancata tanto
- Anche tu piccolo mi sei mancato tantissimo
- Perchè non sei venuta?
- Non potevo amore mio, ma avrei tanto voluto venire da te.
- Lui è il mio papà?
- Sì, è il tuo papà Nathan! Hai visto te lo dicevo che quando aveva finito di combattere i cattivi sarebbe tornato
Alzai lo sguardo per cercare Tony che era rimasto a qualche passo da noi e ci osservava insieme a Gibbs.
- Mi ha regalato un dinosauro nuovo
- Dopo me lo fai vedere allora.
-
 Mamma piangi? - Mi chiese infine toccandomi il viso bagnato dalle lacrime
- Perchè sei qui
- Triste?
- No, sono felicissima.

Lo presi in braccio e mi alzai. Si strinse forte appoggiando la testa sulla spalla. La sua stretta era linfa vitale, il suo profumo era sempre lo stesso, quello di mio figlio che avrei riconosciuto ovunque nel mondo, tra milioni.
Tony si avvicinò a noi mentre Gibbs andava a parlare con Vance allontanandosi.

- Avete molte cose da dirvi. - Disse accarezzandomi sulla guancia.
- Grazie Tony
- E di cosa? Di aver riunito la mia famiglia?
- Di avermi dato una famiglia. La nostra famiglia.
Aveva gli occhi lucidi anche lui.
- Ti ha chiesto niente di me?
- Mi ha detto che sei il suo papà e che gli hai regalato un dinosauro
- Ah bene, vedo che tutta la parte del “papà parla da solo in aereo e io che lo guardo senza capire nulla ma rido” l’ha evitata…
- Vi capirete
- A me ora basta che lui sia qui. Che tu sia felice. Che siamo insieme. Il resto si sistemerà.
- Mamma andiamo a casa?
- Sì adesso andiamo.
- Cosa ti ha chiesto? - Mi chiese Tony incuriosito
- Se andavamo a casa.

- Agente David, Agente Di Nozzo - Vance si stava avvicinando a noi con Gibbs
- Direttore - rispondemmo insieme
- Sono felice che tutto sia andato bene. Gibbs ha già messo le cose di vostro figlio su quell’auto, vi accompagnerà a casa.
- Grazie Direttore - disse Tony

Guardai Gibbs e lui guardava me sorridendo. Mi sentivo in imbarazzo, non mi aveva mai visto così. In realtà non mi aveva mai visto nessuno così, nemmeno Tony. Quel sentimento di latente disagio cresceva, avevo sempre vissuto la mia maternità in modo personale, condividendola al massimo con quelle persone che mi avevano sempre conosciuto in quel modo, come Tamar e Gael. Nessuno di quelli che avevano conosciuto la “vecchia” Ziva erano mai entrati in contatto con la nuova ed ora invece dovevo necessariamente imparare a far convivere le due parti di me, senza che una annullasse l’altra come avevo sempre fatto.

- Gibbs io… 
- Non ora Ziva… Preoccupati di tuo figlio. Abbiamo tempo per parlare. - Mi diede un bacio sulla fronte e andò con il direttore verso l’altra auto.
- Grazie Gibbs - gli dissi prima che salisse.

--- --- --- --- --- 

Nathan per tutto il tempo in auto non si era spostato da quella posizione, sempre stretto a Ziva appoggiato sulla sua spalla. Lei gli accarezzava i capelli e lo baciava e lui faceva lo stesso, dando dei piccoli baci sul collo della madre e giocando con i suoi capelli mentre con l’altra mano la accarezzava. Sembravano una cosa sola e forse lo erano veramente.
Presi il mio smartphone e gli scattai una foto.
- Perché? - Mi chiese sorridendo
- Te l’avevo detto che avrei voluto essere io scattarvi tutte quelle foto, beh ora ci sono. L’ho fatta anche una prima in aeroporto. - Gliela mostrai. Per me era la foto più bella di tutte, anche se non si vedevano i volti di nessuno dei due, mamma e figlio abbracciati insieme. Mi emozionavo a rivederla.
- Come ti senti? - Mi chiese appoggiandomi una mano sulla gamba
- Bene - Misi la mia mano sopra la sua - Lui come sta?
- Stanco, si sta per addormentare, guardalo.
Aveva effettivamente gli occhi che stavano per chiudersi. Gli accarezzai delicatamente i capelli e li riaprì subito. Ritrassi la mano.
Ziva gli parlò un attimo e lui chiuse gli occhi di nuovo. Mi seccava chiederle sempre cosa gli diceva quando gli parlava ma lo capì da sola.
- Gli ho detto di stare tranquillo perchè chi lo accarezzava era suo padre. Mi dispiace Tony per questo… 
- In aereo ha dormito in braccio a me - Dissi facendo cadere il discorso - è un buon segno no?
Lei annuì ed io provavo ad autoconvincermi che lo fosse veramente.

Arrivammo a casa, salutai l’agente che ci aveva accompagnato e presi tutti i bagaglio. Ziva era già salita in ascensore con Nathan che era letteralmente crollato per il resto del, seppur breve, viaggio.


--- --- --- --- --- 

 

Feci scendere Nathan e aprii la porta. Lui rimaneva incollato a me, tenendomi per i pantaloni.
- Dai piccolo entra - lasciai la porta aperta, Tony sarebbe salito a breve
- Non è casa nostra questa
- Sì, Nathan è casa nostra questa adesso.
- E a casa nostra nostra quando ci andiamo?
Mi piegai per parlargli guardandolo negli occhi
- Noi non possiamo andare a casa nostra nostra. Perché se torniamo lì, poi ci separano di nuovo. Tu non lo vuoi vero?
Scosse la testa
- Qui nessuno ci dividerà più, capito?
- Anche lui sta qui con noi?
Mi voltai, Tony era arrivato carico di tutte le cose di Nathan
- Ehilà famiglia! Sono arrivati i traslochi! Permesso… 
Ci scavalcò e andò a portare le cose nella camera di nostro figlio.
- Certo che lui sta con noi, è il tuo papà!
- E lui mi vuole bene? Non mi porta via?
- Lui ti vuole tantissimo bene e non ti porta da nessuna parte. Hai visto? E’ venuto a prenderti e ti ha riportato da me.
- E tu gli vuoi bene a papà?
- Tanto. Tu e lui siete le cose più importanti per me. Capito?
Mi fece cenno di sì con la testa.
- Dai adesso andiamoci a preparare per dormire che gli occhietti ti si stanno chiudendo!
Lo presi in braccio e lo portai in bagno per prepararlo per la notte.

Quando entrammo in camera Tony stava finendo di sistemare alcuni dei giochi che Nathan aveva in Israele. Li aveva messi sul lettino e in giro per la stanza. Vidi appoggiato a terra la tela che avevo a casa a Tel Aviv e rimasi sorpresa.
- Sei stato a casa mia? - Gli chiesi stupita
- Ti dispiace?
- No, è solo che… non mi avevi detto nulla. 
Non mi dispiaceva, però provavo un leggero fastidio per quella cosa. Non avevo nulla da nascondere, non più almeno, però che lui fosse stato lì, senza dirmi nulla, che avesse fatto un tuffo in quel passato dal quale lo avevo escluso, mi faceva sentire a disagio.
- Volevo vedere dove era cresciuto, dove eri stata tu in questi anni, non lo so, volevo capire qualcosa in più. - Si stava giustificando, aveva capito il mio imbarazzo. Poi guardò anche lui la tela - E’ bellissima quella foto. Ho preso un po’ di cose sue. Ho pensato che così si sentisse più a casa, per lui è tutto nuovo oggi. - Mi disse indicandomi la maglia e la sciarpa che aveva in camera.
- Sei stato perfetto - Gli dissi mentre mettevo mio figlio sotto le coperte e Tony abbassò la luce della stanza - Non tutto buio, se no non dorme.
Presi la sedia la misi vicino al lettino e gli tenni la mano sperando che si addormentasse di nuovo presto.
- Se tu devi fare altro, io aspetto che si addormenta. - Dissi cercando di tenere il tono della voce più basso possibile
- Non devo fare nulla di più importante. Con lui sei così… diversa… Sei quella che ho sempre saputo che eri.
Tony si mise dietro di me e cominciò a massaggiarmi le spalle. Cercai di rilassarmi per qualche minuto, poi Nathan allentò la presa sulla mia mano e capii che si era addormentato. Uscimmo senza fare alcun rumore, lasciando la porta socchiusa.

--- --- --- --- --- 

Un divano, due birre e un pacco di popcorn. Sembrerebbe più una serata di due amici in attesa di una partita di football che la prima sera con la mia famiglia finalmente riunita. Ziva era vicino a me, Nathan dormiva di là. Le cose cominciavano ad avere il giusto senso.

- Sei stanco? - Mi chiese quando appoggiando la testa alla spalliera, chiusi gli occhi per un attimo
- No. Pensavo che sono felice
- Hai fatto avanti e indietro da Israele in 2 giorni, non mi prendere in giro - Mi passò una mano tra i capelli
- È stato un bel viaggio. Non solo questo intendo tutto il nostro. Non avrei mai pensato che ci avrebbe portato qui. 
- Nemmeno io, soprattutto dopo tutte le volte che ci siamo persi, che ci siamo allontanati. - Mi prese la mano e intrecciò le sue dita con le mie. 
- È tutto passato ora. Non ci pensare più
- No, io ci voglio pensare perché solo così posso evitare di fare gli stessi errori e di diventare quella che tu e Nathan meritate che io sia.

- Ho preso anche un’altra cosa da casa tua - le dissi mentre prendevo il libro dallo zaino vicino il divano. Glielo diedi, aprendolo nella stessa pagina che avevo visto a Tel Aviv, con la nostra foto insieme. La vidi emozionata ed anche un po’ turbata. Forse avevo fatto male ad andare a curiosare tra le sue cose. - Scusami se ho curiosato un po’ troppo… volevo solo capire un po’ più di te… 
- E’ che io… - l’avevo veramente presa alla sprovvista - Dio mio… è così difficile spiegare… non pensavo ci sarebbe mai stato un futuro per noi…
- “Più è difficile avere una cosa, più la si ama”  - Le ripetei la frase che aveva sottolineato - Non amarmi di meno ora che mi hai, ok?
- Questo è impossibile, lo sai. - Mi rispose baciandomi.

Finii la mia birra
- Secondo te riuscirò ad essere un buon padre per lui? Io non è che con Senior ho avuto un gran esempio... Vorrei essere per lui quello che Gibbs è per me, magari un po' più affettuoso.
- Molto di più Tony! Nathan ama farsi coccolare! 
- Non è l’unico - le dissi mentre mi sdraiavo appoggiato a lei che riprese ad accarezzarmi la testa
- Come è andato il vostro primo incontro?
- Ero più emozionato di quando al college sono uscito per la prima volta con la biondina che mi piaceva tanto ma che non si era mai accorta nemmeno che esistessi. - Volevo sdrammatizzare
- Ah quindi ti piacciono le bionde? - Mi diede uno scappellotto. Le piaceva sempre punzecchiarmi
- Non sarai mica gelosa adesso? 
- Lo sono sempre stata - disse mentre aveva cominciato a massaggiarmi sul petto - Insomma, come è andata con Nathan?
- È stato... totale, tipo il big bang. Quando mi ha chiesto "Sei mio papà?" con quella sua pronuncia buffissima mi si è aperto il cuore.
- So cosa vuol dire
- Già...

Quel suo massaggio era esattamente quello di cui avevo bisogno. 
- E in aereo? Cosa ha fatto? Era la prima volta che lo prendeva!
- Ah quindi almeno in una cosa ti ho battuto! - Ero convinto che l’unico modo per affrontare la situazione era non prenderla troppo sul serio - Benissimo abbiamo comunicato un po' a modo nostro, io parlavo lui rideva e mi guardava. Qualche volta mi diceva qualcosa ed era bellissimo. Poi guardava fuori le nuvole sotto di noi con il viso appiccicato al finestrino. Ha mangiato tutto gelato compreso
- Cioccolato?
- Sì, cioccolato. Poi avrà visto 100 volte i tuoi video sul tablet e ti accarezzava sullo schermo. Ah ha anche giocato con Gibbs quando sono andato in bagno.
- Giocato con Gibbs?
- Già! Non so perché ride quando mi chiama pivello… L’ho preso in braccio e dopo un po' si è addormentato. Sono stato immobile per più di due ore avevo paura di svegliarlo.
- Avrei voluto vedervi.
- Mi sono fatto fare una foto dal capo, la prima foto mia con lui. È stato importante per me averlo vicino in questa occasione così particolare
- Glielo hai detto?
- No
- Dovresti farlo. Domani vorrei far visitare Nathan da Ducky. Mi fido solo di lui in questo momento. Per assicurarmi che stia bene ed è tutto ok.
- Non ti preoccupare sta benissimo.
- Essere preoccupata per lui sarà una costante di tutta la vita, Tony. Per qualsiasi cosa. Abituati.

Mi tirai su, pur rinunciando a malincuore alle sue carezze
- Sei così...
- Così?
- Così bella. - La baciai - Prima quando lo guardavi nei tuoi occhi rivedevo lo stesso sguardo di mia madre quando mi metteva a dormire.
- Mi piacerebbe un giorno che mi parlassi di lei.
- Lo farò.
Mi ero alzato e le porgevo la mano per invitarla a fare lo stesso e raccolse l’invito.

Arrivati in camera da letto un sorriso malizioso comparve sul suo volto mentre si muoveva verso di me, avvicinandosi volutamente sensuale a piccoli passi. Mi irò intorno un paio di volte, come un felino con la sua preda. Ero veramente preso alla sprovvista.
- Sai Tony, non vorrei che ora mi vedessi solo come una mamma…
La situazione ovviamente mi eccitava e divertiva, e più del suo corpo sensuale, quello che mi faceva impazzire era la sua espressione ammiccante ed sorriso provocante. Seguivo i suoi movimenti con lo sguardo e la lasciavo fare. Mi sbottonò la camicia facendola scivolare a terra, accarezzò le spalle ed il torace scendendo poi lungo i miei fianchi e riservando al resto degli abiti lo stesso trattamento degli altri. In quel momento avrebbe potuto fare di me qualsiasi cosa e gliel’avrei lasciata fare.
I suoi vestiti andarono presto a fare compagnia ai miei sul pavimento, avrei voluto immediatamente stringerla a me, ma le lasciai tutta l’iniziativa anche se la sua caccia mi stava facendo impazzire ed ormai non potevo più nascondere quanto la desiderassi.
Mi spinse verso il letto e io mi lasciai cadere per poi accomodarmi ad aspettarla. Lei in piedi mi guardava e sorrideva ed io sorridevo a mia volta: aveva catturato prima che il mio corpo la mia mente, seguivo ogni suo movimento sapientemente studiato per provocarmi sempre più.
Risalì il letto con movimenti vellutati come una gatta che cerca le fusa, si piegò su di me baciandomi finalmente, ma proprio mentre la stavo abbracciando bloccò con forza le mie braccia e la lasciai fare. Le sue mani che prima mi accarezzavano come il tocco di una farfalla ora erano una morsa implacabile. Era lei, dolce e forte, sensuale e spietata, Era così bella sopra di me che giocava con tutti i miei sensi. Mi baciò ancora, solo un fugace bacio sulle labbra, prima di scivolare sul mio collo, il mio petto e ancora più giù. Ero totalmente in balia di lei.

- Mamma!
La voce di Nathan ci riportò sulla terra, facendoci scendere dal nostro paradiso privato. Chiusi gli occhi stringendo forte le palpebre e non potei farmi sfuggire una smorfia. Scossi la testa e poi risi.
Quando riaprii gli occhi lei si era già velocemente rivestita e prima di uscire mi guardò e rise anche lei. Avevo la sensazione di un bambino beccato a fare qualcosa che non doveva.
Mi rivestii anche io, recuperando i boxer e prendendo una maglietta sulla sedia appena prima che tornasse con Nathan in braccio che piangeva
- Cosa c’è? - Le chiesi allarmato
- Nulla, solo un brutto sogno, ma mi ha chiesto di dormire con me.
- Povero ometto, dopo tutto questo tempo senza la sua mamma - lo volevo accarezzare ma il ricordo della sua espressione in macchina mi fece desistere.
- Ehm… mi dispiace Tony… - eravamo entrambi imbarazzati
- Beh sì, anche a me, ma che ci vuoi fare occhioni belli, c’è chi ha la priorità su tutto ora…
Sul letto dove fino a pochi minuti fa c’ero io sotto di lei, adesso c’era lei che stringeva nostro figlio per farlo addormentare. Mi chinai e le diedi un bacio, poi presi una coperta e feci per uscire dalla stanza.
- Tony, dove vai?
- Di là, stai con lui.
- Vieni qui anche tu, con noi
- No Ziva non è ancora il momento. Ti amo.
Abbassai le luci della camera e accostai la porta.

Mi sdraiai sul divano e cercai qualche film in tv perché non avevo voglia di alzarmi e scegliere un dvd. C’era ancora qualche popcorn da sgranocchiare. Guardai la marca della birra e pensai che se gli effetti erano quelli ne dovevo comprare una scorta. Risi tra me e me. 
In tv scorrevano le immagini di uno sfarzoso matrimonio di metà anni ’40. Rivedere il Padrino era sempre piacevole ed il volume al minimo non era un problema, ormai conoscevo le battute quasi a memoria, anche se più che sentire il film, ascoltavo quello che accadeva nell’altra stanza. Tolsi del tutto il volume alla tv e lasciai che la ninna nanna che Ziva stava cantando a Nathan cullasse anche me.

 

NOTE: Ehm… se volete, a voi i commenti… :) Ho lasciato qualche indizio su quello che accadrà... lo avete colto? :) 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Long Way From Happiness ***


… And there's no second guess
We take no second bets
Chances are
we're a long way from happiness …

 

Mi svegliai che era notte fonda. Guardai la sveglia sul comodino ed erano già le 4:00 passate da un po’. Uscii dal piumone e coprii bene Nathan. Mentre stavo andando in bagno vidi la tv ancora accesa, mi avvicinai al divano e Tony dormiva tutto rannicchiato sotto la coperta che scendendo gli lasciava scoperta la schiena. Avrei voluto svegliarlo per rubare qualche bacio al tempo mentre nostro figlio dormiva, invece lo coprii meglio e mi fermai qualche istante a guardarlo dormire. Anche lui sembrava un bambino. Non volevo questo per noi, non volevo vedere Tony doversene andare dal nostro letto per dormire sul divano. Avevo bisogno di lui come avevo bisogno di nostro figlio. Non era uno che doveva escludere l’altro, come era sempre stato fino ad ora, non più. 
Tony aveva fatto più di venti ore di volo in due giorni, si era assunto tutta la responsabilità di andare a riprendere nostro figlio nonostante non lo avesse mai visto, con tutti i dubbi e le paure che questo gli aveva procurato, anche se voleva mostrare una calma apparente. E poi si era fatto da parte, come se si sentisse un corpo estraneo tra me e Nathan e questo mi faceva stare male, perché mi rendevo conto che era solo una conseguenza delle mie scelte. Lui, di fatto, era per Nathan un estraneo e solo ora me ne rendevo pienamente conto. Nathan aveva un’idea di papà in mente, ma era una figura astratta, un concetto, non una persona fisica, che avrebbe avuto il suo spazio nella nostra vita. Io, quando lui gli parlavo del suo papà, sapevo chi era ed il suo ruolo, lui no. Per lui era una parola. Papà, anzi Abba. Lui non legava quella parola all’immagine di Tony, non era concreto. 

Tony mal celava dietro, la gioia e l’entusiasmo, tutte le incertezze che, il diventare padre all’improvviso, gli aveva procurato. Non c’era bisogno che lo dicesse, lo percepivo da suoi momenti di silenzio, da come lo trovavo assorto a volte a pensare alle cose più stupide che per lui diventavano problemi insormontabili. Aveva avuto poco più di un mese per metabolizzare l’idea di avere un figlio, un figlio per di più già grande. E se non bastano nove mesi per prendere coscienza che si sta diventando genitori di un neonato la sua situazione era ancora più complicata perchè si trovava davanti un bambino con, per quanto semplici,  già un’idea di mondo formata, con una sua personalità e relazioni sociali. So quanto lo preoccupava il problema del non poter comunicare come voleva con suo figlio, lui che della parola ha un’arte tutta sua, che non sta zitto un attimo, che vuole sempre parlare, parlare e parlare. Non sentirsi libero di poterlo fare con Nathan era forse la cosa che lo angosciava di più, perché aveva paura di non farsi capire, di non riuscire a farsi conoscere ed apprezzare. 
Da quanto mi aveva raccontato, però, il loro incontro era andato tutto sommato bene ed anche il viaggio, per questo mi aveva stupito il suo comportamento di allontanarlo una volta che eravamo insieme, come se quel signore che era la personificazione di una parola astratta, Abba, avesse senso solo fino a quando non c’ero io. Poi Nathan, una volta che mi aveva visto, era ritornato nel nostro mondo, che per lui era fatto solo di due persone: io e lui. E Tony ne era fuori. Forse lui aveva capito, nonostante lo conoscesse solo da un giorno, nostro figlio meglio di me e si era fatto da parte. Si era autoescluso prima che lo escludesse lui. Gli aveva lasciato il suo spazio, la possibilità di rimpadronirsi del suo ruolo di figlio con me, prima di imporsi a lui come figura di padre. Però a me faceva male vederlo lì, su quel divano da solo, con la consapevolezza che era solo colpa mia.

Nathan si svegliò presto, di fatto consideravo già una conquista che quella notte fosse riuscito a dormire senza preoccuparsi troppo di dove era. Io mi ero addormentata di nuovo da poco, dopo che ero stata gran parte della notte a guardare dormire prima Tony sul divano e poi lui nel letto con me, ma essere svegliata dalla sua voce che mi cercava era bellissimo.
Le sue manine tastavano il mio viso mentre mi chiamava invitandomi a prestargli attenzione, quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi furono i suoi capelli tutti spettinati che incorniciavano il suo volto serio che mi guardava da vicino come a volersi accertare che fossi realmente io. 
Ciao piccolo mio” e sulla sua bocca nacque un grande sorriso mentre si buttò letteralmente sopra di me con una forza tale per quel corpicino che mi tolse il respiro. Lo abbracciai e giocammo tra le lenzuola come avevamo sempre fatto e lui rideva tantissimo era bello vedere felice anche lui. Non gli avevo chiesto nulla della nostra separazione, non sapevo nè se nè come farlo: speravo l’avesse presa come un gioco e che non ne fosse rimasto traumatizzato.
Sentivo lo sguardo di Tony addosso mentre giocavo con nostro figlio. Era lì già da un po’, ma non gli dissi niente, ero concentrata su Nathan e farlo divertire e a riempirlo di baci.

- Ehy un bacio anche per me c’è? - Mi chiese avvicinandosi a noi e sedendosi sul bordo del letto
Non gli risposi e lo baciai non un semplice bacio per salutarlo, un bacio profondo, appassionato, uno di quelli che in un’altra occasione ci avrebbe portato di lì a poco a fare altro.
- Buongiorno amore - dissi a Tony dandogli un altro bacio veloce sulle labbra, lasciandolo ancora più sorpreso dal sentirsi chiamare così, da me che non lo facevo mai, ma avevo bisogno di comunicarglielo. Perchè lui era nostro figlio, ma Tony era sempre il mio uomo.
 Ora era Nathan a guardarci un po’ perplesso.
- Ciao ometto! - Lo salutò Tony con un sorriso raggiante
- Ciao - gli rispose lui timido nascondendosi dietro il mio braccio.
- Dai andiamo a fare colazione! - Dissi prendendolo in braccio
- Io non so cosa mangia lui, ma ho preparato un po’ di cose di là.
Tony si sforzava in tutti i modi di rendere tutto il più normale possibile. Gli diedi un altro bacio mentre andavamo in cucina. Nathan voleva stare costantemente in braccio aveva bisogno di sentire sempre il contatto tra di noi. Ne avevo bisogno anche io, ma da questi piccoli gesti capivo quanto era stato difficile per lui la nostra separazione.
Solo ora che cominciavo a che fare con la nostra nuova quotidianità mi rendevo conto di come Tony avesse pensato proprio a tutto, dal seggiolone per Nathan a piatti, bicchieri e posate per bambini, aveva preso più cose per lui in pochi giorni, che io in due anni, evitai di dirgli ancora che la maggior parte di tutto questo sarebbe rimasta inutilizzata, avrebbe imparato a capire col tempo quanto sia effimera la durata di qualsiasi cosa comprata per un bambino, che sia un vestito che dopo poco non gli andrà più o un gioco del quale si annoierà presto.

- Tu non mangi? - Gli chiesi mentre, affamata, mi dividevo tra la mia colazione ed aiutare Nathan a mangiare.
- Ho mangiato un toast al volo prima, mentre preparavo, vuoi che ci penso io a lui?
- No, non ti preoccupare, ce la faccio, sono abituata - le parole mi uscirono troppo veloci per pensare a quello che stavo dicendo
- Lo so che ce la fai da sola. Hai fatto benissimo fino ad ora… - disse guardandolo mentre mangiava il suo latte con i cereali e schizzava un po’ ovunque. Tony gli sorrideva imbambolato osservando ogni sua mossa.
- Tony mi dispiace per ieri sera
- Sì anche a me, quello che stavo vedendo non mi dispiaceva - cercava di sdrammatizzare - spero che ci saranno altre occasioni per le tue battute di caccia David!
- Mi piace cacciare DiNozzo, soprattutto se la preda sei tu.
Gli feci l’occhiolino e in quel momento ero contenta che Nathan non capisse quello che ci stavamo dicendo.

--- --- --- --- ---

Era una sensazione così strana essere in quell'ascensore in tre. Ormai tutti sapevano cosa era successo e cosa avevamo fatto. Quando si aprirono le porte Ziva uscì con Nathan in braccio e io subito dietro. Da tutti i colleghi partì uno spontaneo applauso di "benvenuto", a salutare la riuscita di un'insolita missione e la ritrovata serenità di molti di noi. 
Lui era letteralmente aggrappato alla mamma senza staccarsi da lei un secondo. Si guardava intorno incuriosito di tanta gente nuova che lo guardava e lo salutava ma della quale capiva poco o nulla. 

Ziva portò Nathan alla mia scrivania e gli fece vedere la loro foto insieme che tenevo in bella vista, ogni tanto alzavano lo sguardo e mi cercavano mentre parlavano tra loro non so di cosa. Io li osservavo mentre rispondevo meccanicamente ai saluti e alle domande dei colleghi presenti che si congratulavano.
Nathan era attento alle parole della mamma, mi guardava e sembrava stesse studiandomi. Io gli sorridevo inebetito.
Quando riuscii a liquidare tutti andai anche io alla mia scrivania. Accarezzai sui capelli entrambi, erano ancora più belli che in quella foto, forse per il solo fatto che erano lì, erano veri e non solo un’immagine su un pezzo di carta. Nathan guardava la foto e accarezzava prima l’immagine di Ziva, poi si girava e faceva lo stesso sul viso della madre. Non avevo mai visto una tale simbiosi tra un bambino e sua madre come quella tra loro, forse perchè non avevo mai osservato nessuno in particolare, forse perchè ogni loro gesto mi provocava delle emozioni incontrollabili, però alcune volte sembravano veramente una cosa sola. 
Solo ora che li vedevo insieme riuscivo minimamente a capire quanto doveva essere stato straziante stare separati e come nostro figlio avesse la necessità della madre, di assicurarsi personalmente, con le sue mani, che lei era lì, era presente, era con lui. Non gli bastava stare in braccio, sentire il suo calore, il suo profumo: aveva bisogno di accertarsi toccandola che era lei e non un’altra, che era la sua mamma e soprattutto di specificare, tenendola stretta e non lasciandola, che lei era prima di tutto sua. Pensieri dolorosi stavano riaffiorando nella mia mente, ma proprio in quel momento arrivarono Abby, McGee e Bishop. 

- Ehy ometto ti presento Abby, Tim e Ellie! - gli dissi lui non so se capì ma si girò a guardare i tre e fu immediatamente attratto dalle borchie di Abby e le sorrideva
- Nathan! Finalmente sei qui! - Si accorse di come la stava osservando - Cavolo Ziva, già studia le persone come te… impressionante!!! Posso? - chiese allungando le mani verso Nathan
- Certo - le rispondemmo in coro. E Ziva per la prima volta lo lasciò tra le braccia di qualcun altro da quando la sera prima lo aveva accolto di nuovo tra le sue.
Nathan, dal canto suo, mal volentieri si staccò da Ziva, ma cominciò subito ad esplorare tutti gli spunzoni divertendosi tantissimo. Lo faceva girare tra le scrivanie spiegandogli tutto quello che c’era lì dentro, dove stavamo noi, chi eravamo, lui credo che avesse capito poco, ma evidentemente Abby gli piaceva, lei piace a tutti i bambini! Ci ritrovammo dopo aver girato tutta la stanza vicino ai monitor che mio figlio guardava interessato, fortunatamente non c’erano immagini di qualche cadavere, ma solo una mappa con delle posizioni segnalate che lampeggiavano ed era evidentemente attratto da quei puntini luminosi. Ziva ci guardava dalla mia scrivania con un aria felice e protettiva allo stesso tempo. Era il suo cucciolo quello, come una leonessa osservava ogni suo movimento e chiunque gli si avvicinasse. Sono sicuro che sarebbe balzata verso di lui in una frazione di secondo se avesse visto qualcosa che la preoccupava ed avrei temuto per la vita del malcapitato. Chiunque fosse.
Ellie accarezzò la mano di Nathan che si voltò a guardarla attento, distogliendo l’attenzione per qualche secondo da quei puntini che gli piacevano tanto.
- Tony, Ziva è splendido! - Ci disse Bishop mentre lo osservava. Nei suoi occhi colsi anche un velo di tristezza. Sapevo che la sua situazione con il marito non era ancora definita e sapevo anche che le sarebbe piaciuto avere un figlio, ma evidentemente quello non era il momento migliore per metterne al mondo uno.
- Complimenti ragazzi, è ancora più bello che in foto - disse McGee
- Hai visto Pivello, gli occhi sono i miei! Guardalo bene!
Nathan rise
- Perché ride? - chiese McGee a Ziva
- Perché ride sempre quando sente la parola "Pivello" - specificai
Rise ancora
- E nemmeno Ziva lo sapeva questo. - ci tenni a sottolinearlo mentre anche lei mi sorrise, felice evidentemente che avevo qualcosa di “mio” di nostro figlio, fosse anche una semplice reazione ad una parola - colpa di Gibbs!
- Cosa sarebbe colpa mia DiNozzo?
- Nulla capo! 
- Ah ma oggi abbiamo anche un nuovo membro nella squadra! - Sapeva che saremmo venuti, lo avevamo chiamato mentre stavamo arrivando. Gli portò uno dei nostri cappellini e glielo mise. Gli stava grandissimo ma con tutti quei capelli e quei boccoli sembrava quasi della sua misura. Ridemmo tutti, una risata liberatoria. 
Nathan sorrise a Gibbs. Si piacevano. Poi fece una cosa che ci sorprese tutti, allungò le braccia verso di lui e si fece prendere in braccio.
- Devo assolutamente immortalare questo momento! - disse Abby dopo averglielo lasciato in braccio mentre scattava una raffica di foto
Gibbs era a suo agio con Nathan, molto più di quanto non lo fossi io, che mi sentivo impacciato qualunque cosa facessi. Appena vide Ziva alla mia scrivania, quasi in disparte rispetto a noi, le si avvicinò e Nathan volle subito tornare tra le sue braccia. Gibbs glielo passò con la delicatezza con la quale si dona la cosa più fragile e preziosa del mondo e lui effettivamente lo era. Le accarezzò i capelli nel farlo, un gesto furtivo, quasi nascosto, ma che lei non si fece scappare e lo ricambiò con un sorriso.
Ci trovammo così tutti voltati a guardarla, vedendola lì, insieme per la prima volta così diversa. Se ne accorse e ne rimase molto imbarazzata, abbassò lo sguardo osservando solo suo figlio seduto sulle sue gambe che faceva scomparire la testa tra le sue braccia che lo accoglievano amorevoli e protettrici. Lei posò le sue labbra tra i capelli di Nathan, dandogli un bacio e nascondendosi ancora di più da tutti quegli sguardi che stavano vedendo una parte di lei che avrebbe volentieri tenuto per sempre nascosta a tutti quelli che l’avevano sempre conosciuta come l’agente David, ex Mossad. Si imbarazzava anche se la vedevano piangere, e negli ultimi tempi era capitato anche troppo spesso, o quando io avevo qualche slancio di troppo davanti a tutti, ma quello era diverso, era un imbarazzo al quale aveva imparato a rispondere, dissimulandolo con battute e sorrisi. Nel tenere nostro figlio in braccio lì, davanti a loro per la prima volta, era un’anima totalmente senza difese, nuda ed esposta. Non era l’agente David che piange o si imbarazza. Era Ziva, una mamma. Ed evidentemente non aveva pensato al fatto che non era pronta a mostrarsi così. 
- Sei fortunato Tony - mi sussurrò McGee senza farsi sentire dagli altri andando ad interrompere il mio flusso di pensieri.
- Lo so amico… Lo so.

La voce squillante di Abby ruppe l’incantesimo di quel momento.
- Aspettatemi tutti qui che devo andare a prendere il mio regalo per il piccolo Di Nozzo! 
Sparì velocemente nell’ascensore per riapparire poco dopo trascinandosi dietro letteralmente al guinzaglio un enorme dinosauro di peluche: un lucertolone tipo stegosauro azzurro e marrone. Nathan appena lo vide volle, per la prima volta, scendere dalla sua mamma e corse verso il peluche. Era così grande che poteva anche sedersi sopra e cavalcarlo. Lo abbracciava tutto contento.
- Bene, un dinosauro all’NCIS ci mancava proprio - Esclamò il direttore Vance arrivato appena in tempo per assistere alla scena
- Direttore, abbiamo portato il bambino solo per farlo conoscere ai nostri colleghi e poi Ziva voleva farlo visitare dal dottor Mallard, sa per scrupolo - tentai di giustificarmi
- E’ tutto apposto DiNozzo, non c’è nessun problema. Sono felice di vederlo qui finalmente. Era quello che stavamo aspettando tutti no?
- Certo direttore, grazie.
Aspettai che fosse salito nel suo ufficio
- Pensavo peggio - esclamai
- Di Nozzo! - Mi riprese Gibbs
Abby giocava con Nathan con il dinosauro e non so chi si divertisse di più dei due.
- Avete pensato come organizzarvi con il bambino? - Ci chiese Gibbs
- Veramente ancora no Capo. - Risposi 
- Gibbs io pensavo di prendermi qualche giorno per stare un po’ con lui… Non me la sento di lasciarlo adesso con qualcuno estraneo, vorrei assicurarmi che stia bene.
- Certo Ziva. Comunque sappi che qui c’è un ottimo asilo per i figli dei dipendenti. E’ nel palazzo adiacente. Potresti vederlo quando vuoi ed è un posto sicuro e controllato. Per il futuro può essere utile.
Gibbs aveva usato due parole non casuali. Sicuro e controllato. Ziva non lo aveva detto, ma sapevamo bene la sua paura adesso qual era. 
- Grazie Gibbs. Adesso vado da Ducky, così mi tolgo ogni dubbio.
- Vuoi che vengo con te? - Le chiesi nella speranza di una sua risposta affermativa che non arrivò
- No Tony non ti preoccupare. Dai Nathan, saluta tutti! - Lo prese in braccio e si andò all’ascensore mentre il mio ometto ci salutava con la manina.

- Dalle tempo Pivello - mi disse Gibbs quando Ziva se ne era andata - non te la prendere. Già per i padri è difficile sempre, per te anche di più.

--- --- --- --- ---

- Allora Ducky? Che mi dici? - Gli chiesi mentre rivestivo Nathan dopo che il dottore lo aveva visitato.
- Tuo figlio sta benissimo è sano come un pesce. 
- Nessun tipo di trauma?
- No, Ziva, stai tranquilla. Nathan sta benissimo, non gli hanno fatto nulla di male. E’ ben nutrito, ha tutti i parametri a posto per un bambino della sua età. Rilassati.
- Grazie Ducky
- Se posso permettermi, vedendo come ti abbraccia, l’unica cosa che posso notare non è di carattere fisico, ma affettivo. 
- Che vuoi dire?
- Ha sofferto molto per la tua mancanza, questo è certo. Ed ha paura che tu lo possa lasciare di nuovo. Si vede da come si stringe a te.
- Non lo lascio, non ti preoccupare Ducky e non ti preoccupare nemmeno tu piccolo mio.
- Come gli parlerai adesso?
- Proverò a parlargli prevalentemente in inglese se c’è Tony o altri, ma quando siamo soli o devo spiegargli qualcosa in ebraico. Vorrei che comunicasse di più con Tony, invece Nathan, se ci sono io, con lui è molto distante, non vuole nemmeno essere toccato da Tony, non è facile. Prima che lo prendessero gli stavo insegnando l’inglese, fortunatamente apprende in fretta… Sai in previsione che lo avrebbe incontrato…
- Prima o poi, vero Ziva?
- Sì Ducky… 
- Mi dispiace dirtelo figliola ma hai fatto una grave errore… Ora sarà dura sotto tanti punti di vista… Tu però cerca di parlargli il più possibile in inglese, così si abituerà prima. Se vuoi vivere qui, sarà bene che lui si adatti il prima possibile.
- Lo so Ducky, ma è arrivato ieri, è frastornato.
- E lo sei anche tu, vero, figliola?
- Già… molto…
- Ci vorrà molta pazienza e molta calma per far incontrare i due uomini della tua vita e trovare il tuo equilibrio tra loro due.
- Io vorrei solo che fossimo felici.
- Ti sembra poco ragazza mia? Non ti voglio allarmare però ci saranno momenti duri Ziva. Devi essere pronta ad affrontarli. E ricordati sempre cosa avete fatto per arrivare fino a qui. Questo bambino è un dono del cielo, come ti ho già detto una nuova vita nata da un amore come il vostro non vi potrà dividere, ma la vostra strada sarà tortuosa e solo se la percorrerete insieme ne uscirete.

--- --- --- --- ---

Erano passate già un paio di settimane da quando Nathan era tornato a casa, Ziva era praticamente rimasta sempre con lui, non lo lasciava mai. Ancora non era tornata a lavoro, i pochi giorni iniziali si erano trasformati in settimane. Ogni tanto veniva in ufficio, portava Nathan con se, ed erano gli unici momenti in cui lui si staccava da lei, andando a giocare soprattutto con Abby, che non aspettava altro che il mio ometto andasse nel suo laboratorio per farlo divertire con tutti i suoi strani oggetti e con Bert. 
Il rapporto tra me e lui era sempre difficile, anzi era un non rapporto. Io provavo in tutti i modi a conquistarmi la sua fiducia, lui ogni tanto provava a fare qualche passo avanti verso di me, ma poi come vedeva la madre, immediatamente si ritraeva. Aveva una grande facilità di apprendere la lingua, anche grazie ai cartoni animati che vedeva sempre in inglese e al fatto che Ziva ormai si sforzava di parlargli quasi sempre in inglese, almeno in mia presenza. Quando veniva all’NCIS comunicava nel suo buffo accento con tutti, tranne che con me: faceva sempre finta di non capirmi. Era frustrante. Questa situazione stava pesando anche nel rapporto tra me e Ziva sempre totalmente presa da Nathan ed ogni volta che parlavamo finivamo per discutere di qualsiasi cosa, anche delle cavolate.

- Nathan non ha problemi con gli altri e vuole stare con te perché si sente spaesato, Nathan ha problemi con me. - Le dissi totalmente esasperato una sera dopo che lo aveva messo a letto mentre eravamo seduti sul divano.
- Perché pensi questo?
- Perché non lo vedi quando viene all’NCIS sta con tutti gioca con tutti tranne che con me. Con gli altri si sforza anche di parlare con me no.
- Sei arrabbiato?
- No sono triste, è difficile Ziva.
- Fare il genitore non è facile Tony
- Già, soprattutto quando parti ad handicap. No, lascia stare, non volevo dirlo, non volevo ritirare fuori il passato
- No, Tony, parla, dì quello che pensi, se no non ne verremo mai fuori.
- Penso che è difficile Ziva ecco che penso. E’ difficile avere un figlio che non conosci e che non ti vuole conoscere, è difficile avere un figlio con il quale non riesci a comunicare come vorresti. E sta diventando difficile anche con te così.

Non avrei voluto dirglielo, però avevo bisogno di sfogarmi. Mi sentivo solo. Ero felice, certo, però era una felicità che vivevo da spettatore, la loro felicità. Volevo essere partecipe anche io di questa felicità, con Nathan ma anche con Ziva. Ormai mi sembrava che il “noi” non esisteva più, c’erano “loro” ed “io”. Vedere Ziva con nostro figlio era l’immagine più bella del mondo, mi riempiva il cuore di gioia vederli entrambi così complici e felici tra loro, ma non chiedevo tanto, solo di esserci anche io. Invece Nathan non permetteva la mia intrusione nel loro mondo, tollerava la mia presenza, ma non potevo entrare in quel meccanismo perfetto che era il loro rapporto. Dovevo starne fuori, guardarlo e gioire della loro felicità. Questo avrebbe voluto, credo, mio figlio. Ziva sembrava non accorgersene completamente assuefatta da lui, ogni giorno di più. Certo non mi faceva mai mancare il suo contatto fisico, i baci e gli abbracci, ma era mentalmente che la sentivo distante.
Mi alzai e mi appoggiai alla finestra vicino la tv. Guardavo fuori le poche macchine che passavano. Pioveva e la pioggia picchiettava il vetro rendendo la vista fuori opaca, difficile, come quella che avevamo noi adesso nell’osservare la nostra situazione dall’interno.

- Che c’è ti sei pentito? Ti immaginavi che era tutto rose e fiori come nei film? - La sua risposta stizzita mi fece male. Lei aveva alzato di nuovo le sue barricate e contemporaneamente mi aveva lasciato fuori, attaccandomi frontalmente.
- Non mettermi in bocca cose che non ho detto. Io non mi pento di niente e rifarei tutto mille volte per averti qui con lui. Però posso avere anche io i miei momenti di panico, di nervoso? Posso dirtelo senza che tu pensi che non siete quello che voglio?
- Però ogni volta che lo dici ti lasci sempre scappare la frase per ricordarmi che tutto questo è solo colpa mia. Lo so quali sono le mie colpe. Sfogati una volta per tutte, dimmi tutto quello che mi devi dire.
- Io non ti devo dire niente Ziva! Se quando ti espongo dei fatti tu prendi tutto quello che ti dico come un attacco personale io non so più come devo parlarti! Se ogni volta che ti devo dire qualcosa devo stare sempre a soppesare le parole per evitare che tu poi pensi che ce l’ho con te, non sono più io.
- Abbassa la voce però, se no si sveglia.
Sospirai buttando fuori dai polmoni l’aria violentemente, come se cercassi di buttare via anche quel senso di disagio che avevo dentro.
- Vorrei essere un padre normale. Che gioca con suo figlio, che lo può abbracciare quando lo vede senza che se ne va dall’altra parte, che non si sveglia se gli accarezza i capelli. Vorrei leggergli una favola per farlo addormentare, vorrei che dormisse abbracciato con me. Vorrei che facesse con me tutte quelle cose che fa sempre con te. - Ero talmente nervoso che mi veniva da piangere.
- Tony ma che mi stai dicendo, che sei geloso del rapporto mio e di Nathan?
- Non sono io ad essere geloso di te. E’ lui ad essere geloso di me! - Ero esasperato e finalmente glielo avevo detto e lo avevo detto a me stesso. Nathan era geloso di me, lo vedevo come mi guardava ogni volta che mi avvicinavo a sua madre, come se stessi invadendo un territorio solo suo. Era palese, ma lei questa cosa non la voleva nemmeno prendere in considerazione.
- Tony non dire cavolate. Come può un bambino essere geloso dai!
- Lasciamo stare Ziva. Vado a dormire.

In realtà quella notte non dormii per niente. Continuavo a pensare a lei e a mio figlio, a quel rapporto bellissimo ed unico che avevano, ma che mi stava escludendo dalle loro vite. 
Stavo cominciando a non sentire più quella come la mia casa, quella che avevo comprato, voluto e arredato, nella mia mente sempre nell'idea che un giorno lì ci fosse lei e con lei la famiglia che avremmo avuto insieme. Ecco perché quella stanza era sempre stata vuota, ora aveva un senso.
Quante volte mi ero ritrovato, negli anni, a pensare che tutto quello che avevo fatto era solo perché avevo sempre sperato che doveva essere così, che ci doveva essere un noi nel nostro futuro. Ecco perché mai nessuna aveva dormito nel mio letto, perché per me era sempre stato il nostro.
Ed ora, invece, avevo lì tutto quello che avevo sempre voluto, ma mancavo io. Non fisicamente, ma emotivamente. Mi sentivo un estraneo da tutto. Uno in più. 
Le avrei voluto parlare la mattina dopo ma non me ne diede il modo. Avrei aspettato la sera, ormai l’appuntamento fisso delle nostre discussioni.

- Penso che sarebbe il caso che Nathan cominciasse ad andare a quell'asilo che diceva Gibbs
- Non credo sia ancora pronto Tony, è passato poco tempo.
- Beh se rimane tutto il tempo con te non lo sarà mai
- Che vuoi dire Tony?
- Niente solo che penso che se passasse un po' di tempo con altri bambini e altre persone sarebbe meglio per lui che stare tutto il giorno solo con te.
- Pensi di sapere cosa è meglio per lui più di me?  - Rispose stizzita. Mi ero permesso di mettere un piede in quello che lei evidentemente considerava un recinto privato: la vita di Nathan.
- Ziva non è una gara. Ti ho solo detto quello che penso che sia meglio per nostro figlio. Penso che, nonostante tutto quello che è successo, per lui sarebbe meglio avere una vita normale, come tutti i bambini, facendo le cose che fanno tutti.
- Lui ora ha bisogno di stare con me, lo vedi che mi cerca sempre? - Si giustificava, ma dubitavo che avesse sentito anche solo mezza parola di quello che le avevo detto. 
- Ha bisogno lui di te o te di lui? - Le dissi in modo sarcastico. Ecco il punto della questione.
- Smettila Tony. 
- No Ziva, non la smetto. Tu adesso hai il terrore di lasciarlo solo, di non averlo costantemente sotto il tuo controllo. Io ti capisco, capisco le tue paure.
- Non credo Tony che riesci a capire come mi sento. - Altri muri, altre barriere. Io ero quello che non capiva, quindi non poteva mettere bocca su niente. Non sapevo, non conoscevo e non capivo, secondo lei. Quindi perchè mi intromettevo?
- Ci provo Ziva. Ci sto provando. So che ti senti in colpa, so che per questo non lo vuoi lasciare mai. Ma Nathan ha bisogno anche di fare una vita da bambino normale, per abituarsi anche alla sua nuova vita.
- So di cosa ha bisogno mio figlio. 
- Nostro figlio, Ziva. Nostro figlio. Non te lo dimenticare. - Ci tenni a precisare mentre entrambi avevamo già perso i buoni propositi di stare calmi
- Cosa vuoi dire Tony? Pensi che non lo sappia?
- Lo sai ma ti comporti come se non lo fosse. Mi escludi da ogni decisione che lo riguarda. E scusami non è colpa mia se non conosco mio figlio come te. Ma questo non vuol dire che anche io non posso avere delle mie idee su cosa penso sia meglio per lui.
- Lo hai detto tu, non lo conosci. - Voleva troncare il discorso, io non ne avevo per niente voglia, invece e ribattevo colpo su colpo.
- Già non lo conosco, ma cerco di usare quel buonsenso che a te ora pare mancare. - Ormai era uno scontro frontale su tutta la linea.
- Credi che non sia in grado di capire quello di cui ha bisogno? 
- Non ho detto questo! - urlai - vorrei solo che decidessimo insieme quello che è meglio per lui!
Nathan si svegliò e cominciò a piangere e chiamare la mamma e mise fine alla nostra battaglia verbale.
- Sicuramente questo non è il meglio per lui - mi disse severa mentre andava da lui.
- Sicuramente Ziva… 

La mattina dopo mi alzai presto, fuori era ancora buio. Non dormii molto quella notte sul divano. Non so se Nathan avesse dormito con Ziva oppure no. Nemmeno mi interessava. Trovai orribile quel pensiero e lo scacciai subito dalla mia mente, ma quella sera ero io che avevo avuto bisogno di stare da solo, per pensare a tutto quello che stava accadendo, per capire. 
Mi sentivo un ospite a casa mia, questa situazione stava facendo male a tutti. Non era questo quello che avevo immaginato, che avrei voluto per noi. Non dovevamo sopportarci: parlavamo solo per litigare e quel contatto fisico che c’era sembrava sempre un qualcosa di riparatore, ma non volevo questo. Non volevo un bacio solo perchè non riuscivamo a spiegarci, come compensazione per un’altra mancanza. Mi stava anche cominciando a dare fastidio questo tipo di contatto forzato quasi ostentato certe volte, non c’era la  spontaneità del gesto e del sentimento.
Aspettai che facesse giorno, poi me ne andai. Non sapevo dove ma restare lì, da intruso, stava solo creando problemi. A tutti, soprattutto a Nathan. Il suo pianto ad interrompere la nostra discussione era stato il mio punto di non ritorno. Non potevamo essere noi la causa del pianto di nostro figlio.

 

 

NOTA: Io sono sicura che non vi sareste mai aspettati un risvolto di questo tipo, sono stata un po’ cattiva, lo so, ma poteva andare tutto bene in una situazione del genere? Ci sono troppi equilibri che si vanno a rompere. Tony che non ha mai avuto a che fare con suo figlio e non riesce a comunicarci e questo per lui è frustrante. Ziva che si è sempre occupata di suo figlio da sola e quindi con il carattere che ha, non le viene facile cedere il controllo sulla cosa che lei ritiene più sua al mondo. Nathan dal canto suo era abituato ad avere la mamma solo per se, la ritrova dopo una prolungata e forzata separazione. E’ in un altra nazione ed è tutto diverso e c’è un “intruso” nelle loro vite, una persona che non aveva mai visto che era solo un nome astratto, normale sia diffidente. 

In tutto questo, ovviamente, anche il rapporto tra loro due ne risente, non potrebbe essere altrimenti, in fondo stanno insieme solo da pochi mesi. E stanno tutti e due male.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** The Reason ***


… I've found a reason for me 
To change who I used to be 
A reason to start over new 
and the reason is you …

 

Misi il cappotto, presi il mio zaino e lasciai le chiavi di casa nella scatola dove le riponevo sempre quando rientravo. Aprii la porta e mi guardai indietro. C'era sul mobile la nostra foto insieme. Quante volte l'avevo vista e le avevo sorriso quando ero solo? Ogni volta che ero rientrato a casa, perché vederla lì, se da una parte aumentava sempre più il mio senso di tristezza e nostalgia, dall'altra era la cosa che mi faceva sentire di più a casa, un’àncora al passato e una speranza per il futuro. La presi in mano la guardai sforzandomi di non piangere ripensando a quei tre maledetti anni che erano, ancora, anche se in modo diverso, la causa di tutto il mio dolore. Riposi la cornice con la parte della foto appoggiata sulla superficie sul mobile per non vederla ancora. In lontananza sulla libreria vedevo sfocate, invece, le foto di lei e mio figlio. Ecco la differenza. Ora erano loro, non eravamo ancora noi, se mai lo saremmo stati.
Chiusi la porta dietro di me cercando di non fare rumore, per non svegliarli. Sarebbe stato tutto più difficile.

Il cafè era particolarmente affollato quella mattina, forse perchè era molto presto ed io di solito non ci andavo mai a quell’ora. Ordinai un caffè e un muffin. Aspettai che il mio ordine fosse pronto e poi mi accomodai su uno dei sgabelli vicino alla vetrina, appoggiando la tazza fumante sul tavolo rotondo davanti a me. Usavo la tazza calda per scaldarmi le mani, roteandola tra i palmi.
L’ultima volta che ero stato lì era stata la mattina del mio rapimento. Sorrisi da solo ripensando a come mi ero fatto fregare come un vero pivello, a quanto i nostri desideri siano capaci di offuscare la ragione, portandoci a credere quello che la nostra mente vorrebbe che fosse, fregandocene se razionalmente sappiamo che quello è impossibile. Avrei tanto voluto rivederla che sono stato anche disposto a credere che lei mi avesse fatto cercare per vedermi perchè aveva bisogno di me, e mi ero anche preoccupato che non avrei fatto in tempo a vederla. Si può essere più stupidi?
Bevvi un sorso di caffè, era bollente e lo sentivo scivolare nel mio corpo lasciando una scia calda. La paura di non fare in tempo a salutarla un’ultima volta: mi venivano i brividi al solo pensiero ancora oggi.
Fuori da lì, nel freddo di quella mattina di febbraio, le persone correvano come sempre, affrettati nelle loro vite. Io invece quel giorno non avevo nessuna fretta di fare niente. Avessi potuto avrei anche smesso di pensare. 
Ero uscito di casa senza chiavi, senza macchina, senza cellulare. Avevo prelevato un po’ di contanti al bancomat sotto casa, solo per essere sicuro che nelle prossime ore non avrei usato la carta di credito. Volevo stare solo, realmente. Non la solitudine finta, quella che senti dentro di te quando stai in mezzo agli altri ma ti senti escluso. Solo. Io. Con me stesso. E basta.
Ero convinto che quegli anni mi avevano fatto crescere, che tutti gli ultimi avvenimenti mi avevano fatto diventare un uomo più maturo, era anche ora che lo diventassi. Invece mi ero ritrovato per l’ennesima volta a scappare via, quando non riuscivo più a sopportare una situazione. Mi sentivo soffocare e solo andandomene mi sembrava di trovare ossigeno per respirare. Ma respirare non voleva dire stare meglio, voleva dire solo sopravvivere.

In questi mesi avevo imparato a dare tutt’altro senso alla parola vivere. Vivere era dormire abbracciati, stare accoccolati sul divano, mangiare cinese guardando un film rubandoci il cibo a vicenda, mangiare una pizza mordendo ognuno lo spicchio dell’altro, il bacio del buongiorno la mattina, il mio caffè ed il suo tè fumanti sul bancone della cucina, ritrovarsi a camminare mano nella mano come due adolescenti e ridere quando ce ne rendevamo conto. Vivere era anche piangere insieme o ognuno per conto suo mentre l’altro ti asciuga le lacrime, ti dice che andrà tutto bene e ti accarezza i capelli. Vivere era litigare, fare l’amore, ridere, guardarci in silenzio e dirci tutto senza bisogno di parlare.
Poi le ci siamo trovati a piangere di nascosto, litigate erano diventate l’unica via di comunicazione, fare l’amore era solo sesso, le risate erano nervose e imbarazzate e il silenzio era muto. Eravamo sempre noi? Potevamo in pochi giorni essere diventati due estranei conviventi? Aver perso tutto quello che ci aveva sempre unito, anche quando non stavamo insieme?
Sapevo che non l’avrei scoperto scappando e stando da solo, che così le avrei dato solo modo di pensare che in fondo ero l’immaturo di sempre. Però non riuscivo a trovare altra strada se non quella di fuggire da quella casa dove ormai ero un intruso tra Ziva e Nathan, tra la donna che amavo e mio figlio. Per il bene mio ed anche per il loro. Ci avevo pensato tutta la notte e quella era l’unica soluzione praticabile che mi veniva in mente, almeno, fino a quando, non riuscivo a farmi accettare come padre, non solo da mio figlio, ma anche da lei.

 

--- --- --- --- ---

 

Quando mi alzai Tony non c’era, andai a farmi un tè in cucina. Non lo chiamai, non volevo sentirlo, non dopo la sera prima. Qualche ora per riflettere avrebbero fatto bene a tutti e due. Avevamo esagerato, era evidente.

L’acqua era calda al punto giusto, non bollente, misi le foglioline in infusione e le lasciai riposare mentre andavo in camera di mio figlio. Nathan ancora dormiva tranquillo nel suo letto, si era scoperto come al solito durante le sue battaglie notturne con lenzuolo e coperte. Lo coprii facendo attenzione e a non svegliarlo, lui si lamentò un po’, ma continuò a dormire abbracciando l’elefantino azzurro che dormiva con lui. In quei gesti lo rivedevo neonato nella sua culla, quando dormiva solo se sentiva il calore del suo pupazzo preferito vicino a se. Tra pochi mesi avrebbe compiuto tre anni, il tempo volava e quasi non me ne rendevo conto, se pensavo a lui.
Il tè nero indiano aromatizzato con scorza d’arancia e spezie che avevo scelto per quella mattina era pronto. Scuro e forte al punto giusto da non dover invidiare niente ad un caffè, con un leggero retrogusto affumicato. Non era uno di quelli che facevo spesso, ma avevo bisogno di qualcosa di energico. La discussione della sera prima mi aveva stranito, ma la cosa che mi aveva lasciato di più un senso di malessere era l’aver dormito tutta la notte da sola. Tony non era venuto a dormire nel nostro letto, nonostante Nathan fosse rimasto tutta la notte nel suo. Aveva voluto mettere ancora più distanza tra noi. Lo avevo lasciato guardare la tv e speravo che poi mi avrebbe raggiunto, come sempre, magari aspettando che mi addormentassi per non dover parlare ancora. Invece no, quando mi svegliai notai subito la sua parte di letto ancora intatta. Un sorso dopo l’altro finii il mio tè e fu allora che mi accorsi che sul tavolo c’era qualcosa di insolito. Il cellulare di Tony. 

Controllai l’ora, e al diavolo tutto, chiamai in ufficio. Il suo numero suonava a vuoto, fino a quando qualcuno non rispose, ma la voce non era quella di Tony.
- Ciao Tim…
- Ehy Ziva, come va? - Feci cadere la sua domanda nel vuoto.
- Tony è lì?
- No… anzi, ti stavo per chiamare per chiederti dove potevo trovarlo, visto che non è venuto in ufficio e non risponde al cellulare.
- Il suo cellulare è qui a casa, ma lui è uscito presto questa mattina. Credevo fosse venuto lì per un caso.
- No, Ziva, non è venuto a lavoro… Va tutto bene?
- Non proprio… Ieri sera abbiamo discusso. Non so dove sia.
- Devo fare qualcosa per te?
- No… non ti preoccupare, gli passerà.
- Sicura Ziva?
- Sicura, Grazie Tim.

No, non ero sicura per niente. Camminai nervosamente in casa e quando vidi la nostra foto capovolta e le sue chiavi sul mobile dell’ingresso rimasi pietrificata. Non voleva sentirmi, non voleva tornare? Era un dubbio o una constatazione?
Presi la cornice e guardai la foto. Eravamo più giovani e ridevamo. Non ricordavo quando era stata scattata, chissà cosa stavamo facendo, chissà perchè quella foto. Era un momento rubato alla normalità, eravamo noi. La rimisi al suo posto, come doveva stare. Siamo veramente a questo punto Tony? Dove ti sei cacciato… 

Era ora di svegliare Nathan quando andai da lui, invece, lo trovai già sveglio che giocava tranquillo che il suo pupazzo. Il suo sorriso innocente mi distolse per qualche minuto da tutto il resto. Lo lavai e lo vestii con uno di quei completi che a Tony piacevano tanto, poco pratici ma molto alla moda. Gli feci una foto e quando stavo per mandargliela pensai che il suo telefono era di là, spento. Ma gliela inviai comunque.
Preparai la colazione per Nathan e, appoggiata al bancone, lo osservai mangiare da solo il suo latte con i cereali benedicendo l’inventore di quei bavaglini così grandi. Quella mattina eravamo di nuovo io e lui. Solo io e lui.
- Cosa facciamo oggi? - Gli chiesi appena spostò la tazza da davanti a se, segno inequivocabile che non voleva più mangiare.
- Cartoni!
- Va bene piccolo.

Gli scompigliai un po’ i capelli che tanto erano sempre ribelli, misi nel lavello la tazza e ci andammo a sedere sul divano dopo che ebbe scelto, con estrema cura, osservando tutte le copertine, cosa guardare. La prima scelta ricadde, nemmeno a dirlo, sul nuovo cartone sui dinosauri che Tony gli aveva comprato pochi giorni prima e che aveva apprezzato moltissimo. 
Sorridevo nel vedere quel cucciolo di uomo con i capelli arruffati e gli occhi verdi giocare con il suo amico dinosauro, mentre Nathan imitava i gesti del cavernicolo e gli assomigliava anche un po’.
In un’altra occasione non sarei stata d’accordo a metterci davanti alla tv già dalla mattina, ma quel giorno ringraziai che Nathan volesse stare a casa in totale relax e mentre lui seguiva le avventure dei due sullo schermo, io mi feci di nuovo avvolgere dai miei pensieri.

Non posso vivere senza di te. Quante volte negli anni avevo ripensato a quella frase, custodita gelosamente nel mio cuore? L'avevo sempre data per scontata anche quando eravamo lontani. Sapevo quanto era vera, non perché l'avesse detta in un momento in cui non poteva mentire, ma perché l'aveva sempre dimostrato. Ed io avevo vissuto, anche la nostra lontananza, con questa certezza nascosta nella mia mente, celata prima di tutto a me stessa, ma che nel mio inconscio era sempre presente. 
E lo era anche quando in ospedale vivevo quei giorni nella disperazione più totale. Quella era una reazione dettata dallo shock, istintiva, emotiva, di chi doveva smaltire rabbia, delusione e dolore, lo stesso dolore che provavo io, che non mi faceva vedere vie d’uscita.
Ora no. Non era così. C'erano state liti, sì, ma cose che erano normali in una coppia, almeno così credevo. Ora se n'era andato in modo tranquillo, ragionato. Non era istinto che diventava azione, ma un pensiero che si era trasformato in una decisione. 
Le chiavi lasciate nella scatola, la nostra foto rivoltata e nascosta. Era andato via non tra urla e insulti, ma nel silenzio di una mattina di inizio febbraio. Fredda, grigia, nebbiosa, esattamente come vedevo ora la mia vita.

Ormai era pomeriggio e Tony non si era fatto sentire. Nathan si era svegliato tardi e non ne voleva sapere di dormire e dopo una mattina passata in tranquillità a vedere i cartoni, nel pomeriggio si era stranito e non trovava niente da fare che lo soddisfacesse ed io ero dell’umore peggiore per gestire i suoi capricci ed il suo malumore. Pensai che lo avevo contagiato con il mio, mentre eravamo in camera sua e stava letteralmente svuotando il box con le palline colorate lanciandole ovunque mentre cercavo pazientemente di recuperarle.

Quando il cellulare squillò ed apparve un numero anonimo mi affrettai a rispondere.
- Ciao, sono io - Era lui. Ma la voce non sembrava nemmeno la sua. Fredda e piatta.
- Dove sei? - Nemmeno la mia voce sembrava la mia. Ansiosa e tremante.
- Non ti preoccupare sto bene.
- Quando torni?
- Non lo so ma non ti preoccupare.

Riagganciò. Non mi disse nulla in pratica. Allora perchè aveva chiamato? Per far sentire che stava bene? Facile per lui dire di non preoccuparmi. Di cosa non dovevo preoccuparmi? Di lui? Di come stava? Di dove era?
Non dovevo preoccuparmi che era andato via dalla mattina senza farmi sapere nulla? Che non sapevo se e quando sarebbe tornato a casa? Se voleva tornare a casa?
Erano tutte domande che mi preoccupavano, mi preoccupavano tantissimo. 

Chiamai Tim e gli chiesi di dirmi da dove era stata fatta l’ultima chiamata che avevo ricevuto. 
Ci mise poco a scoprirlo: proveniva da un telefono pubblico tra la Constitution e la 6°. 
Feci mente locale su dove fosse quel posto. Cercai velocemente un numero nella rubrica. Il telefono squillava.

- Gael, ciao sono Ziva
- Ciao dolce Ziva!
- Mi serve un favore urgentissimo. Puoi venire qui da me e tenermi qualche ora Nathan?
- Ma certo, dammi il tempo di arrivare. Qualsiasi cosa per te Ma Chère

Era la prima volta che lo lasciavo solo, che lo lasciavo a qualcuno. Non avevo avuto nemmeno il tempo di pensarci e di preoccuparmi. Appena Gael arrivò diedi un bacio a Nathan dicendogli che sarei tornata presto. Lui non sembrò preoccupato e la cosa mi tranquillizzò almeno un po’. 
Corsi velocemente a prendere la mia auto e guidai come il mio solito, in quel modo che Tony odiava tanto.
Speravo di avere ragione, che fosse lì. Volevo illudermi che ci fosse, perchè sarebbe stato importante se fosse stato proprio lì. Non sapevo cosa gli avrei detto e cosa avrei fatto. Avevo pensato tutto il giorno a lui e a noi, ma non a cosa dirgli, non sapevo nemmeno se mi avrebbe fatto parlare.

Ma lui era lì, avevo ragione. Era seduto, da solo, sulla nostra panchina a Stanton Park che guardava i bambini giocare tra gli ultimi deboli raggi di sole uscito dopo una mattina di totale grigiore. 

- Posso? - Gli chiesi avvicinandomi piano. Alzò la testa sorpreso di vedermi, non si era accorto che ero alle sue spalle e lo stavo osservando già da qualche minuto, cercando il coraggio di parlargli. Chissà da quanto era lì.
- Non hai perso il tuo passo da ninja… - si sforzò di sorridere ma il suo volto teso non si mosse molto.
- Mi posso sedere? - Gli chiesi di nuovo con un filo di voce.
- Se ti dicessi di no cambierebbe qualcosa?
- Cambierebbe tutto, Tony.
- Prego allora. Come sapevi che ero qui?
- Non lo sapevo. Ci speravo. - Gli avrei dovuto dire che avevo fatto controllare il mio telefono da Tim e che avevo ricollegato la cabina telefonica al parco? No. Non glielo dissi.
- Sono successe tante cose da quella sera, in poco tempo. - Il suo tono non era più piatto come al telefono, era triste e rassegnato.
Teneva le braccia appoggiate sulle gambe, con le mani giunte e lo sguardo fisso verso un punto indefinito davanti a se. Ogni tanto abbassava la testa fissando i sassi del viottolo. Io mi giravo nervosamente l'anello al dito, adesso mi sembrava pesasse enormemente. Ripensai a tutto quello che era accaduto quella sera, quella meravigliosa sera. 
- È stata una delle sere più belle della mia vita. - Gli dissi sincera
- Già, in quel momento lo era anche per me. - Era a pochi centimetri da me, lo sentivo distante come non mai.
- Quella notte, mentre tu eri in bagno, quando Noah mi ha chiamato, mi ha fatto parlare con Nathan.
- Non è necessario parlarne. - Non mi fece continuare a parlare.
- Invece sì. È necessario parlare di tutto adesso. E se ti è sembrato che non fossi felice come te, non era così. Ero solo preoccupata…
- Scusa Ziva, ma non ne ho più voglia ora. Non più. - Mi interruppe ancora. Guardava dritto davanti a se, senza mai cercare il mio sguardo, mantenendosi a distanza, non solo fisica.
- Non mi dire così. - Non più, cosa voleva dire che non aveva più voglia di parlare di noi? Ero terrorizzata.
- Penso che per adesso tu e Nathan starete meglio senza di me. Almeno fino a che lui non si è abituato, abituato a me. E anche tu. 
- Io non mi devo abituare a te.
- Sì che devi farlo. Devi abituarti che non sei sola. E fino a quando non lo capirai, tolgo il disturbo.
- Tu non disturbi, ma cosa stai dicendo.
- Allora mettiamola così, la situazione disturba me, quindi me ne vado per un po’ di tempo. Almeno.

Almeno? Quell’aggiunta alla sua frase era come se mi avessero legato un blocco di cemento ai piedi dopo avermi buttato in mare.

- No! No, questo non te lo permetto Tony! 
- Non sei tu a dovermelo permettere, sono io a farlo.
- No Tony, no! Non fare come me, ti prego. Non scappare. Io ho bisogno di te. - Poggiai la mano sul suo braccio ma lui si scansò togliendola. Avrei voluto piangere solo per quel gesto. Non era un gesto da Tony. Solo un’altra volta lo aveva fatto e non volevo nemmeno pensarci.
- Non è vero. Te la sei cavata benissimo in Israele senza di me. Nathan è venuto su molto bene. Vuol dire che sei stata una buona madre. Hai ragione tu, io non posso arrivare adesso ed interferire con quello che è sempre stato. Non posso mettere in discussione la sua educazione. Ziva io voglio solo che voi due stiate bene e siate felici. E lo sarete di più senza di me, mi pare evidente.
- Non è vero Tony. Lo sai che non è così.
- Sì invece. Ultimamente sappiamo solo discutere e non va bene. Non è in questo clima che deve crescere mio figlio. Io voglio che stia in una casa felice, senza persone che urlano e che alzano la voce. Che viva la sua infanzia senza preoccuparsi che qualcuno che litiga lo svegli la notte, senza doversi preoccupare di nascondere la testa sotto un cuscino per non sentire i genitori litigare. Lo sai vero questo cosa vuol dire. Non lo vuoi nemmeno tu, lo so.

Certo che lo sapevo. Le urla tra i miei genitori prima che mio padre se ne andasse di casa e noi andassimo via da Israele le ricordo bene. E ricordo soprattutto come Tali piangeva e si rifugiava tra le mie braccia con le mani a coprirsi le orecchie. Quando la alzavo e la scuotevo perchè singhiozzava talmente tanto che avevo paura si soffocasse. Sapevo cosa voleva dire stare con dei genitori che litigano, ma eravamo veramente arrivati a questo punto io e lui? Non era possibile che non me ne fossi accorta, era lui che stava estremizzando. Certo avevamo discusse alcune volte, ma non così.
Sapevo bene anche cosa voleva dire vedere un padre andarsene ed ora no, non glielo avrei permesso. Tony sarebbe stato un ottimo padre, non uno che scappa dalle responsabilità.

- Nathan ha bisogno di suo padre.
- Non ancora. Lo dovresti aver capito. Io lo percepisco benissimo.
- Non è andandotene che capirà che ha bisogno di te. Anzi, si sentirà abbandonato dopo che gli avevi detto che non lo avresti lasciato. Non fare come tuo padre Tony. 
- Che c’entra mio padre Ziva?
- Non abbandonare tuo figlio per paura di gestire una situazione difficile. Non scegliere la strada più facile. 
- La più facile dici? Pensi che per me sia facile lasciare te e lui? Pensi che non vorrei poter stare con voi come… come un padre e un… marito… Mi si lacera il cuore se ci penso, se penso a quanto lo vorrei. Ma devo fare quello che è meglio per voi.
- Allora andiamo a casa. Questo è meglio per noi. Ti prego Tony. Andiamo a casa. 
- Vai tu Ziva, questo è meglio adesso. Ma lui dove l'hai lasciato?
- È con Gael.
- E non ti preoccupa la cosa?
- Sì, certo che mi preoccupa. L’ultima volta che l’ho lasciato ad un’amica sai cosa è successo. Ma ora mi preoccupava di più trovarti.
- Non mettere nostro figlio in secondo piano.
- Non esiste primo o secondo piano, Tony. Esistono i momenti. In questo momento Nathan può stare con Gael anche se io sono terrorizzata all’idea che non sia con me. Ma io ora dovevo trovare te, avevo bisogno di te.
- Mi hai trovato, sto bene Torna da lui ora.
- Sono io che non sto bene senza di te. - Provai a prendergli di nuovo la mano, ma lui mi vide e alzò la sua bloccando l’intenzione di ogni mio movimento.
- Ziva, vai da lui.
- Non fino a quando non verrai anche tu.
- Non fare così, complichi solo le mie scelte.
- Non le voglio complicare, le voglio cambiare. Aiutami ti prego Tony.
- A fare cosa?
- A correggere i miei errori. Se siamo oggi così è solo colpa mia. 
- A questo punto continuare a rinfacciarsi errori di 3 anni fa non ha più senso. Dobbiamo vedere la situazione che c'è oggi. E questa dice che non siamo pronti per essere una famiglia. È chiaro. Inutile illudersi.
- Ti arrendi dopo così poco tempo Tony? 
- Non mi sto arrendendo sto cercando di fare la cosa che crei meno problemi a nostro figlio. Lui con te sta bene, è felice. E tu sei felice quando sei con lui. Siete una cosa sola. Ed io non sono ancora in grado di entrare in questa cosa tra di voi. Magari più in là potrà accadere, ma non ora. Non voglio forzare nessuno. Ovviamente tu e lui rimarrete a casa nostra. Io mi troverò un posto dove stare. 
Casa nostra. C’era una speranza? Lo aveva detto per consuetudine? Gli presi la mano con un gesto rapido e deciso, provo a liberarsi dalla mia presa ma gliela strinsi più forte incrociando le mie dita con le sue. Me lo lasciò fare.
- Io non ti permetto di lasciarmi Anthony DiNozzo. Perché se ci penso mi manca il respiro e non voglio perderti, non più, non ancora una volta, non riesco a sopportare la tua assenza. Noi siamo una famiglia. Lo siamo già. Lo hai detto tu quando hai saputo di nostro figlio, lo eravamo già da allora. Con tutti i problemi che questo comporta. Ho sbagliato a voler imporre le mie convinzioni senza ascoltarti. Non è facile nemmeno per me tutto questo. Ho sempre fatto tutto da sola, è vero. Per me ed anche per lui, fino ad adesso. Non è facile cambiare. Ma lo voglio fare, e tutto quello verrà voglio affrontarlo con te. Se litigheremo e Nathan si sveglierà lo faremo riaddormentare insieme, lo porteremo a dormire con noi, così dopo sarà più tranquillo. Ma lo faremo insieme.

Il mio cellulare squillò interrompendoci.
- Dimmi Gael... Ok arriviamo
- Che succede? - La preoccupazione della mia voce si specchiò nella voce di Tony, che l’aveva subito percepita.
- Nathan ha la febbre. Andiamo a casa per favore Tony. Nostro figlio ha bisogno di noi.
- Ha bisogno di te. - Lasciò la mia mano per farmi andare via.
- Non fare il bambino Tony, non farmi perdere tempo. Andiamo da Nathan. 
- Non credo che sia la prima volta che ti capita che ha la febbre no? Sai sicuramente cavartela anche senza di me.
- No. Mi è capitato anche di peggio. L’ho dovuto portare in ospedale, perchè non respirava quasi più, ed aveva la febbre altissima. Sono stata due giorni e due notti senza dormire per rinfrescargli continuamente la fronte mentre era intubato perchè non riusciva a respirare da solo. Lo sai cosa sto provando in questo momento a sapere che è a casa, solo, ha la febbre e non so come sta? 
Non mi rispondeva e non sembrava intenzionato a seguirmi. Volevo andare da mio figlio, ma non volevo farlo senza di lui perchè lasciarlo lì voleva dire non sapere quando e se sarebbe tornato a casa da noi.
- Tony, avevi promesso che mi saresti stato vicino se ne avessi avuto bisogno, avevi promesso che ci saresti stato. Mi avevi promesso che saresti stato con me, che non mi avresti lasciato sola ad affrontare i problemi. Ho bisogno di te. Ora. Ho bisogno che tu venga a casa, con me, da nostro figlio.

NOTE: Non odiatemi per questo capitolo lasciato in sospeso, ma altrimenti sarebbe venuto veramente eccessivamente lungo. Vi lascio un paio di giorni con il dubbio della scelta di Tony, anche se credo che se avete letto fino ad ora la storia la risposta la immaginate tutti.
Tony sempre più esasperato dalla situazione reagisce un po' male, Ziva forse ha capito che ha esagerato in alcuni comportamenti, oppure ha solo paura?

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** I Knew I Loved You ***


… I knew I loved you, Before I found you
I knew I'd built my world around you
Now all my days and all my nights, 
And my tomorrows
Will all begin and end with you …

- Gael dov’è Nathan? - Chiesi appena entrata in casa mentre Tony chiudeva la porta.
- Nel suo letto. Sta dormendo
Buttai la giacca e la borsa sul divano e corsi in camera sua e lo presi in braccio: lui si svegliò lamentandosi. Gli sentivo la fronte era un po’ calda ma nulla di preoccupante.
- Come sta? - Mi chiese Tony agitato
- Ha un po’ di febbre, ma nulla di grave.
- Sei sicura? Non è meglio chiamare un medico per farlo visitare?
- No, stai tranquillo. Se non si alza di più, non c’è problema. Senti, respira bene, è solo un po’ di alterazione
Lo cullai un po’ per farlo addormentare di nuovo e lo fece in pochi minuti.
- Non volevo preoccuparti Ma Chére - mi disse Gael - Ma non sono molto esperto di bambini con la febbre, ho chiamato anche Ayman mi ha detto che non sembrava nulla di cui preoccuparsi
- Hai fatto benissimo a chiamare, anzi grazie per essere venuto con così poco preavviso e ringrazia Ayman per il consulto telefonico - Gael era sempre disponibile ed il fatto che avesse anche chiamato il suo compagno medico per avere rassicurazioni mi faceva capire che avevo lasciato mio figlio in ottime mani, perchè dove non arrivava con l’esperienza di occuparsi si un bambino sopperiva con la sua totale abnegazione.
- È sempre un piacere per me esserti d’aiuto, tesoro. Beh, ora che siete qui, vi lascio.
- Grazie - gli disse Tony salutandolo con una vigorosa stretta di mano.
- Salutaci Ayman - mi raccomandai
- Sarà fatto, date un bacio a Nathan da parte mia quando si sveglia.

Dopo aver accompagnato Gael alla porta, tornammo in camera di Nathan che dormiva tranquillo. Rimasi appoggiata alla porta con le braccia conserte a guardarlo per un po’, per essere sicura che dormisse bene. Tony era vicino a me e istintivamente con un braccio mi cinse il fianco. Spostai il peso dalla porta a lui, appoggiandomi al suo corpo. Era tutto quello che volevo. Lui, nostro figlio. Perchè doveva essere così complicata una cosa così semplice? Rimasi così qualche istante, poi Tony ritrasse il braccio e io mi staccai dal suo corpo. Si spostò di qualche centimetro con il busto, quel tanto che bastava per mettere di nuovo distanza tra noi. 

- Beh, vedo che sta bene - mi disse Tony mentre si stava rimettendo il cappotto. Gli misi una mano sul braccio per bloccarlo - Ziva, non rendere tutto più difficile.
- Lui sta bene, io no.
No, non stavo bene. Non stavo bene senza di lui, vederlo rivestirsi e andarsene come un ospite qualsiasi era devastante.
- Per favore Ziva. Te l’ho detto prima.
- Tony, non è solo per nostro figlio. È anche per me. Ti amo.
- Ti amo anche io. Ma evidentemente non basta adesso.
Sentivo le sue parole vuote. Mi aveva detto “Ti amo” ma erano solo due parole, non avevano quel significato o almeno io non lo sentivo. Era una risposta cortese al mio. Qualcosa di dovuto, forse, perchè si fa così. Come quando uno ti chiede “Come stai” e tu rispondi “Bene” anche se vorresti morire in quel momento. Lo guardavo impassibile, imponendomi di non crollare emotivamente. Si era rivestito e stava andando verso la porta. Gli presi la mano stringendola forte e lui si girò. Non potevo credere che pensasse veramente quello che stava dicendo. Se mi amava come poteva non bastare? Nei suoi occhi c’era la stessa tristezza che c’era nei miei.
- Perchè dobbiamo farci del male? Ti prego Tony, non andartene. - Lo stavo letteralmente supplicando - Non è questo il modo di prenderti cura della tua famiglia e lo sai anche tu. 
- Vuoi giocare con i miei sensi di colpa David?
- Se serve per farti rimanere sì.
- Vorrei essere abbastanza forte da aprire quella porta ed andarmene, perché sarebbe la cosa migliore adesso.
- Allora adesso non voglio che tu sia forte.
Fece un passo avanti e approfittai di quella sua indecisione sul da farsi per avvicinarmi a lui e appoggiare la testa sul suo petto. Sentivo il battito del suo cuore accelerato. Lui non si mosse, ma non si allontanò. Mi lasciò fare, forse perchè preso alla sprovvista o, come speravo io, perchè, in fondo, lo voleva anche lui. Lo abbracciai titubante, speravo di sentire anche le sue braccia chiudersi intorno a me, ma non fu così. Non ero abituata a questo. Non era da Tony.  
- Non farlo mai più, per favore - lo pregai e non sapevo a cosa mi riferivo: all’andarsene, al non abbracciarmi quando lo facevo io, a parlarmi con quel tono distaccato. A tutto quanto.
- Sei sicura che è questo che vuoi?
- E’ quello che ho sempre voluto: te, nostro figlio… Ho chiamato Gibbs, torno a lavoro.
- Perché?
- E’ la cosa giusta da fare. Per tutti.
- Spero che tu lo dica perché sei convinta e non per farmi contento. Non è questo che voglio.
Rimasi abbracciata a lui ancora qualche istante, sperando fino all’ultimo che ricambiasse quell’abbraccio. Avevo bisogno di sentirmi protetta dalle sue braccia, che mi dicesse che era tutto ok, che era passato tutto. Ma non lo fece e non disse niente. Mi staccai a malincuore da lui.

Le sue parole erano dure e fredde, ma dalla sua espressione capii che questa cosa lo aveva colpito in positivo. Sapevo che non sarebbe stato facile staccarmi da Nathan, così come non lo era stato nel pomeriggio lasciarlo a Gael per andare al parco. Ma aveva ragione lui, ero più io ad avere bisogno di lui di quanto lui non ne avesse di me. Da quando era nato io mi ero completamente dedicata a lui. Erano pochissime le volte che mi separavo da lui per tanto tempo, al massimo un week end un paio di volte, eravamo sempre insieme quasi in simbiosi, un rapporto totalizzante. In più il pensiero di quando lo avevo lasciato a Tamar a Tel Aviv era persistente nella memoria e rappresentava un limite adesso, in ogni mia decisione.
Ora, però, aveva ragione Tony. Dovevo fare quello che era meglio per Nathan, farlo crescere in mezzo ad altri bambini, farlo ambientare in un posto nuovo, per capire che la sua vita adesso è qui, con noi.

- Dai togliti questo cappotto e aiutami a preparare la cena

- Sai David - mi disse mentre stavamo cenando - a volte mi chiedo se riusciremo mai ad essere tranquilli e felici come tutte le persone normali.
- Tranquilli non lo so, però io sono felice anche adesso. - Gli misi la sua mano sotto la mia - Non vorrei mai che tu pensassi che per è cambiato qualcosa. Ti Amo, anche se non te lo dico spesso quanto dovrei.

Non mi rispose, non mi disse, come prima, che mi amava anche lui. Quante volte avevo dato per scontato quelle due parole dette da lui? Quante volte ridendo gli avevo detto che lo sapevo. Ora non lo sapevo più, ed avrei tanto voluto sentirmelo dire.
Però voleva essere felice con noi. Almeno questo avevo capito. Nella mia mente passò un flash che lui per essere felice aveva bisogno di altro rispetto a noi, ma cercai di scacciare quel pensiero il più lontano possibile e mi concentrai sulla mia mano. Non l’aveva tolta, non rifiutava il contatto con me. Era positivo.

Misi a posto la cucina mentre Tony stava sulla porta della camera di Nathan a guardarlo dormire. Lo raggiunsi e gli chiesi sottovoce se aveva controllato se era caldo. Mi disse di no, quindi lo feci io e per fortuna la febbre non c’era già più, la fronte era fresca, respirava normalmente e dormiva tranquillo. Chissà se si rendeva conto di quello che stavamo passando noi, se aveva avvertito questa situazione di tensione ed era questo che lo aveva fatto stare male o se, come speravo, era troppo piccolo per accorgersene.. Mi sentii in colpa pensando che quella febbre passeggera fosse dovuta al fatto che lo avevo lasciato solo. 

- Sta bene - gli dissi - ha avuto solo uno sbalzo di temperatura.
Andai in camera, lui rimase ancora un po’ lì. Diceva che se non poteva godersi suo figlio come voleva quando era sveglio, lo faceva quando dormiva ed mi si stringeva il cuore a sentirlo parlare così.
Mentre mi stavo spogliando sentii Nathan lamentarsi, si era svegliato ed ebbi subito l’istinto di andarlo a prendere, ma c’era suo padre con lui ed andai in bagno a lavarmi i denti. Quando aprii la porta del bagno li vidi entrambi sdraiati sul lettone, Tony mi vide subito e gli feci cenno di non dire nulla. Li guardai per un po’, si osservavano distanti, si studiavano, ogni tanto si sorridevano anche: dovevano conoscersi anche con quei momenti di silenzi. Poi Nathan si girò e mi vide e volle subito che andassi a sdraiarmi vicino a lui per buttarsi tra le mie braccia. Tony fece per alzarsi, come tutte le sere che Nathan voleva dormire con me, ma il mio “no” perentorio lo convinse questa volta a rimanere con noi.
Si sdraiò e mi accarezzò per un attimo il braccio stando attento a non sfiorare Nathan che dormiva beato. Era bastato quel leggero tocco a farmi felice, avrei voluto di più, ma non potevo chiederglielo. Non parlavamo ma nella penombra ci guardavamo e speravo che bastassero i miei sguardi per comunicargli tutto quello che avevo dentro e che avrei voluto dirgli in quel momento.

 

— — — — — 

 

Nathan la mattina dopo si svegliò come se nulla fosse. Stava bene era vivace come tutti i giorni e come tutti i giorni per farlo alzare dal letto ci volle una grande dose di coccole di Ziva, ben felice di fargliele.
Io ero già pronto e li stavo aspettando per andare insieme al distretto navale, Ziva aveva deciso che sarebbe tornata a lavoro oggi stesso visto che Nathan stava bene, perchè altrimenti se avesse avuto modo di aspettare e ripensarci sarebbe stato più difficile.

Il giorno precedente mi aveva emotivamente distrutto. Forse avevo reagito con troppa impulsività, avevo estremizzato la situazione, ma era veramente difficile. Ziva sembrava aver capito, almeno in parte, il mio malessere. 
Lei aveva accusato più di quanto pensassi il mio gesto, si era dimostrata molto più fragile di quanto potessi immaginare. Non posso dire che la cosa mi facesse piacere, perchè sarei stato meschino a dire che mi faceva piacere vederla come l’avevo vista ieri, però sapere che lei pensava di aver bisogno di me, sì, mi aveva dato la speranza che qualcosa potesse cambiare. E se il mio gesto impulsivo fosse servito per farglielo capire, allora avevo fatto bene. 
Accesi il cellulare che era spento da due giorni e insieme alle tante notifiche delle chiamate, i messaggi di lavoro e promozionali, trovai quello di Ziva con la foto di Nathan del giorno prima. Mi aveva mandato un messaggio sapendo che avevo il telefono a casa, per farmi vedere che lo aveva vestito come piaceva a me. Come avevo pensato di potermene andare da tutto questo?

- Ehy, adesso sono io che la mattina devo aspettare che voi vi prepariate eh! - Gli dissi mentre finivano la colazione velocemente - Ometto oggi è una giornata importante lo sai? Conoscerai tanti bambini nuovi con cui giocare.
Come al solito non ottenni risposta.

Al nido del distretto navale erano già stati avvisati che saremmo arrivati. La storia di Ziva e Nathan ormai la conoscevano praticamente tutti in più la responsabile era un’amica di vecchia data di Gibbs, era stato lui a sincerarsi che tutto fosse ok per il bambino.
Il luogo era nell’edificio davanti al nostro, ben controllato ed accessibile solo mediante tesserini di autenticazione. Eravamo entrambi molto attenti a tutti i particolari e Ziva aveva molta paura che potesse accadere qualcosa a nostro figlio. Le stanze erano molto colorate, con tanti giochi di vario tipo per stimolare tutte le attività sensoriali dei bambini che erano divisi in due stanze in base all’età; un’area era dedicata al relax con i vari lettini e un’altra per mangiare.
- Capisco la vostra situazione agenti - ci disse la direttrice con atteggiamento molto conciliante e tono materno - sappiamo tutti quello che è successo a vostro figlio e quanto questo momento possa essere difficile, ma il nostro personale è più che qualificato, non è la prima volta che dobbiamo trattare con bambini che hanno subito dei traumi. Sapete meglio di me, con il vostro lavoro possono verificarsi situazioni spiacevoli anche per i piccoli…
- Beh, sì signora Tidwell, sono sicuro che siete perfettamente in grado di gestire la cosa, ma per me e per l’agente David non è comunque facile l’idea di lasciare nostro figlio da solo. - Le risposi mentre Ziva teneva in braccio Nathan e gli spiegava, per l’ennesima volta, cosa sarebbe successo. Lui non sembrava troppo preoccupato, ma si aggrappò forte intorno al collo della madre prima che lei lo mettesse giù dopo avergli dato l’ennesimo bacio. Vide gli altri bambini ma non se ne curò molto, si fiondò su una palla di peluche colorata che era in un angolo, la strinse a se e cominciò a giocare con quella.
- Sarà meglio che andiate ora che è distratto e sta giocando - ci disse la signora Tidwell - seguitemi nel mio ufficio così compiliamo la sua scheda.
Ci fece alcune domande sulle sue abitudini e preferenze, da quelle per i giochi a quelle alimentari, se era abituato a dormire il pomeriggio, se soffrisse di qualche allergia o malattia particolare. Ziva rispondeva a tutto ed io mi resi conto di sapere veramente ancora molto poco di lui. Ci diede poi il numero e disse che se avevamo dubbi o preoccupazioni in questi primi giorni potevamo chiamare quando volevamo per rassicurarci o anche passare a vedere come stava, anche se lei ci consigliò di evitare, per non creargli confusione. Le lasciammo i nostri numeri per sicurezza, in modo che ci avrebbe potuto rintracciare per qualsiasi cosa e Ziva le ricordò di farlo, almeno tre volte.

- Come ti senti? - Le chiesi mentre in ascensore stavamo andando in ufficio
- Preoccupata, tesa, impaurita… però anche felice. Spero che faccia bene a lui ed anche a noi.

Le porte si aprirono ed una nuova giornata di lavoro era pronta per cominciare, un altro nuovo inizio, l’ennesimo di quei mesi.
Le ore passarono abbastanza velocemente, Ziva chiamò il nido un paio di volte per assicurarsi che fosse tutto ok. Riuscì a resistere alla tentazione di andare a vedere se stava bene, anche quando rientrammo in ufficio dopo essere stati fuori per interrogare la madre di un Marines scomparso il giorno prima, ma poi si scoprì che il ragazzo si era “solo” ubriacato in un pub e non si era presentato per l’imbarco per questo motivo, nessun crimine violento, almeno per oggi. 
Passammo il resto della giornata a compilare dei rapporti, noioso lavoro di routine. Mancavano pochi minuti a quando saremmo tornati a casa, quando Gibbs ci chiamò

- Ziva, Di Nozzo!
- Sì Capo? - Pensando a cosa fosse successo a quell’ora dopo una giornata tranquilla…
- Credo che sia l’ora che andate a riprendere qualcuno. Per oggi basta così.
- Grazie Capo! - Era un pensiero gentile da parte sua, magari dircelo non come se dovevamo prepararci per una missione sarebbe stato meglio, ma non sarebbe stato Gibbs.

Accostai l’auto davanti all’entrata del nido.
- Vai, ti aspetto qui - Dissi a Ziva
- Vai tu - la sua risposta mi prese in contropiede
- Perchè?
- Penso che gli farà bene.

Scesi dall’auto e corsi velocemente verso il nido.
- Agente Di Nozzo, è venuto a prendere suo figlio!
- Sì, signora Tidwell - “mio figlio” ancora non mi ero abituato
Andò a prendere Nathan che stava giocando con delle costruzioni con un altro bambino, gli mise il piumino, la sciarpa ed il cappellino lo prese per mano e me lo portò.
Salutai la signora Tidwell dandole appuntamento al giorno dopo.
Vidi Nathan che mi guardava e poi si guardava intorno spaesato. Stava cercando la mamma ed era preoccupato di non vederla. I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime quando lo presi in braccio
- Mamma? - Mi chiese con la vocina di chi sta per piangere
- Ometto non piangere! Adesso andiamo da mamma. Lo sai che ti riporto sempre dalla tua mamma io. Te lo ricordi, vero?
- Sì - mi disse tirando su con il naso. E poi si appoggiò sulla mia spalla.
- Non ti preoccupare Nathan, nessuno ti dividerà più dalla tua mamma.
Ziva ci aspettava in piedi appoggiata all’auto, sorrise quando ci vide. Tenevo Nathan stretto stretto tra le mie braccia, era una delle poche volte che lo avevo fatto da quando lo avevo riportato a casa. Lui con il viso contro il mio cappotto non si accorse che lei era proprio davanti a noi.
- Ehy ometto, guarda chi c’è? - Gli dissi voltandolo
- Mamma! - Il suo viso si illuminò e gli occhi ancora bagnati ora erano luminosi.
Ovviamente andò subito tra le sue braccia, ma in quel momento ero felice così. Capii perché aveva voluto che lo andassi a prendere io, era un modo per cercare di conquistarmi la sua fiducia, facendogli capire che io ero lì per riportarlo dalla mamma, non per portarlo via. Lo sistemammo nel seggiolino sul sedile posteriore, ma lui pretese che Ziva rimanesse vicino a lui e quella sera glielo concedemmo, così mi divertii a fare l’autista per loro. Durante il tragitto raccontò alla mamma che aveva conosciuto un bambino con cui aveva giocato, solo che lui non lo capiva tanto bene quando parlava e lei approfittò per esortarlo a parlare di più in inglese così avrebbe avuto tanti amici per giocare. Poi le chiese perché qui non c’erano bambini che parlavano come lui e spiegargli che adesso erano in un altro posto non fu facile, soprattutto quando chiese se sarebbero più tornati a casa. 
- Nathan, casa è dove c’è la tua famiglia. Casa è qui, ci siamo io e papà. Capito?
- Sì. - Speravo fosse vero.
Quella sera mangiò e crollò subito nel suo letto. Aspettai sul divano Ziva che si assicurava che si fosse addormentato. 

- Ecco - le dissi quando si sedette anche lei - questo è uno dei vantaggi del farlo stancare tutto il giorno all’asilo
- Sarebbe?
- Che si addormenta subito come un sasso. - Mi feci scappare una risata, poi le volli raccontare di quello che era successo prima - Quando sono andato a prenderlo e non ti ha visto è andato un attimo in crisi. Ti cercava e quando non ti ha visto si è messo a piangere.
- Sì, mi ero accorta che aveva gli occhi lucidi.
- Sapevi avrebbe reagito così, vero?
- Era probabile.
- Ho capito perché lo hai fatto. Grazie. 

Feci un po’ di zapping in tv, per poi lasciare su un vecchio film in bianco e nero cominciato da poco.
- Va bene? - Le chiesi indicando la tv. Le per tutta risposta si avvicinò a me
- Mi manchi. - Mi disse
- Sono qui.
- Dai lo sai cosa voglio dire.
- Sì lo so. 

 

— — — — — 

 

Mi diede un bacio sulla guancia e tornò a guardare la tv. Avrei preferito che mi prendesse a schiaffi, almeno potevo reagire e sfogarmi. Lui aveva capito cosa mi mancava, cosa avrei voluto da lui: avrei voluto lui. Invece mi diede un bacio sulla guancia, come si fa ad un amica, ad una collega o ad una sorella.
C’era sempre un noi? O eravamo io e lui lì, per nostro figlio, eravamo solo i genitori di Nathan? Come eravamo arrivati a questo che non era nemmeno più rabbia, era distacco. Cortese, gentile, ma distacco.
Mi spostai da lui, magari gli stavo anche dando fastidio, cosa ne potevo sapere a questo punto? Mi misi dall’altra parte del divano e lui, avvertendo la mancanza del mio corpo vicino al suo, allungò una mano e la mise sopra la mia. Non lo capivo. Ecco, questa era la cosa che in quel momento mi faceva stare peggio, insieme al fatto che non sapevo cosa dirgli. Avrei voluto chiederglielo ma temevo la risposta.
Da una parte mi allontanava, poi però mi cercava. Era un tira e molla a cui non ero più abituata, anzi così non ero mai stata abituata. Non erano più la situazione indefinita di prima, quando giocavamo a punzecchiarci senza mai andare oltre. Ormai oltre ci eravamo già andati, in tutti i modi possibili, nel bene e nel male. Non potevamo più giocare, almeno io non lo volevo e non capivo.
Non capivo lui, i suoi gesti, lui che era sempre stato il primo a cercare in ogni momento un contatto fisico, ora lo respingeva. Ero io? Era colpa mia? Non ero più quella che voleva? Mi vedeva diversa?
Mille dubbi, mille domande che lasciai annegare nella mia mente. Lasciai la sua mano stringere la mia, qualcosa doveva pure significare e mi sforzai di dargli solo significati positivi.

 

— — — — — 


Le nostre giornate stavano trovando sempre un equilibrio migliore. Nathan da quando andava all’asilo era molto più socievole con tutti, anche un po’ con me, anche se rimanevo il suo “nemico” principale per contendersi le attenzioni della mamma. Oramai era una prassi consolidata, la mattina Ziva lo lasciava all’asilo, la sera lo andavo a riprendere io. Dopo i primi giorni aveva capito che la mamma lo aspettava fuori e nemmeno piangeva più. Io ero diventato quello di “mi porti da mamma?” però almeno adesso veniva direttamente lui a farsi prendere allungando le braccia quando mi vedeva dopo che era stato vestito di tutto punto da una delle educatrici.

Appena eravamo rientrati a casa mi seduto sul divano facendo nervosamente zapping in tv senza trovare nulla che mi piacesse sarei voluto andare in camera a giocare con lui, come avevo fatto quell’unica volta a Tel Aviv quando pensavo che sarebbe stato tutto più semplice tra noi.
Sentii l’ormai inconfondibile passo di mio figlio che veloce attraversava il corridoi dalla sua camera al living. Poi i suoi passi rallentarono fino a fermarsi. Mi voltai a guardarlo, gli sorrisi. Lui mi guardava in silenzio mentre mangiava il suo gelato al cioccolato. “Non gli faranno bene tutti questi gelati” pensai, ma poi anche che un gelato al giorno non ha mai ucciso nessuno, e Nathan aveva tanti gelati arretrati da mangiare negli ultimi mesi.
Ci guardammo per un po’. Non avevo il coraggio di dirgli niente, nè di prenderlo, per paura che mi rifiutasse e scappasse da Ziva come faceva ancora quando c’era lei. Il mio ometto… Pensai che in quel momento eravamo come il Piccolo Principe e la volpe, ma non sapevo chi addomesticava e chi doveva essere addomesticato. Aveva tutta la bocca impiastricciata con il gelato e ad ogni cucchiaiata si sporcava di più. “Quanto vorrei poterti abbracciare ometto” pensavo mentre mi veniva quasi da piangere tanto era il desiderio che dovevo reprimere per non turbarlo. 
Ziva si avvicinò a lui e gli pulì il viso mentre lui rimaneva immobile. Poi le chiese qualcosa e lei fece cenno di sì con la testa e tornò a preparare la cena.
Io e lui, lui e io. Un gioco di sguardi infinito. Poi si spostò riprese il suo passo trotterellante fino a venire proprio davanti a me. Mi fissò ancora un po’, io gli sorridevo. Poi prese un cucchiaio di gelato e me lo mise davanti alla bocca sporcandomi le labbra. Lo mangiai e mi sorrise. Avrei voluto prenderlo in braccio ma corse via in camera sua, lasciandomi lì sporco ed imbambolato con ancora il gelato in bocca.
Sentii la mano di Ziva da dietro pulirmi il viso come aveva fatto prima con Nathan. Tra noi le cose faticavano a tornare come prima, ma quei gesti spontanei mi facevano capire perché l’amavo, anche se in quel momento non riuscivo a dimostrarglielo come lei voleva. 
- Mi ha chiesto se poteva darti un po’ del suo gelato. Ti vedeva triste.
Riprese a cucinare e io rimasi sul divano a pensare. Mio figlio aveva appena fatto una cosa per me. Era la prima volta. Ci stavamo addomesticando nel verso giusto.

Mangiammo tutti e tre insieme, Nathan poco, per la verità, visto che poco prima aveva mangiato il gelato più buono che avessi mai assaggiato in vita mia. Conversammo allegramente, sentendo nostro figlio raccontare le sue mirabolanti avventure dell’asilo dove tutto era ingigantito ed enorme. Si divertiva, socializzava e questa era la cosa più importante.
Dopo aver cenato lui andò a giocare in camera sua con le costruzioni e noi ci rilassammo un po’ come di consueto davanti alla tv che però lasciai spenta, le volevo parlare. 

- Spero che non ti dispiaccia - le dissi - ma oggi quando sono sceso per prendere i documenti di quell’autopsia, ne ho parlato con Ducky.
- Di cosa? - Mi chiese preoccupata irrigidendosi e squadrandomi con il suo sguardo più tagliente
- Non di noi, rilassati, ci tengo a vivere! - Provai a sdrammatizzare - Gli ho parlato di Nathan, del suo comportamento.
- E allora? - Non si era ancora rilassata
- Ziva, anche Ducky la pensa come me, lui è geloso - ritornai su quell’argomento lasciato in sospeso qualche settimana prima, ma che a me continuava martellarmi. Ne ero convinto.
- Ma cosa dici Tony?
- Sì, lui è geloso della sua mamma. Lui ha sempre visto te da sola con lui, poi te lo portano via e quando ritorna c’è qualcuno con te. Non è abituato.
- Perché pensi questo?
- Anche io ero geloso della mia mamma e non volevo che nessuno si avvicinasse a lei. E quando lei non c’era più è stato devastante. Ho sempre fatto molta fatica ad affezionarmi alle donne, perché avevo paura che tutte mi lasciassero così come aveva fatto lei. Per questo sono stato così male quando tu sei rimasta in Israele. La mia paura era diventata realtà.
- Perché non mi hai mai detto niente?
- Non me ne ero mai reso conto fino a quando non ho visto come si comporta Nathan, non avevo collegato le cose.

Il rumore dei passi di mio figlio era già diventato inconfondibile. Senza nemmeno guardare sentivo che si stava avvicinando e dopo poco eccolo lì, in braccio a Ziva con il suo dinosauro preferito a reclamare le coccole della mamma tutte per se. Eravamo tutti e tre sul divano, loro due in un angolo, io nell’altro che li guardavo.
Nonostante tutto valevano tutti i sacrifici del mondo.

Mi feci coraggio e pensai che era venuto il momento di fare qualcosa per rompere quel muro con lui, per provare a capirci un po’ di più, per fargli capire quanto fosse importante per me e che di me si doveva fidare.

- Te lo ha mai raccontato la mamma tu come sei nato? - Ziva mi incenerì con uno sguardo, forse pensando che volevo raccontagli chissà cosa, io le sorrisi e capì da sola che aveva esagerato. Le chiesi quindi, se adesso poteva gli tradurre tutto quello che avrei detto, perchè avevo bisogno che capisse bene. Annuì ed il suo sguardo si addolcì, capendo che quello che stavo per fare era un discorso serio a nostro figlio.
Nathan scosse la testa dopo aver ascoltato Ziva che gli traduceva ogni mia parola, anche se la maggior parte delle cose sapevo che le capiva.
- Vedi ometto tu sei nato perché io e la tua mamma ci volevamo, anzi ci vogliamo, tanto bene, ma così tanto tanto che tutto questo amore non stava più dentro di noi. E allora sei nato tu, fatto di tutto l'amore che io provo per la mamma e lei per me. E tu ora lo contieni tutto dentro di te. Proprio qui.
Gli dissi mettendogli una mano sul cuoricino ed aspettando che Ziva finisse di tradurgli il mio discorso.
Forse più che lui avevo colpito lei e non nego che era anche questo il mio intento.
- Ti amo - le dissi distogliendo lo sguardo da nostro figlio per cercare disperatamente il suo - questo puoi anche non tradurglielo. - Vidi il suo volto illuminarsi. Lo aveva aspettato quel “Ti Amo” e mi resi conto in quel momento che aveva bisogno lei di sentirlo tanto quanto io di dirglielo.
Poi tornai a parlare e a guardare Nathan.
- Tu non devi avere paura se io voglio bene alla mamma e lei vuole bene a me. Perché nessuno ti toglierà mai la tua mamma e non sarò mai io a portartela via, anzi io sarò sempre qui perché nessuno vi separi mai più, te lo prometto. Tu ancora mi conosci poco, io conosco poco te. Però ti voglio bene da sempre. 
Nathan e Ziva parlavano tra di loro e più che osservarli non potevo. Non sapevo un bambino della sua età quanto potesse capire quel discorso, ma avevo l’esigenza di farlo, forse più a me stesso che a lui, forse volevo che quelle parole le sentisse Ziva. Sempre qui. Speravo che lei avesse capito bene queste parole e che le avessero fugato i dubbi che sapevo aveva.
Si stavano parlando fitto fitto, sicuramente di più di quanto non avessi detto io, probabilmente lei stava rispondendo alle sue domande, o gli spiegava meglio quello che avevo appena detto. Poi Nathan fece cenno di sì con la testa alla madre e alzò lo sguardo cercando il mio. Mi guardava serio, come se avesse perfettamente capito l’importanza del momento e di quello che avevo detto. E doveva essere così.
- Tu resti qui? - Il suo buffo accento e la sua voce mi facevano sorridere sempre
- Certo che resto qui
- Non vai via ancora?
- No, non vado via
- Con noi?
- Sì ometto, sto con voi.
- Sempre?
- Sempre!
Venne verso di me gattonando sul divano. Era la prima volta da quando lo avevo riportato a casa. Allargai le braccia per accoglierlo e mi abbracciò.
- Non ti lascio più ometto, te lo prometto. Ti voglio bene Nathan.
- Ti voglio bene papà.
Ebbi solo un flash, del video di Nathan che andava incontro a Ziva dicendogli la stessa cosa e di quanto pianse quel giorno che me lo aveva mostrato: ora capivo perché. 
Se in quel momento fosse crollato il mondo intorno a noi non me ne sarei accorto. Non era solo gelosia, era paura che lo avrei lasciato solo ancora una volta, che così come ero apparso nella sua vita, sarei sparito di nuovo. Ma io il mio ometto non lo avrei più lasciato, né lui né la sua mamma. 
Alzai lo sguardo a cercare quello di Ziva e la vidi più commossa di quanto ero io, consapevole anche lei che forse adesso potevamo veramente cominciare ad essere una vera famiglia. Stringevo Nathan e lo cullavo come non avevo mai potuto fare, giocavo con i suoi capelli ed inspiravo il suo profumo di bimbo. Avrei voluto abbracciare anche lei, includerla nel mio abbraccio con nostro figlio, per tenere per la prima volta insieme tutta la mia famiglia. Lei però rimase in disparte a guardarci, lasciandoci il nostro spazio, il nostro momento unico ed io non la cercai. Ci sarebbe stato modo e tempo per farlo. Ora eravamo solo io e Nathan e, per la prima volta, mi sentii totalmente padre di quello splendido bambino, il mio bambino.

 

 

NOTE: spero che questo capitolo vi sia piaciuto, dopo quello precedente molto più duro. Alla fine si sono incontrati e capiti. Sia i genitori (almeno in parte) che il figlio.

Volevo che ascoltaste la canzone che ho scelto per questo capitolo, perché credo che la frase che ho preso, che è il verso finale della canzone, sia esattamente il riassunto di tutto questo capitolo, ma in realtà potrebbe esserlo anche di tutta la storia. “Sapevo di amarti prima di trovarti” e può valere per tutti e tre: prima che loro si ritrovassero e prima che lui trovasse suo figlio.
E’ basato sulla colonna sonora di “C’era una volta in America” e cantata da Celine Dion. Vi metto un link della canzone dove trovate anche il testo in inglese
https://www.youtube.com/watch?v=2yjJsXYoo5Y 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** In My Veins ***


…Everything is dark.
It’s more than you can take.
But you catch a glimpse of sun light.
Shinin’, Shinin’ down on your face.
Oh you’re in my veins
And I cannot get you out…

 

Quella sera di metà febbraio percepii per la prima volta quanto certe piccole attenzioni di Tony mi facevano piacere, più di quanto volessi ammettere a me stessa, che anzi a parole avevo sempre fatto di tutto per ammettere il contrario.  Le avevo sempre date per scontate ed ora che non le avevo più mi sembrava che mi mancasse tutto, perchè mi mancava quella che era l’essenza naturale di Tony, che faceva tutto in modo così spontaneo ed ora invece sembrava sempre posato, controllato, come se centellinasse ogni emozione ed ogni sua esternazione.
Avevo aspettato per tutto il giorno un suo gesto, qualcosa. Non perchè volessi ricevere un regalo o andare a cena fuori o chissà cosa. Ma sapevo che lui era uno che amava le ricorrenze ed era sempre teatrale nei suoi modi di festeggiarle, ripensavo al mio compleanno e alla vigilia di Natale. O meglio, lo era sempre stato fino a quel giorno. Ok, le cose tra noi ancora non andavano benissimo ma... Aveva completamente glissato, ignorato che quel giorno era San Valentino, nonostante intorno a noi tutti sembravano voler festeggiare, anche chi non lo aveva mai fatto.

Come tutti i giorni accompagnammo Nathan all’asilo insieme ed insieme andammo a lavoro, dove tutto e tutti, invece, sembrava non volessero far altro che ricordare che giorno era. Non credo che avevo mai vissuto una giornata così lì, oggi sembrava che Cupido in persona fosse entrato a far parte della nostra squadra, ma che aveva finito le sue frecce quando era arrivato il turno mio e di Tony: Abby che raccontava dei suoi progetti per la sera con Stevy, il marito di Bishop che le mandava fiori in ufficio, a detta di tutti la prima volta in assoluto tanto che lei si era anche commossa ed era corsa in bagno per non farsi vedere, Tim indaffarato per fare la sua sorpresa virtuale a Delilah. Anche Ducky sarebbe andato a cena fuori e Palmer avrebbe festeggiato con la moglie, visto che la cognata si era offerta di tenergli la bambina.
Noi avevamo semplicemente evitato ogni discorso e fortunatamente dopo un inizio di giornata dove tutti erano eccitati nel raccontare i propri programmi, erano troppo impegnati a pensare ai loro progetti per la serata per preoccuparsi di noi, in più una giornata lavorativa pesante, tra rilievi e interrogatori, fece il resto. Tutti, ovviamente, tranne una persona, che sicuramente non avrebbe festeggiato e alla quale non sfuggiva mai nulla.
Gibbs durante la giornata mi lanciò più di qualche occhiata interrogativa alla quale non volevo rispondere ed abbassavo il mio sguardo per evitare che riuscisse a leggermi dentro più di quanto facesse normalmente. Quando dovetti scendere da Abby per prendere i risultati di un esame balistico, approfittò entrando con me in ascensore e bloccandolo poco dopo, ma già sapevo che l’avrebbe fatto, dall’esatto momento in cui era entrato.

- Che succede? - Mi chiese senza specificare l’argomento, ma non ce n’era bisogno
- Problemi. - Rimasi vaga
- Risolvibili?
- Ci stiamo provando.
- Da quando non è venuto a lavoro?
- Quel giorno è stato l’apice, in realtà già da prima. È difficile…
- Lo sapevi che lo sarebbe stato.
- Non pensavo così tanto. È distante, è freddo… Non è Tony.
- È Tony, Ziva. È Tony che ha paura.
- Non so più cosa prova per me. Se stiamo insieme solo per Nathan o no
Gibbs sorrise e mi diede un bacio sulla fronte, come faceva sempre quando voleva confortarmi.
- Non ti far venire inutili dubbi
Fece ripartire l’ascensore, io uscii ed andai da Abby, lui tornò su.

Quando tornavamo a casa in auto la nostra attenzione fu completamente monopolizzata da nostro figlio che amava raccontarci la sua giornata e le sue grandi scoperte. Nathan e Tony passarono il resto della serata prima di cena a giocare nel box con le palline colorate: mio figlio aveva trovato una buona spalla per fare confusione in camera lanciandosi di tutto, ma visto il punto da cui erano partiti, potevano tirarsi qualsiasi cosa, finchè non si facevano male, e non era un pensiero da scartare a priori, visto che quando giocavano insieme faticavo a capire chi era quello di tre anni tra i due.
Mangiammo in silenzio, interrotti solo dalle chiacchiere di Nathan alle quali ci divertivamo sempre a rispondere, le sue mille domande, su tutto, i suoi mille perchè a volte impossibili da spiegare, ma lui una risposta la voleva sempre, la pretendeva, era più insistente di Gibbs durante un interrogatorio.
Era già passato quasi un mese da quando era tornato a casa e alla fine si era ambientato anche meglio di quanto io stessa potessi pensare, soprattutto all’asilo dove gli piaceva veramente molto stare ed io mi sentivo tremendamente in colpa perchè non avevo voluto che ci andasse. In sole due settimane, da quello che ci avevano detto le sue insegnanti, era molto più sciolto sia nel giocare con gli altri bambini che nel comunicare. Finimmo di mangiare più tardi del solito e quando lo misi nel suo letto resistette poco prima di addormentarsi. 

Quando tornai in living mi credevo di trovare Tony sul divano ad aspettarmi come al solito, invece aveva già messo tutti i piatti nella lavastoviglie e non c’era. 
Andai, quindi, in camera nostra pensando di trovarlo già a letto, magari quella sera aveva deciso di aspettarmi lì, mi feci sopraffare immediatamente da un senso di euforia e farfalle nello stomaco, invece quando entrai era ancora in bagno e dal rumore dell’acqua che scorreva si stava facendo una doccia. Aveva lasciato sul mio cuscino una rosa rossa con un bigliettino “Anee ohev otakh”. Tony, che in tutte le sue esternazioni era sempre stato così plateale aveva scelto il modo più intimo e silenzioso per ricordare quel giorno. Ero stata tutta la giornata a chiedermi se avrebbe fatto qualcosa senza pensare che magari anche lui avrebbe voluto che facessi io qualcosa per lui.
In quel momento mi sentii tremendamente in colpa per non averci nemmeno pensato, dando per scontato che era lui che doveva farlo, perchè lo sapeva che io non ero il tipo che faceva quelle cose. Speravo che non fosse un caso che aveva scritto proprio quello, solo un’altra volta mi aveva detto quella frase ed io mi volevo assolutamente convincere che l’avesse fatto per quel motivo, per farmi ricordare quel momento.
Il rumore dell’acqua non cessava e dubitavo che stesse facendo una doccia così lunga.
Presi il suo stesso biglietto, lo girai e dietro scrissi anche io solo “I love you” e lo appoggiai sul suo cuscino.
Mi spogliai rapidamente, indossai una sua tshirt che aveva lasciato sulla sedia, mi misi sotto le coperte e spensi la luce. Immediatamente l’acqua cessò di scorrere. Poco dopo uscì dal bagno e vedevo nella penombra che era già perfettamente asciutto. Aveva solo l’asciugamano in vita che si tolse per mettersi i boxer prima di entrare, anche lui, sotto le coperte. Mi morsi il labbro per evitare di lasciarmi andare a qualche commento inopportuno in quel momento.
Appena si accorse del mio biglietto si fece luce con il cellulare per leggerlo. Io ero girata di fianco e gli davo le spalle, immobile. Non sapevo come aveva reagito, vedevo solo il bagliore azzurro del cellulare che poi si affievolì fino a spegnersi. Rimasi così anche quando sentii che si avvicinava a me sotto le coperte.
Mi cinse la vita con un braccio e fece sprofondare la testa tra i miei capelli. Stavo per girarmi quando mi sussurrò appena
- So che stai facendo finta di dormire, continua a farlo, non ti muovere.
Gli presi solo la mano che teneva intorno al mio corpo e le nostre dita si incrociarono.
- Ti Amo, è ancora difficile, però credimi, ti amo.
Gli strinsi un po’ più forte la mano, per fargli capire che avevo sentito, che avevo capito. Piansi in silenzio, ma lui se ne accorse dai sussulti del mio corpo ed anche lui si strinse di più a me.

 

— — — — — 

 

Quando la mattina dopo mi svegliai ero solo. Allungai più volte la mano per constatare se era veramente così e lo era. Pensai che fosse tardi, ma quando guardai l’ora sul display del cellulare mi accorsi che erano da poco passate le sei. 
Aspettai qualche istante per capire se dal bagno provenissero dei rumori ma nulla, quindi mi alzai, tanto non avrei più dormito e mi misi una tuta prima di uscire da lì.
La porta della camera di Nathan era più aperta del solito, mi affacciai per controllare e Ziva era lì, seduta sulla poltroncina vicino al letto con le gambe appoggiate sul bordo della poltrona, rannicchiata nella penombra della stanza. Era sveglia perchè si accorse immediatamente della mia presenza quando scostai la porta per guardare all’interno. Le andai vicino e quando accarezzai il suo viso con il dorso della mano sentii che era gelida: non sapevo da quanto era lì, ma di certo la casa all’alba non era così calda da stare solo con una maglietta leggera. Provai a parlare ma mi fece cenno di stare in silenzio per non svegliare nostro figlio, così uscii ed andai a prendere una coperta in camera nostra. 
Proprio mentre stavo rientrando in camera di Nathan, lei stava uscendo e quasi ci scontrammo nel corridoio. Mi accorsi in quel momento che quella che aveva addosso era una mia maglietta, che addosso a lei sembrava quasi un vestito molto corto. Le passai la coperta intorno alle spalle e lei si avvicinò sempre di più a me fino ad appoggiarsi contro il mio petto e la lasciai fare.
- Ti vuoi prendere l’influenza? - Le chiesi rimproverandola bonariamente, ma non mi rispose.
Potevo contare le parole che ci scambiavamo. Sembrava avessimo paura di parlare, come se dovessimo necessariamente finire a discutere ancora. Così evitavamo, semplicemente, di parlarci. 
Era difficile, glielo avevo detto. Avevo paura. Non che non mi amasse o che io non amassi lei. Questo no, mai. Era l’unica cosa sulla quale non avevo il minimo dubbio.
Avevo paura che quel lato di lei, che stava mostrando, era solo una conseguenza di quanto accaduto, che anche il suo comportamento fosse dettato solo dalla sua paura e che, una volta certa che la situazione era di nuovo “normale” si sarebbe comportata come prima, escludendomi.
Mi ero reso conto che avevo passato tutti quei mesi cercando di darle solo certezze: che c’ero, che l’amavo, che avrei fatto qualsiasi cosa per lei, che c’ero per nostro figlio, che mi sarei sempre preso cura di loro. Non che tutte queste cose non le pensassi o non le volessi più fare, ma mi sentivo in debito. So che in amore e nei rapporti non bisogna fare calcoli, non è un bilancio in cui i conti devono tornare, ma anche io avevo bisogno di qualche certezza da parte sua, oltre il fatto che mi amava.
Mentre tutti questi pensieri mi scorrevano nella mente, eravamo ancora nel corridoio, io che tenevo la coperta sulle sue spalle, lei appoggiata al mio petto. Le passai di nuovo una mano sul volto, ma non si era scaldata un gran che.
- Un bagno caldo ti farebbe bene - Le dissi allontanandola da me e lei interpretò questo gesto come un voler mettere distanza tra noi e mi guardò quasi impaurita
- Sì, è una buona idea. Se si sveglia ci pensi tu a lui?
- Certo, stai tranquilla.
Si tolse la coperta dalle spalle e me la passò prima di chiudersi la porta della nostra camera alle spalle. Pensai che ero un cretino. Guardai dentro la stanza di mio figlio che dormiva ancora senza curarsi, per sua fortuna, di quanto il suo papà potesse essere idiota.
Andai in camera nostra, appoggiai la coperta sulla sedia e ascoltai attentamente i rumori che provenivano dal bagno. L’acqua aveva smesso di scorrere ed ora sentivo solo il leggero sciacquettio provenire dalla vasca. Misi una mano sopra la maniglia, volevo entrare, andare da lei, dirle che ero un cretino e invece rimasi fermo, con la mano immobile per un po’.
Poi non so cos’è che mi fece cambiare idea e di colpo la abbassai. In quel momento temetti che si fosse chiusa a chiave, ed invece la porta si aprì. Lei si girò di scatto mi guardò e si lasciò scivolare sotto l’acqua lasciando fuori solo la testa. Sembrava vergognarsi.
- Qualche problema con Nathan? - Mi chiese distante
- No, sta dormendo
- Allora cosa c’è?
- Niente… 
Mi avvicinai alla vasca e mi sedetti a terra vicino a lei, in direzione opposta in modo da poterla guardare negli occhi. Ziva istintivamente si coprì incrociando le mani sul suo petto.
- Ti vergogni di me?
- No… - ma la sua voce era imbarazzata, non so se per la situazione o perchè mi ero accorto del suo comportamento insensato visto che il suo corpo lo conoscevo meglio del mio.
La spugna con la quale si stava lavando galleggiava tra la schiuma. Mi tolsi la felpa e la presi in mano, bagnando il mio braccio fino al gomito. La strizzai e poi la passai intorno al suo collo, poi presi un suo braccio lasciando che si scoprisse alla mia vista e lo percorsi tutto, dalla spalla alla mano, per poi fare la stessa cosa con l’altro.
- Perchè lo stai facendo? - Mi chiese preoccupata ed io non capii se si riferiva alla nostra situazione o a quello che stavo facendo in quel momento.
- Ci deve essere un perchè?
- Di solito c’è quando uno fa le cose.
- Non ti piace? - Preferii pensare che stavamo parlando di quel momento.
Mi sorrise senza rispondere. Io lasciai la spugna galleggiare sull’acqua.
- Sai Ziva, ogni tanto mi piacerebbe che mi dicessi quello che senti, quello che provi…
- Mi piace, molto.
Ripresi la spugna, lei si scostò dal bordo della vasca ed io cominciai a passargliela sulla schiena, dal collo fino a scendere sotto il bordo dell’acqua.
- Tony, hai dubbi su quello che provo per te?
- No… - strizzai la spugna facendo cadere le gocce sulla sua schiena, poi la bagnai di nuovo e ripresi a massaggiarla - … ho paura che appena tu ti sentirai di nuovo sicura di me tornerai a comportarti come prima.
- Come prima come?
- Escludendomi. Tenendomi fuori dalle tue paure, dai tuoi desideri, dalla tua vita e da quella di nostro figlio.
- Non lo sto facendo Tony.
- Non ora, non dopo che ti sei diciamo… spaventata?
- Non posso prometterti non di sbagliare di nuovo. Che non capiterà più.
- Lo so, non ti chiederei mai di promettermi una cosa impossibile.
- E cosa ti devo promettere?
- Niente.
- Niente?
- No. Niente. Non ho bisogno di promesse. Avevo solo bisogno di essere pronto a dirtelo e di vedere la tua reazione.
- Mi metti alla prova? - Stava tornando sulla difensiva esattamente quello che non volevo.
- Ehy, non ricominciare. Non ti metto alla prova, non è sempre una battaglia Ziva - Spostai il massaggio dalla schiena a davanti, facendo scivolare la spugna delicatamente sul petto, scendendo nell’incavo tra i seni. Sospirò. 
- Non è semplice… - Sospirò ancora, mentre scivolavo sotto l’acqua verso il suo ventre per poi risalire.
- Anche tu mi manchi Ziva, non sai quanto. - Lasciai la spugna e la accarezzai con la mano assaporando ogni istante di quel contatto. - Però non voglio che tra noi ci sia un rapporto fatto di compensazione, con te che ti senti in colpa del tempo che passi con Nathan. Non devi dimostrarmi nulla, capisci cosa voglio dire?
Annuì solamente. L’acqua si stava raffreddando. Mi alzai e presi l’accappatoio.
- Meglio che esci prima che ti raffreddi di nuovo.
Si alzò dalla vasca e si voltò si spalle. Il suo corpo nudo era percorso dalle gocce d’acqua che correvano verso il basso. Aveva raccolto i capelli, ma le punte si erano comunque bagnate ed sembravano incollate sulla sua pelle. L’aiutai a coprirsi ed uscì dalla vasca. Non aveva stretto bene la cinta dell’accappatoio e non potei fare a meno di guardare ancora le sue forme che apparivano dalla spugna bianca, lei si accorse del mio sguardo e si coprì, stringendosi meglio l’indumento addosso.
- Sei sempre bellissima agente David
Le diedi un bacio sulla fronte, mi rimisi la felpa ed uscii, anche perchè non so quanto sarei riuscito ancora a trattenermi. Andai diretto in camera di Nathan che continuava a dormire tranquillo, ma le sette erano già passate, tra poco si sarebbe comunque dovuto svegliare e rischiai prendendolo in braccio. Si lamentò un po’, ma rimase nello stato di dormiveglia. Lo portai di là, nel letto con me e mi sdraiai vicino a lui che per la prima volta, istintivamente, venne a dormire appoggiandosi a me e non avrei voluto svegliarlo mai.

 

— — — — — 

 

- Ti va se questa sera usciamo? Solo io e te. - Le porte dell’ascensore si erano appena chiuse quando Tony mi fece questa domanda prendendomi alla sprovvista.
- E Nathan?
- Io penso che qualcuno disponibile a tenerlo d’occhio per qualche ora lo troviamo - mi sorrise, ma non riuscii a ricambiare il suo entusiasmo e se ne accorse. - Ok, lo prendo per un no. Non fa niente.
Arrivammo al nostro piano e ci dirigemmo verso le scrivanie senza più dirci nulla, ma sentivo che quel muro che poco a poco stavamo rompendo, si stava ricompattando. Aveva detto “non fa niente” ma il suo significato era esattamente l’opposto.

Aspettai che Tony andasse da Ducky per prendere dei documenti e chiesi a Gibbs se potevamo parlare. Andammo nella “nostra” saletta, quella che ormai negli ultimi mesi aveva fatto da sfondo a molte delle nostre chiacchierate.
- Che succede Ziva? Ancora problemi
- Veramente pensavo che avevamo fatto qualche passo avanti, ma credo che ho fatto di nuovo una scelta sbagliata.
- Sarebbe?
- Mi aveva chiesto di uscire, solo noi due, stasera. Era molto contento quando me l’ha proposto, ma io non gli ho detto nulla perchè mi sono preoccupata solamente di lasciare solo Nathan.
- È normale.
- Cosa?
- Che tu ti preoccupi dove lasciare tuo figlio e che lui ci rimane male se gli dici di no.
- Non gli ho detto di no.
- Non rispondendogli è come se lo avessi fatto.
- Non so cosa fare.
- Chiedi a qualcuno se ti può tenere Nathan questa sera. È sempre lo stesso problema, Ziva. Tu non riesci a chiedere aiuto agli altri, a meno che non hai l’acqua alla gola.
- Già… 
- Io stasera sono libero, vuoi che passo qualche ora a casa vostra? La mia barca per una sera può attendere.
- Lo faresti? 
- Certo e non sarei l’unico qua dentro. Prima o poi te ne renderai conto anche tu.
- Grazie Gibbs.
- Torniamo a lavoro, Ziva.

Mentre uscivano dalla stanza, Tony stava ritornando dalla sala autopsie. Gibbs si fece dare i documenti che aveva preso e ci lasciò soli nel corridoio.

- E’ sempre valido l’invito a cena per stasera? - Gli chiesi cercando di essere il più dolce possibile
- Solo se lo vuoi veramente e non per farmi contento. Non ti voglio forzare.
- Certo che lo voglio veramente. Mi manca trascorrere del tempo con te.
- Nathan? Hai chiamato Gael?
- No. Ho trovato un volontario. - Gli dissi ammiccando
- Chi?
- Gibbs! - Risposi come se fosse la cosa più ovvia del mondo, mentre Tony rimaneva con la bocca aperta come un pesce.

 

— — — — — 

 

Ziva aveva fatto mangiare Nathan un po’ prima del solito ed io avevo approfittato per prepararmi. Forse stavo riponendo troppe aspettative su questa cena, la stavo caricando di troppi significati. Forse potevamo anche andare a mangiare in una semplice trattoria, un cinese o un fast food, in fondo la cosa che importava era che eravamo io e lei. Invece no, avevo deciso di dare un senso diverso a quella sera, a cominciare dal posto ed avevo riservato un tavolo al Plume, uno dei ristoranti più esclusivi della città, al Jefferson Hotel.
Misi uno dei miei completi preferiti, blu con camicia e cravatta grigio perla scelte accuratamente perchè l’effetto cromatico risultasse impeccabile. Aggiustai i capelli con un po’ di gel ed mi spruzzai generosamente quel profumo nuovo che mi aveva regalato prima di capodanno.
Uscii dalla nostra camera e Gibbs era già arrivato, stava già intrattenendosi con Nathan che aveva cominciato a tartassare di domande anche lui come faceva un po’ con tutti ultimamente.
- Occhio Capo che ora ti interroga lui! - Gli dissi appena lo vidi.
- Di Nozzo, sei caduto dentro una vasca di profumo?
- Ehm… ho esagerato?
- Come fai sempre!

Mentre noi chiacchieravamo e Nathan faceva le sue continue domande a Gibbs, cosa della quale ero segretamente felice perchè vedere il Capo sotto torchio non è cosa da tutti i giorni, fosse anche da un bambino di nemmeno tre anni, Ziva era andata a prepararsi e quando si presentò non solo io rimasi incantato a guardarla fasciata in un lungo vestito rosso senza maniche con un profondo spacco sulla gamba sinistra che metteva in risalto le sue spalle e le gambe perfette slanciate ancora di più dai tacchi alti. In quel momento avrei mandato al diavolo la serata, avrei cordialmente salutato Gibbs chiedendoci di lasciarci soli e l’avrei portata in camera, chiudendola a doppia mandata senza uscire più fino al giorno dopo.
No, non potevo farlo. Non doveva essere così. Dovevamo avere la nostra serata e non era quella di chiuderci in camera, benché lo desiderassi e vederla così non faceva certo diminuire il mio desiderio.
Si sentì imbarazzata dai nostri sguardi, ma venne verso di noi facendo finta di niente. Attesi che prese il suo cappotto e feci lo stesso io, salutammo Gibbs e Nathan che non si curava molto del fatto che stavamo uscendo.
Al contrario di quanto aveva fatto con il nido, a Gibbs non stette a ricordare più volte di chiamarci se succedeva qualcosa, non so se perchè si fidasse di più o perchè non riteneva il caso di fare troppe discussioni con lui che l’avrebbe liquidata rapidamente senza troppe parole.

In macchina il silenzio fu quasi imbarazzante. Lei non sapeva dove l’avrei portata, ma contrariamente al solito non chiese nulla. Si fidava o più probabilmente fare domande la metteva a disagio. Io mi trattenni più di una volta da poggiare una mano sulla sua gamba lasciata nuda dallo spacco del vestito. Perchè non riuscivo ad essere più spontaneo con lei? Era questa la cosa che mi preoccupava di più, mi facevo sempre troppe domande, troppi pensieri.
Arrivati davanti al Jefferson Hotel non feci in tempo a scendere ed aprirle lo sportello come avrei voluto fare, perchè il portiere mi aveva preceduto. Gli lasciai le chiavi per parcheggiare l’auto, mi diede il tagliando che riposi nella tasca del cappotto e porsi a Ziva il mio braccio per entrare nella sala. Il tepore interno era in forte contrasto con la fredda pungente sera di febbraio. Lasciammo i nostri soprabiti nel guardaroba ed entrammo nella sala del ristorante. Diedi il mio nome e ci condussero al tavolo che avevo espressamente richiesto, quello vicino al caminetto. La feci accomodare e poi mi sedetti a mia volta, un cameriere riempì le nostre flutes di champagne. Prendemmo i bicchieri e rimanemmo immobili con i calici a mezz’aria prima di bere.
- Dovremmo fare un brindisi  - proposi
- C’è qualcosa a cui brindare? - Rispose lei riportandomi sulla terra e sulla nostra realtà di quel periodo
- A noi, credo. Sempre e comunque. - Era banale e scontato, forse, ma eravamo lì per quello, per noi.
- Allora a noi - Fece toccare la sua flute con la mia producendo un tintinnio appena accennato.
- A noi - le sussurrai prima di bere.

Non bastò un bicchiere di champagne per sciogliere la tensione tra noi, soprattutto perchè Ziva non aveva intenzione di staccare la spina dai nostri problemi, come invece avrei voluto fare io, godendomi con lei quella serata, nonostante tutto e lasciando proprio il tutto fuori.
Lei evidentemente aveva altre idee.

- Perchè siamo qui questa sera Tony?
- Per passare un po’ di tempo insieme, io e te. Come prima.
- Sai bene che come prima non potrà più essere, non siamo più soli.
- Però qualche serata ce la possiamo sempre ritagliare, no? Oppure adesso non ci sarà più spazio per un noi?
- Tu lo vuoi?
- Certo che lo voglio. Ma non voglio che per te questo sia un peso.
- Non lo è.
- Bene.
- Bene.

Bene, eppure non riuscivamo ancora a parlarci, come volevo, come prima.
Ordinammo la cena, due risotti all’astice, un salmone alla crema di arancia e una tagliata di tonno al sesamo nero ed un Gewürztraminer alsaziano. Osservavo l’orchidea sul portafiori in argento sul tavolo. Era grande, bianca, bella. La mano di Ziva era vicina alla mia sul tavolo, avrei voluto prenderla ed accarezzarla ma mi trattenni ancora e mi ritrovai ad accarezzare, invece, quei petali, fissando il fiore, sotto il suo lo sguardo stupito. Fu lei a prendermi la mano e mi sentii sollevato dal gesto.
- Ti piacciono le orchidee? - Mi chiese
- Sì sono belle. Eleganti, armoniose…
- Sai che in Oriente l’orchidea è un simbolo di purezza? - Ci eravamo ridotti a parlare di fiori, non riuscendo a parlare di altro. La lezione di botanica mi mancava tra le cose che volevo fare nella serata.
- Ah sì? - Finsi interesse, ma lei continuò
- Nella cultura Occidentale è simbolo di passione, sensualità e di amore, un fiore da regalare alla persona della propria vita.
Smisi di fissare il fiore e guardai lei. Tolsi il fiore dal piccolo vaso d’argento e glielo porsi.
- Troppo scontato? - Le chiesi
- Un po’ - rispose sincera.
- Ti prometto che te ne regalerò un mazzo, un giorno, quando non te lo aspetterai, e ti sorprenderò.
Rimisi il fiore al suo posto.
Le nostre portate si susseguirono, tra un bicchiere di vino e l’altro. Dopo la discussione botanica il resto della serata andò decisamente meglio, chi l’avrebbe mai detto.

Decidemmo di ordinare anche un dolce, uno solo, da dividere. Lasciai a lei la scelta, che ordinò un tortino al cioccolato con gelato all’arancia e croccante all’amaretto, sapeva che era il mio preferito tra quelli della lista, lo aveva scelto apposta, perchè sapevo che se era per lei, avrebbe sicuramente scelto qualcosa di diverso, anche solo per il gusto di sperimentare. Lei si lasciava attrarre di più dalle novità in cucina, io ero più conservatore, cercavo il mio porto sicuro, quando lo trovavo.
Il sommelier ci consigliò un Banyuls per accompagnare il dolce al cioccolato e la scelta fu ottima: il vino dolce sprigionava aromi intensi fruttati che si sposavano a meraviglia con il dolce che stavamo gustando.
L’alcool consumato in quella serata ci aveva senza dubbio alleggerito l’animo. Non eravamo ubriachi, nemmeno brilli, ma più leggeri, stavamo dando meno importanza ai nostri pensieri che rimaneva ancorati in qualche angolo della nostra mente, senza invaderci. 
Pagai il conto e le chiesi di aspettarmi fuori nella hall mentre andavo a riprendere i nostri soprabiti. La trovai appoggiata ad una colonna con lo sguardo perso a guardare un punto lontano dall’altra parte della sala. Mi avvicinai e le porsi il cappotto, lei lo indossò ma non si mosse. Mi misi di fianco a lei cercando di capire cosa stava guardando e fu allora che vidi a pochi metri da noi una giovane coppia di sposi che stava posando per delle foto, abbracciati, sorridenti. Istintivamente la abbracciai anche io, avvicinandola a me. Lei appoggiò la testa sulla mia spalla.

- Sono felici, loro. - Le sue parole, tristi, mi arrivarono come una coltellata in pieno petto. Mi stordirono, mi fecero sentire profondamente in colpa. Avevo insistito tanto per questa serata e non era stata nemmeno felice? Eppure il mio intento era proprio quello, una serata per noi, felici. La sua voce trista e malinconica mi mise addosso l’urgenza di consolarla.
Le alzai il volto, fino a quando non mi guardò e vidi i suoi occhi lucidi. Era bella, glielo avevo detto? Nel dubbio glielo dissi, per essere sicuro.
- Sei bellissima. Non stasera, sempre. - Non mi rispose, come se non mi avesse nemmeno sentito. Mi sembrava l’essere più fragile del mondo in quel momento. Una donna che si stava commuovendo nel vedere una coppia felice ed era allo stesso tempo triste pensando alla nostra situazione. Appoggiai le mie labbra sulle sue, la baciai lievemente e sembrò sorpresa perchè non si mosse, non rispose nemmeno al mio bacio. Avrei potuto lasciar perdere, ma non volevo, quindi sfidando la sua reticenza, provai a baciarla con più insistenza, mordendole dolcemente le labbra per provocare una sua reazione, che arrivò, dandomi coraggio. La avvicinai ancora di più a me senza che le nostre labbra si staccassero ed ora anche lei ricambiava il mio bacio. 
Il borbottio di una coppia di una certa età che passò vicino a noi ci riportò alla realtà, non stavamo tenendo un comportamento consono, ma non me ne fregava nulla e con pochissima voglia mi staccai da lei, non capendo come avevo fatto a privarmi dei suoi baci.
- Sono felice anche io - le dissi ripensando alle sue parole di prima sulla coppia di sposi.
La presi per mano e andammo verso l’uscita. Diedi il foglietto alla concierge e poco dopo riportarono la nostra auto davanti all’ingresso. Aspettai tutto il tempo tenendola per mano fino a quando non la feci salire in macchina. Misi in moto e mi allontanai un po’ dall’hotel, fino a quando non trovai uno slargo per potermi fermare e Ziva mi guardò interrogativa, non capendo il perchè della sosta imprevista.
- Hai dimenticato qualcosa?
- Sì, questo - e così dicendo mi tuffai di nuovo sulle sue labbra baciandola appassionatamente lontano da sguardi indiscreti che ci avrebbero interrotto.
- Mi sei mancata anche tu. - Le dissi quando riuscii a staccarmi da lei.
Ripartii e questa volta lasciai per tutto il viaggio di ritorno la mia mano sulla sua gamba, dando un senso a quello spacco sul vestito.

Tornammo a casa più tardi di quanto avevamo pensato e quando aprimmo la porta di casa la scena che vedemmo ci riempì il cuore e allo stesso tempo ci fece sentire tremendamente in colpa per quella serata che forse troppo egoisticamente ci eravamo voluti regalare: Gibbs seduto sul divano a guardare la tv con Nathan che dormiva con la testa appoggiata sulla sua gamba, ben coperto dal caldo plaid.
Gibbs non ci disse nulla, ma semplicemente con un gesto ci ordinò di fare silenzio, indicandoci nostro figlio addormentato. Il cuore di mamma di Ziva in quel momento diventò più grande di quanto la sua cassa toracica potesse contenerlo, prese in braccio Nathan come se fosse un neonato e lo andò a portare nel suo letto ed ero certo che sarebbe rimasta con lui quel tanto che serviva per assicurarsi che dormisse e farsi passare i sensi di colpa.
Io tolsi il cappotto e la giacca, poi mi sedetti nel divano vicino a Gibbs, ringraziandolo ancora e scusandomi per l’orario.
- È servita la serata? - Mi chiese
- Penso di sì. È andata bene.
- Bene. Siete tornati molto meglio di quando siete usciti.
- Si nota?
- Sì.

Non mi disse altro, alzandosi mi diede una pacca sulla spalla e mi fece cenno di rimanere seduto. Se ne andò chiudendo la porta senza fare rumore. 
Mi tolsi la cravatta, sbottonai il primo bottone della camicia e prima che potessi decidere di andare a raggiungere Ziva da Nathan, sentii le sue braccia che, da dietro il divano, scendevano lungo il mio petto.

 

— — — — — 

Aprii i bottoni della sua camicia uno ad uno per poter accarezzare meglio il suo petto, allargando le dita per coprire più superficie, per fargli capire che volevo riappropriarmi di ogni centimetro del suo corpo che mi era stato proibito per un tempo che a me sembrava infinitamente lungo, troppo lungo.
Mi sporsi su di lui, per baciargli la spalla ed il collo ormai nudi con la camicia che era aperta ai lati del suo corpo. Prese un mio polso, stringendolo con forza e fermando il mio massaggio. Mi sentii sprofondare, ritrassi anche l’altra mano e mi appoggiai al bordo del divano, rialzandomi. 
- Ehy, non stare lì dietro, vieni qua… 
Il mio cuore ricominciò a battere. Avrei voluto direttamente saltare dall’altra parte del divano, ma accantonai l’idea. Senza lasciare il mio polso accompagnò il mio movimento circolare per farmi arrivare davanti a lui e solo ora mi liberò dalla sua presa, perchè con le mani andò a cingermi i fianchi per spingermi verso di lui. Mi stringeva appoggiando la testa sul mio ventre: si stava rilassando, lo capivo dal suo respiro più leggero e regolare. Poi alzò la testa e mi guardava dal basso verso l’alto: gli occhi suoi, nei miei e riuscivo a vedere di nuovo quella luce che da tempo non c’era più: amore e desiderio.
Presi le sue mani da dietro la mia schiena e lo invitai ad alzarsi tirandolo. Mi sorrise e si alzò seguendomi fino alla nostra camera.  Chiuse la porta e mi baciò teneramente e lentamente  ma con una passione sempre crescente ed il bacio da tenero diventa avido di noi, ci stavamo gustando reciprocamente. Mi era mancato così tanto in questi giorni questo tipo contatto tra noi, che era desiderio e voglia, ma non solo: eravamo noi, era lui. Le sue labbra, i suoi abbracci, il suo profumo.  Quando le nostre labbra si staccarono si buttò sul letto e mi trascinò su di se. Ridemmo come due bambini. Mi abbracciò stringendomi forte a se e pensavo che quello era il miglior posto del mondo dove potessi voler stare. Mi prese alla sprovvista quando improvvisamente si girò e lo ritrovai sopra di me.
Ci guardammo intensamente prima che fece volare via la sua camicia ormai del tutto aperta. Alzai la schiena quel tanto che bastava perchè le sue mani trovassero la zip del mio vestito: la fece scorrere verso il basso approfittando per percorrere con le sue mani tutta la mia spina dorsale provocandomi brividi ovunque mi toccasse prima di far scivolare via il vestito lanciandolo in fondo al letto. Mi baciava sul collo con l’unico intento di farmi crescere il desiderio di lui e poi tornava a guardarmi pieno di voglia e attrazione ed ogni volta mi meravigliavo di vedere tutto questo nei suoi occhi. Mi guardava e mi sorrideva con il suo sorriso disarmante e non potevo fare a meno di sorridergli anche io mentre armeggiava per slacciarmi il reggiseno. Mi baciava dal collo scendendo verso il basso attraversando il solco dei miei seni fino al basso ventre, mi accarezzava i fianchi, metteva le mani dentro i miei slip ed io inarcai la schiena per aiutarlo a farli scivolare via. Si alzò in piedi davanti a letto, davanti a me, sentivo il suo sguardo accarezzare ogni parte del mio corpo nudo. Lentamente sbottonò i suoi pantaloni e si spogliò completamente lasciandoseli cadere insieme ai boxer ai suoi piedi e potei ammirare anche io il suo corpo, era estremamente eccitante anche guardarlo strappare la bustina del preservativo ed io mi sentivo come un’adolescente con il suo primo fidanzato. Poi tornò sopra di me ad avvolgermi col calore del suo corpo. Ci muovevamo lentamente per goderci ogni istante della nostra ritrovata intimità. Le mie mani accarezzavano la sua schiena e lo strinsi per avvicinare ancora di più il suo corpo al mio per fargli capire quanto lo volevo, per sentire quanto mi voleva. Poi lo sciolsi il mio abbraccio, gli presi le mani e le nostre dita si intrecciarono stringendosi tra loro. Subito dopo anche i nostri corpi, che fremevano dal desiderio, di incontrarsi di nuovo, erano fusi in uno solo quando lui entrò in me riempiendo tutto i miei sensi di lui. Gemiti sommessi e sospiri accompagnarono tutti i nostri movimenti fino quando l’apice del piacere non ci colse.
Rimanemmo immobili qualche istante, poi Tony si sdraiò sulla schiena ed io mi sentii veramente nuda senza più lui sul mio corpo, ma durò solo pochi istanti, perchè mi prese e mi avvicinò a lui facendomi poggiare la testa sul suo petto, stringendomi a se, accarezzandomi la schiena e baciandomi la fronte dolcemente.

Nathan quella notte dormì ininterrottamente, lasciando che fossimo noi a stare svegli ad amarci. Quella notte facemmo di nuovo l’amore e non solo sesso.

 

NOTA: Abbiamo risolto anche il problema tra loro due? Pare di sì :) Ora ci sarà un po’ di spazio per il “family” che non è proprio il mio forte… comunque abbiamo sempre qualche questione in sospeso sia con il Mossad che con quel Marine che ancora non si trova… 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Flares ***


… Did you see the sparks filled with hope?
You are not alone
Cause someone’s out there, sending out flares …

 

Io e Ziva eravamo tornati a fare coppia stabile anche a lavoro ed eravamo entrambi felici per questo. Certo era difficile staccare, ma ci eravamo imposti di lasciare sempre il lavoro fuori dalla porta di casa e ci eravamo riusciti sempre molto bene. Vance, Gibbs e tutti gli altri si mostravano sempre molto disponibili nei nostri confronti, se uno di noi aveva bisogno di uscire prima per Nathan o se serviva un permesso. Alcune volte mi sembrava di approfittare troppo della disponibilità dei nostri colleghi, però, se provavamo a parlarne, ci dicevano che andava bene così, ed almeno in questi primi tempi era veramente molto importante per noi poter contare sulla loro comprensione.
Era capitato un paio di volte di portarlo anche lì con noi, soprattutto in un paio di occasioni quando dovevamo finire delle ricerche per dei casi urgenti ed eravamo costretti a rimanere in ufficio fino a tardi. Nathan non si faceva mai troppi problemi, lo mettevamo seduto ad una delle nostre scrivanie e giocava tranquillo, sempre che Abby non fosse libera, in quei casi era tutto suo e non c’era possibilità di replica. Potevamo sicuramente ritenerci molto più fortunati della media.

Quel pomeriggio dovevamo fare una cosa molto semplice, fare qualche domanda al fratello di un marine scomparso, proprietario di una azienda di ristrutturazioni. Andammo nel palazzo dove stavano lavorando, a circa 40 minuti dal distretto navale, raccogliemmo la sua testimonianza ed approfittammo per ascoltare anche qualche dipendente per avere un'idea su che tipo fosse il fratello che fino ad un paio di anni prima lavorava con loro. Finimmo presto, dovevamo solo tornare in ufficio e compilare il rapporto, poi saremmo tornati a casa.
Prendemmo uno degli ascensori del palazzo per tornare al piano terra ma poco prima di arrivare questo si bloccò con noi dentro.
- Maledizione siamo bloccati tra un piano e l'altro non si vede l'uscita nè sopra nè sotto! - urlò Ziva dopo aver forzato le porte e visto davanti a noi solo un muro, senza nessuno spiraglio.
L'allarme non funzionava, forse per via dei lavori in corso. Eravamo bloccati là dentro. Urlammo per molto tempo sperando che qualcuno ci sentisse ma stavano tutti lavorando ed eravamo noi a sentire il loro rumore fuori, non il contrario.
I minuti passavano, i cellulari non avevano campo. Ziva stava cominciando ad innervosirsi oltremodo, anzi ora era proprio agitata. Ci sedemmo per terra quando vidi che stava cominciando a sudare, avevo paura che avesse una crisi di panico, ma Ziva non soffriva di claustrofobia.
- Tranquilla occhioni belli ci tirano fuori di qui. Non ti agitare
- Tony non sono preoccupata per quello, hai visto che ore sono?
No, non ci avevo pensato. Guardai l'orologio e capii la sua ansia
- Nathan! - esclamai
- Uscirà tra poco. Non faremo mai in tempo ad andarlo a prendere, capisci Tony? Si troverà lì da solo. Non ci vedrà arrivare. Lo sai che vuol dire questo per lui?
La abbracciai per cercare di tranquillizzarla, ma ora ero agitato anche io. Sapevo che voleva dire, condividevo la sua paura, Nathan ci aveva messo del tempo a fidarsi di me, a superare la paura di essere abbandonato ancora nonostante ogni tanto avesse degli incubi la notte. Tra poco si sarebbe trovato lì, da solo, per colpa di questo maledetto ascensore.
Passò ancora del tempo a quell'ora Nathan doveva già essere uscito. Ziva era entrata nella sua modalità di mutismo nella quale non faceva penetrare nessuno. Seduta a terra guardava fissa davanti a se.
- Se i nostri telefoni non sono raggiungibili avranno chiamato in ufficio. Sarà andato McGee o Gibbs a prenderlo.
- Ma non siamo noi Tony! Lui non lo sapeva. Si aspettava noi. Anche Tamar la conosceva quando lo teneva a Tel Aviv!
- Noi tra poco saremo con lui però! Non è la stessa cosa questa volta!
- Tony non minimizzare! Non dire cosa è o cosa non è!
- Ok Ziva. Come vuoi tu.

Era inutile adesso parlare o ragionarci. Ormai la conoscevo, ma mi faceva comunque male il suo atteggiamento così duro. Non stavo minimizzando, stavo cercando di analizzare la situazione nel modo più razionale possibile, ma lei quando si trattava di nostro figlio perdeva, ancora, ogni forma di razionalità e tutti i suoi buoni propositi venivano meno.
Mi slacciai la cravatta e presi la testa tra le mani appoggiandomi sulle ginocchia. Sentii le dita della sua mano scivolare delicatamente tra i miei capelli, ma non mi mossi. Appoggiò la sua testa alla mia
- Scusami - mi sussurrò - ho solo paura che tutto quello che abbiamo fatto in questo periodo con lui diventi inutile…

- Ehy, ti ricordi l’altra volta che siamo rimasti bloccati in ascensore?
- Come potrei dimenticarmelo. - rispose triste. Non era quello il mio intento, ci riprovai.
- Non sarei voluto rimanere bloccato con nessun altra persona, cosce d’acciaio - appoggiai una mano sulle sue gambe e le strappai un sorriso, finalmente.
- Nemmeno io. - Mi disse portando la sua mano sopra la mia
- Non me l’hai mai detto però, anzi, ti vorrei ricordare che parlavi piuttosto del mio odore - mi finsi offeso e ridacchiai.
- Nemmeno tu me lo hai mai detto, se è per questo. E sull’odore era vero. - Rise anche lei. Nonostante tutto eravamo un po’ più rilassati. 
- Ziva, usciremo presto e andrà tutto bene, non ti preoccupare. - Le diedi un bacio tra i capelli ed aspettammo.

 

--- --- --- --- ---


- Tony! Ziva!
Sentivo qualcuno da fuori che ci chiamava. Era Gibbs. Cominciammo ad urlare per farci sentire.
- Tony! Ziva! 
La voce si avvicinava e noi urlavamo ancora di più.
- Ragazzi siete là dentro?
- Sì Gibbs! - urlò Tony - siamo bloccati
- Ora vi tiriamo fuori. State bene?
- Dov'è Nathan Gibbs! - urlai
- Con McGee è andato a prenderlo mentre io venivo qui.
L'ascensore si mosse, scendevamo a scatti e dopo poco cominciammo a vedere la luce delle lampade fuori dalla nostra porta aperta e da quella esterna tenuta aperta da un operaio e Gibbs. Si era fatto buio. 
Saltai fuori appena ebbi la possibilità e invitai Tony a fare velocemente lo stesso.
- Andiamo Tony, guido io!
Mi diede le chiavi senza obiettare. Sapeva che avrei fatto prima di lui.
Ringraziammo velocemente Gibbs dandoci appuntamento per parlare di quanto successo una volta arrivati. 

- McGee dov'è Nathan? - Eravamo arrivati all’NCIS nel minor tempo che avevamo potuto, ma a me sembrava di averci messo sempre troppo poco. Guidai in silenzio il più velocemente possibile, ignorando completamente Tony che subiva passivamente il mio mutismo nel quale trovavo rifugio quando ero nervosa. Me l’ero presa con lui ed ero arrabbiata con me stessa e sapevo che non era giusto. Non sapevo dove trovava tutta questa pazienza per starmi vicino quando mi rendevo conto da sola quanto fossi intrattabile.
- Ziva, meno male che sei arrivata. È da Abby ed è meglio che vai giù subito, sta bene ma…
Non chiamai nemmeno l'ascensore, senza ascoltare ancora Tim corsi immediatamente per le scale fino ad arrivare al seminterrato di Abby che appena mi vide dalla porta aprì subito
- Oh Ziva per fortuna sei qui! - mi disse mente correvo a prendere Nathan che sentivo piangere da quando ero entrata.
Era seduto su una sedia con gli occhi rossi ed il volto bagnato dalle lacrime. Tirava su con il naso e singhiozzava. Mi si spaccava il cuore a vederlo così.
Mi misi in ginocchio davanti alla sedia, lui allungò le sue braccia verso di me ed io lo presi stringendolo forte.
- Amore mio mi dispiace.
Lo tenevo più stretto che potevo, lui tremava e singhiozzava.
- Nathan calmati sono qui. Sono qui.
Non smetteva di piangere. Non era dolore o tristezza, era paura.
Mi tirai su tenendolo in sempre braccio, stretto al mio petto mentre gli accarezzavo i capelli. Passeggiavo per il laboratorio di Abby e lei mi guardava immobile. Nathan non si calmava. Cominciai a cantargli piano piano la ninna nanna che gli cantavo sempre per farlo addormentare quando faceva un brutto sogno ed il suo pianto piano piano diventava più leggero e i singhiozzi sparirono. Arrivò anche Tony
- Ho fatto rapporto e sono venuto - si giustificò.
Gli feci cenno di fare silenzio mentre continuavo piano piano a cantare e passeggiare. Si mise davanti a noi ed anche lui ora accarezzava Nathan. Ci abbracciò stringendoci entrambi, voleva far sentire a nostro figlio che eravamo tutti insieme e gli diede un bacio tra i capelli.
- Scusa ometto, non piangere. Io e la mamma non ti lasceremo mai.
Alzai lo sguardo e solo ora mi accorsi che Abby si era messa in un angolino, stringeva Bert e piangeva anche lei.
- Devo tornare su, devo mettere per iscritto il rapporto, penso io anche al tuo. Tu aspetta che si calma.
Diede un altro bacio a nostro figlio, uno a me e tornò di sopra.
Io mi sedetti con lui in braccio. Ora non piangeva più ma con le mani rimaneva aggrappato alla mia maglia senza lasciarla.
Abby prese una sedia e si avvicinò.
- Oddio Ziva non sapevo cosa fare, lui non smetteva di piangere, non sapevo come farlo smettere, non parlava, non voleva essere preso in braccio! 
- Abby è colpa mia, non è colpa tua.
- Il povero Tim quando è andato a prenderlo non sapeva come portarlo qui, non si voleva muovere e quando lo prendeva in braccio lo prendeva a calci. 
- Aveva paura... - gli accarezzavo il viso per asciugargli le lacrime
- Sì era terrorizzato... Mi faceva così tenerezza... Non voleva nemmeno giocare con Bert...
Riuscii a farlo staccare dalla mia maglia e lo feci mettere seduto appoggiato a me. Abby mi portò un po' d'acqua per farlo bere. Ora era abbastanza tranquillo ma aveva sempre paura, lo vedevo dal suo viso e dal suo essere taciturno. Gli asciugai le lacrime lui e poi lui prese la mia mano stringendola con tutte e due le sue.
- Non ti avevo mai visto così, sei una mamma fantastica - disse Abby commossa
- Se lo fossi veramente, lui non stava così adesso - dissi con tono di rimprovero verso me stessa
- Veramente Ziva, mi sono emozionata a vederti. Non è colpa tua se siete rimasti bloccati.
- Mamma a casa - la vocina di Nathan ci interruppe
- Certo amore, adesso andiamo. Vuoi salutare Abby che ti ha tenuto qui?
Abby si avvicinò e lui le diede un bacio sulla guancia
- Però non piangere più quando sei con me se noi poi piango anche io e anche Bert! 
- Grazie Abby - le dissi di cuore
- Di niente Ziva e mi dispiace solo di non essere stata brava a calmarlo.
- Non lo dire nemmeno per scherzo. Ci vediamo domani.
Provai a mettere giù Nathan per farlo camminare, ma volle rimanere in braccio e non lo forzai.

Quando arrivai, Tony stava ancora parlando con McGee, Gibbs e Bishop di quanto accaduto al cantiere mentre Tim spiegava di come Nathan lo avesse preso a calci.
- Sta meglio? - mi chiese Tony appena fui al suo fianco. 
- Sì, vuole andare a casa. 
- Adesso andiamo ometto - disse prendendolo in braccio e tirai un sospiro di sollievo nel vedere che si fece prendere senza problemi, avevo il terrore che potevamo aver bruciato tutto quanto fatto in queste settimane.
- Grazie per i calci presi - dissi a Tim sorridendo
- Oh è un piacere! Si vede che gli piace il calcio eh!
Facemmo tutti una risata
- Dai ometto fammi vedere come prendevi a calcio McPallone!
- Tony ma cosa gli insegni! - lo ripresi, mentre Gibbs gli diede uno dei suoi scappellotti
- Come siete seri, era solo un'idea carina per far sentire Timmy importante, finalmente ha trovato il suo ruolo di palla!
Noi ridevamo, Tony sapeva allentare la tensione.
- Papà a casa! - Esclamò risoluto Nathan
- Gibbs perché mio figlio mi da gli ordini come te?
- Perchè ha già capito tutto, Tony!
Ridemmo di nuovo tutti e poi dopo averli salutati andammo via.
- Guido io - dissi a Tony arrivati alla macchina, lui mi lanciò le chiavi che aveva in tasca - tu stai dietro con lui.
Non si oppose, per stare con suo figlio in braccio accettava anche la mia guida. Si sedette dietro stringendo Nathan a se forte forte. Gli parlava piano piano all'orecchio ma non sentivo che diceva. Accesi la radio e guidai verso casa. Lentamente. 

Arrivati a casa ci sedemmo con Nathan tra di noi sul divano per provare a spiegargli cosa era successo. Sapevo bene che era piccolo e non avrebbe compreso perfettamente la situazione, però avevo sempre cercato di spiegargli tutto quello che ci accadeva.

- Piccolo, ascolta… Alcune volte può capitare che mamma e papà devono lavorare e non possono venirti a prendere, come oggi. E se non veniamo noi verrà Tim o Abby oppure Gibbs - gli dissi accarezzandolo 
- Gibbs! - Nathan lo adorava
- Vuoi che venga Gibbs con te? - Gli chiesi
- Sì, Gibbs! - rispose sorridendo 
- Va bene glielo diremo e se può ti verrà a prendere lui… Anzi, la prossima volta che lo vediamo glielo chiedi tu, va bene?
- Sì Gibbs!
Però tu non ti devi preoccupare se vengono loro, capito? Non devi aver paura.
- Non mi tengono lontano? - Ecco che al mio bambino le paure di quanto accaduto nei mesi scorsi tornavano a galla e la cosa che mi faceva stare male, era il non sapere quanto in profondità tenesse questa angoscia che ogni tanto usciva fuori. Avrei voluto cancellare tutto e non fargli provare più quel senso di smarrimento che mi faceva sentire ogni volta tremendamente colpevole.
- No, amore mio, stai con loro solo fino a quando noi non torniamo, poco tempo, come oggi.
- Mi fanno tornare? 
- Certo! Loro hanno aiutato tanto mamma e papà a farti tornare, ti vogliono bene tanto tanto anche loro, non ti terrebbero mai lontano.
- Nathan, non devi piangere più come oggi, non devi aver paura! Se tu piangi così, poi piangiamo anche io e la mamma. - Intervenne Tony vedendo che gli occhi di Nathan si stavano di nuovo riempiendo di lacrime.
- No, non piangere papà, non piangere mamma! - Ci disse portando le sue manine prima sul volto di Tony e poi sul mio, ma lui non sapeva che quello era il modo migliore per farci crollare, ci guardammo e gli sorridemmo, dandogli entrambi un bacio.

Andai a preparare la cena per Natahan e Tony lo prese e lo fece sdraiare sul suo petto e lui si fece beatamente coccolare. Gli massaggiava la schiena e accarezzava i capelli mentre nostro figlio si rilassava al punto di addormentarsi tra le braccia di suo padre prima di cena: si era stancato per quanto aveva pianto ed avuto paura. 
Mentre gli scaldavo un po’ della crema di pollo che avevo in frigo, mi ritrovai a guardarli ininterrottamente: erano la cosa più bella che potessi vedere. Anche Tony si era addormentato, me ne rendevo conto dalle sue mani che si erano fermate una intorno al corpo di Nathan, l’altra rilassata lungo il suo fianco.
Il leggero borbottare della minestra che era ormai calda richiamò la mia attenzione e a malincuore smisi di guardare i miei uomini addormentati per finire di preparare la cena per Nathan.

- Cucciolo andiamo a mettere il pigiamino e poi mangiamo? - Dissi svegliando mio figlio che mi guardava più che assonnato, ma non volevo che andasse a dormire senza mangiare nulla. Gli diedi un bacio sulla fronte e lo presi in braccio, svegliando anche Tony appena percepì la sua assenza su di lui.
- Ehy quanto ho dormito? - Mi chiese Tony passandosi le mani sul volto
- Poco, dormiglione… - Nathan sbadigliava - … Lo vado a cambiare e provo a farlo mangiare, prima che si addormenta di nuovo. - Diedi un bacio anche a lui e andai a preparare il piccolo di casa per la notte, dopo averlo lavato velocemente sperando che lo aiutasse a non addormentarsi durante la cena.
Lui che di solito voleva sempre mangiare da solo, quella sera volle solo essere imboccato e alla fine il più contento fu Tony, visto che per lui era un’esperienza nuova, così mentre io lo tenevo in braccio, lui si stava sbizzarrendo per cercare tutti i modi possibili per farlo mangiare facendo divertire non poco Nathan e divertendosi lui stesso a fare ora il treno, ora l’aeroplano o la nave. Di certo a Tony non mancava la fantasia per trasformare ogni occasione in gioco e dentro di me fui contenta di quella serata così familiare.
Giocarono ancora un po’ mentre io preparavo la cena anche per noi, poi Nathan crollò di nuovo tra le sue braccia e questa volta lo portò direttamente nel suo lettino lasciando la porta di camera socchiusa e la luce soffusa, come sempre.  


— — — — — 


Ero riuscito a passare dei bei momenti con mio figlio dopo quello che era successo, in quei giorni avevamo fatto molti progressi, giocavamo insieme e mi cercava spesso, però oggi, proprio quando avevamo paura che potevamo bruciare tutti i progressi fatti, invece abbiamo fatto altri passi avanti e mi stavo conquistando sempre più la sua fiducia.
Mi ero divertito ad imboccarlo, non l’avevo mai fatto e forse non se lo sarebbe fatto più fare, per me era stato una specie di regalo. Speravo che invece quello di dormire così insieme fosse solo la prima di tante altre volte. Coccolarlo per farlo rilassare, aveva fatto rilassare più me. Era ancora tutto nuovo, ogni giorno scoprivo qualcosa in più di lui che il giorno prima ignoravo e, soprattutto, scoprivo delle cose di me e provavo delle emozioni del tutto inaspettate.

Avevamo finito di cenare ed eravamo ancora seduti al bancone della cucina, quando sentii l’irrefrenabile urgenza di fare una domanda a Ziva. L’avevo dentro da quando ad ottobre ci eravamo ritrovati ed oggi dopo averla vista così terrorizzata per aver lasciato Nathan da solo e così protettiva nei suoi confronti tornò prepotentemente a bussare nella mia mente. Non avrei voluto rovinare quella serata che nonostante tutto per me era stata perfetta nella sua semplicità, però ci eravamo ripromessi di parlarci e di dirci tutto, non volevo portarmi dentro ancora a lungo quell’interrogativo.
Lei stava finendo di mangiare una mela, io la osservavo aspettando il momento giusto. Si accorse del mio sguardo, si accorgeva sempre quando la fissavo, aveva un sesto senso nel percepire gli sguardi di tutti, ma credo i miei in modo particolare, come se si posassero pesanti su di lei, invece che sfiorarla appena come spesso avrei voluto. 
Nel guardarmi a sua volta aveva sicuramente capito che stavo per chiederle qualcosa, questo era un altro dei suoi tanti sensi, ma lei diceva solo che ero io che non riuscivo a mentirle o a nasconderle qualcosa. Mise sul piatto l’ultima parte di mela e lo spostò da davanti a se, bevve un sorso d’acqua e mi guardò fissa. Mi persi come sempre nel suo sguardo e in quel momento se non avesse parlato lei probabilmente non le avrei chiesto più nulla perchè non ce l’avrei fatta.

- Cosa mi devi dire Tony? - Mi chiese con tono preoccupato. 
- Perché hai lasciato Nathan e sei venuta da me quel giorno in Israele? - Le parole mi uscirono velocemente. Lei spostò più volte lo sguardo dalle sue mani a me. Stava facendo roteare l’anello all’anulare, un gesto che ormai riconoscevo alla perfezione, lo faceva sempre quando parlavamo di noi ed era nervosa, come se il simbolo di quella promessa fosse incandescente nella sua mano.
- Perché probabilmente oggi non saremmo qui se non l’avessi fatto. - Per quanto quella risposta fosse dolcissima e vera, non mi bastava. 
- Tu non lo sapevi che saremmo arrivati qui.
- Forse ci speravo, tu no?
- Rispondimi, per favore. Hai il terrore a lasciarlo solo, perché sei venuta a rischiare la vita per me? - La mia voce era molto più fredda della sua
- Ho il terrore adesso a lasciarlo solo. Prima Nathan passava molto tempo con Tamar, soprattutto quando dovevo lavorare ed avevo bisogno di un po’ di tranquillità.
- Sai cosa voglio dire, non essere evasiva. Tu non sapevi cosa sarebbe successo quel giorno. Potevi morire. Potevi lasciare tuo figlio solo al mondo. Perché lo hai fatto? Cosa ti ha spinto a rischiare così tanto? - Mi ritrovai senza nemmeno volerlo ad incalzarla con le mie domande e mi sembrò di scorgere anche un velo di paura nei suoi occhi, che la situazione ci sfuggisse di mano, di nuovo. Però, ormai, volevo sapere.
- Tu, sei stato tu. Non lo hai ancora capito? Te lo devo dire, vuoi sentirtelo dire? 
- Io vorrei solo capire… - ed era vero, volevo solo capire qualcosa che mi sembrava inconcepibile.
- Perché me lo chiedi oggi?
- E’ un po’ che ci penso, in realtà ci penso da quando mi hai detto di Nathan. Oggi ti ho vista così preoccupata e mi chiedevo come avessi fatto a prendere quella decisione
- Non ho preso nessuna decisione. Ho agito d’impulso, mi sono preparata velocemente prendendo le mie armi, che non toccavo da anni, e sono uscita venendo più in fretta che potevo da te.
- E Nathan?
- Lui non era con me, era già da Tamar. Probabilmente se fosse stato lì sarebbe stato più difficile decidere cosa fare e so non sarei stata lucida e fredda, l’emotività mi avrebbe bloccata. Ma quel giorno dovevo lavorare e lei era venuto a prenderlo la mattina presto. In più quel giorno preferivo sempre passarlo da sola, con una scusa o un’altra. 

Rimanemmo qualche minuto in silenzio. Io pensavo a come avevo vissuto male ogni volta l’avvicinarsi di quel giorno con tutti i ricordi che mi tornavano alla mente. Lei credo stesse facendo la stessa cosa, solo che i suoi ricordi erano ancora più destabilizzanti. Quel giorno… Ancora non riuscivo nemmeno a chiamarlo con il suo nome e lei aveva la stessa difficoltà a farlo. Poi fu lei a rompere il silenzio. 

- Non sono brava a gestire i miei sentimenti. O li lascio fuori da me, e non gli permetto di toccarmi, o ne vengo sopraffatta. Arrivo a comportarmi in modo irrazionale quando succede. Non ho pensato a nulla, non ho pensato a me, non ho pensato a Nathan. Ho solo pensato che dovevo venire da te e aiutarti. Come tu hai fatto tante volte con me.
- Ti dovevi sdebitare - fu un pensiero ad alta voce, una battuta mal riuscita. Non avrei voluto dirglielo, sapevo benissimo che non era quello il motivo.
- Ti prego Tony… Te l’ho detto anche in quel momento non ti ricordi? Non posso vivere senza di te.
- Ti dovrei credere? Tu non mi avevi creduto quando te l’avevo detto io.
- Per favore Tony…
- Lo avevi fatto per tre anni, quindi potevi continuare a farlo. - Si passò le mani sul volto, tenendosi chiusi gli occhi qualche secondo e poi sui capelli. Era tesa e nervosa.
- Non è la stessa cosa, non è la stessa cosa - lo ripeteva con voce sempre più bassa. - Perchè stiamo discutendo su questo adesso? Che bisogno c’è? - Il tono era implorante.
- Io ne ho bisogno
- Perchè? Perchè sei l’uomo più premuroso e paziente del mondo, un padre perfetto nonostante tutte le difficoltà e poi ti lasci attanagliare da questi dubbi?
- Non sono dubbi è solo che non riesco a capire. 
- Cosa non capisci? Che ho lasciato tutto per venire da te? Che sono rimasta lì con te fino alla fine nonostante quello che poteva accadere? Pensi che avrei potuto vivere con la consapevolezza di averti lasciato morire, senza fare nulla? 
- Penso che non avresti dovuto rischiare di morire sapendo che nostro figlio ti aspettava.
- Vuoi rimproverarmi per questo? Perchè non mi sono comportata come una buona madre e sono stata impulsiva?
- No, non direi mai che non sei una buona madre, lo sai.
- Tu non ti rendi conto quanto sei importante per me. Per questo fai tutte queste domande e ti crei tutti questi problemi che non esistono. Forse è colpa mia, che non te l’ho mai fatto capire, ma non sono brava come te a dire quello che provo. Se vuoi una spiegazione razionale Tony non ce l’ho e non ce l’avrò mai. Però lo rifarei altre cento volte e se tu mi chiedessi il perchè altre cento volte ti potrei solo dire che l’ho fatto perchè sei tu e perchè ti amo e quando si ama si fanno cose irrazionali. Ho pensato che se avessi negato a me stessa tutto questo, sarebbe scomparso. Invece era solo diventato più silenzioso ed è bastata una foto per farmi perdere il senso delle cose ed avere l’unica urgenza di venire da te. Dai tu un nome a questo.

Non risposi. Che nome potevo dare a quello che mi aveva detto? Era irrazionale, certo. Era folle. Ma era la stessa cosa che avrei fatto anche io a parti invertite.
Eravamo ai lati opposti del bancone, ognuno seduto sul proprio sgabello. Distanti, ancora una volta. La cosa assurda era che dopo aver creato tutta questa situazione, non mi sentivo nemmeno meglio, non avevo avuto le risposte che volevo, forse perchè non esisteva una risposta che mi avrebbe soddisfatto. 
Lo aveva fatto perchè mi amava, perchè non mi andava bene come risposta? Eppure doveva essere tutto. Cosa c’era che non andava in quella risposta così semplice e profonda?
Ziva guardava fissa in basso sulla tovaglietta colorata, percorrendo con la mano i disegni astratti riprodotti sopra di essa. Spostai rumorosamente lo sgabello e mi alzai e lei levò subito il suo sguardo su di me, guardandomi impaurita. 

- Ti prego non farlo - Cosa stava pensando?
- Cosa?
- Non te ne andare.
Le sorrisi e mi avvicinai a lei. La abbracciai e lasciai che si appoggiasse a me.
- Così va bene? - Le chiesi mentre la stringevo. Annuì con la testa senza dire nulla. - Quando ci sposiamo? - Dissi quella frase come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se ne avessimo parlato fino a pochi minuti prima, quando in realtà non ne avevamo proprio più parlato. Era rimasta una richiesta, una promessa, un intento.  Non avevamo pensato a date nè a nient’altro. Si alzò di scatto e mi guardò con i suoi occhi grandi che mi studiavano stupiti e felici.
- Cosa hai detto? 
- Ti ho chiesto quando pensavi di volermi sposare. Sempre che tu voglia farlo ancora, ovviamente.
- Certo che lo voglio! - Rispose entusiasta, io la lasciai, presi lo sgabello vicino a lei e mi sedetti lì, prendendole le mani - Io mi rendo conto che quando tu me lo hai chiesto non ho avuto la reazione che forse ti aspettavi e nemmeno quella che io avrei voluto avere. Ma in quel momento era tutto difficile per me e tu mi stavi chiedendo una cosa così importante mentre io ti avevo nascosto di nostro figlio.
- Ziva, non ci voglio pensare a questo adesso. Per me quella sera è stata perfetta, una delle più belle della mia vita, veramente.
- Quando ti ho detto di sì, era quello che volevo veramente. In quel momento non ho pensato a niente, ai problemi, al futuro a quello che sarebbe potuto accadere, non ho pensato nemmeno a nostro figlio. Ti ho risposto pensando solo a quanto ti amo. 
- Irrazionale, come quando sei venuta nell’hangar - le sorrisi, facendole capire che andava bene così - A me basta questo.
- A me no però, perché voglio farti capire, che se io ti voglio sposare è perché ti amo. E ti amo a prescindere da nostro figlio, perché ti amavo già prima. Nathan è una conseguenza del mio amore per te, non una causa. Tu non sei mai stato un gioco, uno da una notte e basta, anche se per troppo tempo c’è stata solo quella notte. Io voglio che tu questo lo capisca. Per me è importante.

La cosa che in quel momento capii era soprattutto quanto le avevo fatto male con quello che le avevo detto quel giorno in ospedale con quella frase dell’essere un gioco, perchè ogni volta mi voleva rassicurare che non era così. Ora mi trovavo in difficoltà, non sapevo cosa risponderle. Quello che mi aveva appena detto era la cosa più bella che potessi sentirmi dire da lei e mi aveva lasciato senza parole.

- Quando ti ho chiesto di sposarmi io non sapevo di nostro figlio, per me eravamo solo io e te e quello che sapevo era solo che io volevo stare con te, sempre, che volevo passare la mia vita e fare la mia famiglia con te. Il giorno che mi hai detto di lui, io ero arrabbiato, mi sentivo tradito, deluso, derubato del tempo che non avevo passato con lui ed anche con te. Di tutto quello che non avevamo condiviso… Ti ho detto cose di cui non posso che pentirmi, cose che sapevo che ti avrebbero fatto male e proprio per questo te le ho dette, perchè volevo farti male, solo per questo. Non è bello, lo so. 

Mi fermai per guardarla. Ripensare a quei giorni era un dolore per entrambi che ci eravamo promessi di non rivivere, ma poi finivamo sempre per parlarne, e sarebbe stato così fino a quando non l’avremmo superata del tutto. 

- Ti ho chiesto nuovamente di sposarmi quando abbiamo deciso di riprovarci quando sapevo di nostro figlio ma non era qui e se vuoi io te lo chiedo anche adesso che lui è di là nella sua stanza. Ti ho detto che avrei voluto che tu fossi la madre dei miei figli quando non sapevo che ne avevamo già uno. Per me adesso è tutto perfetto così. Se vuoi ci possiamo sposare anche domani.
- Agente DiNozzo, ma lei tutta questa dolcezza nel corso degli anni dove l’ha tenuta nascosta?
- Vicino a dove lei teneva la sua Agente David - mi avvicinai per baciarla e per sporgermi verso di lei stavo perdendo l’equilibrio, ma sentii la sua forte presa bloccarmi il braccio. La guardai e scoppiammo entrambi a ridere di gusto.
- Per fortuna hai sempre i tuoi riflessi da ninja - le dissi e questa volta la baciai senza rischiare di cadere.

 

NOTE: Questo capitolo un po’ così, non saprei come descriverlo e non nemmeno se sia venuto fuori tanto bene, mi è servito più che altro per rimarcare delle cose:
- Nathan non ha superato ancora completamente la separazione dalla madre e le sue paure vengono fuori e nessuno sa quando riuscirà a superarle.

- Ziva ha le stesse paure di Nathan e si fa prendere dal panico pensando al figlio. Vive con i sensi di colpa che non riesce a farsi passare, anche perchè di questa cosa non ne parla. Qui vediamo ancora quali sono le altre due paure di Ziva: che Tony possa pensare che per lei lui sia stato solo “un gioco” (glielo ha già ripetuto varie volte) e che lui se ne vada.
- Tony ha ancora molte domande per la testa alle quali vorrebbe da Ziva risposte convincenti, perchè fondamentalmente lui ancora non ha capito il comportamento di lei in quegli anni e in quei mesi. Per quanto lui si sforzi di capirla, gli sembra sempre che ci siano dentro di lei delle pagine cifrate che non riesce a leggere e forse non ha tutti i torti. 

Alla fine del capitolo c’è una piccola svolta. Ziva prova ad aprirsi a Tony, a modo suo. Ha paura che se non gli parla lui possa andarsene di nuovo. Tony, invece, capisce che infondo non potrà mai avere da Ziva quelle risposte razionali che lui cerca, perchè lei non riesce a darle prima di tutto a se stessa. Si fa bastare quello che lei può dargli perchè si rende conto che è tutto quello di cui ha bisogno.

Ah, i prossimi capitoli saranno dedicati un po' più a Tony e ad un aspetto che ancora non è venuto fuori nella storia... Arriverà una nostra vecchia conoscenza a trovare la nuova famiglia... E poi Ziva e Tony si troveranno a far fronte ad un particolare desiderio di Nathan... 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** You saved me ***


…When everyone left me you loved me and no one else                    
You came and saved me you saved me from myself …

 

Finalmente il rapporto tra Tony e Nathan si stava normalizzando e cercavamo di far essere il più normale possibile anche il nostro, nonostante ogni tanto uscisse fuori qualche scoria del passato, qualche buco nero da chiarire. Erano per lo più cose di piccolo conto, ma che spesso per Tony diventavano ostacoli di vitale importanza a cui dava molta più peso di quello che realmente avevano. Avevamo riparlato di matrimonio, ma ancora non avevamo deciso una data, ci eravamo solo trovati d’accordo sul non affrettare i tempi e prenderci tutto il tempo necessario per decidere quando e come e riparlarne con calma.

Nel frattempo il mio piccolino cercava sempre più spesso il papà e Tony amava passare tutto il tempo che poteva con lui quando la sera tornavamo a casa. Nathan adorava quando giocavano insieme nel box con le palline o quando facevano la lotta a terra. Tony provava anche a convertirlo a sport più tipicamente americani soprattutto il basket ma su questo punto il mio piccolo testone era irremovibile. Lui era Messi e giocava a calcio non c'era modo di fargli cambiare idea. Nathan era felicissimo di aver ritrovato a casa la vecchia maglia che aveva a Tel Aviv e che Tony aveva preso. Quando giocavano a calcio a casa con il pallone di peluche voleva sempre mettersi quella maglia e non voleva mai che la lavassi perché doveva essere sempre vicino a lui. 
In tutto ciò Tony continuava a farmi domande su chi fosse questo Messi. Cercai di spiegargli che era tipo Lebron James nel basket ma che vinceva molto di più. Così almeno capì più o meno l'importanza del personaggio. Adoravo vedere che ogni tanto apriva il computer e faceva qualche ricerca su di lui su google e youtube, poi vedeva i video e mi chiedeva se quelle giocate erano belle. Niente, non riusciva proprio a capire il calcio.

- Ziva abbiamo tempo per fermarci dieci minuti?
Stavamo tornando da un caso nella zona di Georgetown quando Tony mi fece quella richiesta
- Cosa diciamo a Gibbs che ci aspetta in ufficio?
- Dai dopo guidi tu così recuperiamo un po' di tempo.
- Non sei spiritoso Di Nozzo eh!
Accostò vicino al nuovo NikeStore e ne uscì poco dopo con due pacchetti tutto sorridente. 
- Allora? Che hai preso? 
- Un regalo per l'ometto
- Due regali - lo corressi mentre mettevo in moto e acceleravo nel traffico
- David come sei fiscale! Però fammi arrivare vivo a stasera per darglielo!
E più mi diceva così più mi divertivo a zigzagare tra le macchine ben conoscendo il suo odio per la mia guida, diciamo sportiva.

Quando uscimmo dall'ufficio come al solito Tony andò a prendere Nathan. Ormai non c'era più bisogno del nostro stratagemma però faceva piacere ad entrambi e nostro figlio sempre più spesso invece che farsi portare in braccio veniva verso la nostra auto correndo sotto lo sguardo attento di Tony.
- Sei stato bravo oggi ometto? - gli chiese Tony in macchina guardandolo dallo specchietto
- Sì
- Sicuro?
- Sì! - urlò lui contento
- E cosa hai fatto di bello?
- Colorato tanti fogli!
- E non lo hai portato nemmeno uno a mamma e papà?
- No... - gli rispose Nathan perplesso
- Ometto la prossima volta me lo porti un foglio così lo metto alla mia scrivania?
- Va bene
- Amore mio se lo porti uno a papà lo vuole uno anche mamma! - gli dissi girandomi a guardarlo
- Sì mamma
- Promesso eh! 
- Mamma... - mi chiamò dopo un po' che stava in silenzio
- Anche a Gibbs?
- Ma certo amore mio! Li puoi fare a chi vuoi!
Tony prese in braccio Nathan per portarlo a casa e mi ricordò di prendere i due pacchetti che aveva preso la mattina.
- Ometto ora vai con mamma a lavarti e metterti il pigiama - gli disse Tony appena arrivati a casa mettendolo giù
- No giochiamo! - obiettò lui
- Nathan prima fai il bagnetto poi giochiamo.
- No ora papà! 
- Nathan papà ti aspetta qui ci sono anche quando hai finito il bagnetto non ti preoccupare.
Tony ci teneva sempre a sottolineare con lui il fatto che non se ne andava. Nathan ancora ogni tanto aveva paura che quando uno di noi due non c'era non sarebbe tornato. 
Alla fine fargli il bagno non era un problema, una volta convinto ad entrare si divertiva sempre a giocare nell'acqua con i suoi pupazzetti. Il vero problema era asciugargli i capelli visto che odiava il phon e ora li aveva anche piuttosto lunghi per un bambino della sua età. 
- Mamma, papà?
- È di là che prepara per cena
Doveva solo riscaldare delle cose che avevo già preparato, ci sarebbe riuscito anche lui senza fare danni.
- Viene qua? 
- Fatti finire di asciugare i capelli poi vai tu da lui
- Mamma... anche io voglio bene anche a papà
- Lo so piccolo. Anche papà ti vuole bene.
- Ma se glielo dico lui non mi lascia più?
- Lui non ti lascia mai. Ma tu diglielo che gli vuoi bene ok?
Fece cenno di sì con la testa e si lasciò asciugare i capelli, poi tornammo di là da Tony: non vedeva l'ora di dare i regali a Nathan che corse verso il papà stringendosi alla sua gamba.
Adoravo vederli così. Dopo quanto successo i primi tempi che era qui vederlo cercare Tony era quanto di meglio potessi sperare. 

 

--- --- --- --- ---
 

Sentii il mio ometto arrivare e stringermi la gamba. Lo presi e lo tirai su facendolo volare in aria. Rideva. Era bellissimo sentirlo ridere. Rideva come sua madre. 
- Vai a giocare con lui, ci penso io - mi disse Ziva dandomi un bacio
- Ometto ti va di aprire un regalo?
- Perché?
- Papà ti voleva fare un regalo.
- Non è compleanno
- Lo so
- E perché?
- Perché volevo farlo
- E perché?
Nathan era da qualche giorno ufficialmente entrato nella fase del perché e chiedeva il perché di tutto, fino allo sfinimento.
- Perché ti voglio bene.
- Anche io papà.
Mi abbraccio ancora più stretto mi sedetti a terra con lui nella sua cameretta e gli diedi il primo pacchetto. Lo aiutai a strappare la carta e i suoi occhi quando videro cosa c'era dentro si illuminarono. Il completino di Messi gli stava alla perfezione. Gli tolsi il pigiama e glielo misi perché voleva indossarlo subito. Maglietta, pantaloncini e calzettoni.
- Sei contento Nathan?
- Tanto tanto!
- Se vai di là c'è un'altra cosa per te, andiamo a farci vedere dalla mamma?
Corse da Ziva tutto orgoglioso del suo completino nuovo e io lo seguii. Era meravigliosamente bello vederlo felice.
- Mamma mamma! Guarda! Sono Messi!
- Nathan ma sei pronto per giocare! 
- Sì gioco con papà!
- Ometto ma non manca qualcosa per giocare? - gli diedi l'altro pacchetto e quando vide il pallone lo abbracciò felice
- Ora voi due vedete di non distruggere la casa però... Soprattutto tu, bambino grande! - mi rimproverò Ziva
Giocammo qualche minuto in camera poi Ziva ci chiamò per cena.
- Tony sarebbe meglio rimettergli il pigiama, questo completino è troppo leggero non vorrei che prenda freddo
- Dai faccio io - e lo riportai in camera per cambiarlo ma non fu facile, Nathan non se lo voleva togliere e solo convincendolo che se ci mangiava poi lo avrebbe sporcato e dovevamo lavarlo si convinse a rimettersi il suo pigiamino per la gioia della mamma. 
Dopo cena giocammo ancora un po’, sotto lo sguardo di Ziva che era sulla porta.
- Amore mio è ora di dormire
- Mamma ancora un po’!
- Nathan è tardi e sei stanco guarda i tuoi occhietti che si chiudono.
Lo prese in braccio e lo coccolò un po’ e lui già si stiracchiava tra le sue braccia. Lo mise nel letto e poi proprio prima di uscire Nathan la chiamò di nuovo.
- Mamma non andare via! - Aveva gli occhi pieni di lacrime.
Ogni volta che Nathan gli diceva così, a Ziva venivano i sensi di colpa e stava malissimo. Non c’era un motivo preciso, alcune volte capitava, soprattutto la sera, che avesse questi momenti in cui la paura di essere abbandonato gli tornava prepotente e non poteva fare altro che stare con lui, era l’unico modo per calmarlo.
Prese la sedia e si mise vicino al letto e gli accarezzava i capelli.
Nathan si mise il dito in bocca e Ziva glielo tolse, non voleva che prendesse il vizio di succhiarsi il dito così come aveva fatto smettere di prendere il ciuccio e lui con la stessa mano prese quella della mamma e la tenne fino a quando non si addormentò lasciando la presa.
Chiuse la porta della sua cameretta, si appoggiò al muro e sospirò.
- Che c’è David? - Le chiesi, ma già sapevo la risposta, era sempre nervosa per quello che le aveva detto Nathan poco prima
- Niente Tony, sono solo stanca - ormai quando mentiva su queste cose ci mettevo un secondo a capirlo, ma non le dissi nulla.
- Sei una brava mamma Ziva, Nathan lo sa. Nostro figlio ti adora, vuole solo stare con te più tempo possibile.
- Ogni volta che mi dice così mi sento morire, perché penso sempre a quanto deve aver sofferto quando era solo.
- Amore mio non ci pensare. Ti fai solo del male così. - Mi abbracciò e mi passò una mano tra i capelli.
- Tu sei diventato un ottimo papà lo sai? Nathan oggi mi ha detto che ti voleva dire che ti voleva bene così tu non lo lasciavi più. - Ancora mi dovevo abituare a queste cose perché sentire l’amore di un figlio è una cosa così diversa che non sapevo ancora come gestirla. In quel momento non mi importava più nulla di quello che era accaduto, del tempo che non avevo passato con lui, pensavo solo a godermi adesso ogni singolo momento per farlo il più felice possibile.
- Grazie Amore mio. Perché se oggi ho potuto vedere i suoi occhi splendere quando gli ho dato il regalo è solo merito tuo. 
- Lo so, se non recuperavo io il tempo dal negozio all’ufficio non avevi tempo di fermarti - mi disse ridendo.
- Vedi che anche la tua guida pazza serve a qualcosa allora! Sei stanca?
- Dipende… - mi rispose maliziosa
- David perché ti piace provocarmi anche solo con una parola?
- Perché mi piace quello che fai quando ti provoco - Mi sussurrò all’orecchio mordendomi il lobo.
La portai in camera e le mostrai tutto quello che potevo farle quando mi provocava. La mattina seguente non saremmo andati a lavoro e, nostro figlio permettendo, avevamo tutto il tempo per recuperare le ore di sonno perse durante la notte.

Nathan, invece, ci chiamò la mattina presto, ma lo andai a prendere e lo misi nel lettone: si riaddormentò subito e noi con lui. Stavamo evitando di farlo dormire spesso con Ziva come i primi tempi ma anche a noi ogni tanto piaceva averlo in mezzo tra noi, soprattutto ora che non aveva più paura della mia presenza e ogni tanto decideva di usare anche me come suo cuscino, per la mia immensa gioia.

A metà mattina stavamo tutti e tre nel letto a giocare, quando suonò il campanello e dovemmo interrompere la nostra gara di solletico. 
- Vado io. - Mi infilai velocemente una tuta ed andai ad aprire, convinto che fosse la solita rottura di scatole di vendite porta a porta.


- Ciao Junior non saluti tuo padre?
- Ciao papà - dissi assolutamente contrariato ed avrei preferito la vendita porta a porta
- Oh che bello tutto questo entusiasmo Tony! - mi disse sarcastico
- Che ci fai qui?
- Non mi fai entrare Tony?
- Prego... - gli dissi spostandomi dalla porta lasciandogli il passo.
Era dall'estate che non lo sentivo. Mi resi conto che lui non sapeva assolutamente nulla di Ziva e Nathan. Ero praticamente certo che lei dalla camera stava ascoltando tutti i nostri discorsi e speravo venisse a darmi una mano.
- Posso accomodarmi? - disse sedendosi sul divano prima che gli rispondessi
- Ti avevo fatto una domanda papà. Cosa sei venuto a fare?
- Ci deve essere un motivo per venire a trovare mio figlio?
- Beh considerando che sono più di 6 mesi che ti devi far sentire, direi che un motivo ci sarà, conoscendoti
- Nemmeno tu però ti sei fatto sentire
- Ho avuto un periodo intenso. - Ed era più che vero.
- Beh parliamone no?
Il rumore dell'acqua che scorreva nel bagno in camera fece interrompere mio padre.
- Ah ma non sei solo?
- No.
- Oh mi dispiace Junior se ho interrotto qualcosa - mi disse malizioso ma non avevo nemmeno voglia di raccogliere le sue battutine. 
- Sì, hai interrotto qualcosa, ma non quello che pensi tu.
Dal rumore delle porte capii che Ziva aveva portato Nathan in camera sua e sperai che ora venisse veramente qui perché cominciavo ad essere insofferente della presenza di mio padre.
- Comunque Junior non eri tu quello che non portava mai le ragazze a casa?
Non feci in tempo a rispondere, per fortuna, perché Ziva arrivò. Indossava i suoi amati pantaloni cargo ed una maglietta nera a maniche lunghe. Capelli sciolti disordinati sulle spalle e senza un filo di trucco: per me era semplicemente perfetta così.
- Buongiorno Senior! - lo salutò avvicinandosi a noi e sedendosi vicino a me.
- Oh Ziva ma che bello vederti! Sei passata anche tu a trovare Tony oggi! Ma da quanto tempo sei tornata?
Mio padre come al solito non aveva capito nulla
- Pochi mesi Senior.
- Ma pensi di fermarti un po' o riparti a breve.
Ziva mi guardò e mi sorrise
- Penso che mi fermerò a lungo. - fece una breve pausa - Ho ripreso anche il mio posto all'NCIS.
- Benissimo! Sono molto felice che mio figlio lavora ancora con te, so che è in buone mani se tu lo proteggi, sei sempre la migliore.
- Papà non è solo questo. Io e Ziva… lei non è passata a trovarmi, vive qui con me. Questa è casa nostra ora. - Le presi la mano stringendola nella mia, per rafforzare il concetto. Dissi tutto d’un fiato per non essere interrotto. Fare tanti giri di parole era inutile. Quella era la realtà delle cose e di certo non dovevo chiedere a lui nè il permesso nè il benestare. Doveva solo prendere atto della cosa. Era una notizia nulla di più.
- Junior che dire... Sono molto felice! Non potevi trovare una ragazza migliore di Ziva, sotto tutti i punti di vista! La scelta migliore - ripetè - senza dubbio. Sei splendida come sempre, mia cara - le disse
Mio padre adorava Ziva dalla prima volta che l’aveva vista ed avevo dovuto pregarlo per non mettermi in imbarazzo provandoci con lei. Trattandosi di lei non mi aspettavo una reazione diversa a quella entusiasta che aveva avuto. 
- Beh Junior ero passato io per farti una sorpresa e invece me l'hai fatta tu!
- Che sorpresa papà?
- Il mese prossimo mi sposo con Janine ad Honolulu e ti volevo invitare
Mio padre non sarebbe cambiato mai. Inutile che perdevo le speranze
- Quanti anni ha questa Janine papà?
- È una bella e giovane ragazza, qual è il problema Tony?
- Nessuno papà se non lo è per te. Comunque non credo che potremo venire, grazie lo stesso. - risposi freddo.
- Perchè Junior? Gibbs non vi da qualche giorno di vacanza?
- Non è questo... 
Non feci in tempo a finire la frase che Nathan urlò cercando Ziva
- Mamma! Mamma vieni!
- Scusatemi - disse lei un po’ imbarazzata ma risoluta, andando da nostro figlio e tornando poco dopo con lui in braccio tra lo stupore di mio padre che balbettava qualcosa senza senso
Si sedette di nuovo vicino a me, con Nathan in braccio che giocava con una ciocca dei suoi capelli.
- Ecco non possiamo venire per lui. Non possiamo fargli fare in pochi giorni due voli così lunghi. 
- Lui è tuo figlio Ziva? - le chiese Senior. Ovviamente vista l’età non aveva preso minimamente in considerazione il fatto che potesse essere mio figlio, ma di questo certo non potevo fargliene una colpa.
- Lui è nostro figlio papà. Mio e di Ziva. È tuo nipote
- Tony cosa stai dicendo?
- È una lunga storia, ma lui è mio figlio - dissi mentre lo prendevo dalle braccia di Ziva per farlo sedere sulle mie ginocchia. Nathan osservava mio padre incuriosito, più che altro del fatto che, al contrario di tutte le altre persone che gli avevamo presentato, lui non si era subito rivolto a lui facendogli complimenti o chiedendogli qualcosa, ma non lo aveva proprio considerato, se non per qualche rapida occhiata che passava su noi tre come a volerci scrutare tutti, magari per vedere se c’era qualche somiglianza tra noi, eppure i miei occhi uguali ai suoi erano palesi.
- Ma… ma… come è possibile? - Balbettò ancora guardandomi sempre più perplesso
- Ti devo fare un disegnino papà su come succedono queste cose?
- Viveva in Israele con me fino a qualche mese fa - intervenne Ziva senza scendere in ulteriori particolari
- Capisco - disse Senior, ma in realtà dubitavo che capisse qualcosa. Pensavo ci avrebbe fatto qualche altra domanda ed invece rimase qualche istante in silenzio passandosi una mano tra i capelli.
- Papà giochiamo - mi chiese Nathan
- Dai piccolo, papà ora deve parlare vieni a giocare con me - gli disse Ziva
- No, non c'è bisogno Ziva, non sottraggo del tempo a mio figlio. - Speravo che mio padre capisse quello che avevo appena detto ma nulla - Papà lui è tuo nipote. Ti interessa la cosa? Non mi hai nemmeno chiesto come si chiama! - mi stavo innervosendo e alzavo la voce ma non volevo che Nathan percepisse la mia rabbia quindi cercavo di contenermi. Lui giocava con le dita della mia mano che avevo involontariamente chiuso, cercando di aprire il mio pugno. Me ne accorsi e mi rilassai per permettergli di fare quello che voleva. Poi mise il suo pugnetto nel palmo della mia mano e con l’altra richiuse la mia sopra la sua. Lui stava giocando, ma per me quel gesto, in quel momento, era la chiave di tutta la mia vita. Mio padre davanti a me che mi ignorava, mio figlio che chiudeva la mia mano sopra la sua. Tutto questo sotto lo sguardo di Ziva che assisteva in silenzio a tutta la nostra discussione, fatta più di parole non dette che di dialoghi, un po’ come tutta la nostra vita. 
- Junior io ero venuto a dirti che mi sposavo, non mi aspettavo certo di trovarti qui con una donna e soprattutto un figlio! Potevi chiamarmi!
- È un problema per te questo, papà?
- No ma… - Faceva veramente fatica a trovare le parole mentre si passava una mano tra i capelli.
- Visto come hai reagito ho fatto bene a non farlo. Comunque a titolo informativo lui si chiama Nathan ed ha quasi 3 anni. Lo vuoi prendere in braccio? - cercavo di essere cortese
- Tony... Io non sono stato in grado di fare il padre no? Tu lo dici sempre! Io credo che… non sono in grado nemmeno di fare il nonno. Scusami ma non ero preparato. 
- Come vuoi papà. Io ora voglio giocare con mio figlio, perché io, invece, voglio fare il padre. La porta sai dov'è.
- Certo, certo - disse alzandosi imbarazzato - Ciao Ziva è un piacere averti rivisto.
- Ciao Senior - lo salutò molto più cortese di me e si alzò per accompagnarlo alla porta, ma lui le face un gesto per dirle che non era necessario.
Prese la sua giacca e se ne andò lasciandomi arrabbiato e nervoso. Strinsi forte Nathan
- Io per te ci sarò sempre Ometto.
Ziva ci abbracciò entrambi e in quel momento fui felice che mio figlio era troppo piccolo per capire quello che era appena successo.

Invece che giocare ci mettemmo sul divano a guardare un cartone, poi Nathan si stancò anche di quello e passammo un po’ di tempo a costruire torri con le costruzioni in camera sua, poi lo lasciai giocare da solo. 
Se c’era una cosa che mi piaceva tantissimo di lui è che non era uno di quei bambini che se non ha qualcuno vicino non gioca, lui si divertiva anche a giocare da solo. Non sapevo se era sempre stato così oppure se era una cosa alla quale si era adattato negli ultimi mesi. Mi riproposi di chiederlo a Ziva in un altro momento. Ormai avevo cominciato a conoscerlo e parlando qualche volta all’asilo con gli altri genitori avevo anche avuto modo di confrontarmi con le abitudini dei suoi coetanei e Nathan era molto autonomo non solo per il giocare, gli piaceva mangiare da solo senza farsi imboccare, tranne quando voleva essere coccolato o era stanco, non portava il pannolino da quando aveva compiuto due anni, da quello che mi aveva detto Ziva, e nemmeno il ciuccio perché lei non voleva. Solo il biberon ogni tanto per prendere il latte o la camomilla la sera.
Quando pensavo al fatto che lei avesse fatto tutto questo da sola, la mia ammirazione nei suoi confronti aumentava incredibilmente: senza nessun tipo di aiuto era riuscita a tirare su un bambino in modo eccellente e lui per la madre aveva una vera e propria venerazione, bastava osservarlo quando la guardava con gli occhi che brillavano. E sì, quegli occhi erano proprio i miei, anche quando guardava Ziva. La guardavamo allo stesso modo.

La trovai come sempre sul divano che leggeva, lei amava leggere almeno quanto io amavo vedere i film.
- Ti va di parlare? - Mi chiese appena la raggiunsi
- Cosa c’è da dire? - Le risposi demoralizzato
- Non lo so, come ti senti?
- Non sono più nemmeno arrabbiato per queste cose, non so se essere deluso, ma la delusione ce l’hai se ti aspetti qualcosa dalle persone. Però forse sì, mi aspettavo che con suo nipote si sarebbe comportato in maniera diversa di come aveva fatto con me. 
Mi si avvicinò e cominciò ad accarezzarmi i capelli. Era una cosa che ci facevamo sempre a vicenda quando volevamo calmarci.
- Lo ha rifiutato, capisci Ziva? Gli ho detto di prenderlo in braccio, che era suo nipote e lui se n’è andato. Come fai a non voler nemmeno prendere in braccio un bambino per conoscerlo?
- Ti sei sentito rifiutato anche te, vero? - Mi chiese, ma non era una domanda. Lei riusciva a capirmi meglio di come facevo io stesso.
- Credo di sì. Mi sono rivisto in lui, in tutte le volte che io provavo a chiamarlo perché volevo giocare con lui, volevo stare con lui e lui invece aveva altro da fare. Ed ora che ha fatto la stessa cosa a mio figlio mi ha fatto anche più male. E mi fa male ripensare al bambino Tony che aspetta un padre che non ci sarà mai. Io nonostante tutto gli ho sempre voluto bene, ho sempre sperato che cambiasse prima o poi, ho sopportato, sperato che capisse quanto ero stato male. Ma lo aveva fatto sempre a me, io posso sopportare. Oggi l’ho visto fare la stessa cosa con mio figlio e no, questo non lo accetto. Io lo potevo aspettare anche tutta la vita, potevo passare sopra a tutte le sue mancanze perché era mio padre, ma non permetto che lo stesso trattamento lo riservi a mio figlio. Non gli permetterò di farlo mai soffrire. Io non voglio che Nathan soffra per questo.
- Tu non sei come tuo padre Tony - voleva rassicurarmi - nostro figlio ha un papà fantastico e sono sicura che tu non lo trascurerai mai. Noi non abbiamo avuto grandi esempi come padri però anche questo ci può essere d’aiuto, almeno sappiamo come non comportarci. - Mi sorrise e mi diede un bacio.
- Tuo padre non si sarebbe mai comportato così, ne sono sicuro.
- Ah ne sono sicura anche io. Il primo nipote maschio di Eli David! Sarebbe stato felicissimo, lo avrebbe già arruolato nel Mossad per crescerlo a sua immagine e somiglianza, non lo avrebbe lasciato un attimo sotto la tua cattiva influenza americana! - Rise non potei fare a meno di farlo anche io. La sua considerazione era ironica ed amara allo stesso tempo. 
Mi sdraiai con la testa sulle sue gambe, lei continuava a giocherellare con i miei capelli. Chiusi gli occhi e cercai di non pensare a nulla, soprattutto a mio padre. Sarei rimasto così tutto il giorno.

 

- Ho fame - disse Nathan arrabbiato quando ci si presentò davanti guardandoci serio.
Guardai l’orologio ed era tardissimo! Mi rialzai velocemente cercando di ritrovare un comportamento più consono.
- Dai ometto, ora ci vestiamo ed andiamo tutti a mangiare fuori, ti va? Scegli tu cosa andiamo a mangiare!
- Patatine
- E va bene, patatine siano.
- Ma qualcosa di più sano proprio no? - Brontolò Ziva poco convinta anche lei di quello che stava dicendo
Ci preparammo velocemente ed andammo a pranzo in un locale vicino casa. Come una famiglia normale in un giorno festivo a mangiare hamburger e patatine.



NOTE: è apparso Senior! E visto che erano mesi che non si faceva vedere/sentire i rapporti con il figlio non sono il massimo. Che succederà ora tra loro? Finisce così o si vedranno ancora?

Tony prova a corrompere il figlio proprio in tutti i modi per farsi amare.... e questo non è niente :D
Sono stata di parola, capitolo piuttosto tranquillo, no?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Make You Feel My Love ***


When the evening shadows and the stars appear, 
and there is no one there to dry your tears, 
I could hold you for a million years 
to make you feel my love. 

 

La settimana dopo, di domenica mattina, andai ad aprire la porta e mi trovai di nuovo davanti mio padre, la tentazione di sbattergli la porta in faccia era troppo forte ma mi trattenni dal farlo.
- Ciao Junior
- Ciao Papà
- Sono venuto per scusarmi per la settimana scorsa e per portare un regalo al mio nipotino.
- Perché tanto tu sai mettere a posto la coscienza solo così. Pensi che con i soldi puoi comprarti l'affetto.
- Non ricominciamo Junior. Lo posso vedere?
- Sta dormendo.
Ma proprio in quel momento la mano di Ziva mi toccò la spalla e girandomi vidi che aveva Nathan in braccio. Diedi un bacio tra i suoi boccoli. Lasciai mio padre entrare portando con se il suo enorme regalo.
Scossi la testa e sorrisi infastidito. Non cambiava mai.
Mentre chiudevo la porta loro erano già seduti sul divano. Ziva teneva in braccio nostro figlio e parlava con Senior che provava a catturare la simpatia di Nathan.
- Dai piccolo scarta il tuo regalo. - ma lui sembrava intimorito sia dalla dimensione del pacco che da mio padre.
Fu Ziva ad aiutarlo ad aprirlo e lui vedendo quello che faceva la mamma prese coraggio. Ero innamorato di mio figlio ed ero innamorato dell'amore che lui provava per sua madre: la adorava totalmente, assolutamente, si vedeva da come si affidava a lei per ogni cosa. Vederli insieme era la cosa più bella, la dolcezza di lei in ogni suo gesto, anche il più piccolo nei suoi confronti, come gli spostava i capelli dagli occhi a come gli girava i polsini troppo lunghi della maglietta, era tutto così carico d’amore.
Rimasi a guardare dal corridoio la scena. Mio padre si compiaceva più del regalo che aveva comprato che del far felice il bambino ne ero sicuro.
Dalla scatola uscì una di quelle minicar per bambini, la riproduzione di una Ferrari 599: evidentemente pensava che a mio figlio piacessero le mie stesse cose.
Nathan guardò incuriosito quel regalo insolito, poi Ziva lo mise dentro e lui sembrò gradire la cosa. Non si muoveva ma si divertiva a girare le manine sul volante.
- Poi ci giochi con papà - gli disse Ziva.
- Beh io ora devo andare
- Sicuro Senior che non vuoi rimanere un po'?
- No, grazie ho un pranzo di lavoro tra poco. Grazie di tutto Ziva. Sei sempre così gentile, mio figlio è un uomo fortunato ad averti.
Si diresse alla porta passandomi davanti.
- Ciao Junior, se vuoi mi trovi qui ancora per qualche giorno.
Mi diede un biglietto da visita dell'Hay Adams House, lo guardai e sorrisi amaro
- Devo venire a pagare il conto anche questa volta?
- No Junior, non ci sarà bisogno. Anzi ti devo anche restituire quel prestito.
- Non c'è bisogno papà. Consideralo un regalo. Io ho tutto quello di cui ho bisogno ora.
- Beh, se vuoi sai dove trovarmi. 
Chiusi la porta alle sue spalle, misi il biglietto sul mobile all'ingresso. Ma non mi sarei fatto rovinare quel giorno libero che potevamo trascorrere insieme per nessun motivo al mondo.
Andai da Ziva, la abbracciai e la baciai con passione sotto lo sguardo perplesso di nostro figlio.
- Ti amo - le dissi
- Anche io, ma perché questo slancio? - mi disse sorridendo
- Perché mi andava di farlo. 
- Spero che ti vada spesso perché mi piace quando fai così
Presi in braccio Nathan 
- Allora cosa dovevamo fare oggi? 
- Pizza e festa!
- E allora andiamoci a preparare. Andiamo a mangiare una pizza gigante e poi alla festa di Brandon! 

 

————————

 

Quelle visite del padre turbavano Tony più di quanto volesse far vedere, perchè confrontandosi con suo figlio lo mettevano nella spiacevole posizione di ricordarsi quando era un bambino e nello stesso tempo si faceva venire mille dubbi se quello che faceva lui per Nathan era giusto o meno. Ma si stava comportando da ottimo papà ed oramai i miei due uomini si amavano a vicenda dopo un inizio tormentato. 
Per Nathan avere un papà era ancora una cosa nuova e ci teneva a dirlo a tutti che lui, adesso, aveva anche un papà, creando spesso non pochi imbarazzi per noi a dover spiegare con poche parole la nostra situazione.

Era la prima volta che accompagnavamo nostro figlio ad una di queste feste di compleanno, la casa dei genitori di Brandon era molto grande con un enorme salone al piano terra, tutto addobbato per la festa dei 3 anni del piccolo. La casa era piena di bambini che urlavano e correvano ovunque, giocavano e mangiavano dolci intrattenuti da un clown che realizzava animali con i palloncini. Per noi genitori avevano messo in un angolo sedie e poltrone con degli apertivi e degli stuzzichini, così chi voleva aspettare lì la fine della festa poteva farlo. I genitori di Brandon erano molto occupati, poichè da pochi giorni era nata la loro seconda figlia, quindi fu la simpatica nonna del bambino a fare gli onori di casa con tutti gli ospiti. Nathan si divertì molto con i suoi amichetti e a noi faceva enormemente piacere vedere come tutto sommato si era così ben ambientato in poco tempo. Non chiedeva più come i primi tempi quando saremmo tornati in Israele, a “casa nostra nostra” come la chiamava lui.

Nathan era entrato in quella fase dei bambini che ogni cosa che vedono ai loro amichetti la vogliono anche loro e visto l’elevato numero di giocatoli che aveva ricevuto Brandon, quando tornando a casa ci fece una domanda, già pensavamo di doverci fermare in qualche negozio di giocatoli per accontentarlo, perchè Tony non gli sapeva proprio dire di no e lo stava viziando oltremodo.
- Mamma lo sai cosa hanno regalato a Brandon?
- Cosa amore?
- Una sorellina. Me la regali anche a me.
Ecco, in quel momento sarebbe stato meglio che ci avesse chiesto un intero negozio di giocattoli, perchè a tutto ci eravamo preparati a rispondere meno che a quello.
- Nathan ma le sorelline non si regalano per il compleanno. - Intervenne Tony
- Sì. L’ho vista. È piccola piccola
- Lo so che l’hai vista, ma non è il suo regalo - cercava di convincerlo con scarsi risultati.
- Sì lui ha detto così. Anche io per il compleanno voglio una sorellina.
- Amore mio, non è possibile. Perchè per avere una sorellina ci vuole tempo. - E non solo tempo, pensai tra me e me…
- Quanto?
- Tanto. - Gli risposi
- Ma io la voglio. 
- E se papà domani ti porta una bel regalo che scegli tu? Sei contento?
- No. Voglio la sorellina anche io.
Ci guardammo con Tony un po’ sconsolati e divertiti. Quel regalo era più difficile del previsto…

 

————————

 

Quando arrivammo a casa Nathan era distrutto e sazio dei dolci e schifezze varie mangiate alla festa. Giocammo un po’ tutti e tre in camera sua in attesa che il sonno lo vincesse del tutto e che arrivasse la cena thailandese che io e Ziva avevamo ordinato.
Credo che quando giocavamo tutti e tre insieme ci divertivamo più noi di lui, visto che io e Ziva finivamo sempre per farci i dispetti a vicenda e a lui questa cosa piaceva molto ed ovviamente quando interveniva prendeva sempre le parti della madre perché la voleva proteggere lui: ogni volta che lo diceva mi strappava un sorriso.
Aveva provato a riprendere qualche volta il discorso della sorellina, ma lo avevamo immediatamente stoppato facendogli fare altro. Quando ci accorgemmo che ormai stava crollando lo mettemmo nel lettino e Ziva aspettò con lui fino a quando non si addormentò leggendogli una favola. Oramai erano rari i casi in cui si svegliava la notte, dormiva quasi sempre tutto il tempo senza problemi, l’unico momento per ora nel quale continuava a portare il pannolino, più per comodità che per vera necessità.
Ci consegnarono la cena ed io appoggiai tutte le vaschette sul tavolo davanti al divano. Ci piaceva mangiare lì, fosse stato per me, lo avremmo fatto sempre, Ziva era quella più rigida sulle regole da dare a Nathan e diceva che con me sarebbe cresciuto come un selvaggio. Phat Thai, Khao Pad, insalata di gamberi e pollo al latte di cocco, ci dividemmo un po’ di tutto, imboccandoci con le bacchette a vicenda. Erano quei piccoli momenti di intimità solo tra noi due che ci facevano riscoprire il piacere di giocare e di essere anche una coppia, oltre che dei genitori ed una famiglia: in realtà stavamo insieme solo da pochi mesi e ne avevamo veramente bisogno.

Non avevo potuto fare a meno di notare come la richiesta di Nathan di avere una sorellina, aveva irrigidito molto di più Ziva rispetto a me. Provai a buttare lì l’argomento
- Che ne pensi di quello che ha detto Nathan in macchina?
- Che anche se ci diamo da fare, al suo compleanno mancano pochi mesi ed è impossibile - mi disse sorridendo prendendo il discorso in modo ironico
- Ti piacerebbe? - Le chiesi con leggerezza
- In generale sì, ora non mi sento pronta - mi rispose seria, pensando che con quella risposta avrei lasciato cadere il discorso, ma quello invece mi fece pensare ancora di più, 
- Ti va di parlarne?
- Cosa c’è da dire, Tony? - Si stava chiudendo in se stessa, senza la minima voglia di parlare e non era proprio quello che volevo, anzi tutto il contrario. Dovevamo lavorare ancora molto su questo.
- Non lo so, solo che mi sembri molto fredda sull’argomento - le misi la mano sulla gamba accarezzandola.
- Non sono fredda, solo che dopo che quello che è successo, adesso non credo vivrei bene la cosa, avrei paura.
Certo, non ci avevo pensato, per lei invece doveva essere sempre un trauma quanto successo a dicembre, molto più di quanto non avesse dato a vedere presa da tutto il resto.
- Se ne vuoi parlare, io sono qui. - Le dissi
- Non è facile parlarne. È una cosa irrazionale, credo. So che le probabilità che mi accada di nuovo sono basse, che questa volta mi comporterei in modo totalmente diverso, però pensarci adesso mi mette ansia e paura.
Mi ero rattristito. L’idea di avere un altro figlio mi sarebbe piaciuta tantissimo, egoisticamente anche per vivere tutto quello che con Nathan mi ero perso. Però la cosa che mi faceva più male era vedere come lei era rimasta segnata da quell’evento perché non immaginavo che lasciasse dentro di lei queste paure irrazionali. Per noi uomini è diverso, per quanto possiamo soffrire non capiremo mai del tutto cosa è quel legame tra una madre e suo figlio e forse avevamo sbagliato a non parlarne appena successo, a concentrarci solo su altro, facendo finta di niente.
- Tony - mi disse - non fare quella faccia. Non voglio dire che sarà sempre così. Magari tra un mese, due, tre non lo so, sarà diverso. Adesso non ce la faccio, però mi piacerebbe, più in la…
- Sono solo triste per come stai tu. Il resto viene dopo. Quando ti sentirai pronta ne riparleremo e quando accadrà sarò felicissimo…
- Ok - mi disse sollevata perchè non le chiesi altro e a quel punto non avevo senso insistere. Mi aveva detto più di quanto sperassi che potesse fare. Apprezzavo i suoi sforzi di aprirsi di più e confidare quello che aveva dentro
- Cosa vuoi, insalata di gamberi o pollo? - Le chiesi
- Gamberi
Presi con le bacchette un tiger prown dall’insalata e la imboccai.

 

————————

 

Avevo preso un giorno di riposo volevo dedicare un po’ di tempo a me, avevo bisogno per qualche ora di ritrovarmi. Quella chiacchierata su un’ipotesi di un altro figlio mi aveva scosso più di quanto potessi pensare e più di quanto avessi lasciato intendere a Tony. Non lo volevo escludere dalle mie paure, ma non ero ancora in grado di affrontare l’argomento serenamente e preferivo evitare di parlarne ed anche di pensarci.

Tony portò Nathan all’asilo ed io andai presto a correre. Era molto tempo che non mi allenavo più ed i miei muscoli mi facevano sentire tutta la mancanza di allenamento, ma era piacevole anche quel dolore. Non mi pesava la nuova vita, prendermi cura di un figlio e di un compagno, aver cambiato così tanto in pochi mesi, essermi riadattata ad una vecchia situazione ma in modo completamente diverso. Però mi capitavano le giornate in cui avevo bisogno dei miei ritmi, dei miei tempi, di ritrovarmi in parte in quella che ero, non perché lo rimpiangessi, ma perché ognuno, anche le persone più felici delle proprie vite, a volte hanno bisogno di spazio.
Tutto quello che avevo passato mi aveva portato a considerare anche il mio lavoro in maniera diversa, prima avevo sempre dato per scontato che qualsiasi cosa avessi fatto, qualsiasi azione avessi intrapreso non avrebbe avuto conseguenze se non su me stessa. Ora invece mi rendevo conto che ogni mia decisione avrebbe influenzato le vite di chi mi stava vicino e questo mi portava ad agire in modo più ponderato, meno istintivo. Mi sentivo un po’ snaturata nel mio essere, in quello che ero sempre stata e per come mi ero sempre comportata. Non è facile cambiare completamente il proprio atteggiamento verso una parte della propria vita così importante come era sempre stato per me il mio lavoro. L’azione era sempre stata al primo posto nella mia vita, ero una donna più di azione che di pensiero e quando ho smesso di agire è stato solo per prendermi cura di mio figlio. Adesso far coincidere le due cose non era semplice, era come se quando lavoravo dovessi tenere sempre una tigre in gabbia, non era facile ed era anche più faticoso che buttarmi a capofitto nelle situazioni, ma sapevo che dovevo farlo, non perchè qualcuno me lo avesse chiesto ma perché era giusto così.

A tutto questo pensavo mentre correvo. 
Tornai a casa e mi feci una lunga doccia rigenerante, poi andai al poligono ad allenarmi un po’.
- Agente David, non sapevo fosse mancina! - Mi disse Dwayne, il responsabile con il quale ormai avevo fatto amicizia, che mi osservava sparare
- Non lo sono, sto solo allenando il braccio più debole - e gli feci un occhiolino mentre osservava la sagoma con  7 centri perfetti.
- Però! Sicura che ha bisogno di allenamento? - Disse mentre mi consegnava un altro caricatore
- Se si vuole mantenere certi standard, l’allenamento è indispensabile - Dissi prima di scaricare i colpi su una nuova sagoma. Per quel giorno bastava così. Mi tolsi occhiali e cuffie e salutai Dwayne
- Agente David, le posso fare una domanda?
- Certo, dimmi pure.
- Ma tutte quelle cose che si dicono su di lei sono vere?
- Dipende da quello che dicono - gli sorrisi. Dwayne era arrivato al poligono del distretto navale dopo che io ero tornata in Israele, ma mi sembrava così strano che qualcuno raccontasse di me in giro
- Beh, quelle cose sull’addestramento del Mossad e poi che è scappata da un covo di terroristi, queste cose così.
- Sì, queste cose sono vere. - Mi faceva sorridere con la tenerezza e la meraviglia con la quale lo diceva ed il misto di stupore ed ammirazione quando gliel’ho confermato. Chissà cosa si pensava che ci fosse dietro quella vita, dietro quelle missioni. Lui non le avrebbe mai nè provate nè conosciute e quindi decisi di non dirgli nulla e di lasciarlo con la sua convinzione che era una cosa da “wow” come aveva detto lui. Era incredibile come cambiava la prospettiva delle cose a seconda del punto di osservazione.
Era da poco passata l’ora di pranzo, quelle ore per me stessa mi avevano rigenerato e quella breve chiacchierata con Dwayne mi era servita per ricordarmi in quel momento cosa mi importava veramente adesso. 
Decisi di andare a prendere Nathan prima, avevo un’idea per quel pomeriggio, c’era ancora qualcosa da sistemare.

- Agente David, che piacere vederla! - La signora Tidwell mi salutò calorosamente, di solito negli ultimi tempi era sempre Tony a portare e prendere Nathan all’asilo. - C’è qualche problema? Come mai così presto?
- Nessun problema, avevo il giorno libero e volevo passare un po’ di tempo con mio figlio
- Oh benissimo, ha appena finito di mangiare ma non c’è modo di fargli fare un riposino, vuole solo giocare con la palla
- Non si preoccupi, proverò a convincerlo io a casa.
Andò a prendere Nathan che visto l’orario non capiva cosa stesse accadendo.
- Sorpresa! - Gli dissi appena arrivò nella stanza e immediatamente mi corse incontro facendosi prendere in braccio - Ti va di passare un po’ di tempo con mamma?
Corse ad abbracciarmi come se non mi vedesse da giorni. Non mi sarei mai abituata all’amore puro di mio figlio che mi dimostrava ogni volta. Annuì, lo vestii ed andammo verso casa. Ci mettemmo sul divano a guardare i cartoni e dopo poco si addormentò tra le mie braccia. In questi momenti capivo che avrei potuto tenere in gabbia anche mille tigri per lui, che valeva ogni sforzo. Lo lasciai dormire su di me e quando si svegliò decisi di andare di nuovo fuori insieme a lui. 

La hall dell’Hay Adams House era sempre come la ricordavo, anche se ormai non ci mettevo più piede da molti anni. Chiesi del signor DiNozzo ed ovviamente mi indirizzarono alla suite, come poteva essere diversamente con Senior?
Dopo avermi annunciata, mi accompagnarono alla sua stanza. Tenevo Nathan per mano che si divertiva a saltellare sui morbidi tappeti dell’hotel e si guardava intorno interessato da tutti quegli specchi e quell’arredamento così pomposo, decisamente retrò, come tutta la struttura che manteneva intatte le sue caratteristiche originali nei pannelli in legno della lobby e nelle decorazioni architettoniche in gesso di inizio del secolo scorso.
Senior ci aspettava sulla porta della Federal Suite ed appena mi vide mi salutò con il suo solito entusiasmo che manifestava ogni volta nei miei confronti. Mi sarebbe piaciuto che tutto questo slancio lo avesse anche verso suo figlio. Nathan si fiondò dentro la stanza e se saltellare sui tappeti gli piaceva, sulla moquette della stanza ancora di più. Si lasciò proprio cadere per terra saggiando la morbidezza di quello strano pavimento. Pensandoci credo che fosse la prima volta che la vedeva.
- Mia cara, a cosa devo la vostra graditissima visita? - Mi disse facendomi accomodare nella living della sua stanza
- Volevo parlare con te Senior.
- Tony sa che sei qui?
- No e probabilmente quando lo verrà a sapere discuteremo per questo
- Non voglio essere causa dei vostri dissapori.
- Non ti preoccupare Senior.
Nathan richiamò la mia attenzione e dalla sua borsa tirai fuori dei giochi che avevo portato per fargli passare un po’ di tempo. Senior era molto più interessato a parlare con me che a curarsi del nipote, avrei sperato in un atteggiamento diverso, ma evidentemente Tony aveva ragione.
- Vuoi magiare qualcosa o qualcosa da bere?
- Un tè va benissimo grazie. 
- E per lui? 
- Del latte, grazie.
Chiamò il room service ed ordinò le nostre bevande.
- Di cosa mi volevi parlare Ziva?
- Di Tony.
- Ovviamente.
- Ovviamente, Senior.
- Tu ti preoccupi molto per lui, lo hai sempre fatto.
- Non quanto lui si è sempre preoccupato per me.
- Scusa la franchezza Ziva, ma cosa pensi che debba sapere di Tony che già non so? O è qualcosa che vuoi sapere tu?
- Tutto quello che devo sapere su di lui lo chiederò direttamente a lui. Ma tu ci sono tante cose che non sai di tuo figlio. Non sai come è stato male quando tu hai rifiutato di prendere nostro figlio, quando lo hai ignorato come stai facendo ora.
- Oh Ziva, io… io… fino ad una settimana fa nemmeno sapevo di avere un nipote adesso scopro che è già grande. È destabilizzante non trovi?
- Lo è stato molto di più per lui quando gli ho detto che avevamo un figlio. Ma si è comportato da padre. Dal primo momento che l’ha saputo lui si è comportato come il padre di Nathan.
- Tony è un bravo ragazzo.
- No, Senior, Tony è un ottimo ragazzo. Un ottimo uomo ed un ottimo padre. Che ancora oggi soffre per non aver avuto un padre con lui che lo abbia considerato come un bambino di otto anni che perde la madre, come avrebbe meritato.
- Non è stato un periodo facile Ziva. Ritrovarsi soli, con un figlio di otto anni completamente distrutto per la perdita del suo punto di riferimento. Non sapevo come affrontarlo.
- Quindi hai deciso di fare finta che lui non ci fosse, che bastava fargli un regalo costoso per lavarsi la coscienza… 
Suonarono alla porta, era il room service che portava quanto ordinato poco prima. 
Mi alzai e andai verso la finestra. Da quella camera di poteva godere di una delle più belle viste di tutta la città sulla Casa Bianca ed il monumento a Washington. Nathan si avvicinò a me e lo presi in braccio per fargli vedere il paesaggio indicandogli i vari monumenti fuori dalla finestra. Mi stavo agitando e tenere lui tra le mie braccia mi calmava. Il cameriere se ne andò dopo aver lasciato sul tavolo le nostre bevande insieme ad un vassoio di biscotti da tè assortiti.
Tornai a sedermi con mio figlio in braccio, gli zuccherai il latte e lo aiutai a berne un po’, poi feci la stessa cosa con il mio tè che sorseggiai appena. Nathan bevve circa metà bicchiere prima di fiondarsi sui biscotti, ne prese due poi si girò a guardarmi con aria colpevole aspettando il mio consenso, gli feci cenno che andava bene e tornò a giocare portandosi dietro i biscotti e lasciando una scia di briciole. Senior sorseggiava il suo scotch McAllan 18 facendo tintinnare il cubetto di ghiaccio dentro al bicchiere.
- Vedi Senior, quando ho scoperto di essere incinta io non sapevo cosa fare. Non avevo nemmeno io alcun punto di riferimento. Ero sola a Tel Aviv, tutti i miei parenti erano morti, Tony era dall’altra parte del mondo con la sua vita. Nemmeno io sapevo come affrontare la situazione. La prima cosa che ho pensato era quando fossi felice di avere un figlio, un figlio da Tony. Poi ho pensato a tutti i problemi, a tutte le difficoltà ed ho pensato a tante cose diverse. Ho pensato di abortire perché pensavo che non sarei mai stata in grado di essere una madre. - Rabbrividii a sentire quello che avevo detto. Non perché non fosse vero, ma perché immaginare adesso la mia vita senza Nathan era impossibile.
Senior ascoltava le mie parole, mi sembrava colpito da quello che gli stavo dicendo
- Cosa ti ha fatto cambiare idea?
- Lui. La felicità che mi dava pensando che c’era, che per lui avrei affrontato qualsiasi problema e qualsiasi difficoltà. E così è stato. Tony meritava che suo padre facesse altrettanto per lui, un padre che facesse quello che ha fatto lui per suo figlio in così pochi mesi. Tony ha paura di non essere all’altezza come genitore, ha paura di fare quello che hai fatto tu con lui. Non è stato un periodo facile per Tony, soprattutto all’inizio con Nathan che lo vedeva come un estraneo, ma lui non ha mai smesso di fare il padre per suo figlio, ha avuto i suoi momenti di sconforto, ma non ha ceduto.
- Non mi dici nulla su Tony di quanto non sapessi già Ziva, so bene quali sono i miei errori e le mie mancanze.
- Sei ancora in tempo per dare a tuo figlio un segnale diverso della tua presenza, se vuoi. Pensaci Senior. Tu, se vuoi, puoi ancora rimediare ai tuoi errori, almeno in parte.
Bevvi un altro sorso del mio tè. Senior finì il suo scotch e si mise a guardare Nathan che giocava.
- Anche Tony giocava così quando era piccolo. Passava pomeriggi interi con le sue costruzioni ed i trenini. Anche a lui piaceva giocare da solo. E tu, come guardi tuo figlio, mi ricordi tanto mia moglie quando teneva Junior tra le braccia. Amava molto suo figlio, era una madre perfetta.
- Se vuoi lo puoi prendere in braccio. A Nathan piacciono le coccole.
- No, io… gli voglio bene da lontano.
- I figli hanno bisogno di chi gli vuole bene da vicino, Senior.
Era ora di tornare a casa, non volevo che Tony non ci trovasse quando rientrava. Raccolsi i giochi e poi presi Nathan in braccio.
- È ora di tornare a casa amore, saluta il nonno - cercavo di coinvolgere Senior ma con pochi risultati
- Chi è nonno, mamma? - Non avevo pensato che Nathan non conosceva nessuno dei suoi nonni, nemmeno che voleva dire
- Lui è il papà del tuo papà, il nonno.
- Papà di papà?
- Sì piccolo!
- Però lui non ci gioca mai con papà - Nathan con una frase aveva dato un senso a tutto quel pomeriggio, nella sua innocenza di bambino aveva detto tutto quello che io volevo dire con tutti i miei discorsi e vidi che quelle parole avevano fatto breccia in Senior
- No, io non ci ho giocato molto con il tuo papà, ma lui è più bravo di me. - Gli diede un bacio sulla guancia e Nathan ricambiò. Poi Senior gliene diede un altro - questo dallo al tuo papà e digli che è da parte mia.
- Senior, tu sei sempre in tempo con Tony. Quando vuoi puoi venirci a trovare.
- Grazie di tutto Ziva. Se venite a New York fatemi sapere - mi diede un bigliettino con il suo numero di telefono.
Lo salutai e poi tornai a casa ad aspettare Tony… Non sarebbe stato facile spiegargli quel pomeriggio… 

 

————————

 

Appena rientrai a casa, non avevo ancora chiuso la porta alle mie spalle, che sentii qualcuno correre ed aggrapparsi alla mia gamba. Lasciai lo zaino in un angolo e lo presi in braccio mi diede un bacio sulla guancia ed io feci lo stesso, portandolo lungo il corridoio fino ad arrivare al living dove Ziva ci aspettava. Salutai con un bacio meno casto anche lei, anche se a Nathan ancora non piaceva molto quando noi ci scambiavamo effusioni davanti a lui e con le sue manine provava a dividere i nostri volti. Lo accontentammo e poi lo baciammo contemporaneamente ed era molto più felice ad essere al centro delle nostre attenzioni. Ziva avrebbe sicuramente commentato dicendo che questo lato del carattere egocentrico lo aveva preso da me.
Mentre lo portavo nella sua cameretta Nathan mi diede un altro bacio.
- Questo è del nonno per te.
Rimasi perplesso sia per quanto mi aveva detto che per il fatto che avevano rivisto mio padre. Buttai il cappotto e la giacca sulla poltrona in camera sua e mi sedetti con lui a terra a giocare.
- Hai rivisto il nonno oggi?
Lui annuì solamente mentre cercava di trovare il giusto verso per incastrare due blocchi colorati delle sue costruzioni.
- È venuto a trovarvi oggi pomeriggio?
- No. Siamo andati in un posto grande con tante stanze.
- E cosa avete fatto di bello? 
- Merenda con il latte e biscotti!
- I biscotti! Scommetto che hai mangiato quelli al cioccolato vero?
Annuì ridendo ed io tolsi di mezzo le costruzioni e cominciai a fargli il solletico fino a quando non finimmo entrambi a terra a fare la lotta con io che lo bloccavo e lui che provava a scappare. Non capivo perchè Ziva fosse andata con lui a trovare mio padre, la cosa mi infastidiva anche un po’, ma Nathan non doveva risentire di questo e quello era il nostro momento dei giochi.

- Cosa c’è? - Mi chiese Ziva quando dopo cena stavamo sul divano a guardare la tv
- Quando pensavi di dirmi che sei andata da mio padre?
- Quando avevamo qualche minuto per parlare tranquillamente, anche ora se vuoi. - Spensi la tv e mi voltai verso di lei, appoggiandomi con il fianco allo schienale del divano. 
- Certo che voglio adesso.
- Sei già arrabbiato - osservò rassegnata.
- Un po’ - ammisi
- Perché?
- Non capisco cosa pensavi di fare andando da mio padre con Nathan. Non ti è bastato vedere come si è comportato qui?
- Volevo fare un tentativo, provare a parlargli.
- Pensavi di avere la bacchetta magica e cambiarlo?
- No, volevo solo che sapesse alcune cose… - Si avvicinò a me e mi accarezzò i capelli - … tipo che sei un padre eccezionale, nonostante lui non ti abbia mai dato l’esempio migliore di come comportarti. Ed anche che tu non hai mai scelto la strada più facile, come ha fatto lui, nemmeno nei momenti più difficili.
- Questo non è vero, lo sai.
- Hai avuto un momento di debolezza, ma non ci hai mai lasciato.
- Se tu non fossi venuta a cercarmi lo avrei fatto, mi sarei comportato come lui.
- Non è questo che dovremmo fare? Cercarci e farci capire a vicenda quando stiamo sbagliando? Tu non sei lui, Tony! Non lo sarai mai, tu sei diverso!
- Non mi va che stia intorno a Nathan, lo farà soffrire.
- Nathan ha solo noi, mi sarebbe piaciuto che tuo padre facesse parte della sua vita, che avesse un nonno.
- Mio padre non lo sarà mai Ziva, inutile illudersi ed è inutile farlo credere a lui.
- Forse hai ragione tu. Ho sbagliato, credevo che vedendo suo nipote potesse capire quanto aveva sbagliato con te, è ancora in tempo a cambiare, se lo volesse.
- Non lo vorrà Ziva. Ed io ho voi, sto bene così.
- Non è vero Tony, so che ci stai male, anche se non lo dici… Come me…
- Abbracciami. - Le chiesi ed era quasi una supplica. 

Appoggiai la testa sul suo seno e circondai la sua vita con un braccio mentre lei chiuse le sue intorno a me: mi ritrovai a piangere e lei mi stringeva con fermezza per farmi capire che era lì, per me, mi avrebbe sostenuto e rincuorato. Era tutto quello di cui avevo bisogno. Più le lacrime uscivano più mi sentivo bene, confortato in un abbraccio che mi faceva capire quali erano le cose importanti nella mia vita, perchè non potevo cambiare nè il passato nè le persone, se non volevano cambiare da sole, ma avevo il mio porto sicuro, quella famiglia arrivata in modo così inusuale che aveva stravolto la mia vita dandomi un punto fermo sul quale far ruotare tutto il resto.



NOTE: Ecco la seconda parte della visita di Senior. Qualcuno forse rimarrà deluso da come l'ho trattato, ma non mi pare abbia mai fatto il padre per Tony, quindi non lo vedevo nemmeno come nonno. Però questo porta un po' di problemi a Tony che evidentemente non ha mai risolto il suo rapporto con il padre.
Poi ci si mette anche Nathan con le sue strane richieste di regali con tutta l'innocenza di un bimbo a far straniere Ziva :D
E niente, siamo sempre qui nel loro elastico emotivo.
Spero che vi sia piaciuto. Non ho avuto modo di rileggerlo, perchè sono ufficialmente in lutto dopo le notize che giungono dal fronte Castle. Perdonatemi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Secrets ***


… Tell me what you want to hear
Something that were like those years
Sick of all the insincere
So I'm gonna give all my secrets away
This time, don't need another perfect line  …

 

Ne avevamo parlato. Finalmente una sera, dopo aver messo Nathan a dormire ci siamo seduti sul divano, ci siamo guardati e senza dirci altro, sapevamo di cosa dovevamo parlare. Dovevamo scegliere una data. Facemmo pochi ragionamenti, un paio di mesi di tempo per organizzare sarebbero bastati, non dovevamo fare cose particolari. Quindi decidemmo che ci saremmo sposati i primi di giugno, quando il clima pre estivo non sarebbe stato troppo opprimente.
Una cerimonia all’aria aperta, nel giardino di un hotel a Georgetown che conoscevo, perché lì avevano organizzato un party dell’NCIS e mi sembrava che rispecchiasse a pieno quello che Ziva avrebbe voluto. Un parco, un gazebo e la possibilità di un ricevimento all’interno. Era tutto come voleva lei, gli mostrai le foto sul sito dell’hotel e mi disse solo “Ti voglio sposare qui” e mi sentii sconvolgere da quelle parole. Stavamo parlando del nostro matrimonio. Ci saremmo sposati. Veramente.
Cerimonia civile ed avremmo scelto noi cosa prometterci: salute, malattia, ricchezza, povertà… banalità che non ci andava di dire, era ovvio, era scontato, noi ne avevamo già passate tante che avremmo deciso noi cosa dirci e cosa prometterci.
Pochi invitati, solo i nostri colleghi ed amici e mio padre, più per insistenza di Ziva che per mio volere, ne avrei fatto volentieri a meno dopo gli ultimi incontri. Niente limousine, niente esagerazioni. Riuscii solo a farmi promettere che avremmo passato alcuni giorni solo io e lei, una mini luna di miele. Ci misi un po’ per convincerla, però dopo averle elencato tutte le cose che avremmo potuto fare 3 giorni io e lei soli, insieme, ed averle dato un piccolo assaggio sul divano, mi disse che si poteva fare, che in fondo tra tutti i nostri amici, non ci sarebbero stati problemi a lasciargli Nathan per qualche giorno.

In poche ore avevamo già definito quasi tutto e, dopo aver appuntato su un foglio tutti i punti salienti di quello che volevamo e dovevamo fare, rileggemmo la lista con gli occhi che ci brillavano. Era il nostro matrimonio. Lo stavamo organizzando. Era vero. Io e lei. Per sempre. Perchè io ci credevo a quel giuramento ed era quello che volevo. Perchè con tutti i problemi, tutte le nostre incomprensioni e le nostre paure, io non potevo più immaginare una vita senza di lei e qualunque cosa fosse accaduta nel mio futuro, se c’era lei con me non mi spaventava. Non avevamo bisogno di un contratto o un giuramento per questo, non era necessario ma lo volevo, perchè volevo chiamarla “mia moglie” e volevo che lei mi chiamasse “mio marito”. Mia, mio. Noi.
Avevamo deciso tutto insieme, solo una cosa ci eravamo lasciati come sorpresa: lei si sarebbe occupata dello scegliere l’allestimento del posto, io delle fedi. In realtà fui io a chiederle se si fosse fidata a farmele scegliere per farle una sorpresa e lei acconsentì a patto che ci fosse qualcosa della quale anche io dovevo rimanere all’oscuro, visto che avevamo già deciso quasi tutto, era rimasto quello e si accontentò, dicendomi che tanto c’era sempre il vestito che io non avrei visto, quindi eravamo pari.
La cosa più bella era vedere come lei fosse felice mentre decidevamo cosa fare cosa non fare. Decisa, ferma, felice ed emozionata. La sua voce aveva quell’impercettibile sfumatura tremante che le veniva solo quando parlava di qualcosa che la rendeva particolarmente felice, che sfuggiva ai più, ma non a me.

 

————— 

 

Arrivammo felici in ufficio, le nostre partecipazioni erano arrivate e non vedevamo l’ora di consegnarle. Avevamo sì deciso di non fare le cose in grande e per avvisare 20 persone sarebbe bastato dirlo, ma ci piaceva che gli rimanesse anche a loro un ricordo di quella giornata, e poi vedere la scritta “Ziva e Anthony sono lieti di invitarvi al loro Matrimonio” mi emozionava ed emozionava anche Tony, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
Usciti dall’ascensore ci trovammo Vance davanti. Approfittai per dargli subito la busta con l’invito. Lui aprì, lesse e sorrise prima che il volto diventasse di nuovo serio. Lasciai cadere lo sguardo oltre la sua figura e la vidi.
Orli Elbaz era appoggiata alla scrivania di Tony e da dove poggiava lo sguardo sapevo benissimo cosa stava guardando: la foto mia e di Nathan. Non mi accorsi nemmeno che partii come una furia nella sua direzione e le braccia di Vance mi fermarono con forza e non avrei mai pensato che potesse avere una stretta così decisa.
- Andiamo su, nel mio ufficio. 
Mi fece cenno di seguirlo e a Tony di rimanere lì, provai ad obiettare, ma non ottenni considerazione. 
Quando entrai anche Gibbs era lì dentro che osservava fuori dalla finestra. Sapevo che la presenza di Orli Elbaz dava fastidio anche a lui, e mi preoccupai per Tony lì sotto con lei e glielo dissi.
- Non credo sia il caso che Orli rimanga lì con Tony.
Vance annuì, chiamò un agente e gli disse di far aspettare il direttore del Mossad in sala conferenze.

- Ziva siediti. Dobbiamo parlare. Ci sono un po' di cose che devi sapere - Mi sedetti nell'ufficio di Vance ancora adirata per la presenza lì di quella donna. Gibbs era al mio fianco.
- Jethro già sa tutto. Vuoi che ti parli lui? - Mi chiese il direttore.
- È uguale. Finiamo presto questa pagliacciata.
- Vi lascio soli. Jethro sicuramente ha la tua fiducia più di me.
Vance uscì e Gibbs si sedette vicino a me. 
- Questa storia non ti piacerà Ziva. - Mi disse Gibbs con un tono calmo ma quasi rassegnato a dover raccontare l’ennesimo capitolo di una vicenda dai contorni sempre più incredibili.
- Sono abituata a storie che non mi piacciono.
- Sai che non mi piace girare troppo intorno alle cose, quindi sarò il più conciso possibile, se vuoi i dettagli poi li puoi chiedere a loro. Il Mossad non voleva quei documenti.
- Che stai dicendo Gibbs?
- Erano solo un pretesto. Tutto era un pretesto. Il rapimento di Tony è servito solo per farti rientrare in azione. Così come rapire Nathan. Dei documenti non gli importava nulla. Sapevano cosa c'era e sapevano che nessuno li avrebbe trovati perché tu non li avresti mai cercati. E sapevano che anche se fossero stati trovati a nessuno sarebbe convenuto adesso divulgarli
- Chi sapeva di me e dei documenti?
- Orli Elbaz. È lei che ha voluto prendere tuo figlio, ma il fine non era farti trovare i documenti, quello era solo una scusa. E speravano che tu quei documenti li leggessi subito per poi agire diversamente.
- Cosa volevano da me?
- Non da te. Volevano te. - Fece una pausa, come per farmi assorbire la notizia - Volevano che tu tornassi nel Mossad. Così da esaudire il desiderio di tuo padre.
- Mi stai prendendo in giro Gibbs? - Chiesi perplessa, non accettavo quelle parole.
- No. - Sapevo che non lo faceva, non lo avrebbe mai fatto.
- Orli era con Bodnar. Bodnar ha ucciso mio padre, come poteva mio padre essere d’accordo con lei? - Sbottai davanti all’assurdità di quanto mi veniva detto.
- Sì era con Bodnar nelle foto, ma solo perché tuo padre l'aveva mandata a riferirgli cosa stava succedendo.
- E tu le credi?
- Ho le loro registrazioni. Me le sono fatte tradurre. Se le vuoi sentire tu stessa non avrai bisogno di altro.
- Perché? 
- Perché tuo padre voleva che tu prendessi il suo posto. Probabilmente anche quando è venuto per l’ultima volta qui a Washington, nelle sue intenzioni c’era convincerti a tornare. Orli gli aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per far si che accadesse. Poi con la nascita di tuo figlio le cose si sono complicate così alla fine hanno pensato di sfruttare i tuoi sentimenti per Tony per farti provare di nuovo l'ebrezza di essere operativa. Hanno preso Nathan per convincerti a collaborare.
- No... Non è possibile...
- Solo una cosa non hanno calcolato bene, i tuoi sentimenti. Hanno dato per scontato che tu ragionassi come loro e che avresti messo la tua terra, la tua nazione, sempre prima di tutto il resto. Da quando sei arrivata negli Stati Uniti sei sempre stata pedinata da agenti del Mossad. Erano convinti che quei documenti non li avresti mai trovati e che alla fine per il bene di tuo figlio avresti accettato la proposta che ti avrebbero fatto. Quando sei rientrata a lavorare qui è stato uno smacco. La sospensione e la tua indagine per negligenza è stata caldamente spinta dal Mossad. Ed era del Mossad anche chi ha dato le foto a Michelle. Il suo investigatore privato è un ex del Kidun.
- Era Gabriel Rivkin a pedinarmi. E' stato lui ad orchestrare tutta la storia di Roy Dunn con lo studio di Michelle. Vero?
- Sì, come lo sai?
- Gabriel era specializzato nei pedinamenti ed in questo tipo di operazioni di depistaggio. Era nel Kidun con noi... Con e Michael, intendo. Era il migliore della nostra unità. Sapevo che si era allontanato dal Mossad, evidentemente era solo distaccato qui.
- Allora non darti colpe che non hai se non te ne sei accorta. Parente di Michael?
- Il fratello maggiore. Ed è sempre in giro… Non dire a Tony di lui, per favore Gibbs.

- Come vuoi. - Disse riluttante - E’ stato lui che ha dato a Dunn la nostra posizione in casa, che l'ha avvisato come e dove colpirti: una tua ulteriore gravidanza sarebbe stato uno stop definitivo alle loro idee. Poi l'ha fatto fuggire salvo poi farlo arrestare quando e come concordato per far scattare il resto del piano. 
Mi portai le mani al ventre istintivamente. Erano passati mesi, ma non avevo ancora accettato quanto accaduto: non c'era più perché avrebbe intralciato i loro piani... 
- E la storia della mancata identificazione?
- No, quella è stata un'idea di Michelle. È amica della madre del Marine che ti aveva aggredito al quale avevi detto che eri del Mossad e non dell'NCIS. Lo studio dove Michelle lavora è di un’importante famiglia ebraica arrivata negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Hanno rapporti molto stretti con Israele ed anche la famiglia Sanders abbiamo scoperto aveva legami anche con tuo padre.
- Non ci posso credere... Hanno usato ogni cosa che mi accadeva per i loro scopi. Ma perché poi hanno desistito e hanno lasciato Nathan dopo tutto quello che avevano fatto?
- Quando è arrivata la richiesta di rimpatrio per un cittadino americano. Vance il giorno che Orli ha fatto la videoconferenza aveva fatto registrare tutto. Compreso il pezzo in cui si vedeva tuo figlio. Non potevano dirci che non ne sapevano nulla. Hanno fatto un errore sulla cosa più banale.
- Quando ti senti troppo forte cadi sulle banalità. Per umiliare il nemico hanno perso la battaglia.
- Per questo volevano che tu prendessi il posto di tuo padre, Ziva. Tu non avresti fatto un errore del genere e nemmeno tuo padre, ne sono sicuro.
- Io non sono lui. Non lo sarò mai.
- Lo so. Tu sei migliore di lui.

Bussarono alla porta e Gibbs andò ad aprire. Ero convinta che fosse Vance che ci chiedeva se avevamo finito ed invece era Orli.

- Ziva ti devo parlare
- Fallo Orli
- Da sole Ziva
- Sarò qua fuori - mi disse Gibbs
- No, Jethro, rimani - poi rivolta ad Orli - non ho segreti per lui. Quello che mi devi dire lo puoi fare adesso oppure mai.
- Come vuoi. Adesso immagino che sai com'è andata tutta la storia...

Ori girava intorno alla stanza. Non rimaneva ferma in un punto. Sembrava una fiera in una gabbia dello zoo. Vide il cartoncino della mia partecipazione di nozze, lo lesse e sorrise, anzi forse di più un ghigno. Me lo mostrò e con aria di sfida mi fece i suoi auguri. Gibbs la fulminò con lo sguardo, se lei era la fiera in gabbia, lui era il domatore ed usava gli occhi al posto della frusta. Io non le detti soddisfazione, non le risposi.

- Tu eri tranquilla perché sapevi che non avremmo mai potuto usare quei documenti, anche se li avessi trovati. Per te era tutto indifferente. Siamo stati solo dei pupazzi per i tuoi giochetti. - Le dissi
- Pensala come vuoi. Cosa pensi di fare adesso?
- Cosa penso di fare in merito a cosa?
- Accetti il posto? - Mi chiese come se fosse la cosa più normale del mondo.
- No, aspetta Orli, mi stai prendendo in giro? Secondo te io adesso dovrei accettare rientrare nel Mossad? - scoppiai in una risata nervosa - Ma veramente non avete capito nulla di me? Io non sono come mio padre. Non sono nemmeno come voi. 
- Sì, e poi di prendere il mio posto. Ziva tuo padre voleva che quel posto fosse tuo. Tutti quelli che erano fedeli a tuo padre sarebbero entusiasti che fossi tu ad aprire il nuovo corso della nostra storia. Ed ora, molti altri, dopo la sua uccisione, ne hanno riconosciuto i meriti. Nessuno dimentica nemmeno quello che tu hai fatto e le tue capacità. Hai tanti estimatori e per molti giovani sei sempre un esempio.
- Io, un esempio? - Risi ancora.
- Non puoi cancellare quello che hai fatto in passato, molte missioni sono state un enorme successo solo perchè c’eri tu in prima fila. E non puoi cancellare nemmeno il volere di tuo padre.

Io quel passato avrei voluto solo cancellarlo, lei lo portava come un esempio per i giovani. Potevano a questo punto, essere più lontani i nostri mondi?

- A me del volere di mio padre non me ne frega nulla. Io ti avevo considerato come una di famiglia Orli. Tu mi hai usato, mi hai portato via la cosa più importante della mia vita, hai quasi ucciso Tony, hai fatto rapire Nathan tenendolo lontano da me.
- Ziva era tutto per una giusta causa. Abbiamo bisogno di una come te. La nostra nazione ne ha bisogno.
- Una giusta causa... La prossima volta che ripenso a quando ho dovuto abortire e a come sono stata penserò alla tua giusta causa. Quando mio figlio si sveglia la notte piangendo perché ha paura a stare solo gli dirò che è per una giusta causa. Quando guardo la cicatrice sul petto di Tony penserò ad una giusta causa. Mi viene da vomitare.
- Ci sono cose più importanti dei nostri figli e dei nostri affetti. Non lo hai ancora capito?
- Per te. Per quelli come te e mio padre - le urlai in faccia - non per me! Tu non hai capito nulla di me. Pensavi che bastava provare il brivido dell’azione per convincermi a tornare operativa. Invece tutto quello che avete fatto ha contribuito solo a farmi capire una volta di più cosa era importante per me, cosa era veramente importante e per cosa valeva vivere e morire. E non è una bandiera, una nazione o un’ideale. Sono le persone che ami.
- Non hai la giusta prospettiva per guardare le cose. Le persone che ami sono effimere, gli ideali, la nazione, la bandiera restano per sempre, dopo di noi, fino a quando ci sarà qualcuno pronto a difenderli ed a morire per loro. 
- Questi discorsi non mi riguardano.
- Ziva, tu eri la nostra punta di diamante, tuo padre lo diceva sempre. Sei sempre stata addestrata per questo. 
- Non sono io. Non più. 
- Se ci tieni tanto a tuo figlio, dovresti accettare il posto, per far sì che tu possa contribuire a farlo vivere in un mondo dove tu non debba scegliere per lui la stessa strada che tuo padre ha scelto per te.
- Non sceglierei mai quella strada per mio figlio. Mai in ogni caso. Questa conversazione finisce qui Orli. Non abbiamo più niente da dirci.
- Ci ripenserai Ziva. Accetterai la mia proposta ne sono sicura. 
- Mi vuoi minacciare ancora?
- No, era una constatazione. Ci vedremo presto
- Non credo proprio Orli.

Il direttore del Mossad uscì e io e Gibbs ci trovammo di nuovo soli.
Ero disorientata, allibita, sconcertata.
- Quante persone ho messo a rischio? Quante persone hanno rischiato tutto solo perché io dovevo accettare una cosa stabilita da altri?
- Non è colpa tua. Tu sei una vittima di tutto questo. 
- Non finirà mai vero Gibbs?
- Te lo giuro Ziva, finirà. Questa storia finirà. Ora però credo che c’è una persona che dovresti ringraziare…

Quando uscii dall’ufficio di Vance, lo trovai lì fuori.
- Hai le idee più chiare ora David?
- Diciamo che ora so i fatti.
- Già è qualcosa.
- So anche quello che hai fatto per mio figlio. Ti ringrazio.
- Sono felice che si sia risolto tutto bene, è un bambino adorabile. 
- Già, ha i difetti di entrambi i genitori - intervenne Gibbs strappandoci una risata.
- Un’ultima cosa - mi disse Vance - io non credo che Eli avrebbe voluto questo, non per come l’ho conosciuto io. Magari ti avrebbe voluto al suo posto, ti avrebbe voluto di nuovo nel Mossad. Ma non così, non avrebbe giocato con i tuoi sentimenti per tuo figlio pur di riaverti al suo fianco.
- Non lo so Vance. Io adesso non so più fino a che punto si sarebbe spinto. So quello che mi ha fatto in passato, come mi ha usata per i suoi scopi, quindi non posso escludere nulla. Ma oggi non mi interessa nemmeno, tutto quello non è più qualcosa che mi riguarda. È un capitolo chiuso della mia vita.


————— 

 

Ero riuscito ad organizzare tutto senza farmi scoprire, non era stato difficile. I voli erano confermati, l’hotel anche: avevo scelto il meglio e non avevo badato a spese. Era la prima vacanza che mi concedevo da non so quanto tempo, la prima vacanza con Ziva e Nathan, doveva essere tutto perfetto.
Ero eccitato dall’idea che tra meno di sette giorni saremmo partiti per goderci una settimana solo per noi.
Ziva aveva appena chiuso un’altra pagina della sua storia con il Mossad, erano emerse altre cose che l’avevano ancora più turbata, cambiare aria e staccare da tutto per un po’ avrebbe fatto bene anche a lei.

Rientrai a casa un po’ prima del solito e Ziva non c’era. Vance le aveva detto di prendersi il pomeriggio libero dopo l’incontro con Orli ed era andata a prendere Nathan all’asilo e poi aveva passato il pomeriggio con lui, era il suo antistress preferito, con lui riusciva a rilassarsi come in nessun altro modo e poi nostro figlio era sempre felice di poter passare del tempo libero con la mamma. A metà aprile ormai le temperature erano più che miti e non avevo il minimo dubbio che avessero passato il pomeriggio al parco a giocare e le mie teorie furono confermate quando arrivarono tutti sudati a casa poco dopo di me. Li baciai entrambi non riuscendo a nascondere a Ziva la mia smania per parlarle.
- Tony, qualsiasi cosa mi devi dire, lo farai dopo che mi sono fatta una doccia!
Ok, era un tempo ragionevole che potevo aspettare. Intanto ordinai pizza per cena e feci il bagno a Nathan, così lei si poteva preparare con calma. Ero diventato bravo ad occuparmi di mio figlio, anche in quelle cose quotidiane e poi ci divertivamo tantissimo a schizzarci con l’acqua della vasca e giocare con i suoi pupazzi.
Mentre lo asciugavo tamponandolo con l’accappatoio, con quel cappuccio così grande che gli copriva il volto, mi immaginavo la sua faccia quando avrebbe capito dove saremmo andati. Ero talmente eccitato di raccontare quello che avevo fatto che mi ritrovai a sorridere sfacciatamente e a non accorgermi che Ziva aveva già finito la sua doccia e mi stava guardando appoggiata al muro di camera.
- Hai finito di ridere da solo? - Mi disse sorridendo a sua volta. Mi distolse dai miei pensieri facendomi sussultare. La guardai ed era terribilmente eccitante vestita con solo una tshirt larga ed i capelli ancora umidi raccolti.
- Ehm.. Sì… ho ordinato le pizze! - Le risposi continuando ad asciugare Nathan
- Bene, sono contento che ti metta di buon umore e credo che sia asciutto eh!
Mi fermai e lei si avvicinò vestendolo rapidamente con il pigiama che avevo già preparato. Per quanto fossi bravo, non avevo nè la sua manualità, nè la sua velocità.
- Allora, di cosa mi volevi parlare? Vuoi farlo ora o ci andiamo ad asciugare i capelli?
- Settimana prossima partiamo.
- Eh?
- Ho già prenotato tutto. Io, te e lui. Una vacanza, solo noi tre.
- Ma… dove?
- Barcellona. Qualcuno qui voleva andare a vedere Messi, no? Ci andremo, ho anche già preso i biglietti per una partita e per il tour dello stadio. Poi il resto dei giorni possiamo fare quello che vogliamo.
- Sì! Messi! - Urlò Nathan felicissimo
- Stai scherzando Tony? - Chiese Ziva sorpresa
- Assolutamente no. Di là c’è tutto. Biglietti aerei, conferma hotel, biglietti stadio. Tutto quanto. Partiamo venerdì prossimo.
- Non so che dire. Ma per il lavoro e per i preparativi per il matrimonio…
- Ho già parlato con Gibbs e Vance ed è tutto ok. Per i preparativi, non sarà una settimana a Barcellona che cambierà le cose, no? Allora? Che ne pensi?
- Non me lo aspettavo… - ero riuscita a stupirla, ero felice.
- Vedrai sarà bellissimo. Ho scelto tutto il meglio per noi. È la nostra prima vacanza insieme, vorrei che fosse tutto perfetto.
- Lo sarà sicuramente - Mi diede un leggero bacio - Nathan sei contento che andiamo a vedere Messi?
- Sì! 
Nathan era raggiante. Da quando aveva capito che avrebbe visto Messi dal vivo non stava più nella pelle, ora Ziva usava questa cosa per ricattarlo e farlo stare buono, anche per asciugarsi i capelli. Aspettammo le nostre pizze e mangiammo tutti e tre insieme sul divano, facendo per una sera uno strappo alla regola ed io non vedevo l’ora di partire, più di tutti loro.


 

NOTE: Capitolo un po’ strano, con tante cose diverse tra loro. Cominciamo con una cosa bella, i nostri finalmente si sono decisi e si sposano a giugno. Auguri e figli maschi che già hanno, quindi sorvoliamo. Magari quando sarà vi metterò qualche link per farvi vedere il posto al quale mi sono ispirata, un hotel che esiste realmente a Washington specializzato in location per matrimoni.

Poi arriva qualche vecchia conoscenza, potevamo stare troppo senza il Mossad intorno? No. Torna Orli e si scopre la folle idea che c’era sotto dall’inizio. E chi è che ha manovrato tutto negli States? Il fratellone di Michael… Chissà come la prenderà Tony quando lo verrà a sapere, se lo verrà a sapere che c’è un’altro Rivkin che lo ha fatto soffrire parecchio? E chissà se Orli desisterà dall’interferire di nuovo nella vita di Ziva ora che sa che si vuole anche sposare?

Finiamo con una cosa strana… un viaggio organizzato da Tony per far felice Nathan (e non solo). Prossimo capitolo andremo tutti a Barcellona e al Camp Nou! Vi avviso che sarà abbastanza lungo e con tante cose dentro. Molto catalano, molto barcelonista, decisamente family ed abbastanza fluff. Sapete che a Barcellona c’è una festa simile a San Valentino che si svolge ad aprile? Ecco, casualmente saranno lì in quei giorni…

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Barcelona ***


…Every time you have to go
Shone my eyes and you know
I’ll be lying right by your side
In Barcelona…

Dopo lo stop a Londra il volo per Barcellona fu relativamente breve, anche se molto meno confortevole del precedente. Arrivammo che era da poco passato mezzogiorno e fortunatamente le procedure di entrata e ritiro bagagli furono abbastanza rapide e nel mentre che aspettavamo approfittai per prelevare degli euro al bancomat.
Ci mettemmo circa 20 minuti ad arrivare da El Prat al centro di Barcellona. Il nostro hotel dava proprio sulle Ramblas e si entrava da una stradina laterale, Carrer de Pintor Fortuny, puntellata di hotel e ristorantini. Eravamo nella parte più alta delle Ramblas, sopra il mercato della Bouqeria, una zona più tranquilla, verso plaça Catalunya.
Pagammo il tassista che ci aiutò a scaricare i bagagli fino a quando un ragazzo dell'hotel non li prese mentre noi andavamo a fare il check in. Il viaggio non era stato particolarmente stancante, avevamo dormito per lungo tempo, eravamo un po' fuori fase per il fuso orario e non vedevamo l'ora di stenderci un po' per rilassarci.
L'hotel era vivace ma abbastanza ricercato negli arredi e decorazioni, rispecchiava le foto che avevo visto sul sito. Volevo qualcosa di bello, ma che ci permettesse allo stesso tempo di vivere un ambiente informale, soprattutto per Nathan.
Avevo prenotato una suites familiare, in modo che nostro figlio potesse avere la sua camera e noi la nostra privacy, perché in fondo quella era anche la nostra vacanza.

Una ragazza ci accompagnò alla nostra stanza dopo aver registrato i passaporti. Non ci avevo fatto caso da quando eravamo partiti, ma anche Ziva usò quello americano e questa cosa, apparentemente stupida, mi rese immensamente felice.
La ragazza, Maria Josè come recitava la sua targhetta, sembrava faticare a parlare inglese così le spiegammo che se voleva poteva parlare in spagnolo perchè entrambi non avevamo problemi con la lingua e fu subito più sciolta e a suo agio, ringraziandoci con un profondo e sincero sorriso.
Ci illustrò tutte le facility della nostra stanza, mostrandoci la vista dalla camera patronale che dava direttamente sulle ramblas e dal sesto piano dove eravamo si potevano vedere chiaramente in buona parte della loro lunghezza scendendo verso il mare, costeggiate da platani che ombreggiavano il cammino. Proprio sotto la nostra camera i vari chioschetti vendevano dolci e frutta fresca e già da qui ne vedevo due che sarebbero stati la nostra rovina appena Nathan se ne fosse reso conto: gelati e Barcelona. 
Spostando di poco lo sguardo, però, notai il NikeStore dall'altra parte delle Rambas con tutte le maglie esposte in vetrina ed anche l'edicola ed il negozio di souvenir erano tempestati di gadget blaugrana: praticamente una città dove ovunque giravi lo sguardo trovavi qualcosa che riguardasse quella squadra. Un sogno per lui e un incubo per noi! 

 

------------

 

Dopo esserci riposati un po' il nostro appetito si fece sentire e decidemmo di cercare un posto per mangiare, non sarebbe stato difficile, sembrava si potesse mangiare ovunque a Barcellona!
Tony armeggiava con il passeggino di Nathan faticando ad aprirlo. Lo vedevo che stava per perdere la pazienza ma si tratteneva, così lo aiutai facendogli vedere come fare semplicemente. Era la prima volta che lo usavamo, a casa non facevamo mai lunghe camminate e Nathan o camminava da solo o stava in braccio se era stanco ma qui non era possibile, anche se Nathan non lo apprezzava e sapevo che per lungo tempo lo avremmo spinto vuoto con lui che camminava.
Percorremmo tutte le Ramblas fino ad arrivare alla Rambla del Mar, prendemmo dei bocadillos durante la nostra passeggiata  e ci sedemmo sugli scalini davanti alle imbarcazioni ferme a Port Vell. Mangiammo di gusto e poi rimanemmo lì, senza fare niente, senza alcuna preoccupazione se non quella di evitare che Nathan correndo da una parte all’altra cadesse in acqua. A fine aprile ancora la città non era piena di turisti, il clima era mite ed io mi sentivo in pace come da tempo non mi capitava. 
C’erano molte panchine libere, ma stare seduti per terra sui gradoni era più bello, più vicini al mare, più liberi: vicino a noi dei ragazzi provavano dei trick con gli skate e guardarono Tony preoccupati quando uno sfuggito al loro controllo arrivò troppo vicino a me: lo bloccai prima che mi colpisse e glielo ridiedi facendo un sorriso. Non era il momento per arrabbiarsi, niente mi avrebbe rovinato quei momenti di beatitudine assoluta, tra le braccia di Tony, guardando Nathan che correva avanti e indietro felice.

Il giorno dopo portammo per la prima volta Nathan al Camp Nou. La partita sarebbe stata tre giorni dopo, ma Tony voleva che si vivesse tutte le esperienze possibili, giro dello stadio compreso. Fu divertente vederlo correre da una vetrinetta all’altra con la bocca spalancata a guardare maglie e trofei, le gigantografie dei campioni e soprattutto quella di Messi davanti alla quale si appiccicò come se fosse lui lì in carne ed ossa con uno dei sorrisi più grandi visti fino a quel momento. 
Ci prestammo, per farlo felice, anche a fotografarci tutti e tre sollevando la coppa con il campo sullo sfondo. In ogni posto che andavamo la sua meraviglia aumentava, fino a quando non passeggiammo direttamente a bordo campo e dovetti tenerlo per mano per evitare che passasse le recinzioni. Ci riposammo per un po’ seduti sugli spalti e Tony ci mostrò controllando sulla mappa sul suo smartphone, quali sarebbero stati i nostri posti durante la partita. Nathan rimase un po’ deluso quando capì che la partita non sarebbe stata quel giorno, ma tutta la sua delusione passò quando per uscire entrammo nel negozio ufficiale del club, dove tutto, ma proprio tutto, era marchiato Barcellona. Nathan era impazzito e voleva prendere tutto ed il mio compito di evitare che lo facesse sarebbe stato più facile se il suo principale alleato con una enorme sacca a tracollo non fosse stato suo padre, che non diceva di no su niente e riempiva quella borsa sempre di più, sotto il mio sguardo che passava dall’arrabbiato all’allibito per finire ad essere rassegnata quando mi guardavano entrambi con quegli occhioni identici a volermi convincere che in fondo, non c’era niente di male a spendere un patrimonio in vestiti, complitini da calcio, giocattoli e gadget vari.
Alla fine anche Tony, che ero assolutamente convinta di calcio continuava a non capirci nulla, lì dentro sembrava essere il primo tifoso della squadra e spalleggiava Nathan in ogni sua folle idea su questo o quello che voleva prendere, convincendosi anche a comprare l’erba dello stadio incorniciata e le mie proteste furono assolutamente inutili: in camera di Nathan sarebbe stata benissimo. In quel momento capii che la mia battaglia era persa definitivamente, li lasciai continuare a saccheggiare il negozio sedendomi sulle scale che dal piano terra andavano a quello inferiore dove si trovavano tutte quelle sciocchezze che amavano tanto entrambi, guardando nei video i gol che scorrevano a ripetizione uno dietro l’altro, dei trionfi degli ultimi anni.

- Ti ricordi che torniamo a casa in aereo? Fu l’unica cosa che riuscii a drigli quando apparirono sulle scale, con Tony carico di buste e Nathan saltellante che ne teneva una piccola.
- Dovremo comprare una valigia nuova - mi rispose sorridendo.
- Qui non ne avevano? - Chiesi ironica
- Non ci ho guardato, se vuoi torno indietro.
- Tony, non ti azzardare.
Rise e lo feci anche io, aiutandolo con un paio di buste.
- Tu sei peggio di lui - gli dissi constatando da vicino la quantità di roba che avevano preso.
- Lo so. Non riesco a dirgli di no.
- Impara Tony, per il nostro bene! - Dissi rassegnata a dover trovare spazio per tutta quella roba, sicura che un’altra valigia sarebbe stata veramente necessaria.

Nei giorni successivi facemmo proprio i turisti, girando per musei e monumenti, passeggiando tra i viicoli del Barrio Gotico e nell’elegante Eixample. Ci lasciammo trasportare dalla magia dell’architetture visionarie di Gaudì, ammaliati dalle forme e colori della Sagrada Familia con le sue torri che si stagliano verso l’alto affascinata da come questo monumento sia in perenne costruzione da oltre 100 anni, a Passeig de Gracia, dove le case disegnate da Gaudì rendevano splendido il paesaggio di quella via signorile, dove i sogni di Gaudì avevano preso vita trasformandosi in opere architettoniche funzionali: Casa Batllò dove il genio dell’artista catalano si mostra in ogni dettaglio all’interno e all’esterno dell’abitazione, tutta un susseguirsi di vortici, curve e spirali, quella che Nathan chiamò affettuosamente “la casa del Drago” visto il suo tetto fatto a scaglie mutlicolori che ricordavano quelle di un drago; La Pedrera, la casa dalla grande facciata di pietra con le ringhiere in ferro battuto e sulla terrazza i comignoli a forma di guerrieri, da dove si vede la città dalla Diagonal al mare. Girammo a piedi, in autobus, metro e taxi. Prendemmo anche l’autobus scoperto per fare il giro di tutta la città, senza scendere, solo godendoci il panorama dall’alto, in totale relax. Passammo di nuovo davanti allo stadio e Nathan voleva scendere ancora e Tony si stava quasi convincendo a farlo, prima che con un occhiata gli feci capire che dovevano rimanere seduti al loro posto. Entrambi.

Ma di tutta Barcellona ci fu un posto che mi rubò letteralmente il cuore: Park Guell. Situato in alto, dalla sua terrazza si poteva vedere tutta la città stendersi sotto di noi, alternando le sue forme fino al mare azzurro in lontananza. Sembrava di essere entrati in una favola, con le casette di marzapane all’entrata, gli animali magici sulla scalinata, le colonne come in un tempio dentro una grotta, un chiostro naturale con colonne di roccia che sembravano fatte facendo scivolare sabbia bagnata tra le dita. E poi sopra a tutto una sinuosa terrazza circondata da una panchina in ceramica multicolore: da lì si vedeva tutta la città. Rimasi seduta guardando il panorama, mentre Tony e Nathan esploravano il resto del parco. Pensai che se avessi vissuto in quella città, quello sarebbe diventato il mio rifugio ogni volta che dovevo isolarmi dal mondo, ogni volta che ero triste o arrabbiata. In quell’ambiente fiabesco mi sembrava di tornare nei miei sogni di bambina e non facevo nemmeno caso ai turisti chiassosi che avevo intorno. Ma non erano solo i turisti a sedersi lì, c’erano tanti ragazzi del posto, famiglie con bambini il cui accento catalano per me incomprensibile spiccava tra le altre lingue, segno che non ero la sola a pensare che quello era un luogo magico. Me ne andai mal volentieri, ma non prima di aver fatto una foto con Nathan vicino alla grande salamandra sulla scalinata principale, che per lui era un drago anche questo.

- Ti piace qui? - Mi chiese Tony leggendo un po’ di nostalgia nei miei occhi mentre uscivamo
- Molto. Ci potrei passare giornate intere.
- Mi piacerebbe che lo potessimo fare. - Rispose dandomi un leggero bacio.

 

-----------------

 

Era arrivato il giorno tanto atteso da Nathan, il giorno della partita. Sarebbe cominciata alle 20, ma non sapendo bene quanto traffico avremmo trovato, quanto ci sarebbe voluto per entrare poco prima delle 17 uscimmo dall’hotel.
Mentre ci stavamo preparando ovviamente il più felice era nostro figlio che indossava orgoglioso la sua maglia nuova, con il suo nome scritto dietro. Avevamo discusso con Nathan su quale fosse il numero migliore a mettere dietro. Era bello avere quelle discussioni serie con mio figlio, dove ognuno esprimeva la propria opinione per convincere l’altro. Gli proposi di metterci il numero uno, perchè lui era il mio numero uno, ma lui ribattè che quello era del portiere e non andava bene, non lo sapevo, quindi nulla. Gli proposi il 17, la sua data di nascita ma non lo convinsi. Provai con il 14, il suo anno, ma anche quello non gli piaceva. Alla fine, vinse lui e si fece mettere il numero 10, come Messi. Ovviamente. Colpa mia che avevo provato anche a cercare alternative. Quindi alla fine uscimmo con una maglia con scritto “Nathan 10” giallorosso, la loro seconda maglia, e poi prendemmo anche la terza, azzurra, di nuovo di Messi, per essere originali. Tra le tante cose per Nathan, quel giorno presi anche altre due maglie, alle quali però Ziva non aveva fatto caso: una per me e una per lei e l’idea mi venne dopo aver fatto stampare la maglia di nostro figlio: feci stampare la sua con il suo nome ed il numero 1, e la mia con il mio ed il numero 0.
Mentre stava finendo di vestire Nathan le misi sul nostro letto in camera, e quando tornò con lui già pronto guardò perplessa le due maglie.
- Cosa significano?
- Guarda la sua. - Gli dissi
Si fece scappare un semplice “oh!” di stupore, accompagnato da un sorriso. Si tolse la maglia che aveva già indossato e si cambiò, lo stesso feci io.
- Ricordiamoci di sederci in modo giusto adesso eh! - Le sorrisi indicando i numeri dietro.

Arrivammo allo stadio decisamente presto. C’era pochissima gente, qualche bancarella fuori dai cancelli che vendeva sciarpe e bandiere. Benchè noi avessimo già tutto, vestiti di tutto punto e con tutto il necessario, prendemmo un’altra sciarpa a Nathan, commemorativa della partita con la data del giorno. Evitai accuratamente di entrare di nuovo nella “Botiga” il negozio che avevamo svaligiato qualche giorno prima, dove sicuramente se fossi rientrato mi avrebbero riconosciuto come il folle americano ostaggio del figlio.
Mangiammo dei bocadillos nel fast food locale adiacente al negozio e al museo, quello sì, già pieno essenzialmente di turisti che come noi sarebbero andati a vedere la partita, si capiva dalle macchine fotografiche e cellulari che scattavano a ripetizione su qualsiasi cosa e dalla Babele di lingue diverse, se non fosse bastato guardarci in faccia per capire che venivano dagli angoli più lontani del mondo. 
Lì si capiva più di ogni altro luogo visto fino ad ora che non eravamo in Spagna, ma in Catalunya. Anche le scritte dei nomi dei panini erano in catalano e poi sotto, piccolo piccolo, anche in spagnolo.
Una delle cose che mi fece più piacere in quei giorni fu vedere come Nathan era curiosissimo non solo di tutto quello che vedeva, ma anche di provare nuovi sapori e cucine diverse, adattandosi a mangiare cose che non aveva mai assaggiato e, soprattutto quando prendevamo tapas e pinchos di vario tipo, si allungava per provare tutto quello che le varie ciotoline contenevano, anche se qualche volta il contenuto non era proprio di suo gradimento e ci restituiva facce schifate che ci facevano ridere di gusto. Pensavo che io alla sua età, ma anche molto più grande, non ero così propenso a provare cibi diversi, anzi. Sicuramente questo lo aveva ripreso da Ziva.

Finito di mangiare cominciammo ad avvinarci verso l’entrata, passando un primo controllo. Nel piazzale davanti all’entrata la gente cominciava ad aumentare, Nathan fu subito attratto da un gruppetto di bambini che giocavano con la palla per ingannare il tempo, alcuni più grandi altri della sua età, più o meno. Non ci pensò due volte e si diresse verso di loro a passo svelto, con Ziva che gli correva dietro per vedere cosa facesse. Non si capivano, ma appena lo videro avvicinarsi gli passarono la palla e lui cominciò a giocare con loro. I bambini non avevano bisogno di parole ed il gioco era un linguaggio universale e probabilmente anche questo “calcio” da noi quasi sconosciuto, era capace di unire persone da ogni angolo del mondo sotto un’unica passione. Ero molto curioso di tutta questa situazione, di capire cosa era che cos’era accomunava persone così diverse ad unirsi universalmente sotto un’unica bandiera. 

Mi avvicinai a Ziva che guardava orgogliosa nostro figlio.
- A Tel Aviv lo faceva spesso al parco o in spiaggia.
- Cosa?
- Andare a giocare con gli altri bambini a calcio, credo gli sia mancato.
- Possiamo vedere di trovargli un posto dove giocare a calcio anche a casa e ce lo possiamo portare, che ne pensi?
- Penso che sarebbe felice. - Mi rispose appoggiandosi a me.
- Allora lo faremo.

Finalmente aprirono le porte per entrare. Nathan completamente preso dal gioco si era quasi dimenticato perchè eravamo lì, ma ci mise poco a focalizzarsi di nuovo a pieno sulla nostra prossima tappa.
Altro controllo e poi i tornelli prima di entrare. A Ziva chiesero anche di aprire la borsa per controllare il contenuto ed io ridevo sotto i baffi guardandola aspettare pazientemente i controlli della gentile guardia. La immaginavo smaniosa di poter tirare fuori il suo distintivo e forse anche la pistola, e meno male che non ne aveva una, sarebbe stato da lei, ma sarebbe stato difficilissimo da giustificare. Ci raggiunse invece sorridendo mentre cercavo di capire quale era la direzione giusta per la “Boca 108” la nostra zona.
- Tutto bene David? - Le chiesi ridacchiando
- Sì, perchè? 
- No, niente, pensavo alla tua voglia di far sparire quel poliziotto tirando fuori pistola e distintivo.
- Tony, siamo in vacanza. Niente mi farà innervosire in questi giorni, te l’ho detto.

Faccio vedere i biglietti ad una hostess che gentilmente ci spiega il percorso. Scendiamo due rampe di scale entrando nel “ventre” dello stadio, poi ci dirigiamo verso un corridoio con le varie porte per entrare nelle diverse zone dello stadio. Saliamo i 3 scalini per arrivare alla nostra “Boca 108”. Il campo è lì. Un tappeto verde completamente vuoto ed anche negli spalti c’è pochissima gente ancora. Scendiamo fino ad arrivare alla fila 4.
Individuo i nostri posti e ci mettiamo seduti, rispettando rigorosamente i numeri della nostre maglie. Ziva alla sinistra, Nathan al centro ed io a destra. 

- Per una che ha passato anni a fare missioni sotto copertura, andare in giro con il nome stampato sulla schiena non è proprio normale eh! - Mi dice ridendo

Le do un veloce bacio sempre sotto lo sguardo contrariato di Nathan che non apprezza mai troppo le nostre effusioni e pretende che poi la madre dia un bacio anche a lui e solo allora torna a guardarsi intorno sempre più estasiato. Sulla tribuna davanti alla nostra campeggia un’enorme scritta “Mes Que un Club” e la visita al museo di qualche giorno prima mi aveva aiutato a comprenderne il senso: più di una squadra di calcio, perchè il Barcellona rappresenta, la città, la regione e tutta la propria identità catalana. E’ un qualcosa di molto forte, che solo chi è nato qui può capire a pieno, credo, un modo per esprimere e rivendicare il proprio diritto di essere catalani in terra spagnola. 
Man mano che passano i minuti e le persone prendono posto, la scritta viene coperta e quando è totalmente scomparsa, lo stadio è ormai gremito e la partita sarebbe cominciata a breve. 
Vicino a me si era seduto un arzillo signore di una certa età. Diceva che ogni partita vicino a lui si sedevano sempre nuove persone, stranieri per lo più e a lui piaceva conoscere le nostre storie e raccontare la sua. Era socio del club da quando aveva 10 anni, ed era da più di 40 anni che era abbonato sempre in quello stesso posto. Non si perdeva una partita, nemmeno il giorno che era nato il suo primo figlio, era venuto allo stadio e poi corso in ospedale. Mi racconta con un velo di tristezza che prima andavano allo stadio insieme, poi lui si era trasferito all’estero ed ora erano tanti anni che lui veniva da solo, come prima che nascesse lui. Mi sorride e sorride a Nathan e forse ci invidia un po’. Gli racconto di noi, che veniamo dall’America ma io non so assolutamente nulla di calcio è una passione solo sua che ha preso quando viveva in Israele, rimango sul vago. Ride nel vedere la mia completa ignoranza sull’argomento, capendo che non conoscevo veramente nulla, tranne Messi perchè lui ne parla sempre. Così ogni tanto mi spiega qualcosa e quando i giocatori entrano in campo per il riscaldamento prendo in braccio Nathan per fargli vedere tutto meglio, mentre tutti gli altri si alzano in piedi: si sbraccia, urla, poi si gira e mi guarda e lo sguardo pieno d’amore di mio figlio vale qualsiasi cosa, è felice. Mi abbraccia e mi indica il campo dicendomi che lì c’è Messi. E vuole la conferma che sia quello vero. Gli dico di sì, si mette le mani nei capelli incredulo e felice.

Quando tutti cominciano a cantare l’inno del club all’ingresso delle squadre in campo, devo dire che mi emoziono. Quasi centomila persone che urlano il proprio amore per un’entità è qualcosa di difficile da capire, però mi guardo intorno e vedo altri padri con i figli, che si abbracciano e cantano insieme tenendo le sciarpe alte. Vedo fidanzati che cantano abbracciati sotto la stessa bandiera e si baciano tra una pausa e l’altra, invece di riprendere fiato. Giovani e anziani, uomini e donne. Indistintamente. Così prendo Nathan in braccio tenendolo alto per fargli vedere le squadre che entrano in campo e con l’altro braccio avvicino a me Ziva. Tutti e tre insieme, come fanno tutte le famiglie lì, vicine a condividere qualcosa che non capisco, ma non mi importa. Siamo insieme, noi tre, lì, per far felice nostro figlio. E forse è questo che mi emoziona di più, di quella marcetta dal sapore retrò cantata in una lingua sconosciuta.

Alla fine passa gran parte della partita seduto in braccio a me, ed è al primo gol che capita qualcosa che non mi sarei mai aspettato, vedere persone sconosciute che si complimentavano ed abbracciavano tra loro, ed anche il mio vicino con naturalezza mi da una pacca sulla spalla, che ricambio con un sorriso. Nathan vedendo che tutti si abbracciano vuole fare lo stesso, abbracciando prima Ziva e poi di nuovo tornando in braccio a me, ed io approfitto dell’occasione per baciarla di nuovo.

- Festeggio il gol - le dico provocando una sua risata - e spero che ne facciano tanti altri per festeggiare ancora.

Alla fine la partita finì 4-0, Messi fece due gol, Nathan esultò tantissimo, io ebbi l’occasione per dare altri baci a Ziva, facemmo tantissime foto. Al fischio finale aspettammo qualche minuto prima di andarcene. Il mio arzillo vicino ci salutò e prima di andarsene mi disse

- Sai perchè a me piace questo posto? Ogni volta c’è qualcuno che viene da qualche parte del mondo. Ed è lo spirito del nostro club. “Tant se val d'on venim, una bandera ens agermana”
- Cioè? Non capisco il catalano.
Lui ci guarda e sorride.
- Non importa da dove veniamo, una bandiera ci fa fratelli. Tuo figlio sarà un grandissimo Culè!
- Cosa? - Gli chiedo
- Un Culè, i tifosi del Barça si chiamano così. - Ci dice mentre e sale le scale che lo portano all’uscita.

- Andiamo piccolo Culè - Dico a Nathan prendendolo in braccio. Ora che l’adrenalina della giornata sta finendo la stanchezza si prende possesso di lui. Si appoggia sulla mia spalla mentre percorriamo il viale che separa lo stadio dalla strada principale, dove cercheremo un taxi per tornare in hotel. Cingo il fianco di Ziva che si stringe a me, e penso che insieme abbiamo realizzato proprio un bel 10, sotto tutti i punti di vista.

 

-----------------

 

Il dolce caldo di fine aprile della mattina successiva ci convinse ad andare al mare, alla Barceloneta, la spiaggia principale della città. Nathan dopo la fatica della giornata precedente, fu ben felice di farsi portare nel passeggino, mentre noi camminavamo beatamente per raggiungere la spiaggia. Le Ramblas, Port Vell e poi finalmente la Barceloneta una mezz’ora di passeggiata. Facemmo un pezzo di lungomare fino ad arrivare ad una piazza dove i ristoranti nei palazzi circostanti stavano tirando fuori i loro tavolini e proprio da lì entrammo nella spiaggia. Era ormai tarda mattinata, ma la giornata era gradevole ci stendemmo con i nostri teli sulla sabbia, vicino al mare. Non c’era molta gente, amavo il mare fuori stagione, quando potevi goderti la sua bellezza senza essere sopraffatta dalla calca. Questo di Tel Aviv mi mancava, e mancava anche a Nathan, scalzo sulla sabbia si divertiva a scavare con le mani, a correre. Solo l’acqua era troppo fredda per fare il bagno e non fu facile convincerlo a rinunciare.
Stavo seduta a guardare le onde infrangersi contro gli scogli artificiali eretti a protezione della spiaggia, lasciandomi cullare dal rumore del mare. Riempivo i polmoni di quell’aria salmastra e la assimilavo. Sentii le braccia di Tony cingermi la vita e non mi ero nemmeno accorta che si era seduto dietro di me. Mi appoggiai al suo petto e lui mise la testa nell’incavo del mio collo, lasciandomi dei piccoli baci. Io, Tony, Nathan ed il mare. Ci poteva essere qualcosa di più bello per essere felici? No, per me non c’era niente di più bello in quel momento.
Passammo il tempo a parlare di tutto e di niente, tutti quei discorsi futili fatti solo per ridere, passando da un argomento all’altro, venendo di tanto in tanto interrotti solo da Nathan che ci voleva far ammirare le sue opere di sabbia. Mangiammo in uno dei ristorantini direttamente sulla spiaggia facendo a gara a rubare dal piatto gli ultimi calamaretti fritti. Il sapore fruttato della sangria accompagnava i nostri pasti il più delle volte, mentre Nathan si accontentava dei tanti succhi di frutta ai gusti più disparati che si trovavano ovunque, anche se il suo preferito rimaneva ananas e cocco, e Tony sosteneva che il motivo fosse che lui adorava la pina colada, quindi sicuramente questo lo aveva preso da lui.
Andammo poi fino al bagnasciuga, facendo volare Nathan sopra le onde che si infrangevano sotto di lui sulle nostre gambe e le sue risate ci riempivano il cuore. Correvamo poi schizzandoci fino a quando un’onda più grande delle altre ci bagnò per bene. L’acqua era fredda, ma ci stavamo divertendo veramente tanto, come tre bambini, poi ci buttammo sui teli per asciugarci un po’ ancora ridendo per come ci eravamo bagnati.
Non ci eravamo mai sentiti così famiglia come in quei giorni. Vedevo Nathan entusiasta, giocare con me e con Tony che era raggiante di poter rendere felice suo figlio in ogni modo e ogni volta che mi guardava, con il suo grande sorriso ad illuminargli il volto, tutta quella felicità entrava in me e mi completava. 
Non mi ero mai sentita così bene, così libera, così felice di vivere la mia nuova vita, con loro. Capivo che avevo sbagliato tutto, che non era scappando da tutto che avrei trovato la libertà e la tranquillità. La libertà che avevo sempre sognato la stavo trovando adesso nella felicità che per troppo tempo avevo evitato per la paura stessa di essere felice, come se non fossi in grado di gestirla, perchè la paura di perdere tutto questo mi avrebbe fatto impazzire. 
La paura non era scomparsa, c’era sempre nella mia mente, e nei momenti peggiori tornava a bussare. La paura di perdere Tony o Nathan era di quelle che mi toglievano il respiro solo a pensarci. Ma avevo finalmente capito che la paura per troppo tempo aveva condizionato la mia vita e che non vivere per paura di perdere la felicità era come averla già persa.
Il sole stava tramontando, le braccia di Tony ci sorpresero alle spalle e mi avvolsero ancora, destandomi dai miei pensieri ed io ancora una volta mi abbandonai tra di loro. Nathan mi venni incontro per farsi abbracciare a sua volta. Ed eravamo tutti e tre lì, racchiusi in un unico abbraccio, a guardare il sole scomparire nel mare, per salutare una giornata perfetta.

 

-----------------

 

Le Ramblas si erano riempite di bancarelle con libri e fiori. Il giallo e rosso della bandiera catalana adornava ogni cosa, dai balconi ai nastrini che cingevano i gambi delle rose. Quelle vie che fino a poche ore prima erano multietniche e turistiche, quella mattina erano fortemente catalane. Catalane non spagnole e qui faceva una differenza vitale. Lo avevamo già capito nei giorni precedenti, soprattutto allo stadio dove tutto trasudava di catalano.
E se nelle Ramblas era tutto ancora a uso e consumo dei turisti, con le bancarelle di libri in varie lingue straniere, era nelle vie laterali, entrando verso il Raval che si cominciava a sentire l’essenza vera di quella giornata, che i turisti lasciavano il posto ai catalani, con gli uomini che prendevano d’assalto i banchi di fiori e le donne quelli dei libri.
Era il giorno di Sant Jordi, il protettore della Catalunya ed una sorta di festa di San Valentino locale. La tradizione voleva che l’uomo regalasse una rosa alla donna, che ricambiava con un libro.
Nel Raval non c’era niente di particolare da visitare, nessun monumento imperdibile, il bello era vivere quell’atmosfera di città vecchia e vissuta, ancora così autentica. 
Ziva si fermava in ogni piccolo banchetto arrangiato ai bordi della strada, guardava tra i libri e sembrava cercare qualcosa in particolare, ma ogni volta che curioso mi avvicinavo, lei interrompeva la sua ricerca e proseguivamo, fino a quando non mi disse chiaramente di lasciarla cercare in pace perchè voleva rispettare la tradizione.
Non riuscii a nascondere un sorriso entusiasta mentre con Nathan andavamo a prendere delle bandierine catalane. Gli presi anche un braccialetto di raso giallo e rosso che legai facendo più giri al suo piccolo polso. Lo mostrò tutto felice ed orgoglioso alla mamma non appena ci raggiunse.

- Finita la tua ricerca? - Le chiesi visto che non nascondeva un’espressione soddisfatta
- Forse, non lo so… - mi rispose ambigua.

Osservai anche io qualche bancarella di libri, tutti in spagnolo e catalano. Non c’era molto spazio per il turista da quelle parti. Un’anziana signora che sistemava i suoi libri vecchi come se fossero tesori preziosi, cominciò a parlarci in catalano appena ci avvicinammo, forse ingannata dalle bandierine nel passeggino di Nathan. Quando le facemmo capire che parlavamo solo castigliano, riprese il suo discorso nell’altra lingua, molto controvoglia a dir la verità. Ci illustrava le capacità dei libri di comunicare amore e parlare al cuore della gente, perchè i libri parlavano al cuore delle persone come solo i veri innamorati sanno fare. E lei era chiaramente innamorata dei suoi libri e ci fece innamorare anche a noi delle sue parole così coinvolgenti. Era una vera appassionata di quello che faceva, o forse era solo una brava venditrice, fatto stà che alla fine ci lasciammo convincere a prendere due libri, uno per noi ed uno di favole per Nathan. Ed infondo, come disse Ziva, se è la festa dell’amore, era giusto che anche il loro bambino ricevesse un libro in regalo. 

Il fascino di quel quartiere decadente ci fece perdere un po’ la cognizione del tempo e dello spazio, così girovagando tra viicoli e libri ci trovammo ad un’entrata laterale della Bouqeria e se non mi ero orientato male, eravamo non troppo distanti dal nostro hotel. Entrammo nel mercato e fu anche lì come trovarsi dentro un’opera d’arte, con cibo di tutti i tipi disposto con una precisioni maniacale sui banchi, a formare giochi di colori e sfumature incredibili. E non importava con cosa fossero fatti, se con caramelle, frutta, verdura, spezie, frullati, carne, salumi o formaggi. Tutto era incredibilmente colorato, invitante, un tripudio per i sensi. Mangiammo prendendo qualcosa qua e là dai vari banchi, assaggiando un po’ di tutte le cose che ci ispiravano di più. 

La libertà di non aver orari stabiliti, di non dover far nulla era la cosa che ci piaceva di più in quei giorni. Eravamo stati benissimo, era stata una settimana perfetta sotto tutti i punti di vista, la scelta migliore. Ci eravamo rilassati e divertiti sia noi che Nathan, eravamo stati sempre insieme, più di quanto avevamo mai fatto fino ad ora. L’unico problema era che il giorno dopo saremmo dovuti ripartire, ma avevo ancora una sorpresa in serbo per noi, per quella sera.

Passeggiando arrivammo alla fine delle Ramblas, alla statua Colonna di Colombo che con il braccio proteso verso il mare invita chi lo guarda a seguire le sue orme, a spingersi verso l’ignoto e cercare la propria America, anche se questa arriva per caso. Faccio due conti e la cosa singolare è che in realtà, l’America, si trova dall’altra parte, in quella direzione c’è l’Italia, però io mi sento un po’ come Colombo, partito per un viaggio verso l’ignoto e per caso ho trovato la mia America.

Torniamo a sederci per un po’ sugli stessi scalini dove ci eravamo riposati il primo giorno quando siamo arrivati. Questi giorni sono letteralmente volati. Nathan dorme nel passeggino vicino a noi, una rarità, ma evidentemente questi giorni così pieni di novità lo hanno proprio stancato. Ziva gli appoggia sopra la sua giacca, per evitare che prenda freddo con la brezza del mare che qui si sentiva più forte.

- Tu non hai freddo? - Le chiesi mentre stringeva le braccia al petto
- Scaldami tu - La risposta più bella che potessi sentire mentre la avvicinavo a me.
Quel giorno era più silenziosa del solito.
- Cosa c’è che non va, Ziva?
- Mi dispiace andare via.
- Anche a me - le dissi stringendola un po’ di più - Però siamo ancora qui, godiamoceli fino in fondo.

Tornammo in hotel, ci riposammo un po’ e cominciammo tristemente a preparare i bagagli. Il nostro volo sarebbe stato il pomeriggio seguente.

- Ziva, stasera sarà la nostra serata - le dissi avvicinandomi e prendendole le mani, interrompendo quel noioso lavoro di piegare i vestiti. - Solo io e te.
- E Nathan?
- Una babysitter per una serata non sarà un problema credo, no? - Non era molto convinta di lasciarlo con un estraneo. - Per favore… - le chiesi provando a scalfire la sua ritrosia. - Parla sia inglese che ebraico
Vidi lo stupore nei suoi occhi quando le dissi questo piccolo particolare.
- Come hai fatto? Quando lo hai organizzato?
- Prima di partire. Ho contattato il centro ebraico di Barcellona, dicendo se potevano consigliarmi qualcuno che potesse fare da babysitter a mio figlio, visto che la mia futura moglie israeliana è molto apprensiva. Sarà qui tra un’ora, che dici? Ci prepariamo?
Il suo sorriso fu la risposta.

Uscimmo presto rispetto all’orario della cena. Volevo godermi qualche ora a spasso solo con lei. Ziva aveva catechizzato la ragazza che sarebbe stata con Nathan, aveva anche già ordinato al roomservice la cena per entrambi. Nathan sembrava tranquillo di stare con quella giovane ragazza che era molto spigliata e sembrava veramente portata per stare con i bambini. Le ricordò di chiamarci per qualsiasi cosa, poi riucii a portarla fuori dalla nostra camera.
Attraversammo le Ramblas per entrare nel Barrio Gotico. Girammo un po’ tra i negozi fino ad arrivare ad una galleria di arte e souvenir ricreata nel cortile interno di un palazzo. Da bravi turisti comprammo dei piccoli pensieri per i nostri amici e una maglietta per Nathan con disegnato davanti il drago di Park Guell che tanto era piaciuto sia a lui che a Ziva.
Arrivammo alla Cattedrale e le chiesi se aveva voglia di entrare: visitammo quel luogo così mistico dove lo stile gotico della facciata e romanico si fondevano insieme. L’interno era per lo più illuminato dalle tante candele che adornavano le nicchie con le foto dei vari Santi. L’oscurità e la luce di tutte quelle candele mi turbò molto, avvertii forte il senso di spiritualità di quel luogo, vedere quelle tanti luci mi faceva pensare a quante persone erano passate di lì, con una preghiera o una richiesta di grazia. Comprai anche io una candela rossa, la accendemmo insieme lasciandola su una rastrelliera al centro della chiesa. Non avevo abbastanza esperienza per scegliere un Santo piuttosto che un altro. Attraversammo il chiosco ed uscimmo su Carrer del Bisbe, una strada medievale con un romantico ponte neogotico che collegava le due pareti della strada, fino ad arrivare a Plaça se Sant Jaume. Ziva per la serata aveva indossato dei tacchi più alti del solito, anche se non si era vestita elegante: jeans, camicia nera e giacchetto di pelle. Terribilmente sexy. 

Prendemmo un taxi e ci facemmo accompagnare al ristorante che avevo prenotato, a Port Vell, con vista sulle barche ormeggiate. Il posto era carino e piuttosto semplice. Nulla di particolarmente ricercato, volevo una serata tranquilla.
Ci sedemmo sulla terrazza ben presto, mentre consultavamo il menu per ordinare, si avvicinarono due che cantavano vecchie canzoni del posto, accompagnandosi con chitarra e fisarmonica. Era tutto molto turistico, ma anche romantico. Ordinammo la cena, qualcosa di tipico per la nostra ultima cena lì, antipasti di mare misti e paella, per bere la tipica Cava, uno spumante locale.
Mentre Ziva andò in bagno, approfittai per prendere una rosa rossa da uno dei tanti venditori che passavano, in quella serata dedicata agli innamorati ancora più frequenti del solito. Erano confezionate singolarmente, con delle spighe di grano ed un nastro giallorosso a tenerle insieme. La appoggiai vicino al suo tovagliolo, insieme ad un’altra cosa che le avevo preso nel pomeriggio senza che se ne accorgesse, mentre cercava qualcosa da regalare lei ai nostri amici.
Si sedette, osservò la rosa e la scatola.

- Ti dovevo un San Valentino - le dissi. - E voglio essere il cavaliere che uccide tutti i malefici draghi che ti imprigionano.
Aprì la scatola e dentro trovò una piccola riproduzione della Salamandra di Park Guell di ceramica. 
- È una stupidaggine - mi giustificai - però mi sembrava che ti piacesse. Così ti ricorderà di questa settimana qui, insieme.
Sorrise e cercando nella sua borsa tirò fuori un pacchetto incartato con una stoffa rossa e fermato con un nastro giallo. Inusuale e bellissimo. Lo aprii e trovai un libro spagnolo, non sembrava di una grande casa editrice, più qualcosa di autoprodotto, quasi casalingo direi. “El amor es una cosa simple”. Sfogliai qualche pagina ed era una raccolta di poesie e citazioni d’amore in spagnolo.
- Ne troverai sicuramente qualcuna adatta a noi - mi disse
- Tutte quelle più belle - le risposi
Cenammo, passando più tempo a cercare le nostre mani che a mangiare, fino a quando non vidi Ziva cominciare ad innervosirsi senza che ne capissi il motivo, mi sembrava andasse tutto bene.
- Cosa c’è?
Inclinò la testa verso destra ad indicare un tavolo dove non c’erano le solite coppiette che festeggiavano, ma tre ragazze sole.
- Beh? - Le chiesi non capendo il problema.
- La bionda. Non ti toglie gli occhi di dosso. Non ti sei accorto.
- No, guardo solo te. Vuoi farci rovinare la nostra serata da una bionda qualsiasi?
- No, però mi da fastidio.
- Purtroppo non la puoi nè eliminare, nè la possiamo arrestare qui. Che facciamo?
Rise. Adocchiai un venditore di rose, non aveva al contrario degli altri le singole rose confezionate, ma un grande mazzo di rose rosse. Lo chiamai mi chiese quale volevo e la mia risposta lo immobilizzò, pensando che scherzassi. “Tutte”.
Lo pagai presi il mazzo, feci il giro del tavolo e molto platealmente lo porsi a Ziva che stava diventando sempre più rossa, poi prima di tornare a sedermi, la baciai senza badare troppo al fatto che eravamo in pubblico. Sorrideva imbarazzata.
- Beh, mi ha guardato anche adesso la bionda? - Le dissi mentre mi sedevo e mi voltai a lanciare un’occhiata alla ragazza che si girò a parlare con le amiche visibilmente imbarazzata, quindi colpita ed affondata dal mio gesto.

- Tu sei pazzo.
- Lo so. Di te.
- Tony, te l’ho detto che ti amo?
- Sì, ma se me lo ripeti mi fa sempre piacere.
- Ti amo.
- Ti amo anche io.

La nostra serata si era quasi conclusa. Fermai un taxi per tornare verso le Ramblas. Volevo fare un’ultima tappa, in quella piazzetta che avevamo attraversato una mattina nei nostri tanti giri. Plaça Reial, chiusa dai suoi portici mi sembrava il posto migliore, più intimo, per concludere quel viaggio. Ci sedemmo sul bordo della fontana al centro della piazza. Vicino a noi qualche altra coppietta, per lo più di ragazzi molto giovani si scambiava tenere effusioni. Forse a loro sembravamo ridicoli, però io non mi sentivo molto diverso da loro mentre la baciavo illuminati dalla luce dei lampioni disegnati da Gaudì.
- Grazie di questa settimana perfetta - mi disse mentre attraversavamo Carrer de Ferran per tornare verso il nostro hotel. Camminavamo abbracciati nel nostro ultimo scampolo di serata tra i ristoranti e i negozi che stavano chiudendo mentre la strada pian piano si svuotava.

Quando arrivammo in camera Nathan già dormiva da un po’ da quello che ci aveva detto la ragazza. Ziva lo controllò, gli diede un bacio ma lui non si accorse nemmeno.
Osservai malinconico le valige quasi pronte in fondo alla camera. Ziva rientrò nella nostra camera e le guardò conil mio stesso sguardo. Battei la mano sul letto, invitandola a sedersi vicino a me.
Ci ritrovammo a baciarci con passione mentre le mie mani vagavano sotto la sua camicia, così come le sue sotto la mia. I vestiti diventarono presto un’ostacolo del passato. Nel grande letto matrimoniale della nostra camera ci tenevamo sempre più stretti, non smettendo per un attimo di assaporarci a vicenda, non solo le labbra. Non resistevo più dalla voglia di lei e da come si mordeva il labbro inferiore quando mi strusciavo sul suo corpo, sapevo che per lei era la stessa cosa. Allungai un braccio verso il comodino cercando un condom che avevo lasciato lì da prima, ma lei bloccò il mio braccio e lo condusse su di se.

- Non ti va? - Le chiesi deluso alzandomi un po’ da sopra il suo corpo. Pensavo ormai di saper distinguere i segnali che mi mandava.
- Tutto il contrario - mi rispose.
- Ma…
- Zitto Tony, non è il momento di parlare. - La mia bocca si trovò impegnata ad occuparsi di altro, dopo che l’aveva fatta sua. Non parlai più per molto tempo, se non per dirle quanto l’amavo, mentre i nostri corpi diventavano una cosa sola.

 

 

NOTA: Mi rendo conto che questo capitolo è abbastanza lungo rispetto agli altri, ma non volevo tagliare il viaggio a metà. Non so se è troppo “Barcelonista” e poco family, ma ho cercato di metterci tutto quello che amo di questa città ed un po’ della mia esperienza culè (sono socia del club da 8 anni), visto che metà del tempo lo passo al Camp Nou quando sono là (e sì, sono io anche quella che saccheggia la Botiga comprando di tutto, sarei la complice perfetta di Nathan). Ovviamente lo stadio è un regalo a Nathan mentre la festa di Sant Jordi è un po’ una compensazione per il San Valentino ignorato. 
Volevo mettere un viaggio e fare qualcosa di diverso dalla solita Parigi letta in molte FF o di Berlino, qualcosa che fosse solo di loro tre, come famiglia, senza ricordi del passato.
Spero di avervi trasmesso un po’ del mio amore per questa città se non la conoscete e se invece ci siete stati che siate riusciti a ritrovarla nelle mie descrizioni. 

Forse l’aggiornamento sul prossimo capitolo sarà un po’ meno rapido del normale, devo revisionare le ultime cose, preparandoci al finale. Spero abbiate pazienza ed intanto godetevi la vacanza catalana e fatemi sapere se vi è piaciuta.

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Whisper ***


… I'm frightened by what I see 
But somehow I know 
That there's much more to come 
Immobilized by my fear t…

 

Abby salì dal laboratorio. Era una cosa inusuale, quindi ci voltammo tutti a guardarla stupiti. Doveva avere una motivazione seria.
- Che c’è Abby? - Chiese Gibbs togliendosi gli occhiali e sollevando lo sguardo dalle scartoffie che stava leggendo
- Mi ha chiamato Stevy. In laboratorio da lui stanno lavorando su uno scheletro che hanno ritrovato in una discarica questa notte. Lo hanno identificato, è quello del Sergente Dale Brooks
- Ne sono sicuri? - Gibbs era sempre malfidato
- Stevy mi ha detto che il suo capo non ha dubbi che si tratti di lui.
- Bene, ce le mandino allora, così capiremo la causa.
- Ehm… Gibbs, mi hanno già mandato una copia del referto fatto da loro sulle cause della morte è qui… - Gli allungò un corposo fascicolo con foto e descrizioni dettagliate. Gibbs lo sfogliò velocemente, a lui tutti quei termini tecnici e quelle lungaggini non piacevano, voleva sapere la causa e la voleva sapere subito, però non poté non apprezzare l’accurato lavoro, placando i suoi dubbi sulla validità del riconoscimento.
- Quindi Abby? Prima che prendo una laurea anche io in antropologia e decripto questo coso, quale è la causa della morte?
- La stessa di Wesley Venters. È stato ucciso nello stesso modo. E dallo stato dello scheletro quando è stato trovato, anche la data della morte di Venters è compatibile con quella di Brooks, quindi il giorno che è scomparso.
- Bel lavoro Abby, ringrazia Stevy ed i suoi colleghi.

- Quindi - intervengo - Brooks e Venters sono stati uccisi dalla stessa persona che evidentemente non è Brooks.
- Evidentemente, Di Nozzo, è così. - Disse Gibbs rimarcando la mia ovvia considerazione
- E allora chi li ha uccisi? - Chiesi più a me stesso, lasciando un pensiero ad alta voce uscire fuori.
- Pensaci Di Nozzo, chi è che uccide così? Chi è che ha usato come marionette questi Marines portandoci ad indagare fino a casa di Roy Dunn per cerare Dale Brooks?
- Mossad. Sempre loro… - sospirai
- Già… Sempre loro.
- Quindi Gibbs? Dove li cerchiamo adesso? 
- Non li cerchiamo Tony.
- Cosa Gibbs? Lasciamo un omicida di due Marines libero?
- Non abbiamo il minimo appiglio per accusare nessuno. Non ci sono prove, non c’è niente.
- C’è Dunn. Dobbiamo fargli dire chi era che gli dava appoggio.
- Non ce lo dirà mai Tony, è andato in carcere senza patteggiare pur di non dirlo a nessuno.
- È assurdo Gibbs. Assurdo. - Sbottai
- Non si può avere tutto Tony. E a questo giro dobbiamo fermarci qui.

Mi alzai e me ne andai, infastidito, fino alla macchinetta del caffè. Sentii i passi di Gibbs che mi seguiva. Senza voltarmi cominciai a parlare, cercando di stare più calmo possibile.

- Perchè ci dobbiamo fermare? Tu non ti sei mai fermato davanti al Mossad, non hai avuto paura a sfidare nemmeno Eli David. Ora perchè dobbiamo farlo?
- Perchè è la cosa giusta.
- Per chi Gibbs? Quello che è lì fuori è responsabile di quanto accaduto a Ziva, non possiamo lasciarlo libero. - Mi voltai verso di lui senza nemmeno ordinare il caffè.
- Per Ziva, per tuo figlio e per te.
- Tu sai chi è vero?
- Tony, questa storia finisce qui. 
- Hai fatto un accordo con Orli Elbaz quando è venuta qua Gibbs?
- Io non ho fatto nessun accordo con nessuno.
- E allora perchè Gibbs? Non capisco.
- Adesso è più sicuro così. Adesso. So che tu vuoi giustizia o vendetta per quanto accaduto. Ma ora rischieresti solo di mettere in pericolo le persone che ami. Vale la pena? Pensaci.
- Non è da te Gibbs, non è da te.
- Fidati di me Tony. Non ti chiedo altro.

Mi lasciò solo davanti a quelle macchinette. Mi chiedeva di fidarmi di lui, lo avevo sempre fatto ma ora era difficile. Perchè sapevo che c’era qualcosa sotto che riguardava Ziva, il Mossad, forse anche mio figlio e nessuno me ne voleva parlare. Avevamo detto basta con i segreti ed invece qualcosa dal suo passato tornava sempre. Non ce ne saremmo mai liberati.

 

— —— —— 

 

Spingevo Nathan sull’altalena, ogni volta che la parabola toccava il punto più alto lui rideva e guardava verso l’alto, verso il cielo azzurro di inizio maggio. Era una bellissima giornata a Washington quelle di fine primavera con il sole che comincia a scaldare la pelle e fare il pieno di vitamina D. Nathan come sempre voleva essere spinto sempre più in alto ed il vento prodotto dall’oscillare dell’altalena scompigliava i suoi capelli. Vederlo felice non mi bastava mai e mi dava un senso di benessere assoluto. Mentre ripetevo quel gesto di spingerlo meccanicamente e non riuscivo a staccare gli occhi da lui, la mia mente vagava, libera. Tra un mese mi sarei sposata e mi sembrava irreale. Se otto mesi fa, mentre eravamo nel nostro parco preferito a Tel Aviv, qualcuno mi avesse detto dove sarei stata oggi, lo avrei preso per matto. Era cambiato tutto in così poco tempo. In meno di un anno mi sembrava di aver vissuto una vita intera. Poi ripensandoci, in realtà, avevo solo ripreso i miei ritmi di prima del mio ritiro auto imposto. Io avevo sempre vissuto così, al limite, solo che adesso avevo molto di più a rendere la mia vita completa, a non obbligarmi a spingere sempre sull’acceleratore, che mi aveva insegnato ad amare anche i momenti di pausa, di un pomeriggio al mare seduti sulla sabbia senza fare nulla, tra le braccia della persona che amavo, di un pomeriggio a giocare al parco con mio figlio, senza rinunciare però a quello che ero, perchè avevo capito che non dovevo rinunciare ad una parte di me per essere felice. Potevo essere tutte e due le cose, dovevo solo trovare l’equilibrio per farle convivere.
Un bagliore tra gli alberi mi destò dai miei pensieri e mi mise in allerta. Stoppai immediatamente l’altalena di Nathan che mi guardò deluso e perplesso. Mi guardai intorno. Pensai che ero paranoica. Sorrisi a mio figlio e ripresi a spingerlo, cercando, però istintivamente la pistola, ma quando stavo con Nathan non portavo mai la pistola. Questa era uno dei più grandi cambiamenti che avevo fatto nella mia vita.
Prima che Nathan nascesse avevo praticamente vissuto sempre in simbiosi con le armi. Non uscivo mai senza, nemmeno per andare a fare la spesa. Pistole e coltelli erano i miei compagni inseparabili. Poi con il ritorno in Israele, la voglia di cambiare vita e contemporaneamente la scoperta di essere incinta era improvvisamente cambiato tutto. Cominciai a pensare alle conseguenze di avere un’arma in giro per casa con un bambino piccolo ed al fatto che non volevo che lui crescesse in un ambiente dove vedere armi e maneggiarle era nomale, come era capitato a me. Misi via tutto. Nathan non doveva conoscere nulla del mio mondo di violenza.

- Adesso prendi tuo figlio e mi segui. - Il freddo della canna della pistola passò attraverso la mia maglietta fino ad arrivare alla schiena. Stavo già pensando come disarmarlo. - So che se vuoi mi puoi disarmare facilmente, ma qualcuno dall’altra parte del parco, sta guardando tuo figlio molto da vicino, capisci cosa intendo? Non fare mosse azzardate, Ziva David.

Maledissi me stessa in quel momento. Devo sempre dare ascolto ai miei istinti. Quel bagliore era proprio quello che mi era sembrato, era il luccichio di un mirino. 

- Non fargli del male - volevo mantenere la voce ferma, la mia voce uscì più come una supplica.
- Non sei nella posizione per dire cosa fare. Forza, prendilo.

Fermai l’altalena, presi Nathan e lo strinsi forte a me, rendendomi conto che stavo tremando.

- Mamma voglio rimanere ancora un po’!
- Piccolo, ora dobbiamo andare - gli diedi un bacio sulla fronte, sperando che non facesse troppi capricci.

L’uomo si mise al mio fianco, mi cinse la vita, tenendo la pistola premuta sul mio fianco. Indirizzava i miei passi.

- Mamma chi è lui?
- Sono un amico. - Rispose lui gelido a Nathan e poi mi sussurrò - Trova il modo di farlo stare zitto.
- È un bambino.
- Potrebbe rimanere tale. Ricordati sempre che i miei amici seguono le tue mosse. E’ un attimo, intesi?

Quell’uomo di ghiaccio mi terrorizzava. Non era una fermezza militare, era diverso. Sembrava quasi alienato dal mondo.
Parlavo piano all’orecchio di Nathan, dicendogli di stare calmo e di non fare domande, mi resi ben presto conto, però, dal suo sguardo, che lo stavo solo terrorizzando. Non ero in grado di gestire la paura con mio figlio e mi stavo facendo prendere dal panico facendo tutto il contrario di quello che avrei dovuto.

Arrivammo ad una macchina, ferma già in moto, davanti all’uscita del parco.

- Dammi il tuo cellulare - mi disse l’uomo.

Non pensai nemmeno per un attimo a fare il contrario, glielo porsi e lui lo gettò via in un aiuola. Ci invitò a salire, dietro, con lui. Rivolsi Nathan con lo sguardo verso il finestrino, meglio che guardava fuori il mondo muoversi, che quello che accadeva nell’abitacolo. Lo accarezzavo, cercavo di infondergli tranquillità, ma in realtà cercavo di tranquillizzarmi io. Chiusi un attimo gli occhi cercando di riacquistare sangue freddo. Era la prima volta che mi trovavo realmente in pericolo insieme a lui. Ero in un territorio sconosciuto: ero nel mio terreno di caccia naturale, ero stata addestrata per anni per situazioni del genere, le avevo vissute, anche di peggiori. Però non era quella parte di me che si trovava lì, non c’era l’agente David, c’era solo la mamma di Nathan, che non sapeva cosa fare.
Non chiesi niente. Non c’erano molte domande da fare che mi potessero servire a qualcosa, perchè non potevo fare nulla. Non con Nathan con me. Dovevo solo sperare che in qualche modo Tony, Gibbs e gli altri potessero trovarmi, ovunque mi stessero portando, magari riuscendo a capire chi possano essere. Io per ora avevo solo capito chi non erano. Non erano militari, non erano del Mossad e erano israeliani.
Da come l’uomo mi parlava ci doveva essere qualcosa di personale. Ancora non lo avevo nemmeno guardato negli occhi, non volevo stabilire un contatto con lui, non ora, non fino a quando non rientravo in possesso della parte più razionale di me. Mi misi a guardare anche io fuori dal finestrino. La strada la conoscevo, era la stessa che avevo fatto prima. Era la strada per casa nostra. 

Accostò vicino al portone e da una macchina subito dietro di noi uscì un uomo.

- Non fare una mossa sbagliata - mi disse quello che era seduto al mio fianco. - Ora esci e andiamo verso l’ascensore. Lentamente.

Feci come voleva lui. Mi seguì e con lui anche il nostro autista, mentre l’altro uomo, quello che era uscito dalla macchina dietro, se ne andò con l’auto con la quale eravamo venuti noi.
Nell’angusto spazio dell’ascensore Nathan riprese la sua vivacità di bambino, contento a quel punto che poteva andare a casa a giocare.

- Mamma posso vedere la tv? 
- Adesso vediamo.
- Giochi con me?
- Non so se posso Nathan, ci sono i nostri amici.
- Dai solo un pochino. - Mi pregava con la voce un po’ lagnosa come solo i bambini quando vogliono qualcosa sanno fare.
- Bambino, fai silenzio. La mamma deve parlare di cose importanti con noi adesso.

Nathan stava per rispondere, gli passai la mano sulla bocca per fare silenzio, gli diedi un bacio e gli sussurrai di non fare i capricci e poi avremmo giocato tantissimo insieme, promesso. Gli stavo promettendo qualcosa che non sapevo se potevo mantenere. 
Entrammo in casa e l’uomo che ci accompagnava mi prese letteralmente Nathan dalle braccia, cogliendomi di sorpresa. Mio figlio protestò e cominciò a piagnucolare. Quello però non se ne curò e gli disse che ora avrebbero giocato insieme. Ero terrorizzata. Come se fosse sempre stato in casa nostre, si diresse verso la camera di Nathan e chiuse la porta.
Mi girai e per la prima volta guardai in faccia chi mi aveva portato lì. Era un uomo sulla quarantina, bell’aspetto, curato, vestito elegante, ricercato. Aveva un’abbigliamento che assomigliava molto a quello di Tony. Si accorse che lo stavo esaminando.

- Io ed il tuo futuro marito abbiamo gusti simili in fatto di abbigliamento. - Conosceva me, Tony, la nostra casa. Indicò il divano - Siediti lì e non ti muovere. - Andò verso la libreria, aprì la scatola dove tenevamo le armi: prese le mie pistole ed il coltello. Si muoveva in casa nostra con una naturalezza che mi spaventava.
- Non fare del male a Nathan, è solo un bambino.
- Non è un bambino, è tuo figlio, ma tranquilla, per ora non gli farò niente. E’ di là che gioca.
- Come faccio a fidarmi?
- Fallo e basta, non hai molta scelta.
- Chi sei? Che vuoi da noi?
- Sono una persona che sta aspettando questo momento da 14 anni.
- Sei uno paziente.
- Ho imparato ad esserlo. Tutto questo è solo servito a farmi crescere la voglia di vendicarmi su di te.
- Perchè mi hai portato qui, a casa mia, vuoi uccidermi? Potevi farlo ovunque.
- Non voglio ucciderti, no, credo che non lo farò. Farò di peggio. Ed aspetto che ci siano tutti, manca ancora una persona…


— —— —— 

 

- Oh merda Tony! - Tim non usava mai certe espressioni, mi voltai verso di lui in apprensione
- Che c'è McGee!
- Ti ricordi la sera che siamo usciti con Delilah quando Ziva ha raccontato della prima volta che è andata a Dubai per lavoro?
- No… Sì… McGee… Boh, non lo so, è importante? - Chiedevo concitato
- Leggi qua...  - Girò il monitor del computer per facilitarmi la lettura di un vecchio articolo di giornale

Blitz, presumibilmente, del Mossad a Dubai. Eliminata da un commando di due persone, un uomo ed una donna, una spia iraniana di base negli Stati Uniti collegata a cellule terroristiche internazionali. La ragazza si trovava nella città del golfo in uno dei più importanti hotel sul Creek con il fidanzato, il figlio del magnate Benjamin Sandler, Jordan. Non si sa nulla dei due componenti del commando che hanno portato a termine la missione. C’è solo una ripresa in ascensore ma non si vedono i volti. Non si esclude che fuori a coordinare l’operazione ci possano essere state anche altre persone e dalla modalità di esecuzione tutte le ipotesi portano ad un’azione del Mossad

- Era Ziva, vero? - affermai
- Sì, Tony, credo proprio si tratti di lei, ma c’è dell’altro. Michelle e Jordan sono stati rilasciati la settimana scorsa, quando voi eravate fuori.

Provai a chiamare Ziva, il suo cellulare squillava a vuoto, nessuna risposta. Immediatamente provai a fare il numero di casa e la riposta fu sempre la stessa: nessuna.

- Ziva non risponde al cellulare e nemmeno a casa. Io devo andare. Subito. - Dissi mentre mi infilavo la giacca 
- Tony aspetta veniamo anche noi! - Elli e Tim stavano prendendo le loro cose.
- No Ellie non posso aspettare - dissi mentre ero già in ascensore e come ultima cosa sentii Tim urlare di chiamare Gibbs.

 

— —— —— 

 

Su quel divano cercavo di coprirmi con la maglia strappata. Jordan. Jordan Sandler. Il fratello di Michelle. Ci aveva raggiunto anche un altro suo scagnozzo. Non parlavano, eseguivano solo gli ordini. Il telefono di casa squillò, ma Jordan dopo qualche squillo staccò la presa e lo buttò via.

- Ti ricordi Ziva David cosa è successo a Dubai 14 anni fa? Ti ricordi quell'hotel sul Creek? Ti ricordi? Io sì. Io mi ricordo cosa ho trovato quando sono rientrato in camera. Mi ricordo di lei sul letto che era diventato rosso del suo sangue. Mi ricordo di lei con gli occhi aperti e la bocca contorta. La sua immagine la vedo ogni volta che chiudo gli occhi da 14 anni. Te la ricordi o era una delle tante? Te la ricordi Hasti? 
- Mi ricordo
- Lo hai fatto tu o lo hai fatto fare a qualcun altro? 
- Portavo sempre a termine le mie missioni. Non avevo bisogno di delegare. Come hai saputo che ero stata io?
- A tuo padre piaceva vantarsi con il mio di quanto fosse letale la figlia in missione. Lui veniva a cena da noi quando era qui a Washington e con mio padre si scambiavano le lodi sulle rispettive figlie: il mio di come Michelle stava diventando un ottimo avvocato a cui avrebbe lasciato il suo posto alla Emmanuel & Partners e tuo padre di come tu diventavi ogni giorno sempre più spietata e determinata, un killer perfetto in ogni missione. Tra i suoi tanti aneddoti una sera parlò anche di quello che avevi fatto a Dubai… Sai tuo padre per essere il direttore del Mossad, quando era tra amici e beveva un goccio più del normale, si sbottonava molto, soprattutto su di te.
- Lei era un pericolo per tante persone
- Lei era la mia donna! Io l'amavo e tu me l'hai uccisa! Era solo una ragazza! - Mi urlava contro 
- Anche io ero una ragazza.
- No! Tu eri un killer.
- Lo era anche lei, non ti ha mostrato il suo curriculum?
- Taci Ziva!
- Sentire la verità ti fa male? Io ero un killer è vero. Ne ho ucciso un altro, anche se te lo portavi a letto. Ma forse era lei che si portava a letto te, conoscendola.
- Devi stare zitta. Non devi parlare di lei! Io da allora penso solo a come fartela pagare ed ora mia sorella mi ha servito questa occasione su un piatto d'argento. Vedi il destino com'è strano a volte? Se non era per il tuo Tony non ci saremmo ritrovati... Io ora ti ripagherò con la stessa moneta.
- Lascia stare Tony, tu ce l'hai con me, non con lui.
- Sì, non ti preoccupare io lascerò stare Tony. All'inizio avevo pensato di ucciderlo anche per fare un favore a Michelle, ma poi ho pensato che c'era di meglio... Che poi arriverai tu pregarmi di ucciderti... Perché tu mi hai portato via quello che io amavo di più ed io farò lo stesso con te... E mio Dio Ziva! Cosa c'è che ami di più di tuo figlio?
- Nathan non c'entra niente, è un bambino.
- Non è un bambino. È tuo figlio

Non potevo fare nulla. Ora erano in due a tenermi sotto tiro. Jordan si sedette, mi osservava e non parlava, ma sorrideva. Si compiaceva nel suo sadismo a vedere ora il mio volto pieno di paura e non prima. Il sorriso si tramutò in ghigno, sapevo a cosa stava pensando e non mi importava. Tutti i miei pensieri erano per Nathan. Jordan era un sadico, un perverso, uno che provava eccitazione nel veder soffrire le persone. Gli piaceva il dolore fisico e quello psicologico. 
Si muovevano evitando accuratamente ogni di passare davanti alle finestre, sapevano che il capo della nostra squadra era un cecchino e questo per loro poteva essere pericoloso. Sicuramente avevano studiato la nostra casa quando mi pedinavano, sarà stato Raphael a dirgli tutto, minuzioso come sempre per ogni dettaglio. Ma questa non era opera sua. Lui non agisce così e soprattutto ora non avrebbe motivo di farlo, se ancora collabora con il Mossad. Raphael per quanto possa odiare Tony per aver ucciso suo fratello non si vendicherebbe mai su un bambino, ne ero quasi sicura.

Fece un cenno al suo compare. Questo si alzò e poco dopo tornarono entrambi i suoi scagnozzi con Nathan.
Appena mi vide si protese per venire da me, ma fu Jordan a prenderlo in braccio ed ora ad appoggiarsi proprio davanti alla finestra.
- Chissà se sul tetto di là c’è già il tuo capo che ci vede. Salutiamo Gibbs?
Nathan non capiva cosa succedeva
- Io non lo vedo Gibbs! - obiettò
- Oh ma lui è lontano, però vede noi. Fai ciao con la manina!

La sua voce finta gentile era peggio di quella asettica. Nathan ignaro salutava fuori dalla finestra. Pensai mentalmente a quanto tempo era passato dalla telefonata a quel momento. Troppo poco perchè qualcuno potesse essere veramente appostato su qualche tetto nelle vicinanze, ma lui lo sapeva, voleva solo farmi capire che conosceva tutto di noi.
Jordan controllò l’orologio, come se avesse sentito il mio flusso di pensieri.

- Sì, credo poco che tra poco arriveranno.
Andò verso la porta, la chiuse con varie mandate lasciando la chiave nella serratura, così che da fuori non si potesse aprire, poi tornò ad appoggiarsi alla finestra con Nathan in braccio, in segno di sfida.

- Jordan, lascialo andare. Hai me, fai quello che vuoi.
- Io faccio quello che voglio a prescindere e no, non lo lascerò andare. Il mio divertimento è appena cominciato. Mi piace guardarti, vederti così disperata… E ancora è niente…

Sentimmo dei rumori alla porta.
- Ziva! Sei lì? - Era la voce di Tony che urlava da fuori. Jordan si avvicinò alla porta e cominciò a parlare molto tranquillamente.
- Anthony, siamo tutti qua dentro. Io, Ziva, tuo figlio… Se non vuoi che lo uccida subito, allontanati, vai fuori. Ci vedremo tra poco.
- Jordan, toccali solo con un dito ed io ti uccido.
- Già fatto, Tony, già fatto… Però per ora stanno bene, per ora…
- Papà! - Nathan chiamò il padre sentendo la sua voce da fuori la porta.
- Ehy piccolo, papà ora non può venire ma ci vediamo presto, ok? Tu fai il bravo e fai tutto quello che ti dice la mamma, ok? 
- Vieni dopo a giocare con me?
- Certo ometto, certo. - Ora la voce di Tony era rotta dall’emozione
- Basta così - li interruppe Jordan - Ci vediamo dopo, Anthony… Fai il bravo, mi raccomando.

Andò a sedersi su uno degli sgabelli della cucina, sempre con Nathan in braccio, voltato verso di me. Mio figlio era fin troppo tranquillo, percepiva la paura, ne ero certa. Quando mi guardava provavo a sorridergli, per cercare di farlo stare sereno il più possibile, non sapevo quanto potevo riuscirci.
Jordan prese dalla tasca il mio coltello, lo tolse dal fodero e ne guardava la lama e la punta, facendolo roteare tra le mani. Ne saggiò il filo facendoci scorrere un dito e quando si punse una stilla di sangue lo macchiò. Era soddisfatto.

- Una bella lama - mi disse ma non gli risposi. Non era un pugnale da sopravvivenza, di quelli tutto fare, era per uccidere, con la doppia lama e la punta acuta, non era la resistenza la sua caratterista principale, ma il l’affilatura, come quella di un bisturi. L’avevo fatta personalmente, appena rientrata all’NCIS.
Avvicinò la punta al volto di Nathan. Non fece altro stava fermo. Io ero pietrificata e speravo che Nathan rimanesse immobile. Quando allontanò il pugnale tornai a respirare e lui a ridere.
- Paura eh… Non puoi sapere quanto mi piace vederti così, terrorizzata. Senza sapere mai quando farò la mossa decisiva, quando i tuoi incubi saranno realtà. Potrebbe essere ora, o chissà… E tu nel frattempo puoi solo avere paura. Paura e speranza. E più speri più hai paura. - Rise ancora il sadico.
Smisi di pregarlo di non fargli nulla. Non sarebbe servito. Lui voleva quello.
- Mamma ho fame! - Nathan ruppe quel silenzio.
- Jordan, fagli mangiare qualcosa, starà buono così. - Gli dissi ferma. - C’è del gelato in frigo.
- Sì gelato!  - Disse mio figlio entusiasta.
Jordan fece un cenno ad uno dei due uomini che frugò tra le nostre provviste fino a trovare la vaschetta. Prese un cucchiaio e non si curò del dargliela tutta. Avrei voluto dirgli non mangiarla tutta, ma non gli dissi nulla. Era felice con il suo gelato, era inconsapevolmente felice e mi bastò quello.
Poi Jordan fece una cosa che mi lasciò interdetta, prese Nathan e me lo portò. Prima che potesse ripensarci strinsi mio figlio che continuava a mangiare. Lo respirai e mi sembrò di respirare per la prima volta dopo tanto tempo. Lui era tranquillo adesso e questo mi diede coraggio.

- Siete proprio un bel quadretto eh… Peccato dovervi separare presto. - Jordan non smetteva un attimo con le sue provocazioni.

Nathan sembrò sazio di gelato, mi diede la vaschetta che appoggiai a terra, gli pulii la bocca con il bordo della mia camicia, lo strinsi a me più che potevo con la paura che ogni istante potesse essere l’ultima volta che potevo farlo. Non sapevo cosa stava accadendo fuori, quello che Tony e gli altri volevano fare, se sapevano quello che stava capitando a noi qua dentro. L’unica cosa che sapevo era che noi eravamo nelle mani di un sadico, non addestrato ma meticoloso.

 

— —— —— 

 

Ero rimasto dietro la porta, accasciato dietro la porta, cercando di sentire cosa accadeva dentro. Terrore e rabbia lottavano dentro di me come due demoni, divorandomi. Sentivo la voce di quel sadico torturare anche solo a parole Ziva e quello che diceva mi faceva gelare il sangue.
Un’ombra sul corridoio mi fece alzare lo sguardo. Una mano tesa mi invitava ad alzarmi. Gibbs era già arrivato.
Presi la sua mano e mi fece cenno di seguirlo fino a quando non uscimmo dal palazzo. Mi sedetti sulle scale del portone, presi la testa tra le mani e lasciai che la tensione si sfogasse in un pianto nervoso, senza lacrime.
Non mi resi nemmeno conto del trambusto intorno a me, né di Gibbs che contrariamente al suo solito aveva passato gran parte del tempo al telefono. 
- Agente Gibbs, i nostri uomini si sono posizionati sui tetti in questi punti - Un uomo della SWAT mostrava al mio capo una cartina dell’isolato, indicando sulla mappa la posizione dei cecchini. - Due squadre sono pronte per fare irruzione appena è necessario.
- Bene. - Asserì Gibbs
- No! - Urlai io alzandomi. - Così li farete uccidere.
- Tony, stai calmo. Non lo faremo fino a quando non sarà necessario. - Gibbs mi mise una mano sul petto per evitare che aggredissi senza motivo l’altro agente.
C’erano anche McGee e Bishop che mi guardavano dall’altra parte della strada, poi Tim si avvicinò a noi
- Capo, dall’ultima posizione del GPS dell’auto di Ziva, ho ricostruito il percorso che hanno fatto ed ho seguito le varie telecamere di sicurezza lungo la strada che hanno fatto dal parco fino a qui. In un’auto c’erano due uomini, di cui uno Sandler, con Ziva e Nathan. In una seconda auto c’era un’altro uomo. Inizialmente solo in due sono andati a casa, poi è arrivato anche il terzo. Ho controllato il video delle telecamere di questo palazzo e di quelli intorno fino a quando non siamo arrivati noi e non ci sono stati altri ingressi sospetti. Ho mandato i volti ad Abby per un riconoscimento degli altri due rapitori.
- Ben fatto McGee.
- Se sono solo in tre, non sono molti - disse l’agente della SWAT che era evidentemente più propenso all’azione.
- Non metto a rischio la vita di un bambino solo perché sono in numero inferiore a noi - Gibbs smorzò ogni proposito dell’uomo.

Una berlina nera si fermò fuori dal perimetro bloccato dalle squadre speciali. Si abbassò il finestrino e immediatamente la fecero passare, andando a parcheggiarsi vicino a dove si trovava Bishop. Le quattro porte si aprirono quasi contemporaneamente. Il primo a scendere fu il direttore Vance, seguito da Michelle, Benjamin e Ruth Sandler, i genitori di Jordan.
Evitai di incrociare il mio sguardo con quello di Michelle. Dopo i nostri ultimi incontri non penso che potevamo parlare nè civilmente nè in nessun altro modo. Credevo, anzi, che fosse felice di vedermi in quello stato, anche se non l’avrebbe mai detto, dopo quello che aveva fatto non mi sarei più stupito di nulla.
I genitori li conoscevo bene. In quei mesi in cui siamo stati insieme ho frequentato spesso la loro casa, in occasioni ufficiali o meno. Si erano sempre comportati in maniera gentile con me, distaccato e formale, forse, ma sempre con estrema cortesia.
Li salutai con solo un cenno della testa, mentre con Vance si avvicinarono a noi. Vance volle subito essere aggiornato da Gibbs sulla situazione, il Benjamin Sandler ascoltava attento e preoccupato della situazione del figlio, Ruth si avvicinò a me e a mi colse di sorpresa quando mi prese una mano e mi guardò dritto negli occhi.

- Mi dispiace Tony. Per tutto. - La sua voce era quasi un sussurro, ben lontana da quella della donna risoluta ed altera che era di solito. Nel suo elegante tailleur a fiori, impeccabile nel trucco e nell’acconciatura, era la stessa di sempre, ma gli occhi erano velati di tristezza, quasi si sentisse in colpa per quello che i suoi figli avessero fatto negli ultimi mesi.
- Non è colpa sua Ruth - Misi l’altra mia mano sopra la sua. - Spero solo che si risolva tutto nel migliore dei modi per tutti. Ma dobbiamo convincere Jordan a lasciarli andare. Nathan non ha nemmeno tre anni, non può pagare per le colpe mie e di sua madre.
Ma non credevo che amarci fosse una colpa, nè che fosse una colpa quello che Ziva aveva fatto con il Mossad, questo però lo tenni per me.

 

NOTE: Non avrei voluto lasciarvi in sospeso con quello che accade, ma sarebbe stato veramente troppo lungo tutto insieme. Quindi perdonatemi lo “hiatus” e tra un paio di giorni avrete la conclusione di questo spiacevole evento.
Vi avevo avvisato che qualcuno sarebbe tornato dai capitoli passati!

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** No Hero ***


… I cannot run a bullet
Cause i’m no hero
But I would spill my blood for you
If you need me to   …

 

- Io in tutta questa vicenda non riesco a capire una cosa - sbottai parlando a tutti e a nessuno, perché mi sembrava che nessuno mi stesse ascoltando in quel momento. - Come può un civile essere a conoscenza di una missione in incognito del Mossad e chi ne prese parte?
- Lo ha saputo da Eli David. - La voce e le parole di Benjamin attirarono l’attenzione di tutti, specialmente di Gibbs e Vance
- Come sarebbe da dire che lo ha saputo da Eli David? Il direttore non era certo la persona che si metteva a rivelare dettagli delle missioni della sua agenzia - Chiese Vance evidentemente turbato dalla cosa
- Innanzi tutto all’epoca non era ancora direttore. No, non rilevava dettagli delle missioni, ma gli piaceva molto in quel periodo elogiare il suo lavoro fatto con la figlia, fino a farla diventare uno dei migliori elementi a cui affidare le missioni più delicate. 
- Conosceva Eli David? - Lo stupore di Vance aumentava
- Sì, eravamo buoni amici. Ogni volta che veniva a Washington, compatibilmente con i suoi impegni, ci vedevamo. Veniva da noi, cenava in famiglia. I nostri rapporti con Israele sono sempre stati molto stretti, mi capisce, vero?
- Certo… capisco. Mi sembra strano, però, che Eli David non sapesse del rapporto tra suo figlio e la spia iraniana - Il direttore era visibilmente nervoso, io invece senza parole.
- Lui lo sapeva, ero stato io stesso a dirglielo, a dargli tutte le informazioni su dove si trovasse mio figlio con quella donna. Certo non sapevo che avrebbe mandato sua figlia a fare quella missione, Jared deve aver sentito una conversazione privata tra me e David, probabilmente quando venne a ringraziarmi per le informazioni determinanti per il buon esito della missione: fui io a chiedergli di eliminarla, stava rovinando il mio ragazzo! 
- Direi che c’è riuscita bene - mi lasciai sfuggire catturandomi uno sguardo di disprezzo da Benjamin Sandler
- La vita è strana, vero Anthony? Tu entri a far parte della nostra famiglia, ti accogliamo tra noi siamo felici della tua relazione con Michelle, sembri un tipo apposto nei modi e per come ti presenti. Un agente dell’NCIS, una persona affidabile. Poi sparisci, senza dire nulla, lasci nostra figlia nello sconforto e quanto rientri ti presenti con un’altra donna, che è la figlia di un mio caro amico che purtroppo non c’è più. Per colpa tua entrambi i miei figli vanno in prigione e la loro vita è rovinata. Cosa dovrei pensare io adesso di te?
- Non lo so signor Sandler, ma vediamo, io cosa dovrei pensare di chi ha contribuito a mandare la mia donna in ospedale, che l’ha fatta picchiare fino a farla abortire, che ora l’ha rapita e la tiene in ostaggio insieme a mio figlio di tre anni? Me lo dice lei cosa dovrei pensare dei suoi figli io adesso?
- Pensa che quello che è successo è una conseguenza delle tue azioni e del tuo comportamento.
- No, signor Sandler. È una conseguenza delle sue azioni - intervenne Gibbs - E’ stato lei determinante per l’omicidio delle fidanzata di suo figlio. Ziva è stata solo l’esecutrice, lei il mandante. E niente può giustificare quello che i suoi figli hanno fatto ed il solo fatto che lei lo possa pensare mi fa capire perchè sono così.
Michelle se ne andò via di corsa e Ruth scoppiò a piangere. Benjamin invece rimase impassibile, davanti a Gibbs, guardandolo negli occhi con aria di sfida. Il mio capo non si sottrasse a quello sguardo, nè indietreggiò, fino a quando non fu Sandler ad abbassare il suo.
- Ed ora mi scusi, signor Sandler - aggiunse Gibbs - devo pensare a come salvare una donna ed un bambino da un sadico psicopatico

 

———————

 

Era quasi sera. Continuavamo a rimanere lì, tra le minacce più assurde e Jared che sembrava divertirsi di quello. Nathan cominciava ad essere sempre più nervoso e tenerlo tranquillo era un vero problema, ma eravamo lì da ore, era comprensibile.
- Mamma quando viene papà?
- Tra poco lo vedrai papà, non ti preoccupare - Parlò Jared prima che potessi rispondere.
Prese poi in braccio Nathan che cominciò a piangere e lo passò ad uno dei suoi uomini.
Guardò l’orologio ed osservò il cielo fuori. Tra poco avrebbe fatto buio del tutto. Prese il mio pugnale che aveva lasciato sul tavolo e si avvicinò a me. Mi guardava da vicino i suoi occhi scrutavano i miei e cercavo di non far trasparire nemmeno un po’ di quella paura della quale lui si nutriva, con la quale si eccitava. Fece roteare il pugnale tra le mani, mi afferrò i capelli tirando forte indietro. Il mio collo era esposto a lui e il pulsare del sangue si avvertiva ad occhio nudo. Fece scorrere la punta della lama disegnando un arco da una parte all’altra del collo, poi la alzò facendomi vedere le gocce di sangue che scivolavano dalla lama, ricadendo sul pavimento. Passò un dito su quella traccia, non profonda, che aveva disegnato su di me a raccogliere il sangue che usciva da quel sottile ed inquietante graffio e mi macchiò una guancia con il mio stesso sangue. Non faceva male, bruciava, ma era fastidiosa la sensazione del sangue che lentamente gocciava lungo il collo. Avevo subito molto di peggio, quella mossa era più scenografica che punitiva. Mi scattò una foto con il suo cellulare e la guardò compiaciuto.
- Chissà Anthony cosa ne pensa di vederti così? Che dici, gli facciamo vedere la foto? No, dai, è arrivato il momento di andarcene da qui, usciamo, così ti vede direttamente.
Prese in braccio Nathan e con l’altra mano teneva una pistola. I suoi due uomini mi sollevarono e mi tennero bloccata e sotto la minaccia delle armi. Uscimmo da casa, mi guardai indietro per un istante, chiedendomi se ci sarei più tornata.

 

———————

 

- Gibbs, si stanno muovendo. - L’agente Page della SWAT si era staccato dallo schermo sul quale monitorava i movimenti interni al palazzo ed era venuto a riferire al mio capo le ultime novità
- Tenetevi pronti, ma non fate niente senza il mio ordine. Chiaro?
Quello annuì. La sua squadra si mise in posizione sorvegliando l’entrata. Gibbs mi passò un giubbotto antiproiettile, buttai via la giacca e me lo allacciai velocemente, così fecero anche gli altri. Ci allontanammo dall’ingresso lasciando un corridoio lungo il marciapiede e ci posizionammo al di là delle auto parcheggiate, non sapevamo la loro intenzione.
- Gibbs, niente di avventato - lo pregai
- Tony faremo di tutto.

Il portone si aprì ed il primo ad uscire fu Jared con Nathan in braccio, seguito dai suoi due uomini che tenevano Ziva ferma. Il mio sguardo si muoveva a ritmicamente tra loro due e quando vidi il taglio sul collo di Ziva mi dovetti sorreggere all’auto davanti a me. Jared rideva, guardandoci tutti, si soffermò sopratutto su di me e mi invitò a farmi avanti. Passai davanti all’auto e mi ritrovai a pochi metri da loro quando mi fece segno di fermarmi.
- Salutali Anthony, magari non li rivedrai.
Nathan fu l’unico a parlare in quel momento, mi chiamava e si spingeva con forza verso di me, ma Jared lo teneva sempre più fermo e non con le buone maniere. Muoveva il suo corpo, senza tenerlo mai fermo, spostandolo a destra o sinistra più in basso o in altro. Sapeva che così nessuno avrebbe mai potuto sparargli da lontano, era troppo rischioso per il bambino e Gibbs non avrebbe mai permesso di metterlo in pericolo. Provai a dire a Nathan di stare calmo, ma non ottenni risultati, anzi cominciò a piangere ed agitarsi di più, facendo innervosire Jared.

Ruth, contravvenendo ad ogni regola ed al buon senso, si fece avanti e mi raggiunse davanti al figlio, implorandolo di lasciar perdere tutta quella storia assurda. Lui nemmeno rispose alla madre, la guardava come se fosse un’estranea, cercava con lo sguardo gli altri suo familiari. Mi voltai per cercarli anche io e notai il disprezzo con il quale guardava il padre ed invece la tenerezza mostrata solo nei confronti della sorella, quella più in disparte.
- Lo faccio anche per te Michelle. -  Le disse. Sperai di sentire da parte sua un rimprovero al fratello, una richiesta di fermarsi, come quella della madre, ma non disse nulla. Rimase in silenzio. Lo stesso silenzio con il quale io e Ziva ci guardavamo, incapaci di dire qualsiasi cosa in quel momento.
Le richieste di Jared furono semplici. Voleva solo la sua auto. Gibbs fece cenno di allontanarci e di lasciargliela prendere. Mentre si spostarono provai ad allungare una mano verso Ziva e lei fece lo stesso con me, senza riuscire a sfiorarci. Poi salirono in auto, I suoi due uomini davanti, lui dietro con lei e Nathan.
Andarono via e non potei far altro che osservare mentre si allontanavano. Vance prese di petto il Benjamin Sandler, chiedendogli se il figlio avesse delle proprietà dove potesse andare adesso. L’uomo gli parlò di una casa comprata qualche tempo prima vicino a Rockville.

 

—————————

 

Ci stavamo allontanando da Washington. Le strade erano sempre più buie, più strette e sconnesse. Potevo vedere ai nostri lati solo alberi e qualche casa isolata ogni tanto.
Da quando eravamo saliti in auto, Jared mi aveva ridato Nathan che ora era stanco e stranito. Si lamentava e piangeva di tanto in tanto e rasserenarlo era sempre più difficile. Lo feci addormentare tra le mie braccia, cullandolo e tenendolo stretto a me. Non riuscii a non pensare che poteva essere l'ultima volta che lo facevo e l'unica cosa che speravo era che lui non si accorgesse di quanto stava accadendo. Speravo fortemente che Tony e gli altri riuscissero a portarci via ed avevo fiducia in loro, ma la paura per la vita di Nathan era più forte della speranza e della fiducia. Avevo costantemente davanti agli occhi il viso terrorizzato di Tony, la sua mano protratta verso di me che non ho potuto nemmeno sfiorare, negandoci quel contatto che avrebbe potuto non esserci più.
Lasciammo la strada principale per una stradina non asfaltata. Solo poche centinaia di metri, poi ci fermammo. Non c’era una luce artificiale e la luna era solo una piccola falce in cielo. Avvolti dall’oscurità ed illuminati solo dai fari dell’auto, Jared ci fece scendere. Era freddo, molto più che a Washington. Ci avvicinammo all’entrata della casa, l’interno era spoglio, attraversammo la prima stanza dove il grande camino dominava tutto l’ambiente, sorpassando anche le scale per il piano superiore, ed andammo in una stanza sul retro, altrettanto grande ma ancora più vuota: solo un tavolo, quattro sedie, una vecchia poltrona ed un letto singolo, in fondo, attaccato alla parete. Quella casa sembrava disabitata da anni e solo da poco riaperta, come lasciavano intendere i teli buttati per terra che avevano coperto lo scarno mobilio.
Ci fece mettere seduti sul letto, presi i due cuscini logori e sudici per metterli dietro la schiena appoggiandomi al muro.

Non so quanto rimanemmo lì, avevo perso la concezione del tempo. Non capivo se le minacce di Jared erano solo per portare avanti questa guerra psicologica tra di noi o erano vere. Voleva terrorizzarmi e ci riusciva. Ogni volta che si avvicinava a Nathan il mio cuore si fermava. Passava la canna della pistola lungo il suo corpo, sulla sua testa: non gli faceva nulla e poi tornava a sedersi e a guardarci ridendo di gusto. Diceva, tra le risate, che così non avrei mai capito quando lo avrebbe ucciso veramente e non avrei potuto fare nulla che non vederlo morire tra le mie braccia, coperta dal suo sangue, come lui si era macchiato con quello della sua fidanzata.

Anche i suoi due scagnozzi cominciavano a dare segni di insofferenza. Loro probabilmente avrebbero finito tutto molto prima, in maniera definitiva. Jared no, lui si eccitava nel vedere la paura negli altri, si eccitava sapendo che era lui a provocarla ed era stato solo questa sua macabra perversione a tenerci ancora in vita.
I due si vedeva, erano due delinquenti comuni, di quelli che se ben pagati fanno qualsiasi lavoretto senza fare troppe domande, ma i loro lavoretti sono semplici e rapidi ma, soprattutto, fatti a modo loro. Questa mania di Jared di comandarli e di dirgli come dovevano fare il loro lavoro gli stava cominciando a dare fastidio. Un figlio di papà che gioca a fare il criminale ed il sequestratore, che attira una squadra della SWAT e i federali per non ammazzare due persone, si vedeva che loro tutto questo non lo sopportavano. La postura del corpo era nervosa, entravano ed uscivano dalla stanza, guardando spesso fuori dalla finestra con le spesse imposte di legno, per capire quale fosse la situazione e Jared si stava spazientendo a tal punto che glielo disse: loro erano stati pagati per fare quello che diceva lui e lo dovevano fare. Punto. Ma i due non sembravano molto d’accordo con le parole del rampollo Sandler.


——————————————

 

La squadra degli SWAT si era appostata, gli alberi offrivano una copertura sufficiente. Eravamo arrivati tutti lì, la nostra squadra, il direttore Vance e la famiglia Sandler. Camminavo nervosamente avanti e indietro, ignorando le richieste di Gibbs di fermarmi e calmarmi, fino a quando non mi prese per le spalle, bloccandomi con la forza.
- Adesso basta Tony. Siediti.
Eseguii l’ordine come un automa cominciando a muovere ritmicamente una gamba per far uscire l’adrenalina dal corpo. L’unico che non stava guardando la casa era McGee che controllava su un monitor l’interno della casa, con il segnale rimandato dalle telecamere termiche che rimandavano la posizione dei corpi all’interno. Capimmo ben presto che Ziva si trovava nella stanza posteriore tenendo in braccio Nathan. Due uomini andavano e venivano da quella stanza a quella principale, mentre uno girava per la stanza dove si trovava Ziva ed era sicuramente Jared. Anche se non potevamo sentire nulla, almeno sapevamo dove si si trovavano e se fossimo dovuti entrare con la forza sarebbe stato fondamentale.

Più passava il tempo, più l’irruzione sembrava l’unica soluzione possibile. Impossibile provare a colpirli da fuori, i bersagli anche se rilevati dal calore corporeo non erano chiari e le finestre erano chiuse da pensanti infissi. Gibbs parlava con Vance e con il capo della SWAT per concordare il da farsi, almeno per darsi delle scadenze temporali per prendere le prossime decisioni. Ormai erano molte ore che andava avanti questa storia e non c’era stata nessuna evoluzione se non lo spostarci in questa località. Nemmeno la vista della madre o della sorella aveva fatto cambiare i programmi di Sandler. Gibbs mi chiamò vicino a se, per mettermi al corrente delle decisioni. Avremmo aspettato un’ora, poi ci sarebbe stata l’irruzione. Accettai la cosa, a condizione che prima di far entrare la SWAT saremmo entrati noi, io e lui. Sapevo che Gibbs al pari mio non avrebbe mai messo a repentaglio la loro vita. Acconsentì, nonostante il parere negativo del capo dei corpi speciali. Vance non disse nulla e ci lasciò libertà di scelta, anche se sapeva che non era una cosa che rispettava il protocollo.

Il rumore di due spari squarciò il silenzio della notte. Guardammo tutti verso McGee che era l’unico che stava vedendo qualcosa dell’interno.
- Due corpi a terra vicino alla seconda stanza - disse velocemente.

Mi allacciai stretto il giubbotto anti proiettili.
- Entro io Gibbs.
- Tony, tu sei troppo coinvolto.
- Proprio per questo entro io. Lì c’è la mia famiglia. Se qualcosa va male, voglio essere con loro. Fino alla fine. So quello che faccio. C’è solo Sandler, non fare entrare nessuno, chiaro? - Stavo dando degli ordini al mio capo e non mi importava.

Ruth mi si avvicinò in lacrime mentre mi dirigevo all’ingresso.
- Anthony, promettimi che farai di tutto per riportarmi Jared vivo.
- Mi dispiace, Ruth, non te lo posso promettere.
- Lo so che ha sbagliato, ma è mio figlio.
- E sta minacciando il mio. Non posso prometterti nulla che non posso mantenere. Mi dispiace.
Con un braccio la scansai non volevo perdere tempo e lei mi stava ritardando.

 

——————————

 

Tony entrò correndo Jordan lo sentì e si girò. Erano uno davanti all’altro entrambi con le pistole in mano. Girai Nathan verso il mio petto, lo strinsi cercando di coprirgli le orecchie. Sentii 3 spari, il rumore di due corpi che cadevano e poi solo il silenzio spezzato dal pianto di mio figlio.
Il proiettile di una Beretta 92 viaggia a 365metri al secondo. Il tempo che impiega da quando Jared preme il grilletto a quando raggiunge il corpo di Tony è meno di un battito di ciglia. Un centesimo di secondo, anche meno.
Quanto è un centesimo di secondo? Ha mai interessato qualcuno che non fosse un pilota di formula uno o uno sciatore? Forse un atleta a caccia di un record, ma nella nostra vita quando mai pensiamo a cosa è un centesimo di secondo? Eppure è un arco di tempo sufficientemente lungo per distruggere una vita. Anzi di più. Perchè il "non posso vivere senza di te" è reciproco. Un centesimo di secondo è il tempo che basta per togliere un padre ad un figlio, un futuro sposo ad una donna che lo ama, un amico, un figlio ad un padre anche se distante. Un centesimo di secondo basta per cambiare la vita di tante persone, per spezzarla una. 

Il sangue sul pavimento si stava spandendo. Il rosso vivo contrastava il grigio spento della casa. Lasciai Nathan e corsi verso Tony urlando il suo nome. Scavalcai il corpo esanime di Jordan. Arrivai davanti a lui e crollai in ginocchio vicino al suo corpo a terra. Sentii il suo respiro e ricominciai a respirare anche io di nuovo.
- Va tutto bene, avevo il giubbotto antiproiettile. Brucia solo un po’
Lo strinsi forte e si lamentò un po’, poi lo aiutai a rialzarsi. Nathan era rimasto con la testa nascosta tra i cuscini e piangeva. Tony ancora un po’ intontito ed indolenzito si sedette vicino a lui, lo fece voltare e gli asciugò le lacrime
- Ehy ometto basta piangere, va tutto bene ora, papà è qui.
Nathan si gettò addosso a Tony, lo stringeva forte, stringeva il suo papà.
- Te lo dicevo che papà dava la caccia ai cattivi, no? Lui era un cattivo che ora non farà più male a nessuno.

Gibbs entrò con Vance e una squadra di Swatt, ma l’unica cosa che poterono fare era constatare la morte di Jared e chiamare Ducky per venire a prendere il corpo per l’autopsia come di prassi. Ci trovarono tutti e tre seduti sul letto, abbracciati, incuranti di loro e della situazione. Ci stavamo respirando per far capire ad ogni parte del nostro corpo che eravamo ancora vivi e stavamo tutti bene. Gibbs e Vance si avvicinarono, volevano assicurarsi che anche Nathan stesse bene, vedendolo fermo tra noi si spaventarono temendo il peggio, ma come sentì la voce di Gibbs, si voltò di scatto verso di lui che lo prese in braccio sciogliendolo dal nostro abbraccio.
- Vado a dare la notizia ai genitori di Sandler - disse Vance guardando il corpo dell’uomo a terra esanime.
Noi annuimmo e Gibbs disse che portava fuori Nathan per farlo controllare dai paramedici, dandoci il tempo di riprenderci.

Tony si stava slacciando il giubbotto antiproiettile e fece una smorfia.
- Che hai Tony?
- Niente di grave, credo. Il contraccolpo del proiettile sulla costola.
Lo aiutai a togliersi quella roba di dosso. Persi il suo giubbotto, c’era il proiettile bloccato. Lo fissai, ci passai un dito sopra sentendo la differenza tra la stoffa ruvida e il metallo liscio, pensando a cosa mi avrebbe potuto portare via. La disperazione in ospedale quando se n’era andato sbattendo la porta, la paura quando mi sono trovata a casa sola ed era andato via in silenzio non erano niente rispetto a quei secondi nei quali si era concentrato tutto il terrore di averlo perso. Quanto mi aveva cambiato Tony? Quanto aveva dato alla mia vita? A quante piccole cose, che prima nemmeno consideravo, lui aveva dato un senso? Tutte le cose che pensavo di bello nella mia vita erano legate a lui, dallo stare abbracciati sulla spiaggia, ad una passeggiata, ad una scatola di cibo thailandese mangiato sul divano fino alla cosa più bella di tutte, la nascita di Nathan: c’era lui in tutto quello. Non so quanto rimasi davanti a lui a perdermi in quei pensieri, con il giubbotto in mano, ma mi ritrovai ad accarezzarli il volto quasi inconsciamente mentre pensavo a lui, che adagiò la testa nel mio palmo, piegandola leggermente, godendosi quel contatto, come lo facevo io. Avevo avuto paura di non poterlo più toccare quando le nostre mani si erano solo sfiorate, senza raggiungersi. 

- Amore, è tutto apposto. Ok? E’ finita.
- Tony oggi ho avuto paura. Veramente paura. Di perdere tutto. Te, Nathan… - non riuscii a tenere oltre le lacrime finalmente liberatorie.
- Siamo qua, Ziva. Siamo insieme.
- Scusami Tony se non sono stata all’altezza di proteggere Nathan.
Mi sentivo piccola e inadeguata. Mi chiedevo cosa ne era stato in quelle ore di quella ragazza che per anni è stata addestrata dal Mossad da quando era poco più di una bambina. Dove era finito il mio sangue freddo, la determinazione, l’assenza di paura.
- Non dire idiozie, Ziva, non potevi fare di più.
- In altre occasioni lo avrei fatto.
- In altre occasioni non c’era nostro figlio di mezzo. Lo hai protetto come una mamma, non esponendolo a rischi.
Fece passare le dita delicatamente sul mio collo, ripercorrendo il taglio ancora fresco che mi aveva fatto Jordan. Chiusi gli occhi mentre lo sentivo percorrere la mia pelle segnata, Tremavo per il suo contatto e per il freddo. Il mio tremore sembrò destare anche Tony.
- Dai, andiamo… questa giornata è durata anche troppo.
Appena usciti fuori vidi i genitori di Jared in lacrime e Michelle guardarci sempre con odio. Tony andò verso l’auto con la quale erano venuti e mi diede la sua giacca, mettendomela sulle spalle, mentre mi faceva sedere dentro.
- Devi farti controllare quel taglio
- Non sanguina più Tony.
- Sì, ma dovresti farti medicare, ci sono i paramedici lì, te li vado a chiamare.
Così prese Nathan che era stato appena visitato e fece venire un medico che disinfettò la ferita e mi medicò applicando una garza tutta intorno al collo, con del cicatrizzante. L’avrei dovuta portare fino al giorno dopo.
Tony teneva Nathan in braccio e vedevo che faceva delle smorfie quando lui gli si appoggiava sul petto, era lui quello che aveva bisogno di farsi curare più di me.

Non avrei mai voluto staccarmi da lui avevo bisogno di sentirlo vicino, di stare insieme, ma riuscii a convincerlo a farsi accompagnare in ospedale da McGee per farsi visitare. Gibbs venne a casa con me e Nathan: tutti i tentativi di fargli mangiare qualcosa furono inutili, quindi lo andai a mettere a letto anche se voleva aspettare il ritorno del papà, ma la stanchezza fu più forte della sua volontà e dopo poco si addormentò, apparentemente sereno.
Gibbs aveva il mio pugnale in mano, aveva ripulito la lama, non c’erano più tracce di sangue.
- È una prova? - Gli chiesi
- No, è il tuo pugnale. - Mi rispose mentre me lo porgeva
- Lo devo prendere?
- Hai paura?
- No - gli dissi pendendo l’arma in mano e portando l’altra inconsciamente sulla mia gola, incontrando la fasciatura.
- Sicura che non ti fa paura?
- No, Gibbs, non mi fa paura. Mi ricorderà di fare più attenzione - gli risposi secca.
- Non è necessario che ti metti sulla difensiva con me.
- Hai ragione. È stata una giornata lunga.
- Hai fatto quello che dovevi fare.
- Non ho fatto niente Gibbs! - Gli dissi sconsolata.
- Appunto. Non dovevi fare niente nella tua situazione. Ma hai fatto in modo di farci avere tutto il tempo necessario.
Gibbs andò verso il bollitore in cucina e mise a scaldare dell’acqua.
- Non sono stata io, i tempi li ha dettati lui.
- Allora diciamo che non gli hai fatto affrettare i suoi programmi.
- Oggi è stata dura Gibbs. Come non lo era mai stato.
- Perchè più persone ami, più sai che hai da perdere. Questo fa paura. Quando siamo soli, abbiamo molto meno da perdere e molta meno paura di quello che facciamo e delle conseguenze. Dovrai imparare a convivere con questa tua nuova situazione ed imparare che avrai reazioni diverse a quelle che hai sempre avuto.
Il fischio del bollitore avvisava che l’acqua era calda. Prese una tazza e mise del tè in infusione.
- Meglio che ti vai a cambiare - mi disse indicando la mia camicia strappata.
Andai in camera ed indossai una tuta, quando tornai da lui era seduto sul divano con la tazza in mano. Mi sedetti vicino a lui e me la porse.
- Grazie Gibbs.
- È solo un tè caldo.
- Per tutto il resto.
Sorrise, mi diede un bacio in fronte e mi appoggiai alla sua spalla scaldandomi le mani con il calore che emanava la tazza fumante.

- Devo essere geloso? - La voce canzonatoria di Tony mi svegliò, mi ero addormentata appoggiata a Gibbs che aveva provveduto a togliermi la tazza dalle mani prima che la rovesciassi a terra. Mi alzai di scatto e lo raggiunsi.
- Allora?
- Tutto bene, solo una costola incrinata ed un ematoma da far riassorbire. Ti sei preoccupata inutilmente, te l’avevo detto.
- DiNozzo, finiscila! Ha fatto bene a farti andare a controllare! - Intervenne Gibbs e Tony fece subito silenzio - Riposatevi un paio di giorni, poi ci rivediamo a lavoro. Per le deposizioni domani sentite McGee, passerà lui qui, non c’è bisogno veniate. 
- Grazie Capo - ripose Tony.
- Mi raccomando Ziva… - Mi diede un bacio sulla fronte e poi uscì.
Finalmente rimasti soli abbracciai Tony che mi chiuse tra le sue braccia sussurrandomi che andava tutto bene.

- Visto, nulla di grave come ti dicevo. - Mi rassicurò mentre eravamo seduti entrambi sul fondo del letto nella nostra camera.
- Dai, non ti affaticare, ti aiuto. - Gli dissi mentre lo aiutavo a sbottonarsi la camicia.
- Nathan si è addormentato tranquillo?
- Ha provato a resistere un po’ perché voleva aspettare che tornassi.
- Mi sembra impossibile sai? Non riesco ancora ad abituarmi a quanto è diventato affettuoso con me. Domani voglio una giornata solo per noi tre.
Tony si guardò intorno, posò lo sguardo sulla camicia strappata e la camera in disordine. Mi guardò serio, il sorriso che aveva quando parlava di Nathan si spense di colpo.
- Ziva che è successo?
- Niente, Tony.
- Non mi mentire, cosa è successo.
- Non ti sto mentendo. Credimi ti prego, non è successo niente.
- E allora perchè…  - non terminò la frase ma buttò uno sguardo prima sull’indumento logoro e poi sulla stanza.
- Perchè non è successo niente. - Replicai guardandolo dritto negli occhi - Mi devi credere, ok?

Si scostò e sospirò, girandosi dall’altra parte. Gli accarezzai le spalle ed il torace e mi appoggiai sulla sua schiena lasciando le braccia ad attorniare il suo petto.  Mi piaceva sentire la sua pelle nuda sotto le mie mani, avevo bisogno di sentirlo vivo, di sentire i battiti del suo cuore sotto le mie mani. 
- Credimi Tony - Gli sussurrai appoggiando la testa sul suo collo.
Istintivamente lo strinsi a me, lui si lasciò sfuggire un lamento e mi allontanai.
- Scusa non volevo farti male.
- No, ti prego, abbracciami ancora.
Lo feci e lui portò le sue mani sulle mie, ferme sul suo petto.
- Ti credo - mi disse prima di sciogliersi dal mio abbraccio e andarsi a stendere, ma non mi sembrava del tutto convinto. Non avevo voglia, però, quella sera di chiedergli altro, di pregarlo di ascoltarmi, di capire perchè non si riuscisse a fidare, ma le risposte le temevo.
Il torace, nudo, era segnato da un vistoso ematoma violaceo sulla sinistra, vicino al cuore nel punto dove il giubbotto antiproiettile aveva interrotto la corsa mortale della pallottola. Mi stesi vicino a lui, mi avvicinai piano, quasi chiedendogli il permesso per poterlo fare, fino a quando non fu lui che mi abbracciò. Mi staccai da lui solo un istante per prendere un gel dal comodino e spalmarglielo sul petto, delicatamente fino a quando non fu totalmente assorbito. Lo accarezzavo piano e ad ogni carezza mi scendeva una lacrima. Se ne accorse ma non mi disse nulla, passò solo la sua mano sulla mia guancia per asciugarla. Poi mi abbandonai su di lui, con la mano a coprire l’ematoma.
- Pensi di rimanere con la mano così tutta la notte? - Mi disse sorridendo
- Ti dispiace? - Chiesi stupita
- No, affatto.
- C’è scritto dopo l’applicazione va tenuto al caldo.
Posò la sua mano sopra la mia e mi strinse ancora di più a se.

NOTE: Alla fine non si è fatto male nessuno o quasi, almeno non fisicamente. Tony è un po' ammaccato ma si riprenderà presto. 
Come vedete, alla fine, i ricordi del passato tornano sempre a condizionare quello che accade nel presente, anche cose dimenticate di molti anni prima. 
Ziva ne esce più insicura su quelle che sono le sue capacità, con i dubbi su quello che era e che sarà. Tony manifesta che ancora non riesce a credere del tutto a quello che le dice, anche se si sforza di farlo, la paura che ci sia sempre qualcosa che non le dice è in agguato.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Wish you were here ***


… How I wish, how I wish you were here 
We're just two lost souls  
swimming in a fish bowl               
Year after year,
running over the same old ground   
What have we found?  
The same old fears.     
Wish you were here  …

 

Era la mattina della vigilia del nostro matrimonio. Avevamo deciso di sposarci di giovedì sorprendendo un po’ tutti, ma solo perchè avevamo in mente di ritagliarci un week end un po’ lungo solo per noi. Avevamo spiegato più volte a Nathan che sarebbe rimasto qualche giorno con Abby e Stevy mentre noi eravamo fuori, ma lui era stato irremovibile: voleva stare con Gibbs che pur di far felice lui e noi acconsentì a prendersene cura, provocando più di qualche dispiacere ad Abby che adorava fargli da zia, ma Nathan aveva un debole per Gibbs e non c’era stato niente da fare.
Quella mattina mi svegliai presto per accompagnarlo all’asilo e lasciai Tony a dormire a casa. Quando tornai era sempre in camera, silenzioso, seduto sul bordo del letto. Sul comodino c'era una piccola scatola aperta. Stava con la testa bassa e le braccia appoggiate sulle gambe. Tra le mani una vecchia foto.
- Disturbo? - gli chiesi sedendomi vicino a lui e cingendogli le spalle.
- Mai - mi rispose senza alzare lo sguardo dalla foto.

Era lui, avrà avuto 3 o 4 anni, abbracciato a sua madre. Era incredibile come lo faceva esattamente nello stesso modo in cui Nathan abbraccia me. Se fisicamente Nathan sembrava assomigliare molto di più a me, occhi a parte, aveva tanti degli atteggiamenti di Tony e pensandoci adesso mi rendo conto che li ha sempre avuti, non era stato influenzato da lui, era semplicemente così, uguale a suo padre in tante piccole cose e più li vedevo insieme, più me ne rendevo conto: come dormivano, come sbuffavano, l’espressione soddisfatta quando mangiavano qualcosa di loro gradimento, come si rabbuiavano quando qualcosa non andava secondo i loro piani, come mi guardavano quando volevano qualcosa ed io faticavo a resistergli.
Solo su una cosa lo stava plasmando a sua immagine e somiglianza: come vestirsi. Aveva pian piano rivoluzionato il suo guardaroba lasciandomi poca possibilità di obiettare: indubbiamente Tony aveva gusto, sapeva scegliere vestiti di classe per se, solo che spesso non erano propriamente adatti ad un bambino di nemmeno tre anni ed il più delle volte le sue spese esagerate per i vestiti di Nathan erano fuori luogo, visto che non avrebbe sfruttato quei vestiti a lungo, ma lui non se ne curava, come la prima volta che eravamo andati a fare shopping per lui insieme. Io speravo che quella fosse solo l’eccitazione della “prima volta” invece era solo l’antipasto di quello che sarebbe sempre stato. Così i normali vestiti pratici da bambino e le tute sparivano pian piano dal suo guardaroba lasciando sempre più spazio ai vestiti firmati scelti da Tony, casual sì, ma sempre di classe. La cosa buffa era che Nathan vedendo il papà che passava tanto tempo a specchiarsi ed aggiustarsi vestiti e capelli, aveva cominciato anche lui a fermarsi davanti al nostro grande specchio in camera a guardarsi ogni volta, passandosi una mano sui capelli ed in realtà se li spettinava di più, ma non potevo fare a meno di guardarlo e sorridere di quel piccolo, vanitoso, DiNozzo in miniatura.

Tony non si era mosso dalla sua posizione, sempre con gli occhi fissi sulla foto.
- È molto bella. - gli dissi. Era la prima volta che vedevo una foto di sua madre.
- È vero - mi rispose sembrava non aveva voglia di parlare
- Ti manca molto, eh... 
- Tantissimo. Chissà cosa penserebbe di me oggi…
- Sarebbe sicuramente orgogliosa.

- Vorrei che fosse qui. Vorrei che ti conoscesse e vorrei che conoscesse anche me. - Si era rotta la sua diga, ed ora parlava come un fiume in piena - Sai qual’è la cosa che mi rende più triste? Che fatico a ricordarmela. E’ una traccia nella mia memoria sempre più sfocata, come il suono della sua voce. E quando nella mia mente torna qualche ricordo più vivo o magari la sento che mi sgrida o mi chiama, mi aggrappo a quel pensiero e lo stringo con forza perché non la voglio lasciar andare via. Ricordo benissimo le sensazioni e i gesti, ma la sua immagine e la sua voce sono sempre più lontane. Come se ora che sono adulto mi stesse lasciando, come se pensasse che ora non ho più bisogno di lei. 

Lo avvicinai a me e appoggiò la sua testa sulla mia spalla. Gli passai più volte la mano tra i capelli e chiuse gli occhi lasciandosi trasportare dal mio tocco che cercava di essere il più delicato possibile. Due lacrime rigarono il suo volto e le lasciò scivolare via. Guardai la foto che teneva in mano ed ora era tanto simile a quel bambino ed aveva bisogno della stessa cosa, l’abbraccio di sua madre. Lo capivo bene perché tante volte, soprattutto negli ultimi anni, avevo sentito lo stesso bisogno. Le braccia di Tony erano il mio rifugio da ogni cosa, il mio posto sicuro nel mondo. Però alcune volte l’abbraccio di cui si ha bisogno è diverso, è quello che solo una madre ti può dare, quello che va al di sopra di ogni cosa. Lo avevo capito quando era nato Nathan.
Sapevo che in quel momento qualsiasi cosa avessi fatto per Tony non era quella della quale lui avrebbe avuto bisogno, ma lo strinsi ancora di più, come lui aveva fatto tante volte con me, ora ne aveva l’urgenza lui.  Fece un respiro profondo e senza aprire gli occhi, né spostandosi da quella posizione ricominciò a parlare. Fermai la mia mano tra i suoi capelli, ma lui mi pregò di continuare e così ripresi ad accarezzarlo.

- Mia madre si ammalò prima dell’inizio della primavera, a metà luglio morì, poco dopo il mio compleanno. Per il mio ultimo compleanno insieme lei già stava molto male, non si alzava più dal letto, ma quel giorno volle farmi una sorpresa e nel pomeriggio venne in giardino dove avevano organizzato la mia festa. Si era truccata, acconciata i capelli e si era messa un abito elegante che le stava larghissimo per quanto si era dimagrita, ma per me era bellissima. Io stetti tutto il tempo vicino a lei, smisi di giocare, non mi interessavano i regali. Mi sedetti nel divanetto vicino a lei all’aria aperta e passò tutto il tempo ad accarezzarmi i capelli. Forse avrebbe voluto che andassi a giocare con i miei amici, ma non mi disse niente e mi tenne con se, sapeva meglio di me che sarebbe stata una delle ultime volte. - Si fermò e deglutì - Non smettere di accarezzarmi anche tu, Ziva, ti prego… 

La mia mano si fece improvvisamente pesante a sentire le sue parole e la sua richiesta. Ricacciai indietro le lacrime e continuai sfiorare i suoi capelli con dolci movimenti circolari.

- Quando ci fu la torta tutti mi dissero di esprimere un desiderio. Io chiusi gli occhi più forte che potevo, talmente tanto forte che mi feci male desiderando che la mia mamma stesse bene e soffiai con rabbia su quelle candeline. Lei si sforzo anche di mangiare un po’ di torta e giocammo con la panna, me la mise sul naso ed io feci lo stesso con lei, tutte cose che non mi aveva mai permesso di fare, perché con il cibo non si gioca, mi diceva. Ed invece quel giorno sì. E rise e quella risata sì, quella me la ricordo.
Il giorno che morì passai tutto il tempo sul letto vicino a lei, era una giornata molto calda, ma lei tremava per il freddo. Le sue mani ormai pelle e ossa mi accarezzavano i capelli ed il viso ed erano gelide. Io stavo rannicchiato vicino a lei e non volevo andare via. Poi mi disse di non piangere, perché lei da ora in poi sarebbe stata bene, che non mi dovevo preoccupare, perché mi sarebbe sempre stata vicino anche se io non la vedevo più…

Tony fece un sospiro e si fermò: aveva la voce rotta, stava piangendo come quel bambino che era vicino a sua madre.

- L’abbracciai e la pregavo di non lasciarmi mai. Mi diede un ultimo bacio e poi disse a mia zia di portarmi via. Non la vidi più. 

Stavo piangendo anche io. Non avevo resistito di più. Lui sentendo che anche io piangevo, si alzo subito, si asciugò gli occhi verdi che ora erano tutti arrossati e mi guardò sorridendo, un sorriso dolce e triste. Mi asciugò con le sue mani le mie lacrime ed io mi vergognai un po’ per questo, ma lui era così, doveva sempre asciugare le mie lacrime, secondo lui.

- Sai, - riprese il suo racconto, ora guardandomi negli occhi - per anni sono stato convinto che se era morta era colpa mia. Io avevo desiderato che lei stesse bene e lei prima di morire mi aveva detto che ora sarebbe stata bene. Ed ho detestato il mio compleanno. Questa cosa è la prima volta che la dico a qualcuno.
- Ti sei portato dentro questo da quando avevi otto anni?

Annuì solamente. Avrei voluto una macchina del tempo per andare a prendere quel bambino di otto anni e stringerlo e coccolarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che non era colpa sua, proprio come stavo facendo con lui adesso.

- Quando hai capito che non dovevi sentirti in colpa per una cosa così?
- Ero un po’ più grande. Abbastanza più grande. - Mi sorrise
Gli strinsi forte le mani. Volevo fargli capire che non era più solo.

Dovevo fare lo stesso passo che aveva fatto lui, anzi, non dovevo, volevo. Così cominciai anche io a raccontargli di mia madre.

- Quando le missioni di mio padre cominciarono a diventare più frequenti, diventò più frequente anche il suo rapporto con Orli. Mia madre lo sapeva, per molto tempo aveva fatto finta di nulla, poi dopo le ennesime minacce ci portò via. Passammo del tempo a Londra e Madrid. Non stavamo mai tanto tempo nello stesso posto. Poi ci stabilimmo per un periodo più lungo a Parigi. Mia sorella Tali era piccola e sempre impaurita dalle litigate tra mamma e papà che non mancavano mai, anche per telefono, anche quando mio padre venne un paio di volte a trovarci. Era uno strazio. Poi tornammo in Israele alla fine di un’estate, poco prima che io compissi 12 anni e Tali ne aveva 8, stavamo da mio padre. Ripresi la scuola a Tel Aviv, cominciai i primi addestramenti privati nel Mossad fatti da mio padre in persona, un gioco, come la metteva lui. 
Mamma mancava a me e mancava tantissimo a Tali che chiedeva sempre a mio padre quando sarebbe tornata e lo chiedeva anche a lei ogni volta che telefonava. Poi le telefonate cessarono e una sera che mia sorella non smetteva più di piangere perchè voleva nostra madre, mio padre bruscamente, disse ad una bambina di otto anni che la madre era morta e non sarebbe più tornata. La mia infanzia è finita quel giorno. 

- Cosa è successo a tua madre?

- Non lo so. Non l’ho mai saputo. Mio padre disse che era stata uccisa, ma non ho mai saputo di più. Ho cercato notizie, soprattutto dopo che ero entrata nel Mossad, ma nulla. Non c’era niente da nessuna parte. Mio padre sono sicuro che sapesse la verità, che sapesse cosa le è successo, ma non me lo ha mai detto.

- Pensi che sarebbe stata diversa la tua vita?

- Credo di sì, mia madre non avrebbe permesso quel tipo di addestramento, non così piccola. Ho cercato di rimuoverla dalla mia mente e dal mio cuore per anni, di non pensarci. Poi da quando sono rimasta incinta il suo ricordo è diventato costante. Mi sono ritrovata tante volte a cercare il suo aiuto, a pensare a quante cose non ha potuto insegnarmi, a come mi avrebbe aiutato e sostenuto quando Nathan era appena nato. Ogni cosa che facevo la facevo con il labile ricordo di quando è nata Tali. Ricordavo la dolcezza con la quale si prendeva cura di lei, come la cullava ed ero anche gelosa di lei appena nata, allora mamma appena lei si addormentava, mi prendeva tra le sue braccia e mi stringeva forte. Quei momenti li avevo cancellati dalla memoria per troppo tempo, ora invece non voglio abbandonarli più. Vorrei riuscire a dare a nostro figlio lo stesso amore e senso di protezione che lei dava a me.
- Non credo che glielo potresti dare di più, è impossibile - mi disse mentre le nostre mani continuavano ad essere congiunte. Ci guardammo negli occhi fino a perderci in una serie infinita di baci. 


I vestiti erano abbandonati in fondo al letto ed io ero ancora nel mio stato di beatitudine che solo fare l’amore con lui mi sapeva donare. Tony mi guardava e sorrideva, mentre io continuavo a guardarlo sognante.
- Se non mi garantisci che anche dopo sposati sarà sempre così, non ti sposo più - gli dissi e lui rise dandomi un bacio, poi prese il lenzuolo e ci coprì e si avvicinò di nuovo a me, abbracciandomi. Eravamo una davanti all’altro, con le fronti appoggiate, dandoci ogni tanto qualche bacio, parlandoci in punta di labbra.

- Tony, tu ci pensi mai a noi?
- Ziva, ti sposo, vuoi che non ci penso?
- Intendevo a noi prima
- Prima? Non mi ci far pensare se no voglio il bis
- Il bis l’hai già avuto… - gli dissi maliziosa
- Allora il tris - rispose allungando una mano e facendola scivolare pericolosamente dalla mia pancia verso il basso.
- Finiscila non dicevo questo. - Bloccai la sua mano controvoglia - Dicevo noi come eravamo prima… prima che io andassi via.
- Ah quel prima… 
- Sì, perché secondo te non abbiamo mai fatto il passo in più?
- Perché non eravamo pronti o avevamo paura.
- Tu ti ricordi come eravamo?
- Certo! Eravamo sicuramente più giovani. Poi io ero affascinante, bello, elegante, atletico, simpatico, divertente e tu… Beh tu eri irascibile, vendicativa, permalosa, precisina, saputella e tremendamente sexy Agente David…
- Credo che la tua descrizione sia un po’ di parte Agente DiNozzo. Per te vedrei più adatto infantile, ritardatario, sbadato, chiacchierone ma con un fondoschiena notevole. Pensavo a quanto tempo… - Non mi fece finire la frase, mi baciò per farmi tacere.
- Sei felice ora? Con me e Nathan?
- Certo, che domande mi fai!
- Allora non pensare a quello che poteva essere.

 

————————————

 

Ormai era tardo pomeriggio ed avevamo passato tutta quella giornata invece che a preparare le ultime cose per il nostro matrimonio a fare gli adolescenti in camera da letto, alzandoci solo per andare a prendere poco tempo prima Nathan dall’asilo. Ero poi rimasto a giocare un po’ con lui, sapevo già che nei prossimi giorni mi sarebbe mancato tantissimo.

- Sei nervosa? - Chiesi a Ziva mentre prendevo il portaabiti e la borsa con le mie cose.
- Dovrei esserlo? - Mi rispose sorpresa di quella domanda. In effetti era calma non so se lo fosse realmente oppure era una maschera per non farsi vedere. 
- Di solito è così.
- Per noi magari è diverso, viviamo già insieme, abbiamo un figlio… Abbiamo passati momenti molto più pericolosi insieme di un matrimonio, no?
- Non lo so, non mi sono mai sposato con nessuna
- Scemo.
- Allora è tutto pronto?
- Sì, non è che c’era molto da preparare.
- Sei sicura che vuoi rimanere sola con Nathan stasera? Perchè non hai fatto venire Abby lei ci sperava…
- Verrà domattina presto. Preferisco così.
- Ultima notte da donna libera a casa tutta sola con un altro uomo! - La provocai
- Smettila di fare lo scemo Tony!
- Quando mi hai detto che ti aiutava Abby ad organizzare tutto mi sono preoccupato, non è che devo aspettarmi un matrimonio dark ed una sposa con abito rosso sangue, vero?
- Chi lo sa… 
- Ziva guarda che ci ripenso eh!
- Provaci - Mi baciò appassionatamente
- Se mi baci così io stasera non vado da nessuna parte, quindi vedi tu che devi fare…
- Sei tu quello che vuole rispettare le tradizioni.
- Appunto. A Gibbs poi hai detto niente?
- No Tony… Ho paura che questa cosa lo possa far pensare troppo a Kelly, lo possa far soffrire.
- Oppure lo potrebbe fare felice.
- Non si può avere tutto. Ed io ho già te, ho Nathan… Sono fortunata.
- Io voglio che tu possa avere tutto.
Un ultimo bacio, passai a salutare Nathan ed andai via. L’avrei rivista il giorno dopo e sarebbe stato per sempre.

Guidavo verso casa di McGee che mi avrebbe ospitato per quella notte. Ripassavo mentalmente se avevo preso tutto: vestito, scarpe, gemelli, camicia, cravatta, anelli…
Era tutto perfetto, tranne una cosa che mi assillava… Presi il telefono
- Gibbs, ti posso parlare?
Fu una conversazione breve, con lui non c’era mai bisogno di troppe parole e spiegazioni. Capì subito, senza bisogno che giustificassi quella richiesta.

Arrivai da McGee subito dopo essere passato a prendere un paio di pizze per cena. Poi mi feci prendere la mano ed insieme alle pizze presi molte altre schifezze fritte da mangiare, una confezione di birre ed una bottiglia di champagne.
Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei fatto il mio “addio al celibato” a casa di McGee a mangiare pizza da asporto e pollo fritto bevendo birra li avrei presi per folli. Uno perchè non credevo che mi sarei mai sposato, due perchè la mia festa di addio al celibato ero sicuro sarebbe stata del tutto diversa, in pieno DiNozzo style… o forse quello che era il DiNozzo style, mi corressi mentalmente.

- Ehy McTestimone! Scendi che non ce la faccio a portare tutto su da solo! - Gli citofonai e quando lo vidi aprire il portone gli diedi tutta la roba presa al take away, preoccupandomi di portare su solo i miei vestiti e quanto mi sarebbe servito per il giorno successivo.

Tim mi fece lasciare tutte le mie cose nella stanza degli ospiti. Da precisino qual era, sul letto mi aveva fatto trovare un set completo di asciugamani e accappatoio ed un paio di ciabatte bianche tipo quelle da hotel.
Andai in bagno mi diedi una veloce rinfrescata e mi misi una tuta leggera per stare più comodo. Notai i due spazzolini al bagno e quando rientrai in camera anche una pila di scatole etichettate.
McGee aveva ordinatamente disposto tutto il cibo sul tavolo in sala davanti alla tv, con il suo cellulare stava scorrendo le cartelle del suo hard disk che conteneva un’ampia collezione cinematografica. Ci teneva a dare sfoggio del suo lavoro di collegare tutte le apparecchiature elettroniche della sua casa e di poterle controllare con il suo smartphone. Alla fine scelse un film di James Bond tra i miei preferiti: “Licenza di uccidere”

- Visto che il festeggiato sei tu, un film di tuo gradimento!
- Perfetto Pivello!
Ci sedemmo sul divano le pizze dentro i cartoni erano già tagliate e fumanti. Andammo entrambi a prendere uno spicchio dello stesso gusto.
- Ehy Tony, ma perchè proprio questa scelta?
- La pizza? Beh è una delle mie preferite. E poi è quella che ho mangiato con Ziva la prima volta, anzi che lei si è presa.
- No, Tony, non dicevo la pizza, però come sei romantico! Dopo tutti questi anni ancora ti ricordi che pizza hai mangiato la prima volta con lei! Comunque intendevo perchè questa scelta di fare qui il tuo addio al celibato, cioè, così… semplice. Io immaginavo il tuo addio al celibato in qualche locale con ballerine, champagne a fiumi…  
-  Tim, tu ti ricordi, vero, con chi mi sto per sposare? - Gli dissi serio
- Ah. Ma è così… - fece una pausa per trovare la parola giusta - pericolosa anche a casa? - McGee non lo diceva, ma aveva sempre avuto soggezione di Ziva. Io scoppiai a ridere di gusto.
- Anche peggio McGee, anche peggio!
- Dai Tony non fare lo scemo! - Si accorse che lo stavo prendendo in giro - Io te lo chiedevo seriamente!
- Vedi Tim - presi un altro spicchio di pizza con il salame piccante - prima ci stavo pensando anche io. Ora non mi interessa, una festa ballerine, alcolici… Non ho bisogno di evadere, di sballarmi. Ho quello che voglio. E mi mancava solo una serata con un mio amico, una pizza, un film, quattro chiacchiere…
Tim era rimasto senza parole, beh, non era da me parlargli così. 
- Ti posso fare una domanda Tony? Quando hai condiviso quella pizza con Ziva?
- La prima sera che è venuta all’NCIS, quando Gibbs mi ha detto di pedinarla.
- Ah però…
- Avresti mai detto Pivello che saremmo arrivati a questo punto?
- Beh, non subito ma poi… beh sì…
- E me lo dici ora così Pivello?
- Veramente avevo provato a dirtelo anche in altri momenti altre volte, ma tu niente! 
- Sai McGee, stamattina ho detto a Ziva di non pensare a quello che sarebbe stato se ci fossimo comportati in modo diverso prima ed ora ci sto pensando io, invece.
- Risponditi quello che le hai risposto!
- Già… Ma tu, invece? Tra un po’ tocca anche a te, ho visto che Delilah già sta portando qua le sue cose eh!
- Eh… - sospirò
- Che è, ci stai ripensando?
- No! È che sono nervoso!
- McGee, ti sposi a fine agosto, io domani e sei tu ad essere nervoso? - Risi di gusto e rise anche lui. - A proposito già pensato all’addio al celibato tu?
- Lasciamo perdere Tony! Il fratello di Delilah… ha detto che penserà a tutto lui!
- E allora? 
- Non lo conosci, è un PR per alcuni Club tra i più famosi della East Coast. Ma non potevo dirgli di no, altrimenti Delilah ci sarebbe rimasta malissimo.
- Beh, almeno ci divertiremo! - Gli feci l’occhiolino
- Tu sarai sposato e a casa ti aspetterà Ziva.
- Giusto! Allora ti divertirai McGee!

Le immagini di James Bond scorrevano senza che ci prestassimo attenzione, ma l’avere sullo sfondo Sean Connery e Ursula Andress lo trovavo in qualche modo rassicurante. Continuammo a parlare a lungo io e McGee, come non facevamo da tempo o forse non avevamo mai fatto, ma era normalissimo essere lì e farlo. Mangiammo la pizza, il pollo fritto, le patatine, bevemmo birra ed infine lo champagne, per suggellare la fine di quella serata. Era quasi l’una quando decidemmo di togliere tutto di mezzo ed andare a dormire. La cerimonia sarebbe stata alle 11:00, quindi avevamo tempo di fare tutto con calma, senza nessuna sveglia all’alba.
Salutai il mio amico ed andai nella mia stanza. Era dal giorno che ero andato a prendere Nathan in Israele che non dormivo da solo. Improvvisamente quella solitudine sembrò opprimermi. Aprii la finestra e mi affacciai fuori a guardare fuori, la strada completamente vuota, le auto non passavano in quel quartiere residenziale che sembrava quasi un dormitorio. Pensai che questa tradizione del dormire separati la notte prima delle nozze e non vedersi fino a quando dovevamo sposarci era una cazzata, ma l’avevo voluta io.
Presi il cellulare e fissai a lungo la foto di sfondo, eravamo noi tre insieme a Barcellona, poco più di un mese prima. Avrei voluto chiamarla per augurarle la buona notte e chiederle come stava, se anche lei era angosciata come me al pensiero di stare lontani oppure si faceva coccolare dal suo antistress preferito. Se dormiva, però, l’avrei svegliata. Allora mandai solo un messaggio, al massimo l’avrebbe letto la mattina seguente.

 

NOTE: C’è un piccolo salto temporale, siamo al giorno prima del matrimonio. Ormai anche questa storia è quasi al termine. Oltre a questo capitolo ci saranno altri due dedicati al matrimonio con la notte prima di Ziva ed uno per la cerimonia stessa, e due di “conclusione” molto brevi. Spero quindi, che abbiate ancora un pochino di pazienza per arrivare fino alla fine.

Questo capitolo è stato abbastanza difficile. Ci volevo mettere qualcosa in più del passato dei nostri due, toccando un argomento lasciato sempre molto sul vago, come i rapporti con le rispettive madri, così qui sono andata completamente di fantasia. Allo stesso tempo però non volevo che fosse troppo pesante e dare un po’ di spazio a McGee, lasciato da me volutamente molto sullo sfondo per tutta la storia, però volevo uno spazietto tutto per i due amici prima della fine.

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** The One ***


… tell me that you want me
And I’ll be yours completely, for better or for worseI
know we have our disagreements

We’re fighting for no reason, I wouldn’t change it for the world
Cause I knew the first time that I met you
I was never gonna let you …


Quella mattina avevamo parlato delle nostre madri, per la prima volta. Forse era un modo per sentirle più vicine, forse dovevamo solo abbattere un argomento tabù che non avevamo mai affrontato. Dei nostri padri invece, avevamo parlato spesso: li avevamo conosciuti entrambi e non sapevo se dire per fortuna o purtroppo.
Senior era l’adulto che non sarebbe mai cresciuto, aveva fatto soffrire molto Tony da bambino ma non per cattiveria, per incapacità di prendersi cura di un figlio, catapultato dopo la morte della moglie in una situazione che non era in grado di gestire, impaurito dai sentimenti suoi ed anche da quelli del figlio. Però a Tony gli voleva bene a modo suo, anche se non glielo dimostrava, ma in compenso non perdeva mai occasione di mostrare quanto fosse felice che ci sposassimo, ma l’argomento Anthony DiNozzo Senior con Tony era sempre un tasto doloroso e quanto accaduto dopo l’aver conosciuto Nathan non aveva migliorato le cose, per questo non lo avevamo più incontrato. Ma domani ci sarebbe stato, lo avevo detto a Tony e su questo ero irremovibile, se non l’avesse chiamato lui lo avrei fatto io. Si convinse a farlo e ne fui felice, perché sapevo che in caso contrario poi si sarebbe pentito, perché anche lui a suo padre voleva bene, nonostante tutto.
Mio padre non c’era più, ma Tony aveva avuto modo di conoscerlo, anzi aveva avuto la sfortuna di conoscerlo anche troppo da vicino e di vedere in lui solo il Direttore del Mossad. Pensandoci bene facevo fatica anche io a ricordarmi in tempi recenti mio padre in qualche versione diversa, forse solo i giorni prima che morisse, ma avevo dovuto ricredermi anche su quello, visti gli sviluppi che poi c’erano stati.
Mi era capitato più di una volta di pensare a questo momento se mio padre fosse sempre vivo. Probabilmente la mia vita sarebbe stata del tutto diversa, non sarei mai tornata in Israele e chissà se io e Tony avremmo mai trovato il coraggio di fare quel passo in più che solo l’urgenza di una situazione che stava precipitando, ci ha portato a fare. Però sono sicuro che se fossimo arrivati qui, alla vigilia del nostro matrimonio, Tony avrebbe fatto tutto secondo i suoi canoni di gentiluomo, andando anche a chiedere la mia mano a mio padre, che avrebbe anche potuto rispondergli che sarebbe stato lui a prendere la sua, chiedendogli se preferiva la destra o la sinistra. Forse dire che lo odiasse era troppo, l’odio per lui era un sentimento tanto nobile quanto l’amore, degno di essere riservato solo ai grandi nemici e non considerava Tony nemmeno questo. Però aveva una profonda avversione nei suoi confronti. Gibbs una volta mi ha detto che era perché lui, da padre, si era accorto prima di me cosa c’era tra noi. 
Chissà se lo aveva veramente capito che sarebbe stato lui, che sarebbe stato proprio Tony che tanto biasimava, l’uomo che meritava il mio amore, quello con il quale avrei ballato per tutta la mia vita. Se fosse qui avrebbe provato a dividerci in tutti i modi, facendo leva sui miei sensi di colpa e chissà se ci sarebbe riuscito ancora. O forse avrebbe fatto anche di peggio… Un pensiero orribile attraversò la mia mente, ma lo scacciai via subito. Non aveva senso pensare a questo, non adesso. Mio padre era morto e con lui tutte le sue pressioni psicologiche che aveva sempre esercitato su di me. Aveva condizionato anche troppo la mia vita, anche da morto, fino a poco tempo fa. Era ora di mettere una pietra sopra a tutto quello che era stato.

Dopo che Tony era uscito notai una busta sul tavolo della cucina con un post-it sopra.
“Da parte di Gibbs. Tony”
Tolsi il post-it e e presi la busta. In quel momento mi venne in mente che da mesi avevo un’altra lettera da leggere e non l’avevo mai fatto. Inizialmente mi era proprio passato di mente, poi con tutti gli eventi che si erano susseguiti non mi interessava nemmeno più sapere quello che c’era scritto. Ma lì, quella sera, con quella lettera di Gibbs in mano, ripensai alla lettera di mio padre trovata nella cassetta di sicurezza insieme a quegli inutili documenti. L’avevo lasciata per tutto il tempo nel fondo del cassetto del comodino, nascosta sotto libri ed altre cose, ma sapevo che era sempre lì. La presi ed ora avevo entrambe le lettere in mano. Feci un respiro profondo ed aprii quella di mio padre. Riconobbi subito la sua elegante calligrafia ebraica, con i segni leggermente arrotondati, dolci. Nessuno avrebbe pensato che quella era la scrittura di Eli David.

“Ciao Figlia Mia.
Se sei arrivata fino a qui vuol dire che io non ci sono più, che le cose non vanno come devono andare e che le persone di cui mi potevo fidare erano molte meno di quelle che credevo. Però se leggi questa lettera vuol dire che quello che ho fatto nella vita non è stato del tutto vano e che avevo ragione a dire che solo tu avevi la chiave per arrivare qui.

Forse non te l'ho mai fatto capire in vita quanto fossi orgoglioso di te, anche se non ho sempre condiviso le tue scelte e le tue prese di posizione. Sei riuscita a diventare uno dei nostri migliori elementi, stimata e temuta da tutti i tuoi compagni anche molto più esperti di te, la migliore allieva che abbia mai avuto, un vanto per il nostro paese. Avrei sempre voluto tenerti più vicino più legata alla nostra terra ed alla nostra patria ma tu volevi qualcosa di diverso qualcosa in più o forse solo ti dava fastidio essere la figlia del capo.

Non ti dico cosa fare di questi documenti, perchè saprai sicuramente tu quale sia la giusta decisione.  Ti auguro di capire perchè mi sono comportato così e che tu prima o poi riesca a comprendere quale sentimento mi ha animato e che tu lo possa condividere. Il nostro è un mondo complicato, la nostra terra ancora di più, ma ha bisogno di persone come te e magari ora che io non ci sono più per te sarà più facile amarla, anche se probabilmente oggi non è un posto sicuro per te se vuoi continuare a rimanere al di fuori di quelle convenzioni che hai rinnegato.

Avrei voluto che fossi tu a prendere il mio posto, avresti avuto tutte le capacità per farlo e saresti stata la migliore, la più rispettata. Ti auguro comunque di essere felice, qualunque scelta farai. Ti auguro una buona vita, Ziva.
Papà.

La mia scelta era diversa, non sarebbe mai stata la sua. Presi l’altra lettera, quella di Gibbs. Sorrisi, era molto più breve, molto da lui.

Ciao Ziva,
Come sai non sono un uomo di tante parole.

Ti auguro di essere felice ovunque tu voglia esserlo e non lasciarti condizionare dai ricordi e dalla voglia di cambiare il passato perché non si può fare. Ora hai una famiglia un uomo che ti ama veramente, uno che non ha paura di rischiare anche la sua vita per te, di anteporre la tua felicità alla sua, non ha paura nemmeno di sposarti e sai bene com’era.
Ricordatelo in tutti i momenti difficili, che ci saranno, come per tutti. Ma ricorda sempre come siete arrivati fino a qui e capirai quanto è importante. Se devi combattere per qualcosa, fallo per te stessa e per la tua famiglia, non contro il tuo passato, perché non si combattono i fantasmi. Non cercare la felicità, cerca le cose che ti rendono felice e la troverai lì. 
Goditi ogni momento, vivi tutto fino in fondo, non rimandare, non aspettare, lasciati andare e quando vorrai qui mi troverai sempre “come un padre”. 
Gibbs”

Una era la lettera di un padre, l’altra quella di un capo. La cosa più difficile era decidere quale era di uno e quale dell’altro.
Nathan mi raggiunse mentre ancora tenevo le mani sugli occhi per cercare di elaborare quello che avevo appena letto. Si fermò davanti a me guardandomi attento senza dire nulla, come ormai faceva spesso. Pensai che da chiunque avesse ripreso, lo spirito di osservazione era nel suo DNA, quindi non mi dovevo sorprendere da questi atteggiamenti investigativi.
- Ehy piccolo che ne dici se stasera ci mangiamo una bella pizza io e te?
La sua risposta entusiasta non lasciava repliche. Ordinai subito e ci mangiammo sul divano insieme la pizza guardando per l’ennesima volta Arlo. 

Quella sera decisi che Nathan avrebbe dormito con me. Ero nervosa, sì, ero molto nervosa adesso. Il giorno seguente mi sarei sposata con lui. Ci potevo credere? Io e lui ci sposavamo. Lui che non aveva mai considerato una storia veramente seria in vita sua, ed io che non avevo mai considerato seriamente l’idea di una famiglia, non perché non l’avessi voluta, ma perché non ritenevo possibile che potessi, un giorno, veramente potermela costruire, dopo le delusioni del passato. Eppure le partecipazioni dicevano così: Ziva e Tony. Io e lui siamo diventati noi, noi tre prima di essere noi due.
Non l’avrei ammesso mai, ma ero nervosa e stringere tra le braccia mio figlio mi avrebbe calmato, come quando appena nato passavo le giornate a piangere e a preoccuparmi e solo quando lo stringevo a me trovavo un senso a tutto e stavo bene. Il mio bambino, la mia ancora che mi ha tenuto ormeggiata alla vita quando pensavo di lasciarmi andare, sopraffatta dagli eventi che non sapevo come controllare. Poi mi sorrideva e passava tutto e tutte le cose tornavano al loro giusto posto nel mondo. Mi stupivo di me stessa di come tutto sommato con lui ero riuscita a diventare una buona madre da subito, senza falsa modestia. Non che non mi piacessero i bambini, ma quelli degli altri, presi a piccole dosi. Una delle cose che mi spaventava di più durante la gravidanza era di dover avere qualcuno che dipendeva da me continuamente, che non mi avrebbe lasciato i miei spazi di liberà e di autonomia. Poi dopo che era nato mi rendevo conto che ero io che dipendevo da lui, continuamente. Che avevo più bisogno io di lui di quanto lui, forse, non ne avesse di me. Perché lui aveva bisogno di me per le cose materiali: mangiare, essere pulito, lavato… Fondamentalmente questo avrebbe potuto farlo chiunque. Non allattarlo, certo, ma chiunque poteva comunque sfamarlo. Se lui fosse stato con qualunque altra persona al mondo i suoi bisogni sarebbero stati soddisfatti ugualmente e forse piccolo com’era non si sarebbe accorto della differenza. I miei no. Io avevo bisogno di lui. Della sua presenza, di mio figlio. Del calore del suo corpicino sdraiato su di me, di averlo tra le braccia, di sentirlo, di respirarlo. E in quella notte lui era cresciuto e non avrebbe più dormito sul mio petto, ma stretto vicino a me, ma il mio bisogno di lui era uguale. La stessa urgenza di sentirlo mio di quando era appena nato, quel filo che lega una madre al proprio figlio che non si può spezzare mai, per niente al mondo, che fa ruotare tutto il mondo in funzione sua, quel bisogno ancestrale di sentirlo, del contatto, per accertarsi in ogni istante che fosse lì, vivo, che stesse bene. Il bisogno di ascoltare ogni singolo respiro ed avere bisogno di quelli suoi più dei propri per vivere, come se fosse la sua aria quella che fa riempire i propri polmoni, ed il suo cuore che batte che fa battere il mio, come se i movimenti fossero collegati, sincronizzati. 
Poi avevo passato intere notti insonni, quando tra una poppata e l’altra invece che provare a dormire qualche ora, lo mettevo nel letto con me e lo guardavo. Solo quello. Con la luce soffusa in camera lo guardavo addormentarsi e lo guardavo dormire. E più lo guardavo, più era perfetto con i suoi boccoli ribelli e le labbra rosse e non riuscivo mai a capacitarmi come quel piccolo miracolo era nato da me, come io avevo effettivamente aver fatto qualcosa di così bello e puro. Ero scappata via per cambiare la mia vita, rimettere apposto i pezzi, perché dovevo rendere orgogliosa Gibbs, che aveva sempre avuto fiducia in me. Non avrei mai pensato che il mio percorso sarebbe stato questo quando salutai con quel bacio straziante Tony che tornava qui, a casa. Non sapevo cosa avrei fatto e da dove avrei cominciato, ma sicuramente non pensavo che avrei ricominciato dal dovermi prendere cura di una nuova vita.
Mi sembrava ieri e, invece, erano già quasi tre anni da quando era nato: mi sembrava che il tempo stesse scivolando via troppo velocemente.

Il cellulare vibrò sul comodino. Nathan non se ne accorse nemmeno e continuò a dormire.
“Ciao futura moglie, mi manchi da morire. Ti Amo il tuo futuro marito”
Sorrisi.
“Ciao futuro marito. Mi manchi tantissimo anche tu, anche se adesso c’è un altro uomo che dorme abbracciato a me, spero tu non sia geloso”
“Solo se quell’uomo ha metà del mio splendido patrimonio genetico, allora è autorizzato. Non vedo l’ora che sia domani”
“Nemmeno io. Ti amo. Z.”

Pensavo che avremmo potuto continuare a mandarci messaggi senza dormire per tutta la notte, ma Tony capì che forse era meglio dormire per qualche ora. Mi addormentai con tutti quei pensieri per la testa che nemmeno i messaggi di Tony avevano scansato, stringendolo a me più che potevo e a lui piaceva e ricambiava il mio abbraccio.

La mattina mi svegliai prestissimo, mi guardai allo specchio e pensai che avevo un aspetto orribile considerato che era il giorno del mio matrimonio. Abby arrivò poco dopo portando tutta la sua energia dentro casa ed il suo entusiasmo. Se qualcuno ci avesse visto avrebbe pensato, dalle nostre facce, che chi si sarebbe sposata sarebbe stata lei. Acconciatura, trucco, vestito, Nathan che non si voleva far preparare, Abby fu ben presto presa dall’agitazione della giornata: correva per casa in preda al panico più di me e mi diceva di stare calma. Ok, dovevo stare calma. Calma.

Suonò il campanello. Ancora in accappatoio andai ad aprire.
Davanti alla porta c’era un ragazzo sorridente con un bouquet di rose bianche e orchidee.
- Buongiorno, fiori per lei, è lei Ziva David?
Un flash. Tel Aviv, solo qualche mese prima. I fiori, la foto di Tony, la mia collana, la corsa verso di lui, la bomba, la sparatoria, Tony avvelenato, Nathan rapito dal Mossad. Mi trovai improvvisamente bloccata, con lo sguardo perso nel vuoto, rivedere come in un film la mia vita degli ultimi mesi che scorreva via e tutte le sensazioni peggiori si alternarono in pochi secondi dentro di me. Ansia, paura, terrore, disperazione, angoscia, dolore fisico e morale. E poi ancora Tony sofferente sul letto a Tel Aviv, io in ospedale e lui che se andava urlando, il senso di vuoto per quel bambino che non sarebbe mai nato, la voce di Nathan al telefono e la sua mancanza che era così forte da fare male. “Basta Ziva! Non pensare più, non pensare più
- Allora signora è lei? - Chiese spazientito il ragazzo
- Li prendo io! - La voce di Abby mi riportò alla realtà
- Auguri eh! - Disse prima che la mia amica chiudesse la porta
- Grazie - sussurrai.
- Ehy Ziva, tutto ok? Stai bene? - Abby mi passava la mano davanti agli occhi come a volersi assicurare che ero presente a me stessa.
- Sì Abby, scusami. Sono solo stata sopraffatta dai ricordi. È successo così tanto in così poco tempo che alcune volte ritorna in mente tutto tutto insieme.
- Dai siediti, rilassati un attimo, bevi un po’ d’acqua e guarda chi ti manda questi fiori… - mi disse facendomi l’occhiolino mentre mi accompagnava ad uno degli sgabelli della cucina e mi porgeva un bicchiere colmo d’acqua fresca
Mi sedetti, bevvi solo un sorso per farla contenta ed aprii il biglietto
Ecco il tuo mazzo di orchidee, donna della mia vita. Ti Amo Tony
Ripensai a quella sera, a tutti i problemi superati più volte, per arrivare fino a lì. A quante volte avevamo rischiato di perderci e non ritrovarsi più, ma alla fine ce l’avevamo sempre fatta. E ce l’avremmo fatta ancora, perché io lo sapevo, la vita non era semplice e i “vissero felici e contenti” dopo i matrimoni esistevano solo nei film, anzi nelle favole. Avremmo affrontato tutto insieme, era questa la mia unica convinzione quel giorno, ma non volevo pensare al futuro, la mia massima idea di futuro, ora, era da lì a qualche ora.

Non feci in tempo a riporre il biglietto che suonarono ancora alla porta. Abby era alle prese con Nathan particolarmente capriccioso quella mattina, perché ovviamente se un bambino può fare i capricci sceglie sempre la giornata meno adatta.
Aprii la porta ed un signore distinto di mezza età aveva in mano una scatola blu con un fioco argentato.
- Buongiorno è lei la signora David?
- Sì, sono io - Ripetei questa volta senza timori
- Questo è per lei da parte del signor DiNozzo. Le nostre più sentite congratulazioni signora - mi disse porgendomi la scatola
- Grazie, molto gentile

Sciolsi il fiocco, aprii la scatola e rimasi immobile a vedere il contenuto.
Presi il biglietto contenuto nella scatola “Siamo noi. Così diversi ma così uguali, che finiscono per fondersi insieme e creare qualcosa di bellissimo. Spero che oggi credi a quello che ho scritto

Abby arrivò con Nathan in braccio finalmente almeno lui vestito
- Ehy se piangi dobbiamo rifare tutto il trucco.
- Credo che dovremo rifarlo allora… - sorrisi mentre mi scendeva una lacrima sul volto.
Abby si avvicinò guardò dentro la scatola. C’era un collier: una parte ricoperta di piccoli diamanti si andava ad intrecciare e fondere con una completamente liscia.
Gli feci leggere il biglietto, non so perché, avevo bisogno di condividere questa cosa con qualcuno.
- Ziva così fai piangere anche a me però!
- Mamma perché piangi?
- Niente Nathan, tutto bene. Come sei bello oggi!
- A me non mi piace questo vestito.
Io e Abby ridemmo mentre lui sbuffando andava a giocare con il pallone.
- Lo vuoi mettere oggi? - Mi chiese Abby
- Assolutamente.
Quando Abby lo prese dalla scatola per allacciarmelo me lo mostrò dietro
- Che c’è scritto?
Era un’incisione in ebraico. La lessi e chiusi gli occhi
- Ehm se si può sapere eh… se no fa nulla… 
- “Perché non posso vivere senza di te” c’è scritto questo.
- Il biglietto allora si riferisce a quello che c’è scritto qui. - Disse indicando la scritta
- Sì…
- Oh immagino che per voi sia una frase importante allora! Beh per chi non lo sarebbe, a me se una persona dicesse una cosa così la sposerei immediatamente senza pensarci due volte!
- Tony me lo disse quando venne a prendermi in Somalia. - Le parole mi uscirono senza un motivo. Solo McGee che era lì con noi era a conoscenza di quanto Tony mi aveva detto, ma non ne aveva mai più fatto parola e questo per me significava molto, mi faceva capire quanto la lealtà ed il rispetto di Tim nei nostri confronti fossero assolute. Mai con nessuno avevo fatto parola di quello che era accaduto durante quel periodo, nemmeno Tony sapeva nulla e non avrebbe mai dovuto sapere. Ma quel giorno, dopo aver letto quella frase, sentii il bisogno di spiegare il suo significato ad Abby, il cui abbraccio appena ritornata all’NCIS dopo quei lunghi mesi è uno dei ricordi più belli che conservo ancora.
- Ziva!!! E tu hai aspettato tutto questo tempo??? 
E continuò la sua infinita ramanzina sul quanto siamo stati stupidi in tutti questi anni eccetera eccetera. Come se non ci avessimo già pensato da soli a dircelo chissà quante volte. Fortunatamente con le sue chiacchiere infinite riuscì a farmi passare di mente quei ricordi tristi che quella mattina decidevano di venire tutti a galla.

Dovetti rifarmi il trucco da capo. Andai in camera mentre Abby rimase a giocare con Nathan. Era il momento di mettermi il vestito ed ora ero decisamente nervosa. La mia amica insisteva per aiutarmi, ma in quel momento avevo solo bisogno di stare da sola. 
Entrai nella cabina armadio, estrassi il porta abiti bianco, lo appesi a feci scorrere lentamente la zip, fino a quando non mostrò tutto il suo contenuto. Non lo aveva visto nessuno quell’abito. Ero andata per due giornate intere con Abby a provare abiti da sposa, ma non ne trovavo uno che sentivo mio. Erano bellissimi, ma nessuno era lui, nessuno quando lo indossavo e mi guardavo mi dava quel brivido che mi faceva pensare che era quello l’abito con il quale volevo andare incontro a Tony, per sempre. Poi un pomeriggio mentre passeggiavo sola per Georgetown mi trovai davanti ad un negozio di abiti da sposa, uno di quelli dove non ero mai entrata. Mi ritrovai a girare tra i modelli quando ne vidi uno. Una commessa si avvicinò sorridendomi. Chissà quante spose aveva visto nella sua vita, quante erano passate lì ed avevano trovato quello che volevano. Guardò l’abito, guardò me. “È lui vero?” parlava dell’abito come se fosse una persona, però sì, era lui. E quando lo indossai e mi guardai la sensazione che fosse “lui” fu ancora più forte. Era elegante e semplice, con un taglio lineare e dal morbido tessuto di seta, con dei leggeri drappeggi che accarezzavano le curve. Un abito in stile greco, mi disse la ragazza, sottolineando che avevo anche i giusti “colori” e che vestita così sarei potuta essere un personaggio di un poema epico. Sorrisi, pensando a quante frasi ad effetto avevano preparato, sicuramente una per ogni tipologia di vestito, ma a me non importava quello che diceva lei, era il vestito che mi stava parlando e quando lo provai quella sensazione aumentò al punto che guardandomi allo specchio cominciai a piangere da sola del mio riflesso. Vestita così era tutto più reale. Dovetti far fare solo poche modifiche per la lunghezza e le spalle. Lo ritirai pochi giorni dopo, quando lo provai per la seconda volta ed era perfetto.
Ora era qui, lo stavo prendendo tra le mani e lo avrei indossato, non era una prova. La lucentezza della seta faceva quasi sembrare risplendere il tessuto mentre scorreva sulla mia pelle. Mi guardai di nuovo allo specchio e sospirai. Chiamai Abby per aiutarmi a chiudere la cerniera sulla schiena e vidi nello specchio la sua espressione meravigliata nel vedermi con quel vestito. All’inizio era rimasta molto delusa che lo avessi comprato senza dirle nulla, da sola, ma credo che nel vedermi, dalla sua espressione, si sia convinta che la scelta fosse quella giusta.

- Ziva… è… io… insomma… tu… Avevi ragione. E’ proprio quello giusto!
- Dai, Abby, dammi una mano!
Chiuse la zip, mi voltai su me stessa, misi le scarpe con il tacco decisamente alto e mi guardai di nuovo. Era esattamente quello che volevo, come lo volevo.
- Niente velo? - Mi chiese
- No, niente velo, delusa?
- Un po’, però sei bellissima così, hai ragione.
La collana che mi aveva regalato Tony era incredibile come fosse perfetta per quella scollatura, mi venne quasi il dubbio che avesse visto il vestito prima! Stevy citofonò puntuale: era venuto ad aiutarci per portare tutte le cose.
Avevo il bouquet, le scarpe erano apposto, come unico gioiello avevo indossato il regalo di Tony. I capelli sciolti sulle spalle formavano delle grandi onde. Abby mi seguiva con Nathan e tutte le sue cose, perché sicuramente subito dopo la cerimonia avrei dovuto cambiarlo, speravo almeno non prima. 

Il posto era perfetto, così come lo avevo immaginato. 
Nel giardino dell’hotel un arco di fiori bianco apriva la strada ad una passerella dello stesso colore. I nostri amici erano tutti seduti sulle  sedie ai lati, sempre bianche, addobbate con fiori di mughetto che profumavano tutto l’ambiente. 
E poi in fondo c’era lui che mi aspettava sotto il piccolo gazebo fiorito. Lo vedevo sorridere raggiante mentre teneva in braccio Nathan. Erano vestiti uguali.
Mi guardavo intorno aspettando Ducky, quando mi accorsi che era seduto vicino a Palmer e sua moglie che teneva in braccio la loro bambina e nello stesso momento sentii un braccio forte che prendeva il mio.
- Andiamo Ziva? Tony ti aspetta.
- Gibbs!
- Posso avere l’onore di accompagnarti?
- Non potevo desiderare di meglio. 
Non mi rispose, ma non mi aspettavo una risposta. Mi diede un bacio sulla fronte e mi mise tra i capelli un fermaglio. Era una farfalla con le ali puntellate di piccole pietre blu.
- Qualcosa di vecchio e di blu… - Mi disse Gibbs
- Non sono superstiziosa - Le risposi imbarazzata ma ebbi paura di essere stata sgarbata.
- Lo so, ma volevo che lo avessi tu. 
Non gli chiesi altro, non era quello il momento di fare troppe chiacchiere.
Solo molto tempo dopo venni a sapere la storia di quel fermaglio che lui e Shannon avevano comprato per la figlia quando aveva scoperto di aspettare una bambina, con l’idea di darglielo il giorno delle nozze. Ringraziai Gibbs di non avermelo detto lì mentre mi stavo per sposare, altrimenti sarei arrivata da Tony piangendo senza soluzione di continuità. Era stato un regalo splendido, da custodire per sempre tra le cose più care. 
Strinsi forte il suo braccio per darmi coraggio mentre il mio sguardo era fisso su Tony che mi aspettava alla fine del tappeto bianco con il suo sorriso più smagliante disegnato nel volto. Ora teneva per mano Nathan, in piedi davanti a lui vestito uguale che mi guardava incuriosito e poi si guardava intorno per scrutare i volti di tutte quelle persone che ormai aveva imparato a conoscere, salutando con la manina quando vedeva qualcuno di cui non si era accorto in precedenza. 

Erano il mio mondo, la mia perfezione, e mi aspettavano a pochi passi da lì.

 

 

NOTE: Questo capitolo non ha cambi di narratore, è tutto dal punto di vista di Ziva. È la sua notte prima delle nozze, con le sue paure, le sue riflessioni, il suo resoconto sulla vita, un bilancio prima di una tappa così importante. Lei e suo figlio abbracciati sul letto, e tanti pensieri per la testa. Il paragone tra le due lettere che legge le lascia un dubbio che le farà male.
Poi c’è la frenesia della mattina dopo, con i preparativi, le consegne che arrivano e quella paura che dura solo un attimo quando le consegnano i fiori, ricordando che da lì era partito tutto, pochi mesi prima e dimostrando che, correndo così come hanno fatto loro da quando si sono ritrovati, non si sono lasciati il tempo di assimilare bene tutto quello che è successo. 
Arrivano nel luogo scelto e c’è la prima sorpresa. Tony non poteva non far esaudire quel desiderio di Ziva che era rimasto inespresso no? Quindi sarà Gibbs a portarla all’altare, ovviamente! “Come un padre”. 
Spero vi sia piaciuto e di non essere andata troppo fuori strada. Fatemi sapere che ne pesate.
Vi lascio ancora un po’ di attesa per la cerimonia, ma credo che ci voglia un capitolo dedicato, no?

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Amazing Grace ***


 … Amazing Grace! How sweet the sound.
That saved a wretch like me!
I once was lost, but now I am found.
Was blind but now I see …

 

Le note di “Amazing Grace” cominciarono a risuonare in giardino. Qualcuno rimase stupito della scelta di quel brano, cristiano, in un matrimonio laico, ancora di più chi sapeva che lo avevo scelto io. Ma per me era stata la scelta perfetta, perché la mia “Grazia”, colui che mi aveva salvato, era lì davanti a me e lo stavo per sposare. Era lui che mi aveva condotto in salvo fino a lì, a quel giorno, attraversando pericoli, le fatiche e le insidie, aprendomi gli occhi alla vita, facendomi ritrovare quella me stessa che non conoscevo più, dando sollievo alle mie paure e speranza nel futuro.

Arrivammo davanti a Tony, ci guardavamo con gli occhi che brillavano sorridendo come due bambini, imbarazzati e felici. Avevamo gli occhi di tutti addosso, come normale che fosse in quell’occasione, ma forse per la prima volta, non mi importava nulla, non me ne stavo nemmeno accorgendo.
- Pivello, mi raccomando, tratta bene la mia ragazza eh!
- Agli ordini Capo, non ti preoccupare.
Mi diede un altro bacio sulla fronte e prese in braccio Nathan prima di mettersi a sedere in prima fila vicino a Senior con la sua ultima fiamma.
Tony mi prese la mano e ci voltammo verso il celebrante. Ai nostri lati McGee e Abby, i compagni di sempre, che ci erano vicini anche in questa nostra ultima “missione”.

- Se vuoi sei ancora in tempo per ripensarci eh!
- Tony… - Lo incenerii con lo sguardo e mi bastò pronunciare il suo nome
- Scusa… - Si lasciò sfuggire un ghigno, felice di aver provocato quella reazione

Feci un respiro profondo, mi voltai a guardarlo nuovamente. Istintivamente allungai la mia mano verso di lui, che non la vide, ma lo percepì e fece lo stesso, prendendola e stringendola, lasciando che le nostre dita si incrociassero e bastò questo per darmi la tranquillità necessaria. Quello che percepii, in quella stretta prolungata e disperata, era che Tony non mi aveva preso la mano per farmi coraggio e rassicurarmi, ma che era lui quello che mi stava cercando per avere un supporto in quel momento. Lo guardai nuovamente ed il suo sorriso gioioso di poco prima ora era teso. Alzai le nostre mani congiunte e diedi un bacio sul dorso della sua, il tutto sotto lo sguardo dell’officiante che sorridendo aspettava che fossimo pronti. Ne aveva sposate tante di coppie, sapeva che ognuna aveva i suoi tempi, il bisogno di qualche minuto in più solo per loro. E noi ce lo stavamo prendendo.

Ascoltammo le formule di rito quasi distrattamente, lanciandoci qualche occhiata complice di tanto in tanto. La funzione fu breve, l’officiante, infine,  ci invitò a leggere le promesse che avevamo scritto di nostro pugno, cominciando da Tony. Teneva il suo foglietto in mano, ma sembrava averle imparate a memoria perché per tutto il tempo non abbassò quasi mai lo sguardo dai miei occhi, o forse stava dicendo tutt’altro rispetto a quello che aveva scritto, ma non mi importava.

- Ziva David sei la persona più difficile che ho mai conosciuto. Sei stata la mia sfida, dal primo giorno che ti ho vista, quando non riuscivo a pedinarti senza farmi scoprire. Più non riuscivo a conquistarti, più ti volevo, perché io ti ho sempre voluta e quando ormai mi ero arreso all’idea che il destino giocava contro di noi, è stato il destino a riportarmi letteralmente da te. Io non so quando mi sono innamorato di te, ma ricordo mille momenti in cui so che già ti amavo, molto prima di dirtelo. Per noi non c’è mai stato nulla di facile, di scontato o normale. Abbiamo sempre dovuto correre e rincorrerci, come se non arrivavamo mai in tempo allo stesso appuntamento. Però quando ci siamo trovati ho capito che tutto quello che avevo fatto aveva trovato il suo significato. Noi insieme possiamo fare il nostro mondo più bello, possiamo fare cose bellissime e nostro figlio è la prova di quanto il nostro amore era forte quando nemmeno noi lo sapevamo. E se per arrivare a te mi dicessero di rifare tutto da capo, io rifarei tutto per essere qui oggi. Non c’è sofferenza, non c’è fatica e non c’è paura che non sia valsa la pena di averla vissuta. Non c’è posto al mondo nel quale non ti verrei a cercare e riprendere per essere oggi davanti a te a prometterti che per te ci sarò per sempre.

Prese la fede che gli aveva passato McGee, gli diede un bacio e la fece scivolare lungo il mio dito, fino a quando si congiunse con l’anello di fidanzamento.
- Ziva, Tocca a te. - Disse il celebrante. Non avevo scritto nulla, perché nei giorni precedenti non ero riuscita a mettere nero su bianco nessun pensiero degno di quel momento. Avevo provato più volte a scrivere qualcosa in qualsiasi lingua ma niente. Guardai Tony negli occhi e lasciai che le parole uscissero spontanee.

- Ho vissuto due vite. Una prima ed una dopo di te. Tu con la tua amicizia, la tua sincera fedeltà, la tua fiducia totale in me, il tuo amore hai saputo cambiarmi, mi hai fatto scoprire una parte di me che credevo non esistesse, almeno non più. Tu hai visto la parte peggiore di me e l’hai amata. Mi hai amata quando non lo avrebbe fatto nessuno, quando non lo avrei fatto nemmeno io. Hai sfidato la sorte per me, ti sei messo in gioco più di quanto nessuna persona sana di mente avrebbe fatto. E lo hai fatto per me. Mi hai salvato la vita tante volte, ma non quando eravamo in missione, ogni volta che ci sei stato nonostante tutto, soprattutto nonostante me. Mi hai dato fiducia quando ero sola. Hai perdonato i miei sbagli prima che potessi farlo io stessa. Tra le tue braccia mi hai fatto sentire una bambina protetta quando piangevo, un’amica quando ridevamo insieme, una donna quando mi amavi per quella che ero, senza chiedermi nulla. Mi hai donato la speranza quando la mia vita mi sembrava finita, mi hai fatto capire cosa vuol dire essere amati senza secondi fini e cosa è una famiglia e poi… poi mi hai donato Nathan… Tutto quello di bello che ho nella vita comincia e finisce con te e voglio che sia così per sempre.

In quel momento potevamo essere in mezzo mille persone o noi due da soli al mondo: l’unica cosa che riuscivo a vedere erano i suoi occhi commossi, come erano anche i miei. Abby mi passò la fede, toccandomi un paio di volte sul braccio prima che mi rendessi conto di cosa dovevo fare. Solo ora che l’avevo in mano, vidi per la prima volta le fedi che aveva scelto per noi, non ci avevo fatto caso nemmeno quando mi aveva messo la mia. All’esterno erano semplici, bianche, di platino, piatte. La cosa che mi stupì fu l’interno, dove c’era un diamante, invisibile da fuori, e in nostri nomi incisi. Diedi anche io un bacio all’anello e tremando riuscii a infilarglielo. Lui sorrise vedendo quella incertezza che non era dettata da ripensamento ma solo da emozione.

Il celebrante ci dichiarò marito e moglie e Abby fece partire un’esplosione di petali che cadde come una pioggia su di noi. 

- Ti Amo Ziva.
- Ti Amo Tony.
- Manca ancora una cosa…

Si avvicinò fino a quando non appoggiò la sua fronte sulla mia. Sorrideva, gioioso. Mi sussurrò nuovamente “Ti Amo” muovendo solo le lebbra mentre le univa alle mie. Non volevo chiudere gli occhi, lo volevo guardare. Volevo vedere in lui il riflesso del mio stesso sentimento. Quando sentii la morbidezza delle sue labbra, però, chiusi gli occhi sopraffatta in quel momento dalle emozioni e nella mia mente come tanti flash rividi il nostro passato e riuscii a sentire in un solo momento tutte le sensazioni di tutti i nostri baci, da quelli più teneri a quelli disperati e passionali, le cui immagini di alternavano davanti ai miei occhi chiusi, così reali che non sembravano solo proiezioni. Eravamo arrivati fino a lì ed era incredibile.
Riaprii gli occhi solo quando avvertii la mancanza del sue labbra. Eravamo sempre fermi, immobili fronte contro fronte, a sorriderci, a guardarci come se volevamo convincerci a vicenda che era vero.

———————

Ero nella mia bolla, isolato dal mondo, dove eravamo solo io e lei. Il resto scorreva intorno e lo vedevo sfocato perché avevo occhi solo per lei, lo sentivo ovattato, perché tutto quello che volevo sentire erano solo le nostre risate emozionate.
Credo di aver capito in quel momento cosa volesse dire esattamente isolarsi dal mondo per qualche minuto. Non c’era niente intorno a me che mi desse motivo per staccare tutti i miei sensi da lei e da noi. 
Poi qualcosa sbattè contro la mia gamba, la bolla si ruppe, il vociare di sottofondo tornò rumore principale, i volti dei nostri amici intorno si fecero definiti, abbassai lo sguardo e trovai l’unico motivo valido per farmi tornare alla realtà: Nathan appena Gibbs lo aveva rimesso a terra finita la cerimonia era corso verso di noi, voleva far parte del momento ed era giusto che fosse così. Lo presi in braccio e lo baciammo entrambi, era felice anche lui, anche se probabilmente non capiva bene cosa stava accadendo quel giorno. 
Avevamo provato nei giorni precedenti a spiegarglielo ma lui prestava poca attenzione, perché tutti quei discorsi complicati non lo interessavano. Le sue preoccupazioni maggiori erano che se c’era il giardino poteva giocare con la palla e la risposta negativa lo mise di malumore, se c’erano la pizza e le patatine da mangiare e anche qui fu deluso, l’unica cosa che gli fece piacere fu capire che quel giorno era per fare in modo che mamma e papà stessero insieme per sempre. Questo gli era piaciuto, alla condizione però, che dovevamo tenerlo con noi, sempre. Quindi venne la seconda parte complicata, dirgli che per pochi giorni sarebbe stato solo. Ci avevano dato tutti la disponibilità a tenerlo con loro, ma Nathan come sempre, cercò solo una persona: Gibbs. Ci fece promettere tante volte che saremmo tornati presto, che non sarebbe stato tanto solo come l’altra volta e Ziva fu più volte sul punto di annullare tutto o di portarlo con noi. Però poi si convinse e Nathan sembrò felice delle nuove avventure da fare con Gibbs e tutti gli altri che non lo avrebbero lasciato solo un secondo. Ziva mi disse che era felice che Nathan avesse ripreso questo lato così aperto nei confronti degli altri da me, perché lei non era così ed io ero contento che più conoscevo mio figlio, più trovavo delle similitudini tra noi, quando all’inizio tranne che per gli occhi, sembrava fossimo due perfetti estranei.

Il matrimonio fu una cosa molto intima, solo gli amici più cari e mio padre con la sua compagna, ma a me in quel momento sembrava comunque che eravamo in troppi. Allontanai un paio di volte anche in malo modo il fotografo che ci girava intorno e mi chiesi perché lo avevamo voluto, ma faceva parte del “pacchetto” dell’hotel ed eravamo rimasti d’accordo che non doveva farci fare foto posate e non doveva stare troppo intorno. Ero felice ed inquieto. Mi sembravano sempre troppe mani da stringere, baci da dare e persone da salutare. Rimpiansi di non aver fatto un matrimonio sulla spiaggia solo noi due, in bermuda e costume, sarebbe andato bene ugualmente. Poi guardavo Ziva ed era felice, rideva, tanto. Non me lo sarei mai immaginato per una che odiava essere al centro dell’attenzione e mostrare i suoi sentimenti. La tenni sempre vicino a me, mentre nello stesso giardino della cerimonia consumavamo l’aperitivo, cingendola con un braccio, per non farla allontanare. Mi scoprii sposato e molto più possessivo. Mi sembrava tutto superfluo, tutto inutile. Come se dopo quello che ci eravamo detti, poco prima, quando ci scambiavamo gli anelli, tutto questo era superfluo. Stavo entrando in un mood di malumore che rischiava di rovinare quello che doveva essere solo un giorno bellissimo.
Ziva forse se ne accorse e mi trascinò letteralmente in disparte rispetto a tutti gli altri che continuavano a chiacchierare e bere allegramente, non accorgendosi nemmeno della nostra lontananza.
- Va tutto bene? - Mi chiese accarezzandomi il viso
- Certo, va tutto benissimo - Mentii poco convinto
- Cos’è quella faccia allora?
- Non lo so. Vorrei stare solo con te, adesso. Ho bisogno di te. - Dissi tutto d’un fiato e non capivo nemmeno io cos’era quell’urgenza, cosa era cambiato rispetto a prima. Era mia moglie, ma era sempre lei, come il giorno prima, come sarebbe stata per tutti i giorni futuri.
Sorrise alle mie parole, per nulla imbarazzata. Strinse le sue braccia intorno al mio collo e mi baciò appassionatamente, un lungo bacio che diede ossigeno alla mia mente e mi tranquillizzò.
- Va meglio ora? - Mi disse quando ci staccammo per riprendere fiato
- Molto meglio. - Fui sincero.
- Allora che ne dici se possiamo divertirci un po’ adesso? Poi ti prometto che staremo insieme soli, quanto vorrai. - Mi prese per mano e mi riportò dagli altri, che nel frattempo si erano spostati nella sala interna dove ci sarebbe stato il ricevimento vero e proprio.

La sala era addobbata con composizioni di fiori bianchi di vario tipo, dai piccoli centrotavola, alle composizioni più grandi ai piedi delle colonne, fino a dei piccoli richiami sulle tende color avorio che attutivano la luce delle vetrate che davano sull’esterno. In fondo il buffet era già pronto e c’era già chi si stava avvicinando, molto più affollato l’angolo bar, i tavoli erano disposti ai lati lasciando al centro un ampio spazio vuoto. Appena entrammo sembrò che improvvisamente tutti si fossero accorti della nostra presenza perché si fermarono guardando nella nostra direzione. Mi resi conto dopo che tutta la sala fu invasa da una dolce melodia: il trio musicale che avrebbe allietato il nostro ricevimento aveva cominciato a suonare non appena eravamo entrati. Rimasi immobile qualche secondo per ascoltare e sorrisi.
- Te la ricordi? - Mi chiese Ziva 
- Mi concedi questo ballo? - Le risposi
Era la stessa musica che era nel mio stereo il giorno che arrivammo a Washington, quello struggente tema d’amore di Morricone. Come quel giorno appoggiò la testa sulla mia spalla ed io la strinsi a me. Mi sembrò durare troppo poco, ma a fine ballo ci sedemmo per qualche minuto. Andai a prendere due calici di champagne da bere e presi due piatti di un po’ di tutto dal buffet. Nathan arrivò di corsa a sedersi con noi, aveva già abbandonato metà del suo vestito non si sa a chi rimanendo solo con la camicia tutta tirata fuori dai pantaloni, dopo un po’ di coccole dalla mamma sparì di nuovo tra gli invitati e Ziva fu felice che era nostro figlio ad essere più al centro dell’attenzione di noi. Mi stupii quando cercandolo con lo sguardo, lo trovai, con mio grande stupore, in braccio a mio padre, anche Ziva seguì il mio sguardo e quando lo vide mi strinse la mano facendomi un segno di assenso con la testa. Sapevo che non voleva dire nulla, che mio padre non era cambiato per aver preso in braccio mio figlio, che probabilmente sarebbe sparito per farsi rivedere se andava bene tra qualche mese, però Nathan non lo sapeva e contava solo quello.
La musica ricominciò e percepii una presenza in piedi alle nostre spalle, mi voltai ed era Gibbs.
- Posso ballare con tua moglie? - Mi chiese sorridendo
- Certamente! - E sorrisi anche io a sentirla chiamare così, ancora stupito che fosse vero. Quando si alzo, si chinò su di me, mi diede un bacio sulla guancia e mi sussurrò di andare da mio padre, le diedi ascolto e lo feci.
Appena Nathan mi vide davanti a lui, scese dalle ginocchia di Senior per farsi prendere in braccio da me, lo sollevai, gli diedi un bacio e poi lo misi giù, lui si volatilizzò andando a cercare qualcun altro con cui interagire.
- Come ti senti Junior? - Esclamò mio padre con un tono di voce più alto del normale
- Bene papà, felice.
- Sono contento per te.
- Vedo che con Nathan… - non finii la frase perché in realtà non sapevo bene cosa dire
- Junior, spero non ti dispiaccia. È un bambino adorabile. 
- No, papà, va bene così. Mi fa piacere, veramente. Se qualche volta ti va di venire a trovarlo, farà piacere anche a lui… e anche a noi.
- Grazie Junior.
- Di niente papà.

Attraversai la sala e insieme a Ziva e Gibbs che ballavano c’erano anche altre coppie e sorrisi nel vedere Abby ballare un lento, credevo nemmeno conoscesse musica diversa da quella che sparava in laboratorio. Mi avvicinai al pianista e gli chiesi se poteva suonare una canzone, si consultò con la cantante e mi disse che andava bene. Presi un martini all’angolo bar ed aspettai che finisse quel ballo.
Quando le note cambiarono e le coppie si allontanarono, presi Ziva per un braccio mentre andava a sedersi e la portai di nuovo al centro della pista, le note jazz riempirono la sala.
- Balla con me - le dissi - suonano la nostra canzone, tesorino
- Tony… - il suo volto si aprì in un sorriso che ricambiai, sapevo che aveva capito
- Fa come se stessimo insieme - le sussurrai prima che appoggiasse la testa sulla mia spalla.
- Va bene, farò finta che siamo marito e moglie…
- Non troppo finta però… mi sembra che prima sia successo qualcosa, tra me e te… 
- Sì… qualcosa…
Poi non parlammo più, ballammo abbracciati molto più stretti di allora, molto più vicini. Marito e moglie, molto di più.

———————

Ballai quel giorno. Tanto. Più di quanto potessi immaginare. Non fu tutto come avevo sempre immaginato, perché non si riescono ad immaginare le emozioni e le sensazioni che si erano succedute vorticosamente. L’ansia, la commozione, la felicità, la leggerezza.
A metà pomeriggio, quando ormai anche il ricevimento andava verso la conclusione, non riuscivo a sentire la stanchezza di essere sveglia dalla mattina presto dopo una notte quasi insonne, di essere stata tutto il giorno su tacchi altissimi a ballare e camminare da una parte all’altra della sala per parlare e ringraziare gli amici che erano presenti e rincorrere Nathan che scappava in continuazione. Riuscì anche a farmi spaventare, quando all’improvviso non era più nella sala per il ricevimento e nessuno lo aveva visto, fino a quando non uscimmo fuori e lo trovammo a giocare a pallone con Gael e Ayman che vedendoci tutti arrivare fuori in allerta, con Gibbs, McGee, Bishop e Tony già pronti in modalità squadra, si scusarono imbarazzati per non averci avvisato della loro sfida nel prato.
Dopo il falso allarme tornarono tutti dentro per l’ultimo atto della giornata, il taglio della torta al quale Nathan pretese di partecipare e quindi lo facemmo tutti e tre insieme e i miei due uomini, o forse sarebbe stato meglio dire i miei due bambini, cominciarono a giocare e sporcarsi a vicenda con la panna. Lanciai il mio bouquet a malincuore, aveva un significato troppo bello per me, ma dicevano che dovevo rispettare la tradizione e così lo feci, ma almeno volevo scegliere io chi lo avesse, e così lo lanciai ad Abby che mi guardò con un occhiata stupita e desiderosa di farmela pagare, ma quando l’andai a salutare, prima che lasciassero la festa, la abbracciai forte e le spiegai che non volevo che si sposasse, ma solo che tenesse lei una cosa che per me era molto cara. La sua reazione fu la solita reazione di Abby, esagerata, con tanto di pianto ininterrotto sulla mia spalla, al quale si sottrasse solo dopo numerose insistenze da parte di uno Stevy imbarazzato.
La cosa più difficile, però, fu salutare Nathan. Avevo fatto in modo di non pensarci per tutto il giorno, però in quel momento vederlo davanti a me, con il suo viso triste, lui da una parte e noi dall’altra della porta era più complicato di quanto immaginassi. Gli promisi mille volte che lo avrei chiamato sempre, che lui se voleva poteva farci chiamare quando voleva, che saremmo tornati presto. Poi Tony ruppe quel momento, prese in braccio Nathan, si allontanò da noi e si mise a parlare con lui fitto fitto. Non capivo cosa si dicessero, ma vedevo Nathan che annuiva serio e convinto. Quando tornarono era sereno, mi piegai per farmi abbracciare da lui che mi strinse forte e poi tornò vicino a Gibbs impettito ed orgoglioso non so bene di cosa. Anche Gibbs ci salutò, prima Tony, raccomandandogli di comportarsi bene e dandogli un sonoro scappellotto facendo sorridere tutti, poi salutò me e fu un saluto molto sentito, poco da Gibbs. Mi abbracciò, poi mi prese il volto tra le sue mani guardandomi negli occhi per qualche istante nel quale mi prese totalmente impreparata ad una simile reazione ed infine sussurrandomi all’orecchio che sarebbe andato tutto bene e che non avrei dovuto più preoccuparmi. Mi diede un bacio sulla guancia, prese Nathan per mano e si allontanò.

Eravamo rimasti solo io e Tony infine. Mi ero seduta nella scalinata esterna dell’hotel che dava sul giardino dove qualche ora prima ci eravamo sposati. I camerieri si alternavano veloci per portare via ciò che era rimasto della nostra festa, sistemare, pulire, spostare sedie e tavoli. Tony arrivò poco dopo con due calici di champagne si sedette vicino a me. Me ne porse uno, facemmo un brindisi silenzioso tra noi. Tony si sciolse il papillon, sbottonò un paio di bottoni della camicia, e cominciò a giochicchiarci. Appoggiai il mio bicchiere sullo scalino vicino al suo e poi gli presi le mani bloccando quella tortura all’indumento. Lo lasciò cadere ed incastrò le sue dita con le mie. Rimanemmo lì un po’ mano nella mano senza dirci nulla, guardando dritti davanti a noi verso quel giardino e quel punto dove poche ore prima ci eravamo scambiati le nostre promesse.

Avremmo passato lì quella notte e poi la mattina dopo saremmo partiti per la nostra luna di miele. Anche la nostra suite all’ultimo piano dell’edificio non troppo alto, si affacciava sul giardino. Riuscii a far desistere Tony dalla sua idea di portarmi in braccio dentro camera, nonostante la sua insistenza e la sua delusione per fare quel gesto tanto tradizionale. Ma glielo avevo detto: viviamo insieme da mesi, era inutile. 

In camera mi tolsi il vestito e fu una sensazione forte, tanto quanto lo era stato la mattina metterlo. Lo appoggiai sul letto ed indossai una vestaglia, poi rimasi un po’ ad osservarlo, mentre Tony era in bagno a darsi una rinfrescata: sembrava più provato di me dalla giornata. Accarezzavo la stoffa morbida e cercavo di rivivere nella mia mente ogni momento di quella giornata. Andai sulla terrazza e guardai il sole che stava lentamente calando dietro gli alberi del giardino appoggiata alla balausta. Stavo bene. Ero pervasa da un senso di beatitudine come raramente avevo provato. Cominciavo solo a sentirmi un po’ stanca, forse per il calo di adrenalina che avevo mentre mi rilassavo. Avvertii la presenza di Tony, fermo vicino alla finestra, senza uscire fuori. Lui cercava sempre di fare piano per sorprendermi, per guardarmi senza che me ne accorgessi, ma io sentivo sempre quando era vicino a me, quando mi guardava. Lui diceva che erano i miei sensi da ninja, io invece ero convinta che erano le vibrazioni che lui mi trasmetteva. Feci finta di nulla ed aspettai che si decidesse a raggiungermi, una leggera folata di vento mi mosse i capelli sciolti ed in quel momento lo sentii mentre mi baciava tra i capelli e mi solleticava con il suo respiro profondo. Fece scorrere le sue mani sulle mie braccia, provocandomi una strana sensazione sfregando la stoffa leggera della vestaglia di seta sulla pelle. Avrei preferito sentire le sue mani, subito. Poi mi abbracciò, cingendomi con le braccia come in una morsa e chiudendole davanti a me. Mi accorsi che si era cambiato, le sue braccia erano nude, aveva una tshirt nera e sentii vicino alle mie gambe la stoffa ruvida dei jeans. Ci rimasi un po’ male, che bisogno aveva di mettersi i jeans se eravamo io e lui da soli in camera? Abbassai lo sguardo e intrecciai le dita con le sue. Sorrisi quando sentii il rumore delle fedi tintinnare nel contatto. Era una cosa nuova, Tony non portava mai anelli, di nessun tipo.

- Cosa c’è di tanto bello da guardare qua fuori, oltre te? - Mi chiese rompendo quel silenzio tutto nostro
- Un posto speciale - risposi sorvolando sul suo commento da picchi di curva glicemica.
- Sì, quel gazebo è molto bello. Vuoi andare a cena? - La sua richiesta mi colse impreparata. Andare a cena? In mezzo alla gente? No, volevo solo rimanere lì, con lui, fino al giorno dopo quando saremmo andati in aeroporto.
- Per questo ti sei vestito? - Risposi facendo trasparire un po’ di delusione in più dalla mia voce di quello che mi aspettavo
- Come sai che sono vestito?
- Ho sentito i tuoi jeans sulle mie gambe.
- Ninja come devo fare io con te? Comunque mi pare di capire che non vuoi uscire a cena.
- No. - Gli risposi decisa
- D’accordo. - Ridacchiò vicino al mio orecchio facendomi solletico
- Tanto per capire, hai intenzione di passare in totale solitudine tutti i prossimi giorni, oppure pensi che potremmo anche andare incontro ad un po’ di civiltà.
- Totale solitudine - era una risposta che non ammetteva repliche, però il suo silenzio mi turbò. Mi voltai a guardarlo negli occhi. - È un problema? - La mia voce era più incerta. Lui mi fissò e poi rise, di gusto. Gli diedi un pugno sul petto, perché si stava palesemente prendendo gioco di me. Lui bloccò il mio polso e baciò la mia mano, ancora serrata.
- Essere rapito da mia moglie durante la nostra luna di miele ed essere suo ostaggio? No, non è un problema, posso resistere.
Mi tirò verso di lui e mi abbracciò. Mi appoggiai al suo petto rilassandomi qualche istante mentre lui mi massaggiava piano la schiena.
- Se abbiamo fame, c’è il servizio in camera h24 - gli dissi
- Tu hai fame? - Mi chiese prendendomi per mano e portandomi dentro
- Sì, ma non c’è bisogno di chiamare il servizio in camera per quello - gli risposi mordendomi il labbro inferiore per provocarlo

Si sedette in fondo al letto e mi lasciò in piedi davanti a lui. Scostò i bordi della vestaglia, accarezzandomi i fianchi con entrambe le mani aperte a coprire più superficie di pelle possibile. Io giocavo con i suoi capelli mentre lui si accostava per darmi un bacio proprio sotto il reggiseno di pizzo bianco che ancora indossavo. Lentamente sciolse il nodo della vestaglia, facendola scivolare sui lati, sposandola per ancora più visibilità sul mio corpo. Le sue mani percorrevano il mio corpo sotto il leggero indumento fino alla schiena e mi spinse a fare ancora un passo verso di lui che ora lasciava una scia di baci languidi sul mio ventre, mentre continuava  ad accarezzarmi. Ogni volta che percepivo tra le sue mani calde e morbide, il punto più freddo e rigido della fede che mi lambiva la pelle, un brivido più intenso percorreva il mio corpo. Alzò lo sguardo e vidi nei suoi occhi il mio stesso desiderio ma anche una calma e serenità che non avevo mai visto in Tony in quelle circostanze, come se ora fosse veramente, pienamente, consapevole che eravamo insieme e lo saremmo rimasti. Le sue mani arrivarono fino alle mie spalle e delicatamente fece scivolare via la vestaglia che svolazzò fino ad adagiarsi ai miei piedi. Giocava con le dita sulla mia pelle, seguendo linee immaginarie presenti solo nella sua mente, con movimenti lenti e ondulati, salendo e scendendo lungo le braccia ed i fianchi. Era una dolce tortura che speravo potesse terminare presto perché non faceva altro che stimolare i miei sensi che già erano sufficientemente all’erta. Ma non sembrava dell’idea di smettere a breve. Si prendeva tutto il suo tempo, alternava carezze e baci ed io ero in piedi davanti a lui seduto completamente in balia di quello che voleva fare e benché lo volessi, subito, disperatamente, lasciai che giocasse con me e mi feci trasportare nel suo gioco.
Attesi, pazientemente, che slacciasse reggiseno e lo fece con una lentezza calcolata. Mossi appena le braccia per farlo cadere davanti a me e quindi riprese la sua lenta tortura dei miei sensi, con carezze, baci e delicati morsi sui miei sensi ed io stringevo i capelli tra le mie mani ogni volta che una fitta di piacere più intenso arrivava dritta al mio stomaco. Ma Tony non si scomponeva, continuava tra un sorriso dolce e l’altro a portare avanti quello che si era prefisso e a dirla tutta ero un po’ dispiaciuta del fatto che lui non provasse la stessa urgenza che avevo io avere lui, totalmente. Dopo un tempo che a me sembrò infinitamente lungo, anche se non sapevo nemmeno quanto tempo fosse passato da quando eravamo lì, ma che invece per lui era evidentemente quello giusto, le sue mani divennero più audaci e sfiorando appena i miei slip capì quanto lo stavo desiderando e li fece scivolare lungo le mie gambe. Poi si alzò ed ora mi guardava dall’alto verso il basso ed anche il suo sguardo sembrava diverso, la dolcezza aveva lasciato il posto al desiderio e le sue iridi erano diventate di un verde più scuro ed intenso. Prese la mia mano e se la portò sui jeans, come se avesse letto i miei pensieri di poco prima, per farmi sentire che mi voleva, tanto quanto lo volevo io. Mi prese in braccio e mi adagiò sul letto baciandomi con passione, mordendomi le labbra fino quasi a farmi male, poi cominciò a sbottonarsi i jeans e rimasi senza parole quando vidi che sotto non aveva i boxer. Mi sorrise malizioso ed io sperai in quel momento che l’idea di andare a cena in quel modo fosse stata solamente una boutade, ma avremmo avuto modo per riparlarne in seguito. Si mise sopra il mio corpo, senza ormai nulla a separarci. Mi prese il viso tra le mani e riprese a baciarmi mentre il circondavo il suo collo con le mie braccia, ma il momento di giocare ed attendere era finito, chiuse gli occhi ed entrò in me, all’improvviso ed io strinsi le mani sulle sue spalle così forte da lasciarli il segno con le unghie. Era mio marito, potevo lasciargli tutti i segni che volevo, questo pensai. Mi lasciai scappare un gemito più forte, lui riaprì gli occhi per vedere il desiderio sul mio volto e sul suo apparve subito un sorriso soddisfatto della reazione che avevo avuto. Mi domandavo come era possibile che riuscisse ancora a farmi questo effetto ogni volta ed adesso, forse, ancora di più. Il fatto di saperlo mio di fatto, mi provocava mentalmente delle sensazioni ancora più intense ed io mi sentivo sua, ancora di più e non credevo fosse possibile. Ma lo ero ed ero soprattutto felice di esserlo. Rimase fermo dentro di me, fino a quando non vide il mio viso rilassarsi, poi fu solo spazio per sospiri sempre più intensi, gemiti e parole che morivano in gola prima di riuscire a venire al mondo.

Eravamo appoggiati alla spalliera del letto, con un sorriso stampato in volto come due bambini. Ormai era notte, ma non sapevamo da quanto tempo, perché la nostra percezione delle ore era totalmente svanita da quando eravamo entrati in quella stanza. Ero appoggiata al petto di Tony e lui mi cingeva la spalla con il suo braccio mentre le nostre mani sinistre si accarezzano tra di loro, divertendoci a far sbattere le fedi, giocando come due bambini. Guardavo la sua mano con quel cerchietto metallico e non mi sembrava vero, soprattutto non mi sembrava vero che potesse farmi quell’effetto, ero sposata, ero sua moglie e quando lo dicevo sentivo le farfalle nello stomaco.
 Avevo sempre considerato il matrimonio una cosa bella e giusta, per suggellare il nostro rapporto, per essere una coppia stabile anche pensando al nostro futuro, al nostro lavoro ai pericoli che corriamo, al fatto che non saremmo più stati degli estranei si ci accadeva qualcosa, per nostro figlio, anzi per i nostri figli come mi correggeva sempre Tony, perché lui era figlio unico e non voleva che Nathan si trovasse da solo, in futuro, senza un fratello con cui sostenersi a vicenda. A me non dispiaceva l’idea di un altro figlio, però non la ritenevo una esigenza primaria, probabilmente se Tony non avesse avuto questo grande desiderio di avere un altro figlio nemmeno ci avrei pensato. Non avevamo però programmato niente, avevamo lasciato tutto in mano al destino. Se succederà e quando succederà. Tony ne era certo, sarebbe accaduto a breve, visti i nostri precedenti e c’era rimasto un po’ male, quando dopo che a Barcellona avevo deciso che potevamo provarci, il mese dopo gli dissi che non avevo nessun ritardo, anzi era tutto puntualissimo. Si sentì come mortificato per non essere riuscito nella sua impresa e mi fece tanta tenerezza anche se mi veniva da ridere a spiegargli che non è che sia matematico rimanere subito incinta anche se i nostri precedenti dicevano quasi il contrario.
- A che pensi? 
- Che è bello essere tua moglie.
- Anche per me è bello essere tuo marito. Ti piacciono le fedi?
- Tantissimo. E a te è piaciuta la cerimonia?
- Perfetta. Lo sai perché ho scelto queste fedi?
- No - lo vedevo che fremeva per raccontarmelo, per spiegarmi la sua scelta che forse avevo capito, ma mi faceva piacere che lo dicesse lui.
-  Sono come vorrei che fosse il nostro matrimonio. Normale all’esterno, per chi ci vede. Però poi è dentro la nostra famiglia che ci sono le cose più preziose, quelle che solo noi sappiamo, che solo noi conosciamo, che solo noi possiamo vedere. Il nostro amore è una cosa solo nostra che rimarrà sempre tra noi e solo noi sappiamo quanto è speciale, quando abbiamo lottato per farlo nascere e tenerlo vivo, non abbiamo bisogno di ostentarlo, è solo nostro. Per questo il diamante è all’interno. Siamo noi, come ci conosciamo noi.
- Ti amo. Te lo dico sempre troppo poco, ma ti amo tantissimo. - Gli dissi arrampicandomi su di lui cominciando a baciarlo.
- Mi piace questa versione di Ziva sposata, mi piace molto. Se lo sapevo ti sposavo prima.
- Scemo! - Protestai rimettendomi comoda sul suo petto e prendendo di nuovo la sua mano tra le mie, giocando con le sue dita.
- Comunque mi è piaciuta molto la cerimonia, soprattutto la scelta della musica. Mi ha sorpreso, molto.
- Sei tu la mia “Amazing Grace” che mi ha salvato, mi ha fatto rinascere e vedere il mondo con occhi diversi. E non ti commuovere! - Dissi mentre sentivo che stava per farlo.
- Vuoi l’esclusiva di chi si deve commuovere?
- Sì, la voglio. - Sembravamo due bambini che si fanno i dispetti - Senti tu dopo tutto questo tempo ti ricordavi la canzone sulla quale abbiamo ballato a Berlino?
- Certo che me la ricordavo, ed anche tu, visto che lo hai capito subito! - Colpita ed affondata - Però per me era più facile, è un classico, è molto conosciuta.
- Quindi non mi darai la soddisfazione di dirmi che te la ricordi perché a Berlino eri pazzo di me. - Lo provocai
- Assolutamente no, perché non è vero. Non ero pazzo di te a Berlino, lo ero già da molto prima e dovresti saperlo.
Mi morsi la guancia per non parlare. Ogni volta che finivamo per toccare gli argomenti del passato erano sempre ricordi dolci e amari, per quello che avevamo vissuto ma sempre con quel velo di rimpianto per quello che non avevamo fatto. Ripensando a quel periodo, a come lui mi era stato vicino dopo la morte di mio padre, seguendomi in tutto contro ogni logica ed assecondando ogni mio istinto, mostrandosi comprensivo verso ogni mio sbalzo d’umore rimanendomi sempre vicino senza mai impormi la sua presenza, ogni volta mi accorgevo quanto, invece, io ero stata egoista e a volte anche crudele nei suoi confronti, nonostante quello che provavo per lui senza volerlo ammettere innanzi tutto a me stessa.
- Ti devo dire anche io una cosa su quella sera. Io quella sera ho capito che eri tu.
- Ero io cosa?
- Eri tu la persona con la quale avrei ballato che meritava il mio amore.
- Grazie, ma che vuol dire? È una sorta di profezia? - Mi chiese confuso da quel discorso che in effetti aveva poco senso così.
- No! - Risi - nessuna profezia, non eri scritto nelle stelle! Prima che mio padre se ne andasse di casa mi fece ballare con lui e mi disse che un giorno avrei ballato con un uomo che avrebbe meritato il mio amore. Mentre ballavamo mi tornarono in mente le parole di mio padre e capii che eri tu.
- Uhm… penso che se lo avesse saputo quando mi aveva tra le mani a Tel Aviv, non mi avrebbe più fatto nemmeno camminare - Ridemmo entrambi ed era bello riuscire con lui a ridere di una cosa che sarebbe potuta essere dannatamente reale.
- Probabile- Ma credo che gli stavi così antipatico proprio perché lo aveva capito. - Mi strinsi ancora di più a lui. - Ordiniamo la cena?
- Ogni desiderio di mia moglie è un ordine. Però il dolce lo vengo a prendere da te.

 

NOTE: Questo è l’ultimo capitolo di una certa consistenza. I prossimi due saranno solamente due brevi capitoli conclusivi tra cui il prossimo ve lo annuncio, sarà del tutto diverso da tutti gli altri fino ad ora, perchè sarà tutto esclusivamente dal punto di vista di Gibbs e leggendolo capirete perchè!

Spero di averci messo dentro tutto quello che vi aspettavate dal questo capitolo sul matrimonio. Ho cercato di non essere troppo descrittiva ma di lasciare spazio ai loro pensieri e sentimenti: un po' di romanticismo con le loro promesse, qualche spunto amarcord sia dei miei vecchi capitoli che delle puntate, un po' di family con gli aneddoti su Nathan, (e spero che qualcuno sia felice del timido riavvicinamento tra Tony e Senior), un momento un po' hot (è pur sempre la prima notte di nozze) e poi un po' di gioco tra di loro. 
spero che alla fine di questo lungo viaggio abbiate conosciuto meglio i “miei” Tony e Ziva e che vi sia piaciuto come ho scelto di farli “crescere”. Questo è il capitolo numero 50 (mamma mia!) e mi sembrava giusto che fosse un bell’omaggio a loro stessi e al loro giorno.
Ma non vi preoccupate, ci sarà ancora un po’ di tempo per salutarli.

Nel frattempo vi “avviso” (che sembra quasi una minaccia) che ho deciso che proverò a dare un seguito a questa storia, con qualche idea che mi è venuta in questi giorni, ma ancora devo strutturare il tutto, però penso che ci rivedremo e spero presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** One Blood ***


There was peace in the twilight
And for a moment or more
There was a world without danger
A world without war
And I would take all your suffering
If it would do any good
'cause we are one flesh, one breath, one life, one blood

 

Ero sdraiato sul tetto. L’obiettivo a circa 600 metri, visuale ottima, vento assente. La giornata perfetta per ogni cecchino. Mi avevano spesso chiesto a cosa pensavo mentre stavo sdraiato a terra, anche delle ore, in attesa del colpo perfetto. In realtà a niente o forse a tutto. Principalmente in guerra però pensi a sopravvivere. Qui era diverso, non c’era in gioco la mia vita, nemmeno quella del mio paese. Non stavo effettuando un’azione militare, stavo solo chiudendo un cerchio aperto da troppo tempo. Non lo stavo facendo per la patria o la bandiera, non stavo liberando uno stato oppresso, ero lì solo per i miei ragazzi.

Tra le armi prese in Israele ce n’erano due che facevano al caso mio: un Galil Sniper calibro 7,62 e un Negev calibro 5,56. Li studiai per un po’ prima di decidere che avrei usato il primo. Avevo già predisposto tutto, calcolato il tempo necessario per andarmene, le armi le avrei lasciate lì, non sarebbe stato un problema, anzi se le avessero trovate sarebbe stato ancora meglio. Avevo studiato le telecamere, in modo di passare senza essere ripreso da nessuno. Quel vecchio bidone metallico abbandonato sul tetto avrebbe fatto proprio al caso mio, per bruciare i guanti, non appena l’operazione fosse conclusa. Avevo indossato il passamontagna per non lasciare nessuna traccia del mio passaggio, nessuna traccia, niente dna: non ero più abituato a portarlo ed era la cosa che mi dava più fastidio.
Nessuno sapeva che avevo preso queste armi. Erano totalmente pulite, erano armi israeliane. Non c’era nulla di cui preoccuparsi ed anche se ci fosse stato qualcosa, non me ne importava nulla.
Quando nella vita hai già perso tutto quello per cui volevi vivere, fai sempre meno caso alle conseguenze delle tue azioni. Avevo messo in bilico la mia carriera e la mia vita troppe volte per potermi pentire di quello che stavo per fare. Quando ti vengono strappate via le persone più care al mondo pensi “Ok vita, fai di me ciò che vuoi”. Ma poi è sempre un dolore quando nel corso degli anni vedi andarsene colleghi e amici, quando li vedi lì, nella sala autopsie e ti senti in colpa per non aver fatto di più per poterli aiutare. Kate, Jenny, Mike, Diane…ra i miei due ragazzi avevano bisogno di me. Ne avevano passate tante, meritavano un po’ di tranquillità e questo era uno degli ultimi passi da fare. 

Voglio bene a tutti i membri della mia squadra, siamo un po’ come una famiglia. Siamo diversi tra noi, ognuno con la sua personalità e la sua storia, ognuno con le sue abilità e messi tutti insieme siamo un bel team. Senza voler togliere nulla a nessuno, soprattutto alla mia Abby, loro due però sono quelli ai quali mi sono affezionato di più. Forse perché la vita ha fatto incrociare le nostre strade più volte in modi improbabili ed alcune volte più che incroci sono stati scontri. Così diversi eppure in fondo così uguali, loro due. Lei reagiva alla vita a schiaffi, lui a baci. Lei rifiutava chiunque, lui si concedeva senza riserve. Li ho presi ragazzi con me, adesso sono un uomo ed una donna che il tempo ha segnato con varie prove, ma finalmente consapevoli di quello che sono e di quello che possono essere insieme. Forse l’ho sempre saputo che la regola numero 12 sarebbero stati loro ad infrangerla, che avrebbero fatto quello che io e Jenny non avemmo il coraggio di fare, il passo in più, per essere felici insieme. 

E’ strano avere istintivamente senso di protezione per chi ti ha salvato la vita uccidendo il fratello. Eppure è quello che ho sempre provato per lei. E’ la cosa più vicina ad una figlia che ho avuto, la mia Kelly aveva la sua età. Nessuno può sostituire un figlio, non esistono surrogati, però quello che hai dentro, devi trovare il modo di darlo a qualcuno, per non morire dentro prima del tempo, ed io ho sempre cercato di comportarmi oltre che come un capo, come un padre per loro, cercando di metterli sulla giusta strada, senza ostacolare i loro passi, lasciandoli cadere ed aiutandoli a rialzarsi, senza interferire, dovevano camminare da soli per capire chi erano e dove volevano andare. L’unica volta che l’ho accompagnata tenendola per mano è stata per portarla all’altare dove lui l’aspettava ed è stata una delle emozioni più grandi.

Non credo che sarei mai stato capace di comportarmi come Eli con sua figlia. Avrei voluto spiegargli la fortuna che aveva ad avere la sua bambina con se, ma lui era sempre stato troppo preso da tutto il resto per capire chi fosse realmente sua figlia, non una medaglia da appuntarsi facendo di lei il miglior elemento, nemmeno un letale strumento di morte ai suoi ordini. Una ragazza che avrebbe solo voluto più considerazione da parte del padre, che si era annientata pur di renderlo orgoglioso e che nonostante tutto quello che lui le aveva fatto lei lo ha amato fino alla fine, e lo ama ancora, anche se lo vuole nascondere anche a se stessa, per non soffrire, per non essersi sentita mai veramente accettata e riconosciuta solo come figlia da lui. 

Dall’altra parte invece c’era Senior, troppo preso da se stesso dai suoi presunti affari e dalle sue presunte donne per accorgersi di quanto un bambino poteva soffrire la perdita della madre. Non si può spiegare ad un uomo adulto che avrebbe dovuto passare più tempo con suo figlio di 8 anni invece di correre dietro alla fiamma di turno o all’ipotetico socio d’affari miliardario, che lasciarlo tra baby sitter, hotel, campus e college non era il modo migliore per aiutarlo. Forse lui avrà pensato che suo padre faceva così per non soffrire e poi da adulto ha fatto esattamente la stessa cosa, passare da una donna all’altra senza mettersi mai in gioco, fino a quando il richiamo dell’amore non è stato troppo forte anche per lui.

Ho pensato spesso alla telefonata che Ziva mi ha fatto il giorno che Tony è ripartito da Israele, quando mi comunicò che non sarebbe tornata, che sarebbe rimasta lì, per cambiare vita per rendermi orgoglioso di lei. Avevo sempre immaginato che il suo animo inquieto l’avrebbe allontanata dalle persone che l’amavano, in modi diversi certo, da chi era diventato per lei una famiglia. Perchè aveva paura dei suoi sentimenti e di legarsi a qualcuno, perchè temeva che le venisse portato via. Mi disse che doveva cambiare tutto nella sua vita, perchè aveva fatto del male a troppe persone. Le avrei voluto dire che così stava ancora facendo male a delle persone, ma in modo diverso: ai suoi amici che le volevano bene e soprattutto a Tony. Le avrei voluto dire che non doveva fare nulla per rendermi orgoglioso, che non c’era bisogno, perchè già lo ero. Le avrei voluto dire che le volevo bene e che avrei voluto che tornasse a casa, a Washington, perchè la casa è dove ci sono le persone che ti aspettano. Non le dissi nulla, solo di fare quello che si sentiva di fare e che avrei rispettato ogni sua decisione. Mi sono chiesto spesso se le avessi detto quello che pensavo se avrebbe deciso diversamente e magari dopo qualche giorno sarebbe tornata, senza far passare 3 anni. Invece non le dissi nulla, i giorni passarono e passarono anche i mesi e vedevo il mio miglior agente entrare sempre più in uno stato di apatia che non era da lui.
Alcune volte per il bene delle persone bisogna fare anche la parte del cattivo, soprattutto se si è anche il capo di una squadra, con decisioni difficili da accettare e so che Tony non mi aveva mai perdonato di aver dato via così velocemente la sua scrivania, anche non era stata nè una decisione veloce nè a cuor leggero. Ero veramente convinto che Ziva non sarebbe più tornata e probabilmente così sarebbe stato se qualcuno non avesse forzato gli eventi che poi si gli sono interamente rivolti contro, fino all’atto finale che tra poco andrà in scena. 
Ma, soprattutto, nessuno aveva considerato l’imponderabile, che ci sarebbe stato un altro piccolo uomo capace di cambiare Ziva come nessuno aveva fatto fino ad ora.  Quel bambino identico a lei ma con gli occhi di Tony che era riuscito a far cadere la maschera che la sua mamma portava anche con le persone che le erano più vicine e se è vero che l’amore fa miracoli, il miracolo in questione era proprio lui, Nathan, un piccolo tornado che aveva sconvolto le vite di tutti, anche all’NCIS, da prima che arrivasse ma soprattutto dopo, soprattutto la mia. In lui rivedevo una speranza per il futuro ed il suo affetto era una piccola luce in una notte infinita.

Da questa distanza il tempo che passa da quando premi il grilletto a quando il proiettile arriva a destinazione è di circa due secondi. Li scandii mentalmente.
Cadde a terra. Addio Orli Elbaz, salutami all’inferno tutti i tuoi demoni.

Tony e Ziva, i miei ragazzi ora sono una famiglia. Questo è stato il mio regalo per loro.

 

NOTA: Siamo arrivati quasi all’epilogo con questa breve incursione nel pensiero di Gibbs e per la prima volta non vediamo le cose dalla prospettiva dei nostri due, ma qui non potevo fare altrimenti. Spero che vi sia piaciuto come ho interpretato i suoi sentimenti nei confronti dei “suoi ragazzi”. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo e sarà anche quello molto breve. Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui e gli dico di fare ancora un piccolo sforzo :)

Se non avete capito cosa sta accadendo non vi preoccupate, nel prossimo spero che si capirà tutto e ci sarà ancora qualche colpo di scena prima del finale :D

Domenica 8 in serata pubblicherò l'ultimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Brothers in Arm - Conclusione ***


But it's written in the starlight   
And every line on your palm        
We're fools to make war     
On our brothers in arms   

 

Washington DC - tre giorni prima

 

- Shalom Ziva
- Shalom Noah
- Quindi domani ti sposi.
- Spero che il Mossad non abbia nulla in contrario anche su questo.
- Non ti dovrai più preoccupare di quello che pensa il Mossad su di te. Tra due giorni sarà tutto finito.
- Finito cosa?
- Tutto Ziva. Ti ho chiamato per questo. Per salutarti.
- Cosa vuoi dire Noah?
- Che ci sono cose che devono essere rimesse nel loro giusto ordine, delle cose rimaste nascoste che devono rimanere tali. Non si può cambiare quello che è stato e quello che si è stati, lo sai bene anche tu, ma si può fare in modo di rimediare agli errori. Ti ho visto crescere Ziva. Eri una bambina appena entrata nell’esercito oggi sei una donna, una mamma e da domani una moglie. Devi essere finalmente libera di vivere la tua vita, quella che vuoi tu, non quella che tuo padre aveva scritto per te o che qualcuno voleva scegliere al posto tuo. C’è una lavagna che devi cancellare Ziva, come ti ha detto più volte Tony.
- Tu che ne sai Noah?
- Io so molte più cose di quante tu credi. Ti sono stato più vicino di quanto tu possa immaginare negli anni. Nathan sta bene?
- Ti preoccupi adesso?
- Mi sono sempre preoccupato per lui. E ti giuro che mi sono sempre preso cura di lui quando è stato qui.
- Cosa ti aspetti che ti ringrazi per questo?
- No, non mi aspetto nulla. Ho sentito il tuo capo prima. Saranno giorni esplosivi i prossimi, anche a DC, ma non preoccuparti, nessuno farà male ai tuoi amici.
- Cosa vuoi da me oggi Noah? Perchè mi hai chiamato?
- Per farti i miei auguri per domani e per dirti addio. Ci saranno notizie interessanti in tv nei prossimi giorni. Non te le perdere.
- Allora addio Noah
- Addio Ziva.

 

One & Only Ocean Club - Bahamas 

 

Drammatico incidente d’auto in Virginia sulla Blue Ridge Mountains ieri sera. Un’auto con 3 uomini d’affari è precipitata da una scarpata dopo essere stata spinta fuori strada da un tir che ha probabilmente invaso la corsia opposta e poi continuato la sua corsa. Sono in corso le ricerche del mezzo e del conducente. Nulla da fare per i 3 occupanti della vettura che da quanto hanno dichiarato le autorità, si stavano dirigendo a Norfolk per una riunione d’affari

 

Passiamo agli esteri: giornata di Sangue in Medio Oriente. 
Due diplomatici israeliani sono stati accoltellati a morte per le strade di Gerusalemme da uno sconosciuto che poi si è dileguato tra la folla facendo perdere le sue tracce. Dalle prime testimonianze pare si tratti di un arabo di mezza età sicuramente molto ben addestrato. Da quanto si apprende dalle fonti sul posto i due stavano da mesi facendo delle segrete trattative con diplomatici iracheni per cercare una strada diplomatica tra i due paesi per fermare l’avanzata del Daesh nella regione.
Una villetta alla periferia di Tel Aviv è esplosa a seguito di un attacco kamikaze di un ragazzo palestinese affiliato al gruppo terroristico di Hamas. Quattro le vittime accertate, una coppia di sposi e altri due uomini. Il ragazzo, Rahman Mudar Halabi di 16 anni, era andato per effettuare una consegna a domicilio ma appena aperta la porta si è fatto esplodere. A seguito della prima esplosione una seconda causata dal danneggiamento dell’impianto a gas della casa ha completamente distrutto l’abitazione. Hamas ha rivendicato l’attentato festeggiando con raffiche di mitra nella striscia di Gaza

 

Notizia dell’ultim’ora di Washington. E’ stata uccisa con un colpo al petto dalla grande distanza il direttore del Mossad Orli Elbaz. E’ la seconda volta nel giro di pochi anni che il capo di una delle più importanti agenzie di sicurezza mondiali viene ucciso da fuoco amico in questa città. Circa 4 anni fa, infatti, anche Eli David, suo predecessore, era stato ucciso durante un conflitto a fuoco a Washington. Fonti vicine alle indagini dicono che sul tetto di un palazzo ad un isolato da dove è stato uccisa Orli Elbaz, sono stati ritrovati due sniper israeliani dei quali si ignora la provenienza. Il direttore Elbaz si trovava negli Stati Uniti per discutere con il segretario di Stato su importanti questioni riguardanti la lotta al terrorismo internazionale.

 

Spensi la tv e mi sedetti sulle poltrone della camera dell’hotel.
- Perchè hai spento? 
- Non c’era più niente da sentire
- E’ stato Noah?
- A fare cosa?
- Ad uccidere Orli.
- No, Tony. Noah era nella casa a Tel Aviv. Con Yonah, Aron e Tamar.
- Ed il ragazzo palestinese?
- Un danno collaterale.
- Ma aveva 16 anni.
- Lo so. Ora sarà portato avanti come un martire e ci sarà altro sangue da lavare con il sangue.
- I tre dell’incidente per Norfolk quelli che mi avevano rapito, i due diplomatici erano Itai Herzod e Rabi Issman, vero? Quelli delle foto con Bodnar e Orli trovate nella cassetta di sicurezza.
- Sì e sono quasi certa che di Herzod e Issman si sia occupato Noah, prima di tornare a Tel Aviv. Gli altri 3 non so, forse una soffiata ed hanno fatto regolare i conti a qualcun altro che li aveva aperti. Un favore.
- E Orli?
- Conosco solo uno a Washington che potrebbe uccidere una persona in una città, colpendola in pieno petto da più di 500 metri che ha armi israeliane di cui nessuno sa niente.
- Lui sapeva quello che stava facendo Noah, vero?
- Sì, era stato Noah ad avvisarlo dove l’avrebbe trovata. E sapeva anche cosa aveva preso.
- Perchè lo ha fatto?
- Per noi Tony, perché così quello che spero sia l’ultimo segreto e l’ultimo desiderio di Eli David è morto con tutti loro.
- L’ultimo desiderio di tuo padre…
- No Tony. Un padre è chi ti aiuta, chi ti toglie dalle difficoltà, chi fa il tuo bene, non chi ti usa per i suoi scopi. L’ho solo capito troppo tardi. Lui per me non ha mai fatto nulla di tutto questo, non mi ha mai salvato la vita, preferiva mandarmi a morire in missioni suicide per testare quanto ero brava o ad uccidere quelli che lui non voleva più tra i piedi. Non si è mai preoccupato della mia sorte. Sarei potuta morire chissà quante volte se fosse dipeso da lui. 
- Non puoi farti una colpa se gli volevi comunque bene.
- Sono stata solo un’ingenua Tony. 

 

Uscii fuori sul patio e mi appoggiai al parapetto. Volevo svuotare la mente da tutti i ricordi negativi della mia vita, non volevo che quanto accaduto condizionasse quei pochi giorni tutti nostri.
La vista dell’oceano era mozzafiato. Guardavo le onde infrangersi sulla spiaggia di sabbia bianchissima. Le palme ondeggiavano al vento leggero che mi scompigliava i capelli sciolti, liberi, come mi sentivo io in quel momento.
Avevo appena ascoltato un vero e proprio bollettino di guerra. Erano morte persone innocenti, altre meno, erano morte persone che conoscevo, altre che fino a meno un anno prima consideravo amiche. Quello che era successo avrebbe sicuramente portato ad altri morti ed altre guerre. Ci sarebbe stato chi voleva vendetta e per questo avrebbe fatto scorrere altro sangue, da tutte le parti. Non era colpa mia, sarebbe stato inevitabile in ogni caso e lo sapevo bene. 
Nonostante tutto questi pensieri non riuscivo ad essere triste. Non potevo salvare il mondo. Sapere che quel giorno la mia famiglia sarebbe stata almeno un po’ più tranquilla mi sembrava già un’enorme conquista. Forse ero cinica ed egoista, ma pensavo che ce lo meritavamo.
Mi sentivo libera e felice di cominciare, per l’ennesima volta, la mia vita. Ma questa volta sarebbe stato tutto diverso. 
Guardavo nella mano sinistra la fede bianca, lucida come solo quelle appena messe possono essere, che brillava ancora di più con i raggi del sole e capii che si può essere totalmente liberi anche quando si è appena giurato di rimanere tutta la vita con una persona, se la persona è quella giusta, quella che completa la propria anima.

Sentii Tony dietro di me abbracciarmi. Appoggiava il suo mento sulla mia spalla, sentivo il suo respiro. Rimase così un po’ senza dirmi nulla, a guardare anche lui le onde del mare.
- Va tutto bene? - Mi chiese interrompendo il suo silenzio e la serie di baci che mi stava dando sul collo
- Sì, va tutto bene. Non ci rovineranno questi giorni - gli strinsi le mani sotto le mie.
- Ne sei sicura? 
- Certo Tony, è tutto finito.
- No Ziva - mi fece girare e mi persi nei suoi occhi. Ancora una volta, come sempre, non mi sarei abituata mai all’emozione che mi dava vederli. - tutto comincia adesso.

Tony mi stava per baciare, ma io presi la sua mano e lo trascinai via, oltre il patio. Correvamo, tenendoci per mano, sulla spiaggia fino ad arrivare al mare. Ci buttammo tra le onde, lasciandoci cullare abbracciati dal mare, scambiandoci baci che sapevano di sale, di sole, di crema abbronzante e di noi. Era tutto quello che volevo e lo avevo.

 

 

NOTE: Il finale, forse un po’ dolce/amaro, spero non vi abbia deluso.
Mi dispiace un po’ mettere la parola fine a questa storia, però spero che vi sia piaciuta e che non via abbia annoiato.
L’idea era di lasciarvi con un cliff per il seguito, ma non sapendo quando realmente potrò cominciare a pubblicarlo non mi sembrava corretto.

Mi prendo un attimo per ringraziare tutti quelli che hanno letto i (tanti? troppi?) capitoli, che hanno commentato e dato indicazioni perchè stimolano a cercare di fare il massimo. Un ringraziamento particolare a novecento11 e mon_petit_pois

Alla prossima
Elena



COLONNA SONORA
The Memory Remains - Metallica

1. With or Without You - U2
2. Always Will Be - Hammerfall
3. Against All Odds - Phill Collins
4. Iris - The Goo Goo Dolls
5. Lullabye - Billy Joel
6. Bridge over troubled water - Simon & Garfunkel
7. Secret Garden - Bruce Springsteen
8. Sorry seems to be the hardest word - Elton John
9. Please forgive me - Bryan Adams
10. Always on my mind - Elvis Presley
11. Memory - Barbara Streisand
12. Total Eclipse Of The Heart - Bonny Tyler
13. Skyfall - Adele
14. Love Theme for Nata - Ennio Morricone
15. See You Again - Wiz Khalifa
16. Fix You - Coldplay
17. Tears - X Japan
18. Carry On - Manowar
19. One Step Closer - Linkin Park
20. Everything I do I do it for you - Bryan Adams
21. Wicked Game - Chris Isaak
22. Enjoy The Silence - Depeche Mode
23. Life - Des’ree
24. Stay on these roads - A-Ha    
25. I'm Kissing You - Dess’ree
26. Tears In Heaven - Eric Clapton
27. Father and Son - Cat Stevens
28. Suspicious Minds  - Elvis Presley
29. Private Emotion - Ricky Martin
30. Resistance - Muse
31. Friends Will Be Friends - Queen
32. I Hope You Suffer - AFI
33. All I want for Christmas is you - Mariah Carey
34. My Father Eyes - Eric Clapton
35. A New Day Has Come - Celine Dion
36. I Don't Want To Miss a Thing - Aerosmith
37. Long Way From Happiness - Elton John
38. The Reason - Hoobastank
39. I Knew I Loved You - Celine Dion
40. In My Vains - Andrew Belle
41. Flares - The Script
42. You Saved Me - Skunk Anansie
43. Make You Feel My Love - Adele
44. Secrets - OneRepublic
45. Barcelona - George Ezra
46. Whispers - Evanescence
47. No Hero - Elisa
48. Wish you were here - Pink Floyd
49. The One - Kodaline
50. Amazing Grace - Celitc Woman
51. One Blood - Terence Jay
52. Brothers in Arm - Dire Straits

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3368826