Un passo verso te

di giraffetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Prologo ***
Capitolo 2: *** #Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** #Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** #Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** #Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** #Quinto Capitolo ***
Capitolo 7: *** #Sesto Capitolo ***



Capitolo 1
*** #Prologo ***




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Inghilterra, 1835
 
Tutta la casa era tranquilla e silenziosa. Dovevo essere l’unica ancora sveglia a quell’ora.
Era stata una giornata frenetica, passata a finire gli ultimi preparativi per il Natale, che sarebbe arrivato l’indomani mattina. Io e Rosalie avevamo addobbato il salone con festoni colorati e un piccolo abete decorato con fiocchi rossi faceva mostra di sé nell’ingresso. Avevamo cotto i cibi per il pranzo e scelto quali tovaglie utilizzare. Perfino Jasper si era lasciato contagiare da quell’atmosfera e aveva portato su dalla cantina una bottiglia di vino.
Diedi un’ultima occhiata al salone e mi decisi a salire in camera per dormire. Mi spogliai del vestito e indossai la camicia da notte, liberando i capelli dalla crocchia ordinata che avevo fatto quella mattina.
Improvvisamente, fui attraversata dalla testa ai piedi da una strana sensazione. Non era la sensazione di una scossa elettrica, era più acuta e spaventosa, più folgorante e terribile.
Rimasi immobile, con le mani ancora nei capelli e con gli occhi e le orecchie all’erta.
“Bella, Bella, Bella!”
Un urlo accorato si levò sul silenzio, lasciandomi senza fiato. Rabbrividii e mi guardai intorno, invano. La voce non proveniva né dalla stanza né dal giardino. E non veniva nemmeno dall’aria, dal cielo, dalla terra. L’avevo udita, ma non sapevo da dove era arrivata. Era come se mi fosse fluita nelle vene, insieme al sangue, per arrivare dritta al cuore.
Eppure, era la voce di un essere umano, una voce conosciuta e cara, la voce di Edward Cullen. Aveva però un tono doloroso, urgente, malinconico.
Mi avvicinai alla finestra aperta e guardai l’oscurità rischiarata appena dalla luce lunare.
“Vengo!” gridai, sentendo la gola bruciare. “Vengo, aspettami!” aggiunsi, provando a scorgere qualcosa nel buio.
Allora, mi lanciai verso la porta e guardai nel corridoio: era buio e deserto. Scesi le scale in fretta e corsi fuori in giardino, ma non c’era anima viva.
“Dove sei?” urlai al nulla. Nessuno era lì con me, almeno non fisicamente. Guardai la luna, alta nel cielo: sembrava sorridermi e rassicurami.
“Questa non è una magia, non può essere. È la natura, è la natura che si è messa in moto per unirci ancora, per farci ritrovare.” dissi convinta, sorridendo di rimando a quella sfera imperfetta.
Rientrai in casa frettolosamente e mi chiusi nella mia stanza. Era arrivato il momento della rivincita. Avrei parlato a Jasper e mi avrebbe capito. Mi avrebbe lasciato andare.
Mi gettai sul letto, ancora sconvolta ed eccitata, e presi la mia decisione.
Sarei tornata da Edward.
Sarei tornata dal mio unico amore.
 





Note:

Salve!
Non so come abbia fatto a ripescare dai meandri del mio pc questa “bozza” di storia, né dove abbia trovato il coraggio di pubblicarla.
Sono stata appassionata alla saga di Twilight tempo fa, ma di recente ho ripreso in mano i libri e puf, mi è nata di nuovo la voglia di tentare di scrivere su questa saga.
Questo è una sorta di esperimento: la storia si ispira al libro “Jane Eyre” di Charlotte Bronte, con la ripresa di alcune scene/dialoghi, ma anche con tutte le dovute modifiche di trama.
I personaggi, appartenenti alla Meyer, sono tutti umani e non ci saranno implicazioni di carattere sovrannaturale.
Non so ancora dove voglio andare a parare con questa cosa, ma per adesso ho avuto il coraggio di pubblicare il prologo… vedrò se mi tornerà per andare avanti con altri capitoli! >.<
Grazie a chiunque sia arrivato fin qua <3
A presto!
 
Baci,Giraffetta
 


 

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Capitolo 2
*** #Primo Capitolo ***


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Inghilterra, 1827     
 
Odiavo le lunghe passeggiate durante i rigidi pomeriggi autunnali. Ero costretta a seguire mia cugina Tanya nelle sue estenuanti esplorazioni campestri e immancabilmente finivo per rincasare infreddolita, con le mani e i piedi gelati e il naso rosso.
Ma, anche quella volta, mi ero dovuta arrendere di fronte alle richieste imperiose di mia zia, lady Carmen Denali, sorella di mia madre. Costei mi aveva “amorevolmente” accolto nella sua casa dopo la perdita dei miei genitori, morti entrambi due anni prima per una grave febbre. Ero rimasta orfana a soli dieci anni e mia zia era l’unica parente in vita che mi rimaneva ed era stata praticamente costretta ad adottarmi, o le malelingue l’avrebbero etichettata come una persona spregevole e senza cuore.
Il problema era che mia zia era davvero senza cuore: non mi amava né provava per me qualcosa che poteva paragonarsi all’affetto o almeno alla pietà. Al contrario, adorava ed idolatrava la sua unica figlia, Tanya, una piccola e perfetta bambolina bionda della mia stessa età, cui ero costretta a sottostare.
Ero considerata un’intrusa, una persona sgradita e inutile e non mancava mai l’occasione per farmelo notare: ero esclusa dai normali pranzi e dalle cene, relegata nella mia stanzetta in occasione di una festa, costretta a subire le cattiverie di mia cugina e le sfuriate di mia zia senza possibilità di difesa. Sognavo di andare via, di diventare finalmente libera e di abbandonare quella vita per farmene una mia, ma fino alla maggiore età sarei stata costretta a rimanere nelle grinfie delle mie parenti senza alcuna via di fuga.
“Isabella! Ti muovi o no? Che fai ferma lì con un’aria da stupida?” La voce acuta di Tanya mi riscosse dai miei pensieri, facendomi sobbalzare. Mi voltai verso di lei, riprendendo a camminare con passo spedito, nonostante il fastidio alle dita dei piedi.
“A cosa pensavi? Lo sai che non devi distrarti quando sei con me, altrimenti come fai ad ascoltare ed eseguire subito i miei ordini?” mi rimproverò non appena la raggiunsi, aggiustandosi in maniera elegante un boccolo dorato sfuggito alla sua acconciatura. Continuai a camminare a testa bassa, senza rispondere. Era inutile cercare di ribattere alle sue cattiverie: non ne avrei ricavato nulla di buono.
Sentii Tanya sbuffare e riprendere a passo svelto la camminata, distanziandomi nuovamente di vari passi.
“Lo sai anche tu che devi portarmi rispetto o la mamma ti punirà. Cerca di non dimenticarlo.” continuò poco dopo, voltandosi all’improvviso e sventolandomi il dito indice davanti al naso, per poi riprendere il suo giro.
“E come potrei. Me lo ricordi ogni cinque minuti.” sussurrai a bassa voce, rimettendomi in marcia.
Ormai era da più di un’ora che continuavamo a gironzolare per il giardino e il boschetto dietro casa in cerca di chissà che cosa e Tanya non accennava minimamente a voler rientrare. Ero stanca, mi facevano male i piedi e mi era venuto il mal di testa per il freddo, ma lei sembrava fresca come una rosa e intenzionata ad andare avanti per altre ore.
“Perché non rientriamo? Comincia a tirare vento e quelle nuvole non mi piacciono, potrebbe piovere.” accennai timidamente d’un tratto, guardando il cielo farsi più scuro. Tanya si voltò di scatto, guardandomi infastidita.
“Voglio camminare ancora, Isabella. Non discutere.” replicò gelidamente con cattiveria. Sospirai e continuai a trascinarmi con passi lenti per il sentiero, cercando di stringermi meglio nel mio mantello leggero. Non avevamo fatto che pochi passi, che un tuono squassò l’aria, facendomi saltare su dalla paura. Pochi secondi e una pioggia scrosciante iniziò a cadere copiosamente.
“L’avevo detto io, dovevamo rientrare prima.” urlai, dirigendomi immediatamente verso casa.
“Dove pensi di andare così di fretta? Vieni qua e riparami la testa col tuo mantello. Non posso ammalarmi, io!” urlò a sua volta Tanya, tirandosi sulla testa il cappuccio del suo cappotto imbottito.
Mi bloccai a metà cammino e inghiottendo le parole che avrei voluto lanciarle contro, corsi a riparala col mio mantello, bagnandomi così ancora di più. Quando raggiungemmo casa, ero infreddolita e zuppa dalla testa ai piedi, ma la stessa cosa non poteva dirsi per mia cugina. A parte qualche boccolo bagnato e l’orlo del vestito fradicio, era asciutta e composta.
Ci fermammo nell’atrio e, in quel momento, mia zia scese le scale e ci venne incontro.
“Tanya! Eccoti qua, finalmente. Non ti sei accorta che stava per scoppiare un temporale? Dovevi rientrare subito.” disse con una sottile aria di rimprovero, guardando mia cugina. Stavo per spiegare come erano andate le cose, ma Tanya mi precedette. Scoppiò in lacrime e corse verso sua madre, aggrappandosi alla sua gonna.
“Mamma! Io l’avevo detto ad Isabella di rientrare, ma lei mi ha costretto a continuare la passeggiata e quando è scoppiato il temporale voleva lasciarmi sola e venire via. Ho dovuto supplicarla di aiutarmi.” singhiozzò con voce lamentosa. Spalancai gli occhi, sorpresa per quella grossa bugia.
Mia zia abbracciò affettuosamente la figlia e mi guardò con uno sguardo carico d’ira.
“Dovevo saperlo che era solamente colpa tua. Sei sempre cattiva e sconsiderata. Ma cosa pensavi di fare, volevi spaventare e far ammalare il mio tesoro?” urlò, mentre le gote le si coloravano di rosso. Rimasi impietrita, senza avere la capacità di formulare una risposta, che sarebbe comunque stata perfettamente inutile.
“Vai subito in camera tua e resta lì finchè non ti dirò di uscire, faremo i conti più tardi. E non azzardarti ad accendere il camino! Per punizione ti asciugherai all’aria, così vedremo se imparerai a rispettare mia figlia.” sentenziò, voltandosi e salendo al piano superiore. Vidi Tanya farmi una linguaccia, per poi salire rapidamente le scale, dietro sua madre.
Restai impalata ai piedi delle scale per vari minuti, poi mi decisi a raggiungere la mia stanza, vicino alla cucina. Entrai e richiusi la porta dietro di me, cercando di bagnare il meno possibile il pavimento. Mi avvicinai all’angolo della mia toilette e iniziai a spogliarmi frettolosamente, gettando in una cesta i vestiti zuppi e cercando di asciugarmi con un telo di stoffa ruvida. Strizzai i capelli nel catino, annodandoli poi in una cuffia asciutta, e mi rivestii con un completo pulito.
Mi sedetti sul letto, avvolgendomi con la coperta di lana, ma anche così ero scossa da brividi di freddo. Avrei voluto accendere il camino, contravvenendo agli ordini di mia zia, ma aveva già fatto portare via dalla stanza la legna e perfino la candela. Non avrei potuto comunque accendere nulla.
Mi rannicchiai su me stessa, cercando di scaldarmi, e, mentre pensavo di essere sola al mondo e senza una vera famiglia, mi addormentai profondamente.
 
***
 
Fui svegliata all’improvviso dal rumore della porta che si apriva e vidi entrare Kate, la cameriera di mia zia, l’unica che mi trattasse con un po’ di affetto e calore. Si avvicinò al letto e mi aggiustò con cura le coperte.
“Hai freddo?” sussurrò, toccandomi le mani. Scossi la testa con forza, sorridendo. Ero riuscita a riscaldarmi ormai.
“Tua zia mi ha vietato di portarti qualcosa da mangiare. E vuole che tu vada immediatamente nella sua stanza per parlarti.” mi comunicò. Annuii pensierosa e Kate lasciò la stanza, lanciandomi ancora un’ultima occhiata di rammarico.
Non mangiare era il minimo della pena, conoscendo mia zia. Ero stata mandata a letto senza cena tante di quelle volte da abituarmi.
Mi alzai di scatto dal letto e disfeci la cuffia, liberando i miei capelli, ancora un po’ umidi. Recuperai la spazzola dal comodino e inizia a spazzolarli con delicatezza. Li avevo lunghi e ondulati e mi piacevano tanto. Ritenevo che fossero la mia unica bellezza, visto che ero brutta, goffa e molto magra. Mia zia mi ricordava spesso che, al confronto con Tanya, ero completamente insignificante, senza bellezza o fascino, destinata a rimanere sola per sempre.
Non me la prendevo più: non avevo mai desiderato la bellezza o l’eleganza, ma solo un po’ d’amore e affetto, come quello che mi avevano donato i miei genitori al tempo in cui ero stata felice.
“Isabella.”
Mi girai di scatto al suono di quella voce e vidi Kate ferma sulla porta.
“Isabella. Ti sto chiamando da un po’, ma eri nel mondo dei sogni.” sorrise. Sbattei le palpebre alcune volte e abbandonai la spazzola sul letto.
“Lady Carmen vuole vederti. È già nella sua stanza e ti sta aspettando. È meglio che tu non la faccia attendere troppo.” mi consigliò. Annuii e mi avviai verso la porta, lasciando sciolti i miei capelli, ma Kate mi fermò, toccandomi un braccio.
“Forse è meglio se metti la cuffia, non credi?” mi chiese gentilmente. Mi passai una mano sulla testa, pensierosa. Mia zia odiava che tenessi i capelli liberi, diceva che mi davano un’aria da selvaggia.
“No, vado così.” dissi decisa, incamminandomi verso la stanza di mia zia. Giunta davanti alla porta, mi fermai un istante, lisciandomi le pieghe del vestito e facendo un grosso respiro. Infine, bussai.
“Avanti.”  
Entrai in punta di piedi e scorsi mia zia seduta nella grossa poltrona blu accanto alla finestra. Si girò verso di me e poi riprese a guardare fuori.
“Sei tu, finalmente. Vieni avanti.” ordinò. Camminai decisa fino alla poltrona, posizionandomi di fronte ad essa e attendendo in silenzio.
Mia zia non accennava a parlare o a muoversi, così iniziai a guardarmi in giro per la sala. Era davvero spaziosa e tappezzata con una carta da parati color oro. Un grosso letto a baldacchino occupava un’intera parete e di fronte si trovava la scrivania, accuratamente ordinata.
Una grossa finestra si apriva con vista sul giardino e davanti ad essa c’era la poltrona in cui mia zia sedeva spesso, per leggere o pregare. Era una bella stanza, ma trasudava freddezza e ostilità da ogni angolo.
Mentre continuavo ad ispezionare la camera, sentii un sospiro provenire dalla poltrona e  mi voltai di scatto, trovando gli gelidi occhi azzurri di mia zia intenti a scrutarmi.
“Mi chiedo cosa ho sbagliato con te, Isabella.” disse stancamente. Rimasi zitta e immobile al mio posto. Quando lady Carmen parlava, odiava essere interrotta.
“Ti ho accolto nella mia casa e ti ho trattata come una figlia, ma in cambio non ho ricevuto che dispiaceri e cattiverie. Ho fatto quello che nessun altro avrebbe fatto, nutrendoti e dandoti un tetto sotto cui vivere, e tu mi ripaghi con disprezzo e odio. Non capisco, davvero non capisco.” continuò, mantenendo i suoi occhi fissi nei miei.
“Perché ti ostini a trattare male me e mia figlia? Cosa ti abbiamo fatto? Se è per le punizioni, sai bene che lo faccio solo per il tuo bene, per educarti e renderti più buona. Se tu non fossi così cattiva, non userei mai tali metodi con te. Sei tu, col tuo carattere, che mi costringi a punirti in continuazione.” constatò, appoggiando la testa ad una mano, come se fosse afflitta da un gran peso.
Il suo discorso non mi toccava: non capivo perché si ostinasse ad etichettarmi come cattiva, visto che non era quella la mia indole.
“Ho cercato di capire come sei fatta, ma non ci sono riuscita. Sei molto complicata per essere una bambina. E strana, disubbidiente, dispettosa. E ribelle. Guardati ora, ad esempio. Sei tutta scarmigliata e con i capelli sciolti, quando sai bene che amo l’ordine e voglio vederti sempre composta.” Mi guardò come se fosse addolorata, ma non mi lasciai convincere.
“Vorrei solo che tu fossi più riconoscente verso di me e verso tua cugina. Dovresti fare quello che ti chiediamo senza discutere. È il minimo, dopo tutto il bene che ti ho fatto.”
Mi venne da sorridere, ma mi trattenni. Quando era stata buona con me? Non ricordavo una sola volta in cui mi aveva rivolto una parola gentile o mi aveva fatto una carezza. Non era mai accaduto.
“Voglio darti ancora una possibilità. Cerca di essere più buona e rispettosa, e tratta Tanya con dolcezza. Non voglio più fare questo discorso con te. Mi addolora sapere che non ti rendi conto di che fortuna hai avuto venendo a vivere nella mia casa, nella mia famiglia.” concluse rapida. La guardai muta per alcuni secondi, senza tradire alcuna emozione, e poi, ad un suo cenno, mi incamminai verso la porta.
“Isabella.” mi richiamò. Mi voltai lentamente, attendendo.
“Per dimostrati che non sono cattiva come credi, hai il mio permesso di andare in biblioteca. So che ti diverti a sfogliare i libri del mio povero marito. Va pure.” mi concesse. La guardai sorpresa e accennai ad un sorriso, prima di andare via.
Era vero, adoravo la grande biblioteca di mio zio e appena potevo correvo a rifugiarmi lì, lontano da tutti. Passavo ore a sfogliare grossi volumi illustrati, perdendomi nelle mie fantasie e immaginando una vita diversa, migliore.
Raggiunsi la biblioteca e sgattaiolai dentro cautamente, sperando di non essere vista da Tanya. Recuperai il mio libro preferito, un volume pieno di immagini di paesaggi, e mi nascosi nel vano della grande finestra, tirando le tende e celandomi alla vista altrui. Era quello il mio nascondiglio preferito, il mio luogo segreto dove rifugiarmi per stare sola con me stessa.
Avevo sfogliato appena poche pagine, quando sentii la porta scattare e aprirsi. Chiusi il libro delicatamente e mi rannicchiai ancor di più dietro la pesante tenda di velluto rosso, trattenendo il respiro. Magari era solo una cameriera venuta a controllare che fosse tutto in ordine.
“Dove sei, brutta smorfiosa? So che sei qui! Vieni fuori!”
La voce di Tanya echeggiò per l’enorme sala per alcuni secondi, prima di spegnersi. Sospirai impercettibilmente e sbirciai da dietro una fessura della tenda. La mia tranquillità appena cominciata sembrava già destinata a finire.
“Su, vieni subito fuori e non ti succederà niente!” continuò, girando la testa in ogni direzione.
Dopo la strigliata di mia zia, non avevo alcuna voglia di mettermi di nuovo nei guai, soprattutto per colpa di mia cugina. Così, con il libro stretto al petto, uscii allo scoperto. Tanya mi dava le spalle, i fini capelli biondi, quasi bianchi, erano arricciati e tirati indietro sulla nuca e le braccia erano appoggiate sui fianchi del morbido vestito rosa, tutto pizzi e merletti.
“Che cosa vuoi?” mi affrettai a chiedere. Tanya si voltò verso di me e un ghigno le comparve sul viso.
“Devi dire “Che cosa vuoi, signorina Tanya”?” mi corresse. Non risposi e le rivolsi un’occhiata carica di odio e frustrazione.
La ignorai e mi diressi verso lo scaffale per posare il libro, quando mia cugina mi si avvicinò all’improvviso e, senza che potessi far nulla per evitarlo, mi spintonò, facendomi cadere a terra. Poi, mi strappò il libro dalle mani e con noncuranza iniziò a strappare le pagine, tutte le pagine con i miei adorati disegni. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma cercai di trattenerle per non darle soddisfazione.
“Non hai alcun diritto di prendere questi libri, sono miei, e tu sei una dipendente. Non hai denaro, i tuoi genitori non ti hanno lasciato niente, e dovresti guadagnarti il pane andando a chiedere l’elemosina! È solo per la nostra grande generosità che non ti sbattiamo in mezzo ad una strada. Sei povera e brutta e devi imparare chi comanda qui!” mi alitò in faccia meccanicamente, assestandomi un colpo con il libro.
Vacillai e mi portai le mani al naso: sanguinava. Allora, non so come, ma fui presa da una rabbia cieca e mi alzai in piedi, aggredendo Tanya. La gettai a terra e cominciai a tirarle i capelli con forza.
“Cattiva! Cattiva! Strega!” le urlavo contro, cercando di colpirla meglio, di graffiarle la faccia, di farle male. Lei intanto si dimenava e urlava come un’ossessa, finché non fece il suo ingresso nella stanza Lady Carmen, seguita da Kate.
“Adesso basta.” disse gelida mia zia. Mi bloccai e Tanya ne approfittò per scansarmi e correre in lacrime da sua madre.
“Abbiamo appena fatto un discorso, io e te.” disse lady Carmen, guardandomi irritata.
“Credevo che questa volta avessi capito e che ti saresti comportata bene. Invece, ti ritrovo ad aggredire mia figlia. Con che violenza, poi! Sei soltanto una piccola rozza selvaggia.” mi accusò.
“Ma ti insegnerò io le buone maniere. Kate, la frusta.” concluse. La cameriera sobbalzò a quell’ordine e lasciò subito la stanza, tornando poco dopo con un sottile frustino.
“Scopriti la schiena e girati.” ordinò mia zia, prendendo il frustino ed avvicinandosi. Rimasi immobile, lo sguardo pieno di terrore sul frustino.
“Sei sorda? Ho detto: scopriti la schiena e girati!” urlò più forte. Feci come mi aveva detto, arrendendomi al mio destino. Mi ero appena voltata, quando una serie di colpi si abbatterono sulla mia schiena. Urlavo e mi dimenavo ad ogni colpo, ma mia zia non accennava a smettere.
“Devi imparare l’educazione. E visto che con altri metodi non apprendi, spero che con questo imparerai una volta per tutte che devi essere buona e obbediente.” urlò, dandomi un ultimo colpo.
Mi accasciai al suolo, esangue. Sentivo dolore in ogni parte del mio corpo, ma il dolore più grande era chiuso nel mio cuore, nella mia anima.
L’ultima cosa che vidi fu mia zia lasciare la stanza con Tanya e poi mi abbandonai all’incoscienza, lasciando che il buio mi inghiottisse con sé.

 






Note:
Salve :)
Ecco qui il primo 'vero' capitolo della storia, che è venuto anche abbastanza lunghetto e.e Qui, siamo tornati indietro nel tempo rispetto al prologo: Bella è una bambina, vive con sua zia e sua cugina (che richiamano la zia e i tre cugini che ha Jane Eyre nel libro), ma non è trattata bene; l'unica che si prende cura di lei è la cameriera di sua zia, Kate. Man mano seguiremo la crescita di Bella (e le sue disavventure xD). Il suo incontro con tutti i Cullen avverrà un tantino più in là, in età adulta o quasi. Ci tengo a narrare gli eventi in maniera che si capisca tutto, perchè anche il più piccolo particolare che può adesso apparire insignificante servirà per comprendere la storia futura.
Non so se la storia stia piacendo e no, non avendo avuto pareri, ma ho deciso di pubblicare il capitolo perchè qualche anima pia l'ha messa tra seguite/preferite e anche perchè personalmente ci tengo a questa cosina, è un po' una sfida con me stessa!
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la forza di leggere fin qui <3
Alla prossima.

bacioni,Giraffetta

 

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Capitolo 3
*** #Secondo Capitolo ***





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Oscillavo tra nebbie pesanti e dense, quando fui ridestata da qualcosa di freddo appoggiato alle mie spalle. Aprii cautamente le palpebre ed incontrai lo sguardo preoccupato di Kate, che medicava le mie ferite.
“Oh, ti sei svegliata finalmente. Mi sono preoccupata, non rinvenivi più!” esclamò, sorridendomi.
“Cosa è successo? Dove sono?” chiesi flebilmente. Mi sembrava di non riuscire a percepire la realtà che mi circondava e sentivo tutti i muscoli indolenziti, insieme a un insistente bruciore alle spalle.
“Non ricordi, Isabella? Dopo le frustate di lady Carmen, sei svenuta. Ti ho portato nella tua stanza e ti ho messo a letto. Sembravi morta e sei rimasta così per tutta la notte, fino a pochi minuti fa.” disse dolcemente, continuando a medicarmi.
D’un tratto mi ricordai di cosa era successo il giorno prima, compresa la punizione inflittami da mia zia. Cercai di distendermi meglio, ma ogni movimento mi causava dolore e un gemito uscì involontario dalle mie labbra.
“Stai buona Isabella, devo finire di medicarti. So che ti fa male, stavolta la signora è stata molto dura.” sussurrò a mezza voce. Mi accucciai sul letto, lasciando che le mani esperte di Kate mi curassero.
“Ecco fatto.” esclamò poco dopo. Posò le bende su un tavolino e mi aiutò a girarmi delicatamente, coprendomi con la coperta. Nonostante tutto, avvertivo un tenue bruciore alla schiena e alle spalle.
“Credo che in un paio di giorni ti sentirai meglio. Ho cercato di disinfettare e pulire bene le ferite, e voglio sperare che i segni spariscano presto.” mi spiegò. La guardai immobile, anche il solo respirare mi faceva sentire male.
“C’è qualcos’altro che posso fare?” chiese premurosa. Ci pensai per alcuni istanti, ponderando bene la mia scelta.
“Potrei avere… un libro?” mi azzardai a chiedere. Sapevo che era una richiesta “difficile”, ma in quel momento desideravo solo estraniarmi dalla realtà e immergermi in qualche fantasticheria. Mi guardò pensierosa e poi sorrise.
“Vedrò cosa posso fare.” disse, uscendo dalla stanza. Mi misi a fissare il soffitto, cercando di non pensare a nulla che non fossero i miei amati libri e i paesaggi che tanto adoravo. Ma, tra una cascata e un bosco, mi apparvero dinanzi agli occhi i volti sorridenti dei miei genitori e qualche lacrima mi rigò le guance.
Se solo fossero stati ancora con me, sarebbe stato tutto diverso. Avrei avuto una vita migliore, tanto amore e affetto e il calore di una vera famiglia. Ricordavo ancora le lunghe passeggiate in calesse con mio padre la domenica e le festicciole casalinghe organizzate da mia madre.
Tirai su col naso, cercando di asciugarmi il viso, e in quel momento entrò Kate in punta di piedi. Richiuse la porta silenziosamente e si avvicinò al letto, tirando fuori qualcosa da sotto il grembiule.
“Tieni. È il solo che sono riuscita a prendere senza essere vista.” sussurrò, porgendomi un grosso libro con la copertina rossa. Mi illuminai, abbracciandolo stretto.
“Grazie, Kate.” dissi sincera.
“Mi raccomando, se dovesse venire qui la signorina Tanya o Lady Carmen, cerca di nasconderlo o saranno guai. Va bene?” mi chiese apprensiva. Annuii sicura. Sapevo che Kate aveva bisogno di quel lavoro per aiutare la sua numerosa e povera famiglia e non avrei mai fatto nulla per farla punire o, peggio ancora, cacciare.
“Ora devo andare. Verrò più tardi per portarti qualcosa da mangiare. Riposa e non stancarti.” si congedò.
Una volta sola, a fatica aprii il libro e iniziai a sfogliarlo curiosa: era pieno di disegni, ma diversi dai soliti che avevo visto fino a quel momento. Erano veri e propri quadri, alcuni raffiguranti volti di donne o di uomini, altri oggetti o paesaggi. Erano bellissimi e desiderai di saper leggere per poter capire le didascalie che li accompagnavano.
Purtroppo, mia zia non mi riteneva abbastanza intelligente per farmi studiare, al contrario di Tanya, e così non avevo mai imparato a leggere bene o a scrivere. Sapevo compitare qualche parola, ma mi riusciva estremamente difficile leggere un testo.
Una volta, avevo anche chiesto a Kate di aiutarmi, ma anche lei non sapeva leggere: la sua famiglia era troppo povera per poterla istruire e lei, già dall’età di otto anni, aveva iniziato a lavorare, prima nei campi e dopo come tessitrice; poi a quindici anni era entrata a servizio presso mia zia come cameriera. Erano ormai cinque anni che lavorava in quella casa e guadagnava abbastanza per permettere ai suoi di vivere senza troppi problemi.
Continuai a sfogliare il libro, incantandomi ad ogni pagina. Quanto avrei voluto disegnare anch’io così bene! Non avevo mai nemmeno provato, anche se una volta, entrando nell’aula studio di mia cugina, avevo visto vicino alla finestra un cavalletto con una tela e, avvicinandomi, ero riuscita a sfiorarlo e a prendere in mano un pennello. Era stata una sensazione strana, che mi aveva riempito di gioia. Mi sarebbe piaciuto provare ad usarlo, ma ero dovuta fuggire prima che qualcuno mi scoprisse in quella sala.
Un rumore fuori dalla porta mi fece sobbalzare e chiudere in fretta il libro, che nascosi sotto le coperte. La porta si aprì e Kate fece capolino con un grosso vassoio in mano. Tirai un sospiro di sollievo e mi rilassai.
“Ecco qua!” esclamò, poggiando il vassoio sulle mie gambe e sedendosi sul letto. C’era un piatto con la minestra, un bicchiere di latte e un panino bianco. Ma, su un angolo, spiccava un piattino con al centro una fetta di torta.
“E questa?” chiesi indicando la torta.
Era raro che mi venisse dato il permesso di mangiare un dolce. Secondo mia zia, i dolci rendevano i bambini troppo molli. Peccato che questa sua stramba idea teneva esclusa Tanya, che poteva ingozzarsi a volontà di dolciumi e cioccolato.
“L’ho presa senza farmi vedere. Ho pensato che ti serviva qualcosa di speciale per tirati su.” spiegò, facendomi l’occhiolino. Sorrisi raggiante, iniziando a mangiare rapidamente la minestra, sotto lo sguardo divertito di Kate.
Quando ebbi finito anche l’ultima briciola della torta, sorrisi e ripresi in mano il libro. Lo aprii su un bellissimo paesaggio e vidi Kate sbirciare, mentre recuperava il vassoio.
 “Ti piacciono proprio, eh, i dipinti.” Asserì. Annuii, passando piano un dito lungo il bordo del foglio.
“Credo mi piaccia tutto ciò che ha a che fare con i disegni. Trovo che la pittura sia l’arte più bella del mondo.” confessai seria. Mi sarebbe piaciuto molto provare a disegnare o dipingere, ma sapevo quanto il mio sogno fosse irrealizzabile.
“Sei una bambina davvero acuta, Isabella.” disse Kate, guardandomi dritto negli occhi. Abbozzai un sorriso e mi rimisi a sfogliare il libro, mentre Kate usciva.
“Kate!” la richiamai un attimo prima che chiudesse la porta. Si voltò curiosa.
“Posso farti una domanda ?” chiesi. Rientrò dentro e annuì.
“Dimmi.”
Presi coraggio e parlai.
“Secondo te, perché mia zia non mi ama?” chiesi, gli occhi fissi sulla coperta. La sentii sobbalzare e rimanere in silenzio. Aspettai tranquilla, fissando i disegni astratti della coperta e passando le dita sulla copertina rigida del libro.
“È una domanda difficile, Isabella. Credo che tua zia ti ami, ma a suo modo.” spiegò.
Scossi la testa dubbiosa.
“No, sono sicura che non mi ama, anzi mi odia. Così come mia cugina. Mi trattano sempre male e mi dicono parole cattive. Ma non capisco il perché.” continuai. Kate sospirò pesantemente. Sembrava turbata.
“Non lo so , Isabella. Non lo so davvero. Non mi sembri una bambina così cattiva come la signora ti descrive.” disse sincera. Mi morsi un labbro.
“Se solo potessi andare via.” dissi flebilmente. Kate mi guardò sorpresa.
“Andare via?” chiese. Annuii lentamente.
“Per andare dove? Questa è la tua casa ora. Non ti piace?” domandò ingenuamente. Alzai di scatto la testa.
“Non è la mia casa e anche se è molto grande e bella e piena di libri non mi basta. Una casa dovrebbe essere un posto in cui stare con persone che ti vogliono bene e a cui tu ne vuoi. Io non amo mia zia e mia cugina e loro non amano me.” dissi con la voce incrinata.
Ogni volta che mi rendevo conto di essere sola al mondo, senza nessuno a cui appigliarmi, mi sentivo invadere da tanta malinconia e il cuore sembrava quasi sul punto di scoppiare.
Kate sospirò e mi accarezzò la fronte.
“Se ti può far piacere io ti voglio bene e mi preoccupo per te.” sorrise. Ricambiai il sorriso e mi risistemai sotto le coperte.
Kate era l’unica persona che mi capiva e con cui potevo parlare. Era la mia unica amica, in una casa dove respiravo ostilità ogni secondo della giornata.
“E ora riposa, senza fare brutti pensieri. E vedrai che presto ti sentirai meglio.” concluse prima di uscire, lasciandomi sola coi miei pensieri.
 
***
 
C’erano voluti ben tre giorni di riposo e cure per guarire. E, nonostante tutta la buona volontà di Kate, le braccia e le spalle restarono coperte da sottili cicatrici bianche, laddove la frusta era caduta in modo più pesante. Non me ne preoccupai. Sapevo già di non essere bella e quelle cicatrici non aggiungevano né toglievano qualcosa dalla mia persona.
Da quando avevo ripreso la mia vita normale, mi ero accorta di una maggior freddezza da parte di mia zia e di mia cugina. Quest’ultima, poi, non mi infastidiva più, né mi costringeva a fare alcuna cosa. Anzi, si allontanava da me non appena mi vedeva, guardandomi con una strana espressione e limitandosi a sbattermi le porte in faccia ogni qual volta ne aveva l’occasione.
Da parte mia ero contenta così e ne approfittavo per filarmela in biblioteca e sfogliare i miei adorati libri e ad isolarmi dal resto del mondo.
Anche quel giorno, circa una settimana dopo la mia punizione, mi ero rinchiusa nel mio mondo magico, quando decisi di scendere in cucina a prendere un bicchiere di latte.
Scesi le scale silenziosamente per paura di imbattermi in mia zia, ma non trovai nessuno. Giunta al piano inferiore, sentii Tanya che si lamentava con la madre in salotto. Mi avvicinai cautamente alla porta socchiusa e sbirciai dentro.
Mia zia era seduta nella sua solita poltrona accanto al camino, stretta in un abito blu e con in mano il suo breviario. Ai suoi piedi, Tanya la guardava supplichevole.
“Ma mamma! Voglio che Isabella torni ad essere la mia serva. Perché non vuoi?” piagnucolava.
“Non parlarmi di lei, Tanya. Ti ho detto di non avvicinarla né di rivolgerle la parola. Potrebbe avere una cattiva influenza su di te. Inoltre non è degna di stare in tua compagnia. È una piccola selvaggia.” rispose mia zia.
A quelle parole, sentii fremere il sangue nelle vene e nascere dentro di me un senso di ribellione. Così spalancai la porta di scatto, spaventando entrambe, ed entrai nella sala.
“È lei a non essere degna della mia compagnia!” urlai, rivolgendomi a mia zia, ma guardando Tanya.
Lady Carmen impallidì e si alzò come una furia, scagliandosi contro di me e gettandomi a terra.
“Come osi?” urlò minacciosa, alzando la mano per colpirmi.
“Che cosa direbbe mia madre se fosse viva?” dissi, quasi involontariamente. Le parole mi erano uscite di getto e mi stupii da sola della mia audacia.
Lady Catherine ritirò la mano, spaventata.
“Cosa?” domandò con voce tremula, guardandomi con occhi spiritati. Mi rimisi in piedi, tenendole testa.
“La mamma è in cielo con il papà e vede tutto, tutto quello che fate e pensate. Sa che mi odiate e che desiderate che io muoia!” urlai.
Mia zia mi guardò allibita e rimase alcuni attimi immobile. Poi, si riprese, mi schiaffeggiò forte le guance e mi lasciò senza dire nulla, seguita da una Tanya incredula.
Nonostante gli schiaffi, sentivo di aver vinto. Avevo finalmente detto la verità: mia madre non sarebbe stata contenta di vedere come sua sorella trattava sua figlia, sangue del suo sangue.
Uscii dal salotto e ritornai in biblioteca, riprendendo a sfogliare il mio libro. Fui raggiunta poco dopo da Kate. Entrò cauta e richiuse la porta alle spalle.
“Isabella! Cosa è successo? La signora si è rinchiusa in camera sua e continua a sbraitare su di te e sulla tua ingratitudine. Non lascia entrare nessuno, nemmeno sua figlia.” mi spiegò.
Mi si dipinse uno strano sorriso sul volto, del tutto naturale. Ma, alzai le spalle e mostrai una faccia incredula.
“Non so perché si comporta così, le ho detto solo la verità.”
Kate mi guardò con espressione dubbiosa.
“La verità?” domandò. “Quale verità?”
“Che se mia madre fosse viva sarebbe scontenta di mia zia perché mi odia. Lei è in cielo e perciò vede tutto e sa tutto. Ecco la verità.” spiegai calma.
La vidi alzare gli occhi al cielo.
“Isabella sei una bambina intelligente, ma davvero strana.” constatò.
La fissai tranquilla, sentivo di essere dalla parte della ragione.
“Augurati che la rabbia di Lady Carmen non si trasformi in una severa punizione per te. Sei appena guarita dall’ultima.” mi fece notare, prima di aprire la porta e lasciarmi sola.
Fissai il vuoto per qualche istante e poi ripresi tranquillamente a leggere. Nessuna punizione mi spaventava, poiché ne avevo già subita una molto dura: la perdita dei miei genitori, le uniche persone che mi avevano amato e protetto.
Rimasi chiusa nella biblioteca fino a sera, quando Kate venne a chiamarmi per la cena.
“Tua zia non è ancora uscita dalla sua stanza.” mi comunicò, mettendomi davanti il piatto.
“Non credo di essere stata cattiva, Kate. Le ho detto solo ciò che pensavo.” confessai, divorando poi la mia cena e filando subito a letto.
La notte passò tranquilla e la mattina mi svegliai di buon ora, riposata e calma.
Quando entrai in cucina, Kate era già ai fornelli.
“Che profumo! Perché prepari tutte queste buone cose?” chiesi, adocchiando i veri tegami sul fuoco.
“Oh, Isabella. Meno male che ti sei svegliata. Ci sono visite.” mi spiegò.
“Visite?”
Mi appollaiai su uno sgabello, in attesa di nuove notizie. Kate sbattè delle uova in un tegame e aggiunse della farina. Poi, si tirò su le maniche del grembiule e iniziò a mescolare energicamente.
“Non ho capito bene chi sia, ma so che si ferma a pranzo per una certa questione. E credo che la questione riguardi te.” spiegò, continuando a mescolare.
La guardai incredula. Cosa poteva mai aver architettato mia zia contro di me questa volta?
Mi avvicinai alla porta della cucina e cautamente raggiunsi la porta del salotto. Sentivo provenire delle voci, una di mia zia e una più bassa e grave, da uomo.
Sbirciai dal buco della serratura, ma non riuscii a vedere che due gambe fasciate in un pantalone scuro. Sconsolata, ritornai in cucina.
“Non sono riuscita a vedere chi era.” comunicai a Kate.
“Su non preoccuparti. Vedrai che non sarà nulla di grave. Ora mangia un biscotto e stai allegra.” mi rassicurò.
Passai tutta la mattina a ridere con lei, aiutandola a cuocere ed impastare i cibi per il pranzo.
A mezzogiorno mia zia suonò il campanello e Kate corse a portare in tavola il primo piatto. Io rimasi a mangiare in cucina, in attesa.
Finalmente, a fine pasto, Kate mi comunicò che mia zia voleva vedermi. Mi feci coraggio e a passi lenti mi trascinai in salotto.
Mia zia era come al solito seduta in poltrona e accanto a lei vidi un uomo non molto alto, con grossi baffi neri e uno sguardo severo.
Lady Carmen mi fece cenno di avvicinarmi e obbedii.
“Ecco, questa è la ragazzina per cui l’ho fatta chiamare.” disse, rivolgendosi all’uomo.
Io rimasi immobile, gli occhi socchiusi, ma le orecchie attente e pronte all’ascolto.
“È molto bassa. Quanti anni ha?” chiese quest’ultimo, con una voce roca.
“Dodici.”
Mi scrutò a lungo e poi si rivolse a me.
“Come ti chiami?”
“Isabella Swan, signore.” dissi, guardandolo negli occhi.
“Bene, Isabella. Sei una brava bambina?” chiese, lisciandosi i baffi. Rimasi per un attimo stupita, non sapendo cosa rispondere dal momento che mia zia aveva una brutta opinione su di me. Così, restai in silenzio.
“Credo sia meglio sorvolare su questo argomento, signor Blaine.” intervenne mia zia.
“Oh, di questo mi dispiace. Credo che io e Isabella dobbiamo parlare un po’ insieme. Vieni.” mi disse, facendomi avvicinare, mentre si sedeva su una poltrona.
“Non è una bella cosa essere cattivi. Sai dove vanno i bambini cattivi, Isabella?” mi chiese.
“All’inferno.” risposi pronta.
“E cos’è l’inferno?” continuò.
“Un buco nero pieno di fuoco e fiamme.”
“E ti piacerebbe andare in quel brutto posto e restarci per sempre?”
“No, signore.”
Sorrise benevolo.
“E quindi cosa devi fare per evitarlo?”
Riflettei qualche istante sulla domanda.
“Devo evitare di ammalarmi e morire!” esclamai con ovvietà.
Sembrò inorridire, mentre mia zia alzò gli occhi al cielo.
“Conosci le preghiere? Le reciti?” continuò ancora.
“Si, signore.”
“E leggi la Bibbia?”
“Qualche volta. Non mi piace granché.” ammisi facendo spallucce.
“Ah, male. Questo dimostra che sei una bambina dal cuore cattivo. Devi pregare affinché il tuo brutto cuore diventi puro.” mi ammonì. Lo fissai scettica e atteggiai le labbra a una smorfia.
“Credo che basti.” intervenne lady Carmen.
“Come le ho detto, signor Blaine, questa ragazzina non possiede il carattere o le tendenze che desidererei avesse. Se l’accoglierà nella sua scuola, vorrei che le insegnanti e la direttrice la tenessero d’occhio e le correggessero ogni difetto. Soprattutto la sua tendenza ad essere bugiarda.” concluse.
Se alla parola scuola mi ero illuminata, allettata dalla prospettiva di imparare a leggere e scrivere, l’ultima parte del discorso mi aveva spiazzato. Bugiarda io? Era un’accusa bella e buona, e per di più pronunciata davanti ad un estraneo.
“Le bugie sono un grave peccato. Farò in modo che sia controllata e corretta, signora Denali.” assicurò l’uomo.
“Desidero che sia istruita e che diventi una persona umile. E vorrei che le vacanze le passasse presso la scuola e che non ritornasse a casa se non quando espressamente richiesto da me.” continuò mia zia.
“Come volete. Vedrete che Isabella diventerà una bambina brava e giudiziosa.” sorrise, rivolgendosi a me.
Dal canto mio, stavo iniziando a trovare l’idea di partire per una scuola alquanto brutta. Con una simile presentazione, sarei stata ancora una volta giudicata e punita ingiustamente. In questo modo, avrebbe vinto di nuovo mia zia.
“Potreste portarla via oggi stesso? Magari, stasera, giusto il tempo di farle preparare una valigia. Sapete, vorrei liberami al più presto di questo peso che mi opprime il cuore.” 
Il signor Blaine annuì col capo.
“Certo.” assicurò.
“Isabella, va a prepararti. Partirai stasera stessa.” mi congedò mia zia.
Mi affrettai ad uscire dal salotto e a ritornare in cucina.
“Eccoti, finalmente. Cosa è successo?” domandò subito Kate.
“Devo partire.” dissi atona.
Kate sbiancò di colpo.
“Partire? Per dove? E quando?” si allarmò.
“Per una nuova scuola. Stasera. Anzi, devo preparare la valigia.” risposi, avviandomi nella mia camera. Kate mi seguì in silenzio, sembrava turbata.
Presi la valigia di pelle da sotto il letto e iniziai a riempirla con i pochi vestiti che avevo. Solo quando terminai, Kate sembrò riscuotersi.
“Aspetta.” sussurrò, sparendo dalla stanza.
Mi sedetti sul letto, cercando di rimanere calma. D’altronde era sempre stato il mio sogno andare via da mia zia. Ma di certo non in questo modo.
Kate ritornò in quel momento, con un fagotto tra le mani.
“Voglio che porti con te queste cose. Così ti ricorderai di me.” disse con gli occhi lucidi.
Mi porse dei fazzoletti ricamati e una cuffia con del pizzo bianco. Mi illuminai e raccolsi la sua offerta.
“Grazie, Kate. Ma anche senza queste cose, ti avrei ricordata lo stesso.”
Alle mie parole scoppiò in lacrime e mi abbracciò forte.
“Sono sicura che ci rivedremo e che diventerai una bella e istruita ragazza.”
Sorrisi.
“Credo anch’io. Tranne il fatto che non sarò mai bella.” puntualizzai.
Kate scosse il capo e mi aiutò a chiudere la valigia.
“Allora, ci lasciamo.” constatò.
Presi la valigia e la portai alla porta.
“Ti penserò Kate. Promesso.” e la abbracciai ancora.
Quando ci sciogliemmo, mi incamminai verso il salone.
“Eccoti, dunque.” mi apostrofò lady Carmen.
Mentre facevo la valigia avevo riflettuto molto ed ero giunta alla conclusione che non  potevo lasciare quella casa senza prima aver detto tutto quello che pensavo a mia zia. Così, mi feci forze e parlai.
“Vorrei parlare sola con voi, zia.” commentai calma.
Mi guardò stupita.
“Se il signor Blaine vuole scusarci, per me va bene.” dichiarò.
“Certo. Isabella vorrà sicuramente salutare doverosamente la sua cara zia.” disse il signor Blaine, uscendo dalla stanza.
Respirai profondamente, gli occhi di lady Carmen fissi su di me.
Era arrivato il momento che avevo tanto atteso. Adesso era il mio turno di dire la verità.








Note:
Salve :)
Finalmente sono riuscita ad aggiornare, ma tra laurea e inizio della specialistica non ho avuto un attimo di tregua! >.< 
Anche questo capitolo è venuto abbastanza lungo, ma volevo condensare un po' gli eventi e far in modo che Bella partisse per la scuola, finalmente! Nel prossimo capitolo avremo il confronto tra Bella e sua zia (voleranno paroloni mi sa xD) e poi Bella potrà dire addio a quella casa.
Voglio precisare che la scena del dialogo tra Bella e il signor Blaine è presa espressamente dal film del 1997 di Jane Eyre più che dal libro: adoro il botta e risposta che inscena Anne Paquin nel ruolo di Jane e ho voluto mantenere intatto o quasi il dialogo ^^
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui, a chi ha inserito la storia tra preferite/seguite/ricordate e a chi ha voluto spendere qualche minuto del proprio tempo per lasciarmi un parere <3
Alla prossima!

Un bacio,Giraffetta

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Capitolo 4
*** #Terzo Capitolo ***





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Fissavo le tende del salone con la mente completamente vuota, mentre mia zia raggiungeva il divano con la sua solita andatura impostata.
Non avevo ancora pronunciato una sola parola. In realtà, non avevo nemmeno iniziato a pensare a cosa dire. L’unica cosa che volevo era ferire lady Carmen, urlarle in faccia tutto l’odio e il disprezzo che provavo per lei.
Ma come potevo vendicarmi della mia nemica?
Da parte sua, mia zia rimaneva in silenzio, aspettando che fossi io a cominciare.
Raccolsi tutto il mio coraggio e sparai una frase abbastanza stupida.
“Io non sono una bugiarda. Se lo fossi, direi che vi amo e che nutro per voi affetto e rispetto. Ma io vi odio, vi odio con tutta me stessa.”
Mi guardò impassibile, come se le mie parole non l’avessero nemmeno scalfita.
“Cosa altro hai da dire?” chiese fredda, con un tono adatto più a un adulto che a una bambina.
Le sue parole però agirono come una magia su di me. Fu come se mi liberassero dalle catene che mi avevano avvolto fino a quel momento. Così, finalmente, parlai.
“Mi dispiace che voi siate mia parente. Soprattutto che siate la sorella di mia madre. Ma finché vivrò non vi chiamerò più zia. Non tornerò più qui, non vi penserò nemmeno.  Farò finta che siate morta. E chiunque mi domanderà se vi amo e come mi sono trovata in questa casa, risponderò che soltanto udire il vostro nome mi fa stare male. E che siete stata l’essere più crudele che abbia mai conosciuto.”
Gli occhi di lady Carmen guizzarono increduli e le sue guance si colorarono di macchie paonazze.
“Come puoi affermare tutto ciò, Isabella?” chiese, portandosi una mano al petto. Sembrava sconvolta.
“Come? Perché è la verità, signora! Credete che non abbia sentimenti? Che non mi servano affetto, amore e comprensione? No, no, non dimenticherò mai le vostre crudeltà, le vostre punizioni, le vostre frustate! Voi non avete pietà!” urlai sconvolta.
“Siete voi la cattiva, voi la bugiarda, voi! E tutti lo sapranno. Dalla mia bocca usciranno solo parole orrende per voi.” continuai.
Ero stremata, mi sentivo in preda a una forte eccitazione e temetti di poter svenire. Tuttavia mi feci forza per resistere. Era la mia sola occasione per avere un po’ di giustizia.
Lady Carmen invece sembrava spaventata. Muoveva la bocca senza emettere alcun suono e sembrava che volesse piangere, tanto aveva gli occhi lucidi.
“Isabella, cosa dici. Stai tremando! Vuoi sederti? Vuoi dell’acqua?” chiese, quasi balbettando.
“No, sto bene.” espirai d’un fiato.
“Vuoi qualcos’altro, allora? Ti assicuro che voglio esserti amica.”
“Non è vero. Avete detto al signor Blaine che sono cattiva e bugiarda. Ma farò sapere a tutti nella nuova scuola chi siete voi e quanto siete cattiva.” minacciai.
“Isabella, non puoi comprendere queste cose. Io l’ho fatto per te, per aiutarti a correggere i tuoi difetti. L’ho fatto per il tuo bene.” replicò.
“Ma io non sono cattiva! Non dico bugie! E voi lo sapete.” urlai ancora.
“Per favore, cara, ora calmati. Sono sicura che un giorno mi ringrazierai per tutto ciò che ho fatto per te.” annuì.
Sbarrai gli occhi.
“Ringraziarvi? E di cosa? Di avermi tolto dalla strada e di avermi fatto fare una fine ben peggiore? Di avermi fatto pesare ogni giorno la mia presenza in questa casa? Soggetta a voi e ai vostri malumori e a quella stupida di vostra figlia? Mille volte meglio andare a mendicare che vivere come ho vissuto io qui!” strepitai facendola sbiancare.
Ci stavo riuscendo, le stavo gettando in faccia tutta la verità. Poco importava se non capiva o se faceva finta di non capire. Dovevo liberare la mia anima prima di partire da quella casa.
“Isabella, adesso calmati. Non voglio che ti agiti in questo modo. Ti potrebbe far male.” biascicò con voce dolce.
“E quando mi frustavate, non vi chiedevate se mi facevate male?” domandai più calma.
Si morse un labbro, distogliendo il suo sguardo da me.
“Era per correggerti. Era necessario che lo facessi.” mormorò.
Sorrisi beffarda e provai a scostare il vestito dalle spalle.
“Era necessario lasciarmi queste cicatrici? Proprio necessario?”
Non rispose e continuò a guardare altrove.
“Ma sono contenta di portare questi segni. Così non mi prenderanno per bugiarda, quando racconterò la verità. E soprattutto mi serviranno per non dimenticare mai l’odio che provo nei vostri confronti.” continuai calma.
Sembrò riscuotersi da un sogno a quelle parole e si voltò verso di me.
“Odio? Dunque è questo che provi per me? Mi odi?” chiese stupita.
Annuii energicamente.
“Vi odio.” confermai con fermezza.
Sospirò pesantemente.
“Non capisco. Ho sempre agito nel migliore dei modi con te.” disse sottovoce, forse rivolta più a se stessa che a me. “Ho sempre cercato di farti crescere bene, educandoti al rispetto e all’umiltà. Non saprei proprio dire dove ho fallito.” concluse, guardandomi seria.
“Avete sempre cercato di tenermi lontana, di umiliarmi, di farmi sentire non amata. Ma sul perché non saprei dire. Forse è perché siete una donna fredda, arida, che si scioglie solo di fronte al proprio sangue. Vostra figlia ha ricevuto ben altri trattamenti rispetto a me.” constatai.
“Tanya è una bambina perfetta. Ha doti e qualità inimmaginabili.” sentenziò.
“E non lo dite solo perché lei è vostra figlia, vero? Io, invece, che comunque sono vostra nipote, posso essere trattata alla stregua di una serva.”
Scosse la testa più volte, irritata.
“Ho agito nel tuo interesse, nel tuo bene.”
“Continuate a ripeterlo come una cantilena. Cercate di farmi il lavaggio del cervello o di convincere voi stessa delle vostre azioni crudeli?” sputai sarcastica.
Stava per ribattere, ma un insistente bussare alla porta la fece ammutolire.
“Chi è?” chiese arrabbiata.
Senza ottenere risposta, vedemmo abbassarsi la maniglia della porta e Tanya fece il suo ingresso nel salotto.
“È un’ora che siete chiuse qui. Sono stanca di aspettare, voglio esserci anch’io.” disse imbronciata, appollaiandosi sulla poltrona accanto a sua madre.
“Hai ragione tesoro.” sorrise amorevole lady Carmen.
“Vedi Isabella? Vedi come la mia Tanya è educata e rispettosa? Se fossi stata al suo posto saresti entrata come una furia e avresti urlato e inveito come una matta. Avresti dovuto imparare da lei come ci si comporta.” mi fece notare.
Le guardai sorridendo. Erano entrambe il ritratto di ipocrisia e finzione.
“Credo che se avessi imparato dalla vostra Tanya i suoi modi, adesso sarei sicuramente in un istituto di correzione.” commentai.
Lady Carmen spalancò gli occhi, storcendo la bocca.
“Cosa hai detto?”
“Avete sentito. Vi ostinate a vedere in vostra figlia le sembianze di un angelo, quando in realtà è un piccolo diavolo arrogante e crudele. È la vostra copia.” spiegai.
Si alzò impettita, pronta a scattare verso di me. Indietreggiai di un passo e sorrisi.
“Non provate a toccarmi o ve ne pentirete. Sto per lasciare questa casa e sono disposta a ripagarvi di tutto il male che mia avete fatto, se solo vi azzardate a sfiorarmi.” la minacciai.
Mi guardò sconvolta e ricadde a sedere, senza emettere un suono.
“Come stai per lasciare questa casa? Mamma cosa vuol dire?” saltò su Tanya.
Alla voce di sua figlia, mia zia sembrò riscuotersi.
“Si, tesoro. Isabella andrà via, lontano, in una scuola dove verrà educata a diventare buona.” le spiegò.
Tanya si girò a guardarmi, una strana espressione dipinta sul viso.
“Non è giusto. Chi sarà ora la mia serva? Chi comanderò?” urlò affranta.
Sembrava sul punto di piangere come se stese per perdere una bambola a lei cara. Peccato che la bambola in questione fossi io, un essere umano.
“Tanya, ti ho già spiegato che Isabella non è come te, è una bambina che va corretta. Se rimane qui rischia di farti del male, di indirizzarti verso una cattiva strada. E tu, che sei tanto buona, potresti cascarci.”
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Mia zia rimaneva crudele fino alla fine.
“È vero, Tanya. Se resto qui, rischio di non trattenermi più e ucciderti. Striscerei in camera tua durante la notte e mentre dormi… ti strozzerei con il lenzuolo.” la spaventai, avvicinandomi a lei minacciosamente. Immediatamente, Tanya scattò, andando a nascondersi dietro la poltrona di sua madre e iniziando a frignare.
“Vedi? Vedi, che sei una bambina cattiva? Trattare così il mio tesoro.” urlò mia zia, rivolgendosi a me.
“Su, Tanya, non è niente. Isabella andrà via stasera stessa. Non ti farà nulla.” cercò di rincuorare mia cugina.
Scossi la testa, disgustata da tanta falsità.
“Su, cara. Adesso vai di là in cucina e fatti dare qualche dolcetto. Finisco di parlare con Isabella e ti raggiungo.” disse, accarezzandole i capelli. Tanya uscì da dietro la poltrona e, dopo avermi lanciato uno sguardo di puro odio, se ne andò a passo svelto.
“Sarai contenta adesso. Hai detto tutto ciò che volevi dirmi.” constatò lady Carmen, quando fummo sole.
La guardai con sfida.
“Si, ho detto tutto.” confermai.
“Bene.”
Lady Carmen si alzò e, senza dirmi null’altro, lasciò la stanza.
Rimasi sola, padrona del campo. Era la battaglia più aspra che avessi mai combattuto, ma avevo
ottenuto la mia prima vittoria. Avevo finalmente gustato il sapore della vendetta, un sapore dolce e caldo, che mi lasciò piacevolmente esaltata.
Uscii veloce dal salotto e tornai verso la mia stanza, per prendere la valigia. In cucina, trovi Kate che dava del latte caldo a Tanya.
“Eccoti qui, Isabella. Stai bene?” mi chiese premurosa.
Annuii e corsi a prendere la valigia, trascinandola nell’atrio. Poi, tornai indietro.
“Sto per andare via, Tanya.” annunciai, entrando ancora in cucina.
Mia cugina non si scompose e continuò a sorseggiare il latte.
“Sei stata sempre cattiva con me e bugiarda. Ma finalmente vado via e non sarò più costretta a sopportarti.” continuai.
Tanya continuava a non voltarsi e a non dire nulla. Feci il giro del tavolo e mi posi dinanzi a lei. Solo allora alzò gli occhi su di me.
“Voglio dirti addio, Tanya. E augurarti tutto il male possibile. Spero che nella vita tu soffra come hai fatto soffrire me. E che non trovi nessuno per aiutarti, nessuno.” dissi calma.
Sentivo di essere nel giusto. E volevo che lei soffrisse, lo volevo con tutta me stessa.
“Isabella, ma cosa dici!” mi rimproverò Kate. Le feci un gesto come a dire di lasciar perdere.
Ma, Tanya si era già voltata verso il camino, incurante delle mie parole.
“Isabella, dove sei?”
Riconobbi la voce del signor Blaine e mi affrettai a raggiungerlo, con Kate che mi seguiva.
“È ora di andare.” disse.
Mi voltai verso Kate e la strinsi forte.
“Buon viaggio. E sta attenta, mi raccomando.” mi salutò. Annuii sulla sua spalla e le diedi un bacio.
Presi la valigia e mi incamminai al fianco del signor Blaine. Quando fui sull’ultimo scalino, mi voltai indietro, ma non c’era nessuno, oltre Kate, venuto a salutarmi.
Continuai a camminare e mi fermai accanto alla carrozza. Il cocchiere caricò i bagagli e poi il signor Blaine salì, lasciando la portiera aperta. Mi issai con una spinta e richiusi la portiera. Prima di lasciare la casa di lady Carmen, mi sporsi dal finestrino e vidi distintamente l’ombra di mia zia far capolino da dietro le tende della sua stanza.
Fu un attimo, ma mi bastò per capire che stavo lasciando definitivamente casa Denali.
Stavo lasciando la mia prigione.







Note:
Salve :)
Ecco qui il terzo capitolo, finalmente! Non mi convinceva del tutto ma alla fine ho deciso di pubblicarlo così com'era: può sembrare un capitolo "di passaggio" ma lo scontro tra Isabella e sua zia, soprattutto le parole usate, ricorreranno poi più avanti nella storia, quindi era necessario incentrare un capitolo su questo conflitto. Stessa cosa per le parole pronunciate da Isabella nei confronti di sua cugina, torneranno ancora in seguito. Ciò per dire che ogni più piccola frase o scena sono necessari per comprendere poi ciò che accadrà in futuro, quando la storia si discosterà dall'impianto di ispirazione che è il libro di Jane Eyre.
Grazie a chiunque abbia letto fin qui e a 
chi ha inserito la storia tra preferite/seguite/ricordate; mi farebbe piacere avere anche un parere, una critica o un pomodoro in faccia (xD), giusto per capire se questa storia piace o no <3
Alla prossima!

Bacioni,Giraffetta


 

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Capitolo 5
*** #Quarto Capitolo ***



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Il viaggio durò a lungo. Per un po’ mi distrassi guardando fuori dal finestrino il paese che abbandonavo. Non mi ci ero recata spesso, ma mi piaceva: era piccolo e accogliente, al contrario della casa di lady Carmen, purtroppo.
Poi, il paesaggio mutò e le case basse e bianche lasciarono spazio alla campagna e a delle brulle colline grigie in lontananza. Così, per la maggior parte del tempo, dormii.
Il signor Blaine mi svegliò solo una volta per farmi mangiare dei tramezzini, dopodiché sprofondai ancora in un sonno calmo e senza sogni.
Mi sveglia da sola qualche ora dopo.
“Manca molto?” domandai, con la voce impastata. Sentivo le gambe pesanti e la schiena dolorante.
“Non molto. Dietro quell’altura inizia il viale che porta alla Blaine’s School, la tua nuova casa e scuola.” mi spiegò il signor Blaine.
Annuii e mi sporsi a guardare fuori. Si stava facendo buio, ma il cielo era ancora rischiarato da un acceso color arancio, che sembrava incendiare le nuvole.
Poco dopo distinsi chiaramente un grosso cancello e un viale alberato che portava verso un grosso edificio. Man mano che ci avvicinavamo potevo scorgere meglio la casa: era molto grande, con numerose finestre sulla facciata, alcune buie, altre debolmente illuminate.
La carrozza si fermò e, dopo essere sceso, il signor Blaine mi aiutò a mettere piede a terra.
“Eccoci arrivati! Benvenuta alla Blaine’s, Isabella.” disse, facendomi strada verso una porta di legno semi aperta. Entrai titubante e rimasi immobile, in attesa di istruzioni.
“Aspettami qui. Vado a chiamare la direttrice.” aggiunse, posando accanto a me la valigia e sparendo nel buio.
Trascorsero pochi minuti e vidi tornare il signor Blaine con una donna alta e dal viso severo.
“Ecco, questa è la direttrice, la signora Reitts. Ti accompagnerà alla tua stanza.” spiegò.
Guardai la donna, incuteva davvero timore.
“Buona permanenza, Isabella. Spero che ti comporterai bene, bambina.” mi salutò il signor Blaine.
Rimasta sola, mi voltai verso la direttrice.
“Bene. Isabella è il tuo nome, giusto?” mi domandò, squadrandomi dalla testa ai piedi.
“Sì, signora.” risposi pronta.
Volevo mostrarmi educata e umile, com’ero in realtà, e non rischiare di fare una brutta impressione anche nella mia nuova casa.
“Ottimo. Adesso le ragazze sono tutte occupate. Ne approfitteremo per parlare e per farti conoscere la tua nuova abitazione. Seguimi.” mi spiegò, socchiudendo gli occhi.
Deglutii a fatica. Quella donna non mi piaceva per niente e avevo il timore che fosse crudele come mia zia. Cercai di scacciare questi pensieri, mentre, con un passo traballante, la seguivo, trascinandomi dietro la mia valigia.
Entrammo in una grande stanza, con una grossa scrivania al centro, ingombra di carte e scartoffie di ogni genere.
“Questa è la mia stanza, la direzione.” spiegò la signora Reitts, accomodandosi su una poltrona dietro la scrivania.
Mi fece un cenno con la mano per farmi avvicinare e mi indicò una sedia.
“Siediti.”
Obbedii, sprofondando su una scomoda sedia di legno.
“Dunque, Isabella, spero che ti troverai bene qui. Questa è un’ottima scuola e ti darà una preparazione adeguata alle tue aspettative di vita.” spiegò, sempre fissandomi. Annuii, mordendomi un labbro.
“Imparerai non solo a leggere e a scrivere, ma studierai anche la matematica e le scienze, nonché il disegno e il cucito. Spero che sarai una brava allieva.”
“Sì, signora.” risposi debolmente.
In realtà, alla parola “disegno”, mi si erano illuminati gli occhi. Magari sarei riuscita a imparare davvero a disegnare, così da poter riprodurre gli splendidi disegni che avevo ammirato nei libri di mia zia.
“Adesso, vorrei esporti brevemente le nostre regole principali. Cerca di stare attenta.”
La voce della direttrice mi riportò alla realtà e subito drizzai le orecchie per sentire tutto ciò che diceva.
“Prima di tutto devi chiamarmi signora Reitts o signora direttrice e devi rivolgerti a me con rispetto.” Rimase in silenzio per alcuni istanti ed io annuii.
“Qui formiamo le donne del domani, donne umili, oneste e laboriose. Perciò, dovrai studiare e impegnarti al massimo, e avere un buon carattere, docile, paziente e gentile.” Annuii ancora, e la donna sorrise impercettibilmente.
“Dovrai sempre essere pulita e ordinata. Qui ci si lava con acqua fredda per temprare il fisico, perciò ti adeguerai di conseguenza. E i capelli vanno sempre tenuti raccolti nella cuffia, per non far sfoggio di vanità.” disse le ultime parole con la voce più severa, guardando i miei lunghi capelli sciolti.
“Infine, gli orari. La sveglia è alle sei e trenta del mattino e ci si prepara recitando le preghiere; alle sette colazione in sala mensa; alle sette e trenta iniziano le lezioni, che si interrompono alle dodici e trenta per il pranzo. Segue un’ora di svago, durante la quale si può leggere o stare all’aria aperta, se il tempo lo permette; alle due riprendono le lezioni, fino alle quattro. Seguono due ore per i compiti e dalle sei alle sette e trenta potrai occuparti di lavori manuali, quali il cucito. Segue la cena e la preghiera finale. Alle nove a letto, con la candela rigorosamente spenta. È tutto chiaro?” chiese infine.
Cercai di ricordare tutti gli orari che mi aveva indicato e annuii, sebbene fossi un po’ confusa.
“Bene. Non mi resta che mostrarti la scuola, prima di presentarti alle tue nuove compagne.” Si alzò e prontamente l’imitai, prendendo di nuovo la valigia. La seguii fino all’atrio e lì ci fermammo.
“Allora, questo è l’ingresso. Come hai già visto, lì c’è la mia stanza, mentre il corridoio a sinistra conduce alle cucine e agli alloggi della servitù.” spiegò, indicandomi vari spazi con un dito.
Annuii e rimasi zitta.
“Oltre la vetrata, dietro le scale, ci sono le aule. Te le mostrerò in seguito.” indicò una vetrata scura, posta dietro uno scalone di legno.
“Da questa scala, invece, si accede al primo piano, dove sono sistemate le varie stanze-dormitorio.” Si avvicinò all’ampio scalone e cominciò a salire. Subito la seguii, sempre con la valigia al seguito. Arrivammo a un’imponente balaustra sui cui lati si aprivano due corridoi.
“A destra, ci sono le stanze delle insegnanti e la mia camera personale. A sinistra, gli alloggi delle ragazze.” disse brevemente, incamminandosi verso sinistra. Aprì la seconda porta e mi fece cenno di entrare. Mi ritrovai in una grossa stanza, con una fila di letti a destra e a sinistra e un grosso armadio in fondo alla parete. Al centro, un lungo tavolo ospitava vari catini e bacinelle per lavarsi.
“Il tuo letto è l’ultimo in fondo a destra. Aspettami qui.” mi ordinò, sparendo dalla porta.
Mi incamminai lungo la fila di letti e ne contai cinque per ogni parete. Quindi, avrei dovuto dividere la camera con altre ragazze. Posai la valigia sul mio letto e notai che accanto a questo c’era un minuscolo comodino di legno con uno spazio per contenere una candela.
La direttrice rientrò in quel momento.
“Questa è la tua divisa. Togliti i vestiti e indossala.” impose.
Abituata a ubbidire subito, feci come mi aveva detto, osservando i nuovi abiti. La divisa consisteva in un vestitino blu con la gonna a pieghe, grosse calze di lana grigia, una cuffia per capelli grigia e una mantellina dello stesso colore dell’abito.
Mi spogliai in fretta e mi rivestii con cura, rimettendo i miei vestiti in valigia.
“Questa non ti servirà. La troverai qui.” La direttrice prese la mia valigia e la collocò nell’armadio, dove ne notai altre, impilate l’una sull’altra.
“Bene, il giro turistico è finito.” sentenziò. La fissai immobile e lei mi guardò accuratamente di rimando. Dopo aver stabilito che ero presentabile, parlò ancora.
“Adesso possiamo scendere in aula, così potrai conoscere le tue compagne. Vieni.”
Seguii la direttrice e mi ritrovai di nuovo nell’atrio. Questa volta, oltrepassammo la vetrata dietro le scale e ci trovammo su un piccolo pianerottolo su cui si affacciavano due porte. Ne aprì una, dopo aver bussato decisa, e mi spinse dentro.
Immediatamente il sommesso brusio che aveva riempito lo spazio fino a quel momento cessò e varie teste si voltarono nella mia direzione. Deglutii intimorita e non mi mossi.
“Ragazze, un attimo di attenzione prego.” La direttrice avanzò fino alla cattedra e la seguii titubante, tenendo la testa bassa. Mi prudeva la testa a causa della massa di capelli imprigionata nella cuffia, ma non osai toccarmi, concentrando lo sguardo al pavimento.
“Miss Humbie, ragazze, questa è Isabella Swan, una nuova allieva. Datele il benvenuto.” sentenziò la signora Reitts.
Tutte le ragazze si alzarono in piedi automaticamente e parlarono in coro.
“Buongiorno e benvenuta Isabella.”
Alzai lentamente la testa e abbozzai un sorriso, cercando di scorgere tra quel mare di volti una faccia amica. C’erano circa una trentina di ragazze, tutte sedute su grosse panche di legno e con in grembo una lavagnetta o un libro.
“Per oggi, Isabella, assisterai allo svolgimento della lezione. Da domani inizierai a studiare anche tu. Ti spiegherà tutto Miss Humbie, la tua insegnante.” mi informò la direttrice, prima di uscire dall’aula.
“Vieni, Isabella.” Sentii una voce dolce e sommessa chiamarmi e mi voltai.
Miss Humbie, una giovane ragazza con grandi occhi neri e una lunga treccia castana, mi indicò una bassa seggiolina accanto alla cattedra ed io mi affrettai a sedermi.
“Ragazze, continuate i vostri esercizi. Li controlleremo insieme tra qualche minuto.” si rivolse alla classe. Poi, si sedette accanto a me.
“Dunque Isabella, spero che ti troverai bene qui. Io sarò la tua insegnante e loro saranno le tue compagne.” mi disse. Aveva una voce piacevole e un sorriso rassicurante.
“Qui ci sono due classi: una dove insegno io e un’altra dove insegna Miss Stetton.” continuò a spiegare. Annuii col capo e mi rallegrai di avere lei come mia insegnante.
“Adesso, ti darò una lavagnetta e il tuo libro di studio. Ogni volta che finisce la lezione, dovrai riporli in quell’armadio laggiù.” mi indicò un grosso armadio in fondo all’aula. Annuii ancora, guardandola alzarsi e andare a prendere i miei materiali. Ritornò con la lavagnetta, un pezzo di gesso, un libro e una matita.
“Ecco a te.” disse, ponendomeli in grembo. Poi, si voltò alla classe e iniziò a spiegare qualcosa. Notai che era molto calma e che si prodigava per far capire a tutte ciò che spiegava. Rispondeva a tutte le domande e non alzò mai la voce.
Il tempo trascorse velocemente e all’improvviso sentii suonare una campanella.
“Le lezioni dono finite.” mi spiegò Miss Humbie.
Mi alzai, non sapendo cosa fare. L’orario che mi aveva indicato poco prima la direttrice sembrava essersi volatilizzato dalla mia mente.
“Adesso, ti assegnerò un piccolo esercizio di scrittura e ti unirai alle altre ragazze nella sala grande per fare i compiti.” mi avvisò Miss Humbie. Prese un foglio e iniziò a scarabocchiare qualcosa sopra, mentre le ragazze uscivano dall’aula.
“Ecco, queste sono le lettere dell’alfabeto. Cerca di ricopiarle come te le ho scritte. Se hai problemi, puoi chiedermi aiuto, io sarò in sala con voi.” mi spiegò sorridendo.
Presi il foglio con mano tremante: finalmente avrei imparato a scrivere e a leggere!
Miss Humbie si alzò e la seguii fino alla sala comune. Era una sala molto grande, con molti tavoli e panche al centro, a formare una lunga fila, e una cattedra all’estremità. Seduta alla sedia c’era una donna non molto vecchia, ma dal viso duro e spigoloso.
Miss Humbie si avvicinò e mi spinse avanti.
“Miss Stetton, lei è Isabella, la nuova alunna.”
Miss Stetton mi fissò accuratamente e poi mi fece cenno di andare a sedere. Incoraggiata dal sorriso di Miss Humbie, iniziai a camminare lungo la fila di tavoli, in cerca di un posto.
“Ehi, qui è libero.”
Una voce sussurrata mi fece voltare a destra. Scorsi una ragazza, sicuramente più grande di me, con occhi piccoli e un ciuffo di capelli neri che le ricadeva sulla fronte, che mi indicava il posto accanto al suo. Mi mordicchiai un labbro e decisi di sedermi, appoggiando il foglio e la matita sul tavolo.
La ragazza sorrise e mi porse la mano.
“Io sono Angela.” sussurrò. Strinsi la sua mano. Era calda e un po’ dura, callosa.
“Isabella.” dissi a voce bassa. Annuì, come se lo sapesse già.
“Angela Weber!”
Una voce aspra mi fece sobbalzare e contemporaneamente anche Angela scattò in avanti.
“Quante volte devo ripetere che devi studiare in silenzio? Ancora una parola e ti caccio fuori!” continuò la voce.
Vidi Angela stringere le labbra e abbassare la testa. Mi sporsi dal tavolo e capii che era stata Miss Stetton a parlare in quel modo. Deglutii un paio di volte e poi mi arrischiai a parlare di nuovo.
“È la tua insegnante?” bisbigliai. Angela annuì piano.
“Quanti anni hai?” continuai curiosa.
“Quindici.” sussurrò.
Spalancai gli occhi.
“Io dieci, tra poco undici.” ammisi. Angela mosse le labbra per rispondermi ma una voce la bloccò.
“Angela Weber! Esci subito fuori!” urlò Miss Stetton.
Angela sobbalzò di nuovo e strinse le labbra, sbiancando. Si alzò immediatamente e si avviò alla porta.
“Un momento.” gridai.
Tutte le teste si girarono a guardarmi. Mi alzai in piedi e guardai Miss Stetton, deglutendo piano.
“Sono stata io a parlare, non lei.” spiegai. Sentivo le gambe molli, ma non volevo che Angela fosse cacciata per una mia colpa.
La donna assottigliò gli occhi e mi guardò male.
“Stai zitta, Isabella. E rimani seduta.” mi intimò.
Guardai Miss Humbie e lei, con un cenno del capo, mi fece capire di fare come mi era stato detto.
“Angela!” richiamò Miss Stetton. Mi voltai a guardarla e per un attimo scorsi l’ombra di un sorriso rivolta verso di me.
“Siccome importuni anche le nuove arrivate, meriti una piccola punizione. Avvicinati e tendi le mani.” continuò acida. Sussultai terrorizzata. Per colpa mia, Angela sarebbe stata punita ancora più duramente. Mi morsi la lingua per il dispiacere, mentre vedevo Angela avvicinarsi seria alla cattedra, le mani tese in avanti.
Miss Stetton prese una leggera canna e con un sorriso divertito colpì ripetutamente i palmi della ragazza. Vidi Angela stringere le labbra e non emettere nemmeno un sibilo, mentre io sicuramente sarei scoppiata in lacrime di fronte ad una simile umiliazione.
Poi, mi ricordai di quando avevo stretto la sua mano poco prima: mi era parsa callosa, ruvida. Evidentemente, non era nuova a quel tipo di punizione.
Mentre nell’aria vibrava l’ultimo colpo di canna, istantaneamente pensai a Lady Carmen e alle sue frustate. Rabbrividii, cercando di scacciare quei pensieri dalla testa.
“Ora puoi uscire.”
La voce di Miss Stetton mi riportò alla realtà e vidi Angela uscire a testa bassa, richiudendo la porta.
“Continuate i vostri compiti.” tuonò ancora Miss Stetton, posando la canna e tornando a sedersi.
Cercai di concentrarmi sul mio lavoro e ricopiai due volte la fila di lettere tracciata da Miss Humbie.
In cuor mio però non ero tranquilla e speravo di avere presto l’occasione di scusarmi con Angela. Se non avessi parlato, Miss Stetton non l’avrebbe punita in quel modo.
Alla fine, un altro suono di campanella, ci avvertì che l’orario dei compiti era finito. Portai il mio lavoro a Miss Humbie, che sorrise.
“Bene Isabella. Continueremo domani. Ora riponi il tuo lavoro nell’armadio.” disse.
Mi affrettai a seguire le ragazze e riposi le mie cose nell’armadio, in uno spazio riservato a me, tramite una targhetta. Poi, le seguii di nuovo nella sala grande. Qui, ognuna prese da un grosso baule, il proprio lavoro di cucito e iniziò a lavorare.
Rimasi impacciata sulla porta. Miss Humbie se ne accorse e mi venne vicino.
“Vieni qua, Isabella. Ti insegno i primi passi del cucito.” disse dolce, e subito mi illuminai, seguendola.
Passai il tempo piacevolmente, guidata da Miss Humbie, che mi spiegò tutto con pazienza. Ogni tanto, gettavo qualche occhiata alla sala, ma non vidi Angela e supposi che fosse ancora in punizione.
Quando anche l’ora del cucito finì, ci spostammo nella sala accanto, che era usata come mensa.
Avevo una fame tremenda, ma le mie aspettative fallirono quando vidi portare in tavola una caraffa d’acqua e una semplice ciambella d’avena. Inghiottii la mia fetta avidamente e bevvi un sorso d’acqua, sentendo lo stomaco brontolare ancora per la fame.
Infine, ci alzammo tutte insieme e recitammo una preghiera di ringraziamento per le belle cose avute durante la giornata. In realtà, rimasi a bisbigliare tutto il tempo della preghiera perché non la conoscevo, ma fortunatamente non se ne accorse nessuno.
Finito di pregare, Miss Humbie e Miss Stetton ci accompagnarono al dormitorio e ci augurarono la buona notte. Filai dritta al mio letto e, imitando le ragazze, presi una camicia da notte bianca da sotto il cuscino, indossandola rapidamente.
Mi ficcai sotto le coperte e, stravolta per tutte le nuove emozioni della giornata, scivolai in un sonno profondo, ricordandomi all’ultimo secondo di non aver chiesto ancora scusa ad Angela. Ci avrei pensato l’indomani.





Note:
Lo so, sono in tremendo ritardo e mi dispiace >.< Purtroppo l'università mi risucchia totalmente, sono sempre in facoltà a seguire i corsi oppure da qualche parte a studiare, quindi non trovavo mai un po' di tempo per mettere a posto il capitolo e pubblicarlo! Oggi, però, mi sono ritagliata apposta del tempo e quindi eccoci qua :) 
In questo capitolo Isabella ha fatto conoscenza con due figure fondamentali per il suo percorso: con la sua insegnante, Miss Humbie (meno male che non le è toccata Miss Stetton xD) e con Angela, che nel romanzo di Jane Eyre aveva il nome di Elena Burns, miglior amica di Jane nella sua scuola/riformatorio.
Spero che la storia piaccia e continui a piacere e ringrazio tanto chi legge, chi la inserisce tra preferite/ricordate/seguite e chi adorabilmente decide di spendere un po' del suo tempo per lasciarmi due righe di recensione <3 Grazie davvero <3 
Alla prossima!

Bacioni,Giraffetta

 

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Capitolo 6
*** #Quinto Capitolo ***




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Mi svegliai di soprassalto. Sentivo un insistente trillo perforarmi le orecchie e mi coprii con forza la testa col cuscino. Forse, potevo di nuovo riaddormentarmi.
Il trillo però non cessò.
Sbuffando, mi tirai su di scatto e notai le mie compagne di stanza alzarsi silenziose e iniziare a prepararsi. Strizzai gli occhi varie volte e mi decisi a imitarle, alzandomi e recandomi verso uno dei catini. L’acqua era gelida, ma non ci badai e mi lavai in fretta, vestendomi con la divisa. Rifeci il letto e, seguendo le altre, scesi in sala mensa.
Aspettavo una colazione quanto meno sostanziosa, ma quando vidi arrivare una misera brocca di latte e una ciambella identica a quella della sera precedente, sentii lo stomaco stringersi dolorosamente. Inghiottii la mia parte con voracità e mi azzardai a guardarmi intorno.
A un tavolo, scorsi finalmente Angela. Aspettai che si alzassero tutte e mi affiancai a lei.
“Ciao.” dissi timidamente.
Si voltò e ricambiò il mio saluto con un sorriso.
“Volevo scusarmi per ieri. È stata colpa mia se Miss Stetton ti ha punito in quel modo.” ammisi contrita.
Angela si fermò di scatto.
“Bella, non pensare nemmeno una cosa del genere. Miss Stetton mi tratta così per il mio bene, per correggere il mio comportamento errato. Non è affatto colpa tua.” mi rassicurò sorridendo. Non capii bene cosa ci fosse stato di errato nel suo comportamento, ma sorvolai sulla questione.
Riprendemmo a camminare e ripensando alle sue parole, sorrisi.
“Mi hai chiamato Bella.” sussurrai.
Si voltò nuovamente e sorrise.
“Spero non ti dispiaccia. Penso che ti si addica di più.” costatò. Annuii imbarazzata.
Non mi sentivo “bella”, ma potevo provarci.
“Ora devo andare a lezione o Miss Stetton mi punirà per il ritardo. Ci vediamo a pranzo.” mi sussurrò, prima di sparire dietro la porta della sua aula. Non ebbi il tempo di rispondere e proseguii verso l’aula di Miss Humbie.
La mattinata passò veloce e cercai di applicarmi in tutti i modi per imparare l’alfabeto, così da far contenta la mia insegnante.
“Bene, Isabella. Stai facendo molti progressi e credo che in breve tempo imparerai a leggere e scrivere correttamente.” mi incoraggiò a lavoro finito. Sorrisi raggiante: adoravo Miss Humbie, era dolce e gentile e non si spazientiva mai.
A pranzo ricevemmo una scodella di riso e del pane bianco. Mangiai in fretta, girandomi da ogni parte per cercare di scorgere Angela, ma non ci riuscii. All’ora dello svago ci fu permesso di uscire fuori in giardino. E fu sotto un abete che vidi la mia amica intenta a leggere. Mi avvicinai titubante e rimasi in piedi di fronte a lei.
In quel momento, alzò gli occhi e sorrise.
“Oh, ciao Bella. Siediti pure.” Battè una mano sull’erba, accanto a lei. Mi accoccolai vicino alle sue gambe e la osservai riprendere la lettura.
Mi voltai a guardare le altre ragazze e le vidi disperdersi in vari gruppi o fermarsi a sedere ciascuna sotto un albero o vicino a un’aiuola. Solo Angela ed io eravamo in disparte e nessuno si avvicinò per farci compagnia. Da una parte me ne dispiacqui, ma dall’altra fui felice, perché avrei potuto parlare da sola con Angela.
“Non ti ho vista a pranzo.” buttai lì poco dopo. Distolse gli occhi dal libro e annuì.
“Non ho pranzato.” ammise candidamente. Spalancai gli occhi.
“Perché?” chiesi di getto. Mi sembrava impossibile che avesse saltato il pranzo di proposito.
“Miss Stetton ha deciso di non farmi mangiare perché in classe non ho risposto bene a una sua domanda. Me lo meritavo.” spiegò. La guardai incredula.
Per una risposta sbagliata, era stata costretta a saltare il pranzo e ora ammetteva che tutto ciò era stato giusto? Non la capivo.
“Angela, ma non è giusto. Non farti mangiare è una cattiveria bella e buona.” costatai. Sorrise e richiuse il libro.
“No, Bella. Miss Stetton sa quali metodi usare per correggermi. In questo modo, la prossima volta, saprò di dover studiare meglio.” disse calma.
La guardai a lungo e non mi capacitai di tanta rassegnazione e umiltà. Sarei dovuta diventare anch’io così? Remissiva e pronta a subire senza obiettare? Mi sembrava impossibile.
“Non capisco.” dissi scuotendo il capo. Sorrise malinconica.
“Lo so. Molti non capiscono.” ammise.
“Ma se me lo spieghi, posso cercare di capire.” continuai. Sospirò pesantemente.
“Vedi, Bella, io non mi lamento mai. E non perché non ne sono capace, ma perché mi sembra inutile.” confessò. La guardai ancora più confusa. In fondo, io mi lamentavo e ribellavo di continuo, sia dentro di me che fuori.
Ripensai con un brivido alle parole che avevo rivolto a lady Carmen prima della mia partenza, erano state parole dure, ribelli, ma sensate. Io dovevo ribellarmi, dovevo parlare.
Era giusto farlo.
“Come fai, allora, a mantenerti calma? Io non ci riuscirei.” dissi. Mi sfiorò una guancia con la mano, aggiustandomi una ciocca di capelli nella cuffia.
“Questo non lo so. O meglio, credo di essere nata con questo spirito. Credo che sia giusto correggerci durante la nostra vita terrena, così da riuscire a raggiungere un barlume di perfezione per accedere al Paradiso.” spiegò. Spalancai la bocca, sorpresa. Angela mi guardò e scoppiò a ridere sonoramente.
“Bella, so che è difficile da comprendere. Cercherò di essere più chiara.” Annuii e la fissai seria.
“La nostra vita terrena è solo una piccola parte della nostra esistenza. E dovremmo usare questo tempo per correggerci, così da crescere sani e forti nello spirito.
Le parole cattive o le punizioni sono strumenti che aiutano la nostra anima a migliorarsi.
Pensa al dopo, alla vita eterna: ti piacerebbe vivere per sempre sapendo che la tua anima è cattiva e piena di difetti? A me no.
Meglio subire adesso, per poco tempo, che vivere un’eternità di dolore. Io vivo seguendo questa credenza, cercando di trarre profitto dalle punizioni ed evitando che il mio cuore si riempia di odio e ribellione. Io vivo pensando al dopo.” concluse, perdendosi poi nei suoi pensieri.
Rimasi a fissarla con venerazione. Non capivo fino in fondo le sue parole, ma sentivo che Angela era un’anima speciale, destinata alla rassegnazione, e perciò eletta. Per un attimo desiderai abbracciare la sua credenza, diventare come lei, ma capii che mi era impossibile: il mio cuore era già stato contaminato da odio e ribellione e non avrei potuto mai perdonare mia zia e vivere in pace.
L’ora di libertà passò veloce tra altre mie domande e le altre risposte di Angela e alla fine mi ritrovai di nuovo con Miss Humbie per le lezioni pomeridiane. Anche quel pomeriggio mi applicai con costanza e sentivo ormai di aver già appreso buona parte dell’alfabeto. Presto sarei stata in grado di leggere un libro da sola, e poi di scrivere. A quei pensieri, sorrisi felice.
Solo in sala comune rividi finalmente Angela, già china su di un libro, ma mi sedetti un po’ lontano da lei per evitare di parlarle e farle avere una nuova punizione. Sembrò capire il mio gesto e mi sorrise, tornando a concentrarsi poi sul suo lavoro.
Nonostante la vedevo intenta a studiare, più volte Miss Stetton la rimproverò duramente: una volta perché aveva una pagina del libro sgualcita, un’altra perché stava troppo curva sul tavolo, un’altra ancora perché le sue matite non erano perfettamente in ordine. E ogni volta vedevo Angela stringere le labbra e cercare di porre rimedio all’errore, sempre senza dire una parola o emettere un sospiro.
Mi sembrava che Miss Stetton traesse piacere nel mortificare quella ragazza, nell’umiliarla e sgridarla di continuo. E, nonostante ad Angela tutto ciò stesse bene, dentro di me sentivo che non era giusto.
Avrei voluto ribellarmi al suo posto, rispondere male a Miss Stetton, e dovetti mordermi la lingua
per non mettere in atto un simile proposito. Fortunatamente le ultime ore finirono in fretta e solo
all’ora di cena potei sedermi nuovamente vicino ad Angela.
“Ciao.” la salutai.
“Ciao a te. Com’è andato il pomeriggio?” mi chiese premurosa. Feci spallucce.
“Normale. Sto imparando molto grazie a Miss Humbie. È buona con me.” ammisi. Annuì e si voltò a guardare la mia insegnante, seduta all’altro lato della sala.
“Sì, Miss Humbie è molto buona, è buona con tutti.” commentò.
Volevo farle ancora qualche domanda, sapere se stava bene dopo l’orrendo pomeriggio che aveva avuto a causa di Miss Stetton, ma l’arrivo della zuppa dissolse tutte i miei pensieri. Mi gettai sul cibo con impazienza, quasi strozzandomi.
“Ehi! Affamata, eh?” commentò ridendo Angela, mentre sorseggiava cauta la sua cena. Non le risposi, ma cercai di moderarmi, nonostante la fame.
La verità era che lì si moriva di fame. Il cibo era poco e veniva servito solo tre volte al giorno, a colazione, a pranzo e a cena. Non c’erano merende né porzioni in più. L’avevo chiesto ad Angela, durante la conversazione pomeridiana, e come sempre mi aveva risposto esaurientemente.
In realtà la Blaine’s non era una scuola “normale, era una scuola per orfane e povere. C’era chi aveva dei parenti, che pagavano una specie di retta mensile, e chi invece viveva lì per carità. Tale carità era elargita dai ricchi possidenti che abitavano in zona e che ogni domenica si recavano a turno alla scuola, lasciando generose donazioni.
Era ovvio però che tutti i soldi che si raccoglievano non bastavano per vestiti, cibo e materiale scolastico. Così, alla Blaine’s si faceva molta economia e poco importava se noi ragazze fossimo sempre affamate.
Avevo appreso tali notizie con dispiacere, ma mi ero ben presto rassegnata. Di più, non si poteva fare e d’altronde io stessa riconoscevo in me un’orfana. Patire la fame alla Blaine’s era cento volte meglio che subire le cattiverie di lady Carmen e Tanya.
Mi riscossi dai miei pensieri solo quando sentii del trambusto. La cena era finita e dovevamo tornare nelle nostre camere. Salii con Angela al piano superiore e scoprii che la sua stanza era a sole due porte dalla mia.
“Bene, Bella. Buonanotte.” mi salutò.
“Buona notte.” ricambiai. 
Entrai in camera e mi gettai sul letto vestita, scivolando ben presto in un sonno senza sogni.





Note:
Salve! :)

Lo so, sono veramente in ritardo, stavolta >.< 
È passato un mese dall'ultimo aggiornamento, ma purtroppo sono stata impegnatissima con l'università, tra prove intercorso e conferenze! Sono riuscita solo oggi a trovare un po' di tempo, prima di essere rapita dalle feste di Natale e dallo studio (maledetti esami di gennaio e.e).
In questo capitolo, Bella ha iniziato a conoscere meglio Angela e la "sua" visione del mondo, che è ripresa da quella che aveva Elena Burns, migliore amica di Jane Eyre, nel romanzo della Bronte! Ho sempre trovato affascinante questa personalità "sottomessa", essendo io, come Bella e come Jane, più incline a ribellarmi, e quindi ho voluto inserire anche nella mia storia questa caratteristica.
Col prossimo capitolo faremo un piccolo salto temporale di qualche mese e vedremo Bella più ambientata in questa scuola per orfani!
Ci tengo a ringraziare tutti quelli che continuano a seguire la storia, ad aggiungerla a preferite/ricordate/seguite e a chi trova un minuto da spendere per lasciarmi un parere, ci tengo davvero molto! <3
Ne approfitto per augurarvi Buon Natale e anche Buon anno nuovo e tanta tanta felicità :)
Alla prossima!
(Spero di riuscire ad aggiornare un po' più spesso! :))

un bacione, Giraffetta



 

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Capitolo 7
*** #Sesto Capitolo ***




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Erano passati tre mesi. Tre lunghi mesi in cui avevo imparato a mettere da parte me stessa e a vivere come un automa. Il cibo scarso, l’acqua fredda, le punizioni, il clima rigido sembravano non scalfirmi più di tanto, come se si fossero insinuati sotto la mia pelle, rivestendomi con una corazza.
Le uniche cose positive erano la dolcezza di Miss Humbie e l’amicizia con Angela. Ormai eravamo diventate inseparabili, la consideravo la mia sorella maggiore e la mia guida personale.
Era lei che mi confortava se qualcosa andava male; era lei che asciugava le mie lacrime quando pensavo ai miei genitori; era lei che mi stringeva forte quando le raccontavo della crudeltà di lady Carmen e di sua figlia. Ed era ancora lei a spronarmi a studiare e a migliorare me stessa, per diventare un giorno una brava e buona donna.
Dal canto suo, Angela non si lamentava mai e continuava a ricevere punizioni su punizioni senza battere ciglio. Ammiravo la sua forza d’animo e la sua tenacia, mentre io sentivo sempre il sangue ribollirmi nelle vene ad ogni accenno di angheria.
Ormai eravamo arrivate al sabato pomeriggio di quella infinita e monotona settimana, ancora poche ore e finalmente ci sarebbe stata la tanto agognata giornata di riposo, in cui io e Angela ci divertivamo a raccontarci storie fantastiche e a disegnare, godendoci i pochi sprazzi di libertà che ci riservava la Blaine’s.
Ero diventata piuttosto brava nel disegno, soprattutto con la tecnica dell’acquarello e del carboncino, e mi riusciva facile riportare su carta i personaggi e le immagini che la mia mente creava.
Era però da alcune sere che, di nascosto, Angela si intrufolava nella mia stanza e posava per me come modella. Da quando l’avevo vista di sfuggita con i capelli sciolti sulle spalle, avevo provato il forte desiderio di farle un ritratto. Avevo visto che aveva i capelli lunghi fino alle anche, neri e lucenti, perfettamente lisci e l’avevo supplicata di permettermi di ritrarla come se stessa, non come una studentessa della Blaine’s.
Così, la sera, dopo lo spegnimento delle candele, Angela scivolava furtiva nella mia stanza e, rischiarata da un moccoletto dietro il mio letto, si lasciava ritrarre per un’ora buona. In realtà, era capitato due volte che ci perdessimo in chiacchiere senza concludere nulla, ma quella sera ero convinta di poterle finalmente mostrare il disegno. Mancavano solo alcuni particolari, qualche ombreggiatura, e poi avrei potuto ritenermi soddisfatta del risultato.
Dopo la cena, e dopo i numerosi rimbrotti di Miss Stetton ad Angela, ci eravamo ritirate nelle nostre stanze e, come al solito, io e la mia amica ci eravamo salutate con il nostro segnale segreto: l’occhiolino. Mi piaceva l’idea che avessimo un rituale tutto nostro, un piccolo gesto intimo e segreto.
In camera, mi affrettai a mettermi la camicia da notte e a nascondere sotto il letto i fogli e il carboncino, sottratti entrambi di soppiatto dall’aula di disegno, e aspettai il segnale per spegnere la candela. Due colpi alla porta mi indicarono che era tempo di dormire e prontamente io e le mie compagne di stanza spegnemmo le candele, infilandoci a letto.
Nella semi oscurità rimasi con gli occhi sbarrati fissi sulla porta, in attesa del segnale. Dopo vari minuti, udii un leggero grattare sul legno, a cui risposi con un suono simile, raspando sul comodino con le mie unghie corte e mangiucchiate, e immediatamente vidi la snella figura di Angela scivolare dentro per uno spiraglio della porta e dirigersi verso il mio letto.
Saltai giù e accesi freneticamente il moccoletto con uno degli ultimi cerini rimasti, nascondendolo in una cavità del muro. Angela si sedette accanto a me, i lunghi capelli raccolti su una spalla.
“Anche stasera tutto liscio!” bisbigliò piano, lanciandomi un’occhiata divertita. Annuii e recuperai fogli e carboncino, apprestandomi a concludere l’opera. Angela si sedette meglio, aggiustandosi i capelli e chiudendo le braccia sulle ginocchia.
Fissai la mia amica e iniziai a riportare sul foglio i particolari mancanti: la fossetta sul mento, le lunghe ciglia degli occhi e il piccolo neo sulla guancia sinistra. Spesso mi incantavo a fissarla e poi mi riscuotevo piano, come punta da un’ape, e riprendevo il lavoro.
“Manca ancora molto?” sussurrò ad un certo punto Angela.
Scossi la testa, la lingua stretta tra le labbra e il carboncino che definiva le ultime linee dei capelli.
Infine, terminai l’opera. Guardai ancora una volta il disegno, confrontandolo con la copia reale, e tremante lo feci scivolare davanti ad Angela.
Lo guardò curiosa, rimanendo con la sua solita espressione assorta, senza dire nulla. Rimasi in silenzio, il cuore palpitante, in attesa di un cenno, una parola.
Infine, mi arrischiai a parlare.
“Ti piace?” bisbigliai timidamente.
Angela si riscosse e mi guardò sorridendo.
“Oh, Bella! Mi hai fatto ancora più bella di quello che sono. Mi piace molto. Moltissimo.” bisbigliò.
Scossi la testa imbarazzata, e le gettai le braccia al collo, felice.
In quel momento, la porta della camera si spalancò di botto e un’alta figura nera con un lume in mano fece il suo ingresso.
“Angela Weber!” tuonò Miss Stetton.
La mia amica si irrigidì ed entrambe alzammo la testa di scatto, sciogliendoci dal nostro abbraccio. Contemporaneamente, tutte le ragazze della stanza sussultarono e si svegliarono spaventate.
“Angela Weber.” ripetè Miss Stetton, avvicinandosi lentamente al mio letto. Deglutii un paio di volte, mentre Angela si rimetteva in piedi a capo chino, pronta per ricevere una punizione.
Miss Stetton si sporse su di me e raccattò da terra il mio disegno. Lo guardò con scherno e poi lo mise dinanzi al viso di Angela.
“Così, per una stupida idea di vanità, te ne vai in giro di notte, penetrando nelle stanze altrui, Angela.” le sputò contro.
La mia amica non alzò gli occhi, rimanendo immobile.
“Per uno stupido ritratto, per esaltare il tuo egoismo, trasgredisci alle regole. Allora, dovrò insegnarti meglio l’educazione.” sibilò, prendendola per un braccio e trascinandola fuori.
Non ci pensai due volte e mi precipitai dietro di loro, timorosa di quello che sarebbe potuto accadere.
Miss Stetton trascinò Angela fino alla sala comune e lì la lasciò andare di malo modo. Nel mentre, era accorsa Miss Humbie e, notandomi correre dietro la mia amica, mi aveva raggiunta e ora eravamo entrambe sulla soglia della stanza, ferme e in attesa.
“Come devo ripetertelo, devi smetterla di disubbidire! Anche un ritratto, adesso, un ritratto! E con i capelli sciolti!” imprecava intanto Miss Stetton. Dal canto mio, tremavo e singhiozzavo, addossandomi a Miss Humbie.
“È stata colpa mia!” esclamai tra le lacrime.
Miss Stetton si voltò furiosa e fece schioccare la lingua.
“Isabella.” sibilò irata.
Miss Humbie mi strinse più a lei, ma mi divincolai, raggiungendo Angela al centro della sala e cingendola con un braccio.
“Sono stata io a chiedere ad Angela di farsi il ritratto con i capelli sciolti. È colpa mia, non sua.” continuai. Miss Stetton mi guardava arrabbiata, stringendo ancora il mio disegno tra le mani.
“Miss Humbie.” sussurrò irritata.
Subito, la mia insegnante si materializzò dietro di me, abbracciandomi.
“Isabella è una sua allieva e spetta a lei vigilare sulla sua educazione. Per quanto riguarda Angela Weber, per me è colpevole e come tale va punita.” pronunciò, guardandomi negli occhi.
Sentivo le lacrime rigarmi le guance, mentre Miss Humbie cercava di trascinarmi via. Arrivai solo vicino alla porta e lì mi bloccai. Volevo vedere cosa sarebbe accaduto alla mia amica.
“Bene, Angela. Credo che dovremmo smorzare il tuo ego a favore di un po’ di umiltà.” sibilò Miss Stetton.
Prese il disegno e senza pensarci due volte lo strappò in più pezzi, gettandoli ai piedi di Angela. Fremetti e mi sentii come se mi avessero strappato il cuore in quel modo. Angela, però, rimaneva muta, immobile, come morta.
“E ora, occupiamoci della vera punizione.” minacciò Miss Stetton. Tremai ancora.
Non era già quella una dura punizione? Essere trattate come nullità?
Vidi l’insegnate avvicinarsi a un armadio e tirarne fuori qualcosa di brillante. Si avvicinò ad Angela e le si piantò di lato.
“Abbassa la testa!” sibilò dura.
Angela obbedì e solo in quel momento vidi cosa aveva in mano Miss Stetton: un paio di grosse forbici, di quelle che utilizzavamo per tagliare la stoffa da cucire.
Mi lanciai in avanti, urlando decisa.
“No!”
Nessuno mi diede ascolto e Miss Humbie cercò di abbracciarmi per non farmi vedere, ma volsi la testa, piangendo.
Miss Stetton ghermì la chioma di Angela nella mano e con colpi decisi iniziò a tagliare. Pochi minuti e ai piedi della mia amica si formò un ammasso lanuginoso.
“Ecco fatto.” Miss Stetton sorrideva sadica, mentre Angela si rimetteva dritta, i capelli ridotti a poche ciocche informi sulla testa.
“Ora puoi andare, Angela. E impara tale lezione come segno di umiltà.” sibilò ancora Miss Stetton.
Angela non fece una piega e si avviò a passi lenti fuori dalla stanza, passandomi accanto.
Sempre stretta a Miss Humbie la seguii e, quando fummo sul corridoio delle nostre stanze, mi divincolai dalla mia maestra e corsi verso di lei. L’abbracciai forte, singhiozzando contro il suo petto.
“Angela, è colpa mia. È colpa mia.” cantilenavo con versi strozzati.
Angela mi strinse, baciandomi i capelli e sussurrandomi parole dolci. La guardai in viso, non una lacrima usciva dai suoi occhi. Sorrideva serafica.
“Andiamo a letto, Bella.” sussurrò dolce. Mi spinse verso la mia porta e dopo un ultimo sorriso sparì  nella sua stanza.
Rimasi in corridoio immobile, tremante, finchè Miss Humbie non mi prese in braccio. Mi abbandonai tra le sue braccia e lasciai che mi posizionasse a letto e mi coprisse, sussurrandomi parole indistinte e facendomi scivolare in un buco nero.





Note:
Salve! *scansa i pomodori*
Anche stavolta sono davvero in ritardo >.< Purtroppo avevo un esame tosto e mi sono dedicata solo allo studio, ma ora che è archiviato, sono corsa ad aggiornare! :D 
Questa volta c'è stato un piccolo salto temporale di qualche mese e troviamo Bella ormai ambientata alla Blaine e sempre più amica di Angela. L'episodio della "punizione" e del taglio dei capelli mi ha sempre fatto un certo effetto (specie nel film del 1997!) e quindi ho cercato di riportarlo in tutta la sua "drammaticità" (?)
I prossimi due capitoli saranno abbastanza pesantucci come questo, ma sto cercando di inserire tutte le "scene-chiave" del libro "Jane Eyre" e rapportarle poi alla storia futura di Bella, quando appariranno anche i Cullen.
E niente, ringrazio tutte le persone che son arrivate a leggere fin qui, quelle che inseriscono la storia tra seguite/preferite/ricordate e chi spende un minuto del suo tempo per farmi felice e lasciarmi un parere <3 
Alla prossima!

un bacione, Giraffetta

 

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