Total Drama: The Snowfall

di Alyeska707
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il falò ***
Capitolo 3: *** Stelle e neve ***
Capitolo 4: *** Secondo giorno ***
Capitolo 5: *** Fiamme ***
Capitolo 6: *** Domande ***
Capitolo 7: *** Attriti ***
Capitolo 8: *** Urla! ***
Capitolo 9: *** Visioni ***
Capitolo 10: *** Inferiorità, invisibilità, stanchezza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Total Drama: The snowfall
 
Prologo
 
Si protese, Courtney, fino a sfiorare con la punta del naso il vetro freddo della sfera. Quindi sorrise beffarda, in un ghigno che niente aveva di rassicurante, anzi; appariva vagamente folle, pericoloso.
La vita di una nobile può apparire tanto monotona e noiosa, a volte… Courtney voleva trovare un rimedio alla solitudine che la circondava. Chissà, magari facendosi nuovi amici. Ma in che modo? Chi mai avrebbe accettato di diventarle amico? Lei non era esattamente una persona raccomandabile, sana; i lati del suo scrupoloso carattere avevano margini folli. Avrebbe potuto rapirli, i suoi amici, imprigionarli magari, almeno non sarebbero potuti scappare. In tale modo avrebbe potuto vivere su esistenze altrui; le avrebbe potute osservare e analizzare, modificare, studiare attentamente. Poi, se un amico l’annoiava, avrebbe tranquillamente potuto eliminarlo.
Si alzò in piedi, camminando fino a raggiungere la vetrata che dava sulla città. Si sistemò il lungo abito violaceo; doveva essere senza piega alcuna, doveva riflettere Courtney, riflettere la perfezione. La ragazza guardò il paesaggio che le si parava davanti: Edimburgo era offuscata dalla neve, che continuava a cadere senza accennare a fermarsi. Strade, tetti, era tutto ricoperto da un velo bianco, la città pareva come dormiente sotto quel candido lenzuolo.
Poi si girò di scatto, riportando la sua attenzione sulla sfera di neve. Anche lì dentro continuava a nevicare e, qualora smettesse, bastava agitare la palla di vetro per riprendere il precedente ritmo. Courtney si avvicinò ad essa a grandi passi, mentre un’idea alquanto malsana le balenava in testa. Era tutto sotto i suoi occhi… tutto tanto semplice…
Aveva un piano, aveva trovato la “prigione” ideale per i suoi futuri amici. Finalmente la monotonia delle sue giornate sarebbe stata spezzata.
Adesso, le servivano soltanto gli amici, poi il gioco sarebbe potuto cominciare.


Angolo dell'autrice
Ta-Tann!! 
L'ispirazione per questa storia è venuta casualmente e, prima che l'idea potesse svolazzare via dalla mia testa, ho messo giù il primo "capitolo".
Questo è il prologo, quindi è volutamente corto, don’t worry ^^ i prossimi capitoli saranno senz’ombra di dubbio moltomolto più lunghi! *Preparazione emotiva*
Come già accennato, questa è una storia interattiva, quindi a voi spetta il compito di plasmare i suddetti “amici” di Courtney ^^
Se siete interessati, vi chiedo di scrivere qui sotto nella vostra recensione il vostro personaggio.

Da inserire:
1) Nome (secondo nome nel caso ci sia) Cognome *Non italiani*
2) Aspetto (Colore/lunghezza dei capelli, occhi, tipo di espressione, persona alta/bassa, eccetera)
3) 2/3 aspetti caratteriali che inglobino la personalità del personaggio
4) Nel caso avessero rilievo, un difetto e un pregio del personaggio
5) Nel caso ce l’abbia, un segno particolare
6) Una debolezza/ una fragilità/ un “tasto doloroso” del vostro personaggio
7) FACOLTATIVO: Ambizione/ ciò che reputa più importante nella propria vita/ il valore che ritiene principale (es. notorietà, ricchezza, amore, amicizia, ingannare pur di arrivare alla propria meta, o blablabla)

Spero aderiate in tanti :)
Aly

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Capitolo 2
*** Il falò ***


Total Drama: The Snowfall 

.1. –Il falò

Percepì il ghiaccio sotto le sue mani. Aprì un occhio, poi lo richiuse. Provò a stringere le mani in pugni, ma erano tanto congelate da non obbedire ai suoi ordini. Aprì entrambi gli occhi: coriandoli di neve continuavano a cadere sul suo corpo, inerme sul terreno, scandendo attimi eterni. Realizzò che non si trovava nel letto su cui, fino a poche ore prima, giaceva.

I quindici ragazzi si svegliarono improvvisamente all’unisono, come se qualcuno, sopra di loro, avesse appena schioccato le dita. Si misero a sedere sopra il manto candido di neve, ancora indolenziti e coi vestiti fradici, e si guardarono intorno attoniti per un istante.
«V-Voi chi s-siete?» chiese sbattendo i denti il ragazzo dagli occhi grigi e i capelli scuri, Oliver.
«Avrei una domanda migliore» Sputò acida Amira. «D-Dove ci troviamo?»
Seguirono attimi di silenzio intriso di timori e paure, poi riecheggiò una risatina nell’aria. Tutti si girarono verso la ragazza dalla ciocca verde che non riusciva a smettere di ridacchiare, tenendosi una mano sulla bocca per nascondere il suo divertimento. Quando si accorse di avere tutti gli occhi puntati addosso deglutì e accennò un sorriso beffardo.
«Piacere, mi chiamo Ruby Knight.» I coetanei non distolsero lo sguardo dal suo viso, continuando a fissarla come infastiditi.
«Si può sapere che ci trovi di tanto divertente in tutto questo?» domandò scettico Jordan McHolland che, nonostante l’assenza del sole, indossava un paio di larghi occhiali scuri.
«Oh, niente, tranquillo» disse Ruby ruotando gli occhi. «Stavo solo pensando a Noah, nient’altro.»
«A chi, scusa?»
Gli occhi di Ruby s’illuminarono di un bagliore insolito: non aspettava altro che parlare di Noah.
«Noah è Noah! È un amore! Cioè, il mio amore! E poi è così…»
«In poche parole è il tuo rag-ragazzo?» tagliò corto Loup Delaitre alzando gli occhi al cielo, palesemente annoiato. Tutto ciò non gli interessava proprio.
Ruby lo fulminò con lo sguardo, poi mormorò a denti stretti: «Indirettamente.»
«E che diamine vuol dire?» replicò di nuovo Jordan. Abbassò il capo e diede una rapida occhiata alla ragazza a cui, in meno di mezzo di secondo, tornò un sorriso a trentadue denti.
«Noi stiamo insieme! Solo che lui ancora non lo sa!» esclamò fiera. Gli altri si guardarono perplessi, solo uno di loro rimase a guardare la ragazza che, nonostante l’inquietudine di quella situazione, riusciva a ridere come se nulla fosse. Oliver restò strabiliato dalla sua grande personalità.
«P-Potremmo cercare un posto caldo, invece di discutere su questo?!» commentò Cerise a occhi stretti in fessure. Tremava dal freddo e sui suoi lunghi capelli castani c’erano fiocchi di neve, quasi fossero decorazioni di brillanti. Tutti annuirono e si alzarono barcollando. Non c’era anima viva.
«C-C’è qualcuno?» gridò Amira. Il suo fiato divenne come una condensa di fumo e la sua voce risuonò più volte, sempre più bassa e distante, ma non arrivò risposta.
«Q-Qui, ragazzi!» esclamò Melody, stretta nella sua lunga maglia rosa decorata da bottoni gialli. Indicò con l’indice le assi di legno marcio che si erano staccate dalle pareti di un edificio creando un passaggio per entrarvi. Avanzò verso il varco a piccoli passi, seguita dagli altri.

«E questo cos’è?» chiese il ragazzo dagli occhi celesti e la pelle quasi diafana inarcando le sopracciglia e chinandosi per raccogliere quello che sembrava essere un diario.
Ashling Sharp si girò di scatto e prese l’oggetto dalle sue mani.
«È… è mio, grazie…» Abbassò lo sguardo: non sopportava la sua timidezza, era come un ostacolo da cui non riusciva a liberarsi.
«Che c’è, ti metto in soggezione, mh?» fece il ragazzo. Ma Ashling non voleva mostrarsi debole, così alzò il viso fino a raggiungere quello dell’interlocutore. E quando incontrò gli occhi di lui, perse quasi l’equilibrio.
«Vladimir Romanoff, felice di aver a che fare con te» disse, non riuscendo a risparmiarsi un ghigno.
«A-Ashling… Ashling Sharp… piacere…»
Vladimir si sentì compiaciuto.

«Ragazzi, venite!» esclamò Ruby. Gli altri affrettarono il passo e, scavalcate le assi, si ritrovarono in una grande stanza contornata da pareti in legno: il soffitto era alto, il pavimento in pietra. Nel centro di essa c’erano dei tronchi ammucchiati, sopra questi un pezzo di carta.
«E questo..?» mormorò Oliver, avvicinandosi lentamente, fino a raccogliere il biglietto. Non era per niente sicuro di ciò che stava facendo… e se quel foglietto gli avesse portato una maledizione? Lui era terrorizzato da questo genere di cose, era molto superstizioso.
Ruby gli si avvicinò correndo. «Che c’è scritto?»
Oliver venne attraversato da un brivido: non se lo spiegava, ma diventava sempre molto riservato quando una ragazza gli si avvicinava. Forse era per questo, che non aveva ancora trovato una fidanzata… Eppure lui ne avrebbe tanto desiderato una, così da amarla con tutto il cuore e proteggerla dalla malasorte…
«”Il gioco comincia, miei cari amici.”»
«Ma che significa?» mormorò irritata Cerise. Non aveva tempo da perdere in giochetti del genere.
«N-Non lo so…» rispose Oliver in un sussurro, quasi avesse paura delle sue stesse parole.
«Ragazzi! C’è del legno, possiamo accendere un fuoco per scaldarci» disse Jordan.
«E come vorresti accenderlo questo fuoco, mh? Coi tuoi occhiali da sole, per caso? Ti sei accorto che fuori non c’è alcun sole, vero?» Sputò Cerise. Si sentiva circondata da idioti. Certo, non sapeva ancora con chi aveva a che fare. Jordan ridusse gli occhi a fessure e serrò la mascella; non si faceva certo dire da una qualsiasi ragazza col complesso di superiorità cosa doveva o non doveva indossare.

Un ragazzo abbronzato si avvicinò alla legna. Affondò la mano nella tasca dei jeans ancora umidi e ne estrasse un accendino. «Dai, funziona…» mormorò, chinandosi. Si accese una debole fiamma che, lentamente, cominciò a bruciare il legname.
«Hai altro da dire, carina?» chiese retorico e con tono carico di freddezza Jordan. Cerise lo incenerì con lo sguardo. «Carino, ho un nome.»
Saperlo era l’ultima cosa che Jordan avrebbe desiderato. In una scala da uno a dieci, gliene fregava zero virgola cinque. Già non gli importavano le donne, lei poi…
«Allora illuminami» disse.
La ragazza si inginocchiò vicino al falò. «Cerise Hood.»

Tutti si sedettero intorno al fuoco per riscaldarsi e allora si presentarono.
«Joseph Johnson» disse il ragazzo slanciato e dai capelli corvini che aveva acceso il fuoco poco prima.
«Perché avevi un accendino in tasca?» chiese Ruby, ormai già da tutti conosciuta.
«Fumo per… mh… alleviare lo stress, penso. Cioè, fumavo. Il pacchetto che avevo in tasca è diventato carta crespa.» Tirò fuori quello che una volta era un pacchetto da venti sigarette e lo gettò tra le fiamme per alimentare il fuoco.
«E tu, come ti chiami?» chiese, sempre Ruby, indicando il ragazzo basso e superstizioso. Lui inizialmente distolse lo sguardo: era la prima volta che una ragazza gli rivolgeva la parola… come doveva comportarsi, esattamente?
«Oliver Shane, piacere…»
«Ciao Oliver» fecero gli altri all’unisono, scoppiando poi a ridere.
«Non siamo in un centro di recupero per gente malata di cancro, non c’è bisogno di tutto questo spirito collaborativo» osservò Amira con ribrezzo.
«E tu chi saresti?» chiese Joseph.
La ragazza dai capelli color rosa zucchero filato sospirò. «Amira Alchemy Roberts.»
Melody piegò la testa di lato. Pensò che il nome le si abbinasse perfettamente. Sembrava essere così forte e determinata, quella ragazza, senza il minimo timore del pensiero altrui. A Melody sarebbe piaciuto tanto essere come lei.
«Hey, ci sei?» Jordan stava passando la mano davanti al viso della fanciulla per risvegliarla.
«Oh, s-sì, sì… Melody Russell. È… bello, conoscervi.»
«Buono da sapersi. Io sono Jordan McHolland.» Il ragazzo si tolse gli occhiali per la prima volta e fece l’occhiolino a Cerise, che era dall’altra parte del falò. Voleva fargliela pagare, l’avrebbe umiliata.
Una ragazza dai tratti orientali si sistemò la montatura di occhiali sul naso. «Hayoung Lee.»
«Sai che non saresti per niente male, se ti togliessi quegli occhiali?»
Hayoung guardò male il ragazzo biondo e lui sorrise beffardo. Poi si presentò. «Vladimir Romanoff.»
Ashling si stava tormentando le dita già da qualche minuto. Non le piaceva parlare in pubblico, aveva sempre paura di incespicare nelle parole. Così, quando arrivò il suo turno, deglutì rumorosamente prima di parlare.
«Mi chiamo Ashling Sharp.»
«Ashling vuol dire visione, vero?» fece un’altra ragazza.
Il viso di Ashling si illuminò. «Sì, è giusto!»
«E chi l’avrebbe mai detto, che dietro una truzza come te poteva nascondersi una ragazza piena di cultura?» commentò beffardo Jordan.
La ragazza abbronzata serrò i pugni: detestava chi la etichettava fin da subito come una di quelle ragazze tutte shopping e lampade solo per il suo stile. Lei era un’apprendista sarta, non una malata di animalier e make-up.
«Lo prenderò come un complimento» si limitò a dire. «Comunque sono Aria Giraud, piacere di conoscervi.»
«Non mi piace come ti vesti» mugugnò il ragazzo seduto accanto a lei, squadrandola come nauseato.
«La cosa è reciproca, metallaro senza speranze…»
Il ragazzo sorrise maligno. Si stava già divertendo. «William Kurt Blue. Ciao.»
«E hai anche un ricco vocabolario, vedo» commentò Aria sospirando.
«Io mi chiamo Loup Delaitre» disse il ragazzo con le lentiggini e dagli scompigliati capelli rossicci. Nonostante i tratti del viso, delicati e infantili, era sveglio. Talvolta insicuro, ma aveva il suo portafortuna.
«Io mi chiamo Aiden Joseph McCartney.» Parlò senza accennare un sorriso; quello lo riservava solo alle persone che meritavano di vederlo. Aria si sentì attratta da quel viso angelico, i capelli neri, gli occhi scuri, così lucidi che avrebbe potuto specchiarcisi dentro… e poi il fisico! Se avesse avuto una boutique tutta sua, avrebbe certamente preso quell’Aiden McCartney come modello di primo piano.
«E tu?» riprese Ruby. Adorava fare domande.
«Hey, dico a te! Sei un cosplay per caso?»
Il tetro ragazzo giapponese restò impassibile, quasi non avesse udito le sue parole. Oliver ridacchiò; quella ragazza lo divertiva così tanto!
«Kiro Masaka.»
«Quindi sei un cosplay? Perché non ti travesti da Noah, la prossima volta?»
Vladimir alzò un sopracciglio e guardò Ruby.
«Non credo sia un cosplay, Ruby…»
«Già, e si può sapere chi è questo Noah?» aggiunse Joseph.
Ruby Knight sbuffò divertita. «Che ve lo dico a fare? Tanto non capireste!»
«Non abbiamo niente da perdere, direi…» commentò Aiden scambiando un’occhiata perplessa con Loup.

Ashling cercava di intravedere il viso di Vladimir attraverso le fiamme, poi lo posava su Aria e ricominciava da capo. Non aveva un chiaro orientamento, però Vladimir, quel ragazzo biondo e alto, quando le aveva restituito il diario, le aveva come passato una carica di elettricità. Ashling non se lo spiegava, non era mai stata il tipo di ragazza da “amore a prima vista” e non aveva mai pensato che lo sarebbe diventata. Se fosse stata a casa, in quel momento avrebbe sicuramente consultato i suoi tarocchi per sapere come sarebbe andata avanti quella storia. Però, dato che era in un luogo sconosciuto con altri sconosciuti quattordici ragazzi, avrebbe aspettato l’imbrunire, così da confidarsi con le stelle.
Lo sguardo di Melody, invece, era fisso su Amira. Non erano passate nemmeno tre ore da quando l’aveva vista per la prima volta e già la vedeva come un esempio, un mito. Per lei, che era da sempre stata una ragazza insicura e riservata, un’amicizia vera era tutto ciò di cui necessitava. Avrebbe tanto voluto diventare amica di Amira.
Nel mentre, Aria scuoteva la testa, davanti ai look totalmente fuori moda dei ragazzi che la circondavano.
Così, avvolti dal caldo tepore del fuoco, i quindici ragazzi cominciarono a intavolare discussioni e lanciare battute. Quel pezzetto di carta, invece, bruciava nelle fiamme.

Quanto era soddisfatta, Courtney… Aveva amici così vari e strambi! Si divertiva da matti. Era così felice…follemente felice.


Il Mio Angolino 
Buonasera a tutti! Quanto sono felice di essere riuscita a scrivere questo capitolo! Sono fiera di me stessa ^^ Adesso mi potete perdonare, per l’impressionante ritardo? È la prima storia interattiva che scrivo, quindi la vedo come una  vera e propria sfida con me stessa. Sarei molto felice se recensissero anche gli utenti senza oc, quindi, voi che state leggendo, segnate le mie parolee (e recensite everywhere)! Questa storia mi ricorda Saw, e Court è l’enigmista xD Non è adorabile?!? Ne succederanno di tutti i colori! Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo :)
Quindi restate sintonizzati!
Sempre qui,
con A Tutto
Reality
Il Toooour!
Ps: I prossimi capitoli arriveranno più velocemente ^.^
Alyeska707

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Capitolo 3
*** Stelle e neve ***


Total Drama: The Snowfall
.2. - Stelle e neve

«Ragazzi… non per fare il guastafeste e deprimere tutti fin dal primo momento, ma…»
«Ehm… lo stai facendo, invece» lo interruppe Amira, mentre sul suo viso si delineava sempre più un’espressione accigliata. Joseph sollevò lo sguardo e la fulminò con gli occhi.
«Stavo dicendo…» continuò, acido. «Ci siamo svegliati tutti qui e nessuno ricorda come ci sia finito. È… inquietante, no?» Il ragazzo deglutì, determinato a reprimere ogni sintomo di paura. Perché lui non aveva paura, no, lui non provava emozioni. Giusto? Joseph non vedeva gli stati d’animo solo come inutili e spesso sconvenienti presagi, li percepiva come veri e propri antagonisti che lo distoglievano dal suo obiettivo. Ovvero, essere vincitore. Sempre, e in ogni circostanza. Anche in questa situazione non ci teneva proprio a mostrarsi vulnerabile. Non aveva mai provato un sentimento in vita sua, forse solo un po’ di rabbia, qualche volta, un po’ di odio, ma come evitarli? Il resto, felicità, ansia, delusione e tristezza, passavano in secondo piano, repressi dall’orgoglio. L’amore? Non c’era neppure bisogno di nominarlo; Joseph non credeva minimamente all’amore. L’amore era privo di fondamenta, privo di un senso concreto. L’amore era un’emozione astratta e stereotipata, un sentimento creato dai film per alzare gli ascolti, qualcosa che non esiste ma che acceca le persone tanto da darle una speranza, tanto da convincerle di esserne vittime.  Ma cosa ci trovavano di bello, a mostrarsi deboli? Joseph non se lo spiegava, non voleva nemmeno capirlo.

Hayoung si sistemò gli occhiali sul naso: l’aiutava a pensare. Ma in quel momento le risultava davvero difficile. Insomma, non c’era una ragione logica che potesse condurre al motivo per cui lei, insieme a quegli altri quattordici individui, dovesse trovarsi in un posto di cui non aveva mai sentito parlare, un posto che non aveva mai visto sui libri. E questo la spaventava; si era studiata l’Atlante cinque volte, e in più, nel remoto caso in cui, nelle olimpiadi di matematica, avessero menzionato un paese secondario da inserire in determinati raggruppamenti, aveva letto da cima a fondo il libro dettagliato di ogni Stato presente sulla Terra. Sorrise al ricordo; quell’anno le Olimpiadi le aveva vinte lei. Era la tredicesima edizione a cui aveva partecipato e la tredicesima in cui aveva conquistato la medaglia d’oro. Aveva ancora l’immagine di ogni singola pagina di quei libri ingialliti e pesanti come macigni stampata in testa, sì, ma quel luogo le appariva spaventosamente sconosciuto.
«Hey tu, topo da biblioteca, hai qualche idea su mh… dove ci troviamo?» fece Jordan, col suo tipico tono menefreghista e arrogante, tanto simile a quello di Cerise, quanto irritante. Hayoung adorava suonare il violino, ma in quel momento pensò che, se lo avesse avuto sotto mano, glielo avrebbe volentieri rotto in testa.
«Non-ancora» rivelò la ragazza dai corti capelli neri e gli occhi a mandorla, dolci ma distanti. Scandì ogni parola con un’elevata antipatia. Già la situazione non era di suo gradimento, ci mancava solo che quell’assurda compagnia cominciasse ad essere insopportabile e poi sarebbe potuta scoppiare. Non le importava proprio di apparire asociale. Lei non aveva mai apprezzato socializzare, inoltre ci trovava sempre difficoltà. Preferiva leggere, lasciare che fossero le pagine a discutere con lei. In questo modo, pensava, si evitavano molte scocciature.

«Oh, Dio! Dobbiamo collaborare se vogliamo tornare alle nostre vite, volete capirlo?» sbottò Cerise, sbattendosi una mano sulla fronte e alzandosi in piedi.
Melody era alquanto intimorita da tutto ciò che la circondava, però era d’accordo con quella ragazza impulsiva e diffidente. La indicò col pollice e disse: «Ha ragione.»
«Forse… forse qualcuno ci ha lanciato una maledizione e… e adesso dovremo restare qui fino alla nostra morte!» esclamò Oliver, terrorizzato dall’eventualità. I suoi occhi erano quasi vitrei e il suo viso decisamente più pallido, effetto causato solo in parte dal freddo intenso.
«Oh, basta! Non ce la faccio più a stare qui dentro!» Cerise iniziò a camminare verso l’uscita del nuovo rifugio a passi pesanti. Fuori la bufera era ancora intensa, come fare? Non c’era neppure il cibo… sarebbero forse morti tutti di fame?
Cerise si guardò attorno cercando un qualche indizio; era sveglia, la ragazza, ed anche molto sicura di sé. Non si sentiva proprio di fare affidamento sulle teste mezze vuote degli altri, sarebbe stato un suicidio. Sgranò gli occhi, quando si accorse che, poco in lontananza, del fumo usciva da un camino. Lo indicò tendendo il braccio verso quel punto definito e chiamò gli altri.
 
«Dovremmo andare là, che dici?» domandò Vladimir a Kiro. Il giapponese non gli rispose neanche, era come una statua, sordo e immobile.
«I-Io credo che d-dovremmo» gli rispose Ashling, titubante, che era alla sinistra del giovane. Vladimir si sentì sollevato dal sostegno della esile ragazza, che gli aveva poggiato la mano sulla spalla. Per un momento ebbe quasi l’impressione di sentire meno freddo… quasi. E lo avvertì, l’impulso spontaneo di ringraziarla con un sorriso, ma non lo fece.
«Grazie piccola» disse ammiccando. Le gote di Ashling si dipinsero di un rosso tenue e si ritrasse all’istante, distogliendo lo sguardo. Che fosse dannata la sua timidezza. E anche quel ragazzo.
«Magari… Magari c’è gente, come dire, poco rassicurante, là dentro» replicò Aria.
«C’è solo un modo per scoprirlo…» disse Joseph, accennando un sorrisetto astuto.
«S-Si può spiegare da dove tiri fuori quella faccia? D-Dove diamine è la tua paura?» controbatté Aria, non tradendo un po’ di irritazione. Se quel ragazzo aveva intenzione di fare il capo forte e coraggioso, aveva di gran lunga sbagliato squadra.
«Non so cosa sia la paura. Non ho emozioni, io» fece Joseph, pieno di fierezza.
«Tanto per precisare il tutto, uno che non ha emozioni, presumendo che il nervosismo sia una di queste, non fuma per far tacere i propri demoni! Quindi non fare il brillante!»
«E tu, torna a guardati allo specchio, al posto di giudicare me!» Joseph si avvicinò pericolosamente al viso di Aria. «Comprendi, Barbie?» mormorò sfiorandole il ciuffo biondo ossigenato che le ricadeva sulla guancia. La guardò storto, con gli occhi socchiusi, la bocca incartocciata in una linea di disgusto. Poi si allontanò, lasciandola lì a ribollire di rabbia.
«Dai, non prendertela… vedrai che col tempo imparerete a… emh… andare d’accordo» asserì quindi Melody, che aveva assistito allo sgradevole spettacolino.
«Non vorrò mai andarci d’accordo, io, con quello lì!» esclamò Aria in tono severo.
Melody si sentì combattuta. Hey, erano lì da nemmeno un giorno! Possibile che tutto si stesse già disintegrando?
«Andiamo là, non abbiamo nulla da perdere, in fondo» disse Cerise, a voce bassa.
 
Le nubi di fumo condussero i ragazzi di fronte a un modesto abitacolo; la porta in legno massiccio era socchiusa. Cerise, autonominatasi capo della spedizione, toccò appena la sua superficie e staccò bruscamente la mano quando percepì che questa, cigolando, si stava aprendo.
«Sandeeeers! Un’altra pentola!»
«Credevo fossimo colleghe, McArthur.»
«Oh, lo siamo. Io sono la collega geniale e scattante, tu il peso morto che scatta per la scattante!»
La prima, bassa e robusta, aveva una faccia soddisfatta, senza ombra di voluta cattiveria. La seconda, Sanders, appariva irritata, ma rassegnata dal comportamento dell’altra. Quando le due si arresero al dialogo, notarono le quindici mute figure strette l’una accanto all’altra davanti al portone.
«Hey!» fece McArthur. Sanders si sbattè la mano sulla fronte. La sua collega era proprio senza speranze.
«Ehm… potremmo sapere chi sareste voi due?» chiese con scetticismo Jordan. Si era già rotto di tutto questo.
«McArthur, signore!» esclamò la più tarchiata, scattando sull’attenti con sguardo concentrato.
L’altra la guardò esitante. «Ha sempre avuto la tendenza a comportarsi in questo modo… è come se nella sua vita precedente fosse stata uno sbirro… perdonatela» disse. «Io sono Sanders, piacere.»
«Ehm… potremmo sapere che diamine ci fate in questo posto?» domandò Amira.
«E che ne so?» disse, come imbambolata, McArthur.
«E dove diamine siamo?» fece Joseph.
«E che ne so?»
L’odore di cibo si diffuse nell’ambiente, arrivando chiaro alle narici dei ragazzi affamati.
«E da dove diamine lo prendete il cibo?»
«E che ne so?»
«AAH! Basta, non resisto più!» scoppiò Aiden, che fino a quel momento era rimasto zitto, limitandosi a seguire la massa.
«Dai, non fare scenate… loro ci aiuteranno.» Aria non era brava a rassicurare le persone. Però quell’espressione corrucciata sul viso di un ragazzo di tale bellezza come Aiden… Oh, no, illegale! Le rughe sarebbero apparse su quel suo bel faccino a effetto domino, e lui le serviva per la sua  boutique! Cioè, le sarebbe servito se mai ne avesse aperta una. E ci sarebbe riuscita solamente se sarebbero riusciti ad evadere da quella specie di cella invisibile.
«Respira, ispira» continuò Aria, con tanto di dimostrazione pratica. Aiden la imitò, mentre gli altri si chiedevano quando sarebbe toccata a loro la partenza per manicomio-landia.
«Noi non sappiamo proprio niente, in verità» ammise Sanders, allargando le braccia. «Per quel che sappiamo, siamo qui da sempre, in questa casa, cucinando e…»
«E quando il cibo finisce?» la interruppe brusco Joseph.
«Non saprei, la dispensa è sempre piena…» rispose Sanders, pensierosa.
«Ad alcuni la notte porta consigli, a noi riempie la dispensa!» esclamò pimpante McArthur. Sembrava una bambina troppo cresciuta in un negozio di caramelle.
«Questo è… ancora più strano di tutto il resto…» mormorò Ashling, scambiandosi un’occhiata di perplessità con Melody.
«I-Io… non so davvero decidere cosa in tutto questo marasma mi spaventi di più…»
Joseph sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Quella ragazzina, Melody, era decisamente troppo ingenua e indifesa.
«Vuoi capire che rimuginare sulla paura non farà altro che fartela accrescere?» le chiese, severo e con ampia dose di sarcasmo nella voce. Melody non ribattè: che aveva fatto di male? Perché si comportava in modo così insensibile con lei? Forse non li aveva davvero i sentimenti, si ritrovò a pensare.
«Non sarete di aiuto, ma almeno potete offrirci un pasto» disse scaltro Jordan, alzando le spalle ed incamminandosi, senza aver chiesto alcun permesso, al lungo tavolo presente al centro dell’ampia stanza.
«Aiutare sempre i più deboli!» tuonò McArthur.
«Prego, sedetevi pure» disse, scoraggiata davanti al comportamento della collega, Sanders.
Il cibo non era nulla di esaltante, ma in fin dei conti quelle due assomigliavano molto più a due paladine della giustizia, che a cuoche cinque stelle.
 
«La nostra amica notte ci rifornisce anche di coperte!» esclamò McArthur. «Potete usufruirne. Sempre condividere coi bisognosi!»
«E… dove sarebbero queste coperte?» chiese annoiato Loup.
«Credo siano di sopra… prendetele pure.»
I ragazzi salirono la rampa di scale che portava ad una botola. Una volta aperta quest’ultima, si ritrovarono sul tetto.
«Credevo che con di sopra intendesse il secondo piano…» fece infastidita Ruby.
Lì sopra, su quel tetto ricoperto di tegole regolari, erano distese diverse coperte.
Ashling alzò lo sguardo sul cielo: non aveva mai visto tanto bene le stelle. Apparivano vicine e luminose, come collegate da fili di luce.
«Stiamo qui per un po’?» chiese ad Aria, indicandole la volta celeste. Lei annuì ed entrambe si stesero sulle coperte, fissando l’alto.
 
«A-Amira, giusto?»
«Ehm… sì.»
«Oh, ciao… sai, volevo chiederti se…»
«Se..?» ripetè la ragazza pallida dai capelli colorati di rosa tenue, invitando Melody ad arrivare al punto senza giri di parole.
«Se ti andrebbe di diventare… sì, insomma, a-amiche…»
Amira scoppiò a ridere. Non di divertimento, no di certo. Rideva con acidità, come se ci fosse un retrogusto amaro in tutto ciò. In verità, lei vedeva un lato cupo in tutto quello che la circondava. Le piaceva il buio. Si poteva definire abbastanza pessimista, leggermente apatica. Non aveva interessi, pensava addirittura di non avere un cuore. Ma allora perché continuare a vivere? Non lo sapeva ma, da perfetta apatica, non le importava nemmeno di morire. Non le importava di niente, ormai.
«Perché stai ridendo?» domandò Melody, scoraggiata. Si sentiva una vera nullità, non le piaceva per niente. Tutto ciò che voleva era sentirsi integrata, sentirsi in un gruppo. Lei era terrorizzata dalla solitudine, era convinta che fosse una scorciatoia verso la morte, verso l’inferno. A differenza di Amira, il cui menefreghismo la portava a non aver timore di nulla, Melody era fragile e terrorizzata dalla morte.
«Oh, no, niente. Pensavo solo a quanto fossi patetica.»
«Perché dovrei essere patetica?»
«Perché nessuno vuole diventarmi amico, presumo.»
In quel momento Melody si sentì trafitta. Nessuno voleva diventare amico di una ragazza tanto forte, ai suoi occhi? Per quale motivo, poi?
«Ma… i-io voglio esserti amica sinceramente!»
«Per quale motivo lo vorresti tanto, mh? Non sono una tipa socievole, io.»
«Io apprezzo le persone di poche parole!» cercò di convincerla Melody.
«Non ti capisco proprio…» mormorò sogghignando sommessamente. «…Non puoi nemmeno immaginare quanto sia faticoso diventarmi amico… Non tollero nessuno…»
«I-Io ce la metterò tutta, ci tengo, davvero!»
Amira lasciò che un debole sorriso le trapassasse l’anima, fino a dipingersi sulle sue labbra da morta; le piaceva quella ragazzina, era interessante, diversa.
«Ti auguro buona fortuna; sarà una strada tutta in salita» disse, con un filo di voce, prima di stendersi su una coperta. Anche Melody sorrise, in quel momento si sentì così bene… così felice. Prese una coperta e si sdraiò affianco ad Amira, raccontandole aneddoti di ogni genere, mentre lei, limitandosi a monosillabi di assenso, pensava a quanto immensa fosse la notte, a quanto fosse intensa e profonda. Avrebbe tanto desiderato sfiorarla.

Intanto la neve continuava a cadere insistente, come se non ci fosse alcuna fine, come se avesse avuto intenzione di accompagnarli nella loro avventura, quasi avesse voluto diventargli amica…
 
«E tu invece, un obiettivo?» chiese, senza intonazione, Jordan, togliendosi gli occhiali da sole. A Loup, i cui capelli ricci accarezzavano quelli dell’altro ragazzo, scappò da ridacchiare.
«Tornare a casa mia e sfrattare tutti i miei parenti che mi hanno mandato in quell’orrendo collegio…»
Jordan restò stupido da quell’affermazione: piacevolmente stupito. Il ragazzino si faceva intrigante ogni momento di più. E a Jordan piacevano i tipi intriganti.
 
Vladimir, invece, avvertiva un vuoto all’altezza del petto. Pensò fosse per il poco cibo ingerito, così si alzò da terra. Poi si accorse che nessuno si era curato di lui, e si sentì più pesante. Era forse questo il problema, il suo ego? No, non poteva certo accettarlo. Prese la sua coperta e l’arrotolò, poi si diresse verso le due ragazze che, più di tutti gli altri, ridevano senza tensione alcuna.
Stese la sua coperta accanto a quella della ragazza dagli occhi grigi e gli zigomi accentuati, i cui capelli chiari erano stesi scompigliati sulle tegole.
«Hey» disse Vladimir, una volta calatosi alla sua altezza.
«H-Hey…»
«Bello, vero?» continuò, indicando il cielo. Ashling sospirò, sollevata dal fatto che l’argomento si fosse spostato su qualcosa di facile anche per lei.
«Sì… io adoro la notte… mi piacciono le stelle, mi sembra quasi che riescano a guardarmi, mi consolano.»
Il ragazzo la guardò curioso; sembrava così innocente…
«Affascinante…» soffiò.
«Sì… io e Aria stavamo giusto parlando delle costellazioni che si vedono adesso, vero Aria?» Ashling si girò verso la nuova amica, impegnandosi per apparire rilassata agli occhi suoi e a quelli di Vladimir, ma nel momento stesso in cui individuò il suo volto nel buio della notte, notò che aveva le palpebre abbassate.
«Si è addormentata?» chiese Vladimir.
«A quanto pare sì» rispose ridacchiando. Solo un pazzo non avrebbe trovato esilarante quella situazione.
 
Oh, affatto. Un pazzo avrebbe trovato quella situazione ancora più esilarante; Courtney stava letteralmente morendo dal ridere. Però come avrebbe potuto morire, se il gioco era appena cominciato? Oh sì, lei avrebbe vissuto per vedere quel teatrino evolversi, lo avrebbe fatto eccome.
Ma meritavano tutti, di restare in vita?


---
Weilà!
Questa volta sono stata puntuale, visto? Ci ho messo tutto il mio impegno u.u
So, come avrete notato appaiono due nuovi personaggi: Sanders e McArthur. E già, non sono di TD ma di Ridonculous Race, che è lo spin-off. E boh, sono tanto carine quindi, se non l'avete ancora visto, guardatevelo ^^ (anche in onore di Noah Geoff e Owen [e Chris che appare a random])
Poi, dato che sono state chieste alcune cosine riguardo alla storia, sono qui per dirvi che:
a) Non è ambientata nel passato (anche perchè detesto categoricaemente tutte le cose che abbiano a che fare con la storia); Courtney è solo una pazza che vive in un mh... palazzo, e che gira con un vestito da sera viola (a Edimburgo c'è ancora una specie di monarchia "simbolica", no?) xD
& b) Non è mai esistito alcun reality; Courtney non è mai andata in tv e nemmeno tutti gli altri tipi loschi che verranno a farci visita. E poi vabbè, c'è Noah che è esonerato da tutto ciò ed è conosciuto (da Ruby) istes xD
Fatemi sapere che ne pensate, e ci risentiamo col prossimo capitolo!
Alyeska707  

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Capitolo 4
*** Secondo giorno ***


Total drama: The Snowfall
.3. - Secondo giorno
 
Quando i ragazzi si svegliavano, il panorama che il circondava era sempre lo stesso, coperto dal manto bianco candido, come fosse stata una veste elegante.
Hayoung aprì piano gli occhi e si strinse nella sua coperta. Sentiva i coriandoli di ghiaccio insinuarsi tra i suoi capelli corti, depositarsi sulle lenti degli occhiali spessi. Fece pressione sui gomiti, alzandosi quel poco per guardarsi intorno. Non c’era nessuno affianco a lei, i compagni erano sparpagliati su quel tetto regolare in gruppetti casuali. Dormivano ancora. Passò in rassegna tutti, finchè non notò la presenza che, dietro di lei, lontano da tutti, era a gambe incrociate, le mani appoggiate sulle ginocchia, gli occhi chiusi. Sembrava molto concentrato. All’asiatica ci vollero alcuni secondi per ricordare il nome del ragazzo dai vestiti scuri ed i capelli color del sangue; Kiro. Non si muoveva nemmeno, ed Hayoung continuò ad osservarlo, ora dubbiosa: che stava facendo? Dormiva forse in quella posizione? Poi lui aprì di scatto gli occhi, ed Hayoung spalancò i suoi. Le iridi di lui erano spaventose… una nera, l’altra rossa, con una croce nera.
«Quindi anche tu sei sveglio» mormorò, con un po’ di sollievo. Non le andava di fare conversazione, proprio no, però l’idea di starsene lì a guardare gli altri dormienti, senza fare nulla, non l’allettava. Kiro non rispose. Lei però non voleva che lui parlasse.
Alzò le spalle. «Tanto meglio» disse, poi si girò dall’altra parte. Kiro rimase stupito dal suo comportamento. Di solito le persone esigevano sempre qualcosa da lui, una parola, un atteggiamento più pacato, minore indifferenza, non curandosi che tutto ciò non rientrava per nulla nel suo DNA. Quindi, nella sua strana visione delle cose, si sentì accettato da Hayoung, che non gli aveva chiesto alcuno sforzo. E sorrise impercettibilmente, per la prima volta dopo tanto tempo.
«Stavo… ripassando delle formule.» Le parole gli uscirono dalle labbra sottili in un filo di voce, e si sentì un poco liberato, dopo averle dette.
Hayoung si rigirò svelta. «Di matematica? Piace anche a te?»
«Formule di magia» spiegò lui.
«Oh» mormorò la ragazza, abbassando lo sguardo. «Io ho smesso di crederci da tempo, a quelle cose…»
«Per quale motivo?»
Hayoung sorrise arrendevole. «Da bambina mi divertivano tantissimo, però… se la magia fosse davvero esistita, penso che magari avrebbe aiutato la mia famiglia a sopravvivere… magari avrebbe ucciso quell’uomo spregevole, quel killer…»
Kiro socchiuse gli occhi, concentrato, alla ricerca di una soluzione.
«La magia nera è sempre stata più forte di quella pura.»
«Forse hai ragione tu» disse Hayoung. «Ma ora che differenza fa? L’unica cosa che posso fare ora è lottare per raggiungere i miei obiettivi… una parte di me vorrebbe vendicarsi così intensamente… Certo, finchè resteremo rinchiusi in questo posto non potrò fare nulla di tutto ciò.»
Kiro annuì, consapevole. E pensò che, se mai sarebbero riusciti ad evadere, magari l’avrebbe aiutata a vendicarsi con le sue formule di magia nera.
 
Quando Cerise si svegliò avvertì qualcosa contro la sua testa e si alzò di scatto.
«Si può sapere perché diamine sei qui?» gridò verso Jordan, che, con gli occhiali scuri calati sugli occhi, si godeva la scena; era proprio come se l’era immaginato. Sogghignò, ripensando a quando, nel bel mezzo della notte, mentre tutti dormivano, si era ricordato di ciò che doveva fare, alzandosi senza far rumore e mettendosi accanto alla ragazza scontrosa.
«Che c’è, non mi vuoi?»
«No, proprio no!» esclamò, irritata. Jordan rise.
«Perché non mi racconti qualcosa?»
«Perché dovrei raccontarti qualcosa?»
Lui si mise a sedere e si scompigliò i capelli.
«Tutti vogliono raccontare qualcosa.»
«Vorrà dire che io sarò nessuno
Jordan aguzzò lo sguardo. «Ma nessuno non vince mai.»
Cerise stava piano apprendendo la natura scaltra di quel ragazzo e, doveva ammetterlo, non era poi tanto diverso da lei. E questo la portava a pensare che aveva senz’altro qualcosa in mente, qualcosa che andasse ben oltre il “vorrei parlare con te”. Stese le labbra in un sorrisetto furbo.
«Sarò l’eccezione alla regola.»

Quando Loup si svegliò, i passi di Jordan si stavano riavvicinando a lui.
«Dormito?» gli chiese.
«Sì, non mi lamento» mormorò in risposta. «Anche se la neve, come la pioggia… no, non mi piace per niente.» Fece una smorfia.
Jordan inarcò le sopracciglia. «E che c’è di male? Ti fai mettere k.o. da questo… freddino?»
«No, proprio no. Sono meteoropatico, coglione
«Credo che tu abbia dimenticato di piazzarci una “e”, tra meteoropatico e coglione» commentò ridacchiando. E anche Loup ridacchiò, nonostante il tempo gli suggerisse di essere sgradevole.
 
«Okay… mi sono appena svegliata da un sogno che… Oh mio Dio! Voglio tornare a dormire!»
Oliver lanciò un’occhiata curiosa a Ruby, che si era ributtata stesa dopo nemmeno uno scarso secondo dall’essersi alzata. «Ovvero…?»
«Vedi… Noah era vestito con uno… smoking nero. E stava parlando di cose che non mi ricordo, in un contesto che mi sfugge, ma cavolo, era in smoking!»
Oliver rise. «Ti piacciono gli smoking?»
Ruby lo guardò, dapprima scettica, accennando poi un leggero ghigno.
«No, mi piace Noah.»
Oliver avrebbe voluto chiederle come fosse fatto questo Noah, magari sarebbe riuscito ad essere un po’ simile a lui e sarebbe piaciuto a… Oh, ma che andava a pensare? In quel momento, soprattutto! Erano in un incubo e lui pensava come far colpo su una ragazza? Una ragazza che, tra l’altro, aveva conosciuto il giorno prima. In una situazione per niente rassicurante. E Oliver nemmeno sapeva come si facesse colpo su una ragazza! Si sentì stupido, accarezzandosi il quadrifoglio inciso ad inchiostro nero sul suo polso.
 
Amira era già in piedi, e si trovava a pochi centimetri dal vuoto. La sigaretta tra le sue labbra si consumava veloce e i suoi occhi freddi guardavano il tutto e il niente. Joseph vide quella nube di fumo sprigionata dalle labbra della ragazza come un miraggio. Si alzò veloce, andando verso di lei.
«Hey, hey! Dove l’hai trovata, ne hai altre?»
Lei si voltò appena e allontanò il filtro dalle labbra. Prese dalla tasca il pacchetto e gli porse una sigaretta.
«Me lo ha dato quella lì, Sanders mi sembra.»
«Non immagini quanto ti sia grato in questo momento.» Joseph prese tra le dita la sigaretta e l’accese con l’accendino che gli aveva porto Amira, anche se aveva sempre il suo con sé.
Aspirò a fondo e chiuse gli occhi. Oh, quanto gli era mancata la nicotina nei polmoni, quella sensazione di lento appagamento.
«Ci voleva» mormorò.
Amira abbozzò un sorriso al vuoto. Sì, aveva un po’ di ragione.
«Oh, eccoti Amira!» esclamò Melody alle loro spalle. I due si girarono all’unisono.
«Puoi… aspettare un attimo? Torno subito» disse la dark, superando Melody veloce.
Joseph si concesse una risatina.
«Perché stai ridendo?»
«Perché sei davvero troppo… troppo buona, tu.»
Melody non capiva. «E che c’è di sbagliato?»
«Oh, nulla, nulla. È solo un po’ patetico… la bontà è così… monotona.»
Melody lo guardò strizzando gli occhi, sforzando disprezzo. I capelli castani chiari le finivano davanti al viso spinti dal vento.
Anche Joseph cominciò a guardarla negli occhi, privo di un’espressione definita. E Melody non resse la battaglia di sguardi, facendo sentire il ragazzo ancora più soddisfatto.
Quindi la ragazza mosse due passi, come per andarsene, poi si fermò.
«Fumare ti farà del male…» mormorò, prima di ricominciare a camminare. E Joseph pensò che, se il paradiso non fosse spettato a lei, probabilmente non sarebbe mai spettato a nessuno.
«Melody» la chiamò allora. Era così pura… così tanto da risvegliare l’angelo diabolico che era in lui. Lei si girò.
«Mi piacciono i tuoi occhi» disse, aspirando la nicotina. Lo sguardo acuto, accattivante.
Le iridi di Melody erano di un azzurro vivace e tranquillo, le opposte di quelle di Joseph, nero pece, grigie alla luce.
Lei sorrise debolmente, poi si rincamminò verso il gruppo, ormai sveglio, pensando che, a lei, di Joseph, piacevano particolarmente i capelli scuri.
 
«Alejandro!» chiamò Courtney, ridacchiando. Il ragazzo latino le si avvicinò sogghignando e si allentò il nodo della cravatta. Courtney lo afferrò per quest’ultima, facendolo cadere accanto a lei sul divano scuro.
«Cosa ne pensi dei miei occhi?» gli domandò con voce sensuale.
«Li adoro» disse in risposta Alejandro, attratto dalla subdola cattiveria della ragazza.
«A me piacciono i tuoi capelli» bisbigliò al suo orecchio Courtney, sentendosi sempre più divertita ed elettrizzata.
I suoi amici erano proprio fantastici.      

N. A.
Heyheyhey gente! Premetto, il capitolo è n'attimo più corto degli altri perchè... non ho il tempo e l'ho buttato giù tutto d'un colpo. Però il risultato mi sembra abbastanza carino, no? :)
Ho cercato di approfondire bene tutti i personaggi che magari non erano ancora stati visti abbastanza, e poi sbamm! Courtney e Al ihihi. Non so perchè mi sia venuta in mente una cosa del genere. Proprio non lo so. Non chiedetemelo. Un attacco di follia, forse. Courtney mi contagia. *corre a vuoto urlando*
Quindi nulla, fatemi sapere cosa pensate del capitolo :D Sono molto felice di come stia procedendo questa storia! ^.^
Un'altra cosa che volevo dire, e che tra l'altro stavo dimenticando (i'm a ggeniuss), è che, dopo mesi di passività totale su wattpad, ieri mi è piombata in testa l'idea di provare a scrivere qualcosa pure lì, giusto per vedere cosa succede, a random xD quindi hey, se avete wattpad followatemi! Il nome lo potete indovinare xD
Ci risentiamo presto!
 Alyeska707  
(sì, il nome è proprio questo xD)

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Capitolo 5
*** Fiamme ***


Total Drama: The Snowfall
.4. -Fiamme

«Oh, sei proprio sicuro di non conoscerla?» aveva sibilato Courtney. Alejandro aveva risposto con una smorfia che vagava tra il ridicolo e il disgusto e aveva distolto lo sguardo. Era riuscito a distinguere solo il suono dello scrosciare di un liquido, rovesciato sul suolo in grandi quantità dalla ragazza e accompagnato dal ticchettio delle sue scarpe alte. Poi un caldo improvviso e potente, come un ladro di vite, che aveva bruciato la giovane dai lunghi capelli corvini, la pelle chiara, e gli occhi che cercavano invano di nascondere il terrore sotto un velo di protesta, ira, forza di cui non era più padrona. Alejandro non aveva rialzato il viso, ma aveva chiaramente avvertito l’espressione supplichevole del suo sguardo. E forse non l’aveva osservata un’ultima volta per timore di venir risucchiato dal rimorso, forse per terrore di esporre i suoi veri sentimenti, ma tanto ne era consapevole: aveva lasciato che morisse.
 
E quando Alejandro si risvegliò, dopo aver passato la notte tra incubi e astratti dolori lancinanti, tra immagini celestiali di lei e fiamme ardenti, era sdraiato sulla neve.
 
 
«Quali sono i piani della giornata, miss comando-io-qui?»
«Perché invece di fare il simpaticone, cosa che comunque,
come tutte le altre, non ti riesce, pensi a qualcosa, Einstein?»
«Oh, vuoi dire che hai esaurito le idee per la sopravvivenza? Che ti arrendi al fatto che moriremo tutti qui? Se vuoi posso stringerti, moriremo abbracciati.»
«Voglio dire che tu non puoi pensare perché non hai la testa!»
William  alzò gli occhi al cielo. «Non per interrompere questo esilarante teatrino, amici del cuore, ma le vostre voci mi innervosiscono.»
«Sei libero di andartene, sai? Non dobbiamo per forza starcene in gruppo!» esclamò Cerise, ora rivolta al ragazzo dall’aspetto vagamente metal. William pensò che sì, insomma, si sarebbe allontanato da quei tipi volentieri, la libertà era da sempre stata il valore che riteneva più importante, ma non voleva morire. Ed evitare questo evento da solo si sarebbe rivelato senza dubbio più complicato.
«Mi alletti, ma non ci tengo» rispose schietto, scuotendo la testa in segno di palese negazione. Cerise pestò con forza un piede sul terreno.
«Ho già lui con cui discutere,» spiegò, indicando Jordan, dietro di lei, col pollice «quindi levati, torna a immergerti nei tuoi pensieri, pensa alla prossima sfumatura di azzurro, verde, o qualsiasi colore quello sia, da aggiungere ai tuoi capelli, ma levati
Ora William era annoiato; forse gli conveniva davvero porre l’attenzione su quale tinta avrebbe potuto farsi una volta tornato a casa, ma qui gli sorgeva un dubbio: ci sarebbe mai tornato?  Era certo di non esserci arrivato coi suoi piedi, fino a quel punto, e anche gli altri avevano la stessa convinzione. Conseguenza, l’incognita restante era: cosa li aveva condotti lì? O chi? E per quale motivo? Nonostante William Kurt Blue odiasse profondamente superstizione e ogni suo sinonimo, si ritrovò in dubbio nel pensare che forse quella era davvero una punizione divina.
«Dateci un taglio» intervenne Vladimir, mettendosi tra Cerise e William. Guardò prima l’uno, poi l’altra. «Non mi piacete,» asserì freddo «ma in questo modo non torneremo mai indietro. E io non voglio restare in questo posto.»
Cerise sospirò e incrociò le braccia sul petto; doveva riconoscere che quello di andarsene era anche il suo obiettivo, quindi non voleva né ostacolare né ritardare la data di ritorno alla normalità. Certo, questo non significava che non potesse comandare, anzi, ne aveva tutta l’intenzione.
«Sanders e McArthur non sanno niente, non ci saranno di alcun aiuto per uscire… quindi è inutile restare qui.» disse.
«…Però nel rifugio in cui siamo stati prima di venire qua, quello in cui abbiamo acceso il fuoco, qualcuno ci aveva lasciato un biglietto» mormorò Joseph con fare riflessivo.
«Bingo» disse Vladimir indicando l’altro ragazzo.
«Ergo, se torniamo là potremmo trovare altri… indizi?» fece Jordan, mettendosi gli occhiali da sole sulla testa in modo da vedere meglio i loro volti.
«Andiamo» affermò Cerise.
 
I fiocchi continuavano a cadere e quella parte di terreno era completamente ghiacciata. Aiden camminava a passi ben scanditi, giusto per evitarsi una scomoda caduta. Avanzava da solo e non chiedeva compagnia. Aveva già delle persone importanti nella sua vita, quindi legare con altri gli appariva futile, come uno sminuimento dei legami veri. Però quella neve ghiacciata… quella gli ricordava fin troppo bene i cubetti i ghiaccio nei drink, sì, i cocktails estivi. Nella sua mente si allargò l’immagine; ora c’era un uomo, che teneva le bevande tra le mani; rideva, sembrava felice. Stava parlando con altri clienti, sicuramente stava gradendo l’argomento della discussione. Poi era entrato un uomo nel locale, già barcollava… aveva una bottiglia rotta in mano, il braccio sanguinava. Gridava, gridava cose senza senso, ad alta voce, e il barista gli si era avvicinato per calmarlo e poi…
Un rumore sordo. Il dolore di un forte impatto sui fianchi. Quando Aiden tornò a focalizzarsi sulla realtà era caduto sulla lastra di ghiaccio.
«Sì, sei un vero spettacolo, amico» aveva sghignazzato Joseph superandolo. Aiden si mise a sedere sul suolo, e accartocciò le labbra in una smorfia per impedire alle parole di uscirgli dalla bocca. Perché quello non era suo amico; gli amici, così come la famiglia, erano cose imprescindibili.
 
Quando Aria lo vide per terra, a massaggiarsi la spalla, mesto in viso, decise di fermarsi.
«Tutto a posto?» chiese, sbattendo le braccia contro i fianchi.
Aiden alzò lo sguardo e osservò con indifferenza la ragazza. «Immagino di sì, grazie» rispose.
«Figurati… serve una mano?»
Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Sei gentile, ma sono in grado di alzarmi da solo.»
Aria incrociò le braccia sul petto e cominciò a fissarlo con fare sornione.
«Perché mi stai fissando?»
«Oh, nulla. Sto solo contando quanti secondi passeranno prima che mi tu mi chieda aiuto.»
«Speraci» disse ridacchiando. Piegò le ginocchia e piantò i piedi a terra, si diede una spinta con le braccia ed eccolo, era in piedi.
«Cinque, sei, sette…»
Aiden scosse la testa. «Perché stai ancora contando?»
«Dieci, undici…»
Alzò gli occhi al cielo. «Vedo che ti piace la matematica…»
«Tredici…»
Aiden fece per muovere un passo, ma il piede scivolò sulla superficie fredda e lui fu di nuovo sul suolo. Quindi si concesse una risata, e pensò che i legami non dovessero per forza essere come fili indissolubili. Così chiese aiuto ad Aria, che gli porse una mano ridendo compiaciuta. Pensò anche che le amicizie sono sempre un po’ casuali, inaspettate, all’inizio superficiali.
Camminandole a fianco, si rese conto che la statura di Aria era all’incirca come quella di… no, non voleva pensarci. Sapere di esser lontano da quella persona lo faceva sentire malissimo. Chissà cosa stava facendo in quel momento… se era seduta sul divano, oppure all’aperto con loro… si chiedeva se la desolazione inesprimibile che lo lacerava dal giorno precedente, quella mancanza,... la stesse provando anche quella persona.
Ed Aria riempiva ogni attimo di parole nuove, discorsi sconnessi e ironia, timorosa di cadere nel silenzio.
 
Melody affrettò il passo, cercandola con lo sguardo.
«Hey!» disse, ritrovatasi accanto a Cerise. «Per caso hai visto Amira?»
Cerise si voltò lentamente verso la ragazza, e si ricordò il suo nome solamente dopo averla guardata a fondo. Quell’animo timido e pacifico, decorato dalla maglia rosa coi bottoni gialli, le labbra chiare, il viso innocente… qualcosa di inconfondibile. E che a Cerise mancava.
«Se ti riferisci alla tipa strana coi capelli rosa, credo sia dietro» fece schiva.
«Grazie!» esclamò Melody in risposta, bloccando istantaneamente i suoi passi.
 
«Melody, giusto?»
«Sì, sono io. Il tuo nome è... Ashling, vero?»
«Esatto» rispose la ragazza, accompagnata da un timido sorriso. Anche Melody sorrise. Effettivamente erano simili, loro due; stessa aura, stessa apparenza, stesso vincolo ad una personalità grande ma chiusa in una scatola, tenuta nascosta con la costante paura di vederla rivelata. Stesse espressioni scontate e gentili, accondiscendenti, banali.
«Oh s-scusa, volevi dirmi qualcosa?» domandò quindi Melody, ingenua sì, ma consapevole che gli atti di gentilezza gratuita al mondo sono rari, unici se si tratta di situazioni in cui la tua stessa sopravvivenza è messa alla prova.
Ashling sollevò la mano e agitò il palmo. «No no, nulla! Solo che… non so, credo potremmo andare d’accordo… Non mi piace tutto questo, ma credo che viverlo da soli sia ancora peggio…»
Il viso di Melody si illuminò. «Oh, ma certo! Sarebbe un vero piacere, per me!»
Ashling tirò un sospiro di sollievo. «Mi sento di colpo più leggera» soffiò. L’altra ragazza ridacchiò, ma dentro anche lei si sentiva così, lo sapeva perfettamente.
 
«Hai avuto modo di conoscere qualcun altro, qui?» domandò Melody camminando al fianco di Ashling, la quale cercò di nascondere il rossore che le stava colorando le gote portandosi ciocche di capelli più vicine al viso, cosicchè il biondo chiaro di questi si amalgamasse al suo incarnato. Ma tra simili non si sfugge alle sottigliezze, e Melody lo notò subito, il gesto della nuova amica. Lo notò, sì, perché era tipico suo.
«E sembra anche qualcuno di significativo…» azzardò, cercando gli occhi di Ashling. Questa si morse un poco il labbro inferiore e annuì debolmente.
«In realtà non so cosa sia, però… mi fa stare bene, mi sento appropriata e… non mi capita spesso.»
«Trovare la pace dei sensi in una situazione come questa è esilarante» commentò Melody, facendo scappare una risata all’altra ragazza. «È quello là, vero?» Indicò il ragazzo biondo che, a qualche metro da loro, parlava animatamente con Jordan, Joseph e Loup. Ashling si rilassò all’istante, sentì un’ondata di serenità invaderla nel momento stesso in cui intravide il viso del ragazzo sorridere.
«Sì, ho fatto centro... vero?» Ashling annuì di nuovo, cercando di apparire composta.
«Sai, vi ho notati ieri sera, mentre parlavate... state bene, insieme. I vostri occhi hanno lo stesso colore.»
Ashling alzò lo sguardo. «Davvero?» Quando l’altra cominciò a ridere, si sentì come colpita e affondata nel suo sentimento privo di direzione. Ma era anche felice.
Eppure Melody non rideva per divertimento, per spensieratezza. Rideva per colmare, per equilibrare, per dimenticare la solitudine che da sempre era stata il suo peggior incubo. E si chiese perché invece Amira la bramasse tanto.


«E tu da dove sbuchi?» fece Jordan, ormai incapace di sorprendersi.
«Già, ti ha mandato Noah per portarmi via?»
Jordan squadrò Ruby. «Non. È. Il. Momento» scandì, e lei gli avrebbe volentieri pestato un piede, ma Oliver le prese la mano, senza neanche rendersene conto, e le disse di lasciar perdere. Lei sbuffò e incrociò le braccia.
«Oh, allora siete voi…» mormorò.
«Noi chi? Ci conosci?» rincarò Vladimir.
Sul viso del nuovo arrivato si dipinse un ghigno arrendevole.
«Voi siete gli amici.»
«No senti, dev’esserci un errore.» intervenne Cerise. «Qui siamo tutto tranne che amici. Ed ora spiegaci cosa sta succedendo.»
Alzò le spalle. «Non lo so.»
«Senti tipo, cerca di essere più specifico» disse Joseph. «Finchè noi resteremo qui ci sarai anche tu. Se sai qualcosa dillo subito.»
L'altro rise sommessamente. «Dove sono finite le buone maniere? Ho fame, sono nel bel mezzo del nulla.»
«Tu sai» asserì Jordan, prima di continuare: «Lo so. Anch’io avrei agito così in una circostanza simile. Sai qualcosa.»
«Ragazzi, aspettate!» esclamò Melody, alzando la voce per sovrastare quelle degli altri. «Come ti chiami?» chiese allora, in tono gentile, al nuovo arrivato.
Sorrise subdolo.
«Alejandro.»


 
Weei
Sì, sono un attimino in ritardo… is it too late now to say sorry? No okay, no, proprio no. È lo stress che sta scrivendo al mio posto, non c’entro niente, non bla bla bla. Insomma, credo sia chiaro a tutti che maggio è il delirio, quindi capitemi. Totale disagio. Spero che il capitolo vi sia piaciuto (c’ho impiegato tipo due ore a scriverlo quindi insomma, non ho più forze) e niente, sono molto curiosa di vedere come interpreterete l’apparizione di Al… e tutte le altre frasi lasciate a metà nel corso della storia xP Non uccidetemi, amo la suspance. Quindi fatemi sapere se tutto ciò vi sta continuando a piacere e spero di aver reso bene il vostro personaggio [ho riempito due fogli di carta (insomma so ancora scrivere con la penna gente) con tuuutti i tratti di ogni OC. E sono molto interessanti. Ma non spoilero: vi lascio alla scoperta di questi tipi strani ^^]
(ringrazio immensamente tutti voi che state seguendo la storia) <3

Alla precedente prossima!
Alyeska

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Capitolo 6
*** Domande ***


Total Drama: The Snowfall
.5. -Domande
 
«No, no, no, amico…» cercò di articolare Jordan scuotendo la testa. «Non ci siamo… Tu non puoi  non sapere come sei arrivato! Ci siamo già noi a non avere uno straccio di idea! Tu… tu non puoi!»
Loup guardò storto l’amico mentre, frustrato, si colpiva ripetutamente le tempie con le mani, in un tentativo di non eccedere e restare calmo. Un tentativo alquanto vano, si potrebbe dire, dato che gli occhi altrui non facevano che scrutarlo con fare distante e una nota di curioso ribrezzo. I suoi occhiali scuri gli coprivano gli occhi e lui pensava che questo bastasse, per tradire le emozioni. Ma non era così, e quando ne prese atto si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro, senza tuttavia ordinarli; sembrava più uno stakanovista che rientra a casa dopo una giornata di lavoro intenso.
«E poi, mi sembra di aver capito che tu sei qui da meno tempo di noi» disse quindi il ragazzino dalle lentiggini.
Alejandro guardò scettico Loup. «…E con questo?»
«E con questo,» spiegò Hayoung, «forse le circostanze del tuo arrivo sono diverse da quelle del nostro… non trovo altre motivazioni.»
«Ma io sì» intervenne Amira, che fino a quel momento aveva assistito alla discussione da spettatrice passiva e disinteressata. Si fece spazio fino a ritrovarsi di fronte al ragazzo abbronzato, ancora seduto in mezzo alla neve. Si abbassò alla sua altezza, ma non trovò nemmeno una scintilla di timore negli occhi di lui, abituati a celare ogni tipo di emozione. Quindi, col disprezzo che era solita usare, sputò acida: «Sei uno sbaglio.»
Ad Alejandro venne da ridere. Lui? Uno sbaglio? Ma se era la cosa più meravigliosa che lo specchio gli avesse mai mostrato!
«No, sei del tutto fuori strada.»
«Allora dicci quale sarebbe la strada giusta! Dio, mi sento sfinito» disse Jordan. Poi cercò Cerise con lo sguardo; aveva il viso contratto in una smorfia appena accennata, le iridi vagavano spostandosi veloci da un soggetto a un altro e le sue labbra, dapprima rosee, erano accartocciate, pallide e tremanti.
Se Jordan non si fosse trovato vittima di quella corrente di esaustiva afflizione, in quel momento avrebbe ghignato davanti alla piacevole visione dell’espressione insicura sul viso della ragazza. Le avrebbe quasi scattato una foto, ma non tanto per custodirla o per rivivere il ricordo. Okay, Cerise era senza dubbio una bella ragazza, con un fisico slanciato e allenato, e gli occhi di quel colore così insolito, quel verde scuro che sapeva di territorio inesplorato, mistero… Ma a Jordan questo non importava più di tanto. Lo scatto gli sarebbe servito soltanto per sventolarlo in faccia a Cerise e vederla vulnerabile e sconfitta. Sì, in fondo mirava proprio a questo.
«Io non so come sia finito in questo posto» disse Alejandro, alzandosi da terra. Si scrollò la neve di dosso e fece scorrere lo sguardo su ogni ragazzo.
«Però so il perché. E anche chi ne è artefice.»
A quel punto Oliver strabuzzò gli occhi.
«È… è una persona, che ci ha mandato qui? C-Chi mai sarebbe capace di tanta… crudeltà? E per quale motivo?» mormorò sconfitto.
Vladimir sbuffò, non capiva perché quella gente si soffermasse tanto su dettagli futili. Che importava, cosa aveva per la testa l'essere che aveva costruito tutto quello squallore? L’importante era altro.
«Chi è?» domandò allora, inclinando la voce verso il finale, seccato e con un odio dentro che cresceva, lo stava facendo vorticosamente.
Alejandro sospirò. «Non credo la conosciate. Si chiama Courtney.»
«Passa alle sue motivazioni» scandì il biondo.
Il latino alzò le spalle. «Divertimento.»
Vladimir dovette sbattere ripetutamente le palpebre per realizzare le parole dell’altro. «C-Che hai detto?»
«Puro svago» ripetè Alejandro.
Vladimir abbassò il viso e incontrò quello di Ashling, più bassa di lui, che sul momento cercò di sforzare un sorriso per rassicurare l’altro. Dentro, però, si sentiva totalmente persa. Era tutto così orribilmente privo di senso che non sarebbe nemmeno servito scrivere sul suo diario. Come avrebbe potuto spiegare razionalmente quello che le passava per la testa? Le uniche cose che avrebbe scritto, con tutta probabilità, sarebbero state nomi di emozioni vaghe e indefinibili, ripetute moltitudini di volte su ogni pagina. Questo la impauriva, sì, perché se non riusciva più a parlare con se stessa, non veniva proprio a capo di come lo avrebbe fatto con gli altri. Non voleva chiudersi sempre più, ma non sapeva come evitarlo.

Amira, invece, era rimasta rapita dal subdolo modo di fare nel nuovo arrivato, quell’Alejandro, che si credeva tanto superiore da non perdere mai l’equilibrio. Non si tradiva e non si rivelava. Era un essere interessante, sarebbe stato un avversario di tutto rispetto. Ma lei non voleva avversari, non voleva proprio nessuno, nella sua vita. Desiderava solo di aver la mente dalla sua parte, un pacchetto di sigarette, e un corpo che non vomitasse tristezza dentro la sua anima.

Melody non riuscì nemmeno a prestare attenzione alla ragazza dai capelli rosa, le sue forze erano venute meno in un nano istante.
«No,… non è possibile» continuava a mormorare. La sua voce moriva a pochi centimetri dalle sue labbra e non restava nessun complice delle sue parole se non il vento gelido. Il suo viso era pressochè diafano e pareva porcellana. Quando Joseph si accorse di lei, così ferma da apparire come una bambola con le pile scariche, le si avvicinò sbuffando divertito, giusto per ribadirle ciò che sosteneva, che era una ragazzina ingenua che si scoraggia davanti al nulla, che era solo una costruzione precaria realizzata da sensazioni delicate e raffinate; infondo Joseph vedeva Melody come un castello di carte.
«Sei diventata un coniglio morente, adesso?» la schernì. Ma Melody non si mosse. Il suo viso era come pietrificato e non trovava più nulla.
«I conigli sono muti, quindi?» osservò Joseph alzando un sopracciglio. Non capendo la passività della ragazza, si posizionò di fronte a lei. Non trovava il suo sguardo, il suo ego cominciava a risentirne. Non gli piaceva essere ignorato.
«Si può sapere che ti prende?»
Melody non accennò nessun chiarimento. Il ragazzo, allora, le prese il volto tra le mani e lo alzò quel poco da vederla negli occhi. Erano vitrei. Quelle iridi verde acqua che aveva ammesso di apprezzare, erano lastre di vetro inespressive.
«Hey» sforzò. «Dai, di qualcosa… »
Melody allora deglutì e provò ad articolare una frase sconnessa. «P-Perché… qualcuno v-vorrebbe veder ridotti degli… a-altri così?» chiese flebile. Sentì gli occhi appannarsi. «Siamo t-tutti persone… p-perché?»
Joseph non era assolutamente capace di consolare una persona. Era un essere intrattabile e che, soprattutto, non sapeva trattare gli altri in alcun modo. Una ragazza, poi… Come diamine avrebbe potuto? Lui poteva fingersi altri, sì, fingersi più o meno stronzo, ma mai qualcuno con sentimenti. No, quelli per lui non esistevano. Ma Melody stava piangendo, quella ragazzina incapace di difendersi che aveva ancora tanto da imparare su come girasse il mondo, era finita tra le sue braccia a inumidirgli la maglia di lacrime. Dopo attimi di tentennamento, Joseph pose una mano sul capo della ragazza e l’abbracciò. Almeno così non avrebbe dovuto parlare; non lo avrebbe fatto in ogni caso. Non si sarebbe mai finto né moralista né sentimentale. Non lo era e basta.
 
«Come potrebbe una persona sola creare tutto questo? Non ricordo nulla di come sono arrivata qua… so solo che continua a nevicare da quando mi sono svegliata e non ho ancora intravisto il sole» asserì Hayoung. «Non capisco.»
«Non so nemmeno io dove ci troviamo, se è per questo…» replicò Alejandro. «Ma so che lei ama giocare, ama vedere tanti giocatori… ama vedere gli esiti dei suoi esperimenti.»
Hayoung continuava a non capire. C’era sempre quella nota totalmente illogica e scollegata da ogni formula aritmetica che le impediva di trovare le risposte che cercava. C’era della follia, in tutto quel garbuglio di eventi. Kiro le appoggiò una mano sulla spalla.
«Non preoccuparti troppo» disse con voce roca. «Né il rimuginare né la magia possono agire sul futuro.» La ragazza asiatica lo ringraziò sforzando un sorriso, ma i pensieri che le giravano per la testa non si zittavano. Se non altro, aveva trovato una persona che l’appoggiasse.
 
Quindi Loup si parò davanti ad Alejandro. «Hai detto di sapere perché ti ha mandato qui. Voglio saperlo.»
Lo spagnolo, più alto e aitante di Loup, lo guardò dall’alto al basso. E all’altro non piacque, no. Lo faceva impazzire. Era minuto, okay, ma la sua anima era come stata venduta al diavolo. Era sempre stato un osservatore passivo, un bambino timido cresciuto con un odio troppo a lungo represso che non si fermava. Era strano, sapeva di esserlo. Loup era come una contraddizione unica; passivo, ma emotivo. Indeciso, ma, sotto sotto, vendicativo. Meteoropatico. Ma infondo non era colpa sua, era colpa della sua vita e delle persone che ne avevano fatto parte, quelle che lo avevano ripudiato e che, una volta, considerava la sua famiglia. Ma nessun rapporto è stabile.
«Oh, quanta determinazione, dietro quella faccia infantile» commentò Alejandro sogghignando. «Devi sapere che Courtney è anche una ragazza che non accetta mai di perdere, o di passare in secondo piano. Lei esige attenzione, si considera come un diamante insostituibile.»
Loup non sopportava le storielle, e nemmeno i giri di parole che quel tipo stava adottando. «…Quindi?» lo interruppe brusco.
«Quindi è arrivata ad uccidere la mia ragazza al primo sospetto che la stessi tradendo. Senza avere prove concrete. L’ha fatto e basta, e poi mi sono risvegliato qui.»
«…Truce» commentò William.
«Altro che truce!» intervenne Aria. «Questa Courtney è completamente pazza!» esclamò, ruotando l’indice contro la tempia sinistra per marcare il concetto.
«Sì, lo è. Ma non ne voglio parlare.» Alejandro serrò le mani in pugni saldi e chiuse gli occhi. Nonostante il suo impegno per nasconderlo, l’immagine di Heather tra le fiamme, unito al rimpianto del suo egoismo, della sua passività, continuava a tormentarlo. Un incubo insaziabile.
 
Un’altra persona che proprio non riusciva a capacitarsi di una situazione tanto al limite era Ruby. Sì, perché infondo, dietro al suo modo di essere stramba, testarda e impulsiva, c’era una ragazza astuta e coraggiosa, ma anche sensibile. Non era diversa dalle altre persone, anche lei detestava la solitudine. E anche veder soffrire gli altri. Quando notò Melody, singhiozzante tra le braccia di Joseph, si sentì pesante. Non ricordava il nome della ragazza piangente, ma decise di non avvicinarsi. Lei era la prima che non voleva compassione altrui. Quindi rivolse un'occhiata a un punto più lontano; Aiden stava parlando con Oliver, ma gli occhi del ragazzino non si erano mai spostati dal viso assente di Ruby.
 
«Tu non ti senti mai inadeguato?»
«No» rispose secco Vladimir. Ashling mormorò un «Oh» di chi assesta il colpo, e non aggiunse nient’altro. Ma il ragazzo non apprezzava il silenzio, preferiva di gran lunga frasette insulse con involuti inserti che potessero nutrire il suo narcisismo. Quindi continuò il discorso.
«Tu sì?»
«A-A volte mi capita…»
Vladimir abbozzò un ghigno. «Non ti capisco.»
«P-Perché?» Ashling non si spiegava perché quel giorno Vladimir fosse tanto difficile.
La squadrò veloce: le iridi chiare di quel tipo che, l’aveva dimostrato più volte, sapeva il fatto proprio, la mettevano in soggezione. La facevano sentire come sottoposta a un giudizio severo.
«Con quel viso,» cominciò, «non puoi pensarti inferiore ad altri.»
«Ma io non ho detto di sentirmi infer-»
«Hai usato un suo sinonimo, Ash. Tra sentirsi inferiori e inadeguati non c’è poi molta differenza.»
Ashling abbassò lo sguardo, riconoscendo che la ragione stava dalla parte di Vladimir. Poi il ragazzo cominciò a canticchiare.
«Ash, Ash… don’t be ashamed…» improvvisando sul momento una melodia sconnessa, ma per niente stonata.
E solo in quel momento la ragazza si rese conto del soprannome appena affibbiatole; nessuno l’aveva mai chiamata così. Le piaceva.


HEYHEYHEY ! 
Questa volta sono suuper puntuale! Cosa succederà adesso? Io lo so! ^^
Pubblicazione del prossimo capitolo fissata per i primi giorni di Giugno (probabilmente) :)

Fatemi sapere cosa ne pensate! <3
Alyeska707

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Capitolo 7
*** Attriti ***


Total Drama: The Snowfall
.6. –Attriti

Alejandro non riusciva a stare tranquillo. Non sapeva cosa aspettarsi da una come Courtney, ma era certo che qualcosa, prima o poi, sarebbe accaduto. E avrebbe stravolto tutto. Si guardò intorno con circospezione, esaminando uno ad uno tutti i ragazzi, suoi compagni di sventura, appurando che no, non gli importava affatto di conoscerli meglio. Alejandro era sicuro che Courtney non avrebbe lasciato che scappassero tanto facilmente e, con tutta probabilità, se avesse deciso di lasciargli qualche indizio per la fuga, lo avrebbe fatto col solo intento di farli dannare, alla ricerca di una libertà illusoria e che non avrebbe mai concesso. Era tutto complicato. Complicato e senza logica, senza alcuna spiegazione. Il latino incurvò la schiena, abbassando la testa con le mani premute contro le tempie, gli occhi chiusi, in completo silenzio.  Non avrebbe mai scelto di arrendersi, ma valeva davvero la pena di lottare per un obiettivo irraggiungibile?
«Allora anche tu hai paura di qualcosa, mh?»
Alejandro si ricompose velocemente, come colto sul fatto. Si schiarì la voce e assunse un tono disinteressato. «Non direi.»
Amira socchiuse gli occhi e gli rivolse un’occhiata sornione, da chi la sa lunga, da chi ha capito ogni cosa ma non perde tempo in spiegazioni.
«Non usciremo mai, giusto?» aggiunse, facendo un tiro della sigaretta che si consumava in breve tempo. Alejandro esitò davanti a quella supposizione, ritrovandosi a corto di parole. Quindi Amira si girò nuovamente verso di lui, mettendo su un sorrisetto colmo di aspro sarcasmo. «Chi tace acconsente?»
Alejandro appoggiò la testa contro un cumulo di neve, incurante del freddo.
«Chi tace è stanco» la corresse. Amira alzò le spalle. «Se lo dici tu.»
Il ragazzo dagli occhi verdi la osservò per un secondo. «Credevo non fossi il tipo da “ho bisogno di parlare con te”» asserì. L’altra ridacchiò, riportando lo sguardo su un punto in lontananza, una lastra ghiacciata. «Non lo sono, infatti.»
«Però mi stai parlando» rifletté ad alta voce Alejandro.
«Solo perché voglio delle risposte e tu sembri la persona più informata sui fatti.»
Il latino sospirò, un po’ sconfitto. «Questo è proprio un peccato…» mormorò, in un filo di voce.
«Perché?»
«Perché vedi… io non so proprio niente» continuò, abbozzando un sorriso rassegnato.
Amira ispirò il fumo e poi lasciò cadere nella neve il mozzicone. «Non ci guadagni niente ad ammetterlo» disse, calpestandolo col tallone dell’anfibio nero.
«Non ho più nulla da perdere. Essere forte per me stesso... è difficile. Non sono un eroe, è inutile prenderci in giro.»
La giovane dai capelli rosa e il trucco scuro spostò l’attenzione su Melody, tremante e ancora abbracciata a Joseph. Amira non si spiegava perché la ragazza insistesse tanto a volerle essere amica. La vedeva forse forte? No, non ne era per niente convinta; infondo lei condivideva il pensiero di Alejandro, che essere invulnerabili è fin troppo complicato. E Amira sapeva anche di non essere un’eroina, non aveva mai aiutato nessuno. Ma forse… forse tutto quello che chiedeva Melody era di essere protetta, era così ingenua, lei. Amira chiuse gli occhi: si sarebbe impegnata per non deludere le sue aspettative.
 
Oliver stava discutendo con Kiro e Aiden riguardo magia e superstizione, anche se il secondo interveniva di rado e al terzo non importava l’argomento. In altre parole, Oliver stava più consolando se stesso, speranzoso che qualche forza lo avrebbe aiutato. Anche se, ora dopo ora, sentiva la luce in lui spegnersi piano, mentre un’altra si stava accendendo con una potenza assai diversa. Si sentiva strano e, sebbene impaurito dalle circostanze, anche rassicurato dalla nuova emozione che si stava allargando in lui a macchia d’olio, la stessa sensazione che lo vincolava sempre più da vicino, sempre più in profondità, a una sola persona, di cui conosceva solo il nome e il lato più estroverso. Anche il suo comportamento generale risentiva di quel calore. Così, dopo quel suo ennesimo sospiro che sapeva fin troppo di serenità, Aiden girò i tacchi, scontrandosi con Vladimir, preso in una discussione sul football con Jordan. Il ragazzo dai capelli corvini non perse nemmeno tempo per scusarsi, cosa che, in ogni modo, Vladimir accettava; le scuse erano cose inutili. Era un’altra, la cosa che non sopportava: vedersi ignorato, malamente snobbato. Quindi si voltò in direzione di Aiden, che stava già camminando altrove, portandosi le mani ai lati della bocca.
«Hey, tu!» gridò. Abbassò la voce solamente in un secondo momento, quando vide il diretto interessato girarsi con fare annoiato.
«Non so se te ne sei accorto,» commentò acido, indicandosi la schiena col pollice, «ma mi hai appena urtato.»
Aiden sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Mi dispiace, non ti avevo visto» si scusò canzonante, fin troppo. Vladimir socchiuse gli occhi.
«Fai poco il cretino» disse, digrignando i denti. Insomma, chi si credeva di essere quello?
L’altro si avvicinò di qualche passo, allargando le braccia e col viso contratto in un’espressione sprezzante. «Si può sapere qual è il tuo problema?»
«Il tuo, di problema, amico» l’apostrofò Vladimir, restando immobile e impassibile, con gli occhi che apparivano più freddi e impenetrabili del ghiaccio sotto i loro piedi. A quel punto, giunto a meno di un metro di distanza dall’altro ragazzo, anche Aiden si bloccò. «Noi non siamo amici.»
L’altro finse sorpresa, ridacchiando. Alzò gli occhi al cielo, percorrendosi la linea della mascella con le dita, in un ritratto di divertimento leggero e inequivocabile. «Oh, giusto, non lo siamo» disse, marcando l’ostilità delle parole.
«Tu non sei a posto» osservò Aiden scuotendo la testa, disgustato. E nella testa di Vladimir, a quel punto, scattò davvero qualcosa.
«Credi di conoscermi? Davvero?» Si avvicinò all’altro, spingendolo.
«Non toccarmi» avvisò Aiden, arretrando di mezzo passo e guardando l’altro ragazzo con odio. Vladimir non aveva paura di essere odiato, non lo toccava minimamente. Ormai ci aveva preso l’abitudine, insomma, chi non lo odiava? Le sue ex, i suoi genitori… era tutta questione di abitudine. Ciò che contava era mantenere l’ultima parola, uscirne a testa alta, no? Così non si fece problemi a schernire l’altro, ridendogli aspro in faccia e permettendosi un: «E se lo faccio, mh? Che mi fai?»
Ma ormai avevano già attirato l’attenzione degli altri. Loup aveva provato a intervenire, afferrando Aiden per la maglia e cercando di allontanarlo, ma il ragazzo in risposta si era abbassato e aveva lasciato il ragazzino interdetto, con l’indumento dell’altro ancora in mano. Alla fine era stato Jordan, a calmare le acque, imprecando contro i due.
 
«Quindi qualcosa di buono la sai davvero fare? Sorprendente, dico davvero, dico sul serio» commentò Cerise dopo la performance del ragazzo, il quale aveva alzato gli occhi, nascosti dalla montatura da sole, al cielo. Non aveva voglia di giocare, in quel momento.
Quando Ashling provò ad avvicinarsi a Vladimir, lui le rivolse un’occhiata distaccata.
«Si può sapere che vuoi tu?» le chiese, seccato.
E Ashling  ebbe paura. Paura di non essere abbastanza. Paura che i suoi sentimenti gli si sarebbero potuti ritorcere contro agguerriti e armati di lame e coltelli. Paura di essersi illusa troppo. Paura che le azioni di Vladimir, anche se poche, ogni suo gesto, potessero essere nient’altro che menzogna, o disinteressato divertimento. Un passatempo in attesa della morte, insomma. Il piedistallo vitreo di Ashling, appena costruito, accuratamente, nonostante la velocità degli eventi, era appena stato colpito da un oggetto ben più pesante ed era andato in frantumi, lasciando lei cadere giù… giù… sempre più in profondità.
«A-Aiutarti…» mormorò con l’unica, leggerissima nota di voce rimastale. Vladimir si trattenne per non scivolare in una cupa risata sommessa, e accartocciò le labbra.
«Non starmi appiccicata, lasciami respirare» sputò, prima di girarsi e andare via da lì, da tutto, da tutti, lasciando Ashling senza la forza di muoversi, con gli occhi che si inumidivano veloci e le mani che diventavano sempre più fredde. Si sentì morire.
 
«Più passa il tempo, più mi convinco che certa gente… non la capirò mai» disse Aiden, rimettendosi la maglia. Aria si limitò ad annuire, cercando di nascondere il disappunto; preferiva di gran lunga l’addome scolpito, alla semplice maglietta scura.
«Su, non è che puoi farci qualcosa, insomma, siamo tutti diversi al mondo.»
«Non è questo il punto, Aria…» commentò il ragazzo sottovoce, massaggiandosi la faccia con le mani. Si sentiva stanco, e anche affamato. Non mangiava dalla sera precedente, e, nonostante fosse privo di un orologio, era alquanto sicuro che fosse già primo pomeriggio.
«Okay, va bene» disse lei in risposta. «Allora cambiamo argomento.» Aiden ridacchiò.
«E di cosa vorresti parlare?»
L’ultima cosa che Aria desiderava, era mostrarsi superficiale. Insomma, fin troppa gente la etichettava così dal primo momento, e non le andava per niente a genio. Però voleva rivederla, quella risata cristallina, sul viso del ragazzo. E voleva sentirsi apprezzata, in quel momento più di ogni altro.
«Allora, cosa ne pensi dei miei capelli?» gli chiese con voce acuta e sguardo sognante, imitando una delle tante sciacquette con cui era abituata a lavorare, trovandosi immersa nella vanità dell’ambiente della moda.
Aiden rise. «Direi che il contrasto tra i capelli neri e il ciuffo biondo sia… oh, il massimo! Per non parlare di quello rosa, davvero cool
Anche Aria si ritrovò a ridere, felice che la situazione pendesse a proprio favore.
«E cosa ne pensi della mia abbronzatura?» aggiunse, mantenendo lo stesso, acuto tono che aveva in precedenza.
«Molto esotica» le assicurò il ragazzo, non riuscendo a frenare le risa.
«E le mie labbra?»
Aiden si stava già preparando la battutina sul suo lucidalabbra rosa, ma non ebbe neppure il tempo di finire di formularla mentalmente. Aria era a neanche un centimetro dal suo viso, premuta contro di lui, con le labbra che si muovevano piano su quelle del ragazzo. Aiden impiegò alcuni secondi per realizzare cosa stava davvero accadendo, poi scostò Aria, lasciandola interdetta. Si era lasciata prendere la mano, diamine. Si sentiva un vero schifo, era sicura di aver rovinato tutto. Però Aiden stava ancora ridendo…
«Sei un’attrice nata, lo sai?» disse. Anche lei si sforzò di sorridere. «Imitazione davvero ottima» aggiunse il ragazzo. Poi si allontanò, dicendo che il suo stomaco reclamava del cibo e che stava letteralmente morendo di fame.
 
«Scena leggermente patetica.» Aria si girò di scatto, trovando William seduto su una roccia, con le labbra piegate in un sogghigno divertito e irritante. Lo fulminò con lo sguardo.
«Che vuoi?» asserì acida, ma senza riuscir a fare vacillare il sorrisetto del ragazzo.
«Vuoi un riassunto dello spettacolino che hai appena orchestrato?» chiese lui, ridacchiando sommessamente.
Aria abbassò il capo, colpevole. Ma anche ribollente di rabbia. «Cosa ne vuoi sapere tu?» rincarò. Si sentiva quasi umiliata, e stava odiando William.
«Oh niente. Mi sento solo un po’ deluso per te, e triste, e rifiutato.»
«Non sono stata rifiutata» l’apostrofò Aria.
«Lo credi davvero?»
«Davvero.» La ragazza incrociò le braccia sul petto, mostrandosi sicura e composta, quando in realtà, dentro, si sentiva in subbuglio, come persa.
«Allora mi spieghi perché il tuo caro Aiden ha tatuato sulla schiena il nome di una certa Georgia?» domandò subdolo.
«E tu quando l’avresti visto, scusa?»
William finse di pensarci su. «Nel caso non te ne fossi accorta, e ne dubito… fino a qualche minuto fa era senza maglietta. Sei rimasta così incantata da non accorgertene?»
La ragazza alzò le spalle. «Per quel che mi riguarda, potrebbe benissimo essere il nome di sua madre» disse.
«Effettivamente se qualcuno mi baciasse non ricambierei mai perché mia madre potrebbe piangere dalla delusione nei miei confronti» fece ironico l’altro.
«Sei irritante» commentò Aria.
«Mi piace infierire.»
«Tu non stai infierendo, ti stai solo inventando assurdità.»
«Non ne vedo il fine…»
«Okay, sai che ti dico?» disse Aria, stufa e frustrata dalla situazione. «Glielo chiederò. E vedremo se hai ragione.»
William annuì, soddisfatto.
 
Aiden aveva appena convinto Alejandro a tornare nella dimora di Sanders e McArthur per mettere qualcosa sotto i denti, Hayoung stava cercando di rincuorare Ashling assicurandole che i sentimenti, a differenza delle formule matematiche, sono elementi frenetici che variano e si trasformano, Melody si stava riprendendo dall’attacco di panico e Joseph aveva finalmente iniziato a non sentirsi a disagio. Aria si stava allontanando da William, che continuava a ghignare. Jordan sparpagliava la neve, mentre Loup parlava con Oliver e Ruby, che cercava di spiegare agli altri chi fosse il famoso Noah.
E Amira si stava guardando in giro, quando intravide il ragazzo biondo, Vladimir, correre verso di loro.
Aveva il fiatone e si fermò ansimando, una volta arrivato dinanzi agli altri.
«Perché stavi correndo?» chiese Jordan.
Vladimir scosse la testa, raddrizzando la schiena. Deglutì e fissò l’interlocutore negli occhi, mentre gli altri si avvicinavano per ascoltare la sua risposta. Vladimir non stette troppo a girarci intorno.
«Le due tipe in quella casa…» disse, respirando ancora affannosamente.
«Sanders e l’altra?» lo interruppe Jordan.
«Sì, quelle» rispose Vladimir. «Sono morte.»
 

n.a.----------------------------------------------------------------------------------------------------------

(2120 parole. E sono super puntale! #fierezza), ma lascio a voi l’ultima parola, quindi fatemi sapere come vi è sembrato questo capitolo!
Quindi… qualcosa è successo, beello. (qualcosa che un po’ tutti voi stavate aspettando, credo)
Piccola nota: I_LOVE_RAPH (e ti ringrazio ancora), si è offerta di fare un collage con tutti gli OC di Snowfall, quindi, se avete delle idee riguardo il prestavolto (un personaggio famoso/presente su internet/mondo di Tumblr, come volete) del vostro personaggio, mandatemi il link di una sua foto (oppure scrivetemi semplicemente il suo nome) per messaggio privato. Se no cercherò di sbrigarmela da sola. (grazie per l’attenzione!)

A707

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Capitolo 8
*** Urla! ***


Total Drama: The Snowfall
.7.- Urla!

L’intero gruppo venne scosso da un brivido. Freddo e paura si univano vorticando nell’aria gelida e sprizzando coriandoli di terrore che, come neve, colpivano i ragazzi con leggerezza, ma ripetutamente. L’intuizione di trovarsi in una realtà difficile aveva raggiunto tutti, ma una visione tanto macabra non aveva ancora sfiorato nessuno dei presenti. Adesso i ragazzi, stretti tra loroformando un cerchio attorno a Vladimir e Jordan, non riuscivano quasi a trovare aria da respirare. Una lacrima, seguita da altre dapprima silenziose, solcò veloce la guancia di Melody, che si era da poco ripresa. Le sue emozioni erano nuovamente state dirottate verso un orizzonte in tempesta, un mare burrascoso, e lei sola si sarebbe schiantata. Non che una qualche compagnia le avrebbe impedito la morte, comunque. Il fattore solitudine era alquanto delicato e in un certo verso astratto nella mente della ragazza. Voleva sentirsi protetta anche se era consapevole di trovarsi in un ambiente pieno di devastazione, con abitazioni devastate, strade devastate e una popolazione devastata  che attualmente comprendeva sedici abitanti. Melody non voleva morire, e non voleva farlo da sola. Sapeva che, come concetto, suonava abbastanza stupido, considerando che ognuno muore solo perché legato ad una vita indipendente da quella di altri. Eppure lei, se sarebbe morta, anzi quando, avrebbe voluto sentire la presenza di qualcuno al suo fianco. Qualcuno che la sorreggesse magari, ripetendole di dire qualcosa, di non chiudere gli occhi, che ce l’avrebbe fatta. Da questo punto di vista Melody poteva apparire come la tipica adolescente dalla visione rosea e romantica, una sognatrice. Ma lei conosceva la verità. Si sentiva solo egoista, convinta che la paura paralizzante che la colpiva senza tregua fosse un castigo. Si sentiva egoista perché, in punto di morte, avrebbe voluto essere lei la prima a lasciare il mondo, così da non dover sopportare la vista della perdita di altri a cui teneva, così da non dover rischiare di rimanere l’ultima in vita. Ultima e sola. Così alzò lo sguardo senza sapere bene in che direzione puntarlo, ispezionando i volti dei compagni che a differenza del suo, ormai contratto dalla disperazione, erano solo sgomenti. Occhi vuoti e visi di ceramica chiara, occhi sgranati ma non troppo, labbra socchiuse e prive di parole da proferire, da dove non fuoriusciva neanche un filo di fiato. Melody vacillava, barcollava. In un momento di improvvisa perdita di equilibrio si ritrovò a dare una spallata a Joseph che, come prima, era ancora al suo fianco. Non la degnò di uno sguardo. I suoi singhiozzi però li sentiva, uniti al tremolio dei suoi denti. Ma si era già stancato di badare a una ragazzina tanto fragile. Chi era lui, un baby-sitter? Che ci ricavava a sorbirsi le motivazioni di tanto frequenti crisi di pianto? Erano tutti nella stessa posizione. Certo, qualcuno era più delicato di qualcun altro, ma la forza non nasce con noi. Cresce se noi l’alimentiamo, come il coraggio. Non capisci che non c’è nessun mostro sotto il tuo letto finchè non ti alzi nel cuore della notte e accendi la luce, consapevole che ti potrebbe uccidere. È tutto una catena di cose che vanno apprese, prima o poi. Inutile girarci intorno. E Melody lo stava innervosendo.
«C-Come fai a restare così… impassibile?» cercò di articolare la ragazza con voce strozzata. Joseph pensò se valeva la pena rispondere alla domanda e concluse che no, non ne valeva proprio la pena. Ma rispose comunque.
«Perché io non sono te. E non mi piango addosso.»
«Ma io non lo faccio di proposito! I-Io non riesco a tenermi tutto dentro… Io pensavo-»
«Male» la interruppe Joseph, finendo per lei la frase. Le rivolse un’occhiata di sufficienza e poi la superò, procedendo verso il centro del cerchio, dove Vladimir, ancora col fiatone, teneva gli occhi fissi su Jordan alla ricerca di una qualche spiegazione che attendeva ad arrivare. Joseph si era stancato di restare nell’ombra, si era stancato della parte del ragazzo chiuso a cui non importa di nulla. Perché a lui di qualcosa importava, e quel qualcosa non era solo la propria sopravvivenza, ma anche avere in mano la situazione, essere il burattinaio di tutto, avvicinarsi agli altri per poi gettarli in pasto alla morte al suo posto. Era la legge di Darwin, infondo. Sopravvivono solo i più forti, i più scaltri. E Joseph Johnson non era mai stato il genere di ragazzo dai tanti scrupoli.

Jordan arretrò in silenzio. Che poteva dire? Non si era mai ritrovato senza parole. Si girò e, massaggiandosi il collo, si avvicinò ad Hayoung.
«Senti…» mormorò. «Probabilmente non siamo partiti col piede giusto…»
La ragazza dal caschetto scuro lo squadrò con disgusto. «Ti sembra il momento per un discorso del genere?» schernì.
Jordan sospirò per non alzare la voce. «Intendevo,» continuò. «che tu sei una delle più brillanti, qui in mezzo. Dico bene?»
Hayoung scrollò le spalle. Non le piaceva darsi arie delle sue doti. Era brava, sapeva di esserlo, ne era orgogliosa. Aveva un alto quoziente intellettivo, ma non voleva esibirlo.
«Ho voti alti a scuola» si limitò a spiegare. «Avevo» si corresse poi.
«Come pensavo» commentò Jordan. Si riabbassò gli occhiali da sole sugli occhi e disse: «Tu cosa ne pensi di tutto questo?» Ma questa era una domanda che metteva in difficoltà anche lei.
«Non lo so davvero.»
A quel punto Joseph decise di intervenire.
«Siamo fuori dal mondo, qui tutto va al contrario. Nemmeno Einstein saprebbe cosa pensare, semplicemente perché la logica ha smesso di esistere nello stesso istante in cui siamo arrivati qui!» disse, la voce alta senza essere urlata, in modo da riuscire a farsi sentire da tutti.
«Ma resta sempre l’eccezione» osservò Vladimir, spostando la sua attenzione su Alejandro che, serio in viso, non si smosse neanche quando cominciò a sentirsi gli occhi di tutti addosso.
«Non ne so niente, ve l’ho già detto. Sono nella vostra stessa situazione» cercò di chiarire. «E se quelle due sono morte, è perché magari c’è qualcun altro in questo posto. Forse non siamo soli come pensiamo.»
«O forse rientra tutto nel piano della tua amichetta-gangster: farci dannare, impazzire, ucciderci e, perché no, mangiarci a vicenda. Non fa una piega, non credi?» aggiunse viscido Vladimir.
«Ti ho detto che sono nella vostra identica situazione, Vlad.»
«Non. Chiamarmi. Così.»
Aiden prese la palla al balzo.
«Che c’è, Vlad? Non sopporti essere chiamato Vlad? Qual è il problema, Vlad?»
«Non intrometterti» lo zittì lui, e Aiden avrebbe voluto continuare, ma era abbastanza risoluto da afferrare che non era il caso di aggiungere ulteriore tensione. Non finchè le cose si sarebbero ridimensionate, almeno.
Joseph si voltò verso il ragazzo biondo dagli occhi chiari.
«Come sono morte?» gli chiese. L’altro alzò le sopracciglia e lo guardò dubbioso.
«Ha importanza?»
«Sì, se vogliamo capire come possiamo evitare la loro stessa fine.»
Aria si tappò le orecchie. «Non voglio sentire!» disse, strizzando gli occhi e girandosi dall’altra parte.
«Non fare la stupida» rimboccò Cerise, guardandola con la coda dell’occhio.
«Non riesce a sentirti» le fece sapere Aiden.
«Anche questo ha i suoi vantaggi» commentò Cerise.
«Tanto se nomini una qualche marca di borse o scarpe torna a sentirci benissimo» mormorò annoiato William, soffiando per scostarsi un ciuffo sfumato di verde dal viso. Aiden lo osservò per qualche istante, poi tornò a focalizzarsi su Vladimir e Joseph.
«Beh non lo so» disse Vladimir. Quando sono arrivato loro erano distese sul pavimento… nel sangue… e c’era un odore terribile e-»
«Non desidero altri dettagli, grazie» lo bloccò Ruby, chiudendo gli occhi e accompagnando le sue parole con un segno delle braccia. Ciononostante, si ritrovò a dover riaprire le palpebre, quando avvertì un tocco leggero sulla sua spalla.
«Cerca di sopportarlo. È importante per noi» le spiegò Oliver. Ruby accartocciò le labbra. Diamine, non aveva bisogno di supporto! Solo, teneva alla sua salute. Non voleva vomitare.
«Ehm… Grazie per la premura» rispose, mantenendo un tono di voce basso e piatto, leggermente infastidito, che indusse Oliver a ritrarsi. Lasciò cadere il braccio lungo il busto, poi prese il polso della mano destra in quella sinistra, stringendo il tatuaggio raffigurante l’occhio di Horus con forza. Strizzò gli occhi.
«Ti prego» pensò intensamente. «Fai che funzioni. Resta con me.»

«Quindi sono state uccise…» suppose Joseph.
«Penso» commentò Vladimir. «Comunque…» aggiunse. «La seconda, quella chiassosa…»
«McArthur» corresse Hayoung.
«Lei… Lei era fuori dalla casa. Cioè, non proprio fuori… Era all’entrata, sulla porta.»
«Era incastrata tra porta e stipite?!» intervenne Jordan, già immaginando la più tetra prospettiva degna da film dell’orrore.
«No, no…» rassicurò Vladimir. «La porta era aperta… e lei era lì, stesa a pancia in giù… e il sangue macchiava i gradini dell’entrata… sporcava anche la neve. Però non c’erano altre tracce, o impronte.»
«Quindi hanno aperto al loro assassino… Lo conoscevano» mormorò Joseph, guardando verso il basso.
«E lui ha ucciso prima Sanders, poi è uscito… L’altra lo ha seguito all’uscita e lì ha ucciso pure lei… Ma sono l’unico a non coglierne il senso? Non c’erano nemmeno impronte sulla neve, ma il sangue era vivido, non ancora rappreso!»
«Il senso è che non ce n’è uno» concluse Alejandro. «Ricordate che tutto questo è un gioco, e già questo lo rende… impossibile. È folle. Ma Courtney vuole divertirsi. Vuole vederci soffrire, ma soprattutto vuole vedere come siamo, come ci comportiamo. Se ha in programma anche la nostra morte, state sicuri che non arriverà presto. Lei è interessata a noi, per ora.»

*****
Una risata nervosa riecheggiò nella stanza.
«Lo pensi davvero, Al?»  Sussurrò la domanda rivolta al silenzio che la circondava, solo lei era presente in quella camera. «Sei sempre così sicuro di te…» Courtney si mise a sedere davanti allo specchio antico, ormai usurato e con qualche crepa sui bordi superiori, e ripassò il rossetto scuro, di un bordeaux sangue che si amalgamava perfettamente al suo incarnato. Poi afferrò il telefono, digitò un numero e si portò l’oggetto all’orecchio.
«Pronto? Duncan?» disse con voce squillante.
«Sì. Esatto, sì… Sono io. Sei impegnato? Oh, certo… perfetto. Puoi raggiungermi? Sapevo di poter contare su di te… sei l’unico che capisce… Sì, lo so. Ti amo
*****

«Ergo, ora come dovremmo comportarci…?» si intromise Loup. Non aveva parlato molto fino a quel momento, quindi non si stupì troppo dei visi attoniti che lo stavano guardando, probabilmente chiedendosi quale fosse il suo nome. Passò in rassegna Vladimir, Alejandro e Joseph, ma nessuno dei tre sembrò in procinto di rispondere. Quindi si voltò in direzione di Jordan, il ragazzo con cui aveva più avuto modo di parlare.
«Mi vuoi rispondere?» sbottò acuto dopo qualche secondo passato a guardarlo fisso attraverso le sue lenti scure.
«E calmati» ribatté l’altro cercando qualcosa da dire. Quando parlava con Loup gli sembrava sempre di parlare con una ragazzina scorbutica che vuole assolutamente la gonna fuxia al posto di quella lilla. Jordan avrebbe odiato quella ragazzina, ma non odiava Loup. Lo trovava diverso, ma non nel senso di speciale. Solo, non come la massa. E questo glielo faceva apprezzare.
«Forse dovremmo trovare un posto in cui stare… un posto tipo la stanza del falò, quello della prima sera.»
«E per il cibo?» domandò insistente Loup.
«Potremmo suddividerci in gruppi e andare a prenderlo a rotazione dalla dispensa di Sanders e McArthur… avevano detto che ne avevano in abbondanza, no?» disse Joseph.
«Ma ora sono morte…» osservò Loup.
«Non è detto che questo cambi le cose… Possiamo solo andare a verificare. Chi si offre?»
Alejandro fece un passo avanti. «Vado io.»
Joseph si permise di squadrarlo con curiosità. «Vedo che non hai niente da perdere.»
Alejandro scrollò le spalle, ma non si risparmiò il solito ghigno. «Hai fatto centro.»
«Chi altro va con lui? Siamo in sedici… potremmo suddividerci in quattro gruppi da quattro persone, che dite?»
«Non mi sembra male» commentò Alejandro. Poi aggiunse: «Dai, decidi la composizione dei gruppi. Vedo che ti stai divertendo», riprendendo l’osservazione precedente dell’altro ragazzo, che sogghignò in risposta.
«Bene» asserì con voce ferma. «Gruppo uno: Alejandro, Kiro…» fece una pausa. Incrociò il viso pallido di Melody e scelse di dirigersi altrove, incontrando Amira. Si ricordò di quanto Melody la cercasse costantemente e, più per se stesso che per la ragazza, chiamò i loro nomi. Almeno così Melody non avrebbe più pianto sulla sua spalla. Le emozioni delle altre persone lo infastidivano e lo mettevano a disagio allo stesso tempo.
«Gruppo due: Aria, Hayoung, Oliver, Aiden.» Pausa. «Tre: William, Cerise, Jordan, Loup.» Lo sbuffo della ragazza dal colpo di sole bianco risuonò.
«Credi davvero che sia una buona idea? Io con lui?» disse indicando Jordan, la cui opinione non si distaccava troppo da quella di lei. «E lui?» continuò puntando l’indice dell’altra mano contro William, che sogghignava divertito dalla scenetta della ragazza-che-non-riesce-a-controllarsi.
«È per la nostra sopravvivenza, Cerise» disse con calma Joseph, anche se non poteva negare a se stesso la non-casualità dei quattro membri. Era un acuto osservatore, lui. E voleva divertirsi un po'. Lei socchiuse gli occhi stringendo una mano in pugno. Avrebbe voluto chiedergli chi era lui per decidere con chi dovesse stare lei e perché fosse d’un tratto diventato il capetto di turno quando la più adatta ad esserlo era senz’altro lei. Ma non proferì parola. I veri leader sanno adattarsi anche alle condizioni sfavorevoli.
«E ultimo gruppo: io, Vladimir, Ashling e Ruby.»
Vladimir mormorò un «Okay» altamente disinteressato, Alejandro annuì e disse che il suo gruppo sarebbe partito subito per verificare la situazione e che avrebbero potuto rincontrarsi tutti nella stanza del falò, che lui non conosceva ma Amira, Melody e Kiro sì. Joseph annuì e con gli altri cominciò a camminare, separandosi dal gruppo numero uno, dove una Melody fin troppo scossa che minacciava di cadere a terra a ogni passo venne sostenuta un’Amira che riuscì ad ascoltare ogni timore dell’altra senza interromperla, anzi, senza dire neanche una parola. Infondo era umana anche lei, e nonostante l’apparenza sapeva bene che gli uomini sono creature fin troppo fragili. Alcuni lo sanno nascondere, altri meno, ma tutti sono accumunati da una debolezza incolmabile e impossibile da soddisfare. Sono tutti schiavi delle proprie emozioni.

Quando i dodici arrivarono al rifugio, Joseph si colpì la fronte ricordando che l’unica con un accendino ancora funzionante e quindi l’unica che poteva accendere il fuoco non era ancora arrivata. Non c’era il solito vociferare, i ragazzi parlavano tra loro in sussurri sparsi, forse per paura di risultare inappropriati, forse per non rischiare di sottovalutare l’atmosfera di pericolo che, vivace, li seguiva ad ogni passo.
Ashling era in gruppo con Joseph, Ruby e Vladimir. Sì, soprattutto con Vladimir. Joseph non le piaceva particolarmente: le era subito sembrato il tipico ragazzo che nega la propria umanità pur di vedersi superiore e senza talloni d’Achille. Ruby non le dispiaceva, la vedeva come una ragazza sveglia, il cui umorismo rasserenava.  E poi c’era Vladimir. Sorrise al pensiero. Dopo si ricordò di come l’aveva trattata poche ore prima. «Non starmi appiccicata» le aveva detto. «Lasciami respirare.» Ashling chiuse gli occhi: faceva ancora un po’ male, come una fitta. Però non voleva restarsene lì così, cercando di non guardarlo e chiudendosi in se stessa. Non per lui, ma per lei. Perché non voleva comportarsi come la ragazza vittima di un’illusione d’amore. «Io non sarò la vittima» si ripeteva. «Sono forte. Sono forte e posso farcela.» Infondo Vladimir era una delle poche persone con cui aveva socializzato. Quindi si alzò e si diresse verso l’angolo in cui il ragazzo, appoggiato alla parete in legno logoro, si guardava le scarpe slacciate, probabilmente lanciando mentalmente imprecazioni contro le stringhe e il loro inventore. Un inventore incredibilmente stupido.
«Hey» lo salutò Ashling, avvicinandosi a lui stretta nelle spalle e con le mani in tasca. Vladimir sorrise appena, ma mantenendo lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
«Ciao» disse.
«Siamo nello stesso gruppo» aggiunse la ragazza, cercando disperatamente un argomento che facesse da ponte tra di loro.
«Lo so» rispose lui.
«Ne sono felice» disse lei.
«Anche io» replicò lui. Poi una pausa. Ashling si appoggiò alla parete di fianco a Vladimir e lui alzò lentamente il viso, indirizzandolo ora verso il muro di fronte a lui.
«Qui dentro è umido» osservò con voce roca. «Usciamo qui fuori?»
«Va bene» rispose Ashling e lo seguì mentre camminava in direzione del passaggio tra le assi di legno.

«Mi sento… frustrato» disse dopo qualche minuto. Ashling sollevò il mento e si concentrò sul profilo del ragazzo.
«Diamine, così…» Pausa. Sospiro. «Frustrato!» Calcio contro un’asse marcia.
«È così per tutti… Almeno, per me lo è» cercò di confortarlo. A quel punto Vladimir la guardò negli occhi. Azzurro contro azzurro, marmo e vetro, ghiaccio e mare. Poi scosse leggermente la testa.
«Non te lo sto dicendo perché ho bisogno di sostegno, Ash» disse. «Io non ho bisogno di sostegno.» Si sforzò si sorridere e cambiò visuale. A quel punto Ashling realizzò che lui non si era nemmeno scusato per le sue precedenti parole. Forse aveva sbagliato lei, allora. Forse aveva capito male. Ma non si sarebbe scusata. E neanche lei avrebbe più avuto bisogno di supporto. Lei era forte.
«Okay» asserì quindi. «Prosegui, parlami di quanto ti senti incazzato col mondo per trovarti in questa situazione. Parlami di quanto odi questo posto, di quanto stai odiando questa» disse, aprendo le mani coi palmi verso il cielo mentre i fiocchi di neve cominciavano a inumidirle le mani, solleticandole le dita. Le venne da ridacchiare. Parlare così non-da-Ashling-Sharp la faceva sentire più sicura e rilassata, meno timida, meno lei. E si lasciò andare a una risata cristallina.
«Urlarlo!» continuò. «Così tutto ha più senso!»
Quel rapido cambiamento, visto così, sotto i suoi occhi, aveva piacevolmente stupito Vladimir. Lo aveva intrigato. Ghignò, poi si avvicinò alla ragazza, che stava girando su se stessa, cullata dalla neve e dal vento, col sottofondo della sua risata.
«Odio questo posto!» gridò allora, venendo presto influenzato dalla risata di lei. «E sono incazzato col mondo perché mi trovo in questa situazione!»
«Anche io!» urlò lei. Poi smise di girare, continuando a ridere.
«Devo colpire qualcosa, devo sfogarmi» disse Vladimir.
«Lasciati andare!» esclamò Ashling, come fosse stata una cosa naturale da fare. E si gustò a pieno quegli ultimi momenti di non-Ashling, prima che le mani di Vladimir, premute sulle sue guance, le spingessero il viso contro il suo, facendo premere le loro labbra in un bacio traboccante di pensieri scomodi e rabbia repressa, nervosismo e paura. E a quel contatto il cuore di Ashling fece un battito prepotente, riportando in vita la ragazza indecisa e timida e scacciando via quella dall’anima libera e nessuna preoccupazione, quella che danzava nella neve e urlava controvento.
 

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Buon non-venerdì 13 luglio a tuuutti! Mi sono presa un mese di off, lo so, sono in ritardo, molto ritardo, terribile, ma ho delle ragioni. Quindi perdonatemi, ma ora sono tornata e questo è quello che conta <3 adesso cercherò di recuperare il tempo perso e vedrò di impegnarmi per riuscire a pubblicare un altro capitolo verso la prossima settimana, o comunque nei prossimi dieci giorni. Dato che è estate (=vacanza=vita), da ora dovrei riuscire a pubblicare più spesso. Poi beh, tutto dipende dalla connessione internet, dato che venerdì partirò e non so quanta ne avrò in seguito: quindi sappiatelo, se non pubblico è colpa della connessione! Ma spero di riuscire a fare le cose per bene. Quindi rimanete sintonizzati, che Snowfall è soltanto agli inizi!
(e lasciate una piccola recensione, un piccolo regalo di non-compleanno per la mia resurrezione) <3
Al prossimo capitolo!
Alyeska707   

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Capitolo 9
*** Visioni ***


Total Drama: The Snowfall
8. Visioni

«Duncan…» Sibilò il nome tra i denti, tenendo lo sguardo basso. «Ti ho mai parlato dei giorni?» Il punk alzò gli occhi.
«Dove vuoi arrivare, Court?» replicò in seguito con fare annoiato, una nota di irritazione nella voce.
«Sai… esiste un domani… un dopodomani… un dopo, dopodomani…»
Duncan inarcò le sopracciglia. «E allora?»
«Ma c’è anche uno ieri, e un altro ieri, e un altro, altro ieri.» La ragazza fece una pausa, vagando con gli occhi nei dintorni senza posare lo sguardo sull’altro che, appoggiato al ripiano della finestra, con una sigaretta tra le labbra, si chiedeva quando avrebbe terminato il monologo. O meglio, quando avrebbe direttamente chiuso la bocca, per passare a qualcosa di un po’ più interessante. Ma Courtney non sembrò leggere l’espressione del punk, e aggiunse: «E poi c’è l’oggi. E tutti i domani diventeranno oggi, anche se la vita potrebbe incresparsi sotto le nostre dita non rivelando più alcun domani.»
«Afferri?» chiese poi, rivolta a Duncan. E allora lo guardò negli occhi, che lasciavano trapelare ogni briciola del suo disinteresse.
«No, per niente.»
«Vedi…» continuò, avvicinandosi a lui. Gli rigirò il colletto della camicia scura e leggera, abbottonata apparentemente alla cieca, e fece scivolare la mano sul suo braccio.
«Pensavo che sentirsi soli fosse una sensazione del tutto normale, comune a chiunque.» Una risatina acuta le sfuggì dalle labbra. «Ma non è così» spiegò, guardando Duncan con l’euforia dipinta in viso.
«Sono le persone a farci sentire soli, non la loro assenza!» ridacchiò ancora, poi si voltò, lasciando il ragazzo interdetto. Lui prese la sigaretta tra le dita e la strofinò contro il muro per spegnerla, poi se la gettò alle spalle e si scostò dal ripiano.
«A cosa dobbiamo questa illuminazione, Courtney?» domandò con evidente sarcasmo.
«Alla finale consapevolezza che osservarle, le persone, senza entrarci mai direttamente in contatto, è decisamente più elettrizzante. Esilarante. E non appella mai la solitudine» rispose, seria.
«Sì» farfugliò Duncan. «È tutto follemente elettrizzante. Ora puoi dirmi per quale motivo mi hai chiamato? Nel caso ce ne sia uno, si capisce.»
Courtney si girò veloce.
«Certo che c’è un motivo, Duncan. Te l’ho appena detto.»
Duncan non riusciva a capire: qualcosa continuava a sfuggire dalla sua attenzione e non capiva di che dettaglio si trattasse.
«Mi hai fatto venire qui solo per questo?» domandò incredulo.
«Oh, no.» Courtney gli si avvicinò di nuovo e gli accarezzò il viso, facendo scorrere le dita sul contorno marcato della mascella del ragazzo. Sul volto di Duncan si aprì un ghigno, ma quello di Courtney era ancora assente, ancora altrove.
«Sai cosa pensavo?» gli chiese quindi, rialzando lo sguardo. Duncan era esasperato.
«Che?» rispose seccato, ma non riuscendo a ritrarsi dal suo tocco.
«Che i tuoi piercing sono come… come fiocchi di neve.»
Duncan alzò nuovamente gli occhi al cielo. «Ma quante espressioni poetiche. Finito, ora?»
Courtney sogghignò. «Sì» disse. «Finito

Alejandro entrò nel rifugio coi capelli bagnati, intrisi di neve ormai sciolta. Si calò in modo da passare tra le assi e, una volta dentro, rivolse un: «Che aspetti?» alquanto intimidatorio al ragazzo alle sue spalle.
«Sì, sì, resta tranquillo dai, corrucciarsi così fa venire le rughe e basta.» La sua voce era nuova, e tutti ne restarono sorpresi.
Aria non fece in tempo a mormorare: «Ma chi diamine…» che un ragazzo alto poco meno di due metri, dal fisico presente e due spalle larghe, le apparve davanti.
«E tu chi sei?» si corresse, con la voce alta per la sorpresa e forse l’ombra di un po’ di timore.
L’altro le sorrise, così, di punto in bianco, illuminato in viso.
«Damerae, Damerae Kajuskin!» si presentò, avanzando verso Aria a grandi passi per stringerle la mano. Lei strozzò un: «Ahi!» quando sentì le ossa del polso schioccare, avvolte dalla forzuta presa del nuovo ragazzo.
«No, aspetta…» intervenne Joseph, sempre deciso a voler restare al comando. «E da dove spunti tu?»
Damerae stava già per rispondere, sempre con un sorriso solare stampato in faccia, quando Alejandro lo precedette, spiegando: «L’abbiamo trovato vicino alla casa di Sanders e McArthur» disse freddo. «A proposito, abbiamo preso del cibo.» Kiro e Amira sollevarono i viveri che avevano tra le braccia, come dimostrazione delle parole dell’altro. «E, a proposito, i due corpi non ci sono più.»
«Intendi quelli…» mormorò Hayoung. Alejandro si voltò verso di lei.
«Quelli morti, sì. Proprio quelli. Volatizzati.»
«E tu perché eri lì intorno?» domandò ancora, sistemandosi gli occhiali. Poi l’attraversò un brivido e serrò i denti. «Tu…» cercò di articolare. «Tu c’entri con la loro… morte?»
Gli occhi di Damerae sembrarono uscirgli dalle orbite. «Oh, no!» si affrettò a dire.
«Assolutamente no!» ripetè, scuotendo le braccia. «Ti sembro una persona così cattiva? Capace di fare una cosa così… sì, insomma, CATTIVA?» calcò l’ultima parola, come inorridito. Poi fece un profondo respiro e si appoggiò la mano sulla fronte.
«Cattiva è un termine così cattivo… Suona anche in modo cattivo» osservò.
«Analisi interessante, davvero. Ma perché eri lì?» tagliò corto Joseph.
«Ehi, tipo» interruppe Jordan. «Non vedi che è sotto shock? Non essere cattivo, dagli un secondo.»
«Mmm!» mormorò Damerae. «Non dite più cattivo, non mi piace!»
«Ehm… okay, come preferisci» rispose Jordan, impegnandosi per trattenere una risata.
«Io ero lì perché… Perché non lo so il perché! Loro mi hanno trattato con gentilezza, dopo il mio arrivo… volevo andare a trovarle per ringraziarle di nuovo ma loro erano…» si bloccò. «No, non posso pensarci!»
«Dopo il tuo arrivo? Quando sei arrivato?» indagò Joseph.
«Non saprei… qualche giorno fa…»
«Quale?»
«Non lo so, ti ho detto! Qui tutti i giorni sono uguali ed eterni! Come faccio a tenere il conto?» Poi si tappò la bocca con le mani.
«Oh, scusa» disse. «Ho alzato la voce. Cavolo, cavolo, cavolo, per tutti i cavoli del mondo e dell’universo, scusami! Non volevo, sono una persona molto gentile, io.»
Joseph lo guardò con astio. «Mh sì, sì... Scuse accettate, sta' tranquillo…»
«Oh, grazie!» esclamò, e stritolò l’altro ragazzo in un abbraccio.

«Ehm… sono l’unico a pensare che sia uno strano tipo?» bisbigliò Loup, tenendosi una mano davanti alla bocca, alzatosi in punta di piedi per raggiungere l’altezza di Jordan, che si alzò gli occhiali, sistemandoseli tra i capelli.
«Direi… no, proprio no. Almeno è strano senza essere una minaccia.» Il ragazzo strizzò gli occhi in direzione di Damerae, anzi, sui capelli di Damerae. Definirli esuberanti sarebbe stato un eufemismo, pensò Jordan; erano raccolti in tante treccine che, dalla testa, gli sfioravano le spalle, assumendo sulle punte una tenue sfumatura di rosa, che contrastava nettamente col nero naturale, e anche con la pelle scura del ragazzo. Abbassando lo sguardo, incontrò la sua maglietta. E qui si concentrò la sua attenzione.
«Senti, tipo…»
«Chiamami Damerae!» lo interruppe, rivolgendogli un sorriso tutto denti.
«Damerae… sai che quello che c’è scritto sulla tua maglia non ha senso, vero?» Jordan inarcò le sopracciglio, seguendo lo sguardo dell’altro che, interdetto, si abbassò sull’indumento indossato.
«Oh, sì» disse, ridacchiando. Prese due lembi della maglietta tra pollice e indice, in modo da distendere il tessuto, e lesse ad alta voce: «I love Jamaica!»
«La pronuncia è quella, ma…»
«Oh, sì, so anche questo!» l’interruppe di nuovo, e Jordan alzò gli occhi al cielo, prima di riabbassarsi gli occhiali sul viso. C’era da perdere ogni speranza. Sì, perché effettivamente sulla sua maglia c’era scritto “y love Giamaica”, il chè risultava… strano, agli occhi di Jordan. Ai suoi, perché gli altri non se n’erano ancora accorti. Ancora.
«È la mamma» cominciò a spiegare Damerae. «Lei mi ha fatto questa maglietta, è la mia preferita! Solo che… bè, lei si è impegnata… ma la nostra è una famiglia povera, non ha mai ricevuto un’istruzione adeguata. E l’ha scritto sbagliato. Però io la metto lo stesso, è bella, mi fa sentire a casa.»
«In Jamaica?» domandò con perplessità Loup.
«Sì, esatto! Ci sono nato, lì. Cresciuto… Poi ho avuto quest’opportunità, di venire qui, a Edimburgo, a studiare» continuò.
Loup corrucciò la fronte. «Ma non avevi detto che– »
«Borsa di studio» tagliò corto Damerae.
«Ah» fece l’altro, che faticava a pensare il ragazzone-pieno-di-voglia-di-vivere un genio da borsa di studio. Cioè, era pazzesco! Continuava a sorridere e non erano sorrisi di disagio, imbarazzo o circostanza. Erano sorrisi che sapevano di sorrisi, di felicità, di «Sono puro da ogni pensiero negativo», che era già difficile per una persona dalla vita normale, e che diventava decisamente troppo difficile per una persona normale intrappolata in una situazione per niente normale. E questo è esattamente il pensiero non-ottimistico che non avrebbe mai sfiorato Damerae, ma che si era appena annidato nella testa di Amira; non si spiegava come facesse. Era convinta che dovesse per forza nascondere qualcosa, non vedeva alternative. Ma lui non vacillava, non aveva momenti di indugio. E anche Amira si ritrovò a pensare che quel suo comportamento fosse scritto nel suo DNA. Anche Kiro era una persona fredda, come Amira, ma non si lasciò scomporre da dubbi sul nuovo arrivato. Non gliene importava granché, era solo un altro che si sarebbe aggiunto al gruppo, un altro alla ricerca della vita, di una via d’uscita. C’era solo una domanda che gli turbinava in testa: perché lui, così diverso da tutti loro, era lì? Certo, non avrebbe mai speso fiato e tempo per chiederlo ad alta voce. Cercò Hayoung con lo sguardo, l’unica che era riuscito a conoscere e che non aveva respinto, che era abbastanza sveglia e intelligente per capire le cose senza indagarle. Dopo averla vista le si avvicinò le disse un: «Ciao» a bassa voce. Ne sentì appena la risposta, prima di aggiungere: «Sai perché lui è qui?» in un sussurro.
La ragazza si prese qualche secondo per pensarci su.
«Perché Alejandro e gli altri lo hanno trovato vicino all’abitazione delle due» rispose, in un altro sussurro.
«Non intendevo quello» ribatté l’altro. «Insomma» continuò. «Fino al minuto prima del suo arrivo ero convinto che quella Courtney, o chi per lei, ci avesse rinchiusi qui con la magia nera… per esempio, perché nessuno di noi meritava di vivere come d’abitudine, perché non sapevamo coglierne il senso.»
Hayoung arricciò le labbra. «Io sapevo coglierne il senso» replicò indispettita.
«Vivendo per trovare ed uccidere un killer?»
«È un valido obiettivo» rispose, incrociando le braccia sul petto.
«Bè, anch’io ero convinto di saper vivere la mia vita, anche per merito delle conoscenze magiche, ma mi sono convinto non fosse così… ma adesso devo ricredermi ancora, adesso che questo Damerae è arrivato… lui sembra troppo a posto per non saper vivere la sua vita.»
La ragazza si rigirò verso di lui, puntandogli contro tutta la soggezione che i suoi occhi a mandorla erano capaci di trasmettere, e chiese: «Kiro… vedevi horror, non è vero?»
Lui annuì leggermente.
«E dimmi… quale hai visto più di recente?»
«Uno in cui… non ricordo il titolo ma… due uomini si trovavano incatenati una stanza, con un corpo morto nel centro, e… ed erano stati portati lì dall’enigmista che li aveva scelti perché vivevano male la loro vita.»
Hayoung alzò gli occhi. «Come pensavo» farfugliò. Poi, diretta a Damerae, disse: «Scusa, tu ricordi come sei arrivato?» ma si guadagnò solo un’occhiata sconsolata e un lento no del capo.
«Capisco» mormorò. Era la prima volta che trovare incognite le risultava tanto difficile.

Jordan sentiva troppa innocente desolazione circondarlo. Niente scleri? Niente «Io so tutto, anche quello che pensi»? Il ragazzo si voltò di scatto, come se fosse stato appena punto. Dov’era Cerise? Fece scivolare lo sguardo su ogni presente all’interno della grande stanza, ogni angolo, ma lei non era lì. Contrasse la mascella e uscì veloce, senza dare spiegazioni, lasciando Loup da solo, prima al suo fianco, con le braccia conserte e l’espressione intangibile. Jordan ripercorse il contorno del rifugio mentre i suoi passi sprofondavano nella neve. Gli sembrò di intravedere una sagoma e si avvicinò senza proferire parola. Fece qualche metro, prima di accorgersi che le sagome erano due. Strinse gli occhi e li riconobbe.
«Ehi!» gridò, attirando l’attenzione degli altri due. «Si può sapere che cazzo state facendo?»
Vladimir si ritrasse da Ashling appena riconosciuto Jordan, e lei sentì improvvisamente più freddo, ma non espresse il suo disappunto.
«Dovrebbe fregartene?» fece Vladimir, accorciando la distanza che c’era tra loro e Jordan, in modo da sentire più chiaramente le sue parole. Il ragazzo sbuffò.
«Cazzo, Vladimir. No, non me ne frega assolutamente niente, ma se il vostro sbaciucchiamento dovesse trasformarsi in disprezzo reciproco – cosa molto, molto probabile in storielle casuali come questa – il fatto potrebbe avere ripercussioni su tutto il gruppo. Dividerci. Ne vale la pena?»
Il biondo diede un’occhiata veloce ad Ashling, alle sue spalle. Poi alzò gli occhi al cielo.
«Beh, non hai da preoccuparti. Non c’è nessuna storiella qui.»
Jordan lo squadrò. «Sembrava che aveste colla al posto della saliva. Dici che mi sono immaginato tutto?»
Vladimir scrollò le spalle.
«No» affermò schietto. «Ma questo non vuol dire che ci sia altro dietro.» L’altro ragazzo ridacchiò. «Bene» pensò. «Un altro della mia stessa razza.» Invece Ashling si limitò a deglutire, per poi girarsi e tornare verso la stanza del falò, strizzando gli occhi per ricordarsi che poteva ancora essere forte, che doveva restarlo.
«Un’ultima cosa» disse Jordan, facendo arrestare i passi di Vladimir. «Hai visto Cerise?»
Il ragazzo rise e dopo rivolse all’altro un ghigno divertito.
«E poi vieni a parlarmi di storielle?» fece. «Comunque no, non l’ho vista.» E riprese a camminare.
Jordan sentì un peso al petto. Non tanto perché era Cerise a mancare, ma perché una persona mancava. Erano in un luogo di morte e una ragazza mancava all’appello. E meno erano loro, meno possibilità aveva di restare in vita.
«Cristo» imprecò, cercando di muovere altri passi nella neve alta senza affondare.
«Jordan» Lui si girò di scatto. Era una ragazza che non aveva mai visto, quella che aveva davanti. E gli stava sorridendo fintamente apprensiva: lui capiva quando la gente era falsa. E lei sapeva di falsità, fino alla punta di quei suoi capelli castani.
«Oh, perfetto» disse tra sé. «E tu da dov’è che spunti?»
L’altra sgranò gli occhi, di un marrone scuro, quasi nero. Adesso era fintamente amareggiata.
«Ma io non sono come tutti gli altri, Jordan» cercò di spiegargli scuotendo la testa.
«Ah sì?» fece lui.
«Sì» ripetè la ragazza, accompagnando l’affermazione con un gesto del capo.
«Bene. E quale sarebbe il tuo nome, tipa non-come-gli-altri?»
Sogghignò, e a ogni lettera pronunciata, gli occhi di Jordan si spalancavano sempre più.
«Courtn-»
«JORDAN! E SVEGLIATI, IDIOTA!»
Scosse la testa. «C-Courtney» disse. Le mani gli tremavano ancora. Le nascose sotto la neve.
«Ma che stai dicendo?» Incrociò lo sguardo della persona che aveva di fronte.
«Cerise?»
Sì, era Cerise. E sbuffò. «Ho visto Vladimir e mi ha detto che mi stavi cercando. Quindi? Cosa c’è di tanto importante?»
«Ah» mormorò il ragazzo, ancora stordito. «No, niente. Credevo fossi morta. Non sentire la tua voce per troppo tempo è asfissiante quasi quanto sentirla.» Le rivolse un ghigno sghembo. Lei improvvisò una risatina troppo acuta per essere autentica.
«Oh, non preoccuparti per me» disse. «Ti prometto che sarò l’ultima di noi due a morire.»

«Allora?»
Aria grugnì. «Che vuoi, William?»
«Gliel’hai chiesto? O te la sei fatta sotto perché sai che ho ragione?»
«Tu non hai ragione» chiarì subito la ragazza.
«Bene» continuò il ragazzo, strofinandosi le mani. «Guarda, Aiden è esattamente lì.» Lo indicò. «Se sei così convinta che sia in torto, perché non glielo domandi ora? Scommetto una mia porzione della cena di stasera che ha la ragazza.»
Aria si girò verso di lui. «Okay. Scommettiamo.» Detto questo si alzò e avanzò a passo deciso e pugni serrati verso Aiden.
«Ehi, Aiden!» lo salutò.
«Aria, ciao. Ti avevo persa di vista.»
La ragazza passò il peso da un piede all’altro. «Sì, anche io.» Lui sorrise e riportò l’attenzione verso il discorso centrale che vedeva ancora Damerae come protagonista. Aria non voleva disturbarlo dall’ascoltare, ma quando incrociò lo sguardo divertito di William, già con la vittoria dipinta in faccia, si schiarì la voce.
«Senti… posso farti una domanda? Siamo in confidenza, no?»
Lui la guardò, non capendo. «Sì, sì... certo.»
«Bene…» farfugliò Aria. Poi sollevò la testa. «Tu ce l’hai, la ragazza?»
A lui venne da ridere, ma si ricompose in breve. «Sì, perché questa domanda?» Ma le orecchie di Aria si erano già tappate.
«Si chiama… Georgia?»
«Esatto! L’hai supposto dal mio tatuaggio? Dio, sei sveglia, Aria!»
Cercò di nascondere la delusione sotto una risatina. «Eh sì… proprio così. Adesso vado… a… sedermi.» E tornò dov’era prima, senza ascoltare la risposta di Aiden.
«Quindi ho vinto?»
«No.»
«Oh, ma la tua faccia dice il contrario. Non ti hanno detto che non si dicono le bugie, Barbie
Aria si posò le mani sulle tempie. «Senti… smettila. E non chiamarmi così.»
William si appoggiò al muro. «Già, come pensavo. È impegnato.»
Aria non disse niente.
«Oh, ti attraeva proprio tanto, eh? Bè, mi dispiace. No, in realtà no. Però dato che ti vedo così… depressa? Sì, depressa… sono disposto a sciogliere la scommessa. Tanto ho già avuto quel che volevo.»
Non ribatté.
William si alzò e rise sgarbato. «Mi fai davvero pena» Si allontanò.
E Aria non glielo impedì.
 

Ho mantenuto la promessa, ce l’ho fatta ed eccomi quiii ! Dai, ci sta come capitolo, mi sono impegnata, e poi boh, Whisper degli Evanescence mi ha moltomoltomolto aiutata *.* (ascoltatela!) E altra cosa: auguri a Anonimo The Assassin (in ritardo, come di consuetudine ma yep, ci sono!) *palloncini che volano*
E poi nulla, ci sentiamo al prossimo capitolo (quindi presto, se riuscirò a caricarlo, il che suona difficile T.T ma non impossibile ^^) e recensite! (potrei metterci un pochino a rispondere – no connesione, ripeto – ma appena mi sarà possibile lo farò!)
A pplesto

Alyeska707
(e sì, ogni riferimento alle parole di Alejandro a Courtney nella puntata in Australia del Tour è totalmeeeeeente casuale nel discorso Courtney-Duncan della prima parte. Convincente? Io dico di no.)
(e che fine farà Duncan? Quel perfetto personaggio amatissimo nel Tour (con Gwen *.*) e resostramalemalissimo in All Stars? IO LO SO!)
(e sì, il film horror di cui Kiro parla ad Hayoung è Saw, che è mhh sì, la versione cinematografica di Courtney ^^)
(e ancora sì, si è aggiunto un OC! ^^ Non ve lo aspettavate nè?)
(adesso ho davvero finito <3 )

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Capitolo 10
*** Inferiorità, invisibilità, stanchezza ***


Total Drama: The Snowfall
Cap. 9-Inferiorità, invisibilità, stanchezza.
 
Niente era sistemato, anzi, tutto stava andando sempre più a picco: la situazione, le certezze, i rapporti. Courtney non poteva non sentirsi fiera di sé; l’aveva subito predetto, che amalgamare persone tanto diverse si sarebbe rivelato ancora più entusiasmante. Erano un composto eterogeneo, non sarebbero mai diventati un tutt’uno. Non sarebbero mai riusciti a rispettare piani, allearsi senza doppi fini, dimostrarsi fedeli, mescolarsi. Erano tutti cariche opposte ma incapaci di creare legami. La sola attrazione tra coppie di soggetti non avrebbe mai portato a nulla di positivo. Li avrebbe tenuti vicini al momento del crollo finale, del colpo di vento che, come foglie, li avrebbe staccati dal loro ramo. Courtney era fermamente convinta di questo e non riusciva a smettere di ridacchiare, anche se non si sentiva ancora pienamente soddisfatta.

Jordan e Cerise tornarono nel rifugio, ma il ragazzo si sentiva estremamente diverso rispetto a quando era uscito a cercare l’altra: intorpidito, privo di forze, risucchiato. La sua pelle era fredda, gli occhi circondati da un colore violaceo che ricordava lividi, le unghie dello stesso colore. Certo, Jordan non era il tipo da divertirsi ad atteggiarsi da vittima. Non si sarebbe mai rivelato debole. Forse era proprio questo il dettaglio che lo accomunava a Cerise: l’orgoglio. Troppo forte per essere calpestato e tanto, tanto rumoroso, così rumoroso da non poter non essere sentito. Le anime di entrambi erano sottovuoto, chiuse in una sagoma plastica che teneva ben chiusi e compatti i loro colori, giusto perché chi non riesce a capirti non riuscirà mai a sapere dove la tua forza finisce.
«Cerise» disse Alejandro, il tono fermo. «Dov’eri finita?»
Jordan si allontanò da lei tossicchiando e Cerise si sentì improvvisamente inferiore e senza difese. «Qui fuori.»
«Bene» bofonchiò Alejandro. «Nuova regola: da ora ogni spostamento dev’essere reso pubblico al gruppo. Non possiamo permetterci di perdere qualcuno per capriccio. Mi capisci, no?» Lei annuì. Dopo si sentì stupida: lasciarsi sottomettere così era da stupidi, ma perché opporsi? Era sempre più stanca, su ogni fronte. Quella a cui stava assistendo era la più grande prova di coraggio a cui si fosse mai sottoposta.
«Che inezia» commentò Joseph che, a differenza di Cerise, ancora non demordeva. «Se qualcuno è talmente autodistruttivo da voler agire per conto proprio perché fermarlo? Ognuno prende da solo le sue scelte. Non abbiamo cinque anni, dovremmo tutti aver capito come gira il mondo.»
Cerise sbuffò e guardò con sdegno il ragazzo che, appoggiato spalle al muro, gli occhi chiusi e il respiro regolare, non tradiva nessun timore.
«Tappati quella bocca, Joseph.»
«Solo se con la tua, tesoro.» Cerise serrò la mascella, ma scelse di non girarsi. Era superiore a questo genere di scontri, no? Non valeva la pena approfondirli. Riconosceva che il confronto tra lei e Jordan non era per nulla diverso, eppure non riusciva a sottrarcisi. Non se lo spiegava e non voleva. Si rifiutava perfino di accogliere il dubbio che quel pensiero le suggeriva.
«Non pensi che Alejandro, dato che conosce Courtney e sa cosa potrebbe farci, sappia di cosa stia parlando?» Le parole uscirono dalle labbra di Melody più alte rispetto a quelle che aveva pensato. Ma le aveva realmente pensate? Non erano più imprecazioni contro l’ego grande quanto la freddezza di Joseph, tutte quelle urla nella sua testa? Si tappò istintivamente la bocca e tutto divenne più silenzioso. Nessuno se lo aspettava, sicuramente non da lei, sicuramente non Joseph. Aprì gli occhi e socchiuse la bocca.
«L’agnellino è diventato leone?» la schernì.
Melody impiegò qualche secondo per trovare le parole giuste.
«No» rispose alla fine. «Si è solo stancato.» Si stava perdendo, sempre di più, lo riconosceva. L’invisibilità che si sentiva addosso la uccideva. L’inutilità di cui si sentiva coperta le impediva di scacciare via i brutti pensieri. La solitudine, che percepiva sempre più vicina e pericolosa, come un ladro nel cuore della notte, la stava facendo impazzire.
«Bella uscita» mormorò Amira. Melody non si aspettava sue parole e quando riconobbe quella voce che tanto aveva cercato, sentì un battito di felicità e nient’altro all’interno della sua cassa toracica. Le labbra della ragazza esile dai capelli tinti erano incrinate e la sua espressione era indecifrabile, ondeggiava tra il divertito e il cinico. Melody stava per sussurrarle un grazie, giusto perché quello appena rivoltole era stato una sottospecie di complimento e non ringraziare sarebbe sembrato scortese, ma non riuscì a pronunciare nemmeno una lettera, perché quell’espressione mistica e tanto particolare che l’aveva colpita fin dal primo momento si era come trasformata: adesso era un sorriso, o almeno, ci assomigliava molto. Gli occhi un po’ più piccoli, gli angoli delle labbra piegati all’insù: il quadro di una dolcezza che Amira non era mai riuscita a comprendere, eppure era lì, e la stava sfoggiando. Melody si sentì improvvisamente più calma, e Amira ebbe la conferma che sì, una dimostrazione di affetto era in grado di risollevare uno spirito tormentato. Peccato solo che in lei non c’era traccia di affetto. In lei non c’era niente. Solo il vuoto.
 
«A proposito di animali» disse basso Jordan, sedendosi a terra accanto a Loup, che sentì un brivido lungo tutta la schiena.
«Il tuo nome in francese significa lupo, dico giusto?» Loup si ritrovò sorpreso. Era il primo a porci attenzione. Non se l’aspettava.
«È… vero» mormorò, l’incertezza nella voce. Non sapeva come sentirsi, in realtà: da una parte era impaurito, lo spaventava sapere che qualcuno lo volesse conoscere, forse per timore di deluderlo, forse solo per antipatia verso i rapporti umani, l’instabilità di essi e le illusioni che procurano, i mali che arrecano. Ma non poteva negarlo: si era sentito accendere. Vivo. Protagonista, per la prima volta nella sua vita. Si era sentito visto. E decise di farsi conoscere.
«Che figo» fece l’altro vacuo, abbozzando un sorriso sghembo.
«No, non tanto» ribatté Loup, tenendo lo sguardo basso sulla pavimentazione irregolare, logora e umida. «Il nome di una persona dovrebbe essere molto legato alla sua personalità» cominciò, poi Jordan lo interruppe con quel tipo di risatina pulita e vagamente fastidiosa in grado di sdrammatizzare sempre ogni cosa.
«Mica sono tutti veggenti, che possono saperne i tuoi genitori di come sarai, quando ti scelgono il nome?»
«Non è questo il punto» disse Loup. Sbuffò e si decise a guardare l’interlocutore. «Il punto è che crea aspettative. Quando qualcuno decide di chiamarti lupo è perché ti vuole forte come un lupo, il padrone di un branco, un esemplare perfetto. Se non lo sei non rientri più nel loro schema. Li hai delusi. Io li ho delusi.»
Era la prima volta che Loup diceva ad alta voce quelle parole, la prima volta che parlava dei suoi genitori senza l’ombra di rancore nei loro confronti. Non era per niente da lui autocommiserarsi così. Perse lo sguardo.
«Non ho un branco» ripeté, e il suo alito fu visibile nel freddo della sera, quasi da parere fumo.
«Non bisognerebbe mai aver bisogno di altre persone» gli disse invece Jordan. «Gli altri ti limitano e basta. Cercano di insegnarti cose che non vuoi imparare.» Poi si alzò in piedi.
«Sei un lupo solitario. E secondo me un lupo solitario è molto più libero.» Scrollò le spalle. «Prova a pensarci.»
 
Oliver si era sistemato vicino al fuoco, ma il calore emanato da questo non riusciva a scaldarlo. Era strano: sentiva un freddo gelido dentro di lui, ad una profondità tale da non poter essere sfiorato da nemmeno una scintilla di tepore. Le sue dita erano ghiaccio, trovava difficile muoverle con fluidità. Le nocche screpolate, i polsi pallidi. Si sentiva vulnerabile e infreddolito, incapace e inferiore rispetto a quel tutto che lo circondava. Si sentiva come represso, soffocato. Non riusciva più a decifrare i suoi pensieri. In cosa credeva? In cosa sperava? Quali dubbi lo tormentavano? Erano così tante, le incertezze… ed era così pesante da sopportare, il baratro del fallimento… Stringere i denti risultava molto più difficile che lasciarsi trasportare dalla corrente.
«Hey!» La voce squillante di Damerae lo destabilizzò. Sospirò, lievemente sollevato dalla realizzazione di non essere ancora diventato invisibile.
«Ciao» lo salutò. Accennò un sorriso, ma le sue parole risultarono flebili.
Damerae arricciò il naso. «Amico» disse con un accento strascicato. Si sedette a terra, ma sovrastava ancora Oliver di qualche spanna. Il riccio appariva tanto demotivato che Damerae si ritrovò a posargli una mano sulla spalla senza nemmeno rendersene conto.
«Cosa ti succede?»
Oliver scosse la testa e affrettò un: «Niente» per nulla convincente.
«Mh» borbottò l’altro ragazzo. «Mi puzza un po’.» Spostò lo sguardo sul fuoco, che si rifletteva nei suoi occhi scuri e gli illuminava la pelle. Un ricordo lo fece sorridere istintivamente. «Come la minestra della mamma.»
Oliver non sapeva se l’altro si stesse divertendo a prenderlo in giro o se fosse davvero tanto semplice e ingenuo.
«Scusa? Non ho capito» mentì. Damerae si grattò la fronte e si lasciò scappare una risatina nervosa.
«Sì, insomma…» cominciò a spiegare, un po’ imbarazzato. «La mamma cucinava una volta a settimana, tutti i lunedì, una zuppa. Non era cattiva, perché tutte le verdure le raccoglieva lei stessa, dal nostro orto, ma l’odore… era davvero… per niente delizioso, proprio per niente.» Scosse la testa, come improvvisamente nauseato.
«Mi chiedo se la cucini ancora… tutti i lunedì… proprio come un tempo.»
Oliver spostò l’attenzione sulle sue mani e sfregò tra loro i palmi. Le prime parole che gli erano venute in mente erano state: “Potresti non saperlo mai, potresti non rincontrarla più, la tua vita potrebbe essere finita e tu non te ne sei neppure accorto, per ora”, ma alla fine aveva scelto di non proferirle. Non voleva urtare la sensibilità dell’altro ragazzo. Era tanto alto, Damerae, tanto muscoloso… ma il suo cuore era talmente grande e nobile. Oliver temette che una sua espressione potesse lasciar trapelare queste parole, così dolorose, e preferì non guardarlo. Infondo sapeva bene cosa voleva dire essere sensibile, ne era un esempio lampante. Sapeva quanti aspetti negativi comportasse.
«Oliveeeer!» Ma era una scarica di calore, quella che aveva appena avvertito? Oliver si convinse di sì. Quella voce, così pulita, lo risollevava puntualmente dalle tenebre. Sorrise a Ruby, che camminava verso di lui serena in viso.
 

Risurrezione, RISURREZIONE!
Ho avuto tanti impegni, tanti imprevisti e tanti pensieri. Tutto insieme non mi ha concesso né tempo né strumenti per continuare la storia (fino ad oggi, almeno). Si tratta di un progetto lungo e complesso, necessita di tanta, tanta organizzazione. Spremersi le meningi in minuscoli ritagli di tempo non avrebbe portato nulla di buono, ed è per questo che ho optato per aspettare l’attimo giusto. E FINALMENTE E’ ARRIVATO! Dato che è da un bel po’ che non ci lavoravo adesso devo riprenderci la mano e riacquistare il giusto ritmo, ma mi auguro sarà un work in progress :) Vi prometto il mio impegno. Intanto in questo nono capitolo possiamo notare coloro che si stanno lentamente lasciando andare... TO BE CONTINUED! ^.^
Al prossimo capitolo (e fatemi sapere come al solito cosa ne pensate, non abbandonatemii!) T.T

Alyeska707

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