InFAMOUS: The Darkness's Daughter

di edoardo811
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un altro giorno ***
Capitolo 2: *** Caccia ai diamanti ***
Capitolo 3: *** Scontro nella baraccopoli ***
Capitolo 4: *** Novità ***
Capitolo 5: *** Pioggia ***
Capitolo 6: *** Fare le valigie ***
Capitolo 7: *** Addio Empire... ***
Capitolo 8: *** ... Benvenuta Sub City... ***
Capitolo 9: *** ... o forse no ***
Capitolo 10: *** Safe Travel ***
Capitolo 11: *** UDG ***
Capitolo 12: *** Essere umani ***
Capitolo 13: *** La cima della piramide ***
Capitolo 14: *** Ricercati ***
Capitolo 15: *** Devastatrice ***
Capitolo 16: *** Qualcuno più esperto ***
Capitolo 17: *** Faccende private ***
Capitolo 18: *** Assedio ***
Capitolo 19: *** Soggetto A-16 ***
Capitolo 20: *** Cheshire, storia di una gatta inglese ***
Capitolo 21: *** I segreti dei conduit ***
Capitolo 22: *** Famiglia riunita ***
Capitolo 23: *** Simili, ma diversi ***
Capitolo 24: *** Un nuovo inizio... di nuovo ***
Capitolo 25: *** Tutta la verità, nient'altro che la verità ***
Capitolo 26: *** L'ultima corsa ***
Capitolo 27: *** Fuori controllo ***
Capitolo 28: *** La figlia dell'oscurità ***
Capitolo 29: *** Risposte ***



Capitolo 1
*** Un altro giorno ***


Prima di iniziare a leggere, eccovi alcune premesse:

Innanzi tutto, se non l’avete ancora fatto vi consiglio di leggere il Prologue di questa storia, lo potete trovare nella mia pagina autore. Ha pochi capitoli, solo 6, perciò non sarà una lettura molto impegnativa e vi aiuterà a capire molte cose su questa fanfiction.

La fic è un crossover con InFAMOUS e pertanto sarà molto fedele ad esso. È una sorta di intreccio di trame tra quella del videogioco e quella dei TT.

I caratteri dei personaggi potranno subire variazioni, non inserisco l’OOC, ma potrebbe darsi che si verifichi.

Corvina (Rachel) sarà la protagonista indiscussa. La storia sarà interamente raccontata dal suo punto di vista. Sarà in terza persona, ma saranno presenti diversi suoi monologhi, proprio come nel videogioco.

Ah, e purtroppo gli altri Titans compariranno in maniera parecchio sporadica, a causa di... forze maggiori.

Ho detto tutto, buon proseguimento.


 

inFAMOUS: The Darkness’s Daughter

 

PREFAZIONE

 

Se potessi descrivere la mia vita con un aggettivo... credo che opterei per "triste".

Ma diciamo che tra alti e bassi più o meno me l’ero sempre cavata. Fino al giorno dell’esplosione.

Empire City. La città in cui sono nata e cresciuta... è morta.

Uno dei tre distretti, il Centro Storico, è stato quasi interamente raso al suolo da quello che secondo il governo è stato un attacco terroristico. Circa un terzo della popolazione è morta, quel giorno. Un altro terzo si è ammalato poco dopo a causa delle radiazioni emesse dagli ordigni innescati, mentre il restante terzo ora  è costituito per metà da criminali incalliti. E l’unica vittima è stata la metropoli.

Furti, tumulti, stupri, vandalismo. Ormai è la routine qui.

Dall’esplosione non si è salvato praticamente quasi nessuno. Quasi.

Conduit. Così si chiamano i sopravvissuti. Così chiamano anche me. Un elegante rimpiazzo della parola "mostri" o "demoni", non c’è che dire.

Sono sopravvissuta all’esplosione, ritrovandomi con dei poteri al limite del paranormale, terrorizzata a morte e, soprattutto, senza più un amico.

Non ho mai avuto una vera famiglia. Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre mi ha abbandonata quando ero una bambina. La cosa più simile all’affetto famigliare che io abbia mai ricevuto è stato il conforto e il calore offertomi dai miei amici. E ora non me n’è rimasto neanche uno. Victor, Garfield, Wally, Jennifer, Karen... andati, tutti quanti.

E poi è saltato fuori che uno di loro non era morto nell’esplosione, ma era diventato anche lui un Conduit.

Richard, il fidanzato di Kori, il mio amico d’infanzia, ora fa parte di una delle tre grosse organizzazioni criminali che dominano nella città, i Mietitori. Ormai la sua mente è corrotta, ma spero ancora di poterlo salvare.

In compenso ho conosciuto Lucas, o meglio, Red X. È un delinquente, non c’è altro termine per descriverlo, ma se non altro sa il fatto suo. E mi sta dando un enorme aiuto a cercare Richard. Lui ha i suoi motivi, io i miei, ma l’obbiettivo comune è stato più che sufficiente a persuaderci a stringere un’alleanza.

Ora stiamo ancora cercando. La città è grande, le insidie sono molte, ma entrambi non smettiamo di avere fiducia e sperare. Anche perché ormai la speranza è l’unica cosa che ci rimane, qui ad Empire.

Mi chiamo Rachel Roth. Sono una ragazza adolescente che è stata costretta a crescere molto più in fretta del previsto.

Sono sopravvissuta all’esplosione, sono una Conduit. E, anche se ho paura ad ammetterlo apertamente, forse sono l’unica possibilità di salvezza rimasta ad Empire, per non dire al mondo intero.

Spero solo che non sia troppo tardi.

E di non perdere il controllo.


Capitolo 1: UN ALTRO GIORNO

 

L’ultima cosa che avrebbero voluto fare quel giorno era mettersi ad inseguire qualcuno.

La figura avvolta nell’impermeabile marrone si muoveva a grande velocità lungo il margine della carreggiata, facendosi strada tra la folla a suon di gomitate e spintoni. Era alta, snella ed agile, ma il grosso borsone grigio che portava a tracolla giocava a suo sfavore, rendendola più impacciata e sbilanciandola di lato. E ciò giovava parecchio a Lucas, il suo inseguitore.

Sopra le loro teste, Rachel seguiva tutta la scena volando.

Al loro passaggio si susseguiva un’ondata quasi senza fine di grida di sorpresa e di protesta, che prontamente si trasformavano in urla di terrore alla vista dell’enorme figura nera che avvolgeva il corpo della ragazza corvina.

L’inseguimento si spostò prontamente in un vicolo, dove le persone che passeggiavano non avrebbero più rappresentato un problema. La sfida si moltiplicò di intensità, quando i due protagonisti furono costretti a fare attenzione a non smarrirsi in quella fitta ragnatela di viali. Una sola svolta errata equivaleva a finire dritti nel covo di qualche malvivente, o peggio, per l’inseguitore avrebbe significato perdere il ladro di quel prezioso borsone grigio conquistato con tanta difficoltà.

Rachel notò con sorpresa che quella era la prima volta che Red X sembrava davvero trovarsi in difficoltà a tenere il passo di qualcun altro. Di solito era sempre lui quello a far sudare sette camice alle persone.

Il ladro svoltò ad un angolo per l’ennesima volta. Sembrava quasi si stesse muovendo a casaccio solamente per seminare il proprio inseguitore, eppure la sicurezza mostrata dai suoi movimenti fulminei faceva presagire il contrario.

Corvina osservò per altri istanti la conformazione dei vicoli, poi decise di agire. Piombò improvvisamente a terra, tagliando la strada al malvivente in fuga. Quando toccò il suolo, un’esplosione si propagò attorno a lei e l’oscurità che la avvolgeva si diradò, rivelando il suo vero aspetto.

Il borseggiatore fu costretto a fermarsi di colpo e a tenersi il cappuccio calato in testa, che per poco si era abbassato a causa dello spostamento d’aria generato dall’atterraggio di quell’altro inseguitore. Osservò la ragazza in silenzio, lei resse lo sguardo senza alcun timore. Poco dopo sopraggiunse anche Lucas, con una vistosa smorfia infastidita stampata in volto. Probabilmente non vedeva l’ora di mettere le mani su quell’individuo che li aveva fatti scomodare fino a quel luogo.

Entrambi gli inseguitori cominciarono a muoversi lentamente verso il ladro, che fu costretto a sua volta a muoversi di corsa verso un terzo viale, che però lo portò ad un alto muro. Era un vicolo cieco. Ora era con le spalle al muro nel vero senso della parola. Spostò lo sguardo in ogni direzione, freneticamente, probabilmente alla ricerca di qualche appiglio da usare per scavalcare l’ostacolo, ma non trovò nulla. Rachel aveva studiato ad hoc il luogo in cui tagliargli la strada.

«Fine della corsa.»

La voce fece irrigidire la figura, che strinse anche i pugni con rabbia. Si voltò lentamente, verso quei due che l’avevano incastrata, che ora si stavano avvicinando a lei con altrettanta calma.

Red X sollevò la mano, mostrandole il palmo. «Restituiscici quelle provviste.»

Il ladro grugnì di disappunto, poi slacciò il borsone dalla tracolla e lo gettò a terra, esattamente a metà tra lui e l’interlocutore. I due inseguitori si guardarono tra loro e si scambiarono un cenno, poi il ragazzo si avvicinò al borsone. Ma non appena si chinò per prenderlo, il ladro estrasse fulmineo un oggetto grigio e lucido da una tasca del cappotto e glielo puntò. Una pistola.

«Lucas!» esclamò la ragazza, allarmandosi. Puntò i piedi ed entrambe le sue mani si illuminarono di nero. Non avrebbe assolutamente permesso a quell’individuo di aprire il fuoco. Se solo avesse sfiorato il grilletto, l’avrebbe spedito al tappeto.

Il ragazzo sollevò le mani. Osservò l’arma puntata verso di lui per nulla impressionato, poi si rimise in piedi. «Rilassati Roth» replicò tranquillo. «Non sparerà.»

«Cosa te lo fa credere?!» ribatté la figura, sorprendendo i due con il suo tono di voce. Acuto, troppo acuto per appartenere ad un uomo. Strinse con più forza l’impugnatura della pistola. Sembrava teso. Anzi, tesa.

Dopo aver superato lo stupore, Lucas abbassò le mani e replicò: «Perché se quella pistola fosse carica avresti premuto il grilletto già da un pezzo, non credi?»

«Forse volevo solo assicurarmi di non mancare il bersaglio» sbottò prontamente la ragazza incappucciata, con tono di voce irritato. «Trovare munizioni non è facile di questi tempi.»

«È inutile che cerchi di fregarmi, conosco i trucchi di voi abitanti del Dedalo. Anche io vivevo qui.»

Lucas mosse un passo verso la ladra, ma quella indietreggiò di scatto, abbassando il cane dell’arma. «Provaci di nuovo e ti apro un buco in fronte!» esclamò. Questa volta sembrava quasi allarmata.

«Sono proprio curioso di vedere come fai» disse ancora Lucas, muovendosi di nuovo verso di lei.

Rachel sospirò di sollievo e abbassò le mani, che si spensero. La ladra bluffava, per fortuna Lucas lo aveva capito. Adesso non doveva fare altro che aspettare che il suo socio chiudesse la faccenda, poi avrebbero potuto andarsene in pace. Non era mai stata nel Dedalo, ma da quel poco che aveva visto aveva intuito che prima se ne sarebbe ritornata nel suo Neon, meglio sarebbe stato.

«Fermi!» esclamò un’altra voce, facendola trasalire. Si voltò di scatto e rimase interdetta. Un ragazzino era apparso all’improvviso alle loro spalle, con un coltello in mano puntato verso di lei e Lucas. L’aria determinata che aveva in volto era tradita da un leggero tremore della mano. Ostentava sicurezza, ma era chiaro che non rappresentava davvero una minaccia per Rachel o Lucas. Ma non era certo questo ad impensierire la corvina. Il suo aspetto... era troppo famigliare. Non poteva essere vero.

«Ryan!» esclamò la ladra, distraendosi. «Che stai facendo, vatt...»

Non finì la frase, a causa di Lucas che si avventò su di lei e le immobilizzò il braccio, portandoglielo dietro la schiena e facendole cadere la pistola di mano. La ragazza gridò di sorpresa.

«Komi!» esclamò il ragazzino, cercando di andare in suo soccorso, ma Rachel fu più veloce. Fece comparire dal terreno due rampicanti di luce nera, che andarono ad attorcigliarsi attorno alle braccia, bloccandolo. Non strinse troppo la presa, comunque. Non voleva fargli del male. Il coltello fece la stessa fine della pistola, scivolò a terra rendendo l’avventore disarmato.

«Agh!» si lamentò lui, cercando di liberarsi con degli strattoni. «Che diavolo è questa roba?!»

«No!» gridò di nuovo la borseggiatrice. Provò anche lei a liberarsi della presa di Lucas, ma era troppo forte per lei. Tese una mano verso il ragazzino. «Ryan!»

 «Komi!»

Ryan? Komi?

Rachel osservava sempre più stranita quei due, vagando dall’uno all’altra con lo sguardo, mentre la sua mente metteva insieme i pezzi. 

«Cerca di calmarti, tanto non vai da nessuna parte» disse Lucas con tono calmo alla ladra, mentre lei continuava a dimenarsi.

Mentre si muoveva come un’ossessa, il cappuccio si abbassò scoprendole il volto. E a quel punto Rachel rimase a bocca aperta. Posò di nuovo lo sguardo su Ryan, e a quel punto realizzò dove, in passato, aveva già visto quei capelli rossi e quegli occhi verdi. O meglio, su chi.

«Lucas» esclamò. «Lasciala andare!»

«Cosa?» domandò lui, stranito.

«Lasciala ho detto!»

Il suo partner obbedì, mollando la presa, ma continuò comunque a guardare Rachel in cerca di spiegazioni. La conduit, dal canto suo, lasciò andare Ryan, che corse dalla ladra, abbracciandola. Lei non rifiutò il contatto, ma mentre stringeva il ragazzino osservò con odio i suoi due inseguitori. Sembrava un lupo in trappola.

«Rachel, che sta succedendo? Conosci quei due? Devo ricordarti cos’è successo l’ultima volta che hai detto di conoscere qualcuno?» domandò Lucas avvicinandosi alla corvina, senza spostare lo sguardo dai due ladruncoli.

Lei non rispose. Rimase con gli occhi fissi su quelli della ladra. Erano identici ai suoi. Anche il colore dei loro capelli era simile. Il suo volto invece... ormai non aveva più dubbi.

«Tu sei... voi due siete... i fratelli di Stella...» mormorò, quasi non credendo alle proprie parole. «Komand’r... Amalia... e Ryand’r...»

Era impossibile sbagliare, anche se non li aveva mai visti dal vivo. Amalia era identica a Stella sotto praticamente ogni aspetto, eccezion fatta che per il colore degli occhi e dei capelli. Lo stesso valeva per Ryan, ovviamente tralasciando la distinzione di sesso. E per finire, erano nel Dedalo, dove Kori e famiglia avevano vissuto quando si erano trasferiti lì.

Infatti, entrambi sgranarono gli occhi. Anche Lucas rimase sinceramente sorpreso. «E tu... come fai a saperlo?» domandò Amalia, separandosi lentamente dal fratellino.

«Io...» Rachel esitò. Le fece uno strano effetto parlare con loro. Forse perché entrambi erano in lutto per quella ragazza che era parzialmente stata la causa della sua infelicità. Doveva fare attenzione a non lasciar trasparire troppo le sue emozioni, o magari quei due avrebbero mangiato la foglia. Non riusciva a credere di aver incontrato proprio loro due. Si era perfino dimenticata della loro esistenza, fino a pochi istanti prima. Se non li avesse visti con i suoi occhi probabilmente avrebbe continuato ad ignorarli, o a pensare che fossero entrambi morti.

«Io... conoscevo Kori...» cercò di spiegare. «Andavamo a scuola insieme, prima che lei... insomma... prima dell’incidente.»

Ryan dischiuse le labbra, mentre Amalia si rabbuiò. «Ah. Capisco.»

«Scusate, noi non... sapevamo...» mormorò ancora Rachel, ma Komand’r la anticipò con un gesto secco della mano. «Prendete quelle provviste e andatevene.»

«Agli ordini» sbottò Lucas, avvicinandosi al borsone. Era chiaro che la faccenda non lo sfiorava nemmeno.

«Fermo X!»

Il ragazzo si bloccò e fissò nervoso la partner. «Cosa? Che c’è adesso?!»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, osservando pensierosa i due fratelli. Ora che li vedeva meglio, poté constatare che erano entrambi ridotti piuttosto male. Vestiti rovinati, trasandati, entrambi con diversi graffi sul volto e chiaramente malnutriti. Era evidente che non mettevano mano su del cibo commestibile dall’inizio della quarantena. Gli Spazzini, come i Mietitori, si appropriavano di tutte le provviste sganciate dal governo nel Dedalo. Se Rachel e Lucas, trovandosi lì di passaggio, non avessero sgomberato la piazza dai malviventi per impossessarsene, probabilmente Amalia non sarebbe mai riuscita a fregarli e ad appropriarsi di quel borsone.

Annuì a sé stessa, poi guardò l’amico. «Lasciagliele. Loro ne hanno più bisogno di noi.»

«Vorrai scherzare!» protestò lui. «Con tutta la fatica che abbiamo fatto per...»

«Possiamo procurarcene altre, e tu lo sai meglio di me. Lasciamole a loro» proseguì lei con calma, guardandolo negli occhi.

Il ragazzo incrociò le braccia e resse lo sguardo, chiaramente meditando se ascoltarla o no. Nonostante non fosse la prima volta che i due si confrontavano in quel modo, guardandosi, a Rachel fece comunque uno strano effetto osservare le sue iridi blu. Inoltre, era ancora più insolito vederlo senza la sua classica pittura facciale, la quale si era del tutto prosciugata durante l’inseguimento. Alla fine, Lucas grugnì infastidito. «Sei una rompiscatole, lo sai?»

Rachel sorrise, il suo corpo si rilassò nonostante lei non ricordasse di essere mai stata tesa. «Lo so.»

Lucas sospirò e diede le spalle al borsone, poi cominciò ad incamminarsi. «Non avrei mai dovuto diventare tuo socio...» mugugnò mentre si allontanava.

La corvina non si preoccupò di quell’affermazione. Diceva quello tutte le volte che lo persuadeva a fare qualcosa che non gli andava. Si voltò ancora una volta verso i due fratelli, tornando seria. «Scusate ancora. Ce... ce ne andiamo.»

Fece per mettersi al seguito di Lucas, ma Ryan la fermò: «Aspettate!»

Entrambi si fermarono, sorpresi. Anche Amalia si era messa ad osservare con un sopracciglio inarcato il rosso. Lui parve sentirsi a disagio sotto gli occhi della sorella, di Rachel e sotto quelli ben più severi di Lucas, ma proseguì comunque, tra un’esitazione e l’altra:  «Potremmo... dividercele... no?»

«Cosa?!» domandò Komand’r, incredula. Non aveva detto nulla in merito all’iniziativa di Rachel di lasciare a loro le provviste, ma era più che evidente che "condividere" non era una parola presente nel suo vocabolario.

Ryan sembrò intimorito dalla sorella, ma rispose comunque: «Beh... era un’amica di Kori... e ci hanno lasciati andare senza farci del male... non troppo, perlomeno...»

Rachel nel frattempo, non sapendo come reagire, cercò nuovamente una conferma nello sguardo di Lucas. Provò nuovamente quella strana sensazione, ma questa volta durò molto di meno. Svanì non appena l’espressione confusa del partner non divenne di soddisfazione. Con un sorriso compiaciuto spostò lo sguardo dalla corvina e lo indirizzò verso di Amalia.

«Mi sembra un’ottima idea.»

Fece per incamminarsi verso di loro, ma un’altra voce, questa volta dal timbro molto più grave, provenne dalle loro spalle, facendoli trasalire tutti quanti. «Fermi voi!»

Un uomo armato di fucile era apparso alle loro spalle. Era grosso e alto, vestito come uno straccione, con un sacco della spazzatura strappato indossato a mo’ di mantello. Il volto era coperto da un passamontagna bianco e logoro. Uno Spazzino.

Sollevò il fucile e lo puntò contro i ragazzi. «Restituite immediatamente quel...»

Non terminò mai la frase. Un raggio di luce nera lo centrò in pieno petto, scaraventandolo a decine di metri di distanza e schiantandolo contro un muro. Crollò a terra, esanime. Il fucile cadde a terra, innocuo.

Rachel abbassò la mano, un tenue bagliore nero le illuminava ancora il palmo, poi spostò lo sguardo su Lucas. «Qui non è sicuro. Se quello ci ha trovati ne arriveranno presto altri.»

Il ragazzo annuì, rispondendo con un mugugno. La corvina si voltò verso Amalia e Ryan, i quali la fissavano sbalorditi, forse perfino intimoriti. Sorrise. «Allora, che ne dite di andarcene da qui?»

 

***

 

Non appena vide la casa di Amalia e Ryan, Rachel realizzò che il suo appartamento non era poi così male.

La baracca non sembrava quasi nemmeno in grado di reggersi sulle proprie fondamenta. Così come tutte le altre abitazioni presenti in quella strada.

Erano nella periferia del Dedalo, uno dei pochi luoghi ancora tranquilli di quel distretto, dove gli Spazzini non facevano alcun tipo di ronda. I due fratelli erano stati molto fortunati a vivere in quel luogo.

L’interno dell’abitazione, tuttavia, era molto ben tenuto. Era pulito e non c’era quasi traccia di crepe su pareti o sul pavimento. In compenso, l’assenza di mobilio era quasi totale. Un divano cencioso nel salotto, un tavolino da caffè, una cucina quasi completamente spoglia in cui erano presenti giusto un tavolo e qualche armadio, e non c’era traccia di elettrodomestici.

Rachel non fece domande a riguardo, ma si augurò per loro che il bagno funzionasse. Un’altra cosa che notò era che non c’era presenza di fotografie o altro riguardanti i due fratelli e la loro famiglia. Ora che si ricordava, Kori aveva detto di avere un amico di famiglia lì ad Empire, ma in casa, di lui, non c’era alcuna traccia.

I quattro ragazzi si radunarono attorno al tavolo della cucina. I due fratelli da una parte, i due partner dall’altra. Amalia posò il borsone. Prima di aprirlo, osservo prima la corvina, poi Lucas, sul quale si soffermò molto più a lungo. «Dividiamo questa roba e poi sparite, ok? Non voglio altri problemi.»

«Gentile da parte tua dare ordini dopo che ti abbiamo salvato la pelle da quello Spazzino» ribatté Lucas, incrociando le braccia.

«Potevo benissimo cavarmela da sola» insistette Amalia, indurendo la sua espressione.

«Sicuro. Magari usando quella pistola scarica come una clava.» Red X sogghignò. «Sono certo che avresti avuto molte...»

«Finiscila, Lucas» lo interruppe Rachel, scoccandogli un’occhiataccia. Lucas roteò gli occhi, ma rimase in silenzio.

«Komi, basta, ti prego...» mormorò Ryan a sua volta, tirando la sorella per la manica del cappotto. «Avrebbero potuto ucciderci, ma non lo hanno fatto, dovresti essere grata di...»

«Sì, sì, ho capito...» sbottò la sorella, irritata, poi sospirò. «E va bene, facciamola finita.» Abbassò la zip del borsone, rivelandone il contenuto. E non appena il tutto fu completamente visibile, i quattro sgranarono gli occhi.





Non state sognando, sono di nuovo io. Lo so, è passato un bel po' di tempo. Lo so, sono stato un bastardo ad andarmene in quel modo. Ma dopo questi tre mesi di pausa penso di poter ricominciare. Non più ai livelli dell'ultima volta. Cercherò di essere più preciso e puntuale possibile, ma naturalmente non sarà così nel caso si verificassero contrattempi.  

Non so ancora come mi comporterò, ma questa volta cercherò di lasciarvene almeno uno ogni dieci giorni. Poi studierò meglio come e quando pubblicare.

Potrei dire milioni di cose. Scuse, ringraziementi, auguri, eccetera, ma non me ne viene in mente neanche una. Posso solo dire che, nonostante mi sarebbe piaciuto azzardarmi a scrivere in altri fandom, il pensiero di ricominciare da qui è stato il primo che mi è venuto, e che sono felice di essere tornato.

Avevo altre storie in cantiere, ma alla fine ho deciso di scrivere questa qui, nonostante io stesso avessi detto che non ero intenzionato a continuare dopo il Prologue. Ma questa volta, a differenza di The Good Left Undone (pace all'anima sua) un sequel ci sta alla perfezione. Come mi disse una recensitrice, in The Darkness's Daughter c'era tutto un mondo da tirare fuori, e in effetti aveva ragione. HoS non necessitava di un seguito perché aveva un inizio e una fine ben delineati, certo c'erano delle questioni ancora aperte, ma non in modo vasto come in TDD. E poi, inFAMOUS ha avuto un seguito, il 2, e non ha per niente deluso, quindi perché TDD non poteva averne uno a sua volta? 

E comunque, le altre storie che avevo in mente alla fin fine non erano nulla di che. 

So che vedere Rachel come protagonista potrà essere un po' banale e ripetitivo, ma lei era l'unico personaggio in grado di abbracciare così bene questo ruolo, in questa storia. Il fatto che lei abbia paura dei suoi poteri non è una novità, non sono stato costretto a stravolgere troppo il suo carattere. E comunque, personaggi come Red X e gli stessi Amalia e Ryan non saranno solo dei cameo, anche loro avranno una storia da raccontare, ma tutto ciò lo vedrete dagli occhi di Rachel. E con il passare del tempo ne arriveranno anche altri, alcuni conosciuti, altri un po' meno, alcuni amati e altri non proprio. 

Ho riletto il capitolo diverse volte, ma se notate errori segnalatemeli, grazie. Con questa storia sto osando, e anche molto, voglio che sia il più perfetta possibile. Come inizio è un po' fiacco, ve lo concedo, ma vi assicuro che molto presto di salirà di intensità.

Ok, credo di aver finito. Dubito che mi leverò mai questo vizio di mettere i puntini sulle i...

A presto, spero di leggervi nelle recensioni. Mi piacerebbe rivedere le mie vecchie conoscenze e perché no, farne anche di nuove.

So che questa non è la classica storiella romantica a cui molti saranno abituati, ma, ahimé, io prediligo tre cose: violenza, suspance e parolacce. Anche un pizzoco di fluff, ma giusto un poco, pochissimo. In questa storia sarà quasi assente, ma non mancheranno quelle scenette che vi faranno pregare che Tizio si metta insieme a Tizia ed eccetera... ;)

Un abbraccio a tutti voi, è bello essere di nuovo qui!

Edoardo811


Post Scriptum. Siccome voglio fare una cosa ben fatta, e siccome ogni opera che si rispetti ne possiede una, questa è la colonna sonora principale di questa fic: Rise Against - Give It All
Perché ho scelto proprio questa canzone? Beh, il motivo è molto semplice: perché i nostri eroi ce la mettono tutta, sempre. E avrete modo di scoprirlo ;)

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Capitolo 2
*** Caccia ai diamanti ***


Capitolo 2: CACCIA AI DIAMANTI

 

«Porca puttana!» esclamò Amalia scaraventando a terra il borsone, che cadde con un tonfo metallico. Pezzi di ferraglia arrugginita e ingranaggi si riversarono al di fuori di esso, sommergendo le piastrelle nere. Di cibo, neanche l’ombra.

La ragazza si premette le mani sulle tempie e cominciò a tormentarsele, con una vistosa smorfia stampata in faccia. Si voltò, dando le spalle a Rachel e Lucas. «Tutta quella fatica per rubarlo... per niente...»

«Komi...» Ryan si avvicinò a lei, cercò di confortarla, ma la ragazza lo respinse con un gesto rabbioso. Il minore ammutolì.

Rachel osservò senza dire una parola il contenuto del borsone. Sbuffò, irritata. Ma quale imbecille lo aveva riempito con tutte quelle cianfrusaglie?

Scosse la testa, cercando di ignorare quanto accaduto. Non era un problema poi così grave, per lei. Di provviste ce n’erano altre in città, tanto.

Il suo sguardo cadde poi sui due fratelli. Solo in quel momento realizzò che per loro due vedere quella robaccia non doveva essere stato molto bello. Lei e Lucas avrebbero potuto procurarsi altro cibo senza problemi, vero, ma Komand’r e Ryand’r come avrebbero fatto?

Provò pena per loro, in particolare per Ryan. Cercava di tranquillizzare la sorella, ma era evidente che il primo a necessitare di aiuto era lui. Quanti anni aveva? Sedici? Diciassette? Aveva ancora tutta la vita davanti a sé, eppure i suoi occhi emanavano uno sconforto e una tristezza che solamente chi aveva vissuto una vita lunga e difficile poteva provare.

Quel ragazzino, a causa della rovina di Empire, aveva provato una tristezza, una sofferenza e probabilmente anche una rabbia che nessun ragazzo avrebbe mai dovuto provare. E quello valeva non solo per lui, ma per lei, per Amalia, per Lucas e per chiunque altro orma in quella città.

Era questo, dunque, ciò che l’esplosione aveva causato. Una civiltà in rovina, costretta a lottare con tutte le proprie forze contro bande di criminali semplicemente per poter mettere le mani su del cibo, un qualcosa dapprima così scontato, ora prezioso come un diamante per chiunque.

Ragazzi come Ryan, come lei, come Lucas, costretti a vivere allo stremo, costretti a lottare.

Feste, discoteche, viaggi in macchina, divertimento, svago, tutti vaghi ricordi di una troppo breve adolescenza.

Amalia aveva rischiato la vita per rubare quella borsa, convinta di trovarci delle provviste. Aveva rischiato la vita per del cibo che non aveva trovato. E adesso sembrava in procinto di prendersi a pugni da sola.

Rachel avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva assolutamente cosa. Intuì che la cosa migliore da fare, a quel punto, fosse semplicemente togliere il disturbo. Non avevano più motivo di restare lì. Cercò allora lo sguardo di Lucas, per dirglielo, ma quando si voltò non lo vide più accanto a lei. Si guardò intorno allarmata, poi lo vide inginocchiato accanto al tavolo, intendo a rovistare in mezzo al contenuto del borsone.

Sollevò un sopracciglio. «Lucas, che stai...»

«Dubito fortemente che gli Spazzini si siano dati tanto da fare per proteggere e cercare di recuperare un borsone pieno di merda inutile» la anticipò lui, continuando a frugare tra il cumulo di ferraglia. «Qui dentro c’è sicuramente qualcosa di prezioso.»

La corvina dischiuse le labbra. Lucas non sembrava minimamente preoccupato da quella situazione, anzi, non credeva di averlo mai visto così tranquillo. E ora che ci ripensava, aveva senso ciò che diceva. C’erano almeno dodici Spazzini a guardia di quella borsa. E quando li avevano sconfitti era apparsa Amalia, che l’aveva rubata sotto il loro naso. Si erano allontanati parecchio dal luogo in cui erano partiti, eppure gli Spazzini avevano comunque continuato a cercarli, uno li aveva perfino trovati. I conti tornavano.

E non passò molto prima che Lucas trovasse effettivamente qualcosa. Un foglio di carta, all’apparenza inutile, ma decisamente troppo fuori luogo in mezzo a tutta quella ferraglia. Lo afferrò e lo osservò per un breve attimo, dopodiché sollevò lo sguardo, verso Rachel. «Jackpot.»

Le porse il foglio. La ragazza lo afferrò e lo esaminò a sua volta, curiosa di sapere cosa potesse esserci sopra di tanto importante.

Una piantina. Una piantina del Dedalo, in bianco e nero. Sembrava stampata. Per un momento non notò nulla di interessante, fino a quando non si accorse di una zona cerchiata di rosso, probabilmente con un pennarello, a nord del distretto. Sollevò un sopracciglio. «Ma cosa...»

«Sembrerebbe una zona calda» osservò Red X, avvicinandosi a lei. «Magari ci custodiscono qualcosa di importante.»

«Per esempio... un magazzino?» chiese lei.

«Può essere. Non possiamo saperlo finché non andiamo a vedere.»

«Ma non è detto che ci sia del cibo...»

«Preferisci aspettare un altro mese per il prossimo sgancio?» interrogò Lucas, afferrando di nuovo la piantina. «È l’unica cosa che abbiamo, Rachel. Non mi va di morire di fame senza nemmeno andare a dare un’occhiata.» Incrociò le braccia e la guardò negli occhi. «Vieni con me? Altrimenti faccio da solo, non mi pongo certo dei problemi.»

Rachel fece una smorfia. Odiava quando era lui ad avere ragione. E odiava le domande retoriche. «Certo che vengo. Ti sembra una cosa da chiedere?»

Lucas le rivolse un sorrisetto. «Non saprei. Ultimamente mi sembri un po’ rammollita.»

La corvina fece per ribattere, ma fu interrotta da Amalia. «Posso vederlo anch’io?»

Komand’r sembrava essersi ripresa dal nulla di colpo. Probabilmente aveva sentito lo scambio di battute tra i due partner e aveva sbollito la rabbia. E anche Ryan sembrava più acceso e speranzoso di poco prima.

Red X la osservò stupito, poi sogghignò e le passò il foglio. «Cos’è questo tono calmo? Il ciclo t’è passato tutto ad un tratto?»

Amalia ringhiò, poi gli strappò il foglio di mano con un gesto furente. «Crepa.»

«Ops, è tornato» ribatté il ragazzo.

Rachel roteò gli occhi, mentre la mora lo ignorò direttamente, concentrandosi sul foglio. «Conosco questa zona» disse. «C’erano molti Spazzini che andavano e venivano da là, qualche giorno fa’.»

I due partner si scambiarono un’occhiata, poi Lucas annuì. «Jackpot.»

«Vengo con voi» asserì Amalia, alzando lo sguardo verso di loro.

«Sicura?» domandò il moro, inarcando un sopracciglio. «Se sono in tanti sarà pericoloso per te.»

«Non mi serve la babysitter» rispose lei con tono sicuro, restituendo il foglio. «So perfettamente badare a me stessa.»

Lucas corrucciò la fronte, poi scrollò le spalle e riafferrò la piantina. «Tsk. Come vuoi.»

«Vengo anch’io!» esclamò Ryan a quel punto.

«Scordatelo» ribatté Amalia, secca. «Tu resti qui, al sicuro.»

«Cosa?! Ma perché?!»

«Perché non è posto per te» proseguì lei. «Non sei ancora pronto per una cosa simile.»

«Ma...»

«Non discutere, Ryan. Ormai ho deciso.» Amalia liquidò la faccenda con un gesto della mano. Il ragazzino incassò la testa tra le spalle, contrariato e abbattuto. «Però non è giusto...» mugugnò.

«Sì, sì, lo so» ribatté Kom, con il classico tono esausto di chi doveva aver avuto quella discussione già un centinaio di volte. Si rivolse poi a Lucas e Rachel. «Datemi un minuto per prepararmi.» E detto quello uscì dalla cucina.

Furono dei secondi carichi di imbarazzo, per la corvina. Avere Ryan accanto a lei la turbava e non poco. Anche l’idea di andare in missione insieme ad Amalia non la faceva impazzire. Le somiglianze con Kori erano troppe, e rievocavano in lei centinaia di emozioni contrastanti. Inoltre, anche la precedente discussione tra i due fratelli l’aveva messa a disagio. Si sentiva come se avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Lucas invece non sembrava troppo preoccupato, visto che smanettava con il cellulare con grande enfasi.

«Mi tratta come un bambino...» sbottò il rosso, all’improvviso.

Rachel lo guardò. Non capì se lo aveva detto per rompere il ghiaccio con loro due o per sfogarsi. Un po’ le dispiaceva per lui, voleva solo aiutare la sorella, dopotutto. Le bastò solo uno sguardo per capire che non era la prima volta che Komand’r rifiutava il suo aiuto. Doveva essere parecchio frustrante per lui.

Avrebbe voluto dire qualcosa, ma Amalia rientrò proprio in quel momento, con un fucile a pompa tra le mani. «Fatto. Possiamo andare.»

«Wow...» commentò Lucas mettendo via il telefono, quando vide l’arma. «Sicura di saperlo usare?»

«Posso fare un po’ di pratica su di te, se vuoi» ribatté lei freddamente, caricando un colpo.

«Hai controllato se almeno quello è carico?»

«Scopriamolo insieme.» Amalia gli puntò il fucile. «Se premo il grilletto e la testa ti esplode come un’anguria vuol dire che è carico.»

«Prima però devi colpirmi.»

«Oh, non preoccuparti, non avrò problemi nel farlo.»

«La volete piantare?» sbottò Rachel, piazzandosi in mezzo a loro per calmare le acque. «Serbate i rancori per quando affronteremo gli Spazzini.»

«Ha cominciato lui!» protestò Amalia, abbassando l’arma.

«Non metterti a piangere adesso» borbottò ancora X, avviandosi verso l’uscita. «Andiamo.»

«Ma come diavolo fai a sopportarlo?» domandò Komi alla corvina, una volta che il ragazzo si fu sufficientemente allontanato.

Rachel sorrise senza nemmeno rendersene conto, guardando la porta da cui Lucas era uscito. «A volte me lo chiedo anch’io.»

 

***

 

«Mi ripetereste i vostri nomi?»

«Io sono Red X, lei è Corvina.»

Amalia inarcò un sopracciglio e guardo il ragazzo che camminava accanto a lei. «Sul serio?»

«Lui è Lucas, io sono Rachel» spiegò pazientemente la conduit. «Ma Lucas è fissato con i soprannomi...»

La ragazza mora osservò stranita i due partner. «Oh... ok...»

Ecco, ci ha presi per pazzi..., pensò Rachel, notando il suo sguardo.

«Non pensi... di essere stata un po’ troppo severa con Ryan?» domandò, cercando di cambiare argomento. «Insomma... voleva solo aiutarti...»

Komand’r fece una smorfia, riportando lo sguardo sulla strada. «Cerco solo di proteggerlo. Ho già perso troppo a causa dell’esplosione, non voglio che lui corra dei rischi inutili. Non potrei mai perdonarmelo. Lui è... l’unica cosa che mi è rimasta.»

Rachel percepì una fitta allo stomaco udendo quelle parole. Provò molta empatia verso di Amalia. Per l’ennesima volta avrebbe voluto uccidere colui che era stato la causa dell’esplosione e di tutto il male generato da essa.

Procedettero dunque in silenzio per un altro centinaio di metri.

Era pomeriggio inoltrato, probabilmente le cinque, lo si evinceva dal cielo che da azzurro e limpido aveva cominciato a striarsi di arancione. Erano ancora in inverno, le giornate erano corte. Era chiaro che avrebbero finito di svolgere il loro lavoro solamente verso la sera.

Quella zona era della periferia era particolarmente tranquilla. Non c’erano automobili, né pedoni intenti a passeggiare. La strada era occupata solamente da loro tre.

Era strano per Rachel. Ma forse era semplicemente troppo abituata a vivere nel Neon, dove, bene o male, qualcuno in giro c’era sempre. Da quando lei e Lucas avevano cominciato ad eliminare i Mietitori per trovare Richard, buona parte di Empire si era spostata nel Neon, che era diventato il distretto più sicuro e popolato tra tutti.

Il Dedalo era quasi disabitato, a causa delle pessime condizioni di vita e degli Spazzini. Nonostante fosse la sede del carcere di Empire, e dunque della più massiccia forza di polizia rimasta, era il distretto con il più alto tasso di criminalità.

Il Centro Storico, invece... era un’altra storia.

Rachel sospirò. Non doveva pensare troppo a quelle cose, o avrebbe finito con il rievocare brutti ricordi che spesso sperava di dimenticare. Doveva solo concentrarsi su quello che dovevano fare in quel momento.

«Potresti togliermi una curiosità?» le domandò all’improvviso Amalia.

«Certo, dimmi.»

«Hai detto di andare a scuola con Kori, e ora che ci penso lei mi aveva parlato di qualche sua amica...» cominciò Komand’r, con voce calma. Troppo calma. La corvina cominciò a sentirsi a disagio, e quando Amalia spostò il suo sguardo glaciale su di lei, rabbrividì. «... ma allora tu dov’eri il giorno dell’esplosione?»

La conduit sentì il proprio corpo irrigidirsi a tal punto da trasformarsi in un palo. Distolse lo sguardo da lei, esitò. «Ecco... io...»

Amalia si parò davanti a lei, costringendola a fermarsi, la sua espressione dura non mutò minimamente. «E, inoltre, non mi aveva mai parlato di conoscere qualcuno con poteri sovrannaturali come i tuoi.»

«Beh...»

«Tu eri là. L’esplosione avrebbe dovuto ucciderti. Come hai fatto a sopravvivere? Che cosa sei tu?!» Il fucile nero e lucido tra le mani di Amalia sembrò improvvisamente dieci volte più pericoloso, il suo tono di voce mutò improvvisamente. «Parla!»

«Io non lo so!» esclamò alla fine Rachel, con il cuore che martellava nel petto. «Non... lo so...»

Sospirò. Sollevò entrambe le mani, mostrandole ad Amalia. «So bene che l’esplosione avrebbe dovuto uccidermi, ma... non è successo. L’unica cosa che è cambiata è che...» Si concentrò, entrambe le mani si illuminarono di nero, di fronte alla mora, che schiuse le labbra. «... ora posso fare questo. Io... non chiedermi i dettagli, perché non ti saprei rispondere. Nessuno sa rispondere. È successo... e non posso fare nulla per cambiarlo. L’unica cosa che posso fare, è sfruttare questo... dono... per cercare di cambiare le cose. In meglio, si spera.»

Le due ragazze si guardarono negli occhi. Rachel notò che dopo le sue parole, l’espressione di Amalia era mutata, ora non c’era più rabbia nel suo sguardo, solamente una profonda tristezza.

«Scusa...» mormorò Komand’r, distogliendo lo sguardo abbattuta. «Sono... esplosa di nuovo... n-non volevo, è solo che... che...»

«Credevi che se io ero sopravvissuta, allora forse lo era anche Kori, giusto?»

Amalia annuì lentamente, chinando la testa. «Mi... mi manca così tanto...»

Rachel le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. «Non preoccuparti. Ti capisco. Lei era... era anche mia...»

Esitò. Ripensò al suo rapporto con Koriand’r. Amica. Non era proprio la parola migliore con cui l’avrebbe mai potuta definire, visto quello che era successo tra lei e Richard.

Però... Kori era sempre stata gentile con lei. Nonostante tutto, la invitava sempre a pranzo al suo tavolo, le chiedeva di studiare insieme, le chiedeva di accompagnarla a fare shopping. Cose che di solito fanno le amiche. E per quanto Rachel si era sempre sforzata di rifiutare i suoi inviti, la rossa non si era mai arresa. Era sempre stata convinta che la corvina le avrebbe dato una possibilità, forse aveva addirittura pensato che gliel’avesse già data, in passato.

Forse Rachel non aveva mai visto Kori come un’amica, ma di sicuro Stella lo aveva fatto con lei. E ora che ci ripensava, forse non si sarebbe mai fidanzata con Richard, se avesse saputo che Rachel ne avrebbe sofferto. Per l’ennesima volta in quelle settimane, la corvina si sentì la ragazza più stupida di quell’universo.

Kori era una brava ragazza, non aveva mai agito per farla soffrire, mai. Corvina annuì impercettibilmente, poi concluse la frase: «Era anche mia amica.»

Amalia si pizzicò un labbro, con gli occhi bassi. «Sì, giusto. Scusa ancora.»

«Tranquilla. Le volevi bene, d’altronde, sei più che giustificata.» Rachel sorrise. «Sei una brava sorella.»

«No, invece...» Komand’r scosse la testa. «Non lo sono affatto.»

Rachel inarcò un sopracciglio. Fece per parlare di nuovo, ma Amalia riprese a camminare. «Dai, sbrighiamoci. Il tuo amico se n’è già andato...»

Aveva ragione, Lucas era già a centinaia di metri di distanza da loro. Corvina fece una smorfia, a volte detestava proprio il suo comportamento strafottente. Senza dire altro ripresero a camminare.

 

***

 

Rachel aveva sempre pensato che il Neon fosse ridotto male, ma dopo aver visto il Dedalo con i propri occhi, dopo aver attraversato strade deserte, vicoli angusti, ammirato in tutto il loro splendore edifici decadenti e grattacieli così malridotti che sembravano stessero per crollare da un momento all’altro, aveva cominciato a ricredersi. Non riusciva davvero a credere che solamente un ponte dividesse il suo distretto da quello completamente diverso in cui era cresciuto Lucas.

Ed era anche molto probabile che non l’avrebbe mai visitato, se solo non fosse stata costretta. Nel Neon non avevano più trovato alcuna traccia di Richard, nonostante lo avessero perlustrato da cima a fondo, così avevano dovuto spostare le ricerche nel Dedalo. E poi era successo tutto quello che li aveva portati fino a lì.

Dopo quella che parve un’eternità, finalmente arrivarono al luogo indicato dalla piantina, a nord.

«Ok, dovrebbe essere...» Lucas si interruppe di colpo. Per poco la piantina gli cadde di mano. «... oh, cazzo...»

Rachel non credette ai propri occhi. Di fronte a loro, nel luogo segnato dalla mappa, una torre altissima, costruita con quelli che sembravano enormi ammassi di rifiuti e rottami si ergeva alta nel cielo. Attorno ad essa era innalzata un’ enorme muraglia realizzata con telai, lamiere, ferraglia e altra immondizia. Sembrava una fortezza di spazzatura e ruggine. Doveva occupare almeno metà della zona nord del Dedalo. Per accedervi occorreva salire una lunga rampa di scale, che dalla strada portava a quello che probabilmente un tempo era un cavalcavia.

«È qui» confermò Amalia, l’unica per nulla impressionata. «Gli Spazzini agivano qui, qualche giorno fa’.»

«Mio Dio...» sussurrò Lucas, avvicinandosi con sguardo vitreo. «Prima della quarantena qui c’era un parco! Da dove accidenti salta fuori tutto questo? Che diavolo è?!»

«Se non sbaglio è una baraccopoli, anche se non ho idea di cosa se ne facciano di quella torre. L’hanno costruita gli Spazzini, credo... forse questa era la loro base.» Amalia scrollò le spalle. «A chi importa?»

«A noi. Se ci fosse un esercito che ci aspetta?»

«Se hai fifa puoi sempre tornare indietro, Rosso.» Komand’r cominciò a salire le scale. «Ma io non tornerò a casa a mani vuote. E comunque, sembra tutto deserto.»

Lucas guardò Rachel, perplesso. Ma se si aspettava che lei dicesse qualcosa, allora aveva preso un granchio. La corvina era rimasta ammaliata da quell’enorme baraccopoli sospesa sopra la strada. Non aveva più dubbi, gli Spazzini avevano cominciato a costruirla sopra il cavalcavia, per poi espandersi fino a ricoprire almeno due o tre quartieri. Non riusciva a credere ai propri occhi, quando vedeva delle macchine e dei pedoni passarci accanto come se quella fortezza non esistesse.

Ma la domanda che più la preoccupava era un’altra. Come avevano fatto gli Spazzini a costruirla in appena qualche mese di quarantena? Dubitava che fosse perché erano dei muratori prodigiosi. C’era sotto qualcosa. Qualcosa di brutto.

Tuttavia, la zona sembrava deserta. E la curiosità di sapere chissà quali tesori gli Spazzini potessero averci portato era alta. Perciò, non le restò altro che seguire Amalia, la quale era già a metà della scala. Fece un cenno ad X, il quale probabilmente aveva pensato le stesse cose, perché non ebbe nulla da discutere.

In cima li attendeva una grossa parete di un telaio di alluminio; alla base di questa, si trovava un grosso arco che permetteva l’accesso alla struttura. Non appena furono dentro, Rachel poté constatare che la grossa muraglia che circondava la baraccopoli, come la baraccopoli stessa, era davvero realizzata con scarti di ogni tipo. Pezzi di case, di automobili, perfino quelli che avevano l’aria di essere dei componenti di aeroplani.

Una piccola piazza di cemento con attorno un prato d’erba ingiallita e alcuni lampioni spenti li accolse. Probabilmente un resto del parco che era stato sacrificato.

I tre ragazzi proseguirono, continuando a guardarsi intorno meravigliati. Perfino Amalia ora sembrava impressionata.

Scesero lungo un marciapiede di mattoni, allontanandosi dal piccolo parco per arrivare dentro la baraccopoli vera e propria. Un ammasso di casupole realizzate proprio come tutto il resto, che non sembrava avere fine. Un enorme labirinto di scarti, simile ad una favelas, con rifiuti di ogni genere sparpagliati un po’ ovunque.

Procedettero nelle viscere di tale luogo, in silenzio, per diversi minuti. Alla fine, fu Rosso a rompere il silenzio: «Mh... trovare qualcosa qui non sarà molto...»

«INTRUSI!»

Lucas sobbalzò, interrompendo la propria frase. Amalia e Rachel si guardarono intorno, allarmate. «Che diavolo è stato?!»

La terra tremò improvvisamente, colpita da un forte scossone. Poi tremò ancora, colpita da un altro. Poi un altro. E poi ancora uno.

«Che cos’è, un terremoto?!» domandò Lucas, faticando a restare in piedi.

«Io non...» Rachel si interruppe di colpo, restando a bocca spalancata. Da una delle numerose vie di fronte a loro, sbucò fuori la causa di quegli scossoni.





Non so neanch'io come sia possibile. Sono riuscito a scrivere un capitolo in appena un pomeriggio e mezzo, tra una puntata di Shameless e Breaking Bad e l'altra. Spero sinceramente di continuare di questo passo, ma ne dubito... in ogni caso, spero che vi sia piaciuto.

Ci tengo a precisare che la baraccopoli di cui si parla qua sopra esiste davvero nel videogioco, e mi rendo conto che descritta a parole non rende molto bene.  

Purtroppo non ho trovato immagini a riguardo, sono riuscito a trovare però video in cui viene mostrata la missione riguardante tale baraccopoli. Il link è qui, per quanto ve ne possa fregare, naturalmente. 

inFamous - La Baraccopoli

Voglio fare subito un ringraziamento, così, di botto, perché sì. Ringrazio Carlotta e Corvina per aver recensito il primo capitolo. So già che non raccoglierò tutto questo gran successo con questa storia, perciò ogni recensione, anche quelle più brevi, saranno tenute in grande considerazione. Grazie!

Al prossimo capitolo! (data da destinarsi)

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Capitolo 3
*** Scontro nella baraccopoli ***


Capitolo 3: SCONTRO NELLA BARACCOPOLI

 

 

«Oh-oh...» sussurrò X quando la vide.

Amalia deglutì rumorosamente ed aumentò la presa attorno al fucile.

Un gigantesco robot era sbucato fuori dall’ammasso di baracche. Era alto almeno tre metri. Il busto rotondo, parte delle gambe e delle braccia erano formati da pezzi di ferraglia e non aveva la testa. L’intero corpo era attraversato da un’abbagliante luce gialla, che filtrava tra le placche dell’armatura di rottami.

«INTRUSI! VI PENTIRETE DI ESSERE ENTRATI QUI!»

Un esercito di creature comparve ai suoi piedi. Erano molto simili a lui, erano formati da pezzi di metallo e da quella strana luce, ma a differenza del golem erano un ibrido tra un granchio ed uno scorpione, ed erano poco più grossi di un cane di media taglia.

«Che... che cazzo è quel coso?!» domandò Lucas, interdetto. «Come diavolo fa a parlare?!»

Rachel non rispose. Non credeva alla loro sfortuna. Erano appena entrati, e si erano già ritrovati addosso il comitato di benvenuto. Rimase in silenzio, ed osservò meglio quel bagliore giallo di cui le macchine di fronte a loro erano costituite. Si arrovellò per cercare di capire che cosa diavolo avesse di fronte a sé.

Sembrava proprio quella luce a tenere uniti gli arti dei robot al busto. Senza di essa, infatti, gambe e braccia avrebbero fluttuato letteralmente nell’aria. Era una specie di collante, eppure non era assolutamente solida. Ma allora...

«Energia telecinetica...» sussurrò, quasi incredula.

«Cosa diavolo c’entra la telecinesi adesso?!»

«SCARTIGRANCHI!» tuonò ancora il golem con la sua possente voce metallica. Puntò l’indice contro i tre ragazzi. «ATTACCATE!»

Gli automi ai suoi piedi scattarono in avanti non appena finì di ordinarlo. Erano piccoli e avevano minuscole zampe, ma si muovevano comunque parecchio rapidamente.

In un lampo furono addosso ai ragazzi. Rachel serrò la mascella e scagliò alcuni raggi di energia, abbattendone alcuni, ma diversi di loro schivarono l’attacco.

Diversi boati risuonarono accanto a lei. Era Amalia che aveva aperto il fuoco su di loro. Anche Lucas aveva estratto la sua arma bianca e si era lanciato nella mischia, colpendoli uno dietro l’altro, sbattendoli via come pupazzi di pezza.

I piccoletti non sembravano affatto un problema. Era il gigantesco golem di fronte a loro quello che preoccupava Rachel.

La conduit decise di lasciare i granchi ai suoi compagni. Qualunque cosa fosse quell’enorme automa di fronte a lei, era sicuramente opera di un conduit, pertanto se ne sarebbe occupata lei. Calò il cappuccio della felpa sulla testa, distese le braccia e si concentrò profondamente. Percepì l’energia oscura fuoriuscire dal suo corpo e avvolgerla come una coperta. In poco tempo assunse la sua forma da rapace oscuro e partì all’attacco.

Il robot la vide avvicinarsi ed esplose in un urlo di battaglia, dopodiché afferrò un rottame di automobile da terra e glielo scagliò addosso.

Rachel lo schivò con un avvitamento, dopodiché rispose al fuoco sferrando i suoi attacchi di energia nera. I raggi colpirono il golem sul petto. L’energia telecinetica sfarfallò un paio di volte, ma il colosso resse bene i colpi.

Devo colpirlo più forte, osservò la ragazza, avvicinandosi ulteriormente e seppellendolo con un’ondata di raggi neri.

L’automa ululò di rabbia e sollevò una grossa mano verso di lei. Dalla punta delle dita si generò una raffica di pezzetti di ferraglia simile alla scarica di una mitragliatrice.

Il rapace nero deviò traiettoria per non farsi colpire, ma non cessò di sparare a sua volta.

Cominciò una battaglia terra-aria. Il golem cercava di colpire Rachel con tutto quello che trovava per terra, con le sue raffiche di scarti o con palle di fuoco generate chissà come, mentre la conduit lo bombardava con i suoi molteplici attacchi.

Mano a mano che i raggi neri si infrangevano sull’automa, la luce gialla che teneva unito il suo corpo sfarfallava e cambiava colore, segno che, forse, si stava indebolendo. All’inizio era gialla sfavillante, ora era quasi arancione. Il problema era che, tra il volare e l’attaccare, le energie di Rachel stavano cominciando ad esaurirsi, mentre il suo avversario, nonostante tutti i colpi subiti, sembrava essere ancora perfettamente in grado di combattere.

Corvina tentò di avvicinarsi, per cercare eventualmente un suo punto debole, ma l’unica cosa che vide fu l’ennesimo ammasso di ferraglia che si dirigeva verso di lei. Lo evitò e colpì ancora l’automa. La luce dapprima gialla, poi arancione, ora si fece rossa. Rachel lo notò, e nascosta nel suo aspetto di volatile, sorrise.

Forse ci siam...

La distrazione le costò cara. Un’altra raffica di mitragliatrice sfuggì alla sua vista, e le colpì la sua coda. Rachel gridò. Di solito il corpo da rapace era immune agli attacchi delle persone, o comunque li incassava parecchio bene. Rachel lo aveva scoperto quasi per caso, quando, in uno scontro con dei Mietitori, era stata colpita da un’arma da fuoco senza subire nessun danno. Ogni volta che si trasformava, la ragazza si credeva in una botte di ferro, anche se più veniva colpita, più le sue forze diminuivano. E spesso e volentieri alla fine di un combattimento si era ritrovata con molti più tagli e ferite di quante ne immaginasse.

Quella volta tuttavia la sua armatura di oscurità non riuscì a proteggerla. Forse perché era stata colpita troppo forte, o magari perché era stato proprio un altro conduit a farlo. Perse la concentrazione, complice anche la stanchezza, e si ritrovò a precipitare. Non stava volando parecchio in alto, ma l’impatto fu ugualmente doloroso. Per sua fortuna non precipitò sul suolo, ma sul tetto di una baracca che non si sfondò per miracolo.

Tossì, udì la terra tremare e la voce tonante esplodere di nuovo: «ORA PAGHERAI!»

Gemette, cercò di rimettersi in piedi. Si voltò e vide l’automa avvicinarsi minaccioso alla catapecchia, sollevando altri enormi detriti con le proprie mani. La corvina attinse alle proprie energie rimase e fece per generare uno scudo con cui proteggersi, ma un’altra esplosione si sollevò in aria e qualcosa impattò contro la corazza del golem.

«UH?»

Rachel si voltò e vide Amalia ed X avvicinarsi a loro, la prima con il fucile alzato, il secondo con in mano le proprie lame esplosive. Raramente la conduit lo aveva visto usarle, il che significava che la situazione era molto più grave del previsto.

Poi notò la cosa peggiore. La luce del golem era di nuovo diventata arancione. Stava recuperando le forze.

Cazzo!

Il lato positivo era che dei granchi di poco prima non restava più alcuna traccia. Ma restava il più pericoloso.

Il grosso conduit gridò e scagliò le proprie munizioni contro i suoi nuovi bersagli, che dovettero scattare di lato per evitarli. Amalia rotolò a terra e con molta maestria si rimise in ginocchio, continuando a sparare con il fucile. Non sbagliava un colpo, ogni rosata centrava perfettamente il busto dell’automa.

Lucas scagliò alcune lame, che si conficcarono sulla spalla del golem, proprio vicino al punto in cui la telecinesi teneva unito il braccio al busto. Gli esplosivi detonarono e il risultato fu sorprendente. Il braccio si staccò dal corpo, crollando a terra con un boato.

Il conduit ululò di rabbia, bloccando per un breve attimo la sua offensiva.

«Sì! Beccati questo!» esclamò Lucas, per poi voltarsi verso di Amalia. «Hai visto, bellezza? Impara dal sottoscritto!»

«Idiota, non esaltarti!» replicò la mora, continuando a sparare. «Non è ancora finita!»

«Tutta invidia!»

L’automa sparò altre raffiche di metallo con l’unica mano che gli era rimasta, ma ormai Rachel aveva capito il trucco. Era la telecinesi il punto debole che stava cercando. Il robot si teneva in piedi grazie ad essa, di conseguenza bastava eliminarla per eliminare anche lui.

La ragazza annuì a se stessa, poi guardò le proprie mani. Un’idea malsana le attraversò la mente. Sorrise. Aveva male dappertutto, ma se volevano uscire vivi da quella baraccopoli doveva stringere i denti. Lucas e Amalia non lo avrebbero mai potuto farcela da soli. Il golem non dava loro più un attimo di tregua, era chiaro che sotto quell’enorme offensiva celava una strategia difensiva atta a non farsi più colpire.

Rachel trattenne il fiato, prese la rincorsa e saltò giù dal tetto, per poi trasformarsi in rapace.

L’automa riuscì quasi a colpire Amalia, che era stata costretta ad abbassare la guardia per ricaricare. Fu Lucas a salvarla, gettandosi su di lei e facendole evitare una raffica di proiettili. Entrambi si ritrovarono a terra, con il golem torreggiante su di loro.

«ADESSO DITE LE VOSTRE ULTIME...»

Non terminò la frase. Rachel piombò su di lui, tornando in forma umana ed aggrappandosi ad una delle scaglie di metallo della sua schiena. Gridò. La placca era caldissima, sicuramente si ustionò le mani. Era per via dell’energia telecinetica, emanava un calore immenso. La corvina sentì la propria faccia sciogliersi.

Ma non si sarebbe arresa così. Si concentrò profondamente e sentì ancora una volta l’energia nera liberarsi fuori dal proprio corpo. Questa volta però fece qualcosa di totalmente nuovo.

«CHE STAI FACENDO?! SCENDI SUBITO!» Il golem percepì che qualcosa di anomalo stava accadendo alle sue spalle e dimenò il suo unico braccio per cercare di staccarsi la ragazza di dosso.

Tuttavia era tardi. Rachel gridò e liberò l’energia che ancora possedeva, concentrandosi affinché entrasse tutta nel corpo del robot. La placca metallica a cui era aggrappata funse da tramite tra lei e l’automa. La luce nera si insinuò nel corpo del conduit, liberandosi in tutte le direzioni. Il golem urlò per la sorpresa.

L’energia telecinetica cominciò poco per volta ad essere rimpiazzata da quella nera della giovane, fino a quando il bagliore arancione non svanì del tutto, sostituito da quello oscuro della conduit.

«NO! NOOO!!!»

L’ululato del golem svanì poco dopo, offuscato dall’esplosione che si susseguì. Pezzi di metallo e lamiere volarono da tutte le parti. Rachel sentì il mondo attorcigliarsi su sé stesso. Precipitò a terra. Un male lancinante le azzannò la schiena.

Per un attimo pensò di essere morta, poi si ricordò che i morti non potevano provare più il dolore.

Le orecchie le fischiavano, il sapore metallico del sangue toccò il suo palato. Sentiva la testa leggera, come se stesse fluttuando per aria.

Stava da schifo. Ma sicuramente meglio del golem. O di qualsiasi cosa restasse di lui.

«Rachel!» Qualcuno la chiamò. Si sorprese parecchio di riuscire ancora a sentirci qualcosa. Lucas apparve nel suo campo visivo, accovacciato vicino a lei. Sembrava preoccupato. «Stai bene?»

La aiutò a sedersi. La ragazza fece una smorfia per ogni millimetro mosso.

«Certo che sta bene, guarda!» si intromise Amalia, sarcastica, arrivando in quel momento. «È il ritratto della salute, non vedi?»

Normalmente Lucas avrebbe risposto a tono, ma quella volta no. Non la considerò nemmeno, comportamento che sorprese parecchio Rachel. Doveva essere davvero preoccupato per lei, dato che non sembrava voler toglierle gli occhi di dosso.

«T-Tranquillo...» disse, trovando chissà dove la forza di parlare. «Lasciami... qualche minuto... per recuperare un po’ di forze... poi mi curerò da sola...»

Il ragazzo sembrò tranquillizzarsi. «Ok... ehi, ricordi quando ti ho detto che ti eri rammollita?»

Rachel annuì lentamente con la testa. Lucas sorrise. «Mi rimangio tutto. Sei stata fantastica.»

Anche la ragazza sorrise. Avrebbe voluto rispondere, ma le parole le morirono in gola dopo l’ennesima fitta di dolore. Lucas si avvicinò a lei e le prese il braccio, avvolgendoselo attorno al collo. «Forza, ti aiuto ad alzarti.»

Con molta fatica ed aggrappandosi all’amico, Rachel si rimise in piedi. Incrociò per caso anche lo sguardo di Amalia. La mora le sorrise, poi sollevò il pollice. La conduit ricambiò il sorriso anche a lei e le rivolse un cenno d’intesa con il capo.

Né Amalia né Lucas sembravano feriti. Non troppo, almeno. Meglio per Rachel, almeno non avrebbe dovuto sprecare ulteriori energie per curare anche loro. Non credeva che ce l’avrebbe fatta.

Diversi rumori di metallo provenienti dai resti del golem li fecero voltare tutti quanti di scatto, facendoli trasalire.

«No, non di nuovo...» sussurrò Amalia.

Anche Rachel temette il peggio. Se quell’automa si fosse riformato, per loro sarebbe stata la fine.

Non accadde. Da sotto il cumulo sbucò fuori un uomo vestito con abiti verdi rovinati: uno Spazzino. Si levò i detriti di dosso, che caddero sopra gli altri producendo quei tintinnii metallici che poco prima avevano preoccupato i ragazzi.

Tossì, poi si rimise in piedi, barcollando. Si voltò verso di loro, mostrando una quantità industriale di ferite e tagli. Il volto era rovinato, sporco e ricoperto da una folta barba incolta, grigia come i capelli. Digrignò i denti giallognoli, poi indicò i tre ragazzi. «Maledetti! Pagherete per ciò che avete fatto! Costruirò una tonnellata di scartigranchi e vi farò sbranare da loro!»

Urlò di rabbia e spalancò entrambe le braccia. «Anzi, raccoglierò una marea di detriti e vi seppellirò vivi!»

Chiuse gli occhi e piegò la testa, rimanendo immobile. Nessun detrito si spostò di un centimetro.

Lucas, Amalia e Rachel si guardarono tra loro perplessi. «Quel tizio era nel robot?» domandò il ragazzo, inarcando un sopracciglio.

«Boh, forse» rispose Rachel, altrettanto confusa.

Nel frattempo, lo Spazzino sembrò accorgersi che qualcosa non stava funzionando. Riaprì gli occhi e si guardò intorno, sorpreso. «Ma che diavolo? Perché non succede niente?! Ha sempre funzionato!» Richiuse gli occhi e distese di nuovo le braccia. Nulla accadde. «Che sta succedendo?! La telecinesi non funziona più!» urlò, frustrato. «Com’è possibile?!»

«Vuoi una mano per caso?»

Lo Spazzino si voltò di nuovo verso i ragazzi. Lucas sogghignò. «C’è qualche problema?»

Il criminale impallidì. «Ehm...» Intuendo che forse combattere era fuori discussione, si voltò e cominciò a scappare con la coda tra le gambe.

«Oh no, tu non vai da nessuna parte.» Amalia tirò fuori una pistola dalla tasca interna del cappotto e gli sparò, colpendolo ad una gamba. L’uomo cadde a terra, ululando di dolore ed imprecando come uno scaricatore di porto.

Lucas fischiò ammirato. «Wow. Bella mira.»

Komand’r soffiò via il fumo dalla canna, poi rinfoderò la pistola, sfoggiando un sorriso altezzoso. «Hai visto che era carica?»

«Tsk. L’avrai caricata prima di venire qui.»

«Ti piacerebbe.»

«Ragazzi...» mugugnò Rachel, sospirando esausta.

«Che c’è? » replicarono in coro.

La corvina indicò lo Spazzino, che ora si era messo a strisciare per allontanarsi. «Il tizio sta ancora cercando di scappare.»

«Non credo proprio» ribatté Lucas.

I tre ragazzi raggiunsero l’uomo, con Rachel che venne aiutata nei movimenti dal partner. Arrivarono a pochi passi da lui, poi Amalia sollevò il fucile e alzò la voce. «Un altro millimetro e sei morto.»

Lo Spazzino sussultò, poi si voltò verso di loro, restando sdraiato sulla schiena. Deglutì rumorosamente, poi sollevò entrambe le mani. «Cosa diavolo mi avete fatto?! P-Perché i miei poteri non funzionano più?!»

«Noi non abbiamo fatto un bel niente ai tuoi poteri. Siamo qui per questo.» Lucas gli mostrò il foglio di carta con la piantina del Dedalo, che fino ad allora aveva tenuto in tasca. «Vedi, le cose sono due: o ci dai tutte le tue provviste, oppure di gonfiamo di cazzotti. Scegli tu.»

Lo Spazzino sgranò gli occhi. «Chi diavolo siete?! Sbirri? Primogeniti? Altri Mietitori?! Lo volete capire che qui non c’è più niente?!»

«Che cosa?!» domandò Lucas, incredulo. Anche Rachel e Amalia sussultarono.

Il vecchio digrignò i denti, mettendosi a sedere. «Siete arrivati tardi. Gli Spazzini si sono spostati alla zona di import/export dei container del Dedalo. Hanno portato via tutto quello che c’era, anche le cose più inutili, e quella piantina serviva ai più dementi per ricordarsi dove andare a prendere la roba. Questa base è abbandonata da quando il nostro capo Alden è morto... non è vissuto molto a lungo, quel vecchio bastardo... Comunque, io sono l’unico che non ha voluto andarsene, anche per impedire a parassiti come voi di venire a saccheggiare questo posto che avevamo costruito con tanta fatica. Poi, due giorni fa’...»

Lo Spazzino strinse i pugni, soffiando furibondo dal naso. «Un gruppo di quei cazzoni di Mietitori vestiti di bianco ha fatto irruzione e rubato quel poco che era rimasto. Ho cercato di difendermi, ma erano in cinque contro uno... ho dovuto fingermi morto per salvarmi la pelle. Qui non c’è più niente. Questo posto è stato prosciugato fino all’osso.» Sorrise beffardo. «Perciò mi dispiace, avete fatto un buco nell’acqua.»

Mietitori... vestiti di bianco?, si domandò Rachel, mettendo insieme i pezzi.

«Vuoi dirmi che non c’è niente in nessuna di queste baracche?!»

L’uomo si cacciò un dito nell’orecchio, abbandonando l’aria intimorita di poco prima. «Setacciate pure tutta la baraccopoli, se siete così idioti da non credermi. Non troverete un accidente.»

«E allora perché ti sei dato tutto quel da fare per ucciderci?»

«Perché mi sta in culo il fatto che dei mocciosi irrispettosi mettano piede in casa mia! Proprietà privata, hai presente, no?»

Red X serrò la mascella e strinse i pugni. Fece per replicare, ma Rachel lo anticipò: «Dove sono andati?»

«Chi?» domandò lo spazzino, spostando pigramente lo sguardo su di lei.

«I Mietitori vestiti di bianco. Dove sono andati?»

«Ma che ne so...» sbottò lo Spazzino, ripulendosi il mignolo ingiallito sulla canotta. «Probabilmente se ne sono ritornati alla loro base nel Jefferson Tunnel...»

«Il Jefferson Tunnel? Ma non era crollato?»

«Sì, ma non del tutto. I Mietitori sono sempre rintanati la sotto, in attesa che quella merda del loro capo ordini loro cosa fare...» Un sorriso sadico si dipinse sul volto del vecchio. «Poveri fessi, non possiedono nemmeno una loro volontà... almeno noi Spazzini abbiamo...»

Rachel smise di ascoltarlo. Tutto quello le sembrò un’enorme presa in giro. Non poteva crederci. Lei ed X avevano setacciato ogni millimetro del Neon, senza trovare uno straccio di indizio. E ora saltava fuori che l’unico luogo che non avevano controllato, perché credevano fosse completamente inagibile, era quello che stavano cercando. Il Jefferson Tunnel, dato per distrutto dopo una potente scossa sismica generata dall’esplosione.

Strinse i pugni. Non poteva crederci. E quello Spazzino glielo aveva rivelato come se fosse la cosa più ovvia e banale del mondo.

Tutte quelle settimane passate a combattere, a sperare di poter rivedere Richard in tempo, prima che anche lui fosse completamente soggiogato dai poter del suo capo... e gli Spazzini avrebbero potuto dire loro dove andare fin da subito. La ragazza sentì l’impulso irrefrenabile di colpire quell’uomo vestito di verde di fronte a lei con tutta la forza che aveva. Colpirlo ripetutamente, senza dargli un attimo di tregua. Colpirlo fino a quando non sarebbe più riuscito ad alzarsi. Poi realizzò che non era più lei a pensare quello, ma erano i suoi poteri, che per la prima volta dopo tanti giorni stavano cercando di soggiogarla.

Chiuse gli occhi, inspirò profondamente, poi espirò, cercando di tranquillizzarsi. Uccidere quello Spazzino non avrebbe risolto assolutamente nulla. Aveva altro da fare. Perfino la fame non la preoccupò più. Doveva agire, e alla svelta.

«Rachel...» Red X le posò una mano sulla spalla, facendola voltare verso di lui. «... pensi che forse...»

Non ebbe bisogno di finire la frase. La ragazza lo guardò con determinazione, poi annuì. «Sì.»

«Allora non ci resta che andare» osservò Lucas.

«Ehm... mi sono persa qualcosa?» chiese Amalia, che per un attimo era rimasta in disparte.

«Storia lunga...» sbottò X, massaggiandosi le palpebre esausto. «Dai, andiamocene da qui... questo posto puzza.»

«Aspetta, e le provviste?» domandò ancora la mora, sorpresa.

«Quel tipo dice che non ce ne sono... e io non ne ho voglia di giocare alla caccia al tesoro.»

«Ma...»

«Se vuoi restare fa’ pure, noi ce ne andiamo.»

Lucas e Rachel cominciarono ad allontanarsi, sotto gli sguardi interdetti della mora e dello Spazzino. «Quindi... mi lasciate andare?» chiese ancora l’uomo, sorpreso. «Sul serio?»

«Sul serio?!» fece eco Amalia. «Ha cercato di ucciderci!»

I due partner non risposero nemmeno. Passarono accanto all’uomo e tirarono dritti. Con quel posto e quel criminale avevano chiuso. Rachel tuttavia riuscì a sentire ancora una parola uscire dalla bocca di quell’individuo. Un flebile "grazie", che a malapena fu udito dalla corvina. In quel momento non poteva dirlo con certezza, ma sembrava quasi sincero.

Lucas aiutò Corvina a camminare senza dire neanche una parola, così fece lei. Giunsero in prossimità del parco, all’uscita. Procedettero in silenzio, fino a quando una voce giunse alle loro spalle: «Però non è giusto!»

Si voltarono. Amalia stava camminando verso di loro a grandi falcate, con un’espressione molto eloquente stampata in faccia. «Ho sprecato un mucchio di munizioni in questo cesso di posto e non ho ottenuto un bel niente! Non posso tornare per l’ennesima volta da Ryan a mani vuote! Vaffanculo! Cazzo!»

Lucas roteò gli occhi e si girò di nuovo, continuando ad aiutare Rachel a camminare.

Fu così che abbandonarono quel luogo al calar della sera: con i due partner stretti l’una nell’altro, immersi nel silenzio, con alle spalle la ben più chiassosa Komand’r, che non smise di lamentarsi della sua sfortuna per almeno altri dieci minuti abbondanti.







Ben ritrovati al mio angolo. 

Oggi parleremo degli Spazzini. Nati sotto il comando di un unico individuo, tale Alden, gli Spazzini sono la banda di criminali che controlla il Dedalo. 

Prima dell'esplosione erano tossici, barboni, nulla tenenti, i classici abitanti del Dedalo, insomma. A differenza dei Mietitori, gli Spazzini sanno quello che fanno, non sono sotto il controllo mentale di nessuno. 

Alden ha deciso di crearli per poi, un giorno, farla pagare all'uomo che ha rubato la sua eredità. I conduit degli Spazzini sanno usare la telecinesi e con essa sanno costruire golem come quello descritto nel capitolo oppure dei bizzarri granchi chiamati "scrap crab", che io ho italianizzato in "scartigranchi." Trovate immagini a riguardo su Google, se vi interessa. I granchi sono dotati di capacità motorie proprie, mentre i golem, per camminare, necessitano di un Conduit al loro interno.

La stessa baraccopoli è opera loro e dei loro poteri. Alden è quello che meglio di tutti sa padroneggiarli, e lo dimostra nel videogioco costruendo un golem grosso almeno il triplo rispetto a quelli normali.

Ok, ho finito con le spiegazioni. Probabile che non ve ne fregasse, nulla. Volevo solo che voi sapeste queste cose, per rendervi più partecipi e magari per chiarire eventuali dubbi che potessero esservi sorti durante la lettura.

Fatemi sapere le vostre opinioni sul capitolo, io ho paura di aver descritto il susseguirsi gli eventi in maniera troppo veloce.

Bene, torno alle mie mansioni, alla prossima!

p.s. Ringrazio Corvina, Nanamin e Calimetare per le recensioni. Grazie!





Edit: Niente, ho cambiato idea. Le immagini le metto direttamente io. Non ringraziate, non serve. Se siete con il cellulare e le immagini sono tagliate ruotate lo schermo ;)

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Capitolo 4
*** Novità ***


Capitolo 4: NOVITÀ

 

Il cielo semibuio aveva cominciato a striarsi di nuvole grigie e nere, quelle cariche di pioggia. Presto un acquazzone si sarebbe abbattuto sulla città.

Mentre camminavano, Lucas e Rachel raccontarono brevemente la loro storia ad Amalia. Non scesero troppo nei dettagli, si limitarono semplicemente a dire che avevano una faccenda in sospeso con un Mietitore vestito di bianco e che erano settimane che lo cercavano. Non dissero che si trattava di Richard, visto che era probabile che pure Amalia lo conoscesse, visto che era fidanzato con sua sorella. Non volevano sconvolgerla troppo.

«Quindi... volete andare al Jefferson Tunnel?»

«Proprio così.»

«Ma... la tua amica nemmeno si regge in piedi...»

«Sto bene...» mugugnò Rachel,  infastidita. «Devo... devo solo...»

Si staccò da X e si posò una mano sul petto. Aveva cercato di recuperare  le energie fino a quel momento, ora doveva essere in grado di riuscire a curarsi. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, poi diede l’ordine ai suoi poteri. La mano si illuminò di nero, una nube oscura si levò al di fuori di essa e le avvolse il corpo. A quel punto sentì la pelle formicolare. Contusioni e ferite cominciarono a sparire lentamente. I tagli si richiusero, la pelle nera dei lividi assunse di nuovo il colore pallido della carnagione della ragazza.

Non si era vista ad uno specchio di recente, ma a giudicare da quanto ci stava mettendo per guarire non doveva essere proprio nella migliore delle forme. Di sicuro, non poteva più essere quella ragazza che ai tempi del collegio veniva soventemente invitata ad uscire dai maschietti più intrepidi.

«Ca... cavolo...» sussurrò Amalia, guardandola all’opera.

Finalmente l’operazione terminò, e la nube nera si ritirò da dove era arrivata. Rachel espirò, poi riaprì gli occhi. Un tenue sorriso si dipinse sul suo volto, quando riuscì a voltarsi verso i suoi compagni senza avvertire nessuna fitta di dolore. «Visto? Come nuova.»

Lucas ricambiò il sorriso, rivolgendole un cenno del capo.

La corvina gli porse una mano. «Forza, andiamo al Jefferson Tunnel.» Spostò lo sguardo su di Amalia. «Tu vieni?»

Komand’r scosse la testa. «No grazie. Per oggi ne ho abbastanza di basi nemiche. Ma se trovate qualche provvista fatemi sapere.»

«D’accordo. Ti porto io Lucas, afferra la mia mano.»

 «Rallenta un attimo, Roth» fece Lucas, tornando serio. «Adesso non andiamo proprio da nessuna parte.»

«Cosa? Ma...»

Il ragazzo posò la sua mano ruvida e fredda su quella della ragazza, abbassandogliela. La guardò negli occhi, serio in volto. «So che adesso che ti sei curata stai decisamente meglio di prima, ma andare adesso al Jefferson Tunnel sarebbe un suicidio. Hai a malapena recuperato le energie per curarti, e ora vorresti volare fin là e combattere ancora? Già te la sei vista brutta con quello Spazzino. Non esagerare Rachel. Pretendi troppo da te stessa. So che vuoi andare da... loro, ma non adesso.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, senza distogliere lo sguardo. Una parte di lei concordava con lui. Era esausta, non sarebbe riuscita a sostenere un altro scontro. Non contro un ingente numero di Mietitori Conduit, non contro il loro capo. Ad un’altra parte di lei, tuttavia, tutto ciò non  preoccupava minimamente. Doveva rivedere Richard, doveva cercare di salvarlo. Doveva farlo e basta.

Eppure, lo sguardo di Red X sembrava intransigente. Era la primissima volta che lo vedeva così. Era preoccupato per lei, era chiaro. In quegli ultimi giorni la conduit aveva davvero esagerato. La sua ossessione per i Mietitori era cresciuta esponenzialmente, al contrario di Lucas, il quale, più passavano i giorni, più sembrava disinteressato alla faccenda. Il ragazzo l’aveva seguita per settimane, senza fare storie, quando, all’inizio della loro collaborazione, era sempre lui quello a decidere cosa fare. E Rachel se ne rese conto solo allora.

Distolse lo sguardo da lui, imbarazzata. «Da quando ti preoccupi così per me?»

«Abbastanza» replicò lui, posandole una mano sulla spalla. Restarono in quel modo per un breve attimo, e la ragazza si godette la mano di lui posata su di lei.

«Oh, che dolci che siete» commentò improvvisamente Amalia, sghignazzando.

Lucas si incupì, poi si voltò verso di lei. Sollevò il medio della mano e glielo mostrò in tutto il suo splendore. «Lo vedi questo? Ricordatelo bene, ok?»

«Aspetta Rosso, come hai fatto a farlo?» chiese lei con una finta espressione da pesce lesso, mostrandogli a sua volta il dito medio. «Così?»

«Accidenti, come sei perspicace! Ed io che credevo che fossi un’oca senza cervello!»

«Prego?!»

Rachel ridacchiò questa volta, guardandoli litigare, ringraziando il proprio cappuccio per aver celato l’espressione che aveva fatto quando aveva udito le parole di Amalia.

 

***

 

Accompagnarono Komi fino a casa sua. Non dovettero nemmeno allungare il tragitto, tanto sarebbero dovuti passare lì in ogni caso.

La mora entrò nel  vialetto della propria abitazione senza nemmeno dire una parola.

«Ciao, eh» la rimbeccò Lucas, incrociando le braccia.

«A mai più» sbottò allora la ragazza, voltandosi verso di lui e rivolgendogli un cenno della mano.

Il ragazzo scosse la testa, fingendosi infastidito. «Tsk. Che manier...»

Una risata sommessa si diffuse nell’aria, facendo trasalire i tre. Proveniva da casa di Amalia. Di sicuro non era di Ryan, dato che il timbro sembrava quello di una voce femminile. E anche Komand’r sembrò realizzare ciò, perché si voltò verso la porta, per poi estrarre lentamente la pistola dalla tasca del cappotto.

«Amalia, che stai...» Rachel cercò di chiederle cosa aveva in mente, ma la mora era già partita alla carica. Entrò in casa sua come un tornado.

«Andiamo» fece X, andandole dietro. A quel punto, a Rachel non restò che imitarlo.

Varcata la soglia, udirono grida spaventate, soffocate dalle minacce di Amalia. I due partner corsero in salotto, aspettandosi il peggio, ritrovandosi invece di fronte ad una scena che aveva quasi del comico. Ryan si stava sbracciando come un ossesso, cercando di far ragionare la sorella, mentre Amalia lo ignorava bellamente, puntando la pistola contro una ragazza bionda dall’altra parte del tavolino da caffè, che dal canto suo stava cercando di dire che era tutto un malinteso.

Il risultato era un affollamento di voci dal quale non si riusciva a carpire mezza frase di senso compiuto e un caos senza precedenti.

«Tara!» esclamò Rachel incredula, rivolta alla ragazza bionda. «Che cavolo ci fai qui?»

«Ops. Colpa mia...» borbottò Lucas, grattandosi la guancia.

«Ragazzi!» esclamò la bionda sollevata, quando li vide. «Potreste aiutarmi?»

«Cosa? Vi conoscete?!» gridò Amalia, voltandosi verso di loro.

«Abbassa la pistola Komi!» esclamò a sua volta Ryan.

«Come hai fatto a venire qui?» domandò Rachel a Tara.

«Io...»

«Le avete detto dove abito?!» urlò ancora Amalia.

«Ragazzi...»

«Perché avete...»

«Komi!»

«RAGAZZI!» sbraitò Lucas, ergendosi con la voce sopra a tutti gli altri. «Tappatevi la bocca!»

Il gruppetto tacque improvvisamente. Si generò un silenzio quasi irreale dopo quel breve attimo di caos.

«Grazie.» Il ragazzo in nero guardò Amalia ed indicò Tara con un cenno della testa. «Le ho detto io che eravamo qui, qualche ora fa, ma non pensavo che sarebbe venuta dal Neon.»

Tara annuì come una forsennata. «Mi ha mandato un messaggio!»

Rachel inarcò un sopracciglio. Poi si ricordò. Lucas stava usando il cellulare qualche ora prima, quando erano in cucina in quella casa. Dunque stava massaggiando con lei. Perché quel pensiero le suonò terribilmente sgradevole?

«E cosa ti fa credere di poter dire a cani e porci dove vivo, Rosso?!» domandò nel frattempo Amalia, avvicinandosi minacciosa al ragazzo, puntellandolo al petto con la canna della pistola.

«È nostra amica, puoi fidarti di lei come ti fidi di noi» replicò lui, con calma.

«Non ho mai detto di fidarmi di voi!»

«E allora perché sei rimasta con noi per tutto questo tempo?»

La ragazza fece una smorfia. «Perché pensavo che avreste potuto aiutarmi, invece di...»

«Ascolta, Komand’r...» si intromise Tara, avvicinandosi con calma e tenendo le mani bene in vista, per non allarmarla ulteriormente. «Non volevo assolutamente spaventarti. Io conoscevo tua sorella, Kori, e quando ho saputo che i suoi fratelli stavano bene, beh, ho voluto conoscerli.» Sorrise guardando Ryan, che dal canto suo distolse lo sguardo, arrossendo imbarazzato. «Tuo fratello mi ha fatta entrare. È stato molto gentile.»

Amalia osservò la nuova arrivata, con espressione dubbiosa. Non sembrava ancora convinta al cento percento.

«E poi...» Tara si avvicinò al divano, dove era appoggiato uno zainetto nero. Lo afferrò e lo aprì, per poi rivolgere uno sguardo eloquente alla mora. «Ho saputo della vostra caccia alle provviste... e ho deciso di dare il mio contributo.» Tirò fuori un barattolo di cibo in scatola dallo zaino, sorridendo.

Tutti i presenti rimasero a bocca aperta. La bionda allargò il sorriso, notando i loro sguardi. «Spero vi piacciano i fagioli.»

 

***

 

Quella casa non sembrava aver mai visto così tanti ospiti. In cucina non c’erano nemmeno abbastanza sedie per tutti loro, così erano stati costretti a mangiare nel salotto.

Tara e Ryan erano seduti sul divanetto, mentre Amalia, Lucas e Rachel sulle sedie, attorno al tavolino da caffè, ognuno di loro intento ad ingurgitare quanto più cibo possibile. I tintinnii metallici dei cucchiai che affondavano nei barattoli erano gli unici suoni presenti.

I fagioli in scatola, freddi oltretutto, visto che non c’era elettricità in casa, non erano il piatto preferito di Rachel. Probabilmente nemmeno quello degli altri presenti, ma non c’era molto da fare gli schizzinosi. E poi, quel cibo era stato davvero una manna dal cielo per la conduit. Solo mettendosi in bocca quel cucchiaio pieno di fagioli aveva realizzato quanta fame e quanto bisogno di mettere qualcosa sotto i denti avesse.

Komand’r sembrava ancora piuttosto riluttante all’idea di avere così tante persone in casa sua, ma di fronte al cibo doveva aver deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Anche se non aveva smesso per un solo istante di lanciare occhiatine furtive a Tara. Ryan invece sembrava molto più a suo agio, mentre era seduto accanto alla stessa. A sua volta, la bionda cercava di tanto in tanto di attaccare bottone con i due fratelli, ma con scarsi risultati. Il rosso era piuttosto riservato, mentre Amalia non sembrava per nulla in vena di discutere.

Lucas e Rachel erano seduti accanto, entrambi con gli occhi fissi sui barattoli, immersi nel silenzio. Finché Corvina non decise di romperlo, approfittando anche dell’ennesimo tentativo di Tara di chiacchierare un po’ con i due fratelli di Kori. Parlò anche a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri. «Così... messaggi con Tara...»

Il ragazzo si voltò verso di lei, con ancora il cucchiaio ficcato in bocca, perplesso. Tirò fuori la posata, poi domandò: «Sì, ogni tanto... perché?»

Rachel scrollò le spalle, rimestando il contenuto del suo barattolo. «Così... per curiosità...»

«Ah... ok...»

Tra i due scese di nuovo il silenzio. Lucas riprese a mangiare tranquillo, finché Rachel non domandò di nuovo: «E cosa vi dite?»

«Cosa dovremmo dirci? Ce la contiamo, tutto qui.» Red X si voltò di nuovo verso di lei, posando il cucchiaio nel barattolo ormai vuoto, con un gesto che sembrava quasi infastidito. «Lei vorrebbe che tu le raccontassi cosa facciamo durante le nostre indagini, ma siccome tu non lo fai, allora chiede a me. Tutto qui. Ma poi, a te cosa importa? Saranno anche fatti nostri.»

«C’è un motivo se non le racconto nulla» replicò Rachel, quasi sibilando di rabbia. «Non voglio che sappia troppo, o che, peggio, anche lei decidesse di aiutarci. Finirebbe col farsi ammazzare!»

«Non fare la moralista adesso, proprio tu che prima avevi detto ad Amalia di non essere troppo severa con Ryan. Tara è grande, e tu non sei sua madre, tantomeno sua sorella. Può fare quello che vuole. E comunque...» Lucas sorrise, dando un colpetto al suo barattolo. «... non mi sembra che il cibo che ci ha portato ti sia dispiaciuto...»

«Questo... è diverso...» mugugnò la corvina, distogliendo lo sguardo da lui.

Non riusciva a crederci. Quando Lucas si era presentato al suo appartamento per parlarle e si era ritrovato di fronte Tara, tra loro era stato odio a prima vista. Anzi, prima la bionda era quasi svenuta per lo spavento, quando si era ritrovato di fronte il brutto muso truccato di X. E ciò, ovviamente, aveva comportato diverse battute taglienti provenienti dalla bocca di Rosso. Insomma, il loro rapporto era cominciato parecchio male.

E ora, dopo appena qualche settimana, saltava fuori che non solo i due erano amici, ma si scrivevano pure. E Rachel nemmeno sapeva che i telefonini funzionassero ancora, in quella maledetta città.

Nel giro di poco tempo Lucas era diventato più amico di Tara di quanto la corvina avesse fatto in anni. Forse era per quello che la faccenda le dava tutto quel fastidio. Di solito se ne sarebbe allegramente infischiata, anzi, era sorpresa che la cosa la punzecchiasse così tanto. O forse davvero non voleva che Tara si immischiasse nei suoi affari. O forse entrambe le cose.

«A proposito, Tara...» cominciò Red X, posando il barattolo sul tavolino. «Dove hai trovato questa roba?»

«Beh...» La bionda finì di masticare, poi si ripulì le labbra e raccontò: «Diciamo che... mi ero preparata per un’ eventuale fuga dal Neon, e che queste erano le scorte d’emergenza che tenevo nascoste e che avevo messo da parte con il tempo. Ma poi mi hai detto che la situazione stava peggiorando, così ho deciso di condividerle... tanto non sarei mai scappata da là...» Guardò Rachel, quasi imbarazzata. «Lo avrei fatto anche prima, se avessi saputo, ma tu non mi avevi detto niente...»

«Rachel!» esclamò Lucas, fingendo un odioso tono sorpreso. «Perché non glielo avevi detto? Lei voleva solo aiutarci!»

La corvina gli rivolse un’occhiata incendiaria. Odiava quando si comportava così con lei. «Devo essermelo dimenticato...» sibilò a denti stretti, in risposta.

«Nessun problema, davvero.» Tara le sorrise gentile.

In quel momento Rachel avrebbe voluto soffocarla con un cappio di energia nera. Tara si fingeva tanto buona e brava con lei, davanti agli altri... peccato che nessuno di loro sapesse dell’odio reciproco che quelle due ragazze covavano dentro di loro.

La biondina poteva incantare chi voleva con il suo bel faccino, ma non avrebbe mai fregato la corvina. Non avrebbe mai dimenticato i loro trascorsi. Ed era certa che nemmeno Tara li avrebbe mai dimenticati.

Non era colpa di Rachel se Garfield all’epoca era un adolescente in piena tempesta ormonale che ammiccava a tutte le ragazze che vedeva. La Markov aveva ben poco da essere gelosa e attribuirle la colpa di tutto.

«Beh, comunque...» La ragazza bionda posò il barattolo a sua volta, per poi tornare a guardare i presenti uno per uno, seria in volto. «Il cibo non è l’unico motivo per cui sono venuta qui...»

Lucas inarcò un sopracciglio. «Ah no?»

Tara scosse la testa. «Vedete, questa mattina alcuni manifestanti sono andati a protestare al posto di blocco sul ponte South Bridge, avete presente, no?»

«Sì» fecero i due partner.

«Io no, che manifestanti?» domandò Ryan, perplesso.

«In poche parole, alcune delle persone che odiano restare qui ad Empire vanno tutti i giorni a protestare al posto di blocco del South Bridge, che come sai è il ponte che da Neon conduce fuori città» cominciò a spiegare la bionda, sistemandosi una ciocca di capelli ribelle dietro all’orecchio. «Cercano di convincere gli agenti di guardia ad aprire il cancello e farli passare, in sostanza. Non serve che ti dica che non ottengono mai nessun risultato, ma, questa volta, questa mattina, è stato diverso.»

Rachel sgranò gli occhi, così fecero anche Lucas e Amalia.

«Vedete, questa mattina...» La Markov non sembrò riuscire a reggere tutti quegli sguardi posati su di lei, ed abbassò lo sguardo. Tutti pendevano dalle sue labbra, anche Rachel. «Questa mattina... non c’erano guardie.» Sollevò di nuovo lo sguardo, incrociando quello della corvina. Non sembrava mai stata così seria. «E il posto di blocco era stato smantellato.»

«Cosa?!» esclamarono tutti, in coro.

«È la verità. All’inizio i manifestanti non erano certi sul da farsi, così hanno avvisato la polizia, che è subito andata a controllare. In passato alcune persone erano riuscite a superare il primo cancello, ma erano state fermate da un muro di mitragliatrici. Questa volta si voleva evitare un altro massacro, così gli agenti hanno proseguito con prudenza... ma quando sono arrivati al fondo hanno trovato l’avamposto vuoto e smilitarizzato. Non c’è più nessuno di guardia al ponte.»

Rachel deglutì. Le orecchie cominciarono a ronzarle. «Q-Questo significa che...»

«Sì» la anticipò Tara, annuendo lentamente. «Possiamo uscire da Empire.»

 

***

 

Shock. Questa fu la sensazione che provocò Tara, dicendo quelle parole. Un silenzio irreale era caduto nella stanza. Perfino Rachel era sconvolta. Nonostante lei avesse sempre avuto la possibilità di andarsene in qualsiasi momento, l’idea che il South Bridge fosse stato smilitarizzato e che ora c’era una possibilità di fuga vera e propria da quell’inferno di città le infondeva un misto di emozioni contrastanti. «Ma... e gli elicotteri, la contraerea, le guardie costiere, i...»

«Nemmeno loro. Niente di niente.»  Tara incrociò le braccia. Perfino lei sembrava turbata dalle sue stesse parole. «È sparito tutto. Nessuno ha idea di cosa sia successo... nemmeno la polizia. I notiziari non ne hanno parlato, perfino quell’agitatore che avvertiva dove venivano sganciate le provviste non si è fatto vedere. Non appena è giunta la notizia, nel Neon si è scatenato un putiferio. Voi eravate qui nel Dedalo, quindi non potevate saperne nulla. La gente ha impacchettato tutto quanto, è salita in auto e se n’è andata. Non vi dico la fatica che ho fatto per arrivare fino a qui, è stato come nuotare controcorrente. Il South Bridge è praticamente inagibile, a causa di tutte le persone che lo stanno percorrendo tutt’ora. Praticamente l’intera città sta uscendo da quel ponte. Gli agenti di polizia stanno cercando di far evacuare la zona con ordine, ma ci sono troppe persone. Credo che ne avranno ancora fino a notte inoltrata, forse anche fino a domani mattina.»

«E gli altri ponti, invece?» domandò Lucas. «Anche loro sono stati smilitarizzati?»

«Nessuno ha avuto il coraggio di andare a vedere» rispose la bionda. «Con gli Spazzini e i Primogeniti ancora a piede libero nel Dedalo e nel Centro Storico sarebbe stato pericoloso controllare. Se non altro nel Neon non ci sono più Mietitori.»

Rachel sgranò gli occhi. I MIETITORI!

La ragazza saltò dalla sedia di colpo, facendola cadere a terra. I presenti si svoltarono verso di lei, con aria interrogativa.

«Ehi, fa attenzione» sbottò Amalia. «Quella sedia non è tua.»

Corvina non la sentì nemmeno. Guardava la stanza, i volti attorno a lei, ma non assimilava davvero le varie informazioni. Aveva uno sguardo spiritato.

«Rachel?» domandò Red X, perplesso, quasi preoccupato. «Stai bene?»

«I-Io...» La ragazza incrociò il suo sguardo. La guardava come se avesse visto un fantasma. «Io...»

Non terminò la frase. Diede le spalle a tutti loro e corse via. Sentì gli altri chiamarla a gran voce, ma lei non si voltò nemmeno. Uscì di casa, le grida dei ragazzi si confusero con i rimbombi provenienti dalle nuvole nere come la pece. Un’aria fredda e pungente si abbatté su di lei, facendola rabbrividire.

Piegò le ginocchia, l’energia nera cominciò ad investirle il corpo.

«Rachel!» la chiamò ancora qualcuno dietro di lei. Si voltò. Vide Lucas uscire dall’abitazione, questa volta sembrava davvero angosciato per lei. «Che cavolo stai...»

Troppo tardi. La corvina aveva già terminato di trasformarsi. Si alzò in volo un attimo prima che il ragazzo potesse terminare la domanda.

Svanì nella notte buia, accompagnata dalla caduta delle prime gocce di pioggia.





L'avevo detto che altri personaggi sarebbero apparsi. E avevo anche detto "alcuni amati e altri un po' meno". Purtroppo per lei, Tara è una di quei personaggi che rientrano nella seconda categoria. Amen.

Avrete notato la diffidenza che c'è tra la nostra beniamina Rachel e la nuova arrivata. Questo perché volevo essere fedele alla serie animata. Io sono uno che propende di più verso l'amicizia tra loro due, ma mi rendo conto che far partire la storia con loro due come migliori amiche sarebbe stato un po'... fuori luogo. Ma non voglio espormi troppo, solamente con il tempo ogni retroscena sarà chiaro.

E ora abbiamo i nostri Teen Titans 2.0.: Rachel, Lucas, Amalia, Tara e Ryan. La protagonista silenziosa ma letale, il leader che ancora non sa di esserlo, la maestra d'armi arrogante... e Tara e Ryan. 

Questo capitolo ora apre un mucchio di scenari plausibili. Niente più posti di blocco, fine della quarantena ed eccetera. Restate aggiornati, perché siamo solo all'inizio!

Fatemi sapere le vostre opinioni, mi raccomando. Sono la cosa che più mi piace. Visto e considerato che sto spendendo non poco su questa fanfiction. In questo momento dovrei studiare Tecnologie Applicate, ma sono qui a scrivere questa nota che non sembra destinata a concludersi...

Sì, insomma, avete capito. Siete un numero a due/quasi tre cifre a leggere, fatevi sentire! 

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Capitolo 5
*** Pioggia ***


Capitolo 5: PIOGGIA

 

La pioggia si infrangeva contro di lei. Sferzava l’aria fredda, abbattendosi sull’oscuro rapace. Lampi e tuoni si susseguivano l’un l’altro, senza fine. Il cielo sembrava voler rigurgitare tutta la sua collera su di lei.

Ma a Rachel non importava.

Le parole di Tara continuavano a ronzarle in testa. Il fatto che il ponte forse smilitarizzato, il fatto che c’era una possibilità di fuga dalla città, il fatto che migliaia e migliaia di persone se ne stavano andando proprio in quel momento.

Il tutto si sommava a ciò che aveva scoperto quello stesso giorno, dalla bocca di quello Spazzino.

Non ci aveva messo molto a mettere insieme le cose e a capire che doveva sbrigarsi. Prima che fosse troppo tardi.

Aveva freddo, era fradicia a causa della pioggia, e non aveva ancora recuperato del tutto le forze. Era stanca, esausta, ma non si sarebbe fermata nemmeno se si sarebbe trovata sull’orlo di un collasso.

Mentre volava le ritornò in mente tutto quello che lei ed X avevano fatto in quelle settimane. Le persone che avevano affrontato, le domande che avevano fatto, le piste che avevano seguito, i luoghi che avevano visitato. Il tempo perso e la fatica fatta. Ora non poteva perdere tutto quanto, di nuovo.

Arrivò nel Neon. Al rumore della pioggia e al fragore dei tuoni si sommarono numerose e poderose voci sovrapposte, provenienti da più punti del distretto. Sembravano degli altoparlanti.

Le luci che un tempo caratterizzavano le strade sotto di lei, le insegne dei locali, i tabelloni, i neon, ora erano spenti, rimpiazzati da dei molto più sgradevoli lampeggianti blu e rossi. Erano ovunque, a perdita d’occhio. Sicuramente erano le volanti della polizia, che ancora cercava di mantenere l’ordine tra i palazzi grigi e neri. Un simile trambusto non si vedeva dai tempi dei primi tumulti.

Tutto ciò non fece altro che incitarla ulteriormente a sbrigarsi.

Finalmente la sua destinazione giunse nel suo campo visivo. Qui non c’erano lampeggianti, ma di tanto in tanto dei fasci di luce bianca e azzurra comparivano, per poi svanire rapidi com’erano arrivati. Forse era ancora in tempo.

Sorvolò infine la strada che portava all’ingresso del Jefferson Tunnel. Qui decine e decine di figuri armati stavano correndo, muovendosi  talmente veloce da far credere che si stessero teletrasportando. Erano proprio questi la causa dei fasci di luce.

I conduit uscivano dal tunnel, correvano per un breve tratto di strada, poi saltavano compiendo balzi alti decine di metri ed atterravano sui tetti dei palazzi, dove poi riprendevano a correre e a saltare. Rachel intuì immediatamente dove si stavano dirigendo: al South Bridge.

Devo sbrigarmi a trovarlo!

Scese in strada, tornando in forma umana. I Mietitori vestiti di bianco continuavano a correre, lasciandosi dietro le scie di luce, ignorandola bellamente. Probabilmente attaccarla non rientrava nei loro incarichi.

Rachel strinse i pugni; avrebbe dovuto fare da sola. «Richard!» gridò, a gran voce, rivolta al gruppo di criminali. «Richard! Lo so che sei lì in mezzo!»

Dal tunnel continuavano ad uscire volti incappucciati su volti incappucciati. Nessuno sembrava badare a lei. La ragazza cominciò ad irritarsi sul serio. Non aveva fatto tutta quella strada per essere ignorata in quel modo. Sollevò una mano, essa si illuminò di nero, pronta ad attaccare. «Giuro che se non ti fai vedere te ne farò pentire amaramente! Hai sentito?!»

La sgradevole idea che Richard si trovasse lì in mezzo a loro, ma che non potesse sentirla perché anche lui ormai era stato completamente soggiogato da quei maledetti liquami neri che controllavano la mente dei Mietitori, cominciò ad insinuarsi nella mente di Rachel. Rabbrividì, e non fu né per il freddo, né per la pioggia.

Gli ultimi Mietitori ormai erano usciti dal tunnel. La ragazza fece per chiamare di nuovo il ragazzo, ma fu interrotta da una voce che giunse alle sue spalle, una voce molto familiare: «Che diavolo vuoi, Rachel?»

La ragazza sussultò e si voltò, abbassando la mano. «Richard...»

Il suo vecchio amico d’infanzia era lì, di fronte a lei. Vestito proprio come l’ultima volta che lo aveva visto, con un lungo cappotto bianco e nero, con pantaloni neri, i sandali e le garze. La pioggia si infrangeva sul suo volto incappucciato, e da sotto la visiera raffigurante un teschio con i denti affilati riusciva solo a scorgere parte della sua bocca e del suo mento. Rabbrividì. Non riusciva a vederlo in faccia, ma era chiaro che il suo aspetto doveva essere peggiorato ulteriormente.

«Richard non esiste più, Rachel. Te l’ho già detto» rantolò il Mietitore, apatico.

«Cosa... cos’hai intenzione di fare... Robin?» domandò allora Rachel, titubante. Osservò gli ultimi Mietitori lasciare il tunnel, per poi saltare via, lontani da loro. Deglutì, poi riportò lo sguardo su di lui. «Vuoi lasciare Empire?»

«Non abbiamo molta scelta...» ribatté lui, stringendo i pugni. Sollevò lo sguardo, i suoi occhi azzurri brillarono sotto la luce dell’ennesimo lampo. «Tu e il tuo amico avete eliminato tutti i miei compagni umani. Solamente noi Conduit siamo sopravvissuti. Nemmeno Sasha ce l’ha fatta.»

«Sasha? Chi è Sasha?!»

«Colei che ci ha creati. Colei che ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato» rispose Richard, quasi come se stesse cantilenando. Come se lo avessero obbligato ad imparare quelle parole e a ripeterle testualmente se necessario.

«Il Neon non è più posto per noi, così come non lo è Empire. Ce ne andremo, e io prenderò il controllo della fazione. Ricostruirò i Mietitori da cima a fondo.»

Rachel non credette alle proprie orecchie. «Cosa?! Non puoi farlo!»

«Posso invece. E lo farò. Sentirai presto parlare di noi, Rachel. I Neo Mietitori rinasceranno dalle ceneri dei Mietitori di Sasha. Usciremo da Empire e ci espanderemo, città dopo città. Uccideremo chiunque si opporrà al nostro passaggio. Troveremo un modo di riutilizzare i poteri di Sasha ed eserciteremo il nostro controllo mentale su milioni e milioni di persone.»

La corvina deglutì. Quello di fronte a lei non era Richard. Non lui, non il ragazzo che amava. «Ma... e Kori?» domandò, disperata a tal punto da cercare di farlo rinsavire parlando proprio della stessa ragazza per la quale aveva provato così tanta gelosia. «Non volevi vendicare la sua morte?»

«Anche lei fa parte del passato, ormai.»

Corvina rimase a bocca aperta. Tra tutte le rivelazioni di quel giorno, quella fu la più scioccante. A Richard non importava più niente nemmeno di Kori. Le parole che si erano scambiati mesi prima, ora non avevano più valore alcuno. Possibile che i liquami che lo controllavano lo avessero portato a cambiare idea in quel modo? O forse era proprio lui ad essere cambiato?

Sinceramente, la conduit non sapeva quale delle due opzioni fosse la migliore. «Ma... credevo che tu l’amassi...»

«L’amore... che emozione stupida» replicò il Mietitore, quasi disgustato. Rachel ammutolì.

«Cos’è l’amore, se non una delle tante cause della sofferenza che imperversa questo mondo? Niente di niente. Cosa siamo tutti noi, se non schiavi di quell’inutile sentimento? L’amore che in passato nutrivo per Kori ora per me non significa più nulla. Così come quello che anche tu provi nei miei confronti. Le emozioni, per me non significano più nulla.»

Rachel si sentì morire. Quelle parole furono più dolorose di qualsiasi ferita avesse mai subito. Richard sapeva. Sapeva che lei lo amava ancora, nonostante tutto quello che era successo. E ora glielo aveva detto apertamente, lui non la ricambiava. Per lui, lei non significava nulla. E probabilmente non avrebbe mai più significato qualcosa.

Qualcosa si incrinò dentro di lei. E fece male. Ne fece parecchio.

Credeva che sarebbe stata pronta, nel caso in cui quest’eventualità si fosse verificata. Credeva che sarebbe riuscita ad accettare il fatto che Richard potesse non amarla. Si era sbagliata.

Osservò i suoi occhi, incapace di fare altro. Quegli occhi che un tempo la guardavano con affetto, con felicità, come per dire: "sono contento che tu sia qui", e che ora, invece, la scrutavano con indifferenza, come se lei non avesse mai infuso queste emozioni dentro di loro.

«Onoreró la memoria di Sasha»disse ancora lui, prima di darle le spalle. «E ora addio Rachel. Per sempre.»

Non appena finì di parlare, il suo corpo si caricò di energia e saltò.

Rachel lo osservò impotente, incapace di sopportare quella scena. Avrebbe voluto fermarlo, ma la verità era che ormai non poteva fare più nulla. Nonostante Sasha fosse morta, Richard era divenuto ugualmente un Mietitore a tutti gli effetti. Riportarlo indietro era impossibile.

Lo vide allontanarsi, sentì la sua presa scivolare via dalle sue mani. Le sembrò di perdere l’unica ragione per cui ancora combatteva in quel mondo infernale.

Ora non le era rimasto più niente, per davvero.

 Le sue parole erano state micidiali per lei. Dopo l’abbandono di sua madre, Richard era stata l’unica persona che per lei avesse mai rappresentato qualcosa. Lui per lei era tutto. Era il suo punto di riferimento, la sua ancora, la mano che la aiutava a salire quando rischiava di precipitare. Era il mondo, per lei. Ma lei non era niente per lui.

Cadde in ginocchio, inzuppandosi i pantaloni, ma non ci fece nemmeno caso.

Incapace ormai di trattenersi, scoppiò in lacrime.

Si sentì una stupida. Non avrebbe dovuto piangere in quel modo, non dopo tutto quello che aveva passato. Ma non riusciva comunque a fermarsi. Era disperata.

La sua vista appannata cadde sulle sue mani, ora immerse in una pozzanghera. Odiò quella vista. Odiò quelle mani, odiò ciò che da dopo il giorno dell’esplosione erano in grado di fare. Odiò il suo corpo, odiò i suoi poteri. Era tutta colpa loro. Non sarebbe stata li, se non fosse stato per loro. Non avrebbe mai dovuto trovarsi lì, poteva esserci chiunque altro, ma non lei. Il suo ruolo era altrove. Anche lei sarebbe dovuta morire nell’esplosione.

Strinse i pugni. Lacrime salate ed amare scivolarono lungo le sue guancie, insieme alla pioggia. Serrò la mascella, alzò lo sguardo al cielo, dove tuoni e lampi continuano a dominare incontrastati. Chiuse gli occhi ed urlò. Urlò con quanto fiato avesse in corpo, rivolta al mondo intero.

Lunghi, interminabili momenti dopo, una mano si appoggiò all’improvviso sulla sua spalla. Si volto lentamente, sorpresa. Lucas era lì, accanto a lei. La guardava, preoccupato, anche lui bagnato fradicio. Rachel non seppe spiegarsi come avesse fatto a trovarla, ma non le importò.

Singhiozzò di nuovo e si gettò tra le sue braccia. Lui ricambiò la stretta, avvolgendola con fare protettivo.

Appoggiò il mento sul suo capo e le accarezzò la schiena. Non disse una parola, e a lei andò bene così.

E poco prima che il resto di quella nottata si confondesse con l’oscurità della città, la corvina riuscì a realizzare che, infondo, qualcuno che ancora teneva a lei esisteva ancora.

 

***

 

Rachel si risvegliò in un letto. Per un attimo rimase sorpresa quando se ne accorse, notando le coperte nere e le lenzuola grigie. Non ricordava di essere andata a dormire. E, per finire, si trovava in una stanza che non era assolutamente la sua.

Dalla finestra filtravano i raggi del sole mattutino, illuminando le pareti bianche della camera da letto. Si mise a sedere, massaggiandosi la testa. Uno sbadiglio scivolò fuori dalla sua bocca, ma lo coprì con una mano.

Si sorprese di nuovo, per la seconda volta di fila, quando si accorse dei suoi abiti. Era vestita con una maglietta dalle maniche corte grigia che rimpiazzava la felpa con cappuccio, e un paio di pantaloni da ginnastica che sostituivano i jeans. Non ricordava nemmeno di essersi cambiata.

Confusa, stropicciò le proprie palpebre, cercando di destarsi. Provò a fare mente locale, a riordinare le idee e ricordare cos’era successo quella notte. E quando ci riuscì, in parte se ne pentì. Forse sarebbe stato meglio se non si fosse più ricordata l’accaduto.

Strinse con forza le lenzuola tra le sue mani. Le labbra tremolarono. Chiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di scacciare via quei pensieri, di allontanare per sempre dalla sua mente le parole che Richard le aveva rivolto, quelle stesse parole che ormai sembravano marchiate a fuoco nei suoi ricordi e che probabilmente mai sarebbe riuscita a dimenticare.

Uno scricchiolio le fece alzare improvvisamente lo sguardo. Di fronte a lei, accanto ad un armadio di legno, si trovava la porta. Questa stava venendo aperta, causando di conseguenza il rumore che aveva attirato la sua attenzione.

La testa mora di Lucas fece capolino nella stanza. Il ragazzo sorrise quando si accorse di Rachel. «Ehi! Sei sveglia!»

«Ehi...» Un abbozzo di sorriso si dipinse anche sul volto della corvina. Vederlo la fece sentire più tranquilla. Ovunque fosse, se non altro c’era anche lui insieme a lei. 

Red X entrò nella stanza, andando a sedersi su una sedia situata accanto al letto. Si accomodò, guardandola con attenzione. La ragazza lo seguì con lo sguardo, e notò che si era cambiato. Non aveva più la sua tuta attillata, i copri avambracci e tutta la sua classica bigiotteria. Era vestito con una giacca di pelle nera e dei jeans, come un comunissimo ragazzo. Non aveva nemmeno il trucco.

La sorprese vederlo così. Le uniche volte in cui aveva visto il suo volto era stato quando la pittura facciale si era prosciugata da sola, a causa del sudore o della pioggia. Questa volta no, era al naturale, davanti a lei.

Notò alcuni dettagli nel suo volto dapprima sempre sfuggiti alla sua attenzione. Graffietti, piccole cicatrici sparse qua e là, ed anche un lieve principio di barba, segno che si radeva soventemente.

Era così... normale. Era strano per lei, vederlo in quel modo. Fu solo in quel momento che realizzò che Lucas non era solo Red X, era anche... Lucas. Un ragazzo come tanti, con la barba, i brufoli, l’acne ed eccetera. L’aveva visto con indosso il suo travestimento talmente tante volte che ormai si era convinta che quello era il suo vero lui, quando la realtà, invece, era molto diversa.

Si rese conto solo dopo diversi istanti di essere rimasta immobile ad osservarlo senza dire una parola. Distolse lo sguardo di colpo, imbarazzata.

Improvvisamente, l’idea di essere sdraiata su un letto di fronte a lui, con indosso una maglietta molto più attillata di quanto si fosse resa conto, la mise a disagio.

«Stai bene?» domandò infine lui, inarcando un sopracciglio.

«Io... sì, credo di sì...» rispose lei, massaggiandosi la testa. Si appoggiò meglio con la schiena alla tastiera del letto, aiutandosi con i gomiti. Una volta messasi più comoda, domandò: «Ma... dove siamo?»

 «Siamo a casa di Amalia» spiegò il ragazzo, con un sorrisetto sarcastico. «È stata molto felice di farti dormire nel suo letto.»

Rachel si sentì in imbarazzo, nonostante Komand’r non fosse lì in quel momento. Più che altro, la fece sentire in colpa il fatto di avere di nuovo coinvolto nei suoi problemi la sorella di Kori. Doveva averne fin sopra ai capelli, di lei. «E... cos’è successo ieri notte? Dopo che... insomma...»

Dopo che ti sei gettata su di lui piangendo disperata?

Rachel sentì le goti arrossarsi e non concluse la frase.

«Sei svenuta.» Lucas scrollò le spalle, come se la cosa non lo avesse per nulla preoccupato o infastidito. «Così ti ho riportata qui, dove Tara si è presa cura di te.»

«Tara?!»

Il ragazzo annuì. «Lei e Amalia ti hanno cambiata e dato una ripulita. Non potevano coricarti altrimenti, i tuoi vestiti erano bagnati fradici.»

Corvina annuì, in parte ancora incredula. Se non altro, ora si spiegava i vestiti nuovi. E se non altro non era stato Lucas a svestirla. Un brivido le percorse la schiena all’improvviso, quando ebbe quel pensiero. Non seppe spiegarsi se era perché quell’idea la preoccupava, o se invece era l’esatto contrario.

«As... aspetta! Mi ha portata fino a qui dal Neon?!» La ragazza spalancò la bocca, quando si rese conto di quel dettaglio. «Sei impazzito?! Pioveva a dirotto!»

«La pioggia non ha mai ucciso nessuno, Roth.» Lucas incrociò le braccia, guardandola con un’espressione di superiorità. «E comunque non sei certo nella posizione di dirmi cosa dovevo o non dovevo fare.»

Rachel fece una smorfia e distolse lo sguardo da lui. Poi realizzò che comportarsi così non era affatto sinonimo di riconoscenza. Sospirò, poi gli sorrise, cordiale. «Beh... allora grazie, Lucas.»

«Nessun problema.»

«A proposito, come facevi a sapere che ieri notte ero...»

«Al Jefferson Tunnel?» la anticipò lui, sorridendo di nuovo beffardo. «Ti prego. E dove altro saresti mai potuta andare, in quel momento?»

La corvina non rispose. Sentì nuovamente le guancie in fiamme e, di nuovo, pensò di essere la ragazza più idiota di quell’universo. Chissà cos’avevano pensato gli altri, quando l’avevano vista scappare via in quel modo. Il suolo pensiero di rivedere Tara dopo tutto quello che era successo le faceva contorcere le viscere dall’imbarazzo.

«Eri davvero esausta, sai?» proseguì il ragazzo, interrompendo il breve silenzio che si era andato a creare. «Hai dormito tredici ore, circa...»

«C-Cosa?» Corvina spalancò le palpebre. «Così tanto?»

Lucas annuì. «Sì, ma non preoccuparti troppo. Mentre riposavi noi altri ci siamo organizzati. Io e Amalia siamo andati a controllare il West Bridge, per vedere se anche quello era stato smilitarizzato, mentre Tara e Ryan ti hanno tenuta d’occhio mentre dormivi. Hanno detto che ti sei agitata parecchio nel sonno.»

«Davvero?» domandò la ragazza, perplessa. Lei non ricordava di avere avuto incubi o altro. L’unica cosa che ricordava di aver sognato... era stranamente la baraccopoli che aveva visitato insieme ad Amalia e Lucas. Nessun incubo sulla partenza di Richard o altro.

Strano..., pensò. Ma forse era meglio così. Degli incubi sarebbero stata l’ultima cosa che avrebbe voluto.

«In ogni caso, proprio come il South Bridge, anche il West è libero. Ma lì non c’è traffico.» Lucas cominciò a dondolarsi sulla sedia, guardandola serio. «Dopo esserci riposati, questa mattina Tara ed io abbiamo deciso di andarcene dalla città, con quel ponte. Non abbiamo più nulla da fare qui, ormai. Vengono anche Amalia e Ryan, e naturalmente tu sei la benvenuta. Allora, che ne pensi? Vieni con noi?»

Quelle parole lasciarono la ragazza di stucco. Avevano davvero deciso di andarsene dalla città, così. Certo, era piuttosto prevedibile, ma fu comunque una sorpresa per lei. In effetti, avevano tutti i motivi per farlo. Lasciare Empire, probabilmente, era la cosa più saggia che si potesse fare ormai. C’erano troppi brutti ricordi legati a quella metropoli, e la cosa riguardava tutti loro. E, inoltre, ora che la zona non era più in quarantena, era probabile che il governo avrebbe smesso di sganciare del tutto le provviste. 

Eppure, la scelta di Lucas la sorprendeva. «Ma... credevo che volessi ancora vendicarti dei Mietitori per aver...»

«Sinceramente, lasciare la città per me ora ha la priorità.» Il ragazzo allargò le braccia, ritornando con le gambe della sedia a terra. «E comunque, i Mietitori sono scappati da Empire, ho visto con i miei occhi quei dannati fasci di luce che si lasciano dietro. Dubito che li rivedremo mai più.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa. Le parole di Richard le tornarono improvvisamente in mente. Non era davvero finita con i Mietitori. Avrebbero presto sentito di nuovo parlare di loro.

Guardò Lucas. Valutò se dirgli o no ciò che aveva scoperto, poi si interruppe. Al ragazzo non sembrava importare davvero la faccenda, ora che ci faceva caso non le aveva nemmeno chiesto cosa fosse successo con Richard prima che lui arrivasse. Forse lasciare Empire era davvero diventata per lui la cosa migliore da fare. E forse lo era davvero.

Andarsene, lasciarsi tutto alle spalle.

Ricominciare. In effetti Rachel ne aveva davvero, davvero bisogno. L’America era grande, e a dire il vero dubitava che avrebbe mai più avuto a che fare con Robin e i suoi pseudo Neo Mietitori.

Eppure... c’era qualcosa di davvero strano sotto tutto quello. Perché i posti di blocco erano stati smantellati così, all’improvviso? Nessuno aveva detto niente. I notiziari non ne avevano parlato, non era circolata nessuna voce o notizia prima di tutto quello, niente di niente. Era davvero così sicuro andarsene?

Ed inoltre, sia il capo degli Spazzini che quello dei Mietitori erano morti, coincidenza, poco prima che la quarantena terminasse. Era davvero una combinazione, o le cose erano collegate?

Corvina sentiva una forte puzza di bruciato, riflettendoci meglio. Ma le alternative quali erano? Restare lì? Da sola, visto che Lucas e gli altri sembravano davvero intenzionati ad andarsene?

No di certo. Stranezze o meno, abbandonare Empire era l’unica cosa che le restava da fare. Prese la sua decisione: avrebbe tentato la sorte. La vita era come un’ enorme roulette, ormai lo aveva capito. Aveva sempre scelto i numeri sbagliati, questa volta invece, forse, avrebbe preso quelli giusti.

Cacciò tutti i suoi dubbi dalla testa. Annuì e si tolse le coperte di dosso, mettendosi a sedere sul bordo del materasso, davanti a Lucas. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza sorrise determinata. «Beh, allora cosa stiamo aspettando?»

 

 

 

Di nuovo io, con un altro capitolo. Lo so, sono fastidioso. Sono sempre qui a rompere le scatole. Non posso far passare una settimana come fanno tutti? Bah...

Comunque, ho delle cose importanti da dire. Volevo avvisarvi che, per evitare di rovinarvi sorprese varie, dovreste evitare di spoilerarvi infamous su Wikipedia, se non lo avete mai giocato. So che io sono sempre stato il primo a dire che se volevate potevate farlo, ma ora mi rendo conto che ci sono alcuni punti in comune tra la mia storia e il videogioco che è meglio non approfondire, se siete estranei alla trilogia della Sucker Punch. 

D'ora in poi, ogni volta che ci sarà qualcosa che dovete sapere sul videogioco per aiutarvi a capire meglio la trama, sarò io a spiegarvela nelle note.

Per esempio ora posso parlare di Sasha. 

Sasha è il capo dei Mietitori, per l'appunto. Era una "merda" (così definita da Cole, il protagonista di Infamous) prima dell'esplosione, e dopo è diventata anche peggio. E' una conduit in grado di produrre questo liquame che è in grado di controllare le menti delle persone. Inoltre, sempre grazie a questo liquame, possiede anche capacità illusorie. 

L'unica persona in grado di resistere ai suoi poteri, nel videogioco, è Cole, ma io credo che tutti i conduit potrebbero resistere, eccetto quelli che decidono di lasciarsi soggiogare per diventare i famosi Mietitori vestiti di bianco.

Comunque sia, anche lei è morta, insieme al capo degli Spazzini, Alden. Coincidenza?

E no, purtroppo i nostri eroi non avranno a che fare con i Primogeniti e il loro capo, Kessler. Anzi, Kessler non verrà nemmeno mai nominato nella fic. Credo, magari forse sì, in futuro, ma dubito.

Ora, parlando del proseguimento della trama. Avvenimenti legati ad Empire in particolar modo non verranno più citati, visto anche che i protagonisti lasceranno la città. Buona parte di tutti gli elementi di Infamous saranno messi da parte, tranne alcune piccole ma fondamentali cose, quelle che, per l'appunto, fareste meglio a non spoilerarvi. 

Da adesso in poi sarà quasi tutta terra inesplorata. Se non si fosse capito, nel videogioco i posti di blocco non vengono smantellati e l'unico luogo visitabile è, appunto, la città. 

Un'altra cosa, nel capitolo di parla di un "West Bridge", ma nel gioco non esiste. Esistono due ponti, quello del Neon, a Sud, e quello del Centro Storico, ad Est. Il Dedalo non ha ponti che conducono fuori città, ma ho deciso di fare uno strappo alla regola, anche per rendere più credibile il tutto.

Per finire, Empire City in teoria è situata nello stato di New York, vicino al New Jersey. Ve lo dico ora, perché tanto ci ritorneremo su la prossima volta. 

Bene, ho finito! Grazie per non esservi tagliati le vene, ci becchiamo alla prossima!

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Capitolo 6
*** Fare le valigie ***


Capitolo 6: FARE LE VALIGIE

 

Amalia e Ryan sembravano essersi trasformati in due addetti di una ditta di traslochi. Andavano e venivano da tutte le stanze, raccogliendo tutto quello che poteva servire e portandolo in due grossi borsoni che avevano lasciato in cucina. Anche Tara li stava aiutando a mettere la roba nei bagagli.

Lucas disse a Rachel che era già da un po’ che andavano avanti in quel modo.

Entrarono in cucina. Qui Ryan stava armeggiando con un borsone. Si accorse di loro e alzò lo sguardo. Sorrise a Rachel. «Ciao, stai meglio?»

«Io... sì, grazie...» rispose lei, sorpresa. Non ricordava di avergli ancora parlato.

«Bene.» Il rosso le rivolse un cenno del capo, poi tornò a sistemare la sua roba.

Rachel guardò con aria interrogativa Lucas, lui si limitò a sollevare le spalle.

«Ma guarda chi ci ha degnati della sua presenza» sbottò una voce alle loro spalle. I due si voltarono e si ritrovarono di fronte ad Amalia, la quale aveva un’aria alquanto scocciata. E il fucile in mano. «Se hai ancora sonno puoi benissimo tornare a dormire nel mio letto, non c’è problema!» si rivolse a Rachel. «E magari ti do anche qualche altro vestito, perché no!»

«Scusa, io non volevo disturbarti...» mormorò la corvina, mortificata.

«Ignorala, in realtà ci è grata per aver deciso di lasciarla venire con noi» si intromise X, guardando con sguardo provocatorio la mora.

«Va’ al diavolo, Rosso» replicò Amalia, passando in mezzo a loro due e dando una spallata al ragazzo. «Potevamo anche cavarcela da soli.»

«Non è vero...» mugugnò Ryan, tenendo la testa bassa sul suo borsone.

«Zitto tu!»

Un sorriso scappò dalle labbra di Rachel, quando osservò quella scena. Poi entrò anche Tara. Si fermò di colpo, quando notò la conduit di nuovo in piedi. «Oh... ben svegliata...»

«Grazie...» Non era sincera, ma nemmeno Tara lo sembrava.

Lucas si piazzò in mezzo a loro due, posando le mani sulle spalle di entrambe. «Bene, stavo proprio per venire a chiamarti, Tara. Ora che Rachel è sveglia, potete andare al vostro appartamento e prendere tutto quello che vi serve per il viaggio.»

Sia Rachel che Tara sgranarono gli occhi, udendo quella frase.

«Intendi... insieme?» domandò la bionda.

«Sì.»

«Ehm... vieni anche tu?» chiese a quel punto Rachel.

«No, io la mia roba già sono andato a prenderla, questa mattina. Non ho voglia di fare trecento viaggi. E poi è meglio che dia anche una mano a quel tesoro di Amalia...»

«Crepa» sbottò la mora, passando di nuovo accanto a loro in quel momento.

Lucas la ignorò. «Coraggio, Rachel...» Le diede qualche pacca sulla spalla, sogghignando. «La porti tu in volo, ci metterete un lampo ad andare e tornare.»

Le due ragazze, a quel punto, si guardarono tra loro. Era ovvio che l’idea non andasse a genio a nessuna delle due. Ed era anche ovvio che Lucas stava tramando qualcosa. Rachel fu quasi tentata di dire che lei non aveva bisogno di andare a prendere nulla, poi realizzò che in quel momento nemmeno aveva addosso i suoi vestiti, ma quelli di Amalia.

Non era affatto in vena di portare Tara fino a casa loro, ma non poteva certo lasciare la città senza niente da mettersi addosso, al di fuori dei vestiti che aveva prima di dormire. Almeno un cambio le serviva.

Sospirò. Non aveva nemmeno fatto colazione e già doveva ricominciare ad usare i poteri. Indicò la porta a Tara con un cenno del capo. «Dai, andiamo.»

Prima finiamo, meglio è.

Senza dire altro, le due ragazze uscirono. Rachel non vide Lucas stirare ulteriormente il suo sorrisetto, ma era convinta che lo avesse fatto.

Quando fu fuori, la corvina poté constatare che il temporale della notte precedente sembrava solo un lontano ricordo. Se non fosse stato per le enormi pozzanghere sparse qua e là per la strada, probabilmente non avrebbe nemmeno potuto dire con certezza che la sera prima avesse piovuto.

Il sole era alto nel cielo limpido, contornato da nuvole bianche come la neve. Sembrava quasi che il tempo variasse a seconda dello stato d’animo di Rachel. Burrascoso nei momenti bui, come quello della sera precedente, sereno quando le cose sembravano essere più tranquille.

«Allora... che si fa?» domandò Tara, riportandola alla realtà.

Rachel soffocò una smorfia. Per tre meravigliosi secondi si era dimenticata di doverla trasportare fino al Neon. «Mettiti qui, davanti a me» ordinò. «Di spalle.»

La bionda obbedì titubante, piazzandosi di fronte a lei. La conduit sospirò di nuovo, poi si strinse a lei, avvolgendole le braccia intorno alla vita. La sentì irrigidirsi con quel contatto. E nemmeno per lei fu una bella sensazione, abbracciarla in quel modo. I lunghi capelli biondi e setosi di Tara le stuzzicarono il volto e in quel momento Rachel ricordò di essere più bassa di lei. Era più bassa di tutti, ora che ci pensava. Perfino di Ryan.

«E... e adesso?» chiese ancora la ragazza priva di poteri, cercando di guardarla con la coda nell’occhio.

Rachel nascose un sorriso meschino. «Se cadi, muori.»

«Eh?!»

La luce nera investì i corpi delle due, al comando della conduit. I poteri sembravano di nuovo essersi tranquillizzati, anche se più tardi Rachel avrebbe fatto meglio a meditare un po’. Era meglio non rischiare dopo tutto quello che era successo.

La corvina assunse la sembianza di rapace, con al suo interno anche Tara. Sentì la bionda sussultare quando l’oscurità le avvolse entrambe, ma non le diede importanza.

Si concentrò profondamente, e pochi istanti dopo presero il volo, accompagnate da un urlo di sorpresa dell’altra ragazza.

 

***

 

Tara non sembrò gradire il viaggio. L’aveva implorata di rallentare almeno un milione di volte, o giù di lì, e quando erano atterrate era sembrata quasi in procinto di vomitare. Rachel non aveva assolutamente idea di cosa vedessero gli altri quando volavano insieme a lei, ma a giudicare dal comportamento della bionda, e anche da quello di Lucas alcune volte, non sembrava una bella esperienza.

Soffocò un altro sorriso, mentre guardava l’altra ragazza barcollare verso l’ingresso del loro condominio.

Entrarono in casa loro e si separarono, dirette entrambe verso le rispettive stanze. A Rachel fece una strana impressione il pensiero che quella era probabilmente l’ultima volta che vedeva quell’appartamento. La stessa sensazione provò quando vide la porta di camera sua. Si era sentita così tante volte imprigionata da quelle quattro mura sporche e crepate, eppure l’idea di andarsene per sempre da lì la metteva a disagio.

Scosse la testa, cacciando quei pensieri dalla sua testa. Era tardi per tornare indietro, ormai.

Aprì l’armadio nel corridoio, quello in cui teneva tutte le poche cose che aveva, ovvero qualche vestito e alcuni libri. Mentre frugava tra i pantaloni ritrovò perfino il suo vecchio cellulare. Lo schermo si era crepato quando il boato generato dall’esplosione l’aveva spedita a terra, ma funzionava lo stesso. Ricordava ancora come lo aveva avuto: era stato un regalo di compleanno che le avevano fatto i suoi amici.

Nessuno di loro poteva permetterselo ai tempi, così avevano fatto una colletta, mettendo insieme quel poco che avevano. Tutto per lei. Quel pensiero le fece venire un enorme peso allo stomaco. Sospirò, poi prese il telefono e lo cacciò in tasca. Doveva ricordarsi di toglierlo quando avrebbe restituito i pantaloni ad Amalia.

Finì di rovistare tra le sue cose, e con l’amaro in bocca scoprì di non avere un borsone o uno zaino in cui mettere tutta quella roba. Soffocò un’imprecazione, poi decise di andare a controllare in camera sua. Controllò sotto il letto, l’unico posto in cui poteva aver messo il suo vecchio zaino scolastico, ma non trovò nulla.

Sbuffò. A quanto pareva avrebbe dovuto chiedere a Tara se aveva qualcosa per lei. Fece per rimettersi in piedi, quando il suo sguardo catturò un dettaglio dapprima sfuggito alla sua attenzione. Sotto il materasso, all’altezza del cuscino, c’era qualcosa di piccolo e sottile. Inarcando un sopracciglio, Rachel allungò la mano e la afferrò.

Si rialzò e controllò ciò che aveva trovato. Un verso sorpreso uscì fuori dalla sua bocca quando realizzò di cosa si trattasse ciò che teneva tra le mani.

Una vecchia foto. Era stata scattata all’aperto, in un parco, di fronte ad un albero. Due persone erano raffigurate: una bambina con gli occhi viola e i capelli neri, assieme ad una giovane e bella donna con le sue stesse caratteristiche. La bambina aveva un sorrisetto allegro stampato in faccia, mentre la donna aveva un’espressione gentile e serena.

Rachel sentì gli occhi inumidirsi. Lei e sua madre, Arella.

Chissà quanti anni aveva quella foto. Almeno quindici. Era l’unico ricordo di sua madre che le era rimasto. Solo in quel momento la ragazza si ricordò che aveva custodito quella foto sotto il cuscino per tutto quel tempo. Probabilmente era finita sotto il letto per sbaglio.

Strofinò il polso sopra le palpebre chiuse, per ripulirle dalle lacrime che fortunatamente non erano scese, poi mise anche quella foto in tasca. Non l’avrebbe lasciata lì nemmeno per tutto l’oro del mondo.

Il suo sguardo cadde poi su un angolo della stanza, dove trovò il suo vecchio zaino. Roteò gli occhi, sospirando esausta, poi andò a prenderlo. Era conciato parecchio male. Certo, anche lui era presente al momento dell’esplosione.

Finì così di sistemare la sua roba, e si cambiò anche, dato che quello era il momento migliore per farlo. Una volta finito andò in salotto. Qui trovò Tara, con il cellulare attaccato all’orecchio. Le dava le spalle, ma sembrava comunque agitata. Lo intuì da come molleggiava con una gamba. «Andiamo, rispondi...» mugugnò, infastidita.

Rachel inarcò un sopracciglio, ma non fece nulla. Dopo diverso tempo, la bionda sospirò. «Ciao Brion, sono ancora io... lo so che ti ho già mandato altri messaggi e che se avessi potuto mi avresti già chiamata, però... fallo appena puoi, ok? Ti voglio bene... mi... mi mancate...»

Allontanò il telefono dall’orecchio. Piegò la testa e si posò una mano sul volto. Quando Rachel la sentì singhiozzare si irrigidì come un chiodo. Intuì ben presto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Indietreggiò lentamente, tornando nel corridoio. Attese che Tara si calmasse. Fortunatamente, il suo pianto non durò molto. Aspettò che si soffiasse il naso, poi si presentò nel salotto, facendo finta di niente.

Tara la sentì arrivare e si voltò. Aveva gli occhi ancora lucidi. «Hai... hai già finito?» domandò, cercando di usare un tono tranquillo, mettendo via il fazzoletto.

«Io... sì. Possiamo andare.»

«D’accordo... ma questa volta potresti volare più piano? Credo di avere il mal d’aria...»

Un lieve sorriso apparve sulle labbra di Rachel. «Vedrò cosa posso fare.»

 

***

 

Dovevano essere circa le tre del pomeriggio quando tutti loro si trovarono di fronte al West Bridge.

Alle loro spalle si trovava il Dedalo, e ancora più indietro l’intera Empire City. La città in cui tra loro c’era chi era nato, chi ci aveva trascorso tutta una vita e chi invece era arrivato da più o meno tempo. Ma soprattutto, era la città che aveva causato loro molteplici sofferenze, che aveva procurato delle cicatrici che mai sarebbero sparite.

Lucas aveva perso i genitori, Rachel gli amici, Tara il fidanzato, Amalia e Ryan la sorella.

Davanti a loro c’erano le sconfinate terre dello stato di New York. Campi, fattorie, l’infinita autostrada verso il New Jersey ed oltre. Davanti a loro c’era un mondo nuovo. C’era un nuovo inizio per tutti loro.

Si guardarono tutti tra loro un’ultima volta, per scacciare gli ultimi dubbi, poi mossero i primi passi verso l’ignoto. Lucas e Rachel avanzavano in testa al gruppo, fianco a fianco, mentre alle loro spalle Tara, Ryan e Amalia parlottavano tra loro.

Sfortunatamente erano a piedi, visto che tutte le auto funzionanti di Empire erano probabilmente già state utilizzate per lasciare la città. Non avevano ancora un’idea ben precisa su cosa avrebbero fatto  una volta attraversato quel ponte. Sicuramente, la prima cosa da fare era recuperare un’automobile. Non potevano camminare in eterno.

«A proposito, qual è la destinazione?» domandò Rachel all’ex Red X.

Il ragazzo sollevò le spalle. «Potremmo andare alla prossima città, per prima cosa, e vedere se la situazione lì è migliore.»

«Lucas... lo sai, vero, che la prossima grande città è a sessanta chilometri da qui? Prima ci sono solo campi e fattorie...»

«Gli altri non lo sanno, però. Aspettiamo di trovare una macchina, poi non sarà più un problema la destinazione.»

«E dove vorresti trovarla una macchina?»

«Beh... per adesso andiamocene da qui. Poi vedremo. Ricorda che tu sai volare, perciò nel peggiore dei casi potremmo scappare solo io e te.»

Rachel ridacchiò. «Non sarebbe male...»

Volse lo sguardo attorno a sé. Il ponte era deserto. Decine e decine di transenne, container, sacchi di sabbia e postazioni per mitragliatrici vuote erano sparpagliati un po’ ovunque. Una grossa rete era sollevata alle due estremità del ponte, probabilmente per impedire alle persone di fuggire saltando.

Era impressionante vedere tutta quella roba abbandonata. Chissà quanti soldi erano stati spesi per allestire tutta quell’area in quel modo, e chissà quanto tempo c’era voluto. Sembrava davvero che chiunque fosse stato a guardia di quel posto fosse stato richiamato d’urgenza.

«Strano, vero?» Lucas sembrò leggerle nel pensiero. Anche lui si stava guardando intorno, sospettoso. «Chissà cosa li ha spinti ad andarsene all’improvviso...»

La corvina annuì. Le tornarono in mente le parole di Richard. Si mordicchiò l’interno della guancia, meditando se riferire ciò anche a Lucas, poi decise di farlo. Glielo doveva, dopotutto. «A proposito... non te l’avevo detto prima, ma ieri sera Richard mi ha detto che... che il loro capo, Sasha, era morto. E che lui avrebbe preso il suo posto.»

«Il capo dei Mietitori era una donna?» domandò il ragazzo, sorpreso.

«Sì, ma... Richard ha detto che...»

«Dimenticalo, Rachel. I Mietitori sono fuggiti per il South Bridge, noi per il West. Non li incontreremo mai più.»

«E Sasha, allora? Non trovi strano il fatto che sia lei, che il capo degli Spazzini, siano morti poco prima che i posti di blocco venissero smantellati?»

«Pensi che le cose siano collegate?»

«Non saprei... penso che comunque ci sia qualcosa che non quadra.»

Red X rimase per un attimo in silenzio. Il fragore del fiume che scorreva sotto di loro rimase l’unico suono che si udì.

Camminarono per un altro breve tratto, poi il ragazzo scrollò le spalle. «Direi che ormai non ha più importanza. Siamo qui, adesso, no? Lasciamoci il passato alle spalle.»

«Ma...»

«Chi vivrà vedrà, Rachel.» Il ragazzo spostò il suo sguardo su di lei, serio in volto. «Ora non pensiamoci.»

«Sto solo dicendo che secondo me è meglio non abbassare la guardia, tutto qui.»

«E non lo faremo, di questo puoi esserne certa. Fino a quando non saremo al sicuro in un’altra città, ci comporteremo esattamente come se fossimo ancora ad Empire.»

Con quelle parole Rachel sembrò riuscire a tranquillizzarsi, eppure continuava ad avere una pulce nell’orecchio. Non riusciva a toglierselo dalla testa, c’era qualcosa di strano nell’aria. Di davvero strano. Ma quella era l’unica scelta che aveva. Restare ad Empire non sarebbe servito a nulla. Quella città era distrutta, così come la sua economia. Non ci si poteva più vivere là, a meno che lo stesso governo che sembrava averla abbandonata non ci avesse messo personalmente la mano. Non restava altro che proseguire.

Chi vivrà vedrà, aveva detto Lucas. Per quanto macabra, purtroppo era la frase più adatta da usare.

 Proseguirono. Ormai si erano lasciati la città alle spalle, ma fu solo quando arrivarono alla fine del ponte e videro un cartello con sopra scritto: "State lasciando Empire City", che la conduit riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

Ora erano fuori dalla metropoli, per davvero. Rachel inspirò. Erano fuori, al punto di non ritorno. Ovunque la strada di fronte a lei l’avesse portata, la conduit sapeva che quello sarebbe stato il suo futuro.

Sorrise. Era ora di scoprire cosa il futuro riservava per lei.

 

***

 

Erano ore che ormai andavano avanti. Dovevano essersi allontanati di una manciata di chilometri, almeno. Il sole aveva già ricominciato a calare, era quasi sera ormai. Fino a quel momento non aveva fatto molto caldo, ma ora che stava per calare del tutto avrebbero dovuto prepararsi ad un clima molto più mite.

Amalia e Ryan camminavano fianco a fianco, parlottando. Lo stesso facevano Lucas e Tara. A parte il moro, tutti quanti sembravano piuttosto stanchi. Pure Rachel, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Era stufa di apparire debole, ed inoltre non voleva rompere troppo le scatole al suo partner.

Come se non bastasse, aveva paura di sembrare pazza, ma per tutto il tempo si era costantemente sentita come se qualcuno li avesse osservati. Il che era strano, perché oltre a loro non c’era nessun’altro. Non era passata nemmeno una macchina, in tutto quel tempo. Sembrava quasi che il resto del mondo fosse scomparso all’improvviso, anche se era normale in quella zona del paese. Non c’era mai nulla, lì. Eppure, quella sensazione non aveva smesso di tormentarla.

«Per quanto abbiamo intenzione di camminare, Rosso?» sbottò Amalia all’improvviso.

«Finché non troviamo una macchina» replicò lui, tranquillo. «Non possiamo certo fermarci qui, nel bel mezzo del nulla, in prossimità della sera.»

«E ti aspetti che un’ auto piova dal cielo?!» esclamò la ragazza, accigliata.

«Beh... non so se sei una veggente, ma...» Lucas si fermò all’improvviso, indicando un punto imprecisato di fronte a sé. «... quella laggiù sembrerebbe proprio ciò che ci serve...»

Rachel aguzzò la vista e sgranò gli occhi quando notò ciò che il ragazzo stava indicando. Un pick-up grigio chiaro, abbandonato sul ciglio della strada. «Grazie al cielo...» mugugnò.

«Che fortuna!» fece eco Tara.

 «Non sappiamo se funziona però...» commentò ancora Amalia.

«Ma non puoi fartene andare bene una?» la rimbeccò Lucas, mentre si dirigevano verso la vettura. Komand’r replicò con il dito medio.

Raggiunsero la macchina. Naturalmente la trovarono chiusa, ma non fu un problema per Red X forzarla. Dopodiché entrò e si mise a smanettare sotto al volante.

«Aspettate, ma... la stiamo rubando?» domandò Ryan all’improvviso, osservando il ragazzo in nero mentre cercava di farla partire.

Rachel si sorprese di udire ancora la sua voce. Era sempre così silenzioso, spesso si dimenticava che ci fosse anche lui.

Lucas intanto scrollò le spalle. «Se il proprietario ha qualcosa in contrario può venire a dircelo...» Continuò ad armeggiare con il cruscotto. Il veicolo sembrava funzionare, però continuava a fare i capricci. Il motore dava segni di avviamento, ma non si azionava mai del tutto.  Diversi tentativi dopo, il ragazzo sbuffò e diede un colpo al volante. «Cazzo! È a secco!»

«E adesso?» domandò Tara.

«Dobbiamo cercare del carburante.» X sospirò esausto. «Non ci sono stazioni di servizio qui vicino?»

«Forse è per questo che il proprietario non c’è...» osservò Ryan. «Magari è andato a cercare aiuto.»

«E non avrebbe potuto chiamare un carro attrezzi?» interrogò Lucas, con un sopracciglio alzato.

«Beh, magari...»

«Quest’auto è stata abbandonata qui già da un bel po’...» Red X scese e si inginocchio accanto ad una gomma anteriore. «Guarda questo battistrada. Fa schifo. E qui è pieno di ruggine» disse ancora, indicando sotto il parafanghi. «Solamente trascurandole per un sacco di tempo le auto si riducono così. Mi sorprende che la batteria regga ancora. Ma senza benzina...» Lucas scosse la testa. «Non si va da nessuna parte.»

«E allora che facciamo? Continuiamo a camminare?» domandò Komand’r, chiaramente infastidita.

Rosso non rispose. Incrociò le braccia e si appoggiò alla vettura, chiaramente intento a rimuginare sul da farsi.

Rachel osservò prima lui, poi tutti gli altri. A giudicare dalle loro espressioni, era chiaro che non avrebbero retto un solo istante di più. A quel punto, capì cosa fare. Era stanca anche lei, vero, ma non al punto da non reggersi più in piedi. Poteva ancora farcela. «Voi restate qui» disse, slacciandosi lo zaino. «Vado avanti io e cerco una stazione di servizio.»

«Non sei costretta a farlo, Rachel» le disse Lucas, guardandola serio. «Possiamo riposare qui per un po’ e andare più tardi tutti insieme...»

«Tranquillo, ce la faccio.» Si voltò verso di Amalia, Tara e Ryan, poi sorrise. «E poi devo ancora sdebitarmi con voi per il vostro aiuto.»

«E per i vestiti» aggiunse la mora.

«Sì... giusto.» Corvina riportò lo sguardo sul ragazzo in nero. «Farò in fretta. Vado e torno.»

Red X sembrava riluttante all’idea, ma poi sospirò e scrollò le spalle. «Come ti pare, Roth.»

La conduit gli sorrise. «Tenete questo» disse poi, posando lo zaino ai piedi dei tre ragazzi.

Si allontanò di una decina di metri da tutti loro. Piegò le gambe e si preparò a partire, ma prima si voltò un’ultima volta verso i ragazzi. X le rivolse un cenno del capo, così fece lei, poi riportò lo sguardo di fronte a sé e si trasformò.

 

***

 

La sera calante non la aiutava certo a vedere bene cosa ci fosse sotto di lei, ma solo un cieco non avrebbe notato quella stazione di servizio sulla sinistra della strada.

Non aveva dovuto viaggiare molto per trovarla, ma doveva considerare che aveva volato. Camminando ci avrebbe sicuramente messo un’altra mezzora per raggiungere quel luogo. Fu enormemente soddisfatta della sua idea. In quel modo aveva evitato un’ulteriore camminata ai suoi compagni. Avrebbe voluto farlo fin dall’inizio, a dire il vero, cercare una macchina e riportarla indietro. Peccato che non sapesse guidare.

Atterrò. Fu parecchio sorprendente per lei trovare una macchina parcheggiata lì, tra i distributori. Era nera con una striscia bianca al centro, vecchia decrepita e anche piuttosto malridotta.

Notò che la porta della stazione era aperta e che dentro c’era accesa una luce. Forse quella zona di mondo non era deserta come avevano creduto.

Si avvicinò cautamente alla macchina e notò con enorme sorpresa che i sedili posteriori erano stracarichi di borse, zaini e valigie. Chiunque fosse il proprietario, era uno previdente. Si domandò se anche lui venisse da Empire.

Decise di andare a vedere chi ci fosse lì oltre a lei. Si avvicinò alla porta, cauta. «Ehm... c’è... c’è qualcuno?»

Fece per entrare, ma un’ombra sbucò fuori all’improvviso e la ragazza si ritrovò con una pistola puntata a tre centimetri dalla testa. Urlò per la sorpresa ed indietreggiò di scatto, finendo con l’inciampare. Ruzzolò a terra, mugugnando di dolore.

«Ops, scusa dolcezza...»

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Capitolo 7
*** Addio Empire... ***


Capitolo 7: ADDIO EMPIRE...

 

 

La ragazza fece immediatamente per rialzarsi e fronteggiare la minaccia, ma si rese conto che ciò non era necessario. L’individuo abbassò la pistola e le porse lui stesso la mano. «Aspetta, ti aiuto.»

Osservò la mano perplessa, poi si concentrò sulla persona di fronte a lei. Era un ragazzo, probabilmente sulla ventina. Capelli e occhi castani, giacca e jeans simili a quelli di Lucas e un mezzo sorrisetto stampato in faccia. «Non ti sei fatta male, vero?»

«No, no...» mormorò la ragazza, decidendo di accettare l’aiuto. Quel tizio non sembrava pericoloso, nonostante la pistola. E poi, prima Rachel era stata colta alla sprovvista, ma ora era pronta, se le cose si fossero messe male avrebbe potuto difendersi. Fu aiutata ad alzarsi, poi il suo interlocutore ritirò la mano.

«Perdonami, non volevo spaventarti, ma sai com’è...» Il ragazzo carezzò la canna della pistola, lentamente. «... di questi tempi è meglio fare attenzione... non si può mai sapere chi ci può capitare di fronte...» Mise via l’arma, ridacchiando. «È pieno di pazzi qua fuori...»

«Ehm... sì...» convenne la corvina, annuendo lentamente. Forse era meglio non abbassare troppo la guardia. Ora che lo osservava meglio, quel tipo sembrava uno di quei pazzoidi che tanto andava decantando.

«C’è qualcosa che posso fare per te?» chiese lui.

«Io... ecco...»

«Ehi, amico, che diavolo sta succedendo lì fuori?» Un altro ragazzo uscì dalla stazione, fermandosi non appena vide i due. Sogghignò. «Dannazione, potevi dirmelo che avevi compagnia, non ti avrei disturbato!»

Anche lui aveva una pistola, ma la mise via immediatamente, nascondendola dentro i pantaloni da ginnastica. Sotto un cappellino nascondeva i capelli castani come quelli del suo compare, e aveva gli occhi color ambra. Teneva una sigaretta accesa tra le labbra.

«Allora, che ci fa una bella pupa come te in un postaccio come questo?» domandò, dandosi un colpetto alla visiera del berretto.

«Cer... cercavo del carburante...» spiegò lei, sentendosi parecchio a disagio sotto gli sguardi di quei due. Doveva essere contenta di avere finalmente incontrato qualcuno, in quelle lande desolate, ma in quel momento provava l’esatto contrario. Quei due la guardavano come se la stessero studiando centimetro dopo centimetro. Sperò di non aver incontrato due maniaci.

«Carburante, eh?» Il ragazzo con la giacca nera si prese il mento, guardandosi intorno perplesso. «Beh, mi spiace dirtelo, ma questo posto è...»

«Questo posto è più vuoto delle palle di un adolescente, se capisci cosa intendo...» sghignazzò quello col cappello.

«Suvvia, Kev. Siamo in presenza di una donzella, evita certi discorsi.» Il castano avvolse un braccio attorno al compare, tornando a guardare la conduit con quel suo sguardo inquietante. «Perdonalo, ha avuto un’infanzia difficile...»

«Vaffanculo Dom» sbottò l’altro. «Ho avuto un’infanzia meravigliosa, io.»

Rachel li osservava sempre più stranita. Una vocina nella sua testa le disse improvvisamente che avrebbe fatto meglio ad andarsene da lì al più presto.

«Comunque, la signora ha fatto tanta strada per avere un po’ di benzina, noi non vogliamo certo che rimanga a mani vuote! Forza amico, dalle un po’ della nostra!»

«Sul serio amico?»

«Ma certo.»

L’altro ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso, ma poi scrollò le spalle. «Come ti pare.»

«Davvero mi date la vostra?» domandò la ragazza, sinceramente sorpresa. «Grazie, ma... non vorrei mai...»

«Non preoccuparti. La prossima città non è lontana, ci potremo rifornire di nuovo là.» Il castano le sorrise di nuovo, gentile, anche se l’espressione folle nei suoi occhi non svanì del tutto. «Tu ne hai più bisogno di noi.»

Rachel dischiuse le labbra. Non sapeva più cosa pensare di quei due, di quello di fronte a lei in particolare. Quella voce nella sua testa le stava semplicemente ripetendo di accettare quella benzina e scappare da lì più in fretta che poteva, nonostante avesse i poteri.

Il ragazzo col cappello, Kev, tornò poco dopo, con una tanica di benzina in una mano e la sigaretta ancora accesa nell’altra. «Prendi e non rompere le scatole.»

«Ehm... grazie...» La conduit prese il dono, preoccupata dalla presenza di quella sigaretta così vicina al carburante, poi tornò a guardare l’altro. Il campanello d’allarme nella sua testa trillava sempre più forte man mano che i secondi passavano e lei continuava a restare in quel posto. «Ecco... allora io vado, ok? Grazie... grazie ancora...»

«Figurati.» Quello piegò leggermente il capo e distese il suo sorriso. Divenne ancora più inquietante. «È stato un piacere.»

Corvina si voltò e diede loro le spalle. Cominciò ad allontanarsi, con la tanica stretta tra le sue braccia. Prima di usare i suoi poteri voleva assicurarsi di non essere vista da quei due. E non solo perché non voleva allarmarli, ma soprattutto perché sospettava che usarli di fronte a loro sarebbe stata una pessima mossa. Davvero, davvero pessima.

Quando fu convinta di essersi allontanata a sufficienza e la stazione di servizio si confuse con l’oscurità dietro di lei, sentì ancora la voce del castano provenire dal buio: «Spero di rivederti presto, Rachel!»

La ragazza sussultò e si trasformò all’istante, decollando più in fretta che poté e volando veloce come non aveva mai volato.

Solamente dopo diversi minuti, realizzò di non aver mai detto come si chiamava a quei due.

 

***

 

«Rachel, stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma...» osservò Lucas, quando la ragazza ritornò dai suoi compagni.

«Non farci caso...» mugugnò lei in risposta, consegnando la tanica. «Ho preso ciò che ci serve.»

«Ottimo.» Red X la prese e cominciò a fare il pieno al camioncino. «Bel lavoro.»

«Grazie...» mugugnò la corvina, per poi sbadigliare. Nonostante avesse dormito più di chiunque altro tra loro, era esausta, completamente.

Inoltre, l’aver incontrato quei due tizi non aveva per nulla aiutato. Il primo dei due, soprattutto, lo avrebbe rivisto nei suoi incubi, ne era certa. Pregò di non incontrarlo mai più, a discapito di ciò che lui le aveva augurato. Forse anche lui era un conduit, questo magari avrebbe potuto spiegare come facesse a sapere il suo nome. Magari era una specie di veggente. O magari era lei ad essersi immaginata tutto. Non sapeva quale delle due alternative fosse la migliore, a dire il vero. Sapeva solo che aveva bisogno di dormire, e che non avrebbe mai e poi mai parlato di ciò che aveva visto con nessuno.

Lucas nel frattempo gettò la tanica ormai vuota nel cassone dietro al pick-up, assieme a tutti i borsoni. «Forza, tutti a bordo.»

«Io sto davanti!» esclamò Ryan scavalcando il cofano della macchina con una scivolata e precipitandosi dalla parte del sedile da passeggero.

Uno dopo l’altro i ragazzi salirono. Lucas si mise al volante e questa volta, dopo diversi tentativi e altrettante imprecazioni, riuscì ad avviare il veicolo. Rachel si sistemò dietro, vicino al finestrino. Accanto a lei c’era Amalia, la quale si abbandonò contro il sedile con un sospiro esausto, e per finire Tara.

L’auto cominciò a muoversi poco dopo. Dopo aver camminato per tanto tempo, a Corvina parve surreale spostarsi in quel modo senza più fare alcuna fatica. E poi i sedili erano davvero comodi, ed inoltre l’interno era molto spazioso. Guardò fuori dal finestrino. Non riusciva a scorgere granché, a causa del buio, ma fu molto rilassante per lei osservare il paesaggio oltre quel vetro.

Non passò molto tempo, prima che i suoi occhi si chiudessero del tutto e si addormentasse, vinta dalla stanchezza.

 

***

 

Chi l’avrebbe mai potuto dire? Lei, Rachel Roth, la ragazza più fredda e distaccata di tutto il collegio, con un abito da sera addosso.

Continuava a rigirarsi di fronte allo specchio cercando di auto convincersi che quel vestito le donasse, quando in realtà pensava l’esatto opposto. L’unica cosa che la convinceva di quell’abito era il colore. Blu, come il suo preferito. Per il resto... beh, l’elenco di ciò che la infastidiva non sembrava avere fine.

Non le piaceva il fatto che schiena e spalle fossero così scoperte, a stento le arrivava alle ginocchia ed era troppo scollato. Ma come potevano essere così costosi quegli abiti se a malapena coprivano metà del corpo?

Fu solo pensando al suo obiettivo che riuscì a smettere di rimuginarci su. Poteva piacerle come non, fatto stava che una volta uscita con quell’abito addosso, tutti gli occhi sarebbero stati posati su di lei. Quelli di una persona in particolare.

Sorrise di fronte al suo riflesso. Non appena Richard l’avrebbe vista, avrebbe realizzato quanto bella fosse la sua amica d’infanzia. E a quel punto si sarebbero messi insieme, come già avrebbero dovuto fare anni prima.

A stento conteneva la sua eccitazione. Era da anni che non si sentiva così vitale. Ma era questo l’effetto che lui aveva su di lei, le metteva il buon umore, nel bene e nel male, col sole e con la pioggia.

Fu con quell’ultimo pensiero che uscì dalla stanza e raggiunse i suoi amici, nella palestra del collegio, dove si stava tenendo il ballo di fine anno. Dove finalmente avrebbe aperto il suo cuore a Richard.

Come aveva immaginato, molti sguardi caddero su di lei quando raggiunse la sua destinazione. Ma il fatto che la festa fosse già cominciata da un po’ e che l’illuminazione fosse piuttosto scarsa giocò a suo favore. E comunque, il pensiero fisso di Richard nella sua mente la aiutò ad ignorare tutte le occhiate indiscrete.

Si fece strada nella palestra, allestita come discoteca per l’occasione. Luci stroboscopiche, musica ad alto volume, open bar  e un sacco di ragazzi sudati che ballavano scatenati. Non fu proprio una bella esperienza per lei. Se non avesse dovuto fare ciò che aveva intenzione di fare, probabilmente non ci avrebbe mai messo piede lì dentro.

Finalmente raggiunse l’angolo della palestra dove aveva deciso di incontrasi con i suoi amici. Qui trovò i migliori: Victor e Logan, insieme alle fidanzate, Jennifer e Tara. Anche loro due erano vestite con due fazzoletti come quello di Rachel, cosa che fece sentire molto più tranquilla la corvina. Jennifer aveva un abito rosa, come la tinta dei suoi capelli, mentre Tara ne aveva uno rosso, come il suo colore preferito.

«Accidenti, guarda un po’ chi è uscita dalla tana!» esclamò la rosa con un sorrisetto, vedendola arrivare. «E con che classe!»

«Ciao anche a te, Jenni» replicò Rachel, ricambiando il sorriso. Poi si guardò l’abito. «Ti piace? Io non ne ero molto convinta...»

«Sei uno schianto...» commentò Garfield, per poi beccarsi una poderosa gomitata da Tara. «Ouch!»

«Grazie Logan.» Rachel sorrise anche a lui. «Tara» disse anche alla bionda, rivolgendole un cenno del capo. La ragazza ricambiò, senza mutare la sua espressione indifferente, poi tirò il fidanzato per la manica. «Tesoro, mi accompagni a prendere da bere?»

«Cosa, adesso? Non potremmo aspettare che arrivino anche...»

La ragazza lo interruppe, tirandolo per il braccio verso di lei. I loro volti si sfiorarono, lo sguardo di Tara era carico di intensità. «Magari potremmo anche andare a fare un salto nel ripostiglio...» suggerì maliziosa, facendogli scorrere le dita sul petto.

Garfield rimase a bocca socchiusa. Spostò lo sguardo sugli altri ragazzi, i quali osservavano la scena divertiti, poi si schiarì la gola. «Ehm... scusate gente, ma... devo proprio andare. Sapete com’è, no?, quando la sete arriva, bisogna...»

«Sì, sì, hanno capito» lo interruppe Tara trascinandolo via.

Rachel li seguì con lo sguardo fino a quando non sparirono in mezzo alla folla, sotto le risatine di Victor e Jennifer. Nonostante Tara non le andasse molto a genio, nonostante quei due avessero in testa solamente una cosa, ovvero copulare, i due ragazzi biondi facevano una bella coppia, ed era sinceramente felice per loro. Adesso, però, toccava anche a lei trovare il suo uomo.

«Allora, come mai sei tutta in ghingheri?» domandò intanto Victor, tirando a sé Jennifer.

«Ecco, volevo fare una sorpresa ad una persona...» rispose la corvina, arrossendo.

«Se è un ragazzo allora credo che funzionerà...» si intromise Jennifer. «Non appena vedono una scollatura vanno fuori di testa. E tu ne sai qualcosa, vero?» domandò all’afroamericano con tono mellifluo,accarezzandogli una guancia.

«No, ti sbagli. Non ho assolutamente idea di cosa tu stia dicendo» replicò lui, chinando il capo per poterle stampare un bacio sulle labbra.

Rachel roteò gli occhi e distolse lo sguardo. «Vi prego, almeno voi evitate di fare certe cose...»

«Aspetta, Rachel...» fece Victor, una volta separato dalla rosa. «Per caso la persona di cui parli è... Richard?»

La ragazza arrossì ulteriormente. Era così evidente ormai la sua cotta per lui? Si voltò, osservando il pavimento imbarazzata. «Beh... sì... perché?»

«Oh-oh» mugugnò Jennifer.

«Cosa?» domandò Rachel, alzando lo sguardo allarmata. «Che significa quel verso?»

I due fidanzati si guardarono tra loro, chiaramente a disagio.

«Ragazzi, mi state spaventando, che sta succedendo?»

«Ecco, vedi...» cominciò Victor, sospirando. «Lui...» Si interruppe di colpo, guardando ad occhi sgranati un punto alle spalle di Rachel.

«Vic? Che cavolo ti...» La ragazza si voltò, cercando di capire cosa diavolo avesse appena trasformato il suo amico in un baccalà.

Vide Richard in mezzo ad una folla di studenti. Sorrise, non capendo cosa potesse aver visto Victor di tanto allarmante, finché poi non notò la presenza di un’altra persona, che teneva il ragazzo moro per mano.

Una ragazza. Alta, slanciata, bella. Rachel rimase a bocca aperta. La riconobbe all’istante, quella era Koriand’r, la nuova studentessa.

Il suo cervello faticò a capire cosa stesse succedendo finché la bomba non esplose. I due ragazzi si baciarono. Richard e Kori, lì, in mezzo alla palestra, di fronte a lei. Il ragazzo che amava, il suo amico di infanzia... e quella nuova.

Il mondo le crollò addosso. Rimase ferma, paralizzata, di fronte a quella scena. Non seppe più cosa pensare.

«R-Rachel?» la chiamò Victor, titubante. La ragazza riuscì a riconoscere il suo nome, perché si voltò verso di lui.

Il ragazzo la guardava preoccupato, così come Jennifer. Poi entrambi divennero improvvisamente sfocati. Tutto quanto si fece meno nitido agli occhi di Rachel. Lacrime salate scesero dai suoi occhi, mentre realizzava di avere perso la sua occasione di dire a Richard cosa provava per lui.

A quel punto tutto si fece scuro attorno a lei. Non vide più nulla. Corse via, lasciandosi alle spalle Jennifer e Victor. I due cercarono ancora di chiamarla, ma lei a malapena li sentì. Scappò, impacciata nei movimenti a causa dell’abito, delle scarpe con i tacchi e della vista appannata.

Raggiunse l’uscita di emergenza, dall’altro lato della palestra. Voleva solo più tornare nella sua stanza e piangere.

Rischiò di cadere diverse volte, ma alla fine raggiunse la porta. Si buttò sul maniglione antipanico e uscì.

Ma non si ritrovò fuori dall’edificio. No, si ritrovò in un’enorme distesa di immondizia. Ovunque guardasse vedeva solo cumuli di rottami e rifiuti, accatastati per terra, o messi insieme per ricreare delle specie di baracche.

Non capì cosa stesse accadendo. Cercò di guardarsi intorno, di muovere la testa, ma con sua enorme sorpresa ciò le fu impossibile. Tentò di gridare, ma anche quello non le riuscì. A quel punto provò a compiere anche il più banale dei movimenti, ma non fu in grado di fare neppure quello.

La sua mano si azionò all’improvviso, ma non era lei a controllarla. Quando entrò nel suo campo visivo, notò con suo enorme orrore che quella non poteva essere la sua. Era molto più grossa e grinzosa. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, dove si trovasse, chi diavolo fosse, ma non riuscì a rimuginarci più di tanto, perché qualcuno parlò: «Maledizione! Perché non riesco più ad usarli?! Che razza di conduit è uno che non riesce ad usare i suoi poteri?!»

La ragazza rabbrividì. Quella voce era quella di un uomo. Il timbro era aspro e sgradevole, simile a quello di un vecchio becero. E la cosa peggiore era che le suonava terribilmente familiare. Perfino la distesa di immondizia e baracche di fronte a lei le suonava familiare.

La sua mano continuò a muoversi convulsivamente, mirando un cumulo di rifiuti sparsi a terra. Continuò finché quella voce non si fece sentire di nuovo, questa volta prostrandosi in un grido frustrato. «Cazzo! Non funziona niente! Cazzo!»

E fu allora che Rachel realizzò un’altra orribile cosa. Quella voce... quella voce anziana, maschile... proveniva dalla sua gola. Era lei che stava parlando, era lei che muoveva quella mano...

Eppure non era lei.

Lei era lì... ma in realtà non c’era affatto.

E non appena si rese conto di ciò, l’oscurità inghiottì ogni cosa.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi di scatto, boccheggiando quasi disperatamente. Si guardò intorno, freneticamente. Ciò che vide fu semplicemente l’interno giallo di una macchina.

Quando riconobbe quella moquette, si abbandonò contro il sedile, sospirando rumorosamente. Il cuore batteva forte nel suo petto, ma se non altro riuscì a stabilizzare il respiro. Era quasi andata in iperventilazione.

Rimase per un attimo accasciata contro il poggia schiena, a riprendere fiato e ad aspettare che il cuore smettesse di martellare.

Si passò una mano sulla fronte, imperlata di sudore. Si diede un’asciugata, poi abbandonò il braccio sulla gamba. Si sentiva come se le avessero tappato il naso mentre dormiva. Continuava ad inspirare ed espirare, come per cercare di colmare un’improvvisa carenza d’ossigeno.

Realizzò in quel momento che la macchina era ferma. L’unico presente all’interno era Ryan, intento a sonnecchiare, appoggiato contro il finestrino.

Lucas non c’era, così come Amalia e Tara.

Decise di scendere a respirare una boccata d’aria fresca. Era ancora sera, le stelle brillavano alte nel cielo, accanto alla luna. Si appoggiò alla portiera ed inspirò ancora una volta, profondamente.

«Rachel» la chiamò una voce, facendola voltare. Tara e Amalia erano poco distanti dalla macchina, sul ciglio della strada. Era stata la bionda a chiamarla. «Tutto ok? Sei scesa come una furia...»

«Io...» la corvina si massaggiò una tempia, avvicinandosi a loro. «Sì, sto bene... ho solo avuto un incubo...»

«Accidenti» commentò Amalia. «Un incubo in due ore di sonno? Certo che tu e la sfiga andate a braccetto...»

Rachel fece una smorfia e non rispose, mentre Tara ridacchiò piano, coprendosi leggermente la bocca. Solo dopo averla vista compiere quel gesto, la conduit si rese conto che stringeva una sigaretta accesa tra le dita.

«Da quando fumi?» domandò, sorpresa.

«Beh...» La bionda si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Da circa... dopo l’esplosione... so che fa male, ma è un buon modo per scaricare lo stress...»

«Puoi dirlo forte» replicò Amalia, portandosi anche lei una sigaretta accesa alle labbra, per poi soffiare una nuvola di fumo sopra di sé.

Corvina spostò lo sguardo su di lei. Vederla fumare in quel modo le riportò alla mente il ragazzo che aveva incontrato alla stazione di servizio. Sentì le budella contorcersi a quel pensiero. Tra quei due e i sogni che aveva fatto, non sapeva più dove sbattere la testa.

«Che c’è?» domandò la mora, accorgendosi del suo sguardo. Le porse la sigaretta. «Vuoi fare una nota?»

«Cosa? No, no...» rispose Rachel, scuotendo leggermente la testa per eliminare quei pensieri che la tormentavano.

«Meglio.» E Amalia fece un altro tiro.

«Dove... dov’è Lucas?»

«Cristo, non sopravvivi senza di lui per cinque secondi?» sbottò Komand’r, torva.

La corvina ammutolì. Sperò che Amalia non avesse frainteso.

«Doveva fare pipì...» spiegò Tara, pazientemente, mentre dava dei colpetti alla sigaretta per eliminare la cenere superflua. «Tra poco dovrebbe tornare.»

«Grazie.» Rachel accennò un sorriso di riconoscenza.

«Sul serio, non sei stanca di essergli sempre appresso?» interrogò ancora la mora. «Saranno mesi che non si fa una doccia! Hai sentito che puzza quando gli stai vicino?»

«Beh, lui è stato il primo ad aiutarmi con i miei problemi, dopo l’esplosione...» cominciò a spiegare Corvina. «... abbiamo lavorato insieme per tanto tempo, ci... ci siamo dati una mano a vicenda, per questo ora gli sono molto riconoscente... e comunque l’acqua mancava in quasi tutta la città, tutte noi abbiamo bisogno di una doccia...»

«Sì, in effetti...» commentò Tara, per poi annusarsi il colletto della maglietta e ritrarre immediatamente il naso. «Wow... che schifo...»

Amalia rise, gettando il capo all’indietro, e anche Rachel sorrise di fronte alla smorfia semidisgustata della bionda.

«Ci sarà tempo per la doccia, comunque» proseguì Komand’r, gettando a terra e pestando la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone. «Ciò che conta adesso, è allontanarsi il più possibile da Empire. Ho perso fin troppo a causa di quella città maledetta.» Spostò lo sguardo verso l’auto, dove Ryan dormiva ancora indisturbato. «Ancora non riesco a crederci che ce ne siamo andate da quell’inferno, sapete? Ma per fortuna ora siamo qui, al sicuro. Mio fratello, è al sicuro. Non avrei mai sopportato di perdere anche lui.»

«Gli vuoi proprio bene...» le sorrise Tara.

Amalia annuì, senza guardarla. «Sì... sì, è così... e ne volevo anche a Kori...» Strinse i pugni, cambiando improvvisamente umore. «Mi dispiace solo... di non averlo mai detto anche a lei...»

Sospirò pesantemente. Sembrava stesse per piangere. «Dio... ma che diavolo c’è che non va in me?!»

«Ehi, ehi, calma...» Tara le posò una mano sulla spalla, cercando di rassicurarla, prima che esplodesse di nuovo. «Non sempre due fratelli sono espansivi l’uno con l’altro, ma anche se non gliel’hai mai detto, sono certa che Kori sapeva che le volevi bene. Chiunque gliene avrebbe voluto.»

Komand’r non parve convinta da quelle parole. Scosse lentamente la testa. «Credimi, non è così semplice...» mormorò, per poi tacere con un altro sospiro.

Rachel e Tara si scambiarono un’occhiata perplessa, ma nessuna delle due disse nulla.

«Ehi voi!» Una voce giunse alle loro orecchie all’improvviso.

Le tre ragazze si voltarono. Rachel fu grata di vedere Lucas dirigersi verso di loro in quel momento. Non avrebbe sopportato quel silenzio imbarazzante che stava per crearsi poco prima.

«Che cavolo fate lì fuori?»

«Stavamo fumando» replicò Amalia, ritornando improvvisamente in sé. Fu sorprendente la velocità con cui riprese il tono apatico che usava con Lucas. «Tu piuttosto, quanto cavolo ci hai messo?!»

«Scusami se ti ho fatta aspettare!» esclamò il ragazzo, fingendosi accigliato. «Se vuoi la prossima volta puoi venire a controllare che faccia più in fretta! Magari poi gradisci anche la vista, che ne dici?»

«Ti piacerebbe» ribatté Komand’r, per poi distogliere lo sguardo da lui con un verso di disappunto. «Avrai una pulce là sotto...»

«Oh ma davvero? Quanto sei disposta a scommettere?»

«Ti prego, se il tuo coso fosse al di sopra della media ce ne saremmo già accorte mentre indossavi la tua tutina nera attillata...»

«Che ne dici se ci facciamo un giretto solo tu ed io? Così vedremo chi avrà l’ultima parola.»

I due cominciarono a discutere, con le continue risatine di sottofondo di Tara.

Rachel sospirò, assistendo al loro ennesimo battibecco. Diede le spalle a tutti loro e se ne ritornò in auto. Almeno Ryan non avrebbe rischiato a mettere in scena teatrini imbarazzanti come quello a cui aveva appena assistito.

Ma mentre camminava un sorriso scappò dalle sue labbra. Anche i suoi vecchi amici si comportavano esattamente come loro. Infondo... erano ragazzi. E alla fin fine non le dispiaceva nemmeno poi tanto.

Prima di salire di nuovo in macchina, osservò la strada di fronte a lei. Era fuori da Empire, diretta verso una nuova meta, con una compagnia tutto sommato buona. 

Le sembrava di essere tornata a cinque anni prima, quando era con i suoi amici e con un Richard che ancora non l'aveva tradita, quando tutto quanto le sembrava non perfetto, ma quantomeno sereno.

Quando aveva poco per volta imparato a superare la perdita di sua madre e di suo padre e, in un certo senso, aveva cominciato a rinascere, aiutata dal buonumore incessante di Logan e di Victor, dalla compagnia di Richard e dalle serate tra donne con Jennifer e Karen.

Tutto quanto poi era svanito dopo l'esplosione, anzi, ancora prima. E aveva pensato quella volta che sarebbe stato per davvero, che non avrebbe mai più avuto modo di rinascere nuovamente. Ma dopo aver incontrato Lucas aveva cominciato a ricredersi, poi erano arrivati la ben più chiassosa Amalia, il timido Ryan e per finire anche Tara.

Certo, non poteva definirli i migliori amici che avesse mai avuto, forse nemmeno "amici", ma erano comunque la sua compagnia di viaggio. 

Si sedette sul sedile posteriore, questa volta con un sorriso più marcato.

Se non altro, sapeva che su qualcuno al di fuori di lei stessa poteva contare, in quell'immediato futuro pieno di incertezze che l'attendeva.






Per chi se lo stesse domandando:

Jennifer è Iella (mi pare di aver letto, tempo orsono, che questo è il suo vero nome, ma ultimamente cercando non ho trovato notizie in grado di approvare questa teoria. Nel dubbio, io continuo a chiamarla Jennifer);
Karen è Bumblebee;
Victor e (Garfield) Logan sono Cyborg e BB;
So che già lo sapevate, però io ve lo dico lo stesso perché sono un rompiballe.
E beh, Richard, Kori e Tara li conoscono anche i muri ormai.

Visto che il monologo si è rivelato parzialmente fallimentare, ho optato per qualcosa di un po' più classico, ovvero i classici sogni/flashback. Non so quale sia il loro termine tecnico, perdonatemi. Ci sta qualche scorcio del passato di Rachel, dopotutto.
E poi, ovviamente, la seconda parte del sogno di Rachel. Spero che si sia ben capito cosa accade in essa e sopratutto dove si svolge e chi sia il protagonista di tale scena, al di fuori di Rachel. Ma ci ritorneremo su, non preoccupatevi.

E, per finire, alla categoria di personaggi meno conosciuti che si aggiungono alla storia ecco che appaiono i due ragazzi alla stazione di servizio. Potranno sembrare due semplici cameo (in particolare per chi già li ha conosciuti nelle mie altre storie), ma non è così, ve lo assicuro...

Prima di andare, vorrei ringraziare quelle 52 anime pie che leggono costantemente i miei capitoli. Un numero un po' in ribasso, effettivamente, dopo i quasi 200 fissi di HoS (in alcuni casi anche 300-400), ma, ormai si è capito, altro genere di storia, altro pubblico.
Comunque, vi ringrazio, voi 50 circa.

E ora posso passare ai saluti.
Al prossimo capitolo, bye!

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Capitolo 8
*** ... Benvenuta Sub City... ***


Capitolo 8: ... BENVENUTA SUB CITY...

 

Erano circa le due del mattino quando riuscirono finalmente a scorgere prime luci della periferia di Suburb City, la grande città più vicina ad Empire, situata ad un centinaio di chilometri di distanza dal confine con il New Jersey.

Per tutto il tragitto le altre auto avevano continuato imperterrite a non farsi vedere. Era come se fossero tutti spariti dal resto del mondo.

Certo, non c’era tanto di anomalo in tutto ciò. Quello era un tratto di strada non molto frequentato, complice anche il fatto che Empire e Sub City, entrambe due grandi metropoli, avevano sempre goduto di una loro autonomia e non avevano mai necessitato scambi con l’esterno.

Ma alla luce di tutto ciò che era successo, dopo l’esplosione, la quarantena ed eccetera, Rachel si sarebbe aspettata di vedere qualcuno. Invece niente, solo quei due ragazzi alla stazione di servizio. Ragazzi che avrebbe volentieri fatto a meno di incontrare, se solo non le avessero almeno dato la benzina.

Come se non bastasse, pure il sogno che aveva fatto continuava a tormentarla. Non tanto la prima parte di esso; quello, per quanto sgradevole, era solo un brutto ricordo che a volte riemergeva. Era quello che aveva visto dopo che non le dava pace. La baraccopoli nel Dedalo, quella voce scorbutica, quelle mani grinzose, il fatto che non fosse lei a controllare il suo corpo...

Forse avrebbe dovuto chiedere in proposito di ciò a qualcuno. Un’idea, un’opinione, qualsiasi cosa che avesse potuto aiutarla ad interpretare quel sogno, ma non voleva rischiare di sembrare una pazza. Se si fosse messa a decantare tutte le stranezze che aveva visto nel mondo onirico, probabilmente l’avrebbero chiusa in un manicomio, se ancora esistevano da qualche parte.

La cosa migliore che restava da fare era tenersi quelle informazioni per sé, e divulgarle solo nel caso in cui sogni come quelli fossero divenuti un fenomeno abituale. E poi, più ci pensava e più le veniva difficile ricordarsi cosa avesse visto con esattezza. Era tutto così... confuso.

«Ci fermiamo qui?» domandò Tara guardando fuori dal finestrino, mentre la periferia della città era sempre più vicina.

Lucas annuì. «Vediamo se sono disposti ad ospitare alcuni poveri rifugiati di Empire.»

Penetrarono nella metropoli. Superata la zona industriale, strade prive di traffico, lampioni sfarfallanti e automobili abbandonate sul ciglio della strada li accolsero.

Gli edifici non erano come quelli di Empire, erano tutti in buone condizioni, così come le auto, e sui marciapiedi non c’erano né crepe, né erbacce, né cadaveri.

Fu sorprendente per tutti loro vedere una città che aveva l’aspetto di una vera città, dopo aver vissuto ad Empire. Sembrava davvero che nulla di tutto quello che era successo alla loro vecchia casa avesse sfiorato Sub City.

Eppure non c’era nessuno in giro. E con nessuno, si intendeva proprio nessuno. La strada era deserta, così come i marciapiedi, e tutte le luci nelle case erano spente. Ad Empire, a qualsiasi ora, qualcuno in giro lo si incontrava sempre. Lì no.

Quel dettaglio non poté non arrivare agli occhi di Rachel. «Ma... dove sono tutti?»

«Non lo so... tenete gli occhi aperti» rispose Lucas, anche lui guardingo. «Magari c’è solo qualche coprifuoco...»

Proseguirono. Giunsero a quella che con tutta probabilità era la parte storica della città. Un cartello di indicazioni li accolse, recitando le parole: "Old Sub".

Gli edifici erano più rudimentali, la strada era interamente piastrellata e i lampioni avevano l’aspetto di quelli più antichi, a cherosene. E nemmeno qui c’era l’ombra di qualcuno.

Tutto ciò suonava terribilmente sgradevole alla vista di Rachel. Cos’era, a Sub City era esploso un altro ordigno che aveva cancellato la vita, ma non le costruzioni? Rabbrividì quando si pose quel quesito.

La macchina si fermò all’improvviso. Il motore si spense, così come i fanali. Rachel sussultò, mentre Amalia si incavolò direttamente, ma anche lei aveva un tono di voce piuttosto nervoso. «Che cavolo fai, Rosso?!»

«Io nulla, è questa macchina che è un cesso con quattro ruote» sbottò il moro alla guida. Tentò diverse volto di riaccendere l’auto, ma sempre senza successo. Dopo l’ennesimo tentativo a vuoto sferrò un colpo al volante, grugnendo irritato, poi aprì la portiera. «Forza, andiamo avanti a piedi. Cerchiamo un posto per passare la notte, domattina cercherò di capire che diavolo ha che non va l’auto. Poi potremo dare un’occhiata migliore alla città.»

«Usciamo... qui?» domandò Ryan, svegliatosi da poco, guardandosi intorno con aria piuttosto titubante.

«Hai idee migliori, genio?» domandò Lucas, uscendo e sbattendo la porta senza nemmeno attendere una risposta. Fu parecchio scorbutico, ma Rachel sapeva il perché; faceva così tutte le volte che era teso. E se anche lui era angosciato per qualcosa, allora non era nulla di buono.

«Ehm... no.» Il rosso seguì nel frattempo l’esempio di Red X, così fecero anche le tre ragazze. Anche se Rachel non era molto entusiasta. Ma di sicuro andarsene dalla strada era una proposta molto più allettante che rimanerci, anche in auto.

Sul muro esattamente di fronte a loro, a malapena illuminato dalla luce dei lampioni, trovarono un’enorme scritta con le bombolette, di colore nero. All’inizio la corvina pensò che si trattasse di qualche stupido atto di vandalismo, ma quando lesse quelle parole, queste si conficcarono nella sua mente come una lancia:

 

I vigliacchi sognano, i sognatori cambiano il mondo.

 

Rachel deglutì. Rimase con gli occhi fissi a quella frase, cercando di cogliere il significato celato sotto di esse.

«Tsk. Piccoli ribelli crescono...» commentò Lucas, arrivandole di fianco all’improvviso. Scosse la testa. «Che spreco di vernice spray...»

La conduit non fu molto d’accordo con quelle parole, ma decise di tenersi quell’opinione per sé. Chiunque fosse l’artefice di quel graffito, non poteva certo essere un adolescente ribelle.

Prese il suo zaino dal retro del pick-up, poi insieme ai suoi compagni, chi armato di tutto punto e chi no, si avviò verso l’ignoto di quella città.

 

***

 

Incontrò decine di graffiti simili a quello che aveva visto per primo. Ognuno di essi recitava più o meno le stesse parole del primo, segno che chiunque fosse l’autore, si era dato parecchio da fare.

Sperare in un mondo migliore è un diritto, lottare per averlo è un dovere.

Scegli la giusta causa. Cosa sei, vigliacco o sognatore?

La vita ci è stata data per un motivo. Noi sappiamo quale.

Queste erano solo alcune delle frasi che la corvina aveva letto. Ognuna di loro l’aveva lasciata di sasso. C’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò. In quei graffiti, nel silenzio di quelle strade, in tutte quelle abitazioni senza nemmeno una luce accesa all’interno. Sperò di non trovarsi in un’altra città piena di psicopatici, ma più cercava di scacciare quel pensiero, più quello la infastidiva.

Anche Lucas sembrava sapere che nell’aria c’era qualcosa di strano, perché non aveva smesso di guardarsi intorno con fare sospettoso per nemmeno un attimo.

Si trovarono di fronte ad una casa a due piani non molto distante dal luogo in cui la macchina li aveva lasciati a piedi. Una specie di monolocale incastrato tra due condomini grossi il triplo di lui, con una facciata parecchio rudimentale e un arco a volta sull’ingresso.

Un cartello sbiadito, appeso sotto alla finestra accanto all’ingresso, recitava le parole "Vendesi, per informazioni telefonare al..." e poi il numero di telefono in questione. A giudicare dalla polvere e dallo sporco sulle finestre, era ovvio che chiunque avesse voluto vendere quella casa non aveva avuto molta fortuna.

Dopo essersi assicurato che non fossero presenti sistemi di allarme di qualche tipo, Lucas scassinò la serratura di ingresso ed entrarono.

Una sensazione di piacevole tepore accolse il corpo di Rachel, quando la ragazza fu all’interno. Le spesse mura fortunatamente avevano trattenuto un po’ di calore. E anche la puzza di chiuso, ma a quello la corvina era abituata.

Di fronte all’ingresso c’era la scala che portava al piano superiore. I ragazzi posarono a terra i loro bagagli, mentre Lucas cercò un interruttore per la luce. Quando lo trovò lo premette, ma nulla accadde. Imprecò, poi guardò i compagni. «Fuori i cellulari, dovremmo arrangiarci alla vecchia maniera.»

Si spostarono per la casa, utilizzando le luci dei cellulari a mo’ di torce.

A sinistra della scala il salotto, a destra la cucina. Di sopra il bagno e due camere da letto. Di elettricità, gas o acqua nemmeno l’ombra, ma c’era da aspettarselo essendo una casa in vendita.

«Dunque, che si fa?» domandò Amalia quando furono tutti di nuovo nel salotto, per decidere.

«Beh...» Lucas sollevò le spalle. «Voi ragazze dormite in una stanza, noi ragazzi nell’altra.»

«C’erano solo due letti matrimoniali, Rosso! Noi ragazze siamo in tre, come facciamo a starci?»

«Se vi stringete ci state senza problemi. Oppure preferisci fare coppie miste?» domandò allora X, con un sorrisetto idiota rivolto alla stessa Amalia. «Sorteggiamo. Magari finiamo io e te nello stesso letto, che ne dici?»

«Te lo scordi!»

Lucas sogghignò alla mora, poi tornò serio. «Ok, ok... allora io resto qui sul divano, voi potete andare. Amalia e Ryan da una parte, Tara e Rachel dall’altra, ok?»

Rachel  si irrigidì. L’idea di dormire insieme a Tara non era molto ok per, ma decise di non discutere. Di tutt’altro avviso sembrava invece Komand’r.

 «Molto meglio» disse la mora, sorridendo al ragazzo con aria di superiorità, per poi dare le spalle a tutti loro. «Prendiamo la stanza a destra. Sogni d’oro.» E si allontanò.

Lucas scosse impercettibilmente la testa, vedendola mentre saliva le scale. «Che stronzetta... ehm... senza offesa, Ryan...»

«Tranquillo...» replicò il rosso, con un sospiro. «Non sei primo e non sarai certo l’ultimo a chiamarla così... con lei ci vuole solo un po’ di pazienza.» Salutò tutti loro con un cenno della mano. «Beh, buona notte.»

«’Notte.»

Anche Tara sbadigliò. «Aspettami, vengo anch’io.»

Si allontanò, raggiungendo Ryan. Non appena gli si avvicinò, il rosso distolse lo sguardo da lei, grattandosi una guancia chiaramente imbarazzato. Salirono anche loro le scale, mentre Corvina si sedette sul divano.

«Tu non vai?» le domandò il ragazzo, inarcando un sopracciglio.

«Non ho molto sonno...» Tra incubi, pensieri che la tormentavano ed eccetera, dormire era diventata l’ultima preoccupazione per lei. E poi, aveva già dormito per quasi un giorno, giusto ventiquattro ore prima, non le serviva davvero riposare ancora.

«Ok, beh, ti consiglio comunque di riposare... domattina avremmo un bel po’ da fare...» Lucas si avvicinò alla finestra, guardando fuori con aria piuttosto corrucciata.

«Cosa ne pensi di Sub City?» domandò Rachel, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo ed intuendo cosa stesse frullando per la sua mente.

Il moro sospirò, allontanandosi dal vetro. «È tutto... troppo tranquillo.» Spostò gli occhi su di lei, serio in volto. «Vediamo di superare in fretta la notte. Non mi piace questo posto al buio.»

«Pensi che ci taglieranno la gola mentre dormiamo?» La conduit abbozzò un sorriso per sdrammatizzare, ma la prima che si sentiva tesa era lei.

Una lieve risata uscì dalla gola del ragazzo. «Diavolo, speriamo di no. Non sono ancora pronto per svegliarmi elegante...»

Si appoggiò alla parete, sbadigliando. Rachel se ne accorse, e realizzò solo allora che se c’era uno che doveva essere stanco, quello era proprio lui. «Perché non vai tu a dormire un po’?»

«Perché sei seduta sul mio letto...»

«No, intendevo di sopra. Ti serve un letto, non questo affare.» Rachel molleggiò sul cuscino del divano, per poi fare una smorfia. «Sembra di stare su della carta vetrata...»

«Sei sicura?» interrogò ancora lui. «Perché davvero, se vuoi posso...» Si interruppe, per strofinarsi una palpebra, gesto che lo tradì definitivamente. «Se vuoi posso...»

«Tranquillo. Vai a riposarti. Sei quello che ne ha più bisogno. Io non sono stanca, non sarà un problema per me stare qui.»

Il ragazzo annuì. «Ok... ma non appena hai sonno vieni pure a...»

«Vai. Ora.» Rachel si alzò dal divano e iniziò a spintonarlo verso le scale, guidata dalla lieve luce che filtrava dalla finestra. «E sbrigati.»

Lucas continuò ad insistere e a dirle di non preoccuparsi troppo per lui, ma era ovvia la sua stanchezza. Corvina sorrise comunque, di fronte a quella testardaggine.

«Un momento, lo sai che l’unico posto libero è nel letto con Tara, vero?»

«Sì. Perciò vedi di tenere a freno gli ormoni» fece la ragazza, dandogli un piccolo pugno scherzoso sul braccio.

Red X ridacchiò, cominciando a salire le scale. «Non garantisco nulla.»

Rachel roteò gli occhi, ma il sorriso non svanì dalle sue labbra. Chissà che faccia avrebbe fatto Tara vedendoselo comparire nel letto. Le venne da ridere a pensarci.

Tornò in salotto, sul divano. Aveva detto che era fatto di cartavetro, ma in realtà non era poi così scomodo. Quello che aveva omesso di dire a Lucas era che in realtà, restando lì in salotto, voleva assicurarsi che nessuno entrasse. Voleva fare la guardia, in pratica.

Si sedette e si abbandonò con la testa sullo schienale, sospirando e chiudendo gli occhi. L’ultima cosa che voleva in quella città erano altri problemi. Sub City era l’ignoto, il futuro, per lei, e di certo non voleva che anche quella città si rivelasse essere l’ennesima delusione.

Ed era abbastanza sicura di non essere l’unica ad averne fin sopra ai capelli dei problemi. Aveva trascorso relativamente poco tempo con i suoi nuovi compagni Amalia, Ryan e Tara, ma aveva subito intuito come stavano le cose. A neppure loro sarebbe piaciuto finire in altri casini.

Eppure, c’erano troppe cose che ancora le suonavano strane. La morte di Alden e Sasha, la fine così repentina della quarantena, quei due ragazzi alla stazione di servizio e ora la calma irreale e i bizzarri graffiti che aveva notato nelle strade di Sub City.

Era stanca di ripeterselo, ma c’era qualcosa che non andava.

I suoi occhi caddero poi sul tavolino da caffè di fronte al divano. Qui, un foglio bianco era posato. La ragazza lo prese e scoprì che non era bianco, era solo girato. Lo voltò e lo esaminò con attenzione.

Raffigurava un immagine e alcune scritte. Non riuscì a distinguere nessuna delle due, a causa della penombra. Strizzò gli occhi e cercò di mettere a fuoco, ma un rumore improvviso la fece sobbalzare.

Si voltò di scatto, allarmata. Lo udì di nuovo. Sembrava una specie di tonfo. Sollevò lo sguardo, e realizzò che era arrivato dal piano superiore. A quel punto si tranquillizzò. Sicuramente era stato uno dei suoi compagni. Magari qualcuno che era caduto dal letto.

Riportò l’attenzione al foglio ed estrasse il cellulare dalla tasca, per illuminarlo. L’immagine apparve ben nitida. Raffigurava un uomo con indosso una maschera da hockey, sembrava di ferro. Era nera da una parte, arancione dall’altra. Aveva solo un occhio aperto, azzurro, dalla parte arancione. Dalla parte nera, invece, sotto al foro non si intravedeva nulla. Ciocche di capelli grigi argentati ricadevano in parte sulla zona superiore della maschera. Il suo sguardo era severo e colpì la ragazza come una scarica elettrica.

Rachel ebbe un sussulto quando lo vide, ma non era ancora finita. Lesse le scritte:

 

Obbedire o morire.

Gli Underdog non scenderanno a patti.

 

Corvina deglutì. Un altro tonfo proveniente dal piano superiore la fece saltare dal divano. Il telefono le scivolò dalla mano e cadde a terra, insieme al manifesto, spegnendosi e immergendo la stanza nel buio. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata.

Si chinò a terra, per cercare di recuperare il cellulare e scacciare quel buio maledetto, ma un altro tonfo la fece irrigidire di colpo. Le scappò un gemito. Trovò il telefonino e lo riaccese. Probabilmente la batteria si era spostata, per questo si era spento all’improvviso.

Riacquistò un barlume di sicurezza quando l’ambiente tornò illuminato.

Un altro tonfo, questa volta accompagnato dal rumore di alcuni passi. Rachel cominciò a guardarsi intorno, illuminando ogni angolo del salotto con la luce del dispositivo, perle di sudore freddo cominciarono a scivolarle lungo la fronte. Cominciò ad agitarsi.

Il buio non le era mai dispiaciuto, soprattutto da quando aveva ottenuto i suoi poteri oscuri, ma in quel momento pensò l’esatto contrario.

I rumori dal piano superiore non cessarono. La ragazza sollevò allora una mano e si concentrò. Una fioca luce nera le illuminò il palmo. Inspirò profondamente, poi si avvicinò alle scale.

«R-Ragazzi?» chiamò ad alta voce. Forse quei rumori erano solo uno stupido scherzo. Una parte di lei pregò davvero che lo fosse, l’altra asserì che avrebbe ucciso i suoi compagni, se davvero erano loro l’origine di quei tonfi.

Nessuno rispose. I suoi ambigui tacquero per un breve istante, ma poi se ne udirono altri.

«O-Ok...» sussurrò Rachel. «Ora sono preoccupata...»

Puntò la mano di fronte a sé e la luce nera si fece più intensa. Sicura di poter contare sui suoi poteri lasciò che il bagliore oscuro svanisse, dopodiché, illuminando la strada con il cellulare, cominciò a salire le scale.

I rumori non cessarono e, anzi, si fecero sempre più insistenti.

Arrivò al piano superiore, con il cuore che stava per esploderle nel petto. Un’ondata di aria gelata la travolse, facendola rabbrividire. Non capì come fosse possibile ciò fino a quando non notò la finestra al fondo del corridoio che dava sulle scale spalancata, con la tenda che sventolava a causa della corrente. Sgranò gli occhi. Non ricordava che qualcuno l’avesse aperta e dubitava che i suoi compagni lo avessero fatto prima di andare a dormire.

Un altro tonfo e la ragazza sobbalzò di nuovo. «L-Lucas? Sei tu?»

Mosse la luce verso il corridoio. Tre porte bianche anonime e la moquette blu del pavimento apparvero alla sua visuale. Nient’altro.

«C’è... c’è qualcuno?» Rachel pregò che la sua voce non sembrasse troppo spaventata.

Avanzò. I suoi amici non rispondevano e i rumori andavano avanti. Sperò definitivamente che tutto quello si trattasse di uno scherzo. Si avvicinò alla prima porta, quella che portava alla camera in cui avrebbero dovuto trovarsi Tara e Lucas.

Bussò un paio di volte. «R-Ragazzi? Tutto bene?» Nessuna risposta, solo l’ennesimo bizzarro rumore.

Altri passi, questa volta venivano dalle sue spalle. Rachel si voltò di colpo, trasalendo e puntando la luce in tutte le direzioni. Non vide nessuno.

Si appoggiò alla porta, sospirando esausta e asciugandosi la fronte sudata con il dorso della mano. «Ok, ok, calmati Rachel, calmati...»

Entrambe le sue mani si illuminarono di nero all’improvviso e alla ragazza scappò un mezzo gridolino spaventato. Lasciò andare la presa dal cellulare e questo cadde nuovamente a terra con lo schermo rivolto verso l’alto.

Rachel inspirò ed espirò profondamente per diverse volte, fino a quando il bagliore oscuro delle sue mani non svanì. Ci mancavano solamente i suoi poteri che si comportavano in maniera autonoma. Ma era normale, agitata com’era.

Non riusciva a capire perché si sentisse così vulnerabile all’improvviso. Aveva affrontato così tanti pericoli che ormai nulla avrebbe più dovuto spaventarla, invece...

Altri tonfi, altri passi. Un brivido gelato le percorse la spina dorsale, e non era per colpa della finestra aperta. Quei rumori si insinuarono nelle sue orecchie, nella sua mente, come dei parassiti. Rimbombano tutti accanto a lei, come dei sussurri provenienti dall’ombra, come il fruscio di un milione di insetti che correvano da tutte le parti. A quel punto la corvina gridò, staccandosi dalla porta. «Ragazzi! Se è un scherzo non è divertente! Finitela!»

I rumori tacquero di nuovo. E poi ricominciarono. Rachel si mise le mani nei capelli. «Smettetela! Vi ho detto di smetterla!!»

Si fiondò contro la porta, spalancandola e illuminando entrambe le braccia di nero, pronta a scatenare tutti i suoi poteri. «Ho detto di...»

Tacque all’improvviso, mentre i suoi arti superiori ritornavano immediatamente normali. La finestra della camera da letto era anche aperta, e tra le tende svolazzanti riusciva a passare abbastanza luce da permetterle di vedere il letto matrimoniale completamente vuoto e con coperte e lenzuola tutte a soqquadro. Di Tara e Lucas nessuna traccia. «Ra... ragazzi?» domandò, questa volta di nuovo titubante.

Si avvicinò al materasso, guardandolo sbigottita. «Ma... ma cos...»

Qualcuno la afferrò all’improvviso dalle spalle. Rachel gridò per la sorpresa, ma il suo urlo fu ben presto offuscato da un panno bagnato che le fu premuto sopra bocca e naso.

Corvina si dimenò come un’ossessa, per divincolarsi da quella presa di ferro. Fece per usare i poteri, poi commise l’errore di respirare. Un odore acre, pungente, si insinuò nelle sue narici, percorrendole fino al cervello. Sentì tutto il setto nasale bruciare, come se stesse andando a fuoco, e un forte senso di nausea la assalì.

Senza rendersene conto smise di lottare per liberarsi, ma la presa attorno a lei si allentò comunque. Cadde a terra, tossendo e boccheggiando alla ricerca di aria pulita che le permettesse di scacciare l’odore nauseabondo che le impregnava il naso.

Strisciò sul pavimento ed alzò lo sguardo. Da ogni angolo buio della stanza cominciarono ad uscire delle inquietanti figure vestite di nero. Rachel aveva la vista appannata, non riusciva a concentrarsi, ad usare i poteri o a mettere a fuoco anche solo uno di quegli individui. Ma di sicuro non erano i suoi amici.

A quel pensiero qualcosa scattò dentro di lei come una molla. Tentò di chiamare i suoi compagni, temendo che qualcosa fosse successo anche a loro, ma quando aprì la bocca anziché le parole uscirono solo dei rantolii.

Le figure scure si avvicinarono a lei. Ovunque guardasse, vedeva solo stivali, pantaloni e grossi impermeabili neri. La circondarono.

Rachel gemette. Non riusciva più a ragionare in modo lucido, non riusciva più a capire cosa stesse succedendo, dove fosse, come si chiamasse.

Un altro paio di stivali neri apparve di fronte a lei. La ragazza si aggrappò ad essi e tossendo e rantolando cercò di rialzarsi. Riuscì a malapena a drizzare la testa e a vedere il volto pallido del proprietario di quelle calzature, colui che dall’alto la stava osservando.

Il suo volto era confuso, una macchia indistinta dove occhi, naso e bocca erano altre macchie indistinte più scure. Eppure, nonostante non riuscisse a vederlo, riusciva perfettamente a sentire le sue iridi puntate su di lei.

Aprì ancora la bocca e cercò di parlare, ma non uscì altro che l’ennesimo verso senza alcun senso. A quel punto, la macchia che quel tizio aveva al posto della bocca si incurvò in una strana posizione. Riuscì a metterlo a fuoco per un breve istante, e realizzò che quello era un sorriso. Un sorriso distorto a causa della vista appannata, quasi un ghigno, rivolto proprio verso di lei.

Rachel provò ancora di dire qualcosa, poi le sue palpebre si chiusero contro il suo volere e accasciò la testa sul pavimento.

 

 

 

Suburb City, eh già. Questo risponderà al quesito che alcuni di voi si saranno sicuramente posti: userò ambientazioni reali oppure immaginarie? Immaginarie, anche se, comunque, tutto quanto sta accadendo nell'Est degli Stati Uniti. Diciamo che mi sto ispirando anche in questo caso ad Infamous, in cui le città rappresentate (Empire e New Maries) sono inventate, ma comunque ispirate a città vere. 

Quindi, sì Suburb City me la sono inventata io, ma non aspettatevi che mi metta a descriverla mattone dopo mattone, eh, alla fine è una città come le altre. Tuttavia spero che la descrizione della "Old Sub" abbia reso abbastanza l'idea. Anche se, comunque, presenterà alcuni elementi in comune sia con Infamous, che con i Teen Titans veri e propri. Immagino che uno degli elementi in comune con questi ultimi lo abbiate già intuito leggendo il capitolo... 

E spero anche che la parte in cui Rachel viene messa k.o. sia di vostro gradimento. Ho cercato di renderla più angusta e dark possibile, anche se non sono proprio un esperto del settore e immagino che si sia già notato.

Presto le cose si faranno davvero intricate, restate sintonizzati, perché ho intenzione di creare un intreccio con la I maiscola. Il prossimo capitolo è uno di quelli a cui tengo di più.

Dunque, fatemi sapere cosa ne pensate, se trovate errori segnalatemeli e niente, spero di sopravvivere alla prossima settimana di scuola e di poter ritornare sano e salvo alla prossima!

 

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Capitolo 9
*** ... o forse no ***


Capitolo 9: ... O FORSE NO

 

Si risvegliò sopra un pavimento di piastrelle marroni, in un luogo che non conosceva. Di nuovo.

Tossì, mettendosi a sedere. La testa le girava ancora un po’, ma se non altro ora riusciva a ragionare in maniera lucida e a mettere a fuoco con la vista.

Quella attorno a lei era una stanza minuscola, di pochi metri quadrati, completamente spoglia. Un ronzio proveniva da sopra la sua testa, dove una lampadina penzolante attaccata al soffitto buttava della fioca luce sulle pareti realizzate interamente in mattoni.

Una porta di ferro si trovava di fronte a lei, chiusa e senza alcun foro per guardare al di fuori di essa.

Rachel si alzò, continuando a guardarsi attorno; le sembrava di trovarsi in una specie di segreta. Di una cosa, se non altro, era certa: era viva.

La prima cosa che fece fu quella di mettersi una mano nella tasca posteriore. Trattenne il fiato per un momento, poi espirò rasserenata. La foto di lei e sua madre c’era ancora.

Decise di meditare sull’accaduto. L’ultima cosa che ricordava erano quegli inquietanti individui che uscivano da ogni angolo buio della casa in cui aveva cercato di passare la notte. Uno di loro l’aveva colta alla sprovvista e l’aveva messa fuori gioco usando l’unico sistema possibile con una come lei, ossia drogandola. E poi... l’uomo che aveva visto prima di svenire. Non aveva visto né Lucas né Tara nella camera da letto, però. Sperò che stessero entrambi bene, così come Ryan e Amalia.

E ora si trovava in quella stanza, senza sapere né dove si situasse con esattezza, né da quanto tempo vi fosse. Sicuramente erano stati gli stessi individui vestiti di nero a portarla lì.

Fece una smorfia. Si sentì un’emerita idiota per come si era fatta catturare, con i poteri che si ritrovava. Tuttavia, ora che l’effetto del la droga era passato, sentiva l’energia oscura dentro di lei di nuovo disponibile.

Osservò la porta di ferro. Se davvero speravano che quella sarebbe bastata a tenerla chiusa lì dentro, allora si sbagliavano di grosso. Sarebbe uscita e avrebbe scoperto dove si trovava e, soprattutto, sei i suoi compagni stavano bene.

Sollevò una mano e la puntò contro l’unico ostacolo tra lei e l’uscita. Stava per farlo saltare in aria, quando un rumore metallico proveniente proprio da esso la fece esitare; qualcuno stava per entrare. Udì i meccanismi della serratura muoversi uno dietro l’altro, fino a quando non cessarono con un ultimo clack. Dopodiché, la porta si aprì con un lento cigolio.

Rachel piegò le gambe, pronta ad attaccare chiunque gli si parasse davanti.

«Non fare stupidaggini, Conduit.»

Una voce parlò all’improvviso, facendola trasalire. Il timbro era basso, offuscato, come se chiunque avesse detto quelle parole avesse avuto qualcosa di fronte alla bocca.

La porta si aprì del tutto, permettendole di vedere due figure che la fecero sussultare.

La prima era sicuramente uno di quegli individui che aveva visto. Un uomo interamente vestito di nero, con un lungo cappotto che gli copriva il corpo fino alla vita, dei calzoni del medesimo colore e degli stivali. Indossava un cappello a tesa larga, sempre nero, e una maschera che gli copriva il volto. Rachel rimase shoccata quando la vide. Era a forma di becco, argentata, con due soli fori per gli occhi. Maschere come quella le aveva viste solamente nei libri di storia, sul volto di quei medici che durante la peste del 1300 tentavano invano di curare le persone.

Subito dopo la corvina notò l’altra figura, che l’uomo stava stringendo a sé tenendogli una pistola premuta contro la tempia: Ryan.

Rachel si portò una mano di fronte alla bocca, sconvolta. Il ragazzino teneva gli occhi chiusi e la testa abbandonata verso il basso. Tracce di sangue ormai secco gli coprivano il labbro superiore e parte del naso. Emetteva dei gemiti e di tanto in tanto muoveva il capo di scatto, come se avesse le convulsioni. Quel particolare permise alla ragazza di assicurarsi che almeno era vivo.

«Sappiamo che puoi uscire da qui in qualsiasi momento...» disse un altro individuo entrando in quel momento. Questo era vestito proprio come l’altro, ma indossava una maschera diversa, con tutti i tratti fisici del volto umano, completamente bianca. E la sua voce era quella di una donna.

«... ma per il bene dei tuoi amici ti sconsigliamo di provarci» concluse il primo, premendo con più insistenza l’arma sulla tempia di Ryan, facendolo mugugnare di dolore.

La corvina rimase interdetta, facendo vagare lo sguardo dalle due figure al ragazzino ferito. Non ci mise molto a mettere insieme i pezzi.

«Chi siete?!» domandò, stringendo i pugni. «Cosa volete da noi?!»

«Vieni con noi senza fare storie, e lo saprai.»

I due individui uscirono dalla stanza, trascinandosi dietro il rosso. Rachel serrò la mascella, ma non le restò altro che obbedire. Avevano Ryan come ostaggio, e probabilmente avevano anche Lucas e gli altri. Avrebbe potuto scappare senza problemi, come gli stessi individui avevano detto, ma non poteva rischiare che qualcuno si facesse del male a causa sua. Non lo avrebbe sopportato.

Uscì dallo stanzino, trovandosi in un corridoio freddo e pieno di spifferi d’aria, con pareti di mattoni e pavimento di marmo grigio. Diverse file di lampadine illuminavano l’ambiente.

Ad attenderla c’erano altri uomini vestiti di nero, ognuno con un fucile o una pistola in mano e una maschera sopra il volto... e infine i suoi amici.

Tara, Lucas, Amalia e ora Ryan erano lì, nel corridoio, ognuno di loro circondato, immobilizzato e con un’arma puntata addosso. Le due ragazze sembravano illese. Parecchio sconvolte, ma illese, mentre Lucas era conciato anche peggio del fratello di Komand’r. Era chiaro che avesse opposto non poca resistenza, prima di arrendersi.

Non appena la videro uscire, tutti loro sgranarono gli occhi, e lo stesso fece lei. «Ragazzi!» esclamò. Avrebbe voluto andare da loro e abbracciarli uno per uno, anche Tara, ma si ritrovò con decine di armi puntate addosso in tempo zero, e le fu intimato di mantenere la calma.

Rachel si rabbuiò. Odiava quella sensazione, essere con le mani legate, costretta ad agire contro il proprio volere. Incrociò lo sguardo di Lucas, ma lui non disse nulla. Non le rivolse nemmeno un cenno, niente. Il suo sguardo... era spento. La guardava, ma non sembrava che la vedesse davvero. Era la prima volta che Corvina lo vedeva così... abbattuto. Fu una pugnalata al cuore per lei. Giurò a sé stessa che sarebbero usciti da quella situazione, in un modo o nell’altro, e che nessuno si sarebbe fatto del male.

Solo... non in quel momento. Prima doveva inventarsi qualcosa.

Iniziarono a guidarla lungo il corridoio, seguendola con attenzione con lo sguardo e tenendo sempre sotto tiro i suoi compagni, che quasi venivano trascinati di peso dagli uomini mascherati.

Più li osservava e più quelli le ricordavano i Mietitori. O gli Spazzini. E forse anche i Primogeniti. Insomma... a quanto pareva, Empire non era l’unica città in cui si erano formate delle bande. La sgradevole teoria che Rachel aveva avuto si rivelò veritiera. Anche Sub City celava le sue insidie.

Non riusciva a spiegarsi il perché di tutto ciò. Perché anche quella città possedeva una banda? Anche lì era esplosa una bomba? Quante metropoli erano state colpite, allora? E quali altre bande erano presenti?

Le tornò in mente il manifesto che aveva visto, con quell’uomo mascherato sopra. Che ci fosse un collegamento con tutto quello?

Rimase così immersa in quei pensieri che nemmeno si accorse della strada che le fecero percorrere. Continuò semplicemente a camminare, fino a quando non riuscì a scorgere in lontananza una porta tagliafuoco.

Quando giunsero in prossimità di essa, due degli uomini la spalancarono. Rachel rimase senza fiato.

Un’amplia sala si estendeva di fronte a tutti loro. Al suo interno, decine, centinaia, forse migliaia di quegli uomini vestiti di nero, tutti in piedi e armati. Erano divisi in due grossi gruppi ai lati della sala, disposti in modo da lasciare uno spazio in mezzo a loro, dove Rachel fu scortata.

Passò accanto a tutti loro, in quella sorta di corridoio improvvisato. I cappotti che avevano indosso erano tutti identici, così come i loro cappelli, ma le maschere erano quasi tutte diverse le une dalle altre. C’erano quelle a becco, quelle bianche inespressive, quelle veneziane color oro, altre nere, altre ancora grigie. C’era perfino chi, non possedendone una, portava mascherine bianche da dottori e occhialoni spessi, da aviatore, per restare anonimo.

Oppressa da tutti i loro sguardi, Rachel spostò lo sguardo sul fondo della sala. Qui vide un palco, su cui si trovavano altri quattro individui in nero, disposti due a due accanto ad una specie di trono, su cui era seduto un altro individuo.

L’attenzione di Rachel si focalizzò su quest’ultimo. Era vestito come tutti gli altri, con un lungo ed elegante cappotto nero che gli arrivava alle ginocchia. Era chiuso nella regione toracica, ma non dalle gambe, sulle quali era posato un paio di pantaloni del medesimo colore nero, che terminavano con degli stivali, sempre neri. Una cintura con la fibbia argentata brillava sotto le luci penzolanti della sala.

Teneva il capo chinato e il grosso cappello nero a cilindro impediva di scorgere ulteriori dettagli del suo volto. Tra le mani stringeva un lungo bastone da passeggio, alla cui estremità si trovava una sfera color oro.

Corvina e compagni furono scortati fino a quando non giunsero di fronte all’intero gruppo di uomini in nero, poco distanti dal palco. Qui furono disposti uno accanto all’altro, formando una specie di fila parallela.

«Benvenuta, demone di Empire City.»

Rachel trasalì. L’uomo seduto sollevò il capo, incollando lo sguardo proprio su di lei. «Ti stavo aspettando.»

Il suo volto era scoperto da qualunque tipo di maschera, ed era bianco, nel vero senso della parola. Probabilmente era coperto da pittura. I suoi occhi erano di un verde scuro penetrante, ciocche di capelli castano chiaro, quasi biondi, scivolavano sulla fronte, al di fuori della visiera del copricapo. Osservandolo meglio, era chiaro che quello non era un uomo, era impossibile. Era molto più giovane.

Le labbra sottili erano dipinte di bianco, con disegnate sopra diverse righine nere verticali, che si assottigliavano man mano che si giungeva alle estremità di esse. Andavano poi a piazzarsi sopra a due linee orizzontali che si accentuavano verso l’alto, lungo le guancie, facendo sì che sembrassero i prolungamenti di un inquietante sorriso. Il naso era dipinto di nero, la zona intorno agli occhi era violacea. Pareva quasi che avesse due lividi.

Era quasi... attraente, nonostante tutto. Rachel si sorprese di pensare una cosa del genere, ma era la verità. Quell’individuo, quel... ragazzo, possedeva un qualcosa, nei suoi tratti, nel suo sguardo, perfino in quelle zone di volto truccate, che impediva letteralmente alla corvina di staccargli gli occhi di dosso. Era... magnetico, non c’era altro termine per descriverlo.

E fu osservandolo in quel modo che realizzò la scioccante verità: era lui la figura che aveva visto prima di svenire, quella che le aveva rivolto quel ghigno.

«Finalmente ho l’opportunità di conoscerti di persona» disse ancora lui, alzandosi.

Cominciò a camminare, aiutandosi con il bastone da passeggio anche se non ne aveva alcun bisogno. La sua voce era molto diversa da quella degli uomini che l’avevano condotta di fronte a lui. Era molto più mite, quasi cordiale.

Scese dalla struttura attraverso una rampa di gradoni laterali e la raggiunse, seguito dai suoi uomini. Per tutto il tempo non separò gli occhi da lei. Sembrava le stesse leggendo nell’anima.

La ragazza si sentì soffocare sotto quell’ennesimo sguardo. Migliaia di domande frullavano nella sua testa, ma alla fine scelse la più banale. «Chi sei tu?»

Una leggera risata fuoriuscì dalle labbra di lui. «Immaginavo una domanda simile da parte tua. Non temere, ogni cosa a suo tempo. Prima, però, lascia che ti illustri come stanno le cose... Rachel, giusto?»

La corvina schiuse le labbra. «Come sai il mio nome?»

«Come mi giungono le informazioni a te non interessa. Sappi solo che in questo momento tu e i tuoi amici vi trovate nel mio impero, nella mia casa.» Il ragazzo allargò le braccia, rivolto all’enorme platea di fronte a lui. «Quelli che vedete qui, queste persone vestite di nero, sono miei amici. Sono miei fratelli.» Cominciò a camminare, passando accanto a ciascuno dei ragazzi intrappolati, osservando loro uno per uno negli occhi.

«Uomini, donne, giovani, anziani, riuniti qui con un obiettivo comune. Stanchi di essere oppressi, stanchi di essere comandati. Visionari, sognatori, guerrieri, desiderosi di cambiare le cose, di cambiare il mondo, di...»

«Risparmiati il curriculum, stronzo...» sbottò Lucas all’improvviso, interrompendolo. «A nessuno frega un...»

«Silenzio!» L’uomo che gli puntava contro la pistola lo colpì con il calcio sulla tempia. Il moro mugugnò di dolore e tossì. Rachel sussultò, così fecero tutti i suoi altri amici. Volle intervenire, ma mantenne i nervi saldi non appena notò la canna dell’arma di nuovo premuta sul lato della testa del suo partner. Non poteva fare nulla, o gli avrebbero sicuramente sparato.

Il ragazzo vestito di nero, nel frattempo, si parò di fronte a colui che lo aveva interrotto. Lo osservò per quelli che parvero decenni, non una sola emozione trapelò dal suo volto, poi sorrise quasi intenerito da lui. «Ne ho conosciuta di gente come te, sai? Gente che finge di essere forte, agguerrita, che cerca di far credere di non avere paura di nulla, che nulla possa anche solo sfiorarli...» Avvicinò il viso a pochi millimetri da quello dell’interlocutore. «Ma credo che tu sappia meglio di me il perché di questo vostro comportamento, ho ragione? Dimmi... quanti abusi hai subito da bambino?»

«VAFFANCULO!» sbraitò Lucas avventandosi addosso a lui, venendo trattenuto all’ultimo momento per le braccia. Cominciò a divincolarsi e a scalciare, ma l’altro non parve minimamente impressionato.

 «Tu non sai niente di me! NIENTE! Come cazzo ti permetti di...» Lo colpirono ancora, questa volta con molta più forza. Il ragazzo tacque con un lamento, abbassando la testa e tossendo nuovamente.

Rachel fu costretta a distogliere lo sguardo da lui, prima di farlo ammazzare agendo d’impulso. Tara si lasciò scappare un gemito spaventato, mentre Amalia chinò la testa, i suoi lunghi capelli neri le coprirono il viso, rendendo impossibile capire cosa stesse pensando.

«Ehi, ehi, stai tranquillo...» Il ragazzo carezzò con il dorso della mano la guancia di Lucas, sussurrando quelle parole con tono rassicurante. Era chiaro che fingesse, eppure... sembrava quasi che cercasse davvero di tranquillizzarlo. Era dannatamente bravo a parlare. «... ora è tutto finito... quelli sono giorni lontani, vero? Ora sei grande, sei forte, niente e nessuno possono intimorirti...»

Red X non rispose. Rimase immobile, a lasciarsi accarezzare. A lasciarsi umiliare. Rachel lo conosceva abbastanza per capire che in quel momento doveva sentirsi davvero da schifo. Ma le alternative quali erano, farsi picchiare ancora, o peggio?

«Bene. Qualcun altro ha intenzione di interrompermi?» chiese l’individuo, allontanandosi dal moro e voltandosi verso le tre ragazze. «Tu, forse?» domandò ad Amalia, puntellandola con il bastone da passeggio. La ragazza strinse con forza i pugni, ma non rispose. 

«Saggia decisione. Mi sarebbe dispiaciuto parecchio uccidere tuo fratello di fronte a te, dopotutto.»

Komand’r drizzò la testa di colpo, osservando con occhi spalancati prima il fratellino ancora semisvenuto, poi il ragazzo di fronte a lei. «Se provi solo a sfiorarl...»

L’uomo dietro di lei le premette il piatto di un coltello contro la gola, costringendola a serrare la mascella e a non dire più nulla. Rachel si morse un labbro fino a farlo sanguinare, pur di tenere a freno le mani. Accanto a lei, Tara singhiozzò terrorizzata.

«Già...» fece l’individuo, scuotendo la testa quasi deluso. «Lo immaginavo. Dunque, stavo dicendo...» Riprese il discorso, incurante dello stato d’animo di coloro a cui stava parlando. «Noi tutti siamo sognatori, siamo visionari, desideriamo un mondo migliore, un mondo libero da oppressioni, soprusi, tiranni. In questo momento potremmo sembrarvi i cattivi della situazione, ma non è così. Non è affatto così. Noi siamo i buoni e agiamo contro coloro che da anni si credono i padroni di questa città.»

Appoggiò a terra il bastone con un colpo secco, che rimbombò per tutta la sala. «Perché noi non siamo dei vigliacchi, noi desideriamo un mondo migliore e lottiamo per averlo, noi sappiamo per quale motivo siamo stati messi al mondo.» Si posò una mano sul petto, sorridendo quasi con orgoglio. Tutte quelle parole suonarono sgradevolmente familiari a Rachel.

«Noi siamo Visionari. E io sono Il Visionario per eccellenza. Sono un sognatore, un guerriero, poco più che un adulto, certo, ma con il cuore di un eroe. Il mio nome di battesimo non ha importanza alcuna, voi potete chiamarmi Dreamer. Jeff Dreamer, Il Visionario. Ed è un onore...» chinò leggermente il capo, abbassando la visiera del cappello con la punta delle dita, rivolto proprio verso di Rachel. «... fare la tua conoscenza, Demone.»

«Perché?» domandò Rachel. «Perché vuoi conoscermi? Come fai a sapere che sono una Conduit? Come facevi a sapere che ero qui a Sub City?!»

«Mi pare di aver già detto che come mi giungono le informazioni non è affatto affar tuo, Demone.» Jeff posò entrambe le mani sulla sfera del bastone, il sorriso cominciò a svanire dal suo volto. «Sappi solo che in questa città i conduit come te non vivono a lungo. Ed è proprio per questo motivo che ti ho fatta portare qui. Voglio farti una proposta.»

«Una... una proposta?»

«Alleanza, per meglio dire.»

La corvina cominciò a non capirci più nulla. «Perché?!»

«Perché coloro che vedi qui, accanto a te, me compreso, sono la tua, la vostra, unica possibilità di sopravvivenza, qui a Sub City. Delle teste calde come voi non durerebbero molto a lungo. Wilson è intransigente su certe cose.» Dreamer sogghignò. «Obbedire o morire... ti dice nulla?»

Rachel sgranò gli occhi. Improvvisamente tutto le fu chiaro. La realtà delle cose fu una doccia gelata per lei.

«Ormai siete qui, a Suburb City. Andarsene è praticamente fuori discussione. Ciò che entra, qui, non esce più. A meno che non arrivino ordini... dall’alto.» Jeff indicò il soffitto, ridacchiando, per poi tornare serio quasi immediatamente. «Noi abbiamo deciso che questa storia deve concludersi. Ma è con profonda amarezza che ti dico che con le nostre sole forze non possiamo riuscire a realizzare ciò che desideriamo. Il nostro avversario è troppo potente, perfino per noi. Ed è per questo motivo che ci servi tu...»

Il ragazzo cominciò a camminare e a gesticolare, distogliendo lo sguardo da lei. «Vedi, avere un conduit dalla nostra potrebbe giovarci parecchio. Riusciremmo a sorprendere i nostri avversari, potremmo perfino rimescolare tutte le carte in tavola. Potremmo detronizzarli. Siamo sullo stesso fronte, Rachel. La città è sotto la tirannia degli Underdog, e dal momento stesso in cui ci siete entrati, anche voi lo siete. Secondo loro avete due possibilità: obbedire o morire. Noi invece ve ne concediamo una terza: combattere. Per la libertà. Una guerra sta per scoppiare, Rachel. A me piace chiamarla Guerra dei Cambiamenti. E tu ci aiuterai a raggiungere la vittoria.»

Rachel ascoltò interdetta tutte quelle parole, come in trance. Una follia, ecco cosa le sembravano. «E se io mi rifiutassi?» domandò, osservandolo con aria di sfida, anche se purtroppo già sapeva dove sarebbero andati a parare.

Dreamer ridacchiò. «Beh, nel caso in cui ti rifiutassi, o nel caso in cui accettassi e poi decidessi all’improvviso di voltarci le spalle...» Rivolse un cenno del capo ai suoi uomini. Quelli colpirono i suoi amici, uno per uno, anche le ragazze. Urla di dolore si sollevarono nell’aria. Ognuna di esse fu una pugnalata per la corvina.

Il Visionario osservò la sua reazione, e sorrise compiaciuto. «Come vedi non hai molta scelta...»

«Non farlo, Rachel...» mugugnò Lucas, sputando una macchia di sangue a terra. «Non darla vinta a questi bastardi...»

L’individuo dietro di lui sollevò la pistola. Fece per abbatterla nuovamente su di lui, ma si bloccò dopo un cenno di Dreamer. «Aspetta.» Si parò di nuovo di fronte al ragazzo, e lo scrutò con molta attenzione, piegando il capo. Red X ringhiò di rabbia, ma non mosse un muscolo. Mantenne i nervi saldi e lo sguardo fisso su di lui. Corvina ammirò la sua forza interiore.

«Coraggio, continua» lo incalzò Jeff. «Che cos’hai da dire alla tua amichetta?»

Lucas serrò la mascella, poi proseguì, continuando a guardare il Visionario di fronte a lui. Gli soffiò letteralmente in faccia quelle parole, con disprezzo. «Questi tizi sono come i Mietitori. Sono senz’anima, dei mostri. Non appena lascerai questi porci entrare nella tua vita, loro non se ne andranno mai più. Pur di obbligarti a restare con loro ci tortureranno tutti, uno ad uno, fino a quando non moriremo.»

«Lo sai che se non lo fa voi morite comunque, vero?» domandò Dreamer, sollevando il bastone e premendo un tasto sopra la sfera. Una lunga lama comparve all’estremità dell’asta e andò a sfiorare la gola di Lucas. Il moro digrignò i denti e sollevò il capo, per cercare di non farsi graffiare o tagliare.

«Io credo proprio di no, Jeff.»

Dreamer si voltò verso Corvina. «Come hai detto?»

Rachel strinse i pugni, chiudendo le palpebre. «Ho detto...» Riaprì gli occhi, diventati completamente bianchi. «Che non moriranno!»

Allargò le braccia di scatto. Un’ondata di energia nera si riverso fuori dal suo corpo e come un enorme boato scaraventò a terra tutti i presenti nella sala, i suoi amici e Dreamer compresi. Le pareti tremarono.

Non fu un attacco di grande impatto, più che altro era servito come sotterfugio per far guadagnare alla conduit un po’ di tempo. Gli uomini vestiti di nero cominciarono a rialzarsi quasi subito, ma Amalia fu più rapida di loro, perfino di Rachel.

La mora si rimise in piedi, tenendo tra le mani una pistola che probabilmente aveva raccolto da terra, e si fiondò su Dreamer. Lo sollevò da terra avvolgendogli un braccio attorno al collo, poi gli premette la canna della pistola contro la tempia. «Tutti fermi o lo stronzo muore!» esclamò.

Il ragazzo era quello che per primo era rimasto sorpreso da quell’azione così repentina, ma l’espressione sbigottita durò poco sul suo volto. Scoppiò a ridere. «Accidenti a te, sotto l’aspetto da gattino nascondi una pantera, non è vero?»

«Vai a farti fottere!» esclamò la sorella di Ryan, colpendolo con forza sulla tempia e mettendolo a tacere con un verso soffocato.

Rachel rimase a bocca aperta di fronte a quella scena. Quello non era proprio ciò che aveva in mente, ma poteva funzionare comunque.

L’esercito di uomini si rimise in piedi, sollevarono tutti le armi contro di loro. Rachel piegò le gambe e si preparò a combattere.

«State indietro, schifosi!» gridò ancora Amalia, premendo con ancora più forza l’arma sul suo ostaggio. «Allontanatevi! O il pavimento si bagnerà del cervello del vostro capo!»

I Visionari esitarono, alcuni di loro abbassarono perfino il fucile.

«Giù le armi, forza. E allontanatevi» ordinò Dreamer, con tono di voce ancora divertito. «Obbedite.»

Gli uomini abbassarono le armi, chi più convinto chi meno e si allontanarono dai ragazzi, che uno dopo l’altro si misero accanto ad Amalia.

«E ora che si fa?» domandò Tara, aiutando Ryan a stare in piedi.

«Ah, se non lo sai tu...» replicò Jeff, continuando a ridacchiare sommessamente, prima di beccarsi un’altra legnata da Amalia.

«Usciamo da qui. Amalia, tu vai per prima. Se vedi uno solo di loro muoversi di un millimetro, aprigli un buco in testa» ordinò Lucas, indicando Dreamer.

Komand’r annuì con determinazione, poi cominciò a muoversi, trascinandosi dietro di peso l’ostaggio.

«Fatevi tutti da parte» esclamò Red X, mentre il gruppetto avanzava. «E se qualcuno di voi prova a seguirci, vi ritroverete senza capo.»

«Avete sentito il signore? Tutti immobili!» fece ancora una volta eco l’ostaggio, sghignazzando. Amalia lo colpì ancora, ma Rachel dubitò che tutto ciò servisse davvero a qualcosa, con lui.

Uscirono dalla sala, sotto gli sguardi di tutti gli uomini inermi, poi Lucas si fermò sulla soglia, per ripetere: «Avete capito? Se vedo solo uno di voi venirci dietro, ammazziamo quello stronzo di Dreamer!»

Affrettarono il passo. Obbligarono il capo dei Visionari ad indicare loro la giusta strada per uscire, minacciando di farlo fuori nel caso li avesse condotti in una trappola, e nel frattempo Lucas continuò ad assicurarsi che nessuno li seguisse.

«Volete andarvene senza nemmeno riprendervi le vostre valige?» domandò Jeff, mentre percorrevano l’ennesimo corridoio.

«Le valige?» domandò Rachel, perplessa.

Il ragazzo annuì, sogghignando. «La roba che avete lasciato in quella bella casetta... l’abbiamo presa noi e messa in un nostro deposito. Non la rivolete indietro? Ecco, è proprio lì.» Ed indicò una porta di ferro sulla destra. «La porta è aperta.»

I ragazzi si fermarono e si guardarono tra loro, perplessi. Rachel cercò lo sguardo di Lucas, come usava fare in casi come quello, ma il ragazzo sembrò volerla evitare. Anzi, fu proprio lui ad andare a controllare la porta. Non appena la aprì, si voltò verso di loro. «È vero. C’è la nostra roba qui.»

«Visto?» domandò Jeff, con tono innocuo, mentre Ryan, ripresosi da poco, e Lucas iniziavano a tirare fuori zaini e borsoni dallo stanzino.

«Perché ce l’hai detto?» lo interrogò Rachel, ancora diffidente.

«L’ho già spiegato. Io sono il buono, qui. E lo scoprirai non appena tu e i tuoi amici metterete piede nelle strade della città.»

«Un buono non rapirebbe mai delle persone!» esclamò Tara, pestando un piede a terra. Si passò una mano sulla guancia, dove un piccolo taglio si era aperto, poi gli mostrò il suo palmo macchiato di sangue. «E non le farebbe di certo malmenare!»

Il Visionario sospirò, questa volta sembrava abbattuto. «Purtroppo abbiamo dovuto agire alla svelta, prima che fosse Wilson ad arrivare a voi per primo. Non saremmo mai stati così grezzi con voi, se avessimo avuto altra scelta. E inoltre dovevo accertarmi che tu avessi avuto modo di udire la mia proposta, Rachel. Ma... non avrei mai potuto immaginare che la vostra scaltrezza potesse arrivare così in alto. Sono sorpreso, in senso positivo. Davvero» concluse lui, ridacchiando di nuovo. «L’uscita è al prossimo bivio, a destra. Prendete la vostra roba e andatevene. Nessun male vi sarà fatto, ve lo prometto. A fare ciò ci penseranno gli Underdog non appena vi troveranno a bazzicare nel loro territorio.»

«No invece» rispose Rachel. «Perché noi lasceremo la città.»

«Questa l’ho già sentita» ribatté Dreamer, cominciando a ridere di gusto, gesto che irritò parecchio Amalia.

«Devi smetterla di ridere, hai capito?! O giuro che...»

«Santo cielo, certo che voi ragazze amanti del sesso debole siete davvero insopportabili...» si lamentò lui, interrompendola.

«Come?!» La voce della mora si alzò di un’ottava. Lo spintonò via, facendolo ruzzolare a terra, osservandolo con aria sconvolta. «Ma che diavolo stai dicendo, razza di maniaco?!»

Il Visionario si rialzò ridacchiando e spolverandosi. «Come non detto...»

«Dammi un buon motivo per non aprirti un buco in fronte ora, dopo quello che ci hai fatto e dopo che hai anche minacciato di uccidere Ryan!» esclamò Komi, puntandogli la pistola e abbassando il cane.

«Lui cosa?!» domandò il rosso, scioccato, mentre lui e Lucas terminavano di portare fuori dal deposito i loro pochi averi.

Dreamer sollevò le mani in segno di resa. «Darò ordine ai miei uomini di non cercarvi. Ma se mi elimini... allora rastrelleranno tutta la città pur di trovarvi e farvi pentire di tale scelta. E vi posso assicurare che non vi servono altri nemici.»

«Come posso credere che tu davvero darai quell’ordine?!»

«Una settimana.»

«Che cosa?»

Dreamer sorrise. I suoi occhi scintillarono sotto la luce delle lampadine. Il suo sguardo sembrava quello di una persona molto sicura di sé, come se anche in quel momento stesse agendo secondo i suoi piani. «In questo momento esatto potrei obbligarvi con le sole parole a restare qui ed aiutarmi. Con un solo sguardo posso capire tutto di voi. I vostri segreti, le vostre ossessioni, le vostre paure. Con una sola parola potrei rievocare i vostri demoni interiori, quelli che da sempre vi tormentano. Ve ne ho già dato un assaggio, poco fa’. Avrei perfino potuto uccidere la vostra amica, mentre mi puntava contro la pistola. Ma non l’ho fatto.

«Vedete, vi ho fatti catturare anche per conoscervi. Volevo studiarvi più da vicino, e con quel poco che ho visto, sono riuscito a capire molte cose. Siete forti, ma non abbastanza per Wilson. Tuttavia, la vostra forza è sufficiente per permettervi di sopravvivere il tempo necessario per capire che io sono la vostra unica possibilità. Perciò potete stare tranquilli: avete sentito la mia proposta, e dunque potete essere certo che io sarò qui ad attendervi, quando realizzerete di non avere altra scelta se non quella di accettarla.

«Non serve che io ordini ai miei uomini di cercarvi, perché tornerete ad implorare il mio aiuto entro una settimana. Ve lo posso garantire. Ammesso che Wilson non vi catturi prima e vi usi come cavie per i suoi esperimenti.»

Rachel dischiuse le labbra, lo stesso fece Amalia. Le due ragazze rimasero immobili, ad osservare il volto bianco di Jeff.

«Noi da soli non possiamo sconfiggere Wilson, e lo stesso ha valenza per voi. Solamente unendo le forze le nostre possibilità si fanno più concrete. Pensavate che l’inferno fosse ad Empire? Oh no, mie care. L’inferno è ovunque. E lo è anche qui.»

Corvina fece per parlare ancora, interdetta, ma Lucas arrivò all’improvviso, anticipandola. «Ora basta. Lasciatelo perdere, con lui abbiamo finito. Andiamocene. Ma prima...»

Scattò di colpo verso il ragazzo, per poi sferrargli un potentissimo gancio destro sul volto. Scaraventò Jeff a terra, procurandogli una vistosa perdita di sangue da labbra e naso. Il Visionario mugugnò di dolore, portandosi una mano sulla parte di volto martoriata.

Lucas sollevò il pugno con le nocche macchiate di rosso, fissando con odio il nemico. «... hai ancora voglia di parlare di cose che non ti riguardano?! Ah, e comunque, il face painting era il mio marchio, stronzo!»

Dreamer lo guardò mentre era sdraiato a terra, cercando di ripulirsi del sangue che grondava inesorabile. Per un attimo sembrò davvero infuriato con lui, ma poi tutto svanì con l’ennesima risata. Rovesciò il capo all’indietro e rise, rise e rise ancora.

Red X serrò la mascella. Parve quasi volergli saltare addosso, ma all’ultimo gli diede le spalle. «Andiamocene, presto.»

Corvina osservò il proprio partner, seriamente preoccupata per lui. Tuttavia non disse nulla, visto che quello non era affatto il momento giusto. Afferrò il suo zainetto e insieme a tutti i suoi amici corse via, il più lontano possibile da quel luogo maledetto e quell’individuo che ancora non aveva smesso di ridere.

 

 

 

 

Sembrava impossibile, ma ce l'abbiamo fatta. Citazione semicasuale.

Allora, rieccomi. La settimana di inferno non è ancora finita, ma sono già a buon punto. Perciò, ecco a voi uno dei capitoli a cui ho lavorato più minuziosamente e che ho anche modificato numerose volte.
Spero che vi sia piaciuto!
Per la serie dei personaggi che ancora dovevano entrare in scena, ecco che si aggiunge allo schieramento dei meno conosciuti il Visionario.
In questo caso potrei anche dire "sconosciuti", ma direi che meno conosciuti si sposa bene con costui, visto che... no, non lo dico, altrimenti che gusto ci sarebbe?
Ora avrete capito che Sub City è una città proprio come Empire, che possiede anche le sue bande di criminali, con l'unica differenza che, questa volta, le bande sono inventate da me.
Questo riportato qui di seguito è il prestavolto di Dreamer, anche se questo ha i capelli castani. Non l'ho disegnato io, tutt'altro, è una fan art raffigurante un cantante (Mark Crozer) che si è truccato così in una sua prestazione dal vivo, a cui mi sono ispirato, appunto, per l'aspetto del Visionario. Anche i Visionari sono ispirati alla band di questo medesimo cantante, i quali hanno suonato nel medesimo evento con queste maschere a forma di becco.
Il suo nome invece è formato per metà dalla parola "sognatore", la quale si sposa bene con la sua indole da visionario, per l'appunto, mentre il nome Jeff è ispirato da uno dei miei wrestler preferiti, ossia Jeff Hardy. In teoria, anche Dreamer è il nome di un wrestler, ma sorvoliamo.
Naturalmente questo è solo un alias, il suo nome vero deve ancora arrivare, e credo che sarà una bella sorpresa. Spero di averlo presentato bene, questo sarà un personaggio su cui voglio puntare, proprio come feci con Metalhead ed Edward all'epoca (chi dimentica è complice).

Ok, ho concluso. Spero davvero di ricevere qualche opinione in merito, non solo, ovviamente, su Jeff, ma su tutto quanto in generale. Ho gettato le basi per ciò che verrà più avanti, e sarà un qualcosa di grosso. Segnalatemi anche gli errori se ne trovate, e se vi va di farlo, naturalmente.

Alla prossima!



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Capitolo 10
*** Safe Travel ***


Capitolo 10: SAFE TRAVEL

 

Uscirono da una specie di galleria che conduceva verso l’alto e si ritrovarono in una strada nel cuore di quel quartiere storico, lontani da quel pazzo truccato da teschio messicano e vestito come se lo steampunk andasse ancora di moda.

A quanto pare erano stati condotti nei sotterranei di una grossa cattedrale, a giudicare dall’imponente costruzione antica che si trovava alle loro spalle. Le sue guglie e torri svettavano alte nel cielo e decine di gargolla li scrutavano dall’alto, sopra le loro postazioni realizzate in coppi.

Il cielo era di un colorito rossastro, con sfumature arancioni. L’alba era giunta.

Cominciarono a correre, trascinandosi dietro zaini e borsoni. Vollero allontanarsi il più possibile da quel luogo, prima che Dreamer si rimangiasse la parola e sguinzagliasse tutti i suoi uomini. Ammesso che davvero avesse ordinato loro di non cercarli.

Rachel continuò a far vagare lo sguardo attorno a sé, alla ricerca di qualsiasi possibile attentatore. Fu solo dopo aver percorso diversi isolati che si tranquillizzò. Non si vedeva ancora nessuno in giro, tra i vicoli e le costruzioni di mattoni e ciottoli. Né cittadini, né Visionari. Per la prima volta in assoluto, la corvina fu contenta di vedere quelle strade così deserte.

Il gruppetto non smise di correre per quello che le parve almeno un chilometro. O forse era molto meno, ma non essendo affatto abituata a simili sforzi fisici, per lei fu proprio come se lo fosse.

Fu solo quando si fermò Lucas, rimasto in testa per tutto il tempo, che anche gli altri poterono concedersi di farlo.

«Cazzo! E ora che diavolo si fa, Rosso?» domandò Amalia, abbandonandosi contro una parete per riprendere fiato. «Come lasciamo la città? Siamo senza macchina! E non possiamo certo tornare...»

«Zitta dannazione, sta zitta!» urlò Lucas, interrompendola.

Corvina sgranò gli occhi, udendo quella reazione. Perfino Amalia, dopo tanti battibecchi con lui, ammutolì.

«La devi smettere...» cominciò il ragazzo, puntandole contro un dito. «... di rompermi le palle. Hai capito?! E anche voi!»

Si voltò verso di Tara, Ryan e Rachel. I primi due trasalirono quando notarono la sua espressione furente. «Dovete piantarla di rivolgermi a me come se io avessi sempre la risposta pronta a tutto! Io non sono onnisciente! E non ho mai detto di essere il vostro capo, quello a cui chiedere aiuto per ogni dannata cosa! Avete un cazzo di cervello, no? Beh, usatelo! O devo spiegarvi anche come funziona quello?!»

«L-Lucas, calmati...» mormorò Rachel, cercando di sfiorarlo con una mano, ma quello si ritrasse, ringhiando come un cane rabbioso.

«Non toccarmi Roth. Non provarci mai più» sibilò, con voce carica di odio.

«Lucas...»

La conduit non seppe cosa pensare. Perché si comportava così, tutto ad un tratto? Perché con loro? Perché con... con lei?

«Falla finita, idiota» sbottò Amalia, separandosi dal muro.

Rachel si trasformò in una statua di marmo quando notò l’espressione che assunse Lucas udendo quelle parole.

«Come mi hai chiamato?» domandò lui, sussurrando minaccioso le parole, parandosi di fronte a Komand’r.

La ragazza non batté ciglio quando se lo ritrovò a pochi centimetri da lei. «Mi hai sentita. Finiscila di comportarti da moccioso arrabbiato con il mondo.»

«Adesso sarei arrabbiato con il mondo?» Lucas piegò il capo, squadrandola da cima a fondo, pugni stretti e mascella contratta.

La mora incrociò le braccia, avvicinando il volto al suo. Pochi millimetri li separavano. «Stammi bene a sentire, demente. Non sei di certo l’unico che ci è rimasto di merda dopo quello che è appena successo, e immagino anche che le parole che ti ha detto Dreamer abbiano...»

«ZITTA!» sbraitò il ragazzo, piantandole l’indice contro l’addome. «Quello che ha detto non c’entra un...»

«Ma ciò non ti autorizza a prendertela con noi!» gridò la ragazza, tirandogli uno schiaffo alla mano. Poi fu il suo turno di puntare il dito, dritto al collo del ragazzo. «Noi non siamo il tuo sacco da boxe, hai capito?! Sei incazzato? Bene, prendi un muro a testate finché non ti calmi, non mi interessa. Ma lascia in pace noi altri.»

Lucas ringhiò e scostò la mano della ragazza con un gesto rabbioso. I due si fissarono intensamente negli occhi, come due animali pronti a lottare per il loro territorio, e avvicinarono ulteriormente i loro volti. Rachel li osservò, interdetta. Come lei, anche Tara e Ryan sembravano impossibilitati a staccare loro gli occhi di dosso. Ma fu solo quando la corvina vide le loro fronti così vicine da sfiorarsi, che intuì che se non avesse fatto qualcosa alla svelta le cose si sarebbero messe male.

Fece per muoversi, ma una voce la anticipò, facendole gelare il sangue nelle vene: «Problemi di coppia?»

Tutti si voltarono di scatto, anche Lucas e Amalia, verso un vicolo poco distante da loro, da dove le parole erano provenute. Un ragazzo uscì fuori dall’ombra, con indosso un berretto a visiera e una sigaretta accesa in bocca. «Peccato, sembravate così carini insieme...»

Rachel rimase a bocca aperta quando lo vide. Non poteva essere vero. Non di nuovo lui. Non lì. Non in quel momento.

«Chi diavolo sei tu?» domandò Lucas, guardandolo di traverso. «Ti consiglio di lasciarci in pace, o non tornerai più a casa sulle tue gambe.»

Il ragazzino ridacchiò, per poi fare un tiro di sigaretta. «Tranquillo amico, non sono qui per infastidirvi. Voglio solo... aiutarvi.»

«Definisci aiutare» disse Amalia, estraendo la pistola con cui aveva minacciato Dreamer e puntandogliela. «Perché dove vivevo io, quando qualcuno diceva di volerti aiutare si abbassava i pantaloni davanti a te.»

«Non... credo di avere certe intenzioni...» Il ragazzino sorrise, quasi divertito, poi cominciò ad avvicinarsi al gruppetto. «No, no, potete stare tranquilli. Mi chiamo Kevin.» Porse una mano a Lucas. Non appena notò che il moro non era affatto intenzionato a stringergliela, la ritirò, senza smettere di sorridere. «Ecco, non ho potuto fare a meno di notare che... siete arrivati parecchio di corsa... dalla Old Sub.» Indicò la via da dove erano provenuti, per poi storcere la bocca in un’espressione quasi di dolore. «Brutto posto. Davvero brutto. Gira... certa gente...»

«Taglia corto» lo interruppe Lucas. «Che diavolo vuoi?»

«Sentite, avremo circa la stessa età, voi forse siete un filino più giovani di me.» Kevin buttò fuori una nuvola di fumo, prima di proseguire, gesticolando con la mano. «Mi... spiacerebbe parecchio vedere dei ragazzi come voi finire nei guai, di nuovo.» Sollevò lo sguardo, osservandoli serio in volto. «C’è un magazzino abbandonato nella zona industriale, apparteneva ad una ditta di trasporti. Si chiamava Safe Travel, o una roba del genere. Penso che potrebbe essere un buon posto per rifugiarvi, se vi interessa.»

Rachel sollevò un sopracciglio. Fino a quel momento Kevin non sembrava nemmeno averla notata, forse nemmeno si ricordava di averla vista giusto la sera prima. E ora che ci faceva caso, sembrava quasi un’altra persona. Era molto più... socievole. E inoltre, dove diavolo era l’altro ragazzo? Dom, se non ricordava male. Perché lui non c’era?

Volle domandarglielo, ma poi si morse la lingua. Chiederglielo in quel momento l’avrebbe portata a fornire non poche spiegazioni ai suoi amici, e proprio non le andava di rievocare il pessimo stato d’animo che aveva avuto durante quell’incontro alla stazione di servizio.

«Perché ci stai dicendo queste cose?» domandò ancora Lucas, scettico. «E perché dovremmo fidarci di uno sconosciuto?»

Kevin sollevò le mani, in segno di resa. «Ehi, io cercavo solo di aiutarvi. Siete nuovi di queste parti, è giusto che sappiate le cose prima che vi ritroviate svenuti in una vasca piena di ghiaccio e con quale organo in meno. Gli Underdog controllano la città ed uccidono tutti quelli che infrangono il coprifuoco. E voi lo state decisamente infrangendo. Ma alla fine, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Potreste ascoltare il mio consiglio, andare al magazzino e ritrovarvi addosso un branco di maniaci. Oppure potrebbe non succedervi nulla e trovare un rifugio sicuro, per il momento. Scegliete cosa vi pare, ma ricordate che non vi resta molto tempo. Tra poco comincia l’ultima ronda.» Il ragazzo sorrise poi sollevò una mano. «Buona fortuna.»

Buttò via la sigaretta e diede loro le spalle, allontanandosi. Ma prima di farlo, volse una rapida occhiata in direzione di Rachel. E non appena lo fece, un sorriso complice, come se volesse farle capire qualcosa, si dipinse sul suo volto. E a quel punto la corvina capì che lui non si era affatto dimenticato di lei. Poco dopo, Kevin svanì nel vicolo dal quale era saltato fuori.

La compagnia rimase immobile, ad osservare quel punto come se da lì avessero appena visto sbucare un fantasma. Rachel cominciò a credere che non fosse totalmente errato pensarla in quel modo.

Solamente dopo diversi istanti, Amalia si riscosse. «Bene. Ora sappiamo cosa fare.»

«Che intendi dire?» domandò Tara, ancora con la bocca semiaperta per lo stupore e gli occhi posati sul vicolo.

«Mi sembra chiaro.» Komand’r scrollò le spalle. «Abbiamo un magazzino da controllare.»

«Che cosa?!» Red X si voltò verso di lei di scatto. «Vuoi davvero dare retta a quel tossicomane?!»

«Abbiamo altra scelta, Rosso?» domandò la mora, inarcando un sopracciglio. «E comunque aveva sicuramente un volto più ben messo del tuo.»

Il ragazzo si portò d’istinto una mano su uno dei numerosi tagli presenti sulla sua faccia, poi fece una smorfia e distolse lo sguardo da lei.

Scese nuovamente il silenzio. Rachel rimuginò per diversi istanti. Kevin sembrava averla riconosciuta, e quel sorriso non le era affatto piaciuto. Eppure... malgrado tutto, quel ragazzino l’aveva già aiutata una volta, offrendole quella benzina. Forse potevano davvero fidarsi di lui. C’era solo un modo per scoprirlo.

«Amalia ha ragione» fece, spostando lo sguardo sulla mora. «Andiamo a controllare questo posto.»

«Anche tu, Rachel?» domandò Lucas, quasi esasperato.

«Ci serve un posto per leccarci le ferite, prima che accadano altre cose spiacevoli. Non so tu, ma io non vorrei essere nei paraggi quando questi... "Underdog", ci beccheranno ad infrangere il loro coprifuoco.»

«Infatti» convenne Tara, annuendo. «Per oggi ne ho abbastanza di pazzi psicotici.»

«Idem.» Ryan si mise accanto alla sorella, stringendo forte la tracolla del borsone.

Lucas fece vagare lo sguardo su tutti loro, dal primo all’ultimo, interdetto.

«Se non vuoi venire nessuno ti costringe, Rosso» incalzò ancora Amalia, sfidandolo nuovamente con lo sguardo.

Anche la corvina lo osservò dritto negli occhi, senza dire nulla. Non si sarebbe certo dimenticata facilmente il modo con cui le aveva risposto, poco prima. Probabilmente le parole di Dreamer avevano aperto in lui qualche cicatrice, ma come anche Amalia aveva detto, prendersela con loro non era il modo giusto di comportarsi. Tuttavia, avrebbe preferito che anche lui decidesse di dare un occhiata a questo magazzino. Arrabbiato o no, Red X era una risorsa preziosa per quel gruppetto di ragazzi.

L’ultima persona su cui il moro si soffermò con lo sguardo fu proprio lei. Il viola e il blu dei loro occhi si scontrarono. Rachel mantenne i nervi saldi, ma anche lui non sembrava intenzionato ad arrendersi facilmente.

Non fare lo stupido, Lucas. Vieni anche tu.

Il ragazzo la osservò ancora per un breve momento. Rachel strinse i pugni. Fece quasi per dirgli a voce ciò che aveva appena pensato, quando lui grugnì di disappunto, chiudendo le palpebre e scuotendo la testa. «So già che ci faremo ammazzare...»

La conduit sentì i propri nervi sciogliersi non appena udì quelle parole. Solamente in quel momento realizzò quanto davvero sperasse che lui rimanesse insieme a loro.

Amalia, accanto a lei, sorrise soddisfatta. E anche Tara sembrò tranquillizzarsi.

E senza perdersi in ulteriori indugi, proseguirono verso la loro nuova meta, in quella città che con molto meno di quanto ci si sarebbe aspettati, aveva già fatto rimpiangere Empire a Rachel.

 

***

 

«Safe Travel. Eccoci qua.»

Era ormai mattino quando i ragazzi si pararono di fronte ad un grosso cancello, con appiccicata sopra un’enorme insegna, che recitava le parole appena lette da Lucas.

Il cielo era di un limpido azzurro, il sole quasi accarezzava con i suoi raggi i giovani rifugiati di Empire.

Rachel fu costretta ad allungare il collo per riuscire a vedere quanto enorme fosse quel posto. Non il magazzino in sé, quanto più tutto il cortile intorno ad esso. Doveva essere una compagnia davvero grande quella, per possedere un tale stabilimento.

Scavalcarono la recinzione ed entrarono. Per fortuna la zona industriale non era molto lontana dal luogo in cui avevano incontrato Kevin, e grazie alle indicazioni stradali non era stato difficile giungere fino a lì. Erano stati fortunati, alla fine. Riuscire a trovare in così poco tempo un luogo in una città che non si conosceva non era cosa che capitava sempre. Rachel ricordava di essersi persa almeno un migliaio di volte nel Neon e nel Centro Storico.

Camminarono sul cortile ricoperto da terriccio arancione. Era davvero uno spazio enorme, dovevano starci almeno un centinaio di veicoli, tra camion, rimorchi e furgoni.

Il magazzino era un lungo capannone, di almeno due o più piani, con un’alta torre con in cima una cisterna che svettava accanto ad esso. L’enorme portellone era chiuso con due giri di una spessa catena, ma a Rachel bastò poco per farla saltare via.

Quando furono dentro rimasero senza parole. Visto dall’interno l’edificio sembrava ancora più grande.

Un immenso spazio si stagliava di fronte a loro, occupato da decine di macchinari e scaffali. Alcuni avevano ancora della merce sui ripiani, altri erano deserti. Accatastati contro il muro si trovava un incalcolabile numero di scatoloni, diversi erano per terra, molti altri contenevano ancora delle merci imballate al loro interno.

Una rampa di scale conduceva al piano superiore e ad una fitta rete di passerelle sopraelevate, e ancora più in profondità si notavano alcuni piccoli locali, probabilmente degli uffici.

Non sembrava esserci nessuno in giro. Il rumore dei passi di Rachel e dei suoi compagni era l’unico presente.

«Strano» commentò Lucas, avvicinandosi ad uno degli scaffali ed esaminandolo, mentre si slacciava lo zaino dalle spalle.

«Cosa?» domandò Rachel portandosi accanto a lui, mentre gli altri ragazzi davano un’occhiata per conto loro. Ryan e Tara sembravano meravigliati da ogni cosa che vedevano, mentre Amalia si guardava intorno con più diffidenza.

«Guarda quanta roba c’è qui.» Lucas sollevò una matassa di cavi ancora chiusa dal ripiano e gliela mostrò. «Perché non se la sono presa quando questo posto ha chiuso i battenti?»

«Forse per loro non era poi così importante» replicò lei, posando una mano sulle sue e costringendolo ad abbassare l’oggetto. Sorrise e cercò il suo sguardo, ma lui lo evitò come la peste. Il sorriso svanì dal suo volto.

Per tutto il viaggio il ragazzo aveva mantenuto quel comportamento. Non aveva aperto bocca, se non per dire quelle tre o quattro cose. E per tutto il tempo aveva lasciato che fosse Amalia a guidare il gruppo. All’inizio Rachel un po’ con lui ce l’aveva ancora, ma dopo aver notato il suo silenzio e anche la sua aria afflitta aveva cominciato a dispiacersi. Era ovvio che si stesse rimproverando da solo per come si era comportato con loro quel mattino.

«Che c’è, Lucas?» chiese a quel punto la corvina, sospirando. «Pensi ancora a quello che hai detto prima? Guarda che devi stare tranquillo, non sono arrabbiata con te...»

Il moro posò la matassa, sempre senza guardarla. «Beh... potevo comunque evitare di trattarti in quel modo...»

«È stato Dreamer, Lucas. È normale che dopo tu ti fossi arrabbiato. Se avesse detto le stesse cose a me, ma usando Richard o i miei genitori come soggetto, probabilmente nemmeno io l’avrei presa bene... a proposito, come faceva a sapere che...»

«Questo è il punto. Non ne ho idea.» Lucas sospirò. «Credo... che l’abbia capito da solo che... il mio passato è stato un tantino turbolento... ma d’altronde, tu che penseresti guardandomi per la prima volta? Con il muso da criminale che mi ritrovo...»

«Certo, ridotto come sei...» sospirò Rachel, per poi posargli una mano sulla guancia e farlo voltare verso di lei. Lo avevano conciato davvero male, in effetti, i Visionari. Aveva diversi lividi, ognuno dalle sfumature violacee, ed era ricoperto di sangue secco. Chiunque sarebbe stato scambiato per un poco di buono, così.

La mano di Corvina si illuminò di nero, e cominciò l’operazione di guarigione sul volto del ragazzo. Dopo pochi istanti, il buon vecchio Lucas era come nuovo.

La sua pelle dapprima pallida aveva riacquistato un po’ di colore, ora che ci faceva caso. Forse stare tutto quel tempo sotto il sole aveva dato i suoi frutti, almeno per lui. Rimase così concentrata su quel dettaglio che non si rese nemmeno conto di avere ancora la mano appoggiata alla sua guancia.

Fu solo quando lui la ringraziò che la ragazza sussultò e la ritirò.

«Non... non c’è di che...» Rachel distolse lo sguardo da lui, imbarazzata. «E comunque... non hai un volto da criminale...»

Lo sentì ridacchiare e ricevette un colpetto sul braccio. «Grazie Rachel.»

La conduit sorrise, poi si voltò. «Meglio che mi occupi anche gli altri.»

«Buona idea. Io invece vado a dare un’occhiata fuori. Voi cercate di sistemarvi qui.»

«D’accordo.»

I due ragazzi si divisero. La prima persona  da cui andò fu Amalia. La sorella di Ryan le stava dando le spalle, ma si voltò di scatto non appena Rachel fu a pochi passi da lei. «Che cosa vuoi?»

La corvina si fermò e notò immediatamente che sul suo volto non erano presenti grosse ferite, giusto un lieve ematoma sotto l’occhio destro e qualche graffio. «Nulla, volevo solo occuparmi delle tue ferite...»

«Ah. Ok. » La mora si voltò di profilo, mostrandole prima l’occhio nero. «Comincia da qui.»

«Ehm... va bene.» Un tono un po’ più cordiale non le sarebbe affatto dispiaciuto.

Mentre la curava osservò con attenzione i suoi lineamenti, e non poté non notare quanto fosse simile a Stella, per non dire uguale a lei. Il suo stomaco si ingarbugliò quando ebbe quel pensiero. Non sapeva quanto ancora sarebbe riuscita ad andare avanti, continuando ad avere sia Amalia che Ryan nei paraggi. Ogni volta che li guardava vedeva Stella al loro posto. Avrebbe sicuramente finito con l’impazzire continuando di quel passo, ne era certa.

«Hai finito?» domandò improvvisamente la ragazza di fronte a lei, facendola tornare alla realtà.

«Sì, sì...» La conduit allontanò la mano e si massaggiò una tempia, sospirando. Il viso di Kom era di nuovo liscio, privo di graffi, ferite ed imperfezioni di qualsiasi tipo.

Era proprio bella, ora che ci faceva caso. Nonostante le guancie leggermente scavate, nonostante l’aria seria che possedeva in continuazione, nonostante i capelli spettinati. Nonostante qualsiasi cosa sembrasse volerla imbruttire, era comunque bella. Doveva proprio essere una cosa di famiglia. Chissà se anche lei, come Kori,  ai tempi della scuola era corteggiata da tanti ragazzi. Certo, se con tutti loro si era sempre comportata come con Lucas, allora Rachel né dubitava.

«Perché mi guardi?»

La corvina trasalì e distolse lo sguardo da lei. «Ehm... niente...»

«Mh. Bene.»

Amalia tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne prese una. Se la portò alla bocca e la accese. La sua punta si tinse di un rosso incandescente e la ragazza buttò fuori una nuvola di fumo, poi le diede le spalle, sospirando. «È incredibile, vero?»

«Che cosa?»

«Tutto questo.» Amalia indicò il magazzino, per poi voltarsi di nuovo verso di lei. «Il fatto che... che abbiamo lasciato Empire sperando di trovare un posto migliore in cui vivere, e invece abbiamo trovato un altro manicomio travestito da città. Non... non è giusto.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia. Quanta verità in così poche parole.

«Certo, ora siamo al sicuro, ma quanto durerà? Anche in quell’altra casa ci credevamo al sicuro, e guarda com’è finita. No, no...» La ragazza fece un altro tiro di sigaretta, nervosa, per poi scuotere la testa. «Questa storia non può finire bene. Non se non ce ne andiamo al più presto. Non è che tu puoi portarci fuori città in volo? Uno per uno, ovviamente.»

«Beh... è un’idea. Ma ora come ora non credo che ce la farei. Cerchiamo di far passare qualche ora, il tempo di recuperare le forze e magari mangiare qualcosa. Dopo, tutti insieme, potremo decidere.»

Komand’r annuì, con un’espressione così pensierosa che Rachel dubitò che l’avesse davvero sentita. «Ok.»

Corvina abbassò lo sguardo, osservandosi le scarpe da ginnastica, altrettanto pensierosa.

Empire per tutti loro aveva rappresentato l’inferno, dopo essersene andati da quel posto Rachel aveva creduto davvero di poter ricominciare, e invece era finita in quel modo. Aveva scelto i numeri sbagliati della roulette, di nuovo.

E probabilmente anche gli altri stavano pensando lo stesso. Dopo tanti problemi l’unica cosa che desideravano era un po’ di pace, invece avevano ottenuto l’opposto.

 L’aveva quasi sorpresa il comportamento di Amalia, tuttavia, quando le aveva detto quelle parole. Credeva che l’avrebbe presa molto peggio.

Per quanto si sforzasse, ancora non riusciva a capire cosa frullasse nella mente della sorella di Ryan. Il suo umore oscillava costantemente da un estremo all’altro. Ma ormai credeva di avere capito il perché. Komand’r aveva sofferto molto più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Aveva perso i genitori, la sorella, l’amico di famiglia che si era preso cura di lei ad Empire e ora temeva che anche al fratellino accadesse qualcosa. Era molto più sotto stress di quanto dava a vedere. Chiunque ad un tale punto avrebbe perso la testa almeno in parte.

Tra loro scese un breve attimo di silenzio. Rachel fece per andarsene, ma poi le tornò in mente una cosa. Le venne da sorridere. «Davvero nel Dedalo quelli che dicevano di volerti aiutare si abbassavano i pantaloni?» domandò, sperando anche di riuscire a sdrammatizzare un po’ la situazione.

Amalia spostò lo sguardo su di lei. All’inizio parve sorpresa da quella domanda, ma poco dopo sorrise anche lei. «O quello, o cercavano di rapinarti. O tutte e due le cose se non avevi un soldo con te.»

«Cavolo... non deve essere stato molto bello...»

La mora scrollò le spalle, mentre faceva cadere la cenere dalla punta della sigaretta. «Se non altro era molto più facile colpirli alle palle.»

Rachel ridacchiò. «Giusto. Però è strano, Lucas non mi aveva mai raccontato di questa cosa...»

«Sì, beh, non è proprio una cosa di cui essere fieri di raccontare...»

«Immagino tu abbia ragione...» replicò la corvina, ridendo nuovamente.

Amalia la imitò, per poi buttare a terra la sigaretta. Ritornò seria quasi all’improvviso, prima di guardarla di nuovo. «A proposito... ti ho vista parlare con lui poco fa’. Era ancora arrabbiato?»

«No, no, anzi, era piuttosto dispiaciuto. Immagino che prima o poi ti farà le sue scuse.»

«Non vedo l’ora.» Un sorriso sadico si dipinse sul volto della ragazza. «Lo farò strisciare ai miei piedi mentre implorerà la mia pietà!»

«Dubito fortemente che ciò accadrà...» disse Rachel, anche se il pensiero di quella scena la fece sorridere divertita.

«Fidati, tu non mi conosci ancora...» rispose Amalia, con aria compiaciuta. «... prima di trasferirmi qui ho castigato così tanti ragazzi che ormai ho perso il conto...»

«Li... li hai castigati? In che senso, scusa?» domandò la conduit, imporporando all’idea della possibile risposta.

Risposta che tuttavia non giunse. Komand’r si limitò a distendere il suo sorrisetto diabolico, per poi distogliere lo sguardo da lei. A quel punto, si fece nuovamente seria. «Ehi, ma la biondina e Ryan dove sono finiti?»

«Cosa?» Rachel si voltò, guardandosi intorno. Non notò la presenza né di Ryan, né di Tara. E ora che ci pensava, anche Lucas era sparito da un po’.

Impallidì all’improvviso. «Pensi... pensi che...»

Si interruppe di colpo, quando un potente tonfo provenne dal fondo del magazzino. Entrambe trasalirono, poi si guardarono di nuovo tra loro. La corvina intuì che i suoi stessi pensieri stessero frullando anche nella mente di Amalia.

Senza dire altro cominciarono a correre verso il luogo d’origine di quel rumore.


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Capitolo 11
*** UDG ***


Capitolo 11: UDG

 

Rachel si precipitò con il cuore in gola verso il fondo del magazzino. Si maledisse per essere così sfortunata. Com’era possibile che avevano appena trovato quel posto e già stava succedendo qualcos’altro?

Non doveva fidarsi di quel Kevin, ora l’aveva capito. E probabilmente Amalia stava pensando la stessa cosa, mentre correva con la pistola in mano accanto a lei.

Ma non appena raggiunsero il luogo da cui era provenuto il tonfo, Corvina realizzò che tutti quei problemi mentali che si era fatta erano infondati. Tara e Ryan erano là, in piedi, illesi e sereni in volto. Ai loro piedi si trovava un materasso, ancora avvolto nell’imballaggio.

«Ti avevo detto di fare attenzione» lo rimbrottò la bionda, mentre il rosso si grattò dietro alla testa, imbarazzato.

«Lo so, ma è scivolato...»

Non appena udì le loro voci, Rachel sentì i propri nervi sciogliersi. Non erano stati rapiti, non erano in pericolo di vita, nessun malintenzionato era entrato nel magazzino... insomma, non tutti i rumori ambigui rappresentavano necessariamente il male assoluto.

«Ragazzi!» esclamò Amalia, che a differenza di Rachel parve piuttosto infastidita. «Che cosa diavolo state combinando?! Abbiamo sentito un rumore provenire da qui!»

I due si voltarono verso di loro, sorpresi. Non sembravano averle notate fino a quel momento.

«Beh, abbiamo trovato un materasso ancora imballato e volevamo spostarlo, ma Ryan l’ha fatto cadere» spiegò Tara.

«Non l’ho fatto apposta!» protestò ancora il ragazzino.

«Quindi... nessuno stava cercando di uccidervi?» domandò ancora Komand’r, cauta.

«Ehm... credo di no...» rispose la bionda, guardandola perplessa.

«Oh... ok...» Amalia sembrò riuscire a respirare regolarmente solo dopo aver udito quelle parole.

«Ehi, l’avete vista l’area relax dei dipendenti?» chiese ancora Ryan, illuminandosi all’improvviso.

«No.»

«Allora venite, forza!»

Il ragazzino le guidò verso una porta sul fondo del magazzino. Non appena la aprì rivelò al suo interno un’ampia stanza, con dei divanetti, qualche tavolo, un televisore fissato contro un angolo in alto e un piccolo ripiano con un forno a microonde e un frigorifero.

«Cavolo...» commentò Rachel. Certo che lì i dipendenti un tempo avevano dovuto trattarsi piuttosto bene.

 «Vedete? Qui c’è praticamente tutto quello che ci serve!» esclamò Ryan, muovendosi dentro la stanza ed allargando le braccia.

«Che ci serve per cosa?» lo interrogò Amalia, apparendo piuttosto scettica.

Fu Tara a rispondere al posto del rosso, ma prima di farlo, ovviamente, si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Nel caso in cui dovessimo fermarci qui per più del dovuto. Meglio prevenire che curare, no?»

«Non staremo affatto qui più del dovuto. Ne stavamo giusto parlando prima io e Roth. Ce ne andremo da Sub City al più presto. Non voglio avere nulla a che fare con la gente di questo posto un solo istante ancora.»

«Ma... Dreamer aveva detto che lasciare la città non è molto semplice...»

«Tutte idiozie.» Amalia indicò fuori dalla porta, accigliata. «Hai visto posti di blocco o roba simile mentre venivamo qui? Io no. Ci serve solo una macchina e poi...» Abbassò il braccio, un sorriso soddisfatto apparve sul suo volto. «Liberi, di nuovo.»

«Se fosse così facile perché i Visionari ci avrebbero rapiti?» le domandò ancora Tara. «Perché avrebbero voluto così disperatamente l’aiuto di Rachel?»

«Quei tizi sono fuori di testa, ecco perché.»

«Dreamer ha detto che saremmo tornati a chiedere il suo aiuto...»

«Nei suoi sogni, magari.»

«Tara ha ragione, Komi» si intromise Ryan, portandosi accanto alla bionda. «Meglio non prendere le cose sottogamba. Potrebbe finire male.»

Amalia roteò gli occhi, quasi esasperata. «Dio, quante stronzate che mi tocca sentire. Mi sembrate quasi quel paranoico di Rosso...»

Rachel fece una smorfia. Poco prima Komand’r aveva creduto che suo fratello fosse in pericolo di vita solo perché aveva sentito un rumore, e ora lei dava a Lucas del paranoico?

Certo, forse Ryan e Tara stavano esagerando, ma una parte di lei le suggeriva che forse avrebbe dovuto dare loro ragione. Il coprifuoco, Dreamer, i Visionari, Kevin, gli Underdog e Wilson, chiunque essi fossero. Sub City... aveva decisamente qualcosa che non quadrava. Era meglio non abbassare la guardia.

«Un momento, ma Rosso dove diavolo è finito?»

La corvina sgranò gli occhi sentendo quella domanda. Si voltò verso di Amalia, la quale sembrava spaesata tanto quanto lei. Aveva detto che sarebbe uscito solo per controllare il cortile, ma ora era già da un po’ che non tornava...

Si voltò verso la porta. Cercò di mantenere la calma, considerando anche che giusto un attimo prima si era preoccupata nonostante non ci fosse stato assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Uscì dalla stanza, con passo moderato, senza dire una parola.

«Roth, ma dove...» Amalia la chiamò, ma ormai la corvina era già lontana.

La conduit attraversò l’intero magazzino, lottando con ogni fibra del suo essere per tentare di non mettersi a correre, poi uscì. Camminò nel cortile, guardandosi intorno per cercare tracce del suo amico. Fece per chiamarlo, ma poi frenò la lingua. Meglio non mettersi ad urlare lì, in quel momento.

Cercò in ogni direzione con lo sguardo, ma di Lucas nessuna traccia.

Ecco, ora posso preoccuparmi.

«Ehi, Roth! Che diavolo stai...»

Rachel si voltò, zittendo Amalia con un cenno. «Lucas non c’è.»

Komand’r storse la bocca in un’espressione preoccupata. «Cosa? E dove sarebbe andato?»

«Non lo so. Aveva detto che sarebbe uscito un attimo, ma qui non lo vedo da nessuna parte» disse, cercando di mantenere il controllo.

«Non può essere lontano» disse Tara cauta, tirando fuori il cellulare e pigiandoci sopra le dita. «Provo a chiamarlo.»

Corvina fece di tutto per non cominciare a mangiarsi le unghie per la tensione, mentre la bionda si portava l’apparecchio all’orecchio. Se l’era sentito dentro che c’era qualcosa che non quadrava, poco prima, ma non avrebbe mai pensato che quella cosa riguardasse proprio Lucas. Eppure... si era comportato in maniera troppo strana, poco prima. Che fosse scappato? Il solo pensiero fece venire i brividi alla corvina. No, non poteva averlo fatto davvero. Non poteva averla abbandonata in quel modo. Era impossibile.

«Pronto? Lucas?» domandò Tara all’improvviso, dopo quelle che parvero eternità. L’attenzione di tutti i presenti si focalizzò su di lei all’improvviso. «Dove sei? ... Che cosa?! Ehi, no, non riattacc...»

 La bionda rimase con lo strumento premuto sull’orecchio per qualche istante, come in trance, poi lo abbassò. «Mi ha chiuso il telefono in faccia...»

«Ma che ti ha detto?» interrogò Rachel, ansiosa della risposta.

Tara sospirò. «Che non poteva parlare e che avrebbe richiamato lui... e che quindi dobbiamo aspettare qui e non andarcene per nessuna ragione...»

Rachel dischiuse le labbra. Si posò una mano sulla fronte e diede le spalle a tutti loro. Non credeva alle proprie orecchie.

Ciò che disse Amalia riassunse perfettamente la situazione: «È incredibile!» Il tono a metà tra l’incredulo e lo scocciato cascava alla perfezione. «Ma che diavolo ha in testa quell’idiota?! Bah, spero che non torni più!»

Se ne ritornò nel magazzino con passo pesante e la mascella serrata.

Gli altri tre la seguirono con lo sguardo, fino a quando non svanì dalla vista. A quel punto, Ryan domandò: «Lucas tornerà, giusto?»

«Lo spero per lui» replicò Rachel, altrettanto infuriata con il moro. «Perché se non lo fa, lo vado a prendere io.»

E detto quello, seguì la mora dentro all’edificio.

Lucas, giuro che se scappi o ti metti nei guai ti ucciderò io con le mie mani. Non è una minaccia, è una promessa.

 

***

 

Cominciarono quasi a perdere le speranze. Anzi, più che altro fu Rachel a fare ciò.

Sei di sera. Di Lucas, ancora nessuna traccia. Tara aveva provato a richiamarlo più volte, sempre senza successo. Gli aveva scritto, intasato la segreteria di messaggi vocali, ma nessun risultato.

Il buio ormai era sceso. L’atmosfera nelle strade attorno al magazzino si era fatta ancora più tetra. Come se non bastasse, avevano finito le scorte di cibo a pranzo.

Era ormai certo che avrebbero passato la notte lì. Avevano trovato diversi materassi ancora imballati, e c’erano anche i divanetti nell’area relax, ma senza coperte non se ne facevano nulla, visto che il riscaldamento non funzionava.

Se non altro, almeno c’era l’elettricità, ma solo dopo che Ryan aveva smanettato con il quadro elettrico. Per fortuna il ragazzino aveva fatto l’istituto tecnico, prima di trasferirsi in America. E per fortuna c’era ancora l’allaccio, o sarebbero rimasti al buio anche lì.

Rachel non aveva smesso di lanciare occhiate alla finestra, preoccupata. E più passavano i minuti, più si accorgeva dell’oscurità che scendeva inesorabile, più il conflitto con sé stessa si faceva intenso. Era combattuta tra il desiderio di andare a cercarlo e la fiducia che il telefono di Tara potesse squillare da un momento all’altro.

Aveva ormai spazzolato via metà delle sue unghie quando quella maledetta suoneria trillò all’impazzata, facendoli trasalire tutti. In quel silenzio carico di tensione che si era formato nell’area relax, quella musichetta era sembrata una cannonata.

«È lui!» esclamò Tara osservando il display, per poi rispondere in fretta e furia. «Lucas! Che sta succedendo?!»

Qualunque cosa rispose, doveva essere qualcosa di grosso, perché la bionda rimase a bocca semiaperta. Allontanò il telefono dall’orecchio, per poi spostare lo sguardo sui suoi amici.

«Che diavolo ti ha detto?!» domandò Amalia, alzandosi dal divano di scatto.

«Che dobbiamo raggiungerlo nel cortile di una fabbrica a qualche isolato da qui.»

«Quale fabbrica? Qui ce ne sono un casino!»

«Ha detto che ci sono due alte ciminiere e che è impossibile sbagliare, e che...» Tara esitò per un attimo, poi aggiunse: «... che non ha molto tempo. E, beh, dal tono che aveva non sembrava che stesse mentendo.»

Amalia rimase interdetta. Spostò lo sguardo su Rachel, probabilmente in cerca di una sua reazione. Reazione che non giunse, perché la corvina era senza parole proprio come lei. Una sola domanda affiorava nella sua testa, ovvero che cosa diavolo avesse combinato quell’idiota.

«Dobbiamo andare a vedere» decise alla fine Komand’r, prima di perdere ulteriore tempo.

«E se fosse pericoloso?» domandò Tara. «Insomma, perché avrebbe dovuto...»

«Andiamo solo io e Roth» la interruppe la mora, estraendo la sua pistola dalla tasca del cappotto. Smontò il caricatore e controllò che fossero presenti dei proiettili, poi annuì e lo richiuse. Si voltò verso di Rachel. «Andiamo.»

La conduit annuì. In effetti non c’erano molte strade da prendere, a quel punto. «Sì, va bene.»

«Voglio venire anch...» Ryan cercò di alzarsi dal divano, ma la sorella lo liquidò di netto con un gesto secco della mano. «Tu non farai un bel niente.»

«Ma...»

«Niente ma! Resta qui e fine della discussione!»

Il rosso la osservò con un’espressione mista tra l’incredulità e l’esasperazione, poi si risedette pesantemente sul divano. «È incredibile...» mugugnò contrariato, venendo tuttavia ignorato dalla maggiore.

Amalia uscì dalla stanza, passando accanto a Rachel. «Forza, diamoci una mossa. E tu...» fece ancora, voltandosi verso di Tara ed indicandole il ragazzino sul divano. «... tienilo d’occhio.»

«Vorrai scherzare!» esclamò ancora il rosso, venendo ignorato una seconda volta.

Corvina si sforzò di ignorare l’espressione corrucciata di Ryan, quella più perplessa di Tara e la discussione appena avvenuta tra il rosso e la sorella. Si limitò semplicemente a seguire la mora fuori dalla stanza.

 

***

 

Per tutto il tratto di strada che percorse correndo accanto ad Amalia, Rachel non smise di domandarsi perché diavolo stesse facendo tutto quello. Cosa cavolo era preso a Lucas, perché era sparito in quel modo e perché ora le stava facendo uscire allo scoperto in quel modo in quella città che nemmeno conoscevano, dopo tutti gli avvertimenti ricevuti da chiunque avessero incontrato?

Era forse impazzito? Rachel sperò di no, ma una parte di lei lo temeva almeno un po’.

«Ecco, le due ciminiere» disse Amalia all’improvviso, indicando verso l’alto le due alte torri nere e sottili, le quale svettavano al di sopra di quella landa desolata formata da grosse fabbriche grigie abbandonate.

Rachel si era quasi dimenticata della presenza della mora. Fino a quel momento non aveva più detto una parola, ma le fu di conforto sapere che ci fosse anche Komand’r insieme a lei.

Raggiunsero l’ingresso della fabbrica. Il grosso cancello sembrava essere stato aperto con la forza bruta, ma a giudicare dalle sue pessime condizioni era chiaro che ciò fosse accaduto molto tempo prima del loro arrivo a Sub CIty.

Entrarono nel perimetro della struttura, mettendo piede nel fantomatico cortile dove avrebbero dovuto incontrare il ragazzo. Una fitta rete di tubature e passerelle sopraelevate passava sopra le loro teste, diramandosi in tutte le direzioni e coprendo praticamente tutta l’area, per poi smarrirsi all’interno dei grossi edifici grigi.

Procedettero rallentando il passo, guardandosi attorno con la massima attenzione, fino a quando non udirono una voce molto familiare chiamarle: «Ehi! Amalia, Rachel!»

Le due ragazze si voltarono verso la medesima direzione e videro sbucare fuori dall’ombra la figura di una persona che riconobbero all’istante.

«Lucas!»

«Rosso!»

Corvina si sentì parecchio sollevata quando lo vide. Certo, era ancora infuriata per come se n’era andato senza dire nulla a nessuno, però se non altro sembrava stare bene.

Amalia invece non sembrava dello stesso avviso. «Rosso!» esclamò ancora, portandosi le mani sui fianchi, accigliata. «Ma che cosa diavolo ci facciamo qui?! E dove sei stato per tutto questo...»

«Sentite, non ho molto tempo» la interruppe lui, zittendola. «Dovete seguirmi e sbrigar... ma ci siete solo voi due? E Tara e Ryan?»

«Ti aspettavi che li avremmo fatti venire con noi in questo posto, dopo il tuo strano comportamento?» domandò Komand’r incrociando le braccia, fredda.

Il ragazzo dischiuse le labbra. Sembrò che stesse per replicare qualcosa, poi liquidò la faccenda con un gesto secco della mano. «Ah, al diavolo. Forza, seguitemi.»

Cominciò a correre, diretto verso una delle tante stradine che conducevano verso i meandri della fabbrica. Amalia e Rachel lo seguirono con lo sguardo, per poi guardarsi tra loro perplesse. Una voce nella testa della corvina le suggerì che qualunque cosa Lucas stesse tramando, era tremendamente stupida.  Ma aveva altre scelte?

Con un sospiro, partì all’inseguimento del partner. E anche Amalia le venne dietro senza dire una parola.

Più seguiva il ragazzo, più Rachel si convinceva che quella fabbrica desolata e isolata dal resto dell’universo era proprio il luogo ideale per una rapina, uno stupro o una violenza ai danni di tutti loro, fino a quando non raggiunsero un parcheggio e si fermarono di fronte ad un furgone nero, spento. Sulla fiancata era verniciato un marchio giallo-arancione, costituito dalle lettere U, D e G incatenate tra loro.  Un’aquila del medesimo colore si stagliava alle loro spalle, distendendo le ali e le osservandole con il suo muso privo di tratti quasi come se stesse per agguantarle con i suoi artigli. Vide Lucas avvicinarsi ad esso e aprire le porte posteriori, per poi farle cenno di avvicinarsi.

«Lucas, ma cosa...» La corvina si avvicinò, seguita a ruota da Amalia, e non appena vide cosa il partner volesse mostrarle, sgranò gli occhi.

Il retro del veicolo... era straripante di dispenser pieni di provviste, acqua, coperte, fucili d’assalto e perfino delle casse di birra.

«Ok, Rosso...» cominciò Amalia, interdetta, senza staccare gli occhi da tutta quella roba. «... comincia a spiegare.»

«Dopo. Ora aiutatemi a scaricare tutta questa roba.» Lucas salì sul furgone e sollevò una cassa di birre, per poi voltarsi verso di loro, questa volta accigliato. «E datevi una mossa, visto che siamo solo in tre...»

 «Ma perché tanta fretta? E non potevi portare questo furgone fino al nostro magazzino?» insistette ancora la mora.

Lucas sbuffò esasperato, scendendo e posando la cassa. «Ma non potresti startene zitta per una volta e aiutare?!» domandò, mentre saliva una seconda volta e raccoglieva una cassa con dell’acqua dentro.

«Ha ragione, Lucas» si intromise Rachel, fermando Komi con un cenno della mano, prima che replicasse a tono. «Non puoi chiederci di aiutarti in questo modo dopo che sei sparito per tutto il giorno, è assurdo!»

«Ok, volete una spiegazione?» domandò lui a quel punto, cominciando ad alterarsi. Scese e posò pesantemente a terra la seconda cassa. «Ho rubato questo furgone a delle persone a cui non avrei mai dovuto rubarlo, è probabile che sopra ci sia piazzato un localizzatore ed è altrettanto probabile che in questo momento stiano triangolando la sua posizione, con noi qui vicino. Vi basta, o devo raccontarvi tutti i dettagli?»

Rachel sentì le proprie orecchie fischiare quando finì di udire quelle parole. Rimase a bocca semiaperta, non sapendo nemmeno da dove cominciare. Dovette di nuovo dare merito alla vocina nella sua testa. Ancora una volta ci aveva azzeccato.

«Tu cosa?!» lo interrogò Amalia con la voce più alta di un’ottava, atterrita.

«Te l’ho appena spiegato. E adesso forza, datemi una mano.»

Le due ragazze si guardarono tra loro, mentre Rosso ricominciava a scaricare la merce. «Non appena avremo finito farò sparire il furgone, cosicché non possano più risalire a noi. Semplice, no?»

Corvina sospirò. Non era più in vena di discutere. «Va bene, sbrighiamoci...»

Fece per salire sul furgone, quando diversi rumori provenienti dalle loro spalle la fecero trasalire. Sembrava il rombo di diverse automobili.

Si voltò. Una mezza dozzina di luci provenienti dalla strada dalla quale erano arrivati la abbagliarono. Dei fanali.

«Che sta succedendo?!»

La risposta che udì dal ragazzo non le piacque per niente. «Oh-oh...»

Cinque fuoristrada grigi scuri apparvero alla loro visuale. Viaggiavano talmente veloci che sembrava quasi che li volessero investire tutti, ma all’ultimo momento frenarono bruscamente, fermandosi ad una trentina di metri di distanza da loro tre. Sulle loro fiancate, Rachel notò un simbolo arancione che già aveva visto. Il suo cervello non ci mise molto a fare due più due.

Dai veicoli scesero una decina di uomini, tutti armati fino ai denti, con indosso un’uniforme mimetica grigia scura e giubbotti antiproiettile. La prima cosa che fecero una volta tutti radunati fu quella di dirigersi verso i tre ragazzi bracciando le armi. Alcuni di loro avevano i volti coperti da dei passamontagna, altri invece no, ma una cosa era certa: nessuno di loro sembrava avere buone intenzioni.

E quando Rachel notò le lettere UDG stampate sui loro petti, capì che erano finiti in un bel guaio.

Quei tizi non erano affatto come i Visionari di Dreamer, i Mietitori o gli Spazzini. Erano chiaramente ad un livello superiore. Non erano una banda di criminali qualsiasi, sembravano un’organizzazione paramilitare.

«Qualcuno è venuto a reclamare la sua roba...» mugugnò Amalia, prima osservando i nuovi arrivati, poi scoccando un’occhiata omicida a Lucas.

Il ragazzo serrò la mascella, poi notò la mora mentre alzava le mani in segno di resa. «Che diavolo fai?!» sussurrò.

«Aspetto che la Roth ci tiri fuori da questo casino...»

«Cosa?!» domandò la corvina, perfino più sorpresa di Red X.

«L’hai fatto con Dreamer, non vedo come tu non possa farlo anche con loro...»

«Lo so, ma...» Rachel si interruppe, poi sospirò. Per la milionesima volta fu costretta a porsi il solito quesito: aveva altra scelta? O faceva qualcosa, o si facevano tutti ammazzare. Dubitava che quei tizi li avrebbero dato una pacca sulle spalle e li avrebbero lasciati andare se riavessero consegnato loro il furgone.

Che ha rubato Lucas..., pensò, mentre una smorfia nasceva sul suo viso.

Inspirò, poi abbassò il capo e cominciò a prepararsi. Sentì i passi degli uomini farsi sempre più vicini. Una voce parlò: «Voi tre!» Il timbro era grave, sicuramente era uno degli individui di fronte a loro. «Siete in un’area vietata all’accesso, state infrangendo il coprifuoco e avete rubato uno dei nostri furgoni, arrendetevi immediatamente e...»

Non concluse la frase. Rachel sollevò la testa di scatto, gridando a pieni polmoni e allargando le braccia. La stessa esplosione nera che aveva usato contro i Visionari si attivò, scaraventando tutti gli uomini di fronte a lei a terra.

«È una Conduit!» gridò uno di loro, rialzandosi in piedi poco dopo e puntandole addosso il fucile. «Uccidiam...»

Un raggio nero lo centrò in pieno petto, mettendolo a tacere. E uno era sistemato. Restavano gli altri dieci.

Rachel cercò di sfruttare il vantaggio e di colpirli mentre erano ancora a terra, ma riuscì a metterne fuori gioco soltanto uno. Tutti gli altri riuscirono a rialzarsi e a correre ai ripari dietro ai loro fuoristrada, per poi rispondere al fuoco.

Una muraglia di pallottole si abbatté sui tre ragazzi. Lucas e Amalia si ripararono dietro al furgone, mentre Rachel si trasformò in rapace e si sollevò in aria, schivando la raffica mortale.

Cercò di aggirarli. I proiettili fischiavano accanto a lei, altri la colpivano perfino, ma per lei fu come ricevere una puntura di zanzara. Fastidiosa, anche un po’ dolorosa, ma non mortale. Certo, se l’avessero crivellata per dei minuti interi anche lei sarebbe morta, ma fino a quando avrebbe continuato a volare non avrebbe corso rischi troppo gravi.

Il buio della notte alimentava il suo potere, e il corpo da rapace era una garanzia contro le armi degli uomini.

Li aggirò e scese in picchiata su uno di loro. Quello gridò quando vide la figura nera precipitarsi su di lui. cercò di respingerla, ma la ragazza fu più veloce e lo colpì con quanta più forza possedesse, spedendolo contro la portiera di uno dei cinque veicoli e accartocciandola.

Concentrò poi la sua attenzione sugli altri, giusto un secondo prima che due di loro crollassero a terra all’improvviso. Rachel si voltò e notò con enorme sorpresa Amalia con un fucile d’assalto in mano, con la canna ancora fumante.

A quel punto, gli UDG rimasti non seppero più da che parte voltarsi.

Lucas piombò fuori dal nulla all’improvviso e ne atterrò altri due. Gli ultimi rimasti cercarono allora di sparargli, ma Rachel si avventò su di loro, colpendone alcuni o distraendoli e lasciandoli in piena balia di Red X e del fucile di Komand’r.

Non appena tutti gli uomini furono sistemati, un silenzio irreale si generò.

«E questi pagliacci chi credevano di spaventare?» domandò Amalia, avvicinandosi ad uno dei corpi e punzecchiandolo con la punta del piede. Ridacchiò. «Idioti...»

Rachel sospirò. Non se la sentì di dire alla compagna che se lei non fosse stata una conduit, probabilmente non sarebbero riusciti a scamparla. E inoltre, la situazione era molto più grave di quello che sembrava.

Ora sì che l’avevano fatta grossa. Avevano appena eliminato quegli uomini, rubato uno dei loro furgoni e perfino fatta franca. Dubitava che le loro azioni sarebbero passate inosservate a persone di rango maggiore rispetto a quei tizi che aveva appena sconfitto.

«Tutto ok Rachel? Ti hanno colpita?» le domandò Lucas all’improvviso, facendole distogliere l’attenzione da quei pensieri.

La ragazza si voltò verso di lui, rivolgendogli un cenno del capo. «Sto bene, tranquillo.»

Il suo socio annuì, per poi sgranare gli occhi all’improvviso. «Attenta alle spalle!»

«Cos...» Rachel si voltò sorpresa, per poi essere colpita in pieno volto dal calcio di un fucile. Gridò di dolore e cadde a terra, coprendosi il naso con una mano.

Sollevò lo sguardo e vide la canna dell’arma puntata contro di lei, più lo sguardo infuriato dell’uomo che la teneva in mano. Lo vide avvicinare il dito al grilletto, ma Lucas piombò su di lui all’improvviso, disarcionandolo e sferrandogli un pugno.

Quello mugugnò di dolore e barcollò, il fucile gli cadde di mano, ma ci mise poco a riprendersi. Evitò un altro colpo di Rosso, poi afferrò il ragazzo per le spalle e lo scaraventò contro la portiera di uno dei fuoristrada, distruggendo un finestrino. Si fiondò su di lui e cominciò a riempirlo di pugni allo stomaco, facendogli emettere dei versi soffocati ad ogni colpo.

Lucas si liberò da quella situazione colpendolo con una testata sul naso. Si separarono dalla macchina e cominciarono a scambiarsi un colpo dietro l’altro.

Il ragazzo afferrò l’uomo per l’orlo del giubbotto e gli sferrò diversi pugni, ma quello estrasse fulmineo un coltello da una fondina legata al suo fianco e trafisse il braccio del ragazzo.

Red X gridò per la sorpresa ed indietreggiò, tenendosi il braccio martoriato. L’UDG sollevò il coltello macchiato di rosso in punta e fece per abbatterlo su di lui.

Rachel sgranò gli occhi e cercò di rimettersi in piedi per scongiurare la catastrofe imminente, quando una raffica di esplosioni detonò all’improvviso. Il coltello cadde a terra con un tintinnio e l’individuo stramazzò al suolo urlando di dolore e con diversi fori di proiettile sul braccio e sul fianco.

Corvina sentì il proprio cuore ricominciare a battere. Si voltò. Amalia abbassò il fucile in quello stesso istante, per poi osservare Lucas. «Dannazione Rosso, perché ti sei messo in mezzo? Non riuscivo a prendere la mira!» La sua voce sembrava scocciata, ma il suo sguardo invece sembrava sollevato.

«Fottiti» replicò il ragazzo, sopprimendo una smorfia di dolore mentre stringeva la presa attorno all’arto ferito. Fiotti di sangue vermiglio filtravano tra le dita della sua mano, mentre la teneva premuta sulla ferita. «Stava per sparare a Rachel, dovevo agire in fretta...»

«Non dovevo abbassare la guardia, è stata solo colpa mia...» si auto rimproverò la corvina, mentre si rimetteva in piedi e guariva la ferita del moro. Fu tuttavia bello sotto certi punti di vista sentire come il ragazzo si fosse preoccupato per lei.

«Non ci pensare» la rassicurò Lucas, una volta guarito, appoggiandosi contro un fuoristrada per poi osservare l’UDG che a terra si contorceva e mugugnava per il dolore. «È stata colpa di tutti. Abbiamo sottovalutato l’avversario.»

Rachel annuì, senza rispondere. Il ragazzo aveva ragione, dopotutto. Lei non si sarebbe mai aspettata che uno di quegli uomini si potesse rialzare così in fretta dopo essere stato colpito da uno dei suoi attacchi.

«Beh, ora l’avversario è a terra» disse Amalia avvicinandosi. «E noi invece...»

«Non la farete franca...» biasciò l’uomo all’improvviso, con voce roca.

I ragazzi trasalirono, mentre quello si metteva faticosamente a sedere, premendosi una mano sul fianco. Si trovava esattamente in mezzo a tutti loro e faceva vagare lo sguardo su ciascuno dei tre, ad alternanza. Aveva il fiato grosso e stava perdendo parecchio sangue, era chiaro che non sarebbe durato ancora a lungo senza medicazioni. «Vi siete messi contro le persone sbagliate. Il nostro capo ve la farà pagare molto cara. Gli Underdog vi daranno la caccia. Non arriverete alla settimana prossima...»

«Un momento, sareste voi i famigerati Underdog?» domandò Amalia, quasi con tono divertito. «Vi dipingono come i tiranni della città e poi vi fate sconfiggere così da tre ragazzini?»

«Sì, ridi finché puoi...» la minacciò l’uomo, serrando la mascella. «Quando il nostro capo ti chiuderà nel suo laboratorio implorerai la nostra pietà! Vi farà rimpiangere di essere nati, ve lo posso garantir...»

«Sai che c’è?» lo interruppe Komand’r all’improvviso, chinandosi di fronte a lui. Lo colpì con forza su una tempia con il calcio del fucile, facendolo stramazzare al suolo e mettendolo a tacere con un gemito. «Mi hai rotto.»

Si rimise in piedi, dandosi una spolverata veloce ed una sistemata ai capelli, per poi guardare Lucas, il quale la osservava a bocca aperta a sua volta, imitato da Rachel.

«M’beh? Che avete da guardare?» domandò lei, sollevando le spalle.

«Niente, niente...» rispose Lucas, con tono quasi intontito. Si schiarì la voce, poi proseguì. «D’accordo, sarà meglio levarci dalle scatole prima che ne arrivino altri, forza, svuotiamo quel dannato furgone.»

Rachel annuì. Fece per muoversi, quando un guizzo di luce blu a malapena percepibile apparve nella periferia più remota del suo campo visivo. Si voltò di scatto, sussultando. Non vide nulla.

«Rachel, che succede?» le chiese Lucas, allarmandosi di nuovo. «Hai visto qualcosa?»

«Io...» La corvina esitò. Ne era sicura al cento percento, aveva visto quel bagliore blu, in lontananza tra i meandri della periferia industriale. Era stato un lampo, qualcosa di minuscolo, insignificante, qualcosa che nessun altro avrebbe mai notato, qualcosa che avrebbe fatto dubitare chiunque della sua veridicità. Ma lei lo aveva visto.

Rimase ferma, ad osservare quel punto, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di eventuali, ulteriori, segnali, ma ancora non vide nulla.

Fu solo quando si accorse di essere osservata dagli altri due, che decise di lasciar perdere. Sospirò. «Niente. Non ho visto niente.»

 

 

 

 

 

 

Per la gioia di pochi, rieccoci all'angolo delle cose inutili che più inutili non si può!
Sì, perché se state pensando "ehi, ma quello è l'angolo dell'autore, di sicuro avrà qualcosa di importante da dire!", allora vi sbagliate di grosso.
Scrivo questa roba solamente per dire le solite cose, spero che il capitolo vi sia piaciuto e se trovate degli errori segnalatemeli, grazie.
Non so, personalmente non sono molto convinto del finale, ho paura di averlo fatto troppo affrettato. Ma non sapevo in che altro modo farlo, quindi... boh, non so. Ditemi voi.
Ultimamente questa fic è passata un po' in secondo piano per me, causa altri impegni (Psycho-Pass...) , ma spero che non si noti troppo e che sia comunque rimasta sugli stessi livelli dell'inizio. Spero di poter approfittare delle vacanze per dedicarmi di più alla storia.
E voglio anche fare un grande annuncio: HoS ha raggiunto 20 preferenze!!
Sono stra felice per questo traguardo e ringrazio queste 20 persone che hanno preferito quella storia, probabilmente la maggior parte di loro nemmeno leggerà queste righe, anzi, nemmeno leggerà questa storia, ma chissene, sono troppo felice comunque.
E' un grande traguardo per me, considerando anche i gusti dei lettori... è molto difficile trovare qualcuno concorde con me, perciò vedere quel "20" sotto la voce "preferiti" mi riempie di gioia.
Quindi grazie infinitamente, a loro e anche ai lettori di questa storia. Spero che anche Infamous possa raggiungere un successo simile, ma sì, lo so, "sogna Edo, sogna..."
E no, stranamente non ho nulla da precisare sulla trama di The Darkness's Daughter. Leggete e vedrete. Ancora qualche capitolo un po' più lento e poi la situazione degenererà completamente!

Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Essere umani ***


Capitolo 12: ESSERE UMANI

 

 

«È assurdo Rachel! Non puoi andare avanti in questo modo!» sbottò Jennifer, mentre camminava avanti e indietro nella stanza, di fronte al letto su cui la corvina era seduta. Si fermò di colpo, per poi premersi le mani sui fianchi e abbassare lo sguardo su di lei. «Ehi, ma mi stai ascoltando?!»

«No...» Rachel sospirò, abbracciandosi le ginocchia. «Potete andarvene ora?»

«Rachel, noi siamo qui per te» disse Karen, osservandola preoccupata dall’altra parte della camera.

«Non ve l’ho mai chiesto.»

«Dannazione a te, Roth!» esclamò la rosa, afferrandola per le braccia e scuotendola. «Ti vuoi svegliare?! Sono due giorni che non esci da questa stanza, tre se consideriamo che ormai sono le undici di notte, gli altri sono preoccupati! Anche Richard lo è!»

La corvina si lasciò scuotere dalla rosa come un pupazzo di pezza, senza reagire. Neppure sentire il nome del ragazzo che aveva amato le fece effetto. Ormai era completamente sprofondata nell’apatia. Non le importava più di nulla e di nessuno.

Jennifer continuava a parlare, a dire che gli uomini erano tutti degli idioti, a dirle di reagire, di fare qualsiasi cosa che non riguardasse il restare in quella stanza, ma Rachel a malapena la udiva.

Le parole scivolavano su di lei e cadevano a terra, come gocce d’acqua. O lacrime.

Una reazione. Una qualsiasi reazione chiedevano da lei. Positiva o negativa che fosse. Per loro probabilmente qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di vederla così incurante. Ma non serviva a nulla. Per Rachel in quel collegio era sempre esistita solo una persona. E per lei quella persona era appena morta. E con lei, qualsiasi barlume di emozione che avesse mai provato.

«Roth? Roth!» la chiamò ancora Jennifer, per poi sospirare esasperata. «Sai che ti dico? Arrangiati! Non vuoi il nostro aiuto? Bene, resta qui a marcire!»

La rosa si diresse a passo pesante verso la porta. «Karen, tu vieni?»

L’afroamericana parve esitare. Osservò prima Rachel, poi l’altra ragazza. Alla fine decise di seguire Jennifer, salvo poi fermarsi sull’uscio e rivolgere un ultimo sguardo alla corvina. «Ci sono tanti altri ragazzi nel mondo, Rachel, alcuni sono pure meglio di Richard, devi credermi. Devi solo avere pazienza. Troverai anche tu la tua anima gemella, te lo posso garantire.» Un sorriso si dipinse sul suo volto, ma svanì non appena si rese conto che nemmeno quelle parole avevano smosso l’interlocutrice. A quel punto, sospirò. «Beh... buonanotte.» E anche lei uscì.

La porta fece per richiudersi alle sue spalle. Finalmente Rachel credette di aver trovato quella pace che aveva desiderato dal momento stesso in cui le altre due ragazze erano entrate in camera sua, quando un braccio si frappose di colpo, tenendo la porta aperta.

Un ragazzo biondo fece capolino nella camera. «Ehm... permesso?»

Garfield entrò senza aspettare la risposta. Risposta che tanto non sarebbe arrivata in ogni caso. «Tutto ok Rachel?» domandò lui, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

La corvina sospirò. Era stanca di sentire quella domanda. «Non eri nel Neon, da Tara?» domandò, senza nemmeno guardarlo.

«Ehm, sì, ma...» Gar arrossì, probabilmente ripensando a chissà quali porcate avesse fatto assieme alla fidanzata. «... sono tornato poco fa’...»

«Potresti coprirti quel succhiotto imbarazzante, per piacere?»

Il biondo si portò di scatto una mano sul collo, avvampando ulteriormente. Solo che si coprì il lato sbagliato, lasciando comunque in bella vista quella specie di morso di vampiro che aveva sotto al mento. Rachel scosse impercettibilmente la testa, in segno di disappunto.

«Allora... hai parlato con Richard?»

«Hai imparato a farti gli affari tuoi, Logan?»

Il biondo dischiuse le labbra, fece per replicare, ma poi si interruppe. Abbassò il capo e ridacchiò sommessamente.

Rachel lo udì e strinse i pugni irritata. «Che c’è di divertente?!»

«Niente, niente...» Logan scosse la testa, tuttavia continuando a sorridere. Sollevò lo sguardo e piazzò i suoi occhi color foglia sulla corvina. «È solo che... ci manchi. Ci mancano le tue risposte seccate, ci manca la tua ironia, ci manca il tuo sarcasmo... il nostro gruppo non è più lo stesso senza di te. Per favore Rachel, devi uscire di nuovo... non puoi lasciarti abbattere così per colpa di una cottarella adolescenziale...»

«"Cottarella adolescenziale"?!» domandò lei, tirandosi in piedi serrando la mascella. «Pensi che fosse solo questo?! Pensi che per colpa di una cottarella io mi sarei ridotta così?!»

«Penso solo che il tuo modo di prendere la cosa sia sbagliato. Tutto qui.» Gar si fece serio all’improvviso. «Se avessi visto Tara baciare un altro di fronte ai miei occhi, non sarei rimasto fermo a piangermi addosso. Vuoi che Richard ti noti? Devi andare a parlargli, perché se pensi che sarà lui a venire a cercarti allora ti sbagli di grosso. Ormai per lui esiste solamente Kori.»

«Ed è proprio per questo che non ho intenzione di andare a parlargli...» mormorò Rachel, sedendosi di nuovo sconsolata, la rabbia di poco prima sfumata nel nulla all’improvviso. «Finirei solo con il sembrare un’idiota...»

«Non puoi saperlo finché non ci provi. Magari anche lui ti ama.»

«Potrei rovinare la nostra amicizia...»

«Esiste ancora la vostra amicizia?»

Per la prima volta da quando lo conosceva, Gar riuscì ad ammutolire Rachel. La corvina rimase interdetta. Osservò gli occhi del ragazzo, realizzando che, per quanto immaturo, era molto più sveglio di quello che sembrava.

«Ormai è tardi, ma scommetto che domattina lo troverai a lezione» disse ancora il biondo, per poi voltarsi. «Fai la tua scelta. Ricordati solo che, comunque andranno le cose, tu hai ancora degli amici che ti vogliono bene.»

 E senza dire altro, Logan uscì dalla stanza, lasciandola sola con i suoi confusi pensieri.

Rachel non seppe calcolare il tempo che passò rimanendo ad osservare la porta chiusa della sua camera. Fu solamente quando la stanchezza ebbe la meglio su di lei, che decise che mettersi a dormire era probabilmente l’unica cosa sensata che le rimaneva da fare in quel momento.

Lo scenario cambiò all’improvviso.

La strada era deserta. Il cielo arancione dava sfumature quasi inquietanti a quell’ammasso gigantesco di mostri di cemento di fronte a lui.

Procedeva per la strada, zoppicando, mugugnando parole senza apparente significato. Teneva una bottiglia di alcolici avvolta in un sacchetto di carta in una mano, un coltello arrugginito nell’altra.

Empire non era mai stata così deserta. Era irreale tutto quel silenzio. Tutto ciò avrebbe potuto essere parecchio turbante... se solo lui non fosse stato così impegnato ad essere arrabbiato.

«Branco di idioti senza cervello...» rantolò con la sua voce aspra, rivolto a tutti quei cittadini che un tempo affollavano quelle strade. «... per quale diavolo di motivo sentivano tanto il bisogno di lasciare la città? Tsk... che cosa ci sarà di così bello, là fuori...»

Si fermò per appoggiarsi ad un muro con una mano e prendere un altro sorso di alcol. Lo assaporò in ogni sua goccia, per poi separarsi dal collo della bottiglia con un verso di approvazione. «Credono che il mondo sia diverso, oltre i ponti della città... credono che la vita sia migliore, altrove... certo, come fa ad essere migliore se il governo ha appena deciso che tutto quanto deve essere sotto il suo controllo, che tutti devono essere suoi dipendenti?! Quei pezzenti in giacca e cravatta hanno realizzato che la popolazione mondiale non era più intenzionata ad obbedire a loro e PUF, ecco che iniziano le esplosioni, le quarantene, gli omicidi...

«Primogeniti, Spazzini, Mietitori, Conduit... tutto è andato secondo i loro piani. È successo esattamente quello che volevano che accadesse. Caos, fame, disperazione... cosicché le persone si mettessero in ginocchio a piangere e a pregare, appellandosi a quegli stessi bastardi che credono di poter giocare a fare Dio... bah...»

Sollevò la bottiglia per bene un altro lungo sorso. In quei giorni non aveva fatto altro che bere. In quel momento stesso, aveva nelle vene più vodka che sangue. Ma non aveva alcuna intenzione di fermarsi.

«Ma non finirà così, certo che no...» riprese, ripulendosi le labbra con la manica. «... qualcuno la fuori  capirà, è solo questione di tempo... la realtà è sotto gli occhi di tutti, ma tutti sono così ciechi e disperati che non se ne rendono conto... la nostra vita è stata appena sottratta dalle persone a cui ora noi ci stiamo appellando... e se ce la restituiscono, allora noi li ringraziamo, perché noi uomini non siamo altro che un ammasso di idioti. E loro l’hanno capito.» Una risata amara uscì dalla sua gola. «Ohh, accidenti se loro l’hanno capito...

«Dopotutto, sono riusciti a tagliare ogni collegamento con l’estero, con le altre città, non c’è più comunicazione tra una metropoli e l’altra da anni a questa parte, e nessuno si è mai chiesto il perché. Soltanto noi conduit potevamo davvero scoprire cosa stava accadendo... ma siamo stati talmente idioti da approfittare dell’occasione per arricchirci, per rubare, per stuprare... hanno studiato tutto a tavolino. Ci reputiamo più intelligenti degli animali, ma non è così. Dai una birra ed una bella donna ad un uomo e quello si comporterà come un cagnolino al guinzaglio. Oppure togligli cibo, elettricità e uccidi tutta la sua famiglia... e il risultato sarà lo stesso, ma con effetti decisamente migliori.

«Vizia un uomo, e quello diventerà pigro e chiederà sempre di più, fino a quando non diventerà una seccatura. Spaventalo... e ti obbedirà ciecamente senza fare storie.

«E ora hanno riaperto i posti di blocco. Siamo liberi di andarcene... ma andarcene dove? A Sub City? A New Maries? A Washington? All’estero, con le contraeree pronte ad abbattere qualunque mezzo? Terroristi... sì, certo. Bel lavoro America, ancora una volta sei riuscita a fregare tutti quanti... se solo avessi ancora i miei poteri... giuro che me ne occuperei personalmente... e ho anche finito la vodka, che cazzo!»

Il vecchio scagliò a terra il sacchetto, la bottiglia di vetro al suo interno esplose in migliaia di frammenti. Si massaggiò poi una tempia, grugnendo infastidito. Che schifo di vita, pensava. Un povero vecchio decrepito come lui costretto a sorbire tutta quella merda.

Aveva bisogno di un’altra bottiglia. Immediatamente.

Brontolando come solo lui sapeva fare, continuò a barcollare, diretto verso il primo luogo in cui avrebbe potuto trovare ciò che cercava. L’unico lato positivo di vivere da soli ad Empire era che poteva saccheggiare quanto voleva.

Ma non fece molti passi.

«Ma tu guarda chi si vede...» fece una voce all’improvviso, una voce che il vecchio non aveva mai sentito prima... ma lei invece sì.

Si voltò. Alle sue spalle era apparso un ragazzo praticamente dal nulla. Era giovane, sulla ventina, con i capelli castani e una giacca nera. Il vecchio parve piuttosto spaesato dalla sua presenza. Lei, invece, sentì il fiato mancarle. Il che poteva essere una cosa possibile quanto impossibile, per quello che ne sapeva. Il campanello d’allarme nella sua testa cominciò a trillare senza sosta. Ma non poteva fare nulla. Lei non era lì. Poteva solo osservare, impotente.

«E tu chi cazzo sei?» mugugnò il vecchio con voce stridula, sorpresa. Sollevò il coltello, puntandolo verso il nuovo arrivato. «Ti avverto, se sei in cerca di grane allora capiti nel momento sbagliato!»

Il ragazzo parve trovarlo divertente, perché anziché apparire intimorito ridacchiò. «Tranquillo, non voglio guai. Dopotutto, non potrei mai attaccare briga un gentiluomo del tuo calibro, Hank.»

«Come sai il mio nome?!»

«So molte cose di voi Spazzini» spiegò il ragazzo, sorridendo. Una strana luce tuttavia balenò nei suoi occhi, scontrandosi nettamente con l’aria rassicurante che cercava di ostentare. «Tu eri uno dei pezzi grossi, secondo solo al grande Alden e pochi altri.»

«Beh... grazie» rispose il vecchio, compiaciuto. Era sbronzo, ma i complimenti riusciva ancora a comprenderli bene.

«Dimmi, che cosa ci fai ancora qui, in questa città dimenticata da Dio?»

«Una manciata di fatti miei» mugugnò Hank, tornando immediatamente burbero. «Potrei farti la stessa domanda!»

Un’altra tenue risata provenne dalla gola del giovane. «Hai ragione. Allora, permettimi di domandarti un’altra cosa. Ho sentito il tuo splendido monologo, sul serio, da far invidia ai più grandi filosofi...»

«E allora?»

«... e mi è parso di capire che sei rimasto senza i tuoi poteri, ho ragione?»

«E allora?!» ripeté Hank, agitando la lama arrugginita. «Posso ripassarti a dovere anche senza!»

«Sì, non ne dubito.» Il ragazzo congiunse le mani, sorridendo al vecchio quasi come se in realtà lo trovasse buffo. «Volevo solamente domandarti come mai non ce li hai più. Li hai persi in qualche modo?»

«Ascolta moccioso, perché non vai a comprarti una scatola di preservativi, così puoi andare a farti fottere in tutta sicurezza? Non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo con te!»

Lo Spazzino gli diede le spalle con l’intenzione di andarsene, ma non appena si voltò si ritrovò di fronte un altro ragazzo, questo con il cappello a visiera e una maglietta dalle maniche corte bianche. Sgranò gli occhi.

«Hai fretta, Hank?» domandò quello, accendendosi una sigaretta.

«E tu chi...»

«Ti ha fatto una domanda, rispondi.» Lo interruppe quello, indicando con la sigaretta il castano con la giacca.

Hank si voltò di nuovo. Guardò prima l’uno, poi l’altro, spaesato. Non ci stavano capendo più nulla, né lui, né lei.

«Tanto, che altro hai da fare? Non c’è più molto di interessante, in questo buco di città...» proseguì Kevin, soffiando del fumo sogghignando. «Se vuoi un po’ di dolce compagnia, ti consiglio di visitare New Maries... là sì che sanno come spassarsela...»

 Lo Spazzino esitò. Strinse la presa attorno al coltello, poi la allentò tutta ad un tratto. Abbassò l’arma, per poi tornare a guardare il ragazzo più alto. «Ma si può sapere chi diavolo siete e che cosa diavolo volete da un povero vecchio?!»

«Solamente la risposta alla mia domanda» spiegò il castano, pazientemente. «Hai idea di come hai fatto a perdere i tuoi poteri?»

«No» sbottò Hank, irritato. «So solo che prima di affrontare quei tre marmocchi ancora ce li avevo. Dopo nulla.»

«Mh...» Il giovane si prese il mento, riflettendo. «Per caso i tre marmocchi erano due ragazzi e una conduit?»

«Sì, loro!» esclamò il vecchio, pestando un piede a terra. «La sgualdrina con il fucile, il bastardo pulcioso e la stronza che si trasformava in uccello! Avevo assemblato un automa con la telecinesi, poi l’hanno fatto saltare in aria! Dopo volevo fargliela pagare, ma...»

«Sì, ho capito...» lo interruppe il ragazzo, con un gesto secco della mano. «Nient’altro? Non hai proprio nessuna teoria? Niente di niente?»

«Diamine, sei sordo o cosa? Ho appena detto che l’unica cosa che so è che...»

«Va bene, va bene, non serve ripeterlo.» Il ragazzo sospirò, scuotendo leggermente il capo. Per la prima volta, parve quasi irritato. «E com’è successo? Come hanno fatto a distruggere il tuo automa?»

«La ragazzina conduit» borbottò il vecchio, cacciandosi un dito nell’orecchio. «Ha sovraccaricato l’armatura con i suoi poteri fino a farla collassare... devo ammettere che è stata sveglia, nessun altro ha mai usato questa strategia per... ehi, mi stai ascoltando o no?»

Il castano si era preso il mento, per riflettere, e sembrava non prestare più alcuna attenzione alle parole dello Spazzino. «Mh... interessante...» commentò, per poi alzare lo sguardo. «Grazie vecchio, sei stato d’aiuto.»

«Ora posso andarmene?» domandò lo Spazzino, per poi sollevare il coltello. «Oppure devo usare le maniere forti?!»

Il castano lo ignorò bellamente, spostando lo sguardo sul suo compare. «Con lui abbiamo finito Kev, sai cosa fare.»

Il vecchio sgranò gli occhi. Udì un rumore provenire dalle sue spalle. Si voltò verso il ragazzino con il cappello, per poi ritrovarsi una pistola puntata addosso. «Ma che diav...»

«Nulla di personale, nonno. Ci vediamo.»

Lo sparo fu assordante.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto, portandosi d’istinto una mano sul petto.

Abbassò lo sguardo, annaspando. Allargò il colletto della maglietta e si esaminò, cercando tracce si sangue e un foro che naturalmente non potevano esserci. E quando realizzò ciò, si lasciò ricadere sul materasso con un enorme sospiro.

«Cazzo...» mugugnò, esausta.

L’ultima cosa che avrebbe mai chiesto... l’aveva avuta. Altri sogni strani. Altri incubi, per meglio dire.

E questa volta non riguardavano solamente i suoi flashback o le sue strane visioni. Di nuovo lui. Di nuovo Kevin, e questa volta anche quell’altro. Com’era possibile tutto ciò?

Come diavolo ci era arrivato Kevin ad Empire, se da Sub City non si poteva uscire? E perché erano andati proprio da quello Spazzino? E perché lei sognava di essere proprio nel corpo dello stesso Spazzino?!

Vedeva dai suoi occhi, udiva dalle sue orecchie, percepiva le sue emozioni. Era come se si fosse trovata nella sua testa. Aveva sentito alla perfezione la rabbia da lui provata mentre era immerso nel suo monologo, la sorpresa quando aveva incontrato i due ragazzi e per finire la paura quando si era ritrovato puntato contro la pistola. Non era stato molto bello, per lei, vivere quest’ultimo attimo. Quando quel sogno si era interrotto, insieme allo sparo, la corvina si era sentita come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. Tutto ciò le infondeva una profonda inquietudine.

Le venne da piangere. Avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di sapere che cosa diavolo le stava succedendo. Di una cosa, tuttavia, era abbastanza sicura: non avrebbe più sognato di impersonare quell’Hank.

Chiuse gli occhi e sospirò, cercando di calmarsi. Forse era giunta l’ora di parlare con qualcuno di ciò che aveva appena visto. Forse. Con tutto quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore, dubitava che fosse la cosa migliore da fare. Con la storia degli Underdog, dei Visionari, di Dreamer, di tutto quanto, l’ultima cosa che ci voleva erano ulteriori grattacapi.

I raggi del sole mattutino filtravano dalla finestra, illuminando la stanza in cui si trovava, un vecchio ufficio con scaffali, archivi e scrivanie vuote, in cui aveva portato uno dei materassi che Ryan e Tara avevano trovato.

Si rannicchiò sotto la coperta firmata UDG, sbadigliando. Nonostante fosse giorno, aveva ancora una gran voglia di dormire. Non perché fosse pigra, lei non lo era mai stata, era semplicemente esausta.

Dopo la sera prima, dopo aver sconfitto gli Underdog e dopo aver scaricato il furgone e portato al magazzino tutta la roba, si era praticamente buttata su quel giaciglio, senza più l’apparente intenzione di alzarsi. Era a pezzi.

Ma per quanto ci provasse, il sonno non sembrava intenzionato a tornare.

Improvvisamente le ritornò in mente la discussione avuta con Logan, nel sogno. Un profondo senso di amarezza la investì quando ripensò a quelle parole. Anzi, non solo. Anche quando ripensò a come si era comportata dopo aver ricevuto l’enorme delusione da Richard. Quando Jennifer e Karen cercavano di consolarla e lei per ringraziarle non dava loro alcuna considerazione. Quando aveva fatto preoccupare i suoi amici a tal punto che erano andati a prenderla quasi di forza, e lei aveva comunque rifiutato di uscire con loro.

Ci aveva messo almeno una settimana per superare quel momentaccio. Che stupida.

Garfield, Victor, le ragazze, loro volevano soltanto il suo meglio. E lei li aveva sempre rifiutati. Solamente dopo averli persi nell’esplosione aveva realizzato quanto importanti fossero per lei.

Hai ancora degli amici che ti vogliono bene.

Queste erano state le parole di Logan. Queste erano state le stesse parole di cui mai aveva capito il vero valore. Le parole che avrebbe per sempre ricordato e rimpianto.

Per colpa di Richard lei aveva... no, non era stata solo colpa di Richard. Era stata anche colpa sua. Non avrebbe mai dovuto passare tanto tempo a piangersi addosso, avrebbe dovuto sfruttare ogni singolo istante della sua permanenza al collegio con i suoi amici. Avrebbe dovuto goderseli, sorridere più spesso, ridere, più spesso.

Trovare un altro ragazzo, come Karen le aveva suggerito, magari. Quello l’avrebbe aiutata parecchio.

E invece... non aveva fatto altro che pensare all’unica persona che in quel momento costituiva una delle tante minacce in cui lei e i suoi compagni di viaggio avrebbero potuto incontrare.

La sera prima, il bagliore blu che aveva visto. Non ne era sicura al massimo, ma era abbastanza certa che fosse una delle scie luminose che i Mietitori conduit si lasciavano dietro. E quella era un’altra delle cose peggiori che potessero accadere.

Se Richard e i suoi fossero arrivati a Sub City a loro volta probabilmente si sarebbe avverato uno degli scenari più sgradevoli che Rachel avrebbe mai potuto immaginare.

Come se non bastasse, anche le parole di Hank, prima che ci lasciasse le penne, l’avevano lasciata basita. Poteva semplicemente essere stato il delirio di un uomo sbronzo, il suo, tuttavia... non sembravano solo parole campate all’aria.

Non lo sapeva, ora che lo Spazzino era morto probabilmente non lo avrebbe mai saputo. Forse non lo avrebbe mai saputo in ogni caso. Di una cosa era certa, però: qualunque cosa era successa ad Empire, riguardava molte più persone di quante ne potesse immaginare. Qualcosa che non riguardava solo la sua città o Sub City, qualcosa che forse... riguardava il mondo intero.

Le tornò in mente la telefonata che Tara aveva fatto al fratello, giorni prima, alla quale non aveva avuto risposte. Se non ricordava male, la famiglia della Markov viveva all’estero. E suo fratello era irraggiungibile. Che fossero davvero stati tagliati tutti i mezzi di comunicazione tra America e gli altri continenti? O era solo una coincidenza? L’ennesima, coincidenza?

Avrebbe dovuto chiedere alla stessa Tara se aveva ancora avuto notizie di Brion. Se non altro, si sarebbe tolta uno dei tanti fastidi che la tormentavano.

Lo stomaco le brontolò all’improvviso, facendo nascere una smorfia sul suo volto. Poi si ricordò che di cibo ce n’era in abbondanza, dopo la sera precedente. A quel punto si sentì più serena.

Visto che dormire era fuori discussione ormai, decise di alzarsi per andare a fare colazione.

Ringraziò di essersi portata quello zainetto con i cambi di vestiti, mentre si spogliava, sostituendo il pigiama improvvisato con i suoi classici jeans e felpa.

Si assicurò di avere con sé la fotografia di sua madre e il cellulare, poi scese le scale, giungendo al piano di sotto. Non appena girò l’angolo per dirigersi all’area relax, rimase a bocca aperta.

Vide Amalia e Tara in piedi, poco lontane la lei. La mora si trovava dietro alla bionda e le stava tenendo una mano su un fianco e l’altra sotto la coscia, sorridendo.

Per un momento la corvina pensò che la stesse palpando, o che stesse comunque facendo un qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione, poi notò la pistola che Tara stringeva fra le mani, puntata verso un bersaglio immaginario.

«Ecco, ora piega un po’ di più le gambe» disse intanto Komand’r, facendo una leggera pressione sul ginocchio della bionda. «Aspetta, sei troppo tesa, rischi di farti male se spari in questa posizione» proseguì, correggendo ancora una volta la sua postura. «Ok, ora va meglio. Distendi anche un po’ le braccia...»

A quel punto Rachel capì. Amalia stava semplicemente illustrando alla Markov come si impugnava correttamente una pistola. Forse Tara aveva deciso di volersi finalmente mettere in gioco, e stava apprendendo un po’ di nozioni base.

«Quando stai mirando, trattieni il fiato. Così ridurrai l’oscillazione del corpo causata dalla respirazione e sarai più precisa» disse ancora la mora. «Non appena vedi il bersaglio esattamente in mezzo alle due stanghette, e la stanghetta in mezzo sul bersaglio, premi il grilletto e sarai certa di non sbagliare. Ovviamente il contraccolpo sarà forte, per te che non hai mai sparato soprattutto. Ti sconsiglio pistole come la Magnum o la Desert Eagle. Potresti romperti un braccio impugnandole nel modo sbagliato. Come dico sempre io, sparare la prima volta è come perdere la verginità: più la pistola è grossa, più c’è il rischio di farsi male.»

A Tara scappò una risata quando udì quelle parole. Spostò lo sguardo sulla compagna, senza modificare tuttavia la sua postura. «Ho afferrato...»

Anche Amalia ridacchiò per un breve momento, per poi tornare ad immergersi nelle sue spiegazioni. «La M9 è una dei migliori compromessi tra stabilità, precisione, danno e capienza» disse, indicando la pistola nera tra le mani della Markov. «Quella te la puoi tenere, se vuoi. Tanto ne ho altre...»

«Capito. Grazie» rispose la bionda, abbassando l’arma e assumendo una posizione più normale. Sorrise poi alla sorella di Ryan. «Certo che ne sai parecchie tu, eh?»

La mora scrollò le spalle, anche se parve comunque compiaciuta da quell’affermazione. «Ho imparato un paio di cose, sì... sai com’è, dopo l’esplosione o ti adattavi, o tiravi le cuoia. Io ho preferito adattarmi, e sono felice che anche tu abbia deciso di farlo.» Diede un colpetto alla spalla della Markov, sorridendo a sua volta. «Mi sarebbe dispiaciuto vederti crepare per prima...»

«Non succederà. Ho una buona insegnante» rispose la bionda, strizzandole l’occhio.

Amalia diede una spintarella scherzosa alla compagna. «Smettila, così mi fai arrossire...»

«Ma è la verità» rispose l’altra ragazza, dandole un pizzicotto su un fianco.

«Ah! Questa me la paghi!»

Cominciarono entrambe a ridacchiare e a punzecchiarsi a vicenda, ignare di essere osservate dagli occhi increduli di Rachel.

Corvina non credeva di aver mai visto qualcuno così... sereno, dopo tutto quello che era successo in quei mesi. Non riusciva davvero a spiegarsi come facessero quelle due ragazze a divertirsi in quel momento.

Improvvisamente, ebbe una visione. Al posto di Amalia e Tara, c’erano Jennifer e Karen che ridevano. Erano loro, lì, di fronte a lei. Come se l’esplosione non le avesse mai portate via, come se il mondo non fosse crollato di fronte ai suoi occhi.

A quel punto capì.

Tara e Amalia erano due ragazze tanto quanto Karen e Jennifer. Potevano vivere in situazioni, mondi, completamente differenti, ma la loro natura era comunque la stessa.

Potevano sembrare entrambe tese, preoccupate, a causa di ciò che avevano vissuto ad Empire. Ma erano comunque delle adolescenti.

Ridevano, scherzavano, sorridevano. Erano esseri umani. Erano persone. E in quanto tali, non rinnegavano ciò che erano solo a causa di un periodo buio delle loro vite.

Avevano avuto un piccolo momento di pace, e lo avevano accolto a braccia aperte. Per pochi minuti, avevano semplicemente deciso di essere loro stesse, di dimenticare ciò che era accaduto e ciò che le aveva costrette a trovarsi in quel magazzino, in una città ostile, costrette a lottare per vivere.

Non erano come Rachel. Non pensavano solo al lato negativo delle cose. E avevano pienamente ragione a fare ciò. E lei avrebbe dovuto prendere esempio.

«Ehi, ma tu sei ancora qui?» le domandò Amalia improvvisamente, quando la notò dopo aver preso un attimo di tregua dagli attacchi di Tara. «Non dovevi andare via con Rosso?»

Corvina sgranò gli occhi. Era rimasta così presa dalle sue riflessioni che si era dimenticata di essersi messa d’accordo con il ragazzo la sera prima per andare a fare un giro di perlustrazione della città con lui, quel mattino.

Inoltre Lucas aveva detto di aver scoperto un bel po’ di cose mentre rubava quel furgone degli UDG, e che gliele avrebbe spiegate proprio durante la loro ronda.

La conduit frenò all’ultimo un’imprecazione, maledicendosi per essere stata così sbadata, poi corse nella sala relax per mettere qualcosa nello stomaco al più presto.


 

Di solito quando al fondo di un capitolo leggo le note dell'autore penso: "Wow, le note dell'autore, sicuramente avrà qualcosa di interessante da dire!"

Non è questo il caso. Ma vabbé, se volete continuare a leggere fate pure.

Questo capitolo apre la trilogia dei capitoli un po' più lenti, prima del famoso degenero di cui già avevo parlato, spero vi sia piaciuto.
In particolare il monologo da vecchio alcolizzato e complottaro di Hank, quella è stata la parte che più mi ha divertito mentre la scrivevo.
A proposito di Hank, questo Spazzino era un personaggio su cui avrei voluto puntare un po' di più, mi sarebbe piaciuto dargli un ruolo più rilevante, magari perfino aggiungerlo al gruppo dei Teen Titans 2.0., ma forse sarebbe stato un po' fuori luogo.
Un vecchio rimbambito ci sta sempre bene in un gruppo di personaggi/protagonisti, però questo forse non era il caso. In alternativa, mi sarebbe piaciuto fargli fare un bel ritorno di fiamma verso le fasi finali della storia, schierato dalla parte dei buoni, ma sarebbe risultato un po' forzato, quindi ho deciso di eliminarlo e via. Ma questo dopo aver aperto due ulteriori quesiti: perché Corvina sogna(va) di essere dentro il suo corpo? Perché ha perso i poteri? Perché Dom e Kev lo cercavano proprio per quel motivo? Ha ragione sul fatto che le esplosioni sono state proprio opera del governo? E così via discorrendo, insomma.

In conclusione, spero di aver fatto sorgere ulteriori dubbi in voi cari lettori. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, spero di non aver dimenticato di correggere qualche orrore ortografico e per finire, sì, il titolo "essere umani" è scritto volutamente così. Giusto per.

Un saluto e un grazie ad Eustrass_Sara, Calimetare e Corvina che hanno recensito l'ultimo capitolo. E uno anche a Nanamin, che so che c'è, ma non ha tempo per farsi sentire.

A presto!


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Capitolo 13
*** La cima della piramide ***


Capitolo 13: LA CIMA DELLA PIRAMIDE

 

 

«Cos’è quella roba?» domandò Lucas alla corvina mentre lei scartava uno snack.

«"Barretta cioccolato e agrumi"» lesse Rachel sopra l’incarto, per poi porgere la merendina al ragazzo accanto a lei. «Vuoi?»

«Cioccolato con agrumi?» domandò lui sollevando un sopracciglio. «No grazie...»

«Non è poi così male...» rispose lei addentandone un pezzo. «E comunque dopo mesi di fagioli in scatola e frutta essiccata hai poco da fare lo schizzinoso.»

«Ieri sera ho mangiato della carne in scatola e ho bevuto una lattina di birra calda come il piscio. Non mi pare che le cose siano cambiate poi molto...»

«Abbiamo coperte, cibo, acqua, un tetto sulla testa, e anche un frigo in cui poter mettere le tue preziose birre. A me pare proprio che invece le cose siano cambiate.»

«Siamo in una città piena zeppa di psicopatici da cui è impossibile uscire. Non sono cambiate.»

«Credevo di essere io quella pessimista...» commentò Rachel, con un sorrisetto amaro.

«A volte è meglio guardare il bicchiere mezzo vuoto. Se si è troppo ottimisti si finisce sempre con il restare delusi.» Lucas fece una smorfia. «Ed entrambi lo sappiamo bene.»

«Hai proprio ragione...» rispose la ragazza, sospirando.

Buttò via l’involucro di quella barretta che era stata la sua frugale colazione, poi concentrò la vista sulla strada attorno a lei.

Pedoni, automobili, anche animali domestici. Sembrava tutto nella norma. Lei e Lucas erano solamente due in mezzo alla folla. La gente passava accanto a loro, chi a testa bassa, chi con il cellulare premuto contro l’orecchio. Nessuno li degnava di una seconda occhiata. Potevano essere scambiati per due semplici liceali in ritardo per le lezioni.

Erano una strada normalissima, circondati da persone normalissime, in una giornata normalissima.

Tutto quello era surreale. Rachel lo aveva pensato sin dal primo momento in cui erano arrivati a quell’incrocio. Mentre aveva chiacchierato con il suo partner, mentre aveva mangiato la barretta, non appena aveva visto la prima macchina, circa mezz’ora prima. Quello era stato un chiodo fisso nella sua mente.

Era passata dal vedere una città completamente deserta... ad un gigantesco centro densamente popolato.

Forse gli abitanti di Sub City erano abituati a tutto quello, a passare la notte in casa a causa del coprifuoco per poi uscire il mattino dopo, per andare a lavorare o a svolgere altre commissioni.

Ma a lei sembrava qualcosa di fuori dal comune. Ad Empire aveva vissuto le peggio esperienze, certo, ma non era mai stata vincolata da uno stupido orologio. Non aveva mai avuto paura di trovarsi per strada ad un’ora troppo tarda, anche perché qualsiasi ora poteva rivelarsi quella sbagliata.

Una cosa però la stupiva in senso buono: le persone erano tutte vestite bene, in buona salute e, nonostante sembrassero tutti parecchio di fretta, non parevano spaventati o nervosi. Non erano costretti ad avere dieci occhi per assicurarsi di non essere accoltellati alle spalle, di fianco o anche di fronte.

Il fatto che una tavola calda di fronte a loro fosse aperta e gremita di clienti lasciava ben intendere che le condizioni, a Sub City, non erano schifose come ad Empire. Un insegna spenta appesa sopra la porta di ingresso recitava le parole "Diner".

Un rombo improvviso proveniente da sopra la sua testa le fece alzare lo sguardo di scatto, facendola sobbalzare. Un gruppetto di caccia militari sfrecciò in mezzo al cielo azzurro, sorvolando la città e facendo traballare le vetrine dei negozi, per poi svanire insieme al diminuendo di quel boato assordante che avevano causato.

Rachel rimase ad osservare il cielo sbalordita, con gli occhi viola sgranati e le labbra dischiuse. Anche alcuni pedoni si fermarono per qualche istanti, ma nessuno di loro sembrava sorpreso quanto la corvina.

«Semplici raid di ricognizione» le spiegò Lucas, probabilmente accorgendosi del suo stupore. «Ogni tanto li fanno. Mi chiedo cosa pensino i soldatini la sopra di tutto quello che sta succedendo qua sotto...»

Corvina annuì, perplessa, con ancora gli occhi alzati.

Milioni di domande affioravano nella sua mente, si sarebbe mangiata le mani pur di scoprire la risposta a ciascuna di esse, poi si ricordò che la persona di fianco a lei faceva proprio al caso suo. Spostò lo sguardo sul partner. Prima di parlare, tuttavia, rimase un attimo concentrata sul suo aspetto. Era da diverso tempo che non lo faceva.

Era spigoloso e stanco, come sempre. Questa volta nemmeno l’assenza della pittura facciale riusciva a conferirgli un look da adolescente qualsiasi. Guardandolo di sfuggita forse l’avrebbe data a bere a tutti, ma osservandolo bene si notava perfettamente come tra lui e un ragazzo normale ci fosse un intero mondo di differenza.

Tuttavia, a Corvina non dispiaceva più di tanto. Aveva un’aria molto più audace, severa, qualcosa che gli conferiva una specie di aura di forza ed indipendenza. Chiunque, guardandolo bene, avrebbe capito che Lucas era uno che sapeva il fatto suo.

La peluria facciale si era accentuata e, seppur corta, ora copriva buona parte delle guancie, l’intero mento e la parte di pelle sotto il naso. Era nera come il carbone, proprio come i suoi capelli arruffati. Un colore che si scontrava con il blu dei suoi occhi e che allo stesso tempo ci si sposava alla perfezione.

«Allora, Lucas...» cominciò a dire, appoggiandosi contro al muro del palazzo dietro di loro, mentre le persone andavano e venivano dal marciapiede di fronte. «... non siamo qui per parlare di merendine. Cos’hai scoperto ieri sera?»

«Beh... non molto, a dire il vero. Giusto un paio di cose.» Rosso incrociò le braccia e chinò il capo, rimuginando. «All’inizio gli UDG erano un semplice gruppo di mercenari, capitanati da questo tizio con la maschera bicolore, lo stesso che anche Dreamer ha nominato.»

«Wilson...» mormorò Rachel, per poi annuire. «Continua.»

«Una loro particolarità era che venivano sempre assoldati per missioni che sembravano praticamente impossibili da compiere, vuoi per inferiorità numerica o per equipaggiamenti più obsoleti, ma in un modo o nell’altro sono sempre riusciti a spuntarla, e anche con molto successo. Da qui nasce il loro nome. Underdog, ossia il singolare di "svantaggiati". Si dice che questa loro maestria sia dovuta proprio al loro capo, senza il quale probabilmente non sarebbero mai arrivati dove sono oggi. In poche parole, questo Wilson è uno su un milione.

«Avevano una base proprio qui a Sub City, dove, poco per volta, hanno acquisito sempre più potere. Ma il picco massimo della loro forza l’hanno raggiunta sette mesi fa. E tu sai cos’è successo allora.»

Rachel annuì una seconda volta, sentendosi la gola piena di sabbia. «L’esplosione...»

«Già. Non sembra che Sub City sia stata colpita direttamente, ma i fatti di Empire si sono ripercossi anche qui. Alcuni conduit hanno attaccato la città, il panico si è scatenato, molti Underdog sono morti. E questo è stato il momento in cui Wilson ha deciso di entrare in scena. Ha ucciso tutti i conduit e ha preso il controllo della città, eliminando tutti coloro che hanno cercato di fermarlo, imponendosi con la forza come un dittatore.

«Così facendo è riuscito a creare un regime in cui tutti quanti possono essere al sicuro, l’importante è sottostare alle regole. Tutti i cittadini devono versare mensilmente una quota nelle loro tasche, pena la morte. Sono una specie di associazione a delinquere, ma molto più ben armati e molto più stronzi. Il coprifuoco è solo una delle tante regole che hanno imposto, per evitare che qualcuno possa creare problemi.

«I confini della città sono sorvegliati ventiquattrore su ventiquattro. Hanno una mezza dozzina di torri di guardia, sensori, radar, videocamere. Chiunque cerca di uscire viene beccato in meno di mezz’ora e viene inseguito ed ucciso. Oppure paga. Solamente volando ad altissime quote si potrebbero aggirare simili controlli. Dubito che perfino tu ci riusciresti.»

«Quindi... alcuni conduit di Empire sono riusciti ad arrivare fino a qui, sette mesi fa? O ci sono state altre esplosioni?»

Lucas scosse lentamente la testa. «Questo non lo so. Il tizio che mi ha passato le informazioni non ha accennato ad altre esplosioni.»

«Quale tizio?»

Il moro scrollò le spalle, mentre un sorrisetto si dipingeva sul suo volto. «Uno che ho torchiato, ieri pomeriggio, quando non c’era il coprifuoco... come pensi che abbia scoperto queste cose sugli Underdog?»

«Hai... hai torchiato una persona innocente?!» domandò ancora la ragazza, interdetta di fronte alla noncuranza del partner.

«Ehm, sì?»

«Incredibile!» sbottò Rachel, allargando le braccia accigliata ed osservandolo come se con lui avesse appena perso le speranze.

«Lo prenderò come un complimento.»

«Ma che cosa ti dice il cervello?!»

«Che devo andarmene da questa città. E che per farlo devo essere disposto a tutto.»

«Santo cielo, Lucas...» mugugnò la corvina, portandosi una mano sul volto e scuotendo la testa. «Sei... sei davvero...»

Si interruppe di colpo, quando notò qualcosa di insolito alle spalle di Lucas. Un baleno rosso, che si mischiò immediatamente in mezzo alla folla, probabilmente pensando che ciò sarebbe bastato a permettergli di rimanere nascosto. Corvina inarcò un sopracciglio, osservando il punto in cui lo aveva visto con insistenza.

Lucas si accorse del suo sguardo e schioccò le dita. «Ehi, Roth, che ti prende?»

La ragazza lo ignorò e cominciò a camminare, facendosi strada tra il viavai di persone, fino a quando non giunse al luogo in cui aveva intravisto quella macchia rossa. A quel punto si voltò verso la sua sinistra, dove un vicolo all’ombra conduceva verso chissà quali meandri di Sub City.

Incrociò le braccia, osservando la stradina scura con aria severa. «Che diavolo ci fai tu qui?» disse al vuoto.

Lucas arrivò proprio in quel momento, guardandola basito. «Tutto ok, Rachel? Con chi diavolo stai parland...»

Non riuscì a terminare la frase. Ryan sbucò fuori da dietro il suo nascondiglio improvvisato, dietro un cassonetto dei rifiuti.

«Ma come cavolo hai fatto a vedermi?» domandò alla corvina, imbronciato.

«Non sono stupida» rispose lei.

«Non lo metto certo in dubbio...» disse lui massaggiandosi dietro al collo, imbarazzandosi.

«Tu? Ma cosa...?» borbottò Lucas, sbigottito dalla sua presenza. «Perché sei qui?»

Il rosso sospirò, avvicinandosi ad entrambi ed uscendo dal vicolo. «Volevo venire con voi... solo che non potevo chiedervelo al magazzino, avreste rifiutato. Così vi ho pedinati... stavo quasi per rivelarmi io stesso, ma visto che mi avete beccato non c’è n’è più bisogno...»

«Amalia sa che sei qui, almeno?»

Una smorfia nacque sul volto del ragazzo, non appena la corvina nominò sua sorella. «No, non lo sa. Credo che ci metterà ancora un bel po’ di tempo per accorgersi che me ne sono andato.»

«Che intendi dire?»

«Intendo dire...» cominciò Ryan con tono di voce irritato. «... che era troppo impegnata a ridere e scherzare insieme a Tara per ricordarsi della mia esistenza... è così che fa lei... è così che ha sempre fatto...»

«Ascolta, Ryan...» Rachel gli posò una mano sulla spalla, cercando di essere accomodante. «So che vuoi solo renderti utile e che hai delle buone intenzioni, ma c’è un motivo se Amalia non ti lascia fare certe cose. Le persone con cui abbiamo a che fare sono senza scrupoli, non si tratterranno dallo spararti addosso solo perché sei un ragazzo, lo capisci? E inoltre, se Amalia scoprisse che ti abbiamo lasciato venire con noi ci crocifiggerebbe tutti...» concluse, con un piccolo sorriso.

 Il ragazzino sospirò, distogliendo lo sguardo da lei. «Lo so, ma non mi importa. Sono stanco di starmene sempre da parte, io voglio essere di aiuto in qualche modo, voglio essere reso partecipe. Questa faccenda non riguarda solo voi, ma anche me. L’esplosione ha portato via anche la mia vecchia vita, non solo la vostra. Ne ho piene le tasche di dover sempre restare fermo a guardare gli altri mentre combattono una battaglia che alla fine è anche la mia.» Il rosso strinse i pugni, per poi risollevare la testa. «Voglio venire con voi, e se non me lo lascerete fare, allora dovrete riportarmi indietro con la forza.»

Lucas e Rachel si scambiarono un’occhiata. Alla corvina quella situazione pareva quasi assurda.

Certo, Ryan aveva ragione. Aveva assolutamente ragione. Poteva essere giovane quanto voleva, ma restava sempre il fatto che lui era immerso in quella situazione schifosa tanto quanto loro. Anche lui aveva perso molto a causa dell’esplosione e anche lui era arrabbiato, nel profondo.

Come i due partner avevano fatto, anche lui voleva lottare per la propria sopravvivenza, per scoprire la verità celata dietro a quel tremendo scenario che era diventato il loro mondo e, soprattutto, non voleva dipendere da nessuno.

Motivi come quelli sarebbero bastati a Rachel per consentirgli di venire con loro, ma restava pur sempre il fatto che non spettava a lei decidere per lui.

«Perché non ne parli con Amalia, allora?» gli domandò a quel punto. «Dille esattamente le stesse cose che hai detto a noi, e sono certa che...»

«Credi che non ci abbia mai provato?» la interruppe lui, facendo una smorfia. «Le ho detto le stesse identiche cose che ho detto a te, più e più volte, ma lei è sempre rimasta inamovibile.»

«E non potevi insistere?» si intromise Lucas, incrociando le braccia. «Se nelle vostre vene c’è lo stesso sangue, scommetto che non sarebbe stato molto difficile per te romperle le scatole a dovere...»

«Avremmo solo finito con il litigare e non potevo permetterlo. Ho promesso a Kori che ciò non sarebbe mai avvenuto, dopo la morte dei nostri genitori. Non posso e non devo litigare con Amalia. Io mantengo sempre le promesse.» L’espressione di Ryan assunse una vistosa vena di determinazione. «Allora, decidetevi: o vengo con voi, o mi riportate indietro.»

I due partner si scambiarono un’occhiata per la seconda volta. Rachel non sapeva più cosa pensare. Da una parte se la sentiva di appoggiare il rosso, ma dall’altra sapeva che Amalia voleva solo proteggerlo e lei non poteva certo impicciarsi.

«D’accordo» disse infine Lucas, sorprendendo sia lei che il ragazzino. «Puoi venire con noi.»

«Davvero? Forte!» esclamò Ryan, sorridendo vittorioso.

«Lucas, ne sei sicur...»

Il moro interruppe la domanda di Rachel, rivolgendosi ancora al rosso. «Ma mettiamo in chiaro un paio di cose: in primis, sarai tu a vedertela con Amalia al nostro ritorno. Né io né Rachel siamo assolutamente responsabili della tua scelta di venire con noi. E in secondo luogo, non abbiamo alcuna intenzione di farti da badante. Dovrai cavartela da solo nel caso in cui le cose si mettessero male, e ti converrà anche tenere il nostro passo, perché se per caso dovessi rimanere indietro, lì ci rimarresti. Chiaro?»

«Chiaro» replicò il rosso, continuando a sorridere come se nemmeno avesse fatto caso al tono severo di Lucas.

«Mh, bene. Allora faremo meglio a darci una mossa, abbiamo perso già tanto tempo e ci sono molte cose da vedere.»

Lucas cominciò a camminare lungo il marciapiede, facendo cenno agli altri due di seguirlo.

Ryan gli andò dietro senza esitare un solo istante, mentre Rachel rimase ferma ancora per un momento, non molto convinta dalla scelta del partner.

«Questa storia non può finire bene...» mugugnò tra sé e sé, prima di recuperare il passo.

 

***

 

«Eccolo là. Il deposito dove ho trovato il furgone.»

Lucas indicò con il dito un piccolo complesso di edifici che si trovava al di sotto di loro. Una recinzione circondava la struttura, mentre furgoni, jeep, e uomini armati tutti marchiati UDG presidiavano la zona. Per entrare nel perimetro occorreva passare per l’ingresso delimitato da un cabinato e una sbarra abbassata.

Rachel si sporse leggermente oltre il bordo del tetto dell’edificio su cui si erano appostati, per cercare di capire meglio cosa aveva di fronte. «Sei... sei riuscito a sgattaiolare lì dentro per rubare il furgone?!» domandò incredula, osservando quel quantitativo industriale di uomini armati. «Ma come cavolo...»

«Nato e cresciuto nel Dedalo con genitori tossicodipendenti, forse?» la anticipò il ragazzo, guardandola sottecchi. «So come non farmi beccare.»

La corvina annuì lentamente. «Sì... giusto...»

«Come hai fatto a trovare questo posto?» chiese Ryan, con un sopracciglio alzato.

Lucas scrollò le spalle, come se le cose che aveva fatto fossero roba da nulla, per lui. «Quando sono uscito dal magazzino sono andato a dare un’occhiata per strada, e ho visto passare una di quelle jeep in strada, non molto lontana da dove mi trovavo. La prima cosa che ho notato sono state le tre lettere, UDG, e il mio cervello mi ha subito suggerito che c’era qualcosa di insolito. Così ho voluto scavare più a fondo, e una cosa tira l’altra mi sono ritrovato qui, a rubare quel furgone. Il resto lo sapete.»

«Cavolo... sei un grande!» esclamò Ryan, osservando sbalordito il moro.

«No invece. Sono solo un idiota che si diverte a pestare i piedi a persone che potrebbero fargli pentire di essere nato.»

«Vedila come vuoi. Ai miei occhi rimani il ragazzo con più palle che abbia mai conosciuto.»

Lucas rispose con un grugnito che poteva voler dire tutto e niente allo stesso tempo, ma Rachel giurò di aver visto un sorriso compiaciuto apparire sul suo volto, per poi sparire rapido com’era apparso.

«Allora...» riprese la corvina, riportando l’attenzione sullo spettacolo sottostante. «... perché siamo qui?»

«Questo posto sembra piuttosto importante per gli Underdog. Non credo che sia la loro base principale, ma forse è una specie di magazzino in cui tengono la loro roba, o magari un rifugio. Scommetto che c’è un sacco di roba che potrebbe servirci, là dentro.»

«Quindi che cosa suggerisci? Vorresti rapinare quel posto una seconda volta?»

«Non dico questo. Dico solo che faremmo meglio a tenerlo d’occhio. Potremmo scoprire un sacco di cose interess...» Lucas si interruppe di colpo, per poi guardarsi la tasca. «Ma che diavolo...?»

Tirò fuori dalla tasca il cellulare, il quale vibrava tra le sue dita: lo stavano chiamando. Il ragazzo lesse sopra lo schermo e corrucciò la fronte. «Tara? Che cosa vuole?»

Accettò la chiamata e portò l’apparecchio vicino all’orecchio. Parve pentirsene subito dopo. Nonostante non ci fosse il vivavoce inserito, Rachel riuscì perfettamente a sentire la voce di Amalia che esplodeva al di fuori dell’altoparlante, mentre ricopriva Lucas di appellativi non molto gentili.

«Credo che si siano accorte che te ne sei andato...» mugugnò al rosso accanto a lei, il quale, a discapito di qualsiasi pronostico, ridacchiò.

«Lo credo anch’io.»

Lucas nel frattempo cercò di domare la conversazione: «Amalia... Amalia per favore... tappati quella dannata bocca, cazzo! Sì, è qui con noi! Vaffanculo, sei tu che dovevi impedirgli di venire! Non rompere le palle, te la vedrai con lui quando torneremo, io non voglio essere chiamato in causa!»

Rachel roteò gli occhi e sospirò, imbarazzata. Diede le spalle al ragazzo, concentrandosi nuovamente sul deposito degli Underdog. Certo, era difficile restare attenta con Lucas che sproloquiava al telefono dietro di lei, ma ci provò ugualmente.

«Simpatico il tuo socio» le disse Ryan, mettendosi accanto a lei.

«Urca...» borbottò Rachel.

Ryan ridacchiò una seconda volta. «Scommetto che ne avete viste parecchie insieme...»

«Sì... sì, è così.» Un piccolo sorriso apparve sul volto della ragazza. Ricordò quasi con nostalgia tutto quello che lei e Lucas avevano combinato ad Empire, mentre sgominavano bande di Mietitori a destra e manca e si mettevano più di una volta nei guai. I brividi di eccitazione che aveva sentito scorrere nella sua pelle, quella magnifica sensazione che solamente vivendo la vita appieno in ogni suo istante si poteva provare.

Per quanto pericolosi e ai limiti della follia, quelli erano stati gli unici momenti in cui, seppur per poco tempo, lei era riuscita a scordare tutto quello che aveva provato con la perdita di genitori, amici e la sua stessa vita.

Insieme a Lucas, quello stesso ragazzo che in quel momento stava sbraitando al telefono come un teenager in piena crisi adolescenziale. Lo stesso ragazzo con cui si era confidata, che aveva compreso il suo dolore e che, ogni tanto, era anche riuscito a tirarle su il morale con il suo umorismo un po’ macabro.

In effetti... Lucas non era più solo un socio ormai, per lei. Era un amico. La persona migliore che avrebbe mai potuto conoscere dopo l’esplosione.

«Ne abbiamo passate parecchie, eccome...» ripeté, quasi più a sé stessa che a Ryan.

«E che mi dici di Tara, invece?»

La corvina inarcò un sopracciglio, voltandosi verso di lui. «Prego?»

«Sì, Tara... insomma...» Il ragazzino distolse lo sguardo da lei, imbarazzato. «Lei... beh... che cosa sai dirmi?»

Rachel storse la bocca in un’espressione a metà tra la perplessa e la divertita. «Che dovei dirti?»

«Andiamo... so che hai capito...»

Alla conduit quasi venne da ridere, udendo quella risposta. Sì, aveva capito. Ma le sembrava un’assurdità immane. «Ok, ok... non è il tuo tipo.»

«Cosa?! Perché?!» domandò il ragazzo, dimostrando di avere davvero a cuore la faccenda.

«M’beh, vediamo...» Rachel si picchiettò su una guancia con l’indice, fingendo di pensare alla risposta. «Sei più giovane di lei, la conosci a malapena e per finire sta ancora cercando di riprendersi dalla morte del suo precedente ragazzo, Logan. Ora come ora, trattare simili argomenti con lei finirebbe solo con il riaprire delle sue cicatrici che farebbero meglio a restare chiuse. Fidati, lo so per esperienza.»

Il rosso incurvò le labbra verso il basso. Sembrava quasi che avesse messo il broncio. «Quindi... tu che consigli?»

«Chiedi alla persona sbagliata...» replicò lei, con un sorriso amaro. «Lascia passare un po’ di tempo. Parlale un po’ più spesso, conoscila meglio, fatti conoscere meglio. Magari potrebbe interessarsi a te, o magari tu potresti cambiare idea su di lei. Ma non correre troppo. Può sembrarti tranquilla e serena quando la vedi, ma, credimi, è parecchio tormentata. Amava Logan e lui amava lei. Non lo dimenticherà tanto facilmente.»

Ryan si mordicchiò l’interno della guancia, riflettendo su quelle parole. Dopo qualche istante annuì. «Va bene, ci proverò. Grazie.»

«Prego.»

«Ehi senti, qui non c’è molto campo, che ne dici di richiamare... beh, mai più? Ok, ciao.» Lucas chiuse bruscamente la telefonata proprio in quel momento, sospirando esasperato. «Ringrazio ancora una volta di essere figlio unico...» mugugnò rimettendo il cellulare in tasca, per poi lanciare un’occhiataccia a Ryan. «Le devi un bel po’ di spiegazioni, lo sai vero?»

Il rosso scrollò le spalle. «Amen. Mi basterà chinare la testa e annuire con un espressione mortificata, chiedendo scusa di tanto in tanto. Crederà che la starò ascoltando.»

Lucas ridacchiò sommessamente. «Astuto. Complimenti.»

Rachel spostò di nuovo lo sguardo sul deposito. «Bene, ora che ne dite di ritornare al lavor...» si interruppe di colpo, quando notò un fuoristrada decisamente diverso dagli altri avvicinarsi alla sbarra d’ingresso. Era molto più grosso e squadrato degli altri, anche se il simbolo degli Underdog non mancava. Una volta giunto in prossimità del cabinato si fermò, ed uno degli uomini di guardia si avvicinò al finestrino del posto del guidatore per parlare con il conducente.

«Quello è un Hummer...» osservò Lucas, sbigottito. «... deve essere di qualcuno di importante...»

Gli UDG lo lasciarono passare. Il grosso veicolo entrò nel parcheggio del deposito, per poi arrestarsi e spegnere il motore. Le portiere posteriori si aprirono e da esse uscirono due individui.

Non appena Rachel li vide non credette ai propri occhi. Sentì il respiro mozzarsi e rabbrividì. Uno di loro aveva una bandana arancione che gli copriva metà del volto, fino al naso, con una lunga cascata di capelli bianchi che gli sfioravano le spalle, mentre l’altro... l’altro era l’uomo da cui li avevano messi in guardia.

Il capo della baracca, il vertice della piramide, l’individuo dalla maschera bicolore.

Wilson.

 

 

 

 

Non so se questa cosa è già stata accennata nei capitoli precedenti o no, nel dubbio, la ripeto qui e questa sarà la versione reale dei fatti, indipendentemente da qualsiasi altra cosa io abbia scritto in precedenza:
The Darkness's Daughter: Prologue
(quelle tre 's' così vicine non si possono proprio vedere...) è ambientata un mese dopo l'esplosione di Empire; questa storia, invece, è ambientata sei mesi dopo il prologue.
1+6 fa 7, e visto che la matematica non è un'opinione, l'esplosione è avvenuta sette mesi prima degli avvenimenti di questa fic, come anche è spiegato in questo capitolo.
Poi, parlando degli Underdog. Finalmente abbiamo quale sia il loro ruolo a Sub City e per quale motivo ci siano regole ferree come quella del coprifuoco.
Quindi, come avrete capito, Sub City è un tantino messa meglio rispetto ad Empire City dal punto di vista dell'economia e della salute delle persone, UDG a parte. Sì, ci sono ancora i soldi. Almeno, a Sub City è così. Diciamo che questa città è praticamente diventata una "comunità" estranea al resto del paese, in cui le cose funzionano un po' diversamente.
E questo è grazie a, o per colpa di, Wilson. Ecco, voglio lasciarvi un quesito: secondo voi, Wilson fa bene a governare la città in questo modo, tenendola sicura, ma allo stesso tempo imprigionando le persone e uccidendo chi si oppone? Oppure dovrebbe essere detronizzato per garantire la libertà ai cittadini?
Non serve che mi rispondiate, pensateci solo. In ogni caso, questo quesito ritornerà più avanti nella storia. 
Poi, Ryan ha finalmente deciso di entrare in azione. Sì, lo so, a momenti perfino io mi dimenticavo di lui. Non avrà un ruolo cruciale nell'andamento della storia, ma qualche parola bisogna pur fargliela spiccicare, no? Un po' di luce sarà fatta ancora su di lui nel prossimo capitolo, dove ci sarà anche un pelino di azione.

E basta, non ho altro da aggiungere, se non che vi do appuntamento alla prossima settimana (sì, direi che ormai il weekend sarà il periodo in cui pubblicherò ogni capitolo).
Quindi bon, alla prossima!

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Capitolo 14
*** Ricercati ***


Capitolo 14: RICERCATI

 

«Giù, giù, abbassatevi» ordinò Lucas all’improvviso, mentre si accovacciava. «Non fatevi vedere.»

Corvina e Ryan obbedirono, cercando di stringersi il più possibile contro la superficie del tetto.

«Che succede? Chi è quello?» domandò il rosso, spaesato.

«Il capo degli Underdog» rispose Red X, con un soffio di voce. «È venuto a controllare di persona il deposito che ho rapinato... mi sento quasi onorato.»

«Non c’è da scherzare, Lucas!» bisbigliò Rachel, irrigidendosi ogni secondo di più mano a mano che guardava quell’individuo.

«Tranquilla, non può sapere che siamo qui.»

«E l’altro chi cavolo è?» domandò ancora Ryan, accennando con il mento al tizio con la bandana.

«L’altro...» cominciò Rosso, con tono calmo. «... credo sia una lei...»

Il ragazzino sgranò gli occhi, imitato da Rachel. Osservò meglio l’individuo che stava accanto al leader degli Underdog  a braccia conserte, e non poté non notare il suo petto, decisamente troppo gonfio per essere quello di un uomo.

Ryan deglutì. «Beh, allora... chi è lei?»

«Lo sapessi...» mugugnò Rosso, facendo una smorfia.

I due nuovi arrivati erano subito stati accerchiati da alcuni degli Underdog di guardia. Deathstroke stava ascoltando un suo sottoposto, il quale gesticolava parecchio mentre parlava. Sembrava piuttosto teso mentre spiegava al suo capo che un ragazzino era riuscito a rubare uno dei loro furgoni.

La donna, invece, faceva da semplice spettatrice.

Passarono i minuti, gli uomini armati stavano continuando a discutere, mentre i ragazzi appostati sul tetto non avevano alcuna idea su come procedere.

«Lucas, forse dovremmo andarcene da qui, prima che le cose si mettano male» suggerì Rachel, nervosa almeno il doppio di quella guardia che parlava con l’uomo mascherato. Il campanello di allarme nella sua testa si era acceso dal primo momento in cui il leader degli UDG aveva messo piede fuori dalla sua macchina. Più stavano lì, più si mettevano in una brutta situazione.

Si voltò verso il moro. «Allora, ce ne andiam... ehi, che ti prende?»

Il partner abbassò la testa all’improvviso, portandosi una mano di fronte alla bocca. Il suo corpo cominciò ad essere scosso da alcune convulsioni, sotto gli occhi atterriti di Rachel e Ryan, poi il ragazzo si accasciò a terra, sorreggendosi con le sole mani.

«Cazzo, Lucas! Che succede?!»

Per tutta risposta il moro rigurgitò tutto quello che aveva nello stomaco, tossendo e facendo versi disgustati molto più forte di quanto avrebbe dovuto fare. Chiazze di vomito gialle e nauseabonde riempirono la parte di tetto su cui il ragazzo era appostato.

«Ehi, voi!»

Una voce si sollevò in aria all’improvviso. Rachel si voltò di scatto, allarmata. Sgranò gli occhi. Vide un Underdog in piedi sul tetto del palazzo accanto al loro, il quale li osservava basito, bracciando il proprio fucile. «Che diavolo ci fate qui?!»

La sentinella sollevò l’arma, ma Rachel fu più veloce: lo colpì con un raggio di luce nero, scaraventandolo a terra. Sistemata la minaccia, la corvina si concentrò di nuovo sul partner, il quale ora stava venendo colpito da un forte attacco di tosse.

«Oh merda!» esclamò Ryan.

«Veloce, aiutiamolo» ordinò Rachel, cercando di avvicinarsi al moro.

«Non mi riferivo a quello!» Il rosso si alzò in piedi, indicando il deposito sotto di loro. «Dobbiamo andarcene, subito!»

«Cosa?!» La corvina osservò il luogo indicato dal ragazzo e sbiancò.

Li avevano sentiti. L’uomo mascherato stava osservando con il suo unico occhio proprio il loro palazzo, imitato dai suoi uomini, mentre un UDG gli porgeva un lanciarazzi carico.

Rachel non ci mise molto a fare due più due. «Cazzo! Via, via, VIA!»

Corse da Lucas, cercò di aiutarlo a rimettersi in piedi, ma il ragazzo rifiutò la sua mano con un gesto rabbioso e si alzò da solo.

Un sibilo si sollevò in aria all’improvviso, mentre i tre ragazzi correvano più veloce che potevano. Il bordo del tetto esplose un secondo dopo. La ragazza gridò, mentre fumo nero si sollevava dal nulla e detriti di cemento di ogni genere cominciavano a piovere loro addosso. Il boato fu così assordante che sentì le orecchie fischiare. Il pavimento tremò, i tre ragazzi barcollarono.

Raggiunsero il bordo del tetto. Qui Rachel fece per salire sulle scale antincendio, ma Lucas la fermò. «La strada sarà il primo luogo in cui verranno a prenderci! Dobbiamo seminarli via aerea!» esclamò, indicando il tetto del palazzo di fronte a loro. Era più in basso rispetto a loro, ma in compenso sembrava anche piuttosto lontano.

«Io non so se ce la faccio...» sussurrò Ryan.

«Dovevi pensarci prima!»

«Ma...»

Red X non attese risposta. Prese la rincorsa e saltò oltre il bordo, sopra il vuoto del vicolo, per poi atterrare con una capriola sul tetto successivo. Non li aspettò nemmeno, cominciò a correre diretto verso il prossimo tetto.

«E ora?» domandò il rosso alla corvina, con sguardo implorante.

«Reggiti forte.» Rachel si mise alle sue spalle e lo afferrò saldamente. «Ti porto a fare un giro.»

Il rapace nero prese forma. Il ragazzino urlò per la sorpresa. Rachel si sollevò in aria e cominciò a volare, seguendo il proprio partner sopra i tetti.

Nonostante fino a pochi secondi prima Lucas sembrasse impossibilitato a fare qualsiasi cosa, ora stava davvero facendo appello a tutte le sue abilità di parkourista e arrampicatore.

Sotto di loro, in strada, nel frattempo una mezza dozzina di fuoristrada degli UDG si era messa ad inseguirli.

Rachel imprecò tra i denti quando si accorse di loro. Volò più veloce, accompagnata dalle grida di Ryan.

«Rachel!» la chiamò Lucas, fermandosi di colpo e sollevando la testa verso di lei. «Dobbiamo dividerci! Fai attenzione, perché la maggioranza di loro si concentrerà su di te!»

«E tu che farai?!»

«Io me la caverò in qualche modo. Vediamoci tra un’ora all’angolo dove ci siamo fermati prima, al Diner. Se uno dei due non riesce ad arrivare in tempo, si libera degli inseguitori e va direttamente al magazzino!»

«E se ci prendono?!»

«Prega che non accada.»

Lucas le diede le spalle saltò oltre l’ennesimo bordo, ma questa volta, anziché atterrare sul tetto successivo, precipitò in un vicolo per poi svanire dalla visuale.

«Oh merda! È caduto?» domandò Ryan, da qualche parte in mezzo all’energia nera.

«Tranquillo, l'ha fatto apposta» rispose lei, per poi deviare improvvisamente traiettoria e preparandosi psicologicamente per la volata più veloce che avesse mai fatto. «Ok Ryan, preparati!»

«P-Per cosa?»

«Ora vedrai!»

Cominciò a sfrecciare come un proiettile. Sotto di lei, alcuni Underdog avevano aperto il fuoco con i fucili, cercando di colpirla e di abbatterla come se non fosse nient’altro che un uccello qualsiasi. Ma nessuno riuscì a sfiorarla.

Lucas aveva avuto ragione, comunque. Solamente uno dei veicoli degli UDG non si staccò dal resto del gruppo per inseguirla. Pessima idea, la loro. Un solo fuoristrada non sarebbe mai bastato per prendere Red X, mentre nessun veicolo al mondo sarebbe stato in grado di tenere il passo della conduit. Gli Underdog avevano fatto male i loro conti, di nuovo.

Dopo appena qualche minuto aveva lasciato tra lei e i suoi inseguitori almeno dieci isolati di distacco, e non aveva ancora finito.

Continuò fino  a quando non fu sicura di aver cancellato ogni sua traccia. Un suo pensiero andò a Lucas, non appena la situazione si tranquillizzò. Aveva fiducia in lui, ma sperò comunque che se la cavasse.

Atterrò in mezzo ad una ragnatela di vicoli, lontana da occhi indiscreti e vicino al luogo in cui avrebbe dovuto rincontrare il suo partner.

Quando tocco il suolo, l’oscurità si dissolse attorno a lei e Ryan. Il ragazzino si separò dalla ragazza di scatto, per poi appoggiarsi contro un muro e riprendere fiato. Sembrava piuttosto scosso, e Rachel non poteva biasimarlo.

«Cavolo... è stato... è stato...» cominciò a dire, annaspando.

Pericoloso? Spaventoso? La cosa più folle che tu abbia mai fatto?

«... fantastico!» Ryan le rivolse un sorriso a trentadue denti. «È sempre così quando tu e Lucas andate in perlustrazione?»

Corvina rimase a bocca aperta. Qualsiasi reazione si sarebbe aspettata, meno che quella.

«Accidenti, guarda! Sto tremando!» Il rosso sollevò entrambe le mani di fronte a lei. «Questa è adrenalina! Adrenalina pura! Non l’avevo mai provata prima!»

Rachel rimase immobile per un attimo, ad osservarlo. Per un attimo sperò che il ragazzo stesse scherzando, ma non era affatto così. Distolse lo sguardo da lui, evitando di rispondere. Si posò una mano sulla tempia e cominciò a respirare profondamente. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse stato stancante per lei scappare a quella velocità dagli inseguitori.

Anche lei stava tremando, ma non per l’adrenalina. I suoi poteri non agivano mai senza pretendere nulla in cambio; dopo l’enorme sprint che aveva fatto per salvare Ryan soprattutto.

«Ehi, tutto bene?» le domandò Ryan all’improvviso, smettendo di fare l’esaltato.

La conduit annuì lentamente, mentendo. «Sì, sì... sono solo stanca...» Si raddrizzò, portandosi entrambe le mani sui fianchi. «Forza... andiamo al Diner... dobbiamo rincontrarci con Lucas.»

«Sì giusto... e grazie per avermi salvato.» Il rosso le posò una mano sulla spalla, rivolgendole un cenno di gratitudine con il capo.

Rachel fece un piccolo sorriso. «Figurati.»

Con le ultime forze che le erano rimaste, si diresse al luogo dell’appuntamento insieme al rosso.

 

***

 

Dovettero tenere gli occhi ben aperti e guardarsi alle spalle almeno una volta ogni dieci metri per poter procedere in tutta tranquillità.

Rachel si era calata il cappuccio in testa per non dare troppo nell’occhio, Ryan invece cercava di camminare lungo il margine destro del marciapiede, il più lontano possibile dalla strada.

La corvina dubitava che gli Underdog li avessero visti in faccia, ma prevenire era meglio che curare. In ogni caso, la folla nascondeva bene il loro passaggio.

Il miglior nascondiglio è quello sotto gli occhi di tutti..., pensò la ragazza con un mezzo sorriso.

«A proposito, secondo te che cos’è preso a Lucas, prima?» domandò Ryan, a bassa voce per mantenere il basso profilo. «Perché è stato male così all’improvviso?»

Rachel scosse lentamente il capo, incupendosi. «Non ne ho idea... suppongo che sia meglio chiederlo direttamente a lui.»

Sperando che non sia nulla di grave, avrebbe voluto aggiungere, prima di mordersi la lingua.

L’immagine di Lucas che tossiva e vomitava di fronte a lei l’aveva turbata e non poco. La loro missione era appena andata al diavolo, ma di quello non gliene importava nulla. Non quando c’era la salute di un suo amico di mezzo.

Finalmente raggiunsero il Diner. Si avvicinarono ai tavolini all’esterno, posti sotto a dei tendoni, proprio di fronte all’ingresso.

«Che... che facciamo, ci sediamo?» domandò Ryan, adocchiando tre posti liberi che facevano proprio al caso loro.

Rachel scosse la testa. «Dobbiamo ordinare qualcosa per sederci... e io non ho un centesimo...»

«Beh...» Il rosso tirò fuori una banconota sgualcita dalla tasca, per poi osservarla. «Mh... con un dollaro cosa posso prendere?»

Alla corvina scappò un sorriso. «Qualche caramella, forse...»

«Mi piacciono le caramelle» replicò lui, con enfasi.

Questa volta alla ragazza venne da ridacchiare. «Ci sediamo per tre caramelle?»

«Una a me, una a te e una a Lucas» disse ancora il rosso, mentre si avviava verso l’ingresso.

Rachel lo seguì con lo sguardo, con un’espressione a metà tra la divertita e la scettica, poi sospirò e decise di occupare i tre posti che avevano adocchiato. Diede un’occhiata all’ora con il cellulare. Erano passati circa venti minuti da quando erano scappati dagli Underdog. Lucas aveva ancora più di mezz’ora per presentarsi. Altrimenti sarebbero andati al magazzino.

Temendo il peggio, ovviamente. O meglio, lei avrebbe temuto il peggio. In quel momento Ryan sembrava quasi impossibilitato a guardare il bicchiere mezzo vuoto.

Inspirò profondamente, appoggiandosi contro lo schienale della sedia. Continuava a tremare e sentiva le gambe molli. Avrebbe fatto meglio a meditare, una volta tornata al rifugio.

Ryan riapparve poco dopo, con una manciata di caramelle gommose a forma di bastoncino in mano. «Indovina un po’? Costavano dieci centesimi l’una, così ne ho prese dieci...» Si sedette accanto a lei, posando quelle schifezze sul tavolo. «Tre a te, tre a Lucas e quattro a me. Io ne ho una in più perché, sai, le ho pagate io...»

«Prendi anche le mie, se vuoi...» gli concesse la ragazza, sorridendo di nuovo. «... io non ne vado matta...»

«Fico.» Il rosso cominciò ad arraffarne una dietro l’altra e a mangiare di gusto.

Corvina lo lasciò fare. Chiuse gli occhi e sospirò, inarcando il collo. Sentiva i nervi a fior di pelle.

«Allora, da quanto tu e Lucas vi conoscete?» le domandò il ragazzino all’improvviso, con la voce impastata, probabilmente a causa della bocca piena.

Rachel riaprì gli occhi e abbassò di nuovo la testa. «Da circa dopo l’esplosione... sei, sette mesi.»

Ryan annuì, scartando un’altra caramella. «E per tutto questo tempo siete rimasti... insieme?»

«Più o meno. Quasi tutti i giorni, sì, ma di sera ognuno andava a casa propria. Io vivevo con Tara, nel Neon, lui in qualche topaia nel Dedalo.»

Solo in quel momento Rachel realizzò di non aver mai visto la casa del suo socio. Un po’ le dispiacque. D’altro canto, dubitava di voler davvero sapere in che razza di condizioni lui vivesse.

«Avete sempre dato la caccia ai Mietitori?»

«Sì, esatto. Ma con il tempo lui ha sbollito la rabbia, in qualche modo. Io invece...» Rachel sospirò, ripensando a ciò che era successo con Richard. «... ho capito troppo tardi che quella era una causa persa...»

Il ragazzino annuì una seconda volta, ma non indagò ulteriormente. E Rachel gli fu grata per questo.

Ora che lo osservava meglio, realizzò davvero quanto lui fosse simile a sua sorella. Guardarlo era come guardare lei. I suoi lineamenti erano pressappoco identici a quelli di Stella. E lo rendevano altrettanto bello. Era come se quei lineamenti si sposassero alla perfezione su chiunque, maschi o femmina che fossero.

Ma a differenza della sorella, lui aveva i capelli più ricci, crespi, non lisci e setosi come quelli di Kori. Ma forse la ragazza se li acconciava in qualche modo, in passato. O magari erano proprio i capelli di Ryan che da lisci, a furia di essere trascurati, si erano ridotti così.

I loro occhi, invece, erano identici. Erano verdi, ma non come quelli di Logan, più opachi, come il verde delle foglie. I loro erano brillanti, come smeraldi che rilucevano sotto la luce del sole.

«E prima dell’esplosione la tua vita com’era?»

Rachel si strinse nelle spalle. «Triste e noiosa. Diciamo che è rimasta per metà uguale. Andavo a scuola, ad un collegio per l’esattezza. Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre mi ha abbandonata quando ero ancora bambina. Avevo degli amici, che sono tutti morti nell’esplosione. Tranne uno. Ma di lui non voglio parlare. Poi è cominciata la quarantena e tutto il resto. Ed eccomi qui.»

«Cavolo... non deve essere stato facile...» Ryan poi esitò, indicandole una mano. «Ehm... insomma... i tuoi poteri, derivano dall’esplosione, giusto? Cioè... tu sei sopravvissuta, dico bene?»

Quando la ragazza annuì, il rosso sorrise incredulo. «Wow... ma come hai fatt...»

«Non chiedere. Non lo so. Non credo nemmeno di volerlo sapere.»

«Sì, scusa...» rispose il ragazzino, abbassando lo sguardo imbarazzato.

«E tu invece?» chiese lei, sorridendo di nuovo gentilmente. «La tua vita com’era?»

«Prima dell’esplosione o prima di venire qui negli States?»

«Entrambe.»

Rachel non riuscì a spiegarsi il suo improvviso interesse per Ryan e la sua vita. Forse cercava semplicemente di ammazzare il tempo.

Anche se, comunque, una vena di curiosità la nutriva nei confronti non di Ryan, bensì della sua famiglia, della loro storia. Conoscere meglio le origini di Kori, anche quelle di Amalia, sapere che tipi fossero prima di arrivare ad Empire, se erano sempre stati così o se erano cambiati.

«Beh...» cominciò il rosso, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo pensieroso, probabilmente immerso nei ricordi. «Non saprei nemmeno da dove cominciare, a dire il vero...

«Nemmeno la mia vita è mai stata molto entusiasmante. Anzi, quando vivevo all’estero era parecchio... monotona. Non c’era mai niente da fare, mi annoiavo parecchio ora che ci ripenso. Ma se non altro ero sereno. I miei genitori non c’erano mai, lavoravano, e anche Komand’r era spesso assente da casa. Ho vissuto quasi solamente con Kori. Lei si occupava di me e di praticamente tutto il resto.

«Poi, un bel giorno... dei poliziotti bussano alla nostra porta. Kori apre e... scopriamo che i nostri genitori sono morti in un incidente d’auto. E a quel punto tutto è precipitato nel baratro.»

Ryan sospirò profondamente, prendendo una breve pausa. «Rimasti senza genitori rischiavamo di essere divisi, di ritrovarci in tre famiglie affidatarie diverse. I nostri nonni erano troppo vecchi, mentre zii o zie hanno avuto la bella idea di mandare le loro condoglianze per poi sparire dalla circolazione. Komi era maggiorenne, lei forse avrebbe potuto cavarsela in qualche modo, ma il nostro destino sembrava comunque segnato. Finché non ci è giunta voce di questo... zio amico di famiglia che viveva ad Empire, che era disposto a prendere le nostre custodie. E a quel punto, pur di restare insieme, ci siamo trasferiti.

«Ad Empire le cose non sono cambiate poi molto. Vita noiosa, monotona, e ora anche triste. I giorni passavano lenti, tra un po’ di tv spazzatura e ladruncoli che si aggiravano nel nostro quartiere. Poi nostro zio si è offerto di pagare la retta scolastica per uno di noi, affinché almeno uno potesse avere un futuro più... luminoso, così aveva detto. Komi non ne volle sapere di andare a scuola, mentre io premetti per far andare Kori, perché era lei quella che più se lo meritava. È stata dura, ma alla fine sono riuscito a convincerla.

«Così ho passato gli ultimi mesi ad Empire insieme a Komi... non è stata un’esperienza memorabile. Poi lo zio si è ammalato gravemente... e poi è arrivata l’esplosione. Qualche settimana dopo la morte di Kori è morto anche lui. E siamo rimasti in due.»

«Mi dispiace» disse Rachel con sincerità, posandogli una mano sul ginocchio. «Anche per voi deve essere stata dura.»

Ryan annuì, con gli occhi bassi. «Più di quanto immagini. Per Kori, soprattutto. Dopo aver visto quei poliziotti... ne è uscita devastata.»

«E Amalia, invece?»

Il ragazzino scrollò le spalle. «Non lo so. Non ho mai capito cosa frullasse nella sua mente. Non era mai a casa e quando c’era... beh... era come se non ci fosse. Ma credo che anche lei ci sia rimasta male. Solamente se non avesse avuto un cuore se ne sarebbe infischiata. Ha quasi smesso di parlare dopo il fattaccio, e ha continuato a fare così fino all’esplosione.»

Rachel annuì, mordicchiandosi l’interno della guancia. Scoprire che cosa fosse successo a Kori e famiglia prima di conoscerla la fece sentire un po’ in colpa, per via di quello che aveva pensato di lei quando si era messa con Richard.

Si vergognò quasi di essere lì a parlare con suo fratello, la stessa persona che sicuramente l’aveva amata, come se nulla fosse. Non era giusto nei confronti di Kori. E nemmeno di quelli di Ryan. Avrebbe dovuto sapere di che razza di stronza gelosa avesse di fronte...

«Allora ce l’avete fatta» disse una voce all’improvviso. I due ragazzi si voltarono di scatto e videro Lucas in piedi sul marciapiede, a braccia conserte. «Potevate evitare di farvi una cenetta romantica, però.»

Non appena lo vide, Rachel sentì sciogliersi uno dei tanti nervi che aveva a fior di pelle. Lucas stava bene. Un po’ stanco, e anche irritato, ma stava bene.

«C’è un posto anche per te se vuoi» lo invitò nel frattempo Ryan, porgendogli una caramella ancora incartata.

«No, grazie. Forza, alziamo i tacchi. Ci stanno ancora cercando.» Red X si allontanò da loro mettendosi le mani in tasca, senza nemmeno aspettarli, come già aveva fatto giusto un’ora prima.

Corvina sospirò, alzandosi dalla sedia, imitata da Ryan. «Perché è così scontroso?» le chiese il rosso, sussurrando per non farsi sentire.

«Lascia perdere.» Rachel scosse la testa. «Con lui ci vuole solo un po’ di pazienza.»

Il ragazzino sorrise, cogliendo la citazione. «Chiaro.»

Mentre camminavano dietro al moro, la conduit si domandò se quello fosse il momento migliore per domandargli che cosa gli fosse preso sul tetto, ma temeva di irritarlo più di quanto già non sembrasse.

«Ehi Lucas, perché prima hai vomitato?» domandò Ryan all’improvviso, con noncuranza.

Rachel si irrigidì come un palo. Si aspettò le peggiori reazioni da parte del suo partner. Invece il ragazzo più grande grugnì di disappunto, senza voltarsi. «Colpa di quella carne in scatola di merda che ho mangiato ieri sera. Mi è rimasta sullo stomaco. Probabilmente era scaduta da mesi.»

«E stai meglio ora?»

Lucas scrollò le spalle. «Se per stare meglio intendi dire che non devo più sboccare l’anima, allora sì, sto molto meglio, grazie.»

Sprizzava sarcasmo da tutti i pori, ma una parte di Rachel si sentì comunque sollevata quando udì quelle parole.

Ringraziò anche Ryan con lo sguardo per averle levato l’impiccio di scoprire quelle cose da sola. E subito dopo di ciò, si ripromise che avrebbe aiutato il rosso a sistemare la sua faccenda con Amalia.

Ryan era in gamba, meritava di essere reso più partecipe alle loro faccende.

Non appena vide il profilo del magazzino stagliato in lontananza si sentì in pena per lui. Chissà che razza di gigantesca lavata di capo Komand’r gli teneva in serbo.

Scavalcarono la recinzione e si avvicinarono al portone, trovandolo socchiuso. Lucas lo aprì con una leggera spinta, scuotendo la testa in segno di disappunto. «Che cosa costava a quelle due chiuder...»

Si interruppe all’improvviso, non appena l’interno del magazzino fu visibile. «Oh, cazzo...»

Rachel sgranò gli occhi e sentì il cuore saltare un paio di battiti. L’intero edificio era stato messo a soqquadro. Gli scaffali erano stati tutti rovesciati e con essi i prodotti disposti sui loro ripiani. Scatoloni e merci imballate erano tutte a terra, sparpagliate ovunque come se fossero state scaraventate con forza. Migliaia di frammenti di vetro, plastica e ceramica erano disseminati sul pavimento, facendo apparire il tutto come un gigantesco mosaico.

Era il caos, completamente. Neppure un’impresa di pulizie sarebbe mai riuscita a sistemare quel gigantesco macello.

«Tara! Amalia!» chiamò Lucas, entrando e guardandosi in ogni direzione. «Che diavolo è successo qui?!»

Nessuna risposta. Rachel cominciò ad agitarsi, anche se cercò di non darlo troppo a vedere. Accanto a lei, Ryan pareva spaventato, mentre Lucas sembrava essere un misto di tutto. Avanzarono nel magazzino, schivando le cianfrusaglie sparse ovunque, poi il moro strinse i pugni, contraendo la mascella. «EHI! C’è qualcuno?!»

Questa volta qualcosa ruppe il silenzio generatosi dopo la domanda. La porta dell’area relax si aprì di scatto. Rachel trattenne il fiato.

Amalia fece capolino fuori dalla stanza. Corvina provò sollievo quando la vide, ma non appena si rese conto della mano impregnata di sangue che teneva premuta su un fianco si sentì sbiancare. Il liquido vermiglio filtrava tra le dita e le aveva macchiato buona parte della maglietta. Anche il pavimento ne era lievemente impregnato.

«Komi!» gridò Ryan inorridito.

«Cazzo...» sussurrò Lucas. «Cos’è successo Amalia?!»

«Hanno... hanno... preso Tara...» rantolò lei, per poi crollare a terra.






Lo so, è un capitolo un po' fiacco, mea culpa. Diciamo che è più l'estensione del capitolo 13 che un capitolo vero e proprio, ma se avessi unito i due capitoli sarebbe venuta fuori una cosa mostruosamente lunga e i capitoli lunghi li riservo per le battute finali della storia.
Quindi pace.
Comunque il prossimo sarà già un po' più interessante, e se riesco cercherò anche di pubblicarlo prima, magari venerdì. Non lo so, mi aspetta una bella settimana di schifo a scuola.
E no, Lucas non è incinto, nel caso vi sia passata per la mente quest'ipotesi quando avete letto del vomito ed eccetera.
Per quanto riguarda Tara, vedrete che cosa ho in serbo... scommetto che ad alcuni di voi piacerà. Ad una in particolare (sì, Nanamin, sei tu). E sì, insomma, eccetera eccetera. Se trovate errori bla bla bla.

Alla prossima puntata!

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Capitolo 15
*** Devastatrice ***


Capitolo 15: DEVASTATRICE

 

 

«Sta meglio?»

«L’emorragia si è arrestata e ha riacquistato un po’ di colore, dopo che ho guarito la ferita. Sta recuperando molto bene.» Corvina si chinò accanto al materasso su cui era adagiata la ragazza svenuta e le posò una mano sulla fronte, per accertarsi che non le fosse venuta la febbre. «Dalle ancora un po’ di tempo, poi si sveglierà.»

«O-Ok...»

Ryan non sembrava molto convinto delle parole della corvina. Quando lei lo notò, cercò di sorridergli. «Non ti preoccupare, se la caverà. Il proiettile l’ha attraversata senza danneggiare nessun punto vitale e per fortuna siamo arrivati in tempo. Se fosse svenuta in nostra assenza... beh, avrebbe rischiato molto di più.»

Il rosso la osservò ancora per un breve attimo, poi annuì lentamente, sospirando. «Va bene... voglio crederti...»

«Stai tranquillo. Tua sorella è tosta» disse ancora lei alzandosi e posandogli una mano sulla spalla, per poi dirigersi verso la porta.

«Dove vai?»

«Vado fuori, a cercare Lucas. Tanto qui non c’è più bisogno di me. Quando Komi si sveglia avvertici, ok?»

Il ragazzino annuì, per poi riportare l’attenzione sulla sorella e sedersi per terra, vicino a lei.

Rachel storse la bocca in un’espressione preoccupata, poi uscì dalla stanza. Ryan si stava davvero preoccupando per la sorella, la stessa sorella che gli impediva sempre e comunque di vivere la sua vita, la stessa che tante volte gli aveva fatto storcere il naso, nonostante lei fosse in condizioni praticamente ottimali.

Non c’era bisogno di tanti pensieri, si sarebbe svegliata a breve. Corvina sospirò. Chissà come faceva ad essere così buono.

Nelle sue vene scorre lo stesso sangue di Kori, dopotutto...

Uscì fuori. Una folata d’aria gelida la fece rabbrividire. Cominciò a camminare, facendo il giro attorno al magazzino. Raggiunse il retro, dove poco davanti la recinzione era stata sfondata, probabilmente dagli stessi aggressori di Tara e Amalia. Qui credette di trovare Lucas, ma non lo vide da nessuna parte.

Inarcò un sopracciglio. Fece per chiamarlo, ma una voce provenne improvvisamente da dietro le sue spalle: «Allora, come vanno le cose da queste parti?»

Rachel sobbalzò, trattenendo un grido all’ultimo istante. Conosceva quella voce, ma non apparteneva a nessuno dei suoi amici. Si voltò, per poi sgranare gli occhi.

Kevin la osservò con un ghigno beffardo. «Sorpresa di vedermi?»

«Tu!» esclamò lei, alzando improvvisamente la guardia. «Cosa ci fai qui?! Che diavolo vuoi?!»

«Ero solo passato a dare un’occhiata» rispose lui con finta aria innocente, scrollando le spalle. «Vi piace il vostro nuovo rifugio?»

Rachel digrignò i denti e gli puntò contro la propria mano, la quale stava cominciando ad illuminarsi di nero. «Hanno rapito una nostra amica e sparato ad un’altra, non mi pare un granché come rifugio!»

«Però siete ancora qui...» osservò lui, per nulla intimidito dalla mano della corvina.

«Questo perché non sappiamo dove altro andare!» Rachel quasi gridò per la rabbia che si stava accendendo dentro di lei come le fiamme di un incendio. «È solo colpa tua! Hai detto che questo posto era sicuro, invece...»

«Non mi risulta» la interruppe lui, facendosi serio. «Ho detto che era un buon rifugio temporaneo, non che era perfetto. E comunque non c’è da sorprendersi così tanto, Deathstroke risale sempre a chi lo fa incazzare, e voi lo avete fatto incazzare di brutto.»

«Deathstroke?» domandò lei, abbassando lentamente la mano mentre la luce si affievoliva. «Chi... chi è?»

«Il capo degli Underdog, che domande. Credevo lo conoscessi, sai, il tizio con la maschera.»

Corvina dischiuse le labbra, incredula. Il pensiero che fossero stati gli Underdog gli artefici di quanto appena accaduto le aveva sfiorato la mente, ma sentirselo dire così le fece tutto un altro effetto.

«A che cosa vi serve aspettare che la vostra amica si riprenda, quando sapete meglio di lei che cosa è successo qui? Chi pensavi che avesse rapito la tua amichetta?»

L’angoscia di Rachel tornò ben presto ad essere rancore, quando udì quelle parole. Strinse i pugni con forza. «E come accidenti fai a sapere tutte queste cose?!»

«Io mi limito semplicemente ad osservare i fatti» spiegò lui con noncuranza, mentre estraeva il suo classico pacchetto di sigarette dalla tasca. «E agisco di conseguenza» concluse, accendendosene una.

«No invece.» Rachel scosse la testa, quasi disgustata. «Tu sei solo il segugio del tuo amico. Agisci solo se è lui ad ordinarti di farlo. Scommetto che è stato lui a dirti di venire qui.»

Lo sguardo di Kevin si trasformò in quello di una statua di marmo, quando udì quelle parole. Soffiò del fumo dalla bocca, chiaramente infastidito. «Ti sbagli.»

«Ah sì?» domandò lei, con tono di sfida. «E allora perché lui non c’è?»

«Dominick ha altro da fare» sibilò Kevin. «Cose importanti, di certo non deve mettersi a perdere tempo con cinque falliti come voi. Ops, quattro

«Dominick? È così che si chiama il tuo padroncino?»

Kevin fece un passo verso di lei, con sguardo minaccioso. «Non provocarmi, pupa. Te lo sconsiglio.»

«Che vuoi fare? Spararmi come hai fatto con Hank?!» Rachel allargò le mani, l’energia oscura cominciò nuovamente a fuoriuscire dai palmi. Stava azzardando parecchio, ma era stanca di lui e dei suoi segreti. Se combattere era un modo per scoprire di più su quello che stava accadendo, allora lo avrebbe fatto.

Ma ogni intenzione bellicosa svanì da dentro di lei quando vide lo sguardo di Kevin farsi stupito. «E tu come fai a saperlo?» le domandò, con tono sorpreso.

Rachel sgranò gli occhi. Aveva parlato troppo.

Il ragazzo la squadrò con la fronte corrucciata e un sopracciglio alzato. La sua espressione interdetta le parve ancora più inquietante di quella adirata.

I loro sguardi si incrociarono. Rachel sentì un brivido percorrerla. Kevin assottigliò le palpebre, mentre il fumo della sigaretta fra le sue labbra si sollevava tra lui e la corvina. La stava studiando, ma era comunque impossibile riuscire a capire a cosa stesse pensando.

Restarono entrambi in silenzio per quelle che parvero eternità, fino a quando non fu proprio il ragazzo a mutare la sua espressione radicalmente. Le sue labbra si incurvarono verso l’alto e cominciò a ridacchiare sommessamente. Distolse lo sguardo dalla ragazza e scosse lentamente la testa, quasi come se si stesse facendo beffe di lei, come se lui sapesse qualcosa che lei non poteva nemmeno lontanamente immaginare. «Sei uno spasso Rachel, lo sai?»

Cominciò a camminare, passandole accanto con un sorrisetto arrogante stampato in faccia, dirigendosi verso la recinzione sfondata. Rachel lo seguì con lo sguardo e, per quanto avesse trovato irritante la sua risatina, sentì i propri nervi allentarsi. Nonostante tutto, aveva comunque provato un lieve timore quanto Kevin l’aveva squadrata in quel modo. Poteva sembrare un ragazzo qualsiasi, ma la realtà era ben diversa. Ogni volta che lo aveva visto, sia lui che Dominick, sia in sogno che dal vivo, Rachel aveva sentito un senso di disagio e angoscia che raramente aveva provato. Kevin nascondeva qualcosa. E lei non era certa di voler sapere che cosa.

«In ogni caso...» disse ancora lui, fermandosi all’improvviso di fronte al foro nella rete. Rachel si irrigidì, ma lo lasciò comunque parlare.

«... questa notte, all’una, un pezzo grosso degli Underdog si incontrerà con un loro informatore nella High Sub. Se volete sapere in quale buco abbiano rinchiuso la vostra amica, vi conviene farci due chiacchiere. È l’unica persona, oltre allo stesso Deathstroke, che lo sa e che è autorizzata a spostarsi per la città. Nessun Underdog è informato come lei. Anche se non sarà molto facile tirarle fuori le parole di bocca. Vi servirà l’aiuto di un esperto.»

«Un... un esperto?» domandò lei, perplessa. «Vuoi... vuoi dire tu?»

Kevin scosse la testa, guardandola con la coda nell’occhio. «Io sono solo uno spettatore, mi pare di averlo già detto. Non faccio parte di questa partita. Non ancora

Le ultime due parole furono più fredde degli spifferi d’aria, per Rachel. Kevin si voltò di nuovo e fece per andarsene per davvero, ma questa volta fu la corvina a fermarlo. «Aspetta!»

Il ragazzo arrestò di nuovo il proprio cammino, ma non si girò.

«Per caso... Tara corre qualche pericolo? Hai idea di cosa le faranno?»

«Mettiamola così» rispose lui, gettando a terra il mozzicone di sigaretta per poi calpestarlo. «La morte sarà l’unico regalo che Deathstroke riuscirà mai a farle.»

E dopo quelle parole più dure della pietra, il ragazzo se ne andò, passando per l’enorme foro nella recinzione e sparendo dalla visuale.

 Passarono diversi minuti prima che Rachel riuscisse a smettere di osservare quel buco come in trance.

 

***

 

Trovò Lucas stravaccato su un divanetto nella sala relax. Fissava il muro di fronte a lui con aria quasi seccata, come se fosse proprio quella parete intonacata la causa del suo malessere.

«Sei qui...» disse lei, con tono piatto.

Un grugnito provenne dalla gola del ragazzo, in risposta. Rachel andò a sedersi accanto a lui, posandosi le mani sulle ginocchia e rimanendo in silenzio. Chinò la testa e si osservò le nocche per diversi istanti, mentre meditava sulle giuste parole da dire.

Non riusciva a credere che Kevin le avesse fatto una simile soffiata. Certo, era probabile che avesse mentito, ma se così non fosse stato?

Doveva anche considerare che Kevin non aveva mentito sul magazzino. Ma erano comunque stati individuati dagli Underdog, quindi era probabile che anche quella notte all’una avrebbero trovato un’insidia ad attenderli, nella High Sub.

Per lei era impossibile decifrare il comportamento di quel ragazzo. Che cosa voleva veramente da loro? Anzi, era più corretto domandarsi che cosa volevano lui e Dominick.

La notte prima danno la caccia e uccidono Hank dopo avergli posto una strana domanda, e il giorno dopo uno dei due torna da lei, per la seconda volta, per cercare di aiutarli. Perché?

Rachel cominciava a pensare che più dava corda a quei due, più si ficcava in un guaio dal quale uscire sarebbe stato molto difficile. Ogni volta che l’avevano aiutata, era successo qualcosa di sgradevole. Anche quando le avevano semplicemente regalato quella benzina. Se la macchina non si fosse fermata in quel quartiere storico, i Visionari probabilmente non li avrebbero catturati.

Forse era solo una coincidenza, ma Rachel aveva sinceramente cominciato a smettere di crederci. Non potevano esserci così tante coincidenze una dietro l’altra, era impossibile.

Prima la morte di Alden, poi quella di Sasha, poi la fine della quarantena, Kevin e Dominick alla stazione di servizio, Jeff Dreamer e i Visionari, Deathstroke e gli Underdog, Hank e i suoi deliri cospiratori.

Corvina si sentiva di fronte ad un gigantesco mosaico che più cercava di costruire, più il tutto le diventava difficile. Quando credeva di essere riuscita a sistemare un pezzo, ecco che ne saltavano fuori altri dieci da montare. Alle sue domande si aggiungevano solo altre domande.

Ma alla fine rimaneva il quesito dal quale tutto quel ragionamento era cominciato: doveva fidarsi, di nuovo, di Kevin?

E, naturalmente, a quella domanda si poteva rispondere solo con un’altra domanda: aveva altra scelta?

Forse sarebbero riusciti a scoprire dove Tara si trovava, in qualche modo, ma quanto tempo avevano, prima che lei morisse tra atroci sofferenze, come lo stesso Kevin le aveva fatto intuire?

La ragazza sospirò. Con le parole non si giungeva mai a nulla. Occorrevano i fatti. E l’unico fatto, era che avevano una pista. Una pista molto traballante, ma pur sempre una pista. Così si voltò verso di Lucas. Posò una mano sulla sua gamba, per attirare la sua attenzione.

Il moro si voltò, restando in silenzio. Osservò prima lei, poi la sua mano. Rachel si sentì leggermente imbarazzata. Fece per spostare il palmo dal suo ginocchio, ma ciò che fece lui la spiazzò completamente: posò la sua mano su quella della ragazza.

La osservò ancora per un breve momento, cominciando a tracciarci sopra degli archi con il proprio pollice. Rachel dischiuse le labbra. Uno strano brivido le attraversò il corpo. E le non le dispiacque.

Lucas sollevò lo sguardo ed incrociò quello della ragazza. Ora non sembrava più irritato, ma quasi... abbattuto. A quel punto, Corvina capì. In quel momento, per qualche strano motivo, ora lei rappresentava la sua ancora.

Come la notte in cui Richard era scappato e lei si era sentita cadere nel baratro, quando poi Lucas era riuscito a tirarla fuori dalle tenebre. Ora era l’esatto opposto.

«Mi sento un verme...» mugugnò il ragazzo, sospirando e distogliendo lo sguardo da lei. La sua mano scivolò lentamente via da quella di Rachel. Per un attimo la ragazza fu quasi tentata a fermarla, a stringerla forte, ma poi si bloccò, trovandolo un gesto un po’ inopportuno.

«Perché?» domandò invece, senza staccargli gli occhi di dosso.

Lucas sospirò una seconda volta, più rumorosamente. «Io... non lo so. Ho detto che non ero il vostro capo, che non avevo alcuna responsabilità su di voi, che non volevo responsabilità... ma ora provo l’esatto contrario.»

Fece schioccare la lingua, questa volta parve di nuovo infastidito. «Tsk... mi comporto come un insensibile, come se non me ne importasse di voi. Mi comporto da egoista e in effetti credevo di esserlo davvero... una volta.

«Una volta non me ne importava niente. Di nessuno. Il desiderio di vendetta che ho provato quando i Mietitori hanno ucciso i miei genitori è stato la cosa più simile all’interesse sentimentale verso qualcuno, dopo anni e anni. Ma ora... ora è diverso.

«Non... non so il perché, ma mi sento in dovere verso di voi. Verso di te, verso di Ryan e verso Amalia e Tara. Io... non riesco a spiegarlo nemmeno a me stesso, ma è così. Quando ho visto Amalia ferita in quel modo... mi sono sentito come se mi fossi spezzato dentro. E quando ha detto che Tara era stata rapita... è successa la stessa cosa. Ti sembrerà strano, ma in questo momento... vorrei esserci io al posto di Tara, ovunque lei sia stata portata.»

Scosse lentamente la testa, chinando il capo. «Avrei... dovuto comportarmi meglio con voi. Avrei dovuto proteggervi... e invece...»

Diversi colpi di tosse lo colpirono all’improvviso, con violenza, costringendolo ad interrompersi. Rachel si allarmò, ma non era il caso. Lucas si riprese quasi subito. Si ripulì le labbra, facendo una smorfia. «Stupida tosse...»

Corvina continuò ad osservarlo, stupita. Le sue parole... l’avevano colpita. Raramente aveva visto quel lato di lui. A volte si dimenticava perfino che lui fosse capace di simili discorsi, e ciò era sbagliato. Avrebbe sempre dovuto tenere a mente che Lucas era molto di più di ciò che spesso mostrava di sé.  

Gli posò una mano sulla spalla, cercando di rassicurarlo. «Tu ti sei già comportato bene. Ci hai guidati fuori da Empire, hai protetto Amalia in quella baraccopoli, sei riuscito a trovarci un po’ di cibo decente e... hai sempre aiutato me. Per tutto questo tempo sei stato tu la nostra guida. Ti sei preso questa responsabilità, senza dire nulla, senza mai chiedere nulla in cambio. Tutti commettiamo degli sbagli, ogni tanto. Credimi, io sono la prima a compierne. E ti capisco quando dici che, a volte, l’unico tuo desiderio è quello di mandare tutto quanto al diavolo. Ma devi fidarti di me quando ti dico che tu sei tutto, meno che una cattiva persona.»

Lucas spostò di nuovo lo sguardo su di lei. Dopo un attimo di sorpresa, parve davvero grato di quelle parole. Le rivolse un tenue sorriso. «Grazie Rachel.»

«Prego.» Rachel ricambiò il sorriso. Non ricordava l'ultima volta in cui sentiva di aver sorriso in maniera così spontanea.

«Ragazzi!»

I due si voltarono. La voce era provenuta da fuori la porta, la stessa che si spalancò all’improvviso permettendo a Ryan di entrare. «Ragazzi!» esclamò una seconda volta, il tono che faticava a nascondere il sollievo e l’eccitazione. «Amalia si è svegliata!»

 

***

 

L’ High Sub era probabilmente il quartiere più benestante di tutta Sub City. Edifici alti e fatiscenti, moltissimi locali di classe, belle auto parcheggiate sul ciglio della strada e perfino palme. Palme! A centinaia di chilometri di distanza dal mare, gli alberi esotici sorgevano nelle apposite piazzole sui marciapiedi dalle piastrelle di marmo e sugli spartitraffico in mezzo alla strada.

Rachel non credeva ai propri occhi. Era meravigliata. Come poteva una città così bella, nascondere simili mostruosità? Non era come Empire, era totalmente diverso. Empire aveva il Neon, aveva il Centro Storico, quartieri benestanti, certo, ma a rivelare la vera essenza di quella città che infondo era sempre stata un po’ marcia nel midollo c’era il Dedalo.

Lì no. Sub City non aveva un Dedalo. O, perlomeno, Rachel non lo aveva visto mentre lei, Lucas e Amalia avevano viaggiato dalla periferia industriale fino a lì, schivando le pattuglie degli UDG e i loro fuoristrada.

Le stelle erano alte nel cielo e la luna era piena. Sarebbe stata una serata meravigliosa per poter uscire in quel quartiere. Era quasi triste vedere quelle strade così vuote, a causa del coprifuoco, ma allo stesso tempo era un sollievo, perché permetteva alla corvina di goderselo in tutto il suo splendore dalla cima di quel palazzo su cui erano appostati, senza il caos generato da folle e automobili.

«Ci siamo» disse Lucas all’improvviso, indicando il convoglio di veicoli che stava giungendo dal fondo della strada. Quattro fuoristrada, disposti due davanti e due dietro ad un veicolo più grosso, un hummer. Ognuno di loro possedeva sulla fiancata il marchio che ormai avevano imparato a conoscere.

«Non vedo l’ora di incontrare questo tizio» sibilò Amalia, accarezzando il fucile che teneva tra le mani. «Gli farò sputare sangue fino a quando non ci dirà tutto quanto.»

«Mettiti in coda» ribatté Red X.

Rachel ancora non riusciva a credere a come i suoi compagni avevano ascoltato senza fiatare ciò che Kevin le aveva detto. E non appena aveva finito di parlare, tutti loro avevano voluto agire all’istante. Evidentemente anche loro sapevano di non avere altra scelta.

La corvina provò un altro morso di dispiacere quando ripensò a come Amalia aveva proibito di partecipare anche a Ryan, che era stato quello che più di tutti aveva desiderato di trovarsi con loro in quel momento.

Ma dopo quanto accaduto, Amalia aveva avuto più che ragione a proibirgli di venire con loro. Anche Rachel, che avrebbe voluto aiutarlo a spuntarla con la sorella, si era astenuta da quella discussione. Quello non era il posto per lui. E il numero così ingente di Underdog che presto sarebbero stati presenti nell’area non faceva che convincerla ulteriormente di quanto giusta fosse stata la sua scelta.

Il magazzino non era il luogo più sicuro in assoluto per Ryan, ma era comunque meglio di quella strada prossima a trasformarsi in un campo di battaglia.

Il convoglio si fermò al fondo della via, proprio sotto il palazzo in cui si erano appostati i tre ragazzi. Qui si trovava una piccola piazza circolare, dalla quale poi sboccavano diverse vie pedonali che si immergevano nei meandri dell’High Sub.

Non appena l’avevano vista, tutti loro avevano capito che se c’era un luogo ideale per incontrare qualcuno, quello era proprio quella piazza. Era piuttosto isolata e tranquilla, nonché sufficientemente spaziosa per contenere tutte le macchine.

Dalle auto scesero gli uomini armati. Rachel focalizzò l’attenzione sull’hummer. Quando da esso scesero tutti gli UDG al suo interno, la ragazza corvina sgranò gli occhi. Non ci mise molto a capire quale fosse la persona che stessero cercando.

La donna con la bandana e la chioma di capelli nivei si incamminò a passo spedito, accerchiata dai suoi uomini, verso il centro della piazza. Si guardò intorno diverse volte, con aria furtiva, ma il buio aiutò a proteggere bene i tre ragazzi da sguardi indiscreti. Una cosa che Rachel notò era che costei era disarmata. O meglio, non aveva né pistole, né fucili, ma la loro assenza era ben compensata dalla presenza di due lunghe spade katana rinchiuse nei loro foderi, legati sulla sua schiena.

Non appena raggiunse il punto, da uno dei vicoli sbucò fuori un altro individuo, solo, avvolto in un impermeabile nero. Il cappuccio sollevato impediva di scorgerlo in volto. Si avvicinò al gruppo di uomini armati, come se nulla fosse. Rachel intuì che quello doveva essere l’informatore. Chissà chi si celava sotto quel cappuccio.

L’abito sembrava quello di Dreamer, ma la corvina dubitava che fosse davvero lui. Non avrebbe avuto nessun tornaconto a parlare con la UDG, e comunque Jeff non avrebbe rinunciato alla propria classe per rimanere anonimo. 

Escluso lui, restavano poche altre possibilità. Magari un Underdog sotto copertura, o magari perfino un Visionario che faceva il doppio gioco.

«Bene» cominciò Lucas, afferrando le armi. «Pronte?»

«Pronte» risposero le due ragazze in coro.

«Sei ancora in tempo per tirarti indietro se vuoi, Amalia. Ti sei appena ripresa, dopotutto.»

La mora serrò la mascella, per poi scuotere la testa. «Quei bastardi mi hanno sparato. Gliela farò pagare molto cara. E di certo non ho alcuna intenzione di lasciarli impuniti dopo quello che hanno fatto a Tara.»  

Lucas la soppesò con lo sguardo per qualche istante, poi annuì. «D’accordo.» Spostò lo sguardo verso la piazza, incollò gli occhi su quella donna che era il loro bersaglio. L’asta telescopica si allungò dalle estremità del palmo della sua mano. «Andiamo.»

 

***

 

Rachel attese che Lucas e Amalia fossero in posizione, poi scese dal palazzo in picchiata. Non appena gli Underdog si accorsero di lei, per alcuni di loro era già troppo tardi.

«State attenti!» gridò la luogotenente di Wilson, estraendo le katana mentre una pioggia di raggi neri si abbatteva sui suoi uomini. «È il Demone!»

Gli Underdog risposero al fuoco; le fiammate dei fucili illuminarono la piazza.

La conduit sorvolò tutti loro, facendo da capro espiatorio, mentre i suoi due compagni si occupavano del resto.

Red X attaccò gli uomini armati su un fianco, mentre Amalia li colpì dall’altro, trovando riparo dietro ad un fuoristrada. Il fucile della mora mieteva una vittima dopo l’altra, mentre Lucas abbatteva l’asta sulle tempie di chiunque gli capitasse a tiro. Era passato diverso tempo dall’ultima volta che aveva indossato la sua uniforme nera, stivali e protezioni di metallo, ma da come si muoveva era chiaro che per lui era come se non se le fosse mai tolte.

La donna dai capelli color neve continuava a gridare e impartire ordini, ma perfino lei era rimasta colta in contropiede dall’attacco improvviso dei tre ragazzi.

Corvina non dava un attimo di tregua agli uomini armati. I proiettili non la sfioravano nemmeno, mentre i suoi raggi neri erano decisivi per quasi tutti loro.

Nella periferia del suo campo visivo vide Lucas scagliarsi sul loro obiettivo, sollevando l’asta. «Balliamo, donzella!»

Mulinò il bastone ma la donna si difese prontamente con le katana, incrociandole e bloccando il bastone a mezz’aria. «Avete commesso un grave errore a venire qui! Vi sventrerò con le mie mani!»

Lo attaccò con un fendente, ma il moro saltò all’indietro e la lama non sventrò altro che l’aria. Rachel avrebbe voluto andare ad aiutarlo, ma c’erano ancora troppi uomini da sistemare.

Dietro al suo riparo, Amalia continuava a fare fuoco e a lanciare gli insulti più disparati verso gli Underdog. Quella fu una delle poche volte in cui la corvina fu felice di avere la mora dalla sua parte.

Rachel scese a terra e ritornò in forma umana, dopodiché si chinò e premette entrambi i palmi contro il terreno. I suoi occhi divennero bianchi, gridò e l’energia oscura si riversò al di fuori di lei. Decine di lacci di energia neri comparvero all’improvviso sotto i piedi degli UDG e li imprigionarono. Alcuni di loro furono fatti fuori da Amalia, altri invece vennero stritolati a tal punto da perdere i sensi.

Nessuno di loro poteva competere con lei. Uno dopo l’altro caddero tutti, fino a quando non rimase solo più uno.

Corvina si voltò verso la vice di Deathstroke. La donna stava combattendo furiosamente contro di Lucas, stoccata dopo stoccata, affondo dopo affondo.

Red X dal canto suo si difendeva bene, ma con la sua arma non sarebbe riuscito ancora a lungo a tenere a bada le lame affilatissime delle katana di lei.

«Hai una vaga idea di chi io sia?!» ululò la sua avversaria, mancandolo per l’ennesima volta con una sferzata che avrebbe decapitato chiunque. «Io sono Ravager la Devastatrice, seconda in comando dopo Deathstroke il Terminator! Chiunque capiti sotto le mie grinfie...»

«Si suicida pur di non sentire la tua dannata voce?» domandò Lucas, interrompendola, deviando l’ennesimo attacco.

Quelle parole non fecero altro che far infuriare ulteriormente Ravager. «Ti pentirai di tanta insolenza!» gridò, attaccando con ancora più rabbia.

Rachel decise di intervenire, prima che Rosso venisse sopraffatto dalla furia cieca della soldatessa. Puntò la mano contro di Ravager e un raggio di energia si scaturì dal suo palmo, ma la vice di Deathstroke riuscì ad accorgersene in tempo e ad evitarlo, compiendo un’acrobazia che la portò ad allontanarsi da Lucas.

Atterrò in piedi e strinse la presa attorno alle spade, per poi rivolgere un’occhiata incendiaria alla corvina. Solo in quel momento Rachel si rese conto che anche lei aveva un solo occhio scoperto. L’altro era nascosto dalla bandana bicolore, nera e arancione come la maschera del suo capo. Anche l’iride era di un azzurro penetrante come quella di Deathstroke.

«Fine dei giochi, stronza.» Amalia arrivò proprio in quel momento, con il fucile puntato su Ravager. «Dicci dove hanno portato Tara!»

La donna osservò la mora per un breve momento, quasi perplessa, poi un sorriso sadico si dipinse sul suo volto. Roteò entrambe le katana con maestria, tracciando delle circonferenze in aria. «La biondina? Oh sì, mi ricordo di lei... urlava come una disperata.»

Amalia digrignò i denti, aumentando la presa intorno al fucile. «Se le fate del male, giuro che...»

«Del male? Credimi tesoro, male sarà nulla in confronto a ciò che le accadrà. Vuoi sapere dov’era l’ultima volta che l’ho vista?» Ravager sogghignò maligna. Rinfoderò entrambe le armi, come se si stesse davvero arrendendo. «Era legata ad un tavolo in un ambulatorio, collegata a dei macchinari, completamente nuda.»

Si inumidì le labbra, come se quel pensiero le infondesse una sorta di perverso piacere. Avvicinò una mano alla cintura ed estrasse un oggetto cilindrico, di vetro.«Cercava di liberarsi in tutti i modi, piangeva, implorava pietà... uno spettacolo meraviglioso...»

«Smettila...» ringhiò Komand’r. Le sue mani divennero bianche da quanto strinse la presa sull’arma.

«Calmati Amalia» suggerì Lucas, avvicinandosi alla donna bracciando la sua arma. «Sta solo cercando di farti arrabbiare.»

«E vuoi sapere qual è la cosa più divertente?» la canzonò ancora la UDG, ignorando il moro. Il cilindro nella sua mano emise un fioco bagliore, sotto il riflesso dei lampioni. Rachel aguzzò la vista, poi lo vide: un ago. Quello nella sua mano non era affatto un cilindro, era una siringa.

«Quando mi ha chiesto di liberarla le ho riso in faccia. L’espressione che ha fatto lei dopo...» La luogotenente fece un verso deliziato, come se avesse appena assaggiato qualcosa che le aveva sciolto le papille gustative. «... è stata pura estasi per me. Quando avrò finito qui tornerò da lei e mi assicurerò personalmente che continui a piangere!»

«VAFFANCULO!» ululò Komand’r, gridando di rabbia, per poi prendere la mira.

L’ago scintillò di nuovo nella mano di Ravager. Rachel la vide muovere di scatto il palmo e sgranò gli occhi. «Lucas!»

Ma il moro era già impegnato a correre in direzione di Komand'r. «Amalia, no!»

«Fregati.» Ravager si conficcò l’ago della siringa in una coscia, mugugnando di dolore quando la punta perforò prima il tessuto dei pantaloni, poi la cute. Premette lo stantuffo. Rachel la osservò pietrificata, mentre il liquido trasparente dentro la siringa svaniva dentro il corpo della donna e la sua espressione di dolore mutava lentamente in una molto più compiaciuta.

Un sorriso disumano si dipinse sul suo volto, la sua unica pupilla si dilatò. Nello stesso istante, Amalia aprì il fuoco su di lei.

 

 

 

 

Credo che questa sia la prima volta che Ravager compare in una fanfic sui TT.  Credo, non ne sono sicuro, per esserne certo dovrei dare uno sguardo a tutte le 250 fic del fandom, ma sinceramente non impazzisco dalla voglia di farlo.

Comunque sono di nuovo qui a rompere le scatole, che bravo che sono, eh? Mi merito un biscottino. Se me lo chiedete vi do anche la zampa.

Ora, parlando ancora di aspetti tecnici. In questa storia ho preferito "adottare" il nome Deathstroke per Wilson, e non lo Slade che tutti conosciamo. Questo perché trovo che questo nome si sposi molto meglio con l'ambientazione della storia. Slade, qui, non è il cattivo malvagio e subdolo che noi tutti amiamo, all'incirca (cioè, sì, lo è, tuttavia ci sono diverse differenze). Diciamo che praticamente è più un mercenario che un cattivone a tutto tondo, un po' come lo è in Young Justice, dove parla poco ma picchia tanto e al soldo del miglior offerente. Cosa, non avete visto Young Justice? Miscredenti, andate subito a recuperavelo! Via, sciò!

Ravager invece. Allora, mi sono documentato un po' su di lei, e posso dire che è una persona molto ossessionata da Slade. Così ossessionata da cavarsi un occhio solo per assomigliargli un po' di più. E per darle quel pizzico di grazia in più, l'ho resa sadica, crudele e spietata. In questo capitolo avete avuto solo un assaggio di queste sue caratteristiche. Siccome non è una cosa di vitale importanza, posso dirvi che la roba che si è iniettata è adrenalina, e non serve che vi spieghi cosa faccia questa bellissima robaccia sintetica, vero? L'adrenalina inoltre le causa un invecchiamento prematuro del corpo, questo spiega dunque i suoi capelli da ultra settantenne. Che però le stanno bene secondo me. Cioè, le danno un tocco un po' più esotico. 

Nel fumetto Ravager possiede dei poteri premonitivi, ma siccome lei non è una conduit, in questa storia, allora ne è priva. Insomma, è semplicemente una drogata, pazza, assassina crudele e dalla tortura facile.

Bene, ho concluso. Come al solito, se notate errori (io ne ho notati parecchi rileggendo, e li ho corretti tutti, ma sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito), segnalate, grazie. Cioé, segnalateli a me, non segnalate la storia.

E voglio anche dirvi che ormai sono troppo preso bene con questa storia. Sto andando avanti in quinta a scriverla, non mi ferma più nessuno. Giuro che questa la completo. Cascasse il mondo, io la completo. Non me ne frega niente del resto.

E voglio anche essere onesto, mi sono affezionato molto a questa storia. Mi sono affezionato alla trama, ai suoi personaggi, agli intrecci che devono ancora arrivare. Probabilmente ci sono delle lacune, anzi, ci sono sicuramente, ma non mi importa, perché ci sto mettendo anima e corpo a scriverla.

Mi sono affezionato un sacco a Rachel, e a come la sto dipingendo. Mi piace un sacco, mi piace sempre di più. Di recente mi è capitato di vedere il film Justice League vs Teen Titans e (a parte il fatto che la BBRae è stata completamente smontata *lancia i coriandoli che manco al carnevale di Rio) mi sono reso conto che la Corvina raffigurata in quell'opera e quella che sto scrivendo io sono davvero, davvero simili (per quello che riguarda il suo rapporto con gli altri personaggi, in fatto di poteri ed eccetera sono un pochino diverse). E la cosa mi riempie di felicità e orgoglio.

Mi sono affezionato a Lucas, ad Amalia , a Tara, a Ryan, a Jeff (anche se i retroscena di quest'ultimo devono ancora essere svelati), perfino a Deathstroke, e non solo loro. 

Le storie che ognuno ha da raccontare, gli intrecci, i loro passati, davvero, sono VERAMENTE EUFORICO! (cit.)

E spero davvero che tutti voi possiate godervi questa storia almeno la metà di quanto me la sto godendo io.

Ok, ho scritto un poema e vi avrò portato via almeno dieci anni di vita, ma volevo farlo, era già da un po' che me lo tenevo dentro. E quindi niente, vi ringrazio tutti di cuore.

Alla prossima (che arriverà comunque nel finesettimana)!

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Capitolo 16
*** Qualcuno più esperto ***


Capitolo 16:  QUALCUNO PIÙ ESPERTO

 

 

Ravager rise, poi scattò; fu una scena quasi irreale. Gettò via la siringa ormai vuota e sguainò le katana, correndo lungo una traiettoria semicircolare che puntava proprio verso di Amalia. Rachel non riuscì a credere ai suoi occhi. I proiettili non facevano altro che colpire il punto in cui un millisecondo prima si era trovata la luogotenente.

Komand’r continuò a sparare, fino a quando le fiammate dei proiettili non si interruppero con un click improvviso. Nello stesso istante, Ravager si ritrovò di fronte a lei, con la katana diretta al suo cuore. Amalia sgranò gli occhi per la sorpresa. All’ultimo istante cercò di parare il colpo con il fucile. Ci riuscì per il rotto della cuffia, ma l’impatto la fece comunque gridare di dolore. L’arma le cadde di mano e la ragazza ruzzolò a terra, del tutto priva di difese.

«Hai fatto male i tuoi conti!» La lama calò sulla mora inerme con la velocità di una saetta... e si abbatté su una barriera di energia nera, apparsa dal nulla sopra il corpo della ragazza.

Ravager sgranò l’occhio. «Ma cosa?!»

«Non farai ulteriore male ai miei amici.»

La donna spostò appena lo sguardo su di Rachel, la quale teneva ancora la mano sollevata e protesa verso di Amalia. Ringhiò sommessamente, poi distolse la sua attenzione dalla mora. «D’accordo» disse chinando il capo, trattenendo a stento le vene di irritazione presenti nella sua voce. «Vorrà dire che...» Drizzò la testa, folgorandola con lo sguardo. «... eliminerò prima te!»

Partì di nuovo alla carica, questa volta verso di lei. Rachel serrò la mascella e concentrò l’energia nei suoi palmi. I suoi raggi neri sferzarono l’aria, dirigendosi uno dietro l’altro verso la soldatessa, ma quella li evitò tutti quanti, ridendo come se per lei fosse la cosa più banale del mondo.

Lacci di energia nera si sollevarono allora dal terreno, da ogni dove, e si fiondarono sull’albina, ma neppure loro riuscirono a fermarla; Ravager li respinse tutti, mozzandoli a colpi di katana o evitandoli con agili mosse.

«Coraggio Demone, combatti!» esclamò quando si trovò di fronte a lei, con le punte delle spade dirette verso il suo cuore.

Le lame si avvicinarono, ma incontrarono nuovamente la luce oscura come ostacolo. Rachel avvolse il suo intero corpo con l’energia nera e si trasformò in rapace, allontanandosi dall’avversaria.

«Che cosa c’è, mostro, hai paura di affrontarmi?»

Una smorfia nacque sul volto di Rachel. Non aveva paura, ma non poteva lasciarsi avvicinare troppo da lei, o l’avrebbe affettata.

«Che ne dici di affrontare me allora?» si intromise Lucas, arrivando alle spalle della luogotenente.

L’asta saettò verso di lei, ma la soldatessa si girò di scattò, sferzando l’aria con la katana e parando il colpo. Il bastone del ragazzo si ritrovò sospeso esattamente a metà tra lui e lei. Ravager sogghignò. «D’accordo bel fusto, vi affronterò tutti quanti!»

Ravager e Red X ripresero il combattimento di poco prima. La prima attaccava furiosamente, mulinando le katana come se non fossero le spade lunghe e difficili da maneggiare che in realtà erano, mentre il secondo schivava e parava a denti stretti, evitando per un soffio più e più volte che le lame gli strappassero via il naso dal volto. Come se non bastasse, ora l’albina sembrava muoversi con molta più agilità e precisione di prima.

Rachel scese in picchiata verso la donna per cercare di sbilanciarla, ma quella respinse un fendente di Lucas e balzò all’indietro, uscendo indenne dagli attacchi di entrambi. A quel punto la corvina fece inversione e cercò di colpirla più e più volte, lo stesso fece il suo partner menando fendenti su fendenti, ma nessuno dei due riuscì nemmeno a sfiorare Ravager.

La soldatessa schivava fendenti e raggi neri in contemporanea, rispondendo anche per le rime. Corvina le si avventò nuovamente addosso, ma Ravager questa volta fu più veloce: sferzò l’aria con la katana un momento prima che Rachel la raggiungesse.

La ragazza sgranò gli occhi. La lama si abbatté sul corpo del rapace e la conduit percepì un’enorme fitta di dolore, che le fece perdere il controllo del volo. Gridò e si schiantò sul suolo, la luce nera attorno a lei si affievolì. Non aveva tagli o altro, ma era comunque stata colpita con una forza tale da farle provare un lancinante dolore al fianco.

 «Muori, Demone!» Ravager torreggiò su di lei, sollevando le spade.

Rachel fece per cercare di generare una barriera protettiva, ma non ce ne fu il bisogno; una lama a forma di X, rossa, si conficcò sul braccio dell’albina, sotto la spalla.

La donna gridò per il dolore e la katana che teneva da quella parte le cadde di mano. Barcollò, cercando di estrarre il corpo estraneo, ma Lucas si fiondò di nuovo su di lei brandendo l’asta.

Ravager parò l’attacco con l’ausilio dell’altra katana, questa volta ululando di rabbia. Impugnò la spada con entrambe le mani, poi lo aggredì con brutalità.

Red X sollevò l’asta, ma non calcolò la forza usata dalla luogotenente. Le due armi cozzarono tra loro, ma fu quella di Lucas ad avere la peggio. Il ragazzo, disarmato, barcollò e Ravager ne approfittò per estrarre la lama dal suo braccio. Un fiotto di sangue vermiglio schizzò fuori dalla ferita, ma la donna nemmeno ci fece caso; scagliò la stessa lama contro il suo proprietario, mirando alla testa.

Lucas sgranò gli occhi e si scansò per evitarla, ma quella gli sfiorò la guancia aprendo un grosso taglio. Il moro gridò e indietreggiò, abbassando la guardia e l’albina sfruttò la sua distrazione per sferrare un altro fendente. Red X riuscì a tirarsi ancora indietro, ma non poté non farsi aprire un ulteriore taglio, questa volta sul petto.

Il ragazzo si portò entrambe le mani sulla ferita facendo un verso strozzato, poi la donna lo colpì con un calcio rotante sull’addome, scaraventandolo a terra. Un lampo di luce maligna balenò nel suo unico occhio, mentre si avvicinava la punta insanguinata della katana alla bocca, per poi leccarne il piatto. «Mhh... niente male.» Un sorriso sadico si dipinse sul suo volto, le labbra macchiate della sostanza vermiglia.

Si avvicinò al moro esanime e sollevò la lama. «Saluta le tue amiche!»

Lacci di energia neri spuntarono fuori dal terreno all’improvviso, immobilizzandole il braccio con cui teneva la katana. Ravager fece un verso sorpreso. Cercò di liberarsi con degli strattoni, poi si voltò verso di Rachel. La corvina teneva ancora appoggiata una mano sul suolo, severa in volto.

«Questa me la paghi!» minacciò la donna, tirando con quanta forza avesse in corpo.

Si mosse verso di lei, il laccio si piegò. Rachel gemette, ma tenne stretti i denti. Ravager non poteva essere più forte dei suoi poteri, era escluso.

Altri fasci di luce nera si sollevarono. Le avvolsero le gambe, l’altro braccio, il busto. La katana cadde di mano dalla donna, ma quella non si arrese ugualmente. Continuò a ringhiare, a gemere per lo sforzo che stava compiendo e a camminare verso la corvina.

Più passi faceva, più i lacci si stringevano attorno a lei, più Rachel sentiva le forze abbandonarla. E nonostante tutti i suoi sforzi, Ravager riusciva ancora a muoversi.

«Ti... strapperò via... la lingua...» minacciò, con un soffio di voce.

Rachel serrò la mascella e mantenne i nervi saldi. Non le avrebbe permesso di liberarsi così facilmente.

«Ucciderò... tutti voi... vi... torturerò... vi...»

Un laccio si attorcigliò attorno al collo della soldatessa, facendole emettere un verso strozzato.

«Sono stanca delle tue minacce.» Rachel gli puntò una mano aperta, dopodiché la chiuse a pugno all’improvviso. Il cappio si strinse ancora più forte, Ravager tentò di gridare ma uscì solo un altro verso soffocato. Inarcò il collo all’indietro e si dimenò, ma i lacci la immobilizzarono del tutto, stroncando qualunque suo tentativo di salvarsi.

Puntò il suo unico occhio verso la corvina e per un momento la ragazza notò un barlume di paura nel suo sguardo.

«Che succede, Devastatrice?» domandò allora la conduit con un ghigno. «Sei rimasta senza parole?»

Il cappio si strinse ulteriormente. Un altro grido strozzato provenne dalla donna.

«Potresti ripetermi che cosa volevi farci? Volevi torturarci? Davvero, non ricordo.»

L’unico occhio di Ravager si chiuse. La luogotenente chinò il capo, gemendo.

«Scusa, ma non riesco a capire. Sai, hai qualcosa attorno al...»

«Rachel, basta!»

Quella voce la fece trasalire. Lucas si era rialzato in piedi, il sangue che gocciolava ancora copiosamente dalle sue ferite. La osservava, quasi basito. «Che stai facendo?! Lasciala andare!»

La corvina dischiuse le labbra. Osservò prima il partner, poi la donna imprigionata. Qualcosa scattò dentro di lei. I lacci avvolti attorno a Ravager si dissolsero e la soldatessa cadde scompostamente a terra, priva di sensi.

Rachel rimase in piedi, ad osservarla, con il fiato pesante. La sua mente rifiutava di collaborare con lei.

Lucas era ancora lì, con gli occhi fissi su di lei; sembrava stesse cercando di chiederle spiegazioni.

Spiegazioni che nemmeno lei era in grado di dare. Sapeva solo che lo scontro era finito. Gli Underdog erano a terra, tutti privi di sensi, se non morti; l’informatore misterioso era svanito come nel nulla, e con lui qualsiasi tentativo di scoprire la sua vera identità, e per finire la vice di Deathstroke era nelle loro mani. E lei quasi l’aveva uccisa.

«Finalmente le hai tappato la bocca...» mugugnò Amalia, arrivando proprio in quel momento. Si avvicinò al corpo esanime di Ravager, poi la punzecchiò con la punta del piede. «Ehi, puttana! Non ti dispiace se ti chiamo così, vero? Chi tace acconsente.»

«Dacci un taglio, Amalia...» borbottò nuovamente Lucas, distogliendo l’attenzione da Rachel. «Andiamocene da qui prima che qualcuno di loro si riprenda...» disse ancora, indicando alcuni degli uomini svenuti.

«Guastafeste...» mugugnò Komand’r. Il suo sguardo cadde poi sulla siringa ormai vuota usata da Ravager. Si avvicinò all’oggetto e lo raccolse, attenta a non toccare l’ago, poi lo esaminò. «Cos’è questa roba? Droga?»

«Adrenalina» mugugnò Lucas. «Una volta l’ho vista girare per il Dedalo. Inutile dire che quella roba ti distrugge completamente la testa.»

«Wow...» commentò la mora, gettando via lo stantuffo vuoto. «Che schifo.»

Nel frattempo Rosso si avvicinò a Ravager, per poi sollevarla e caricarsela su una spalla. Si rivolse alle due ragazze, accennando poi con il mento ad uno dei fuoristrada. «Forza, andiamo a farci un giro.»

 

***

 

Si liberarono del fuoristrada qualche isolato prima del magazzino, poi proseguirono a piedi.

Avevano a malapena qualche ora prima che gli Underdog si accorgessero di quanto accaduto, dovevano sfruttarle appieno. Un solo minuto sprecato, e avrebbero potuto dire addio ai loro piani.

Per tutto il tempo trascorso osservando la donna svenuta, Rachel non riuscì a smettere di pensare a ciò che le aveva quasi fatto. Per poco non aveva fatto fuori l’unica possibilità di scoprire dove si trovasse Tara, e di conseguenza salvarla.

Si guardò le mani. Erano stati i suoi poteri, ne era certa. Si era lasciata trasportare troppo dal momento e aveva perso il controllo su di loro. Era riuscita a ritornare in sé, vero, ma cosa le garantiva che ci sarebbe riuscita di nuovo? Se avesse perso il controllo nel momento sbagliato, nel posto sbagliato, come avrebbe potuto impedire a sé stessa di fare del male a delle persone innocenti? O a persone a cui teneva, come i suoi amici?

Non lo sapeva, sapeva solo che più il tempo passava, più la battaglia per il controllo del suo corpo tra lei e i suoi poteri volgeva dalla parte di questi ultimi.

Arrivati al magazzino misero Ravager seduta su una sedia in area relax, dopo Lucas si occupò di immobilizzarla con degli spessi strati di nastro isolante.

Fu durante quella sua operazione, che la luogotenente riprese lentamente i sensi. Tossì diverse volte, poi riaprì l’unico occhio scoperto. Rachel rimase sinceramente sorpresa dalla velocità con cui rinvenne.

La donna parve per un attimo spaesata, quando realizzò di trovarsi nel magazzino legata ad una sedia, ma nel giro di poco tempo riacquistò la sua spavalderia. Spostò lo sguardo su Lucas. Il ragazzo era inginocchiato, intento a rinforzare gli strati di nastro che tenevano incollate le gambe dell' albina con quelle della sedia. Ravager sogghignò. «Mi leghi ad una sedia dopo solo un appuntamento? Tu sì che sai come far breccia nel cuore di una donna.»

«Me l’hanno detto in molte» ribatté il moro senza nemmeno sollevare lo sguardo. Fece passare il nastro almeno una decina di volte attorno allo stinco di Ravager, fino a quando non fu sicuro che da lì non potesse più muoversi.

Dopodiché Red X si alzò e levò la bandana dal volto della donna, scoprendo il suo altro occhio, chiuso, e la scompigliata frangia di capelli bianchi. Osservandola meglio poterono constatare che "donna" non era proprio il termine migliore per descriverla. Era più vecchia di loro, certo, ma probabilmente non superava nemmeno i trent’anni di età.

«Così potremo guardarci meglio negli occhi» spiegò Lucas, gettando via il tessuto nero e arancione.

«Che gentiluomo.»

«Lo so.»

«Perché non mi liberi, invece? Così dopo potremmo divertirci per davvero.» L’albina si leccò le labbra, osservandolo maliziosa. «Sei mai stato con una più grande di te? Potrei insegnarti un sacco di cose interessanti, sai?»

«E perché tu non chiudi quella fogna di bocca, invece?» domandò Amalia, puntandole una pistola alla tempia.

«Qual è il problema, ragazzina?» la interrogò Ravager, per nulla intimidita. «Sei gelosa? Puoi unirti a noi se vuoi, io non ho pregiudizi.»

Komand’r sgranò gli occhi udendo quella frase, poi fece una smorfia. «Bleah. Te lo puoi scordare.» Abbassò il cane della pistola. «Semplicemente voglio che tu la smetta di parlare.»

«E allora perché non avete permesso a quel mostriciattolo di uccidermi?» chiese ancora la soldatessa, accennando a Rachel. «Così almeno sarei rimasta zitta per sempre.»

Quelle parole ferirono la corvina, e non poco, ma lei cercò comunque di non darlo a vedere.

«Perché prima devi rispondere ad alcune nostre domande» disse Lucas, rispondendo al posto di Rachel, con tono scocciato.

«Oh, ma davvero?» Ravager parve quasi divertita. «E cosa ti fa pensare che io sarò disposta a collaborare? Come intendi avere queste risposte? Con la forza? Tu non picchierai mai una donna legata ad una sedia.»

«Lui forse no, ma io sì!» Amalia le sferrò un poderoso ceffone con la mano rivolta dalla parte delle nocche, producendo un suono orribile.

Ravager piegò il capo, gemendo, ma non ci mise molto a ridacchiare e a rialzare lo sguardo, verso la mora. «Tutto qui?» domandò, con la guancia arrossata.

«Posso andare avanti tutta la notte, se vuoi.»

«Ma certo, così nel frattempo gli Underdog vi scoveranno.» L’albina fece correre lo sguardo lungo le pareti della stanza. «Carino questo posto, davvero, assomiglia proprio a quello in cui vi abbiamo trovate l’ultima volta. Chissà quanto tempo ci metteranno per capire che siete stati così idioti da tornare qui. Io dico un’ora.»

«Vorrà dire che ci dirai subito dove hanno portato Tara» asserì Lucas, con tono fermo.

«Tara? Chi è Tara?»

Red X strinse con forza i pugni. «La ragazza bionda che avete rapito.»

«Ah, già, lei. Un bel tipetto. Non ha smesso un attimo di urlare, lo sapete?»

«Sì, l’hai già detto...» mugugnò Rosso, infastidito.

Ryan sussultò. «Che cosa le avete fatto?»

Ravager rispose con un altro ghigno. «Che cosa non le abbiamo fatto, vorrai dire.»

Amalia ringhiò per la rabbia. «Ora mi hai davvero rotto!»

Sollevò di nuovo una mano per colpirla, ma Lucas la fermò, arrivandole all’improvviso di fianco e afferrandole il braccio. «Non farlo. Picchiarla non serve a niente.»

«Se permetti, voglio essere io a deciderlo!» esclamò Amalia liberandosi con uno strattone.

Tuttavia, prima che potesse davvero infierire su di lei, Ravager parlò nuovamente, con un sorriso sadico in volto: «Mettiamo in caso il fatto che io decida davvero di aiutarvi, che vi dica dove hanno portato la vostra amichetta, voi cosa fareste? Eh? Andreste a cercarla nella tana del ragno?»

I quattro ragazzi rimasero in silenzio. Solo in quel momento Rachel realizzò che prima di allora non aveva ancora pensato a cosa avrebbero fatto dopo aver catturato Ravager.

«Mettiamo in caso che riusciate ad attraversare la città, evitando le centinaia di pattuglie che presto verranno a cercarmi. Mettiamo in caso che riusciate ad arrivare alla base, dove hanno portato la vostra amichetta. Dopo che cosa avete intenzione di fare? Combattere, voi quattro soli, anzi...»

Ravager osservò Ryan, ridacchiando. «Facciamo tre e mezzo... contro un intero esercito di uomini armati fino ai denti, tra cui alcuni sottoluogotenenti? Davvero credete di potercela fare? Ma voglio essere fiduciosa, mettiamo anche in caso che riusciate davvero a superare le guardie e riusciate ad arrivare alla vostra amica, in una stanza che è sorvegliata con delle videocamere da Deathstroke in persona. A quel punto che cosa farete? Affronterete anche lui? Da soli?»

La luogotenente ridacchiò nuovamente, scuotendo la testa con aria di sufficienza. «A stento siete riusciti a sconfiggere me... cosa vi fa credere di poter battere uno come lui? Se è il nostro capo un motivo c’è, d’altronde.»

«Dimentichi una cosa» fece Lucas, severo, per poi spostare lo sguardo su Rachel. «Noi abbiamo un conduit dalla nostra parte.»

La corvina incrociò gli occhi del ragazzo. Realizzò che, in quel momento, egli stava riponendo in lei una fiducia che probabilmente mai aveva risposto in altre persone. Non seppe se sentirsi onorata oppure spaventata da quel pensiero.

Un’altra risata proveniente dalla gola di Ravager la convinse a lasciar perdere quel dubbio. «Certo, avete la demonietta...» cominciò a dire, osservando la diretta interessata senza alcun timore. «... ma lei non potrà proteggervi da sola da centinaia e centinaia di uomini con i suoi scudi magici. E di certo, lei non riuscirà mai a sconfiggere Deathstroke.»

La soldatessa distese il suo sorriso, spostando lo sguardo sui compagni di Rachel. «Forse penserete che lei è la vostra unica possibilità di successo, ma vi posso assicurare che la realtà è ben diversa. Credete che sia sicuro stare in sua compagnia? Vi basti pensare a quello che ha fatto poco fa’, durante il nostro scontro. Cosa vi fa pensare che un giorno non sarete voi quelli con il cappio nero legato attorno al collo?»

Rachel si irrigidì come un chiodo. E la situazione peggiorò quando Ravager spostò lo sguardo su di lei. «Voi conduit siete la peggior piaga che questo mondo abbia mai visto. Sviluppate i vostri poteri, pensate di averli sotto il vostro controllo, di avere il mondo in pugno, quando in realtà sono loro ad avere il controllo su di voi e sul mondo.

«Nessun essere umano può tenere dentro di sé tanto potere, nessuno. Perché il potere dà alla testa. È come una droga, più ne hai, più ne vorresti. E più la usi, più il tuo corpo si deteriora... ma tu sei troppo assuefatto per accorgertene. E lo stesso accadrà a te, Demone. Userai i tuoi poteri fino a quando non ti ritroverai ad uccidere con le tue mani tutti i tuoi cari amici, quelli per cui hai tanto lottato, e chiunque ti capiterà a tiro. O magari creerai anche tu la tua banda di psicopatici, come è successo ad Empire, chi può dirlo.

«Mi hai visto mentre mi facevo l’iniezione di adrenalina, giusto? Bene, sappi che le differenze tra me e te non esistono. Entrambe dipendiamo da qualcosa, con l’unica differenza che io dell’adrenalina posso liberarmi se davvero lo vorrei, mentre l’unico modo che tu hai per liberarti dei tuoi poteri è smettere di respirare. Per sempre» concluse Ravager, con il suo sorriso di superiorità. Come se volesse in qualche modo dire che, nonostante fosse legata, era lei quella che aveva in pugno la situazione.

E infatti era così, per Rachel. Tutte quelle parole erano state come una doccia gelata, per lei. Poteva non sembrare, ma la parlantina di Ravager era molto persuasiva.

Corvina pensò a Sasha e ad Alden. Loro erano dunque finiti a controllare due bande come quelle dei Mietitori e degli Spazzini perché ubriachi di potere? Anche loro avevano perso il controllo, però in maniera definitiva? Anche loro avevano dovuto convivere tutti i giorni con un qualcosa che tentava costantemente di prendere possesso dei loro corpi, qualcosa che alla fine era riuscito davvero ad avere la meglio?

La ragazza cominciò a tremare e deglutì. Il suo destino era segnato, dunque? Avrebbe fatto del male ai suoi nuovi amici? Gli stessi che lei avrebbe difeso fino alla morte? Lucas, Ryan, Amalia e anche Tara... erano davvero in pericolo, con lei?

«Smettila di dire stronzate.»

Rachel sgranò gli occhi. Spostò lo sguardo di scatto, su Lucas, colui che aveva appena parlato. Osservava con aria quasi truce la donna legata. «Rachel non farà mai nulla di tutto ciò.»

Lucas..., pensò Rachel, con un moto di gratitudine, ma anche con l’amaro in bocca. Ammirò il coraggio con cui la difese, tuttavia... Ravager aveva ragione. I suoi poteri erano pericolosi, e su quello non ci poteva piovere. Ma di una cosa, ora Rachel era certa: avrebbe lottato fino allo stremo, pur di non perdere il controllo a causa loro.

Nessuno avrebbe sofferto, nessuno dei suoi cari sarebbe mai morto, a causa sua.

Nessuno.

«Tsk, uomo avvisato mezzo salvato...» borbottò intanto la prigioniera, roteando gli occhi.

«E adesso...» Red X si posizionò di fronte a lei, con i pugni serrati. «... ci dirai ciò che ci serve sapere!»

«Mh... che ne dici di... no?» Ravager sogghignò per l’ennesima volta. «Potete anche uccidermi per quello che mi riguarda. Io non dirò nemmeno una parola. E poi, anche se lo facessi... quante possibilità pensate di avere di salvare la vostra amica? Senza un esercito dalla vostra, non avete nessuna possibilità, nemmeno con la demonietta. Vi consiglio di rassegnarvi e di abbandonare questo posto prima che i miei compagni arrivino. Così potreste guadagnare qualche ora di vita in più.»

«D’accordo.» Amalia tirò indietro il carrello della pistola, il proiettile entrò nella canna, poi premette l’arma con forza sulla tempia dell’albina. «Sei tu che l’hai detto.»

Ravager per tutta risposta rise. A quel punto Komand’r la colpì con forza sul naso, gridando di rabbia. Rivoli di sangue scivolarono lungo le narici della soldatessa, ma questo non fece altro che aumentare la sua ilarità.

«Smettila di ridere!» La mora la colpì ancora, ma di nuovo, non ebbe i risultati sperati. Grugnì di frustrazione, e sferrò un altro destro alla prigioniera, seguito poi da un’altra scarica di pugni e schiaffi.

Così non funziona, pensò Rachel osservando la scena.

La vice di Deathstroke non sembrava in alcun modo intenzionata a collaborare con loro e le minacce verbali e fisiche di Amalia erano inutili. Tutto ciò le era parecchio familiare, ora che ci faceva caso.

Inoltre, come detto dalla stessa Ravager, Tara si trovava in un luogo non poco sorvegliato, in cui anche lo stesso Deathstroke era presente.

Da soli non potevano spuntarla. Ma questi pensieri erano superflui, se tanto nemmeno riuscivano a farsi dire dove andare a cercare la loro amica.

La personalità di Ravager era troppo forte per loro. Perfino Lucas non sembrava più sapere che pesci pigliare. Amalia cercava di fare del suo meglio, ma era tutto inutile.

Loro non le avrebbero cavato nemmeno una parola di bocca. Soprattutto usando la violenza come Komand’r stava facendo. La forza era completamente inutile con una come Ravager. Più veniva colpita, più era spronata a resistere. L’unica vera arma esistente per fronteggiare persone come lei, a volte, erano le parole. Le parole mettevano in risalto lati delle persone che nessun pugno sarebbe mai riuscito a tirar fuori.

L’unico modo per avere la meglio su di lei era persuaderla in qualche modo. Ma come?

Rachel non era certo una cima in quello, e nemmeno i suoi compagni. E il tempo stringeva. La corvina rimpianse di non aver chiesto ulteriori informazioni a Kevin, quando ne aveva avuto l’occasione. L’aveva lasciato andare, senza nemmeno lasciarsi dire come interrogare Ravager.

Solo una cosa aveva detto il ragazzo, che avrebbero avuto bisogno di un esperto.

Corvina capì solo allora cosa intendesse dire: ci voleva qualcuno che con le parole ci sapeva fare, qualcuno in grado di persuadere Ravager, di metterne a nudo la coscienza.

E ci voleva anche un esercito in grado di attaccare la base in cui Tara era stata portata.

Un’altra risata della soldatessa portò la conduit ad osservarla. Il suo volto era quasi una maschera di sangue, ma non accennava a smettere di ridere sotto i colpi di Amalia. Tutt’altro, la incitava perfino a fare di peggio.

Improvvisamente Rachel ebbe un flashback. Osservava quella scena... ma in realtà ne vedeva tutta un’altra. Qualcosa nella sua mente scattò, come un interruttore che da OFF passava ad ON.

Sgranò gli occhi e realizzò cosa dovevano fare per avere la meglio non solo su Ravager, ma anche sugli Underdog.

Ci voleva un esperto, uno che con le parole ci sapeva fare... e ci voleva anche un esercito.

Era rischioso, ma ormai erano quasi con le spalle al muro. Occorreva un’idea drastica, avventata, e quella che le venne in mente rispecchiava al meglio questi due aggettivi.

«Ragazzi...» chiamò, con cautela. Lucas e Ryan si voltarono verso di lei, anche Amalia smise di fare la boia di Ravager. I tre la osservarono con aria interrogativa, quasi aspettandosi che le sue parole avessero vitale importanza. E in parte era anche così.

«Io... credo di avere un’idea.»

 

***

 

«Sei fuori di testa! È una follia!» gridava Amalia nella sua mente.

«Non abbiamo altra scelta...» questo era Lucas, che era intervenuto in sua difesa dopo un’attenta riflessione.

«Lo facciamo per Tara, Komi. Dobbiamo salvarla, costi quel che costi. Siamo suoi amici, e correremo qualsiasi rischio pur di riaverla con noi. Sento che le cose andranno bene» per finire, anche Ryan aveva dato il suo appoggio a Rachel.

E così, la corvina aveva ottenuto il via libera. Ma più si avvicinava in volo alla sua destinazione, più anche lei credeva che, forse, la sua scelta era stata davvero troppo avventata. Ma ormai era nel ballo, e doveva ballare.

Non appena giunse al luogo in questione, scoprì che la stavano già aspettando. Non fu accolta in maniera clamorosa, certo, ma nessuno le sparò, il che era comunque un buon segno.

Fu condotta in quei corridoi che già l’avevano ospitata una volta. Quell’ambiente le faceva venire la claustrofobia. Più avanzava con i passi, più sentiva i nervi a fior di pelle.

Si sorprese di ricordare quasi a memoria la strada, mentre seguiva le sue guide.

Infine, giunse nella grossa sala. Qui, accanto a grosse custodie per strumenti musicali e casse, si trovava una specie di grosso trono. Sopra di esso, stava seduto un ragazzo vestito di nero. Non appena lo rivide in faccia, Rachel sentì un brivido percorrerla. Ma ormai era tardi per tornare indietro.

«Ciao Rachel» disse Dreamer, sorridendole come se fosse il suo migliore amico. «È bello rivederti.»

 

 

 

 

Aggiornamento finesettimanale (è una parola? boh...), eccolo qui! Contenti? Bene, allora buon proseguimento. Questa volta non ho davvero nulla da dire, è tutto nel capitolo. Spero che non ci siano errori (o almeno, non troppi), l'unica cosa che un po' mi lascia così è la parte finale. Ho paura che la scelta di Corvina di rivolgersi a Dreamer sia stata un po' troppo forzata, anche se alla fin fine era l'unica cosa sensata da fare, per lei. Quindi non saprei, sono un po' indeciso. Vabbé, facciamo che sono al 70% convinto che la scena vada bene, 30% che invece è un po' forzata.

Ah, un'altra cosa: occhio ai poteri di Rachel...

Bye bye!

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Capitolo 17
*** Faccende private ***


Capitolo 17: FACCENDE PRIVATE

 

 

«Bel posticino» commentò Dreamer, mentre lui e Rachel entravano nel magazzino. «Certo, avreste potuto scegliere un luogo in un distretto che non fosse il più pattugliato dagli Underdog, però non c’è male.»

Corvina fece una smorfia, ma evitò di rispondere. «Da questa parte» disse invece, facendogli strada tra gli scaffali ancora rovesciati.

Il Visionario la seguì obbediente. La ragazza per tutto il tempo cercò di mantenere un aspetto serio e determinato, ma si sentiva comunque parecchio a disagio in sua presenza. Riusciva perfettamente a sentire gli occhi di lui posati sulle sue spalle, percepiva il suo piccolo sorrisetto, riusciva quasi ad immaginarsi i suoi pensieri.

Sicuramente se la rideva sotto i baffi. Lui aveva vinto, aveva ottenuto ciò che desiderava. Rachel era tornata ad implorare il suo aiuto, come egli aveva pronosticato. Giurò a sé stessa che, una volta salvata Tara, non avrebbe mai più avuto nulla a che fare con lui.

Ma allo stesso tempo, sapeva che, insieme a Dominick e Kevin, Dreamer era un altro ad appartenere alla schiera di individui che non doveva assolutamente prendere sottogamba. L’idea di averlo condotto fino al loro rifugio continuava a suonarle errata, ma se non altro aveva accettato di venire da solo. E comunque, quello era l’unico modo per permettergli di parlare a quattr’occhi con Ravager.

Ora che ci pensava, non appena aveva tirato in ballo la soldatessa, il Visionario era sembrato dieci volte più entusiasta, nei suoi standard, all’idea di cooperare con loro.

Raggiunsero l’ingresso della sala relax. Rachel inspirò profondamente, preparandosi a ciò che sarebbe accaduto dopo, ma non appena si avvicinò alla maniglia, questa fu abbassata dall’altra parte.

Lucas uscì dalla stanza, richiudendosi immediatamente la porta alle sue spalle. Osservò prima Rachel, poi Dreamer. Il suo sguardo si indurì quando guardò quest’ultimo.

«Così... l’hai fatto per davvero...» osservò, riportando lentamente gli occhi sulla partner.

«Non avevamo altra scelta» rispose Rachel, cauta.

Un grugnito provenne dal moro. «Lo so. E tu...» Le sue iridi blu caddero di nuovo sul Visionario. «... prova a fare un solo passo falso, e ti assicuro che il naso rotto dell’ultima volta sarà un regalo in confronto a ciò che ti farò.»

Dreamer ridacchiò, cosa che non sorprese per nulla la corvina. «Ricevuto.»

Red X serrò la mascella, naturalmente non gradendo quel tipo di risposta. Fissò intensamente negli occhi il suo interlocutore. Rachel, esattamente in mezzo a loro, osservava prima l’uno e poi l’altro. Lucas contraeva ripetutamente la mano, mentre l’enigmatico sorriso di Jeff non accennava a svanire dal suo volto.

«Lucas, tranquillo» mormorò infine la corvina, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla. «Abbiamo stretto un patto, non ha cattive intenzioni.»

Il partner non sembrò ascoltarla. Continuò ad osservare il Visionario, con aria diffidente. Rachel non lo aveva mai visto così, era chiaro che fosse parecchio combattuto. Una parte di lui probabilmente voleva dare fiducia alla ragazza e alla sua idea di collaborare con Dreamer, ma un’altra invece gli diceva di non fidarsi.

E Corvina di certo non poteva biasimarlo.

Dopo diversi istanti, Lucas annuì lentamente. «Va bene. Tanto, ormai, non si può più tornare indietro.» Indicò con un cenno del capo la porta al Visionario. «È qui dentro. Buona fortuna.»

«Ti ringrazio, ma non ne ho bisogno.» Dreamer si avviò verso la porta, appoggiando il suo bastone. «So quello che faccio.»

Lucas fece una smorfia. Mentre Jeff gli passava accanto, piegò il capo a causa di alcuni secchi colpi di tosse.

«Ma che brutta tosse...» commentò Dreamer, fermandosi, accentuando il suo sorrisetto.

«Sopravvivrò» mugugnò Lucas, placandosi ed osservandolo con odio.

«Non ne dubito.»

Il Visionario spalancò la porta, seguito dai due partner.

Ryan e Amalia erano seduti su due sedie, quest’ultima aveva le nocche fasciate da una garza insanguinata.

Ravager invece era in uno stato di semi incoscienza, con il capo rivolto verso il basso. Chiazze di sangue ormai secco erano incrostate su parte delle sue guancie, del naso e delle labbra. Era chiaro che Komand’r avesse ancora cercato di farla parlare, in loro assenza.

Non appena si accorsero di Dreamer, i due fratelli si alzarono di scatto. Ryan sembrava intimorito, Amalia, invece, solamente arrabbiata.

«Che gioia rivedervi.» Il Visionario si sollevò il copricapo, in cenno di saluto.

Per tutta risposta, Komi estrasse la pistola dalla tasca del cappotto e gliela puntò.

«Non possiamo dialogare tu ed io senza che io abbia puntata un’arma alla testa, giusto?»

«Fa quello che devi fare e basta» tagliò corto Amalia, accennando con la pistola all’albina.

Dreamer si rimise il cappello in testa. «Ma certo.»

Il Visionario si avvicinò alla sedia di Ravager, tenuto sotto tiro da Amalia per tutto il tempo. Non appena fu a pochi passi dalla soldatessa, questa alzò lo sguardo di scatto. «Chi diavolo...» Si interruppe di colpo, sgranando il suo unico occhio quando si accorse di Jeff. «Tu...»

«Ciao Rose» disse Dreamer, cordiale. «Ti trovo in gran forma.»

Ravager diede diversi strattoni ai legacci di nastro isolante, cercando di liberarsi. Il suo carattere mutò radicalmente quando vide il Visionario. I suoi occhi trasudavano di stupore, sorpresa, incredulità... e anche paura. «Tu che ci fai qui?!»

«È questo il tuo modo di salutarmi, Rose?» domandò lui in risposta, quasi deluso. «Così mi offendi...»

Rose. Era già la seconda volta che la chiamava così, osservò Rachel.

«Dovresti essere morto!» esclamò la prigioniera, con la voce quasi incrinata.

«Sul serio? A me sembra di essere più vivo che mai» replicò il ragazzo, osservandosi le mani.

«Sei sparito per anni!» gridò ancora Ravager.

«Il tempo di mettere a posto un paio di cose, e creare i miei Visionari.»

Rose dischiuse le labbra, chiaramente scossa. «Tu... tu sei il loro capo?!»

«Davvero sei così sorpresa di saperlo? Ammettilo che una parte di te già lo sospettava.»

Ravager esitò. Osservò per un breve attimo Dreamer, incapace di fare altro, finché Lucas non si intromise. «Un momento!» esclamò, rivolgendosi al Visionario. «Voi due vi conoscete?»

«Per favore» ribatté Jeff, quasi infastidito. «Non interrompeteci. Le spiegazioni a dopo, se non vi dispiace.»

«Sei... sei in combutta con loro?!» domandò a quel punto Ravager, mettendo insieme i pezzi e osservando prima Red X, poi Dreamer. «Con questi perdenti?!»

Il Visionario sospirò. «Loro vedono il mondo dalla mia stessa prospettiva, Rose. E anche tu avresti potuto farlo, se solo non fossi stata così cieca.»

«Cieca?! Perché credi che avessi altra scelta?!»

«Certo che ce l’avevi. Ma tu, anziché combattere, hai semplicemente cercato di colmare il vuoto lasciato nel tuo cuore da quella stessa persona per cui lavori adesso, e che tutt’ora ignora la tua importanza. Non è vero, Wilson?»

«Wilson?» domandò Rachel, d’istinto. «Ma... ma cosa...»

«Avanti, perché non lo ammetti? Perché non ammetti che tutto quello che fai, lo fai per perseguire un unico folle ed irraggiungibile scopo?!»

«Non è un folle scopo!» si difese la giovane donna, gridando in faccia al suo interlocutore, la maschera da guerriera priva di scrupoli da lei avuta fino a quel momento che cadeva infrangendosi sul suolo.

«Davvero ne sei convinta? Per tutto questo tempo non hai fatto altro che seguire ciecamente qualsiasi ordine di Deathstroke, sperando di entrare nelle sue grazie, quando nelle sue grazie avresti dovuto sempre esserci stata, tuttavia non come soldatessa, ma come figlia!» Ora Dreamer quasi urlava, di fronte al volto sconvolto di Rose. «E credi che questo scopo non sia folle?!»

Corvina sgranò gli occhi, imitata ben presto da tutti gli altri.

«A lui di te non è mai importato niente! Che cos’è un figlio, per uno come Wilson Slade? Nulla! Zero!»

Ravager... è la figlia... di Deathstroke...

«No! Non è vero!» esclamò nel frattempo Ravager. «Lui mi vuole bene!»

«Davvero? Te ne vuole a tal punto da farti combattere nel suo esercito di mercenari privi di scrupoli, a tal punto da darti il nome e la divisa di tuo fratello maggiore, da usarti come suo rimpiazzo?!»

«Che... che cosa?» domandò Rose, ammutolendo tutto ad un tratto.

Jeff annuì lentamente. «Esattamente. Paparino non te lo ha mai detto? Anche Grant si chiamava Ravager quando è entrato a far parte dell’impresa di famiglia. E quando è morto, Wilson che cos’ha fatto? Si è forse sentito in colpa per avergli ordinato di partecipare a quella missione suicida? Ha pianto la sua morte, insieme ai suoi famigliari? Ha almeno chiesto scusa?! No, non l’ha fatto. Si è dimenticato di lui, come presto farà anche con te.»

«G-Grant...» balbettò Rose, quasi in lacrime.

«Avresti potuto venire con me, Rose...» Jeff strinse i pugni, severo, e forse anche un po’ triste. «Avremmo potuto avere una vita serena, esserne padroni, e un luogo da poter chiamare casa senza avere l’amaro in bocca. E invece tu hai preferito rimanere con quel folle, che da sempre ha anteposto il suo lavoro di killer alle persone che lo amavano. Che ha anteposto anche a te.»

«S-Smettila...» gemette Rose, chinando il capo. «Ti prego, smettila...»

«Lui ti odia!»

«Smettila!»

«Per lui sei solo un peso! Non ti ha mai voluta!»

«NO! Lui mi ama!» ripeté Ravager, singhiozzando. Sembrava che ormai non stesse nemmeno più cercando di convincere Dreamer, ma di convincere solamente sé stessa.

«Combatti per lui, obbedisci ai suoi ordini, uccidi persone innocenti solamente per compiacerlo, e lui per ringraziarti di tratta come uno straccio! Ormai non hai nemmeno più il coraggio di rivolgerti a lui chiamandolo "padre"! Lui ormai è Deathstroke perfino per te! Un mercenario sadico e crudele che non conosce il vero significato di parole come "affetto" e "amore"!»

Ravager continuava a scuotere la testa, ma sempre con meno convinzione. Più i minuti passavano, più Rachel faticava a credere a cosa stava vedendo; Dreamer ci stava riuscendo. Aveva spezzato la luogotenente, trovando il suo punto debole: il suo rapporto con il padre.

Ma c’era di più: Jeff la conosceva, per davvero. Probabilmente da prima che Sub City divenisse territorio degli Underdog. Il rapporto tra loro era molto più intimo di quanto Corvina avrebbe mai potuto immaginare. Forse era questa la chiave del suo trionfo. Lui conosceva meglio Rose, conosceva il suo lato nascosto grazie ai ricordi che aveva di lei.

Improvvisamente, Rachel sentì che la sua idea di rivolgersi a lui non era più tanto errata.

Il Visionario nel frattempo si chinò, per poi ritrovarsi faccia a faccia con Rose. «Aprì l’occhio.»

«C-Cosa?» chiese Ravager, tirando su con il naso.

«Apri l’occhio» ripeté pazientemente Dreamer.

«Ma... non posso...»

Jeff afferrò Rose per il mento, costringendola a fissarlo dritto nelle pupille. «Sì che puoi. Tu non sei come tuo padre. Aprilo.»

Ravager sembrava titubante. Il ragazzo le lasciò andare il mento e lei chinò il capo con un gemito. Ma, poco dopo, le palpebre del suo occhio destro, dapprima sigillate, cominciarono a tremolare. E poi si dischiusero, rivelando alla luce della stanza il suo altro occhio azzurro, sotto gli sguardi increduli di Rachel e della sua compagnia.

«Puoi vestirti come lui, comportarti come lui, fingerti spietata come lui... ma non sarai mai, come Deathstroke. E per questo lui non ti amerà mai. E quando te ne andrai...» Dreamer schioccò le dita. «Sarai dimenticata. Per sempre. Com’ è successo a Grant.»

Altre lacrime scesero dall’occhio di Rose, ma questa volta da quello aperto. Era fatta. Dreamer l’aveva in pugno.

«Per tutto questo tempo non hai fatto altro che crearti dei castelli in aria, pensando che una persona orribile come tuo padre potesse davvero realizzare quanto sua figlia sia importante per lui. Ma la realtà è molto diversa. Tuttavia, puoi ancora cambiare le cose.» Dreamer posò una mano sulla guancia di Rose. Percorse con il pollice il profilo soffice della gote, cercando anche di ripulirla dal sangue. «Dove si trova adesso Wilson? Dove ha portato la ragazza che ha rapito?»

Ravager alzò il capo. Osservò Dreamer con un’espressione devastata. Non c’era più nessuna traccia della sadica luogotenente che Rachel aveva incontrato. Ora c’era una ragazza sola, abbattuta, che aveva appena realizzato quanto il mondo fosse crudele. Paura, disperazione e una gigantesca richiesta di affetto trapelavano dai suoi occhi azzurri e lucidi. «Perché... fai tutto questo? Perché... anche tu...»

«Non potevo restarmene in disparte per sempre, mentre Wilson conduceva questa città, e te, alla rovina. Il tempo, Rose, il tempo è più forte di qualsiasi cosa, anche della più ferrea volontà di un uomo. E il tempo che ho passato attendendo che le cose migliorassero, ha cambiato anche me.»

Rose si pizzicò un labbro, continuando ad osservare il suo interlocutore. Infine, piegò il capo. «Papà è al Whiskey Hotel... nella High Sub... ha chiuso Tara nel laboratorio nel secondo piano del seminterrato... lui, invece, lo troverete nel primo, nei suoi uffici...»

Dreamer annuì lentamente, allontanando la mano dal volto della giovane donna. Si rialzò in piedi, poi si voltò verso Rachel. La ragazza trasalì quando il suo sguardo cadde su di lei. Il Visionario le rivolse un piccolo cenno d’intesa con il capo. La corvina esitò per qualche istante, poi ricambiò. Dreamer si avviò poi alla porta. «Ora avete ciò che vi serve. Il mio lavoro qui è concluso.»

Nessuno dei ragazzi riuscì a dire qualcosa. Ryan e Rachel erano senza parole, perfino Amalia sembrava non riuscire ancora a credere a ciò che aveva appena visto ed udito.

L’unico che trovò il coraggio di parlare, fu Lucas. Il moro si portò accanto al Visionario, afferrandolo per un braccio. «Un momento, Jeff. E le spiegazioni? Che cosa sai di Deathstroke che noi non sappiamo?»

Jeff sospirò, rabbuiandosi. «Se ce ne sarà il bisogno, vi metterò al corrente di tutto ciò che avrete necessità di sapere. Ma adesso, più il tempo passa, più il confine tra la vita e la morte della vostra amica si assottiglia. Volete davvero sprecare ulteriori minuti preziosi per sapere cose che nemmeno vi riguardano?»

Red X ammutolì. Il silenzio che scese nel giro di poco tempo, fece intuire al Visionario che le sue parole, ancora una volta, erano state efficaci. «Lo immaginavo.» Si liberò dalla presa del moro e passò accanto a lui. Spalancò la porta, per poi fermarsi sull’uscio.

«Io e i miei uomini vi rivedremo di fronte al Whiskey Hotel tra un’ora, dall’altro lato della strada. Noi vi aiuteremo a salvare la vostra amica, Rachel aiuterà me ad uccidere Deathstroke. Dopodiché, sarete liberi di fare ciò che più vi aggrada.» Si voltò un’ultima volta, accennando con il mento a Rose. «Lei non liberatela ancora. In questo momento è emotivamente instabile. Datele qualcosa da mangiare, poi quando tutto questo sarà finito, di lei me ne occuperò io personalmente.» E detto quello abbandonò la sala, smarrendosi nei meandri del magazzino.

I quattro compagni si osservarono tra loro, ognuno più perplesso dell’altro, mentre Ravager continuava a tenere il capo chinato e a gemere sommessamente.

 

***

 

Lucas ordinò di prendere tutto quello che sarebbe potuto servire in vista della missione imminente. Quello che non poteva aspettarsi, era che Amalia avrebbe preso alla lettera le sue parole.

La mora era nella sala relax, intenta a caricare ben due fucili, uno d’assalto e uno a pompa, e altrettante pistole.

«Ti serve davvero tutta quella roba?» domandò lo stesso Red X, guardandola perplesso.

Komand’r grugnì d’assenso, mentre afferrava il borsone che aveva ai suoi piedi e lo posava sul tavolo. Lo aprì, rivelando al suo contenuto una quantità industriale di caricatori, cartucce e anche coltelli a serramanico, probabilmente di gentile concessione del furgone degli Underdog che avevano svaligiato. Evidentemente non si erano ripresi proprio tutto, dopo il loro attacco ai danni della stessa Amalia e di Tara.

Dopo essersi assicurata di avere con sé abbastanza potenza di fuoco, la mora richiuse la zip, si infilò le due pistole nelle tasche del cappotto, mise a tracolla il borsone e il fucile a pompa e afferrò quello d’assalto. «Possiamo andare» disse, volgendo uno sguardo di intesa sia a Lucas che a Rachel.

I due annuirono, e insieme si diressero verso la porta. Uscirono e cominciarono ad allontanarsi.

«Komi, aspetta!» esclamò Ryan, inseguendoli.

«No, Ryan» sbottò la mora, prima ancora che lui potesse parlare. «Tu non vieni.»

«Ma...»

«Ora basta, Ryan!» esclamò la sorella, accigliandosi. «Non è un gioco, lo vuoi capire o no?! Gli Underdog e i Visionari si scontreranno frontalmente, si scatenerà il putiferio! Ti rendi conto di quanto sarà pericoloso? Noi tutti rischieremo la vita!»

«Io voglio salvare Tara!» ribatté il rosso, stringendo i pugni. «Non mi interessa se sarà pericoloso o no, ma questa volta voglio esserci anch’io! Lei è anche mia amica!»

«E io sono tua sorella maggiore, e ti ordino di rimanere qui, al sicuro!»

Ryan si zittì. Spostò lo sguardo su Rachel, rivolgendole una muta richiesta di aiuto. La corvina si irrigidì, non avendo la minima idea su come comportarsi. Lei in certe cose era negata, voleva semplicemente tenersene alla larga.

Fu con immensa amarezza che decise di distogliere lo sguardo dal ragazzino. Si sentì una persona orribile, anche se in parte già lo era. Il rosso voleva solamente aiutarli, rendersi utile e soprattutto salvare Tara, per quello stesso motivo che solamente Rachel e lui conoscevano.

Ma Amalia aveva ragione; stava per scoppiare una guerra, nel vero senso della parola. Soldati privi di scrupoli, Deathstroke, i Visionari e il loro imprevedibile leader, sarebbe stato non poco rischioso prendere parte a quella spedizione. E se c’era uno che avrebbe rischiato la vita, quello era Ryan. Il fratello di Komi non aveva nemmeno mai dato prova delle sue vere capacità, probabilmente non sapeva nemmeno combattere, si sarebbe rivelato semplicemente un peso se fosse venuto con loro.

Ognuno di questi pensieri era un macigno che cadeva nello stomaco di Corvina, ma purtroppo erano la verità. Si sentiva davvero in colpa a riporre così poca fiducia in lui. Cercò lo sguardo di Lucas, sperando che, magari, fosse lui a prendere le difese del rosso, ma anche il moro sembrava concordare con i suoi pensieri.

Red X teneva le braccia conserte ed osservava il ragazzino con espressione indecifrabile. Non sembrava in procinto di intervenire, e molto probabilmente non lo avrebbe mai fatto. 

«È per il tuo bene, Ryan» disse ancora Amalia, probabilmente per convincerlo del tutto.

Il minore rimase ancora un attimo in silenzio. Chinò il capo e strinse i pugni. «Per il mio bene?» domandò, con tono di voce improvvisamente duro. «Tu che parli del mio bene? Tu?!»

Drizzò la testa e osservò la sorella dritto negli occhi. «Non ti pare un po’ tardi per preoccuparti di cosa possa essere o meno per il mio bene?!»

Amalia ammutolì, colpita dal repentino cambio di umore del fratello. Anche Rachel rimase di sasso di fronte a quella scena.

«Hai passato la vita rendendo quella di Kori, e anche la mia, un inferno, e ora credi di potermi dire cosa posso o non posso fare solo perché sei mia sorella maggiore?!»

Komand’r dischiuse le labbra. «R-Ryan...»

«Cos’è, speri per caso che questo tuo falso comportamento perbenista possa cancellare quello che hai fatto in passato? Hai davvero la faccia tosta di poter anche solo credere di poterti comportare in questo modo con me, e pensare che io abbia dimenticato che cos’hai fatto per tutti questi anni?!»

Il ragazzino le puntò contro l’indice, con un’espressione che mai aveva fatto prima di allora. Rabbia, frustrazione, quasi esasperazione. «Tu sei la persona più schifosa che io abbia mai visto! E non dovrei nemmeno dirti queste cose perché ho promesso a Kori che non lo avrei mai fatto, perché, come diceva lei, con te "ci vuole solo pazienza"! Beh, sappi una cosa, io non sono Kori, io non porgo l’altra guancia, e la mia pazienza si è esaurita già da un pezzo!

«Ho continuato a seguirti, ad obbedire ad ogni tuo ordine come un cane addestrato, perfino a subire le tue sceneggiate isteriche, solamente perché avevo in mente il ricordo di Kori che mi chiedeva, anzi, mi implorava di non mandarti a quel paese per tutte le porcherie che facevi, ma ora basta!

«A te non è mai importato niente di me! Né di Kori, né di nostra madre, né di nostro padre! Il tuo unico pensiero era divertirti, stare fuori casa la notte, andare in discoteca e scopare qualunque cosa respirasse! E adesso, visto che Kori non c’è più, ti senti in colpa per quello che hai fatto, ma sappi che ormai è tardi!

«Non potrai mai, MAI, rimediare a quello che hai fatto! Ci hai trattati come degli zerbini per tutta la vita, facevi piangere nostra madre, facevi disperare nostro padre, ti mettevi nei guai coinvolgendo anche noi altri, e per tutto questo non hai mai chiesto scusa, neanche una volta! Tu eri quella che aveva sempre ragione, nel bene e nel male, e gli altri non erano altro che un branco di idioti che volevano solo rovinarti il divertimento!

«Tu non c’eri quando avevo davvero bisogno di aiuto! Tu non c’eri quando mi serviva l’affetto che solo una sorella può dare, c’era Kori! Kori era quella che badava a me, Kori era quella che mi voleva bene, Kori era mia sorella maggiore. Quella su cui potevo contare nei momenti difficili. Non tu. Tu non lo sei mai stata.

«E ora vorresti davvero farmi credere che tutto quello che fai è per il mio bene? Il mio bene?! Di idiozie ne hai dette nell’arco di questi mesi, ma questa...» Ryan si lasciò scappare un sorriso amaro. «Questa le batte tutte.»

«Ryan... io...»

«Vuoi sapere...» la interruppe ancora lui, distogliendo da lei lo sguardo, divenuto all’improvviso triste. «... quando ho finalmente aperto gli occhi?»

Amalia rimase in silenzio, impotente. Ryan proseguì.

«Il giorno in cui la polizia è arrivata a casa nostra. Il giorno dell’incidente. Kori era distrutta. Completamente. E anche io lo ero. Ma Kori non poteva consolarmi, lei era la prima che aveva bisogno di una spalla su cui piangere. L’unica persona che, per una volta, una sola, avrebbe potuto aiutarci a superare quel momento, l’unica persona che avrebbe davvero potuto dimostrare di volerci un briciolo di bene, infondo... è tornata a casa a mezzogiorno del giorno dopo. E nemmeno sapeva che i suoi genitori erano morti.»

Ryan riportò lo sguardo sulla sorella. Una lacrima solcava la sua guancia. «Quello è stato il culmine, per me. Tu, Amalia, non sei mia sorella. Kori lo era. Lei era l’unica famiglia che mi era rimasta. E ora non c’è più. Nemmeno lo zio c’è più. Sono solo.»

 Il rosso strinse con forza i pugni, voltandosi. «Torno a controllare Rose. Rachel, Lucas, conto su di voi. Salvate Tara.»

E detto quello si allontanò, fino a svanire nella stanza in cui Ravager era ancora imprigionata.

Un silenzio tombale scese quando la porta si richiuse alle spalle del ragazzino. Rachel era interdetta. Non avrebbe mai immaginato che Ryan potesse tirare fuori un simile lato di sé.

Ma quella che sicuramente si sentiva peggio di tutti doveva essere Amalia. La mora era pietrificata, osservava con sguardo scioccato la porta della sala relax.

Rachel non poteva certo sapere a cosa si fosse riferito Ryan poco prima, a ciò che Komand’r aveva fatto a lui e Kori, sapeva solo che quelle parole erano un qualcosa che il ragazzino doveva tenersi dentro da anni. E, infine, aveva tirato fuori tutto quanto, infrangendo perfino la promessa che aveva fatto alla defunta sorella maggiore.

Era esploso, cosa che mai doveva aver fatto in vita sua. Forse, vedersi portare via l’occasione di salvare Tara lo aveva fatto ammattire più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, perfino per Rachel che credeva di conoscere i suoi sentimenti per la ragazza bionda.

Spostò lo sguardo su Amalia, la quale era ancora ferma, immobile, interdetta. Non sapeva quale fosse davvero la verità, ma di sicuro sapeva che, di qualunque cosa si trattasse, ora Komand’r ne era profondamente pentita. Ma ciò non era comunque stato sufficiente a placare la rabbia di Ryan.

«Amalia...» cominciò Lucas, cauto. «... vuoi... vuoi andare a parlargli?»

Perfino Red X sembrava scosso dall’accaduto, anche se non lo dava troppo a vedere. La mora rimase in silenzio per qualche altro istante, indecifrabile, poi sospirò e scosse lentamente la testa. «No... ha... ha ragione. Tutto quello che ha detto... ha ragione.» Si voltò, bracciando il fucile e cominciando ad incamminarsi a testa bassa verso l’uscita del magazzino. «Andiamo...»

Lucas dischiuse le labbra. Spostò lo sguardo su Rachel, la quale ne sapeva tanto quanto lui su quella faccenda. Si osservarono perplessi per un breve istante, poi lui sospirò e si mise a seguire la mora.

A quel punto, a Rachel non restò che imitarlo.

 

***

 

Non fu facile raggiungere nuovamente la High Sub evitando tutte le pattuglie, così come non lo fu trovare il Whiskey Hotel.

Più il tempo passava, più Rachel temeva che gli Underdog trovassero Ryan e Ravager al magazzino, per questo voleva arrivare il più in fretta possibile alla destinazione; prima avrebbero cominciato l’attacco all’hotel, prima avrebbero spostato l’attenzione degli UDG da quel magazzino a loro. Ma, in ogni caso, Ryan sapeva cosa fare nel caso lo avessero trovato. Non lo avrebbero preso con tanta facilità, Rachel ne era sicura.

Per tutto il tempo che passò a volare e a correre in alternanza, né Lucas né Amalia proferirono parola. Piuttosto prevedibile dopo quello che era appena successo, ma comunque snervante per la corvina. Ma soprattutto era in pensiero per Komand’r. Le parole di suo fratello l’avevano scossa, di sicuro anche in quel momento doveva essere non poco turbata.

Rachel non le fece domande a riguardo, per paura di irritarla o di peggiorare solamente la sua situazione, ma si augurò che fosse nelle condizioni psicologiche di poter davvero prendere parte a quella missione, perché se così non fosse stato, sarebbe stato un pericolo non solo per gli altri, ma soprattutto per sé stessa.

Infine, l’imponente costruzione dell’hotel giunse dinnanzi ai loro occhi. Un grosso, enorme, fatiscente palazzo, che ricopriva quasi un intero angolo di quel quartiere. Non arrivava ai livelli della baraccopoli degli Spazzini, ma poco ci mancava.

Si infilarono nella rete di vicoli ed arrivarono dunque al luogo dell’incontro. Trovarono ad attenderli una ventina di Visionari e, naturalmente, il loro leader.

«Ce ne avete messo di tempo» osservò Dreamer, con tono apatico, quando li vide arrivare.

«Abbiamo avuto dei problemi con le pattuglie» spiegò Rachel.

«Tu piuttosto...» si intromise Lucas, volgendo diverse occhiatacce ai Visionari armati. «... come pensi di essere d’aiuto con così pochi uomini?»

«Non ci sono solo loro» rispose Dreamer, per poi dargli le spalle ed indicare l’hotel con la punta del suo bastone da passeggio. Qui, Rachel notò quello che in teoria avrebbe dovuto essere l’ingresso, al posto del quale, invece, si trovava una spessa saracinesca di ferro abbassata.

«I Visionari che vedete qui presenti sferreranno un attacco frontale. Cercheranno di abbattere la barricata, costringendo gli Underdog di guardia ad intervenire. Con l’attenzione dei nostri nemici focalizzata sull’ingresso, tre diverse squadre di Visionari si introdurranno nella struttura passando per le uscite di emergenza. Voi due...» Si voltò, accennando a Lucas ed Amalia. «... andrete con la mia luogotenente e vi introdurrete insieme alle squadre.»

La luogotenente in questione si staccò dal gruppo di Visionari e si mise accanto a Dreamer. Indossava un happi chiuso e dei pantaloni neri, ma non aveva nessun copricapo e la sua maschera bianca e rossa raffigurava una specie di felino che sogghignava in maniera crudele. Oltre i fori per gli occhi si potevano scorgere due iridi di un color talmente scuro da sembrare quasi quello del carbone. I capelli mori erano lunghi e scompigliati, l’incubo di qualsiasi pettinatrice. Per finire, teneva appesi due sai alla cintura che aveva intorno alla vita.

Si sollevò poi il copri volto. Il viso era grazioso, il naso piccolo, le labbra color rosso ciliegia, carnose e sensuali, ma la sua espressione severa gravava su quella sua particolare bellezza, quasi cancellandola completamente. Il suo aspetto era quasi paragonabile a quello di Amalia, o di Rose; una ragazza come tante altre, particolarmente bella ma costretta a rinnegare questo lato di sé a causa del mondo in cui viveva.

Sorrise freddamente ai due che avrebbe dovuto accompagnare. «Vi avverto, ci sarà da sudare.»

«Non vediamo l’ora» borbottò Lucas, incrociando le braccia.

«Sii gentile con loro, Jade.» Jeff mise in guardia la sottoposta, per poi rivolgersi a Rachel. «Infine, tu ed io saliremo sul tetto grazie ai tuoi poteri, elimineremo quante più sentinelle possibili e cercheremo l’ascensore. Quando i miei Visionari cominceranno l’attacco noi scenderemo nel primo piano del seminterrato e cercheremo Wilson, mentre i tuoi amici scenderanno nel secondo per cercare la tua compagna. Tutto chiaro?»

«Ehm... sì» rispose Rachel dopo un attimo di incertezza. L’idea di procedere privata dei propri compagni e con la sola presenza del leader dei Visionari la metteva non poco a disagio, ma se volevano davvero salvare Tara, allora avrebbe dovuto adattarsi e in fretta anche.

«Bene, andiamo.»

Dreamer cominciò ad incamminarsi, aiutandosi come sempre con il proprio scettro. Rachel fece per seguirlo, ma qualcuno la afferrò all’improvviso per un braccio. Era Lucas, che avvicinò le labbra all’orecchio della ragazza. «Fai attenzione» sussurrò, probabilmente per farsi sentire solo da lei.

Peccato che lei a malapena lo sentì, a causa dell’enorme brivido che la percorse quando percepì il suo fiato caldo sul suo volto. Annuì goffamente. «O-Ok. Anche... anche tu...»

Lucas annuì a sua volta, poi si allontanò da lei.

«Rachel» la chiamò Dreamer all’improvviso, dal fondo del vicolo. «Sbrigati.»

Corvina non se lo fece ripetere. Si calò il cappuccio sul volto e andò dietro al Visionario. Mentre camminava, rivolse un ultimo sguardo a Lucas, più un cenno di intesa, uno di quelli che spesso si erano fatti durante le loro operazioni di ricerca ad Empire e che lui ricambiò. E fu proprio mentre gli rivolgeva quel cenno, che si rese conto che quella che stava per arrivare era la prima vera e propria missione che svolgeva in sua assenza.

 

 

 

 

 

Dopo una lenta, lunga, strenuante settimana (per voi che avete dovuto attendere il capitolo, non per me. Io so già come finirà la storia) ecco a voi. Spero che vi sia piaciuto, questo è uno di quei capitoli in cui mi sono fatto il mazzo. Non tanto per la lunghezza o altro, quanto più per il contenuto. Riuscire a trovare il modo di far cedere Ravager ai "ricatti" di Dreamer non è stato facile, devo essere sincero. Riuscire a spezzare il personaggio crudele e spietato di lei che io stesso avevo evidenziato particolarmente è stato uno dei miei grattacapi più grandi, anche se, alla fine, la soluzione era proprio sotto il mio naso.
Sì, Ravager (aka Rose) è la figlia di Slade, ma non lo dico io, lo dice la DC comics. Guardare per credere. E sì, Rose ha (aveva, anzi) un fratello di nome Grant, che è stato, per l'appunto, il primo Ravager.
E quindi niente, a Dreamer è bastato premere sulla sua ossessione per il padre per romperla. E sì, Dreamer e Rose si conoscono bene, da mooolto prima del declino del mondo.
Ecco, questo particolare qui, ho paura che non possa essere piaciuto a qualcuno che magari sperava di vedere un'accesa discussione tra Dreamer e Rose, una battaglia a botta e risposta, in cui avrebbe vinto il primo che sarebbe riuscito a scovare una debolezza nell'altro. Insomma, è facile far sbucare un personaggio fuori dal nulla all'improvviso, far sì che conosca bene quello che deve interrogare, e sfruttare questa sua conoscenza per spezzarlo.
Ma, c'è sempre un ma, questo rapporto tra loro non passerà di certo in sordina. Avrà una sua rilevanza, in futuro, credetemi. Nulla è lasciato al caso.
Poi, un'altra cosa, è lo sclero di Ryan. Spero che non sia stato troppo forzato nemmeno questo. Era necessario, ai fini della storia, per rendere più solido il background di Amalia al momento del suo chiarimento (in futuro).  La scusa della cotta per Tara potrebbe essere un po' deboluccia, ma possiamo considerarla la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.

... ecco, vi ho di nuovo fatti addormentare.  Chiedo umilmente venia, spero di non aver fatto nessun orrore ortografico, e vi do appuntamento alla prossima, dove, finalmente, cominceremo a scorgere alcuni sprazzi di luce in mezzo a tutte queste tenebre (nel senso, ci saranno alcune risposte alle miriadi di quesiti che spero di aver generato).

A presto cari lettori, grazie per il supporto!



p.s. Comunque, Ravager l'occhio se lo cava per davvero per assomigliare a Slade, ma lo fa nel fumetto, o almeno, così dice la cara Wikipedia. In questa storia, invece, lo teneva semplicemente chiuso, come avrete ben potuto capire.
E sì, non sapevo che nome dare all'hotel, così ho fatto che chiamarlo come quello che c'è in una missione di MW2.

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Capitolo 18
*** Assedio ***


Capitolo 18: ASSEDIO

 

Rachel credeva che l’assenza di Lucas sarebbe stata la cosa peggiore di quella missione. Si era sbagliata.

Doversi stringere a Dreamer per trasportarlo in volo sopra il tetto dell’hotel fu peggio di qualsiasi altra cosa al mondo.

La prima sentinella che incontrarono fu travolta dal rapace nero, che rimase ben nascosto grazie al buio della notte. Non appena atterrò, Rachel si trasformò nuovamente e l’oscurità di diradò da attorno al suo corpo e quello di Jeff.

Il Visionario si avvicinò  poi alla guardia svenuta e lo trafisse alla schiena con la punta del suo bastone, a sangue freddo. L’uomo sollevò il capo e gemette sommessamente, per poi accasciarsi nuovamente per sempre. Rachel inorridì di fronte a quella scena. «Perché lo hai fatto?!» sussurrò interdetta.

«Se si fosse ripreso sarebbe stato un problema» rispose Dreamer senza nemmeno guardarla, con noncuranza. «E ora seguimi e non fare rumore.»

Cominciò a camminare lungo la superficie del tetto, tenendosi accucciato vicino al grosso cornicione al bordo di esso. Rachel, non potendo fare altro, lo seguì, muovendosi allo stesso modo.

Si sporse leggermente con il capo oltre la sporgenza, e riuscì perfettamente a vedere come fosse strutturato l’hotel. Era formato da quattro palazzi lunghi come capannoni, disposti in modo da formare un quadrato. Al centro di esso si trovava un enorme spazio vuoto, al cui fondo si trovavano due grosse piscine prosciugate, sedie a sdraio e palme, il tutto presidiato da un'altra dozzina di guardie.

Centinaia di finestre e balconi si affacciavano su di esso, sicuramente appartenenti alle varie camere.

Era impressionante vedere un luogo così grande e destinato al turismo usato invece come base degli Underdog.

«Concentrati Rachel» la ammonì Dreamer, continuando a camminare senza nemmeno voltarsi. «Non siamo qui in vacanza.»

La conduit trasalì. «Sì, scusa...»

Passarono accanto ad un giardinetto pensile incolto e abbandonato a sé stesso e giunsero ad una rampa di scale. Dreamer fece cenno alla ragazza di fermarsi, poi cominciò a salire da solo. Con un gesto secco del braccio fece scendere un coltello dalla manica del cappotto e lo afferrò al volto per l’impugnatura con la mano.

Rachel dischiuse le labbra. Era con lui da cinque minuti e già l’aveva lasciata di sasso per tre volte.

Il Visionario salì gli ultimi gradini, poi si osservò intorno. Con un altro cenno indicò a Rachel di raggiungerlo. Non appena gli fu dietro, Corvina vide un’altra sentinella, intenta a passeggiare tenendo saldo il fucile, dando loro le spalle.

Dreamer si sollevò in piedi e cominciò a camminare verso di lei per nulla intimidito. Non appena l’Underdog si voltò e lo vide sgranò gli occhi, giusto un attimo prima di ritrovarsi il coltello di Jeff esattamente piantato in mezzo ad essi. Stramazzò al suolo, con Dreamer che ancora teneva il braccio rivolto verso di lui e la mano aperta.

Per la quarta volta, Rachel rimase senza parole. Il Visionario si avvicinò al cadavere e sradicò il coltello dalla sua fronte, poi continuò a camminare senza nemmeno attendere la conduit.

Il resto di quei minuti trascorsero allo stesso modo. Rachel seguiva Dreamer e lui faceva fuori tutte le sentinelle. Salivano e scendevano rampe di scale, continuando sempre a tenersi vicini al cornicione.

Per quanto incredibile potesse sembrare, la corvina stava seriamente cominciando a spazientirsi. Jeff non spiccicava una parola, non faceva una piega quando assassinava a sangue freddo le guardie e non la degnava nemmeno di uno sguardo. E, per finire, si era già stancata da un pezzo di ritrovarsi il suo sedere di fronte al naso.

«Senti, quanto manca ancora all’ascensore?» domandò infine, interrompendo quel silenzio tombale.

«Non avere fretta» rispose lui, sempre senza voltarsi. «Se uno solo di loro ci scopre, possiamo dire addio alla nostra copertura.»

«E non potremmo semplicemente nasconderci e aspettare che i tuoi uomini comincino l’attacco? L’hai detto tu stesso, dopo l’attenzione di tutti sarà solo più incentrata sull’ingresso.»

«Così i miei uomini sarebbero un facile bersaglio per le sentinelle, e anche le squadre che entreranno dal retro saranno scoperte con più facilità. Meno occhi ci saranno su questo tetto all’inizio dello scontro, meglio sarà per il buon esito di questa operazione. Io so quello che faccio, Rachel. L’impulsività non porta a nessun risultato, sappilo.»

«Cos’è, mi stai facendo la ramanzina adesso?» domandò la ragazza, accigliata.

«Sto solo dicendo che io credo di avere un po’ più di esperienza di te. Ho passato parecchi anni svolgendo operazioni come queste.»

«Quanti anni?»

«Di preciso? Ormai vado verso i sei. Da quando ne avevo ventuno.»

«Hai ventisette anni?!» domandò Rachel, interdetta.

Per la prima volta, Dreamer si fermò e si voltò verso di lei per guardarla sottecchi. Sorrise beffardo. «Li porto bene, vero?» Si voltò di nuovo, riprendendo a camminare. «Ho cominciato a fare questo genere di cose negli anni migliori per fare questo genere di cose. All’epoca ero come una spugna, assorbivo tutto ciò che vedevo e sentivo. Ho impiegato ben poco tempo per apprendere tutte le nozioni base e anche per crearne di mie.»

Corvina inarcò un sopracciglio. «E non avresti potuto, non so, fare qualcosa di più consono per quell’età? Magari trovarti una fidanzata?»

«Fidanzate? Non proprio il mio genere» replicò lui con noncuranza.

«Oh... allora... ehm... un fidanzato?»

Il Visionario si fermò di nuovo e la guardò per la seconda volta. Rachel si irrigidì, realizzando che, forse, aveva detto un po’ troppo. Jeff la studiò per un breve istante, probabilmente domandandosi se l’avesse preso in giro oppure no. Alla fine, distolse di nuovo lo sguardo da lei. «Semplicemente, io credo che esistano cose più importanti del trovare qualcuno, maschio o femmina che sia, che trascorra la vita insieme a me.»

«Ma... e Rose allora? Tu e lei non...»

«Lei è una persona con cui ho trascorso molti bei momenti, è vero. Io ero affezionato a lei e lei era affezionata a me. Ma poi lei è cambiata... e dunque anche io lo sono. Nulla è eterno, Rachel, ricordatelo. Non dobbiamo affezionarci troppo alle cose, o alle persone. Perché prima o poi loro se ne andranno, o saremo noi a farlo. E a quel punto voltare pagina sarà molto difficile. Troppo tardi io l’ho capito, non commettere il mio stesso errore.»

Rachel si sentì come se avesse avuto un macigno nello stomaco, dopo aver udito quelle parole. Conosceva fin troppo bene la sensazione di cui Dreamer parlava. Sfortunatamente per lei, aveva già commesso quell’errore da cui il Visionario l’aveva appena messa in guardia. Aveva amato sua madre, e l’aveva persa. Aveva amato i suoi amici, e li aveva persi. Aveva amato Richard... e lo aveva perso, per ben due volte.

Ma poi aveva conosciuto Lucas. E Amalia, e Ryan e c’era anche Tara. E, infondo, si era affezionata a loro. Nonostante avesse cercato di non farlo, per non correre rischi, lo aveva fatto comunque. E tutto sommato era piacevole avere qualcuno su cui contare, qualcuno a cui volere bene sapendo di essere ricambiati.

«Quindi, secondo te... non dovremmo più amare nessuno? Mai più, in vita nostra?»

«Non c’è più posto per l’amore in questo mondo, Rachel. Troppo dolore, troppa violenza. L’umanità è condannata a collassare su sé stessa.»

«E secondo te la cosa migliore è rimanere da soli? Per sempre?!»

«Il mondo è finito, Rachel!» esclamò Jeff, voltandosi di scatto. «Milioni di persone sono morte, come foglie spazzate dal vento, e sempre di più ne moriranno! Intere città rase al suolo da misteriosi ordigni, Conduit impazziti che mietono vittime dopo vittime e il governo che non muove un dito per fermarli! Vuoi davvero continuare ad avere fiducia, ad amare, in un mondo come questo, dove tutti sono destinati a svanire, prima o poi?!»

«O-Ordigni? Quanti... quanti ne sono esplosi ancora?»

«Non lo so, ma non è questo il punto.» Il Visionario le puntò un dito al petto, con fare ammonitore. «Non essere sciocca, Rachel, non illuderti con futili false speranze. C’è solo una persona che devi amare, solo una persona di cui puoi fidarti ciecamente, e quella sei tu.»

Un enorme boato si sollevò in aria all’improvviso, facendogli drizzare il capo. Uno sparo, seguito a ruota da molti altri e da grida. L’attacco era cominciato.

«Ci siamo» osservò Dreamer, per poi riprendere il passo. «Sbrighiamoci, stiamo perdendo tempo qui.»

Corvina lo seguì dubbiosa, con in testa milioni di pensieri e domande che stavano lentamente prendendo forma.

Giunti all’altra estremità del palazzo trovarono l’ascensore, accanto ad una lunga rampa di scale. Vi salirono e premettero il pulsante del piano terra. Le pareti in vetro permisero a Rachel di ammirare il quadrato formato dal Whiskey Hotel in tutta la sua grandezza. Riuscì anche a vedere come tutti gli Underdog di guardia presso le piscine vuote si lanciassero verso la facciata che stava venendo attaccata dai Visionari.

Un suo pensiero andò a Lucas e Amalia. Sperò che entrambi stessero bene e di poterli rivedere sani e salvi a battaglia conclusa.

«Come... come sai degli ordigni e dei conduit?» domandò ancora, mentre Dreamer pigiava il giusto tasto e le porte dell’ascensore si chiudevano alle loro spalle.

«Non ero a Sub City quando tutto quanto è cominciato. Ero fuori città, molto lontano dal paese. Sulla strada di ritorno, ho avuto modo di visitare molte città distrutte.»

«E sai anche perché sia successo tutto questo?»

«Temo di no.» Dreamer scosse la testa. «So solo che gli Underdog hanno approfittato del caos per impadronirsi di questa città. E so anche che c’è qualcosa di molto grosso sotto, qualcosa che sfugge alla comprensione di noi tutti. Secondo me, gli ordigni e le esplosioni non sono state altro che l’innesco di questo qualcosa.»

«Tu hai qualche teoria?» domandò la corvina, non sapendo più come sentirsi. Tutte quelle informazioni la inquietavano e non poco, ma allo stesso tempo dialogare con Dreamer la affascinava. Se c’era qualcuno che probabilmente avrebbe potuto avere una teoria convincente su tutto ciò che era successo nell’arco di quei sei mesi, quello probabilmente era lui.

«Nulla di concreto, purtroppo. Ma resto del parere che la nostra nazione abbia preso parte a qualche test indetto da qualcuno che sta più in alto di noi, molto più in alto. Azione e reazione, pensaci Rachel.» Jeff sollevò una mano. «Azione: le città vengono colpite dalle esplosioni, milioni di persone muoiono e le radiazioni degli ordigni causano un’ondata di malattie che miete altre centinaia di migliaia di vittime.

«Reazione: si formano bande criminali, tumulti, violenze, il tutto sommato alla presenza di questi nuovi esseri sovrumani, i Conduit. Nessuno può fuggire perché le città vengono sigillate, il governo sa di tutto questo ma si limita semplicemente ad osservare dall’alto, senza fare nulla. Dunque, che cosa ne deduci?»

Rachel sentì la bocca piena di sabbia quando rispose: «Le città sono le gabbie, noi siamo le cavie e il governo è lo scienziato che fa esperimenti su di noi.»

«Esattamente.»

«Ma... perché?»

Un profondo sospiro provenne da lui. «Per ogni diecimila persone che soffrono o muoiono, ne esiste sempre una che ne trae profitto. È così anche nelle guerre. Lo è adesso, lo è stato in passato e sempre lo sarà.»

«È... è orribile...»

«Lo so.»

L’ascensore si fermò e le porte si aprirono su un atrio immerso nella penombra. Nessuno si era accorto di loro durante la discesa. Dreamer uscì, immergendosi nel buio. «Forza, cerchiamo Wilson.»

Corvina lo seguì quasi timidamente, ancora scossa da quanto aveva appena appreso. Ora erano due le teorie giunte alle sue orecchie: quella di Hank e quella di Jeff. Non sapeva quale delle due fosse la migliore.

Doveva credere in un governo che pur di mantenere il controllo della popolazione la decimava, oppure doveva credere di essere solamente una marionetta nelle mani dello stesso governo, nel teatrino più grande e importante del mondo, ossia la vita?

O peggio ancora, se invece le due teorie fossero state in qualche modo collegate?

Una parte di lei sperava che entrambe fossero errate... ma se nemmeno quelle erano giuste, allora quale era la verità? Dubitava di volerlo sapere davvero.

Percorsero un lungo corridoio illuminato dalla fioca luce dei neon sfarfallanti. L’aria era gelata, Rachel fu costretta in più di un’occasione a doversi scaldare con le braccia. Dreamer non sembrava affetto dallo stesso problema, invece, o forse non lo dava semplicemente a vedere.

C’erano diverse porte ai lati del corridoio, tutte sigillate. Passarono accanto alla lavanderia, al magazzino e chissà quanti locali per la manutenzione.

Per tutto il tempo, tuttavia, Dreamer continuò a guardarsi intorno con aria nervosa, come se avesse percepito qualcosa che non andava. Rachel intuì che quello era un gran brutto segno.

Arrivarono di fronte all’ultima porta, al fondo del corridoio. Il Visionario la aprì lentamente, fino a sgusciare nella stanza dietro di essa. Corvina lo seguì, con una certa titubanza.

Non appena entrò nella nuova stanza, la prima cosa che saltò al suo occhio furono un gruppo di macchinari ospedalieri, situati accanto ad un fanale che buttava luce su un unico punto.

Quando Rachel vide che cosa il fascio giallo stava illuminando, inorridì.

Un tavolo di ferro, da ambulatorio. Il pavimento attorno ad esso era imbrattato da una sostanza di un colore rosso orribilmente familiare.

Ma era ciò che si trovava sopra al tavolo ad averla sconvolta. Lì, sulla superficie di ferro, giaceva supino un corpo nudo, la cui pelle pallida era macchiata da molteplici rivoli della stessa sostanza vermiglia già presente sul pavimento.

Corvina si portò entrambe le mani di fronte alla bocca. Pensò che avrebbe perfino potuto vomitare.

Credeva che in quel piano avrebbero trovato Wilson... invece avevano trovato il suo laboratorio. E Tara.

«Mio Dio... cosa... cosa...» Rachel faticava perfino a parlare. «Cosa le hanno fatto?»

Non si aspettava davvero una risposta. Si avvicinò alla ragazza sdraiata sul tavolo con orrore crescente.

«Rachel, aspetta!» la chiamò Dreamer, sottovoce, ma la corvina era già lontana.

Con profonda amarezza, Rachel constatò che avevano messo su un bel laboratorio in quella stanza buia, segno che Deathstroke credeva veramente in qualunque follia stesse tramando là sotto. 

Il corpo di Tara era orribile. Ferite, tagli, abrasioni, non c’era quasi nessun lembo di pelle lindo da tracce di sangue rinsecchito o croste. Il suo volto era smorto, i capelli color grano erano arruffati, sparpagliati ovunque e in maniera confusa sul viso e attorno al capo. Caviglie e polsi erano bloccati, assicurati con delle manette alle gambe del tavolo. E, per finire, anche la sua dignità era stata portata via, assieme ai suoi vestiti.

Seni ed interno coscia erano ben visibili, anche se passavano quasi in secondo piano a causa delle ferite sparpagliate ovunque.

Non sembrava per niente la ragazza che aveva conosciuto, quella a cui si era legata tramite un rapporto alquanto astioso. Rachel si sentì quasi in colpa anche solo per aver litigato con lei in passato, vedendola ridotta in quel modo. Quella fine non gliel’avrebbe augurata nemmeno se l’avesse odiata dieci volte di più. Era mostruosa, per una come Tara in particolare, che mai aveva fatto nulla di male a nessuno, infondo.

Realizzò solo in quel momento quanto la Markov fosse importante, non tanto per lei, quanto più per il gruppo. Doveva salvarla, non era il suo scopo in quella missione, ma doveva farlo comunque.

Il suo petto si alzava e abbassava ancora, molto lentamente, quasi a fatica, ma se non altro significava che era ancora viva. Per quanto, tuttavia, Rachel non poteva saperlo, ma era proprio per quello che doveva sbrigarsi.

Con i suoi poteri ruppe le manette, dopodiché le chiuse le gambe, in modo che almeno metà delle sue intimità fosse più nascosto.

«Rachel» disse Dreamer, arrivando alle sue spalle proprio in quel momento. «Non siamo qui per lei, l’hai già dimenticato? Rose si è sbagliata, questo è il piano del laboratorio, Wilson è sotto!»

«Non posso lasciarla senza curarla» ribatté la ragazza, posando entrambe le mani sul bacino della bionda. L’energia oscura cominciò a fuoriuscire dai suoi palmi ed andò a coprire tutte le ferite, che lentamente cominciarono a rimarginarsi.

Un sospiro rassegnato provenne dalle sue spalle. «Va bene, ma fai in fretta. I tuoi amici potrebbero essere in pericolo in questo momento.»

Rachel annuì, ben consapevole di ciò, e si concentrò più profondamente. Fu quasi terapeutico per lei vedere il corpo di Tara privarsi delle sue ferite. Un piccolo sorriso nacque sul suo volto quando ebbe quasi finito, poi Dreamer si mise accanto a lei, porgendole una specie di fagotto. «Tieni.»

Corvina inarcò un sopracciglio e lo prese, per poi realizzare che quelli erano i proprio i vestiti della Markov: pantaloni, giacca, biancheria e maglietta.

«Erano per terra» spiegò Jeff, allo sguardo interrogativo che la conduit gli rivolse. Dopo si voltò, dando le spalle a lei e al tavolo. «Ci sono anche le scarpe.»

«Grazie» rispose dunque Rachel, mentre cominciava a vestire il corpo ormai perfetto di Tara. Forse il Visionario non era proprio senza cuore come aveva creduto.

Sperò anche di essere arrivata in tempo, ma la respirazione di nuovo regolare della bionda le fece capire che, sì, lo aveva fatto.

Tirò un sospiro di sollievo, poi, una volta rivestita la ragazza bionda, notò un contenitore di plastica posato su un carrello pieno di strumenti chirurgici accanto al tavolo. Non era tanto grande, al suo interno si trovavano alcune provette sigillate, contenenti liquidi dai più svariati colori. Incuriosita, Rachel ne afferrò una, rossa, leggendo sull’etichetta: "Campione A-02: Fuoco".

Campione... A-02?

Ne prese un’altra, questa volta blu. "Campione A-07: Acqua".

Sempre più perplessa, ne adocchiò altre. Telepatia, sabbia, elettricità, fumo, ognuna riportava sull’etichetta una determinata sigla riguardante ogni diverso elemento, che nel giro di poco tempo Rachel riuscì a riconoscere come i determinati tipi di poteri dei conduit.

«Ma cosa...» sussurrò, notando, infine, una provetta diversa dalle altre. Questa infatti era vuota, senza tappo, ma con al suo interno alcuni residui di una sostanza giallognola.

Deglutendo per la tensione, Rachel afferrò anche quella, leggendovi sopra: "Campione A-16: Terra".

Rachel dischiuse le labbra. La sua mente cominciò ad elaborare quelle informazioni appena ricevute.

«Hai finito?» domandò Dreamer, voltandosi di nuovo, per poi notarla con la provetta in mano. Sollevò un sopracciglio. «Che stai...»

 Le luci della sala si accesero all’improvviso, abbagliando entrambi. Rachel assottigliò le palpebre e spostò lo sguardo sul pavimento, infastidita e la provetta le cadde dalla mano.

«Che diavolo... ?!» sbottò Dreamer, piegando il capo in modo da attutire la luce con la visiera del cappello.

«Sapevo che vi avrei trovati qui» disse una voce, una voce che non apparteneva a nessuno che Rachel conoscesse. Bassa, possente, calma, ma anche autoritaria.

Rachel spostò di scatto lo sguardo verso la porta, per poi notare un individuo alto e dalla grossa mole. Vestiva con la divisa degli Underdog, i manici di due katana spuntavano da oltre le sue spalle, e, per finire, una maschera bicolore da cui sbucava un solo occhio.

Sgranò gli occhi, incapace di fare altro. Accanto a lei, Dreamer serrò la mascella, pronunciando quel nome che Rachel nemmeno riusciva a pensare. «Wilson.»

 

***

 

Wilson entrò nella stanza. Da lui, Rachel percepì un’aura di forza, potere e mistero così grande che nessun altro individuo incontrato da lei aveva mai emanato.

Quell’uomo avrebbe potuto spezzare come fuscelli sia Dominick, che Kevin, che Dreamer, tutto da solo. E questo non lo pensava solamente per via della sua enorme stazza.

«Quale onore quello di avere due ospiti come voi» cominciò a dire il mercenario, avvicinandosi ai due ragazzi sguainando una katana.

«Il leader dei Visionari in persona, e la Demone di Empire City. Immagino che alla fine Rose vi abbia detto tutto... beh, pazienza. Sapevo che prima poi anche lei avrebbe finito con il deludermi, non ne farò un dramma. Dunque, per quale motivo mi avete degnato della vostra presenza?» Wilson puntò la punta della spada verso il tavolo su cui ancora giaceva Tara. «Per lei, forse? A proposito, grazie per avermela ripulita. Mi avete risparmiato una gran seccatura.»

«Siamo qui per te, cane.» Dreamer sollevò il bastone, alla cui estremità spuntò fuori la lama a serramanico.

Slade si fermò, soppesando il Visionario con il suo unico occhio. «Dunque, alla fine hai trovato il coraggio di venire ad affrontarmi. Certo, mi sarei aspettato un atto meno codardo da parte tua...» L’uomo posò lo sguardo su Rachel. «... se credi che farti accompagnare da una conduit ti farà apparire più intrepido, allora ti sbagli di grosso.»

«Disse colui che è perennemente circondato dalla sua mandria di leccapiedi» ribatté Dreamer, tagliente.

«Da quale pulpito.»

Jeff serrò la mascella, aumentando la presa attorno alla propria arma.

«Ritira i tuoi Visionari, ragazzo, e vattene insieme alla tua amica. Non è me che dovete combattere, ed io non sono certo intenzionato a fare del male a voi. Ma lo farò ugualmente, se non mi lascerete altra scelta.»

«Se non è te che dovremmo combattere, allora chi dovrebbe essere?» si intromise Rachel, guadagnando improvvisamente un’ondata di coraggio. «Sei tu quello che ha rapito la mia compagna per farle cose orribili, sei tu che tieni sotto controllo Sub City con il pugno di ferro!»

«Non lasciarti influenzare dalle parole di cui non sai la vera fonte, Demone. Stai commettendo un grave errore a dare retta ad uno come lui» rispose Slade con calma, indicando Dreamer.

«Non cambi mai, vero Wilson?» ribatté Jeff, con un sogghigno, abbassando il proprio bastone per rimettersi in una posizione più composta. «Cerchi sempre di rigirare le situazioni a tuo favore. Ma questa volta non funzionerà. Rachel non è stupida, è ben consapevole di ciò che tu e tuoi uomini siete capaci di fare. E sa che, eliminandoti, Sub City sarà finalmente libera.»

«Libera? Libera da chi? Dai suoi salvatori?» domandò Wilson, accigliandosi. «Se non fosse stato per gli Underdog, questa città avrebbe fatto la fine di Empire City e di tutte le altre metropoli che sono sprofondate nell’anarchia. Noi Underdog abbiamo costruito un sistema che funziona. Niente criminalità, niente conduit a piede libero, solo pace. Le regole ferree a cui i cittadini sono sottoposti e le quote che devono versare sono solamente il piccolo prezzo che devono pagare per poter ritornare tutti i giorni dalle loro famiglie.»

«Tu sei un tiranno!»

«Io sono un eroe!» rispose Deathstroke, alzando improvvisamente la voce.

«Hai semplicemente trasformato l’anarchia in un regno del terrore! Sub City non ti obbedisce perché ti è grata per ciò che hai fatto, Sub City ti obbedisce perché è costretta! "Obbedire o morire", dimmi, queste ti sembrano le parole di un eroe?!»

«Sono le parole di una persona che farebbe di tutto per salvare ciò che ama!»

«Uccidendo e rapendo chiunque la pensi diversamente da te?!»

«Se questo vorrebbe dire tenere lontani dal comando persone come te, allora sì, significa questo! Rachel...» Wilson posò di nuovo lo sguardo sulla corvina. «... non hai idea di chi stai aiutando. Lui vuole prendere il controllo di Sub City, non vuole liberarla davvero.»

«Non ascoltarlo!» la richiamò Jeff. «Sta mentendo!»

«Lui vuole solo giocare secondo le sue regole! Se ci fosse lui al comando, sarebbe la fine non solo per Sub City, ma per il mondo intero! Io posso salvare questa città, Rachel, e se avrai pazienza potrò salvare anche Empire city, e dopo l’intera nazione. Ma se ti schiererai con i Visionari... commetterai un grave errore.»

Wilson rinfoderò la katana, per poi allargare le braccia. «Pensaci bene, Demone.»

«Rachel...» la chiamò Dreamer sottovoce, scuotendo lentamente la testa. «Ti sta ingannando... come ha fatto con Rose... come ha fatto con tutti... devi fidarti di me. Empire può essere salvata anche senza di lui, esistono molte altre soluzioni oltre al pugno di ferro.»

Rachel non sapeva più cosa pensare. Il suo sguardo vagava da Dreamer a Wilson, ad intermittenza. Ripensò a Rose, a quella ragazza così fragile, ma costretta a mostrare un lato di sé che probabilmente nemmeno esisteva. Costretta a fingersi sadica, crudele, spietata, solamente per poter rimanere accanto ad una persona che amava, suo padre, per poi essere perennemente ricacciata da lui.

Questo avrebbe dovuto bastarle per auto convincersi che lo schieramento dalla parte di Dreamer era quello più adatto, eppure... eppure non ci riusciva proprio.

Con le sue parole, Deathstroke aveva mostrato una sicurezza tale che era quasi impossibile pensare che fosse nel torto. Anche se nel torto ci era eccome.

Era un tiranno, rapiva le persone, uccideva chiunque non gli obbedisse... eppure... Sub City era la prova tangibile che il suo stile di comando funzionava.

D'altronde, in quali altri modi si poteva proteggere un intera città nel mondo in cui vivevano in quel momento? A mali estremi, estremi rimedi, ed erano davvero estremi i rimedi adottati da Deathstroke. Estremi ed efficaci.

Aveva detto che avrebbe perfino potuto salvare Empire...

Corvina sgranò gli occhi. Empire, casa sua, casa delle persone che in passato aveva amato. Poteva essere salva... ma, in cambio, furgoni pieni di uomini armati avrebbero dovuto presidiare le strade, ci sarebbe stato un coprifuoco e omicidi a carico di chiunque si fosse opposto a quel tipo di governo.

Era questo che lei voleva davvero? Voleva che la sua casa finisse ridotta come lo era Sub City? E, inoltre, lei che fine avrebbe fatto? Gli Underdog uccidevano i conduit, e lei era proprio una conduit. Magari l’avrebbero lasciata andare, ma era sicura al cento percento che avrebbe finito con il ritrovarsi una pattuglia alle spalle ventiquattrore su ventiquattro, pronta ad attendere il suo primo passo falso per catturarla ed ucciderla di conseguenza.

Quindi, cosa doveva scegliere? L’anarchia o la dittatura? Un caos in cui chiunque avrebbe potuto morire, ma se non altro ognuno avrebbe potuto scegliere la vita che più lo aggradava, oppure un ordine fittizio, in cui in molti sarebbero sopravvissuti per poi semplicemente sentirsi in prigione e magari preferire addirittura la morte pur di non esservi più rinchiusi?

Dreamer, o Wilson?

Un sistema imperfetto, ma che avrebbe potuto essere perfezionato in qualche modo, oppure un sistema di per sé già perfetto, ma dalla morale sbagliata?

«I-Io...» cominciò a dire, posando lo sguardo sul pavimento. «Io... io...»

Prese la sua decisione. Inspirò profondamente. Prese tutto il coraggio necessario, poi fece un passo avanti e posò lo sguardo sulla persona che avrebbe deciso di ascoltare. «Nessun altro innocente si farà del male, vero?»

Deathstroke strinse i pugni con forza.

Dreamer sorrise compiaciuto. «Ti do la mia parola.»

Rachel annuì, con determinazione. «Bene. Sappi che se ti rimangerai questa promessa, allora rimpiangerai di aver chiesto il mio aiuto.»

Il Visionario ridacchiò, chinando il capo. «Va bene, va bene, ho afferrato il concetto.»

«Sciocca...» Dal fondo della stanza, Slade sguainò entrambe le katana. «Vorrà dire che eliminerò anche te.»

Rachel sollevò una mano, squadrandolo con aria truce. Una sfera di energia nera si materializzò al di sopra del palmo. «Voglio proprio vedere come farai» rispose, con sicurezza.

Wilson partì alla carica. Dreamer impugnò il bastone, Rachel si mise in posizione, pronta a scagliare la granata, ma un gemito provenne all’improvviso da dietro le sue spalle.

Deathstroke si fermò di scatto, sgranando l’occhio, mostrando un’espressione così sbalordita che quasi sembrava impossibile che stesse provenendo da lui. Corvina rimase così sorpresa dal quel suo repentino cambio di espressione che si voltò, per poi rimanere di sasso a sua volta. Per un momento, si dimenticò perfino dello scontro imminente.

Tara si stava riprendendo.

 

 

 

 

 

 

Potrei dire milioni di cose, perdermi in uno dei miei soliti monologhi senza senso che lascio in genere nelle note in fondo al capitolo, ma, sinceramente, ora come ora non sono molto in vena. Meglio così per voi, no?
E poi, non c'è molto da dire. Tutto quanto sta nel capitolo, non c'è bisogno di perdersi in ulteriori chiacchiere. Finalmente facciamo la conoscenza di Slade, e abbiamo scoperto come è stata ridotta Tara. Ma che cosa le è successo davvero? No, davvero, che cosa? Io non lo so. Io non so niente di niente.
Spero che non ci siano troppi errori, sarebbe imbarazzante altrimenti.
Bye bye, alla prossima settimana!

E sì, ho citato Sherlok,
nel caso qualcuno che ha riconosciuto la battuta in questione se lo stesse chiedendo.

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Capitolo 19
*** Soggetto A-16 ***


Capitolo 19: SOGGETTO A-16

 

 

La bionda aveva cominciato ad emettere piccoli fremiti con gambe e braccia, mentre le sue palpebre tremolarono. Si girò di scatto, rimanendo sdraiata su un fianco, mugugnando nuovamente.

Mosse un braccio, lo appoggiò sulla superficie del tavolo e fece leva, in modo da riuscire a raddrizzarsi, il tutto sotto gli occhi sempre più atterriti dei presenti. Si mise a sedere sul bordo del suo giaciglio improvvisato, continuando a tenere gli occhi chiusi e ciondolando con la testa, quasi come se fosse sonnambula. Cominciò a strofinarsi il volto con il palmo della mano, sempre senza smettere di produrre quei versi impastati.

«Non è possibile...» sussurrò Wilson, abbassando lentamente le katana, fino a rasentare il terreno.

«T-Tara?» domandò Rachel, cauta, cercando di avvicinarsi a lei.

La bionda drizzò il capo di scatto, spalancando le palpebre, volgendole verso la sua direzione.

La corvina sussultò quando notò lo sguardo spiritato ed iniettato di sangue della Markov. Non sembrava in lei, non lo sembrava per niente. La bionda aprì la bocca, forse per parlare, ma da lei non uscirono altro che monosillabi privi di qualsiasi senso. Sollevò un braccio, volgendolo verso la conduit. Perse l’equilibrio e cadde dal tavolo, ruzzolò sul pavimento e gemette di dolore.

«Tara!» Rachel si inginocchiò e cercò di aiutarla, osservandola sempre più preoccupata. Si mise il braccio della bionda intorno al collo e tentò di rimetterla in piedi. «Tara... stai bene? Tara?»

La ragazza bionda drizzò nuovamente il capo, osservò Rachel per un altro breve istante, poi spostò l’attenzione su Dreamer e sugli altri dettagli della stanza. Nulla era cambiato nel suo sguardo, sembrava quasi che per lei tutto quanto fosse solamente un’illusione: guardava ciò che aveva attorno a lei, ma non sembrava davvero focalizzarsi su ciò.

«Cosa diavolo le prende?!» domandò Dreamer, quasi soffiando di rabbia quelle parole.

Rachel scosse la testa. «I-Io non...»

Si interruppe, quando le labbra di Tara tremolarono di nuovo. La bionda pronunciò altri monosillabi, poi accasciò la testa di lato, finendo con lo sguardo proprio su Wilson. A quel punto, qualcosa si modificò drasticamente in lei. Strabuzzò le palpebre più di quanto già non fossero e rimase immobile, come una statua, senza scollare gli occhi dall’uomo armato che aveva di fronte nemmeno per un istante.

Corvina corrucciò la fronte, poi osservò anche lei Slade.

Il capo degli Underdog, dal canto suo, non aveva occhio che per la bionda. Cominciò a camminare verso di lei, rinfoderando le spade e sollevando le mani, quasi come se si stesse avvicinando ad un animale pericoloso. «Soggetto A-16... Terra... mi riconosci? Sono io... sono... sono colui che ti ha data alla luce.»

Il fiato di Tara cominciò a farsi più grosso all’improvviso. Il suo corpo si irrigidì, completamente, per Rachel fu impossibile non accorgersene. Il respiro della bionda si trasformò ben presto in un’interminabile serie di rantolii, che aumentavano di intensità di volta in volta.

«Sei... stupenda...» mormorò ancora Deathstroke, così meravigliato che sembrava quasi che lui meno di tutti si aspettava che la bionda si sarebbe ripresa.

I versi provenienti dalla gola di lei si fecero ancora più forti, parevano delle urla soffocate. La Markov serrò la mascella e strinse i pugni con forza.

«T-Tara?» la chiamò Rachel, sempre più preoccupata.

«Terra, bambina...» fece eco Wilson. «Devi mantenere il...»

L’urlo a squarciagola che provenne dalla bionda lo costrinse ad interrompersi. Si mise in posizione completamente eretta, gettò il capo all’indietro e allargò le braccia di scatto, costringendo Rachel a lasciarla andare e ad allontanarsi da lei.

I capelli color oro della ragazza cominciarono a sollevarsi da soli, come sospinti da qualche corrente d’aria. La sua pelle pallida cominciò a scurirsi lentamente. Passò dal rosa ad un colore molto più acceso, sembrava un misto tra l’arancione e il marrone. Chiazze di pelle cominciarono ad essere separate le une dalle altre tramite delle righe color oro brillante, facendo quasi sembrare che si stesse ricoprendo di squame.

La corvina osservava con orrore misto a stupore quelle macchie marroni cospargersi lungo tutte le zone di pelle visibile della compagna, dalle mani, ai piedi ancora nudi, fino al volto. Le squame salirono lungo il collo, circondarono la bocca, coprirono il naso, le guancie ed infine giunsero agli occhi, chiusi.

«Devi controllarlo, Terra!» gridò in quel momento Wilson, quasi supplicandola. «Devi...»

Tara riaprì gli occhi e drizzò nuovamente il capo. Rachel dischiuse le labbra. Non c’era più traccia delle iridi celesti della ragazza che conosceva. Ora c’erano due enormi bulbi di un color giallo splendente. Assomigliavano quasi a due riflettori ed erano della stessa intensità delle linee che passavano tra una squama ed un’altra.

Fu a quel punto che Rachel capì. Sgranò gli occhi, basita. Quelle non erano squame, erano... scaglie. Placche, come quelle delle armature, ma fatte di pietra.

«Mio Dio...» sussurrò Dreamer indietreggiando, facendo un gesto di scongiuro con le mani.

La Markov smise di gridare e puntò lo sguardo prima sui due ragazzi, poi su Wilson. Strinse di nuovo i pugni, digrignò i denti e cominciò a ringhiare, come un animale braccato dai cacciatori. Qualsiasi traccia di umanità sembrava essere svanita da dentro di lei.

Altre scaglie di pietra spuntarono sulle sue braccia, strappando le maniche della giacca. Percorsero il tratto dalle spalle fino alle mani, coprendo queste ultime e lasciando spazio a due enormi lame di roccia. Si accucciò e piantò una di esse nel suolo, trivellandolo come se fosse fatto di burro.

Non appena fece ciò, una stalagmite spuntò all’improvviso da sotto il pavimento, nel punto in cui si trovava Wilson. L’uomo parve intuire che ci fosse qualcosa che non quadrava, perché scattò di lato un attimo prima che questa comparisse, ma si mosse troppo lentamente: la lama acuminata gli forò uno stinco, trapassandoglielo da parte a parte e facendolo gridare di dolore.

Fu uno spettacolo orribile agli occhi di Rachel.

Lo spuntone di roccia ora macchiato di sangue si ritirò e l’uomo cadde a terra, abbracciandosi l’arto martoriato e gemendo. Ma Tara non aveva ancora finito. Dopo aver colpito il suo aguzzino piegò le gambe come una molla, poi scattò in alto, compiendo un balzo che dal pavimento la fece arrivare al soffitto. Sfondò il cemento, un enorme polverone si sollevò, seguito da una pioggia di calcinacci.

Rachel si portò una manica di fronte alla bocca e cominciò a tossire, alcuni granelli le finirono negli occhi e fu costretta a strizzare le palpebre.

Quando la nube di polvere si diradò, Corvina osservò atterrita l’enorme voragine, grande quasi quanto un furgone, che Tara aveva creato. Oltre ad essa riusciva perfettamente a scorgere il piano superiore a quello in cui si trovava. Non riusciva più a credere i suoi occhi. Tutto ciò le sembrava irreale, un’illusione, qualcosa che non stava davvero accadendo.

Da piano superiore, grida, spari e tremendi boati da far tremare le pareti si susseguirono subito dopo. Era chiaro che Visionari e Underdog avessero appena fatto conoscenza della nuova arrivata.

«Maledizione Wilson, cosa diavolo le hai fatto?!» esclamò Dreamer, sferzando l’aria con dei gesti rabbiosi per allontanare i residui della nube di polvere.

«Wilson?!» ripeté quando non ottenne risposte, per poi osservare in direzione dell’uomo. «Che diav...» Si interruppe di colpo, sgranando gli occhi.

Corvina lo seguì con lo sguardo, per poi imitarlo. Wilson era sparito. Al suo posto, sulle piastrelle trovarono solamente le enormi chiazze di sangue lasciate dalla sua gamba.

«Maledizione!» ululò il Visionario, per poi cominciare a correre verso la porta. «Quel bastardo è scappato!»

«Jeff, aspetta!» lo chiamò Rachel, per poi cominciare a seguirlo.

Corse lungo il corridoio buio, attingendo a tutte le sue doti atletiche per riuscire a tenere il passo del ragazzo. Sopra la sua testa, Tara continuava a scatenare il finimondo in compagnia di centinaia di uomini armati. Boati su boati si susseguivano l’un l’altro, accompagnati dal tremore di soffitto e pareti. Rachel cominciò a temere che potesse crollarle qualcosa addosso.

«Dannazione, dovevo aspettarmelo, anche se aveva un arto fuori uso!» continuava a dire Dreamer, infervorato come mai la corvina lo aveva visto. «Non avrei dovuto staccargli gli occhi di dosso nemmeno per un momento! Dobbiamo sbrigarci a raggiungerlo, ridotto com’era non andrà lontan...»

Il rumore di voci e passi che provenivano proprio dalla direzione in cui erano diretti lo fece interrompere di colpo.

«Ma cosa...»

Dall’ombra di fronte a loro sbucarono fuori tre individui, che si fermarono non appena li videro. Rachel non avrebbe potuto sentirsi più sollevata nel vederli. Due su tre, almeno.

Lucas, Amalia e la vice di Dreamer, Jade, erano di fronte a loro, i primi due parecchio sbigottiti.

«Rachel!» esclamò Lucas, avvicinandosi. «Nel seminterrato non c’era nessuno! Dov’è Tara? E cosa sono queste esplosioni?!»

Rachel cercò di rispondere, ma Jeff la anticipò. «Wilson! Dove diavolo è Wilson?! L’avete incrociato?»

«No, non lo abbiamo incrociato» rispose ancora Rosso, per poi inarcare un sopracciglio. «Perché, è passato di qui?»

Dreamer non rispose, si limitò a gridare di frustrazione. «Figlio di puttana! Deve avere un uscita di emergenza!» Si premette una mano su una tempia, gridando ancora più forte, per poi accanirsi sulla porta chiusa accanto a lui.

Rachel sobbalzò. Non avrebbe mai pensato che Jeff nascondesse un lato così esplosivo di sé, sotto quella sua perenne compostezza.

Il suo sguardo cadde poi di sfuggita sul pavimento. Sgranò gli occhi, poi si avvicinò cauta al Visionario. «Jeff» disse, posandogli una mano sulla spalla. Il ragazzo si voltò, osservandola accigliato. «Che c’è?!»

«Guarda.» Corvina indicò il pavimento, dove diverse chiazze di sangue segnavano il passaggio di Wilson. E queste chiazze finivano proprio sotto la porta che Dreamer stava prendendo a calci.

La conduit deglutì, poi abbassò la maniglia. Aprì la porta, rivelando dietro di essa una lunga rampa di scale che conduceva verso l’alto. Si scambiò uno sguardo perplesso con Jeff, poi quest’ultimo si avvicinò ai gradini, con cautela. «Oh... sì...» commentò quando mise la testa oltre lo stipite.

Si voltò verso gli altri, per poi riacquistare il suo solito sorriso compiaciuto. «L’abbiamo trovata. Rachel, andiamo, quello zoppo non può essere lontano!»

«Un momento, e Tara? Non posso lasciarla qui, ridotta in quel modo» asserì Rachel, incrociando le braccia.

Il sorriso sul volto di Dreamer vacillò. «Cosa?»

«Tara?» si intromise Amalia, rimasta in disparte fino a quel momento. «Dov’è? Sta bene?»

«Non per molto se non interveniamo subito» rispose la corvina spostando lo sguardo su di lei. «Dobbiamo...»

Si interruppe, quando Dreamer la afferrò per un braccio la trascinò verso di sé. «Tu ed io abbiamo un accordo, l’hai dimenticato?!» domandò il Visionario, puntando i suoi occhi carichi di collera in quelli della ragazza. «Non possiamo lasciare scappare Wilson!»

Rachel sussultò. Nonostante Jeff non fosse forte come lei, vederlo così accigliato la intimoriva e non poco. «E io non posso abbandonare...» tentò di discolparsi.

«Non erano questi i patti!» sbraitò il Visionario, ammutolendola e stritolandola con maggiore forza. «Dobbiamo...»

«Levale le mani di dosso!» esclamò Lucas, avvicinandosi e spintonandolo, liberando Rachel.

«Ma come osi?!» sbottò Jade, puntando il fucile contro il moro. «Non fare mai più...»

«Tappati la bocca, oca» la zittì Amalia, puntandole a sua volta una pistola alla tempia.

La Visionaria grugnì infastidita, rivolgendo un’occhiata furente alla mora, poi abbassò lentamente il fucile. «Stronza.»

«Battona.»

Dreamer strinse i pugni con forza e osservò Rachel con sguardo glaciale. «Se non fosse stato per me voi non sareste qui, ed è così che mi ringraziate?! Puntate le armi contro i miei fratelli e vi rimangiate la parola data?! Da loro me lo sarei aspettato...» disse, indicando Lucas e Amalia. «... ma mai da te, Rachel...»

«Jeff, ascolta...» cominciò la corvina, sollevando le mani in segno di resa. «... ti aiuterò, te lo prometto. Hai ragione, ci hai dato un enorme aiuto e di questo te ne sono immensamente grata, ma adesso ho una faccenda molto più importante da sistemare. Il motivo per cui ho deciso di aiutarti è stato perché volevo salvare Tara, ma non posso lasciarla a piede libero, conciata com’è finirebbe con il causare un sacco di danni e rischierebbe anche di farsi ammazzare! E se lei muore, o si fa dell’altro male, allora puoi anche dire addio al nostro accordo.»

Non appena finì di parlare, l’espressione di Jeff mutò. Parve rimuginare per un momento sulle parole della ragazza, e alla fine si lasciò scappare un grugnito di rassegnazione. «Io inseguo Wilson, non appena lo trovo farò in modo che tu lo sappia. Jade...» spostò lo sguardo sulla sua luogotenente, severo in volto, poi estrasse una radiolina dalla tasca. «... rimani con loro e tieniti in contatto. Farai da tramite tra me e Rachel.»

La Visionaria annuì. «Va bene.»

«Quindi dobbiamo trascinarcela ancora dietro?» mugugnò Amalia, infastidita, abbassando la pistola. «Che palle...»

«Non sei l’unica che vorrebbe tutto meno che questo» ribatté Jade, distogliendo lo sguardo da lei.

«Onora il patto, Rachel...» disse ancora Dreamer, mentre indietreggiava verso le scale. «... o sarai tu a pentirti di essere venuta a cercarmi.» Detto quello, si voltò e corse su per le scale, svanendo nell’ombra.

Rachel osservò le scale, perplessa. Non aveva idea di come Dreamer avrebbe potuto fargliela pagare, se non facendo altro male ai suoi amici. Cosa che lei avrebbe più che volentieri evitato.

«A proposito, che cosa stavi dicendo di Tara?» le chiese Rosso, distogliendola da quei pensieri.

La conduit aprì la bocca per parlare, quando un altro scossone proveniente dal piano superiore fece tremare le pareti. Osservò il soffitto, sempre più preoccupata. «Ecco, appunto... seguitemi.»

 

***

 

Lucas e Amalia non sembrarono credere alle parole di Rachel fino a quando le porte dell’ascensore non si aprirono e non ammirarono la scena con i loro occhi: Tara... non era più Tara.

La figura che nella hall dell’albergo faceva comparire stalagmiti dal terreno, quella che infilzava Visionari e Underdog senza tregua con le sue lame di pietra, quella che urlava in maniera disumana e su cui le pallottole si infrangevano senza causare alcun danno... era il soggetto A-16.

Era Terra, una conduit creata in un laboratorio grazie al campione A-16.

«Oh, merda...» sussurrò Lucas.

«Tara...» fece eco Amalia, portandosi una mano di fronte alla bocca. «No...»

La neo conduit attaccava con brutalità chiunque le capitasse a tiro, almeno una dozzina di cadaveri tra Underdog e Visionari si trovavano ormai nella hall, ai suoi piedi. Il resto dell’ampia sala, invece era un pandemonio.

I due eserciti non sapevano più che cosa fare, se continuare a spararsi tra di loro, oppure se unire le forze contro la nuova minaccia. Nel dubbio, i proiettili volavano in ogni direzione.

L’intera hall, grande come due campi da tennis, era stata praticamente rasa al suolo dal conflitto. Fori di proiettile tappezzavano pavimento, soffitto e pareti. I divanetti che in passato dovevano aver ornato quella sala ora erano rovesciati e usati come rifugi di fortuna. La reception in un angolo era diventata una specie di roccaforte, dove più Underdog si tenevano al riparo dai proiettili vaganti e dagli attacchi di Tara.

Era un caos totale, mai Rachel aveva visto qualcosa del genere. Era probabile che tutto l’hotel stesse assistendo a scontri a fuoco come quello.

Il tutto, naturalmente, era peggiorato proprio dalla presenza della stessa Tara. Corvina non riusciva a concepire perché Wilson avesse fatto ciò che aveva fatto alla Markov. Perché un uomo che possedeva un esercito che eliminava i conduit che comparivano in città... aveva creato una conduit?

Quel quesito avrebbe dovuto attendere un bel po’ per trovare risposta, perché Jade si fiondò dentro la hall, bracciando il fucile.

«Ehi, che stai facendo?!» la chiamò Rachel.

«Sta uccidendo i Visionari!» rispose la ragazza, voltandosi. «Non posso permetterlo!»

«Non essere precipitosa» disse Lucas, uscendo dall’ascensore. «Tu non puoi fare nulla contro di lei. Di ai tuoi amici di ritirarsi se non vogliono diventare carne trita.»

«Non sono questi i miei ordini» replicò la Visionaria, fredda, per poi dare di nuovo loro le spalle.

Ma prima che potesse allontanarsi, Rosso le si fiondò addosso. «Non fare cazzate» sbottò, afferrandola per un braccio e costringendola a voltarsi verso di lui. Quel gesto parve sorprenderla parecchio, perché sgranò gli occhi da sotto la maschera.

«Vista la situazione, gli ordini possono anche andare a farsi fottere.»

Per tutta risposta, Jade si liberò con uno strattone e con la mano libera estrasse fulminea uno dei sai dalla cintura, puntandoglielo al collo. «Non toccarmi. Mai più» sibilò. «O ti taglio quel tuo bel visetto.»

Lucas serrò la mascella e rimase in silenzio, mentre la Visionaria cominciava ad accarezzargli la pelle del volto con la punta della lama. I due si osservarono negli occhi per diversi istanti, rimanendo in silenzio, fino a quando entrambi non furono di nuovo attratti dal disastro che stava imperversando nella hall. Sia l’uno che l’altro dovettero intuire che discutere in quel momento non era la cosa giusta da fare.

«Va bene allora» convenne Jade, ritraendo il sai. «Forse hai ragione tu. E sottolineo il forse. Qual è il tuo piano?»

Il moro arretrò, strofinandosi il volto con il palmo della mano nei punti in cui la lama della Visionaria lo aveva toccato. «Io e Amalia ci occuperemo degli Underdog, tu aiuta i tuoi compari ad alzare i tacchi.» Si voltò poi verso Rachel. «Tu te la senti di distrarre Tara?»

La corvina annuì. «Ci penso io.»

«Bene allora, diamoci una mossa!»

I quattro si separarono. Mentre Lucas, Amalia e Jade adempivano ai loro doveri, Rachel corse in direzione della conduit della terra. Non si trasformò subito, non era intenzionata a combattere contro di lei. Da qualche parte, in quel corpo fatto di pietra, c’era la ragazza che conosceva, e lei era intenzionata a riportarla indietro in maniera razionale.

Trattenne a stento un conato di vomito quando vide la Markov avventarsi sul corpo già orrendamente mutilato di un Underdog per infierire ulteriormente. Gli stava letteralmente aprendo la gabbia toracica, ignorando gli schizzi di sangue che le macchiavano il braccio acuminato e il volto.

«Tara» la chiamò, quando fu abbastanza vicina. La bionda la ignorò, continuando ad accanirsi sul cadavere del soldato. «Tara, ascoltami!» Ancora una volta non ottenne l’attenzione desiderata. A quel punto, Rachel si morse un labbro. «Terra...»

La neo conduit drizzò il capo all’improvviso udendo quel nome. Posò i suoi raggelanti riflettori gialli sulla corvina, stringendo con forza la mascella e ringhiando con ulteriore insistenza.

Rachel deglutì. «Devi calmarti Terr... Tara. È questo il tuo nome, ricordi? Tara Markov.»

Tara sfilò la lama di pietra dal ventre dell’uomo con un gesto secco, trascinandosi dietro cose che Rachel mai avrebbe voluto vedere. La corvina distolse lo sguardo dal cadavere, per poi concentrarsi sulla ragazza bionda. La osservò mentre si alzava in piedi e la squadrava dalla testa ai piedi, probabilmente valutando se attaccare anche lei oppure no.

Fermamente determinata a non fare la stessa fine di quell’Underdog, Rachel proseguì: «Credimi, so cosa ti sta succedendo in questo momento. Dentro di te ora si cela una forza spaventosa, che solamente mantenendo la calma riuscirai a...»

Non terminò mai quella frase. Tara urlò con quanto fiato avesse nei polmoni e si scagliò contro di lei a velocità inaudita. Corvina riuscì a vederla solamente quando se la ritrovò a pochi metri di distanza. Si trasformò in rapace giusto un momento prima che la conduit della terra la colpisse, scaraventandola dall’altra parte della sala. Rachel gridò di dolore nonostante la corazza nera l’avesse protetta.

Precipitò contro la parete vetrata della hall, quella affacciata sul cortile centrale dell’hotel, e sfondò le finestre. Migliaia di schegge di vetro si sparpagliarono in aria come pioggia, cadendo insieme a lei proprio dentro una delle piscine vuote. L’impatto fu devastante, a tal punto che la proiezione del rapace si dissolse procurandole molto più dolore di quanto avrebbe mai voluto.

Tossì, sentì il sapore metallico del sangue in bocca. Riuscì a malapena a trovare la forza per alzare lo sguardo, per poi scorgere i due fari gialli di Terra scrutarla dal grosso varco nella parete vetrata. Poi questi scomparvero tutto ad un tratto, per poi ricomparire da un’altra parte, esattamente sopra di lei; Tara aveva saltato e ora si stava lanciando in picchiata proprio sul suo corpo esanime, puntandole contro entrambe le lame di pietra.

«Cazzo...» rantolò Rachel, per poi puntarle contro una mano. Si sentì quasi svenire, ma riuscì a scagliare un raggio di energia, che andò proprio a colpire la Markov, deviando la sua traiettoria e facendola precipitare in un luogo imprecisato attorno alla piscina. La neo conduit gridò di dolore e per qualche istante non si fece più vedere.

Rachel boccheggiò e si girò su un fianco. Vomitò tutto quello che teneva nel proprio organismo, tossendo e sputando senza freni, dopodiché si posò una mano sul petto e cominciò a curarsi. Era troppo debole per farlo, ma sapeva che ci sarebbe riuscita comunque. Sentì un altro conato di vomito salire, la testa le girò, un profondo senso di nausea la assalì, come se l’avessero appena ficcata dentro una centrifuga, ma poco per volta riuscì a risanare le ferite più gravi.

Si rimise in ginocchio, con il fiatone, poi con un ulteriore sforzo si drizzò su entrambe le gambe. La terra tremò proprio in quel momento, per poco facendole perdere l’equilibrio. Le pareti della piscina attorno a lei cominciarono a riempirsi di crepe, le piastrelle blu cominciarono a staccarsi una dietro l’altra, poi, sotto gli occhi attoniti di Rachel, quella di fronte a lei fu avvolta da un bagliore giallo e si mosse all’improvviso.

La corvina riuscì a trasformarsi e ad alzarsi in volo in tempo per vedere con i propri attoniti occhi le pareti stringersi di colpo come le morse di un demolitore, per poi scontrarsi tra di loro e chiudendo per sempre la piscina. Se non si fosse scansata, l’avrebbero sicuramente spappolata.

Un grido disumano che ormai aveva imparato bene a conoscere le fece distogliere lo sguardo. Tara era di nuovo in piedi, sopra uno dei tanti giardinetti che decoravano il cortile. Il suo intero corpo era avvolto dal medesimo bagliore giallo che aveva visto poco prima e i suoi capelli svolazzavano come se fossero dotati di vita propria. Sollevò entrambe le braccia, che questa volta avevano entrambe le mani alle loro estremità, e decine di porzioni di pavimento si illuminarono di giallo, per poi staccarsi lentamente dal terreno e cominciare a fluttuare a mezz’aria.

Come facilmente pronosticabile, queste si scagliarono contro la corvina come dei mortali proiettili. Rachel cercò di schivarle e di distruggere quelle che non riusciva ad evitare. Solamente quando di ritrovò di fronte all’ultimo ostacolo, si rese conto che quello non era più un pezzo di terreno, ma la stessa Tara.

Le scagliò contro un raggio di luce, ma la conduit della terra si protesse con un braccio, poi la colpì nuovamente con l’altro arto, scaraventandola sul suolo. Rachel gemette e ritornò in forma umana. Cercò di rialzarsi e vide Terra cadere sul pavimento, piantando le mani su di esso non appena lo toccò. Nel momento stesso in cui lo fece, una lunga serie di stalagmiti cominciarono a spuntare dal terreno dal punto in cui lei lo aveva toccato fino al corpo sdraiato di Corvina.

La conduit delle tenebre si scansò di lato, un istante prima che una di quelle stalagmiti le facesse fare la stessa fine dello stinco di Wilson.

Tara si rese conto di averla mancata, gridò di nuovo e ritrasse le mani, facendo svanire di conseguenza le stalagmiti. Cominciò dunque a correre verso la corvina, trasformando entrambe le braccia nelle lame.

Fu il turno di Rachel quello di piantare a terra le mani. Decine e decine di cappi di energia nera comparvero tra le piastrelle ed andarono ad avvolgersi attorno al corpo di Tara, nel disperato tentativo di arrestare la sua corsa furiosa, ma neppure loro sembrarono in grado di riuscirci. Si dissolvevano come miraggi quando Tara usava le proprie lame per tranciarli a metà.

Rachel sgranò gli occhi, osservando sempre più impotente la conduit della terra avvicinarsi. Fece per rialzarsi, ma una fitta di dolore alla tempia la costrinse a rimanere immobile. Sentì di nuovo un forte senso di nausea assalirla.

Improvvisamente, i suoi poteri smisero di obbedirle e tutte le sue energie furono prosciugate. Qualcosa di anomalo accade dentro di lei, impedendole di compiere qualsiasi movimento. La vista le si appannò, riuscì a stento a vedere una delle lame di Terra avvicinarsi al suo volto, prima di chiudere gli occhi.

Le sembrava assurdo morire in quel modo, per mano di quella ragazza, di quella conduit creata in un laboratorio. Si era lasciata battere come un’incapace. Poteva essere forte quanto voleva contro dei comuni uomini, ma non appena si presentava una sfida al suo livello, o superiore, allora ecco che saltavano fuori tutte le sue lacune.

In un certo senso forse si meritava quella fine, per essere stata così negligente.

«Fermati Tara!»

Una voce esplose all’improvviso. Il tono acuto, severo, ma anche titubante. Rachel conosceva quella voce. Riaprì gli occhi, per poi ritrovarsi la lama della conduit della terra a due centimetri dal naso. Deglutì rumorosamente. Non mosse un solo muscolo, non respirò nemmeno.

Tara osservò la corvina ancora per un breve momento, poi allontanò il braccio e si voltò lentamente, verso la persona che l’aveva chiamata.

Rachel strabuzzò le palpebre quando vide Amalia poco lontana da loro, disarmata, con un’espressione angosciata stampata in volto.

Avrebbe voluto dirle di scappare, di mettersi in salvo, avvisarla che Tara ormai era fuori controllo, ma non riuscì a fare nessuna di queste cose. Era paralizzata di fronte alla vista della neo conduit mentre si avvicinava ad Amalia, la quale sembrava attenderla come se stesse aspettando il suo turno per salire sul patibolo. «Tara... ti prego...»

La Markov ringhiò e sollevò una delle lame, facendo emettere un gemito spaventato alla mora. «Non farlo, Tara, tu non sei così... tu non sei un mostro scatenato...»

«Amalia...» gemette Rachel, ritrovando il coraggio di rialzarsi. «Sca-scappa...»

Komi scosse lentamente la testa, sempre senza staccare gli occhi da Terra. «Non posso farlo. Non la posso abbandonare.»

«A-Amalia...» Corvina cercò di camminare, ma le gambe si rifiutarono di collaborare con lei ed inciampò. Non poté fare altro che osservare impotente la morte che si avvicinava alla sorella di Ryan.

La ragazza bionda arrivò faccia a faccia con Komand’r, dopodiché fece un altro dei suoi versi sconnessi e sollevò entrambe le lame. Ma un secondo prima che potesse fare qualsiasi cosa, Amalia la scioccò: si fiondò su di lei e l’abbracciò. «Tara... ti prego... ritorna in te. Ti prego.»

Cominciò a singhiozzare. Terra rimase immobile, paralizzata, con entrambe le braccia ancora alzate. Nonostante non riuscisse più a ragionare lucidamente, capiva comunque che quella situazione era al limite dell’assurdo.

«Sono io, Tara, mi riconosci? Sono Amalia... sono la tua amica...» disse ancora la mora, per poi ridacchiare sommessamente. «Sono quella che ti scrocca le sigarette... ricordi? Lo so che sei lì dentro, Tara, lo so che c’è una parte di te che mi conosce e che non mi farà del male. Per favore, ascoltala. Ascoltala...»

Rachel cercò di rialzarsi di nuovo. Non sapeva se Amalia pensava davvero ciò che diceva, o se il suo era solo un tentativo di guadagnare tempo, sapeva solo che doveva fare qualcosa, prima che la nuova arrivata ci rimettesse la pelle. Per il momento la sua strategia stava funzionando, Tara sembrava confusa, ma non ci avrebbe messo molto prima di riacquistare la sua furia omicida.

Doveva mettersi in piedi, doveva usare i poteri, doveva...

«A... malia...»

Corvina sgranò gli occhi. Amalia sorrise. La voce che aveva appena parlato... quella voce bassa, roca, disumana... era uscita dalla gola di Tara. La Markov aveva riconosciuto la ragazza mora. Rimase immobile per un momento, con le labbra dischiuse e gli occhi gialli posati su Komand’r.

«Am... alia...» ripeté, battendo le palpebre.

«Sì, Tara, sono...»

Terra cominciò ad urlare a squarciagola, interrompendola. Cominciò a muoversi freneticamente, agitò le lame e colpì la mora con il piatto di una di esse, scaraventandola a terra. Komand’r gridò e cadde su un fianco, tenendosi una mano sull’addome colpito.

La bionda non si fermò. Sferzò l’aria più e più volte con le proprie braccia, cercando di colpire chissà quali avversari immaginari.

Ritrasse le lame e cominciò a premersi le mani sulle tempie, a tirarsi capelli e vestiti, a graffiarsi da sola, finché non cadde in ginocchio. Si piegò in avanti, stritolandosi il capo con i palmi, gridando sempre più forte.

Merda!

Rachel si mise carponi e cominciò a strisciare a fatica verso di lei. La neo conduit era impazzita, forse il riconoscere Amalia aveva in qualche modo spaccato in due la sua mente e ora il lato umano di lei cercava di prendere il sopravvento su quello conduit.  Proprio come accadeva a Rachel in passato, anche se lei non era mai arrivata al punto di auto lesionarsi. Doveva fermarla, prima che si uccidesse da sola.

Ma non appena fece per raggiungerla, Amalia si rialzò di scatto e la abbracciò una seconda volta, bloccandole le braccia ed impedendole di farsi altro male. «Torna in te, Tara! TORNA IN TE!»

Terra gridò ancora più forte e cominciò a dimenarsi. Fece ricomparire le lame, con le quali graffiò le braccia di Komand’r, le sferrò perfino una testata. La mora grugnì di dolore, un fiotto di sangue le uscì dalle labbra, ma mantenne comunque salda la presa. «Tu non sei così, Tara, tu non sei così!»

La conduit della terra si zittì di colpo ed osservò la ragazza per un breve momento, dischiudendo le labbra. Un verso provenne di nuovo dalla sua gola, ma questo sembrava quasi quello di un animale ferito. Dopodiché, gettò il capo all’indietro e sigillò le palpebre. Rimase immobile, smise anche di agitarsi, mentre il suo intero corpo si illuminava della medesima luce dei suoi occhi, avvolgendo anche Amalia.

Rachel chiuse le palpebre, accecata. Non appena riuscì a riaprirli, li sgranò completamente. Terra non c’era più.

Ora c’era Tara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ho niente da dire. Tutti i vari retroscena saranno chiariti e approfonditi dal sottoscritto man mano che la storia avanzerà. Di cose, in effetti, da spiegare ce ne sono, ma ora è troppo presto, visto che queste cose ancora devono accadere.
Spero che la vostra attesa sia stata ripagata e che il capitolo sia stato di vostro gradimento, alla prossima!

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Capitolo 20
*** Cheshire, storia di una gatta inglese ***


Capitolo 20: CHESHIRE, STORIA DI UNA GATTA INGLESE

 

 

 

Tara era immobile, stretta tra le braccia di Amalia, teneva la fronte appoggiata sulla sua spalla. Dal sorriso di sollievo presente sul volto della mora, Rachel intuì che il peggio doveva essere finalmente passato. Corvina si lasciò scappare un sospiro di sollievo molto più forte di quanto avrebbe voluto, poi si rimise lentamente in ginocchio. Ogni movimento le costava una fatica immane.

Sentì dei gemiti provenire dalle due ragazze vicino a lei, e notò che Tara stava singhiozzando.

«Mi dispiace, Amalia...» sussurrò la bionda, con voce rotta. «Mi dispiace...»

Sentire di nuovo la sua voce naturale fece uno strano effetto a Rachel. Ma, se non altro, significava che stava bene.

«Va tutto bene.» Amalia le accarezzò i capelli, anche lei con le lacrime agli occhi. Aveva le maniche strappate del cappotto intrise di sangue, e anche diversi lividi sul volto. «Non è stata colpa tua.»

«Sono un mostro...» sussurrò ancora Tara, completamente demoralizzata.

«No, non lo sei.»

«Potevo ucciderti...»

«Ma non l’hai fatto.»

La bionda singhiozzò nuovamente, strusciando la fronte sulla spalla della mora. Amalia ridacchiò, dandole qualche colpetto di incoraggiamento alla schiena, poi si accorse di Rachel. Sorrise anche a lei e le rivolse un cenno del capo. La corvina ricambiò, lasciandosi scappare un altro sospiro. Si mise a sedere, mugugnando ancora per le fitte di dolore che stava ricevendo.

Solo in quel momento si accorse che gli spari erano cessati nella hall dell’hotel. Un silenzio irreale si era generato in tutta quella struttura, interrotto solo dai continui singhiozzi della bionda. Chissà come doveva sentirsi in quest’ultima in quel momento. Beh, Rachel non doveva scervellarsi molto per intuirlo...

Anche se per Tara la faccenda doveva essere anche peggiore. Lei non era una vera conduit, lei non era sopravvissuta all’esplosione o altro. Probabilmente nemmeno sarebbe sopravvissuta, ora che Corvina ci pensava. Era una ragazza proprio come lo era stata lei in passato, era tranquilla e serena, per quanto lo si possa essere in quel mondo. Ma poi l’avevano rapita, legata ad un tavolo, spogliata e fatto chissà che cosa. L’avevano usata come cavia, come un’ animale, ridotto il suo corpo ad un mosaico di sangue e per finire l’avevano trasformata in una conduit.

Avevano preso la sua vita, la sua dignità e per poco anche la sua stessa umanità.

No, non poteva sapere come doveva sentirsi davvero. Poteva immaginarlo, basandosi anche su ciò che aveva provato lei, ma niente di più.

«Rachel...»

La corvina si voltò di scatto, per poi ritrovarsi soffocata in un abbraccio che per poco non le ruppe tutte le ossa.

«Mi dispiace di averti aggredita...» mormorò Tara, inginocchiata accanto a lei, posando la fronte anche sulla sua spalla. «Perdonami...»

Rachel sgranò gli occhi e dischiuse le labbra. «T-Tranquilla...» rispose, le guance imporporate per l’imbarazzo. «L’importante è che tu stia bene.»

La bionda non parve udirla, perché rimase abbracciata a lei per non poco tempo. Ma alla fine sembrò riuscire a riacquistare un po’ di autocontrollo. Si separò dalla corvina, annuendo lentamente. «Sì... suppongo tu abbia ragione...»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa, poi sospirò nuovamente e posò una mano sulla spalla della Markov. «In questo momento non devi pensare a noi, ma a te stessa e basta.» Le posò un indice sull’addome. «Non lasciare che loro prendano di nuovo il controllo su di te, hai capito? Non devi permetterglielo, per il tuo bene e per il bene di tutti noi. Ok? So che non è facile, ma ho... ho comunque fiducia in te. Non avere paura, ce la farai. Ne... ne sono certa.»

Tara la soppesò con lo sguardo per un breve momento. Le sue iridi azzurre sembravano essere molto più chiare e limpide dopo aver ripreso il posto dei bulbi gialli di poco prima.

La ragazza bionda annuì lentamente una seconda volta, rivolgendole anche un tenue sorriso. «Va... va bene. Grazie... Rachel...»

Si scambiarono un cenno di intesa. Per la prima volta da quando la conosceva, Rachel si sentì davvero vicina a Tara. Molto più di quanto non fosse mai stata.

«Ragazze!» esclamò una voce proveniente dalla parete in frantumi dell’hotel. Le tre si voltarono e videro Lucas e Jade saltare, per poi dirigersi verso di loro. «Tutto ok?» domandò il moro quando le raggiunse.

«Oh sì, una meraviglia, guarda!» replicò Amalia, mostrandogli il braccio insanguinato, anche se il suo sorrisetto tradì il tono scocciato.

«Non ti sopporto più...» mugugnò Rosso, sospirando esasperato.

Tara ridacchiò sommessamente, poi si rialzò ed abbracciò anche lui. «Che bello rivederti» disse.

Red X ricambiò la stretta, accennando un sorriso a sua volta. Sembrava parecchio sollevato di rivedere la bionda. «Lo stesso vale per me.»

I due si separarono, poi la neo conduit notò Jade. Inarcò un sopracciglio. «Ehm... tu saresti?»

«Una che ha rischiato la pelle per salvare la tua» replicò la Visionaria, togliendosi la maschera, per poi voltarsi verso di Rachel. «Alzati Demone. Non è ancora finita. Jeff ha trovato Wilson.»

 

***

 

Rachel non era riuscita a credere ai suoi occhi quando, molto più vicino alla High Sub di quanto avrebbe potuto pensare, si era ritrovata di fronte gli sconfinati meandri dei bassifondi di Sub City, la Low Sub. Non c’era traccia d palazzi fatiscenti, belle macchine, negozi, ristoranti, discoteche, niente di niente. Solo un oceano di casupole e condomini grigi e neri.

Un lampione su cinque funzionava, la luce era molto scarsa, dovuta per gran parte alla luna. Il che sotto certi punti di vista era un bene, visto che il buio riusciva a nascondere lo squallore di quel luogo.

Corvina e il resto dei suoi compagni procedevano in silenzio per quella strada malridotta. Jade procedeva in testa al gruppo, dietro di lei Lucas e Amalia, per finire la corvina e Tara. La conduit era rimasta davvero sorpresa quando la bionda aveva deciso di unirsi al gruppo per cercare Wilson, subito dopo essere rimasta quasi in stato di shock dopo aver scoperto che i suoi amici si erano rivolti ai Visionari per salvarla.

Ancora in quel momento, Rachel dubitava che fosse stata una scelta giusta quella di lasciarla venire con loro, ma era anche vero che non potevano esonerare la Markov da quella missione. Dopotutto, era lei quella che più aveva un conto in sospeso con Deathstroke.

E inoltre aveva promesso che non avrebbe usato i poteri, qualunque cosa fosse accaduta, ben consapevole del fatto di non essere pronta né fisicamente né psicologicamente per controllarli.

Se non altro, tuttavia, Rachel era riuscita a recuperare un po’ di forze. Almeno quelle per camminare. Più ripensava a quello che era successo, più le venivano i brividi. In un primo momento non aveva ben capito perché si fosse sentita così debole tutto ad un tratto, ma poi aveva compreso: era stata colpa dei suoi poteri.

Quando si era curata anche se non aveva le forze per farlo, aveva in qualche modo scatenato una loro reazione, che l’avevano dunque costretta a rimanere quasi immobile, senza energie.

Tutto ciò non faceva altro che alimentare quegli oscuri presagi che Rachel aveva sempre avuto su di loro. Per poco non era perfino stata uccisa da Tara, l’intervento di Amalia era stato tempestivo.

Le era andata bene, per quella volta, ma avrebbe dovuto fare più attenzione. Molta, molta di più. Se le fosse successa la stessa cosa, ma contro un altro avversario... sarebbero stati guai. Guai seri.

«Jeff ha detto di aver visto Wilson nascondersi qui da qualche parte» spiegò Jade all’improvviso, mentre continuava a camminare. Si guardò molteplici volte attorno, con aria schizzinosa. «Che posto disgustoso...»

«L’unica cosa disgustosa, qui, sono quei capelli...» borbottò Amalia.

«Ti ho sentita.»

«E dov’è Jeff?» domandò Lucas, osservando l’area circostante a sua volta, ma con aria diffidente.

«Non lo so.» Jade si fermò ed incrociò le braccia, spostando lo sguardo su uno dei vicoletti accanto a loro. «Può darsi che abbia inseguito Wilson infilandosi in uno di questi vicoli, questo luogo ne è pieno. Temo che ci vorrà un po’ di tempo per trovarli. Faremmo meglio a dividerci.»

«Dividersi non è mai una buona cosa in questi casi...» mugugnò Komand’r.

«... e inoltre ormai Wilson sarà lontano anni luce» concluse Lucas.

«Ne dubito. Conciato com’era, mi sorprende che sia arrivato fino a qui. Per poco Tara non gli amputava una gamba» osservò Rachel, mentre le tornava in mente l’impressionante scena a cui aveva assistito nei meandri del Whiskey Hotel.

«Non l’ho fatto apposta...» mormorò la bionda, quasi imbarazzata.

«Ehi, non te ne sto mica facendo una colpa» sorrise la corvina.

«Va bene allora.» Jade si voltò verso la compagnia, concentrandosi su Rachel. «Se colui a cui stiamo dando la caccia è un vecchio zoppo, non vedo perché non dovremmo dividerci. Facciamo due gruppi, così sarà più sicuro. Demone, tu vieni con me. Voi altri prendete un’altra strada. Se incontrate uno tra Wilson o Jeff, avvertitemi subito.»

«E come dovremmo fare?» interrogò Amalia, squadrandola malamente.

«Inventatevi qualcosa.» La Visionaria cominciò ad incamminarsi verso il vicolo che aveva visto poco prima. «In bocca al lupo.»

«Crepi» sbottò Komand’r. «Anzi, crepa.»

Jade la salutò con un cenno senza nemmeno voltarsi.

«Fate attenzione.» Rachel mise in guardia i propri amici, poi seguì la ragazza mascherata. Non era proprio in vena di rimanere da sola con lei, ma era chiaro che la Visionaria volesse accertarsi con i propri occhi che la conduit non si rimangiasse all’ultimo la parola data.

Le due ragazze proseguirono lungo il vicolo, rimanendo di nuovo avvolte nel silenzio. A Rachel parve di nuovo di essere ad Empire City, mentre si guardava attorno. Cominciò quasi a temere che qualche Mietitore potesse sbucare fuori all’improvviso.

Spostò lo sguardo su Jade. Ancora faticava ad inquadrarla bene. Non riusciva a capire perché lei fosse una Visionaria, quali fossero le motivazioni che la spingevano a fare ciò che faceva. Ma, soprattutto, non sapeva se poteva davvero fidarsi di lei. Il suo sguardo cadde poi sulla sua maschera. Doveva ammettere che era parecchio inquietante, soprattutto in quella penombra.

«Posso chiederti una cosa, Jade?» domandò, rompendo il silenzio.

La Visionaria rispose con un mugugno di assenso.

«Cosa rappresenta la tua maschera?»

Jade si voltò verso di lei per scoccarle una rapida occhiatina, forse per capire se la domanda fosse seria o meno, poi distolse nuovamente lo sguardo. «È inspirata al Gatto del Cheshire.»

«Cosa?»

«Il Gatto del Cheshire.» La ragazza la squadrò nuovamente, inarcando un sopracciglio da sotto il foro per gli occhi. «Mai sentito prima? Non hai un po’ di dimestichezza con i film?»

Rachel sgranò gli occhi. «Aspetta... quel gatto? Il gatto di Alice?»

«Ah, allora lo conosci.» Un sorriso si dipinse sul volto della Visionaria, ma Rachel riuscì a scorgerne solamente il profilo quando lei si voltò. «Di solito devo sempre mettermi a spiegare nel dettaglio a chi mi fa questa domanda. Tu e Jeff siete gli unici che hanno capito.»

«Ma perché proprio lui?»

Jade scrollò le spalle. «Perché mi piace. È un personaggio ambiguo, particolare. È misterioso, potente, sa tutto, ma non condivide la sua sapienza in maniera diretta. Non è buono, ma non è neanche cattivo. Lui agisce per sé stesso e basta, ed è libero di fare ciò che più lo aggrada. Non ha paura dei tiranni, ma non aiuta nemmeno i più bisognosi. È così che anche io voglio raffigurarmi. Per unirmi ai Visionari avevo bisogno di mostrare il mio valore, far capire che davvero credevo in questa causa, e ho deciso di farlo calandomi nei panni di Cheshire. Volevo impressionare Jeff, e posso dire di esserci riuscita a pieni voti.»

«Perché hai voluto fare tutto questo?»

«Perché lo Stregatto è libero, come anche io voglio essere. Ma in questa città non potrò mai essere libera, fino a quando Wilson avrà vita. Io non sono fatta per vivere in una gabbia, soprattutto ora che il mondo è spaccato in due. Devo uscire da qui, devo... vedere delle persone.» Un piccolo sospiro uscì dalla sua bocca, sembrava quasi nostalgico. «Mia sorella è tra queste... non ci siamo salutate proprio nel migliore dei modi. Sono scappata di casa, abbandonandola, lasciandola sola con quello stronzo di nostro padre... devo andare in California, trovarla e accertarmi che stia almeno bene. Poi sarà libera di continuare ad odiarmi.»

Si fermò di scatto e abbassò lo sguardo, completamente assorta nei propri pensieri. Sembrava quasi un’altra persona.

«Lo sai, dicono che in California sia nata una specie di comunità che accoglie le persone che hanno perso tutto a causa delle esplosioni e dei conduit. I rifugiati che stanno scappando dalle città vanno là per trovare una casa e per poter ricominciare da capo.» Jade sollevò la testa, osservando il ciel attraverso i fori della maschera. «Dicono che là nessuno ha paura di ciò che può accadere. Il sole è sempre alto, così come l’umore delle persone. Non ci sono conduit malvagi, la gente non muore di fame e non c’è violenza. Là è come qui, ma senza Underdog.»

Una comunità..., pensò Rachel, sopprimendo un sorriso amaro. Sicuro.

Aveva visto abbastanza film e letto abbastanza libri catastrofici per sapere come davvero stavano le cose.

Era un classico: ad East dicevano che esisteva una comunità ad Ovest, e viceversa. E alla fine di comunità non ce n’era nemmeno l’ombra, né dall’una, né dall’altra parte.

Tuttavia, Jade sembrava volerci credere davvero, perciò si astenne dal fare la guastafeste. «Tua sorella è in California, quindi?» domandò invece.

Jade annuì. «Studiava laggiù. Non so di preciso dove sia, ma immagino che avrò molte possibilità di trovarla nella comunità. Sempre se esiste davvero.»

«Se esiste davvero, allora dovrò farci un salto quando tutto sarà finito» commentò Rachel, abbozzando un sorriso.

«È per questo che sono una Visionaria. Devo trovare Lian, e magari scoprire se la storia della comunità è una bufala o no. Perché come dice il nostro motto, noi abbiamo dei sogni, e combattiamo per farli avverare. E se oggi posso sinceramente sperare di riuscire ad andarmene da qui, è grazie a Jeff. Non sarà molto simpatico, ma bisogna dargli credito quando serve: se non ci fosse stato lui, questa città sarebbe stata realmente spacciata. Ed io probabilmente sarei morta nel tentativo di scappare da sola.»

«Ti fidi di lui, quindi.»

«All’inizio pensavo semplicemente di non avere altra scelta.» La ragazza mascherata scrollò le spalle. «Sai com’è... il nemico del tuo nemico è tuo amico. Credevo che avrei usato lui e i Visionari fino a quando non mi sarebbero più serviti, a quel punto li avrei piantati in asso e avrei proseguito per la mia strada... ma dopo averlo conosciuto meglio... sì, mi fido di lui. Mi fido molto. Ho imparato molte cose rimanendogli accanto. E chissà, magari potrà anche darmi una mano a cercare Lian. Possibilmente senza quell’orribile trucco e i suoi ridicoli vestiti.»

Le due ragazze si guardarono per un breve momento, poi entrambe cominciarono a ridacchiare sommessamente. A Rachel non dispiacque quel momento. Jade si era aperta con lei, non molto, ma era comunque meglio di niente. Se non altro, il clima di tensione tra loro si era abbassato, il che era già un buon segno.

«Stai commettendo un grosso errore, fidandoti di lui.»

Rachel sobbalzò, riconoscendo immediatamente quella voce. Entrambe si voltarono di scatto, con Jade che sollevò il fucile.

Deathstroke era in piedi, alle loro spalle, comparso dal nulla. In piedi. Su entrambe le gambe. Corvina strabuzzò gli occhi. I pantaloni erano strappati nel punto che era stato colpito da Tara, ma non c’era alcuna traccia di ferite o sangue. Era come se non fosse mai stato colpito davvero.

«Non frequentare troppo quel ragazzo» disse ancora l’uomo, stringendo la katana che aveva fra le mani. «Non gli interessa davvero di voi Visionari. Vi sta solo usando.»

«Lui dov’è?!» domandò per tutta risposta la Visionaria, stringendo i denti.

«Non lo so. Probabilmente si è nascosto aspettando il momento opportuno per attaccare, come il codardo che è.»

«Va’ al diavolo!» gridò Jade, per poi premere il grilletto. Ma non appena lo fece, Slade scattò in avanti e sferrò un fendente con la spada. Pochi istanti dopo, il fucile della Visionaria cadde a terra, tranciato in due.

Jade indietreggiò di istinto, sorpresa, mentre Corvina puntò le mani contro Wilson, illuminandole di nero.

«Non farlo, Rachel» disse lui, calmo, drizzandosi in piedi in maniera composta e abbassando la katana. «Non devi combattermi.»

«Ah no?!» Corvina serrò la mascella e la luce delle sue mani si fece più intensa. «Dammi un valido motivo per non farlo!»

«Te l’ho già spiegato il motivo. Io posso salvare questo mondo.»

«Sì, me l’avevi detto. E ricordi cosa ti avevo risposto? Come pretendi di salvare il mondo uccidendo e rapendo le persone che non concordano con te?!» domandò Rachel, accigliata come poche volte era stata. Non aveva più timore di Wilson o altro. No. Verso di lui ora provava solamente un sincero odio. «Ma non ti bastava solo quello, vero?! Dovevi anche trasformare Tara in un mostro!»

«Io le ho salvato la vita» rispose calmo Slade, chiudendo il suo unico occhio.

Quella risposta spiazzò completamente Rachel. Per un momento quasi scoppio a ridere, peccato che lei meglio di lui sapeva che non la stava prendendo in giro, che in realtà lui credeva davvero a quello che diceva.

«Fammi capire, hai rapito una ragazza innocente, l’hai ammanettata ad un tavolo, l’hai spogliata e l’hai ridotta in fin di vita per poi trasformarla in un abominio fatto di pietra, immagino con lo scopo di poterla trasformare in una tua specie di soldatessa, e ora mi vieni a dire che in realtà le hai salvato la vita?!»

Rachel non riuscì più a trattenersi. Una risata nervosa uscì dalla sua gola, per un momento abbassò la guardia e la luce delle sue mani si affievolì, ma non ci mise molto a recuperare la concentrazione. Osservò l’uomo con quanta rabbia avesse in corpo. «All’inizio non ne ero molto convinta, ma ora non ho dubbi: sei tu quello che devo combattere.»

«Non devi giudicare la realtà dalle apparenze» cercò ancora di farle cambiare idea Wilson, ma distendendo comunque le gambe, mettendosi in una posizione più comoda per utilizzare la katana in caso di attacco.

«Io giudico i fatti, non le apparenze. E ciò che è successo a Tara, è un fatto più che sufficiente.»

«Dunque non hai intenzione di ritornare sui tuoi passi, vero?» Deathstroke piantò i piedi a terra, aumentando la presa attorno al manico della spada.

«No.» La luce nel palmo della mano della corvina aumentò ulteriormente di intensità. «Questo è il capolinea, Wilson. Per te.»

Slade si sgranchì il collo. «E sia. Fatevi avanti.»

«Con piacere!» gridò Jade avventandosi su di lui, estraendo i sai.

Mentre la Visionaria attaccava, Rachel sollevò la mano, scagliando un potente raggio di luce in cielo, che esplose come un fuoco d’artificio. Una volta fatto ciò, si concentrò nuovamente sullo scontro.

La Visionaria raggiunse l’uomo, menando due fendenti con le proprie armi, ma lui li deviò entrambi in rapida successione con la katana. Si susseguì una lunga sequenza di colpi da parte della ragazza. La Visionaria sfoggiò tutta la sua strabiliante abilità di combattente, cercando in qualsiasi modo di riuscire a ghermire la pelle del suo avversario con i propri sai.

Rachel le diede ben presto man forte, consapevole del fatto che ben presto i suoi amici, dopo aver notato il "fuoco d’artificio", l’avrebbero raggiunta.

Corse in semicerchio e scagliò una moltitudine di raggi neri contro il mercenario, sperando di poterlo cogliere di sorpresa. Il vicolo non era certo una vasta landa, era spazioso, certo, ma comunque piuttosto scomodo per quel genere di combattimenti, e Rachel pensò che la cosa potesse giocare a suo favore. Invece, Wilson riuscì ad evitarli, tenendo allo stesso tempo bada a Jade, la quale sembrava infuriarsi sempre di più mano a mano che i suoi attacchi andavano a vuoto.

I suoi sai sembravano davvero bramare la carne dell’uomo, ma non incontravano altro che il taglio della sua katana, o perfino la semplice aria quando lui evitava l’ennesimo fendente.

Tuttavia, improvvisamente Slade cambiò strategia. Smise di indietreggiare per schivare gli attacchi e con un colpo secco della katana disarmò Jade di uno dei suoi sai. La ragazza, colta di sorpresa, tentò un altro grossolano affondo, ma l’uomo le bloccò il braccio con la mano libera e le sferrò  una stoccata al gomito con l’elsa della katana, facendole cadere anche l’altra arma.

A quel punto la colpì con una potente ginocchiata all’addome, piegandola in due e facendole emettere un grido soffocato. Dopodiché la afferrò per l’orlo dell’happi e la scagliò contro una parete del vicolo. Jade stramazzò a terra, tossendo e tenendosi a malapena sollevata sui gomiti.

Rachel gridò e lo tempestò di attacchi, conscia del fatto che continuando di quel passo avrebbe esaurito presto le energie. Doveva studiare qualcosa, e alla svelta.

Wilson corse, evitando i raggi o respingendoli con la katana. «Sei ancora in tempo per tornare indietro, Rachel!»

«Scordatelo!»

Slade si avvicinò pericolosamente, con la lama della spada che chiamava a gran voce il corpo della conduit. Corvina si trasformò in rapace, indietreggiando velocemente dal taglio della lama, per poi atterrare a debita distanza. Non appena ritornò in sé stessa, sentì le proprie gambe trasformarsi in burro. Gemette.

«Ti senti bene, Rachel? I tuoi poteri hanno qualcosa che non va?» domandò Deathstroke, roteando la katana.

Rachel serrò la mascella, maledicendolo in silenzio. «E tu che ne sai?!»

«Lo so meglio di quanto tu possa immaginare, credimi.»

La conduit dischiuse le labbra, sorpresa da quell’affermazione. Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Wilson partì nuovamente all’attacco. Strinse i denti, e riprese a lottare a sua volta.

Schivò fendenti, affondi, stoccate, si trasformò molte più volte di quanto avrebbe voluto per riuscire a sottrarsi da morte certa. Cercò di rispondere a sua volta al fuoco, ma tutto pareva inutile: Slade sembrava instancabile, e neutralizzava praticamente ogni mossa e contromossa da parte della corvina. E tutto con solamente una katana.

Più passavano i secondi, più Corvina si sentiva lenta, impacciata, più le costava fatica trasformarsi o lanciare i più basilari attacchi. Ormai andava avanti solamente per inerzia, e Wilson non sembrava nemmeno dare il massimo di sé. Per lui, quello scontro, pareva quasi un semplice riscaldamento.

All’arrivo dell’ennesima sferzata la conduit creò uno scudo energetico per difendersi, ma era troppo debole per poter davvero respingere quell’attacco. Slade la colpì con molta più forza di quanto avrebbe mai potuto immaginare e l’impatto fu devastante per lei. Lo scudo andò in frantumi, per l’enorme sgomento di Rachel, che per la prima volta in assoluto vedeva i suoi poteri neutralizzati in quel modo. L’impatto fu tale che la ragazza cadde a terra, stordita e dolorante.

Tossì e cercò immediatamente di rialzarsi, ma Wilson le sferrò un calcio su un fianco. Corvina gridò di dolore e rotolò sul suolo, premendosi una mano sul punto colpito dall’uomo.

«Sei una sciocca, Rachel» la rimproverò Deathstroke, con tono e sguardo severo. «Non solo hai deciso di metterti sulla mia strada, ma lo hai anche fatto mentre i tuoi poteri si rifiutavano di collaborare con te. Ti credevo più intelligente. Ma, d’altronde, chiunque collabori con quel "Visionario" non brilla certo di arguzia.»

Si voltò di scattò, sollevando la katana e deviando uno dei sai di Jade un secondo prima che questo si conficcasse nella sua schiena. «Dico bene, Cheshire?» chiese, mentre osservava per nulla preoccupato la proprietaria di quello spadino nuovamente in piedi.

Jade strinse i pugni, una crepa gli attraversava la maschera dalla fronte al mento. «Bastardo...»

«Lo sai, mi duole davvero molto più di quanto tu possa immaginare il dover combattere con te, visto l’enorme rispetto che nutrivo nei confronti di tuo padre.»

«Mio padre era un bastardo!» gridò la Visionaria, lanciandosi all’attacco armata del suo secondo sai. «E tu lo sei tanto quanto lui!»

I due combattenti incrociarono nuovamente le lame, ma ora sembrava esserci una furia ben più grande ad alimentare l’animo di Cheshire. «Non mi impedirai di andarmene da questa città!»

«Credi davvero che la situazione sia diversa, là fuori?» domandò Wilson, mentre si dava da fare per difendersi da tutti gli interminabili attacchi della Visionaria.

Conficcò la katana in mezzo ai denti del sai, per poi strapparlo dalle mani dalla ragazza con un forte strattone. Lo spadino cadde a terra con un tintinnio metallico, a pochi metri di distanza da loro. Wilson sollevò la lama della spada in direzione della gola dell’avversaria. «Credi davvero che, una volta fuori da Sub City, la tua vita non sarà più in pericolo? Io vi sto offrendo una possibilità di sopravvivere, qui, in questa città. Non esistono comunità davvero in grado di contrastare l’enorme minaccia che si è abbattuta sul nostro paese, l’unico che ha davvero la soluzione in mano sono io!»

«Sta zitto!» ululò la ragazza, sferrando un calcio al piatto della lama della katana, disarmando l’uomo. Rotolò a terra e la afferrò per l’impugnatura, per poi rialzarsi, puntandogliela a sua volta. «Tu sei solo un dittatore! Ed io non obbedisco ai dittatori!»

Attaccò l’uomo, che fu costretto ad estrarre la sua seconda katana, e ripresero il loro furioso combattimento.

Jade era sorprendente, si muoveva con una velocità inaudita e maneggiava quella katana come se fosse sempre stata la sua arma prediletta. Ma per quanto abile potesse essere, non sembrava davvero in grado di reggere il confronto con Wilson.

Rachel gemette e si mise in ginocchio, per poi tentare di usare nuovamente i suoi poteri. Puntò le mani contro l’uomo e queste si illuminarono di nero, per poi spegnersi praticamente subito dopo. La corvina se ne accorse e sgranò gli occhi.

«No» gemette. «Non adesso!»

Cercò di nuovo di adoperare l’energia nera, ma questa apparve per poi svanire rapida com’era giunta. Tentò e ritentò più e più volte, le sue mani, le sue braccia, il suo intero corpo si illuminavano di nero e poi ritornavano immediatamente normali.

Non funzionavano. I suoi poteri non funzionavano. E Jade sembrava sempre più alle strette.

«Perché hai sprecato il tuo talento servendo un gruppo deplorevole come quello dei Visionari, quando avresti potuto diventare un’eccellente soldatessa?» domandava Wilson, mentre conduceva la ragazza con le spalle al muro a furia di stoccate.

«Perché così facendo avrei seguito le orme di mio padre» ribatté lei, per poi rotolare a terra per schivare un affondo e sottrarsi dalla scomoda situazione in cui si trovava. «Ed io odiavo mio padre!» gridò rialzandosi, stringendo qualcosa nella mano non occupata dal manico della katana, qualcosa che Rachel riuscì a distinguere solamente quando la Visionaria lo scagliò contro Wilson: uno dei suoi sai.

Questa volta Slade parve notarlo con un secondo di ritardo. Riuscì a deviarlo per il rotto della cuffia, mugugnando di sorpresa, ma così facendo cadde proprio nella trappola di Jade. Cheshire si fiondò su di lui, puntando la katana verso il suo addome.

Deathstroke sgranò il suo unico occhio. Questo fu l’unico gesto che riuscì a compiere, quando la sua stessa katana lo trafisse da parte a parte, diventando rossa scarlatta per via del sangue.

Rachel osservò la scena incredula, incapace di parlare o anche solo pensare. Jade c’era riuscita. Non le sembrava vero, non poteva essere vero.

«Crepa, cane» sibilò Jade, rigirando la lama nello stomaco dell’uomo, facendolo gemere di dolore e barcollare all’indietro. Rachel, scorgendo il suo profilo, la vide sorridere in segno di trionfo.

Poi accadde. Wilson si rianimò dal nulla e mosse di scatto il braccio armato. La katana scintillò come un fulmine. Rachel assistette alla scena a rallentatore, il suo stupore che si trasformava lentamente e nuovamente in orrore.

La Visionaria sgranò entrambi gli occhi, dopodiché abbassò lentamente lo sguardo, per poi vedere il proprio ventre ridotto nelle stesse condizioni di quello dell’uomo. La lama lo attraversava da parte a parte, fino all’elsa. Deathstroke la ritrasse poi di scatto e la ragazza mollò la presa dalla sua spada. Barcollò all’indietro, tenendosi una mano sul ventre straripante di sangue, poi inciampò.

Cadde a terra, mentre Wilson rimase in piedi, con ancora la katana ancora conficcata nello stomaco. Il mercenario mugugnò infastidito, sgranchendosi il collo, poi afferrò la spada per l’impugnatura e la estrasse senza battere ciglio. Enormi fiotti di sangue uscirono dall’orribile ferita che aveva sull’addome, facendosi largo tra la divisa militare squarciata, ma lui li ignorò bellamente.

«Guarda come si sono ridotte le mie spade» sospirò, osservando entrambe le lame intrise della sostanza vermiglia.

Corvina rimase a bocca aperta, sempre più inorridita mano a mano che i secondi passavano. Per un secondo, per un solo secondo credeva che tutto fosse finito. Si era sbagliata. Era appena cominciato.

Il suo sguardo cadde poi sul corpo esanime di Jade. Non appena lo fece, qualcosa dentro di lei scattò. «NO!»

Si rimise in piedi, ignorando il dolore e la stanchezza, e raggiunse la Visionaria, ignorando anche lo stesso Wilson. Si chinò accanto a lei e le sfilò la maschera, per poi prenderle il volto tra le mani.

Cheshire aveva un’espressione stralunata e apriva e chiudeva la bocca emettendo dei gemiti privi di qualsiasi significato.

«Jade! Guardami, Jade! Guardami!»

Le parole della corvina parvero raggiungerla, perché la mora spostò debolmente le iridi nere su di lei. «L-Lian...» sussurrò, a fatica. I suoi occhi si fecero lucidi all’improvviso, diverse lacrime cominciarono a scivolarle lungo le guancie. «No... no...»

«Non dire così, tu la rivedrai! Ok? Rivedrai tua sorella!» Rachel posò una mano sul ventre della Visionaria, macchiandosi di sangue. «Resta con me!»

Cercò di attingere ai suoi poteri per poterla curare, ma l’unica cosa che ottenne fu un’enorme fitta di dolore alla testa. Corvina gemette, ma strinse comunque i denti.

Devo farcela, devo farcela, devo...

«S-Spalle...» mormorò Jade all’improvviso.

«Che cosa?»

«A-Attenta... spalle...»

Rachel sgranò gli occhi e si voltò, ma fu troppo tardi. Ricevette un potentissimo calcio in pieno volto e fu scaraventata a metri di distanza dalla Visionaria. La conduit gridò e ruzzolò sul suolo. Tentò di sollevarsi sugli avambracci, quasi piangendo per il dolore, poi si voltò e vide Wilson avvicinarsi lentamente a lei, con entrambe le katana in mano. Non c’era più alcuna traccia di sangue sul suo addome.

Merda...

Per la terza volta, Deathstroke si sgranchì il collo. «Temo di aver omesso di dire qualcosa di cruciale importanza. Anch’io sono un conduit. E sono immortale.»

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo so, nelle risposte a diverse recensioni avevo detto che forse questo capitolo sarebbe uscito un pelino prima, ma ciò non è successo. Sì, sono un bastardo. Passiamo oltre.

Due chiacchiere su Jade aka Cheshire, poi sgommo.

Cheshire, nella serie dei Teen Titans, non è mai stato un personaggio molto interessante, per me, al di fuori della sua maschera, che è l’unica cosa che mi sia mai piaciuta di lei.

Ma poi l’ho vista in Young Justice. E sì, beh, la mia testa è esplosa. Sono bastate due scene di azione, qualche dialogo qua e là, ed è subito schizzata al primo posto dei miei personaggi preferiti, di Young Justice, sia chiaro.

E quindi niente, ho voluto aggiungerla in questa storia perché, alla fin fine, Teen Titans e Young Justice si assomigliano molto, sono quasi intercambiabili.

Molti villain di Young Justice ce li vedrei perfettamente in una puntata di Teen Titans, la stessa cosa vale per i buoni, e viceversa.

L’unica cosa che un po’ mi dispiace è quella di non essere riuscito a caratterizzare tanto bene Jade, in questa fic. Era un personaggio da cui avrei potuto tirare fuori molto di più, ma l’ho aggiunta proprio in corsa alla storia, proprio mentre scrivevo il capitolo in cui lei appare la prima volta, senza avere nulla di pianificato per lei nel futuro.

La sua è stata solo una piccola apparizione, in cui ho voluto riproporre ciò che più mi è piaciuto di lei, ossia la sua tenacia, la sua abilità nel combattimento, la sua presenza scenica e il suo rapporto con la sorella Lian. Un rapporto quasi paragonabile a quello tra Amalia e Stella, ma, a differenza di Komi, Jade in più di un’occasione dimostra di tenere davvero alla minore.

Non mi pronuncio nemmeno molto sul padre solamente accennato da lei e da Wilson, vi basti sapere che anche lui è un mercenario, per certi versi molto simile a Deathstroke. A Deathstroke, non a Slade dei TT. Occhio a non confondervi.

Tecnicamente, Lian non è proprio il nome della sorella, ma solo un secondo nome. Ho deciso di evitare di mettere quello vero per evitare possibili spoiler di Young Justice, per tutti quei condannati alla pena capitale che ancora non l’hanno visto. Vi tengo d’occhio.

Ok, ho finito. Ci vediamo al prossimo capitolo, dove di cose da dire ne avrò tante altre... ehehe.

Alla prossima!



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Capitolo 21
*** I segreti dei conduit ***


Capitolo 21: I SEGRETI DEI CONDUIT

 

 

 

Raramente Rachel si era sentita così impotente di fronte a qualcuno. Con così poche parole, Wilson l’aveva lasciata completamente atterrita.

«I-Immortale?» domandò a fatica, sentendosi la gola completamente inaridita.

L’uomo annuì. «Dal giorno in cui una delle esplosioni colpì me e la mia squadra, non esiste ferita che il mio corpo non possa rimarginare. E questa ne è la prova» disse, indicandosi l’addome ormai intatto e pulito.

Corvina sgranò lentamente gli occhi, mentre la verità appariva sempre più nitida di fronte a lei. Wilson possedeva un fattore di guarigione. Questo avrebbe anche spiegato perché la sua gamba fosse completamente intatta al momento del loro incontro, nonostante Tara non l’avesse quasi amputata.

Improvvisamente, le possibilità di vittoria per lei si ridussero drasticamente. Non solo Wilson era forte, non solo era abile con la spada, non solo era resistente, ma era anche praticamente immortale. Potevano ferirlo, sparargli, colpirlo con qualsiasi arma possedessero; lui si sarebbe sempre e comunque rialzato.

«Avete commesso  un grosso errore a mettervi sulla mia strada.» Deathstroke sollevò una katana, puntandola verso Rachel. «Ora anche tu ne pagherai le conseguenze.»

La conduit gemette e tentò di rialzarsi, ma un’altra fitta di dolore alla tempia la costrinse a rimanere a terra. Ormai non riusciva più nemmeno a capire se era stato il calcio di Slade o se erano proprio i suoi poteri a farla star male in quel modo. Più ci provava e più lo trovava difficile. Non avrebbe retto ancora per molto.

Wilson fu più vicino, la lama della katana brillò in mezzo alle chiazze di sangue scarlatte. Sollevò l’arma, pronto ad abbatterla su di lei. Le rivolse un ultimo sguardo. «Addio Rachel.»

La lama si abbassò, Rachel chiuse gli occhi. Un esplosione riecheggiò all’improvviso, seguita da un verso di dolore.

Qualcuno gridò.

La corvina riaprì gli occhi con sua enorme sorpresa, e vide Wilson indietreggiare, allontanandosi da lei, per accasciarsi a terra. Alle sue spalle vide Lucas e Amalia, quest’ultima con ancora il fucile sollevato. «Tutto ok, Rachel?» domandò, mentre entrambi si avvicinavano.

«S-Sì...» biascicò Corvina, per poi sentire le nocche di Deathstroke scrocchiare mentre stringeva con forza le spade. Sgranò gli occhi. «Fermi, non avvicinatev...»

Slade si rialzò di scatto, fiondandosi sui nuovi arrivati. Komand’r gridò di sorpresa e fece di nuovo fuoco, ma la sua arma fu completamente inefficacie sull’uomo. Lo colpì, brandelli di vestiti e schizzi di sangue provennero dal mercenario, ma lui non si fermò ugualmente.

Mulinò una katana, tentò di affettare la mora, ma lei riuscì a scansarsi in tempo. La spada tagliò in due il suo fucile e la ragazza cadde a terra, gemendo. L’uomo sollevò le lame, ma Lucas si frappose, parando  con il bastone l’affondo che avrebbe sicuramente ucciso la mora. «Sei bello tosto, eh?» mugugnò, per la fatica dovuta al tenere bloccate le armi dell’uomo con la sua.

Deathstroke emise un verso simile ad un ringhio rabbioso, poi gli sferrò una ginocchiata, ma il ragazzo la evitò saltando all’indietro.

 I due si osservarono a vicenda e cominciarono lentamente a camminare in semicerchio, per studiarsi.

«Come avrete notato, le vostre armi sono inefficaci su di me. Ritiratevi adesso e avrete salva la vita.»

«Ah, sta zitto!» sbottò Lucas, partendo alla carica.

Affondi, schivate, parate si susseguirono gli uni dopo gli altri, in rapida sequenza. Nonostante l’enorme abisso che separava i loro stili di combattimento e le loro armi, Lucas vendette cara la pelle. Non era uno spadaccino provetto, ma non era nemmeno l’ultimo dei fessi.

Mentre il loro scontro proseguiva e Amalia si rimetteva faticosamente in piedi, qualcuno arrivo alle spalle di Corvina. «Stai bene Rachel? Sei ferita?»

La conduit si voltò di scatto, trasalendo, poi si tranquillizzò nel vedere Tara chinarsi accanto a lei.

«No, no...» mugugnò a quel punto, massaggiandosi la tempia. Fece una smorfia. «Però non riesco ad usare i poteri...»

«Questo... sì che è un bel problema...» osservò la bionda, dischiudendo le labbra.

Un verso di dolore le fece voltare entrambe. Slade era appena riuscito a colpire Lucas con un calcio all’addome, costringendolo a piegarsi. Abbatté una katana su di lui, il ragazzo sollevò il bastone per difendersi, ma la lama della spada lo tranciò di netto a metà e gli raggiunse il volto.

Lucas fu sbalzato all’indietro e cadde a terra, con tra le mani due monconi inutilizzabili e un orrenda ferita sulla fronte, che per poco non gli aveva strappato via perfino uno degli occhi. Tossì, cercando di rialzarsi, ma  si ritrovò ben presto lo stivale di Wilson sul collo. Il mercenario lo colpì con forza, facendolo urlare, poi premette la suola sulla pelle.

«Sei in gamba ragazzo, ma non abbastanza.» Schiacciò con più forza, affondando nella carne.

Rosso cercò di gridare, ma uscì solo un verso soffocato. Si dimenò, colpì con le mani il piede dell’uomo, ma le forze lo stavano abbandonando con rapidità, non sarebbe mai riuscito a liberarsi.

Rachel temette il peggio. Inorridì, ma Amalia arrivò alle spalle dell’uomo e si avventò su di lui brandendo un coltello, impedendogli di soffocarlo.

Il mercenario si voltò sorpreso, per poi ritrovarsi l’arma conficcata sotto al mento. Grugnì di dolore, poi allontanò la ragazza con un colpo dell’elsa di una katana, come se la ferita che lei gli aveva appena procurato non fosse stata altro che la puntura di una zanzara. «Mi state davvero stancando.»

Komand’r cadde a terra una seconda volta, procurandosi un taglio sulla guancia, ma si rimise subito in piedi, estraendo una pistola dalla tasca. «Crepa!»

Fece fuoco, i proiettili si abbatterono sull’addome dell’uomo uno dietro l’altro, con estrema precisione. Deathstroke mugugnò e barcollò dopo ogni colpo. Amalia svuotò l’intero caricatore, ma Wilson continuò comunque a reggersi in piedi. Nonostante avesse la regione toracica grondante di sangue e un coltello conficcato fino al manico nel suo collo, era ancora in piedi. Scrollò la testa, stordito, poi piazzò il suo unico occhio su quelli della mora.

«Allora forse non ti è chiara una cosa...» cominciò a rantolare, rinfoderando una katana per poi estrarre il coltello con un gesto secco della mano. Un fiotto di sangue vermiglio si riversò fuori dalla ferita sul collo, ma si arrestò quasi immediatamente. L’uomo si rigirò l’arma tra le mani, per poi impugnarla dalla parte della lama con due sole dita. «... non esiste arma in grado di uccidermi!» gridò, per poi scagliare il coltello contro la ragazza.

Amalia sgranò gli occhi. Cercò di schivare il pugnale, ma questo si conficcò nella sua coscia, facendola gridare di dolore. La pistola le scivolò di mano e la ragazza crollò in ginocchio, tenendosi la gamba martoriata.

Wilson si incamminò a quel punto verso di lei, roteando la katana. «Non avreste dovuto impicciarvi.»

«Vaffanculo...» gemette Komand’r. «Tu, quella baldracca di tua figlia e quei bastardi dei tuoi uomini...»

Deathstroke torreggiò su di lei, la lama della katana scintillò sotto la fioca luce della luna. «Gli insulti non ti salveranno la vita.»

Per tutta risposta, Amalia mostrò il medio.

«Amalia...» mormorò Tara, per poi alzarsi in piedi, stringendo i pugni. «Ora basta, Wilson!»

Il mercenario si voltò verso di lei, per poi sgranare l’occhio. Sembrava non essersi accorto di lei fino a quel momento.

«Tara, no...» sussurrò Rachel. Volle alzarsi per aiutarla, ma fu colpita da un’altra fitta di dolore alla tempia, che la costrinse a rimanere a terra.

«Sta tranquilla, Rachel» rispose la bionda, con sicurezza. «Lui non mi farà del male.»

«Terra...» disse l’uomo, dopo un attimo di silenzio. «... vedo... che ti sei calmata.»

«Di certo non grazie a te» ribatté lei, incrociando le braccia. «Lascia stare i miei amici.»

«Sono loro che per primi hanno tentato di mettermi i bastoni tra le ruote. Io mi sto solamente difendendo.»

 «Tu mi hai rapita! Sei tu che hai cominciato!» esclamò Tara, per poi osservarsi la mano. Deglutì, poi questa cominciò a tramutarsi lentamente in pietra. Una lacrima le rigò la guancia. «Mi... mi hai trasformata in un mostro...»

Slade sospirò, chiudendo l’occhio, poi scosse lentamente la testa. «Tu non capisci... ora potrà sembrarti che la tua vita sia rovinata, ma credimi, non è così. Tra qualche tempo mi sarai grata di ciò che ho fatto.»

«Esserti grata?!» domandò la ragazza, osservandolo come se provenisse da un altro pianeta. «Come potrò mai esserti grata per questo?! Tu mi hai ammanettata ad un tavolo, mi hai spogliata, mi hai... mi hai... torturata...» Si interruppe di colpo, abbracciandosi le spalle. Gemette, poi scosse la testa con energia, mentre altre lacrime scendevano dai suoi occhi. «Non potrò mai esserti grata per ciò che hai fatto...»

«Ti sbagli. Io non ti ho fatto alcun male.» Wilson rinfoderò la katana, per poi avvicinarsi a lei. Le labbra di Tara tremolarono, ma non si mosse mentre l’uomo si faceva sempre più vicino. «Non sono stato io a procurarti tutte quelle ferite. È stato il gene Conduit.»

 «Il... cosa?» domandò la bionda, dischiudendo le labbra. Anche Corvina sgranò gli occhi.

«Il gene Conduit. Una frazione di DNA che non tutti possiedono, e che consente a chi ce l’ha di trasformarsi in conduit, come la tua amica Rachel, o me.»

«Quindi...» biasciò Tara, incredula. «Essere conduit... è una questione genetica?»

«Sì. Ma il gene non può essere trasferito con facilità sulle persone che non lo possiedono, come te. Chi nasce senza di esso, muore senza di esso. Non si acquista con la crescita, non può trasmettersi tramite sangue, saliva o sperma, c’è bisogno di un trapianto. Ma per fare un trapianto, occorre un campione del gene, e per ottenerlo da un conduit occorrono una lunga sequenza di complicati passaggi, che vanno ad agire direttamente sul DNA della persona. Nel corso di questi mesi sono riuscito a raccogliere molti campioni, e in contemporanea ho cercato di impiantarli in persone comuni.

«Ma nessuno è mai sopravvissuto al trasferimento. Il gene è troppo potente. Il sistema immunitario lo riconosce come nemico, e cerca di aggredirlo, portando l’organismo ad autodistruggersi e a deformarsi a livello cellulare. La stessa cosa è successa anche a te, Terra. Le ferite e le abrasioni sul tuo corpo erano dovute proprio alla battaglia che stava avvenendo dentro di te. Non sono stato io a causarle, almeno, non direttamente. Per tutto il tempo io ti sono rimasto accanto, somministrandoti antibiotici, immunosoppressori, anestetizzandoti perfino, pur di non farti provare alcun dolore. Non ti ho torturata.

«Ho cercato in tutti i modi di impedire che anche il tuo corpo implodesse. Non potevo permettere che anche tu morissi come gli altri pazienti. Ma tutti i miei sforzi sono stati vani. Ero ormai convinto che neanche tu ce l’avresti fatta, quando poi la tua amica è arrivata e ti ha curata. Lei, con le sue stesse mani, è riuscita ad ovviare il problema che più mi affliggeva, ossia la riabilitazione del paziente. E i risultati...»

Wilson prese la mano di Tara, che ancora era trasformata, e la costrinse a sollevarla. La osservò, completamente ammaliato. «... sono stati sorprendenti. Tu, Terra, sei stata la prima conduit creata in un laboratorio. E dopo di te, ne arriveranno molti altri. Certo, mi serviranno dei poteri di guarigione come quelli di Rachel, ma troverò una soluzione. Vedrai, bambina.» L’uomo lasciò la presa dalla mano della ragazza, poi posarle una mano sulla spalla. «Una nuova era sta per avere inizio. E tu sarai il simbolo di essa.»

La ragazza bionda tacque per quelle che parvero eternità. Osservò Deathstroke a lungo, con aria indecifrabile.

«Quindi... tu non volevi farmi del male...» mormorò.

«No, non volevo.»

«Ma mi hai trasformata in una conduit.»

«Sì.»

Tara strinse i pugni. «Perché lo hai fatto, allora?»

Un altro sospiro provenne dalla maschera dell’uomo. «Se te lo spiegassi adesso, probabilmente non mi crederesti. Nessuno potrebbe credermi, io stesso all’inizio ho faticato parecchio per farlo. Sappi solo che essere conduit è l’unico modo per sopravvivere a ciò che deve ancora arrivare. Anzi, a ciò che è già arrivato. Rimani qui, con me, Terra. Sii la mia discepola. Ti prometto che avrai ogni risposta che desideri, se sarai paziente.»

«Non abbandonerò i miei amici per restare con te. Te lo puoi scordare.»

«Non essere sciocca. I tuoi amici sono tutti destinati a morire. Io ti sto offrendo la possibilità...» Wilson ritrasse la mano dalla sua spalla e gliela porse. «... di sopravvivere. Te ne prego, accetta la mia proposta. Non te ne pentirai.»

La neo conduit osservò quella mano, poi Wilson, e poi anche Rachel. La corvina era rimasta in disparte, in silenzio, ad osservare e ad ascoltare incredula lo scambio di battute tra l’uomo e la bionda. Incrociò lo sguardo di Tara, le due ragazze rimasero in silenzio, ad osservarsi.

«Tara...» mormorò, incapace di fare altro.

La Markov si mordicchiò un labbro, poi si voltò nuovamente verso l’uomo. «Grazie» disse infine, per poi fare un passo indietro, allontanandosi da quella mano ancora tesa verso di lei. «Ma no grazie» concluse, con freddezza.

Deathstroke si incupì all’improvviso. «Terra, ascolta...»

«No, ascolta tu!» sbottò la ragazza, sbattendo un piede sul suolo. «Per prima cosa, io mi chiamo Tara, non Terra! E poi dovrei proprio avere la sindrome di Stoccolma per decidere di rimanere con uno psicopatico che mi ha rapita, legata ad un tavolo e trasformata in un abominio! Non ho la più pallida idea di cosa tu abbia in mente, ma lascia che ti dica una cosa: io non ho alcuna intenzione di aiutarti. Tu sei un tiranno che gioca a fare Dio con le persone innocenti, non ti meriti nulla, né da me, né da nessun’altro! Io non sono un oggetto, non sono il tuo oggetto!»

Tara allargò le braccia e sollevò il capo, chiudendo gli occhi. «E ora prego, uccidimi pure. Preferisco morire piuttosto di trascorrere un solo altro giorno con questi dannati poteri.»

Slade abbassò lentamente la mano, continuando ad osservarla. «Non voglio ucciderti.»

«Ti conviene farlo, invece. Prima che io perda di nuovo il controllo e lo faccia a te.»

«Mi metti in una posizione difficile.»

«Era quello il mio intento.»

L’uomo osservò la ragazza, lei fece lo stesso. Rimasero entrambi immobili, non mossero un muscolo. Rachel non aveva mai visto Tara così seria e determinata. Osservava quell’individuo grosso il doppio di lei senza alcun accenno di timore.

Infine, Wilson estrasse una katana. «Un vero peccato che debba finire in questo modo. Ma se non vuoi collaborare, io non posso costringerti.»

Rachel sgranò gli occhi. Non riuscì a credere alle proprie orecchie. Wilson... era davvero disposto ad ucciderla. Uccidere colei per la quale aveva scatenato tutto quel polverone.

«Vedo che hai deciso, dunque. Va avanti allora.»

Deathstroke avvicinò la mano al volto di Tara, per poi scostarle una ciocca di capelli dietro all’orecchio. «Non ti dimenticherò, bambina.»

Sollevò la katana. Tara chinò il capo e chiuse gli occhi. «Garfield...» sussurrò. «... sto arrivando.»

«Addio.»

La lama scese.

«NO!» gridò Rachel, alzandosi in piedi, animata all’improvviso da un’enorme quantità di energia. Scattò verso di loro, Tara sgranò gli occhi quando si accorse di lei. La corvina si frappose tra loro, spingendo Tara a terra e afferrando il polso dell’uomo con entrambe le mani. «ORA BASTA!»

Un enorme afflusso di potere percorse il corpo di Rachel. L’energia nera sembrò rianimarsi tutto ad un tratto, e cominciò ad illuminarla.

Wilson sgranò il suo unico occhio. «Ma cosa...»

«Rachel, ferma!» esclamò Tara, rialzandosi. Ma ormai era tardi.

La conduit urlò a pieni polmoni e liberò tutta quell’energia che stava crescendo a dismisura dentro di lei. Percorse le sue braccia, entrò nelle sue mani e passò dai suoi palmi al polso di Deathstroke. Gridò ancora più forte, i suoi occhi divennero bianchi, per un attimo non vide più nulla.

Sentì le urla di Slade sovrastare le sue, percepì entrambi i loro corpi mentre cominciavano a fremere e ad essere colpiti da dei forti scossoni. Rachel avvertì le ultime riserve della sua energia esaurirsi, poi vi fu un’esplosione.

Lei e Wilson furono divisi ed entrambi scaraventati a terra. La corvina sbatté la schiena sul suolo e mugugnò infastidita. Sentì la bile salirle in gola, le venne da vomitare. Un dolore lancinante le attraversò tutto il corpo, si sentì come se i suoi muscoli si stessero atrofizzando. Ma la testa era sicuramente la parte che le doleva di più, le parve di avercela stretta in una morsa di ferro.

Tossì e si rialzò faticosamente sui gomiti. Vide Tara, la quale la osservava a sua volta, sconvolta. Vide anche Amalia e Rosso, con quest’ultimo che aiutava la prima a tenersi in piedi. Erano entrambi piuttosto malridotti e pieni di acciacchi, ma almeno erano vivi.

E poi, a distanza di diversi metri da lei... Wilson. Questi cercava di rialzarsi, proprio come lei. Sembrava stordito, confuso, e anche parecchio dolorante. Scrollò il capo e si massaggiò una tempia, poi notò la corvina. Non appena lo fece, sgranò l’occhio. Si passò entrambe le mani sul petto, freneticamente, come se stesse cercando qualcosa, qualcosa che aveva avuto fino a quel momento e che ora sembrava scomparso all’improvviso.

«Ma... ma come...» sussurrò, per la prima volta sembrando veramente incredulo.

«Bene, bene, bene...» disse un’altra voce, provenendo non dal vicolo, ma da sopra le loro teste. Tutti i presenti sollevarono lo sguardo per poi vedere un individuo sporgersi dal tetto del palazzo sovrastante.

Dreamer.

Egli sorrideva beffardo, lo sguardo posato su Wilson. «Finalmente sei mio, vecchio.»

Schioccò le dita. Decine di Visionari sbucarono fuori all’improvviso, tutti quanti armati di fucile, disposti alcuni accanto al loro leader, altri sul tetto di fronte. Puntarono tutti le armi contro l’uomo.

«Maledetto...» rantolò il mercenario, per poi osservare Rachel. Sembrò che stesse cercando di comunicarle qualcosa, ma per la corvina fu impossibile capire cosa. Poi si rialzò e cominciò a correre verso il fondo del vicolo. Nonostante tutto, si mosse con una velocità quasi sovraumana.

Ma a Dreamer non piacque per niente quell’iniziativa. «Sparate, sparategli subito!»

I Visionari aprirono il fuoco. Il mercenario, per quanto velocemente stesse correndo, non riuscì a sottrarsi completamente da quella pioggia di inferno che imperversava proprio su di lui. Alcuni proiettili lo colpirono ad un braccio, altri ad una gamba, altri alla schiena. Le imbottiture militari fecero in parte il loro dovere, ma nemmeno queste furono sufficienti. Rachel lo vide trascinarsi dietro diverse chiazze di sangue, ma l’uomo non si fermò comunque. Girò l’angolo, tenendosi un braccio e zoppicando, quasi trascinandosi di peso, e svanì dalla visuale.

Corvina osservò a lungo il punto in cui Wilson era svanito. Il pensiero di inseguirlo le attraversò la mente, poi decise di lasciar perdere con un sospiro. Non sapeva se i suoi poteri glielo avrebbero concesso. Se non altro erano riusciti almeno a metterlo in fuga.

Dreamer nel frattempo saltò dal tetto ed atterrò in piedi nel vicolo, tenendosi il cappello calcato sulla testa per non farlo volare via. Fece poi scorrere lo sguardo su Rachel e i suoi amici, soffermandosi su ciascuno di essi. «Accidenti, ve le ha suonate di santa ragione, eh?»

«Dove diavolo eri finito?» rantolò la corvina, rimettendosi in piedi, mentre Jeff si avvicinava.

«Ho perso un po’ di tempo mentre cercavo di radunare i miei fratelli» spiegò lui, indicando i Visionari ancora sui tetti, i quali avevano cominciato a muoversi. «Cercheranno Wilson. Non andrà molto lontano, e questa volta per davvero.»

«Come fai a dirlo?» mugugnò Rachel, con una smorfia. «Lo sai che possiede un fattore di guarigione, vero?»

«Davvero? Oh...» Il sorriso si spense dal volto di Dreamer. «Ops... errore mio...»

La conduit lo squadrò con diffidenza. Non sembrava davvero sorpreso. E, comunque, quella reazione non era per niente quella che lei si sarebbe aspettata.

«Che cosa diavolo ti è saltato in testa, Markov?!» La voce di Amalia la fece trasalire e dimenticare del Visionario. Si voltò, verso la mora. Stava parlando con Tara, sembrava piuttosto arrabbiata. «Volevi davvero farti uccidere così?!»

«Fatti gli affari tuoi» sbottò la neo conduit, per poi incrociare le braccia e distogliere lo sguardo da lei.

«Cosa? Gli affari miei?!» Amalia serrò la mascella. Parve quasi volersi muovere in direzione della bionda, ma la gamba ferita glielo impedì. «Ci siamo fatti un culo titanico per riuscire a trovarti e salvarti la vita, e tu vai a chiedere a Wilson di ammazzarti?! Cosa siamo noi, un branco di idioti?! E mi vieni anche a dire di farmi gli affari miei?! Bionda, questi sono affari miei. Anch’io ho rischiato la vita!»

«Sta zitta!» urlò Tara, con le lacrime agli occhi e la voce rotta. «Tu non sai cosa sto provando! Non puoi saperlo! Se fossi nei miei panni, allora anche tu preferiresti morire!»

«Non dire idiozie! Io non...»

«Ehi, ehi!» esclamò Corvina, frapponendosi tra loro. «Dateci un taglio! Non dobbiamo litigare tra di noi! Siamo un gruppo unito, l’avete dimenticato?!»

«Sì, ma...» cercò di dire Amalia, per poi venire zittita dalla corvina.

«Niente ma! Come possiamo pretendere di potercene andare da questa città se vi mettete a discutere in questa maniera per una scemenza come questa? Amalia, tu non sai come Tara si sente, nessuno può saperlo, nemmeno io! E tu, Tara...» Rachel si voltò verso di lei, puntandole addosso il dito. «... non ho idea di cosa ti stia passando per la mente, ma non pensare per un solo momento che la tua vita debba essere buttata via in questo modo!»

Si avvicinò a lei, severa come poche volte lo era stata. «La tua vita vale, hai capito! Tu vali! Come pensi che reagirebbe Logan se ti vedesse così? Pensi che sarebbe fiero di te, se tu decidessi di farti ammazzare solo perché le cose vanno più male del solito? E ti sei dimenticata della tua famiglia? I tuoi genitori e i tuoi fratelli, come credi che reagirebbero loro se tu morissi così?»

Tara ammutolì. Osservò Corvina per un breve istante, quasi intimorita da lei, poi distolse lo sguardo imbarazzata e annuì lentamente. «Hai ragione... scusami...»

«Sì, ti chiedo scusa anch’io...» mormorò Amalia, osservando il suolo imbarazzata.

Un tenue sorriso si dipinse sul volto di Rachel. «Bene.» Incrociò poi lo sguardo di Lucas. Il moro la osservava sorpreso, quasi ammirato. La corvina allargò il sorriso, poi sollevò il pollice della mano. A quel punto, Rosso sorrise a sua volta e rispose con un cenno del capo.

Lo sguardo di Rachel cadde poi prima sulla sua fronte insanguinata, poi sulla gamba di Amalia. Aveva estratto il coltello, fortunatamente non aveva reciso nessuna arteria, ma comunque tutto quel sangue era parecchio preoccupante. «Ora, però, è meglio pensare alle cose importanti.»

Per fortuna i suoi poteri si erano risvegliati, o non sarebbe mai stata in grado di curare le ferite dei suoi amici. Amalia la ringraziò, Lucas tossì un paio di volte, poi anche lui fece lo stesso.

Solamente quando ebbe finito, si rese conto che Dreamer era rimasto un po’ troppo a lungo in silenzio. Lo cercò con lo sguardo, poi vide una scena che le fermò il cuore. Jeff era chino accanto al corpo della sua luogotenente.

Una sensazione terribilmente sgradevole assalì la corvina quando vide il corpo insanguinato di Jade, di cui, fino a qualche attimo prima, aveva scordato l’esistenza. Non si muoveva più, non gemeva più, non faceva più assolutamente niente. Era immobile, come una statua.

La conduit sentì le proprie viscere contorcersi, quasi le venne da vomitare. Era disgustata. Ma non da quella vista, assolutamente no. Era disgustata di sé stessa.

Jade era morta per colpa sua.

Aveva combattuto contro un avversario ben oltre la sua portata, per la propria libertà. Pur di ottenerla, pur di poter rivedere sua sorella, aveva messo in gioco l’ultima cosa preziosa che le era rimasta: la sua vita.

E Rachel non aveva fatto nulla per aiutarla. Aveva osservato la scena, incapace di fare altro. Aveva preferito litigare con i suoi poteri, anziché darsi da fare per trovare un altro modo per rendersi utile.

Una persona era morta di fronte ai suoi occhi. Una persona che aveva visto le sue speranze infrangersi all’improvviso. E lei aveva lasciato che ciò accadesse.

Sentì una lacrima rigarle una guancia. Stupida ed inutile, ecco come si sentiva in quel momento.

Dreamer chiuse gli occhi di Jade con due dita. «Riposa in pace, sorella» disse, a bassa voce. Sembrava triste, e non poco.

Corvina rimase immobile, ad osservarlo, incapace di fare altro. Una mano si posò sulla sua spalla. Si voltò e vide Lucas accanto a lei. «Non è stata colpa tua» disse, leggendole nel pensiero. «Jade conosceva i rischi che correva, ha scelto lei di essere qui a combattere contro Wilson. L’unica cosa che possiamo fare è onorare la sua morte.»

Rachel si pizzicò un labbro con i denti, poi annuì lentamente.

No, non è vero..., avrebbe voluto dire. L’ho lasciata morire.

Sospirò profondamente, poi appoggiò la testa sulla spalla di Rosso. Lui la cinse per un fianco e la tenne stretta a sé. Nessuno dei due disse altro.

«Un po’ mi piaceva, alla fine...» commentò Amalia, osservando a sua volta il corpo di Jade.

«Non puoi fare nulla, Rachel?» domandò Tara.

La corvina scosse lentamente la testa. «Quando era ancora viva, forse... ma ora...»

«Capisco.»

Scese il silenzio nel vicolo, fino a quando Dreamer non si rialzò in piedi. Si voltò verso il gruppo, per poi cominciare a camminare verso di loro. Si ritrovò infine dinnanzi a Rachel e Lucas. Notò com’erano stretti e si lasciò scappare un sorriso. «Fate bene a godervi la quiete. Sono state delle ore piuttosto pesanti, queste.»

«Abbiamo finito, quindi?» domandò Lucas, con tono scettico.

Dreamer annuì, senza far sparire quello strano sorriso dal suo volto. «Sì, abbiamo finito. Di Wilson ci occuperemo noi Visionari. E non preoccupatevi degli Underdog rimasti, senza un capo non andranno lontani. Wilson era il collante che teneva unito il loro gruppo, era quello a cui spettava sempre l’ultima parola. Senza di lui, saranno come pecore senza un pastore.»

«Possiamo uscire dalla città, quindi?» chiese Amalia.

Un altro cenno di assenso. «Direi proprio di sì. Vi ringrazio infinitamente per l’aiuto. Ah, e non preoccupatevi per Rose. Di lei me ne occuperò sempre io. Più tardi farò un salto al vostro magazzino per recuperarla. Immagino che a quel punto voi non ci sarete già più.»

«Probabile» rispose Lucas.

«In tal caso...» Jeff si avvicinò ulteriormente al gruppetto, porgendo la mano. Cominciò da Tara. La bionda lo osservò piuttosto titubante, poi accennò un sorriso e gliela strinse.

«Grazie per aver prestato un paio di braccia in più ai miei amici» disse, sincera.

«Prego, è stato un piacere.»

Dreamer passò poi ad Amalia, la quale gli stritolò la mano di proposito solo per fargli un ultimo dispetto. «Mi mancherà la tua faccia da schiaffi» disse, con un ghigno.

«A me mancherà il tuo dolce carattere. Salutami anche il tuo fratellino.»

Toccò a Rosso, il quale la strinse con parecchia riluttanza. «A mai più» sbottò.

«Arrivederci anche a te» rispose Dreamer, chinando il capo. «Ah, a proposito Lucas, fai qualcosa per quella tua brutta tosse, mi raccomando. Non vorrei mai che tu abbia qualche malanno.»

 «Non preoccuparti, me la caverò» replicò il moro, rivolgendogli un sorriso che sembrava più una smorfia.

Lo sguardo di Dreamer cadde sulla mano che Lucas teneva premuta sul fianco di Rachel. Il suo sorriso vacillò, poi si concentrò proprio su quest’ultima. Si piazzò di fronte a lei, poi allargò le braccia. «Permetti, Rachel?»

La corvina sgranò gli occhi. Si voltò verso di Lucas, quasi chiedendo conferma nel suo sguardo. Lui si limitò semplicemente a sollevare le spalle. A quel punto, Rachel sospirò e andò ad abbracciare il Visionario. Si sentì tremendamente  impacciata. Per fortuna, non durò molto.

«Grazie dell’aiuto» disse infine il Visionario, una volta separato da lei.

«Ma non ho fatto nulla di che, alla fine...» rispose lei, imbarazzata.

«Credimi. Hai fatto molto di più di quanto avrei mai potuto immaginare.» Dreamer le diede una pacca sulla spalla, poi si rivolse nuovamente a tutto il gruppo. «Addio, dunque.» E senza dire altro, si voltò e cominciò a camminare. Fece un cenno a due Visionari che lo avevano seguito, e questi presero il corpo di Jade. Svanirono tutti e quattro dietro al vicolo, per poi non ricomparire più.

Non appena Jeff uscì dalla sua visuale, Rachel si lasciò scappare un profondo sospiro. Era tutto finito. Finalmente, era tutto finito.

Sentì qualcuno ridacchiare alle sue spalle e si girò, per poi vedere Tara e Amalia entrambe con il capo piegato e una mano di fronte alla bocca. Arrossì contro il proprio volere. «Che cavolo avete da ridere?!»

«Qualcuno si è preso una cotta per Rachel...» la schernì Tara, pronunciando quelle parole canticchiando.

«Per Rachel?» domandò Amalia, tornando seria. «Io credevo che Jeff fosse cotto di Rosso...»

Le tre ragazze guardarono il suddetto, il quale sgranò gli occhi. «Ehm... co... cosa?»

Komand’r e Tara si scambiarono un rapido sguardo tra loro, poi entrambe scoppiarono a ridere di gusto, lasciando il moro atterrito. «Ehi! Non è divertente! Non lo è affatto!» Accorgendosi di come le sue parole fossero inefficaci, si voltò verso di Rachel, quasi disperato. «Rachel ti prego, di a quelle galline che... oh, no! Anche tu no!»

Corvina aveva cercato in tutti i modi di trattenersi, ma non c’era riuscita. Nel giro di poco tempo anche lei si era ritrovata a ridere, in maniera più leggera rispetto a quella delle altre due ragazza, ma comunque a ridere. Fu meraviglioso.

 «Scusa Lucas...» biascicò a fatica, a corto di fiato.

«Vi odio. Tutte e tre.»

 

***

 

Mentre tornava al magazzino in compagnia dei suoi amici, Rachel si sentiva avvolta da un’incredibile quantità di positività. Non le sembrava ancora vero che tutto quanto fosse finito.

Avevano salvato Tara, il suo patto con Dreamer si era concluso e per finire erano riusciti a sconfiggere Wilson, anche se solo temporaneamente, ma non le importava. Del mercenario se ne sarebbe occupato Jeff; lei non aveva più nulla a che vedere con quella faccenda. Poteva andarsene da quella città, che in pochi giorni si era rivelata essere una prigione ben peggiore di Empire City, ed essere libera.

Giurò a sé stessa che non avrebbe più commesso alcun errore. Nessun altra città l’avrebbe più imprigionata, da quel giorno in poi. Non lo avrebbe più permesso in alcun modo. Non sapeva quante esplosioni ci fossero state nel paese, non sapeva quanti conduit la attendevano fuori dai confini di Sub City, non era minimamente a coscienza di quali altri pericoli avrebbe incontrato, ma non le importava nulla. Nessuno le avrebbe di nuovo negato la libertà.

Ripensò a quella comunità di cui Jade le aveva parlato. Ricordare la Visionaria le provocò una fitta allo stomaco, ma cercò di ignorarla, e di concentrarsi di più su quel luogo, ammesso che esistesse. Forse avrebbe dovuto fare un tentativo e andare a cercarlo, in compagnia dei suoi amici, ovviamente. Avrebbe dovuto parlarne con loro. Certo, potevano essere solo favole, come già aveva pensato, ma, infondo, non c’era molto altro da fare per lei.

Doveva trovare una nuova casa, e quale luogo migliore per cominciare se non proprio la California? Forse non avrebbe trovato ciò che cercava proprio laggiù, ma chissà, forse qualcosa di interessante sarebbe comunque successo.

«Ehi, Rosso, che c’è?» domandò Amalia all’improvviso, osservando il moro che per tutto il tempo aveva camminato rimanendosene in silenzio e in disparte. «Non dirmi che ce l’hai ancora con noi per la storia di prima.»

«No» sbottò lui, anche se l’argomento parve irritarlo leggermente. «Sono solo stanco.»

«Ormai siamo arrivati» osservò Tara.

«Non mi riferivo a quello.» Il ragazzo sospirò, esausto, per poi tossire un paio di volte. Scrollò il capo per ricomporsi, poi proseguì: «È solo che...» Si voltò, incrociando lo sguardo delle tre ragazze. Diede una rapida occhiata a ciascuna di loro, per poi voltarsi e scuotere di nuovo il capo. «Niente, lasciamo perdere. Ecco, ci siamo.»

Il gruppo si fermò di fronte alla recinzione del magazzino. Rachel rimase ad osservare Lucas, perplessa. Non ci aveva messo molto per capire a cosa si riferisse con quelle parole. Anche lui, come lei, era stanco di vivere quella vita. Anche lui sapeva che, una volta usciti da quella città, avrebbero dovuto ricominciare a lottare, che quella quiete era solo fittizia. Perché ormai era così che quel mondo funzionava.

Ma, infondo, erano proprio quei momenti a rendere viva Rachel. La quiete prima della tempesta era sempre quella che le permetteva di sperare, seppur per poco, che le cose cambiassero davvero. Che da quel momento in poi non sarebbe più stata costretta a combattere.

Osservò il cielo striato di arancione, mentre i primi raggi dell’alba cominciavano a farsi strada tra le tenebre della notte. Un nuovo giorno stava per iniziare, e con esso un nuovo capitolo della sua vita.

Scavalcarono la recinzione e si avviarono verso il portone. Mentre camminava, Rachel notò qualcosa cambiare nell’espressione di Amalia. Non era più serena, ora sembrava tesa, angosciata. Solo in quel momento si ricordò della discussione tra Ryan e lei.

«Ehi, non preoccuparti» le disse, a bassa voce.

La mora trasalì, poi si voltò verso di lei. La osservò per un breve momento, poi sospirò. «Come posso non preoccuparmi?» domandò, quasi affranta. «Ryan... lui... aveva ragione, su tutto. Mi sono comportata malissimo con lui e con Kori... io... non ho il coraggio di guardarlo di nuovo in faccia...»

«Tu non sei più come Ryan ti ha dipinta, Komi» rispose Rachel, abbozzando un sorriso. «Non so cos’hai fatto in passato con esattezza, ma so quello che hai fatto oggi. Hai rischiato la vita per salvare quella di Tara. Hai piantato un coltello nel collo di Wilson! Chi altri può vantarsi di aver fatto una cosa del genere?»

Amalia ridacchiò sommessamente, tenendo lo sguardo basso. «Non molti, immagino...»

«E poi, la cosa più importante di tutte.» Rachel le posò una mano sulla spalla, facendole drizzare la testa. Allargò il sorriso, guardandola con pura e sincera ammirazione. «Sei riuscita a far ritornare Tara in sé. Sei riuscita a fare una cosa in cui io ho fallito miseramente, senza combattere, per di più. Se tu non ci fossi stata... probabilmente sarei morta. Tu oggi non hai salvato solo Tara, ma hai salvato anche me. Hai coraggio da vendere, e sei forte. Ryan lo capirà, vedrai. Capirà che sei cambiata e ti perdonerà.»

Komand’r sollevò lo sguardo. Una scintilla di speranza si accese nei suoi occhi all’improvviso. Un sorriso si accentuò sul suo volto, poi ridacchiò una seconda volta. «Cavolo, Roth, sei particolarmente inspirata oggi, eh? Ci provi gusto a far sentire gli altri degli stupidi con i tuoi discorsi strappalacrime?»

«Un pochino» replicò la corvina, con tono divertito.

La ragazza mora ridacchiò ancora una volta, poi le diede un pugno scherzoso  alla spalla. «Sei forte. Dai, andiamo.»

Si erano fermate senza nemmeno rendersene conto ed erano state lasciate indietro da Lucas e Tara, i quali ormai erano dal portone. Si affrettarono a raggiungerli, poi, tutti insieme, entrarono.

«A proposito, Ryan come sta?» domandò Tara, sorridendo. «Devo abbracciare anche lui!»

A Rachel quasi venne da ridere sentendo quell’affermazione. Sicuramente, il rosso sarebbe stato più che entusiasta di ricevere un abbraccio da lei.

«Sta bene, credo...» borbottò Lucas, mentre si avvicinavano all’area relax. «Quella che mi preoccupa di più è la nostra altra ospite...»

«Altra ospite?»

«Ora vedrai. Un tesoro di donna, davvero. Simpatica come un coltello nel costato.»

«Quasi peggio di Amalia, quindi» osservò la bionda.

Lucas ridacchiò. «Sì, diciamo di sì.»

«Vi devo ricordare che sono qui?» domandò proprio Amalia, incrociando le braccia.

Il gruppo si fermò di fronte alla porta dell’area relax. Rosso posò una mano sulla maniglia, per poi volgere uno sguardo di sufficienza alla mora. «Tranquilla, la tua presenza non è difficile da notare...»

Komand’r spalancò la bocca per rispondere, ma qualunque cosa volesse dire le morì in gola quando il ragazzo aprì la porta. Sgranò gli occhi all’improvviso.

Rachel notò il repentino cambio di espressione di Amalia e corrucciò la fronte, poi cercò di capire cosa le fosse preso e anche lei guardò oltre l’ingresso della stanza. Non appena lo fece, si sentì morire.

Tara si posò entrambe le mani di fronte alla bocca, soffocando a malapena un verso inorridito.

«Mio... dio...» sussurrò Lucas, interdetto.

Rose era ancora legata alla sua sedia, teneva il capo chinato ed entrambi gli occhi chiusi. Un orribile squarcio ancora macchiato di rosso le attraversava il collo, e il suo intero petto era ricoperto da sangue rinsecchito. Perfino i suoi capelli si erano macchiati.

Ai suoi piedi, invece, riverso in una pozzanghera della medesima sostanza vermiglia...

Corvina sentì il proprio cervello bloccarsi. I suoi occhi si rifiutarono categoricamente di credere a ciò che stavano vedendo. Non poteva essere vero. Non poteva assolutamente essere vero. Non poteva esserci lui a terra, accasciato in quel modo scomposto. Non lui, non...

Amalia gridò all’improvviso, con quanto fiato avesse in corpo, mettendosi entrambe le mani nei capelli.

«RYAN!!!»

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Famiglia riunita ***


Capitolo 22: FAMIGLIA RIUNITA

 

 

 

Furono ore terribili, quelle. Dal momento del ritrovo del cadavere di Ryan, fino a quando, stremati, non erano andati a dormire.

Per riuscire a dividere Amalia dal corpo esanime del fratello ci erano voluti Rosso e Rachel insieme. Tara no, lei era troppo scossa per riuscire a muoversi anche solo di un millimetro.

Komand’r aveva gridato, aveva scalciato, aveva graffiato i due ragazzi e perfino tirato loro i capelli. Lucas, infine, era stato costretto a pizzicarle il nervo del collo per farle perdere i sensi. Avevano portato la ragazza mora in uno degli uffici e l’avevano adagiata su un materasso, dopodiché avevano dovuto occuparsi della rimozione dei due corpi.

Tara aveva pianto mentre, con i suoi poteri, creava due fosse nel cortile. E anche Lucas aveva gli occhi lucidi mentre adagiava dentro una di esse proprio il corpo di Ryan, tenendolo avvolto in una coperta. Seppellirono anche Rose, nella fossa accanto al rosso. Per quanto fossero state orribili le cose che aveva fatto, anche lei era pur sempre stata una vittima di Wilson, e meritava di poter almeno riposare in pace.

Per non dimenticarsi dove fossero le fosse, Tara tracciò sul suolo i contorni di esse e su quella di Ryan lasciò un incisione.

Tempo di concludere tutto quanto, e si era fatto ormai mattino. I tre ragazzi erano distrutti, sia nel corpo che nella mente. Non avevano idea di chi potesse essere stato il responsabile di quelle due morti, non avevano nemmeno la testa per cercare di rifletterci su. Senza dire una parola erano andati a dormire, chi nascondendo meglio il dolore, come Lucas, chi, invece, non riuscendoci affatto, come Tara. Rachel l’aveva sentita singhiozzare diverse volte, mentre cercava di chiudere occhio nel suo materasso.

Miliardi di cose erano passate nella sua mente, mentre si era girata e rigirata sotto le coperte.

Aveva pensato ad Amalia, a Tara, a Lucas, a come ciascuno di loro doveva essersi sentito quando avevano visto il corpo del loro compagno. Ma soprattutto Amalia. Rachel non poteva nemmeno immaginarlo. Lei non aveva mai perso un famigliare in quel modo. Anzi, non aveva mai perso nessuno, in quel modo. Certo, i suoi amici erano morti, ma lei non aveva mai visto i loro cadaveri; non li aveva visti con gli occhi ancora sgranati e la bocca semiaperta in un grido di disperazione che nessuno aveva udito, non li aveva visti riversi nel loro stesso sangue.

Se per lei era stato scioccante, per Amalia doveva essere stato terribilmente traumatico. Non si sarebbe stupita se avesse davvero perso la testa, dopo l’accaduto.

Aveva pensato poi a Rose, e a come Dreamer avrebbe reagito quando avrebbe scoperto cosa le era successo. Lui aveva detto che si sarebbe preso cura di lei, sembrava tenerci anche molto, a lei.

Il nuovo capitolo della vita di Corvina era cominciato davvero nel peggiore dei modi. Un suo compagno, un suo amico, non c’era più. Non lo avrebbe più rivisto, da quel giorno per tutto il resto della sua vita. Ryan si era sempre tenuto per le sue, era vero, ma la sua mancanza avrebbe sicuramente generato un vuoto molto difficile da riempire.

Anche Rachel aveva singhiozzato, prima di riuscire finalmente a chiudere occhio.

 

***

 

Rachel camminava accanto a rastrelliere piene di armi medievali, piedistalli su cui erano esposte antiche armature dei tempi delle crociate, bacheche e scaffali pieni zeppi di oggetti antichi.

C’era una quantità industriale di sapere, tutto attorno a lei. Ogni esposizione, anche quelle più piccole ed inutili, avevano una didascalia che spiegava per filo e per segno cosa fosse quel determinato oggetto, in quale ambito lavorativo venisse adoperato e quale persona famosa lo avesse usato.

Ma a lei non interessava davvero molto tutta quella roba. L’unica cosa su cui era concentrata, era su quanto diavolo fosse pesante il suo zainetto. Si maledisse per averlo riempito in quel modo. Pesava una tonnellata e la visita al museo era praticamente appena iniziata.

Dopo qualche minuto rinunciò ad ascoltare la guida. Non aveva proprio la testa per mettersi a riempirsela di tutte quelle informazioni che, detto con tutta onestà, non le sarebbero servite a nulla a meno che non avesse deciso di andare a lavorare proprio in quel museo una volta terminati gli studi. O di fare l’archeologa, o la storica, o robe di quel genere, insomma.

Certo, accrescere il proprio bagaglio culturale è sempre una buona cosa, ma in quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Richard.

Richard, la stessa persona che si trovava ad una manciata di ragazzi da lei e che teneva Kori per mano, la quale non smetteva un solo istante di sorridere.

La corvina strinse i pugni. Quanto la odiava. Quell’oca, quella gallina, quella...

«Ehi Roth!» la chiamò qualcuno, bisbigliando.

Lei si voltò pigramente, per poi posare gli occhi su un ragazzo dai capelli color carota, che la guardava con un sorriso idiota. Wally.

«Ti sei fatta male, questa mattina?» domandò lui, senza far svanire quel maledetto sorriso.

Rachel inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché sei caduta dal paradiso, ecco perché, angelo mio.»

Diverse risatine si sollevarono da alcuni dei ragazzi presenti attorno a loro. Anche lo stesso Wally allargò il suo sorrisetto. Rachel serrò la mascella, irritata come mai lo era stata con lui. Fu quasi tentata di sferrargli un cazzotto sul naso e far sparire quell’espressione idiota dal suo brutto muso, quando qualcuno si frappose tra loro, allontanando il rosso. Logan.

«Falla finita, Wally» intimò il ragazzo biondo, cercando di allontanarlo da lei.

«Qual è il problema?» domandò quello, sollevando le mani in segno di resa. «Volevo solo...»

«Abbiamo capito cosa volevi» si intromise Victor arrivando in quel momento, affiancando il suo migliore amico. «E, sinceramente, potevi anche risparmiartelo.»

«Andiamo, si ride e si scherza, non voglio offendere nessuno!»

«Non sempre gli altri sono in vena di sorbirsi i tuoi scherzi, dovresti saperlo.»

«Oh, ma dai...»

«Evapora, Wally» aggiunse Jennifer, aggiungendosi al gruppo in compagnia di Karen.

Il rosso parve quasi disperato. «Jenni, anche tu no...»

La ragazza incrociò le braccia, facendo un verso di disappunto. Wally, intuendo che forse doveva aver sorpassato il limite, si ritirò con un sospiro abbattuto. A quel punto, i quattro amici si rivolsero alla ragazza corvina.

«Ignoralo, è solo un buffone» le disse Jennifer, sospirando. «Io lo so bene...»

Rachel abbozzò un sorriso. «Tranquilla, lo so anch’io. Grazie, comunque, a tutti voi.»

Logan sollevò il pollice. «Puoi sempre contare su di noi.»

Victor annuì  a conferma di quelle parole, rimanendo in silenzio.

La corvina si sentì grata a loro, per il loro intervento. Se non ci fossero stati, probabilmente avrebbe preso per il collo Wally. Era sorprendente come Logan e Victor fossero intervenuti nonostante fino a qualche minuto prima anche loro stessero ridendo e scherzando bellamente, coinvolgendo anche i loro compagni. Evidentemente, lei era molto più importante per loro di quanto non potesse immaginare. E certo, Richard forse non c’era più, ma c’erano sempre loro.

Su di loro avrebbe sempre potuto contare, ne era sicura. Erano come una famiglia, per lei, anche se spesso e volentieri se ne dimenticava e credeva di essere sola. Ma non era così, lei non era sola. Non con loro.

La visita per il museo continuò. Rimase in compagnia dei suoi amici, ai quali ben presto si aggregarono altri ragazzi che conosceva più e meno bene, perfino lo stesso Wally, il quale riuscì ad ottenere il perdono della corvina. Logan e Victor ripresero le loro mansioni di spiritosoni del gruppo e tutto quanto sembrò tornare alla normalità.

Rachel rimase sulle sue, non disse più molto, si limitò a sorridere di tanto in tanto quando qualcuno dei suoi compagni faceva qualcosa di tremendamente stupido per poi beccarsi un richiamo dai professori.

Di tanto in tanto, tuttavia, il suo sguardo cadeva poco davanti a lei, su Richard e Kori. E il suo sforzarsi di essere serena diventava quasi una tortura.

Più cercava di non pensarci, più quel maledetto bacio tra il suo amico di infanzia e Stella le ritornava in mente, provocandole una dolorosa stretta al cuore. Era successo un’infinità di tempo prima, ma quell’avvenimento era ancora perfettamente nitido nella sua mente. E, di conseguenza, non desiderava altro che mandare tutto al diavolo, andarsene da quel museo e restarsene da sola.

Non poteva andare avanti in quel modo. Avrebbe fatto meglio a parlare con Richard. Erano giorni, settimane, mesi che pensava di farlo. Non sapeva ancora cosa dirgli, non sapeva nemmeno come si sarebbe comportata di nuovo in sua presenza, probabilmente nemmeno sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi, ma qualcosa se lo sarebbe inventato.

Quando è troppo, è troppo, pensò, annuendo con convinzione.

Prese un profondo sospiro, poi si allontanò dal gruppo di amici senza farsi notare. Si fece largo tra la folla di studenti, avvicinandosi sempre di più a quella coppietta tanto felice quanto lei era triste.

Stava quasi per raggiungerli, quando vi fu un lungo e potente scossone che fece tremare la terra. Vi furono grida sorprese, alcuni ragazzi persero perfino l’equilibrio, diversi oggetti in mostra caddero dai loro ripiani e si frantumarono sul pavimento.

Rachel fu una di quelli che perse l’equilibrio. Si ritrovò a terra, in ginocchio, stordita e confusa. Sollevò lo sguardo, vide altri studenti cadere, udì le grida sollevarsi di intensità, alcune bacheche gremite di oggetti si rovesciarono, causando danni enormi e ferendo perfino delle persone.

La ragazza dischiuse le labbra, interdetta. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sapeva solo che stava cominciando a spaventarsi. Una luce di un blu accecante cominciò a penetrare nel museo tra le grosse finestre. La corvina si voltò verso di queste, per poi sgranare gli occhi interdetta.

Non seppe spiegarsi con esattezza cosa vide. La luce si fece dieci volte più intensa, accecandola completamente.

Le grida si fecero ancora più forti. Rachel cercò disperatamente con lo sguardo i suoi amici, Richard, perfino Kori, ma non vide nulla.

E poi tutto fu spazzato via.

Le grida svanirono, i ragazzi svanirono, il museo intero svanì. Agli occhi di Rachel non rimase altro che il buio.

Un buio che l’avrebbe perseguitata per il resto della vita.

 

***

 

Il cielo stellato della notte comparve all’improvviso di fronte a lei, rimpiazzando l’oscurità. Un dolore terribile la colpì ad un braccio e ad una gamba. Gemette. O meglio, lei lo avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Si rese conto di muoversi senza il suo volere, e ogni passo le causava una lancinante fitta di dolore. Camminava su un tetto, quasi barcollava, tenendosi con una mano il braccio ferito. La cosa più scioccante era che aveva solamente un occhio aperto.

Faticava a respirare, sentiva come se ci fosse qualcosa di fronte al naso che la opprimeva.

Si fermò all’improvviso, appoggiandosi contro la parete di un’uscita di emergenza. Piegò il capo e tossì goffamente, graffiandosi la gola. Non appena quei colpi di tosse giunsero alle sue orecchie, capì ogni cosa.

Stava succedendo, di nuovo. Non più con Hank, tuttavia, ma con... con...

«Wilson.» Una voce si sollevò in aria all’improvviso, soffiando quel nome con disprezzo, come se fosse il peggior insulto esistente sul pianeta.

Rachel si voltò. O meglio, Wilson, si voltò. Sotto lo sguardo della sua unica pupilla, apparve Jeff Dreamer. Il Visionario osservava l’uomo con sguardo severo e truce, stringendo con forza la presa attorno al bastone da passeggio.

«Sei arrivato, dunque.» L’ultima persona che lei avrebbe immaginato di vedere, fu proprio quella che Slade accolse con indifferenza, malgrado la sua critica condizione di salute.

«Sì, Wilson, sono arrivato.» La lama a serramanico sbucò dall’estremità del bastone e il Visionario cominciò a camminare verso di lui. «Questa è la resa dei conti. Non mi sfuggirai di nuovo.»

Deathstroke estrasse l’unica  katana rimastogli  con la mano che poteva ancora utilizzare, ma ricevette una dolorosa fitta di dolore nel fare ciò. Mugugnò sommessamente, poi si mise in posizione. «Non è leale combattere contro un avversario ferito» commentò, mentre Jeff continuava ad avvicinarsi molto lentamente, prendendosi tutto il tempo del mondo.

Il ragazzo si fermò, abbozzando un sorriso sadico. «Senza i tuoi poteri ci impiegherai almeno qualche settimana per guarire completamente. E io non ho tutto questo tempo.»

Slade sgranò l’occhio quando udì quelle parole. «Come sai dei poteri?»

«Spirito di osservazione. Dopo che la tua conduit da laboratorio ha ridotto la tua gamba in quelle condizioni così pietose, era praticamente impossibile che tu riuscissi a scappare da quell’hotel. C’era sicuramente qualche trucco sotto. E quel trucco l’ho scoperto nella Low Sub, quando hai ucciso Jade. Anche se, francamente, non avrei mai immaginato che anche tu fossi un conduit. E tutta quella storia sulla genetica... ammetto di essere rimasto senza parole.

«Sapevo già che attaccandoti non avrei avuto possibilità, considerando inoltre il tuo potere, quindi ho lasciato che fossero Rachel e i suoi amici a combatterti. Io ho semplicemente radunato i miei uomini e atteso il momento opportuno per sferrare il colpo di grazia, e quel momento è stato dopo che Rachel ti ha sottratto i poteri. Perché è andata così, dico bene?»

Wilson strinse la presa attorno al manico della katana, rabbuiandosi. «Allora te ne sei accorto... non credevo che fossi così sveglio.»

«Ho imparato dal peggiore.» Dreamer si sgranchì il collo, roteando il bastone. «E ora, pagherai per ciò che mi hai fatto. Per ciò che ci hai fatto.»

«Lo sai che non ti permetterò di uccidermi così facilmente, vero? Non ho passato tutto questo tempo a cercare di scoprire i segreti dei conduit per poi farmi eliminare da un moccioso come te. Non distruggerai tutto il mio lavoro di mesi.»

«Ne sono consapevole, vecchio. Ma a me non importa!» Jeff partì alla carica per primo. «Ne rimarrà solo uno, e sarò io!»

Sferrò un fendente con tutta la sua forza verso l’addome di Wilson, mirando quello che l’uomo avrebbe faticato di più a proteggere, ma Slade riuscì comunque a proteggersi roteando la katana verso il basso e muovendo il busto.

Dreamer sgranò gli occhi, sorpreso.

«Credevi davvero che sarebbe stato così facile?» lo incalzò il mercenario.

Jeff serrò la mascella, poi tentò un nuovo affondo all’altro fianco, ma anche questo fu deviato senza troppe difficoltà dall’uomo.

 «Non ci siamo proprio, moccioso.»

«Silenzio!» sbraitò il Visionario, cominciando a sferrare un fendente dietro l’altro, sempre con più forza, sempre con più rabbia e sempre con più rapidità.

Dal canto suo, Wilson continuò a difendersi da ogni attacco, ma fu anche costretto a dover indietreggiare. Diverse volte ricevette terribili fitte di dolore al braccio e alla gamba, a causa della furia del suo avversario, ma tenne comunque stretti i denti.

Continuò a difendersi, cercando di guadagnare tempo e stancare il proprio avversario, poi decise di contrattaccare. Parò l’ennesimo attacco e le lame rimasero incrociate a mezz’aria, a quel punto cercò di sferrare una ginocchiata al Visionario, ma quello saltò all’indietro, evitandola.

Slade cominciò ad inferire con altrettanta brutalità, mulinando quella katana che chissà quante vite aveva già strappato. Dreamer, tuttavia, mostrò un’incredibile agilità evitando tutti quegli attacchi, scansandosi, rotolando e saltando. Il giaccone nero svolazzava ogni volta che il ragazzo si muoveva bruscamente, ma a questo non sembrava dare molto fastidio.

Jeff evitò un altro attacco, saltando all’indietro ed atterrando sopra un grosso cabinato contenente delle ventole di areazione. A quel punto gridò e si gettò in picchiata sul nemico, mirando la sua gola. Slade si scansò, mugugnando per una fitta alla gamba, poi ricambiò il gesto con la katana, ma Dreamer piegò le gambe e si protesse con il suo bastone.

«Sono anni che mi preparo per questo scontro, Wilson. Non mi sconfiggerai tanto facilmente!» sibilò Jeff, roteando con un gesto secco l’arma, allontanando da essa la spada di Deathstroke e facendolo indietreggiare.

Si avventò su di lui, questa volta mirando al torace, ma ancora una volta Slade deviò l’attacco. «E io combatto da prima che tu macchiassi il pannolino, sei tu quello svantaggiato!»

Abbatté la lama sull’avversario, che rotolò di lato, evitandola. Dreamer si rialzò, partendo alla carica con un attacco rotante. «Ma io ho tutti e quattro gli arti!»

Ancora una volta, le armi si incrociarono e rimasero ferme. I due rimasero fermi per un momento, faccia a faccia, lama contro lama. Entrambi mugugnarono per lo sforzo di dover tenere salda la presa attorno ai manici, Slade per via degli handicap fisici, Dreamer per via della comunque notevole forza dell’uomo.

Nonostante le ferite, Wilson stava dando parecchio filo da torcere al Visionario. Ma allo stesso tempo, Jeff si era rivelato molto più temibile di quanto il mercenario potesse immaginare.

«Credo proprio... che la tireremo per le lunghe...» osservò Deathstroke, con il braccio che tremava per lo sforzo.

«Bene così. Non ho impegni questa notte» rantolò il Visionario in risposta, per poi ritrarre di scatto il bastone, facendo sbilanciare l’uomo e sferrandogli un calcio all’addome. «E tu?!»

Il mercenario fece un verso soffocato, ma si risollevò immediatamente, giusto un secondo prima che la lama di Dreamer gli trafiggesse la schiena. Si protesse con la katana, le armi si incrociarono di nuovo. Un minuscolo sorriso increspò le labbra di Wilson, velato tuttavia dalla maschera. «I miei complimenti. Sei quasi riuscito a farmela, Joe.»

Dreamer sgranò gli occhi. Parve più colpito da quel nomignolo, che da qualsiasi altro attacco. Ma ci mise ben poco per riprendersi. «Non chiamarmi così!» ululò, sferrando un altro calcio che questa volta andò a vuoto. Slade saltò all’indietro, ignorando il dolore lancinante alla gamba.

Roteò la katana. I due avversari si osservarono ancora per un breve momento, entrambi con il fiatone. Poi, senza dire altro, ripartirono all’attacco.

Questa volta Slade non si risparmiò. Fingendo di non avere nessuna ferita grave, attaccò il Visionario con tutto quello che aveva, e la stessa cosa fece Jeff.

La luna osservò i due nemici mentre si cimentavano in un susseguirsi quasi infinito di affondi, stoccate, sferzate, schivate e parate. La loro sembrava quasi una danza, con l’unica differenza che il primo a commettere un errore sarebbe morto.

Saltarono da una parte all’altra del tetto, perfino oltre il bordo per poi atterrare su altri tetti, spostandosi di palazzo in palazzo. Ogni millimetro mosso per Wilson era un’agonia, ma a lui non importava. Non sapeva nemmeno più come facesse a continuare a lottare in quel modo, ormai andava avanti semplicemente per inerzia. Ma non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe visto il suo avversario a terra, sconfitto.

Non sapeva ancora quanto avrebbe resistito, sapeva solo che doveva vincere e concludere quella faccenda di cui da tanti anni sapeva di essere il principale colpevole, anche se non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Non a lui. Tantomeno a lei. Tantomeno a tutti loro.

Le battaglie per cui il mercenario aveva sempre combattuto non erano mai state davvero importanti per lui, ce n’era sempre stata solamente una che davvero gli era interessata. E l’aveva persa, forse perché, all’epoca, non ci aveva creduto davvero.

E ora ne pagava le conseguenze. E il tutto alla vigilia di quella che, sicuramente, era la minaccia più grande che il loro pianeta avesse mai visto.

Non voleva combattere davvero, non con quel ragazzo che aveva di fronte, ma non aveva altra scelta. Il suo avversario non si sarebbe mai fermato, per nulla al mondo. Nessuna parola, o gesto, sarebbe riuscito a placarlo. Ormai era tardi per quello. Doveva sconfiggerlo, e se per fare ciò avrebbe dovuto ucciderlo, allora, lo avrebbe fatto.

Avrebbe patito le pene dell’inferno, ma lo avrebbe fatto. Lo avrebbe rivisto nei suoi incubi, ma lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe mai perdonato, ma lo avrebbe fatto, comunque, in ogni caso.

Così come aveva fatto quando era stato costretto ad allontanare Rose da sé. Non era stata la scelta più facile della sua vita, tutt’altro, ma anche in quel caso era stato costretto. Non aveva avuto tempo per lei e non avrebbe  nemmeno voluto vederla ammalarsi. Aveva dovuto agire, e basta, ignorando le conseguenze, ignorando i sentimenti altrui, ignorando perfino i suoi stessi.

E adesso non gli restava che concludere anche quella faccenda. Per sempre.

Il bastone di Dreamer si avvicinò. Slade con un grido di rabbia sferrò un potentissimo fendente verso quell’arma, colpendola con il piatto della katana. L’impatto fu devastante, Jeff fu disarmato e sbilanciato all’indietro. Barcollò, stordito ed indifeso. Wilson lo colpì con un calcio allo stomaco, scaraventandolo contro il cabinato di un’uscita di emergenza. Il ragazzo sbatté contro il muro, poi cadde carponi, tossendo.

«Mi dispiace» disse Slade, sollevando la katana, pronto per finirlo.

«No...» sibilò Jeff, scuotendo la testa, per poi muoversi con una rapidità impressionante. «... non è vero!»

Si fiondò contro l’uomo, placcandolo all’addome. Wilson mugugnò di dolore, entrambi caddero a terra, l’uno sopra l’altro, e la spada scivolò dalle mani del mercenario.

Dreamer mosse il proprio braccio di scatto, con un gesto secco, e un coltello sbucò fuori dalla manica. Lo afferrò al volo, poi attentò al collo di Slade. Deathstroke notò la nuova arma e sgranò l’occhio. Mosse l’unica mano che poteva controllare e bloccò l’attacco dell’avversario afferrandolo per il polso. Il coltello rimase sospeso a mezz’aria, tra lui e il Visionario. 

«A te... non è mai dispiaciuto niente!» soffiò Dreamer, mentre digrignava i denti per lo sforzo.

«Ti sbagli.» Wilson si alzò di colpo, sferrandogli una testata. Jeff gridò e cadde all’indietro, perdendo il coltello.

Entrambi si risollevarono, gemendo per la fatica. Dreamer aveva il naso che sanguinava, mentre il dolore al braccio e alla gamba di Wilson cresceva inesorabile.

Il Visionario gridò e si avventò sull’uomo, sferrandogli un pugno sul lato del capo, dove la maschera non lo avrebbe protetto. «Io non mi sbaglio affatto!»

Slade non riuscì a spostarsi e fu colpito. Barcollò all’indietro, mugugnando, poi sferrò un pugno a sua volta, colpendo proprio il naso del ragazzo. «Sì, invece! A me importa! Mi è sempre importato!»

Jeff barcollò a sua volta, facendo un verso di dolore. Scrollò il capo per ricomporsi, gocce di sangue caddero dal suo volto, mentre la chiazza rossa si allargava. Si toccò con due dita sotto il naso, per poi ringhiare di rabbia quando notò il colore scarlatto che queste avevano assunto. Ripartì alla carica, sferrando un altro pugno al nemico. «Sei solo uno sporco bugiardo!»

Ancora una volta Slade incassò il colpo, avvertendo una lancinante fitta di dolore alla tempia. Tossì del sangue, che andò a macchiare la maschera dall’interno, riempiendola di un odore nauseabondo. Rantolò di rabbia, poi colpì nuovamente l’avversario, questa volta su una guancia. «E tu sei uno stupido moccioso!»

Questa volta il ragazzo perse l’equilibrio e cadde a terra, di lato. Il cappello gli scivolò dal capo, lasciando scoperti i suoi capelli biondi, mossi e spettinati. Tossì a sua volta, rialzandosi sui gomiti. Rimase a terra per un momento, a riprendere fiato, mentre Wilson lo osservava barcollando, incapace di fare qualsiasi cosa a causa del dolore agli arti.

Poi, Dreamer gridò a squarciagola per la rabbia e si rimise in piedi fulmineamente, voltandosi e sferrando un calcio girato nuovamente alla tempia dell’uomo. Slade osservò la gamba avvicinarsi a lui, impotente, e fu colpito. Ruzzolò a terra, mugugnando per il dolore. Si rese presto conto che quel calcio gli aveva spostato i legacci della maschera da dietro l’orecchio, facendogliela saltare via. La gelida aria della notte sferzò sul suo volto e sulla barba ispida, punzecchiandolo. Alcuni spifferi scivolarono sotto la benda sull’occhio, bruciando sulla cicatrice.

«Se davvero... ti importava...» rantolò Dreamer, nel frattempo. «... allora dov’eri... quando il mondo ci cadeva addosso?!»

L’uomo sollevò lo sguardo e lo vide in faccia. Sentì le propria interiora attorcigliarsi quando notò il suo volto ridotto ad una maschera di sangue, lividi e trucco sbiadito. I suoi occhi verdi scintillanti e la sua bocca contratta in una smorfia trapelavano un misto di emozioni tra la rabbia e anche tra qualcosa di molto, molto più angosciante: la tristezza.

Slade abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo ancora negli occhi. «Mi dispiace.»

«Sì... dispiace anche a me!» Jeff ripartì alla carica, gridando a pieni polmoni.

Wilson si alzò nuovamente in piedi, e lo scontro poté proseguire. Calci, pugni, ginocchiate, gomitate. Nessuno di loro aveva più la forza di schivare i colpi. Jeff si procurò un occhio nero e sputò anche un dente, mentre il sangue continuava a scendere dal suo naso.

Dal canto suo, Slade non era messo molto meglio. Gli si era strappato un sopracciglio, e il liquido vermiglio stava colando sul suo unico occhio buono, impedendogli di vedere nitidamente il proprio avversario, e gli si erano anche tagliate entrambe le labbra.

«Ti odio» biasciò Jeff, in un momento di pausa nel quale entrambi rimasero fermi, con le braccia abbandonate a peso morto accanto ai fianchi, reggendosi in piedi per miracolo.

«Immagino... di meritarmelo...» osservò Wilson, mentre annaspava.

«Ci hai abbandonati, e ci hai trattati come spazzatura. Soprattutto me. Certo che te lo meriti.»

«Lo so. Lo so.» Slade sospirò e chinò il capo, scuotendo lentamente la testa. «Non avrei mai dovuto fare tutte quelle cose. E avrei anche dovuto... imparare ad accettarti... per quello che eri.» Risollevò lo sguardo, osservando quel volto distrutto che era quello del suo avversario, immaginandosi al suo posto quello che aveva il giorno in cui lo aveva visto per la prima volta. «Non potrò mai cambiare ciò che ho fatto in passato... ma ora devi capire che ci sono questioni... molto più importanti da risolvere. Non dobbiamo combatterci. Sei in pericolo, ragazzo. Tu... Rose... tutti quanti.»

«Che genere di pericolo?»

«Devo... tornare... al laboratorio...» biascicò l’uomo, evitando la risposta come in trance. «Mi servono... altri campioni...»

Le forze abbandonarono il corpo di Wilson. Il mercenario cadde a terra, con un lamento soffocato. Il pensiero di rialzarsi immediatamente nemmeno gli sfiorò la mente, esausto com’era. Gli arti non volevano più rispondere ai suoi comandi. Tossì altro sangue, sollevò lo sguardo e vide il ragazzo osservarlo dall’alto, celato dietro un’espressione indecifrabile.

«Non... deve... finire così...» rantolò ancora Slade, cercando a fatica di appoggiarsi sui gomiti, ogni millimetro mosso era un agonia.

«Hai perso, vecchio. Ora basta lottare inutilmente.»

L’uomo sollevò di nuovo lo sguardo, impietrì quando vide la sua stessa katana in mano al Visionario. Dreamer aveva il fiatone, il sangue continuava a colare dal naso, aveva i capelli arruffati e a malapena si reggeva in piedi, ma si avvicinò comunque al mercenario.

«No... aspetta...»

«Ho già aspettato... molto più di quanto tu possa credere... ma ora basta.» Jeff torreggiò su di lui, sollevando la katana con entrambe le mani. «Ho passato tutta la vita... ad aspettare... e le cose sono andate di male in peggio. L’unico modo per aggiustare tutto... è ricominciare da capo. Da zero. Da solo. Senza di te... e senza Rose.»

Slade sgranò l’occhio. «Cosa... che... che cosa hai fatto a Rose?!»

Un sorriso sadico si dipinse sul volto del Visionario. Fu peggiore di qualsiasi risposta, per Wilson.

«Ho fatto ciò che andava fatto. E ora tocca a te.»

Un sentimento che mai Deathstroke aveva provato affiorò dentro di lui.

Paura.

Un sentimento terribile, straziante, che fece capire al mercenario quanto impotente fosse in quel momento. «Rose... bambina mia...» sussurrò, mentre sentiva l’occhio inumidirsi. «No...»

Sollevò lo sguardo, osservando quel ragazzo con sguardo implorante. «Joseph... ti scongiuro...»

«Joseph è morto. Sei stato tu ad ucciderlo. Ora c’è solamente Jeff Dreamer. E lui... diventerà l’imperatore di questo mondo marcio che è rimasto ad osservarlo mentre la sua vita scivolava nell’oblio!» Nello sguardo del Visionario balenò una luce maligna. «Osserva con i tuoi occhi, ciò che TU hai creato. Hai gettato benzina sulle fiamme del mio odio per anni e anni! Tu mi hai fatto questo! Tu mi hai trasformato in un mostro! E ora tu ne pagherai le conseguenze. Ucciderò te, i tuoi uomini, porterò via tutto quello per cui hai combattuto, farò crollare le tue speranze come un castello di carte!

«Prenderò Sub City sotto il mio comando, cancellerò ogni traccia del tuo governo, la gente imparerà a rispettarmi, tutti si inchineranno di fronte a me, volgendomi il rispetto che merito! Dovranno temermi, amarmi, pregare che io sia clemente e che non uccida le loro famiglie davanti ai loro stessi occhi! Spazzerò via il tuo impero, e sulle sue ceneri ci costruirò il mio, proprio come tu stesso avevi previsto! Da oggi in poi, si giocherà secondo le mie regole. Il cambiamento è arrivato, infine. Hai perso la guerra, vecchio. E ora soffri, soffri come ho sofferto io!»

Il ragazzo calò la katana, trafiggendo la schiena dell’uomo, facendolo gridare di dolore. Il suo fu un urlo straziante, la cosa peggiore che qualcuno avrebbe mai potuto udire. Un urlo fatto di dolore fisico e mentale. L’urlo di un uomo che aveva lottato fino allo stremo delle forze per una causa nella quale credeva fino in fondo, e che aveva perso. L’ urlo di un uomo che assisteva in prima persona alle conseguenze che il suo stesso comportamento avevano provocato. L’urlo di un uomo che era stato privato di tutto ciò che gli era rimasto per mano di una persona che, in profondo, ancora amava.

Il suo ultimo pensiero andò a ciò che era sicuramente stato il suo tesoro più prezioso. Ciò di cui era sempre stato orgoglioso, ciò che avrebbe dovuto difendere fino allo stremo delle forze, e che invece aveva perso nel modo più orribile di tutti.

Il dono che la donna che aveva amato anni addietro gli aveva portato. Tre doni, per l’esattezza:

Grant, il primogenito, il suo orgoglio, il suo sé stesso ma più giovane, testardo, astuto, forte, incapace di arrendersi e di ammettere la sconfitta.

Rose, la sua bellissima figlia, leale, coraggiosa, sportiva, sempre con il sorriso stampato sulle labbra, gentile e buona come il pane.

E per finire l’ultimo ma non per importanza, quello che, nonostante le sue difficoltà, sicuramente avrebbe potuto essere il più promettente dei tre, dotato di un intelligenza sopraffina, un vero e proprio bambino prodigio.

Così volle ricordare i suoi tre figli nel suo ultimo attimo di vita, ossia per ciò che erano stati in passato, e non per ciò che erano diventati per colpa sua.

«È sempre più buio prima dell’alba. Peccato che l’alba non giungerà mai più a Sub City» sibilò ancora Dreamer, in un momento in cui Deathstroke fu ancora in grado di sentirlo. «La città ora è mia. E non preoccuparti per il tuo caro laboratorio, ci hanno già pensato i miei uomini a bruciare tutto quanto.»

Jeff ridacchiò, mentre l’uomo, ormai ad un passo dal grande salto, gli rivolgeva un’ultima occhiata carica di sconforto.

«Ci rivedremo all’inferno, padre

La katana fu estratta dalla schiena. L’oblio avvolse il corpo di Wilson Slade.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto, colpita come da una doccia gelata. Si alzò di scatto, la coperta scivolò via dal suo corpo, lasciandola al gelo.

Un turbinio di pensieri e immagini sfocate e confuse impazzavano nella sua testa come un uragano. Riuscire a cogliere qualcosa di sensato in mezzo a quel pandemonio le fu impossibile.

Gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte. Rabbrividì, ma non solo per gli spifferi d’aria. Tutto quello che aveva visto, udito, percepito... non le sembrava minimamente possibile.

Dai sentimenti che Wilson le aveva inviato senza nemmeno rendersene conto, alle parole che lui e Dreamer si erano scambiati, al loro cruento scontro.

Il fatto che lei aveva assorbito i poteri di Wilson per poi, in seguito, osservare il mondo dai suoi occhi come anche era accaduto con Hank, la vera identità di Jeff, Rose, la terribile minaccia di cui Slade aveva accennato, la morte dello stesso mercenario.

Improvvisamente, molti più tasselli del mosaico andarono a comporsi insieme, e il disegno in esso raffigurato cominciò ad apparire più chiaro agli occhi di Rachel. E più tutto questo accadeva, più lei sentiva dei brividi percorrerle la spina dorsale.

Jeff Dreamer... Joseph Wilson. Figlio di Slade Wilson. Fratello di Rose Wilson. In cerca di vendetta per i torti subiti in passato... alla disperata ricerca di un nuovo inizio, un inizio che comprendeva lui e lui soltanto. Nemmeno Rose, la sua stessa sorella, meritava di farne parte.

Rose... la ragazza che Rachel e i suoi compagni avevano trovato morta nel loro stesso rifugio... assieme a Ryan.

Rachel comprese. Comprese tutto quanto. La verità fu un pugno allo stomaco, per lei. Anzi, peggio ancora.

Era stata usata.

Tutto faceva parte del piano di Dreamer, ogni cosa. Mentre lei tentava disperatamente di salvare la vita di Tara, il Visionario tesseva la sua fitta ed intricata ragnatela. Aveva permesso che la sua stessa luogotenente morisse, la stessa ragazza che invece lo aveva ammirato e dipinto come un salvatore.

Jade, Rose, Ryan e chissà quante altre decine di uomini e donne che costituivano i suoi Visionari erano morti per permettergli di perseguire il suo scopo. Non avevano davvero lottato per la libertà che era stata loro promessa, erano solamente stati dei burattini nelle mani del loro capo, che in realtà aveva sempre e solo voluto vendetta. E ora, Rachel dubitava perfino della colpevolezza di Wilson.

Aveva fatto cose orribili, vero, ma lei era appena stata nella sua mente. Aveva percepito i suoi sentimenti, le sue emozioni, il suo profondo dispiacere, e aveva anche capito che tutto ciò che Deathstroke aveva fatto, era davvero stato per proteggere le persone da un qualcosa di talmente pericoloso e potente che perfino lui stesso aveva temuto. Un qualcosa che nemmeno lei era riuscita a comprendere, ma che era molto più vicino di quanto potesse immaginare, o che addirittura era già arrivato. Qualcosa che avrebbe ucciso tutti i suoi amici, e forse anche lei.

Certamente, Wilson non era buono. Ma non era nemmeno il cattivo che aveva creduto lui fosse. L’unico, vero, cattivo che esisteva a Sub City... era Dreamer. Un folle disposto a sacrificare tutto quello che aveva, persone, amici, perfino famigliari, per perseguire una stupida vendetta. E lei lo aveva aiutato.

Lo aveva aiutato a vendicarsi, anzi, di più. Sottraendo i poteri a Wilson, lei gli aveva le aperto le porte per il controllo di Sub City. Ora lui avrebbe dettato le regole in quella città. Aveva detronizzato Slade... solamente per prendere il suo posto, per distruggere tutte le sue ricerche e poter completare la sua vendetta nel migliore nei modi.

E Rachel lo aveva perfino abbracciato. Aveva abbracciato l’assassino del suo amico. L’assassino dell’unico uomo che, forse, era davvero in grado di salvare il mondo, anche se non si sapeva ancora da cosa.

Non solo Jeff aveva tradito i suoi alleati, ma aveva anche condannato il mondo privandolo della vita dell’unica persona che davvero sapeva cosa stava succedendo, che forse perfino sapeva quale fosse la causa delle esplosioni. Wilson Slade... per tutto quel tempo aveva detto il vero. Non era lui la minaccia da combattere. Se lei e i suoi amici non si fossero messi in mezzo, probabilmente lui non avrebbe mai fatto loro del male.

La corvina sentì la bile salire in bocca. E poi la rabbia. E infine, un profondo senso di vuoto, amarezza e tristezza.

L’immagine di Ryan che ridacchiava insieme a lei, seduto al tavolo di quella tavola calda, balenò nella sua mente. Era successo il giorno prima, ma a lei sembravano passati anni. Una lacrima solitaria solcò la sua guancia. Usata, affranta e con un amico in meno, ecco com’era. Anzi, non solo lei, ma tutti i suoi compagni.

E la cosa peggiore in assoluto era che era stata proprio lei a chiedere aiuto a Dreamer. Se non fosse stato per lei, forse Ryan sarebbe stato ancora vivo. Sentì una morsa al cuore quando ebbe quel pensiero.

Era... anche colpa sua. Era soprattutto, colpa sua.

Inspirò profondamente, poi si alzò dal materasso e scese al piano di sotto. Doveva raccontare a tutti gli altri che cosa aveva visto. Ad Amalia in primis. Doveva dirlo anche a lei, principalmente a lei, e assumersi le sue responsabilità. O così, o non sarebbe più riuscita a dormire di notte.

Credeva che forse era troppo presto e che gli altri stessero ancora dormendo, ma nella sala relax trovò Lucas, con in mano uno straccio, intento a strofinare le chiazze di sangue sul pavimento. Accanto a lui c’erano due secchi, uno blu e uno rosso, il primo dei quali aveva altri stracci appesi sul bordo.

La ragazza dischiuse le labbra quando lo notò. Il moro non ci mise molto ad accorgersi della sua presenza e si voltò verso di lei. I loro sguardi si incrociarono. Nei suoi occhi, Rachel lesse il nulla.

«Non riuscivo a sopportare l’idea che qui ci fosse ancora il suo sangue» spiegò lui, sinteticamente, con tono incolore, per poi rimettersi a strofinare.

Rachel rimase in silenzio, annuendo lentamente. Prese uno straccio dal secchio blu e lo bagno nell’acqua al suo interno, poi si chinò accanto a lui per poi dargli una mano. Cancellava una traccia di sangue, spremeva lo straccio nel secchio rosso facendo colare i residui, lo immergeva di nuovo in quello blu e ricominciava. L’odore del sangue a contatto con l’acqua era alquanto sgradevole, ma si costrinse ad ignorarlo.

Andarono avanti così a lungo, in silenzio. Corvina aveva ancora tutte quelle cose da dire, ma decise che prima avrebbe atteso anche gli altri.

Malgrado tutto, quel momento con la sua compagnia di Lucas riuscì a farla sentire più tranquilla. Se non altro, c’era anche lui.

Improvvisamente, Rosso smise di pulire il pavimento per portarsi l’avambraccio di fronte alla bocca. Tossì parecchie volte, questa volta piegandosi perfino. Rachel si allarmò e avvicinò una mano verso di lui, ma il moro la rifiutò con un cenno. Dopo diversi altri colpi di tosse, riuscì a placarsi. «Sto bene, tranquilla. È solo... quest’odore che mi da un po’ alla testa. Forza, finiamo... questa cosa.»

La conduit annuì timidamente, anche se la sua risposta non la convinse molto.

Ci misero un’altra buona mezz’ora, ma poi finirono tutto. Svuotarono i secchi nel lavandino e buttarono via gli stracci, poi si accomodarono sul divano, rimanendo entrambi in silenzio. Le loro spalle si sfiorarono, Rachel sentì un brivido percorrerla, ma rimase comunque ferma dov’era.

Avrebbe voluto dire qualcosa per smorzare quel silenzio, ma non le venne in mente niente. Non le fu, tuttavia, necessario soffermarsi a lungo su quel pensiero, perché la porta si aprì all’improvviso.

Entrambi si voltarono, per poi notare la figura di Amalia in piedi sull’ingresso. Rachel avvertì una stretta allo stomaco quando la vide. Aveva il viso smorto, i capelli arruffati e gli occhi rossi di pianto. Non c’era più alcuna traccia della ragazza arrogante che Corvina aveva conosciuto.

Komand’r entrò nella stanza e vide i due ragazzi seduti. Li osservò per un momento, senza aprire bocca, gli occhi che non trapelavano alcuna emozione al di fuori dello sconforto.

Lucas si alzò in piedi e si mise di fronte a lei. Amalia spostò dunque lo sguardo su di lui. Rimasero fermi per un attimo, poi le labbra della mora tremolarono. La ragazza chinò il capo e cominciò a singhiozzare. A quel punto, Rosso si avvicinò a lei e la abbracciò. Il pianto di Komi si intensificò. La sorella del defunto Ryan appoggiò la fronte sulla spalla del compagno e si strinse con forza a lui, continuando a singhiozzare sempre con più intensità.

Rachel si alzò a sua volta, anche lei con gli occhi lucidi, e si unì a loro. Cinse sia Amalia che Lucas per i fianchi, Komand’r separò un braccio da Red X per accogliere anche la corvina, e poco dopo si ritrovarono tutti e tre stretti in un unico grande abbraccio.

Alle spalle di Amalia, sulla porta, Rachel notò Tara. La bionda era ferma ad osservare la scena, anche lei con i lucciconi agli occhi. Non si aggiunse a loro, probabilmente aveva paura di scoppiare di nuovo a piangere. Entrò semplicemente nella stanza e attese che i suoi compagni terminassero.

Passarono diversi, lunghi, interminabili minuti, nei quali Amalia espresse tutto il suo dolore, poi, infine, riuscì a placarsi. I tre si separarono, la mora cercò di ripulirsi dalle lacrime.

Quando il silenzio scese nuovamente nella stanza, la corvina intuì che era giunto il suo momento. Inspirò profondamente, raccolse tutta la forza di volontà che quel momento così grigio riuscì a concederle, poi attirò l’attenzione dei suoi compagni.

«Ragazzi...» mormorò, ricevendo gli sguardi di tutti i presenti. La corvina esitò, quando ripensò a come anche Ryan sarebbe rimasto ad ascoltarla, se solo ci fosse ancora stato. Deglutì, poi prese coraggio e andò avanti: «Devo... dirvi una cosa.»

 

 

 

 

 

 

Con un giorno di anticipo, perché io vi voglio tanto bene. Spero che siate ancora tutti interi, dopo la valanga di informazioni appena ricevute. Se vi sentite un po' spaesati, state tranquilli, è tutto normale. Personalmente, ho amato questo capitolo. Penso che sia il mio preferito tra tutti, in assoluto. Qualcun altro sarà di un avviso differente, ma vabbé, son gusti.
E quindi... bon.
Potrei dire tantissime cose, ma finirei solo con l'annoiarvi. Se volete avere le idee più chiare, potete cercarvi la biografia di Deathstroke sull'internet, scoprirete che ha davvero tre figli, e che non mi sono inventato nulla.
Certo, Joseph in realtà non è per niente come l'ho dipinto io, anzi, tutt'altro, ma vabbé, è proprio qui che entra in scena l'autore. Lui può fare l'inimmaginabile. A dire il vero, all'inizio pensavo di rendere Jeff solo un vecchio amico della famiglia Wilson, di Rose in particolar modo, ma poi Joseph mi è balzato davanti agli occhi di botto, e ho avuto l'illuminazione. Credo, inoltre, che il tutto abbia reso molto, mooolto meglio. Sia chiaro, questo è quello che penso io, sono comunque sempre aperto ad ascoltare differenti opinioni. Naturalmente, il cambio repertino del background di Jeff ha scombussolato un po' le cose, ma alla fine è stata la cosa migliore per la trama.
E niente. Abbiamo scoperto la verità - buona parte, almeno - su Dreamer e Slade, su chi sia veramente chi e cosa. Io non intendo sbilanciarmi, lascerò che siate voi a decidere chi dei due abbia ragione, chi torto, chi sia davvero "buono" e chi sia davvero "cattivo". Questo perché io per primo ammetto che non è affatto semplice prendere una decisione. Entrambi hanno le loro colpe, e allo stesso tempo le loro ragioni per comportarsi nel modo in cui si sono comportati.
Jeff voleva vendetta, Deathstroke voleva "salvare il mondo". Da cosa? Ottima domanda. Questa, era la domanda giusta. Purtroppo però le mie risposte sono limitate.
Poi, penso che ormai sia chiaro cosa sa fare Rachel, senza saperlo, con i suoi poteri.
Ryan non ce l'ha fatta, tantomeno Rose. Immagino sia chiaro chi sia stato il loro assassino. E posso ben lasciarvi immaginare che cosa succederà adesso. Per adesso, i capitoli più frenetici sono finiti, ma manca ancora un pezzettino prima della fine. Ci sono ancora delle questioni da risolvere, delle identità da svelare, dei passati da chiarire... insomma, c'è ancora una bella carrellata di roba.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io mi sono impegnato a mille. Credo che tutti abbiano capito che, alla fine, Slade sia stato sopraffato dalla stanchezza, al termine del combattimento, ecco perché ha perso. Combattere in quel modo con un braccio e una gamba fuori uso non credo faccia molto bene.
Piccola nota tecnica, durante il combattimento tra i Wilson, io mi immaginavo in sottofondo
questa canzone, che ritengo sia la theme perfetta per Dreamer, da qui deriva inoltre la sua frase"guerra dei cambiamenti".

Ho detto tutto. Come al solito, ditemi la vostra, che io la ascolto volentieri.
Ora vado a studiare per la matura (ouch), alla prossima!


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Capitolo 23
*** Simili, ma diversi ***


Capitolo 23: SIMILI, MA DIVERSI

 

 

Rachel raccontò ogni cosa. Partì dal principio, narrando ai suoi amici di come sognasse di trovarsi nel corpo di Hank, di come gli aveva sottratto i poteri e di come, in qualche modo, fosse riuscita a creare un legame psichico con lui, prima che questi morisse.

La stessa cosa era poi successa con Wilson. Aveva visto il mondo dai suoi occhi, aveva assistito in prima persona al suo combattimento con Dreamer giusto poche ore prima.

Più parlava, più le sembrava difficile farlo. Gli sguardi di tutti, l’attenzione di tutti, erano concentrati su di lei. Pendevano dalle sue labbra, non sembravano mai essere stati così vigili e attenti come lo erano in quel momento. E la cosa peggiore era che non era nemmeno arrivata alla fase più saliente.

Il suo corpo cominciò ad opporsi alla mente, mentre tentava di spiegare cosa aveva scoperto su Dreamer. La sua bocca si muoveva sempre con più fatica, il tono della sua voce si abbassava esponenzialmente, ad un certo punto temette perfino che nessuno di loro riuscisse più a sentirla.

Infine, concluse il racconto. Dreamer era il figlio di Wilson, il fratello di Rose, e lui stesso aveva ucciso proprio quest’ultima, molto probabilmente riservando lo stesso trattamento anche a Ryan, che si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Erano stati usati, tutti quanti. Non erano stati altro che pedine nella scacchiera del Visionario.

Un opprimente silenzio scese nella stanza quando la corvina terminò di parlare. Nessuno disse nulla, nessuno fece nulla, continuarono solamente ad osservarla.

Il loro comportamento la fece sentire a disagio, in particolare quello di Amalia, la quale, tra tutti, sembrava la più pietrificata.

«È... colpa mia...» sussurrò Corvina, chinando il capo, mentre un misto di rabbia e tristezza di sollevavano dentro di lei come un tornado. «Io... io...»

Si interruppe di scatto, quando sentì un grido che le fece sanguinare i timpani. Sollevò gli occhi, giusto un attimo prima che Amalia si fiondasse su di lei. Rachel urlò per la sorpresa, ma non riuscì a fare altro; Komand’r la colpì allo stomaco ed entrambe caddero a terra.

La corvina sentì il fiato mancarle, poi drizzò il capo, semplicemente per ricevere un pugno in pieno volto, che le fece sbattere la testa all’indietro, sul pavimento. Gemette per il dolore, poi ricevette un altro pugno, sull’altra guancia, e avvertì il sapore metallico del sangue in bocca. Tossì, cercò di guardare Amalia, con le lacrime agli occhi, ma non ci riuscì perché ricevette l’ennesimo pugno.

«Lui è morto! MORTO!» gridò Amalia, con la voce rotta per la rabbia, colpendola ancora una volta. «Ti odio Roth! TI ODIO!»

«Mi... dispiace...»

Le dita della mora si attorcigliarono attorno al collo della conduit e cominciarono a stringere la presa. Corvina sentì il fiato mancarle, poi Komand’r le sollevò la testa, per poi sbatterla nuovamente sul pavimento. La vista di Rachel si offuscò, cominciò a vedere solamente del nero attorno a lei.

«LE SCUSE NON LO RIPORTERANNO INDIETRO!»

Corvina boccheggiò, impotente. Quella frase fu una pugnalata al cuore, per lei. Tentò di parlare ancora, poi la sua testa venne sollevata una seconda volta. Sapeva che ricevendo un altro colpo come quello, probabilmente sarebbe svenuta, o anche peggio, ma la sola idea di difendersi da Amalia le fece salire la bile. Se lo meritava, dopotutto.

Udì delle altre grida, queste andarono ad accavallarsi le une sulle altre, impedendole di capire cosa stesse accadendo. Improvvisamente, la presa attorno al suo collo fu allentata e riuscì di nuovo a respirare correttamente. Le macchie nere cominciarono a svanire dai suoi occhi, e poté scorgere la figura di Amalia mentre veniva imprigionata tra le braccia di Lucas e trascinata via da lei.

«Lasciami andare! LASCIAMI SUBITO!» gridò lei, scalciando e dimenandosi. «Bastardo, questa cosa non ti riguarda!»

«Certo che mi riguarda!» ribatté lui per tutta risposta. «Uccidere Rachel non ti restituirà Ryan!»

«Zitto, ZITTO!»

Rachel si rialzò sulle ginocchia. Si sentiva da schifo, e non per via del dolore al volto e alla testa. Drizzò il capo, vide Lucas mentre lasciava la presa dal corpo di Amalia, quasi scaraventandola via da sé, lontano da lui e lontano anche da Rachel. Komand’r barcollò, poi si voltò verso di lui, ringhiando come un lupo famelico. «Ryan era mio fratello, brutto figlio di...»

«Basta!» si intromise Tara, parandosi di fronte alla mora allargando le braccia, quasi come a fare da barriera tra lei e Lucas, nonostante fosse più bassa di entrambi di almeno cinque centimetri.

Non appena vide la bionda, Komand’r sembrò calmarsi un poco. Smise di ringhiare, ma la sua espressione infuriata non mutò minimante. Strinse i pugni. «Tara... non ti ci mettere anche tu...»

«Non è Rachel quella che devi accusare» rispose la bionda, con calma. «E tu lo sai meglio di me. Senza la sua idea, io non sarei qui. La colpa è di Dreamer, è stato lui ad uccidere Ryan.»

«Avremmo potuto salvarti anche senza di lui!» urlò Amalia, chinando la testa per poter fronteggiare meglio la compagna.

«Forse. O forse sareste morti anche voi nel tentativo. O magari non sareste riusciti ad arrivare in tempo e sarei morta io.» Tara posò una mano sulla spalla di Komand’r, ammorbidendo la sua espressione. «Ascolta, so che sei arrabbiata, infuriata, ma litigare con Rachel non ti porterà a niente. Lei ha fatto ciò che ha fatto in buona fede, non poteva sapere che Dreamer l’avrebbe ingannata in questo modo.»

La bionda allontanò lentamente la mano dalla sua spalla, senza staccarle gli occhi di dosso. Amalia fece lo stesso. Le due ragazze rimasero ferme, a scrutarsi, in silenzio. Infine, dopo quelle che parvero eternità, la mora abbassò lo sguardo e rilassò le mani, sciogliendo i pugni. Per un attimo parve che le parole di Tara avessero davvero avuto effetto su di lei, ma poi scosse la testa.

«No...» rantolò, drizzando di nuovo lo sguardo, trafiggendo Tara con un’occhiataccia carica di freddezza. «... ti sbagli.»

La neo conduit sussultò. «Amalia... ti prego...»

Komand’r la ignorò ed indietreggiò di un passo da lei. La scrutò ancora per un momento, poi posò lo sguardo prima su Rosso, poi sulla stessa Rachel. Quando i loro occhi del medesimo colore si incrociarono, Rachel vide prima Stella al suo posto, e poi Ryan. E ciò le fece male. Gliene fece parecchio.

Non riuscì a dire o fare nulla, mentre osservava la mora allontanarsi da Tara e avvicinarsi alla porta. Esattamente sull’uscio si fermò, poi indicò proprio la corvina. «Se ci rincontriamo...» cominciò a dire, con voce carica di odio e collera. «... spara per prima.»

E detto quello uscì dalla stanza, per poi non riapparire più.

I tre ragazzi rimasti rimasero immobili. Un silenzio opprimente calò in mezzo a loro. Sembrava quasi che tutti loro stessero aspettando che Amalia ritornasse. Cosa che, naturalmente, Rachel sapeva che non sarebbe avvenuta.

«A-Amalia...» Tara fu la prima a riscuotersi, per poi sgranare gli occhi. «Amalia!»

Fece quasi per mettersi a correrle dietro, ma Lucas le posò una mano sulla spalla. La bionda si voltò verso di lui, sorpresa. Il moro, senza aprire bocca, si limitò semplicemente a scuotere la testa. Tara lo osservò perplessa, mordendosi un labbro, poi sospirò e annuì lentamente. Chinò il capo, i capelli le caddero di fronte agli occhi, celando la sua espressione addolorata. «Komi...» mormorò, prossima al pianto.

Lucas si passò una mano fra i capelli, sospirando rumorosamente a sua volta. In quel momento, Rachel pensò che non sarebbe mai più riuscita a guardare negli occhi quei due ragazzi. Quel gruppo che aveva creduto fosse diventata la sua nuova famiglia di era appena sfaldato, per colpa sua. Ryan non c’era più, e Komand’r se n’era andata, forse non sarebbe nemmeno più tornata.

Per colpa di Rachel, Amalia aveva perso l’ultima persona a lei cara che le fosse rimasta. Ora la odiava a morte, anzi, la voleva morta. Quella ragazza con cui aveva creduto di aver stretto un legame solido, che pensava quasi di poter chiamare amica, ora non avrebbe esitato a puntarle una pistola alla testa e spararle un colpo in piena fronte.

Ha perso tutto, per colpa mia... proteggere Ryan era la sua ultima ragione di vita... e ora lui... lui...

Rachel sgranò gli occhi all’improvviso, realizzando una cosa di vitale importanza. Dischiuse le labbra, drizzando lo sguardo di colpo, verso la porta.

«No...» sussurrò. «Non può farlo davvero...»

«Come?» le domandò Lucas, sentendola. «Hai detto qualcosa?»

La corvina si voltò verso di lui, mordendosi un labbro. Lucas. L’aveva sempre difesa, sempre, anche in quel momento in cui lei era davvero l’unica da accusare. E lo stesso aveva fatto Tara, nonostante i loro difficili trascorsi. Nonostante tutto, nonostante la bionda sembrasse aver instaurato un legame molto più profondo con Amalia che con lei, l’aveva comunque difesa dalla stessa Komand’r.

«Ragazzi...» mormorò timidamente. «Grazie... grazie di tutto... vi... vi voglio bene.»

«Ehm...» Lucas inarcò un sopracciglio, anche la Markov la scrutò perplessa con i suoi tristi occhi.

Qualunque cosa il suo partner volesse dire, lei non attese che finisse. Si tirò il cappuccio sui capelli e corse verso la porta, sguardo basso, pugni stretti e mascella contratta.

«Rachel!»

La ragazza ignorò quel grido e tirò dritto, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Uscì dal magazzino e si trasformò immediatamente. Si alzò in volo, senza più guardarsi alle spalle, diretta verso quel luogo che già due volte aveva visitato, e che di conseguenza sperava di non dover rivedere mai più dopo quel giorno.

 

***

 

Voci, sensazioni, immagini, pensieri, parole, la sua mente ora era un mix di tutto ciò.

Dall’abbandono di sua madre, al collegio, al giorno in cui lei e Richard si erano conosciuti, fino a quello dell’esplosione.

E poi il dopo. La quarantena, i Mietitori, l’appartamento che condivideva con Tara, le scorte di cibo, i suoi poteri che si manifestavano, Empire che cadeva a pezzi, Lucas e poi di nuovo Richard.

E successivamente gli Spazzini, Amalia e Ryan, la baraccopoli nel Dedalo, di nuovo Tara, il Jefferson Tunnel, l’addio definitivo di Richard, la partenza da Empire, Kevin e Dominick.

L’arrivo a Sub City, il loro rapimento per mano di Dreamer, il magazzino della Safe Travel, la morte di Hank, l’incontro con gli UDG, il rapimento di Tara, di nuovo Kevin, Rose, Deathstroke, la nascita di Terra, Jade e la storia della comunità, il combattimento con Slade, la morte di Jade seguita poi da quelle di Rose, Ryan e dello stesso Slade.

Più volava, più ricordi affioravano dalla sua psiche, più si sentiva infuriata.

Sub City era una nuvola confusa di palazzi e strade che sfrecciava sotto di lei. Un luogo pieno di insidie, marcio, corrotto, reso tale dalle bande di degenerati che lo popolavano. Un luogo che in molto meno tempo di quanto si sarebbe immaginata, l’aveva fatta soffrire quasi come aveva fatto Empire City.

Ma ora era tempo di finirla, e questa volta per davvero.

Era stanca di farsi mettere i piedi in testa dagli altri. Per tutto il tempo la sua vita era stata gestita dagli altri come se lei stessa non avesse nemmeno voce in capitolo. Era sempre stata condizionata da qualcuno o qualcosa, non era mai stata davvero libera.

Il suo pensiero non aveva quasi mai contato un cazzo, per gli altri. Aveva fatto buon viso a cattivo gioco per troppo tempo. Ora era giunto il momento di darci un taglio. Basta gentilezze, basta subire, basta essere buoni.

Un’incredibile quantità di energia la animò tutto ad un tratto, permettendole di volare a velocità ben superiore di quella a cui di solito viaggiava. Voleva arrivare più in fretta possibile a destinazione. Voleva farla finita, una volta per tutte.

Ma soprattutto, doveva arrivare prima di Amalia. Prima che anche lei si facesse ammazzare inutilmente. Era l’ultima possibilità che aveva per impedire che tutto quanto precipitasse del tutto.

La cattedrale apparve di fronte a lei. Vide un’enorme bandiera issata su un’asta attaccata al campanile, la quale raffigurava il simbolo degli UDG su uno sfondo nero, ma contrassegnato con una gigantesca X bianca: un messaggio fin troppo chiaro quello che i Visionari stavano cercando di mandare, mentre lasciavano svolazzare quel grosso tessuto nero sotto la luce del sole mattutino.

Rachel fece una smorfia quasi disgustata, poi scese in picchiata. La strada si avvicinò a lei di dieci metri, poi trenta, poi cinquanta, infine la corvina si raddrizzò e puntò al portone laterale che conduceva ai sotterranei dell’antico edificio.

Distrusse completamente la struttura di legno e piombò nei corridoi di mattoni, percorrendoli con precisione millimetrica, senza nemmeno sfiorare le pareti con le ali, svoltando ad ogni angolo seguendo uno schema ben preciso. Incontrò diversi Visionari al suo passaggio, ognuno dei quali, non appena la notava, gridava per la sorpresa e si gettava a terra per non farsi colpire. Andò avanti in quel modo, fino a quando, alla fine, non arrivò ad una porta tagliafuoco.

La sfondò, esattamente come aveva fatto con il portone di legno, ed entrò nell’enorme salone causando uno spostamento d’aria simile a quello di un elicottero. Atterrò in picchiata, causando un’esplosione di energia nera che si propagò tutto attorno a lei, per poi svanire insieme alla sua forma da rapace.

Si drizzò sulle gambe, stirando gli arti, per poi posare lo sguardo esattamente di fronte a sé. Le venne quasi da sorridere sadicamente, quando vide Dreamer seduto sul suo trono osservarla sbalordito. Rachel era sicura al cento percento che lo avrebbe trovato lì, a gongolare, ma comunque scoprire quanto il suo egocentrismo superasse tutti i limiti umani conosciuti, le fece venire il voltastomaco.

Accanto al leader dei Visionari si trovava una donna bionda, intenta a ritoccare con alcuni tamponi le zone del volto di Dreamer ancora martoriate dalle ferite inflittogli dal padre, come il suo occhio nero, o le croste sulle labbra e sotto al naso. Pure questa era rimasta atterrita, quando la corvina era piombata nella stanza.

«Va’ pure» borbottò Jeff alla donna, invitandola ad allontanarsi con un cenno della mano. «Me ne occupo io.»

La Visionaria non se lo fece ripetere due volte. Si voltò, bracciando la propria roba, e quasi corse via. Dopodiché, Joseph si alzò dal trono, allargando le braccia e sorridendo cordialmente. «Rachel! Ma che piacevole sorpresa! Qual buon vento ti porta...»

«Rose è morta» lo interruppe lei di colpo, con tono severo, cominciando ad avvicinarsi a lui. «E visto che tu avevi intenzione di venire a riprendertela, prima o poi, era giusto che lo sapessi. Sarebbe stato un peccato fare un viaggio a vuoto, no?»

Dreamer assunse un’espressione sconvolta. «Co... cosa? Come... com’è possibile?! Che è successo?!»

Rachel incrociò le braccia, senza mutare per nulla il suo sguardo. Ripugnante, ecco come le sembrò il Visionario. Quel tentativo di apparire sorpreso fu la cosa più viscida e schifosa che ebbe mai avuto modo di vedere in quella sua triste e buia vita. «Perché non me lo racconti tu cos’è successo, Joseph?»

Questa volta, Jeff parve realmente sbigottito. Sgranò gli occhi e serrò le labbra, squadrandola come se lo avesse appena punto con un ago incandescente. Poi, il suo sguardo mutò all’improvviso e stirò le labbra in un sorrisetto. Chinò il capo, ridacchiando sommessamente, poi scosse lentamente la testa. «Rachel, Rachel... sei sempre più sorprendente. Fammi indovinare, hai imparato a leggere nel pensiero?»

«No. Ho i miei metodi per scoprire le cose, e tu non sei tenuto a conoscerli.»

Il Visionario ridacchiò nuovamente. «Touché. Beh...» Sollevò le spalle, chiudendo le palpebre con una falsa aria di innocenza. «... cosa posso dirti, Demone, è successo semplicemente quello che doveva succedere. Rose era una ragazza stupenda, la sorella migliore che potessi desiderare, ma alla fine anche lei si è rivelata per quello che era, ossia una persona debole e dalla volontà più fragile di un cristallo. Ho dovuto eliminarla, affinché anche lei espiasse alle sue colpe.»

«Sperare che un padre ricambi l’affetto di una figlia è una colpa?!» quasi urlò Rachel, stringendo i pugni.

«Non è solo questo il problema, Rachel. Comportandosi in quel modo Rose ha fatto cose che mai avrebbe dovuto fare, infrangendo promesse che aveva fatto a me, a nostra madre, al nostro altro fratello. Mi ha deluso, mi ha abbandonato, è stata causa di sofferenza, per me. Anche lei doveva pagare, come Wilson.»

«E Ryan, invece?! Lui che cosa c’entrava in tutto questo?!»

Jeff scrollò le spalle, con una noncuranza che fece ribollire il sangue nelle vene a Rachel. «Si è intromesso in una faccenda che non lo riguardava. Ho semplicemente agito d’istinto. Non avevo intenzione di ucciderlo, ma lo ha voluto lui.»

«Quindi...» Rachel strinse i pugni per la rabbia. «Non c’era nemmeno un motivo?! L’hai ucciso, semplicemente perché ti sembrava il caso di farlo?! Hai spento una vita come se non fosse altro che una candela?!»

«Immagino che delle scuse non servirebbero a nulla.»  

«No che non servirebbero!» gridò Corvina, pestando con forza il piede sul pavimento. «Ti sei preso gioco di noi! Hai ucciso il nostro amico! Come puoi anche solo pensare che delle semplici scuse possano...»

«Lascia che sia io a porti una domanda, prima che tu finisca di parlare» fece Dreamer, sollevando un indice e puntandolo in sua direzione, zittendola con quel gesto. «Permetti?»

Joseph scese dal palco, per poi avvicinarsi a lei con calma. Si ritrovarono poco dopo faccia a faccia, un solo metro li separava. Rachel notò che il suo trucco da teschio si era quasi prosciugato del tutto, il Visionario le stava parlando quasi al naturale, privo della sua maschera. Era molto più abbronzato di quanto avrebbe mai potuto immaginare, sotto il bianco della pittura. La sua pelle aveva la tonalità del caffèlatte, gli occhi verdi erano molto più grandi e penetranti di quanto ricordasse e i lineamenti del suo viso erano molto meno spigolosi rispetto a quelli di Lucas, o altri ragazzi.

Era bello. Rachel avvertì un nodo allo stomaco quando se ne rese conto. Per qualche strano motivo, quella cosa le diede parecchio fastidio.

«Dunque, Rachel» cominciò lui, mentre iniziava a camminarle lentamente intorno, aggirandola, senza staccarle gli occhi di dosso. «Non so come tu ci sia riuscita, ma hai scoperto il mio vero nome. Hai scoperto che Rose era mia sorella, che Wilson era mio padre e che Ryan è morto per mano mia. Immagino, a questo punto, che tu sappia anche che lo stesso Deathstroke non è più tra noi. Ho ragione?»

Corvina annuì lentamente, senza abbassare la guardia nemmeno per un istante.

Dreamer continuò a camminarle attorno, fino a quando non si fermò nuovamente di fronte a lei. A quel punto, si sporse in avanti, per permetterle di udire meglio ciò che sussurrò: «Allora, dimmi. Se Ryan non fosse morto... saresti comunque venuta qui da me?»

Rachel ammutolì. Quella domanda la spiazzò completamente.

«Dimmi» ripeté il Visionario. «Se non avessi fatto del male al tuo gruppo di amici, ma avessi ugualmente proseguito per la mia strada, uccidendo solamente Rose e Slade, saresti tornata qui da me in cerca di vendetta?»

«Non sono qui in cerca di vendetta» rispose all’improvviso lei.

«Rispondi alla mia domanda» parve quasi un ordine, quello di Dreamer.

Di nuovo, la corvina non seppe cosa rispondere. Distolse lo sguardo da lui per la prima volta, sentendosi quasi una stupida per quella sua inadeguatezza. Se Ryan non fosse morto... si sarebbe trovata lì comunque?

«Magari, quello di farti venire qui era proprio il mio intento» suggerì Dreamer, osservandola. «Magari, volevo solamente farti capire che, per quanto impossibile ti possa sembrare, io e te siamo molto più simili di quanto tu creda.»

La conduit sgranò gli occhi. «Ma che stai dicendo? Io e te non siamo affatto simili! Tu sei un pazzo, un sociopatico, un egocentrico, un...»

«Ipocrita» suggerì lui, annuendo lentamente, per poi sorridere in segno di trionfo. «Proprio come te.»

«Non... non ti seguo...»

«Tu non saresti mai venuta qui se il tuo amico non fosse morto» rispose il Visionario, puntandole addosso l’indice. «Per tutto questo tempo, tu hai agito con il solo e unico scopo di proteggere te stessa e i tuoi amici. A te non è mai importato di me, di Wilson o della città. Volevi solo essere tranquilla. E se Ryan non fosse morto, tu lo saresti stata. Saresti stata libera di andartene, sana e salva, infischiandotene di Sub City e dei suoi abitanti. Ho ragione?

«Noi siamo simili, perché entrambi per tutto questo tempo abbiamo agito per noi stessi. Per poter ottenere quel misero sprazzo di felicità in una vita piena di dolore e angosce. I nostri mondi sono crollati di fronte ai nostri occhi, tu ti sei trasformata in un mostro, e anche io, in un certo senso.

«Per te la felicità è vivere insieme ai tuoi amici, per me la felicità era farla pagare a mio padre per come si è sempre comportato con me e i miei fratelli, ed entrambi abbiamo usato ogni mezzo a nostra disposizione per poterla ottenere. Io ho usato te, ma anche tu hai usato me, quando hai chiesto il mio aiuto per salvare Tara. Perciò, dimmi, saresti davvero venuta fino a qui, se tu avessi ottenuto solamente ciò che volevi?»

Improvvisamente, le convinzione di Rachel crollarono come un castello di carte. Con gli Underdog fuori gioco, Tara salva, i suoi amici tutti vivi, i confini della città nuovamente liberi... sarebbe comunque tornata da Dreamer? Lui aveva avuto un secondo fine per tutto il tempo, li aveva usati come delle pedine, per colpa sua un sacco di persone erano morte... però lei e i suoi amici sarebbero stati comunque liberi di andarsene, voltare pagina, dimenticarsi di lui e della città. Ma lei lo avrebbe fatto? Avrebbe permesso che un essere disgustoso come Dreamer restasse impunito?

Lei non era un’eroina o altro, che motivo avrebbe avuto di impicciarsi in quegli affari? Per tutto quel tempo lei non aveva fatto altro che agire per proteggere sé stessa e i suoi amici, cosa che aveva ancora intenzione di fare. Di Rose, di Sub City, degli Underdog, non le importava, non le era mai importato assolutamente nulla. Voleva solo essere libera. Lei agiva per il suo scopo, il Visionario per il suo. In un certo senso, pure lei aveva usato Joseph per perseguire il suo obiettivo di salvare Tara. Perciò... chi era davvero lei, per poter giudicare Dreamer?

Una persona onesta, suggerì all’improvviso una voce nella sua testa. Ma non era la sua. Era la voce di una donna.

Una persona intelligente, forte e di buon cuore. Una persona che saprà sempre quando sarà il momento di fare la cosa giusta, una persona che gli altri ammireranno. Questo, sarai, figlia mia. Ne sono sicura.

Rachel dischiuse le labbra. Ebbe un flashback, di lei da bambina, sotto le coperte, con sua madre seduta sul bordo del letto. Quella sera, dopo aver ascoltato la favola della buona notte, lei le aveva domandato come sarebbe stata da grande. E Arella le aveva detto quelle parole, con un sorriso in grado di rischiarare le notti più buie e tempestose.

So che un giorno mi renderai orgogliosa di te.

La vista di Corvina si appannò, sentì le labbra tremolare. Quando il ricordo svanì, si ritrovò di nuovo catapultata in quella sala, con di fronte il sorriso beffardo di Dreamer. Fu costretta a ricacciare indietro la nostalgia, insieme alle lacrime, e strinse i pugni.

«Tu... ci hai mentito» sussurrò, a denti stretti, mentre la rabbia cresceva dentro di lei inesorabile.

«Non mi risulta» rispose lui, serio in volto. «Ho semplicemente onorato il nostro accordo. Tu mi aiutavi ad eliminare Wilson, io ti aiutavo a salvare la tua amica. Non vedo menzogne in tutto ciò.»

«Tu non volevi solo eliminare Wilson!» esclamò la conduit, quasi gridando. «Tu volevi prendere il suo posto! Volevi Sub City! Tu non agognavi la libertà come hai sempre fatto credere, volevi solamente vendetta! Per tutto questo tempo, tu hai mentito non solo a me e ai miei amici, ma a tutti quanti, perfino ai tuoi Visionari! Li hai convinti con l’inganno ad allearsi a te, con questa scusa della Guerra dei Cambiamenti, solamente per poter creare il tuo esercito personale per poter farla pagare a tuo padre! Non c’era assolutamente niente di nobile nelle tue azioni, NIENTE!

«Uomini e donne che si fidavano di te, che credevano che tu li avresti condotti verso la libertà, sono morti! Hai perfino osservato la tua stessa luogotenente mentre veniva uccisa da quell’uomo che tanto odiavi! Ma  hai la più pallida idea di cosa tu significavi per Jade?! Lei ti vedeva come un salvatore! Si sarebbe gettata nel fuoco, per te! E tu l’hai lasciata morire, solamente perché non volevi rischiare che la tua stupida vendetta potesse risentirne! Come credi che reagirebbe lei vedendoti così, mentre infrangi tutte le tue promesse?! Credi che lei sarebbe rimasta in silenzio? Credi che avrebbe accettato la cosa?! No, non lo avrebbe fatto. Si sarebbe sicuramente schierata dalla mia parte!

«Il tuo comportamento è uno schiaffo nei confronti di tutte quelle persone che, come Jade, hanno combattuto al tuo fianco perché credevano in te! Io stessa ho creduto in te, per un momento! Sei solo un verme, un doppiogiochista che crede che la vita delle altre persone non abbia alcun valore! Per te uccidere una persona equivale a buttare via un paio di scarpe, l’unica persona importante per te sei tu, neppure la tua stessa sorella, sangue del tuo sangue, meritava di vivere! Neppure le hai permesso di difendersi, l’hai  assassinata a sangue freddo, mentre era legata ad una sedia! Come puoi vivere in pace con te stesso dopo aver fatto una cosa del genere?!

«E per finire, hai ucciso l’unico uomo in grado di poter davvero svelare la verità dietro alle esplosioni! Tuo padre sapeva cose che noi non possiamo neanche immaginare, e che la cosa ti piaccia o no, lui ci serviva vivo! Uccidendo lui e distruggendo il suo laboratorio hai cancellato qualsiasi vana speranza di scoprire davvero cosa sia successo al mondo intero e quali siano state le cause delle esplosioni!»

Fu il turno di Rachel quello di puntare il dito al petto dell’interlocutore. «Potremmo anche essere simili come tu dici, ma c’è sicuramente una cosa che ci distinguerà sempre: io non sono una bugiarda. Per quanto tempo continuerai a tenere in piedi questa ridicola farsa? Scommetto che non hai nemmeno detto ai tuoi uomini che Wilson è morto. Ho ragione?»

Dreamer non rispose. Rimase in silenzio, impassibile, quasi come se tutte le parole dette da Rachel non lo avessero minimamente scalfito.

Corvina continuò a scrutare con odio il Visionario, mentre lui chiuse le palpebre, sospirando rumorosamente. «Complimenti, Rachel» disse, con voce piatta. «Hai colpito nel segno.»

Un vociare sempre più intenso giunse alle orecchie di Rachel, mischiandosi ben presto al rumore di passi. Pochi istanti dopo, le porte laterali della stanza furono spalancate e decine di Visionari si riversarono fuor da esse, puntando i fucili contro la conduit. A capitanare tutti loro, c’era la donna di poco prima.

Rachel si accorse di tutti loro e storse il naso. «Quando hai intenzione di dire loro tutta la verità?»

«A suo tempo.»

Quella risposta non piacque molto alla corvina. La ragazza digrignò i denti, mentre le labbra di Dreamer si schiusero in un altro sorriso. «Dunque che intenzioni hai, adesso? Vuoi uccidermi?» Il Visionario intimò ai propri uomini di mantenere la calma, con un cenno della mano. «Tu non ne hai il coraggio, Rachel.»

«Hai ragione, non ce l’ho» rispose Rachel, per poi serrare la mascella. «Ma i miei poteri sì!»

Emise un urlo disumano ed allargò le braccia. Il suo intero corpo si illuminò di nero, mentre i suoi poteri si manifestavano per ciò che erano davvero, dopo mesi e mesi di reclusione all’interno del suo corpo. Dreamer indietreggiò di scatto, spalancando le palpebre. Questa volta, parve davvero intimorito.

«Uccidetela!» gridò, mentre i suoi uomini si affrettavano ad accerchiarlo e ad aprire il fuoco sulla conduit.

Pochi millesimi di secondi, e vi fu il caos più totale.

Centinaia e centinaia di proiettili si abbatterono sul corpo di Rachel, tuttavia nessuno di essi le arrecò il benché minimo danno. L’energia oscura aveva cominciato a farsi più forte e ad avvolgersi attorno al suo corpo, proteggendola da ogni minaccia.

Lacci fatti di oscurità spuntarono da ogni dove, afferrando e mettendo fuori gioco gli uomini armati, fulmini esplosero in automatico fuori dal corpo della corvina come un temporale, colpendone altri, sfere nere si catapultarono in ogni antro della stanza, esplodendo come granate.

E in mezzo a tutto questo sfacelo, Rachel continuava ad essere immobile, con il capo gettato all’indietro, la bocca spalancata in quell’urlo spaventoso e le braccia distese.

Era stanca, stanca morta, di giocare sempre secondo le regole degli altri. Era stata usata, tradita, umiliata, ferita sia nel corpo che nella mente per mano di molti più individui di quanto avrebbe mai creduto. Ma ora era tempo di finirla. Ora, era il tempo di mostrare davvero a Dreamer e al mondo intero di che pasta era fatta.

Una quantità di energia mostruosa si stava liberando al di fuori di lei, un potere così grande che la corvina non aveva mai nemmeno lontanamente immaginato di possedere.

Nessun Visionario, nessuna arma, nessun proiettile l’avrebbe mai potuta intimidire, in quel momento. Nulla era in grado di contrastarla. La cosa la fece sentire bene, tremendamente bene. Sapeva che tutto ciò era sbagliato, sapeva che fondere in quel modo i suoi poteri con tutta la sua collera repressa non avrebbe portato a nulla di buono, ma non le importava. Voleva cancellarsi per sempre il maledetto ghigno beffardo di Dreamer dalla testa, voleva rendere giustizia a tutte quelle persone che erano morte invano, e lo avrebbe fatto, a qualunque costo.

Lo avrebbe fatto per Jade, per Ryan e perfino per Rose e Slade.

La resistenza dei Visionari fu ben presto stroncata. Gli uomini e le donne in nero caddero impotenti sotto ai duri colpi della conduit. Non furono, tuttavia, colpiti a morte. Pure loro, alla fine, non erano altro che vittime del giogo di Dreamer.

Alla fine, ne restò solamente uno in piedi: Joseph.

Il leader dei Visionari indietreggiò, osservandola sbalordito come probabilmente mai era stato in vita sua.

Corvina mosse un passo verso di lui, costringendolo ad indietreggiare. In quei pochi istanti, Dreamer si mostrò per ciò che era realmente: un codardo che non esitava a pugnalare i suoi avversari alle spalle, ma che poi fuggiva di fronte ai nemici più forti di lui.

Infine, Jeff si ritrovò con le spalle al muro, letteralmente. Erano al fondo della sala, accanto al palcoscenico. Rachel teneva sotto tiro il Visionario, ancora avvolta nella sua aura di energia nera e con la vista rossa, lui rimaneva fermo, immobile, limitandosi ad osservarla a bocca semiaperta.

«È finita, Joseph.»

«Non... non puoi uccidermi» gracchiò Jeff, quasi balbettando, sollevando le mani in segno di resa. «Non... non sarai davvero diversa da me, se ti trasformerai in un’assassina.»

Rachel esitò. Le ritornarono in mente le parole di sua madre. Tutto ciò che le aveva detto... avrebbe ancora avuto un valore, se lei avesse ucciso Joseph?

Corvina non aveva mai ucciso nessuno, mai. Non di sua spontanea volontà.

Era capitato, a volte, che qualcuno non sopravvivesse ai suoi attacchi. Primo tra tutti, quel Mietitore che aveva colpito ad Empire City, facendogli esplodere addosso la molotov che teneva in mano, ma non era certo stata sua intenzione far sì che succedesse ciò. E poi, quell’uomo era praticamente morto, ormai.

Quel pensiero era stata l’unica cosa in grado di tenerla ancorata alla sanità mentale.

Non aveva mai colpito con l’intenzione di uccidere, e di certo non aveva mai ucciso una persona disarmata ed indifesa come lo era Dreamer in quel momento così, a sangue freddo.

Quella era un’altra profonda differenza tra loro due: Jeff era un assassino crudele, lei no. Lei aveva spento delle vite, ma erano sempre state quelle di uomini che avevano cercato di fare del male a lei e da cui si era semplicemente difesa.

Incrociò lo sguardo di Dreamer. Si osservarono per un breve momento, rimanendo in silenzio.

Infine, Rachel abbassò lentamente la mano che teneva puntata su di lui. L’energia oscura che la avvolgeva cominciò a svanire, stranamente obbediente. La ragazza smise di vedere rosso, poi sospirò, chinando il capo. «Sei un essere ripugnante, Joseph. Ma l’ultima cosa che voglio sono altri tormenti. Non ti ucciderò.» Detto quello, gli diede le spalle. Si voltò di scatto, scoccandogli un’occhiata truce con la coda dell’occhio. «Ma sappi, che farai meglio a raccontare la verità ai tuoi uomini. Altrimenti sarò io a farlo, a costo di dover rimanere qui a Sub City per altri sei mesi.»

Dreamer, dopo un attimo di stupore iniziale, annuì lentamente. «Va bene Rachel. Hai la mia parola.»

«Mh. Per quello che vale» borbottò Rachel, per poi cominciare a camminare, allontanandosi da lui.

Ma non fece molti passi. Riuscì a percepire un movimento fulmineo, proveniente proprio da dietro le sue spalle. Si voltò di nuovo, sollevando le mani e puntandole verso il Visionario, ma non riuscì a fare nulla.

Un’esplosione rimbombò in tutta la sala con la potenza di una cannonata, Joseph gridò e cadde a terra. Il coltello che fino ad un attimo prima aveva stretto tra le dita per cercare di pugnalare la conduit alle spalle gli scivolò dalla mano e cadde a terra con un tintinnio metallico. Jeff gemette, premendosi una mano sul ginocchio sinistro insanguinato. «Anf... merda...»

Rachel abbassò di nuovo la guardia, osservandolo disgustata. Lo sapeva, sapeva che Dreamer avrebbe cercato di attaccarla, per questo si era comunque tenuta pronta. Ma non ce n’era stato il bisogno.

Si voltò, verso la porta laterale a destra della stanza. Qui, in piedi sulla soglia, si trovava una persona che ancora teneva puntata la pistola verso il Visionario. Corvina non fu sorpresa di vederla. Ciò che, tuttavia, la lasciò comunque di sasso, era il suo aspetto.

Non aveva il suo classico giaccone a coprirle il busto. Vestiva solamente con i suoi classici pantaloni e una canottiera nera che lasciava in bella vista le braccia e le spalle abbronzate, sulle quali erano presenti molti più tatuaggi di quanti Rachel avrebbe potuto contarne. Teschi, serpenti, tribali, fiamme e un cuore rosso come il sangue, dipinto sulla clavicola.

La lunga chioma di capelli mori era stata tranciata brutalmente a metà, in diagonale, donandole un taglio asimmetrico.

Komand’r sputò la sigaretta che ancora stringeva tra le labbra, poi abbassò la pistola. «Ti ho beccato, figlio di puttana.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Salve a tutti, volevo solamente dire, brevemente, che siccome sono un tantinello impegnato ultimamente, la pubblicazione della storia potrebbe risentire di qualche ritardo. Pertanto, ho deciso di spostare di poco l'asticella e, dal prossimo capitolo in poi, pubblicherò ogni dieci giorni anziché ogni settimana. Mi dispiace per l'inconveniente, ma questo è l'unico modo che ho per poter riuscire a fare tutto quanto senza impazzire male come mi è già successo. ^^" 

Quindi il prossimo arriverà non più sabato prossimo, ma un pelino dopo. Se non altro, i capitoli si stanno allungando, quindi in un certo senso mi sto già facendo perdonare. 

Bene, non mi pronuncio molto sul capitolo appena pubblicato perché non ne ho tanta voglia, spero che vi sia piaciuto.

Alla prossima!

 

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Capitolo 24
*** Un nuovo inizio... di nuovo ***


Capitolo 24: UN NUOVO INZIO... DI NUOVO

 

 

Amalia avanzò verso di loro, gli occhi puntati sul Visionario. Parve ignorare completamente la presenza di Rachel.

«Tu... schifoso, lurido, bastardo» sibilò Komand’r, parandosi di fronte a Jeff, scrutandolo con odio. «Ho atteso questo momento dal primo istante in cui mi sono ritrovata di fronte la tua grossa faccia da culo.» Sollevò la pistola, puntandogliela al capo. «Ora sei mio.»

Joseph si tirò a sedere a stento, appoggiandosi contro il muro. Tossì un paio di volte, gemendo di dolore. «Suppongo... che la ruota giri per tutti, prima o poi...»

«Supponi bene.» Amalia spostò la mira e fece fuoco, colpendolo allo stomaco. L’esplosione del proiettile fu devastante, e lo fu ancora di più l’urlo disumano di dolore che fece il Visionario. Joseph gettò il capo all’indietro, premendosi una mano sulla grossa ferita all’addome. Tossì nuovamente, questa volta con molta più insistenza. Piegò il capo e sputò a terra un grumo di sangue, poi strizzò le palpebre. Si drizzò di nuovo, boccheggiando rumorosamente, mugugnando di dolore.

«Allora, com’è avere un proiettile nello stomaco? Fa male?» lo canzonò Amalia, con voce carica di collera.

Dreamer riuscì lentamente a riprendersi. Inspirò ed espirò un paio di volte, poi sogghignò. Perfino di fronte alla sua stessa fine, trovò il coraggio di sfoderare quel maledetto ghigno. La cosa, naturalmente, non piacque per nulla ad Amalia. «Che hai da sorridere, bastardo?!»

«Niente» boccheggiò lui, senza mutare minimamente la sua espressione. «Avanti, premi il grilletto e facciamola finita.»

«Con piacere.»

«Ne sei davvero sicura, Amalia?» si intromise all’improvviso Rachel, osservandola severa in volto. Non aveva alcuna intenzione di impedire alla mora di fare ciò che voleva fare, voleva solamente sapere la risposta a quella domanda. «Sei disposta... ad abbassarti al suo livello? Lo sai che... uccidendolo, lui non tornerà?»

Komand’r chiuse le palpebre, sospirando. Si voltò verso di lei, guardandola dritta negli occhi. Ora non sembrava più arrabbiata, non con lei, almeno. Era solamente, profondamente, triste. «Lo so. Ma non mi importa. Questo bastardo non merita di vivere, e io non ho paura di sporcarmi le mani. Questa storia deve avere una fine e quella fine voglio sancirla io.»

«D’accordo» convenne Rachel, con un cenno del capo. «È una tua scelta, dopotutto.»

«Solo una cosa» borbottò Dreamer, acquistando l’attenzione di entrambe. «Prima di andare, volevo solo... fare un’ultima domanda a Rachel.»

Amalia scoccò un’occhiata alla corvina, inarcando un sopracciglio. Rachel, la prima ad essere stupita, annuì con incertezza. «Cosa vuoi?»

Jeff ridacchiò sommessamente, come se la cosa lo avesse fatto profondamente felice. Come se, anche in quel momento, la situazione fosse in mano sua. «Dimmi, cara Rachel, sei consapevole del fatto che...» sollevò lo sguardo, piazzandolo sulle pupille di lei. Quell’occhiata improvvisa la fece trasalire. «... tutto ciò che è successo fino ad oggi a te, ai tuoi amici, tutto quello per cui sei stata costretta a combattere... è stato proprio per causa tua?»

Corvina dischiuse le labbra, colta in contropiede da quell’affermazione. «Co... cosa?»

Un’altra risata provenne dalla gola di Jeff. «Dovresti... vedere la tua espressione.»

«Basta giochetti, bastardo!» esclamò Amalia, sferrandogli un calcio e colpendolo proprio all’addome. Dreamer si piegò in due, facendo un verso soffocato. Sputò altro sangue, ma la risatina non ci mise molto a tornare.

«I tuoi... poteri, Rachel...» ansimò ancora lui, cercando di risollevarsi. «I tuoi poteri... e di conseguenza tu... siete la causa di tutto.»

Joseph riuscì a guardare di nuovo Rachel negli occhi. «A causa... dei tuoi poteri... hai portato molta cattiva gente sulle tue tracce. Me incluso. E i tuoi amici, standoti vicino... sono rimasti coinvolti. Se tu... non avessi avuto i tuoi poteri, noi non... ci saremmo mai incontrati. E non avresti mai avuto a che fare con Deathstroke... e i suoi segugi.

«Tara non sarebbe stata rapita... Ryan non sarebbe morto... nessuno dei tuoi amici si sarebbe fatto del male. Per... tutto questo tempo, tu hai... hai combattuto a testa alta le disgrazie che... che ti sono capitate, tuttavia eri inconsapevole del ...del fatto che la calamita che attraeva queste su di te... eri proprio tu.

«Più resterai accanto ai tuoi amici... più loro saranno in pericolo. Non faranno altro che... trasformarsi in vittime innocenti, continuando ad avere a... a che fare con te. Per te la felicità è... essere sempre in compagnia delle persone che ami... vivere serena insieme a loro... beh, sappi che... che fino a quando avrai i tuoi poteri... non riuscirai mai, mai, a raggiungerla.»

Dreamer chiuse gli occhi, sorridendo un’ultima volta. «Mi avete sconfitto... io sto... per morire... ma se non altro... me ne andrò senza alcun rimpianto. Tu, voi, invece... continuerete a vivere nel lutto... nell’angoscia... nella sofferenza. Perciò, dimmi, cara Rachel...» Il Visionario riaprì gli occhi di scatto. «... chi ha vinto, oggi? Voi due? Io non... credo proprio.»

Per tutto il tempo, Rachel era rimasta ad ascoltarlo come in trance. Ogni frase, ogni parola, ogni sillaba erano state come uno schiaffo. Nonostante fossero usciti dalla bocca di un pazzo, nonostante questo pazzo fosse ad un passo da quel baratro oscuro che era la morte, nonostante tutto, l’avevano lasciata atterrita. E la cosa peggiore di tutte... era che erano vere.

Lei, o meglio, i suoi poteri, ma sì, comunque lei, era la causa di tutto quanto. Il rapimento di Tara, la morte di Ryan, i proiettili che si era beccata Amalia, perfino la pugnalata che si era preso Lucas al braccio erano avvenuti a causa sua. Indirettamente, certo, ma comunque era stata lei a dare origine a tutto.

Dreamer l’aveva fatta rapire perché lei era la Demone di Empire City e si era ritrovata nel pieno mezzo di una battaglia tra bande. Se non avesse avuto i poteri, probabilmente la guerra tra gli Underdog e i Visionari non l’avrebbe nemmeno sfiorata. Probabilmente nemmeno sarebbe mai arrivata a Sub City!

Nessuno l’avrebbe cercata, nessuno le avrebbe parlato, nessuno l’avrebbe notata. Nessuno avrebbe sofferto per causa sua, nessuno di sarebbe fatto del male.

Per tutto quel tempo lei aveva agito con il solo e unico scopo di proteggere sé stessa e i suoi amici, quando in realtà... i suoi amici andavano protetti proprio da lei. O meglio, da tutte quelle persone spietate che si sarebbero messe sulle sue tracce.

«Hai finito adesso, checca?» Il tono di voce scocciato di Amalia la riportò alla realtà. La mora osservava con sguardo truce il Visionario, e non Rachel, come se tutte quelle parole le fossero scivolate addosso senza nemmeno toccarla.

«Sì, ho finito.»

«Bene.» Komand’r sollevò la pistola. «Mi divertirò un mondo a dare il tuo cadavere in pasto ai cani.»

Dreamer aprì la bocca per replicare, ma da essa non poté uscire alcun suono. Amalia premette il grilletto, aprendogli un buco in piena fronte. Schizzi di sangue e sostanze organiche non meglio definite imbrattarono il muro alle sue spalle, dopodiché il Visionario si riversò sul suolo, con ancora la bocca aperta e gli occhi spalancati.

Accadde tutto in un lampo. Prima era lì, ora non c’era più.

La sua morte fu molto meno spettacolare di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, dopo tutto ciò che lui aveva fatto e causato.

Vedere il suo corpo privo di vita lasciò un profondo senso di vuoto e amarezza dentro di Rachel. Fino a quel momento non aveva voluto altro che vedere il Visionario venire punito per ciò che aveva fatto, ma adesso, alla luce di tutto ciò che egli aveva detto, tutto quello non le faceva né caldo né freddo. La morte di Joseph non cambiò nulla.

Perché il problema, alla fine, non era lui. Era lei.

Non seppe dire quanto tempo passò ad osservare quel corpo privo di vita riverso sul suolo. Probabilmente sarebbe rimasta lì per delle ore, se solo Amalia non avesse rotto il silenzio all’improvviso.

«Non sono mai...» cominciò a dire, con un filo di voce. «... nemmeno riuscita a dirgli perché mi sono comportata così con lui, in passato...»

Rachel trasalì. Batté le palpebre un paio di volte, confusa. «Di... di chi parli?»

«Ryan» sussurrò ancora Komand’r, per poi chinare il capo. «È morto... odiandomi fino alla fine... senza nemmeno sapere... il perché del mio comportamento...» Singhiozzò, stringendo i pugni. «Io non... non mi aspettavo certo che mi perdonasse... però... era giusto che sapesse. Glielo dovevo... era... la minima cosa che potevo fare per fargli capire che mi dispiaceva... che mi dispiaceva davvero. Non l’ho mai detto a nessuno... né a Kori, né ai miei genitori... volevo... dirlo almeno a lui...»

Corvina dischiuse le labbra. Amalia continuò a parlare, senza che lei dicesse nulla.

«È che... io... io sono... e Kori, lei era... era così... così bella, e io non... non riuscivo ad accettarlo, e...» La mora si interruppe di colpo, singhiozzando nuovamente. Drizzò lo sguardo, osservando Rachel con i suoi occhi viola prossimi alle lacrime, colmi di disperazione. «Cosa c’è di sbagliato in me?! Perché proprio io?! Perché proprio per... per Kori...?»

Ci volle diverso tempo, prima che Rachel riuscisse a capire di cosa diamine stesse parlando la mora. E quando capì, in parte si pentì di averlo fatto.

Eppure... ora le fu tutto chiaro. Il suo strano comportamento così poco femminile, il modo che aveva di rispondere a Lucas e alle provocazioni, il modo con cui si era sempre approcciata a Tara... le parole di Dreamer quando lei lo aveva preso in ostaggio in quegli stessi sotterranei...

La storia che Ryan le aveva raccontato, lei che evitava i suoi fratelli come la peste, i suoi profondi rimpianti nei confronti di Kori. Tutto combaciava.

Amalia non era semplicemente stressata. O meglio, non solo.

«Komi...» mormorò Rachel, incapace di fare altro. Probabilmente lei era la prima persona in assoluto con cui la sorella di Ryan si era confidata. E la cosa la fece sentire profondamente a disagio.

Per tutta risposta, Komand’r si strinse nelle spalle e gemette di nuovo. «Non mi bastava essere diversa, dovevo proprio... proprio...»

«Basta così, Komi» pronunciò Corvina, avvicinandosi a lei. Le posò una mano sulla spalla e incrociò il suo sguardo. «Non devi rimproverarti per ciò che sei. Non hai scelto tu di essere così. È successo e basta.»

«E... e allora... cosa dovrei fare?» domandò la ragazza mora, quasi supplicandola con lo sguardo. «Non posso fare finta di niente... ci ho già provato, e le cose non hanno fatto altro che peggiorare. Non posso... continuare a vivere in una menzogna...»

Corvina sospirò. «Hai ragione... non puoi. Devi solo imparare a conviverci. Devi... accettare la cosa... e fare ciò che ritieni sia giusto per te. E...» In quel momento, Rachel realizzò che non stava parlando solo ad Amalia. Stava parlando anche a sé stessa. «... devi fare anche ciò che... è corretto nei confronti degli altri.»

Komand’r si morse un labbro, rimuginando su quelle parole. Infine, annuì lentamente, con un sospiro. E, senza dire altro, abbracciò la corvina. «Grazie, Rachel... e... scusa, per come mi sono comportata con te.»

«Non preoccuparti.» La conduit ricambiò l’abbraccio, dandole qualche pacca di incoraggiamento sulla schiena. «Me lo sono meritato.»

Scese il silenzio. Rimasero entrambe ferme, abbracciate, ognuna sicuramente impegnata con i propri travagli interiori.

«Che cavolo è successo qui?» Una voce improvvisa riportò entrambe le ragazze alla realtà. Si separarono e videro due persone avanzare verso di loro, in mezzo al marasma generale di Visionari privi di sensi e fori di proiettili: Lucas e Tara. Rachel non si stupì della loro presenza; anche loro dovevano arrivare, prima o poi.

«Ragazze! Tutto ok?» domandò proprio la bionda, accelerando il passo.

«Sì, stiamo bene» rispose Amalia, voltandosi per ripulirsi gli occhi dalle lacrime. Indicò poi Dreamer con un cenno del capo. «A differenza di qualcun altro.»

Tara si fermò di scatto, spalancando le palpebre. Parve inorridire di fronte a quella vista.

«Dannazione...» commentò Lucas. «... mi sono perso lo spettacolo.»

La Markov spostò lo sguardo su di lui, osservandolo scioccata.

Rosso sollevò le spalle. «Che c’è? Mi stava sul culo...»

«Beh... se non altro adesso è finita...» rispose la bionda, lasciando perdere con un sospiro.

«Sì... sì è così» convenne Amalia, lentamente, per poi guardare Rachel. «È finita.»

Si allontanò dalla corvina, avvicinandosi ai due nuovi arrivati. Poi, con enorme stupore di Corvina, abbracciò entrambi. Disse loro qualcosa a bassa voce, probabilmente delle scuse. Per tutta risposta, i due ragazzi ricambiarono la sua stretta.

Un piccolo sorriso si accese sulle labbra della conduit, poi realizzò che, prima di andare, doveva ancora fare una cosa. Distolse l’attenzione dai tre amici e si avvicinò ad uno dei Visionari svenuti, più precisamente, alla donna bionda.

«Svegliati» sbottò, dandole un calcetto al fianco. Un gemito arrivò in risposta, al che la corvina si infuriò ancora di più. «SVEGLIATI!» Le diede un calcio più forte, facendola gridare e girare su un fianco.

La Visionaria spalancò gli occhi, per poi osservarla quasi con timore. Rachel si inginocchiò accanto a lei. Un po’ si sentiva in colpa per quelle sue maniere così brusche, alla fine anche quella donna era stata ingannata, ma si sforzò di ignorare questi particolari quando le spiegò la situazione: «Avvisa i tuoi amici che Deathstroke è morto e che per tutto questo tempo Dreamer si è preso gioco di voi.»

«C-Cosa?» rantolò la donna, ma Rachel si era già rialzata.

«Hai sentito.» E senza dire altro, la ragazza ritornò dai suoi compagni.

Si allontanò da quel salone insieme a loro, augurandosi di non doverci mai più mettere piede e sperando anche che il tempo cancellasse i ricordi che aveva ad esso legati.

Per tutto il tempo, Rachel non fece altro che ripensare alle parole di Dreamer, nonché a quelle che lei stessa aveva detto ad Amalia. Non sapeva ancora cosa fare in proposito, sapeva solo che, qualunque decisione avesse preso, non sarebbe più tornata indietro.

 

***

 

«Amalia e Tara?» domandò Rachel entrando nella sala relax con il suo zainetto.

«Stanno salutando Ryan» rispose Lucas, ficcando le ultime provviste che si erano salvate dall’attacco degli UDG nel suo borsone. La corvina lo osservò, pensierosa. Fino a quel giorno, non aveva desiderato altro che quel momento. Poter fare le valigie e partire da Sub City, insieme ai suoi nuovi amici. Ma in quel momento, alla luce di quanto successo recentemente... quel pensiero non la attraeva più di tanto.

Tuttavia, Rachel si mise comunque accanto al partner per imitarlo. Afferrò il suo zainetto e lo aprì, per poi cercare di fare spazio tra i vestiti e infilarci in mezzo qualche barattolo.

Dopo qualche minuto, però, si fermò, valutando se approfittare di quel momento per dire a Lucas che cosa la stesse tormentando. Doveva assolutamente parlare con qualcuno di ciò che era successo qualche ora prima con Dreamer.

Amalia era con lei quando il Visionario le aveva detto tutte quelle cose, quindi forse era la scelta più giusta, ma lei non sembrava aver davvero sentito le parole che egli aveva rivolto a Rachel. Tara, invece... Corvina dubitava di avere con lei un rapporto abbastanza saldo da permetterle di confidarle una cosa del genere.

Lucas era senza ombra di dubbio la scelta migliore.

«Ascolta, Lucas, posso... posso chiederti una cosa?»

Un mugugno di assenso provenne dal ragazzo, mentre era chinato sul suo borsone. «È successo qualcosa di grave?» domandò, sollevando lo sguardo.

 «Beh... più o meno.»

Corvina inspirò profondamente, poi cominciò a spiegare. Raccontò tutto quanto, senza freni, dal momento in cui lei e Dreamer si erano incontrati in quel salone fino a quando lui non era spirato dopo il proiettile di Amalia. Non sapeva bene quale reazione aspettarsi da Lucas una volta che lui avesse udito tutto ciò, e quel quesito dovette attendere un bel po’ per trovare una risposta, visto che, per tutto il tempo, il suo partner la ascoltò con espressione indecifrabile.

L’unica cosa che permise a Rachel di capire che aveva acquistato la sua totale attenzione, fu il fatto che il moro non scollò più gli occhi da lei. La cosa, in parte, la fece sentire a disagio.

 Infine, concluse il racconto. «E quindi... vorrei sentire la tua opinione in proposito.»

«Mh...» Lucas incrociò le braccia, sospirando pesantemente dal naso. Distolse per un breve momento lo sguardo da lei, per poi chiudere gli occhi. «Ti stai facendo dei problemi per niente, Rachel. Dreamer era uno psicopatico, non c’è motivo per cui tu debba essere così ossessionata dalle sue parole. Il suo era solo un bieco tentativo di renderti più insicura di quanto tu non sia già. E devo dire che ci è riuscito, a giudicare da come ti comporti.»

«Quindi secondo te non aveva ragione, giusto?» Rachel non riuscì a trattenere vene di irritazione piuttosto accentuate nel suo tono di voce. «Secondo te, se non fossi stata una conduit, ci avrebbero rapito comunque, giusto? E Ryan sarebbe morto, e Tara...»

«Non sto dicendo questo» la interruppe lui, serio in volto. «Sto solo dicendo che Dreamer era un verme a cui piaceva torturare psicologicamente le persone, cosa che ha fatto anche con te. Non devi dargli retta, o impazzirai proprio com’è successo a lui.»

«Sì, ma lui... aveva comunque...»

«Dannazione, Rachel!» Lucas si alzò in piedi di scatto, per poco rovesciando il borsone. «Perché diavolo hai chiesto il mio parere se nemmeno mi stai ascoltando? Non è colpa tua! Niente di quello che è successo è colpa tua! Sei stata tu a chiedere a Dreamer di rapirti? Sei stata tu a ficcarti in mezzo a questa guerra tra bande?»

Rosso si inginocchiò di nuovo, osservandola dritto negli occhi. «Sei stata tu... a chiedere di diventare una conduit?»

Rachel resse lo sguardo. Uno strano brivido le percorse la spina dorsale. Non seppe spiegarselo. «No...» mormorò infine, chinando il capo. «... non ho chiesto io tutto questo... io volevo solo... essere felice...»

«E lo sarai.» Lucas le posò una mano sulla spalla. Corvina sollevò di nuovo la testa, sentì le guance pizzicare.

«Ma come...?» domandò. «Come farò ad esserlo... se voi sarete in pericolo? Io... non posso reprimere i miei poteri per sempre. Loro usciranno nel posto sbagliato al momento sbagliato e ci metteranno tutti in pericolo. Io non voglio che accada. Questa volta è toccato a Ryan, la prossima... potrebbe toccare ad Amalia, o a Tara, o... a... a te. Io non voglio che qualcuno si faccia male per colpa mia.»

«E Tara, allora? Anche lei ha i poteri, l’hai dimenticato? Il discorso dovrebbe valere anche per lei, quindi. E poi sono stato io a far incazzare gli UDG la prima volta, ricordi? Quindi è stata anche colpa mia. Oppure...»

«Ho detto per colpa mia, Rosso!» esclamò Rachel all’improvviso, stringendo i pugni. «Non mi interessa di quello che farete voi, non mi interessa di sapere se Tara attirerà attenzioni o no per colpa dei suoi poteri, io sto solo dicendo che non voglio che altro sangue innocente macchi la mia coscienza! Ryan è stato abbastanza, per me, non potrei sopportare di essere la responsabile, diretta o meno, di un'altra morte ingiusta!

«È vero, non ho scelto io di avere i poteri, non ho scelto io di trovarmi in questa situazione, ma ormai è successo! E non posso fare finta di niente, non posso proprio! Dannazione, fino a ieri nemmeno sapevo di essere in grado di cancellare i poteri degli altri conduit! Il mio corpo è un incognita perfino per me! Non so mai cosa fare, come comportarmi, non so mai quando potrò davvero contare sui miei poteri oppure no! Wilson avrebbe potuto ucciderci tutti quanti, per colpa mia!»

 «Non posso credere a ciò che sto ascoltando» commentò Lucas scuotendo la testa.

«E io non posso credere che la persona di cui mi fido di più in assoluto mi stia dicendo di ignorare semplicemente tutto ciò che è successo!» esclamò lei, alzandosi in piedi.

«Quindi preferisci dare retta ad uno psicopatico che ormai è schiattato piuttosto che alla persona di cui ti fidi di più in assoluto?» Rosso la imitò, alzandosi a sua volta.

«Beh, forse sì» replicò la corvina. «Visto che, che ti piaccia o no, lo psicopatico aveva ragione.»

«E allora cosa vorresti fare? Vuoi andartene?»

«Forse sì» ripeté lei, sostenendo il suo sguardo dal basso senza alcun timore.

Per tutta risposta, Lucas distese un braccio, volgendolo verso la porta. «Va bene allora. Conosci la strada.»

«Mi stai sfidando per caso?» domandò la conduit, serrando la mascella.

«No. Voglio solo vedere fino a che punto può spingersi la tua stupidità.»

Quella frase fu una pugnalata al cuore per Rachel. E, sicuramente, fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. «Bene allora. Osserva questa stupida che un tempo ti chiamava amico allontanarsi.»

Distolse lo sguardo da lui. La vista le si appannò e sentì gli occhi inumidirsi, e si sentì una vera idiota per questo. Diede le spalle all’ormai ex partner e si diresse alla porta senza nemmeno prendersi lo zainetto. Non si voltò, non disse una parola. E nemmeno Lucas la chiamò.

Anche quando uscì dalla stanza, riuscì a percepire gli occhi di lui piantati sulla sua schiena.

 

***

 

Faceva freddo. Tanto, tanto freddo. Si era alzato il vento, accompagnato da una di quelle odiose brezze invernali da far accapponare la pelle.

Rachel si strinse nella felpa e si mise il cappuccio in testa, ma non servì a nulla. Il freddo continuò a pungerle il volto.

Fece una smorfia e si allontanò dal portone, dirigendosi verso il retro del magazzino, al grosso foro nella recinzione. Non era affatto in vena di volare, aveva bisogno di camminare e di schiarirsi le idee.

Sentì lo stomaco in subbuglio, mentre camminava. Lei, quella che fino a quel giorno più di tutti aveva premuto sul fatto che il gruppo restasse unito, ora se ne stava andando, e nemmeno nel migliore dei modi.

Aveva litigato con Lucas e non aveva nemmeno reso partecipi Tara e Amalia della sua decisione. Nemmeno si era fermata a salutarle, né loro, né Ryan. Provò vergogna, imbarazzo e pensò che quella sua scelta fosse anche piuttosto codarda. Andarsene in quel modo non era certo il modo migliore per aggirare i suoi problemi. Ma, come già si era detta, non sarebbe più tornata indietro.

Fino a quando avrebbe avuto i suoi poteri, sarebbe stata un pericolo sia per sé stessa che per gli altri, sia in maniera diretta che non. Non sapeva ancora cosa fare o dove andare con esattezza, sapeva solo che sarebbe rimasta sola fino a quando non avrebbe trovato una soluzione.

Poi, forse, sarebbe ritornata. Ammesso e concesso che sarebbe riuscita a ritrovare i suoi amici.

«Deve esserci un’altra soluzione, Amalia» disse una voce all’improvviso, facendola trasalire. Era quella di Tara.

«No invece. Non c’è.» Questa era Amalia. «Non posso continuare in questo modo.»

Rachel si fermò. Entrambe le voci arrivavano proprio dal luogo in cui era diretta lei.

«Amalia, per favore...»

Corvina si avvicinò lentamente, inarcando un sopracciglio. Arrivò fino al bordo del magazzino, poi si sporse leggermente dal muro. Di fronte al foro della recinzione vide le due ragazze, una di fronte all’altra. Sembrava quasi che la loro discussione stesse andando avanti da un po’. Amalia era avvolta nel suo giaccone, e aveva il borsone a tracolla.

Posò proprio in quel momento una mano sulla spalla di Tara, la quale sembrava prossima alle lacrime. «Questo non è più posto per me, Tara. Mi dispiace. Devo... rimanere da sola... per pensare.»

«Ti prego, Am...»

Komand’r la interruppe, abbracciandola con forza. Dopo un attimo di sorpresa, Tara piegò la testa e pianse sulla sua spalla.

«Non te ne andare...»

«Devo. È la cosa giusta da fare. Sia per me, che per voi.»

Rachel sgranò gli occhi. Quelle erano le sue parole...

Amalia, no. Anche tu no.

Naturalmente, Komand’r non la sentì. Si separò dall’abbraccio, sciogliendosi lentamente dalla ragazza bionda, poi le prese il mento. Sorrise tristemente. «Non piangere Tara. Così rovini il tuo bel faccino.»

Tara ridacchiò tra le lacrime, dandole una leggera spintarella. «Dacci un taglio...»

Amalia sogghignò, tuttavia la tristezza nel suo sguardo era più che evidente. Si allontanò dalla bionda di qualche passo.

«Non sei costretta a farlo» mormorò ancora la neo conduit. «Nessuno di noi ti giudicherà per quello che sei, dovresti saperlo.»

«Che intendi dire, scusa?» domandò Komi, sorpresa.

La ragazza bionda incrociò le braccia, guardandola con aria di sufficienza. «Ti prego. Se vuoi posso fare una foto al mio sedere e regalartela direttamente, almeno non ti verrà più il torcicollo...»

Komand’r arrossì vistosamente. Fu una scena quasi irreale. Rimase in silenzio per un attimo, chiaramente imbarazzata, ma alla fine chinò il capo e si lasciò andare in una tenue risata. «Sono proprio irrecuperabile, vero?»

«Un pochino, sì» convenne Tara, ridacchiando a sua volta.

«Beh... in tal caso, vi ringrazio per la comprensione» proseguì Amalia, tornando seria. «Ma tu non conosci davvero la verità... credimi, è meglio così. Ho... bisogno di restare da sola, per capire che cosa voglio davvero. Mi dispiace, davvero, ma non vedo altre soluzioni.»

La Markov non sembrava ancora molto convinta, ma poi si limitò ad annuire. «Va bene allora... se vuoi farlo io non posso certo impedirtelo... sappi solo che qui avrai sempre una famiglia ad attenderti. Spero di rincontrarti, un giorno o l’altro.»

«Lo spero anch’io. Stammi bene, biondina.»

«Stammi bene, Komi.»

E senza aggiungere altro, Komand’r si voltò e cominciò a correre. Passò oltre la recinzione e svanì dalla visuale. Se n’era andata anche lei.

Pochi istanti dopo, Tara piegò il capo e cominciò a piangere di nuovo, ma questa volta, senza nessuno in grado di consolarla, si lasciò andare completamente. Rachel la osservò, combattuta. Fu quasi tentata di andare lei stessa a consolarla, ma poi ci ripensò. Non avrebbe dovuto assistere a quella scena, non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi ancora lì.

Il gruppo si era sfasciato molto più di quanto credesse, ed era colpa sua. Lei era l’ultima persona in grado di consolare Tara.

Inspirò profondamente, ricacciò le lacrime che erano salite durante l’addio di Amalia e si fece coraggio. Lasciò perdere l’idea di camminare e si trasformò.

Si allontanò dal magazzino fino a quando questo non diventò una macchia indistinta in mezzo alla miriade di palazzi attorno a lei.

 

***

 

Camminava sul marciapiede, testa bassa e rinchiusa nel cappuccio, ignorando tutte le persone attorno a lei. Chissà se queste sapevano di essere libere, ormai. Di certo, lei non aveva intenzione di mettersi a sbandierarlo ai quattro venti.

Prima o poi i cittadini di Sub City lo avrebbero capito, e non era nemmeno detto che se ne sarebbero andati per davvero, con Underdog e Visionari fuori dai piedi. Alla fine, Wilson aveva fatto un discreto lavoro. Sub City era una città relativamente tranquilla e con un corpo di sicurezza adeguato probabilmente sarebbe diventata molto più vivibile. 

Lei stessa avrebbe potuto rimanere in quella città, se solo non avesse legato ad essa fin troppi brutti momenti. Momenti che non erano nemmeno poi così distanti.

Avrebbe potuto lasciare la metropoli e magari dirigersi verso ovest, a cercare quella comunità di cui Jade le aveva parlato, ma c’era tempo anche per quello. Ormai poteva fare qualunque cosa avesse voluto, andare in qualunque luogo, senza dover tenere conto di niente e nessuno.

Tutto era finito come era iniziato, con lei che camminava per una città senza una meta ben precisa, da sola, senza più un amico e con mille rammarichi.

Se non altro, almeno, era indipendente. L’unica nota positiva presente in quel lunghissimo percorso solitario che era stata la sua vita.

Alzò lo sguardo. Il Diner era lì, dall’altro lato della strada, uguale a come lo aveva lasciato la prima volta che lo aveva visto, con Lucas, solamente due giorni prima. Sentì le proprie viscere contorcersi a quella vista. Non sapeva perché era tornata proprio in quella strada, ora che ci pensava. Aveva agito quasi in automatico, forse perché lei e Rosso erano capitati di fronte a quella tavola calda proprio in quella che, di fatto, era stata la loro ultimissima perlustrazione come partner.

Sospirò e scacciò quei pensieri. Non c’era più tempo per essere nostalgici.

Girò l’angolo, abbassando di nuovo lo sguardo, e andò a sbattere contro qualcuno. «Mi scusi...» biascicò, indietreggiando imbarazzata.

«Tranquilla, cose che capitano.»

Rachel sgranò gli occhi. Quella voce si conficcò nella sua testa come la punta di una lancia. Era da tempo che non la sentiva, ma non avrebbe mai potuto dimenticarla.

Sollevò lo sguardo, interdetta. «Tu...» sussurrò, incapace di pensare.

«Finalmente ci rincontriamo, vero Rachel?» domandò Dominick, sfoderando un sorrisetto arrogante da far invidia a tutti quelli che lei aveva visto sino a quel giorno.

«Che... che cosa vuoi da me?» domandò ancora lei. Indietreggiò ancora di scatto, finendo con lo sbattere contro un altro individuo.

«Accidenti Rachel, perché non fai un po’ di attenzione a dove metti i piedi?»

Corvina pietrificò. No... anche lui no...

Si voltò, per poi sbiancare alla vista di Kevin. Il ragazzo sorrise, al pari del suo socio. «Come va, bellezza?»

Per un momento Rachel non ci capì più nulla. Rimase imbambolata, ad osservare prima l’uno e poi l’altro, il cervello che rifiutava di collaborare con lei, le parole che continuavano a morirle in gola. Tuttavia, poi, rimase concentrata sui sorrisetti di entrambi. E a quel punto realizzò che era stanca di farsi prendere in giro.

La sua espressione mutò drasticamente e strinse i pugni, scrutando il capo della banda con odio. «Vi avverto, esco da un momento alquanto turbolento, quindi se non volete ritrovarvi con il sedere preso a calci fino al confine della città, farete meglio a dirmi che cosa diavolo volete da me una volta per tutte!»

«Wow, non ti ricordavo così esplosiva, sai?» replicò Dominick, per nulla intimorito. Ridacchiò, poi si fece un po’ più serio. Le posò una mano sulla spalla, per poi accennare con il braccio al marciapiede su cui le persone continuavano a marciare ignorandoli completamente. «Camminiamo un po’. Vuoi?»

Rachel esitò. Non sapeva affatto cosa stesse succedendo, ma non le piaceva per niente. Si voltò verso di Kevin, il quale, senza levarsi dalla faccia il suo maledetto sorriso, la invitò con un cenno del capo ad accettare la proposta.

Corvina fece una smorfia, poi tornò a guardare Dominick. «Hai cinque minuti.»

«Me li farò bastare.»

Cominciarono a camminare. Dom e Rachel rimasero fianco a fianco, mentre Kevin, alle loro spalle, sembrava quasi volersi accertare che tutto quanto procedesse senza intoppi.

Arrivarono quasi all’incrocio successivo, prima che il castano decidesse di prendere la parola. «Innanzi tutto, permettimi di ringraziarti.»

«Per cosa?» Rachel inarcò un sopracciglio, guardandolo.

«Per esserti sbarazzata di Deathstroke e Dreamer.»

«Ah.» La conduit riportò lo sguardo sul marciapiede, poi scrollò le spalle. «Non sono stata io ad ucciderli.»

«Tu hai comunque permesso che ciò accadesse.»

 «Sì, beh, io non ne vado molto fiera.»

«Poco importa.» Dominick si voltò verso di lei, scoccandole un’occhiata complice. «Mi hai comunque fatto un gran favore.»

«Dacci un taglio, Dominick. Chi sei veramente? Che cosa vuoi davvero da me?»

Lui ridacchiò. «Accidenti, vuoi andare dritta al punto, eh?»

«Hai ancora quattro minuti» ribatté lei, freddamente.

«Va bene, va bene.» Dom alzò le mani in segno di resa. «Ho capito. Non hai tempo da perdere. Allora...» Il castano si fece serio all’improvviso. Un pugno in un occhio, dopo averlo visto con quella sua aria da menefreghista perennemente incollata sulla faccia.

«... cosa penseresti... se ti dicessi che posso aiutarti con il tuo problema?»

Rachel sussultò. «Q-Quale problema?»

«Non fare la finta tonta, Rachel. Sei stata tu a voler andare dritta al sodo, e io ti ho accontentata. Sai benissimo di quale problema sto parlando. Lo stesso problema che ti ha spinta a separarti dai tuoi amici.»

Lo stupore di Corvina tornò ben presto ad essere indignazione. Un’altra cosa di cui era stanca, era che chiunque sembrava sapere quasi meglio di lei cosa le stesse succedendo.

«Si può sapere come fai a saperlo?» Rachel si voltò verso di Kevin, per scoccargli un’occhiata incendiaria. «Te l’ha detto Fido?»

Per tutta risposta, il ragazzo sollevò il dito medio.

«No, non è stato lui» rispose intanto Dominick, con calma. «Ti spiegherò tutto a suo tempo, puoi stare tranquilla, ma adesso devi rispondere alla mia domanda.»

Rachel fece scorrere lo sguardo da Kevin a Dom, non sapendo nemmeno più con chi dei due doveva essere arrabbiata. «Certo, sì, vuoi aiutarmi. Mi hai spiata per tutto questo tempo, ma vuoi aiutarmi. Va bene. E come vorresti fare, di grazia?»

Dominick ignorò bellamente il chiaro sarcasmo con cui lei pronunciò quella frase. Essendo pure lui decisamente più alto della ragazza, chinò il capo per osservarla meglio con i suoi occhi castani. Non sembrava essere mai stato così serio. «Io posso cancellarti i poteri» disse, tutto ad un fiato.

Un fulmine a ciel sereno. Ecco cosa sembrarono quelle parole alle orecchie di Rachel.

«Tu... tu ne sei in grado?» domandò lei, sbigottita. «Ma... ma allora anche tu sei un... un...»

Lui la zittì posandole l’indice sulle labbra, cosa che la scandalizzò a dir poco. Dom, invece, parve non essere minimamente imbarazzato. «Tu non sopporti più i tuoi poteri, ho ragione?» proseguì, allontanando infine il dito. «Ritieni che siano la causa di tutto e che senza di loro potrai finalmente vivere in pace. Vero?»

«I-Io...» Corvina esitò. Fino ad un’ora prima avrebbe risposto di sì senza esitazioni. Aveva tentato perfino lei stessa di cancellarsi i poteri, visto che, a quanto pareva, ne era capace, ma ovviamente non c’era riuscita. Sicuramente, le due volte che era capitato aveva agito di istinto, probabilmente i poteri avevano assecondato le emozioni provate durante l’urgenza di quei momenti e quindi avevano fatto tutto da soli.

Di conseguenza, lei non sarebbe mai riuscita a cancellare i poteri di sua spontanea volontà, né a sé stessa, né a nessun altro. Non subito, almeno. Le sarebbe servito parecchio tempo, mesi, forse perfino anni, per riuscire a capire come fare. Un po’ come aveva fatto con tutte le sue altre capacità.

Tuttavia, nonostante le si fosse appena presentata di fronte quella possibilità che tanto cercava, stentava a credere che non ci fosse qualcosa di sbagliato sotto.

«Naturalmente è una tua scelta» precisò Dominick, abbassando le braccia e tornando serio. «Io non voglio certo obbligarti ad accettare.»

«Ma perché vuoi farlo?» domandò ancora la ragazza. «Perché vorresti... aiutarmi? Qual è il tuo obiettivo?»

 «Io sono solo uno spettatore» spiegò lui, abbozzando un altro sorriso. «Non ho nessun obiettivo in particolare. Ti ho vista nei guai, e ho deciso di aiutarti. Tutto qui.»

«Perdonami, ma fatico a crederci» ribatté la corvina, con freddezza. «Nessuno fa qualcosa per qualcuno in cambio di niente. Non al giorno d’oggi. Tu hai un secondo fine, ne sono sicura.»

Dopo quell’affermazione, Dominick sospirò. «D’accordo allora, facciamo così.» Il castano le posò una mano sulla spalla, poi accennò con il capo ad una macchina parcheggiata sul ciglio della strada. «Permettimi di darti un passaggio fino alla mia umile dimora per offrirti un caffè. Nel frattempo potremo discutere con più calma, e dopo potrai decidere se accettare o no la mia proposta. E se rifiuterai, allora ti lascerò andare con la promessa di non importunarti mai più. Che ne dici?»

Rachel rimase in silenzio per un istante, a riflettere su quelle parole. Qualcosa le suggeriva di non fidarsi davvero di quelle parole, tuttavia lo sguardo di Dominick sembrava davvero sincero.

«Io un caffè lo accetterei» suggerì Kevin, alle sue spalle. «Soprattutto quando è quel braccino corto di fronte a te ad offrirlo. Un’occasione più unica che rara.»

«Così mi offendi, Kev.»

Corvina guardò prima l’uno poi l’altro, con un sopracciglio sollevato. Non riusciva a capire se la loro tranquillità fosse reale oppure solo apparente. Il campanello di allarme nella sua mente continuava ancora a dare dei cenni di vita, tuttavia... un caffè poteva concederselo. Era passata un’eternità da quando ne aveva bevuto uno degno di questo nome.

Doveva inoltre riflettere sulla proposta di Dom. Nonostante tutto, un po’ ne era rimasta intrigata. Essere finalmente libera dei suoi poteri... quasi un sogno che diventava realtà. Lei non li aveva mai voluti e non aveva fatto altro che generare del male con essi, a discapito di ciò che aveva sempre creduto. L’unico motivo per il quale era riuscita a convivere con loro era il pensiero di poterci fare del bene, cosa che invece si era, sì, avverata, ma al contrario.

E in ogni caso, se la situazione avesse cominciato a farsi più scomoda del dovuto, non avrebbe esitato un solo istante ad alzare i tacchi. Dominick aveva detto che non l’avrebbe fermata, e lei voleva credergli. Se invece si fosse opposto, beh... allora l’avrebbe costretta a fare dell’altro male, questa volta intenzionale, con i suoi poteri.

«Va bene» asserì infine. «Andiamo pure a questa umile dimora.»

«Ottimo» rispose il castano, sorridendo cordiale. «Kev, vuoi avere tu l’onore di scarrozzarci?»

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi, eccomi, ce l’ho fatta. Incredibile ma vero.

Ok, ammetto che è stato un capitolo un po’ troppo... frettoloso. Ma ho tante cose da fare, e il tempo scarseggia un pochettino ultimamente. Ho deciso di condensare un po’ le cose. Tanto, alla fine, non c’è più bisogno di allungare il brodo. Sapete tutto quello che avete bisogno di sapere, e quelle poche cose ancora non chiare verranno chiarite nei prossimi capitoli.

Spero  che questa parte vi sia comunque piaciuta, personalmente, sono contento di aver finalmente fatto riapparire Kevin e Dominick e di aver finalmente chiarito il passato di Amalia. Ecco, a proposito di quest’ultima cosa... si, beh, insomma, chiunque al suo posto avrebbe un tantino perso la testa, no? Spero che questa rivelazione non vi abbia scioccati troppo. 

Poi, ammetto che forse anche Rachel ha un tantino esagerato, decidendo di scappare, però, siate onesti, pensavate davvero che sarebbe rimasta fino alla fine con i suoi amici, pur sapendo di essere una minaccia per loro? Io dico di no.

Ora altre domande troveranno finalmente risposte. Siamo alle fasi finali della storia ragazzuoli miei, ormai non manca molto. Spero di riuscire a finire per la fine del mese prossimo, massimo massimo ad agosto.

La verità sta per venire a galla. Stay tuned ragazzi, stay tuned.

Alla prossima!

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Capitolo 25
*** Tutta la verità, nient'altro che la verità ***


Capitolo 25: TUTTA LA VERITÀ, NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ

 

 

Percorsero una lunga strada contornata da decine e decine di villette a schiera. Un quartiere che Rachel non aveva ancora visto, e che per certi versi le ricordava la periferia del Dedalo, con l’unica differenza che qui le case sembravano riuscire a reggersi in piedi senza troppa fatica. Certo, quasi tutte presentavano una tinta spenta e sporca e i giardini erano tutti quanti incolti e dall’erba ingiallita, ma d’altronde, sarebbe stato strano se così non fosse stato.

«Che quartiere è questo?» domandò, con gli occhi premuti sulle numerose abitazioni.

«Suburbia» rispose Kevin, soffiando il fumo della sigaretta fuori dal finestrino. «Un bel posticino. Tranquillo, senza vicini rompicoglioni, lontano dal caos del centro... il luogo ideale per vivere con la famiglia. Sempre se ne hai ancora una.»

Corvina non seppe spiegarsi se quella di Kevin fosse una frecciatina nei suoi confronti, o se stesse semplicemente parlando in generale. Nel dubbio, ebbe comunque voglia di soffocarlo con un cappio. Anzi, a dire il vero, quella voglia ce l’aveva da quando lui le aveva fatto la soffiata su Ravager.

«Siamo arrivati» annunciò nel frattempo Dominick, seduto sul sedile del passeggero, con il gomito appoggiato al finestrino.

Kevin accostò, parcheggiando di fronte ad una delle numerose villette. I tre ragazzi scesero e gli occhi della corvina si posarono immediatamente sul numero civico, dipinto sulla casella postale arrugginita.

Dominick nel frattempo si avviò verso la porta, estraendo un mazzo di chiavi.

«Questa casa è davvero tua, oppure hai rubato quelle chiavi?» domandò Rachel inarcando un sopracciglio, mentre lo seguiva.

«Non lo definirei proprio rubare» ribatté lui, ridacchiando. Girò la chiave giusta nella serratura ed aprì la porta. «Semplicemente... il vecchio proprietario non è più tra noi.»

Rachel gli scoccò un’occhiata diffidente, ma lo seguì ugualmente. Entrò dentro la casa e una piacevole sensazione di tepore la accolse. Le mura dell’abitazione avevano intrappolato il calore, fu piacevole per il suo corpo riuscire a percepirne un po’, dopo il freddo a cui si era abituato rimanendo in strada.

Subito di fronte a sé trovò il salotto, con due poltrone e un divano color verde stinto, disposti attorno ad un tavolo da caffè, davanti ad un televisore rotto.

«Accomodati pure» la invitò Dom accennando al divano. «Io torno subito.»

La conduit lo seguì con lo sguardo fino a quando questo non sparì dietro una porta al fondo della stanza.

«Cos’è, sei sorda?» domandò Kevin, stravaccandosi sulla poltrona più vicina all’ingresso, appoggiando i piedi sul tavolino. «Siediti pure se ti va.»

«Ho sentito, grazie.» Corvina incrociò le braccia, scoccandogli un’occhiataccia.

Kev alzò le mani in segno di resa. «Mi perdoni, sua altezza.»

Più parlava con lui, più la voglia di Rachel di soffocarlo non faceva altro che aumentare, ma alla fine decise di lasciar perdere con un sospiro. Fece il giro del divano e vi si sedette, posizionandosi comunque alla larga dalla poltrona di Kevin.

Il castano nel frattempo tirò fuori il cellulare dalla tasca e cominciò a smanettarci, senza più proferire parola. Il silenzio calò tra loro e la corvina ne approfittò per esaminare con più attenzione l’interno dell’abitazione.

I muri erano dipinti di bianco, ma ricoperti di aloni neri di sporcizia. Il pavimento era ricoperto da moquette beige, anch’essa macchiata in più punti. A parte qualche armadio, non c’era traccia di mobili. Alle sue spalle, appena dopo l’ingresso, una rampa di scale conduceva al piano superiore.

«Allora, Rachel» disse all’improvviso Kevin, senza staccare gli occhi dallo schermo del cellulare. «Hai preso la tua decisione?»

Rachel ritornò alla realtà, poi scosse il capo. «Non ancora.»

Il ragazzo scrollò le spalle. «Beh, allora permettimi di darti un suggerimento. Non pensare a ciò che potresti perdere, pensa a quello che invece potresti guadagnare. Rinunci ad una cosa che non hai mai voluto, e in cambio ne ottieni una che, invece, cerchi da dio solo sa quanto.» Kevin sollevò lo sguardo, rivolgendole un sorrisetto complice. «A me sembra l’offerta della vita.»

«Perché avete questo desiderio irrefrenabile di volermi aiutare?» interrogò Rachel, alquanto scettica.

«Te lo spiegheremo dopo che ci avrai comunicato la tua decisione.»

«Così non mi invogliate certo ad accettare la vostra proposta» osservò lei.

«Sì, beh...» Il castano distolse nuovamente gli occhi da lei. «... il discorso è sempre lo stesso. Non è certo facile fidarsi di qualcuno apparso dal nulla, soprattutto quando questo qualcuno ti fa una proposta che potrebbe cambiare per sempre la tua vita. È come una partita a poker, non sai quali sono le carte del tuo avversario, tu ti basi semplicemente su ciò che hai. E facendo i dovuti paragoni, in questo momento tu hai una coppia di due, mentre i tuoi avversari hanno una scala reale a testa. L’unico modo che hai per levarti da questo impiccio è uscire dalla partita, e io e Dom possiamo far sì che tu ci riesca.»

«I miei poteri sarebbero una coppia di due?» domandò lei, inarcando un sopracciglio.

«Non i tuoi poteri.» Kevin sogghignò, indicandola. «La tua vita. La tua vita è una coppia di due. Di picche. I tuoi poteri sono più un full, o un tris di assi. Sono buone mani, nulla da dire, ma non bastano certo per battere una scala reale.»

Il ragazzo si sporse verso di lei, facendosi più serio. «Esci dalla partita, Rachel, fai un favore a te stessa. Tenendoti i poteri non andrai da nessuna parte e tu lo sai meglio di me. Liberatene e torna a vivere serena. Non ti mancano già i tuoi amici? Non vorresti tornare da loro? Andiamo, tu non sei fatta per rimanere da sola, te lo leggo in faccia. Tu hai bisogno di avere qualcuno accanto. È più forte di te. O sbaglio?»

Rachel distolse lo sguardo da lui e si fissò le ginocchia, senza rispondere. Si sarebbe sentita tremendamente stupida ed infantile ad ammettere che aveva ragione, che era davvero, davvero, bisognosa di affetto. Era come se fosse ancora una bambina con il perenne bisogno di stringere la mano di qualcuno per essere guidata.

Non l’avrebbe definita proprio una debolezza, semplicemente, quello era il suo modo di essere. Era fatta così, non poteva farci nulla. Non le piaceva essere sola. Voleva qualcuno accanto a lei, qualcuno che la capisse, che la facesse sentire speciale per almeno una volta nella sua vita.

Le ritornarono in mente le parole di Ravager. Lei era un mostro, un abominio, uno scherzo della natura. Tutti si sarebbero tenuti alla larga da lei, e quelli che non lo avrebbero fatto, allora avrebbero rischiato la vita.

Aveva bisogno di affetto, ma non poteva riceverlo a causa dei suoi poteri. E l’unico modo per eliminare per sempre i suoi poteri, era quello di smettere di respirare per sempre.

Tuttavia, ora aveva trovato una scappatoia, qualcuno che sarebbe riuscito a farla uscire da quella partita persa in partenza con la vita.

Non era più posto per lei, quello. Non lo era mai stato, anzi. Avrebbe dovuto morire nell’esplosione, ma non lo aveva fatto e si era ritrovata in quell’impiccio grande il quintuplo di lei. Ma ora aveva un’occasione per mettere la parola fine a tutto quanto, definitivamente.

Tuttavia, qualcosa le diceva che accettare la proposta di Dom era sbagliato.

Era bloccata ad un bivio. Aveva due strade da prendere, ed entrambe avrebbero segnato per sempre le sorti della sua vita.

La felicità e la libertà da una parte, la sicurezza e la consapevolezza di non essere stata raggirata in alcun modo, dall’altra, tuttavia con la condanna a rimanere sola.

«Scusate l’attesa.»

La voce di Dominick la riportò all’improvviso alla realtà. Il ragazzo era apparso alle sue spalle all’improvviso, con tra le mani un vassoio da bevande. Lo posò sul tavolino, appoggiate su di esso vi erano tre tazzine contenenti un liquido scuro.

«So che c’è n’è poco, ma la macchinetta ha fatto un po’ di capricci» spiegò lui, sedendosi sulla poltrona rimasta vuota, prendendo una tazzina.

Anche Kevin ne arraffò una e cominciò a sorseggiare. «Accidenti Dom, oggi ti sei superato. Non ha mai fatto così schifo» commentò, beccandosi un dito medio dal socio.

«Rachel?» domandò poi il castano, osservandola. «Tu non lo prendi?»

Corvina non era più molto in vena di berlo, ma decise di non fare storie. Prese l’ultima tazzina rimasta, ma non l’avvicinò nemmeno alle labbra. Rimase ferma, a riflettere sulle parole di Kevin. Anche se, ormai, non c’era più molto su cui riflettere.

Inspirò profondamente, attirando l’attenzione dei due ragazzi. Poi, con lo sguardo basso, cominciò a parlare: «Se accetto la vostra proposta... che cosa accadrà? Che cosa farete voi? Che cosa ci guadagnerete ad aiutarmi?»

 «Il motivo per cui ho voluto farti questa proposta te lo spiegherò solamente dopo che avrai deciso, ma per adesso, posso dirti che nessun male sarà fatto né a te, né ai tuoi amici, né a nessun altra persona innocente» rispose Dominick, serio in volto. «Io non voglio, assolutamente, ingannarti. Tu sarai libera e noi ce ne andremo. Non ci rivedrai mai più. È una promessa.»

«Perdonami, ma ormai faccio un po’ fatica a credere alle promesse.»

Dominick sospirò. «Io non sono Dreamer. Lui era un codardo, un vigliacco, un Verme con la v maiuscola. Se non ci fossi stata tu, probabilmente sarei stato io stesso a farlo fuori. Quel tizio... era la vergogna di tutte quelle persone che, come me e Kevin, inseguono i loro ideali. Perfino Deathstroke era una persona migliore di lui, e, credimi, per essere peggiori di Deathstroke bisogna proprio impegnarsi. Ma, se non altro, lui era leale, a differenza di Dreamer. Quindi puoi stare tranquilla. Se dico che nessun male sarà fatto a te e ai tuoi amici, allora così sarà. Tu accetti, noi spariamo. Questo è l’accordo.»

Dominick si alzò in piedi, per poi guardarla dall’alto. Le porse una mano. «Stringi la mano se accetti. Altrimenti, puoi alzarti e andartene.»

Rachel osservò la mano di lui. Il cuore cominciò a batterle forte nel petto. Era giunto il momento, doveva decidere, lì, seduta stante.

Se avesse accettato sarebbe stata libera di tornare dai suoi amici, e quel fardello fin troppo pesante per lei l’avrebbe abbandonata per sempre. Anche se non era detto che Lucas e Tara l’avrebbero accettata, dopo tutto quello che aveva fatto. Ma se avesse rifiutato, sarebbe rimasta sola in ogni caso. La sua morale le avrebbe impedito categoricamente di avvicinare qualsiasi persona, per paura di ferirla. Se non altro, senza poteri, avrebbe potuto essere più tranquilla e in pace con sé stessa.

In un certo senso, lasciarsi cancellare i poteri, era un po’ come un’espiazione di tutte le sue colpe, dirette ed indirette che fossero.

Era una scappatoia, completamente gratis, che le avrebbe permesso di abbandonare quella vita infame e di poter tornare ad essere una persona normale, cosa che dal momento stesso in cui aveva ottenuto i poteri, infondo, aveva desiderato.

E Dominick aveva detto che non le avrebbe fatto alcun male, e sembrava sincero.

Rachel prese coraggio. Aveva paura. Aveva tanta, tantissima paura. Ma le alternative quali erano? Rimanere sola per sempre, a lottare con il suo stesso corpo, fino a quando non sarebbe impazzita com’era successo ad Alden, o a Sasha?

Quella non era la vita che faceva per lei, non lo era mai stata. Andava messa la parola fine, ed ora aveva l’occasione per farlo.

Si alzò dal divano e osservò Dominick dritto negli occhi. Infine, senza dire una parola, strinse la sua mano.

Si immaginò gli scenari peggiori possibili mentre compiva quel gesto, ma nessuno di essi si avverò. Dominick ricambiò la stretta della mano, la sua espressione non mutò minimamente. L’unica cosa che fece, fu quella di rivolgerle un cenno di intesa con il capo.

Le mani si separarono e il ragazzo la invitò con un cenno del capo a seguirla. Si posizionarono dietro il divano, davanti all’ingresso, uno di fronte all’altra. Dom appoggiò dunque il palmo sulla spalla di Rachel. «Pronta?» domandò, lasciandole ben intuire cosa stesse per accadere.

Dopo un altro attimo di incertezza, Rachel annuì. «Sì.»

«Bene. Farò in fretta, te lo prometto.»

Dominick chiuse gli occhi e aumentò la presa sulla spalla di Corvina, quasi chiudendola in una morsa. La conduit trasalì, cominciando perfino a provare dolore.

Poi, la vide. Vide l’energia oscura, la sua, energia oscura, cominciare a fuori uscire dal suo corpo, avvicinandosi verso la mano di Dom. Cominciò a penetrare al suo interno, fondendosi con lui.

Rachel inarcò un sopracciglio, ma un secondo prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, un’atroce fitta di dolore le colpì l’intero corpo, facendola esplodere in un urlo straziante.

Urlò fino a quando non riuscì nemmeno più a sentire, fino a quando la vista le si offuscò completamente. Si sentiva quasi come se tutta la sua energia vitale stesse venendo drenata dalla mano di Dominick, quasi come se egli stesse divorando la sua anima.

Il dolore era atroce, insopportabile. Le attraversava tutto il corpo, bruciando terribilmente, come se stesse venendo arsa viva. Migliaia di tizzoni ardenti premevano sul suo corpo, perfino sulle piante dei piedi. Centinaia di serpenti velenosi la stavano mordendo, iniettando il loro acido nelle sue vene.

La sensazione di tremenda agonia continuò per lunghi interminabili momenti, potevano essere passati anche solo pochi secondi, ma per lei era già fin troppo. Cercò quasi di allontanare la presa di Dom dalla spalla, ma non ci riuscì. Non riusciva più a controllare il proprio corpo, non riusciva nemmeno più a pensare nitidamente.

E poi, tutto svanì. Si ritrovò a terra, in ginocchio, con il fiatone. Perle di sudore le impregnavano il volto e i vestiti, il cuore batteva all’impazzata.

Ma era ancora lì. Il dolore era cessato all’improvviso, quasi come se non ci fosse mai stato. Stentava perfino a ricordarselo. Si rialzò lentamente in piedi, tremando come una foglia. Rivide le pareti della casa, rivide il salotto, rivide Kevin intento ad osservarla inespressivo mentre era seduto sulla poltrona e poi rivide Dominick.

Il castano era in piedi, con il capo chinato e gli occhi ancora chiusi, anche lui con il fiatone e con i capelli tirati all’ingiù a causa del sudore.

Rachel guardò entrambi i ragazzi, incapace di pensare qualsiasi cosa, poi sgranò gli occhi. Si drizzò completamente e si guardò le mani. Tremavano ancora. Il suo intero corpo era ancora parecchio scosso. Ma non stava succedendo niente.

Il cuore batteva all’impazzata, il respiro era pesante, il tremolio era costante... ma non succedeva niente.

Non uscivano nuvole di vapore nero dalle sue mani o dal suo corpo, non sentiva fitte di dolore alla testa, non si sentiva più come se avesse un macigno nello stomaco. Le pareva di essere più leggera perfino dell’aria, come se le avessero tolto dai piedi una zavorra di una tonnellata.

E dunque, realizzò.

«Ci... ci sei riuscito» mormorò, incredula, mentre una sensazione di sollievo sorgeva dentro di lei, accompagnata da un tenue sorriso.

Passarono ancora diversi istanti, durante i quali Rachel rimase completamente concentrata su sé stessa. Tentò diverse volte di usare i poteri di sua spontanea volontà, ma di questi nessuna traccia. Erano svaniti. Ora il suo corpo era di nuovo suo. Niente più battaglie interiori, niente sgradevoli sensazioni, niente di niente.

Era finito. Finalmente, era libera.

Ci impiegò ancora qualche momento, per realizzare, tuttavia, che Dom ancora non le aveva risposto. Sollevò lo sguardo, perplessa. «Ehi, hai sentit...» Si interruppe di colpo, quando lo vide con ancora il capo chinato e il fiato grosso, così grave da sembrare quasi un rantolio.

Inarcò un sopracciglio e cercò dunque lo sguardo di Kevin, ma questi distolse lo sguardo da lei immediatamente, la bocca stirata in un’espressione indecifrabile, ma a Rachel parve quasi di sconforto.

Un brivido le percorse la schiena e il sorriso svanì completamene dal suo volto. Cercò di nuovo di rivolgersi a Dominick, ma questa volta lui fu più veloce. Prima che la corvina potesse aprire bocca, una sommessa risata cominciò a provenire dal castano, risata che cominciò a farsi mano a mano più forte, fino a quando egli non rovesciò la testa all’indietro, spalancando entrambe le braccia.

«Meraviglioso!» esclamò, mentre un’aura di energia nera fin troppo famigliare alla ragazza cominciava ad avvolgergli il corpo.

Rachel sgranò gli occhi. Con suo orrore crescente, cominciò a capire che cosa stava succedendo.

«Ma come facevi ad essere così infelice con un simile potere dentro di te?!» domandò ancora Dominick, smettendo di ridere, ma sorridendo ugualmente come un pazzo. Senza nemmeno attendere una risposta, urlò più forte e un’onda di energia si diramò dal suo corpo, causando uno spostamento d’aria che fece tremare le pareti, sbattere i mobili e per poco non mandò anche Rachel a gambe all’aria.

La ragazza a quel punto indietreggiò, inorridita, ma andò a sbattere contro qualcosa. Si voltò, per poi ritrovarsi di fronte l’espressione severa di Kevin, il quale, con un semplice movimento del capo, le fece intuire che andarsene era fuori discussione. Corvina pietrificò, incapace di pensare.

«Oh, sì...» borbottò ancora Dom, riportando le braccia accanto ai fianchi, mentre l’aura si affievoliva. «... questo... era esattamente ciò che cercavo.»

«Mi... mi hai rubato i poteri!» esclamò a quel punto Rachel, riportando lo sguardo su di lui.

«Errore.» Il castano negò la sua affermazione sollevando l’indice, sogghignando. « Come avrai ben intuito, anch’io sono un conduit. Tuttavia, non sono un conduit come gli altri. Io non ho acquisito alcun potere dopo l’esplosione che mi ha investito. L’unica cosa che ho guadagnato, è stata la capacità di copiare i poteri altrui tramite il semplice contatto fisico. E la stessa cosa ho fatto con te.»

Rachel dischiuse le labbra, cominciando a non capirci più niente. «Ma... non puoi solo averli copiati... io... non li ho più...»

«Questa è la parte più bella» ribatté lui, sollevando una mano per poi osservarsi il palmo, ammaliato. «Io ho copiato i tuoi poteri, e poi ho sfruttato la loro capacità per eliminarteli.» Richiuse la mano a pugno, riportando lo sguardo su di lei, trafiggendola con quei suoi occhi marroni. «Io non sono mai stato capace di cancellare poteri, Rachel. L’unica che era in grado di farlo eri tu. O meglio, lo erano i tuoi poteri. Praticamente, te li sei cancellati da sola. Io ho fatto solo da tramite. Ma non temere, ne esiste ancora una copia, e quella, adesso, la possiedo io.»

La mano tornò ad illuminarsi di nero e il ragazzo ridacchiò nuovamente. «Così facendo, mi hai appena dato la chiave per raggiungere il successo.»

«Che... che intendi dire?»

«Vedi, Rachel, ho passato mesi girando di stato in stato alla ricerca di poteri nuovi. Durante questo lasso di tempo ho avuto modo di copiarne decine e decine di diversi. Fuoco, elettricità, fumo, sabbia... tu lo nomini, e io ce l’ho. Poi siamo arrivati ad Empire City. Qui ne ho appresi due nuovi: il controllo mentale e la telecinesi. Indovina un po’ chi me li ha regalati?»

Rachel sgranò gli occhi. Una nuova tessera del mosaico andò al suo posto. «Sasha e Alden...»

Dominick annuì con un sorrisetto di trionfo. «Esattamente. Vorrei dire che mi hanno dato parecchio filo da torcere, ma ti mentirei, ed io non sono un bugiardo. Ucciderli è stato uno scherzo per il sottoscritto. Avendo così tanti poteri, non ho nessun punto debole. O meglio, quasi, nessuno. Esisteva una persona che forse, e dico forse, avrebbe potuto rivelarsi potenzialmente pericolosa per me.»

Indicò la ragazza. «Tu, Rachel. Non appena sono giunto ad Empire, le gesta della Demone sono subito arrivate alle mie orecchie. Non ci ho messo molto a trovarti. All’inizio volevo copiare i tuoi poteri ed uccidere anche te, ma poi ho visto meglio quella tua energia nera che controllavi. E ho subito capito che quella era un qualcosa di completamente diverso dai poteri che ero abituato a conoscere. Tu non controllavi un semplice elemento, Rachel, tu controllavi qualcosa di molto più potente e arcano. Qualcosa di così misterioso che avrebbe perfino potuto mettere a rischio la mia incolumità.

«Così ho cominciato ad osservarti. Ti ho studiato per giorni, settimane, mesi. Ovunque tu e il tuo amico Lucas andavate, io c’ero. A debita distanza, certo, ma c’ero. Non potevo certo rischiare di farmi scoprire, o di immischiarmi nei tuoi affari. E ho notato che più passava il tempo, più i tuoi poteri si evolvevano. Ogni volta che si presentava una situazione particolare, loro si manifestavano sotto una nuova forma. E la cosa, naturalmente, ha suscitato il mio interesse.

«Il culmine lo hai raggiunto il giorno in cui hai affrontato Hank e gli hai cancellato i poteri. Ovviamente non potevo essere sicuro che fosse andata davvero così, tuttavia... il sospetto c’era. Ed era anche piuttosto forte. L’interruzione della quarantena, per finire, è stata la ciliegina sulla torta.

«Il mio obiettivo era quello di farti arrivare proprio a Sub City, città in cui già ero stato e di cui conoscevo le insidie. Ad Empire non esistevano più minacce in grado di mettere alla prova i tuoi poteri, ma qui... qui avresti davvero potuto trovare pane per i tuoi denti, avendo a che fare con gente come Deathstroke e Dreamer.

«Avevo bisogno di vederti alla prova, di vedere di cosa davvero erano capaci i tuoi poteri, di sapere a che cosa stavo andando incontro. Gli Underdog non ci avrebbero messo molto a trovarvi in ogni caso, ma non mi bastava. Dovevi essere coinvolta in qualcosa di molto più grosso e pericoloso, così ho avvisato Dreamer del tuo arrivo.»

«Sei stato tu?!» domandò Rachel all’improvviso, interdetta. Nello stesso momento in cui pose quella domanda, ebbe un flashback. Ripensò al suo primo incontro con Dreamer e a ciò che le aveva detto. Si era sempre domandata come avesse fatto a trovarla, e ora sapeva la risposta. Un’altra tessera andò al suo posto.

Il castano, nel frattempo, annuì nuovamente. «Per tutto questo tempo ha creduto di essere una pedina di Dreamer, dico bene? Peccato che anche Dreamer non era nient’altro che una pedina nelle mie mani. Tutto quello che è successo, è stato iniziato da me. Sapevo che Dreamer avrebbe cercato di usarti per arrivare a Deathstroke, e sapevo anche che gli UDG vi avrebbero cercati. Il rapimento di Tara è stato l’unico avvenimento in cui non ho messo mano, ma è stato comunque provvidenziale.

«Intuendo che avreste cercato di andare a salvarla, ho fatto un salto dagli UDG e ho fatto in modo di incontrarmi con Ravager, quella sera, nella High Sub, promettendole qualche informazione sui conduit, informazioni che a Deathstroke servivano come l’ossigeno. Ovviamente non sapeva che la stavo raggirando, e non credo che l’abbia mai capito. Mettendoti contro un avversario del suo calibro, ho scoperto molte altre cose interessanti su di te. Tutto ciò che hai fatto qui a Sub City, non è servito ad altro che a prepararti per la battaglia finale con Deathstroke, dove, finalmente, ho scoperto che i tuoi poteri possono davvero cancellare quelli degli altri.

«A quel punto, non mi è restato che attendere. Dreamer e Deathstroke sono morti, le loro fazioni distrutte, e tu hai deciso di lasciare i tuoi amici. Non mi sarei mai aspettato quest’ultima cosa da te, ma devo dire che è stato un bel colpo di fortuna, per me. Almeno sono riuscito ad avvicinarti senza avere problemi di troppo. E, beh, credo tu sappia come le cose siano finite.

«Ora che ho anche i tuoi poteri, e mi sono assicurato che tu non li possieda più, sono ufficialmente il conduit più potente che esista. Con le mie abilità di copiatore, e i tuoi poteri, nessuno sarà in grado di fermarmi. Copierò e cancellerò i poteri di tutti i conduit che si metteranno sulla mia strada, fino a quando non ne rimarrà solo uno.»

Dominick indicò sé stesso, sfoderando un ghigno di quelli che avrebbero fatto rabbrividire perfino il gatto di Alice. «Una nuova era sta per sorgere, come il buon Wilson ha anche detto. Ed io, sarò il dio di questa era. Vedi, Rachel...» Il sorriso svanì dal suo volto, lentamente. «Io non voglio fare del male né a te, né ai tuoi amici, né alle persone innocenti. Io voglio solo essere il più forte. Non mi interessano cose come il rispetto o la vendetta, non  sono uno di quegli insicuri che desiderano solo di essere temuti e amati dalle persone semplicemente per colmare qualche vuoto lasciato loro dalle loro misere vite. Io non ne ho bisogno. Io voglio solo il potere. Né più, né meno. E ora, grazie a te, lo avrò. E nessuno potrà contraddirmi.»

Un silenzio tombale scese quando smise di parlare. Probabilmente si aspettava una risposta da parte di Rachel, ma la corvina era ancora troppo scioccata per poter aprire bocca.

Tutto quanto. In quelle parole, c’era tutto quanto. La risposta a tutte quelle domande che avevano attanagliato Rachel, quelle risposte che, in parte, aveva sempre voluto sapere.

Per tutto quel tempo... c’era stato lui dietro a tutto quanto. Aveva creduto di essere stata la pedina di Dreamer, ma la realtà era che perfino Dreamer era stato una pedina.

Dominick era il vero responsabile. Tutto quello che le era accaduto a Sub City era stato per colpa sua, perché lui voleva metterla alla prova. Voleva i suoi poteri, ma prima di tutto aveva voluto accertarsi di cosa questi fossero davvero capaci.

E ora, erano suoi. Aveva ottenuto ciò che voleva.

Decine e decine di poteri, più i suoi, ora erano tutti riuniti all’interno di un unico individuo.

«Come... com’è possibile? Come puoi... vivere tranquillo... sapendo di possedere così tanti poteri?» domandò infine, con un filo di voce. Non era nemmeno arrabbiata, con lui, no. Era spaventata. Nessun essere umano era in grado di sostenere così tanta forza. A stento era possibile controllare un solo potere, per lei, come poteva Dominick essere ancora sano di mente? Ammesso che davvero ancora lo fosse.

Nessun uomo può gestire così tanto potere. Perché il potere da alla testa. Le parole di Ravager rimbombarono nella sua mente. Più ne hai, più ne vorresti.

«Semplice. Basta essere forti» rispose Dominick, rivolgendole un’occhiata quasi sbeffeggiatrice. «Cosa che tu hai preferito non essere.»

Rachel ammutolì, ferita da quella risposta. Strinse i pugni, anche se sapeva che quel gesto non sarebbe servito a nulla.

«Suvvia, Rachel, non te la prendere. Io non ho nulla contro di te, anzi, voglio farti un regalo.» Il ragazzo congiunse le mani, sorridendole freddo. «Per dimostrarti che ti sono grato di avermi donato i tuoi poteri, sistemerò quella vecchia faccenda che in quel giorno di pioggia ad Empire ti ha causato tanto dolore, tutto per te. Indovina un po’ chi è arrivato in città qualche giorno fa’?»

Non appena udì quella domanda, Rachel sentì il respiro mozzarsi. La risposta le arrivò immediatamente, e le parve tanto giusta quanto errata.

Ma, d’altronde, chi altro poteva essere colui che l’aveva fatta soffrire in un giorno di pioggia?

«Richard...» sussurrò appena, incapace di credere lei stessa a quelle parole.

Il ragazzo annuì lentamente, accentuando il sorriso. Un brivido percorse la spina dorsale di lei, quando ebbe quella conferma.

«Si stava dirigendo a New Maries insieme alla sua scorta di Mietitori...» spiegò Dominick. «... quando ho deciso di tendere loro un’imboscata. Non sai quanto è stato facile per me ucciderli tutti. E ancora più facile è stato lasciarmi dietro delle tracce per far sì che lui mi inseguisse fino a qui. Non trovi che sia una cosa meravigliosa, Rachel? Una splendida riunione tra vecchi amici. Io, te, lui... Mi mancano ancora i suoi poteri, sai? Credo proprio... che mi prenderò anche quelli, prima di ucciderlo.»

«No!» scattò Rachel all’improvviso. «Non puoi ucciderlo!»

«Perché no?» domandò il conduit copiatore, con finto tono d’innocenza. «Non dirmi che sei ancora affezionata a lui.»

La ex conduit sgranò gli occhi, chiudendosi di nuovo nel silenzio. Sentì le guancie pizzicare e pregò di non essere avvampata.

Erano successe così tante cose da quando Richard le aveva detto addio che lei lo aveva perfino quasi dimenticato. Quasi.

Malgrado tutto, aveva continuato a sognare i giorni al collegio trascorsi soffrendo per il suo "tradimento". E, inoltre, quando aveva visto quella luce, nella zona industriale, aveva subito pensato a lui. E adesso, subito dopo aver sentito l’intenzione di Dom di ucciderlo, si era immediatamente opposta.

Nonostante Richard l’avesse abbandonata, non una volta, ma ben due. Nonostante l’avesse ferita e umiliata. Nonostante tutto ciò che lui le aveva fatto, non voleva che qualcosa di brutto gli capitasse.

In quel momento, si sentì molto più debole di quanto potesse immaginare. Con tutto quello che era successo, ancora riusciva a provare dei sentimenti verso di Richard. Ancora si sentiva legata a lui, nonostante, di fatto, a legarli non ci fosse più assolutamente nulla.

Dominick si avvicinò a lei, per poi posarle di nuovo una mano sulla spalla, facendola trasalire e distogliere dai suoi pensieri. «Quel tipo è uno stronzo, dovresti saperlo meglio di me. Non è tuo amico, e di certo non è un innocente.» Il castano chinò il capo, per osservarla meglio negli occhi. Lei cercò di reggere lo sguardo, ma non riuscì a resistere a lungo. Abbassò gli occhi, sentendosi imbarazzata e stupida come mai era stata.

«Io voglio solo farti un favore, Rachel» disse ancora il copiatore, sfiorandole una ciocca di capelli. «Lui non ti merita. Non ti ha mai meritato. Bisogna essere ciechi, o stupidi, per non accorgersi di una come te. Lascia che gli dia una bella lezione.»

«No» insistette ancora lei, scuotendo la testa per poi trovare il coraggio di rialzarla. «È vero, si è comportato malissimo con me, però... però... non merita di morire. Non puoi ucciderlo. Se davvero non hai nulla contro di me, allora dovrai risparmiarlo.»

«Mh.» Il castano piegò un angolo della bocca, scrutandola dall’alto con aria pensierosa. Dopo diversi istanti in cui Rachel pensò di averlo convinto, quello scrollò le spalle, allontanandosi da lei di un passo. «Se non vuoi che io gli faccia del male, pazienza. Io lo farò lo stesso.»

«Cosa?!» esclamò lei. «Ma hai detto che...»

Prima che potesse terminare la frase, si ritrovò con la mano di Dominick avvinghiata attorno al suo collo. La corvina sgranò gli occhi, poi emise un verso strozzato. Cercò di dimenarsi e di liberarsi da quella presa, ma il ragazzo era molto più forte di lei.

«Ora mi hai proprio stancato, lo sai?» domandò il castano, calmo, per poi sollevarla come una bambola di pezza.

Rachel cercò di scalciare, ma la stretta attorno al collo aumentò vertiginosamente, e alla ragazza mancarono le forze. La vista le si appannò, respirare le divenne sempre più difficile.

«Ascolta, Rachel, tu mi piaci, sai? Hai un sacco di potenziale, che però non sai sfruttare.» Dominick le rivolse un sorriso freddo. «E inoltre sei dannatamente testarda. Tutte le volte che ti metti in testa qualcosa, non ti fermi fino a quando non arrivi fino in fondo. Hai bisogno che qualcuno ti metta un freno, di tanto in tanto. Credimi, se riuscissi a capire quando è il momento di fermarsi, non avresti fatto la metà delle cazzate che invece hai fatto. E scappare dai tuoi amici è stata una di queste.»

La presa aumentò attorno alla gola della giovane. Il fiato le mancò, smise di dimenarsi del tutto. Una lacrima le solcò la guancia. Ma non appena pensò che quella fosse davvero la fine per lei, il castano la lasciò andare di colpo, facendola ruzzolare a terra. Di nuovo libera di respirare, la ragazza prese enormi boccate d’aria, intervallate da fragorosi colpi di tosse.

Rimase a terra, a tossire, a boccheggiare e anche a singhiozzare. Si sentì vulnerabile come non mai. Era come se lei fosse un fuscello di legno che per poco non era stato spezzato da Dominick. Tutto ciò le fece capire quanto impotente fosse in quel momento.

«Ora devo andare. Tienila d’occhio, Kevin.» Il castano la aggirò, per poi arrivare alla porta. Accanto a lui, Rachel scorse Kevin, il quale la osservava con sguardo indecifrabile. La corvina cercò di rivolgergli una muta richiesta di aiuto, ma lui la ignorò bellamente.

«A tra poco, Rachel» disse ancora Dom, strizzandole l’occhio, prima di aprire la porta e uscire dall’abitazione.

Non appena fu fuori, Rachel chinò il capo e cominciò a piangere.

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Capitolo 26
*** L'ultima corsa ***



Capitolo 26: L’ULTIMA CORSA

 

 

 

Rachel non seppe dire quanto tempo passò ad osservarsi le mani, nei momenti che si susseguirono. Tutto quanto le stava crollando addosso, di nuovo. Era stata raggirata, di nuovo.

Certo, Dominick aveva detto che non avrebbe fatto del male né a lei, né ai suoi amici, ma poteva davvero fidarsi delle parole di pazzo conduit assetato di potere?

Ancora non riusciva a capacitarsi di come quel ragazzo potesse continuare a vivere serenamente nonostante le decine di poteri diversi che controllava. Come faceva a mantenere il controllo in quel modo?

Sul fatto che fosse impazzito non c’erano dubbi, tuttavia era parecchio bravo a mascherare la cosa. Ma per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a portare avanti quella farsa? Quanti altri poteri doveva ancora assorbire prima di perdere definitivamente il controllo?

Dominick non si sarebbe mai fermato, fino a quando il suo corpo non sarebbe imploso. Avrebbe potuto resistere anni, come anche solo pochi giorni. Era solo questione di tempo. Prima o poi, anche lui avrebbe cominciato ad uccidere chiunque gli fosse capitato a tiro, senza distinzioni.

Oggi erano i conduit. Domani... chi poteva dirlo.

Forse Rachel non era davvero stata raggirata, ma fatto stava che, donandogli i suoi poteri, gli aveva appena conferito la capacità di impedire a chiunque di arrestare il suo cammino.

Ma forse, era ancora in tempo. Non poteva più combattere, ma avrebbe comunque potuto tentare di farlo ragionare. Non solo per salvare Richard, ma anche per salvare lo stesso Dominick, nonché chissà quante migliaia di persone innocenti.

Anche se non sarebbe andata molto lontano, con Kevin a due passi da lei, stravaccato sulla sua poltrona.

Malgrado avesse la visiera del cappello calata sugli occhi, Rachel era abbastanza sicura che, se avesse tentato di scappare, lui se ne sarebbe accorto. E le conseguenza sarebbero state spiacevoli. Doveva inventarsi qualcosa, e alla svelta.

«Non sei stanco di obbedire ciecamente ad ogni ordine di Dominick?» gli domandò, tutto ad un tratto. «Insomma, non vuoi...»

«Non ci provare bellezza, non attacca con me» mugugnò Kevin, interrompendola, senza nemmeno alzarsi il cappello.

«Non ti lascia mai agire di testa tua?» insistette ancora lei, sporgendosi verso di lui. «Lo sai che, in questo momento, tu sei suo prigioniero tanto quanto me?»

Una risatina sommessa provenne dal ragazzo, il quale si levò il cappello da davanti agli occhi. «Ma ci credi davvero alle stronzate che dici? Credi davvero che io sia lo schiavo di Dom? Lascia che ti spieghi una cosa, ragazzina: Dom è mio amico. Siamo praticamente fratelli. Le cose che ci sono successe... non le augurerei a nessuno. Le cose che sono successe a lui in particolare. Tu non sai niente, né di me, né di lui. Non cercare di metterci l’uno contro l’altro, perché non funzionerà mai, nel modo più assoluto. E adesso tappati la bocca e non rompermi più le scatole, o giuro che ti zittisco io, ed è meglio che non ti dica come.»

Kevin si rimise la visiera del berretto di fronte agli occhi. «Ti lasceremo andare quando Dom avrà finito con Richard, perciò mettiti l’anima in pace e aspetta, in silenzio.» Mise parecchia enfasi a queste ultime due parole.

Rachel strinse i pugni. Immaginò un cappio di energia nera legato attorno al collo del suo aguzzino, ma ovviamente nulla accadde. Provò un profondo senso di vuoto. 

Si riappoggiò allo schienale del divano e sospirò. Escluse le parole, non le restavano molti altri mezzi per poter convincere Kevin ad aiutarla. Dubitava che dirgli che il suo migliore amico fosse pazzo lo avrebbe convinto. Probabilmente, un po’ pazzo lo era anche lui.

Lo sguardo della ragazza cadde poi sul vassoio rimasto sul tavolo, e sulla sua tazza di caffè ancora piena. Spostò lo sguardo verso la porta. Non era molto lontana. E Kevin non sembrava molto attento a lei. Un pensiero le attraversò la mente e avvicinò la mano alla tazzina.

«Prova a lanciarmela e giuro che te ne farò pentire amaramente» borbottò il ragazzo nel momento stesso in cui lei ne sfiorò il manico.

Corvina si irrigidì come un chiodo, poi deglutì. «Volevo solo berne un sorso...»

«Indubbiamente.» Era sarcastico, Rachel se ne accorse immediatamente. Sospirò, poi si avvicinò la tazzina con mano tremante alle labbra. Sorseggiò il caffè. Si era raffreddato, ed era davvero disgustoso. Posò di nuovo la tazza, trattenendo una smorfia.

«Ascolta... c’è... c’è un bagno? Dovrei...»

«In teoria c’è, ma in pratica devi darmi il cellulare prima di andarci. E devo anche venire a controllarti.»

«... non mi scappa più.»

«Brava ragazza.»

Ormai senza speranze, Rachel si stravaccò di nuovo contro lo schienale del divano. Odiò con ogni fibra del suo essere il ragazzo seduto vicino a lei. Le cose si mettevano male, il tempo stringeva.  Ma se non riusciva a levarsi Kevin dai piedi, non sarebbe mai andata molto lontana. Ormai, l’unica cosa in grado di aiutarla era un intervento divino.

Passò qualche altro minuto. Corvina cominciò a girarsi i pollici, letteralmente, scervellandosi in tutti i modi possibili per poter trovare una soluzione, fino a quando qualcuno non bussò alla porta all’improvviso. Sia Rachel che Kevin si drizzarono di scatto. Il ragazzo sollevò un sopracciglio. «Dom? Ha già finito?»

I rintocchi contro il legno proseguirono, con più insistenza.

«Arrivo, arrivo!» Il castano si alzò in piedi e andò ad aprire, borbottando qualcosa di incomprensibile. Corvina lo seguì con lo sguardo, con il respiro mozzato.

«Che cavolo amico, la prossima volta ricordati le chia...» Kevin spalancò la porta, giusto un attimo prima di ritrovarsi conficcata una lama rossa in mezzo alla fronte. Nemmeno un millisecondo dopo, questa esplose, scaraventandolo dall’altra parte della sala, facendolo sbattere con violenza contro la parete. Diverse crepe si diramarono dietro di lui.

«Ahia...» rantolò, per poi crollare a terra, seduto e con il capo chinato.

Rachel aveva osservato la scena quasi a rallentatore, scioccata. Spostò poi lo sguardo verso la porta, per poi rimanere senza fiato. Un individuo si trovava sull’uscio, sicuramente l’artefice di quanto accaduto a Kevin.

Corvina intuì ben presto che gli dei non c’entravano assolutamente nulla con lui.

«Lucas!»

«Rachel! Stai bene?» domandò lui entrando in casa.

La ragazza non rispose nemmeno. Si alzò dal divano e gli corse incontro, stritolandolo in un abbraccio. Singhiozzò senza nemmeno rendersene conto.

«Lucas» ripeté, come in trance. «Grazie... grazie...»

«Non dire niente, Rachel. Sta tranquilla» la rassicurò lui, accarezzandole la schiena. Quel contatto così familiare la rincuorò. E allo stesso tempo la fece sentire tremendamente in colpa. Era stata lei ad andarsene, lei gli aveva urlato in faccia, lei si era cacciata nei guai come una stupida. Lui non doveva essere lì ad aiutarla. Avrebbe dovuto lasciarla stare, dimenticarla.

«Perché sei qui, Lucas? Io... io ti ho... ti ho...»

«Perché gli amici fanno questo» la interruppe lui, a voce bassa. Quel sussurro così vicino al suo orecchio la fece rabbrividire. «Si supportano nei momenti facili, ma anche, e soprattutto, nei momenti difficili. E comunque è stata anche colpa mia. Non avrei dovuto lasciarti andare in quel modo.»

«Come hai fatto a sapere che ero qui?» domandò allora Rachel, il tono carico di sensi di colpa.

«Te l’ho detto. Non avrei dovuto lasciarti andare in quel modo. Quando sei uscita, ho pensato per un momento che saresti tornata, ma non rivedendoti più sono uscito anch’io, e ti ho vista volare verso il centro. Anche se comunque...» Lucas si interruppe di colpo. «Ma che diavolo gli succede?»

«Cosa?» Rachel sollevò lo sguardo, e vide quello di Rosso inchiodato in un punto alle sue spalle. Si voltò, per poi sgranare gli occhi.

Qualcosa stava succedendo al corpo di Kevin. Il castano era ancora immobile, seduto sul pavimento e accasciato contro la parete, così come Lucas lo aveva lasciato, tuttavia da ogni centimetro del suo corpo si stavano staccando frammenti molto sottili di quella che sembrava essere polvere. Un mucchietto di questa si era già accumulato ai suoi piedi, e non accennava a smettere di aumentare di volume. Le sue mani si erano quasi completamente spolpate, diverse dita mancavano all’appello, e anche il volto era molto più prosciugato.

La polvere grigia e nera si staccava per poi riversarsi a terra, come una cascata. Sembrava cenere. Si stava dissolvendo, letteralmente.

«Ma... ma che diavolo gli hai fatto?» sussurrò Rachel, inorridita.

«Non... non lo so... ho usato una lama uguale alle altre...» rispose Lucas, per poi scattare all’improvviso. Afferrò Rachel per una mano, poi cominciò a trascinarla verso la porta. «Dobbiamo andarcene, subito. Non mi piace per niente questa storia.»

Rachel si lasciò trascinare per pochi passi, ancora troppo stordita dalla visione di Kevin, poi si voltò e assecondò il moro.

Corsero fuori dall’abitazione, a perdifiato.

«Allora, che diavolo è successo in quella casa?» domandò Rosso, con affanno, dopo che ebbero percorso qualche centinaio di metri. «Quando avevi intenzione di andartene da là da sola?»

«È... un po’ difficile da spiegare, in questo momento...» mugugnò Rachel, per lo sforzo. «Ora... ora devo...»

Si interruppe di scatto, quando un forte spostamento d’aria si generò attorno a loro, facendole finire alcuni granelli di polvere negli occhi e nel naso, infastidendola. Lo stesso accadde a Lucas. Entrambi furono costretti a fermarsi per strofinarsi il volto.

Lo spostamento d’aria, nel frattempo, divenne più forte, portandosi dietro un’altra ingente quantità di polvere. I capelli e le maniche della felpa di Rachel cominciarono a sventolare. La ragazza si portò entrambe le braccia di fronte al volto, per proteggersi da ulteriori granelli, fino a quando l’afflusso di corrente non cessò.

Riaprì gli occhi, per poi vedere ancora quella polvere fluttuare accanto a lei e Rosso, circondandoli da entrambi i lati, per poi congiungersi in un unico punto esattamente di fronte a loro, dove si stava accumulando lentamente.

Osservandola meglio, Corvina constatò che non si trattava proprio di polvere.

Più la guardava, più la ragazza sentiva un orrendo presentimento scivolarle dentro. Quella cenere... era la stessa che fino ad un attimo prima stava fuoriuscendo dal corpo di Kevin.

Il mucchio di fronte a loro nel frattempo cominciò ad alzarsi in altezza, poi si divise alla base, e due protuberanze spuntarono fuori dal centro di esso. Alle estremità di queste, i granelli neri si congiunsero per formarne altre di più piccole. Per finire, in cima al mucchio, se ne formò un’ultima, rotonda.

Rachel sgranò gli occhi, cominciando lentamente a capire che cosa stava succedendo.

Accanto a lei, Lucas parve avere lo stesso pensiero. «Cazzo...» rantolò, stringendo i pugni.

La cenere smise di circolare, andando tutta quanta nel mucchio, il quale continuava sempre di più a prendere le sembianze di un umanoide. Infine, i granelli si diramarono, e l’essere cominciò a muoversi, prima sgranchendosi gambe e braccia, poi il collo.

«Mi hai fatto male prima, lo sai?» rantolò, mentre gli ultimi sprazzi di polvere scura trovavano la loro sistemazione, e l’umanoide prendeva le sembianze di un corpo umano fatto e finito, con tanto di colore della pelle, vestiti e, in quel caso, cappello a visiera.

Una volta completamente ricostruitosi, Kevin sogghignò, passandosi le dita sulla fronte, dove non era rimasto alcun segno del taglio lasciato dalla lama di Rosso. «Ma come puoi ben vedere, ti servirà di più di una lima per unghie al tritolo per fermarmi.»

«È un conduit...» osservò Lucas, con un sussurro.

«Perspicace. Ti faccio i miei complimenti. Ora, se non ti dispiace, dovresti restituirmi Rachel.»

Rosso strinse i pugni, l’espressione stupita svanì dal suo volto, rimpiazzata da una più determinata. «Scordatelo.»

Il conduit ridacchiò sommessamente, chinando il capo. «D’accordo.» Si raddrizzò di scatto, gli occhi apparvero illuminati da un’accecante luce arancione. «L’hai voluto tu!» Sollevò un braccio, puntandolo verso di loro, e da esso si sollevò immediatamente una gigantesca coltre nera e grigia, che si diresse verso i due partner.

«Sei pronta Rachel?» domandò Red X, per nulla intimorito, flettendo le gambe.

«Attento!» esclamò Rachel per tutta risposta, gettandosi su di lui. I due ragazzi caddero a terra, un secondo prima che la nuvola di cenere li investisse. Rimasero entrambi a testa bassa, fino a quando la coltre non si diradò.

Lucas scrollò il capo, disorientato. «Rachel, ma cosa...»

«Io non posso affrontarlo!» gridò Corvina, interrompendo la domanda del ragazzo, quasi con tono disperato. «Dobbiamo scappare!»

Lui la osservò stranito. Schiuse le labbra, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Rachel si rialzò in piedi, costringendolo ad imitarla. «Corri!»

«Credete che sia così semplice?» li incalzò Kevin, quando si accorse del loro tentativo di fuga. Un’altra coltre di fumo esplose dal suo braccio. «Nessuno può sfuggirmi!»

Rachel sentì il cuore in gola quando notò la nebbia di cenere alle loro spalle. Intensificò gli sforzi, sentì le gambe andare a fuoco, ma non si sarebbe lasciata investire da quel fumo per nulla al mondo.

Red X si girò di scatto e scagliò una delle sue lame proprio nella bocca della coltre grigia. Poco dopo questa esplose, annientando il cumulo di cenere, che si disperse nell’aria.

«Ho finito le lame» borbottò, prima che Rachel potesse anche solo pensare di poter tirare un sospiro di sollievo.

La corvina represse un’imprecazione, poi si concentrò nuovamente sulla fuga.

«Tanto vi prendo!» starnazzò ancora Kevin, alle loro spalle, molto lontano da loro. Rachel si voltò e a stento lo vide, talmente era distante, ma sapeva bene che qualche centinaio di metri di vantaggio non sarebbero mai bastati per toglierselo dai piedi. Doveva inventarsi qualcosa, e alla svelta.

Una colonna di fumo si sollevò all’improvviso di fronte a loro, esplodendo letteralmente da un tombino. I due ragazzi si arrestarono di colpo, mentre Kevin si ricomponeva esattamente di fronte a loro.

Questa volta, però, il suo corpo non riassunse colori normali, ma si tenne su tonalità grigie e nere, intervallato a sprazzi a piccole scie arancioni. Sembrava quasi essersi trasformato in un tizzone ardente. Cappe di fumo e cenere fuoriuscivano dalle braccia in maniera autonoma, avvolgendolo come una cortina, e, ai suoi piedi, un’immensa distesa di polvere e carbone lo seguiva ad ogni movimento, attratta da lui come da una calamita.

E in mezzo a tutta quella nube tossica, Kevin si infilò una sigaretta accesa in bocca. Sogghignò, sbuffando un’altra nuvoletta grigia scura dal naso. «E ricordatevi: il fumo fa male.» Puntò di nuovo il braccio verso di loro. «Tanto male.»

L’ennesima cappa scura affluì dal suo braccio, dirigendosi verso i due partner. Rachel si tuffò di lato per evitarla, rotolando sulla strada per attutire la caduta. La scia di fumo la sfiorò, e, a discapito di ciò che avrebbe mai creduto, avvertì un’immensa sensazione di calore. La nube era rovente, incandescente. Se l’avesse toccata, si sarebbe presa chissà quante ustioni.

Si rialzò e buttò lo sguardo su Kevin. Si arrovellò per cercare di capire quali punti deboli potesse avere un conduit come quello. Era formato da un misto di fumo, cenere, braci e polvere, quasi come se stesse incarnando i resti di un falò gigantesco.

«Rachel!» Lucas la chiamò, una volta che la nube si diradò. Le corse incontro, afferrandola per il braccio. «Ho un idea, seguimi!»

La corvina non se lo fece ripetere. Non perse nemmeno tempo a chiedergli che cosa avesse in mente, perché sicuramente era meglio di niente.

Ricominciarono a correre. Questa volta, il moro guidò Rachel verso il giardino di una delle villette sul ciglio della strada. Corsero sul prato e aggirarono l’abitazione. Passarono accanto ad una piscina vuota e scavalcarono la staccionata, entrando nel perimetro della villetta successiva.

Non appena la superarono, la recinzione esplose alle loro spalle, travolta dall’ennesima nube di fumo.

Pezzi di legno carbonizzati caddero come pioggia su di loro, accompagnati dalla risata di Kevin.

Rachel abbassò la testa, ma continuò a correre, imitata da Rosso.

Passarono da villetta a villetta, scavalcando staccionate su staccionate, attraversando strade dopo strade, perennemente incalzati dagli attacchi di Kevin. Anche se il conduit non sembrava volerli davvero catturare. Era quasi come se stesse semplicemente giocando con loro, come un gatto con il topo. Cercava di dargli l’illusione di poter davvero riuscire a scappare, fino a quando non decideva di teletrasportarsi esattamente di fronte a loro, ridendo e deridendoli, costringendoli a cambiare direzione all’improvviso in quel labirinto di villette di periferia.

Corvina odiò tutto questo. Ogni volta che svoltavano ad un angolo aveva il terrore di essere catturata da lui. Quel paesaggio di villette ricordava quasi tutte quelle baraccopoli malfamate in cui ad ogni angolo si celava un insidia.

Tuttavia, era proprio grazie allo stesso comportamento di Kevin che Lucas sembrava riuscire ad avvicinarsi sempre di più alla sua destinazione, qualunque essa fosse.

Per l’ennesima volta, il conduit comparì di fronte a loro. «Che vogliamo fare, ragazzi?» domandò, facendo un tiro di sigaretta. Il fumo che soffiò poi dalla bocca andò a confondersi con quello che lo avvolgeva. «Una partita a guardie e ladri fino all’alba dei tempi? Io comincio ad annoiarmi...»  

Lucas serrò la mascella, poi deviò ancora una volta direzione. Ritornarono in strada e tirarono dritto. Percorsero qualche centinaio di metri, poi Rosso si fermò di scatto, sorprendendo Rachel, la quale continuò per ancora un breve tratto prima di fermarsi.

«Lucas? Che stai facendo?!» domandò lei, agitata, mentre una nuova coltre di fumo si dirigeva verso di loro.

Per tutta risposta il ragazzo le corse incontro. «Ok, sei pronta?»

«E-Eh? Pronta per cos...»

Rosso non attese risposta. La spintonò a terra, con forza, facendole perfino del male, un istante prima che la nube oscura li raggiungesse. Rachel ruzzolò sulla strada, gemendo per il dolore e anche per la sorpresa. Sollevò lo sguardo e vide la nuvola di fumo piazzarsi tra lei e Lucas, separandoli. Una volta diradata, Corvina costatò con orrore che il moro era scomparso.

Dischiuse le labbra, atterrita. Cercò di rimettersi in piedi, mentre il pensiero che l’avesse abbandonata per davvero le passava per la mente. Aprì la bocca, fece per chiamarlo a squarciagola, ma un nuovo afflusso di polvere proveniente da i canali di scolo della strada la fece ammutolire.

«Ehi, che è successo?» domandò Kevin, ricomponendosi di fronte a lei con un sorriso beffardo. «Il tuo amico ti ha scaricata?»

Rachel serrò la mascella e si rialzò, ma una fitta di dolore lancinante alla caviglia la fece gridare di dolore e ricadere a terra. Si osservò i piedi, sudando freddo, e notò una piccola scia di cenere allontanarsi lentamente dal punto in cui aveva avvertito il bruciore, per poi dirigersi di nuovo verso il conduit di fronte a lei.

«Scusa, non volevo farti male» borbottò Kevin, mentre la cenere entrava dentro di lui passando per il braccio, per poi sorridere cattivo. «Non troppo, almeno.»

Si incamminò verso di lei, prendendosi tutto il tempo del mondo, ritornando perfino in forma completamente umana. Il fumo si dissolse nel nulla, la sua pelle e i suoi vestiti riassunsero colori normali. Corvina cercò di rimettersi di nuovo in piedi, ma il dolore alla caviglia non le dava tregua. Osservò impotente il conduit avvicinarsi a lei con terribile lentezza. Aveva la vittoria in pugno, non c’era bisogno di essere frettolosi.

Un’esplosione improvvisa li fece sobbalzare entrambi. Si voltarono e solo in quel momento Rachel notò una grossa cisterna d’acqua situata sul ciglio della strada, circondata da una recinzione di metallo. Ed era stata proprio la sua struttura ad essere vittima di quell’esplosione. La recinzione saltò via, così come le gambe legno che la tenevano ferma.

Il grosso contenitore bianco cadde e si aprì, rigettando tutto il suo contenuto sulla strada.

Kevin sgranò gli occhi; l’unica cosa che riuscì a fare prima che la cisterna si schiantasse su di lui. Il suo urlo di dolore si smarrì nel boato che si susseguì.

Corvina fu inondata tanto quanto il conduit, si sentì fradicia fino alle ossa, ma se non altro ne era uscita indenne. Osservò atterrita la cisterna riversa sulla strada, proprio nel punto in cui si trovava Kevin un attimo prima. Si voltò poi, atterrita, verso la recinzione in cui si trovava la stessa cisterna, per poi sgranare gli occhi.

«Avevo ancora una lama» spiegò Lucas, sorridendo in segno di trionfo, in mezzo alla piazzola che lui stesso aveva fatto saltare in aria.

Rachel sentì il cuore ricominciare a battere. Rosso la raggiunse e la aiutò a rialzarsi. Mentre si rimetteva in piedi, la corvina scoprì con enorme sorpresa che l’acqua aveva cancellato il bruciore alla caviglia, e che ora riusciva di nuovo a camminare normalmente.

«Il tuo piano era questo, dunque?» domandò infine, ancora con il fiatone.

Red X scrollò le spalle. «Ho dovuto pensare alla svelta.»

La ragazza inarcò un sopracciglio, per poi abbozzare un sorriso. Aprì bocca per rispondere, ma un urlo lancinante la fece trasalire. I due ragazzi si voltarono di scatto, per poi vedere Kevin strisciare lentamente fuori da sotto la cisterna.

Il conduit era fradicio, completamente, e si trascinava a stento sui gomiti. Gemeva ad ogni minimo movimento, e sul suo volto era stampata una smorfia di dolore così grande che Rachel quasi provò pena per lui. Quasi.

Kevin si girò sulla schiena, supino, e si strinse le braccia attorno all’addome, annaspando e mugugnando rumorosamente. Sembrava quasi che non riuscisse nemmeno più a respirare, come se fosse appena stato ferito molto gravemente. Eppure non c’era alcuna traccia né di sangue, né di contusioni su di lui.

Improvvisamente, Rachel ripensò alla sua caviglia e a come il bruciore era passato, e a quel punto capì che cosa fosse successo. «L’acqua» sussurrò.

Il corpo di Kevin era quello di un tizzone ardente, la base di un falò, braci e ceneri incandescenti. E l’acqua, di conseguenza, lo aveva raffreddato per bene.

Lucas annuì. «Faremo meglio ad alzare i tacchi prima che si riprenda.»

Si voltarono entrambi, ma non riuscirono a fare un solo passo.

«EHI!» sbraitò Kevin, girandosi su un fianco, osservandoli con sguardo carico d’odio. «Che diavolo... pensate di fare?! Voi non... andate... da nessuna parte!»

Piantò i palmi sul terreno e si rimise lentamente in ginocchio, mugugnando per lo sforzo. «Io... devo... fermarvi...»

Grugnì per lo sforzo e strinse i pugni. Gridò di rabbia ed entrambi gli occhi gli si illuminarono di nuovo di arancione, ma non rimasero così a lungo. Le forze gli mancarono e crollò di nuovo al suolo, entrambe le iridi castane di nuovo tornate al loro posto.

«Non... non devo... fallire...» rantolò ancora, tentando di rialzarsi nuovamente.

Rachel continuò ad osservarlo. Si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa. Poi si incamminò verso di lui.

«Rachel!» la chiamò Lucas. «Che stai facendo?!»

Lei non rispose. Tirò dritto, fino a quando non si ritrovò esattamente di fronte al conduit del fumo. Incrociò le braccia e lo guardò dall’alto, con aria severa. «Perché lo fai?» domandò.

«Cosa?» mugugnò Kevin, scoccandole un’altra occhiataccia.

«Perché continui ad insistere? Perché te l’ha ordinato Dominick?»

«Ancora con questa storia...» borbottò il conduit, distogliendo lo sguardo da lei. «Io non sono il suo segugio.»

«Allora perché non puoi semplicemente lasciarci andare?» insistette lei.

Kevin sferrò un pugno sul suolo, facendo un verso frustrato. «Pensi che abbia altra scelta?!» gridò, strizzando le palpebre. «Credi davvero che sia così facile per me?! Credi davvero che io ci provi gusto a fare tutto questo?!»

Il ragazzo si rimise a sedere, tenendosi  per un braccio, scrutandola con un solo occhio aperto. «Tutte le persone a cui volevo bene sono morte! C’era solo più Dom! E poi anche lui è impazzito davanti ai miei stessi occhi! Che cosa avrei dovuto fare, abbandonarlo a sé stesso?! Io non sto obbedendo ad alcun ordine, sono qui per mia scelta! Io non voglio...» Kevin abbassò lo sguardo, la voce si ridusse ad un sussurro. «... perdere l’ultima persona cara che mi è rimasta.»

«E pensi che assecondarlo in questo suo folle piano possa tornarti utile?» lo interrogò ancora Rachel, senza mutare la sua espressione.

Il conduit espirò profondamente, rimanendo in silenzio per diversi istanti. «Io... voglio solo... restargli accanto... assicurarmi che...»

«Non sei stupido. Anche tu sai che, continuando di questo passo, Dominick non farà altro che peggiorare. Se già non sta bene, allora vuol dire che le cose sono molto più gravi del previsto.» Rachel si inginocchiò vicino a lui, per osservarlo meglio negli occhi. Gli posò una mano sulla spalla, giocandosi l’ultima carta che le era rimasta. Kevin non era pazzo, non ancora, e le sue parole gliel’avevano appena dimostrato. Con lui sapeva di poter riuscire a ragionare, sapeva che, forse, lui l’avrebbe ascoltata.

«Se davvero tieni a lui, allora avresti dovuto impedirgli di fare tutto quello che sta facendo già da tanto tempo. Anche tu sei un conduit, sai bene che cosa significa dover convivere con un potere che cerca in tutti i momenti di impossessarsi della tua mente. E Dom ne ha decine dentro di sé. Per quanto tempo pensi ancora che possa resistere, ammesso che ne sia ancora in grado? Quando avrai intenzione di fare qualcosa per aiutarlo? Quando perderà del tutto il controllo, definitivamente? Beh, sappi che a quel punto sarà già troppo tardi. Kevin... tu sei l’unico che può ancora fare qualcosa per lui. Prima che attraversi il punto di non ritorno. Se vuoi davvero aiutarlo... allora non devi permettergli di continuare ad assorbire poteri. Dobbiamo fermalo. Devi fermarlo.»

Concluse di parlare. Kevin la osservò ancor per qualche momento, senza proferire parola. Sembrava stesse rimuginando su quanto detto da lei. Infine, chinò lo sguardo e si osservò la mano. Una piccola scia di fumo si generò dalla punta delle dita. «Non sai quante volte questi bastardi hanno cercato di fottermi» borbottò, con voce calma. Chiuse la mano a pugno e la piccola cappa svanì. Sorrise amaramente. Il suo sguardo parve smarrirsi nel nulla all’improvviso, sembrava quasi nostalgico.

«Kevin...»

«Io non sono forte» la interruppe lui, senza nemmeno guardarla. «Non lo sono mai stato. Per tutta la vita, non ho fatto altro che aggirare i miei problemi. Non ho mai avuto il coraggio di gettarmi a capofitto in una situazione difficile per cercare di risolverla. Aspettavo che qualcun altro si facesse avanti al posto mio. Gestire i miei poteri... è stato un autentico inferno. Dominick, invece, era di tutta un’altra stoffa. Anche lui spesso e volentieri evitava i problemi, ma quando non poteva farlo, allora si ingegnava per riuscire a risolverli. E se devo essere sincero, era davvero abile nel farlo. Le nostre stesse vite ne sono state la dimostrazione. Lui è cresciuto tranquillo, sereno. Ha ottenuto tutto quello che un uomo possa desiderare. Io, invece, non ho fatto altro che rimanere nella sua ombra, desiderando, un giorno, di poter essere anch’io come lui, ma senza fare mai davvero nulla di concreto.»

Un altro sospiro. «E adesso, invece, è proprio Dom il problema. Per tutto questo tempo ho semplicemente cercato di aggirare anche lui. In un certo senso... speravo quasi che, aiutandolo in questa sua campagna, si riprendesse da solo. Credevo che assecondando il suo desiderio... in qualche modo potesse riuscire a guarire.»

«Sai meglio di me che le cose non possono funzionare in questo modo» asserì la ragazza, quasi rimproverandolo. «C’è solo una cosa che puoi fare, ossia aiutarmi. Dom sarà anche stato quello bravo a risolvere i problemi, ma adesso il problema è proprio lui. Per una volta, Kev, prenditi le tue responsabilità e fai ciò che devi. O l’intera città, e forse anche altre, ne pagheranno le conseguenze. Non puoi lasciare che migliaia di persone rischino la vita solamente perché non hai il coraggio di affrontare il tuo amico. È ora che tu esca dall’ombra di Dom. È ora che tu ti dia da fare.»

I loro sguardi si incrociarono. Adesso Kevin non la guardava più con aria assente, ma quasi con sorpresa. Sembrava... sinceramente stupito dalle parole di Rachel, dal fatto che nonostante tutto lei fosse ancora lì a cercare di parargli, a cercare di aiutarlo. Con quello sguardo, parve quasi che lui la stesse rivalutando completamente.

«Tocca... tocca a me...» osservò infine, a bassa voce.

Rachel annuì. «Sì, Kev. Tocca a te.» Si alzò in piedi, per poi porgergli la mano. «In piedi, coraggio.»

Il castano spostò lo sguardo sulla mano della ragazza. Infine, sospirò e decise di prendergliela. «Ci faremo ammazzare, lo sai, vero?»

«Correremo il rischio» sorrise la ragazza.

«No, sul serio...» Kevin, una volta in piedi, si mise una mano dietro il capo, quasi imbarazzato. «Tutto questo casino... è successo per colpa mia. Non sei costretta a venire anche tu.»

«Anch’io sono coinvolta in questa storia. Io vengo eccome.»

Un sorriso si dipinse sulle labbra del conduit del fumo. «Beh... in tal caso, grazie. E scusa... per tutto quello che Dom ti ha fatto. Non te lo meritavi. Non tu che sei rimasta ad aiutarmi dopo che avevo appena cercato di catturarti.»

«Non è ancora troppo tardi» cercò di rassicurarlo Rachel. «Forse c’è ancora speranza per i miei poteri.»

«I tuoi poteri?» si intromise Lucas, rimasto in disparte per tutto quel tempo. «Ma di che diavolo state parlando? Chi è Dominick?»

Solo in quel momento Rachel si ricordò anche della sua presenza. «Ecco... è una lunga storia da raccontare...»

Rosso scrollò le spalle. «Beh, potrai raccontarmela mentre andremo a prendere questo tizio a calci.»

Corvina sgranò gli occhi. «Vuoi venire anche tu?»

«Certo, che domande. Siamo partner, ricordi? Dovunque vai, io ti seguo.»

«Ma... non devi per forza...»

«Credimi» la zittì lui, posandole una mano sulla spalla. «In questo momento vorrei essere ovunque meno che qui. Ma ormai ci sono, quindi tanto vale prendere il toro per le corna e darci un taglio definitivo con questa faccenda.»

«Lucas...» Rachel sentì la vista appannarsi. Gli aveva urlato in faccia, aveva voltato le spalle a lui e al resto dei suoi compagni, aveva preferito dar retta ad un pazzo piuttosto che a lui. Eppure, lui era comunque tornato da lei. E non solo quello, voleva anche aiutarla. Dopo tutti i casini in cui si erano ficcati, in cui lei  li aveva ficcati, era ancora lì, pronto a darle il suo sostegno.

Agì d’istinto, e strinse il ragazzo in un abbraccio. Singhiozzò, e si sentì un po’ infantile per quello, ma non riuscì proprio a trattenersi. «Grazie... per non avermi abbandonata... grazie.»

Lui ridacchiò, poi ricambiò l’abbraccio. «Non cambi mai, vero? Sei sempre così emotiva...»

Una piccola risatina uscì anche dalla gola di lei. «Stiamo avendo un momento qui, non rovinarlo...»

Rimasero stretti l’una nelle braccia dell’altro per diverso tempo, forse anche troppo.

«A quando le nozze?»

I due partner si voltarono, per poi notare Kevin, il quale li osservava con un sorrisetto beffardo. «Sbaglio o eravamo di fretta?»

Corvina sentì le guance in fiamme e si separò da Rosso. «Sì, giusto... andiamo.»

Kevin annuì, poi fece cenno di seguirlo. «Prendiamo la macchina, muoviamoci.»

I tre ragazzi cominciarono a correre.

 

***

 

L’imbarazzo che Rachel provò nel raccontare a Lucas ciò che aveva fatto fu un qualcosa di indescrivibile. Solamente sentendo quelle parole uscire dalla sua bocca, si rese conto di quanto davvero stupida fosse stata a fidarsi. Cioè, quello ormai lo aveva già capito, ma raccontare tutto non fece altro che alimentare quel suo pensiero.

Kevin, di fronte a loro, guidava a tutta velocità, quasi ignorando la loro esistenza. Da quando erano saliti in macchina non aveva più detto una sola parola.

Quando Rachel, infine, concluse di parlare, Lucas si limitò a sospirare profondamente.

«Mi dispiace, Lucas» mormorò lei, con la vista appannata, volgendo lo sguardo verso il finestrino e i palazzi che sfrecciavano accanto a loro. «Ora... penserai che sono un’idiota, e non ti biasimo...»

«Non lo penso» rispose lui, calmo.

«Beh, dovresti» mugugnò Rachel, stringendosi nelle spalle.

«Eri confusa, avevi paura di ciò che i tuoi poteri potevano fare, non potevi davvero sapere che sarebbe finita così.»

«Beh, avrei potuto immaginarlo...»

Rosso strinse i pugni e chinò lo sguardo, scuotendo la testa. «Credimi, la colpa è anche mia. Dreamer ti aveva scombussolato la mente, avevi bisogno di qualcuno che ti parlasse con calma, che ti facesse schiarire le idee, non di un idiota che ti indicasse la porta...»

«Lucas...»

«I tuoi poteri erano spaventosi, e questo non lo nego. Hanno attirato molta cattiva gente, non nego neanche questo. Capisco perfettamente tutta la paura e il risentimento che provavi riguardo a loro. Io stesso ne sarei stato intimorito. Tuttavia, in quali mani avresti preferito vederli? Nelle tue, oppure in quelle di qualche pazzo assassino?»

Rachel dischiuse le labbra.

«Sono successe molte cose spiacevoli, a causa loro. Ma tu, Rachel, tu sei comunque riuscita a tirare fuori il loro lato migliore. Tu eri la loro custode, mi capisci? Nelle tue mani, quei poteri hanno fatto molte più cose buone di quante io ne ho fatte in tutta la vita. Tu sei riuscita a nascondere il marcio che c’era in loro, facendo la cosa giusta nei momenti che lo richiedevano, senza mai abusare di loro per un tuo tornaconto. Rachel...»

Lucas le posò una mano sulla spalla, sorridendole flebilmente. «Tu... sei la dimostrazione tangibile che da tutto il marcio che è diventato questo mondo, può comunque ancora nascere qualcosa di buono. Tu rappresenti il bene che c’è nel male, tu sei il bene che c’è nel male. Se non ci fossi stata tu, ma qualcun altro al tuo posto, quei poteri avrebbero fatto solamente danni. Tu sei riuscita in un qualcosa in cui chiunque altro avrebbe fallito miseramente, sei riuscita a tenere alta la speranza di vedere, un giorno, la luce tornare su questo mondo fatto di tenebre. Tu sei la prima e unica conduit davvero buona che abbia mai visto. Sei un esempio, Rachel, un esempio da seguire. Una persona a cui gli altri dovrebbero ispirarsi» concluse il ragazzo, prendendola per una mano.

La sua stretta era forte, calda, rassicurante. La fece sentire protetta, apprezzata. Un brivido le percorse la schiena, il respiro le si mozzò per un breve attimo. Poi piegò il capo e singhiozzò. Le parole di Rosso erano state una doccia gelata, per lei. Ma non in senso negativo, nel senso che, quelle, erano proprio le parole di cui aveva sempre sentito il bisogno.

Parole di conforto, supporto, che le facessero capire che non era davvero sola. «Però...» mormorò, a malincuore. «Ormai... i poteri non ce li ho più...»

«Troveremo una soluzione» la rassicurò ancora lui, prendendola per il mento, costringendola a  guardarlo negli occhi. «Credimi, Rachel, ce la faremo. Ne abbiamo passate di tutti i colori, non vedo perché dovremmo fallire proprio adesso.»

Rachel lo osservò per un breve momento, mordicchiandosi il labbro, poi riuscì ad abbozzare un piccolo sorriso. Annuì lentamente, poi appoggiò la testa sotto al suo mento. «Grazie Lucas... grazie.»

«Cosa faresti senza di me?» brontolò lui, circondandole le spalle con un braccio.

«A volte me lo chiedo anch’io...»

 

 

 

 

 

 

Ma... per caso l'esplosione ha colpito anche i recensori? No perché mi sento un po' solo, ultimamente. Comunque sia, volevo solamente chiedere ai lettori di fare un plauso al sottoscritto, che quando ha iniziato a scrivere la storia non era nè maturo, nè patentato, e ora è entrambe le cose (anche se patentato ormai lo era già da più di un mese, ma dettagli).
Grazie, grazie, troppo gentili.  E vi chiedo scusa per non avere più lasciato note deliranti come quelle degli scorsi capitoli, ma a furia di scrivere boiate in grassetto sono rimasto un po' a corto di munizioni. In ogni caso, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Siamo davvero, davvero agli sgoccioli ormai. Spero di non dover arrivare da solo alla fine, sarebbe un po' triste.
Comunque sia, ho già un bel po' di idee per quando Infamous sarà finito, perciò non preoccupatevi: ci vorrà ancora un bel po' prima che questo fandom possa liberarsi di me.

Caldi abbraccioni, alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Fuori controllo ***


Capitolo 27: FUORI CONTROLLO

 

 

Non doveva più mancare molto alla destinazione, ormai. E fu proprio pensando a quello, che Rachel si rese conto di una cosa.

«E Tara? Lei dov’è?» domandò a Rosso, sollevando lo sguardo verso di lui.

Lui si limitò ad un’espressione mesta. Il suo silenzio valse più di qualsiasi altra parola. Per l’ennesima volta, Rachel si sentì tremendamente in colpa. Il gruppo si era distrutto, per colpa sua. Amalia era scappata, Tara era scappata, Ryan non c’era più.

«Tornerà, vedrai» la rassicurò Lucas. «Tara, intendo. Lei si era affezionata a noi, e di sicuro non vorrà rimanere da sola con i suoi poteri. Amalia invece... ho paura che dovremo costringerla a tornare con la forza.» Il ragazzo abbozzò un sorriso, presto imitato dalla corvina, che annuì in parte più sollevata.

«Questa è la vostra ultima possibilità» disse Kevin all’improvviso, dopo minuti e minuti di silenzio, lo sguardo serio incollato sulla strada, le mani salde sul volante, la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone stretta tra le labbra. «Se volete tirarvi indietro, potete farlo.»

«Io resto» rispose Corvina, decisa a rimediare al suo errore a tutti i costi.

«E io pure» concluse Rosso.

Kevin scrollò le spalle. «Come vi pare. Sappiate che se le cose si mettono male, non sarò io a parare le vostre chiappette. Dovrete arrangiarvi.»

«Qual è il tuo piano?» domandò Lucas di rimando.

Le nocche del conduit del fumo sbiancarono da quanto strinse il volante. «Prendere Dom a calci in culo così forte da farlo ritornare in sé.»

Sembrava molto determinato. Di sicuro, Rachel non lo aveva mai visto così serio. E, sicuramente, averlo come alleato in quel momento era molto meglio che averlo come nemico.

«Kevin» lo chiamò lei. «Posso farti una domanda?»

«Ti ascolto.»

«Ecco, hai detto che Dominick è impazzito davanti ai tuoi occhi, ricordi? Ma... che intendevi dire, di preciso? È impazzito per colpa dei poteri?»

Kevin sospirò profondamente, poi scosse la testa. «No. I poteri non c’entrano niente. Vedi... io e lui siamo sopravvissuti alla stessa esplosione, sette mesi fa’. Tsk... la fortuna certe volte è proprio una stronza...»

Rachel sgranò gli occhi per la sorpresa. Anche se, in effetti, le cose non potevano essere andate molto diversamente. Kev e Dom si conoscevano da una vita, ed entrambi erano conduit. Era ovvio che fossero stati entrambi colpiti da un’esplosione, anche se Rachel non si sarebbe aspettata che questa fosse stata la stessa per entrambi. A loro due era successa praticamente la stessa cosa che era accaduta a lei e Richard.

«Tuttavia...» Kevin, nel frattempo, proseguì. «... quel giorno, insieme a noi, c’era anche un’altra persona. Una persona che non ce l’ha fatta. Dom non ha mai accettato questa cosa. Da quel momento, ha voluto scoprire a tutti i costi cosa fosse successo, chi fosse l’artefice di quell’esplosione. Così ha copiato i miei poteri del fumo, ed è andato a cercare un po’ di risposte. Io... non so dove sia andato con esattezza, la città era sigillata, non si poteva né entrare né uscire, e anche se noi eravamo conduit e potevamo fare uno strappo alla regola, io ho preferito non andarmene. Lui però lo ha fatto, ed è sparito per settimane.

«Prima di partire non era ancora messo male, ma quando è tornato... era diventato tutta un’altra persona. Completamente. Per giorni non ha fatto altro che blaterare frasi sconnesse sul voler diventare il più forte, l’ultimo sopravvissuto ed eccetera. È arrivato fino al punto di spaventare a morte la sua ragazza. E quando lei è scappata, lui ha perso definitivamente la testa. Io... non so cosa sia successo con esattezza in quelle settimane in cui è stato via, ma credo che abbia semplicemente trovato le risposte che cercava. E la verità lo ha fatto ammattire. Unendo tutto quanto alle persone sue care che sono morte... non è stato per niente facile avere a che fare con lui. Credimi, tu non hai visto niente quando lo hai conosciuto. Ti posso assicurare che si è trattenuto parecchio, con te. Quando ha scoperto i tuoi poteri... ne è rimasto così affascinato che per poco ho creduto che potesse davvero tornare in sé. Ma ovviamente non è successo.»

Il ragazzo scosse lentamente la testa, facendo schioccare la lingua. «Ancora non riesco a credere di essermi bevuto questa cazzata...»

Rachel rimase in silenzio, a meditare su quelle parole. Quindi... anche Dom, forse, sapeva la verità celata dietro alle esplosioni. E se era stata proprio quella, unita a diverse perdite, a farlo ammattire, allora lei non credeva di volerla davvero sapere.

Nessuno parlò più per il resto del viaggio.

Superarono la High Sub, arrivando nei pressi di un enorme cantiere edile, dal quale cominciava già a sorgere la grossa struttura di un edificio. Un gigantesco mostro fatto di travi d’acciaio, impalcature e colonne di cemento.

La macchina si fermò sul ciglio della strada, Kevin spense il motore. «Capolinea» borbottò, scendendo.

«Pronta Rachel?» domandò Lucas.

Rachel osservò in silenzio il grosso edificio, senza rispondere. Erano lì, dunque. Dominick e Richard, erano lì. Avrebbe dovuto affrontare Dom, non fisicamente, sperava, ma soprattutto... avrebbe rivisto Richard. Sempre se era ancora vivo. Un brivido le percorse la schiena quando ebbe quel pensiero. No, doveva essere ancora vivo. Non poteva essere altrimenti.

Tutto quanto stava per finire, davvero. Indipendentemente dal fatto che avesse avuto successo o meno, dopo quel giorno, avrebbe finalmente messo la parola fine a tutto. Forse sarebbe riuscita a calmare Dom senza dover per forza combattere o forse lui li avrebbe uccisi tutti quanti.

Quello era davvero il capolinea. E lei, era pronta. Avrebbe accettato il suo destino una volta per tutte.

Inspirò profondamente, poi annuì. «Pronta. Andiamo.»

I due ragazzi scesero e seguirono Kevin nei meandri del grosso cantiere. Si addentrarono in mezzo a quel labirinto di travi e barriere architettoniche, con la luce del sole ormai calante a guidarli.

«Sicuro che sia qui?» domandò Lucas, guardandosi intorno circospetto. «Questo posto sembra...»

Un boato proveniente da qualche parte di fronte a loro lo fece interrompere. A quello, si susseguì un altro rumore, simile a quello di una frana.

Kevin non esitò un istante; si trasformò in fumo e si diresse a grande velocità verso il luogo dal quale il rumore era provenuto, senza nemmeno rispondere al moro.

«Ehi!» lo chiamò Lucas, infastidito.

«Andiamo anche noi, forza!» esclamò Rachel, mettendosi a correre.

Il cuore accelerò all’improvviso i propri battiti. Il pensiero molto sgradito che Richard potesse essere ferito, o in pericolo, si insinuò dentro di lei abusivamente. Se non altro, quel rumore significava che un combattimento si stava ancora svolgendo per davvero, quindi forse non era troppo tardi per il Mietitore.

Attraversò il labirinto di travi e colonne, fino a ritrovarsi in un grosso spiazzale, circondato dall’edificio ad ogni suo lato, e dove si trovavano enormi cumuli di detriti, attrezzi e camion abbandonati.

Vide Kevin poco distante da lei, fermo, di nuovo in forma umana. Corvina fece per chiamarlo, poi scorse due bagliori balenare nel mezzo dello spiazzale, uno azzurrino e l’altro verde. Sgranò gli occhi.

La luce verde si era appena fiondata su quella azzurra, scaraventandola contro una colonna di cemento ai lati del campo di battaglia. Questa crollò poi sul bagliore celeste, producendo quel rumore che aveva attirato lì i ragazzi. La luce azzurra, all’ultimo, riuscì tuttavia a scansarsi, prima di essere investita.

Si spostò a grande velocità nel centro della piazza, per poi affievolirsi, rivelando un individuo che si accasciò su sé stesso per riprendere fiato. Non appena lo vide, il respiro di Rachel si mozzò. Era Richard.

Non aveva più il cappuccio calato sul viso, ciò le permise di constatare quanto ulteriormente il suo aspetto fosse peggiorato. Ormai i suoi capelli erano quasi bianchi, il volto era sempre più prosciugato, quasi del tutto ricoperto dalle macchie nere di Sasha. Pochi sprazzi di pelle pallida e cadaverica rimanevano visibili, insieme ai suoi occhi azzurri, che erano l’unica cosa di lui che sembrava incapace di mutare con il tempo e con le intemperie.

«Richard...» sussurrò, avvertendo diverse lacrime rigarle le guancie.

L’aveva tradita, aveva calpestato i suoi sentimenti, aveva perso il conto di tutte le volte che lei aveva pensato queste cose, ma non riusciva ad odiarlo o ad essere arrabbiata con lui. Non vedendolo ridotto in quelle condizioni in particolar modo. Ormai era più morto che vivo, logorato dal rancore, dalla collera e dal desiderio di vendetta.

Il Mietitore si piegò sulle ginocchia e tossì rocamente, sputando diverse chiazze di sangue. Gemette, cercò di rialzarsi, ma la luce verde fu di nuovo su di lui.

Dominick si materializzò dal nulla in mezzo ad essa e sferrò un pugno in pieno volto al ragazzo, scaraventandolo contro uno dei cumuli di detriti. Robin urlò, una pioggia di calcinacci si abbatté attorno a lui, un grande polverone si sollevò.

«Perché non ti arrendi e basta?» domandò Dom, ridacchiando, tornando in posizione eretta, facendo scomparire il bagliore color foglia. «Non c’è più gusto a picchiarti, ormai...»

Richard si trascinò lentamente fuori dal mucchio di frammenti di cemento, strisciando sui gomiti. Con il respiro affannato, si rimise lentamente in ginocchio. «Mai...» rantolò,  per poi rialzarsi con un impeto, tuttavia barcollando per diversi istanti. Puntò una mano contro il conduit copiatore, il suo sguardo pareva spiritato. «Io non... non...»

Si interruppe di scatto, accorgendosi in quel momento dei tre nuovi arrivati. Dischiuse le labbra, apparendo sinceramente sorpreso. «Rachel...» sussurrò, posando lo sguardo su di lei.

La corvina sentì un brivido percorrerla. «Richard...» rispose lei, con un filo di voce.

«Kevin!» chiamò invece Dom, corrucciando la fronte. «Ma che diavolo...»

Il conduit del fumo fece un passo verso l’amico, zittendolo con un cenno della mano. «Dom, amico, fratello, tu hai un problema. Un grosso problema. E io sono qui per sistemarlo.»

Il ragazzo più alto inarcò un sopracciglio. «Un... problema? Scusa, ma questo cosa c’entra adesso? E perché ci sono anche loro?» domandò, indicando Lucas e Rachel.

«Devi smettere di assorbire poteri» asserì quest’ultima, con sicurezza.

Dominick sbatté le palpebre un paio di volte, apparendo alquanto confuso. Fece vagare lo sguardo dal suo amico, alla ragazza, a Richard e viceversa, per diverse volte, fino a quando le sue labbra non si stirarono in un sorriso malizioso. «Altrimenti?»

Rachel strinse i pugni. «Dominick, sei in pericolo. Tutti noi lo siamo. Hai troppi poteri dentro di te, se continui di questo passo rischi di...»

«Non hai ancora risposto alla mia domanda.» Dom fece un passo avanti, allargando il sorriso. «Che cosa succede se non faccio come dici?»

«Ti ammazzerai da solo» rispose Kevin al posto della corvina, severo. «E ammazzerai un mucchio di persone innocenti.»

«Kevin...» cominciò il conduit copiatore, scuotendo lentamente la testa, quasi deluso. «... non dirmi che ti sei lasciato influenzare dalle sue parole.» E piantò l’indice sul Rachel. «Mi deludi...»

«Sei tu che hai deluso me, fratello. E non solo. Che cosa direbbe Rick se ti vedesse qui, oggi? Come pensi reagirebbe se vedesse il mostro assetato di potere che sei diventato? Ed Hester, invece? Devo ricordarti che è scappata per colpa tua?»

L’espressione di Dom mutò radicalmente. Un fremito gli scosse l’occhio destro, piegò il capo di scatto, come colpito da un tic. Squadrò la mascella. «Non... nominarli. Mai più.» Quelle parole uscirono fuori a stento, parvero un rantolio.

Kevin, intanto, si sgranchì il collo e allargò le gambe. «Chi non devo nominare? Hester, oppure Rick?»

«Stai giocando con il fuoco, Kevin» minacciò Dominick, serio come non era mai stato. «Non credere che solo perché sei mio amico non esiterò un solo istante ad ucciderti nel peggiore dei modi.»

«Perché dovresti uccidermi? Perché sto dicendo la verità?»

«No.» La luce verde tornò ad abbagliare il corpo di Dom, e in un istante il conduit si ritrovò catapultato di fronte a Kev. «Perché non ti fai i cazzi tuoi!»

Sferrò un pugno al conduit del fumo, che, colto alla sprovvista, fu scaraventato a decide di metri di distanza, smarrendosi nei meandri del cantiere. Il suo urlo si disperse in mezzo ai pilastri di acciaio, ma una gigantesca ondata di fumo nero non ci mise molto a riapparire da dove il ragazzo era scomparso.

La coltre si abbatté su Dominick, il quale, avvolgendosi nuovamente con la luce verde, si teletrasportò, letteralmente, lontano da lei.

«Non fare idiozie, Kevin!» esclamò, in piedi sulla cima di un’altra pila di detriti. «Lo sai che ho i poteri dell’acqua, non hai nessuna speranza contro di me!»

Dalla nuvola di fumo prese forma il corpo di Kevin, in assetto da combattimento, con gli occhi arancioni, il corpo grigio e gli aloni rossi incandescenti. «Lo dici tu» rantolò, per poi puntare entrambe le braccia verso di lui. «Io rivoglio il mio migliore amico, Dom, e se per riaverlo dovrò rivoltarti come un calzino, allora non mi farò problemi a farlo!»

Altre due immense cappe di fumo si generarono dai suoi palmi. Un tornado fatto di cenere e polvere si generò tra i due conduit e i restanti tre ragazzi, una vera e propria tempesta tossica ed incandescente.

In mezzo ad esso, Rachel riusciva a scorgere perfettamente la luce verde di cui Dom si ricopriva e gli occhi arancioni splendenti di Kevin spostarsi da una parte all’altra con estrema rapidità.

Il conduit del fumo tentava di colpire il copiatore con tutto quello che aveva, ma quello non faceva altro che evitare tutti gli attacchi con la sua incredibile velocità.

Colonne di cenere e polvere si generavano da ogni dove all’interno del tornado, avventandosi su Dominick da qualsiasi angolazione, sempre senza colpirlo. Bastò un solo sguardo per permettere a Rachel di capire che Kevin stava utilizzando tutta la forza che aveva per poter competere con un avversario ben oltre le sue capacità.

Infine, il copiatore contrattaccò, scagliando un raggio di luce verde smeraldo che andò a colpire Kevin sul petto, un secondo prima che questo si materializzasse di fronte a lui per cercare di colpirlo. Il conduit urlò di dolore e precipitò. La nube di fumo si affievolì man mano che lui precipitava, fino a riversarsi sul suolo. Il corpo del ragazzo di cenere svanì in mezzo ad essa.

Dominick, ancora sospeso a trenta metri di altezza, si gettò in picchiata in mezzo alla nube, puntando le mani aperte verso di lei. Si schiantò al suolo, atterrando in ginocchio, piantando con forza i palmi sul terreno, e una gigantesca onda di energia verde si propagò fuori dal suo corpo, spazzando via tutto il fumo che lo circondava. Quando ogni traccia dell’alone oscuro fu cancellata, ritrasse i palmi e si rimise in piedi.

Il copiatore si guardò attorno, senza abbassare la guardia. Una coltre di fumo si generò improvvisamente alle sue spalle e tentò di colpirlo, ma lui si voltò e bloccò a pochi centimetri dal volto il pugno che Kevin aveva cercato di sferrargli, materializzandosi proprio all’inizio della cappa.

I due conduit si ritrovarono faccia a faccia. Kevin aveva la mascella contratta e la luce degli occhi sempre più accecante, mentre Dom non aveva più mutato di una virgola la sua espressione severa. Il copiatore, poi, aumentò la presa attorno alla mano dell’ormai ex socio, stritolandogliela, fino a ridurla letteralmente in cenere.

Kevin mugugnò per il dolore, poi urlò a pieni polmoni e il suo corpo esplose in un’altra immensa coltre di polvere, che andò ad investire il ragazzo castano.

Dom serrò la mascella e la luce verde lo investì di nuovo. Scomparve di fronte agli occhi di Rachel, per poi riapparire sulla cima dell’edificio attorno a loro. Kevin non ci mise molto a mettersi al suo inseguimento. Lo scontro si spostò sul tetto ancora in costruzione, con Kevin che generava le sue nubi tossiche e scagliava proiettili solidi di fumo, e Dominick che rispondeva con i suoi raggi verdi scintillanti e si teletrasportava per evitare ogni attacco.

Rachel osservava il combattimento, meravigliata e impotente allo stesso tempo. Non voleva che si arrivasse fino a quel punto, avrebbe preferito che Dom li ascoltasse senza combattere, ma era chiaro che ragionare con lui era impossibile. Una parte di lei avrebbe dunque voluto fare qualcosa per aiutare Kev, ma non aveva proprio idea di che cosa. Cosa poteva fare senza poteri? Nulla. Poteva solo sperare che il conduit del fumo riuscisse a vincere.

«Non ce la farà...» rantolò Richard all’improvviso, scuotendo lentamente la testa, anche lui con lo sguardo incollato sul combattimento. «Controlla... l’energia fotonica... è... letteralmente... impossibile da colpire...»

«E non solo quella» rispose Rachel, anche lei senza staccare gli occhi dalla battaglia aerea. Parlare con il Mietitore avrebbe dovuto farle uno strano effetto, ma quello non era certo il momento adatto per badare a certe sottigliezze. «Se davvero volesse, potrebbe cancellare Kevin senza problemi, con i poteri dell’acqua. Sta solo... giocando con lui. Come stava facendo anche con te.»

Richard serrò la mascella, infastidito da quella affermazione. Poi inarcò un sopracciglio. «Dov’è finito il tuo amico?»

Rachel sgranò gli occhi e si guardò attorno. Di Lucas non c’era più traccia. «Cazzo...» sussurrò, intuendo cosa fosse frullato per la mente di Rosso.

Un urlo la fece distogliere da quei pensieri. Sollevò di nuovo lo sguardo, per poi vedere il corpo di Kevin precipitare dal tetto, schiantandosi sul suolo.

«Kevin!» gridò inorridita, correndo verso di lui. Il conduit del fumo gemeva, si muoveva anche con dei piccoli fremiti, quindi, se non altro, era ancora vivo. Rachel si avvicinò a lui per cercare di aiutarlo, ma Dom si materializzò proprio di fronte  a lei. Corvina sobbalzò ed indietreggiò di scatto.

Dom sogghignò e mosse un passo verso di lei, ma un’ombra si mosse furtiva dietro di lui. Rachel spalancò la bocca, mentre Lucas arrivava alle spalle del conduit, per poi spaccargli in testa un detrito grosso quanto un segnale stradale.

Rosso rimase con in mano due pezzettini minuscoli, mentre il copiatore chinò il capo. Barcollò in avanti, stordito, ma non ci mise molto a ritornare in sé. Ringhiò e si voltò di scatto, afferrando Lucas per il collo. Il ragazzo sgranò gli occhi e fu sollevato di trenta centimetri da terra.

«Ma guarda, un piccolo e insulso essere normale» osservò Dominick, sogghignando. «Dimmi, cosa pensavi di fare, con esattezza, contro un conduit come me?»

Aumentò la presa, affondò le unghie nella gola del ragazzo, Lucas gridò.

«Lascialo!» esclamò Rachel. Fece per correre verso di loro, senza nemmeno sapere cosa fare con esattezza, ma fu anticipata da una coltre di fumo, che andò a schiantarsi sul copiatore; Dom fu scaraventato dall’altra parte dello spiazzo, e si schiantò contro un muro. La presa dal collo del moro si sciolse, e Rosso cadde a terra tossendo e massaggiandosi la gola.

Corvina spostò lo sguardo sbigottita, e vide Kevin di nuovo in piedi, con un’espressione di dolore mista a rabbia stampata in faccia. «Allontanatevi...» rantolò, per poi barcollare verso il punto in cui Dom era finito. «Qui... è pericolos...»

Una luce verde, e Dom si ritrovò di nuovo di fronte all’amico. Sorrise, poi gli sferrò un pugno in pieno volto. Kevin sgranò gli occhi, poi la testa gli esplose, letteralmente, in un cumulo di polvere. Il suo corpo stramazzò poi al suolo e anche quello si dissolse in un mucchio di cenere.

Inorridita, Rachel pensò che lo avesse appena ucciso, ma dal cumulo si generarono due colonne di fumo che andarono ad investire le gambe del conduit copiatore.

Dominick sgranò gli occhi e gettò il capo all’indietro, mugugnando per le bruciature che il fumo inflisse alle gambe. Kevin si risollevò poi dalle ceneri e sferrò un destro al copiatore, che però si teletrasportò un secondo prima.

«Dannazione...» sibilò, quando vide Dom riapparire a decine di metri di distanza, sorridendo beffardo.

«Te l’ho detto, Kev, non hai speranze contro di me» lo punzecchiò.

«Chiuditi la fogna!» sbraitò Kevin, ripartendo all’attacco.

Per tutta risposta, Dominick rise. «Accidenti... vedo che... ti stai scaldando!»

Il copiatore gli puntò una mano, gli occhi si illuminarono di un rosso brillante, e dal suo palmo si generò una palla di fuoco gigantesca, che Kevin respinse con un proiettile di fumo. Un’esplosione si frappose tra loro, seguita da una nube di polvere.

«Il fuoco non mi spaventa» replicò il conduit del fumo, con il fiatone.

«Giusto, giusto... allora, forse, sarà meglio raffreddare gli animi!» Gli occhi di Dom divennero blu e dal suo palmo, questa volta, si generò un potentissimo getto d’acqua.

Kev sgranò entrambi gli occhi. Rispose con una coltre di fumo gigantesca, probabilmente la più grande che avesse mai creato, con l’ausilio di entrambe le mani. I due attacchi si scontrarono tra loro, rimanendo sospesi a mezz’aria. La situazione iniziale di parità volse ben presto a sfavore per il conduit del fumo, il quale sembrava sempre fare più sforzo per non cedere, mentre Dom non pareva minimamente affaticato.

Le scarpe del conduit affondarono nel terreno, il ragazzo serrò la mascella, mentre il getto d’acqua spazzava via poco per volta la sua nube di fumo e si avvicinava sempre di più a lui.

Rachel, che si era chinata accanto a Lucas, osservò la scena bocca aperta.

Dominick rise di gusto, Kevin gridò invece per lo sforzo. L’acqua lo raggiunse. Ma, un istante prima che ciò si verificasse, la terra si sollevò dal nulla, andando a creare una barriera di fortuna tra il conduit del fumo e il getto. Vi fu un’altra esplosione, e un’altra coltre di fumo bianco si sollevò.

Non appena la nube si diradò, un Kevin piuttosto confuso apparve dinnanzi agli occhi della corvina, con ai suoi piedi i resti di quel riparo di terra improvvisato. Il conduit del fumo fu quello che più di tutti parve sbigottito nell’osservare questi rimasugli. Alzò lo sguardo, volgendolo in un punto ben oltre le spalle di Dom, per poi sgranare gli occhi.

Gli altri ragazzi ben presto lo imitarono. E non appena Rachel lo fece, rimase altrettanto sbalordita. In cima all’edificio in costruzione, in piedi su una lunga trave di ferro verticale, si trovava una ragazza bionda, con due sfavillanti riflettori gialli al posto degli occhi. I lunghi capelli biondi oscillavano sospinti dalla corrente, la pelle, arancione, quasi marrone, era ricoperta da scaglie.

«Tara...» sussurrò Rachel, incredula.

La conduit della terra sollevò un braccio, il quale prese la forma di una lama, dopodiché saltò nel vuoto con un grido.

«Grandioso...» borbottò Dom, osservandola. «Altri scocciator...»

«Mai dare le spalle all’avversario!» urlò una voce.

Il copiatore si voltò, sorpreso, per poi beccarsi un calcio in pieno volto da Richard, il quale era di nuovo avvolto dal suo classico bagliore azzurro. Dominick barcollò all’indietro, mugugnando per il dolore. Robin tentò di nuovo di infierire, ma il conduit si teletrasportò lontano da lui per leccarsi le ferite.

Alle sue spalle arrivò Tara, puntandogli contro la lama di roccia. «Lascia stare i miei amici!» urlò. Dom si voltò e digrignò i denti, per poi teletrasportarsi una seconda volta, alle spalle di lei.

Terra sferzò il vuoto, facendo un grido di sorpresa. Il copiatore urlò e sollevò le mani per colpirla, ma una coltre di fumo lo centrò in pieno nel fianco, facendolo gridare e scaraventandolo via. Kevin si materializzò accanto a Tara, per poi sorriderle e salutarla dandosi un colpetto alla visiera del cappello. «Tutto bene, signorina?»

Dopo un attimo di sorpresa, Tara ricambiò il sorriso e annuì. «Sì, grazie.»

Dopodiché, la bionda si voltò verso Rachel e Lucas. Sorrise anche a loro, rivolgendogli un cenno del capo. Rachel esitò diversi istanti, prima di riuscire a ricambiare il cenno con gratitudine.

«Non vorrei fare il guastafeste» mugugnò Richard arrivando in quel momento, mettendosi accanto ai due conduit. «Ma è ancora lì.» Ed indicò Dominick, il quale si era rimesso in piedi ed osservava con odio crescente, dall’altra parte del cortile, il trio di improbabili alleati.

Kevin si sgranchì il collo per nulla intimidito, per poi illuminare gli occhi di nuovo di arancione. «Vorrà dire che gli cambieremo per bene i connotati.»

Dominick urlò con quanto fiato aveva in corpo, la luce verde lo avvolse di nuovo, poi ripartì all’attacco. I tre conduit, dal canto loro, non si fecero attendere. Kevin si avvolse nel fumo, Richard si illuminò di azzurro, Tara di giallo.

Quella scena, agli occhi di Corvina, ebbe del surreale. Stavano combattendo contro di Dominick, un avversario ben oltre la loro portata, per di più senza nemmeno avere un obiettivo comune. Semplicemente, avevano capito che la minaccia da affrontare era troppo grossa, e avevano messo da parte schieramenti, rancori, qualsiasi cosa, solamente per poterlo sconfiggere.

Terra, Robin e Kevin lo stavano attaccando in simultanea, usando tutto quello che avevano.

Il Mietitore sfruttava la sua velocità e la sua bravura nelle arti marziali per cercare di colpirlo e distrarlo, la ragazza bionda usava i poteri da geomante per richiamare a sé i vari detriti sparpagliati ovunque, e usarli come proiettili improvvisati, mentre Kevin continuava a dissolversi e a riapparire alle spalle del suo ex socio per tentare di coglierlo alla sprovvista.

Il copiatore, invece, dava fondo a tutto il suo arsenale di poteri per poter riuscire a tenere bada ai tre avversari. Rachel vide poteri del fuoco, del ghiaccio, dell’elettricità, del cemento e, naturalmente, quello dei fotoni.

Per tutto il tempo, Dominick continuò a teletrasportarsi per evitare gli attacchi, ma non riusciva a sottrarsi sempre a tutti quanti. Diversi detriti lo colpirono sul corpo, al petto, perfino in faccia, e anche Robin e Kevin riuscirono ad infierire alcune volte, il Mietitore con le sue combo di calci e pugni, il conduit del fumo con le sue cappe di cenere.

Più il tempo passava, più il copiatore sembrava infuriarsi. Scagliò diverse schegge di ghiaccio con le mani verso Kevin, ma lui si dissolse per l’ennesima volta, consentendo a Richard di correre in mezzo al fumo, confondendosi in mezzo ad esso, per poi sbucare fuori all’improvviso e cogliere Dom di sorpresa. Il ragazzo albino riuscì a colpire il conduit al volto con un altro destro. Il castano barcollò, mugugnando per il dolore, tuttavia continuò a combattere senza freni.

Scacciò il Mietitore con un’onda di energia, poi si voltò, un attimo prima che Tara potesse infilzarlo con una delle sue lame. Tramutò le proprie mani in cemento e bloccò il grosso cuneo di pietra a mezz’aria, a pochi centimetri dal suo petto. Terra sgranò gli occhi, sorpresa dalla forza del copiatore, mentre lui serrò la mascella.

Il braccio della geomante cominciò a tremare per lo sforzo, mugugnò per la fatica, le scarpe le sprofondarono nel terreno. Era in svantaggio, non sarebbe mai riuscita a spuntarla da sola.

«Ehi, stronzo!»  

Dom si voltò, sorpreso, per poi beccarsi una randellata in pieno volto da Rosso.

Non appena vide il partner, Rachel sgranò gli occhi, per poi accorgersi che accanto a lei non c’era più nessuno. Credeva che Rosso fosse svenuto, invece si era già rialzato, senza nemmeno dirle una parola, ed era andato a raccogliere un’altra arma improvvisata, questa volta un’asta di ferro per cemento, la stessa che aveva usato per colpire il conduit.

Il copiatore gridò e barcollò all’indietro, portandosi una mano sul viso, ma l’urlo fu ben presto offuscato da un’altra coltre di fumo, che lo colpì in pieno petto, questa volta scaraventandolo a decine e decine di metri di distanza. Finì dritto contro uno dei pochi muri interamente edificati, e lo rase completamente al suolo. Fu completamente seppellito dalle macerie e dai detriti di cemento.

Lucas, Tara, Kevin e Richard si misero uno affianco all’altro, tutti quanti con il fiatone e lo sguardo puntato verso quel cumulo di calcinacci sotto al quale il copiatore era scomparso. Una nuvola di polvere si era sollevata, seguita da un silenzio quasi irreale.

Poi, la figura di Dominick si rialzò di scatto, con un urlo furioso, senza nemmeno dare il tempo di poter anche solo pensare di cantare vittoria. I frammenti che lo avevano investito schizzarono via, rovesciandosi gli uni sopra gli altri, producendo un rumore di pietre che si sfregavano tra di loro.

«Ora... basta...» mugugnò, tenendo le braccia rigide lungo i fianchi, i pugni chiusi e il capo chinato. «BASTA!»

Drizzò la testa, gli occhi gli si illuminarono di un’accecante luce bianca. Non appena li vide, Rachel inorridì. Conosceva bene quella luce. L’avrebbe riconosciuta tra mille. Una luce oscura cominciò a fuoriuscire dal corpo del copiatore, come una nuvola di vapore. Dopodiché, tre tentacoli del medesimo colore si scaturirono da essa, puntando il gruppo di ragazzi.

«Attenti!» esclamò Kevin, scartando di lato, presto imitato dagli altri tre. Non appena si mossero, i lacci di luce deviarono direzione a loro volta, ognuno di loro puntando un diverso conduit.

I tre in questione se ne accorsero e sgranarono gli occhi. Kevin tentò di dissolversi, ma il rampicante riuscì a colpirlo lo stesso, anche in mezzo al fumo. Non appena toccò la coltre, questa si accumulò tutta in un colpo solo, e la sagoma di Kevin fu trafitta al petto dal laccio. Il conduit del fumo gridò di dolore, la nube che fino ad un attimo prima lo aveva avvolto svanì nel nulla e una nuvola di luce nera cominciò a circondarlo.

La stessa sorte toccò a Richard e Tara. Il primo tentò di sfuggire al tentacolo con la sua velocità, ma fu comunque afferrato ad una caviglia, mentre Terra commise l’errore di cercare di tagliare in due il suo, il quale si avventò sul suo braccio.

Tutte e tre i ragazzi si ritrovarono a terra, a gridare di dolore, ciascuno di essi investito dalla medesima luce nera. L’unico che fu risparmiato fu Lucas, e Rachel capì presto il motivo. Quelli... non erano lacci di energia qualsiasi. Non erano quelli che usava lei abitualmente quando combatteva. E le parole di Dominick, la aiutarono a chiarire qualsiasi dubbio.

«Voglio vedere che cosa farete senza i vostri poteri!» urlò il copiatore, avvolto dalla luce nera, mentre usava gli ultimi poteri che aveva acquisito, e dunque la loro capacità di cancellare quelli altrui.

Robin, Terra e Kevin continuarono a gridare e a contorcersi per il dolore, mentre i tre lacci strappavano letteralmente via dal loro corpo i loro poteri. Lucas, dopo un attimo di stupore iniziale, si riscosse e cominciò a correre verso di Dominick, bracciando la sua spranga di ferro. «Lasciali andare!»

«Lucas, no!» gridò Rachel, ma ormai era troppo tardi. Un fulmine di energia nera si scaturì dal corpo del copiatore, andando ad abbattersi proprio su Rosso. Il moro urlò dal dolore e fu sbalzato via. La sbarra di ferro gli scivolò dalla mano e cadde lontana da lui. Il ragazzo rimase accasciato a terra, con gli occhi sbarrati.

«LUCAS!» Corvina si smosse e corse da lui, per accertarsi delle sue condizioni. Nel frattempo, le urla dei tre conduit avevano cominciato ad affievolirsi. Le placche di pietra erano scomparse dal corpo di Tara, la stessa cosa era successa a Kevin, il quale non era più ricoperto di cenere e braci.

Rachel raggiunse il proprio partner; nello stesso momento, Dominick fece scomparire i rampicanti neri, lasciando i tre ragazzi che aveva bersagliato a terra, semisvenuti.

«Rosso? Rosso!» La corvina cercò di scuotere il moro, il quale rispose con qualche mugugno infastidito, permettendole di concedersi un piccolo sospiro di sollievo. Stava bene, anche se con qualche livido di troppo e la maglia nera strappata.

Tuttavia, ora doveva concentrarsi su un altro problema. Dominick era in piedi, con il fiato grosso, le spalle che si alzavano e abbassavano ripetutamente. Un sorriso era stirato sulle sue labbra. Un sorriso che di buono prometteva poco.

Kevin gemette e tentò di rialzarsi sui gomiti. Il conduit copiatore lo notò e non parve per niente gradire la cosa. Cominciò a camminare verso l’ex socio.

«Kevin, Kevin, Kevin...» cominciò a dire, arrivando alle sue spalle, torreggiando su di lui. «... non avresti dovuto metterti contro di me. Credevo che fossimo amici.»

«Dom... ti prego...» L’ex conduit del fumo si voltò, sdraiandosi sulla schiena. Lo osservò implorante, poi scosse lentamente la testa. «... devi tornare in te! Ti prego fratello, non puoi...»

«Basta così, Kev. Sono stanco di queste cazzate.»

«Dom...»

Il ragazzo più alto si inginocchiò vicino all’altro e infilò la mano nella tasca dei pantaloni di quest’ultimo. Kevin lo guardò con un’espressione a metà tra il confuso e l’intimorito, fino a quando Dom non estrasse il suo pacchetto di sigarette. Lo aprì, ne prese una, e la cacciò tra le labbra di Kev, dopodiché si rimise in piedi. Kevin continuò ad osservarlo ad occhi spalancati, la paura che brillava dentro di essi, senza capire dove volesse andare a parare.

«Kevin, che fai? Non la accendi?» domandò il copiatore, con aria confusa. «Non puoi fumare se non la accendi.»

«D-Dom, ma cosa...»

«Accendila» ripeté Dominick, facendosi severo. «Ora.»

Tremando come una foglia, Kevin si infilò le mani nelle tasche. «Non... non trovo l’accendino...» balbettò, con un filo di voce.

Dom inarcò un sopracciglio. «Che cosa? Non lo trovi? Oh, ma questo è proprio un bel guaio, come farai a fumare, adesso?»

Una lacrima scese lungo la guancia di Kev. Terrorizzato era un eufemismo, per descriverlo. «Ti prego, Dom, ti scongiuro...»

«Ho trovato!» Il conduit sorrise di nuovo in maniera folle, poi sollevò una mano, puntandola verso il ragazzo seduto. «Lascia che te la accenda io!»

Kevin spalancò le palpebre, un secondo prima che una gigantesca lingua di fuoco fuoriuscisse dal palmo del copiatore. Fu completamente investito dalle fiamme. Le urla strazianti che emise dopo furono la cosa più orribile e atroce che Rachel ebbe mai sentito. E anche la vista non fu da meno, qualcosa che sicuramente l’avrebbe tormentata nei suoi incubi per gli anni a venire, ammesso che fosse sopravvissuta a quel giorno.

Vide Kevin contorcersi, rotolare su sé stesso, fare qualsiasi cosa potesse per riuscire a spegnere il fuoco, ma quello non sembrava volersi staccare da lui per nulla al mondo. Continuò a gridare disperato, fino a quando la sua voce non si ridusse ad un sussurro. Smise lentamente di muoversi, per poi rimanere del tutto immobile, stravaccato sul suolo. Le fiamme si estinsero poco per volta, lasciando spazio ad un corpo carbonizzato e orrendamente ferito. Gli occhi erano ancora spalancati, la bocca aperta in quel grido disperato di aiuto a cui nessuno aveva dato retta.

Il fuoco si era spento, e con esso la vita di Kevin. Rachel dovette attingere a tutta la sua forza di volontà per non vomitare quel poco che aveva ancora nello stomaco. Quella visione la scosse completamente, per lunghi, strazianti istanti non fece altro che pensare e ripensare a ciò che aveva appena visto, incapace di parlare, muoversi, o concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Kevin... non c’era più. Non era sicuramente stata la migliore delle persone che lei aveva mai conosciuto, ma si era comunque schierato dalla sua parte, aveva accettato di aiutarla, per certi versi le era sembrato quasi simpatico, ma soprattutto non era altro che un ragazzo, come lei, come Lucas, come tanti altri... e ora non c’era più. Era morto, bruciato vivo, per mano di quella stessa persona che lui aveva cercato di aiutare, che lui aveva reputato un amico, un fratello.

Questo stesso fratello che gettò un accendino spento sul cadavere. «Eccoti l’accendino.»

Dopodiché si voltò, per poi cominciare a camminare verso il suo nuovo obiettivo: Tara. La bionda era ancora sdraiata su un fianco, probabilmente del tutto priva di sensi. Dominick ridacchiò, poi il suo braccio si tramutò in pietra, nella stessa lama che era solita comparire per mano di Terra.

Quella vista, fu l’input che concesse a Rachel di ritornare in sé. Non avrebbe permesso che anche Tara venisse uccisa. Si rialzò in piedi, attingendo a quel poco coraggio che le era rimasto.

«Fermo Dominick!» esclamò, cercando di apparire sicura. Il copiatore si fermò di scatto e si voltò verso di lei. La ragazza rabbrividì.

«Rachel! Accidenti, mi ero dimenticato di te!» Dom sorrise glaciale, per poi cambiare direzione e dirigersi verso di lei. «Come puoi ben vedere, nulla può fermarmi. E grazie ai tuoi poteri, posso mettere a tacere per sempre tutte le minacce che mi si presenteranno davanti.»

«Dominick, ascolta...»

«Santo cielo, che rottura di scatole che siete tutti!» la interruppe lui, accigliandosi. «"Dominick ascolta", "Dominick ti prego", "Dominick di qua", "Dominick di là", e dateci un taglio! Non ve lo volete mettere in testa? Io non rinuncerò mai a tutto questo!» Sollevò le mani. Una si incendiò, mentre dall’altra si scaturirono diverse scintille. Lui le osservò entrambe, ammaliato. «Non abbandonerò tutti i miei poteri. Non mi separerò da ciò che mi rende unico. Ve lo potete scordare.»

«Sei fuori controllo, Do...»

«Io sto benissimo, invece. Siete voi che mi costringete a comportarmi così. Tu in primis, Rachel.» Dominick la indicò, facendosi serio. «Avevamo un accordo, ricordi? Tu mi davi i poteri, io ti lasciavo stare. Ma se tu continui a tormentarmi, io non posso lasciarti stare. Avresti potuto fare finta di niente. Io avrei ucciso il tuo amico Richard, Kevin ti avrebbe lasciata andare, e tu saresti tornata dai tuoi amici. Una cosa semplice, pulita, senza troppe vittime. Ma no, tu dovevi per forza ficcare il naso nei miei affari, dovevi perfino aizzare il mio migliore amico contro di me. Beh, mi dispiace per te, ma il tuo piano è fallito miseramente. E ti sei bruciata la tua occasione di sopravvivenza. La tua unica, e ultima, occasione.»

Il cuore di Rachel cominciò a battere all’impazzata. Non sapeva cosa fare, non aveva più nessuna idea. Dom non la ascoltava, non avrebbe ascoltato nessuno. Disperata, provò a fare un passo avanti. Alzò le mani, in segno di resa. «Dom... tu... tu sei meglio di quest...»

Una luce verde, e la corvina si ritrovò il volto copiatore a pochi centimetri di distanza dal suo. Trasalì, per poco non urlò, ma lui la afferrò per le guancie, tirandola a sé. Pochi millimetri li separavano. Corvina non credeva di essere mai stata così vicina alle labbra di un ragazzo.

«Sta tranquilla, Rachel...» cominciò Dom, accarezzandole i capelli con la mano libera. «Non devi avere paura. È tutto normale. Tutti muoiono, prima o poi. Soprattutto quelli che osano inimicarsi degli dei. Ma non temere, io sono un dio buono. E in quanto tale, ti concederò il dono di una morte rapida e indolore.»

Corvina sgranò gli occhi, cominciò a tremare, la paura si insinuò dentro di lei più forte che mai. «D-Dom, ti preg...»

«Shhh» la zittì ancora lui, infilandole il pollice tra le labbra, cominciando a scuoterle la testa contro il suo volere. Rachel si lasciò scuotere, incapace di pensare, di muoversi, di reagire. Dominick si avvicinò ulteriormente a lei, ormai la ragazza poteva sentire il fiato di lui sul viso. «Guardami, Rachel, guardami. Prendi un bel respiro, forza. Fatti coraggio.»

La ragazza scosse freneticamente la testa, ormai sull’orlo di una crisi di pianto. Poi percepì una tremenda fitta di dolore allo stomaco. Gemette, mordendo per sbaglio il dito del copiatore, ma lui non ci fece caso. Continuò ad osservarla, serio, fino a quando non sollevò la mano con cui fino ad un attimo prima le aveva accarezzato i capelli. Una fioca luce nera la illuminava ancora. L’aveva colpita. Con i suoi stessi poteri. A quel punto, il conduit sorrise di nuovo. «Sogni d’oro, angelo mio.»

Allontanò la mano dal viso di lei, poi la spinse a terra. Corvina crollò al suolo esanime, percependo ancora quella fitta di dolore all’addome, che però andava pian piano affievolendosi. E più il dolore cessava, più respirare le costava fatica. Il fiato si ridusse ad un rantolio, la vista le si appannò. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere ancora il peso delle palpebre. Il cuore saltò un battito, poi un altro, poi un altro ancora.

E lentamente, molto lentamente, le tenebre si impadronirono di lei, fino a quando non la divorarono completamente, non lasciandosi dietro altro che oscurità.






Faccio in fretta, non preoccupatevi. Dunque, come anche per lo scorso combattimento, anche in questo caso avevo immaginato in sottofondo una canzone, ossia 

questa. In particolare nella parte iniziale dello scontro, quando si tratta solo di una "resa dei conti tra fratelli", dunque quando gli unici coinvolti sono Dom e Kev. Poi altro da dire non c'è, se non che i prossimi capitoli usciranno un po' prima del solito, anche perché non ho più molti impegni ultimamente. 

Bye bye, alla prossima!

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Capitolo 28
*** La figlia dell'oscurità ***


Capitolo 28: LA FIGLIA DELL’OSCURITÀ

 

 

Era buio e faceva freddo. Tanto freddo. Le sembrava di essere finita in una ghiacciaia.

Si mise lentamente carponi, mugugnando per il dolore al ventre e alla testa, rabbrividendo come una foglia per colpa di quell’aria gelata che pungeva la sua pelle come la lama di un coltello. Riuscì ad alzarsi sulle ginocchia e si strinse nelle spalle. Si guardò intorno, confusa. Il suo sguardo si smarrì nelle tenebre che riempivano quel luogo, mentre nuvole di condensa uscivano dalla sua bocca e dalle narici.

«D-Dove sono...?» mormorò al nulla che la circondava.

Si drizzò sulle proprie gambe, continuando a cercare di scaldarsi e a guardarsi intorno. «C’è... c’è qualcuno?» Riuscì ad udire la propria voce echeggiare in mezzo a quella landa buia e desolata. Percepì diverse vene di paura dentro di essa. Nessuno rispose.

Fece un altro verso di dolore e si toccò una tempia. «Che posto è questo... come ci sono arrivata?»

Timidamente, cominciò a muovere i primi passi. Non riusciva a scorgere nulla né attorno a lei, né sotto di lei. Le pareva di camminare sopra il nulla, ad ogni passo aveva il terrore di precipitare in mezzo a tutto quel buio.

Cercò di riflettere, di pensare. Era tutto così confuso. E fu proprio in quel momento, che la ragazza realizzò. Spalancò gli occhi e si fermò di scatto. Allontanò le mani dal proprio corpo, per poi osservarsele. Passarono quelle che parvero eternità, prima che riuscisse ad allontanare lo sguardo da esse, per poi deglutire.

«Chi... chi sono io?»

«Tu sei il male.»

Una voce improvvisa la fece trasalire, quasi gridare. Si voltò di scatto, sempre più impaurita, per poi ritrovarsi di fronte una figura che, lentamente, stava formandosi dalle tenebre, attingendo da esse le forme sempre più pronunciate di una donna. Osservare quell’unica macchia di colore in mezzo a quel mare di oscurità fu un pugno in un occhio per la giovane. E non appena riuscì a distinguere i lineamenti della donna, i suoi capelli lunghi e corvini, i suoi abiti semplici e la sua espressione gentile, la giovane spalancò gli occhi.

Istintivamente, si mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni. Le sue dita strofinarono una superficie liscia e dura, poi si chiusero attorno ad una sottile lamina. La estrasse lentamente, sempre più basita, per poi portarsela di fronte agli occhi quando ebbe finito.

Una fotografia, due persone raffigurate su di essa. Qualcosa scattò immediatamente nella sua mente. «Mamma...» sussurrò, guardando prima l’immagine scattata, poi la donna davanti a lei.

La fotografia scivolò dalla sua mano, mentre tutto riusciva ad apparirle più nitido. Lei era Rachel Roth. E quella davanti a lei, era Angela Roth. Arella. Sua madre.

«Mamma!» Rachel sorrise e fece per correrle incontro, ma all’ultimo si fermò. Abbassò le braccia che aveva alzato per stringerla e il suo sorriso vacillò. La donna continuò ad osservarla sorridendo gentile, senza né dire, né fare nulla.

«Tu non sei davvero lei, giusto?» domandò Corvina, con voce smorta. «Questa conversazione... non sta accadendo davvero. Ho ragione?»

 Ancora silenzio. La donna con le sembianze di Angela si limitò a distendere il sorriso. A quel punto, Rachel strinse i pugni. «Beh, chi sei allora? E dove siamo?! Parla!»

«Non riconosci questo luogo?» disse infine la figura, allargando le braccia. «Non riconosci questa oscurità?»

Rachel esitò. Si guardò meglio intorno, concentrandosi meglio su quella strana nebbia oscura che la circondava. Un’idea le attraversò la mente. «Questa è... l’oscurità che controllavo con i miei poteri, vero?»

La donna piegò il capo. «Quasi. Questa è la tua mente, Rachel.»

«Che cosa?!» domandò la ragazza, sconvolta. Osservò ancora una volta tutto quel mare di buio che la circondava. No, non poteva essere. La sua mente non poteva essere così oscura! O no?

«È così dal giorno in cui la donna di cui io ho le sembianze ti ha abbandonata» proseguì Arella, sempre senza smettere di sorridere, come  se quello che le stava dicendo non fosse nulla di che.

«Ma, paradossalmente, allo stesso tempo era proprio il ricordo di questa donna che ti ha permesso di non lasciare che questo posto sprofondasse completamente nell’oblio. Io ho scelto di assumere queste sembianze proprio per rendere più confortevole per te questa conversazione, ma ci sono diversi altri panni in cui potrei calarmi.»

Non appena finì di dirlo, l’oscurità avvolse la figura per qualche istante e, non appena si diramò, al posto di Angela apparve Richard. Ma non Robin, bensì l’amico di infanzia di Rachel. Non appena vide i suoi occhi azzurri e penetranti, i suoi capelli mori perfettamente ordinati e il suo volto completamente pulito e privo di fossette e macchie nere, Corvina spalancò la bocca.

«Questo, per esempio» disse ancora la figura, questa volta con la voce del Richard che conosceva. «Oppure, in questa.»

L’oscurità lo avvolse ancora una volta. Quando svanì di nuovo, al posto di Richard c’era Lucas. «Che dici, questa è più di tuo gradimento?» domandò, ora con la voce roca di Rosso X.

Rachel sentì le guancie bruciare terribilmente. Distolse lo sguardo, imbarazzata. «A-Arella andava bene...» biascicò, sentendosi stupida come non mai.

«Come vuoi.»

Non appena la figura tornò ad avere le sembianze di sua madre, Rachel tirò un profondo sospiro. «Beh, adesso dimmi: chi sei veramente? E perché siamo qui? Come ci siamo arrivati?»

«Non conta chi sono veramente, quanto più cosa sono veramente» rispose Arella, allargando il sorriso. «Io sono una parte di te, Rachel. Anzi, noi siamo una parte di te. Lo siamo sempre stati, e sempre lo saremo. E questo, è il luogo in cui noi abbiamo scelto di ricongiungerti a te, tramite questa visione.»

Più parlava, più Corvina spalancava le palpebre. Le parole le uscirono con un filo di voce dalle labbra. «Tu sei... voi... siete... i miei poteri...»

Angela annuì. «Proprio così.»

«Ma come?! Com’è possibile tutto questo? Come avete fatto a...»

«C’è davvero motivo di spiegartelo?» la interruppe Arella, sempre senza smettere di sorridere. Era rassicurante, e irritante allo stesso tempo.

«Tu non controlli un elemento qualsiasi, Rachel, ma immagino che ormai anche tu lo avessi capito. Con il tuo potere puoi fare molto di più che volare o combattere. Tu puoi entrare nelle menti delle persone, puoi esplorarle, puoi mettere a nudo le coscienze. Per te non esistono segreti, Rachel. Nessuno può fermarti davvero. Questo perché tu non controlli solo le ombre e le tenebre fisiche. Tu controlli anche quelle mentali.

«Tu puoi controllare i demoni interiori delle persone, puoi plasmare l’oscurità che si cela nell’animo umano, puoi crearla, distruggerla, o semplicemente trasformarla. Per questo vedevi il mondo dagli occhi di Hank, per questo l’hai anche visto da quello di Deathstroke. Per questo ora hai questa visione. Noi non possiamo parlare davvero, Rachel, come potremmo? Ma il buio nella tua mente ci ha permessi di poter prendere vita, almeno qui dentro. Ed è questo stesso buio che per tutto questo tempo ci ha permesso di poterti remare contro, di poter funzionare solo quando volevamo, di poter cercare di impadronirci di te. Ma tu hai tenuto duro, aggrappandoti a quei pochi ricordi che ancora riuscivano a confortarti. Tua madre, i tuoi amici, Richard... Ma è stato solamente quando Dominick si è impadronito di noi, che abbiamo capito che tu e solo tu puoi possederci.

«Il tuo gene conduit... è diverso da tutti gli altri, per non dire unico. Tu, Rachel, tu e tu soltanto puoi avere questo potere. Questo ti rende, in un certo senso, una sorta di prescelta. E nessun altro può ricoprire questo ruolo. Per questo, quel copiatore non ti ha davvero sottratto i poteri. Certo, lui può averli copiati, e certamente può anche averli usati forse perfino meglio di te, ma ciò non cambia che lui non è degno di portarli. Perché noi e te, Rachel, siamo stati uniti dal destino. Il fato ha deciso che le nostre strade si incontrassero. E non esiste persona o conduit in grado di cambiare davvero il fato. Dominick non è degno di possederci, così noi abbiamo deciso di mostrarci a te.

«Tu sei noi, Rachel. Tu sei la figlia dell’oscurità. Non necessariamente malvagia, ma comunque capace di controllare il male. Sappiamo bene che tu non hai mai voluto accettare questo fardello, e noi, di certo, non abbiamo aiutato a renderti le cose semplici. Ma ora c’è bisogno che tu faccia la tua decisione, in questo momento esatto. Possiamo ricongiungerci qui, ora, e tornare ad essere un’unica cosa. Sappiamo che questa rivelazione ti avrà sconvolta, ma non possiamo perdere altro tempo; ci serve una risposta, adesso. Perciò dicci: accetterai di portare questo fardello sulle tue spalle?»

«I-Io...» Rachel esitò, faticando a parlare. Tutte quelle cose che aveva appena scoperto sui suoi poteri e su sé stessa... era davvero quella la realtà? O quella visione non era altro che, appunto, una visione qualsiasi? Magari qualche strana specie di sogno. Poteva davvero... controllare il male? Ma soprattutto... poteva davvero farlo a fin di bene?

Com’era possibile? Come si poteva fare una cosa del genere? Come si poteva fare del bene... con il male?  Era assurdo! Eppure... eppure lei lo aveva fatto.

Aveva combattuto il male con il male, aveva protetto i suoi amici con il male, aveva... vissuto con il male. E ora... ora il mondo aveva bisogno di lei. Dominick aveva bisogno di lei. Avevano bisogno... del suo male, per essere salvati.

Improvvisamente, le parole di Lucas le tornarono alla mente. Spalancò gli occhi. Lei era... il bene che c’era nel male. Letteralmente. Aveva... fatto del bene con la cosa più oscura che potesse esistere, ossia il male stesso. Era riuscita a fare qualcosa che all’orecchio umano sarebbe sembrato assolutamente impossibile. Che a lei stessa sarebbe sembrato impossibile!

Eppure c’era riuscita. Ma a quale prezzo? Dal giorno in cui li aveva ottenuti le cose non avevano fatto altro che andare di male in peggio. Persone erano morte di fronte ai suoi occhi, aveva rischiato la vita così tante volte che ormai aveva perso il conto, aveva pianto, sofferto, era stata costretta a combattere e a vivere in un mondo che cadeva a pezzi con suo enorme sgomento. E per cosa, poi? Per dover essere quella su cui avrebbe dovuto cadere il peso del mondo sulle spalle? Per essere quella da cui tutti si sarebbero dovuti aspettare chissà quali grandi cose?

I Mietitori, gli Spazzini, gli Underdog e i Visionari. Era toccato a lei dover combattere queste bande per poter proteggere le persone innocenti. Certo, era stata aiutata, ma il grosso del lavoro era sempre e comunque spettato a lei. E ora doveva anche fermare Dominick. Tutte le volte che pensava che i suoi problemi fossero finiti, ecco che se ne presentava uno grosso il doppio del precedente. Se avesse scelto di riavere i poteri, che cosa sarebbe successo? Avrebbe continuato a combattere, a piangere, a soffrire. Quella non era roba per lei. Una parte del suo corpo non si era affatto pentita di aver ceduto i poteri a Dominick. Perché avrebbe dovuto riprenderseli, indipendentemente dall’uso che poi ne avrebbe fatto?

Perché proprio lei? Che cosa diamine voleva il mondo, da lei?! Perché non poteva essere lasciata in pace per una, dannata, volta?!

Strinse i pugni per la rabbia. Perfino quando aveva pensato di essere morta, in realtà non era finita. I suoi problemi la inseguivano senza darle un attimo di tregua, ma era ora di finirla. Era ora di mettere davvero la parola fine a tutto. «Io non voglio continuare con questa vita» asserì, con decisione.

«Dunque non ci rivuoi con te?» domandò Angela, impassibile.

«No.»

«Preferisci morire, dunque?»

A quella domanda, Rachel sgranò gli occhi. Questa volta, ci mise un po’ per rispondere. «Beh... no...»

«E allora che cosa vuoi?!» interrogò Arella, questa volta con venature di irritazione nella voce. «Non vuoi morire, ma non vuoi nemmeno combattere; vuoi salvare i tuoi amici, ma non vuoi che loro dipendano da te; vuoi essere lasciata in pace, ma non vuoi rimanere da sola; non fai altro che piangerti addosso, ma hai il coraggio di fare la ramanzina agli altri quando loro si lasciano sopraffare dalle emozioni; dici di essere diversa da Dreamer, ma anche tu sei solo un’egoista che vuole solamente che le cose vadano bene per sé stessa.»

«Io non sono come...» Rachel cercò di difendersi, alzando la voce, ma i suoi poteri ancora non avevano finito.

«Ti lamenti in continuazione per quello che ti sta succedendo, dimenticandoti che tutte le persone attorno a te stanno vivendo situazioni identiche alla tua! Almeno hai avuto una madre che ti amava, almeno hai avuto dei veri amici! Anziché piagnucolare ripensando a tutto ciò che hai perso, sii grata per tutto quello che in passato hai avuto e che persone come Lucas o Amalia, invece, non hanno fatto altro che sognare! Ti credi sfortunata? Beh, non è così! Tu hai avuto molto più di quanto possa immaginare, ma se preferisci chiudere gli occhi ogni volta e fare finta di niente di fronte alla realtà, allora meriti davvero di soffrire! Ti comporti come se il mondo ce l’avesse con te, quando in realtà sei tu che hai preferito voltare le spalle ai tuoi amici, sei tu che hai voluto dare ascolto a quel pazzo di Dreamer, sei tu che hai consegnato i tuoi poteri a Dominick mettendo l’intero paese in pericolo!

«Sei stata tu, con le tue scelte e il tuo comportamento da mocciosa, a peggiorare la tua situazione, quando in realtà in più di un’occasione hai dimostrato non solo di essere forte, ma di essere anche degna di noi! E questa è una cosa che tu sai meglio di chiunque altro! Tu sei forte, e lo sei sempre stata, ma hai paura delle responsabilità e preferisci piangerti addosso e basta, pregando che qualcuno arrivi a risolvere i problemi al posto tuo! Beh, sappi che non succederà mai, perciò è ora che tu ti decida a prendere in mano le redini della tua via, una volta per tutte, e accettare il tuo destino. Perciò, permettici di ripetere la domanda di poco prima: accetterai di ricongiungerti a noi, oppure preferisci rimanere qui a marcire per l’eternità? Sappi che se sceglierai la seconda opzione, rimarrai qui per sempre consapevole del fatto che avresti potuto fare qualcosa per salvare il mondo, ma hai preferito non farlo, sputando di conseguenza sopra tutti quegli ideali per cui hai combattuto fino ad oggi! Non sarai diversa da Dreamer, non sarai diversa da Robin, non sarai diversa da nessuno dei criminali che hai combattuto fino ad oggi! Ma naturalmente a noi non interessa quale decisione prenderai; in ogni caso, noi continueremo a vivere. Tuttavia qualcuno avrebbe dovuto dirti, prima o poi, le cose come stanno.»

Quando finì di parlare, Rachel sentì le proprie orecchie ronzare. Nessuno prima di allora le aveva mai detto simili parole. E la cosa peggiore era che... erano vere. Forse... forse era davvero lei la causa di tutto. I suoi blocchi mentali, i suoi pensieri, tutto ciò di cui era fermamente convinta, forse era davvero tutto sbagliato. Forse era davvero lei ad essere sempre stata nel torto. Improvvisamente si sentì un’emerita idiota.

Era tutto vero. Arella aveva ragione. Era lei che... che aveva paura. Paura di ciò che sarebbe successo, paura di ciò che avrebbe potuto fare, aveva paura... dell’ignoto. Forse era sempre stato quello a fermarla e a farle compiere una decisione sbagliata dietro l’altra.

Angela, nel frattempo, fece qualche passo verso di lei. «Sappi che sei ancora in tempo. Puoi ancora redimerti, se vuoi.» Le porse una mano, per poi accennare un sorriso. «Il bene che c’è nel male, ricordi? Puoi ancora esserlo, se lo desideri.»

Quelle parole riuscirono a rassicurare, in parte, la ragazza. «Il bene che c’è nel male...» sussurrò, per poi sospirare pesantemente. Osservò la proiezione di sua madre negli occhi. «Mi... mi dispiace...»

«Non è con noi che devi scusarti.» Arella agitò la mano, allargando il sorriso. «E ora coraggio, facci vedere di che pasta sei fatta!»

Rachel posò lo sguardo sulla mano e si mordicchiò l’interno della guancia. Ripensò a tutta la strada che aveva fatto prima di arrivare fino a quel punto. E ricordò che era stata proprio una stretta di mano a farla finire in quell’ennesimo casino. Ne aveva fatte di cose, ora che ci pensava. E le aveva fatte con loro, con i suoi poteri. Nel bene e nel male, loro l’avevano accompagnata. E adesso... loro c’erano, per lei, anche se lei aveva voluto abbandonarli, ed erano disposti a ricongiungersi a lei nonostante tutto. Forse... forse avrebbe davvero dovuto imparare a ringraziare per ciò che aveva.

Inspirò profondamente. Sì, lo avrebbe fatto. Era giunto il momento di cambiare radicalmente. E anche se lei non era pronta, avrebbe accettato questa cosa. Anche perché, se non l’avesse fatto, sarebbe rimasta in quel luogo per sempre, e lei non era molto in vena di farlo. Con un gesto secco, in modo da non avere ripensamento all’ultimo, allungò la mano e strinse quella di Angela. La proiezione di sua madre, in risposta, le rivolse un cenno del capo. «Sapevamo che non ci avresti deluso.»

Corvina abbozzò un sorriso e ricambiò il cenno, poi lasciò la mano. Alle sue spalle, un grosso varco bianco cominciò a prendere forma.

«Con quel portale ritornerai nel mondo reale. All’inizio sarai un tantino confusa, ma non temere: noi saremo lì, con te. Dovrai solo concentrarti, e il resto verrà da sé. Sei pronta?»

«Pronta.» Rachel si voltò verso il portale. La luce bianca quasi la accecò. Socchiuse le palpebre, poi cominciò a camminare. Ma dopo soli pochi passi, tuttavia, si fermò. Un altro pensiero le attraversò la mente e si voltò. Se davvero sarebbe tornata indietro, allora lo avrebbe fatto portandosi con sé una delle poche intenzioni che mai e poi mai avrebbe abbandonato.

«Ascolta, so che non sei davvero mia madre, ma...» Rachel si fiondò sulla donna, per poi abbracciarla. Angela fece un verso sorpreso, ma poi ridacchiò e ricambiò la stretta. Non era assolutamente paragonabile ad un vero abbraccio. Le pareva di avere tra le braccia un palo di ferro congelato. Ma in quel momento a Rachel non importava. Nella sua testa, in quella che aveva sopra le spalle, non in quella in cui si trovava in quel momento, la persona davanti a lei era davvero sua madre, e quello non era un luogo buio e freddo, ma uno soleggiato e caldo.

«Ti troverò, mamma. Te lo prometto. Noi due... staremo di nuovo insieme, un giorno.»

«Ne sono sicura, figlia mia.»

Rachel sollevò il capo, verso Arella. Osservò sorpresa la donna allargare il sorriso, e rispose con un sorriso a sua volta.

Si separò dall’abbraccio, poi, risolta quella questione, poté correre verso il portale senza ulteriori ripensamenti.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi di scatto, boccheggiando rumorosamente. Drizzò il capo, una folata di aria gelata la centrò in pieno, provocandole un brivido.

Si mise lentamente a sedere, gemendo per lo sforzo. La testa le girava, aveva male dappertutto, le orecchie fischiavano. Stava da schifo. Un attacco di tosse improvviso la assalì all’improvviso, costringendola a portarsi la mano chiusa a pugno di fronte alla bocca.

Quando si fu calmata, continuò ad espirare ed inspirare profondamente, per diversi istanti, senza nemmeno fare caso al mondo attorno a lei. Spostò lo sguardo sulle sue ginocchia e le osservò a lungo, cercando di riflettere e di riordinare le idee, di ricordarsi che cosa fosse successo e che cosa l’avesse portata fino a lì.

Ma fu solo quando una voce parlò all’improvviso, che riuscì a ricordare tutto quanto: «Che ci fai ancora viva?!»

Corvina guardò di nuovo di fronte a sé; un ragazzo in piedi, in mezzo ad un cantiere, la stava osservando basito, come se tutto si fosse aspettato meno che vederla lì a boccheggiare.

Costui spostò lo sguardo sulla sua mano, la quale si illuminò di nero. «Forse non ti ho colpita abbastanza forte...»

Mentre lui era in preda ai suoi dubbi, Rachel si rialzò lentamente, a fatica. Una volta di nuovo su entrambe le gambe, barcollò per un momento. Il mondo vorticava attorno a lei, era confusa, stanca , ma era viva. E questo le era più che sufficiente.

«Torna giù!» sbottò il ragazzo, scagliandole un raggio nero dal palmo della sua mano, colpendola in pieno addome.

Una terribile fitta di dolore mozzò il fiato di Rachel, facendola gemere e barcollare all’indietro. Ma rimase comunque in piedi. Tossì un paio di volte e scrollò il capo, intontita, per poi riportare di nuovo lo sguardo di fronte a sé.

Dominick la osservava sempre più basito. «Non... non è possibile...» biascicò. «Ti ho colpita due volte! Non puoi essere ancora viva! Non dovresti nemmeno riuscire a reggerti in piedi!»

La ragazza rimase in silenzio, limitandosi semplicemente a continuare a respirare profondamente. La cosa, parve quasi allarmare Dominick, il quale cercò di colpirla una terza volta. Ma non appena il nuovo raggio di energia oscura si avvicinò a lei, pronto a colpirla, Corvina sollevò una mano di scatto, verso di esso; questo svanì nel palmo della mano della ragazza, senza arrecare danno alcuno.

Il conduit copiatore sgranò gli occhi. «Ma... ma cosa...»

Rachel, ignorandolo, si osservò la mano. Questa si illuminò di nero immediatamente, senza che lei pensasse o dicesse nulla. A quel punto, la ragazza si osservò anche l’altra mano; questa fece la medesima cosa.

Non ci mise molto a realizzare cosa stesse accadendo. Un senso di sicurezza che mai prima di allora aveva provato si fece largo dentro di lei. Una sensazione calda, rassicurante.

«Ma... come...?» sussurrò ancora Dominick, di fronte a lei, il quale probabilmente era arrivato alla sua stessa conclusione.

Per tutta risposta, Rachel sollevò un braccio e un raggio di energia nera si generò dalla sua mano. Il conduit copiatore sgranò gli occhi e si teletrasportò di qualche metro, evitando il colpo per un soffio. Osservò sempre più basito la ragazza, per poi serrare la mascella, rimpiazzando la sorpresa con la rabbia.

«Come hai fatto a riprenderti i poteri?!» urlò, con la voce ricolma di frustrazione.

Non appena udì quella domanda, un sorriso scappò dalle labbra di Rachel. Finalmente le era tutto chiaro. Dopo mesi e mesi di lotte interiori, aveva capito. La sua visione l’aveva aiutata a farlo. E rinfacciarlo al suo avversario, fu la cosa più soddisfacente che avesse mai fatto.

«Non puoi prendere... ciò che è mio» rispose, semplicemente. Dominick inarcò un sopracciglio, mentre la ragazza abbassò il braccio, accentuando il suo sorriso. «I miei poteri... hanno sempre cercato di prendere il sopravvento sul mio corpo... perché io sono sempre stata troppo ingenua per capire la loro vera natura. Ma ora, finalmente, ho aperto gli occhi.

«Le tenebre... hanno scelto me, Dominick. Il buio mi ha creata. Il mio destino era questo, è sempre stato questo. Io non controllo un semplice elemento, io controllo le tenebre, il buio, l’oscurità che si annida dentro ognuno di noi. I miei poteri sono la reincarnazione fisica del dolore, del tormento, della paura. I miei poteri sono il male. Ed io posso crearlo, distruggerlo o trasformarlo.

«Posso cancellare i poteri dei conduit, perché ognuno di essi non è altro che un surrogato di ciò che controllo io. Di ciò che sono io. Posso entrare nelle loro menti, perché anch’esse sono corrotte, intrise di tenebre, tormenti, rimpianti. Io sono... la figlia dell’oscurità. Sono la figlia del male che imperversa in questo mondo. E per questo, adesso che l’ho finalmente capito, ho di nuovo il pieno controllo di ciò che è sempre rimasto dentro di me. E, questa volta, ce lo avrò per sempre.

«Mentre tu, Dominick, non possiedi altro che una blanda copia di ciò che i miei poteri sono davvero. Tu non potrai mai sfruttarli appieno. Non sei degno di portare un simile fardello sulle tue spalle. Per questo non sei riuscito ad impadronirtene completamente. Per questo, non hai nessuna speranza contro di me.»

La ragazza fece un passo avanti, seria, determinata, quasi autoritaria. Non era mai stata così sicura di sé. «Ora sono una persona nuova. Ho commesso tanti errori, in passato, e devo ammettere che in più di un’occasione mi sono comportata da emerita ipocrita, ma adesso ho capito i miei sbagli e non intendo commetterli ancora. Arrenditi ora, Dom, e lasciati cancellare i tuoi poteri. Non ha più senso combattere.»

 Il copiatore strinse con forza i pugni, ostinato. «Te lo scordi! Io non mi arrenderò mai, non a te! Non ad una mocciosa incapace, debole, che per tutto questo tempo non ha fatto altro che piagnucolare!» Sollevò entrambe le braccia, per poi sogghignare. «Sei tu quella senza speranze! Io ho decine di poteri dentro il mio corpo! E vuoi sapere la parte migliore?»

Puntò le mani verso di lei, poi urlò a pieni polmoni: due gigantesche coltri di energia azzurra fluorescente fuoriuscirono dai suoi palmi, andando poi a congiungersi formandone un’altra alta tre metri.

«POSSO COMBINARLI!» esclamò il castano, per poi ridere di gusto, mentre il raggio di energia si fiondava verso la ragazza. «TI SPAZZERÒ VIA!»

Corvina osservò impassibile la mostruosa colonna formata dall’unione di tutti i poteri del conduit mentre si avvicinava a lei, dopodiché serrò la mascella e puntò a sua volta una mano verso di essa. La luce nera investì completamente il suo braccio, dopodiché rispose al fuoco, scagliando un raggio nero che andò a cozzare contro quello del copiatore.

Il boato che si susseguì fu devastante, una grossa folata d’aria investì tutto il cantiere.

I due getti di energia rimasero sospesi a mezz’aria, l’uno contro l’altro, mentre i loro padroni, a debita distanza, si concentravano per avere la meglio sull’avversario. Ma non passò molto tempo prima che l’energia oscura di Rachel cominciasse ad avere la meglio su quella di Dominick, nonostante l’enorme differenza di grandezza.

Non appena il conduit se ne rese conto, ringhiò per la frustrazione. «Fatti da parte, Rachel! NON PUOI SCONFIGGERE UN DIO!»

Urlò con ancora più insistenza, e la sua coltre di energia si ingigantì ulteriormente, cominciando a spazzare via quella nera di Rachel.

La corvina osservò quella mostruosa onda azzurra avvicinarsi a lei sempre di più, ma rimase ugualmente impassibile.

«Hai ragione, non posso battere un dio» rispose semplicemente, per poi sollevare anche l’altro braccio. «Peccato che tu non lo sia!»

 Imitò il copiatore, urlando a sua volta con quanto fiato avesse in corpo. Un altro raggio di energia nera si scaturì, andando a sommarsi agli altri due. Vi fu un altro scossone e questa volta fu quello di Dominick a perdere terreno. Il castano fece un grido sorpreso, dopodiché l’energia oscura di Corvina spazzò via completamente la sua.

«No! NO!!»

«È ora di farla finita, Dominick! Per sempre!» Rachel gridò una seconda volta, concentrandosi con ogni fibra del suo essere, infondendo in quell’unico raggio nero quanta più energia possedesse ancora.

Rabbia, dolore, frustrazione, tristezza e determinazione. Tutte quelle emozioni che per mesi avevano alimentato e tormentato l’anima della corvina, ora erano lì, tutte unite, pronte a spazzare via per sempre la follia di Dominick.

Lei era le tenebre, era il buio, era l’oscurità. E Dominick non era altro che un uomo la cui mente era piena di queste cose. Per questo motivo, non avrebbe mai e poi mai potuto sconfiggerla. Il raggio di energia raggiunse il copiatore, che, questa volta, non poté fare altro che assistere impotente alla sua stessa fine. Nessun potere avrebbe mai potuto salvarlo da ciò che aveva di fronte a sé.

E quando anche lui parve finalmente capirlo, era ormai troppo tardi. La luce lo investì completamente, e il suo urlo disperato si smarrì in mezzo ad essa. Vi fu un’esplosione, l’energia si disperse e una grossa nube di polvere si sollevò. Rachel assottigliò le palpebre, fino a quando la nube non si diradò. E non appena ciò accadde, vide il corpo di Dominick sdraiato sul suolo supino, con le braccia e le gambe distese.

Corvina lo osservò inespressiva, poi sospirò e cominciò a camminare verso di lui. Entrambe le sue mani si illuminarono di nero. Gli avrebbe cancellato i poteri, una volta per tutte. Sperando che ciò lo aiutasse a tornare sano di mente.

Lo raggiunse e torreggiò su di lui, poi puntò il palmo verso il suo torace. «La tua ingordigia ti ha portato alla pazzia, Dom. Hai ferito, rubato, ucciso. La tua sete di potere ti ha portato perfino ad ammazzare il tuo migliore amico. Sei un pericolo, sia per gli altri che per te stesso. Non so che cosa tu abbia davvero scoperto quando sei andato a cercare le risposte che ti servivano, ma ciò non giustifica comunque le tue azioni. Devi essere fermato.»

Avvicinò il palmo al corpo del ragazzo, la luce nera si fece molto più forte. Ma un attimo prima che potesse ciò che voleva, diversi colpi di tosse provennero dalla sua gola. «C-Coraggio» rantolò, riaprendo lentamente gli occhi, osservandola con un rivolo di sangue che colava dalla bocca. «Fallo! Cancella l’unica cosa che mi è rimasta!»

Rachel lo osservò sorpresa. Era convinta di avergli fatto perdere i sensi. Ma nel giro di poco tempo, la sorpresa si trasformò in indignazione. «L’unica cosa che ti è rimasta per causa tua!» rispose, accigliata.

«C-Che cosa?» domandò lui.

La corvina abbassò la mano, stringendola a pugno e facendo scomparire la luce nera. «La tua ossessione per i tuoi poteri ti ha portato a perdere tutto quanto! Kevin mi ha raccontato tutto, lo sai? Ha detto che sei impazzito, che nessuno voleva più avere a che fare con te, che hai fatto scappare la tua ragazza! Ha detto che avevi tutto quello che un uomo poteva desiderare, ma pur di non rinunciare alla tua avidità, hai preferito perdere tutto, fino a quando non ti era rimasta solo più una persona: Kevin. Lui è stato l’unico che ha avuto il coraggio di rimanerti vicino, ma quando ha finalmente deciso di farsi avanti, di aiutarti, tu l’hai arso vivo! Dimmi, Dom, sei felice adesso?»

«I-Io... io cosa?» sussurrò lui, sgranando gli occhi.

«Non fare il finto tonto!» Corvina si inginocchiò di fronte a lui, per poi scrutarlo con rabbia. «Lo hai ucciso. Volevi uccidere anche i miei amici!» Puntò l’indice contro di lui. In parte le sembrò di parlare con sé stessa, ma se non altro lei aveva imparato la lezione. Sperò che anche lui, in questo modo, potesse rendersi conto dei suoi errori. «Sei stato tu... l’artefice della tua rovina. Io ho solo cercato di aiutarti.»

«Non... non è vero...» Dominick scosse la testa, per poi alzarsi lentamente a sedere, gemendo per il dolore ad ogni minimo movimento. «Io... io non ho...»

«Sì invece!» gridò Rachel, per poi afferrarlo per l’orlo della giacca, tirarlo a sé ed indicandogli il cadavere ancora fumante di Kevin. Uno spettacolo raccapricciante, di cui Corvina avrebbe fatto sicuramente a meno, ma voleva aprire gli occhi di Dom una volta per tutte, mettergli in testa che lui era pericoloso.

«Kevin... no...» mormorò il copiatore, con voce tremante. «Non... non è vero...»

«Potevi scegliere, Dom. I tuoi preziosi poteri, o il tuo migliore amico. E tu hai scelto i poteri. Piangere adesso non cambierà le cose.»

«L’ho... l’ho davvero... davvero...» Il castano non terminò la frase. Si prese la testa tra le mani e gemette ancora più forte. «Cosa... ho... fatto...?»

Corvina si rialzò in piedi e lo osservò dall’alto. Un po’ provò pena per lui. Ma quello non avrebbe certo cambiato quanto successo, né la sua opinione nei suoi confronti. «Perché, Dom?» domandò la ragazza. «Perché hai deciso di fare tutto questo? Perché eri così ossessionato?»

«Ho ucciso il mio migliore amico...» borbottò lui, ignorando la domanda.

«Dominick...»

«L’ho... ucciso io...»

«Dominick!» esclamò Rachel. «Ascoltami!»

Lui drizzò il capo, per poi osservarla sconvolto, quasi confuso. «E tu chi cazzo sei?»

Quella, fu l’ultima goccia. La ragazza gridò per la frustrazione e gli sferrò un fragoroso ceffone. «ASCOLTAMI!»

Il castano fece un verso sorpreso e si massaggiò la guancia, dopodiché la guardò di nuovo, ora quasi intimorito. Rachel inspirò profondamente, poi ripeté la domanda: «Perché l’hai fatto, Dom? Che cos’è successo... il giorno dell’esplosione? Chi... chi era quella terza persona che quel giorno non ce l’ha fatta?»

Questa volta, lui parve capire la domanda, perché chinò il capo. La sua espressione si indurì, strinse i pugni. «Lo vuoi davvero sapere? Vuoi davvero sapere chi è morto quel giorno, di fronte ai miei occhi, per la mia disperazione?!»

Il tono quasi minaccioso con cui le pose quella domanda la fece esitare, ma poi la corvina annuì comunque. «Sì.»

Il ragazzo tornò a guardarla di scatto. Sembrava quasi che stesse per piangere. E quando le diede la risposta, la corvina ne capì presto il motivo. «Mio figlio.»

Rachel spalancò la bocca, sorpresa, ma Dominick non aveva ancora finito: «C’eravamo io, Kevin e Rick su quella macchina. Doveva essere una gita al lago, una cosa normalissima, ordinaria, per staccare con la mente per poco, solo per poco, cazzo, dalle responsabilità, dal lavoro, dalle bollette, dall’affitto da pagare, dalla spesa da fare e da tutte quelle stronzate! E invece mi sono ritrovato a reggere il cadavere di mio figlio tra le braccia, mentre il mio migliore amico, accanto a me, urlava come un pazzo e si dissolveva in una nuvola di dannato fumo! Dimmi, tu come avresti reagito?!»

Dominick cercò di rialzarsi, mettendosi carponi. «Come avresti reagito, osservando tutto ciò per cui avevi combattuto andare in frantumi in così pochi istanti?!» gridò. «Tu non hai idea... di quanti sacrifici abbia fatto per poter costruire tutto quello. Trovare una ragazza, sposarla, avere una famiglia... dopo un’intera esistenza passata vivendo come un ladruncolo da quattro soldi, costretto a truffare, ingannare, rubare per vivere... è vero, non sono mai stato una brava persona, ma ho riconosciuto i miei errori, e ho deciso di cambiare.»

Non avendo la forza per rialzarsi, il castano crollò di nuovo a terra, gemendo. Tossì un paio di volte, per poi rialzarsi a fatica sui gomiti, tremando come una foglia per lo sforzo. «E non appena... ci sono riuscito, non appena le cose hanno cominciato ad aggiustarsi... sono stato ripagato in questo modo. Mio figlio aveva quattro anni, Rachel. Era solo un bambino... non aveva mai fatto nulla di male, a nessuno. Ma a quanto pare, ciò non gli ha impedito di... di portarmelo via.»

Dom scosse lentamente la testa, riuscendo di nuovo a rimettersi seduto. Entrambi i suoi occhi erano lucidi, prossimi al pianto. «Doveva... salvarsi lui, non io. Io non me lo merito... non ho mai fatto nulla per meritarlo...»

Il ragazzo sospirò profondamente. Chinò il capo e rimase immobile, ad osservarsi le ginocchia.

Rachel continuò a fissarlo, meditando sulle sue parole. Anche lui, dunque, non era stato altro che una vittima delle esplosioni. Ma non una vittima colpita direttamente, una vittima come lei. Aveva perso ciò che aveva di più caro, quel giorno. Come lei, come Richard, come Tara, come Amalia, come Ryan... come tutti quanti. Dominick non era molto diverso da lei, alla fine. L’unica cosa che li differenziava, era che lui non era mai riuscito a superare il lutto. E ciò lo aveva portato a fare tutto quello. La rabbia, il dolore, lo avevano accecato, rendendolo ciò che era diventato.

«Solo ora mi rendo davvero conto di aver fatto cose terribili... e che nessuno potrà mai perdonarmi per questo... nemmeno io penso che potrò mai farlo. Ho... ucciso delle persone... e il mio migliore amico era tra queste. Avevi ragione, Rachel. Avevate tutti ragione. Ero... sono... fuori controllo.» Dominick si prese di nuovo il volto tra le mani, per poi scuotere la testa. «Non sono riuscito ad accettare la realtà, e queste sono state le conseguenze. Se vuoi davvero cancellarmi i poteri, fallo adesso. Prima che sia troppo tardi.»

Corvina si mordicchiò l’interno della guancia, ponderando sulle sue parole. C’erano tante cose che ancora voleva sapere da lui, ma prima di porgli ulteriori domande, annuì. «Sì.»

Si inginocchiò di fronte a lui, poi gli posò una mano sul petto. Cancellargli i poteri, in quel momento, era la priorità assoluta. Non sapeva cosa fare con esattezza, ma non dovette preoccuparsi troppo di questo: non appena lo toccò, la luce nera cominciò a fuoriuscire in automatico dal suo palmo. Un’aura nera avvolse il corpo di Dom, che fece un verso sorpreso.

«O-Ok, sei pronto?» domandò la ragazza, in parte intimorita-

Dominick annuì. «Fallo. Forza.»

Rachel lo osservò negli occhi, volgendogli un cenno del capo. Poi, senza dire altro, si concentrò con maggiore intensità. L’energia oscura cominciò a fuoriuscire con più insistenza dal suo palmo, l’aura nera che avvolgeva il corpo del copiatore si fece molto più intensa, dopodiché Corvina avvertì una profonda scossa attraversarle il braccio. Gemette di dolore, ma fu nulla in confronto a ciò che fece Dominick; il ragazzo gettò il capo all’indietro, cominciando a gridare a squarciagola.

La conduit sussultò per la sorpresa, ma mantenne comunque alta la concentrazione. Il castano continuò a gridare, mentre per Rachel diventava sempre più faticoso proseguire. Il braccio cominciò a dolerle terribilmente, sentiva tutto il corpo indolenzito.

Tuttavia, infine, sentì la propria energia affievolirsi lentamente, fino a quando ogni traccia dell’aura nera attorno a Dom non svanì nel nulla. La ragazza separò la mano da lui, mentre questi cadde a terra, di schiena, ansimando rumorosamente.

«Hai... hai finito?» domandò poi, tra un profondo respiro e l’altro.

«Sì, credo di sì» mormorò Rachel, per poi osservarsi le mani.

Dominick annuì, per poi chiudere le palpebre. «Bene... grazie, Rachel. E... ti chiedo perdono. Per quello che vale.»

Corvina rispose con un cenno di assenso, poi si abbandonò a terra, sedendosi vicino a lui. Inspirò profondamente. Ora era tutto finito, per davvero. Adesso sapeva controllare i suoi poteri, sapeva come sfruttarli e sapeva anche che Dominick non sarebbe stato più un problema per lei.

Non le restava altro che essere più cauta, per il futuro. Era vero, i suoi poteri avevano attirato molta cattiva gente su di lei, e sicuramente avrebbero continuato a farlo. Ma finché sarebbero rimasti in mano sua, sarebbero stati in un luogo sicuro. Doveva semplicemente fare attenzione,  non esporsi troppo, per evitare che altri malintenzionati potessero notarla, e tutto avrebbe filato per il meglio.

E per concludere, Rachel aveva ancora una domanda da porre all’ex copiatore. Spostò lo sguardo su di lui e osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi con regolarità, mentre il ragazzo cercava di riprendere fiato dopo il colpo appena subito. Corvina si fece coraggio e si conficcò le unghie nei palmi per la tensione, poi gli pose quell’ultimo quesito, quello che da mesi a quella parte non aveva fatto altro che tormentarla:

«Perché... ci sono state le esplosioni? Tu lo sai, non è vero?»

Dominick drizzò il capo di colpo, sorpreso. «Perché me lo chiedi? Come fai a sapere che...»

«Me l’ha detto Kevin» lo anticipò lei. «Mi ha detto che volevi scoprire la verità, per poter accettare la morte di Rick. E mi ha detto che ciò che hai scoperto ti ha dato la batosta finale.»

Il ragazzo dischiuse le labbra, continuando a soppesarla con lo sguardo. La questione parve toccare un nervo scoperto, uno dei tanti che doveva avere Dom in quel momento. Ma alla fine, il castano si rimise lentamente a sedere con un sospiro. «È vero, io conosco la verità. Ma tu sei davvero sicura di volerla sapere? A me ha fatto andare fuori di testa. Vuoi correre il rischio?»

La domanda fece esitare Rachel. In effetti, aveva pensato a quella eventualità. E la verità la spaventava un po’. Cosa poteva davvero aver spinto il governo nazionale, e forse anche quelli di tutto il mondo, a compiere un genocidio di massa con il solo scopo di attivare dei geni conduit?

Ma era anche vero che non poteva semplicemente ignorare l’accaduto. Non poteva rimanere all’oscuro di tutto, doveva avere delle risposte, ne aveva il diritto. Lei tanto quanto tutte quelle persone che erano state costrette a vivere in quell’inferno di mondo dopo essersi viste private di tutto ciò che avevano.

«Sì, Dom. Voglio saperla» rispose, risoluta.

Dominick continuò ad osservarla, senza mutare la sua espressione. Annuì. «Immaginavo che non avresti cambiato idea. Beh, vedi, il motivo principale era solo uno, ma per capire tutto appieno dovrò spiegarti un po’ di cose. Credo che ci vorrà un po’.»

«Io non ho fretta.»

Il ragazzo annuì una seconda volta. «D’accordo. Mettiti comoda, allora. La tireremo per le lunghe.»

 

 

 

 

 

 

Ok ok gente, allora. La fine è davvero, davvero vicina. In questo capitolo abbiamo finalmente ottenuto qualche risposta, e nel prossimo arriveranno le altre. Altri quesiti verranno aperti, ma ormai avete capito come sono fatto, non mi piace chiudere una storia senza lasciare almeno un conto in sospeso. 

Spero che la rivelazione sui poteri di Rachel non sia stata una cosa troppo forzata, anche se comunque si era capito ormai che i suoi poteri non sono come gli altri, ma un qualcosa di praticamente unico nel suo genere. E poi, se la storia si chiama "La figlia dell'oscurità", un motivo dovrà pur esserci, no?

Questo capitolo è stato molto... difficile da scrivere, ed oltretutto è uscito fuori un bel mattone, che ho cercato di leggere un paio di volte, ma so già che gli errori salteranno fuori come funghi, pertanto vi chiedo un pizzico di comprensione nel caso in cui ne notiate alcuni. 

Prima di salutare, ringrazio di cuore chi è giunto fino a qui, sopportando me e le mie note assurde, chi ha portato pazienza ed è riuscito a seguire tutta la storia senza dropparla a metà, chi ha avuto la pazienza di aspettare settimana dopo settimana l'uscita dei capitoli ed insomma, eccetera eccetera. Non è stata una storia semplice da scrivere, ma ce l'ho fatta. Tra alti e bassi, momenti in cui mi divertivo come un pazzo e momenti in cui mi sembrava di essere sotto tortura, sono riuscito ad arrivare alla fine. Spero che il finale non mozzi le gambe alla storia. Con HoS non era successo, ma io ho comunque una paura fottuta ^^

Ah, due precisazioni prima di chiudere con questa nota:

Dominick ha 28 anni, sua moglie qualcuno di meno;

Kevin 26; 

Ravager 30, Dreamer 27, Wilson over 55 (facciamo anche 60), Grant avrebbe dovuto averne 31-32;

Tara, Rachel e Robin (e tutta la compagnia dei defunti) 19-20; 

Lucas 22;

Amalia 21, Ryan 17-18; 

Jade (Cheshire, per chi se la ricorda) 24 (età ufficiale);

Hank (RIP) over 55;

Non mi vengono in mente altri personaggi, anche se so per certo di averne scordato qualcuno, perché è così per forza. Come quando vai a fare la spesa senza la lista e credi di avere in mente tutto quello che devi prendere, poi quando torni a casa e controlli meglio dici "cazzo, ho dimenticato il cibo per il gatto". Quindi, spero di non aver dimenticato il cibo per il gatto anche questa volta, ma ne dubito.

D'accordo gente, perdonate i miei deliri e al prossimo capitolo!

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Capitolo 29
*** Risposte ***


Capitolo 29:  RISPOSTE

 

 

«Queste informazioni le ho reperite da un dossier che ho trovato in una base militare, circa qualche settimana dopo le esplosioni. È successo qualcosa di grosso, talmente grosso che ha spinto agenti federali, corpi speciali segreti e perfino l’esercito ad intervenire» cominciò Dom, con voce calma, facendo vagare lo sguardo dagli occhi di Rachel per poi riportarli al suolo, quasi come se fosse incapace di riuscire a reggere la vista delle iridi violacee della giovane.

«Tutto ha inizio circa vent’anni fa’, quando uno scienziato di cui si è persa l’identità  scoprì dell’esistenza di un particolare gene del DNA che, apparentemente, non serviva a niente. Come ben saprai, il DNA racchiude tutte le informazioni necessarie per lo studio del corpo umano, mentre questo gene non sembrava possedere alcuna utilità.

«Cominciò allora delle ricerche, eseguì dei test su dei pazienti, e scoprì inoltre che questo gene era estremamente raro, posseduto solamente da una persona su cento, in media. E lui era uno di queste cento. La cosa suscitò ulteriormente il suo interesse, così proseguì con i suoi studi. La cosa cominciò ad ossessionarlo, compì sempre più test ed esami, arrivò perfino ad operare corpi umani. Per impedire che il suo comportamento potesse peggiorare ulteriormente, fu rilasciato dal suo laboratorio e gli fu proibito di continuare ad esercitare il suo lavoro.

«Ma la cosa non lo fermò. Si trasferì in Sudamerica, con una nuova identità, dove poté continuare i suoi test utilizzando come cavie i barboni e i nullatenenti di quel posto.

«Per un anno non riuscì a trovare niente, decine e decine di cavie morirono per colpa delle sostanze che iniettava loro, fino a quando, un giorno, nemmeno i più disperati vollero più aiutarlo. L’unica persona che gli rimase accanto fu la sua assistente, una donna innamorata di lui che lo aveva seguito fin dall’inizio dei suoi studi. Ma lei non poteva essere usata come cavia, visto che non possedeva il gene. Così, lo scienziato arrivò perfino a fare esperimenti su sé stesso. Ma nemmeno così parve riuscire a trovare qualcosa. Arrivò perfino ad ammalarsi gravemente, a causa delle sostanze che continuava a creare e iniettarsi.

«Una sera si fermò più del dovuto. La sua assistente era già andata via, e lui era rimasto solo. Aveva continuato a lavorare fino a notte inoltrata e, quando era ormai mattino, decise il tutto per tutto: creò un agente patogeno, qualcosa che avrebbe ucciso chiunque vi fosse entrato in contatto. Non gli restava molto tempo di vita, a causa della malattia, perciò non aveva da preoccuparsi in caso di fallimento. Se non ci fosse riuscito nemmeno quella volta, allora lo studio sul gene conduit sarebbe rimasto archiviato per sempre.

«Così si iniettò quella sostanza. Non si sa altro della sua esperienza in Sudamerica.

«Pare che qualcosa sia andato storto, quel giorno, perché quando la sua assistente andò al laboratorio, l’indomani, non trovò altro che un cumulo di macerie e fiamme. Intervennero le forze dell’ordine locali, e la cosa, ben presto, si trasformò in una faccenda molto più seria. Agenti governativi e federali nel giro di poco tempo scesero sul campo. La zona fu sigillata, messa in quarantena, a causa di tutte quelle sostanze nocive create dallo scienziato che, quel giorno, si erano liberate nell’aria. L’intero villaggio nei pressi del laboratorio fu sgomberato, gli abitanti portati chissà dove.

 «Durante alcune operazioni di perlustrazione dei resti del laboratorio, gli agenti riuscirono a trovare un diario, nella quale lo scienziato aveva descritto, per filo e per segno, tutto quello che aveva fatto alle cavie e a sé stesso, le sostante che aveva creato ed iniettato e i test e gli esperimenti fatti. È stato proprio grazie a questo che sono riusciti a ricostruire la storia che ti ho raccontato fino ad adesso. Nemmeno la sua assistente riuscì a fornire ulteriori dettagli. L’unica cosa che saltò fuori da lei, era che era incinta di lui. Nient’altro.»

«Perché mi racconti questo?» chiese Rachel, interrompendolo, in parte confusa. Non riusciva a capire il nesso tra quanto successo a lei e ad Empire e la storia di questo uomo, per quanto essa potesse essere raccapricciante.

«Per aiutarti a capire meglio il resto della storia» le rispose Dom, sospirando. «Vedi, lo scienziato fu dato per disperso, visto che il suo corpo non fu mai trovato tra le macerie del laboratorio, e in seguito fu dichiarato morto. Ma dopo cinque anni, diversi strani fenomeni cominciarono a verificarsi. Calamità naturali, genocidi di intere popolazioni, paesi e villaggi interamente rasi al suolo per ragioni inspiegabili, sempre in Sudamerica. E fu con questi avvenimenti, che il caso del Soggetto Zero fu riaperto.»

«Il... Soggetto Zero?»

«Lo scienziato, Rachel.» Dominick si strinse nelle spalle. «Era lui la causa di questi fenomeni. Gli agenti federali riuscirono a coglierlo sul fatto. Lo videro all’opera per la prima volta in assoluto. Scoprirono che aveva ottenuto dei poteri mostruosamente forti. Stando ai rapporti, era in grado di demolire un muro di cemento armato con il solo sguardo. Capisci adesso?»

Rachel dischiuse le labbra. «L’agente patogeno... lo ha trasformato in un conduit...»

«Non in un conduit qualsiasi. Nel Conduit. Il primo vero conduit che sia mai esistito, dotato di una forza così spaventosa che nemmeno tutti gli eserciti del mondo intero riuniti sarebbero riusciti a fermarlo. Per questo motivo, oltre a Soggetto Zero, gli hanno assegnato anche decine e decine di altri nomi. The Devil, il diavolo, per dirne uno, e anche il nome di un demone dell’apocalisse leggendario appartenente alla folklore di una popolazione sudamericana estinta da millenni. Un demone in grado di causare terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami e così via. Ciò che anche il Soggetto Zero è in grado di fare.»

«E come mai non se n’è mai saputo niente di questa cosa? Dei disastri che sono successi, delle popolazioni uccise, dei...»

«Sicurezza nazionale, Rachel. Se simili notizie fossero trapelate, il mondo intero sarebbe sprofondato nel caos più totale. L’esistenza di un mostro impossibile da sconfiggere e in grado di scatenare l’apocalisse avrebbero spaccato il mondo in due, letteralmente. Ma siccome i fenomeni si sono limitati al Sudamerica, sono stati semplicemente mascherati agli occhi dei media come semplici calamità naturali, senza scendere troppo nei dettagli.»

«Ma allora perché ci sono state le esplosioni? Perché hanno evitato di lasciar trapelare queste informazioni, se poi hanno comunque gettato il mondo del caos uccidendo milioni e milioni di persone? Volevano che con la nascita dei conduit si potesse creare un esercito in grado di sconfiggere il Soggetto Zero?» insistette Rachel, sempre più sorpresa, curiosa e anche intimorita allo stesso tempo.

Dominick piegò il capo. «Sì e no. Si è pensato anche a questa eventualità, ma è un piano d’azione che è stato archiviato un anno dopo la ricomparsa del Soggetto Zero.»

«E come mai?» domandò allora la Corvina, sempre più perplessa.

«Perché The Devil è scomparso di nuovo. Non si fa più vivo da allora.»

«Che... che cosa? Ma... ma sono passati più di dieci anni!»

Il castano sollevò le spalle. «Lo so. Ma è comunque scomparso nel nulla. Non si sa davvero il perché, si teorizza che abbia bisogno di tempo per poter recuperare le proprie forze. Scatenare decine e decine di calamità naturali nell’arco di un anno non deve essere semplice, neppure per un conduit potente come lui. O forse si è annientato da solo a causa della sua troppa energia, ma questa è un’eventualità a cui stento un po’ a credere.»

«Ma se allora non è nemmeno per combatterlo...» proseguì Rachel. «... allora qual è il vero motivo che ha spinto i governi a causare le esplosioni?»

«Perché quando il laboratorio dello scienziato è saltato in aria, diciannove anni fa’, tutte le sostanze tossiche in esso contenuto si sono disperse nell’aria, insieme a quell’agente patogeno che lui si era iniettato e che avrebbe ucciso chiunque. Nell’aria si diffuse un virus, Rachel. Certo, gli effetti nocivi di quelle sostanze si ridussero notevolmente disperdendosi nell’aria, e solamente negli ultimi due anni i governi si sono resi conto della sua continua presenza, ma ciò non li ha comunque resi meno pericolosi.

«In diciannove anni, tutto il mondo è arrivato ad essere infetto. Io, te, Kevin, Rick, tutti quanti lo eravamo. Era una pandemia. E in questi unici due anni non sono riusciti a trovare nessuna cura. Tutti quanti noi eravamo destinati a morire, prima o poi. È vero, tu non ricorderai di essere mai stata ammalata, ma i sintomi dovevano ancora cominciare a farsi sentire. Negli ultimi mesi prima delle esplosioni, centinaia di migliaia di persone avevano cominciato a sviluppare i primi sintomi più gravi, una buona fetta di loro, principalmente nella prima zona di contagio, in Sudamerica, morì perfino. Il tempo stringeva, di cure nemmeno l’ombra. Non c’erano più mezzi e tempo per riuscire a sviluppare qualche vaccino di fortuna. Così si optò per il piano B.

«I governi di tutto il mondo si accordarono. Grazie agli appunti del Soggetto Zero, cominciarono le produzioni su larga scala degli ordigni contenenti l’agente patogeno per attivare i geni dei potenziali conduit. E poi, sette mesi fa’, tutte le città contenenti più di duecentomila abitanti furono colpite, in modo da attivare il maggior numero possibile di conduit, come me, te, Richard e Kevin.»

«C-Che cosa?» domandò Rachel, basita. «Gli ordigni... sono serviti per salvare le nostre vite?!»

Dominick annuì, con aria smorta. «Solamente gli individui dotati di gene conduit attivo sono immuni al virus, perché sviluppano degli anticorpi più potenti del normale, in grado di depennare qualsiasi malattia. Nemmeno quelli che possiedono il gene inattivo possono salvarsi. Ma per poter attivare il gene non basta semplicemente inalare i gas che si sono diramati nell’aria, la loro forma è troppo debole per poter reagire con il gene, ma abbastanza potente da uccidere. Grazie agli ordigni... il numero di conduit attivi è salito a qualche centinaio di migliaio tra gli individui sparsi in tutto il mondo. In questo modo, la razza umana non rischia la completa estinzione, e inoltre il mondo ha guadagnato un po’ di tempo in più per cercare una cura. L’obiettivo era quello di tenere sigillate le città per un po’ di tempo, per far sì che i conduit riuscissero a controllare i loro poteri, per poi smilitarizzare tutti i posti di blocco e lasciare che questi nuovi individui potessero cominciare a viaggiare per il paese.»

«Non... non è possibile...» Per un momento, Rachel perse di vista il mondo attorno a sé. Si isolò nei propri pensieri, cercando di meditare sulle parole di Dominick, su quella scioccante rivelazione che le aveva fatto. «Le esplosioni... avevano lo scopo di... di salvare il mondo, non distruggerlo... e i conduit sono... sono l’unica speranza del mondo...»

«Io le ho salvato la vita.»  Le parole di Wilson rimbombarono nella sua mente all’improvviso. La scena vissuta nell’ambulatorio medico dove Tara era stata rinchiusa tornò a farsi sentire più nitida che mai tra i suoi ricordi. «Una nuova era sta per avere inizio.»

«Deathstroke... era a conoscenza delle cause delle esplosioni» mormorò Rachel, mentre ripensava anche alla visione che aveva avuto, quella in cui i protagonisti erano stati proprio il capo degli UDG e Dreamer.

«Sei in pericolo, ragazzo. Tu, Rose, tutti quanti.»

«Era l’epidemia ciò che lo spaventava così tanto.» Le parole uscivano in maniera autonoma dalle labbra della ragazza, mentre, finalmente, tutto le appariva chiaro. «Per questo rapiva i conduit, per questo faceva esperimenti sulle persone. Per questo... ha trasformato Tara... voleva... voleva...» Corvina deglutì. Mai pronunciare delle parole le parve così difficile. «... voleva davvero salvarle la vita. Voleva davvero... salvare la città.» La conduit delle tenebre si premette le mani sulle tempie, per poi chinare il capo, sconvolta. «Voleva davvero... salvare il mondo...»

«Deathstroke ha fatto quello che il governo si aspetta che anche altri conduit facciano in futuro. Ha cercato di trovare una soluzione» annuì Dominick, per poi sospirare. «Di sicuro il governo non si aspettava un simile caos, dopo le esplosioni, però è anche vero che non tutti i conduit sono malvagi... non dico che Wilson fosse un santarellino, però è uno dei pochi che è riuscito a tenere la testa sulle spalle e che si sia davvero ingegnato per risolvere questo bordello. E ovviamente ci sei anche tu, Rachel. Credo sia anche per questo che i governi abbiano deciso di attivare tutti i potenziali conduit possibili, speravano che qualcuno di noi potesse cercare di trovare una soluzione, magari anche prima che l’intera umanità come la conosciamo cessasse di esistere. Ormai tutto il mondo sta cominciando ad infettarsi, non rimane molto tempo.»

Rachel si abbracciò le ginocchia, ancora piuttosto scossa da quella scoperta. Tutto ciò in cui aveva creduto... si era rivelato una bugia. La cosa che credeva le avesse rovinato la vita, in realtà gliel’aveva salvata, mentre Deathstroke aveva sempre agito cercando di fare, a suo modo, del bene, e lei lo aveva combattuto e aveva causato la sua morte.

«E tu... tu quando hai scoperto queste cose hai... hai deciso di fare tutto quello che hai fatto?» domandò a Dominick, con voce tremante. «Come pensavi che... che le tue azioni potessero servire davvero a qualcosa?»

«Non lo pensavo, infatti.» Il ragazzo sospirò profondamente. «Il fatto è che... scoprire che il mondo era destinato a finire in questo modo, che anche se fosse scampato dall’esplosione Rick sarebbe morto, il fatto che anche mia moglie e miei amici non ce l’avrebbero fatta, senza nemmeno poter avere la possibilità di salvarsi, e che invece a spuntarla sarebbero stati dei mostri incontrollabili e assetati di sangue e potere come il Soggetto Zero... mi ha fatto ribollire il sangue nelle vene.

«Ho capito che la vita non fa altro che farti ingoiare merda, e tu puoi fare solo due cose a riguardo: rimanere immobile, o reagire. E io... ho scelto, mio malgrado, la seconda. Non mi aspetto che tu mi comprenda, Rachel. Solo adesso ho capito che ci sono diversi modi di reagire. Si può fare come ho fatto io, come ha fatto Richard, come hanno fatto Sasha e Alden... oppure si può reagire come avete fatto tu e Wilson. Si può fare lo stesso gioco della vita... oppure combatterla. Se potessi tornare indietro, probabilmente sceglierei di combatterla, questa volta. Ma prima, sicuramente cercherei di trascorrere più tempo possibile con la mia famiglia...»

«Quindi... non ci sono proprio cure per l’epidemia?»

«Che io sappia, no. Deathstroke è l’unico che ci è andato vicino. Anche se la sua idea, a conti fatti, era davvero irrealizzabile. Non avrebbe avuto né il tempo, né i mezzi, per poter trasformare l’intera umanità in conduit prima che fosse troppo tardi. Sarebbe stato fortunato a trasformare mezza Sub City...» Dominick scosse la testa, sospirando nuovamente. «Mi dispiace, Rachel. Ormai il mondo è questo.»

Corvina annuì lentamente, anche se le sue parole giunsero a stento alle sue orecchie, e si abbracciò le ginocchia.

«E quali sono i sintomi dell’epidemia?» Un’altra voce si sollevò in aria. Sia Rachel che Dominick si voltarono, sorpresi, per poi vedere un malmesso Lucas reggersi in piedi a fatica, tenendosi un braccio. Aveva il fiato grosso e un’espressione alquanto infastidita, ma se non altro era ancora in grado di camminare. E a giudicare dalla sua domanda, era evidente che avesse ascoltato un bel po’ della loro conversazione. «Come si fa... a capire chi è malato e chi no?»

«Già, vorrei saperlo anch’io...» rantolò un’altra voce ancora, questa volta, proveniente da Richard. Il Mietitore si stava rialzando a fatica, mettendosi sulle ginocchia, mentre osservava Dominick con odio. «... così dopo potrò ucciderti.»

«Te lo scordi.» Rachel si alzò in piedi di scatto. «Tu non uccidi proprio nessuno.»

«Fatti da parte» sibilò Richard, stringendo i pugni. «Questa faccenda non ti riguarda.»

«Dominick non farà più del male a nessuno» disse ancora Corvina, calma, indicando al Mietitore il ragazzo ancora seduto, il quale osservava con aria assente la loro conversazione. «È finita. Abbiamo vinto noi.»

«Non c’è nessun noi» rantolò il Mietitore. «E questa faccenda non sarà finita fino a quando non gliel’avrò fatta pagare per avere ucciso i miei compagni e essersi preso gioco di me.»

«E come vorresti fare per fargliela pagare?» Rachel cambiò strategia, intuendo che Robin aveva bisogno di altri stimoli per desistere. «Con i poteri che non hai?»

A quelle parole, Richard sgranò gli occhi. Si guardò entrambe le mani, sorpreso, poi serrò la mascella ed emise diversi grugniti, contraendo i pugni con forza. Accorgendosi di come nulla stesse accadendo, abbandonò le braccia lungo i fianchi con un verso frustrato. «Com’è possibile?! Perché tu ce li hai ancora ed io no?! Ce li ha cancellati la stessa persona!»

«Semplice. Perché io sono più forte di te.» Un sorriso scappò dalle labbra di Rachel, quando vide l’espressione frustrata del Mietitore. Una parte di lei aveva desiderato quel giorno da quando aveva rivisto Richard, ormai divenuto Robin, la prima volta; fargliela pagare per come l’aveva trattata ad Empire City, anche se, naturalmente, il desiderio di poterlo riavere dalla sua parte era comunque ancora presente. Ma ormai, dubitava seriamente che sarebbe ancora riuscito a convincerlo.

«Basta con queste puttanate!» esclamò Lucas all’improvviso, facendosi avanti, verso Dominick. «Dimmi quali sono i sintomi!»

Il castano lo osservò ammutolito, sollevando le mani. «Ok, ok, rilassati. Diciamo che la cosa varia da persona a persona, ma i primissimi sintomi, durante i primi mesi di contagio, sono riconducibili a quelli di un’influenza qualsiasi. Tosse, mal di testa, mal di pancia, attacchi di vomito e così via. Dopo un periodo che varia da sei mesi ad un anno, dipende dalla resistenza del corpo e da come esso reagisce, le cose cominciano a peggiorare. Il fisico inizia a deteriorarsi e ad indebolirsi, ci si stanca più facilmente, si fatica a respirare, fino al punto in cui il paziente è costretto a letto, impossibilitato a muoversi, obbligato a vedere la propria vita finire di fronte ai suoi occhi con una morte lenta e dolorosa. Ecco a te i sintomi. Contento?»

Dalla sua espressione, Lucas sembrava tutto meno che contento. Aveva le labbra dischiuse ed osservava con aria basita, quasi intimorita, il castano. Aumentò di colpo la presa attorno al suo braccio, facendo sbiancare le nocche, ed indietreggiò di colpo. Distolse lo sguardo e fissò il suolo, probabilmente rimuginando sulle parole dell’ex copiatore.

«E non ci sono cure» precisò Richard, ottenendo l’attenzione dei presenti.

«No, non ci sono. Non ancora.»

«E quelli come me, che sono conduit ma sono senza poteri? Centra qualcosa?»

«Non credo» rispose Rachel al posto di Dominick. «Dubito che i miei poteri rimuovano il gene conduit. E comunque, ormai i tuoi anticorpi si sono già sviluppati, quindi dovresti lo stesso essere al sicuro.»

«Quindi...» Richard incrociò le braccia, distogliendo lo sguardo pensieroso. «... tutti i nostri amici... sarebbero morti lo stesso. Con o senza esplosione. E anche Kori... non ce l’avrebbe fatta.»

Corvina annuì lentamente, intuendo perfettamente il suo stato d’animo. «Sì. Saremmo... tutti morti in ogni caso. Ma... credevo che non ti importasse più niente di loro. Né di Kori.»

«Forse...» Robin piegò la bocca in un’espressione corrucciata. «... o forse ho semplicemente detto cose che non pensavo davvero, ma che cercavo in tutti i modi di auto convincermi che fossero vere.»

Rachel inarcò un sopracciglio, perplessa. «Che intendi dire?»

Richard sospirò. «Pensare che Kori non fosse più importante per me, mi ha permesso di riuscire ad andare avanti, in un certo senso. Quando mi sono svegliato in mezzo a quel cratere, nel Centro Storico, e ho realizzato cosa fosse appena successo, ho capito che non aveva alcun senso avere degli ideali e delle buone intenzioni.»

«Mentre osservavo Empire City cadere in mano a dei mostri, ho realizzato che nemmeno con tutta la buona volontà dell’universo sarei riuscito a cambiare le cose. Ho capito che... lottare era inutile. Così ho abbracciato la mia nuova identità, decidendo che, se non potevo salvare il mondo, avrei quantomeno vendicato la persona che amavo. Ma in pochi mesi... ho capito che anche quella era stata solo una follia. Trovare i responsabili, era pura follia, ma ero stato troppo accecato dai sentimenti per capirlo. Così ho semplicemente lasciato che il veleno di Sasha facesse il suo lavoro. Non potevo più vivere in un mondo in cui tutto quello in cui credevo veniva spazzato via. Volevo... diventare come i Mietitori. Dimenticare tutto, voltare pagina. Ma con la morte di Sasha, tutto questo non è successo.

«Così ho cercato comunque di convincermi che il mio destino fosse quello di guidare i Mietitori. Volevo... volevo annegare il mio dolore in quella causa, per quanto sbagliata fosse. Volevo... smettere di pensare. È vero, Rachel, tu sei stata più forte di me. Io mi sono arreso, ma tu invece no. E per questo ti ammiro. Ma non credere che adesso le cose cambieranno.»

«Richard...»

«Robin.»

Corvina ammutolì. Si posò una mano chiusa a pugno di fronte al petto, senza parole dopo aver udito quanto detto dal suo vecchio amico di infanzia. Così... anche lui si era arreso. Non ci avrebbe mai creduto se non lo avesse udito con le proprie orecchie, proprio dalle labbra di lui. Era un qualcosa che non sembrava avere del possibile. Era cresciuta con lui, lo aveva conosciuto meglio di chiunque altro, sapeva com’era, sapeva che era un combattente nato, un testardo, uno che credeva nelle proprie cause e nei propri ideali.

Osservò il suo amico di infanzia dritto negli occhi. In quei occhi vuoti, privi di emozioni, privi di ogni cosa. Non era più Richard. Non le era più da un pezzo. L’esplosione lo aveva annientato. Aveva cancellato Richard dalla faccia della terra. E Robin era rinato dalle ceneri del vecchio sé stesso.

E Rachel, finalmente, riuscì a capirlo.

«Non... vuoi venire con noi? Con me? Potremmo... potremmo...»

«No, Rachel. Ormai è finita. I nostri destini si sono incrociati per l’ultima volta. Adesso hai dei nuovi amici, dimenticati di me. Fallo per te stessa. Io non sono più il ragazzo che amavi e che, forse, avrebbe anche potuto ricambiarti. Non sono Richard. Sono Robin.»

Rachel chinò il capo, annuendo impercettibilmente. «Quando... quando hai capito che ti amavo?» domandò, con voce tremante.

«Non lo so di preciso. Ho sempre saputo che tra di noi c’era un forte legame, ma non ho mai capito se era solo amicizia o se era qualcosa di più. E quando mi sono fidanzato con Kori... credevo di essere davvero felice. Per questo mi sono dimenticato di te. Anche se il tuo comportamento, subito dopo il ballo scolastico, ha destato i miei sospetti, ma non ho mai avuto il coraggio di parlartene. E poi, quando ci siamo rincontrati dopo l’esplosione, ogni dubbio è stato chiarito. Ma purtroppo, ormai era troppo tardi per noi due. E comunque... ormai mi avevi già rimpiazzato.»

A quelle parole Rachel sgranò gli occhi, mentre Richard, con quello che aveva la fioca parvenza di un sorriso, indicava un punto alle sue spalle. «Ma forse faresti meglio a sbrigarti.»

Non capendo cosa stesse dicendo, Corvina si voltò, per poi avere un tuffo al cuore. Lucas si stava allontanando, trascinandosi a fatica sulle gambe, curvo su sé stesso. Ormai aveva quasi raggiunto l’uscita del cantiere.

La conduit non riuscì a capire il perché di questa sua decisione. Fece per chiamarlo, poi ebbe un flashback. Vide Rosso vomitare sulla cima di quel palazzo, il giorno in cui avevano spiato Wilson. Poi lo vide tossire mentre camminavano, lo vide fare la medesima cosa mentre parlavano con Dreamer, poi ancora mentre erano in missione, mentre parlavano, mentre pulivano il sangue di Ryan...

Ripensò ai suoi versi e alle sue smorfie di dolore. E, infine, pensò a come aveva domandato a Dominick quali fossero i sintomi dell’epidemia. E alla sua reazione allarmata subito dopo averli scoperti.

Lucas... Lucas è... è...

Rachel si portò una mano di fronte alla bocca. Gli occhi le si inumidirono. «No...» mormorò.

«Coraggio Rachel» disse Dominick, facendola voltare verso di lui. La osservava con sguardo apprensivo e le rivolse un cenno del capo. «Ha bisogno di te.»

Corvina si morse un labbro, poi annuì. «Sì... addio, Dominick. Cerca di rimetterti in sesto. E anche tu, Robin.»

I due ragazzi annuirono a loro volta. E senza dire altro, Rachel iniziò a correre.

 

***

 

«Lucas!»

Il ragazzo si fermò di colpo, irrigidendosi. «Lasciami stare.»

«Non posso farlo. E tu lo sai meglio di me.»

«Ti prego, Rachel. Dimenticami.»

Corvina strinse i pugni con forza, con rabbia, fino a farsi male. «Come puoi chiedermi una cosa del genere?! Come puoi pensare anche solo per un momento che io possa abbandonarti così?!»

La ragazza cominciò a camminare verso di lui, per poi afferrargli una spalla. «Per una sola volta nella tua dannata vita, non fare l’egoista e pensa anche a...»

Rachel si interruppe di colpo, quando vide Lucas voltarsi di scatto verso di lei. Aveva gli occhi lucidi e la mascella contratta. Sembrava quasi arrabbiato, ma in realtà non era così. Quella era un’espressione sofferente.

«Ho paura» sussurrò lui, semplicemente, con un tono che lei mai aveva sentito fuoriuscire dalle sue labbra. Sembrava quello di un bambino spaventato, bisognoso di aiuto. E non c’era affatto da biasimarlo, per quello.

«Lucas...» mormorò Rachel, per poi abbracciarlo. Lo sentì irrigidirsi, ma la sensazione durò poco; ben presto, sentì il suo corpo duro cominciare sciogliersi, fino a quando le sue braccia non le percorsero i fianchi. Il moro chinò il capo, fino a sfiorarle la spalla, poi singhiozzò.

Ancora una volta, fece qualcosa che mai prima di allora la ragazza gli aveva visto fare. «Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme... morire così... non... non è giusto... dover... essere costretto a... a passare i miei ultimi giorni sdraiato su un letto e... costringere te a... dover subire tutto questo e...»

«Basta così, Lucas. Basta. Ti prego.» Rachel gli accarezzò i capelli, sentendo anche i propri occhi cominciare ad inumidirsi. «Non dire altro.»

Anche lei cominciò a singhiozzare. Aveva ragione, non era giusto. Non era giusto che l’unica persona che avesse mai avuto il coraggio di fidarsi davvero di lei si fosse ammalato. Essendo a conoscenza dell’epidemia, sapeva già che persone come Amalia e Lucas non ce l’avrebbero fatta, ma dover vivere l’esperienza in prima persona, così presto, la distrusse completamente. Non era pronta, non sarebbe mai stata pronta per vedere i suoi amici ammalarsi.

Il corpo di Rosso tremava tra le sue braccia, mentre anche i suoi singulti aumentavano di intensità. Per lei era una pugnalata al cuore vederlo così. Il Red X che conosceva non era così. Lui non aveva paura, lui non si tirava indietro di fronte a nulla, nemmeno di fronte ad avversari molto più potenti di lui. Lui non temeva la morte. O almeno, così aveva sempre creduto. Ma ritrovarsi la realtà spiattellata in faccia in quel modo, essere consapevoli del fatto che da lì ad un anno lui non sarebbe più stato al mondo... avrebbe demolito chiunque.

Il cuore di Rachel batteva all’impazzata, mentre si stringeva sempre di più al partner. Il corpo di Rosso era caldo, quasi rassicurante. In un certo senso, era sempre stato così, per Rachel, da quando si erano conosciuti. In quei mesi era sempre stato un punto di riferimento, per lei. La sua ancora, qualcosa a cui aggrapparsi senza avere paura di cadere, un faro dove guardare quando il senso dell’orientamento veniva smarrito. E doverlo perdere per lei non poteva essere semplice, in alcun modo.

Come avrebbe potuto, in futuro, alzarsi al mattino e sapere che lui non era lì con lei?

Aveva passato mesi insieme a lui, e in un certo senso lo aveva sempre dato per scontato. Teneva a lui, certo, come non avrebbe potuto, ma comunque non si era mai posta un problema del genere. Anche quando credeva di averlo abbandonato, non aveva mai pensato ad un’eventualità del genere. Perché, in cuor suo, sapeva che comunque lui ci sarebbe stato, da qualche parte, nel mondo. Come sua madre. Rachel sapeva che Angela c’era, in qualche remota località del paese, per questo non si lasciava sopraffare dal dolore.

Al contrario di quello che sarebbe successo se Lucas fosse morto. Perché per quanto si possa ricordare una persona defunta, lei non potrà mai davvero esserci. Tenerlo vivo nei propri ricordi, e sapere che invece era vivo fisicamente, sono due cose completamente diverse. E lei non poteva accettarlo. Non poteva assolutamente accettarlo.

Doveva salvarlo. In qualche modo. In qualsiasi modo. Mentre passava la mano tra i capelli di Rosso, Rachel vide una tenue luce nera illuminarle il palmo. La ragazza sgranò gli occhi, mentre realizzava che i suoi poteri, forse, stessero cercando di dirle qualcosa.

Dischiuse le labbra.

Possono... possono guarirlo?

Ovviamente non poteva saperlo se non ci provava. Alimentata da una nuova carica di speranza, Rachel si separò dolcemente dal ragazzo. «Ascolta, forse... forse ho un’idea...» disse, prendendogli il volto tra le mani e guardandolo negli occhi. «Fidati di me.»

Lui annuì lentamente, mentre lei inspirava profondamente e lasciava uscire i suoi poteri. Una nuvola di luce nera avvolse lentamente il corpo di Lucas, facendolo gemere, mentre la ragazza, con il cuore in gola, cercava in tutti i modi di far sì che quello funzionasse.

Nel giro di pochi istanti, la luce nera guarì le ferite superficiali come i graffi, i tagli e l’ustione sul petto, dopodiché si diradò e la ragazza lasciò andare il partner. «A-Allora?» domandò, incerta. «Ha... ha funzionato?»

«Non... non lo so» rispose Rosso, guardandosi le mani. «Io non... non sento nient...» Si interruppe di colpo, per poi chinarsi e ricominciare a tossire con violenza. Questa volta sputò perfino del sangue.

Corvina lo guardò con orrore crescente. Si portò entrambe le mani di fronte alla bocca, sconvolta, impaurita, questa volta temendo davvero di averla combinata grossa. Fortunatamente, però, la tosse cessò poco dopo. Ciò permise alla ragazza di tirare un sospiro di sollievo, che fu ben presto oscurato quando realizzò di non essere affatto riuscita a guarirlo.

«No, no...» mormorò, mentre Rosso si raddrizzava, pulendosi le labbra con la manica della tuta.

«Ti ringrazio per averci provato» biasciò lui, senza nemmeno guardarla negli occhi. Le suo sguardo perso sul suolo, la ragazza notò ancora quell’emozione che mai aveva visto in lui: la rassegnazione.

«Lucas...»

«Non importa, Rachel. Davvero. Toccava...» Rosso esitò, per poi sospirare profondamente. «... toccava a tutti, prima o poi.»

Rachel lo osservò ancora, incapace di pensare. Posò di nuovo lo sguardo sulle sue mani, e vide che erano ancora illuminate di nero. Inarcò un sopracciglio.

Che significa? , pensò, perplessa. I suoi poteri cercavano ancora di prendere il controllo di lei? Eppure, lei si sentiva bene, fisicamente. Mentalmente no, ma non provava le stesse sensazioni di dolore di quando i suoi poteri, in passato, avevano cercato di impossessarsi di lei. Ma allora perché la luce non svaniva?

Perché rimaneva lì, come se dovesse usarla per combattere? Che cosa aveva da combattere, in quel momento? Non c’era assolutamente nulla da affrontare... o forse no?

Lentamente, Rachel cominciò a capire. La luce nera, i suoi poteri, erano lì, si stavano manifestando di fronte a lei, cercando di farle capire qualcosa. Ed infine, la ragazza intuì quale messaggio volessero lasciarle: non arrendersi. Continuare a combattere.

La luce nera svanì di colpo proprio in quel momento. Rachel si osservò ancora le mani, rimuginando su quel pensiero appena avuto. Infine, strinse i pugni e sollevò lo sguardo, determinata. Aveva capito. I poteri le avevano semplicemente detto di combattere. Di non arrendersi. E lei non lo avrebbe fatto. Non era arrivata fino a lì per gettare la spugna. Lei era una nuova persona, adesso, non si sarebbe messa a piangersi addosso. Avrebbe reagito, e lo avrebbe fatto immediatamente.

«Lucas, ascolta.»

Il moro non parve udirla, fino a quando lei non gli si avvicinò per poi prendergli la mano. A quel punto Rosso sussultò, per poi sollevare lo sguardo.

«Ascolta» ripeté, per poi sospirare profondamente. «Anche se non posso guarirti da sola, ti prometto che farò tutto quello che è in mio potere per trovare una soluzione. Io non ti lascerò morire, non senza combattere. Ti giuro...» Rachel si avvicinò ancora a lui, prendendogli anche l’altra mano. «... che non mi darò pace. Girerò il mondo, affronterò anche il Soggetto Zero in persona se necessario, pur di non abbandonarti. E vorrei che... che tu rimanga insieme a me. D’altronde, c’è la tua vita di mezzo, e anche quella di milioni, miliardi di persone. Da sola non posso farcela. Mi serve il tuo aiuto. Mi servi tu. Mi serve qualcuno che... mi resti vicino.»

Imbarazzata, Rachel aveva distolto lo sguardo dai suoi profondi occhi blu, e aveva cominciato a strofinare distrattamente i pollici sui dorsi delle mani di Lucas. «Io non... non voglio che tu te ne vada. Tu sei... sei importante per me, e...»

«E tu per me.»

Rachel si interruppe di colpo, tornando a guardare il moro, il quale aveva iniziato a sorriderle. «Anche tu, Rachel, lo sei per me. Mi hai... insegnato tante cose in questi mesi, senza nemmeno rendertene conto. E anche tu hai sopportato la mia presenza, nonostante all’inizio fossi un po’ pesante, per non parlare poi di come mi sono comportato dopo il nostro incontro con Dreamer... e, insomma... non mi pare di averti mai ringraziata a dovere per tutto quello che hai fatto. Anche se ero io a guidare il nostro gruppo, in un certo senso era comunque la tua presenza che riusciva a darmi sollievo. Sapere che c’eri tu... mi sollevava, perché anche se non te ne sei mai resa conto, in un certo senso tu eri il collante che ci teneva uniti. E... se non ci fossi stata tu, probabilmente avrei ucciso Amalia già da un pezzo. Perciò... grazie, Rachel. Per tutto quanto. Per essere stata così buona nonostante i tuoi poteri siano tutto il contrario. Davvero. Grazie.»

Il sorriso sul volto di Rosso si allargò. Rachel ben prestò ne fece uno identico. Osservò a lungo il ragazzo, concentrandosi su ogni suo piccolo particolare. Era stata così presa dagli ultimi avvenimenti che nemmeno aveva più badato al suo aspetto. Si era rasato la barba, ora che ci faceva caso. Aveva i capelli un po’ più lunghi e spettinati. Gli zigomi pronunciati, come sempre, e gli occhi scavati e dall’aria stanca.

Era... carino. Bello. Insomma, lei gradiva il suo aspetto, malgrado spesso e volentieri fosse trasandato e trascurato.

«Quindi... tu tieni a me?» domandò lei, probabilmente avvampando.

«Sì, Rachel. Tengo a te. E tu... tieni a me?»

Corvina si avvicinò a lui, pochi centimetri ormai separavano i loro volti. «Sì» disse, tutto ad un fiato.

Spesso aveva pensato a Rosso come un amico, ma in quel momento... le pareva che fosse qualcosa di più. Le sembrava di avere con lui lo stesso rapporto che aveva avuto con Richard, in passato. L’unica differenza, tuttavia, era che Lucas era meglio di Richard. Molto meglio.

E fu con questi pensieri, che la ragazza socchiuse le palpebre e cominciò ad azzerare la distanza che li separava. Sentì la presa calda di lui aumentare sulle sue mani fredde. Il suo cuore accelerò i propri battiti, sentì le guancie bruciare terribilmente e lo stomaco in subbuglio.

Era una strana sensazione, molto gradevole, che prima di allora forse aveva provato solo per Richard, ma mai così intensamente. Non poté non riconoscere quell’emozione. Ma era davvero quella? C’era solo un modo per scoprirlo.

«Ahia, ragazzi... mi fa male dappertutto...»

Un secondo prima che le loro labbra potessero sfiorarsi, una voce improvvisa ruppe quel momento tanto surreale quanto meraviglioso. Entrambi i giovani sobbalzarono, quasi urlando, per poi allontanarsi di colpo entrambi con le guancie in fiamme, tuttavia continuando a tenersi per mano.  

Videro Tara barcollare verso di loro, massaggiandosi la testa, mugugnando. «Mi sembra di essere stata pestata da un martello da macellaio per poi essere stata ficcata di peso in una centrifuga e...»

La bionda si fermò di colpo e sgranò gli occhi, osservando le mani ancora intrecciate di Lucas e Rachel e le loro espressioni chiaramente imbarazzate.

«Ehm... ho... ho interrotto qualcosa?»

Rosso e Corvina si guardarono rapidamente tra loro, poi riportarono lo sguardo sulla nuova arrivata.

«N-No... » borbottò Rachel, imbarazzata.

«Sì, decisamente sì» mugugnò invece Lucas, incupendosi, strappando un risolino alla corvina.

«Accidenti!» sbottò Tara, sbattendosi una mano sulla fronte. «Ho interrotto l’unico momento della vita di Lucas in cui lui ha deciso di esternare qualche emozione! Scusa Rachel, non volevo, davvero...»

«Ha. Ha. Divertente» mugugnò ancora Rosso, distogliendo lo sguardo da lei.

«Guardatemi, sono Rosso, sono un cyborg, non provo emozioni, bzz, bzz.» Terra cominciò a muovere le proprie braccia in maniera meccanica, imitando anche la voce robotica.

«Divertente davvero.»

«Ah! La mia falsa scorza da duro è sotto attacco! Alzare livello di sarcasmo!»

Un’altra risata scappò dalle labbra di Corvina, la quale, poi, sciolta la stretta con Lucas andò ad abbracciare Tara, strappandole un verso sorpreso. Un po’ si sentì in colpa per essersi dimenticata di lei, ma la scoperta che aveva fatto su Rosso le aveva fatto temporaneamente perdere il contatto con la realtà. «Sono felice che tu stia bene. E ti ringrazio per essere tornata ad aiutarci.»

La bionda ridacchiò, poi ricambiò la stretta. «Figurati. Insomma... le amiche... fanno questo, no?»

Rachel si separò da lei, sorpresa da quell’affermazione. Osservò il sorriso gentile e anche un po’ imbarazzato della Markov, e sorrise a sua volta. «Hai ragione. Le amiche fanno questo.»

Sollevò una mano, frapponendola tra loro due. Tara la guardò incuriosita, poi allargò il sorriso e la strinse.

«Comunque...» aggiunse, sottovoce. «Era ora che tu e Lucas vi metteste insieme...»

Rachel spalancò le palpebre. «C-Cosa?! N-No, noi non...»

«Ehi, tranquilla, io non ti giudico di certo» la interruppe Tara, strizzandole l’occhio. «Anzi, sono quasi invidiosa...»

Corvina sentiva le guancie in fiamme, letteralmente. Distolse lo sguardo, sempre più imbarazzata. «Piuttosto... come hai fatto a trovarci?» decise di cambiare argomento, sperando che Lucas non venisse più nominato per almeno altri trenta secondi.

«Difficile non notare una tempesta di fumo ed esplosioni varie con tanto di luci verdi sfavillanti in mezzo al cielo. Non mi è stato difficile capire che tu centravi qualcosa.»

Un sorrisetto scappò dalle labbra della corvina. «Si, diciamo che Kevin e Dominick ci hanno dato abbastanza dentro...»

«Quindi quello era lo stesso ragazzo che ci ha aiutati a scappare da Dreamer» osservò Tara. «Mi dispiace che non ce l’abbia fatta...»

«Anche a me.»

Rachel osservò il punto in cui il corpo di Kevin era rimasto, ma con sua enorme sorpresa non lo notò. Non vide nemmeno più né Dominick, né Robin. Ma anziché allarmarsi, un altro tenue sorriso si accese sul suo volto. Se n’erano andati. Probabilmente Dom aveva preso con sé il suo migliore amico, mentre Richard aveva proseguito per la sua strada solitaria. Un po’ le sarebbero mancati, tutti e tre. Tolta la corazza dura e fredda da conduit, tutti loro dentro nascondevano qualcosa di buono. E sicuramente, non avrebbe mai scordato ciò che Richard era riuscito a donarle, in passato.

«A proposito, Tara... come ti senti adesso che hai perso i poteri?» domandò Rachel, in parte dispiaciuta.

Il sorriso raggiante di Terra, tuttavia, le fece intuire che non era il caso di essere in pena per lei. «Mai stata meglio. Sai, credo che tra tutti noi, l’unica che dovrebbe avere i poteri sei tu, Rachel. Io ero una mina vagante.»

Corvina annuì, rasserenandosi. Si voltò di nuovo verso Lucas, il quale le sorrise in maniera dolce. «Beh, ragazzi, direi che qui abbiamo finito.»

«Dove andremo adesso?» domandò Tara, per poi aggiungere, frettolosa. «Ammesso che non vi dispiaccia la mia presenza, ovviamente...»

Rachel le scoccò un’occhiataccia, strappandole una risatina, dopodiché lasciò perdere con un sospiro, sorridendo all’idea della loro nuova missione. «Sai, credo proprio che ciò che ho in mente ti piacerà. Sempre se il nostro Lucas qui presente sarà disposto a farci da leader.»

«Sei tu che dovresti guidarci, Rachel.»

«No, invece.» Corvina sorrise, volgendogli un cenno di intesa con il capo. «Io non sono in grado di farlo. Sei tu il leader nato tra noi, lo sai bene. Ma puoi stare tranquillo, io ti aiuterò senza pensarci due volte.»

Un sospiro di falsa rassegnazione uscì dalla bocca di Lucas, che poi tornò a sorriderle. «Va bene, allora. Che cosa hai in mente di fare?»

«Beh...» Rachel distolse lo sguardo da lui, per poi posarlo su Tara, la quale pareva aver intuito cosa avesse in mente, perché la guardava con sguardo carico di aspettativa.

«... diciamo che abbiamo una ragazza parecchio scorbutica da trovare.»

Il sorriso di Terra si allargò a dismisura quando udì quelle parole. Lucas, invece, fece un verso esasperato. «Oh, no... stavo così bene senza di lei...»

«Amalia fa parte del gruppo, che ti piaccia o no. Dobbiamo trovarla. E, inoltre... dobbiamo starle vicino. Non se la starà passando molto bene, in questo momento.»

Rosso sospirò per l’ennesima volta, poi annuì. «Sì, hai ragione. Ma giuro che al suo primo cenno di bipolarismo la faccio fuori.»

Rachel e Tara ridacchiarono.

«La avvertiremo del pericolo» replicò la bionda, per poi incamminarsi.

I tre ragazzi si avviarono in silenzio verso l’uscita del cantiere, per poi trovarsi sul ciglio della strada. Ormai era calata la sera e una lieve brezza si confondeva tra i palazzi illuminati e le luci accese dei lampioni.

«Direi che potremmo cominciare dalla zona industriale» iniziò Lucas, incrociando le braccia. «Non è passato molto da quando è partita, e dubito che abbia trovato una macchina. È probabile che la troveremo attorno al confine della città, se ci sbrighiamo.»

«Visto perché sei tu il leader?» domandò Rachel, scoccandogli un’occhiata complice. Il ragazzo sorrise, poi ricambiò il suo sguardo.

«Ehm ehm...» Dietro di loro, Tara si schiarì la voce. «Ragazzi? Non dovremmo sbrigarci?»

I due partner trasalirono e distolsero gli sguardi, strappando un’altra risatina alla ragazza bionda.

Mentre spostava lo sguardo sui suoi piedi, un nuovo sorriso si accese sulle labbra di Rachel. Pensò che, anche se non tutto era perfetto, raramente si era sentita così sicura e libera dal peso del mondo.

Lucas era in pericolo, vero, però... sentiva comunque, dentro di sé, che le cose si sarebbero aggiustate, in qualche modo. Non sapeva cosa fare con esattezza per salvare il suo partner, ma sapeva che qualcosa lo avrebbe trovato, prima o poi. La soluzione era davanti ai suoi occhi, doveva solo riuscire a vederla meglio.

Controllava i suoi poteri, aveva di nuovo degli amici leali, sinceri, e forse Lucas era diventato perfino qualcosa di più, per lei.

Adesso il suo obiettivo era trovare Amalia, la quale, doveva ammetterlo, le mancava molto più di quanto avesse potuto immaginare. Dopo averla trovata... chi poteva dire con esattezza cosa sarebbe successo.

Era certa, comunque, che le cose avrebbero dipeso da lei, come sempre da quando aveva ottenuto i suoi poteri. Ma quella, ormai, era una realtà che aveva deciso di accettare.

Dopotutto... tutti gli uomini percorrono un percorso già stabilito. Ma sta proprio agli stessi uomini, far sì che questo percorso si riveli essere più o meno pericoloso.

Solamente il tempo, probabilmente, le avrebbe dato le risposte che cercava.

 

***


EPILOGO

 

Non ho scelto io di essere una conduit. Non ho scelto io di avere i poteri, non ho scelto di essere una dei pochi sopravvissuti dell’esplosione di Empire. Ma è successo.

Il destino ha sempre avuto in serbo questo piano per me. Un piano che io ho sempre ritenuto sbagliato, crudele nei miei confronti, ma ora, invece, ho capito. Ho capito che ho giudicato troppo in fretta i fatti, senza considerare ciò che li ha causati. E di conseguenza, adesso so che questo è il ruolo giusto per me.

Non sono i poteri che fanno la persona, ma è la persona che fa i poteri.

Non conta chi sei, ma ciò che fai. Sono le scelte che facciamo tutti i giorni, che ci rendono ciò che siamo.

Buoni, cattivi, non ha alcuna importanza. Ho scoperto che dietro il male si può comunque celare del bene, e che sotto il bene si può comunque celare del male.

Io? Io sono il bene che c’è nel male. Io sono la figlia delle tenebre, non necessariamente malvagia, ma comunque in grado di controllare ciò di più oscuro al mondo, ossia il male stesso.

E se sono riuscita a fare del bene perfino con esso, non vedo come io non possa, un giorno, riuscire a salvare tutte le persone che amo.

Non so cosa mi riserva il futuro, ma so per certo una cosa: io non mi arrenderò. Potrei averlo fatto qualche volta, in passato, ma sono sempre e comunque riuscita a ritornare sui miei passi, in un modo o nell’altro, ed è questo che ho intenzione di fare anche questa volta.

Io non mi fermerò fino a quando non ritroverò Amalia, e poi mia madre, e poi Lian per portarle i saluti di sua sorella e poi, infine, fino a quando non sarò sicura al cento percento che Lucas sarà al sicuro.

Questa è una promessa, un giuramento, che ho fatto a me stessa: lui non morirà. Nessuno morirà, fino a quando potrò fare qualcosa per impedirlo.

Affronterò interi eserciti se necessario, ma non mi darò mai per vinta. Anche a costo di rimanere da sola. Se dovrò sacrificare me stessa per salvare i miei amici, lo farò. Se dovrò farlo per salvare il mondo, lo farò.

Perché è questo che sono io, è questo ciò che faccio ed è questo il motivo per cui ho ricevuto i miei poteri.

Non mi importa se le persone quando mi vedranno scapperanno da me oppure verranno a stringermi la mano. Non faccio tutto questo per un mio tornaconto personale. Io lo faccio per loro, e loro saranno libere di giudicarmi come vogliono.

Ho capito di avere un ruolo, nella realtà di tutti i giorni, e questo ruolo è quello di aiutare il prossimo, indipendentemente da chi esso sia. Ho salvato Tara, un’amica, che se lo meritava in quanto non aveva mai fatto del male a nessuno, ma ho anche salvato Dominick, in un certo senso, riportandolo alla ragione e cancellandogli i poteri.

Io sono la speranza di un mondo migliore. Sono ciò a cui, un giorno, anche altri conduit spero possano inspirarsi.

Forse da sola non cambierò il mondo, ma il messaggio che ho intenzione di lasciare, quello sì che lo cambierà.

Tante persone sono rimaste coinvolte. Hank, Jade, Ryan, Rose, Kevin, i Visionari, gli Underdog, perfino Joseph e Slade. Non dimenticherò nessuno di loro. Perché anche loro, in un certo senso, mi hanno aiutata a crescere. Mi hanno fatto capire chi sono.

Io sono la Figlia dell’Oscurità. Io sono il Male. Io controllo il Male. E con esso, faccio del bene.

Mi chiamo Rachel Roth. Sono una ragazza adolescente che è stata costretta a crescere più in fretta del previsto. Sono sopravvissuta all’esplosione e sono una conduit.

E se potessi descrivere la mia vita con un aggettivo... penso che opterei per "turbolenta".

E la cosa, alla fin fine, non mi dispiace così tanto.

 

 

 

 

 

 

 

 

E questa, amici miei, non è la fine, ma un nuovo inizio.

Ok, no, non è vero, è la fine. Ma mi piace pensare che sia un nuovo inizio per Rachel, Lucas, Tara e compagnia briscola.

C’è voluto tempo, tanto tempo, non è stato facile, non lo è stato affatto, ma alla fine siamo giunti sino a qui, a questo giorno, che per alcuni sarà triste, ma per me è molto felice. È un sollievo vedere questa storia giungere ad una spero degna conclusione. Soprattutto dopo quanto accaduto alla mia vecchia long, per me è stato un piacere vedere come io sia riuscito a portare a termine questa storia che è, sicuramente, la mia preferita tra tutte quelle che ho scritto.

Sono passato al livello successivo, con questa fic. La mia "crescita" come scrittore è culminata proprio qui, in InFAMOUS: The Darkness’ Daughter.

Ehi, non fraintendete, non me la sto tirando od altro, sto semplicemente dicendo ciò che penso di me. Andiamo, non potete negare che dal mio esordio a qui le cose non siano cambiate. In bene o in male spero che possiate dirmelo voi lettori e recensori, proprio qui, nel capitolo finale di questa storia che ho adorato scrivere, nei suoi alti e nei suoi bassi.

Non avrò fatto il botto come con HoS, ma detto proprio papale papale, non me ne frega un accidente. Io sono felice così, e le cose non cambieranno tanto semplicemente.

Non mi pronuncio sul finale della storia, sappiate solo che era un qualcosa che avevo già programmato da un pezzo. La storia dell’epidemia e degli ordigni che in realtà hanno salvato il mondo ce l’avevo in mente praticamente fin dall’inizio, da quanto ancora stavo scrivendo i capitoli dentro la baraccopoli degli Spazzini (ne sono passati di mesi da allora, nevvero?).

Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che mi hanno accompagnato in questi mesi, davvero, non ho parole. Senza la presenza di molti temerari di cui presto farò i nomi, questa fiction non l’avrebbe notata nessuno. Ha ottenuto un successo davvero insperato, considerando il genere e la trama proposti.

E ora arriviamo ai temerari, ossia: Calimetare, Nanamin, Sara e gli ultimi ma non per importanza Rose Wilson e Fabb.

Vi ringrazio di cuore tutti quanti. Mi scuso se non mi pronuncio su ciascuno di voi singolarmente come già feci con HoS, ma mi sembra un po’ eccessivo. Sappiate che vi sono grato di tutto, e non avete idea di quanto.

Ringrazio poi chi si è fatto sentire un po’ più sporadicamente, ma che mi ha comunque fatto piacere sentire, come playstation, Corvina, Yomi e chi ha preferito la storia, ossia, oltre a chi è già stato citato, Summer15 e daniele pietro.

E sappiate che questa non è la fine, cioè, lo spero. Ora mi prenderò un po’ di pausa, ma spero di poter tornare non troppo tardi. Non aspettatevi tempi da record, però, ormai avrete capito che sono diventato più lento di un bradipo a scrivere e pubblicare.

Perciò, GRAZIE! Un abbraccione a tutti voi, ai lettori, ai recensori e a chiunque sia arrivato fino a leggere queste righe di questa (ultima, per vostra gioia) delirante nota d’autore.

Vi voglio bene. Sto abbracciando il monitor in questo momento, ma sappiate che in realtà l’abbraccio è per voi.

Ah, prima di salutare... non è che avete voglia di pigiare una preferenza per questa storia? So che ho detto che non mi importa del successo, però... mi piacerebbe un casino vedere chi tiene davvero ai miei lavori farsi vedere e aiutarmi ad emergere di nuovo in mezzo a questo oceano di concorrenza spietata.

Come già ho detto nella mia fiction parodia, questo è un business crudele.

Naturalmente siete liberi di non farlo, se non volete, in ogni caso io sarò grato a chiunque si fermerà anche solo dieci secondi per rimuginarci su.

Tolto lo spam, vi ringrazio calorosamente un’ultima volta, per ora, e vi dico semplicemente: alla prossima!

Questa non è la fine, ma un nuovo inizio, per me. Non so per quanto scriverò ancora, ma so di per certo una cosa: fino a quando continuerò, cercherò di divertirmi, e di far divertire voialtri.

Perciò, lettori, recensori, amici, alla prossima!

Vostro, Edo.







Piccolo extra per voi: THEME SONG DEI PERSONAGGI! Perché sì. Iniziamo:


Rachel: https://www.youtube.com/watch?v=FH-uOCIaxHg (questa penso sia stata la più facile da scegliere, è un video con lycris, purtroppo non in italiano, ma chi mastica un po’ l’inglese sicuramente capirà la mia scelta).

Lucas: https://vimeo.com/16400008 (questa è stata più il cuore a suggerirmela, sicuramente ci sarà chi la apprezzerà parecchio, e chi invece la troverà irrilevante, ma vabbé, il mondo è bello perché vario. Mi spiace solo di non aver trovato il video originale su YouTube, ma agli Offspring deve essere partita la brocca perché non si trovano praticamente più loro video originali sulla piattaforma...).

Tara: https://www.youtube.com/watch?v=1zbUP3h_pcs&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=3 (questa non l’ho scelta per le parole del testo, bensì per il suo ritmo, molto tranquillo ma con anche qualche picco più acceso, che secondo me rispecchia bene la personalità della biondina nella mia storia).

Amalia: https://www.youtube.com/watch?v=6fVE8kSM43I&index=4&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq (ok, se non vi piace la roba troppo spinta, forse non gradirete questa canzone... io, personalmente, la trovo perfetta per Komi, sia come ritmo che come testo).

Jeff: https://www.youtube.com/watch?v=nDz5SzpA3Xw&index=8&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq (questa la conoscete già molto bene, non credono servano parole aggiuntive).

Rose: https://www.youtube.com/watch?v=O5ZQsf0qiSQ (una donna forte, feroce, spietata e determinata, proprio come il protagonista della canzone).

Slade: https://www.youtube.com/watch?v=wmEU-VypsHo&t=91s (questa è moooooolto spinta, quindi fate occhio).

Richard: https://www.youtube.com/watch?v=lQHJtA00RJQ&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=7  (boh, mi piaceva, secondo me rispecchia bene la personalità del nostro caro Mietitore. Anche questa è piuttosto spinta, quindi fate occhio).

Dominck: https://www.youtube.com/watch?v=v3INSQUXH4k&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=6  (la canzone che parla di un uomo che ha perso l’amore della sua vita, un triste sorte molto simile a quella che è capitata a Dom, il quale ha praticamente perso tutto per colpa sua e per colpa delle esplosioni).

Kevin: https://www.youtube.com/watch?v=KWdaDqtPJKk&list=PLL2g9TOv_cIspfoiDRaIS99dCfieY5GUq&index=14 (penso sia una delle mie theme song preferite, il testo racchiude molte cose, critiche vero la vita che viviamo, verso il mondo in cui ci troviamo, la nostra esistenza, un po’ tutto ecco. Tutte domande che Kevin sicuramente si è posto mentre vagabondava assieme al suo migliore amico, e che sicuramente si è anche posto mentre lo affrontava in quello che è stato uno dei migliori combattimenti della mia storia, secondo me ovviamente).

Rachel e Lucas ():  https://www.youtube.com/watch?v=C5eQXgZ626M (questa canzone va ascoltata ripensando a tutti i momenti che questi due hanno trascorso assieme, belli o brutti che siano. Magari prima quelli brutti, poi quelli belli. Fidatevi, rende centomila volte meglio).

 

 

Ebbene, questo è quanto. Lo so, mancano due personaggi, ossia Ryan e Jade, ma purtroppo non ho trovato nulla per loro. Mi spiace. Se qualcuno ha qualche idea, ben venga.

E niente, ci tenevo a rendervi partecipi di questa piccola cosa. Vi è piaciuta come idea? Sono felicio. Non vi è piaciuta? Non me ne frega niente (dai che vi voglio bene lo stesso).




Grazie a tutti, alla prossima!

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