La Storia Di Una Guardia Notturna

di Mephi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Costretto A Far Ritorno ***
Capitolo 2: *** Domani É Un'Altro Giorno ***
Capitolo 3: *** Dietro La Maschera ***
Capitolo 4: *** Lascia Dormire La Tua Coscienza ***
Capitolo 5: *** Il Vero Incubo È Reale ***
Capitolo 6: *** Sono Foxy ***
Capitolo 7: *** Finzione: Null'Altro Se Non Il Pallido Riflesso Della Realtà ***
Capitolo 8: *** Le Crepe Che Precedono La Rottura ***
Capitolo 9: *** Fidarsi Del Purple Guy ***
Capitolo 10: *** Tra Le Fauci Del Destino ***



Capitolo 1
*** Costretto A Far Ritorno ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Costretto A Far Ritorno


«Vincent...»
«Non dirmelo.»
«Dovresti venire al Feazbear. É successo di nuovo.»


Vincent era la guardia notturna del Freddy Feazbear Pizza, la pizzeria più conosciuta di tutta la città dove spesso si svolgevano compleanni. Ciò che rendeva quella pizzeria tanto interessante era la presenza di Animatronics. Robot dall'aspetto di animali che di solito intrattenevano grandi e piccini con concerti o piccoli spettacoli, anche solo vederli andare a spasso per il locale divertiva i clienti.
Quegli stessi animatronics che Vincent, in quel momento, avrebbe voluto distruggere pezzo per pezzo, smontandoli bullone per bullone.
Si, i suoi pensieri potevano anche confondere, e far credere a tutti che Vincent odiasse quei Robot, ma non era così. Non li odiava.... Di solito. Al contrario, aveva un buon rapporto con loro, un rapporto che andava avanti da vent'anni, di pura fiducia e... Amicizia? Si. Amicizia.
Un rapporto così importante da metterlo in difficoltà. Perchè dire "Vincent é la guardia notturna" é errato. La frase giusta é "Vincent é l'ex guardia notturna."
Si era licenziato così tante volte che ormai aveva perso il conto, e ogni volta che si licenziava, poi, tempo una settimana e riceveva la solita telefonata dal suo amico Phone.
Ora, non che Phone si chiamasse davvero Phone, in realtà non gli aveva mai chiesto il suo nome, solo che ricordava che quando lo incontrò la prima volta vent'anni fa era quello attaccato al telefono che prendeva le ordinazioni ad asporto - che al contrario di come tutti pensavano erano molte. Troppe. - e dunque, per gioco, lo chiamò "Phone Guy", beccandosi anche un occhiataccia e un dito medio dal giovane, mentre discuteva con una signora al telefono per capire la via dove suddetta signora abitava.
Poi però tutti presero a chiamarlo in quel modo - un mondo fatto di copioni! - e Phone si abituò a essere chiamato così.
Comunque con il passare degli anni erano diventati grandi amici e lo stesso Phone si era opposto quando aveva sentito che il collega di una vita voleva lasciare quel lavoro per passare più tempo con i due figli maschi. La moglie era morta durante il parto del secondogenito, e lui, da padre, doveva badare all'età ribelle del primo figlio e agli incubi del secondo. Vincent amava i suoi figli. E quando si era reso conto che il suo lavoro gli prendeva troppo tempo, aveva deciso, dopo vent'anni di onorata carriera, di lasciarlo per un lavoro con meno ore, magari peggio retribuito, ma che gli permettesse di badare anche ai figli.
Peccato solo i suoi cari amici non fossero d'accordo. Se Phone, dopo aver sentito le sue ragioni, lo aveva anche assecondato, quegli animatronics a cui aveva fatto da guardia per anni... Beh, non accettavano la sua assenza.
Da una parte era quasi fiero, perchè era riuscito a entrare nei cuor- no.
Nella Memoria Madre, o qualunque altra cosa avessero al posto del cuore, quei pezzi di latta. Dall'altra era furioso, perchè lo costringevano a tornare, fregandosene della sua decisione! Il padrone, chiaramente, dopo il licenziamento di Vincent dovette trovare una nuova guardia per gli animatronics. E cosa facevano, loro? Terrorizzavano ogni guardia notturna che si presentava, facendo passare ai mal capitati 6 ore d'Inferno. E questi resistevano massimo una settimana, poi riconsegnavano uniforme e torcia e giuravano di non mettere più piede in quel posto.
E lui doveva tornare per il bene dell'umanità sui suoi passi, riprendere quel lavoro che sembrava ora potesse compiere solo lui, e fare da guardia a quei rottami che gli rovinavano i piani! Oh, ma questa volta gli avrebbe distrutti uno per uno!
Perso nei suoi pensieri non si accorse di essere già arrivato alla pizzeria, ed entrò pronto a fare un bel discorsetto a tutti gli animatronics.
Appena entrò, però, gran parte della sua rabbià sfumò. Le luci calde dei riflettori puntati sul palco dove Bonnie, Chica e Freddy tenevano un concerto a cui tutti prestavano attenzione. E chi non era preso da quella musica era intento a scattare foto con i secolari Springtrap e FeadBear, praticamente i padri di quel luogo, i primi animatronics in assoluto.
«Chi vuoi mandare alla discarica per primo, Vince?» sobbalzò quando sentì il braccio di Phone circondarli il collo, affiancandolo a seguendo con lo sguardo ciò che osservava lui.
«Ancora devo decidere. Com'è che non sei attaccato al telefono?» chiese a sua volta sottraendosi a quel contatto facendo un passo avanti, subito imitato da Phone, che lo affiancò una seconda volta.
«Non fare domande stupide! Nessuno ordina la pizza alle 10 di mattina... Lo sai che qui vengono di giorno solo per loro. Sono le Star di questo posto!» esclamò comiciare ad agitare una mano per aria in segno di saluto verso la piccola band, attirando l'attenzione di Freddy che nonostante tutto non smetteva di cantare.
«Ti aspettavano.»
«Quanto é durata l'ultima guardia?»
«Cinque giorni! Al sesto giorno sono venuto io ad aprire la pizzeria, e appena mi ha visto mi ha urlato "Uccidi quei cosi! Sono posseduti!" ... Dio, devono aver esagerato. Credo servirà qualche mese di terapia a quel tipo, no?» ridacchiò tra sé e sé, Phone, mentre Vincent decideva di raggiungere l'unico probabilmente libero in quel momento: Foxy.
Così raggiunse il Pirate Cove, sentendo la delusione farsi in strada in lui nel trovarlo, invece, intento ad intrattenere i bambini. Era certo Phone non lo avesse seguito, ricordava perfettamente che quando Foxy era stato acquistato gli aveva confessato che lo inquietava. Si. Aveva paura della Volpe Pirata!
«Yaaaarr, Piccoli Pirati! Siete pronti per una nuova e-emo-zio-emo-emozionante avventu-tu-ra?» Foxy aveva degli evidenti malfunzionamenti, forse per quello era tenuto lontano dagli altri animatronics, da solo, nel Pirate Cove.
Nonostante questo però aveva comunque il suo piccolo e fidato pubblico, che gioiva ed esultava a ogni sua parola. A quanto pareva non poteva parlare nemmeno con lui.
«M-Ma guarda chi-chi-chi si rivede! Il c-capitano che aveva abban-abbandonato la nave!» in un attimo si ritrovò un Foxy vendicativo che lo indicava con la mano sana e gli sguardi di tutti quei bambini puntati contro, giudici.
«Molto divertente, Foxy!» esclamò ad alta voce per farsi sentire bene dalla Volpe Pirata, che, fulminea, lo raggiunse. Poteva anche avere malfunzionamenti, ma quando si trattava di correre la sua velocità quasi terrorizzava.
«S-Sei tornato tra-tra noi Piccolo Pirata Viola?» gli chiese a un passo da lui, attendendo ansioso una risposta. I bambini scoppiarono a ridere, realmente divertiti da quello spettacolino fuori programma.
«Se mi chiami ancora Piccolo Pirata Viola ti smonto l'unica mano sana che hai.» disse non degnandolo di una risposta, innervosito oltre ogni modo. La Volpe però non parve prenderla bene e con la mano sana che aveva citato gli sferrò uno schiaffo al fianco, e no, non era picevole dato che era un affare di dannatissimo metallo! L'ex guardia notturna si piegò di lato, tenendosi il fianco.
«Bastardo manesco...» soffiò tra i denti, sapeva che con Foxy non doveva mai tirare troppo la corda, era piuttosto irascibile su certe cose, eppure picchiava solo lui, se offeso. Con Phone non lo aveva mai fatto e con i bambini, figurarsi, non avrebbe mai fatto del male al suo prezioso pubblico.
«Per mille Balene bian-bianche! Andiamo all'arrembaggio miei-miei prodi, lontani da questo rozzo-ozzo Meschino!» e così, con un urlo piratesco i piccoletti, per nulla intimoriti da ciò che era appena accaduto tra il robot e l'ex guardia, avevano seguito Foxy in giro per il suo covo.
Vincent si alzò la maglietta per scoprire il fianco: un segno rosso aveva fatto la sua comparsa. Sicuramente gli sarebbe apparso un livido a forma di mano di Foxy. Tsk, come se fosse lui quello in torto!
«VINCE? HELLO? HELLO? É ANDATO VIA QUEL COSO? IO TE L'HO SEMPRE DETTO CHE QUELLA VOLPE È PERICOLOSA!» sentì la voce di Phone e si rimise a posto la maglietta. Il castano si teneva a distanza di sicurezza dal Pirate cove e si sbracciava per attirare l'attenzione del viola.
«É IL SUO MODO DI DIRMI CHE MI VUOLE BENE!»
«COMUNQUE IL CAPO TI CERCA NEL SUO UFFICIO! BUONA FORTUNA, AMICO!» armandosi di pazienza, l'ex guardia annuì velocemente e, dolorante, si diresse verso l'ufficio del "capo" che si trovava distante e isolato dal resto della pizzeria, come se fosse qualcosa a parte, quei corridoi erano sempre silenziosi e vuoti, sembrava quasi non appartenesse al Feazbear.
Tentennò un'attimo prima di entrare nella stanza, la mano che stringeva la fredda maniglia e lo sguardo sulla targhetta posizionata sulla porta che riportava il nome dell'uomo che aveva costruito un impero con una pizzeria. Scosse appena la testa e entrò, richiudendo la porta dietro di sè.
«É bello rivederti, Vincent.»
«Saltiamo i convenevoli, non interessano nè a lei nè a me, capo. Io qui non ci torno.» fu subito chiaro e schietto, prendendo posto sulla poltrona davanti alla scrivania, la stessa scivania che separava lui dal "capo" , che lo guardava con infinita pazienza negli occhi, pronto a una lunga e interminabile discussione che, ogni vota, dovevano intraprendere.
«Vincent abbiamo bisogno di te. Senza di te gli Animatronics-...»
«E allora gli resetti la memoria o qualcosa di simile! Ho due figli a cui badare, crede possa lasciarli a loro stessi? Ah, ma quante volte ancora dovremmo fare questo ragionamento?» chiese appoggiando, frustrato, la schiena sullo schienale della vecchia poltrona. Erano passati vent'anni e l'arredamento di quell'ufficio era sempre lo stesso. Cosa non si faceva per risparmiare.
«Resettargli la memoria? E riprogrammarli per i loro compiti, sperando che non ci sia alcun intoppo? Non l'ho fatto in vent'anni, non comincerò ora.» spiegò il propretario poggiando gli avambracci sulla scrivania che scricchiolò appena, e intrecciando le mani tra loro.
Vincent sospirò alzando la testa verso il soffitto, urtando leggermente la vecchia poltrona verde.
«Ti chiedo solo di essere ragionevole. Non accettano altre guardie notturne.» proseguì il proprietario, assistendo alla rassegnazione del ragazzo dai capelli viola.
«E poi hai i tuoi due giorni liberi! Puoi passare quelli con i tuoi figli!» esclamò convinto, sperando davvero che la ex guardia notturna cambiasse idea, e tornasse sui suoi passi.
«D'accordo...» disse sospirando, arreso.
«Ma voglio le versioni pupazzo di tutti gli animatronics!» e subito il capo accettò, promettendogli che quel giorno stesso avrebbe avuto quei pupazzi, e consegnandoli le chiavi dello spogliatoio dove avrebbe trovato la sua divisa da Guardia Notturna ancora intatta e pulita, così come l'aveva lasciata una settimana prima. Lasciò l'ufficio salutando il proprietario per poi andare subito verso gli spogliatoi, che altro non erano che una stanza con un solo armadio mezzo rotto, la cui anta sinistra era mancante e quella destra cigolava sinistramente ogni volta che la si muoveva.
Ma una volta lì dentro questi piccoli dettagli erano trascurabili, e l'unica cosa importante era cambiarsi e prepararsi ad affrontare gli animatronics.
Velocemente si slacciò la camicia azzurra che indossava, e si liberò anche dei pantaloni, per poi cominciare a indossare i pantaloni neri e la camicia viola da lavoro. Avrebbe preferito che nessuno lo sapesse ma anche a lui avevano affibbiato un nome, gentilmente offerto dal Coniglio Giallo Springtrap, ovvero: Purple Guy. Si era guadagnato quel titolo solo perchè una notte come un'altra Springtrap passava troppo tempo attorno a lui, e quando gli chiese che cosa gli prendesse gli rispose che "Era tutto viola". Il fatto che il colore viola della divisa coincidesse anche con il colore dei suoi capelli fu la sua disgrazia, facendolo diventare il Purple Guy, almeno per il Coniglio Giallo.
Nell'armadio, abbandonata, la sua adorata torcia. Quella si che era sua fidata compagna, quante volte aveva accecato Foxy con quel piccolo arnese? Bhe, un modo come un'altro di vendicarsi. Provò ad accenderla ma non ci fu alcun risultato, rimase spenta. Così scoprì che le pile della torcia erano sparite e...
«Balloon Boy... Quando la finirà di prendere le batterie!?» chiese al nulla mettendosi la torcia nello spazio della cintura che la conteneva. A quanto pareva avrebbe dovuto dar fastidio a Foxy in un'altro modo.
Quando tornò nella sala principale della pizzeria la piccola band era ancora occupata a cantare, mentre i due Golden girovagavano senza una meta per la sala.
«Ehy, Anziani...!» gli salutò avvicinandosi ai due.
«Uuuh, Purple Guy é tornato tra noi!» esclamò Springtrap avvicinandosi ed esaminandolo velocemente, gli parve di vedergli accennare un ghigno quando realizzò che quella fosse la divisa da lavoro.
«Oooooh ti stà magnificamente, Vincent!» aggiunse gentilmente il Golden Freddy, cominciando ad allontanarsi verso il palco.
«Perdonatemi ma tra poco tocca a me... Felice di riaverti con noi, Vincent!» e con quelle parole l'orso dorato raggiunse il palco, pronto per la sua, di esibizione.
«Allora, Purple Guy, come hai passato la settimana di vacanza?» chiese Springtrap girando attorno al viola come farebbe un predatore con la sua preda... Come se lo stesse mettendo sotto interrogatorio.
«Come se ti importasse.»
«Oh ma mi importa! I tuoi figlioletti se la caveranno da soli...»
«É stata sicuramente una tua idea quella di spaventare tutte le guardie notturne!» disse Vincent ormai spazientito e bloccando quel girargli attorno di Springtrap, che inclinò appena la testa di lato, confuso, per poi tornare dritto e liberandosi con uno strattone da quella presa.
«Bhe mancavi a tutti! Qualcuno doveva farsi venire un'idea geniale, Purple Guy. E vedi? Ha funzionato! Ora sei qui! Con noi! Non sei felice?» chiese prendendolo per le spalle e scuotendolo leggermente.
«... Ci si vede questa sera per il turno di notte.» rispose il viola sottraendosi da quella presa e uscendo dal locale.
Springtrap produsse un rumore simile a un sospiro.
«Come l'ha presa?» il Phone Guy affiancò il Coniglio Giallo che alzò le spalle per poi dirigersi verso il palco, si sarebbe dovuto esibire anche lui con Golden Freddy, ma prima si degnò di risponderli con un seccato: «Male. Ma gli passerà...»

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Capitolo 2
*** Domani É Un'Altro Giorno ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Domani É Un'Altro Giorno


«Dunque ti hanno fregato.» quella era stata la prima frase pronunciata da suo figlio maggiore; Jeremy non appena aveva sentito il racconto di come gli Animatronics lo avessero costretto a tornare.
«Mi hanno fregato...» affermò Vincent annuendo. Si stava preparando per il turno di notte, avevano già cenato e i suoi figli avevano ascoltato la sua storia. E non avevano preso poi così male il fatto che il padre fosse tornato a lavorare alla pizzeria. Ora si trovavano tutti e tre nella camera del genitore, i figli seduti sul letto matrimoniale e il padre davanti allo specchio, a sistemarsi la divisa che da quella mattina non aveva osato togliersi.
«Papà quindi mi porti anche Plushtrap, oggi?» chiese allegro il minore: Kentin, stringendo a sè il suo migliore amico: Feadbear versione peluche.
«... E Chica, Bonnie, Freddy, Foxy...» aggiunse Vincent, mentre provava ad annodarsi la cravatta, con tono quasi casuale. Vedere, attraverso il riflesso dello specchio, il sorriso di Kenny allargarsi fu molto appagante. Peccato quella dannata cravatta lo facesse dannare! Però, Vincent non notò l'occhiata seccata che Jeremy scoccò al minore, che subito provò a ricomporsi. Sapeva che dopo avrebbe trovato il modo per farlo tornare triste con le sue frecciatine o con i suoi scherzi al limite della crudeltà. Ma non voleva parlarne con suo padre. Non voleva farlo sentire un cattivo genitore e, quindi, farlo sentire in colpa. Perchè, se stava per lasciare il lavoro che tanto amava, forse aveva percepito qualcosa che non andava. E questo non doveva succedere, nessuno dei due figli voleva in alcun modo che Vincent andasse anche contro i suoi desideri, per loro. Jeremy era un cattivo fratello. Ma un figlio prodigio.
«Papà, non così!» disse il maggiore, alzandosi e raggiungendo il padre davanti allo specchio, per poi afferrare la cravatta nera, farla passare per bene sotto il colletto della camicia e prendere ad annodargliela.
«La vecchiaia avanza, papà?»
«Ma che spiritoso! Ho un figlio comico e non lo sapevo.» Kentin rise appena a quella scena. Se solo Jeremy si fosse comportato anche con lui in quel modo...
«E comunque sono vent'anni che me la so annodare. Solo che oggi sono incaz- arrabbiato con quei rottami!» esclamò, censurando il suo stesso linguaggio, sia mai Kentin prendesse il suo brutto esempio. Tornò a guardarsi allo specchio appena Jeremy ebbe finito e, notando il nodo perfetto della cravatta, fu orgoglioso di suo figlio. Per una sciocchezza simile, si.
«Ma questa notte me la pagano.» disse indossando anche il cappello e il distitivo.
«Ora meglio che vada o i Rottami muoiono di solitudine, lascio tutto a voi... E buonanotte!» salutò i suoi figli e uscì dalla camera, lasciandoli soli. Poco dopo anche la porta d'ingresso si chiuse. Se n'era andato. Ora erano soli. «Quand'è che cresci, "Kenny"? Ancora i peluche? Hai sette anni!» esordì il maggiore voltandosi verso il fratello che indietreggiò sul letto stringendo a sè Feadbear. Una voce nella sua testa gli diceva di fuggire: era il Buon Senso. Ma il suo corpo non si muoveva: era la Paura.
«Dammi quel pupazzo.» ordinò allora il maggiore, avvicinandosi al letto e tendendo la mano aperta. Ci stava ancora provando con le buone.
«Jeremy, ti prego...» supplicò, Kenny, perchè non voleva abbandonare il suo fedele compagno, solo l'idea di perderlo... ecco che ricominciava a piangere. Strinse con tutte le sue forze Feadbear. Lo doveva difendere, era suo amico. Il suo unico amico.
«Muoviti, Kentin! Il pupazzo!» fu svelto, Jeremy. Si avvicinò al fratello poggiando un ginocchio sul letto e sporgendosi verso di lui. Con la mano prima tesa afferrò la caviglia del minore, trascinandolo verso di sè. Ci fu un attimo d'immobilità, dove il tempo parve fermarsi ma per un istante solo. Jeremy, sovrastava il fratello minore, lui era più grande, era normale fosse molto più alto e forte di lui. Kentin si sentì preda indifesa tra le fauci del predatore.
«No! NO! TI PREGO LASCIALO!» Jeremy prese a strattonare il pupazzo a cui il fratellino era aggrappato con tutte le sue forze.
«E mollalo!» gli urlò contro e con un'ultimo strattone glielo strappò dalle mani, per poi allontarasi di qualche passo.
Kentin lo guardò quai confuso, quasi non capendo cosa fosse appena successo. Poi lo capì. Aveva perso Feadbear. Ora era nelle sue mani. Ora era finita.
Prese a singhiozzare e si raggomitolò su se stesso, mentre Jeremy accennava un ghigno fin troppo divertito, non riuscendo a contenere la felicità che quello scenario gli procurava.
«Sei dipendente da questo stupido pupazzo! Cresci un po', Kentin! Ma tranquillo... Io da fratello maggiore lo distruggerò, in modo da renderti libero! Lo so, sono un ottimo fratello, non devi ringraziarmi!» rise, una risata leggera, pareva quasi non appartenergli, e poi se ne andò nella sua camera con il suo amico Feadbear, che sicuramente non avrebbe rivisto mai più, o se fosse successo lo avrebbe riavuto a pezzi, magari bruciato e con un'occhio mancante.
«Domani...» sussurrò a sè stesso, si morse il labbro per soffocare l'ennesimo singhiozzo, le lacrime a solcargli il viso, gli occhi pieni di tristezza e come unico amico, ora, un senso di solitudine che lo avvolgeva nel suo abbraccio. Un abbraccio che procurava solo altro dolore.
«Domani é un'altro giorno.» si addormentò. In un sonno fatto di incubi.


Intanto al Feazbear Vincent aveva preso posto nel suo "ufficio" dove poteva tenere sotto controllo l'intera pizzeria e gli Animatronics. Foxy era nel suo Pirate Cove e sembrava non essere intenzionato a uscirne, Bonnie e Freddy parevano stessero facendo delle prove - come se potessero sbagliare le parole delle loro canzoni dopo vent'anni passati a ripeterle giorno dopo giorno! - Feadbear sembrava intento a chiaccherare con Chica e quindi tutto procedeva per il megli- un attimo. Dov'era Springtrap?
«Vogliamo sapere se sei ancora arrabbiato.» sobbalzò nel sentire quella voce alle sue spalle, si voltò con la sedia girevole e guardò il coniglio Giallo davanti a lui, a braccia conserte, che attendeva una risposta.
«Come diavolo sei entrato se ho chiuso la porta dall'interno?» chiese scioccato Vincent, indicando la suddetta porta per sottolineare quanto fosse improbabile la sua presenza lì.
«Ehy rispondi prima tu alla mia doman-»
«Springtrap!»
«D'accordo. D'accordo. É un trucchetto che ho imparato mentre eri via per spaventare i tuoi sostituti. Ti do un consiglio... I condotti dell'aria.» sussurrò come se fosse un segreto di stato. Lo sguardo di Vincent si posò sui condotti e poi sul coniglio. Più volte. Qualcosa non tornava.
«Tu... Passi per i condotti dell'aria?»
«Quando il sistema di ventilazione non va. E siccome non va mai...» precisò Springtrap non riuscendo a capire lo sguardo scioccato che pareva non volersene andare dal volto di quello che ormai era un amico.
«Perchè, qual è il problema, Purple Guy?» chiese, allora, irritato. «Tu... Non... Come diavolo fai a entrare nei condotti dell'aria!?»
«Purple Guy... MI STAI DANDO DEL GRASSO!?» urlò contrariato mentre Vincent, sfidando la rabbia furente del coniglio annuì, convinto.
«Fa bene Foxy a picchiarti.» affermò Springtrap per poi prendere le chiavi della porta, avvicinarsi a quest'ultima, aprirla e andarsene indignato. L'ultima cosa che sentì fu l'urlo di un contrariato Purple Guy:
«No, ma fai come a casa tua, he!» senza pensare che, si, effettivamente la pizzeria era la casa di Springtrap come di ogni altro Animatronics.
Vincent sospirò e si sistemò meglio il cappello sulla testa.
Quando ad un tratto la sua attenzione venne attirata da Bonnie, pericolosamente vicino a una delle telecamere.
«Ehy Vincent! Ci sei? Se ci sei dammi un segno!» parlò l'animatronics anche lui coniglio, ma lui era il coniglio buono. Non come Springtrap...
«Non sono ancora un fantasma, Bonnie. Dimmi pure» disse la guardia parlando attraverso l'interfono e facendo risuonare la sua voce in tutto l'edificio.
«Il compleanno di tuo figlio Kan... Kun... Ken...! Kentin! Ecco, il compleanno di Kentin non é tra una settimana?» gli domandò rimanendo comunque vicino alla telecamera, ormai la conversazione era divenuta di dominio pubblico nell'esatto momento in cui Vincent aveva deciso di utlizzare l'interfono, tutti gli animatronics, adesso, stavano prestando ascolto.
«Esattamente.» rispose semplicente la guardia spegnendo subito l'interfono, né Bonnie né nessun altro animatronics chiese più nulla, ma attraverso le telecamere Vincent poteva vedere che tutti i robot confabulavano qualcosa tra loro. Cosa stavano macchinando, quei rottami? Avrebbe tanto voluto saperlo, Vincent, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine alle stranezze di quei robot che nonostante non fossero umani lo sembravano molto, soprattutto nei comportamenti. Ormai li considerava amici, più che Robot e accennò un sorrisetto quando lo realizzò.
«Vincent? Sei ancora lì, vero?» verso le 5 di mattina, però, Bonnie richiamò l'attenzione della guardia.
«Dove vuoi che sia andato? Certo che sono qui.»
«Io e gli altri Animatronics pensavamo che magari potresti far festeggiare qui il compeanno a Kenny! Con noi! Non ci avevi raccontato che ci adorava?» sgranò gli occhi, Vincent, davanti a quella proposta. Davvero quei pezzi di latta avevano passato la serata a programmare il compleanno di suo figlio? ... Era in questi casi che sembravano più umani degli umani stessi.
«Non so se sia una buona idea...»
«Ma certo che lo é! Pensa a come sarà felice.» effettivamente era vero, Kentin adorava letteralmente il Feazbear pizza, gli animatronics e ogni altra cosa che riguardasse quel posto. Poteva funzionare.
«Si può fare.» d'altronde molti bambini festeggiavano lì il compleanno, quindi che male c'era? Gli sarebbe bastato prenotare e il gioco era fatto.
La sveglia posta sul tavolo prese a squillare, erano giunte le 6 e il suo turno era finito, così si alzò, spense quell'aggeggio e si diresse verso l'uscita, a momenti sarebbe arrivato Phone per aprire come al solito la pizzeria, così lo attese in compagnia degli altri animatronics discutendo con loro di come allestire il posto, che torta comprare, quali canzoni cantare; quando, con mezz'ora di ritardo, la porta della pizzeria venne aperta e fece la sua comparsa Phone Guy, assonnato oltre ogni limite e con uno scatolone sigillato in mano.
«'Giorno Vince. 'Giorno Animaletti.» disse con la voce ancora impastata dal sonno, poggiando per terra lo scatolone.
«Alla buon ora!» lo stuzzicò Chica facendo riferimento alla mezz'ora di ritardo.
«Tu sei un pollo robot! Non potrai mai capire cosa significhi avere sonno!» esclamò iniziando a stiracchiarsi e ignorando l'occhiataccia di Chica, andando verso la sua scrivania ordinata e pulita con i block notes, il telefono, il porta penne e altri oggetti da lavoro.
«Cosa c'è in quella scatola?» chiese Vincent avvicinandosi alla scatola come se fosse un ordigno pronto ad esplodere.
«Ah, é per te. I pupazzi che hai chiesto....» rispose l'amico sedendosi sulla sedia girevole e poggiando la testa sulla scrivania, mentre le palpebre si facevano pesanti... Sempre più pesanti... Il mondo dei sogni lo aspettava...
«SVEGLIA UOMO TELEFONO!» al sentire quella voce Phone parve riprendersi del tutto, sgranando gli occhi e rivolgendo il suo sguardo terrorizzato al corridoio che collegava la sala al Pirate Cove... E quando vide Foxy corrergli in contro sentì le proprie viscere raggelare. No. No. Quella volpe doveva rimanere buona buona nel suo Pirate cove lontana, molto lontana, da lui.
Sentì la risata di Vincent e di tutti gli animatronics presenti e poi si ritrovò il brutto muso di Foxy a un soffio da lui.
Urlò.
Urlò in una maniera davvero poco mascolina e si allontanò con la sedia girevole.
«Smettila-la di avere paura di me Pirata-Tele-telefono!» quasi gli ordinò Foxy, mentre Phone prendeva a ridacchiare nervosamente.
«Ha ragione. Non si dorme sul lavoro. Divertiti Phone!»
«Vincent a-aspetta! Non mi lasciare solo con lui e-» a rispondergli fu solo il rumore della porta di ingresso che si chiudeva. Vincent se n'era andato e con lui lo scatolone sigillato.
«Bastardo traditore che abbandona gli amici... F-Foxy? Che ne dici di tornare al Pirate Cove?» la Volpe, offesa, se ne andò con la coda tra le gambe verso il suo covo, seguito da un Freddy che provava a consolarlo.


Vincent tornò a casa e l'unica cosa che il suo cervello era capace di pensare era "Dormire-Dormire-Dormire-Dormire-Adesso-ora-in-questo-momento" ma fu sorpreso di trovare suo figlio minore, Kenny, raggomitolato sul suo letto, dormiente. Era da un bel po' di anni che non aveva più bisogno di dormire con lui... Perchè con non aveva con sè Feadbear? Poggiò la scatola proprio vicino all'entrata della sua stanza e si avvicinò al figlio.
Eh si, Golden Freddy versione pupazzo non si trovava più stretto nella morsa del piccolo. Strano. Che volesse dimostrarsi grande ai suoi occhi? Passò velocemente una mano tra i corti capelli castani di suo figlio, e si stese accanto a lui. Per un attimo ripensò a sua moglie e a quanto entrambi i figli le somigliassero, almeno dal punto di vista fisico. Bhe, forse era un bene che nessuno avesse ereditato i suoi capelli viola... Sorrise a quel pensiero.
Poi cedette al sonno e si addormentò.

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Capitolo 3
*** Dietro La Maschera ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Dietro La Maschera


Doveva affrontarlo. Non poteva avere paura di lui, non in eterno.
Doveva affrontarlo e doveva farlo immediatamente. Era solo un robot con sembianze di Volpe, in fondo!
«Okay Phone... Se sei un uomo vai lì e lo affronti.» si disse. Si trovava esattamente ai confini del Pirate Cove, doveva solo sorpassare la linea rossa che delimitava i confini della zona ed era fatta! Un passo. Solo uno. Chiuse gli occhi. Ispira. Espira. Calmati.
Ripensò a quella mattina, quando alle sei e mezza Foxy, svegliandolo, aveva provato a creare un legame con lui, e di come lui, invece, lo avesse cacciato. Con gentilezza, si, ma pur sempre cacciato.
Un gesto davvero poco carino da parte sua, davvero poco.
Serrò i denti quando si ricordò di come Vincent lo avesse abbandonato. Oh, ma si sarebbe vendicato di quella guardia notturna, eccome se lo avrebbe fatto.
«Sorpassa la linea pirata Tele-telefono!» no. Non era la robotica voce di Foxy, quella. Assolutamente. Era la sua mente che gli faceva brutti scherzi. Quando riaprì gli occhi incontrò l'unico occhio visibile di Foxy che lo osservava, rimanendo però nel suo territorio, distante dal ragazzo appena qualche passo.
«Okay... Credo dovremmo parlare.» cominciò il Phone Guy, trattenendosi dall'urlare, lanciare qualcosa contro la volpe, magari una scarpa e correre via.
«Decisamente!» sentire Foxy parlare perfettamente era piuttosto raro e questo dettaglio non aiutò il povero ragazzo, no, al contrario: lo gettò nel panico più totale.
«Tu mi inquieti.» trovò il coraggio di dire.
«Non-non l'avrei mai de-de-detto.» ecco, era tornato il Foxy mal funzionante, bene così.
«Quindi: o ti affronto o continuo a scappare.»
«Affrontami! Sono un lu-lupo di mare, n-non ti temo!» Phone si trattenne dal precisare che più che un lupo era una volpe, ma non voleva la prendesse per un'offesa, quindi preferì il silenzio.
Silenzio che durò minuti infiniti. Doveva affrontarlo, lo sapeva, ma non quel giorno. Non era pronto. Indietreggiò di qualche passo, poi gli diede le spalle e se ne andò senza dire nulla, lasciando un Foxy confuso che lo guardava allontanarsi.
«Hehehe, quel tipo é più coniglio di me!» esclamò Springtrap apparendo alle spalle di Foxy, che ormai si era abituato all'entrate in scena improvvise di quel coniglio Giallo. Non sapeva come faceva ma era silenzioso come un fantasma.
«Se continuerà-rà con questo atteggiamento non-non diverrà mai un pirata degno del mio rispetto!» i codardi, a Foxy, piacevano poco.
Quando Phone tornò alla sua scrivania, con la mente che provava a non pensare alla conversazione appena avuta, prese a rigirarsi una delle tante penne abbandonate sulla scrivania tra le mani, in preda alla noia. Si, nel turno Diurno lui era completamente inutile, e nonostante avesse provato a farlo capire anche al capo quest'ultimo lo contraddiceva, dicendo che invece la sua era una presenza in più che poteva sempre tornare utile.
Sbadigliò, pensando che invidiava Vincent che a quell'ora probabilmente si trovava nella sua bella casa viola, circondato sai suoi mobili viola, con i suoi due figli viola, nel suo letto viola, sotto le coperte viola a fare sogni viola.
Si. Era così che immaginava la vita di Vincent.
A distrarlo dai suoi pensieri profondi fù il tefono, che prese a squillare guadagnandosi un'occhiata confusa dal ragazzo.
Che razza di malato di mente voleva ordinare una pizza a quell'ora? Alzò la cornetta e rispose.
«Qui parla la Feazbear Pizza! Cosa posso fare per lei?»
«Dillo che pensi che sia pazzo a chiamare a quest'ora. É inutile che mi fai la voce entusiasta, ti conosco bene!»
«Vincent! Si, okay, lo avevo pensato. E la voce entusiasta... Devo farla. É scritto nel contratto.» spiegò poggiando il mento sulla scrivania, ringraziando internamente l'amico per averlo salvato dalla noia almeno per poco.
«Comunque mi ero dimenticato di dirtelo, ma vorrei prenotare per la settimana prossima. É il compleanno di mio figlio.» subito Phone tornò dritto, cominciando ad armarsi di agenda e penna, controllando se quel giorno non ci fossero altre prenotazioni per altri compleanni. Era annoiato e stanco, ma quando si trattava di lavorare Phone non ammetteva di sbagliare, prendeva tutto piuttosto seriamente.
«É Lunedì, giusto?» chiese guardando la pagina immacolata del Lunedì.
«Esatto.»
«Perfetto, siamo liberi! Ti prenoto subito per Lunedì, solo una cosa... Tuo figlio non é viola come te, vero?» ora gli avrebbe chiuso il telefono in faccia, ne era cert- ecco. Lo aveva fatto. Rise riagganciando e prendendo a scrivere sull'agenda. Era uno spasso prendersi gioco di Vincent.
Quando smise di scrivere sobbalzò, notando che dietro di lui si trovava Freddy, leggermente inclinato verso la scrivania, intento a leggere cosa avesse appena scritto.
«Per pietà, non mi diventare come Springtrap, Freddy!» lo implorò, attirando l'attenzione dell'orso che fece un'espressione che doveva ricordare un sorriso di scuse.
«Perdonami Phone. Volevo solo avere la conferma che Vincent ci avesse dato ascolto.» il giovane lo guardò confuso, ma non ebbe tempo di chiedere spiegazioni che l'orso lo salutò cortesemente con la mano, per poi raggiungere i membri della sua band con cui prese a parlottare.
Davvero la guardia notturna si stava facendo aiutare dagli Animatronics per il compleanno del figlio? ... Rise, una risata sincera e cristallina, tutta quella storia era... Divertente, a modo suo.
Senza ombra di dubbio gli Animatronics erano totalmente fedeli alla loro Guardia Notturna.


Quella mattina si era svegliato tardi, come ogni giorno, d'altronde, dato che di notte doveva badare ai pezzi di latta.
Si era fatto una doccia, messo dei vestiti puliti - togliendosi finalmente la divisa che teneva dal giorno prima - e chiamato Phone per prenotare la pizzeria.
Aveva fatto tutto in appena un'ora e adesso avrebbe dovuto preparare il pranzo. Dato l'orario i suoi figli sarebbero giunti a momenti, tornando da scuola.
E proprio mentre si dirigeva in cucina per mettere alla prova le sue doti - quasi inesistenti - culinarie, aveva intravisto la scatola che doveva contenere i pupazzi destinati a Kentin, ancora sigillata vicino alla sua stanza. Non era stata toccata da nessuno, a quanto pareva era rimasta abbandonata lì per tutto il giorno. Così la prese e la portò con sè in salotto, poggiandola poi sul tavolo.
Voleva che ad aprirla fosse Kentin dato che era per lui, quindi la lasciò lì e si ritirò in cucina, sperando di riuscire a cucinare qualcosa di commestibile.
Intanto i due figli stavano tornando insieme da scuola dato che era compito di Jeremy accompagnare il minore all'andata e al ritorno da scuola. Il viaggio era, come al solito, silenzioso, nessuno dei due aveva qualcosa da dirsi, ma questa volta era diverso. Questa volta Kentin voleva chiedere dove fosse Feadbear e se poteva riaverlo indietro.
«Jeremy...» lo chiamò indeciso, la sua voce era un'appena udibile sussurro che infatti il fratello non udì, o semplicemente fece finta di non sentire.
«Jeremy!» lo richiamò alzando appena la voce e attirando l'attenzione del fratello che si limitò a rivolgergli il suo sguardo per fargli capire che, si, lo stava ascoltando.
«Voglio che tu mi restituisca Feadbear, per favore.» disse abbassando lo sguardo, pentendosi immediatamente di aver esposto il suo desiderio, sperando che il fratello non lo avesse nuovamente sentito, o gli avrebbe dato dello...
«Stupido.» appunto. Gli rispose solo con quell'insulto, Jeremy, meno parlava con il piccoletto, meglio stava.
«Em... Almeno stà bene?» chiese Kentin facendo appello a tutto il suo coraggio per porre quella domanda al maggiore, ma questa volta decise di alzare gli occhi per osservare il volto del fratello, la sua espressione divertita, il suo sguardo quasi sadico... Il suo ghigno. Perché stava ghignando?
«Bhe, non so quanto ospitale sia l'Inferno.» oh. Ecco perchè. Probabilmente lo aveva davvero bruciato, fatto a pezzi o chissà cos'altro. Il suo amico, Feadbear, non sarebbe più tornato da lui.
A quel pensiero i suoi occhi si fecerlo lucidi e tornò a fissare il marciapiede, mentre provava a contenere quelle lacrime che pregavano di liberarsi dai suoi occhi, attraversare le sue guance lasciando strisce salate, per poi morire sul suo mento e infrangersi per terra.
«Vuoi che papà ti veda piangere? Lo faresti sentire in colpa, sai? Non poteva capitargli figlio minore peggiore. Ehy, smettila, imbecille!» l'ultima frase quasi l'urlò, Jeremy.
Per quanto gli riguardava il fratello poteva piangere quanto voleva, ma c'era solo una muta regola a quel Gioco che non andava infranta per nessuna ragione al mondo: non farsi vedere mai sofferenti da papà, mai, per nessuna ragione, e fargli credere che, si, erano una famiglia felice, loro.
Così Kenny si passò un braccio sugli occhi, asciugandoseli.
«Ecco, bravo.» si congratulò, seccato, il maggiore per poi prendere la mano del fratellino nella sua, quando erano ormai davanti casa loro.
Una volta davanti alla porta il maggiore estrasse le chiavi dallo zaino, infilò la chiave di casa nella toppa e la girò facendola aprire con un leggero suono metallico.
«Siamo a casa!» informò appena entrato, tirandosi dietro Kentin con uno strattone, facendolo quasi cadere ma salvandolo, sollevandolo con il braccio, impedendogli la caduta.
«Sono in cucina!» informò Vincent.
«Hai cucinato tu?» chiese Jeremy sentendo la paura insinuarsi nel suo cuore.
«Si.»
«La chiamo ora o dopo pranzo l'ambulanza?» chiese sarcastico mentre uno sbuffo del padre provenne dalla cucina.
«Hai preso il sarcasmo da me! Gran brutta cosa.» Il primogenito si aspettava una frase simile dalla Guardia e decise di raggiungerlo in cucina, costringendo Kentin a seguirlo.
«É quasi pronto. Voi andate di là e- ah si! Aprite la scatola sul tavolo. Si, bhe, poi apparecchiate, grazie.» ordinò Vincent tenendo sotto controllo l'orologio, non poteva permettersi di bruciare tutto, ne andava della sua dignità di Chef improvvisato.
Solo allora Jeremy abbandonò la presa sul fratello che, svelto, raggiunse il padre, abbracciandolo, circondando i fianchi dell'uomo con le sue braccia.
«Ohw. Jeremy vieni anche tu ad abbracciare papino.» cominciò Vincent rispondendo all'abbraccio del piccolo, guardando, però, il maggiore. «Sia mai tu abbia carenze d'affetto!» Jeremy sbuffò alzando gli occhi, borbottando qualcosa come "non ho bisogno di certe cose" per poi congedarsi e raggiungere il salotto dove finalmente vide la scatola di cui tanto si parlava.
«CHE CUORE DI PIETRA!» gli giunse la voce sarcastica del padre dalla cucina e accennò un sorriso. Era quello il loro modo di volersi bene, tra battutine e sarcasmo.
Prese la scatola tra le mani e cominciò a togliergli lo scotch che la sigillava, solo dopo due minuti riuscì ad aprirla e vederne il contenuto. Dei pupazzi. Bhe, quindi erano per Kenny. Sbuffò e ripoggiò lo scatolone sul tavolo, quando si accorse, tra un pupazzo di Chica e uno di Freddy, infondo alla scatola, ben nascoste: c'erano delle maschere. Quattro per l'esattezza, con le sembianza dei nuovi animatronics: Chica, Freddy, Bonnie e Foxy. Su quest'ultima maschera c'era un post it, probabilmente destinato alla Guardia Notturna, ma che invece si trovava tra le mani del suo primogenito.
"Dato che hai fatto tanto per questa pizzeria ho aggiunto queste maschere. Sei il primo in assoluto ad averle, Vincent, non sono ancora sul mercato! Spero ti piacciano, ragazzo, e ben tornato!"
«Un regalo dal direttore del Feazbear...» sussurrò a sé stesso quasi senza accorgersene, rigirandosi la maschera di Foxy tra le mani. Era la maschera che più gli piaceva, tra tutte, il muso allungato, i denti aguzzi. Si. Decisamente ben fatta. Peccato non si accorse dello sguardo divertito di Vincent su di lui che, poco dopo, gli tolse la maschera dalle mani.
«Ma tu guarda! Questo é proprio il brutto muso di Foxy!» esclamò Vincent analizzando la maschera che era una perfetta riproduzione dell'animatronics.
Posò il suo sguardo sul figlio e sorrise beffardo, scompigliandogli i capelli.
«Sei fan del Feazbear anche tu, ora, eh!»
«Ma per favore! Mi sembrava solo fatta bene. Dov'è Kentin?» chiese Jeremy cambiando discorso e subito la guardia gli fece un cenno del capo verso la cucina.
«Controlla che non vada tutto a fuoco. Ora gli porto questi pupazzi, per quanto riguarda le maschere, dato che mi sembri interessato, prendile tu.» così dicendo il Purple Guy uscì le rimanenti tre maschere dalla scatola per poi dare una pacca sulla spalla al figlio e tornare in cucina con i pupazzi tanto desiderati da Kentin, pronto a ricevere mille ringraziamenti da quest'ultimo.
Jeremy così prese le maschere e, non potendo rifiutare un regalo, se le portò nella sua camera, poggiandole sul letto con disinteresse. Lui un fan di Feazbear? Mai stato e mai lo sarebbe divenuto. Ma quando rimase ancora con quella maschera da volpe tra le mani... Non poté trattenersi dall'indossarla. Subito cercò lo specchio e quando lo trovò rise. Quanto era stupido con quella roba addosso? Se la tolse e riprese in mano anche le altre, decidendo di nasconderle nel proprio armadio, sotto qualche capo d'abbigliamento. Le sistemò per bene per poi raggiungere il salone, ormai il pranzo era quasi pronto: doveva apparecchiare.
Che regalo inutile, però. Cosa mai gli sarebbero servite delle maschere?

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Capitolo 4
*** Lascia Dormire La Tua Coscienza ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Lascia Dormire La Tua Coscienza


Mike Schmidt era un ragazzo tranquillo, pacato, dalla pazienza infinita, tanto che alcuni credevano che non fosse proprio capace, di arrabbiarsi. Quella rabbia pura, che ti fa urlare, magari anche lanciare oggetti e picchiare eventuali scocciatori: Mike, l'aveva mai provata? Tutti se lo chiedevano, nessuno sapeva rispondersi.
Mike Schmidt conobbe Jeremy, suo allora compagno di banco, alle medie, non sapendo che presto sarebbe divenuto il suo incubo. Quel ragazzo si impegnava a fondo per distruggere le mura della sua pazienza facendogli dispetti continui e quotidiani: gli nascondeva li appunti, lo distraeva durante le lezioni, li scriveva il banco dicendo che doveva sfogare il suo lato artistico, faceva di tutto per metterlo in imbarazzo davanti alla classe e si divertiva a scrivere robe oscene sulla lavagna riguardo la professoressa che stava arrivando firmandosi "Mike Schmidt".
In parole povere: Jeremy era uno stronzo.
Nonostante i continui dispetti Mike non si era mai arrabbiato, mai aveva perso la sua calma, nemmeno rivolgendo una sola occhiataccia al giovane. Semplicemente scuoteva la testa, rassegnato a quell'atteggiamento da bulletto stupido. Era maturo, Mike. Molto più di Jeremy.
Nonostante il suo compagno di banco si fosse meritato solo pugni in faccia, quando un giorno venne a chiedergli di aiutarlo in matematica, dandogli ripetizioni, Mike non lo aveva respinto, ma aveva accettato di aiutarlo. Perché era maturo, Mike. E sapeva perdonare.
Quindi si erano ritrovati a casa dello Schmidt e avevano cominciato a studiare, Jeremy lo seguiva e non pareva intenzionato a qualche sua stupidaggine, finchè non cominciò a distrarsi e a fare battutine, e a far notare quanto fosse noiosa e difficile la matematica.
«Tu non sei venuto qui per imparare, vero? Volevi solo prolungare le tue torture, perchè le cinque ore passate insieme a scuola non ti bastavano!» esplose Mike allora, alzandosi in piedi, aspettandosi un'espressione confusa o dispiaciuta dal ragazzo, espressione che mai arrivò su quel volto, al contrario, Jeremy gli sorrise beffardo. E bastò quello per far crollare tutta la sua pazienza che, dispetto dopo dispetto, aveva collezionato delle crepe e ora non poteva più reggere.
Gli lanciò il proprio borsellino. Dritto in faccia. Si, Mike Schmidt era un ragazzo maturo. Prima di conoscere Jeremy.
«Sei insopportabile! Ma cosa ci trovi di divertente nello stuzzicarmi!? A volte avrei voluto metterti le mani al collo da quanto ti rendevi odioso! E nonostante io provi anche ad aiutarti dopo tutto ciò che hai fatto tu-...? E adesso perchè ridi, idiota?» infatti il suo nemico giurato era scoppiato a ridere nemmeno a metà della sua sfuriata, battendo anche le mani quando questo s'interruppe.
«E bravo Schmidt! Ce ne hai messo di tempo. Mio Dio, ero io quello a cui saltavano i nervi ogni volta che a un mio scherzo non facevi una piega. Non parevi nemmeno umano! Benvenuto tra i comuni mortali, amico mio.» e da quel giorno Mike e Jeremy divennero migliori amici, finendola con gli scherzi e cominciando a fare amicizia, giorno dopo giorno, parlando, scherzando, andando a dormire uno a casa dell'altro, per poi raccontarsi segreti e storie di paura quando giungeva tarda notte, quando si voleva cambiare aria, crescendo praticamente insieme. Ora, all'età di 16 anni, quel rapporto di amicizia non si era minimamente indebolito, al contrario, pareva indistruttibile.
Mike conosceva ogni lato di Jeremy. Dalla sua parte più cattiva, che lui stesso aveva affrontato alle medie, a quella più scherzosa, divertente, la sua parte migliore.
«... E quindi mi ha regalato queste maschere. E in realtà non so che farmene.» ora Jeremy si trovava a casa di Mike, seduto a gambe incrociate sul letto dell'amico, mentre quest'ultimo gli era di fronte e aveva appena ascoltato ciò che era successo durante il giorno.
«Bhe potresti venderle. Se sono le prime maschere in assoluto-»
«Ti pare che vendo un regalo di mio padre?» lo interruppe subito, Jeremy, incrociando le braccia al petto con fare indignato. L'amico alzò le mani in segno di resa, chiedendo venia per l'errore.
«Invece pensavo di utilizzarle con mio fratello.» Quando Mike diceva di conoscere ogni lato di Jeremy non scherzava. Lo Schmidt era l'unico al mondo, dopo i fratelli, a sapere che rapporto reale avessero i due. Ed era sempre stato contrario al comportamento dell'amico: era il primogenito, avrebbe dovuto prendersi cura del minore, non rendergli la vita un'Inferno.
«Jeremy... Sai come la penso. Ti stai troppo accanendo su un bambino di 7 anni che non é altri che tuo fratello. Avete lo stesso sangue. Come puoi trattarlo a quel modo?» il castano alzò gli occhi a quella domanda, come se fosse la prima volta che gliela poneva! Ogni volta che si toccava l'argomento l'amico non faceva altro che correre a prendere le difese del secondogenito. Ormai quella discussione era stata fatta più e più volte.
«Sono solo scherzetti!»
«Non prendermi in giro: lo sai tu e lo so io che lui ci soffre per i tuoi "scherzetti".» affermò Mike, serio, deciso più che mai a far capire al compagno di banco la gravità delle sue azioni, che agli "scherzetti" c'era un limite che lui aveva superato da un pezzo, raggiungendo il sadismo. E allora non erano più scherzetti ma vere e proprie torture. Jeremy scosse la testa, stanco ormai di farsi fare la paternale dallo Schmidt.
«E che mi diverto.»
«A vederlo soffrire?»
«A fargli gli scherzi.»
«Ma a vederlo piangere? Ti diverte? No, perché quel tipo di divertimento si chiama sadismo e potrebbe essere un problema, Jeremy, non credi?» Mike non distolse un'attimo gli occhi dal volto di Jeremy: voleva cogliere ogni titubanza, ogni dubbio e, se ce n'era, anche senso di colpa. Ma il ragazzo pareva indossare una maschera che non consentiva allo Schmidt di capire cosa gli passasse per la testa.
Jeremy sbuffò, annoiato, per poi alzarsi dal letto e stiracchiarsi.
«Senti, devo tornare a casa. Tra poco mio padre andrà a fare il turno di notte e io devo badare a Kentin.» aveva cambiato discorso. Come al solito. Ogni volta che si affrontava quel discorso poi si cambiava argomento. Paura di rendenderti conto del male che stai causando, Jeremy? Lascia dormire la tua coscienza, non svegliarla, o il senso di colpa ti soffocherebbe.
«Va bene. Allora ci si vede domani a scuola. Ricordati di studiare Letteratura! Domani ti interroga!»
«Si, mamma, si...» e quando dopo quella frase gli giunse uno schiaffo proprio sul collo dall'amico, dopo averlo insultato, ghignò. Era l'unico in grado di liberare la parte più sincera di Mike, nascosta sotto un sacco di pazienza che lui distruggeva senza timore.


Kentin si trovava nella sua stanza, seduto sul proprio letto a osservare la propria stanza. Quando giungeva sera sembrava così spaventosa. Ma aveva i suoi nuovi amici con sè. Freddy, Chica, Bonnie e Foxy! ... Però gli mancava tanto Feadbear. Per quanto riguardava Plushtrap, Vincent aveva deciso di metterlo in corridoio, su una sedia, dicendo che quel piccoletto era pericoloso e per evitare incidenti era meglio stargli lontano. Un po' però gli dispiaceva per il coniglietto giallo... Tutto solo.
Ma di sera anche lui era più inquietante. Quello che alla luce del sole pare innocente e carino, circondato dalle tenebre della notte diveniva inquietante e strano.
«Kenny?» suo padre entrò in stanza mentre si aggiustava il distintivo della sua divisa con il proprio nome riportato sopra.
«Sai dove sia Jeremy?» chiese il Purple Guy e subito il piccolo fece un cenno negativo.
«"Torno presto!" e sono le 23;34! Sarà stato rapito dagli Alieni mentre era sulla strada di casa...» suppose sarcasticamente la Guardia Notturna, facendo sfuggire un risolino al minore, mentre pregava che il primogenito si muovesse a tornare: non voleva ritardare o si sarebbe dovuto beccare le battutine di tutti gli animatronics della pizzeria!
«Sono a casa!» la voce di Jeremy venne seguita dal chiudersi della porta d'ingresso e se Vincent esclamò un:
«Ed era anche ora!» Kentin si irrigidì. Era tornato. Il suo sguardo automaticamente cercò i suoi nuovi amici e subito pensò che doveva salvarli! Se non li trovava non avrebbe potuto fargli del male, no? Quando il padre uscì dalla stanza raggiungendo il primogenito, Kentin, svelto, prese tutti i suoi pupazzi e gli nascose in giro per la stanza. Freddy sotto il letto, Foxy nell'armadio, Chica dietro la scrivania e Bonnie nel comodino. Ora erano al sicuro.
«KENTIN IO ESCO! BUONANOTTE!» gli giuse la voce del padre e poco dopo la porta principale che si chiudeva. Ecco. Era cominciata un'altra notte.
Pochi minuti dopo il maggiore passò davanti alla porta di Kenny, doveva per forza passare davanti quella stanza dato che la propria camera veniva subito dopo quella del fratello. I loro sguardi si incontrarono brevemente, Jeremy non si fermò e nè lo salutò, continuò semplicemente a camminare.
Kentin sospirò internamente di sollievo. Preferiva di gran lunga essere ignorato che subire i suoi scherzi.
«Ma che cazzo- Perchè questo coniglio é qui? É inquietante!» esclamò Jeremy notando, proprio davanti alla sua camera, Plushtrap, con la testa appena piegata di lato, seduto sulla sedia e parzialmente circondato dal buio, ma comunque visibile per merito del suo colore acceso.
Kentin si affacciò al corridoio e il maggiore si voltò verso di lui chiedendo mute spiegazioni, indicando il coniglio.
«Papà ha detto che é pericoloso e lo ha messo lì.»
«Deve per forza stare proprio accanto alla mia stanza!?»
«Hai paura?» l'innocenza con cui Kentin pose quella domanda spiazzò per un'attimo il maggiore. Non era un tono di scherno, no, era come se... Fosse preoccupato sinceramente per il fratello. Sapeva cosa significava avere paura e non l'avrebbe augurata nemmeno a suo fratello, che era la causa del suo terrore.
«Non ho paura.» affermò Jeremy, ritrovando la sua indifferenza a sostituire lo stupore causato da quella semplice frase.
«Allora... Buona notte.» augurò Kentin ritirandosi velocemente nella sua camera, chiudendo la porta subito dopo. Quello era stato, forse, il dialogo più umano che avesse mai avuto con suo fratello.
Poco dopo sentì la porta della camera di Jeremy venire sbattuta. Si era arrabbiato? E perchè mai? Scosse la testa provando a rilassarsi e raggiunse il suo letto sprerando che davvero, quella, fosse una Buona Notte.


«Scordatelo.»
«Non fare il difficile!»
«Ripeto, Purple Guy: Scordatelo!» nulla, Springtrap su certe cose era irremovibile.
Vincent si trovava alla pizzeria ormai da tre ore, tempo utilizzato per organizzarsi su varie cose al compleanno che si avvicinava e che tutti ormai avevano preso a cuore. Solo che Vincent aveva osato avanzare una richiesta ai due animatronics secolari del Feazbear; richiesta che se Feadbear aveva accolto con una risata, accettandola, Springtrap, al contrario, parve indignato.
La richiesta di Vincent era semplice: essendo vecchi modelli potevano anche essere indossati come costumi da chiunque ed era esattamente quello che voleva Vincent: che entrassero in modalità "costume", ma era un metodo a cui non ricorrevano da anni, dato che, con l'avanzare del tempo e della tecnologia, era molto più scenico vedere dei Robot muoversi e parlare autonomamente che delle persone in un costume.
«Si tratta solo di qualche ora, Coniglione!» la velata parolaccia di Vincent fece assottigliare gli occhi al coniglio.
«Tu non sai cosa si provi ad essere indossato. Non è bello! Lo sai che poi non possiamo controllare bene ogni nostro movimento? Eh? Lo sai? Perchè se ci muovessimo quelli che ci indossano potrebbero farsi male seriamente, quindi dobbiamo lasciargli totalmente il controllo del nostro corpo riuscendo a muovere solo alcune parti di esso che comunque non controlliamo, perchè é qualcosa di automatico, predefinito, mentre siamo in quella modalità.» ad ascoltare le parole di Springtrap, oltre a Vincent si trovavano Feadbear, Bonnie, Chica e Freddy. Foxy come al solito era rimasto rintanato nel suo Pirate Cove dicendo che avrebbe allestito lui il proprio territorio e che sarebbe andato tutto bene. Chica inarcò un sopracciglio scuotendo appena la testa.
«Sei proprio uno stupido. Solo perchè ti da fastidio essere controllato rifiuti di-»
«Gallina, decidi: o chiudi tu il becco o te lo chiudo io!» da quando in qua Springtrap era così brutale? Dov'era finito lo sguardo furbo, le battutine sarcastiche, i sorrisetti divertiti? Chi era quello Springtrap?
«Noi non possiamo essere indossati, Vincent?» chiese allora Bonnie, pronto a mettersi in gioco per il bene della festa, ma ricevette un segno di dissenso dalla guardia.
«Siete nuovi modelli. Se qualcuno provasse a indossarvi morirebbe tra cavi, ingranaggi e altre robe di quel genere. Mentre Feadbear e Springtrap sono stati creati potendo essere utilizzati in entrambi i modi. Anche se, per chi gli indossa, é comunque pericoloso. Devono evitare assolutamente movimenti bruschi o potrebbero-» Vincent si fermò quando Springtrap lo superò senza degnarlo di uno sguardo, allontanandosi da quel posto, lasciando i presenti in uno strano silenzio.
«... Solo a me sembra agitato?» chiese allora Freddy, rompendo quel silenzio.
«Decisamente! Hai visto come mi ha risposto? Non sembrava nemmeno lui!» concordò Chica, poggiando le mani sui fianchi e osservando il corridoio imboccato dal Coniglio Dorato.
«Magari oggi é successo qualcosa che l'ha innervosito.» disse Bonnie, le orecchie rivolte verso il basso, dispiaciute quanto il loro padrone dell'atteggiamento avuto da Springtrap.
Feadbear e Vincent rimasero in silenzio, guardandosi. Solo loro potevano capire.
«Non avrei dovuto chiederglielo, eh?» chiese ridacchiando tristemente la Guardia Notturna, sentendo la mano di Feadbear appoggiarsi sulla propria spalla.
«Non hai colpe, Vincent.» lo rassicurò l'orso dorato mentre gli animatronics guardavano i due, confusi.
«Vado a parlarci. Se cade in depressione per colpa mia mi farei nemici tutti i fan di quel coniglio! E sono fin troppi...» e con il suo immancabile sarcasmo Vincent riuscì a sdrammatizzare la situazione. Seguì la direzione presa da Springtrap, mentre Bonnie, Freddy e Chica chiedevano spiegazioni dall'orso dorato.
Purple Guy raggiunse Springtrap che continuava a camminare per i corridoi a un passo forse anche troppo veloce per un robot.
«Ehy coniglietto, fermati che se fai il bravo lo zio Vincent dopo ti da le carote.» con quella frase la Guardia riuscì ad affiancare l'animatronics, faticando per tenere il passo del coniglio che lo ignorò bellamente, aumentando ancora la velocità, superandolo, costringendo Vincent a una leggera corsetta.
«Non sapevo avessi una passione per la corsa, ma magari facciamo una gara un'altra volta, eh? Fermati adesso.» Vincent non credeva lo avrebbe davvero ascoltato, quindi quando Springtrap si fermò di colpo lui... Come dire... Gli andò addosso. Ora, andare contro a un corpo robotico fatto di metallo faceva male quanto spiaccicarsi a un muro di cemento armato. Il viola cadde di schiena per terra, cominciando a rivolgere maledizioni all'animatronics, tra un lamento e l'altro.
«Dimmi pure.» disse il coniglio, serafico, voltandosi verso la guardia ancora stesa per terra che provò almeno a mettersi seduto per conservare un minimo di dignità.
«A parte il fatto che sei il coniglio più stronzo dell'universo: quel é il problema?» chiese il viola riuscendo finalmente a tirarsi a sedere, sentendo una fitta di dolore lungo la schiena. Domani gli avrebbe sentiti uno per uno i dolori sul suo corpo, ma adesso doveva affrontare l'Antico.
«Non so di che parli.»
«Qual è il motivo per cui non vuoi essere indossato?» il silenzio cadde tra i due e Vincent giurò che se il robot avesse ripreso a correre, poi gli avrebbe dato fuoco con le sue mani.
«Tu e Feadbear dovreste saperlo perfettamente. Non mi sono sempre chiamato Springtrap, io.» affermò l'animatronics ritornando a guardare il Purple Guy che si stava rimettendo il cappello che gli era scivolato via durante la caduta.
«Ancora questa storia?» domandò il giovane, inarcando un sopracciglio.
«Non funziono più bene. Se qualcuno mi indossasse le probabilità che lo uccida sono altissime! Per questo hanno cominciato a chiamarmi Spring-trap.» spiegò brevemente il coniglio, dando una spiegazione che in realtà non serviva, non alla guardia notturna che badava a quel luogo sin dalla sua apertura. Entrambi sapevano che 10 anni prima l'allora Spring Bonnie cominciò ad avere mal funzionamenti che feriva, a volte anche gravemente, chi lo indossava, così si decise di mantenerlo solo in modalità libera, dove riusciva a muoversi da solo, senza nessuno che lo indossasse. Da allora alcuni addetti presero a chiamarlo "Springtrap". E i bambini che vedevano i grandi chiamare Spring Bonnie a quel modo gli imitavano. E prima che se ne rendesse anche conto il suo nome divenne ufficilamente Springtrap, poichè tutti presero a chiamarlo a quel modo.
«Se non vuoi farlo mi stà bene. Volevo farvi indossare perchè ho raccontato mille volte a mio figlio della vostra "modalità costume" e ne é sempre stato incuriosito, lui 10 anni fa non esisteva ancora, Spring Bonnie.» piccola Guardia Notturna malvagia. Sapeva quali tasti premere.
«Va bene! Lo farò. Ma se muore qualcuno ritieniti responsabile.» Purple guy sorrise vittorioso.
«Bravo coniglietto. Ora vieni che zio Vincent ti regala le carote che ti ha promesso.»
«Io dico che Zio Vincent tra poco avrà in cambio uno schiaffo di metallo.» questo era lo Spring Bonnie che conosceva.
Bentornato Springtrap.

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Capitolo 5
*** Il Vero Incubo È Reale ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Il Vero Incubo È Reale


Voleva che finisse. Aveva paura. Perchè non finiva mai? Kentin si trovava in un incubo, ne era coscente, un incubo che ormai era diventato di routine. Non era sempre lo stesso, non accadevano sempre le stesse cose, no, ma alcuni elementi non variavano mai. Come i protagonisti.
Si trovava al centro della sua stanza, armato solo di una torcia; davanti a lui il suo armadio bianco; dietro di lui il proprio letto, e ai due estremi della stanza le due porte che davano sui corridoi.
Non era la realtà. Andava tutto bene. Due occhi rossi, luminosi, s'intravidero nell'armadio. Gli si avvicinò e lo aprì, trovandosi dinanzi a Foxy. Ma non il suo amico Foxy, il pupazzetto che il padre gli aveva portato, no, questo Foxy era più grande, della grandezza di un animatronics. Aveva due occhi rossi, luminosi, il rivestimento del muso terminava nemmeno alla metà di quest'ultimo, dunque l'endoscheletro era esposto, la bocca leggermente aperta mostrava i denti acuminati, comparabili a coltelli.
Il piccolo rimase calmo e richiuse l'armadio.
«É bello rivederti.» la voce robotica di Foxy gli giunse da dentro l'armadio. Cosa? Era la prima volta che parlavano. S'irrigidì sentendosi osservato e si voltò verso il letto, sulle quale si trovava Freddy, anche lui sfregiato e spaventoso. Dannazione, si era dimenticato di illuminare il letto, cacciando via quella sottospecie di mini-Freddy!
«Ci mancavi.» riprese Foxy con la sua voce spaventosa, mentre da entrambe le porte si affacciavano Bonnie e Chica, in condizioni non migliori dei loro compagni. Era circondato. Era la prima volta che accadeva una cosa simile. L'incubo era cambiato? Non seguiva più il suo invisibile copione? «C-Cosa... Cosa succede?» chiese Kentin, spaventato da tutte quelle novità, indietreggiando fino ad arrivare al centro della stanza. La luce venne accesa da Bonnie, in modo tale che ogni animatronics fosse ben visibile. Ora la torcia non serviva più a molto, ma il piccolo era troppo terrorizzato per pensare, anzi, anche solo per ricordarsi di spegnerla.
«Siamo tuoi amici, Kentin. Lo hai detto tu. Ci hai nascosto da Lui perchè non volevi ci facesse del male, ricordi?» si voltò verso Freddy, colui che aveva appena parlato. La sua voce profonda e robotica non lo rassicurava affatto. Ma non aveva luoghi in cui nascondersi.
«No... No. Voi siete Incubi! Andate via! Basta, vi prego!» chiuse gli occhi, Kentin; non voleva più guardarli. si tappò le orecchie; Non voleva più sentirli. Si morse la lingua; non voleva più parlarci.
«Saremmo noi, gli incubi?» sentì chiaramente la domanda di Foxy. Era inutile tapparsi le orecchie, era inutile chiudere gli occhi, ed era inutile mordersi la lingua. Loro erano nella sua testa. Da loro, non poteva fuggire.
«Noi siamo tuoi amici. Il tuo vero incubo é Lui. Il tuo vero Incubo è reale.» quelle furono le ultime parole che Foxy gli dedicò, poi i suoi occhi si aprirono e mai fu così rassicurante ritrovarsi a guardare il soffitto di camera sua.
Si mise seduto e cominciò ad analizzare la sua camera così somigliante a quella onirica se non per le due porte, che nella sua camera reale era solo una. Andava tutto bene. Prese un profondo respiro e scese dal letto, tra poco sarebbe stata ora di andare a scuola, meglio prepararsi. Recuperò i quattro pupazzi dai luoghi dove li aveva nascosti e li sistemò in un angolo della stanza, mentre cominciava a cambiarsi.
Una volta pronto per la scuola si avvicinò alla porta e...? Cosa? Perchè non si apriva? Ritentò più volte, ma nulla.
«Jeremy? Papà?» stava cominciando ad agitarsi. Dov'era suo padre? A quell'ora doveva già essere tornato! Era chiuso in camera.
«JEREMY!» urlò continuando a provare ad aprire la porta che si ostinava a rimanere chiusa.
«JEREMY, TI PREGO, APRI!» lo implorò, ma nessuno accorse in suo aiuto. Nessuno lo sentì. Si ranicchiò dietro la porta mentre gli occhi cominciarono a lacrimare e i singhiozzi divenivano incontrollati. Mai.
Quell'incubo non sarebbe finito mai.
Quel Foxy spaventoso del mondo onirico aveva ragione: Il suo vero Incubo era reale.


«Ripeti quello che hai detto!»
«Jeremy, per favore, andiamocene.»
«No. Prima questo bastardo deve ripetere quello che ha detto.» quando Jeremy si arrabbiava, ma arrabbiava sul serio, diveniva una furia che nemmeno Mike era capace di controllare. Erano a scuola, la ricreazione era cominciata da poco e Jeremy e lo Schmidt - ancora compagni di banco dai tempi delle medie - avevano deciso di farsi un giro per la scuola, magari andando alle macchinette. Peccato che il castano avesse sentito qualcosa che non avrebbe dovuto.
«Va bene, te lo ripeto! Tuo padre è un pazzo che parla con dei Robot.» quel ragazzino delle prime era davvero molto stupido se continuava a stuzzicare in quel modo il giovane. Se il ragazzino non si ritrovò con un pugno sullo zigomo era solo perchè Mike teneva fermo e a debita distanza Jeremy, chiudendo il suo braccio in una ferrea morsa.
«Mike lasciami. Voglio rompergli la testa di cazzo che si ritrova.»
«Tutorial: come prendere una sospensione. Non fare l'imbecille e torniamo in classe.» Jeremy parve soppesare le sue parole, sapeva che doveva calmarsi, ma quello scarto umano aveva osato insultare suo padre! E se c'era una cosa che non ammetteva e che si insultasse Vincent. Anche solo una minima parola cattiva nei suoi confronti e si liberava l'ira più nera di Jeremy.
Il coraggio del neo scolaro parve dissolversi dato che non osò più aprire bocca per i minuti seguenti, anzi, pareva quasi impaurito, adesso. Insomma, lo sguardo acceso dalla rabbia, gli occhi ridotti a due fessure, i pugni tenuti stretti lungo i fianchi, i denti serrati, i muscoli tesi: avrebbe fatto paura a chiunque.
Jeremy inspirò profondamente e tutti quegli elementi scomparvero: lo sguardo calmo, gli occhi ben aperti, i muscoli rilassati e la mascella non più contratta.
«Possiamo andare.» disse calmo Jeremy, liberandosi dalla presa dell'amico e dirigendosi in classe. Mike vide il ragazzino delle prime sospirare. Si dava per salvo? Povero illuso. Non sapeva che adesso Jeremy sarebbe stato il suo tormento personale. Figurarsi se lasciava correre un simile oltraggio. Scosse la testa, Mike, e seguì l'amico, affiancandolo, mentre la campanella che decretava la fine della ricreazione risuonava in tutta la scuola.
«Stai bene?» gli chiese Mike vedendolo fin troppo tranquillo.
«Stò bene? Come potrei? Adesso ho interrogazione di letteratura.» era lui. Era il Jeremy che conosceva. Stava bene.


«... E doveva rimanere a farmi compagnia!» Phone stava detestando il suo miglior amico, in quel momento, come poche altre volte in vita sua. Insomma, era arrivato alle sei per aprire la pizzeria coma al solito e ci aveva trovato Vincent, come al solito. Solo che la guardia, presa da un moto di compassione e amicizia aveva esordito con "Dai, rimango qui con te a farti compagnia".
Tempo un'ora e si era addormentato sulla sua scrivania, sbattendogli in faccia il fatto che lui poteva dormire, dato che il suo turno di lavoro l'aveva fatto, e Phone no. Bell'amico si era scelto. Ora, a mezzogiorno passato il viola continuava imperterrito il suo sonno e nulla lo svegliava: né le urla dei bambini, nè le poche chiamate che riceveva Phone per qualche prenotazione, nè il cantare degli animatronics, nulla di nulla.
E ne era maledettamente geloso. Anche lui voleva dormire senza che nessuno gli dicesse nulla! Portò il suo sguardo sulla guardia addormentata accanto a lui, la testa poggiata sul tavolo, le braccia a circondare quest'ultima, gli occhi chiusi...
«Non credevo potesse sembrare così... Dolce, nel sonno.» ecco, era tornato Springtrap. Cominciava a farci l'abitudine a quelle sue entrate in scena improvvisate. Si voltò e lo vide leggermente piegato verso Vincent, intento a osservarlo attentamente.
«Però c'è la mia parte cattiva che mi chiede di svegliarlo nel modo più traumatizzante possibile.» ... Lo aveva mai detto che adorava quel coniglio e la sua malvagità? No? Forse avrebbe dovuto.
«Non é una cattiva ide- cioè si. É molto cattiva. Ed é per quello che mi piace!»
«Ti stà facendo rodere il fegato, he?» chiese divertito il coniglio, ghignando. Il giovane stava per rispondere quando una voce di bambina lo fece affacciare appena verso l'altra parte della scrivania.
«Signor Phono? Signor Phono vuole venire a prendere il thé con noi?» chiese la piccolina, guardando l'uomo dritto negli occhi, mentre Springtrap era scoppiato a ridere per come la bambina avesse chiamato Phone nel modo sbagliato, al contrario il giovane non ci fece molto caso.
«Mi spiace, non bevo in servizio.» le rispose sorridendole allungando una mano per scompigliarle i capelli.
«Ma Chica dice che ne hai bisogno o l'invidia per la Guardia ti farà andare a fuoco! ... Noi non vogliamo che il Signor Phono vada a fuoco.» se possibile le risate di Springtrap aumentarono tanto che prese a tenersi la pancia, imitando senza rendersene conto un gesto umano: non poteva provare mal di stomaco da risate. Phone scosse la testa riprendendo a sorridere ma ritirando la mano dalla testa della bambina.
«Prometto che non andrò a fuoco.» promise solennemente poggiandosi la mano sul cuore, la bambina annuì e trotterellò allegra verso i suoi amici intenti a prendere il Thè con Chica.
«Ma come sei bravo con i bambini, Phono!» la voce sarcastica di Vincent lo riportò alla realtà. La guardia sbadigliò e prese a stiracchiarsi.
«La prossima volta che vuoi farmi compagnia sarebbe auspicabile che tu rimanga sveglio.» gli fece subito notare il Phone Guy mentre Springtrap se ne andava via, ancora ridendo per quella scenetta, andando da Chica e battendole il cinque.
«Avevo sonno! Dai, questa notte puoi venire tu a tenermi compagnia.»
«Mi andrebbe anche bene farti soffrire come ho sofferto io oggi, ma da queste parti gira Foxy e, ad occhio eh, credo il mio letto sia più comodo di una scrivania.»
«Ma Foxy se ne stà sempre nel Pirate Cove di notte! Non esce mai! E poi non vuoi rompere la routine facendo qualcosa di diverso?» chiese Vincent alzandosi, sistemandosi velocemente la divisa.
«... Va bene. Ma guai a chi non mi fa dormire!»
«Andata! Vedrai com'è la vita da guardia notturna. Ora meglio che vada, devo essere a casa prima che i ragazzi tornino da scuola. E meglio che oggi compri qualcosa di già fatto...» disse per poi incamminarsi verso l'uscita, lasciando un Phone che pregava per quei poveri ragazzi che dovevano sottoporsi alla cucina di Vincent.


«Jeremy, stai scherzando.»
«Non esattamente.»
«Tu... Hai lasciato tuo fratello a casa da solo, rinchiuso in camera sua, per cinque ore!?» chiese scandalizzato Mike, non riuscendo più a capire se avesse davanti il suo miglior amico o un folle. L'aveva scoperto pochi minuti prima, quando dopo scuola aveva chieso a Jeremy se volesse andare a prendersi qualcosa da bere insieme a lui e si era sentito rispondere "Va bene, ma dobbiamo fare in fretta, prima che torni mio padre a casa." e da quella frase gli aveva spiegato ogni cosa.
Jeremy inarcò un sopracciglio davanti all'espressione scandalizzata dell'amico, non capendo, credeva che Mike ormai fosse abituato ai racconti dei suoi scherzetti.
Rimasero così, quasi come se il tempo si fosse immobilizzato, in silenzio, a guardarsi. Poi qualcosa passò per gli occhi di Mike. Era arrabbiato? No, non era rabbia... Era qualcosa che non riconosceva.
«Tuo fratello é rinchiuso da cinque ora in camera sua, Jeremy.»
«Lo so.»
«Lo so anch'io. Quello che non capisco... É perchè sei ancora qui?» delusione. Era deluso dal comportamento dell'amico e non poco. Jeremy sbuffò, certo che lo Schmidt stesse ingigantendo le cose come al solito, pronto a dirgli che non doveva preoccuparsi, che suo fratello stava bene, era solo chiuso in camera sua, come poteva stare male? Era uno scherzo. Era divertente. Perchè non rideva?
Lo sguardo di Mike si fece deciso, deciso a porre fine a tutto quello e con uno scatto prese per il colletto l'amico, per poi prendere a trascinarlo, destinazione: Casa di Jeremy.
«Mike...! Cosa stai facendo?»
«Adiamo a liberare tuo fratello, imbecille!» ecco, adesso era arrabbiato. Aveva terminato tutta la sua famosa pazienza, come al solito per merito di Jeremy. Lo stesso Jeremy che si liberò da quella presa e lo affiancò.
«So camminare senza bisogno di essere trascinato!» Mike non si degnò nemmeno di rispondergli, aumentò il passo e serrò i denti dalla rabbia. Rabbia per quel comportamento. Perchè pareva non sapersi dare un contegno. E allora, pensava, Mike, e pensieri catastrofici erano a popolare la sua mente. Perchè se Jeremy non sapeva darsi un limite... A che punto si sarebbe fermato?
Si morse una guancia quando si diede una risposta: Al punto di non ritorno. E allora doveva intervenire lui a limitarlo, perchè da solo non lo capiva.
Dieci minuti dopo si ritrovarono davanti casa di Jeremy, che aprì la porta principale con calma infinita.
Appena la porta si aprì fu Mike a precipitarsi all'interno, come se fosse il suo, di fratello, a essere in pericolo. Jeremy lo seguì con sguardo indifferente, quasi infastidito da tutta quell'apprensione nei confronti di suo fratello. Chiuse la porta mentre lo Schmidt aveva già raggiunto la stanza del piccolo, l'unica chiusa. Bussò.
«Ehy... Kentin, giusto? Stai bene?» nessuna risposta gli giunse dall'interno e il panico assalì il giovane, che solo in quel momento venne raggiunto da un pacatissimo Jeremy.
«Em... Io sono Mike. Un amico di tuo fratello. Potresti rispondermi?» chiese con la voce appena tremante di paura, mentre Jeremy si poggiava al muro, annoiato da quella scenetta patetica.
«Jeremy...!» lo ammonì Mike, scandalizzato da quella totale indifferenza. Il fratello era lì dentro e non rispondeva e lui rimaneva così calmo? ... Cominciava a fargli quasi paura quella freddezza.
«Fa il muto per dispetto. Ehy, Kentin, quando una persona ti chiede qualcosa tu devi rispondergli, queste sono le buone maniere!» finalmente un suono dall'interno della stanza. Un singhiozzo.
«Apri questa cazzo di porta, Jeremy!»
«Mike calmati, stà ben-»
«Jeremy, muoviti!» ordinò vicino al prendere a pugni l'amico pur di mettergli un po' di ragione in quel cervello. Il ragazzo sospirando estrasse una chiave dalla cartella e la consegnò all'amico, che si affrettò ad aprire la porta.
La porta si spalancò mostrando un bambino in lacrime, ranicchiato davanti ad essa e dei pupazzi nell'angolo della stanza.
«Ehy...» Mike si inginocchiò accanto al bambino che si ritrasse, spaventato.
«Non ti faccio niente.» lo rassicurò mentre Jeremy osservava passivamente la scena, seccato da tutta quella sensazione. Per la prima volta Mike gli sembrava patetico.
«Va tutto bene.» riprese Mike abbassandosi verso il bambino, prendendo ad asciugargli le lacrime con le dita. Come poteva Jeremy rimanere indifferente davanti allo sguardo straziato del fratello? Non lo capiva.
Kentin parve rilassarsi davanti alla gentilezza del ragazzo, ma lo sguardo di Jeremy, Lo sguardo dell'Incubo, non lo lasciava mai.
E l'Incubo ora era infastidito. Lo vedeva. E ne era terrorizzato.
«Ce la fai ad alzarti?»
«L'ho chiuso in una stanza, Mike, non gli ho spezzato le gambe!» intervenne Jeremy dando sfogo al suo disappunto, venendo nuovamente ignorato dall'amico.
Kentin si mise in ginocchio per poi alzarsi e Mike lo imitò.
«Stai bene?» gli richiese e questa volta ebbe una risposta: annuì. E sorrise, Mike, riprendendo ad asciugare le lacrime, che sembravano non volersi fermare, del piccolo.
«Felice di aver fatto la buona azione del giorno, Schmidt?» oh, lo aveva chiamto Schmidt. Era dai tempi delle medie che non lo chiamava in quel modo, con quel tono derisorio.
«Molto.» rispose Mike voltandosi verso di lui e affrontando il suo sguardo indifferente macchiato di leggera rabbia.
«Ora puoi anche andartene, allora.» gli disse pacatamente. Mike, semplicemente, annuì. Si era arrabbiato perchè aveva aiutato suo fratello? Allora Jeremy aveva già raggiunto il punto di non ritorno.
Kentin guardava in disparte la scena, asciugandosi con il braccio le ultime lacrime, mentre come tutti in quella stanza respirava un'aria tesa.
«Ti chiedo solo di finirla qui. Perchè se ti spingi ancora oltre un giorno potresti pentirt-»
«Fuori.» un sibilo velenoso. Meglio non tirare oltre la corda. Il loro rapporto era davvero regredito fino al punto di partenza? Anzi, forse ancora più indietro. Lo Schmidt accarezzò brevemente la testa di Kentin poi lasciò la stanza e successivamente la casa.
Adesso era solo con l'Incubo.
«Merda...» sussurrò a sè stesso Jeremy con tono che sembrava dispiaciuto. Non voleva litigare con Mike, non voleva trattarlo in quel modo, ma quando lo aveva visto comportarsi in modo così amichevole con la sua Vittima... Si era sentito tradito. Non ci aveva visto più e aveva agito d'istinto, mettendo da parte la razionalità, trattandolo come un'animale. Era uno stupido.
«Fuori anche tu.» riprese indicando il corridoio. Kentin sgranò gli occhi e subito eseguì il suo ordine, dopo aver raccattato i suoi amici, dunque, corse via.
«Ragazzi sono a casa!» suo padre era tornato. Anche lui lo avrebbe guardato con disprezzo se avesse saputo?
...
Solo immaginarglo gli bloccò il cuore in una stretta di ghiaccio.
Quel girono non sarebbe mai dovuto arrivare.

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Capitolo 6
*** Sono Foxy ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Sono Foxy


Aveva così tanto sonno che sentiva quasi gli occhi chiudersi da soli, ma non poteva dormire, doveva finire matematica! Jeremy si passò una mano sul volto mentre i denti si serravano attorno alla punta della matita mordicchiata.
Ma proprio quel giorno doveva litigare con Mike? A chi poteva chiedere aiuto, adesso, nella materia? Nessuno. Si era condannato con le sue stesse mani.
Bhe, una soluzione c'era: chiedere scusa. Ci pensò per un'attimo solo e sbuffò, deridendosi per i suoi stessi pensieri. Scusarsi? E per cosa? No. Aveva un orgoglio troppo grande ed era certo di essere dalla parte della ragione. Accese il suo telefono per controllare l'orario e per poco un lamento frustato non gli risaliva per la gola: mezzanotte e mezza.
Aveva ripreso tra le mani la matita, sottraendola alla tortura dei propi denti e stava per ricominciare a leggere qualche regola per capirci qualcosa, quando un leggero bussare alla porta lo distrasse. Si voltò verso di essa e inarcò un sopracciglio. Gli unici in casa in quel momento erano lui e Kentin, quindi era chiaro fosse il minore a bussare a quell'ora di notte. Strano. Pensava fosse a dormire da un pezzo, ormai.
«Cosa vuoi?» chiese, allora, continuando a fissare la porta, certo che il fratello non avrebbe avuto il coraggio di aprirla, anzi, forse già si stava pentendo di essere arrivato lì. Nessuna risposta. O il piccoletto faceva nuovamente il muto o cominciava ad avere allucinazioni dal troppo sonno.
Attese qualche secondo ma non ricevette mai una risposta. Perchè quel piccoletto doveva farlo arrabbiare anche a quell'ora, he? Si alzò e andò ad aprire la porta, pronto a dare al minore una bella lezione. Ma non trovò nessuno. Si sporse verso il corridoio, controllando se si fosse solo allontanato, ma pareva ci fosse solo l'inquietante Plushtrap, comodamente seduto sull'ormai sua sedia bianca. Okay, la matematica lo stava facendo divenire letteralmente pazzo. Presto avrebbe cominciato anche a sentire le voci che gli ripetevano le equazioni. Rise appena al suo stesso pensiero.
Richiuse la porta e decise di andarsene a dormire, doveva recuperare la sua sanità. Quando la porta si richiuse, nell'ombra si intravidero due occhi cerulei, limpidi e spaventati.
Grazie al cielo Jeremy non l'aveva visto.


«Phono atteso alla cassa quattro, ripeto: Phono atteso alla cassa quattro.» quanto si stava divertendo Vincent? No, non poteva essere descritto il suo sconfinato divertimento. Da quella sera si divertiva a osservare Phone dalle telecamere, aspettare che si addormentasse, per poi usare l'interfono e svegliarlo con messaggi assurdi. Quello era solo l'ultimo di una lunga serie.
E poi il Phone Guy si svegliava, sbatteva la testa sulla sua scrivania, maledicendosi per aver anche dato ascolto a quello psicopatico del suo amico e promettendo torture atroci a Vincent, mancava solo Foxy e avrebbe avuto un esaurimento nervoso. Però quella era la decima volta che lo svegliava! Si tolse frettolosamente una scarpa e la lanciò contro la telecamera che consentiva a Vincent di osservarlo, centrandola ma non rompendola. Masticando imprecazioni affondò nuovamente la testa nelle sue braccia e attese il sonno. Un'altro annuncio stupido creato solo per svegliarlo e sarebbe andato personalmente a fargli mangiare tutte le telecamere di quel posto. Intanto Vincent se la rideva, tenendosi addirittura la pancia, si bhe, era sadico, sicuramente.
Il problema era che avevano terminato tutte le preparazioni del compleanno: dalle canzoni, agli show, la prenotazione, la torta e gli invitati. Avevano tutto! Il problema era che adesso le serate sarebbero tornate nella noia e... Bhe, infastidire Phone, che riusciva perfettamente a tenergli compagnia quella notte, era un buon modo per far passare velocemente il tempo senza fissare un orologio per ore e ore aspettando che giungano le sei.
Gli Animatronics invece passavano le loro ore come al solito: a controllare le canzoni - ancora non ne capiva l'utilità - parlare tra loro e, quando si ricordavano, andavano anche a trovarelo nel suo "ufficio". Probabilmente solo per essere certi che Phone non si facesse prendere da un raptus omicida verso il sadico amico.
Oh, ecco! Si era addormentato di nuovo!
«E Mr. Phono come fa? Non c'è nessuno che lo sa!» quando vide il castano alzarsi di scatto dalla sua scrivania con un leggero tic all'occhio destro capì che forse aveva un po' esagerato.
«Vincent prepara il testamento!» era la voce di Phone, quella? No, perchè sembrava provenire direttamente dall'Inferno.
Rise appena quando lo vide cominciare a camminare con passo veloce verso il suo ufficio.
«Chiudiamo la porta...» si disse il Purple Guy chiudendosi dentro l'ufficio. Bene. Era al sicuro.
Tornò al suo posto e riprese a guardare le telecamere. Cosa? Si avvicinò alle telecamere cercando la figura del Phone Guy, non trovandola. Dov'era sparito...?
«Hello, Hello...?» raggelò nel sentire quelle parole. Si voltò e vide il castano appoggiato al muro, la camicia rosa e il papilon rosso della divisa avrebbero dovuto dargli colore e allegria, ma adesso sembrava solo inquietante. I pantaloni neri quasi si confondevano con la semi oscurità della stanza. Solo un sorriso bianco risaltava nelle tenebre, un sorriso che prometteva atroci torture. Si staccò dal muro avvicinandosi piano alla guardia che lo guardava ora confuso. Come diavolo era- ah. I condotti. Ci avrebbe scommesso.
«Ehy, mi sembri stanco! Perchè non vai a dormire?» no, non era quello il momento di utilizzare il sarcasmo, Vincent.
«Ti farò stare zitto... per sempre!» e con quelle parole successe qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato. Se solo Vincent avesse notato il coltello nella mano del giovane... Se solo avesse intuito la sua serietà... Se solo fosse stato più agile nei movimenti... non lo fu.
Il coltello calò, colpì, trafisse: una, due, tre, quattro, cinque volte, ripetutamente, pareva inarrestabile.
«Hihihihi... Buona notte, Vincent.»
«... Hai preso a coltellate l'interfono. Ti fa male non dormire, sai?»
«Ora non parlerai più.» il giorno dopo un certo capo avrebbe pianto disperato nel sapere che avrebbe dovuto spendere soldi per riparare un interfono assassinato, ma adesso, adesso, si poteva dormire in pace.


Alzarsi dal letto quella mattina era stata un'impresa, ma alla fine ce l'aveva fatta: era sulla strada che l'avrebbe portato a scuola. Guardò brevemente suo fratello minore camminargli affianco, in silenzio come al solito.
«Ieri hai bussato alla mia porta.» non era una domanda, no. Perchè doveva ancora giungere il tempo in cui Jeremy avrebbe dato di matto, quindi era certo che il giorno prima qualcuno avesse bussato alla sua porta. Kenny si morse il labbro, trovando improvvisamente interessante il marciapiede, osservandolo con insistenza.
«Non riesco a dormire bene senza Feadbear.» sussurrò appena, ricordando con tristezza la fine che aveva fatto. Jeremy sbuffò, dovevano di nuovo affrontare quel discorso?
«E cosa volevi da me?» chiese seccato, infilandosi le mani in tasca quando cominciò a intravedere la scuola di Kentin.
«I suoi resti.» lo disse quasi come se fosse il pensiero più malvagio del mondo, sussurrandolo in un modo così flebile che a malapena lui stesso si sentì, infatti Jeremy l'ascoltò come un borbottio incomprensibile.
Lo ignorò. Come sempre.
«Non hai il diritto di chiedermi nulla. Per colpa tua ho litigato con Mike.» nonostante la frase contenesse la più totale indifferenza, sotto quello strato di menefreghismo si celavano rabbia e rancore, come odio e vendetta. Era un muto avvertimento. Gliel'avrebbe fatta pagare. Avrebbe pagato per qualcosa di cui non aveva colpa. I suoi occhi si fecero lucidi e smise di camminare, mentre il fratello proseguì, si fermò solo quando si accorse che il minore aveva bloccato il suo avanzare, e si voltò verso di lui a metà tra l'indifferente e l'infastidito.
«Ma non é stata colpa mia...» per una volta non parlò sottovoce, anzi quasi lo urlò, un urlo che chiedeva pietà, un urlo che chiedeva all'Incubo di avere pietà.
«Certo che è colpa tua. É sempre colpa tua.» e con quelle parole, ignorando il fratello in lacrime in mezzo al marciapiede riprese a camminare, tanto la strada la conosceva. Lo sopportava ancora meno del solito quando cominciava a piangere. Qualcosa in lui scattava e desiderava ferirlo ancora di più vedendo quelle lacrime. Quale arma migliore se non gli scherzi e le parole?
Poco dopo già era sparito dalla vista annebbiata dalle lacrime del minore che proseguì da solo verso la sua scuola, asciugandosi in fretta le lacrime.


Quando Jeremy giunse nel cortile della scuola forse per abitudine più che altro si diresse verso la scala antincendio: quello era sempre stato il ritrovo suo e di Mike per essere certi di incontrarsi la mattina. Quando però giunse alla scala rossa non vi trovò nessuno e ricordò. Probabilmente non ci avrebbe più trovato l'amico lì. Si sedette su uno scalino e prese ad aspettare che la campanella suonasse per poter entrare. Mal sopportava quel vento gelido mattutino.
«Sei tu Jeremy?» la sua attenzione venne richiamata da tre ragazzi davanti a lui, zaini in spalla e... A prima vista parevano avere la sua stessa età. Si, bhe, non era il tipo di persona che conosceva ogni singolo soggetto della sua scuola, quindi inarcò un sopracciglio davanti a quei tre.
«Sono io.» rispose semplicemente prendendo ad analizzare il trio.
Davanti a tutti si trovava un ragazzo dai capelli neri e gli occhi del medesimo colore che quando sentì la sua risposta accennò a un ghigno divertito. Gli altri due lo imitarono: uno aveva dei capelli castani e due occhi verdi, piuttosto bassino, i suoi occhi cercarono subito la figura del terzo ragazzo: quello dai capelli corti color biondo cenere e gli occhi neri, attraversati dal puro divertimento. Tutti e tre avevano un fisico asciutto e più o meno avevano la sua stessa muscolatura, ma cosa volevano da lui?
Non ebbe tempo di chiedergli nulla che la campanella suonò, riempiendo le loro orecchie con il suo trillare.
Gli studenti presero a riversarsi nell'edificio, già pronti alle cinque ore che li attendevano, mentre quei tre gli rimanevano lì davanti, ghignando, immobili. Lo stavano osservando. Studiando. Stavano aspettando una sua mossa.
Sbuffò, convincendosi che quei tre fossero degli imbecilli, dunque si alzò, si sistemò con un gesto veloce lo zaino sulla schiena e fece per incamminarsi verso l'entrata, degnando solo di una veloce occhiata il biondo del gruppo... Era certo di non conoscerlo, ma quei lineamenti... No, magari si sbagliava.
Diede le spalle a quei tre e subito il suo cervello gli urlò di stare attento. Che qualcosa non andava.
Non lo ascoltò. Sbagliò a non farlo. In un attimo sentì una presa di ferro serrarsi attorno i suoi capelli, costringendogli a sbattere la testa sul corrimano della scala antincendio. Dopo il colpo subito sentì la mano lasciare la presa e cadde a terra in ginocchio, come se quella presa fosse stato il suo unico appiglio. Era successo tutto così in fretta che si accorse realmente dell'accaduto solo in quel momento. Sentì una fitta di dolore concentrarsi in un punto tra la tempia e la fronte, poco sopra l'occhio.
Quando si portò la mano al punto dolente e la ritirò sporca di sangue realizzò davvero quello che era successo.
Si voltò furibondo verso il trio, tornando in piedi con uno scatto e forse non fu una buona idea dato che sentì la testa girargli appena fu in piedi.
Proprio dietro di lui trovò il biondo, colui che lo aveva colpito, che non sembrava affatto intimorito dal suo sguardo iroso, anzi, pareva divertito.
Solo allora si accorse che qualcuno si era aggiunto al trio, un ragazzino di prima. Quel ragazzino di prima. Lo stesso che aveva insultato suo padre. Collegò tutto.
Il piccoletto del giorno prima aveva deciso di vendicarsi per la furia ricevuta da Jeremy, ma siccome era un mocciosetto debole e stupido aveva chiamato il fratello ancora più stupido di lui che aveva deciso di divenire Fratello Dell'Anno aiutandolo a vendicarsi. Ma siccome, appunto, era stupido, il maggiore aveva chiamato anche i suoi amichetti, così avrebbe fatto bella figura davanto al minore.
Una risata leggera sfuggì dalle labbra di Jeremy: quanto erano patetici? Il ragazzo davanti a lui assottigliò gli occhi sentendo quella risata di scherno, ma non ebbe tempo di reagire che con uno scatto troppo veloce Jeremy gli sferrò un pugno, facendolo barcollare all'indietro e facendogli tenere con una mano lo zigomo colpito.
«Ho ricambiato il favore!» esclamò sarcasticamente.
«Bastardo...»
«Ohi, stai bene?» chiese il moro che nonostante tutto pareva il capetto di quel gruppo di idioti.
«Starò bene quando questo bastardo imparerà a stare al suo posto.»
«Ehy, Eroe Dei Poveri, insegna a tuo fratello a stare al suo posto e a tenere a freno la lingua.» rispose Jeremy, riportandosi una mano al taglio sulla fronte, accidenti se faceva male... Il ragazzino di prima assottigliò gli occhi, offeso.
«Da quello che so hai cominciato tu a istigare.» spiegò il biondo mentre prendeva a osservare il minore.
«Sai male.» rispose Jeremy pensando che sicuramente l'avrebbero fatto entrare alla seconda ora, ormai.
Il biondo guardò il fratello con sguardo infastidito.
«Mi hai mentito!»
«Ma lui-»
«A casa ne riparliamo!» e con quella frase si concluse il breve diverbio tra i due, poi il giovane si avvicinò a Jeremy controllandogli la ferita.
«Forse ho esagerato.» disse prendendo il polso di Jeremy e costringendolo a scostare la mano dalla ferita per osservarla, notando che una scia di sangue nasceva dalla ferita e attraversava l'occhio del ragazzo, per poi finire sul mento.
Jeremy sbuffò, liberandosi con uno strattone dalla sua presa, arretrando.
«Stò bene.» no, non stava bene ma aveva un orgoglio troppo grande per affermare il contrario.
«C'è stato un grosso malinteso.» parlò per la prima volta il ragazzino castano, portandosi una mano dietro il collo, strofinandola contro di esso. Sembrava in imbarazzo.
«Sì, portiamolo in infermeria.» decise per tutti il moro, prendendo sottobraccio Jeremy e prendendo a trascinarlo seguito dal resto del gruppo. Adesso erano... Diversi. Sembravano realmente preoccupati per lui quando poco prima quasi si poteva leggere nei loro occhi la voglia di mettergli le mani al collo. Bhe, comunque sarebbe dovuto andare in infermeria con o senza di loro, quindi non oppose resistenza alla loro decisione.
Quando giunsero in infermeria la donna che aveva il compito di prendersi cura degli studenti che non si sentivano bene, sbiancò alla vista del sangue, cominciando a ordiare a Jeremy di sedersi su un lettino, nemmemo quelli fossero stati i suoi ultimi minuti di vita.
«É solo un taglio.» precisò Jeremy sedendosi sul lettino, con il sangue che ormai si era asciugato. Che schifo. Si voleva togliere quella roba dalla faccia.
«Com'è successo?» chiese l'infermiera cominciando a pulire il liquido vermiglio dal volto del giovane con estrema attenzione, chiedendolo ai ragazzi, come se Jeremy in quel momento fosse troppo traumatizzato per rispondere. Sbagliava. Forse era il più tranquillo di tutti lì in mezzo, non era la prima volta che alzava le mani con qualcuno, anzi, aveva affrontato risse ben peggiori e più violente.
«È caduto dalle scale Antincendio e ha sbattuto la testa.» spiegò - mentendo - il moro, osservando la scena divertito quanto i suoi amici nel vedere il leggero imbarazzo di Jeremy.
«Oh, piccolo... Devi stare attento.» gli disse la donna accarezzandogli appena la guancia mentre quelli che più o meno erano suoi amici provavano a soffocare le risate, fallendo miseramente. Dannati. Lui, invece, cominciava a sentirsi in imbarazzo.
«Non sono piccol- cos'è quello?» chiese Jeremy con il volto ormai pulito e notando che l'infermiera stava preparando un batuffolo di cotone con sopra dell'alcol.
«Dobbiamo disinfettare.» okay, non bene. Jeremy ricordava perfettamente la sua caduta all'età di sette anni dalla bici, dove si era sbucciato entrambi le ginocchia e Vincent, vedendolo tornare a casa in quel modo, si era improvvisato crocerossina e, dopo averlo fatto stendere sul divano gli aveva versato -letteralmente, senza nemmeno del cotone - la sostanza chimica sulle ferite. Bruciò come l'inferno e ricordava di aver urlato come un dannato, facendo nascere in lui qualcosa che poteva essere definito trauma, quel giorno, mentre Vincent cadeva nel panico più totale. Poi arrivò Lei. Che innanzitutto mise in chiaro che, no, il viola non aveva un futuro da dottore, e poi prese a coccolare un giovane Jeremy, dicendogli che andava tutto bene e adesso ci pensava lei a curarlo. Sua madre.
Venne riportato alla realtà da quel batuffolo di cotone che gli disinfettava dolorosamente la ferita. Non si scostò, non si lamentò, rimase fermo a subire. Era cresciuto, adesso.
Tutti i ragazzi notarono come lo sguardo del ferito mutò dal leggermente imbarazzato al serio, lo sguardo di chi si impone di non avere paura.
«Chiamerò il preside! Dobbiamo tenerlo aggiornato. E anche tuo padre.»
«... E magari anche i servizi segreti. Non c'è n'è bisogno, stò bene, é solo un taglio.» garantì Jeremy mentre la donna prendeva a coprire la zona ferita.
Dovette dibattere a lungo per impossessarsi del silenzio dell'infermiera ma con l'aiuto dei suoi compagni questa cedette e accettò di non dire nulla, facendo promettere a tutti e quattro di stare lontani dalla scala Antincendio.
«Tra poco comincia la seconda ora!» trillò allegro il moro, trovandosi adesso tra i corridoi della scuola, cingendo il collo di Jeremy con un braccio.
«Che materia hai, amico?»
«Siamo amici?» chiese il giovane, inarcando un sopracciglio, ricevendo un segno affermativo da tutti.
«Bene, allora ditemi i vostri nomi.» ordinò, ma notò chiaramente la breve occhiata che i tre si scambiarono.
«E che... Se poi vai dal preside ci metti nei guai, capisci?» domandò il più basso di tutti, piccolo ma intelligente. Jeremy alzò gli occhi, come se mai avesse fatto una cosa simile!
«E come dovrei chiamarvi allora?» tutti parvero pensarci su, quando poi il biondo parve avere un'illuminazione e disse:
«Freddy, Chica e Bonnie!» ... Un'attimo dopo scoppiò a ridere, chiaramente scherzava, gli erano venuti in mente quei nomi perchè suo fratello minore - che era sparito improvvisamente, decidendo di stare il più lontano possibile dai quattro per non essere di troppo - gli aveva precedentemente raccontato che lavoro facesse il padre di Jeremy. Quest'ultimo inarcò un sopracciglio a quella risata improvvisa.
«Ma certo! Come gli animatronics!» esclamò il moro, battendo un pugno sulla propria mano, trovando quell'idea, che era nata come uno scherzo, qualcosa di geniale.
«Io sono Freddy!» proseguì il ragazzo porgendo la mano a Jeremy che cominciava a trovare divertenti quei tre.
Con un leggero sorriso a incurvargli le labbra afferrò la mano di Freddy, stringendola.
«Ma mi avete preso sul serio? Ehehe... Allora io sono Bonnie! Piacere.» disse il biondo ora ripresosi dalle risate, facendo un leggero inchino, imitando quello che doveva essere il Bonnie originale.
«No, he! Io non mi faccio chiamare Chica!» ribattè il più basso, incrociando le braccia, pronto a opporsi a quel nome con ogni fibra del suo essere.
«Dai che non è così male!» lo rassicurò Freddy, ridacchiando poco dopo.
«Se non ti va bene Chica ti chiamiamo Nano.» intervenne "Bonnie", seguendo l'amico nelle sue risate, alludendo alla statura del castano.
«... Vi odio. Chica andrà bene.» si arrese il giovane, lasciando ricadere le sue braccia lungo il corpo, arreso.
«Allora piacere Freddy, Chica e Bonnie...» cominciò Jeremy mentre il suo ghigno si ampliava.
«Sono Foxy.»

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Capitolo 7
*** Finzione: Null'Altro Se Non Il Pallido Riflesso Della Realtà ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Finzione: Null'Altro Se Non Il Pallido Riflesso Della Realtà


Fritz Smith era sempre stato un tipo particolarmente nostalgico, ma quel giono lo era... Un po' di più. Gli mancavano i suoi genitori, la sua scuola, i suoi amici, persino il Feazbear gli mancava! Ah... Il Feazbear. Come dimenticare l'attrazione principale della sua ex-città? Eh si, perchè Fritz non si trovava più in quel paesino dov'era cresciuto, no, si era trasferito all'età di 18 anni, ovvero due anni prima, in nome della sua indipendenza.
Non era stato facile abbandonare quei piccoli vizietti che quando era sotto il caldo tetto genitoriale dava per scontati come: trovare la colazione pronta, i vestiti lavati e stirati dalla mamma, già in ordine nell'armadio, stare fuori casa intere notti con gli amici, e poi andare a scuola inventando scuse improbabili quando il professore lo chiamava per correggere i compiti che, puntualmente, non aveva fatto. Cosa non gli mancava? Gli Attacchi A Tradimento Delle Ciabatte Volanti di suo padre quando tornava a casa con un 4, che consisteva nel sorridergli serafico alla notizia, poi appena si girava... Una Ciabatta Volante lo colpiva dritto in mezzo alla schiena..
Eh, ne era passato di tempo. Ora era un ventenne con un lavoro, una casa, delle responsabilità, degli obblighi, dei doveri e- Okay gli stava salendo l'ansia. L'aveva fatta la spesa? Oddio, l'aveva spento il gas? AVEVA CHIUSO LA PORTA DI CASA!?
Okay, doveva respirare, era in autobus, non poteva dare di matto davanti a tutta quella gente. Presto sarebbe arrivato a casa. Calma.
Strinse le mani attorno ai suo jeans, proprio sopra le cosce, voltandosi verso la ragazzina accanto a lui che doveva avere si e no 16 anni, cuffie nelle orecchie e sguardo perso fuori dal finestrino.
«Parliamo.» le chiese cortesemente, ma la giovane non lo sentì per colpa delle suddette cuffie. Il giovane sbuffò e le tolse una cuffia.
«Parliamo.» le ripetè allora, mentre la giovane si girava con uno scatto fulmineo e gli dedicava l'occhiataccia più micidiale del suo repertorio.
«Ma cosa vuoi? ... Maniaco.»
«No, no, non sono un maniaco. Sono Fritz. Fritz Smith e- ehy...» la ragazza si era rimessa la cuffia nell'orecchio, tornando ad ascoltare la sua amata musica, ignorando quel folle dai capelli arancioni.
«Ma che ragazza ostile.» commentò con un quasi tenero broncio, incrociando le braccia e scuotendo la testa, realmente offeso per il trattameto subito.
Voleva solo parlare! Si sentiva solo e aveva avuto un attacco di nostalgia, ne aveva bisogno. Sbuffò contrariato, cercando il telefono nei suoi pantaloni, trovandolo e mettendosi a spulciare nella sua rubrica. Chi poteva chiamare... La mamma? No. L'aveva chiamato già dieci volte, voleva essere informata in tempo reale se il povero figlioletto avesse: mangiato, bevuto, se avesse trovato la ragazza, se aveva intenzione di dargli dei nipoti, come procedeva il lavoro e se andava regolarmente al bagno. Quindi meglio evitare.
Papà? No. Sua madre avrebbe trovato il modo di impossessarsi del telefono del marito e porre le domande sopra citate.
Dunque... Chi poteva chiamare...? Accidenti, sicuramente tutti i suoi amici a quell'ora erano a lavor- no. Non tutti...

«Jeremy, amico mio! Come stai?»
«Fritz? Ma non eri morto?» l'insensibilità di Jeremy a volte lasciava a bocca aperta anche l'amichevole ventenne. Ebbene, il castano non sentiva l'amico da ben un mese, quindi si sentiva in diritto e in dovere di dirgli una frase simile.
«Ma no, ma no! Sempre simpatico il mio amicone Jeremy!»
«Altro attacco di nostalgia?»
«... Si.» sorrise, Jeremy, a quella risposta. Il carattere di Fritz era fin troppo prevedibile, limpido, ingenuo, quando sembrava la persona più amichevole del mondo significava che aveva avuto uno dei suoi attacchi nostalgici per cui sentiva di dover coccolare con le parole il chiamato.
Jeremy e Fritz avevano ben 4 anni di differenza e si erano frequentati per soli 2, dai 16 ai 18 anni del maggiore, dato che poi l'arancione era dovuto partire verso la sua indipendenza, ma spesso si sentivano. Entrambi ricordavano bene il giorno in cui si conobbero, fu poco prima che Jeremy e Mike, dopo lunghe battaglie, divenissero amici.
Il castano si era infiltrato a una festa per soli maggiorenni con un'abilità degna della spia più furba del mondo e... Bhe, l'allora 16enne Fritz aveva fatto lo stesso. Il maggiore era stato l'unico ad accorgersi del compagno d'intrusioni, ma... Ecco, invece di ignorarlo per non dare nell'occhio...
«Ma che bel bambino! Ma che ci fai qui? Ti sei perso, piccoletto?» chiese Fritz aggiungendo alla frase una tortura ai danni delle guance di Jeremy, che tirò come a voler essere certo che fosse reale, una frase che gli costò la festa, dato che entrambi vennero scoperti e cacciati.
«Ma sei imbecille!?» gli aveva urlato contro il più giovane una volta fuori dalla festa, le guance ancora arrossate e l'ira ad animargli gli occhi, prendendo lo Smith per il colletto della camicia, dovendosi anche alzare sulle punte dei piedi e costringendolo ad abbassarsi alla sua altezza.
«Sei nervoso? Il tuo papà era a quella festa?» si, allora Fritz era certo che il povero Jeremy fosse un ragazzino dolce e ingenuo che, per errore, era finito tra i grandi. Presto si sarebbe reso conto di sbagliare.
L'occhio desto del piccolo prese ad avere un leggero tic nervoso, se c'era una cosa che detestava era essere trattato come un qualunque bambino stupido. Dunque colpì la faccia dell'arancione con un destro ben assestato, che fece cadere all'indietro Fritz, che si tenne lo zigomo leso e anche il sedere, dolorante per la caduta.
«Trattami come un tuo pari, Imbecille!» gli sibilò con cattiveria il piccoletto, sembrando quasi più grande di quello che era in realtà, imbronciandosi e incrociando le braccia al petto.
Rimase sorpreso quando il maggiore alzò lo sguardo grigio su di lui, sorridendogli. Ma allora era davvero imbecille, uno tra i casi più irrecuperabili, se sorrideva dopo aver preso un pugno.
«Sei così tenero con quel broncio!» esclamò Fritz trascinandosi velocemente verso Jeremy e imprigionandolo in un abbraccio. Fritz adorava i bambini e si rifiutava di vedere il castano come "un suo pari".
«E-ehy! Lasciami.»
«Oh che carino, sei imbarazzato!»
«Finiscila! Ho detto di lasciarmi.» era stato qualcosa di comico, quell'incontro. Il giorno dopo si scoprì che andavano nella stessa scuola e persino nella stessa classe! Solo che Fritz era in terza, mentre Jeremy era in prima e durante la ricreazione il maggiore andava a importunare il piccolo, mettendolo in imbarazzo anche con il quasi-nemico Mike. Una volta fece promettere entrambi che, una volta fatta la Maturità, sarebbe toccato a loro "Portare Alto Il Nome Della Classe"
«Sai che se abbracci Jeremy, lui si imbarazza?» svelò un giorno Fritz a Mike che gli dedicò uno sguardo tra il confuso e il divertito. Quello che non prese bene quella frase fu Jeremy, che gli sferrò un calcio sul ginocchio.
«Mike, lui fa così ma ha un cuore tenero, ben nascosto.»
«Molto ben nascosto.» lo aveva assecondato Mike, accennando un sorriso mentre Jeremy si alzava e tirava fuori dalla sua classe Fritz, prendendolo per un orecchio.
Fritz e Mike non avevano mai avuto modo di conoscersi davvero, non erano così legati, l'anello che univa uno all'altro era Jeremy, che facendo poi amicizia con Mike organizzava anche uscite insieme, ma erano piuttosto rare, dato che Fritz il suo gruppo di amici della sua età già l'aveva.
Ma quel poco che sapeva di Mike gli era bastato per essere certo che fosse un bravo ragazzo che certamente sarebbe stato un'ottimo esempio per Jeremy, con cui di certo Fritz era più legato.
«Allora come và da quelle parti, Jer?» chiese lo Smith, sistemandosi meglio sul sedile dell'autobus, finalmente più rilassato.
«Tutto bene. Da te?» domandò Jeremy lasciandosi cadere sul proprio letto, stanco dalla lunga giornata scolastica, Fritz lo aveva chiamato proprio dopo mangiato.
«Anche. Sono in bus e accanto a me c'è una ragazza che è ancora più indisponente di te... Sareste una bella coppia.» affermò Smith tornando a guardare la ragazza, per poi sorridere e toglierle ancora una cuffia.
«Ehy, ragazza, al telefono c'è un mio amico che vuole conoscerti e-» come unica risposta ricevette una nuova occhiata omicida, poi la giovane si alzò e si avvicinò all'uscita, lasciandolo solo.
«... Mio Dio, non importunare la gente, Fritz!» lo sgridò Jeremy seppur con un sorriso divertito sulle labbra.
«Se nè andata... Vabbè. E Mike? Come stà? Ancora ti sopporta?» chiese scherzosamente il maggiore, scalando di posto e mettendosi dove prima c'era la ragazza, osservando il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.
«Si, stà bene.» rispose frettolosamente Jeremy, toccandosi la medicazione sulla fronte, cominciava a dargli fastidio, avrebbe tanto voluto togliersela.
«Oh, ma perfetto! Senti, prima o poi mi prendo una vacanza e ritorno da quelle parti, così usciamo di nuovo insieme come ai bei vecchi tempi, avverti Mike, he!» Jeremy si morse una guancia. Si dovette trattenere dal dirgli che non ci sarebbe stata nessun uscita, che lui e Mike avevano litigato, che si erano ignorati per tutto il giorno. Ma non poteva. Non voleva distruggere la felicità di quel ragazzo perennemente allegro.
E poi... Fritz non sapeva che tipo di fratello maggiore fosse. C'era amicizia, si, ma non abbastanza profonda come quella nata con Mike a cui aveva svelato tutto. E com'era andata a finire, poi? Sbuffò accennando un sorrisetto rassegnato.
«Sicuro. Glielo dirò.» confermò Jeremy, subito dopo sentì la porta d'ingresso chiudersi e scattò a sedere.
«É tornato mio padre, devo andare. Ci si sente, Fritz!»
«Oh va bene! Allora ciao Jer.» e così la chiamata terminò e Jeremy, rapido, lasciò il telefono sul letto scattando verso l'armadio, aprendolo con un gesto veloce e nervoso. Accidenti, doveva nascondere il taglio sulla fronte! Prese un cappello rosso, il primo chgli capitò e si voltò verso l'anta che faceva da specchio, togliendosi velocemente la medicazione, infilandola in tasca e solo allora vide il taglio. Una ferita leggermente obliqua partiva dall'attaccatura dei capelli e finiva poco sotto il sopracciglio dell'occhio destro.
«Dannato Bonnie...» maledì l'amico e s'infilò il cappello sistemandolo in modo tale da coprire la ferita. Ghignò soddisfatto del perfetto piano di copertura-del-taglio.
Prese un bel respiro e uscì dalla stanza, andando in salotto dove trovò Kentin a guardare la televisione, che appena lo notò s'irrigidì, provando a concentrarsi sul cartone animato che stava guardando. Gli dedicò una timida occhiata interrogativa per via del cappello, ma dovette soffocare la sua curiosità, non voleva attirare le ire del maggiore.
«Papà? Non é tornato?» chiese il maggiore guardandosi intorno, cercando la viola figura del padre.
«É tornato, ma è andato subito in camera.»
«Ti ha detto perché non é tornato a pranzo?»
«No.» rispose il piccolo, pregando che il fratello se ne andasse, cosa che però non avvenne. Jeremy osservò brevemente i corridoi per poi avvicinarsi al minore, abbassandosi alla sua altezza e mettergli una mano sulla bocca.
«Vuoi essere di nuovo rinchiuso in camera?» gli sussurrò malignamente mentre i suoi occhi si assottigliavano, al contrario, quelli di Kenny si sgranavano, illuminati dal terrore, divenendo leggermente lucidi. Svelto, terrorizzaro, fece segno di no, muovendo la testa, mentre la mano di Jeremy ancora premeva sulla sua bocca con troppa forza.
«Allora non dire a papà della ferita, capito? O ti faccio passare ben 10 ore in camera tua, okay? Il doppio del tempo dell'altra volta. Sai che ne sono capace, Kenny.» quel nomignolo gli parve tanto una condanna. Il minore annuì, segno che aveva compreso ogni cosa, poi vide la mano di Jeremy staccarsi, cauta, come pronta a ricoprire la sua bocca se solo avesse pensato di pronunciare qualche parola.
«Bene.» affermò Jeremy, sedendosi poi accanto al minore, ignorando la TV e estraendo il telefono dalla tasca, cominciando a trafficarci. E se il maggiore era la calma fatta persona, Kentin era terrorizzato, solo la presenza del fratello lo destabilizzava, facendolo cadere in un vortice fatto di panico e terrore.
«Hn. Tra poco è il tuo compleanno.» disse Jeremy con tono indifferente, mentre Kentin non riusciva più ormai a seguire il suo cartone animato.
«Si.»
«Quando?»
«Lunedì.»
«Che palle... Dovrò farti un regalo. Cosa vuoi? Dimmelo subito così non perdo secoli a girovagare per i negozi come uno stupido, non sapendo cosa comprarti.» Kentin si volse verso il fratello, mentre le sue mani si torturavano a vicenda, trascinate dalle emozioni del loro padrone.
«Se... Se non vuoi non devi per forza-»
«Se non lo faccio sembrerei un fratello cattivo, no?» chiese ghignando, domanda che a Kentin parve tanto retorica, ma presto Jeremy lo istigò.
«E io non sono un cattivo fratello, vero, Kentin?» chiese mentre il ghigno si ampliava sul suo volto, certo della risposta che avrebbe avuto.
«No, non lo sei.» la voce tremante però diceva il contrario, quella conversazione trovò la sua fine quando Purple Guy.
«Ma dov'è quel raga- Ah Jeremy! Per parlare con te devo prima prenotare o cosa?» disse Vincent apparendo dal corridoio con una camicia bianca e dei Jeans, quasi sembrava strano vederlo senza la sua divisa viola. Bastò la presenza del Purple Guy per far cambiare completamente gli atteggiamenti del maggiore.
«Guarda che sei tu quello che è sempre a lavoro.» rispose il giovane trasformando velocemente il ghigno sadico di poco prima in uno divertito.
«Senti la mia mancanza?»
«Terribilmente. E anche Kenny.» disse Jeremy prendendo in braccio il minore e portandolo sulle proprie gambe, per poi abbracciarlo, stringendolo a sè, e poggiando il suo mento sulla testa del piccolo. Riusciva quasi a far credere a Kentin stesso che fosse un fratello affettuoso. Un'attore nato, senza dubbio. «Ma allora un cuore ce l'ha anche tu!» esclamò Vincent accennando un ghigno, sedendosi accanto ai propi figli.
«Cominciavo a perdere le speranze.» continuò ridacchiando, lasciando che la sua schiena incontrasse lo schienale del divano, sospirando rilassato. Era bello essere a casa.
«Dove sei stato, papà?» chiese Kentin ora più tranquillo, certo che Jeremy non l'avrebbe neanche sfiorato in presenza di Vincent.
«Ma é un segreto!» obbiettò il Purple Guy incrociando le gambe sul divano.
«Dai, dimmelo!»
«Già, diccelo.» lo corresse Jeremy, notando che il padre pareva analizzare il suo cappello rosso.
«No, inutile, sono incorruttibile.» disse Vincent sapendo già che almeno il maggiore avesse intuito dove fosse stato. Aveva speso il suo tempo tra i mille negozi del centro per trovare un regalo decente al minore, ovviamente.
«Ultimamente passi troppo tempo al Feazbear.» disse Jeremy sistemandosi meglio sul divano, mentre Kenny lo osservava incuriosito.
«Eheh... Amo il mio lavoro!» se Jeremy gli avesse smontato la festa a sorpresa 4 giorni prima del compleanno gliel'avrebbe fatta pagare carissima.
«Io non ci trovo nulla di divertente a passare la notte in una pizzeria, a guardare delle telecamere!» a quell'affermazione Vincent si sporse verso il figlio con un ghigno per nulla rassicurante.
«Dovresti provare. Sarebbe bello avere un Erede.»
«Mai.»
«Kenny tu che dici, ce lo vedi Jeremy come guardia notturna?» il piccolo si sentì chiamato in causa e arrossì appena, facendosi coraggio e voltandosi verso il maggiore, che ancora lo teneva stretto a sè, osservandolo. Si sforzò e provò a immaginarlo con una divisa da guardia notturna e una torcia tra le mani. Poi lo immaginò a lavoro, con gli animatronics e... Rise, una risata un po' bassa e quasi soffocata, non voleva in alcun modo irritare Jeremy, ma a fargli compagnia in quella risata si aggiunse il Purple Guy.
«Cosa ridete?» chiese nervosamente Jeremy mentre il padre gli metteva un braccio attorno alle spalle, scuotendo la testa.
«Io e Kenny dobbiamo aver pensato la stessa cosa: non resisteresti un giorno. Troppo... Impaziente. Daresti di matto!» Jeremy accennò un sorriso immaginandosi nelle vesti di guardi notturna. Effettivamente... Si, Dopo nemmeno un'ora avrebbe ridotto personalmente gli animatronics a rottami.
Era bello, fingere.
Era bello pensare anche solo per un fugace momento che fossero una famiglia felice. Era come essere il riflesso di uno specchio, era reale ma allo stesso tempo non lo era, rifletteva fedelmente quello che esisteva davvero, senza però essere reale, tangibile.
Un riflesso non si può toccare, non si può sentire, non si può vivere.
Triste, no? Oh, ma ormai...

Crack

... Lo specchio stà per rompersi. E allora non esisterà più nessuna finzione... Solo la realtà.

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Capitolo 8
*** Le Crepe Che Precedono La Rottura ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Le Crepe Che Precedono La Rottura


Quella mattina, mentre si dirigeva a scuola, Mike non riusciva a non pensare al quartetto che Jeremy e i suoi amici avevano formato. Non sapeva se il suo amico ne fosse soddisfatto o no, ma di certo lui non lo era, al contrario: era preoccupato.
Stupidamente, considerava ancora Jeremy il suo migliore amico e, altrettanto stupidamente, il giorno prima aveva deciso di provare a raccogliere informazioni su i nuovi compagni del castano: Freddy, Chica e Bonnie.
Ebbene: non aveva trovato nulla su di loro, non era riuscito a risalire ai loro reali nomi o a un indirizzo, nemmeno la più piccola e misera informazione. Anzi no. Qualcosa l'aveva trovata, una notizia di corridoio, in realtà, quindi non sapeva quanto affidabile fosse. Si diceva che il ragazzo dai capelli neri che si faceva chiamare Freddy creasse e vendesse documenti falsi.
Aveva una sola notizia su quel gruppetto e questa di certo non era rassicurante. Se davvero quelle voci erano vere, Jeremy aveva fatto amicizia con dei Delinquenti, proprio l'ultimo tipo di compagnia di cui il ragazzo aveva bisogno.
Per quel motivo decise che, quella mattina, avrebbe affrontato i tre prima dell'arrivo del castano a scuola, avendo un faccia a faccia con loro. Voleva avere più informazioni su quel gruppo, e quale modo migliore per procurarsi tali informazioni, se non chiedere ai diretti interessati? Quasi non si rese conto di essere già arrivato nel cortile della sua scuola, trascinato dai suoi pensieri e le sue riflessioni.
I suoi occhi presero a vagare attorno a lui, cercando il gruppo di ragazzi, senza, però, avere successo.
Forse dovevano ancora arrivare?
Scosse la testa e decise di dirigersi alle scale Antincendio dove di solito incontrava Jeremy, magari un confronto con lui sarebbe stato anche migliore: lo avrebbe aspettato lì e magari si sarebbero anche chiariti. Poteva funzionare.
Peccato che quando arrivò alle scale Antincendio, da sempre esclusivo ritrovo suo e di Jeremy, ci trovò i suoi obbiettivi iniziali: Freddy, Chica e Bonnie.
I tre non si accorsero subito di lui, intenti a parlare tra loro di qualcosa che non capì, quando a un tratto Freddy fece un cenno verso di lui agli amici.
«Ragazzi, abbiamo compagnia.» disse brevemente accennando un sorriso gentile, falso come le Promesse di un Ingannatore.
«Oh, origliavi, ragazzo?»
«Ehy, ehy, io lo conosco: é l'ex amichetto di Jeremy! Che c'è? Ti senti solo, per caso?» quel Chica... Era piccoletto ma aveva una lingua biforcuta che feriva più di una lama affilata. Mike si sforzò di sorridere amichevole, un sorriso vero almeno quanto quello di Freddy e provò a prendere parola.
«Sono Mike Schmidt. Scusate se vi ho disturbato, ma ci tenevo davvero a conoscervi.» la sua diplomazia meritava davvero un premio, essere così amichevole con gente che se solo avesse potuto gli avrebbe messo le mani al collo.
«Bhe, chi si presenta da noi in modo così gentile non può certo essere trattato male. Perdona i miei compagni: sono dei cafoni. Piacere Mike, puoi chiamarmi Freddy.» disse il ragazzo alzandosi dalla scala su cui era seduto e avvicinandosi allo Schmidt. Certamente quel Freddy era furbo, aspettava di avere la fiducia della propria vittima, ammaliandola con quel fare gentile, per poi colpire dritto alle spalle quella stessa vittima che era stata così incauta da donargli la propria fiducia.
Viscido, come solo una serpe poteva essere. «Ehy, Freddy! Noi non siamo cafoni, agiamo così solo quando ci sentiamo in pericolo.» lo corresse Bonnie, seguendo ogni moviemto del suo Leader, certo che avesse qualcosa in mente.
«Bonnie ha ragione.» confermò infine Chica, quando ormai Freddy fu proprio davanti a Mike, Faccia a Faccia.
I due si guardarono negli occhi, l'uno che provava a intuire le intenzioni dell'altro e, davanti allo sguardo ossidiana del ragazzo, Mike si sentì quasi una preda tra le fauci del leone. Aveva capito quali fossero le sue intenzioni, ne era certo.
«Vuoi avere informazioni su di me, Schmidt?» infatti, diede voce a ciò che aveva scoperto, e Mike fu sorpreso dalle capacità di analisi di Freddy.
Davanti a lui non aveva l'ultimo degli stupidi.
Gli altri due ghignarono vittoriosi allo sguardo, per un attimo, smarrito di Mike, che presto si ricompose.
Quel ragazzo era arrivato davvero lì per avere informazioni su di loro: era un oltraggio.
Sarebbe stato così bello fargliela pagare a suon di calci e pugni, ma Freddy, la vera mente nel gruppo, aveva ben altri piani per lui.
«Rispondimi, non temere. Vuoi informazioni su di me?» ripetè la domanda posando le sue mani sulle spalle del ragazzo che aveva di fronte, che si irrigidì appena. Cominciava a credere di essersi messo contro gente che non andava istigata, che forse era molto più pericolosa di quel che sembrava, ma ormai era lì e aveva intenzione di rimanerci, se non per lui, in onore dell'amicizia con Jeremy.
Freddy percepì l'irrigidimento delle spalle del castano sotto le sue mani, e un ghigno divertito prese posto sul suo volto, sostituendo quel così finto, ma stranamente rassicurante, sorriso gentile: quella paura che percepiva gli piaceva, lo elettrizzava, gli faceva scorrere pura adrenalina mista a cattiveria nelle vene.
Forse fu per quello che, quasi senza accorgersene, serrò la presa sulle spalle di Mike, una presa incredibilmente forte, che quasi fece scricchiolare le ossa dello Schmidt, mentre davanti a lui gli occhi del moro si illuminavano di puro sadismo, gli occhi di chi traeva piacere nel dolore altrui.
«Freddy.» ma sentirsi chiamare dall'amico, Bonnie, lo fece tornare in sè, come se poco prima fosse stato posseduto da chissà quale malvagia presenza. La presa sulle spalle dello Schmidt si sciolse delicatamente, il ghigno sparì per far spazio a un sorriso di scuse, e lo sguardo tornò quello di un pacato sedicenne.
Ebbe paura di quel soggetto. Intelligente, forte e con un sadismo celato da una maschera di gentilezza che sembrava poter rompersi da un momento all'altro, scatenando la parte peggiore di quello che era, all'apparenza, ragazzo comune.
«Mi devi scusare.» la sua voce era deliziosamente amichevole e quasi melodiosa.
«Potresti rispondere alla mia domanda, ora?» chiese dolcemente, con la voce appena incrinata da una nota di impazienza. Mike era certo che quel ragazzo, dentro di sè, avrebbe tanto voluto riempirlo di botte, ma si sforzava di avere il controllo, di essere gentile.
«Si. Ero venuto qui per raccogliere informazioni su di voi.» vide l'occhio destro di Freddy scattare per un'attimo in un tic nervoso. Credette che quella fosse la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, ma il ragazzo semplicemente gli sorrise ancora e indietreggiò di un passo, respirando profondamente.
«Va bene... Immagino di dover apprezzare la tua sincerità.» disse passandosi quasi in un gesto casuale una mano dietro il collo, per poi far scivolare quella stessa mano giù, verso la tasca posteriore dei suoi pantaloni, estraendo poco dopo un pacchetto di sigarette, accompagnate dall'accendino.
Il volto di Mike venne attraversato dalla confusione più pura, e a quello smarrimento Freddy sorrise, ancora.
«Oh, non temere. E che... Tu hai chiesto una cosa a me e io ne chiedo una a te. L'hai studiata anche tu, la Storia, no? Questo lo chiamavano Baratto.» gli spiegò brevemente, aprendo il pacchetto e estraendo una sigaretta da esso, per poi richiuderlo e rimetterlo nella tasca posteriore.
«Io non fumo.» specificò Mike, intuendo cosa volesse in cambio Freddy.
«Ma lo so! Insomma, hai un volto da così bravo ragazzo. Ma c'è sempre una prima volta, mi dicono. Ma se non tieni poi molto alle informazioni che hai chiesto...»
«Va bene.» accettò Mike, vergognandosi di essere sceso a patti con una feccia di quel genere, e chiedendosi come avesse fatto Jeremy a fare amicizia con gentaglia di quel genere.
Con quell'immortale sorriso sulle labbra, Freddy annuì appena, soddisfatto. Accese l'accendino e lo affiancò alla punta della sigaretta che si accese.
«Devi tenere i denti chiusi e aspirare, capito?» spiegò brevemente il moro, porgendo la sigaretta allo Schmidt che la prese, sentendosi a disagio. Non ci stava credendo nemmeno lui a quello che stava per fare. Serrò i denti e dischiuse le labbra, portandosi la sigaretta alla bocca e aspirando, mentre il sorriso di Freddy forzava per diventare un ghigno divertito.
«Aspira piano...» lo guidò il ragazzo, e Mike ubbidì, sentendo il sapore del tabacco invadergli la bocca.
Fu per istinto che prese a tossire, pur di liberarsi da quel sapore indesiderato nella sua bocca, nei suoi polmoni, respirando ossigeno a grande boccate: mai l'aria gli parve cosa più pura.
«Ehehe, il novellino non ci riesce.» lo schernì Chica, ridacchiando divertito con Bonnie.
«Sono un tipo paziente. Riproviamo, Mike, forza.» lo istigò il moro, mentre lo Schmidt ancora si riprendeva.
«Va bene. Ma... Tu dimmi se è vero che fai documenti falsi.» Freddy annuì, accettando l'accordo e facendoli segno di riprendere a fumare.
Mike si portò nuovamente il filtro alla bocca e aspirò.
«Trattienilo un po' e poi espira.» fece come gli disse e vide una grigia nuvoletta uscire dalla sua bocca.
«Bravo, così. Continua da solo, ora che hai capito. Io intanto ti dico quel che vuoi sapere.» disse, divertendosi un mondo nel vedere il "bravo ragazzo" fumare, quel visetto pulito rilasciare dalle rosee labbra fumo grigio. La sua parte sadica ne era estremamente compiaciuta.
Mike si morse una guancia, facendosi forza, e face ancora diversi tiri, e ancora, ancora.
Solo quando la sigaretta fu ridotta alla metà, Freddy decise di prendere parola.
«Si. Vendo Carte D'Identità false.» confermò soddisfatto, sentendo una strana sensazione di potere percorrergli l'intero corpo: vedere lo Schmidt che ubbidiva ai suoi ordini gli procurava quella così piacevole sensazione, di cui si inebriava.
«Altre attività illegali?» chiese Mike dopo l'ennesimo tiro.
«Hn, bhe... Qualche furtarello innocente, qualche volta, nulla di che. Ora però non chiedere troppi dettagli, Schmidt.» Mike avrebbe voluto approfondire, sapeva che poteva chiedere di altri argomenti, almeno fino alla fine della sigaretta, ma due occhi azzurri lo videro fumare.
Due occhi azzurri lo videro sottomesso a quegli idioti.
E quegli occhi azzurri si fecero iracondi.
Tra il trio e Mike si frappose la figura di Jeremy che fissò severamente Freddy.
«Cosa cazzo stai facendo, idiota!?» chiese spintonandolo, costringendolo a retrocedere di qualche passo. Freddy sorrise innocentemente, alzando le mani in segno di scuse.
«Amico, calmati, stavamo solo parlando.»
«Io e voi dopo facciamo i conti! E tu...» si voltò verso Mike, prendendolo per un polso e dirigendosi verso le spalle dell'edificio, in un posto lontano da occhi indiscreti.
Una volta raggiunta la destinazione strappò la sigaretta dalla mano di Mike, che si sentiva tanto come un bambino beccato dalla mamma con le mani nella marmellata.
«Che cazzo stavi facendo, tu!? Con quelli, poi! E cos'è questa?» a quanto pare non era l'unico stupido tra i due a considerare l'altro ancora un amico.
«Belli amici che ti scegli.» gli fece notare, invece, pacatamente lo Schmidt.
«In quale carcere di massima sicurezza gli hai trovati?» domandò con scherno che non gli apparteneva ma, come al solito, quel ragazzo era l'unico capace di tirare fuori la sua rabbia, ed ora era pronto a fare una bella lavata di capo a quell'idiota.
«La mia vita non ti riguarda Schmidt, non più!» e con quell'escalmazione lo prese per un polso, portando la sua mano davanti al proprio volto.
«E nemmeno la tua vita mi riguarda! Ma cazzo, sei tu quello intelligente, le Puttanate lascia che sia solo io a farle.» e con quella frase piena dell'ira più nera Jeremy spense la sigaretta esattamente al centro del palmo di Mike, che sentendo il dolore della bruciatura provò a sottrarsi a quella presa, senza successo. Jeremy lo lasciò andare solo quando la sigaretta fu ben spenta, poi la lasciò cadere per terra.
«Sei pazzo...» sibilò Mike tenendosi il polso e osservando la bruciatura al centro della mano, appena sporca di cenere.
«Il fumo uccide.» spiegò brevemente Jeremy, come per giustificarsi.
Quella forse era stata la litigata più violenta che i due avessero mai avuto.
«Esci dalla mia vita una volta per tutte. Fa come se non fossi mai esistito, chiaro? E non osare mai più fare l'Eroe in mio onore. O la prossima volta potrebbe attenderti una ferita un po' più seria di una bruciatura.» lo minacciò, perché di una minaccia si trattava, poi sentì la campanella suonare e sbuffando, tornò dai suoi amici.
Mike scosse la testa chiedendosi come potesse esserci tanta testardaggine in un ragazzo solo.
Va bene, sarebbe uscito dalla sua vita come aveva chiesto, non avrebbe più provato ad aiutarlo.
Ma se un giorno fosse stato Jeremy a invocare il suo aiuto, allora, e solo allora, Mike sarebbe corso in suo aiuto.



Quando Jeremy tornò dagli altri, aveva poco tempo a disposizione: la campanella era suonata e a minuti le lezioni sarebbero cominciate.
«Risolto?» chiese Bonnie mentre si sistemava lo zaino sulle spalle.
«Si.»
«Ehy, amico, non te la sei mica presa, vero?» domandò Freddy avvicinandosi al castano e avvolgendo le sue spalle con un suo braccio.
«Vi siete immischiati in affari non vostri.»
«Ma é venuto lui da noi! Sai che non faremo mai niente che ti vada contro, Jer. Siamo amici!» esclamò Freddy con il tono più amichevole che aveva nel suo repertorio, facendo accennare un sorriso al castano. Anche a lui era estremamente palese la falsità e la pericolosità di Freddy, ma al contrario dello Schmidt non ne era spaventato, anzi, ne era estremamente affascinato.
«Siete perdonati per questa volta...» rispose Jeremy, infilandosi le mani in tasca, venendo raggiunto anche dagli altri due.
«Solo a me sembri leggermente seccato oggi?» domandò Bonnie, notando quanto quel giorno fosse poco propenso a battutine e al sarcasmo.
«Lasciate perdere. Tra qualche giorno ho il compleanno di mio fratello.» spiegò il castano, già soffrendo all'idea di essere costretto a stare ore in un posto che odiava, tra stupidi pupazzi e bambini urlanti.
«Ma tu sei fortunato, amico mio! Veniamo noi a farti compagnia!» esclamò Freddy esponendo la sua fantastica idea: avrebbero salvato Jeremy dalla noia del compleanno del fratello! Che amici d'oro. «Già, perchè no? Quand'è la festa?» prese a domandare Chica, pizzicando il fianco del castano per attirare la sua attenzione.
«Ma voi non siete invitati.» gli ricordò Jeremy con un tatto degno di un vichingo.
«Ah, siamo abituati a imbucarci alle feste. E poi lo facciamo per te! Ma se non ci vuoi...» aggiunse Bonnie, e quando vide Jeremy sospirare sconfitto e annuire, ebbe la sua vittoria.
«Va bene. Lunedì. Se non sbaglio dalle 17 Alle... 21. Si, credo siano proprio le 21.» gli amici sghignazzarono, cominciando a borbottare frasi come "non vediamo l'ora che giunga quel giorno" "E tanti auguri al festeggiato!" "Spero che la torta sia buona, eh!"
Come poteva Jeremy anche solo lontanamente pensare di aver firmato la sua condanna, con quel permesso?



In quell'ufficio non si respirava. No, okay, si doveva correggere: in quell'ufficio non si respirava aria pulita.
Lo pensava lui e, dal naso arricciato e l'espressione quasi disgustata dell'amico, probabilmente anche Phone era dello stesso parere. Si trovavano entrambi nell'ufficio del signor Feazbear, gestore della pizzeria, che li teneva da un quarto d'ora seduti davanti a lui, a scutarli: le dita delle mani intrecciate tra loro, tenute sotto il mento, con l'ingrato compito di mantenere la testa del signor Feazbear, l'espressione seria come non lo era mai stata. Gli occhi che, saettanti, passavano dalla figura della guardia a quella del centralinista.
Da. Un. Lunghissimo. Quarto. D'ora.
E il grande Imperatore Delle Pizzerie sembrava intenzionato a passare tutto il giorno in quel modo, mentre Vincent avrebbe voluto tornare a casa e farsi una sana dormita dopo il suo turno notturno: e invece no.
Era impegnato a giocare con il Capo a "Chi Distoglie Prima Lo Sguardo".
Non era un tipo paziente, non lo era stato da ragazzo, non lo era adesso, e se avesse passato un'altro minuto in quel modo avrebbe dato di matto.
Phone invece pareva a suo agio e attendeva, paziente, ciò che Feazbear aveva da dirgli.
Quando scoccò un nuovo minuto, Vincent si sporse appena verso il Phone Guy e sussurrò a voce nemmeno troppo bassa:
«Secondo te ce la fa per oggi a parlare, o dobbiamo aspettare domani?» chiese, e un sorriso divertito sfuggì al castano, che provò a mascherarlo con un finto colpo di tosse.
«Mi é sempre piaciuta la tua arroganza, Vincent!» e finalmente l'uomo si sciolse in un sorriso, anch'egli divertito.
«Mi fa piacere. Se era quello che doveva dirmi io andrei volentieri a cas-»
«Fermo!» urlò Feazbear con fare teatrale, alzandosi di scatto e tendendo la mano verso Vincent che si era solamente alzato dalla sedia e che, lentamente, tornò seduto. Era sempre stato un tipo strano, quell'uomo...
«Devo parlarvi.»
«Questo l'avevamo quasi intuito quando si é presentato qui mezz'ora fa dicendo "Devo mettervi al corrente di una cosa".» spiegò Vincent, parlando a quello che doveva essere il suo capo come a un amico di vecchia data e sinceramente il carattere del viola, a Feazbear, era sempre risultato... Affascinante.
«Bene. Allora...» cominciò puntellando entrambe le mani sulla scrivania, respirando tra i denti.
«Ragazzi...» l'uomo aprì un fascicolo che si trovava proprio davanti a lui, posato sulla scrivania. Lo sfogliò per qualche secondo alla ricerca della pagina che desiderava, la trovò e sorrise raggiante.
«Questi modelli cominciano a essere un po' vecchi...» cominciò il suo discorso con quanta più delicatezza avesse, notando subito gli occhi di entrambi i suoi dipendenti farsi più attenti.
«E alcuni hanno malfunzionamenti, anche piuttosto visibili e... Questi malfunzionamenti potrebbero anche essere pericolosi per il pubblico che circonda i nostri cari animatronics, capite?» l'unico ad annuire lentamente come un automa fu Phone, mentre Vincent lasciò che la sua schiena aderisse alla spagliera della sedia, irrigidendo la propria posizione.
«Ad esempio: Foxy, ecco; Foxy potrebbe avere, in futuro, difetti non solo nel comunicare ma anche nel muoversi, e-»
«Foxy non si tocca! Lei non l'ha visto correre, quella Volpe é un atleta nato, altro che malfunzionamenti!» ebbene, un'espressione sorpresa apparve sul volto di Vincent quando realizzò che a prendere le difese di Foxy altri non era stato che Phone Guy. Aveva difeso il suo peggior nemico.
Un sorriso compiaciuto nacque sul volto della guardia.
«E-em... Io lo so che voi siete molto affezionati a tutti gli animatronics ma... Vorrei deste un'occhiata a questi.» e con quella frase spostò il fascicolo davanti agli occhi dei due, che si sporsero sulle loro sedie per vederne il contenuto.
Le due pagine centrali sulla quale il fascicolo era aperto mostrava diversi tipi di animatronics, con delle strane guance rosse e una forma un po' meno ingombrante e più amichevole.
«E questi?» chiese Vincent osservano i diversi modelli di animatronics, ognuno di loro dotato di guance rosse, poi, leggendo la descrizione, scoprì che questi erano gli ultimi modelli di animatronics usciti, con tanto di riconoscimento facciale, mobilità avanzata, ed erano addirittura forniti di database "Riconoscimento Criminale"!
«Facciamo le cose in grande eh...» sussurrò Vincent, quasi più a sè stesso che alle persone lì presenti.
«Esatto! Completamente innocui, molto meno ingombranti e estremamente adorabili. Guardate che faccini! Per questo voglio sostituire i vecchi animatronics che abbiamo adesso e mettere questi nuovi tipi che si chiamano... Aspetta, me l'ero scritto da qualche parte- ah, ecco, si, si chiamano Toy.» spiegò brevemente L'Imperatore Della Pizzeria, lasciandosi ricadere pesantemente sulla poltrona, in attesa di una qualunque reazione dei due.
I due dipendenti si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi fu Phone a prendere parola.
«Io non credo possa funzionare. Voglio dire... I bambini sono fin troppo affezionati a questi animatronics, ormai hanno un valore affettivo sia per loro che per noi dipendenti.» le motivazioni effettivamente erano valide e per nulla da sottovalutare: gli animatronics erano la ricchezza della pizzeria, se fossero stati sostituiti, e questi sostituti non fossero stati apprezzati come gli originali, sarebbe cominciata la rovina del Feazbear.
«Avete ragione.» concluse l'uomo portandosi una mano sotto il mento, in cerca di una soluzione.
«Io ho sonno.» intervenne Vincent, stiracchiandosi sulla sedia, dando voce al suo desiderio. E se Phone borbottò qualcosa come "ora sai come ci si sente", L'Imperatore gli sorrise gentilmente dandogli il permesso di tornare a casa a godersi il meritato riposo, promettendogli di non prendere una decisione senza di lui.
Il Purple Guy non se lo fece ripetere due volte, salutò in fretta e sparì dietro la porta di quell'ufficio, pronto a assopirsi sotto le calde coperte del suo letto.
«E comunque la versione Toy di Foxy è molto più adorabile.»
«Foxy non si tocca.»
«Scherzavo, scherzavo! Senti, Phone, riprenderemo questa discussione, puoi tornare ai tuoi compiti, ora.» e il centralinista ne fu estremamente felice, non ne poteva più di rimanere in quell'ufficio.
Quando uscì e tornò alla sua postazione il suo sguardo analizzò tutti gli animatronics: da Freddy, Chica e Bonnie che suonavano allegri sul palco, Springtrap che in un angolo suonava quello che sembrava un Ukulele - ma da dove aveva preso un Ukulele!? - e Feadbear che si prestava a far foto con ogni suo piccolo fan.
Casualmente passò anche Foxy, con al seguito la sua banda di pirati che urlavano di conquistare il buffet che era stato appena preparato per tutti gli spettatori diurni.
E pensò che, no, non sarebbe più stata la stessa cosa senza di loro.

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Capitolo 9
*** Fidarsi Del Purple Guy ***


La Storia Di Una Guardia Notturna


Fidarsi Del Purple Guy


Se un domani avesse voluto abbandonare il suo bel lavoro da centralinista al Feazbear e intraprendere la carriera di scassinatore, bhe, aveva un futuro.
Ebbene si, il "bravo ragazzo" di quella pizzeria, l'unico che pareva addirittura sano mentalmente se paragonato alla Guardia Notturna: Phone, con in mano una graffetta e un ferretto, stava davvero provando disperatamente, con quegli oggetti, ad aprire la porta dell'ufficio dell'Imperatore Delle Pizzerie, però non sembrava funzionare molto.
«Co-Cosa stai facendo, Pi-ra-rata-Telefono?» il castano si pietrificò, non osando muoversi, smettendo anche di respirare, confidando seriamente nell'ipotesi che la Vecchia Volpe Pirata alle sue spalle potesse scambiarlo per parte integrante dell'arredamento, per poi tornare indietro, nel suo covo. Già. Non lasciava mai il suo covo di notte, perchè proprio quel giorno aveva deciso di fare uno strappo alla regola?
Eppure l'occhio giallo della volpe continuava a fissarlo, sentiva il peso del suo sguardo premere contro la schiena. Si sforzò di sorridere e si voltò verso il Pirata.
«Ehilà!» disse allegramente il centralinista, accennando un saluto, ridacchiando appena nervoso.
«Cosa st-stai facendo?» chiese nuovamente la Volpe, sedando nel castano ogni speranza o idea che gli potesse concedere di poter cambiare discorso, facendolo sentire tanto come un bambino scovato dalla mamma con le mani nella marmellata, e che adesso doveva dare una spiegazione plausibile a quest'ultima. Phone si accorse di avere ancora le mani impegnate a maneggiare i due oggetti, entrambi incastrati nella serratura, e gli estrasse, per poi infilarseli velocemente in tasca, voltandosi finalmente completamente verso la Volpe, continuando a sorridere, eppure il suo nervosismo si sarebbe percepito anche fuori dalla pizzeria e oltre.
«Ho dimenticato una cosa nell'ufficio del capo, questa mattina. Dovevo entrare ma-»
«Yaaaar. Stavi per infrangere le leggi del Feazbe-bear. E tu sei quello che di solito ci tiene a farle rispettare, no-non a infrangerle.» sembrava tanto una ramanzina, ma allora perché Foxy continuava a... Ghignare? Era un Ghigno? Non avrebbe saputo dirlo, Phone, le espressioni dei Robot difficilmente riuscivano bene, probabilmente per i malfunzionamenti. E si ricordò cosa stava provando a fare poco fa, Phone.
Cosa stava cercando davvero. Quel fascicolo e eventualmente qualche appunto del Signor Feazbear a proposito dei robot, per sapere se una mezza decisione era stata già presa.
E poi di Foxy, Freddy, Chica, Bonnie e i due Gold... Oh, sia lui che Vincent conoscevano bene la fine che avrebbero fatto. Foxy molto probabilmente rottamato, era così vecchio, così malfunzionante, e non avrebbero potuto riutilizzarlo in alcun modo. Mentre gli altri sarebbero stati spenti, in una qualche stanza della pizzeria, utilizzati poi solo per pezzi di ricambio per i nuovi modelli.
Sentì la tristezza ghermirlo, impossessarsi del suo intero corpo, e quel sorriso che voleva convincere Foxy che andasse tutto bene sparì improvvisamente, la sua schiena si appoggiò alla porta dell'ufficio, stanco per la prima volta mentalmente più che fisicamente. Era come aver appena realizzato che dei cari amici erano reclamati dalla Morte e presto avrebbero lasciato quel mondo.
«Phone?» lo chiamò la Volpe, avendo notato quel rabbuiamento improvviso, non aveva mai visto il ragazzo così seriamente preoccupato per qualcosa in tutti quegli anni. E si conoscevano davvero da tanto tempo, gli sembrava così strana quell'aria tranquilla tra lui e Phone, che di solito scappava, urlava, imprecava, si fingeva carino e gentile per non farlo arrabbiare. Phone probabilmente doveva, in qualche modo, aver seguito la sua stessa linea di pensiero e sorrise, ma senza allegria, un sorriso malinconico, lasciandosi scivolare sulla porta fino a finire per terra, seduto, con la schiena perennemente attaccata alla porta, dicendo:
«Forse se fossi stato più coraggioso saremmo potuti diventare amici.» Foxy provò a imitarlo, muovendosi a scatti, sbuffando qualche volta infastidito, provando a sedersi come aveva fatto il centralinista. Non ci riuscì. L'unica cosa che ottenne fu quella di inginocchiarsi appena con le sue gambe, che fecero uno stridio, facendolo inginocchiare letteralmente sul pavimento. Bhe, meglio di niente.
Quella scena fece passare vero e proprio strazio negli occhi di Phone, confermandogli definitivamente che quei malfunzionamenti piccoli e innocenti, ma a quanto pare "pericolosi" avrebbero portato al rottamamento di Foxy.
«E non fare quella faccia! Sono vech-chio é normale che faccia questi rumor-...!» Foxy fece l'errore di sbilanciarsi in avanti, e cadde tra le braccia di un sorpreso Phone, su cui atterrò con tutto il suo dolce peso, sentendo un verso di dolore strozzato dal ragazzo.
«TOGLITI! Mio Dio quanto pesi... Foxy mi stai distruggendo le costole con il tuo piratesco muso.»
«Yaaaar, questa é la caduta più dis-disonorevole che io abbia ma-mai fatto!» esclamò Foxy cominciando ad agitarsi per tornare in piedi.
«AH! Togli. L'unicino. Dal. Mio. Fianco.»
«É incastrato tra la tu-tua schiena e la porta.»
«Che razza di situazione!»
«E di chi é la col-colpa!?»
«Adesso sarebbe colpa mia?» chiese Phone prendendo il muso metallico di Foxy e costringendolo ad alzarlo verso di lui e guardalo negli occhi.
«Sei tu quello che mi ha seguito!» proseguì il castano, sulla difensiva.
«Solo perch-chè ti avevo visto triste e da ca-capitano della nave dove-vevo agire!» e subito dopo quella frase prese a ringhiare, ma Phone non parve spaventato anzi si sciolse in un espressione stupita. Avevano parlato e "litigato" come amici. Davvero. Per la prima volta dopo anni. Avrebbe tanto voluto farlo notare anche a Foxy, quando un "Oh mio Dio..." appena sussurrato, di un uomo, in mezzo al corridoio, attirò l'attenzione di entrambi.
Era Vincent, il volto impeganto a fingere un'espressione sorpresa, e sia Phone che Foxy sapevano. Sapevano che ora gli sarebbero spettati delle battute sarcastiche, una dietro l'altra.
«Io... Ho interrotto qualcosa?» e ghigna, Vincent, non riuscendo a mascherare l'ilarità che la scena posta davanti a lui gli scatena. Insomma. Foxy si trovava proprio addosso a Phone, disteso sulle sue gambe, il corpo metallico a bloccare le gambe probabilmente in quel momento doloranti di Phone, e il muso, che poco prima doveva essere posato sul torace del centralinista, tanuto con entrambi le mani da Phone, a pochi centimentri di distanza da lui. Insomma... Cosa stavano facendo?
«No! Sei in ritardo. Vieni ad aiutarci.» disse Phone continuando a sforzare le sue braccia per mantenere il muso della volpe che continuava a ringhiare infastidita, meglio le sue braccia a soffrire che le sue costole. «Potrei aiutarvi. Anzi. Vi aiuterò sicuramente, é il mio lavoro da Guardia Notturna. Ma prima...» okay. Erano fottuti. Quando Purple Guy aveva qual ghigno semi-sadico c'era ben poco da stare tranquilli. Infatti Phone seguì ogni suo movimento: la mano che affondava nella tasca dei pantaloni, afferrava qualcosa, e estraeva il telefono. Phone sgranò gli occhi.
«No, non osare...» sibilò Phone, mentre Foxy in quel momento esatto smetteva di ringhiare. Era preoccupato. Vincent era imprevedibile e lui non riusciva a vedere cosa stava succedendo dato che l'occhio destro, quello che sarebbe anche stato in grado di vedere cosa stesse macchinando il Viola, fosse coperto dalla benda nera dei pirati. E quello sinistro non riusciva a vedere oltre il suo muso, avrebbe potuto muovere il collo se quell'imbecille del centralinista avesse mollato la presa sul suo muso.
«Dite "Siamo Fregati"» ordinò Vincent decidendo di rinnegare quel "Cheese" così antico... Non si sentì nessun rumore. Solo una luce bianca che illuminò brevemente entrambi.
«Oh come siete venuti bene! Aspetta, facciamo anche un Selfie!» e lo fece davvero. Quando finì la serie di foto rimise il telefono in tasca e si avvicinò ai due.
«Bene, a lavoro. Phone, su, prendilo per le spalle, io lo prendo dai fianchi e lo tiriamo su insieme. Lasciagli il muso.» Phone continuava a lancianrgli occhiatacce omicide, ma fece come ordinò e la Volpe tornò in piedi, mentre il castano prendeva a massaggiarsi e sgranchirsi le gambe.
«Perfet-» un colpo della Volpe soffocò la parola di Vincent, facendolo piegare in due dal dolore.
Phone scoppiò a ridere e si alzò, battendo il cinque a Foxy.
«Ma vi ho aiutati... Merda. Ora che il livido al fianco sinistro era passato, me ne fai uno al fianco destro? Volpone cattivo.» si lamentò Vincent ancora piegato su se stesso con le braccia a tenersi la pancia.
«Io tor-torno nel mio covo!» esclamò Foxy per poi correre via alla solita velocità sovrumana. Poco dopo Vincent si riprese e tornò in posizione retta, tenendosi il fianco solo con una mano e notando lo sguardo di Phone sull'ufficio chiuso del Capo.
«Oh. Ecco perché eri da queste parti.» disse tornando a ghignare e quando Phone notò quell'espressione capì che realmente Vincent era imprevedibile. Come poteva essere così tranquillo, lui, che lavorava da sempre lì insieme a quegli Animatronics e reagire con totale serenità al pensiero che questi possano essere rottamati.
«Tu sei sicuro che cambierà idea, non é così?» chiese Phone spostando il suo peso da una gamba all'altra per far tornare le sue gambe in perfetta forma.
«Al contrario. Sono certo della loro rottamazione.»
«E ne sei felice!?»
«Bhe, magari é giusto così.» Phone aprì la bocca, scioccato da quelle affermazioni.
«Vincent...» lo chiamò come se non fosse la Guardia Notturna che conosceva da sempre, quello davanti lui, ma magari un Vincent di un mondo parallelo, probabilmente assassino di bambini e famoso nemico degli animatronics.
«Ti dirò un segreto però: ho un piano.» disse enigmatico la Guardia, per poi prendere per il papillon rosso il centralinista e trascinarlo verso l'uscita.
«Ora vai a casa, ti fai una dormita, smetti di fare pensieri funesti e ti rilassi, eh? Per il resto lascia fare a Zio Vincent. «Buonanotte!» disse chiudendo la porta a vetro, facendogli poi segno di doverla chiudere a chiave come al solito. Lo guardò attraverso quel vetro, ghignante e con un piano in mente. E forse doveva davvero fidarsi, d'altronde Vincent riusciva sempre a stupirlo. Chiuse la porta e se ne andò, lasciando Vincent alla sua notte di lavoro con gli Animatronics.
Doveva Solo Fidarsi Del Purple Guy.


Sabato e Domenica passarono velocemente, come un qualsiasi altro giorno. Poi giunse Lunedì. E quando il sole di quel Lunedì sorse nessuno: né Kentin, nè papà... Nemmeno io sapevo cosa sarebbe successo. Non sapevo cosa avrei fatto. Se lo avessi saputo, se avessi conosciuto le conseguenze dei miei gesti, però, si. Mi sarei fermato.

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Capitolo 10
*** Tra Le Fauci Del Destino ***


Note Dell'autrice: - si, quella che avete sopportato fino adesso, sì, proprio lei - Salve a tutti, Lettori che mi avete seguita fin qui. Ebbe, vi presento "Tra Le Fauci Del Destino" il capitolo finale. Essì. È finita ragazzi. Ci tenevo molto a "salutarvi" e ringraziarvi tutti quanti, da chi ha recensito, seguito, ricordato, o anche solo perso qualche minuto a leggere la mia prima long su FNAF. Ci tengo davvero molto a questa storia, e spero che questo finale non vi deluda, se così fosse chiedo perdono per aver distrutto ogni vostra aspettativa. Se al contrario rimarrete meravigliati anche solo un po' per me sarà motivo d'orgoglio. Ad ogni modo sono qui per dirvi che avrà un sequel, non so nè quando nè come, ne dove o perchè (?) ma avrà il suo sequel. Per chi vorrà seguirmi fin lì si prepari! A cosa? Non lo so. SI PREPARI E BASTA. Smetto di parlare e vi lascio al capitolo, anticipandovi solo che Freddy, il ragazzo, avrà un po' di spazio qui, così lo conoscerete meglio. Lo sento un po' come un mio OC dato che gli ho fornito io la sua personalità, il suo essere e tutto il resto. Quindi spero Freddy non vi annoierà. Grazie ancora a tutti voi e, come dice il buon (cito)Phono:
Hello, Hello!
Sat~


La Storia Di Una Guardia Notturna


Tra Le Fauci Del Destino


Freddy era estremamente innamorato della notte.
L'adorava così tanto che ci teneva a viverla, a sentirsi avvolgere nel suo manto e vagare, divertirsi, giocare, scherzare... La notte era sua fedele collega anche durante le sue azioni non esattamente Legali.
Testimone di tutto quello che faceva, ci si sentiva quasi protetto, da ella, perchè si sa: Il buio nasconde. Omette. E forse Freddy era semplicemente uno a cui piaceva nascondersi.
Si potevano contare sulle dita di una mano quelli che sapevano della routine di Freddy: sveglio di notte, studente di giorno, dormiente di pomeriggio. Si, aveva stravolto gli orari a cui il suo corpo era abituato, all'inizio era stato difficile tenere quel ritmo, ma adesso ci aveva fatto l'abitudine. Non era facile essere amico di Freddy, non si capiva mai cosa avesse in mente, tutto nascosto dietro a un sorriso palesemente falso, di chi stà perennemente macchinando qualcosa.
In parole semplici: era quel tipo di persona che ogni genitore raccomandava ai propri figli di non frequentare. Ma non gli importava, in realtà, quella gente non lo conosceva e quindi non aveva alcun diritto di giudicare, ma lo facevano comunque: indossavano la pesante tunica da giudice e sentanziavano che lui era pericoloso.
Lo era. Senza dubbio. Ma non era solo pericoloso.
Era anche furbo, intelligente, Freddy amava studiare, essere sempre avanti agli altri, conoscere, sapere. Detestava gli ignoranti, di cui però si circondava. Ma lo faceva per una sola ragione: quegli ignoranti erano suoi schiavi, suoi e della sua intelligenza. Un esempio? Chica e Bonnie. Quei due erano degli imbecilli patentati, i soliti bulletti che facevano scherzi a chi era troppo debole per contrastarli e lui, lui: Freddy, si era abbassato al loro livello e avevano formato quel gruppo bizzarro che chissà come ancora si reggeva in piedi. Quei Due capirono subito che mettersi contro di lui era un errore, quindi meglio farsi guidare da questa Minaccia che affrontarla, giusto? Bhe. Ragionamento stupido fatto appunto da due stupidi. Non gli considerava amici, solo... Pedine? Si, decisamente.
Ma Jeremy, l'ultimo arrivato, non era come quei due; il ragazzetto era suo pari. Non ricordava esattamente quando aveva cominciato a considerare Jeremy suo amico, ma era certo lo fosse.
Ed era perchè il castano era suo amico che all'alba, invece di tornare a casa per fare i compiti come suo solito, dato che mancavano appena tre ore all'inizio delle lezioni scolastiche, si stava dirigendo al parco, dove, davanti al cancello di ferro arruginito, ancora chiuso, del parco, si trovava l'assonnato Jeremy, che appena lo vide lo salutò con un cenno del capo.
Era stato Jeremy, appena un'ora prima a inviargli un messaggio dove chiedeva se potevano incontrarsi all'alba al parco e lui aveva accettato. Se fosse stato una persona normale alle cinque del mattino si sarebbe trovato sotto delle calde coperte, in balia di Morfeo. Ma lui era Freddy, quindi era lì.
«Che bello, un'uscita insieme all'alba! Non ti facevo così romantico, Jer.»
«Andiamo, sarcasmo di prima mattina? Sono troppo assonnato per pensare a un modo per risponderti a tono.» rispose Jeremy, notando che Freddy non sembrava affatto assonnato come lo era lui. Okay, era appurato: non era umano. Magari era davvero un robot e non sentiva i bisogni che ogni umano avrebbe percepito.
Sperò vivamente fosse il sonno a fargli fare pensieri tanti traviati.
«Allora Foxy, come mai siamo qui?» chiese Freddy, facendo riscuotere il ragazzo, che sentendosi chiamare come la Volpe del Feazbear accennò a un sorriso. Poi si concentrò sulla domanda e subito quel sorriso sparì lasciando spazio a un'espressione seccata.
«Il compleanno di mio fratello, ricordi? È oggi. Mi sono svegliato prima, uscendo di casa, proprio per evitare di fingermi gioioso come non mai alle 7 del mattino.» spiegò brevemente il castano, che però, per non destare sospetti con suo padre si era anche dovuto mettere ai fornelli per preparare la colazione al minore, lasciando un biglietto con "buon compleanno". Era stata una seccatura ma ce l'aveva fatta.
Vide Freddy inarcare un sopracciglio, confuso. Giusto: lui non era a conoscenza del rapporto che aveva con il fratello.
«È una lunga storia.» disse allora, anticipando la domanda che sapeva stava per scivolare dalla bocca del moro, che tornò a sorridere, decidendo di ignorare la questione. Anche se avesse insistito Jeremy non si sarebbe comunque fidato di lui. Glielo leggeva negli occhi.
«D'accordo!» disse semplicemente, scrollando le spalle, sorvolando su quella faccenda.
«Ad ogni modo, io cosa faccio qui? Volevi compagnia nella tua fuga?» chiese Freddy, ricevendo un cenno negativo dal castano.
«Figuarati! So reggere la solitudine. Ti ho dato appuntamento qui per una sola ragione-»
«Vuoi dichiararmi il tuo amore!» lo interruppe Freddy, lasciando Jeremy spiazzato... Scoppiò a ridere, mentre il castano assottigliava gli occhi e gli dava dell'imbecille.
«E pensare che ti credevo maturo!» sbottò Jeremy, incrociando le braccia al petto.
«Hai... Hai fatto un'espressione mitica! Come potevo non riderti in faccia!? Su, dimmi pure, faccio il serio, parola di Orso.» giurò Freddy poggiando persino la mano destra sul proprio cuore, Jeremy sospirò chiedendo a qualche divinità la forza per contrastare tutto quel sarcasmo.
«Il regalo per mio fratello. Mi sono completamente dimenticato del regalo»
«Hai chiamato la persona sbagliata.»
«Lo so. Peccato me ne sia accorto solo ora.» constatò tra i denti Jeremy, passandosi una mano sul volto mentre Freddy si scioglieva in una risata divertita. Ah, e adesso come faceva?
«Però ti aiuto comunque.» decise Freddy, portandosi le mani ai fianchi.
«Faremo un regalo da schifo.»
«Jer, il Pessimismo di certo non aiuta: andiamo in centro.
«A quest'ora saranno tutti chiusi...» Freddy rispose con un ghignetto e un'alzata di spalle, intimando semplicemente all'amico di seguirlo, che quella sarebbe stata una giorata indimenticabile.
Non poteva immaginare quanto avesse ragione. Di certo, quel giorno, fu indimenticabile.


Si sentiva così sereno, quel giorno. Forse era dovuto al fatto che fosse il suo compleanno. O forse perchè Jeremy non si era visto da nessuna parte, quella mattina aggiunse una voce nella testa del piccolo Kentin, che la scosse appena per mandare via quel pensiero.
Adesso che si trovava tra i banchi di scuola poteva rivivere la mattinata nella sua testa: si era svegliato, aveva trovato suo padre ad aspettarlo dietro la porta, dicendo che voleva essere il primo a fargli gli auguri, subito dopo lo aveva preso in braccio ed erano andati al piano di sotto, trovando la sala impregnata dell'odore dei cornetti appena sfornati e le tazze fumanti. Erano le 6 in punto, e suo padre aveva esordito con "Guarda cosa ha combinato la Canaglia! Sotto sotto ha un cuore, incredibile!" e con quella frase aveva intuito che suo fratello aveva fatto in modo di non trovarsi in casa al suo risveglio e per non destare sospetti aveva preparato la colazione. Quando chiese al padre dove fosse andato, egli li aveva risposto che l'aveva chiamato poco fa, e il maggiore gli aveva vagamenta accennato a un'uscita con gli amici a fare colazione insieme prima di andare a scuola.
Avevano fatto colazione - stupendosi delle doti culinarie del maggiore, certamente superiori a quelle del padre - poi, Kentin era stato accompagnato, per la prima volta nella sua vita, da Vincent a scuola. Era stato bello.
Sarebbe stata così la sua vita senza Jeremy? Per un'attimo pensò seriamente che senza di lui sarebbe stato perfetto. Ma... Poi si diede dello stupido. Era suo fratello, insomma!
Però suo fratello non c'era, quella mattina. Lo aveva evitato. Per la prima volta Kentin si chiese se Jeremy gli volesse bene, anche solo un poco. La campanella trillò, dichiarando la fine delle lezioni, e Kentin rimise frettolosamente tutto a posto, seguito dai suoi compagni di classe, e ogni bambino uscì fuori dalla scuola con urla di gioia, correndo fuori alla ricerca di colui o coloei che lo avrebbe riaccompagnato a casa.
Quando Kentin raggiunse il muretto che delimitava la scuola, a cui Jeremy di solito si appoggiava, sempre nello stesso punto, aspettandolo, e non vide nemmeno l'ombra di suo fratello il cuore gli si strinse in una morsa. Pregò mentalmente il fratello, pergandolo di comportarsi da tale. Solo per quel giorno. Ma la verità era che Jeremy lo detestava e che lo stava evitando, mettendoci tutto il suo impegno. Quando realizzò questo sentì gli occhi riempirsi di lacrime: suo padre quella mattina gli aveva detto che sarebbe andanto al Feazbear a "finire una cosa" e che Jeremy-... A quanto pareva sarebbe tornato a casa da solo.
«Kenny!? Kenny, sei tu!? Ohy!» sentì quella voce familiare chiamarlo e prese a guardarsi freneticamente attorno, cercando tra la gente colui che lo stava chiamando, trovando in mezzo a tutto quel caos un ragazzo che si sbracciava per attirare la sua attenzione, faticando per raggiungerlo, due occhi azzurri come il cielo pacato sopra le loro teste, e dei capelli castani leggermente spettinati. Era Mike. Cosa ci faceva lì? Bhe, poco importava a Kentin, perchè appena lo vide, con quell'aria trafilata a passare tra la gente dispensando "mi scusi" e "permesso" ogni brutto pensiero si dissolse e la sua bocca si allargò in un sorriso divertito, liberando anche una piccola risatina. Il giovane, dopo una fatica immane per combattere tutta quella gente lo raggiunge, inginocchiandosi per terra per arrivare alla sua aletezza, riprendendo fiato.
«Stai bene?» chiese vagamente preoccupato Kentin, ma non ebbe mai una risposta perchè Mike lo abbracciò stringendolo in una presa fraterna.
«Auguri, piccoletto!» gli augurò durante l'abbraccio, passandogli poi una mano tra i capelli, scompigliandoli, per poi terminare il contatto.
«Quanti ne fai, eh?» chiese il giovane quasi più entusiasta del festeggiato stesso che, con un timido sorriso, alzò le sue mani davanti al volto, chiudendo due dita e mostrando il numero otto.
«Otto? Davvero? Ah, ma sei un vecchiaccio ormai! E io che te ne davo al massimo sei.»
«Cosa...? Ehy, ma se per questo tu sei più vecchio di me!»
«Ma cosa c'entra? Io invecchio bene! Guardami: come sono bello.» ci fu un attimo di silenzio tra i due che poco dopo scoppiarono in una risata sinceramente divertita.
«D'accordo, d'accordo, andiamo a casa, su.» disse Mike togliendo dalle spalle del piccolo la pesante cartella, per poi incitarlo a seguirlo. Tornarono a casa insieme, e l'atmosfera silenziosa e quasi tesa che di solito aleggiva con Jeremy, con Mike, bhe... Non osava avvicinarsi. Parlarono per tutto il percorso di casa, di come era andata la giornata, di come ci si sentisse a essere cresciuti e parlando generalmente un po' di tutto.
Poi giunsero davanti casa e dovettero aspettare l'arrivo di Jeremy o Vincent, gli unici che avevano le chiavi, così si sedettero proprio davanti la porta principale, ad aspettare.
«Come mai sei venuto tu a prendermi oggi? Te lo ha chiesto Jeremy?» chiese ingenuamente Kentin, sperando segretamente che il fratello avesse avuto un contrattempo e che per quello aveva mandato avanti Mike. L'espressione di Schmidt si fece un misto di dispiacere e serietà. Prese un profondo respiro e poi parlò.
«Jeremy oggi non è venuto a scuola.» risposa, lasciando intendere che, no, non era stato lui a mandarlo.
«Solo che quando eravamo amici mi aveva detto che oggi sarebbe stato il tuo compleanno, così ci tenevo a farti gli auguri. Ma quando oggi non l'ho visto a scuola ho pensato bene che quasi sicuramente non sarebbe venuto nemmeno a prenderti. Così... Sono venuto io.» spiegò, assistendo alla delusione negli occhi del bambino. Quando avrebbe smesso di fargli del male? «Da questa mattina mi evita.» disse Kentin e a quella frase seguì solo un sospiro rassegnato del maggiore, che gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli appena ancora una volta.
«Sei un ottantenne davvero forte.» gli disse, e Kentin gli sorrise realmente grato, poi si accorse di quel "Ottantenne" fuori posto e gonfiò le guance, offeso.
«Sono otto non ottanta!» a quell'esclamazione Mike gli rispose con una linguaccia. Adorava i bambini. Aveva sempre desiderato un fratellino ma La Fortuna non era mai stata dalla sua parte da quel punto di vista, quindi era sempre stato figlio unico, e non capiva come Jeremy potesse trattare suo fratello in quel modo. Non riusciva a capirlo in alcun modo.
A distoglierlo dai suoi pensieri fu il notare che Kentin si stava irrigidendo, e sentendo dei passi avvicinarsi: Jeremy
Il ragazzo si avvicinava con aria scocciata dalla lunga giorata spesa al centro commerciale con quel folle di Freddy che gli aveva fatto girare più volte anche i negozi che avevano già visitato. Un inferno. E alla fine nemmeno avevano trovato il regalo a quel moccioso. Bella giornata inutile, che aveva trascorso.
E ora tornava e trovava suo fratello e Mike a chiaccherare amichevolmente. Kentin deglutì strofinando le mani sulle ginocchia, palesemente nervoso, temeva per Mike, seriamente. Invece Jeremy non fece nulla. Ghignò guardandoli, poi prese le chiavi, li sorpassò e le infilò nella toppa. Sembrava stranamente divertito, mentre Mike lo osservava con sguardo serio. Kentin, semplicemente, non capiva il comportamento di quei due.
«Non sei venuto a scuola, oggi.» disse Schmidt alzandosi e affrontando Jeremy, seguito dal piccolo che però non osò parlare.
«Ero a cercare il regalo al mio adorato fratellino. Che tra l'altro non ho trovato, quindi non sono esattamente di ottimo umore.» disse Jeremy con un tono aspro, ma mantenendo quel ghigno, quasi li ricordava Freddy. Poi fece scattare la serratura della porta, estraendo le chiavi e spingendola con la mano, spalancandola, per poi prestare la sua attenzione al volto serio dell'ex amico.
«Un regalo.» ripetè scettico Mike.
«Esatto. Mio padre gli ha preparato una festa a sorpresa al Feazbear-... ops.» disse portando per poco lo sguardo sull'espressione sorpresa di Kentin. Aveva rovinato tutto. Che sbadato.
Con quell'ultima carognata si lasciò andare a una leggera risata divertita, degnando solo un'occhiata di vittoria a quello che ormai considerava un nemico e entrò in casa, lasciando la porta aperta e dirigendosi in camera sua. Lo Schmidt sbuffò innervosito da quel comportamento.
Quando tornò a guardare Kenny lo trovò in lacrime, e subito la sua espressione cambiò in dispiaciuta, inginocchiandosi davanti a lui.
«Mi dispiace. Ti ha rovinato la sorpresa.»
«Non fa niente. Mi dispiace però che papà si sia tanto impegnato per tenere tutto segreto e...» non terminò mai la frase per colpa di un singhiozzo che lo fece ammutolire. Mike gli asciugò le lacrime con le dita, dicendogli di smetterla di piangere e che quel giorno doveva essere felice.
«Mike?» lo chiamò il minore quando il pianto ebbe fine.
«Dimmi.»
«Se ti invitassi alla festa... Tu verresti?» chiese in imbarazzo il piccolo, con gli occhi leggermente arrossati dalle lacrime versate poco prima e accennando un timido sorriso. Mike era la cosa più simile a un vero amico che avesse mai avuto, e fu felice quando lo Schmidt sorrise.
«Ovviamente.» e fu così che venne invitato alla festa non più tanto a sorpresa di Kenny, poi si salutarono promettendosi di rivedersi il pomeriggio di quello stesso giorno, in pizzeria.



«Un po' più teso...»
«Vincent perchè non vieni tu ad attaccare questo striscione!?»
«Ma non è il mio turno. E poi non vedi che stó già facendo qualcosa?»
«Non stai facendo nulla!»
«A quanto pare il nostro Signor Phono non è un'attento osservatore: stò bevendo della cioccolata calda, del distributore, tanto per essere precisi.» spiegò Vincent, bevendo un sorso della sua cioccolata che sapeva più di metallo arrugginito che di cioccolata, infatti l'espressione schifata che ne seguì diede una piccola rivincita a Phono, che sorrise con finta cortesia.
«Buona?» chiese, cattivo, il ragazzo e Vincent sbuffò, incrociando le braccia.
«Torniamo a lavoro, piuttosto» disse sbirciando l'ora dall'orologio appeso al muro: le 16;30. Mancava un'ora all'arrivo di Kentin e mezz'ora a quello degli invitati, dovevano muoversi.
«Torniamo? Ma se stò lavorando solo io!»
«Ehy, io mi sono occupato dell'organizzazione!» esclamò Vincent, poggiando il bicchiere sulla scrivania di Phone su cui era appoggiato, sentendo un sospiro rassegnato provenire dall'amico.
«Non mi pagano abbastanza per questo lavoro...»
«Ah, ma allora siamo in due.» e quello scambio di battute terminò lì. Potevano farcela, forse, dal punto di vista temporale: dei tecnici stavano sistemando tutti gli strumenti di Freddy, Chica e Bonnie, che gli osservavano e si prendevano anche il diritto di commentare - "Guarda che l'asta del microfono dev'essere più in basso, ti sembro uno spilungone?" "Attento alla mia chitarra... Aspetta, dov'è il plettro? non l'avrai perso spero!" - facendo spazientire alcuni di loro che dovevano richiamare tutta la loro pazienza per non distruggere quei pezzi di latta. Certamente Freddy, Chica e Bonnie erano quelli con il carattere più amichevole, ma quando si trattava di lavoro e della loro band diventavano dei critici inimitabili.
Quando Phone finì di attaccare lo striscione scese dalla scala, riportandola nella stanza che conteneva anche i pezzi di ricambio degli animatronics, per poi tornare alla sua scrivania, pronto ad accogliere gli invitati che a breve avrebbero cominciato a farsi vivi.
Fredbear intanto provava a tranquillizzare Springtrap. Era seriamente nervoso, temeva di uccidere qualcuno e rimpiangeva il giorno in cui aveva deciso di accontentare Purple Guy. Il Signor Feazbear aveva acconsentito, avvisando Vincent che se Springtrap avesse avuto dei malfunzionamenti e qualcuno si sarebbe fatto male, sarebbe stato lui e lui soltanto a pagarne le conseguenze. E quel folle aveva accettato.
«Dovresti tranquillizzarti. Non farai del male a nessuno.» Springtrap non rispose a quella che voleva essere l'ennesima frase consolatoria dell'amico, semplicemente i suoi occhi grigi erano fissi sulla porta, ad aspettare i due altrettanto folli che avevano accettato di indossarli. Seriamente, la gente avrebbe fatto di tutto per qualche dollaro. Quando vide entrare un ragazzo, a cui subito Vincent andò incontro capì che quello era uno dei due condannati.
Okay. Forse stava esagerando, e forse aveva ragione Fredbear quando diceva che sarebbe andato tutto bene.
«È arrivato uno!» Fredbear lo notò solo qualche istante dopo Springtrap, avendo notato che l'animatronics aveva leggermente sgranato gli occhi, quindi aveva seguito il suo sguardo, assistendo alla scena. Poco dopo un'altro ragazzo li raggiunse e i tre parlavano tranquillamente, sembravano più vecchi amici che sconosciuti venuti lì per lavoro, data la naturalezza con cui il Purple Guy ci parlava. Bhe, era uno dei pregi del suo carattere.
I tre vennero verso di loro, e Springtrap strinse i denti, ordinandosi di non fare il coniglione e affrontare la situazione, come aveva sempre fatto da anni a quella parte.
«Springtrap, Fredbear! Loro sono i ragazzi che vi indosseranno!» esclamò Vincent, facendo da intermediario tra i quattro. I due ragazzi salutarono educatamente, sembravano bravi ragazzi e proprio quando si stavano per presentare Vincent li interruppe, dicendo che erano messi alle strette dal tempo e che non potevano permettersi i convenevoli, quindi aveva portato tutti nella stanza dei pezzi di ricambio e aveva cominciato a spiegare chiaramente come indossarle.
«Ora li metterò in modalità costume, così potrete indossarli tranquillamente. Avrete voi pieno controllo degli animatronics, loro non riusciranno più a muoversi secondo il volere della loro Scheda Madre... Mh. Ah, si, bhe, muoveranno solo la bocca, aprendola e chiudendola, ma nulla di cui preoccuparsi, quello è per dargli una parvenza di vita. Vediamo, che altro...? Ultima cosa! Non parlano in questa modalità. Dovrete intrattenere voi i bambini con delle conversazioni improvvisate!» e mentre spiegava ogni cosa Vincent cambiava la modalità dei due Gold da "automatica" a "Costume". Aveva omesso la pericolosità di quei costumi e di come loro, nonostante non potessero controllare più i loro movimenti, fossero comunque coscenti, quindi vedevano, sentivano e assistevano ad ogni cosa.
Poi passò la mezz'ora rimanente ad aiutare i due giovani ad indossare i costumi, mentre si erano fatte le 17 e gli invitati cominciavano ad arrivare: compagni di classe e conoscenti di Kentin andavano subito verso gli amati animatronics, mentre i genitori che gli accomoagnavano prendevano a chiaccherare, parlare del luogo, della festa, dell'atmosfera, per poi cambiare argomenti, svagandosi in qualche modo anche loro mentre i bambini si divertivano.
Nessuno gli notò, ma tre ragazzi mascherati da Freddy, Chica e Bonnie entrarono nella pizzeria, cercando un luogo più tranquillo, lontano dal cuore della festa... Un luogo dove aspettare Foxy.



Quando alle 17;30, puntuali come un orologio, Kentin e Jeremy fecero la loro entrata in scena nel Feazbear, vennero accolti da un coro di "Auguri" e applausi, rivolti al più piccolo ovviamente, che sorrise come mai aveva fatto in vita sua, perdendosi tra abbracci, complimenti e compagni di classe che gli rimproveravano il fatto di aver taciuto il suo compleanno, quella mattina. Jeremy era sparito in fretta, rintanandosi chissà dove, ma questo a Kentin non importò, piuttosto pensò a divertirsi con i suoi amici... Era bello. Era bello non sentirsi tristi o soli.
Vincent presto fece la sua apparizione, seguito dai due Animatronics costume, e Kentin mancò un battito quando vide Fredbear, l'originale, davanti a lui.
«Vacci a parlare, su!» lo incitò Vincent, comparendo dietro di lui e mettendogli entrambe le mani sulle spalle.
«Ma mi vergogno...» sussurrò in imbarazzo Kentin e strappò una risata al padre che quindi fece cenno al ragazzo dentro Freadbear di avvicinarsi, e lui eseguì.
«Ciao! Sei tu il festeggiato? È un piacere conoscerti!» esclamò il ragazzo e Kentin si morse il labbro inferiore per trattenersi dall'abbracciare il suo idolo.
«Guarda che puoi farlo.» gli sussurrò malefico suo padre, ridacchiando, felice di vedere tale reazione in suo figlio. Così il minore preso da un impeto di coraggio lo fece, abbracciando la gamba dell'animatronics, che rise a quella scena e lo prese in braccio. E Kentin sentì il suo cuore esplodere dalla gioia in quel momento. E sia Fredbear che il ragazzo che lo muovevano erano felici quanto lui. Vedere l'allegria e la gioia negli occhi dei bambini era uno spettacolo impagabile.
Intanto sul palco La Band suonava, circondata dal pubblico che per alcune canzoni incitava anche il bis. Altri bambini si trovavano, invece, nel Pirate Cove con Foxy e...
«Que-questo è i-il mio co-capitano, da oggi, cara mia ciu-urma! I-Il Pirata T-telefono!» e un urlo piratesco si udì per tutta la pizzeria. Era in quel modo che la ciurma accoglieva un nuovo membro. Phone rise in imbarazzo, grattandosi il collo. Si sentiva strano in quel luogo, con un cappello da pirata in testa, la benda sull'occhio e una ciurma che lo festeggiava.
«Adesso Il Pir-rata Telefono d-deve fare il giuramento! CIURMA! Portate q-qui il giu-giuramento!»
«Subito Capitano!» e un gruppetto di bambini corse verso un baule, seguiti dagli occhi di Phone, lo aprirono, estrassero una pergamena e la consegnarono al nuovo arrivato.
«Le-Leggi!» gli ordinò il capitano, mentre tutti i bambini si sedevano per terra a gambe incrociate, pronti ad ascoltare il giuramento. Phone portò gli occhi sul foglio... Bianco. Cosa? Non c'era scritto nulla! ... Oh. Poi capì. A quanto pareva doveva improvvisare.
«Io: Pirata Telefono, Vice Capitano della ciurma che è il Terrore Dei Sette Mari... Giuro fedeltà ai miei compagni e al mio capitano! Darò ogni mio nemico in pasto agli squali... Per mille balene!» urlò alla fine, venendo seguiti dai bambini che alzarono le mani al cielo urlando "per mille balene!" come per sugellare definitivamente quel patto, poi presero ad applaudire e Phone, sentendosi un attore magnifico, si lasciò andare a qualche inchino di ringraziamento, facendo scoppiare a ridere il capitano.
«Accidenti... Perchè é così difficile muoverlo?» si chiese il giovane con il constume di Springtrap, che proprio dopo quella frase fece in modo di rendere impossibile il movimento. Era una sua sensazione o Springtrap non voleva muoversi? Così stavano facendo solo brutta figura! Springtrap, in mezzo alla sala, da solo, impalato. Sembrava disattivato.
«Ti prego muoviti...!» lo incitò il ragazzo ma Springtrap rimase immobile nonostrante il giovane provasse con tutte le sue forze ad avanzare, o a muovere un braccio, qualunque cosa! Invece no. Invece erano arrivati lì, nella sala principale e si era bloccato, smuoverlo era diventato inutile. Springtrap era pronto a rimanere in quel modo, immobile, per tutta la festa pur di salvare quel ragazzo, pur di non uccidere qualcuno davanti ai bambini. No. Non l'avrebbe permesso.
«Springhi? Ehy perchè sei fermo? Stai male?» una bambina, con dei capelli color tramonto e due grandi occhi verdi guardava dal basso l'animatronics, che la notò e pregò che si allontanasse.
«Se stai male ti aiuto io!» continuò, prendendo un dito del grande animatronics tra le sue mani. E il giovane non percepì nessun contatto, dato lo strato di metallo a separarli, ma a Springtrap parve di percepirlo.
«Allora? Come ti posso aiutare? Dai, dimmelo!» gli occhi verdi della bambina cominciarono a farsi lucidi. Era davvero in pena per quello che considerava il suo idolo. Solo allora il giovane si ricordò che l'animatronics che indossava non poteva parlare, quindi decise di farlo lui.
«No, io stò bene...»
«Non l'ho chiesto a te!» esclamò la bambina con tono ben poco garbato.
«L'ho chiesto a lui...» e il ragazzo rimase sorpreso da tanta fedeltà. Era riuscita a capire che non fosse il vero coniglio, che era solo un ragazzo che lo stava indossando, probabilmente l'aveva intuito dalla voce palesemente diversa.
Springtrap voleva disperatamente risponderle, ma non poteva. Non in quella modalità.
Così il giovane cambió tattica e decise di annuire, lentamente, per dare una parvenza di malfunzionante al robot, per farle credere che fosse lui ad annuire. E funzionò. E Springtrap lo ringraziò interiormente. La bambina sorrise raggiante, e mantenendo la presa sul dito del coniglio, lo invitò ad andare insieme al buffet. Quando il ragazzo provò a muoversi non percepì più la minima difficoltà, adesso sembrava di star indossando quasi una tuta sub, che lasciava fare al tuo corpo ogni movimento con solo un po' di difficoltà, dovuta alla pesantezza del costrume. Springtrap aveva acconsentito, finalmente, a quell'idea. Dopotutto, non poteva mica tradire così i suoi fan.



Quando Mike giunse alla pizzeria venne invaso da urla, musica, gente che parlava, "auguri" urlati... Bhe, quello non era esattamente il tipo di posto che piaceva a Mike Schmidt, a cui piaceva il silenzio e la pace. Si portò un indice alla guancia, grattandola appena, non sapendo esattamente cosa fare o dove andare, sperò di riuscire a intravedere tra la folla i corti capelli castani del festeggiato, cosa alquanto impossibile. Il suo volto peró si illuminó quando trovò Kentin tra le braccia metalliche di Freadbear, peccato solo non fu l'unico ad assistere a quella scena, quindi gli andò incontro.
«Ehy, Kentin!» urlò, e vide il bambino voltarsi alla ricerca della sua figura, proprio come aveva fatto quella mattina, e quando lo trovò lo salutò muovendo freneticamente la sua mano.
«Mike! Sei arrivato.»
«Si, sono qui. Ma ti lascio stare subito con il tuo idolo, voglio solo sapere una cosa... Dov'è tuo padre?» chiese e Kentin prese a guardarsi intorno, certo che il padre fosse con lui proprio un'attimo fa.
«Aveva detto che andava in bagno e mi sa che tra poco devo andarci anche io!» suggerì il ragazzo nell'orso, mettendo giù Kentin, salutandolo cortesemente e dirigendosi verso il palco assieme al compagno, dove aveva intenzione di lasciare l'animatronics in modalità costume per andare in bagno, lasciandolo lì come un automa, ad aprire e chiudere la bocca: chi mai se ne sarebbe accorto? Mike però ignorò il resto della frase e si fece indicare dove si trovasse il bagno e aspettò pazientemente fuori da quella porta isolata. A quanto pareva erano tutti alla festa.
Ad ogni modo era lì per una sola ragione: fermare Jeremy una volta per tutte, lo stava facendo per lui e per Kentin. E solo una persona sarebbe stato in grado di fermarlo. Quello a cui Jeremy era più affezionato in assoluto.
«Signor Vincent!» lo chiamò appena uscì dal bagno, facendolo sobbalzare dalla sorpresa e facendolo armare velocemente di Torcia, che gli puntò contro.
«Chi sei!?» Mike alzò le mani di riflesso a quella domanda e si presentò.
«Mike Schmidt, signore.» Vincent lo analizzò dalla testa ai piedi, calando lentamente la torcia per rimetterla a posto.
«Hai una faccia che ho già visto.»
«Sono amico di Jeremy, signor Vincent. Qualche volta sono anche venuto a dormire da voi.» Vincent s'illumino, ricordando perfettamente il ragazzetto educato che lo chiamava sempre "Signor Vincent". Era da un po' che non si vedevano, forse da un anno se la memoria non lo ingannava. Si era sempre chiesto come un ragazzo così gentile e educato... Andasse d'accordo con la Carogna. Bha! Ma questo poco importava. D'altronde sapeva per certo che anche Jeremy era un bravo ragazzo sotto quella scorza dura.
«Si, mi ricordo di te. Fa piacere rivederti, sei diventato alto.» disse constatando che praticamente il ragazzo era poco più basso di lui, ormai, quando fino all'anno scorso gli arrivava appena al torace.
«Devo parlarle di una cosa importante.»
«Cos'ha combinato Jeremy?»
«Ecco sì, si tratta proprio di lui e-»
In quel momento arrivò il ragazzo che fino a poco prima si trovava nel costume di Freadbear, correndo verso il bagno, aprendo la porta quasi scardinandola e sparendo lì dentro.
Vincent ghignò semplicemente e chiese che ore fossero.
«Le 19;37»
«Ah bhe. Sono due ore che la tiene. Su Schmidt, torniamo in sala a tenere d'occhio i piccoletti, lì potrai parlarmi di tutto quello che vuoi, sai: sono in servizio.»



Jeremy aveva visto Kentin in braccio al Fredbear e gli era venuto in mente uno scherzo geniale, quindi era tornato dalla sua banda, tutti categoricamente mascherati con quelle maschere che aveva portato lui stesso due ore prima, e che finalmente tornavano utili.
L'unico problema era suo padre: ma adesso che si era allontanato poteva agire indisturbato.
«Ripassiamo in fretta il piano: noi andiamo lì, lo prendiamo, lo mettiamo nella bocca di Fredbear, lo facciamo spaventare per bene e poi lo togliamo da quella bocca. Ma dobbiamo fare in fretta: il padre di Jeremy, quello con la divisa viola, non ci deve vedere.» ripetè brevemente il piano Freddy, sentendosi terribilemnte gasato per quello scherzo, nessuno poteva vederli ma tutti e quattro stavano ghignando divertiti.
«Allora andiamo.» incitò Chica e, silenziosi come predatori si avvicinarono a Kentin, che si trovava proprio vicino al tavolo del Buffet, a bere dell'aranciata. Quando si voltò trovò quei quattro musi: uno di Freddy, uno di Chica, uno di Bonnie e, quello che più lo terrorizzava: Foxy. Indietreggiò istintivamente quando a quei ragazzi si sovrapposero le immagini dei suoi Incubi, ma durò poco poichè uno di loro parlò, e fu proprio la Volpe a riportarlo alla realtà.
«Ehy Kenny, tanti auguri! Ho visto che vuoi molto bene a Fredbear.» quella voce... Era Jeremy! Sgranò gli occhi spaventato, facendo cadere per terra il bicchiere di plastica ormai vuoto, prendendo a tremare: si sentiva in pericolo.
«Ehy, Jeremy, guardalo: è terrorizzato!» fece notare Bonnie, ridendo appena, subito dopo la sua frase.
«Oh, io sono certo che una volta con Fredbear si calmerà.» aggiunse Freddy, che incontrò lo sguardo cristallino del bambino con i suoi, di un profondo nero.
«No... No, vi prego!» disse provando a indietreggiare un po' ma la mano di suo fratello lo afferrò per un braccio, mentre un'altra mano: quella di colui che si era mascherato da Freddy, lo afferrava per l'altro braccio.
«Andiamo Kenny! Il tuo eroe ti vuole dare un Grande Bacio!» e a quella battuta di Jeremy gli altri risero, costringendolo a raggiungere Golden Freddy sul piccolo palco.
«No! No, non voglio! Vi prego!» le lacrime presero a scorrere velocemente sul suo viso, il cuore batteva velocemente, terrorizzato quanto lui, e i suoi occhi, annebbiati dalle lacrime, vedevano solo quelle fauci aprirsi e chiudersi, continuamente. Si dimenò ma le prese dei quattro erano senza dubbio più ferree delle sue forze.
«Al mio tre!» disse Jeremy, sentendo la paura di suo fratello scivolargli sulla pelle e aumentare l'adrenalina che scorreva nelle sue vene.
«Uno...» quasi tutta la sala stava assistendo alla scena, tra chi credeva fosse uno strano Show e chi era pietrificato dalla scena.
«Due...» Fredbear non poteva muoversi minimamente, ma registrò perfettamente quella scena nella sua memoria: gli occhi di quei folli, le loro voci, le lacrime del bambino. Pregò si fermassero. Perchè era molto pericoloso ciò che quegli stupidi stavano per fare, ma non se ne rendevano conto.
«Tre!» le urla di Kentin attirarono Vincent e Mike che, a passo spedito e con il terrore nel cuore, s'incamminarono verso la sala.
Un bambino tra i denti di Fredbear. Jeremy e i suoi amici scoppiarono a ridere, non precependo minimamente tutta l'atmosfera tesa e cupa che il resto della sala cominciava a respirare. Jeremy si teneva la pancia dalla forza con cui le sue risate si imponevano su di lui.
Poi si fermò di colpo.
Quei denti non si stavano aprendo per lasciar finire lo scherzo, no, si stavano serrando.
Smise di respirare. Mancò un battito. Le sue forze lo lasciarono completamente. La testa di suo fratello stava per venire pressata.
«NO!» lo urlò con tutto il suo fiato in gola e si mise davanti a quello stupido orso, mettendo le sue mani una sui denti superiori e una sui denti inferiori, forzando per aprirgli la bocca, era pronto anche a rompere quello stupido robot... Ma Kentin... Non avrebbe permesso che il suo fratellino morisse.
Il minore sgranò gli occhi nel vedere il tentativo disperato del fratello e... Erano lacrime quelle nei suoi occhi? Quelle che scivolavano sulla maschera?
«Non morire, non morire... Bastardo, APRI QUESTA CAZZO DI BOCCA!» perchè nessuno andava ad aiutarlo? Avevano paura? Suo fratello stava per morire! Si guardò brevemente indietro e di Bonnie e Chica non si vedeva nemmeno più l'ombra: quando si erano resi conto della gravità della situazione non avevano perso tempo a scappare lontano.
«Lasciali perdere: sono dei codardi maledetti.» chi lo affiancò, provando ad aprire la bocca dell'animatronics fu Freddy.
Erano in due contro del metallo che forzava per distruggere la testa di Kentin.
«Calmati, Jeremy!» gli ordinò Freddy, notando le lacrime e il respiro velocizzato, comprendeva il suo terrore ma non era quello il momento. Mai Freddy gli sembrò più affidabile. Un Leader che ripara ai propi errori.
«Jeremy... Ho paura...» sussurrò Kentin, e Jeremy serrò i denti, sentendosi un mostro della peggior specie. La sua coscenza era esplosa nella maniera più brutale possibile.
«Va bene! Andrà bene! Non ti lascerò morire... Perdonami.»
«JEREMY!» Lo richiamò Freddy, notando che il ragazzo cominciava a usare meno forza per mantenere quella bocca aperta, distraendosi.
«Devi ascoltarmi, testa di cazzo!» e allora ebbe l'attenzione del ragazzo che riprese a forzare la bocca.
«Al mio tre dobbiamo usare tutta la nostra forza e allargare quel tanto che ci basta per tirare fuori tuo fratello, dobbiamo stare attenti alle mani o ci ritroviamo monchi!» Jeremy annuì velocemente.
«Uno, due... Tre!» in quel preciso istante usarono tutta la loro forza per fare in modo che la testa di Kentin fosse libera, facendolo cadere sul palco in legno, terrorizzato, con gli occhi fissi su quei due.
«Adesso togliamo le mani!» la sincronia con cui riuscirono a staccare la presa sulla bocca dell'orso fu impressionante. Silenzio. Ce l'avevano fatta.
Tutta la sala era immobile a osservarli e suo fratello tremava terrorizzato, come lui e Freddy che non avrebbero mai voluto ripetere un'esperienza simile.
Poi lo vide. Lo vide, e fu come morire.
Suo padre, propio vicino al corridoio che portava al bagno da dove era appena arrivato, affiancato da Mike.
Pallido, con la bocca schiusa dalla sorpresa, tremante. Aveva assistito a tutto e si era sentito gelare sul posto. Quella scena per lui, che era il padre dei due, era stata la più raccapricciante della sua vita. Suo figlio maggiore - perchè sapeva bene che era lui, ricordava bene come aveva guardato la maschera di Foxy la prima volta che l'aveva vista - che attenta alla vita di quella del minore. Cominciò a girargli la testa, sentiva che avrebbe potuto vomitare lì. L'espressione di odio e delusione che rifilò a Jeremy fece indietreggiare quest'ultimo.
«Papà...»
«No, non chiamarmi più in quel modo, Jeremy.» in tutta la sua vita Jeremy non aveva mai sentito suo padre parlargli con tanta calma mista a risentimento. Freddy sentì l'amico soffocare un singhiozzo e decise di risparmiargli l'umiliazione più grande della sua vita, così lo prese per la maglia e lo trascinò via da quella pizzeria.
Presto gli invitati cominciarono ad andare via e alla fine rimasero solo Vincent, Kentin, Mike, Phone e gli animatronics.
Vincent sedeva su una sedia abbracciando suo figlio da cui non si sarebbe mai più staccato. Era stato a un passo dalla morte.
Non aveva pianto una lacrima, ma dentro di sè stava soffrendo per suo figlio Kentin e anche... Per Jeremy. Chi lo capiva, l'amore paterno?
«Da quanto andava avanti, Kentin?» chiese risoluto, Vincent, con il mento poggiato sulla testa del piccolo e gli occhi persi, a guardare davanti a lui.
Non gli rispose, allora lo fece Mike al posto suo.
«Da sempre.»
«Da sempre...» ripetè Purple Guy con un tono leggero, sorridendo appena.
«E io non me ne sono mai accorto.» si stava dando dello stupido. Lui, che credeva la loro fosse una famiglia perfetta. Era stato uno stupido illuso
«Per favore non prendertela con Jeremy.» sussurrò Kentin, forzandosi nonostante il trauma per quello che era successo appena un'ora prima l'aveva sconvolto.
«Lui ti vuole bene.»
«Ha provato a uccirerti.»
«Non voleva uccidermi! Lui...» era stato l'unico a sentirlo scusarsi? L'unico a sentire quel "non ti lascerò morire!". Cosa sarebbe successo, ora?
«Andiamo a casa.» avvertí Vincent alzandosi in piedi.
«Vi accompagnamo!» proposero subito Mike e Phone, certi che lasciarli soli in quel momento sarebbe stato un grandissimo errore. Così andarono via da quel luogo che era stato, per poco, scenario di morte.
Nessuno poteva immaginare che da quel giorno Vincent e Kentin sarebbero stati più tristi, cupi, riprendendosi, poi, solo grazie all'aiuto costante di Phone e Mike , che il Feazbear sarebbe caduto in rovina, salvandosi per un pelo grazie alla venuta dei nuovi animatronics, che salvarono la pizzeria, mentre quelli vecchi vennero dimenticati e classificati come "pericolosi". E nessuno sapeva, certamente, che appena un mese dopo Jeremy avrebbe lasciato quella città. Da quel giorno, anche se difficilmente, ognuno si creò un'instabile felicità. Da qualunque punto di vista si volesse guardare la vicenda, il risultato era sempre lo stesso: Alcune cose sarebbero cambiate per sempre, da quel giorno.


Era passato un mese e lui si trovava in stazione, con le sue valige, pronto ad andare il più lontano possibile da quel posto. Cos'era successo in quel lungo mese? Bhe, dopo che Freddy l'aveva portato via erano andati a casa sua, avevano preso tutte le sue robe, messe in una valigia e se n'erano andati, tutto fatto in fretta. Poi era stato a casa di Freddy, scioccato, perso, terribilmente fragile per un intero mese. Doveva molto a quel ragazzo. Per 31 giorni interi aveva provato a riscuoterlo in ogni modo, a volte finendo anche in delle risse tra loro. L'aveva aiutato a riprendersi quanto bastava per farlo reagire. Lo aveva costretto, per lo più, a forza di urla, battutine sarcastiche e qualche pugno, a volte sbattendogli in faccia la realtà senza alcuna remora "Sei stato a tanto così da diventare un assassino!". Gli doveva molto. Nonostante tutto la ferita che si era autoinflitto quel fatidico giorno era ancora da sanare, per ora si limitava a nasconderla, ma gli occhi arrossati dal pianto e le occhiaie parlavano per lui. Quindi Freddy gli aveva detto che tutto quello lo stava uccidendo, e che doveva andarsene da lì. Ed era quello che stava facendo, perchè si ormai aveva anche paura di camminare per strada ed incontrare Mike, Kentin o peggio ancora suo padre. Aveva pianto più in quel periodo che in tutta la sua esistenza.
L'interfono parlò, avvertendo che il suo treno stava per giungere in stazione, così si alzò, stingendo alla mano la sua valigia, quando qualcuno che conosceva bene lo affiancò.
«E quindi la nostra avventura finisce qui.» disse Freddy, battendo una pacca sulla spalla dell'amico.
«Così sembra.» rispose semplicemente Jeremy.
«Tanto prima o poi dovrai tornare.» gli fece notare Freddy, e Jeremy annuì, conscio che quello che diceva era la verità, ma sperando che quello avvenisse il più tardi possibile.
«Ad ogni modo: goditi questa pausa dalla tua vita.» il treno giunse in stazione e i due si salutarono, promettendo di rimanere in contatto.
«Prima che tu vada... Ecco un ultimo regalino!» gli porse quella che sembrava essere una lettera, ammiccò all'espressione stranita di Jeremy, poi il castano salì sul treno e si salutarono un'ultima volta attraverso i finestrini del treno.
Quando Jeremy prese posto e aprì la lettera scoprì che non conteneva nessuna lettera, ma un documento d'identità falso.
Jeramy Fitzgerald. Non era certo il suo cognome, quello. Accennò un sorriso: i regali assurdi di quel folle. Ma almeno, così, con un'altra identità, sarebbe stato più facile scappare. Aveva chiamato Fritz, giorni prima, gli aveva raccontato ogni cosa, sentendo di potersi fidare solo di lui in quel momento. E lui, oltre a dirgli che aveva fatto una cosa imbecille - scelse bene le parole con cui chiamarlo, sapeva, Fritz, lo sentiva dalla sua voce, che già era distrutto di suo - poi gli aveva ordinato di venire da lui. Si. Ordinato. Era stato la mente di quel viaggio... L'unica via di fuga.

E mentre Jeremy si allontanava dalla sua vita Kentin sedeva sul suo letto, con un pacchetto gra de quanto il doppio della sua mano, di colore giallo e nero, infiocchettato con un bel fiocco viola, e su di esso c'era scritta una sola cosa: "Ti ordino di aprire questo regalo per ultimo."
Era il regalo di Jeremy, non era certo difficile capirlo. Il giorno del suo compleanno, prima del "morso" Jeremy si era avvicinato cauto al tavolo dei regali e aveva lasciato quel pacchetto sul tavolo, notando poi suo fratello e Freadbear, avendo, poi, quell'orribile idea.
Era passato un mese e, senza dubbio, quello era l'ultimo regalo che avrebbe aperto, ma era agirato. Credeva fermamente fosse un'altro scherzo, dato che un mese prima ricordava perfettamente che il maggiore gli disse di non aver trovato alcun regalo. Ma si era deciso ad aprirlo, finalmente! Così, nella sua stanza, da solo, scartò il pacchetto velocemente.
«Freadbear...» sussurrò vedendo il suo amico che gli era stato sottratto dal maggiore tempo addietro, prendendolo con mani tremanti e abbracciandolo. Poi si accorse del biglietto che si trovava con Fredbear nella scatola.

"Sorpreso, fratello? No, non è mai stato all'Inferno, ma solo in camera mia. Adesso non farti comunque strane idee! Te lo restituisco solo perchè è il tuo compleanno, io non me ne faccio nulla e... Ah. Che bigliettino stupido."


Kentin sorrise tra le lacrime per la prima volta di felicità. Ora ne era certo: lui e suo fratello, con un po' d'impegno potevano davvero definirsi tali.
Peccato.
Peccato davvero.
Peccato che, ormai, sia troppo tardi.

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