The angel and the girl named Pandora

di Sethmentecontorta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** From the moon: an angel ***
Capitolo 2: *** On the Earth: Pandora's birth ***
Capitolo 3: *** To the Earth: a man ***



Capitolo 1
*** From the moon: an angel ***


From the moon: an angel
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Le stelle rilucevano brillanti nell’oscuro cielo notturno. Tra due alberi ed il tetto di un edificio, poteva ammirare quell’immensa cupola luccicante di astri bianchi, dei quali amava seguire le forme, trovare le costellazioni più disparate era per lei un gioco. La luna, candida e piena, le era sempre rassomigliata fin da tenera età ad un volto che la osservava dall’alto di quell’oscura cortina della volta celeste. Per qualche motivo, le era sempre parso chiederle aiuto. Solo ciò attirava la sua attenzione, non la silente città illuminata da lampioni e da qualche rara lampadina domestica ancora accesa. Tutto taceva, il lieve fruscio delle fronde era reso impercettibile dalla barriera di vetro, perfino dentro all’abitazione nessun rumore spezzava il silenzio che riempiva le sue orecchie e la sua mente col suo vuoto. Amava il silenzio, amava rimanere sola a pensare un po’ a tutto ed un po’ a nulla. Ma non amava la solitudine, per niente.
Haruna strinse le sue sottili dita intorno alla stoffa delle tende, pronta a tirarle, escludendosi la visuale di quel panorama che amava osservare, sola nel buio della sua stanza. Prima che potesse farlo, però, il suo sguardo fu attirato nuovamente oltre la finestra da una luce, durata solo pochi istanti. Come una stella cadente, ma molto vicina, tanto da essere percepita perfino dalla vista periferica. Seguendo con gli occhi la direzione che tale oggetto di dubbia provenienza sembrava aver preso, le parve di notare, in quell’ambiente che tanto conosceva, qualcosa di estraneo. Percepiva appena, tra le chiome di un albero sufficientemente vicino, degli sprazzi di bagliori argentei, come di un oggetto di tale materiale che riflettesse la luce. Questi si acquietarono dopo pochi istanti, e tutto tornò alla normalità. Le solite strutture, le solite piante, tutto come l’aveva imparato a conoscere, senza più nulla di anomalo.  Scrutò ancora per qualche secondo il punto dove aveva visto quei misteriosi lumi, ma nulla accadde. Fuori dalla sua calda dimora, solo freddo, silenzio e buio.
Stabilì così che la sua vista e la sua mente dovevano averle tirato un brutto scherzo, che il tempo della caccia al paranormale era terminata e che avrebbe fatto meglio ad andare a letto, data la tarda ora. Deciso ciò, celò la finestra grazie ai due rettangoli di tela color pesca, così che al mattino il sole non l’avrebbe disturbata prima della sua sveglia, ed andò a coricarsi. Abbassò le palpebre, osservando l’oscurità. Quasi avrebbe voluto esserne inghiottita.
 
Un battito d’ali. Aveva udito chiaramente il suono di un paio di ali, un elegante e soave schiocco, unito al lieve fruscio delle piume. Dischiuse di poco gli occhi assonnati. La prima cosa che notò furono due pezzi di tessuto color arancio tenue svolazzanti nella fredda brezza notturna, sebbene lei ricordasse di aver chiuso la finestra e tirato le tende. Guardò in fondo alla stanza, e lì ecco una figura di spalle, dalle quali scaturivano grandi ali candide come la neve più incontaminata, bordate di fine venature color argento che costituivano un intricato disegno lungo tutta la loro superficie e che riflettevano la fioca luce proveniente dalla finestra. Anche la pelle nivea sembrava possedere una certa lucentezza, tirata su dei muscoli prestanti e magri, ma non possenti. Il corpo possedeva le forme di un ragazzo del tutto rassomigliante a quello di ogni altra persona intorno all’età della fanciulla. Certo, una persona ben allenata ed affascinante: ogni linea di quel corpo sembrava perfettamente delineata dal più abile dei pittori. Ciò era visibile attraverso le pieghe di un velo bianco mollemente appoggiato intorno alla sua vita e su una sua spalla, un po’ come un’antica toga, terminava appena sopra le sue ginocchia ed era stretta da una fascia argentea. Sulla testa, scarmigliati capelli grigi di discreta lunghezza, che tendevano a puntare un po’ in tutte le direzioni, pur rimanendo morbidi.
Il cuore le esplose in petto, prima sembrò fermarsi poi riprese ad una velocità tale da portarla quasi ad ansimare, il fiato le si mozzò in gola; ma continuò a fingere di star dormendo, lasciando uno spiraglio tra le palpebre per continuare a spiare la figura. Possedeva una bellezza ammaliante, che pure non poteva concedere alla mente di elaborare pensieri impuri, o certamente non a quella di Haruna. La creatura voltò la testa, ed ella poté vedere il profilo di un volto dai raffinati lineamenti. Dopo pochi istanti, essa si voltò, raccogliendo le ali sulla schiena. Osservò come il lavoro dei muscoli era evidente sulla pallida tela della sua pelle, faticando a trattenere il respiro reso pesante e difficoltoso dalla paura. Nonostante quell’essere fosse indubbiamente stupendo sotto ogni aspetto e punto di vista, rimaneva il fatto che si trovasse nella sua stanza a notte fonda, e non era certamente un essere umano.
Stava sognando? Era forse impazzita? O forse era morta, e quello era un angelo venuto a condurla a vita eterna? Si era davvero meritata di venir scortata da un angelo di tale bellezza? Sentiva il sangue che scorreva gelido nelle vene, paralizzandola sul posto, mentre da quella piccola fessura che si era concessa di visuale osservava quella figura avvicinarsi al suo letto, passare al suo lato ed appoggiarvi un ginocchio, protendendosi al di sopra di esso. Serrò gli occhi, sudando freddo. Udì le assi del letto scricchiolare sotto il suo peso, mentre si sporgeva fino a trovarsi col viso appena sopra il suo, la ragazza sentiva lievemente il suo respiro sulla guancia, ed un ginocchio premuto contro la sua vita. Egli allungò una mano, sfiorandogli la zona sopra allo sterno con la punta delle dita. Sarebbe potuto sembrare un gesto equivoco, ma lui riuscì a toccare punti non appartenenti al suo seno, ed inoltre la ragazza riuscì a malapena sentirlo, tanto breve ed appena accennato fu quel contatto.
̶ Ma che bel desiderio…  ̶  mormorò un’ammaliante voce, bassa ma dolce. – Hai un desiderio davvero grande, qui, Haruna.
La ragazza, non avendo ormai più motivo di fingersi dormiente, spalancò gli occhi, fissandolo con terrore, le parole appena pronunciate che le echeggiavano nelle orecchie come fossero state impresse a fuoco nella sua mente. Ora che riusciva ad osservarlo senza impedimenti, poté notare ogni perfezione del viso, perdersi qualche istante nel profondo blu tendente al grigio di quegli occhi che la scrutavano dritto nell’anima, leggendo ogni suo desiderio e sentimento. Le ali che aveva ben potuto notare poco prima erano state morbidamente lasciate a circondare i loro corpi, come volesse isolare loro due dal resto del mondo. Seguì con lo sguardo strabuzzato i minuziosi ricami d’argento che parevano intessuti sulle sue piume di un bianco incorrotto.
La stupenda creatura sorrise nell’ammirare la sua reazione, la curvatura delle sue labbra, carnose per appartenere ad un ragazzo, pareva dolce, ma qualcosa nei suoi occhi continuava a spaventarla.
– C-chi… Cosa sei…? – bisbigliò, come se parlarne a voce alta sarebbe valso come ammettere che tutto ciò era reale, lasciarsi intrappolare da quel sogno - incubo? - in cui era certamente caduta.
– Sono una creatura lunare, esseri perfetti, liberi da desiderio e tentazione, nascosti nelle viscere della Luna. Solo nelle notti di luna piena ci è concesso di uscirne, di discendere sul pianeta madre da cui siamo stati generati e che abbiamo in seguito dovuto abbandonare, per proteggerci dalla malignità dell’uomo, più giovane ed incosciente, che per ere tormentò la mia razza. Siamo esseri effimeri, amiamo esaudire i desideri di vuoi uomini, ma siamo fragili di fronte alla vostra crudeltà e corruzione. Si è tra noi stabilita un’usanza: a ciascuno di noi è concesso, una volta l’anno, di discendere sulla Terra, abbiamo a nostra disposizione quindici giorni e quindici notti, arriviamo col sorgere della luna piena e dobbiamo tornare alla nostra dimora prima che discenda la luna nuova. Il nostro scopo è quello di trovare un umano il cui cuore nutra la pura luce di un desiderio. Durante il periodo a noi concesso, non ci distaccheremo mai da lui, lo osserveremo. Se al termine della fase esso si sarà dimostrato degno di ricevere il nostro aiuto, noi esaudiremo un suo desiderio, in caso contrario faremo ritorno senza concludere nulla. Noi lo chiamiamo “il Gioco”.
Durante la spiegazione, la ragazza si era lasciata pendere da quelle labbra d’aspetto soffice ed incorrotto, lasciando lo sguardo correre su ogni punto della sua pelle candida e perfetta. Solo dopo alcuni istanti di vuoto silenzio si rese conto che egli aveva terminato di parlare, e che era rimasta a mirarlo con sguardo vacuo. Le sue gote si imporporarono appena, mentre tendeva la mano verso l’alto, sfiorando con le punte delle dita le nivee piume. Esse si rivelarono talmente morbide al tatto, che si perse nell’atto di accarezzarne con timidezza e premura le punte per alcuni secondi, con quelle penetranti iridi del colore della notte che le sembravano trapassargli il cranio con la loro neutralità.
- Qual è il tuo nome? – chiese alzando gli occhi sul suo pallido viso, lasciando ricadere il braccio sulle lenzuola.
- Puoi chiamarmi Sehaliah. – la mano che egli aveva lasciata sospesa sopra al suo torace si spostò sul cuscino, sfiorandole una guancia calda ed i setosi capelli.
Socchiuse lentamente gli occhi, abbandonandosi al fresco e piacevole brivido che le scatenava il tocco di quella creatura, che calmavano tutti i suoi nervi ed i suoi muscoli, facendola quasi convincere che fosse tutto perfettamente naturale, facendole quasi ignorare quel senso di estraneità che le rimaneva nel profondo dell’animo. Non avrebbe saputo spiegarlo, era semplicemente come se quell’angelo avesse il potere di renderla completamente mansueta come un piccolo ed indifeso cucciolo, senza libero arbitrio.
No, - riaprì all’istante gli occhi - lei era più intelligente di così.
– E se non mi dimostro adatta? – chiese, fissandolo direttamente in quei due oceani incastonati come da ghiaccio in quel volto di finissima porcellana.
– Nel caso un protetto si riveli essere divorato dalla cattiveria umana al punto da spingere il lunare a non offrirgli il suo aiuto, sarà lasciato a marcire nella sua malignità. Non puniamo voi umani, a quanto pare è nella vostra natura ferirvi a vicenda e ferire le altre creature, ma noi non siamo come voi. – disse, rigirandosi fra le dita di una mano un angolo di lenzuolo come fosse estremamente curioso ed interessante. – Queste sono le regole. Viviamo con voi, vi mettiamo alla prova, dovete dimostrarci di poter meritare che il vostro lucente desiderio venga esaudito.
Gli occhi dell’essere puntarono le loro pupille profonde e scure più di ogni pozzo conosciuto da occhi umani sul petto della fanciulla, che d’istinto portò le dita di una mano a toccare delicatamente il punto osservato dall’altro, poteva lì percepire chiaramente il suo battito lievemente accelerato.
– Puoi vedere il mio desiderio…? – chiese quasi in un sussurro.
– Sì, pulsa qui nel tuo petto, luminoso come una piccola stella. – con uno scatto rapido delle ali, eseguì un elegante movimento che gli permise di librarsi in volo sopra la sua nuova prediletta. – Dunque, vuoi giocare?



 

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Capitolo 2
*** On the Earth: Pandora's birth ***


On the Earth: Pandora's birth
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Sehaliah la seguì per i giorni seguenti, osservandola. Osservando il suo comportamento, la sua gentilezza, i suoi sorrisi e le risate. Gli umani davvero non si accorgevano di quanto fossero finti? Di quanto si sentiva sola, con quella riconoscenza solo temporanea alle sue premure? Era gentile e delicata di natura, ma i sorrisi radiosi che offriva nell’esserlo erano forzati come solo quelli di coloro che sentono di non avere più alcuno accanto a sé sanno essere. Tutte quelle persone rispondevano alle sue gentilezze calorosamente ed affettuosamente, ma dopo poco s’erano già dimenticati della dolce ragazzina dai capelli blu notte, ed ignoravano le sue necessità, la sua solitudine. Le sue flebili richieste d’aiuto, soffocate dal suo altruismo, non venivano affatto percepite dagli stolti esseri, per loro bastava vedere l’allegria sul suo viso per accantonarla in un angolo, per loro sarebbe andato tutto alla grande finché lei avrebbe continuato a ridere.
Quando le ombre della notte erano ormai discese sulla luminosissima città, ed Haruna, pronta per coricarsi, saliva alla sua accogliente seppur piccola stanza, il lunare si accomodava sull’albero di fronte alla sua finestra, e per la prima volta in tutta la giornata, la fanciulla poteva vederlo. Eliminava quelle barriere di vetro che li tenevano separati, spalancandole, rimaneva ad osservarlo per alcuni minuti, in riverenziale silenzio, passati i quali andava a stendersi. Quando sentiva il respiro della ragazza regolarizzarsi, finalmente, con un sospiro, la creatura si concedeva di spostare lo sguardo dalla brillante luna a lei. Amava ed odiava l’aspetto che la sua dimora acquisiva da lì, era così splendente e meravigliosa che la prima volta che l’aveva veduta gli aveva tolto il fiato per qualche istante. Se gli esseri umani avessero saputo quanto al suo interno essa fosse oscura, fredda e simile ad una prigione per i suoi abitanti, l’avrebbero ancora amata e cantata come facevano? E poi invece c’era lei, quella giovane e fragile umana, tanto graziosa d’aspetto quanto gentile e premurosa d’animo.
La situazione tra i due cambiò dopo due giorni di completo silenzio, quando la ragazza, invece di andare a dormire senza parlargli come aveva fatto fino ad allora, mentre era alla finestra che lo osservava, gli rivolse dolci e semplici parole, con un lieve sorriso, una curvatura delle labbra appena accennata.
– Nostalgia di casa? – furono quelle parole che gli rivolse, facendolo voltare verso di sé, mentre gli sorrideva in quel modo che gli lasciò un attimo di confusione.
L’essere negò, lanciando un’occhiata fugace alla pallida Luna, tornando dopo una breve pausa a guardare lei, ed a parlare. – Noi lunari non possiamo provare nostalgia, e comunque anche se la provassimo certamente dubito sarebbe rivolta a quel luogo.
– Ed allora a cosa pensi? – chiese ancora lei, inclinando appena il capo verso la spalla sinistra, mantenendo lo stesso tono delicato, forse volendo alleviare l’amarezza delle parole di lui.
– Mi chiedo se con questo Gioco potrò guadagnarmi di tornare qui ancora, è la prima volta che sono tra i dodici che vengono mandati sulla Terra.
La ragazza sorrise allegramente ed innocente, socchiudendo di poco gli occhi e mostrando i bianchi denti fra le vermiglie labbra. – Farò del mio meglio!
La creatura, con un fluido movimento delle ali, si sollevò dal ramo e prima che ella lo potesse effettivamente realizzare, era appoggiato con le mani al davanzale, il volto non distante dal suo. – Sii te stessa, sono certo che tu sia più che perfettamente adatta così come sei. Sei sola, ma il tuo desiderio non è corrotto come quello di molti altri, è ancora limpido e splendente. Sei ancora capace di provare un amore puro e incondizionato.
Le gote della fanciulla si imporporarono, mentre lei abbassava gli occhi alle proprie mani, vicine a quelle di lui, ed al loro confronto così piccole. Si perse nell’udire i suoni delle sue ali che schioccavano per mantenerlo sospeso in quella posizione, lasciandosi quasi cullare da quei cadenzati ed armoniosi battiti.
– Promettimi che sarai semplicemente te stessa. – insistette egli, guardandola negli occhi tanto profondamente e con tanta insistenza, che si sentì in obbligo di ricambiare quello sguardo.
– Lo farò, te lo prometto… – rispose, con voce un poco più flebile del normale. Quello che altro non poteva essere definito se non come angelo sembrò dirsi soddisfatto, dato che si tirò di poco indietro, allontanando i loro volti.
Ella osservò quel magnifico viso ancora per qualche attimo, poi, come una bambina colta in fallo da un genitore, corse al proprio letto, dove si rintanò sotto le coperte. Mentre poteva udire dietro di sé il rumore delle ali del lunare che si allontanava, prestò attenzione a come il proprio cuore batteva ferocemente nel proprio petto, mentre il respiro le risultava appena difficoltoso, come fosse stata spaventata. Eppure, non avrebbe saputo dire cosa avesse potuto indurre a tale comportamento i suoi organi interni.
 
Il giorno seguente, tornando in camera in pigiama e pronta per coricarsi, Haruna fu sorpresa di trovare la creatura suo davanzale della finestra, invece che su solito ramo d’albero. La guardava, anzi di preciso il suo sguardo era puntato alla piccola scatola che stringeva morbosamente tra le mani, poi si rialzò sui suoi occhi gonfi e pesti di lacrime da poco versate. Non disse nulla, non fece domande. Sapeva che quello era per forza di cose un dono, sapeva che si trattava di un dolce fatto a mano nel tardo pomeriggio di quel giorno stesso dalla ragazza, sapeva anche del pianto in cui era scoppiata nel prepararlo, bagnando di salata tristezza il proprio volto e il tavolo della cucina. Le cause di tali gesti non le riusciva neppure ad immaginare, ma sapeva l’avrebbe scoperto presto. La guardò strofinarsi con insistenza le ciglia umide, mentre riponeva la scatola nella cartella scolastica ed andando ad innalzare tra loro una barriera fatta di coperte e silenzio.
 
Il cielo bagnato dalle ultime luci di un profondo arancio incorniciava la figura del lunare, splendendo sulla sua pelle, le nivee ali, i capelli carezzati dalla brezza; la schiena era poggiata sulla cornice della finestra, una gamba piegata contro al petto, l’altra abbandonata all’aria frizzante del primo autunno. Come al solito osservava, fissava la porta, attendendo che la ragazza entrasse. Ed eccola, spalancare la porta con le mani tremanti, con le quali tentava di asciugare le grosse lacrime che spargevano i suoi grandi e dolci occhi, si gettò sul letto, affondando il viso nel cuscino per soffocare i singhiozzi che la scuotevano senza ritegno. La creatura alata la guardò, indecisa sul da farsi. Lui non provava sentimenti, come rassicurarla? Come farle cessare quel pianto che non sopportava le sconvolgesse i lineamenti in quel modo. Era la prima volta che sentiva di voler fare qualcosa. Ma non poteva farci nulla, il bel sorriso di quella fanciulla... voleva tornasse al suo posto, sulle sue labbra, sui suoi occhi luccicanti. Sentiva questa piccola mancanza nel suo cuore, senza quel sorriso. Si sentiva così strano… Avere desideri era sbagliato, così terribilmente sbagliato
Poggiò lentamente un piede dopo l’altro sul pavimento della camera, saggiandone la fredda compostezza con la nuda pelle, e si alzò, raccogliendo silenziosamente le ali sulla schiena, guardando quella di lei, tremante. Camminò lentamente avvicinandosi al letto, prese una morbida coperta da sopra una sedia, e la pose delicatamente sopra il corpo della ragazza, che sussultò, ma si acquietò, seppur faticando a fermare i singhiozzi.
– Chi è? – chiese con voce bassa il lunare, chinato verso di lei, i palmi poggiati sul materasso. – Chi è la persona che hai atteso per tutto il giorno, di fronte a quella costruzione simile ad una fortezza? A chi hai fatto consegnare quel dono?
La ragazza balbettò un nome, reso appena comprensibile anche per via della stoffa che ovattava le sue parole. – Mio fratello… – aggiunse dopo una piccola pausa composta da un paio di singulti.
L’altro la guardò tentare di calmare il pianto ancora per un po’, poi si fece indietro, sollevandosi facendosi leva sul letto su cui era poggiato. – Riposati, ne hai bisogno, non necessiti di parlare di questo, ora. Buonanotte. – il suo tono usualmente neutro si addolcì appena nell’ultima parola, risuonando nelle orecchie della fanciulla.
Sehaliah si avvicinò alla finestra, spiegò le ali e prese il volo, allontanandosi.
 
Il giorno seguente venne a conoscenza, dalla sua protetta, del fatto di come, dopo aver perduto i genitori, suo fratello e lei fossero stati adottati da due differenti famiglie, e di come dopo qualche anno il maggiore dei due aveva smesso di volerla vedere, di chiamarle o di scriverle. Fu da quel momento che la ragazza capì quanto in verità fosse sola, ormai. Non aveva più alcuna persona cara accanto a sé, nessun amico. Nei giorni a venire, i due solevano scambiare qualche parola, prima di andare a dormire, sulla giornata trascorsa dalla giovane, su come sua madre si lamentasse che andando a dormire con le finestre spalancate a quel modo in quella stagione si sarebbe come minimo buscata un raffreddore, o su qualsiasi cosa capitasse loro di discutere. Nonostante da parte della creatura non arrivassero sorrisi, il suo tono fosse sempre neutro e le frasi discrete e schiette, la ragazza era felice. Amava avere qualcuno con cui parlare, si godeva quegli attimi di mera felicità che le erano concessi, pur sapendo che sarebbero dovuto finire. Mentre la ragazza si affezionava alla costante sensazione di sentire quegli occhi blu mare su di sé, il desiderio dell’altro di vedere il sorriso sul suo volto non faceva che aumentare, al punto da sentirsi stranamente caldo quando vedeva la dolce curvatura delle sue labbra.
 
Haruna era in piedi di fronte alla finestra, sul cui davanzale poggiava le punte delle dita, occupato dal corpo di Sehaliah. L’osservava mirare la Luna. La sua presenza le aveva fatto bene, i suoi occhi non avevano più bordi arrossati per le lacrime versate quando era sola nella propria stanza da troppo tempo. Era così felice di essere con lui.
A quel punto, fu portata a chiedersi se non fosse tutta un’illusione, e provò l’istinto di toccarlo per verificare. Fu così che allungò la mano, la poggiò sul suo braccio, lo trovò particolarmente fresco, ma certamente solido. Guardando la propria pelle poggiata su quella così pallida, curvò appena un sorriso, alzando poi lo sguardo su quello che quando l’aveva toccato si era spostato su di lei, subito dopo che il suo corpo aveva sussultato di stupore.
– Volevo accertarmi che tu sia qui, che sia reale... Che non sia solo un’illusione. – mormorò la spiegazione, senza riuscire a scacciare quel piccolo innalzamento degli angoli della propria bocca. L’angelo la guardò per un po’, lei guardava i suoi occhi, li trovava diversi, luminosi.
– Sono qui.  – sussurrò lui in risposta, la voce profonda e dolce colpì la fanciulla, ma non tanto quanto un dettaglio ancor più importante, per lei. Il fatto che per la prima volta, sul volto che aveva di fronte, si era dipinto un sorriso. Una piccola, dolce curva, che dalle labbra si trasmetteva al bagliore delle iridi. Sobbalzò, ma le sembrò che non fosse stata propriamente lei a farlo, bensì le sue viscere, il suo stomaco le era parso scosso ancor più della sua mente.
Sentì qualcosa di fresco sopra la propria mano, abbassò lo sguardo e vide che egli le stava sfiorando con le punte delle dita la mano poggiata sul proprio braccio. Lei alzò le proprie, in modo da intrecciare di poco le falangi.
– È ora di andare. Buonanotte, Haruna. – aggiunse, eliminando il contatto fra le loro pelli, ed osservandola mentre si coricava, ancora confusa su cosa fosse accaduto poc’anzi.
 
Erano di nuovo in quella che ormai era diventata una posizione abituale: il lunare appollaiato alla finestra e lei in piedi di fronte. Si scrutavano con le code degli occhi, in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri e dubbi. L’uno aveva ormai chiaro che quel desiderio che provava verso quella gracile umana non poteva più essere una semplice illusione della sua mente, era troppo forte, lui la voleva al suo fianco. Cos’era diventato? I lunari non provano desideri, è impuro. Lui era impuro, dunque. Strano, l’aveva sempre immaginato molto più brutto, invece era una sensazione meravigliosa, desiderare il sorriso di Haruna ed ottenerlo. Cosa gli sarebbe successo una volta tornato sulla luna non gli interessava più, come sarebbe stato punito per il suo essersi macchiato, infondo ora che conosceva quella piccola felicità, tutto il suo mondo gli sembrava vuoto, oscuro e privo di senso. La ragazza, da parte sua, si sentiva strana nei confronti di quell’essere dalle grandi ali candide come neve, era costantemente con lei, in un certo senso quasi la proteggeva, lei si sentiva davvero al sicuro sotto al suo sguardo come l’oscurità della notte, quando sentiva la sua profonda voce qualcosa le turbinava dentro al cuore.
– Com’è sulla Luna? – osservando un fremito delle ali della creatura, Haruna ebbe quasi l’impulso di carezzare quelle morbide piume, ma lo scacciò, rivolgendo lo sguardo al suo, con un sorriso.
– Dimoriamo in grotte e cunicoli nelle viscere della roccia, ovunque è completamente buio, ma noi vediamo perfettamente. Ovunque si possa posare lo sguardo, grigio ed oscurità, non ti piacerebbe. – osservò il satellite naturale mentre le rispondeva, muovendo lentamente una mano in aria, di fronte al proprio viso. – Il buio è tale che lo senti premere sulla pelle col suo gelo, senti di tagliarlo quando ti muovi. 
– Amo il buio. – ribatté ella, prontamente.
– Non conosci quel buio. Voi umani non potreste mai sopravvivergli. – il lunare la guardava coi suoi occhi come oceani, ed ella di riflesso arrossì un poco. – Quel gelo, quel nulla… Voi ne sareste risucchiati, cadendo in una spirale di follia. Siete esseri effimeri, fragili più del cristallo, ma ancor più stupendi. Pieni di malizia e desiderio, luce ed ombra. Voi siete abituati al vostro mondo abbagliante di luce, proviene da ogni oggetto in torno a voi. Mai alcuno di voi deve vedere com’è la vera essenza della Luna, mai tu dovrai farlo, Haruna.
 
Sehaliah non poteva togliersi dalla mente un pensiero, quel giorno, che la notte seguente se ne sarebbe dovuto andare. Avrebbe dovuto abbandonare quella fanciulla che gli aveva insegnato il peccato ed il desiderio, facendolo divorare da tutti i mali odiati dalla propria razza, come la giovane che gli uomini chiamavano Pandora. Ma egli era così felice con lei, così felice di vederla sorridere, di vederla allegra, di non vedere più sue lacrime, avrebbe sempre voluto vivere potendo guardare quel sorriso, quella ragazza. Attese che la ragazza tornasse dal bagno, impaziente di vedere il suo solito dolce sorriso, ma quando ella varcò la soglia, quella morbida curva che tanto amava mancava sul suo volto, che era invece bagnato da piccoli cristalli di lacrime, che lentamente scivolavano lungo le sue pallide gote, dai suoi grandi occhi tristi. Si sentì mancare, lei doveva sorridere. Subito, discese dal davanzale, camminando verso di lei e stringendole i lineamenti fra le mani, i pollici a cancellare le lacrime, strofinandosi sugli zigomi.
– Tu non devi piangere, Haruna… – sussurrò, come si trattasse di un piccolo codice in un linguaggio segreto conosciuto solo da loro due, qualcosa che poteva essere loro e loro soltanto.
– Come posso? Tu te ne andrai, ed io sarò sola di nuovo… - balbettò la fanciulla, abbassando lo sguardo, la voce ed il corpo scossi dai lievi singhiozzi.
– Non sarai sola, avrai da me un desiderio, dimentichi? – le sorrise egli.
– Se è così, desidererò che tu rimanga. – disse lei, poggiando le mani che tremavano lievemente sui polsi di lui, circondandoli col suo caldo tocco, mentre socchiudendo gli occhi si beava delle sue carezze. Da quanto tempo la sua pelle non veniva più carezzata in tal modo, non lo ricordava più neppure lei.
– Non mi è possibile, se ti concedo un desiderio me ne devo andare.
 – Non voglio nulla allora. Tutto ciò che chiedo è stare con te. – disse con decisione, puntando le pupille nelle sue, ma sta volta fu lui ad interrompere nuovamente quel contatto visivo, scuotendo il capo.
– Haruna, no… E’ giusto che vada così, io sono un lunare, dovrei vivere all’ombra in eterno, condannando te ad una vita di solitudine. Tu devi essere felice, domani tu esprimerai il tuo desiderio, ed io me ne andrò, come deve esser fatto. Ed io ti prometto, che ci rivedremo, anche se non come immagini. – dicendo ciò, fece cadere le mani dal suo caldo volto, lasciandole scivolare fino all’insenatura dei suoi gomiti, che strinse. Sapeva che qualunque fosse stato il suo destino, in quanto impuro, non sarebbe potuto essere felice, forse sarebbe morto, ma di certo non sarebbe mai tornato sulla Terra.
– Mi prometti davvero che ci rivedremo, Sehaliah? – chiese ella in un mormorio, timorosa che egli si sarebbe tirato indietro. Non poteva più nascondere a se stessa che quel calore i suoi sorrisi, il suo tocco o perfino il suono della sua voce causavano in lei fosse amore. Un calore che si irradiava dal suo ventre, fino a scaldarle l’intero corpo, con la velocità di un incendio, tiepido come una morbida coperta di lana in inverno. 
Te lo prometto, Haruna.
 
Era il momento di andarsene, il lunare lo sapeva. Un sospiro sfuggiva dalle sue labbra, mentre guardava la coltre celeste buia, priva di Luna. La regina del cielo mancava, ma le damigelle stelle continuavano a splendere bellissime, sapendo che sarebbe presto tornata. Chissà, lo sapevano davvero con certezza, o volevano solo fidarsi della loro sovrana?
– Sehaliah… – il suo nome venne esalato da quell’esile e dolce voce, facendolo voltare a guardare quella figura a cui si era tanto abituato, il fatto che non l'avrebbe più potuta vedere gli faceva già male.
– Haruna, è giunto il momento per me di andarmene. Mi hai insegnato quanto non puoi neppure immaginare, non rimpiango un singolo istante passato accanto a te.– l’essere si voltò del tutto, stringendole con delicatezza le piccole mani fra le proprie.
– Concedimi almeno un regalo. – disse ella, poggiando il peso sulle punte dei piedi e sporgendosi verso di lui. – Baciami…
– Ho un regalo ancora migliore. Non ti bacerò. Ti ferirei soltanto di più, con la mia partenza, devi cancellarmi dalla tua memoria il prima possibile. – le carezzò dolcemente i capelli. – Desidera, Haruna, è ora che me ne vada.
– Non voglio più essere sola, voglio essere amata… - sussurrò la ragazza, mirandolo per un’ultima volta, abbassando poi lo sguardo.
Sehaliah spalancò le sue enormi ali, ed il prima possibile volò fuori da quella camera testimone del loro amore impuro. 



Seth's corner:

Salve a tutti, voi povere anime che avrete letto questo capitolo LUNGHISSIMO. Lo so, succede un sacco di roba, è tutto un gran macello, e credete che per me è stato un vero parto scriverlo. In ogni caso, spero possiate averlo apprezzato nonostante sia stato tutto soltanto un enorme macello ingarbugliatissimo, e vi prego di lasciare una piccola recensione, che fa sempre piacere! Questo comunque era l'unico capitolo davvero lungo, il prossimo, ovvero l'ultimo, sarà più breve, ma anche un po', ehm, cruento. Vi chiedo scusa, la mia voglia di angst e violenza ha avuto la meglio anche in questa fic. Che dire, questa fanfiction è ormai nel mio cuore, ci ho lavorato un casino e ci tengo davvero davvero tanto, anche se poi le do nomignoli stupidi quale "Super Piccione e la disadattata sociale". Sì, vi giuro che la chiamo davvero così nella mia mente o a voce. Ehm, okay, direi che stiamo divagando-
Il prossimo capitolo dovrebbe essere può veloce ad arrivare, dato che probabilmente lì non avrò problemi coi limiti di lunghezza e che so già precisamente cosa deve accadere. Spero davvero vi abbia fatto piacere leggere quest'ammasso di baggianate oscene e lasciatemi un parere, please!
Have a nice day
~!

~Seth

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Capitolo 3
*** To the Earth: a man ***


Prima di lasciarvi leggere, chiariamo un secondo la questione dei nomi. Ho dato ad ogni personaggio lunare che comparirà in questo capitolo un nome differente da quello originale, scelto fra i nomi degli angeli custodi, in base un po’ al significato, un po’ al fatto che potesse richiamare quello dell’anime. Abbiamo dunque Shirou come Sehaliah (sì, negli scorsi capitoli mi sono sbagliata sempre a scriverlo, ma ora ho corretto) che è l’angelo custode della gioia, dell’amore e del desiderio, Hiroto come Melahel che significa “Dio che libera da tutti i mali” e Fuyuka come Leuviah che vuol dire “Dio che esaudisce i peccatori”, o anche eleganza e generosità.
 
 
To the Earth: a man

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Quando aprì gli occhi, solo oscurità e freddo l’avvolgevano, appiccicandosi alla sua pelle come indumenti bagnati, quasi ne poteva sentire il peso: era a casa. Non riusciva a vedere nulla, era ancora accecato dalle luci abbaglianti della Terra, doveva abituarsi a quel buio più totale per cominciare a vedere i confini della grotta intorno a sé. Percepiva doveva essere parecchio grande, nonostante tutto ciò che riusciva a vedere era solo nero, ed il terreno e qualche ciottolo poco oltre i suoi piedi. Sbatté le palpebre, provando a muovere un passo in avanti, quando una voce lo gelò sul posto. Una voce che chiamava imperatrice il suo nome, proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle. Si voltò, nella penombra poté vedere gli accenni di un volto bianco come un lenzuolo, i cui lineamenti tanto raffinati da sembrare quasi femminei erano illuminati da una tenue luce che sembrava provenire dalle sue stesse magnetiche iridi di un color verde misto all’azzurro. Capelli rossi lo circondavano, le cui punte gli stuzzicavano il collo, man mano che la figura si avvicinava poté pian piano vedere il suo corpo magro e scolpito, le vesti di un bianco candido dagli orli ricamati in argento, bracciali dello stesso materiale gli fasciavano metà avambraccio.
– Melahel. – mormorò il nome del più perfetto fra gli angeli, voltando l’intero corpo verso di lui.
– È un piacere vederti tornare, Sehaliah. – la sua espressione era distesa, la voce calda, calma, gli sembrava entrare nella mente, sciogliere i nervi. Eppure, gli sembrava che ci fosse qualcosa di errato, nella leggera curva gentile che le sue labbra pallide avevano. – Com’era il tuo protetto?
– Era una giovane umana, l’avessi potuta vedere; possiede una straordinaria bellezza, per quanto non ancora completamente fiorita, delicata quanto quella di una rosa, pari a quella di una femmina del nostro popolo. La sua luce era infinitamente più brillante di quella di un astro, molto più di quanto avrei mai potuto immaginare. – esitò un solo istante, prima di iniziare a parlare, e mentre lo faceva le sue parole incespicavano appena nell’emozione che gli portava il rimembrare la ragazza che aveva aperto con le sue gentili mani lo scrigno di ogni male che risiedeva nel suo cuore.
Il sorriso si dilatò sul volto della creatura di immane bellezza di fronte a lui, diventando ai suoi occhi quasi inquietante, mentre intravide una figura che si avvicinava. Mano a mano che veniva vicina, riuscì a distinguere nella sagoma le morbide curve di una giovane lunare, notò che teneva in grembo una specie di fagotto, mentre avanzava con andatura stanca, come se fosse appena uscita da un lungo periodo di fatiche. Volse nuovamente lo sguardo a Melahel, come in cerca di spiegazioni, di una risposta, la mente confusa che non sapeva cosa pensare. Tornando a guardare la giovane non identificata, vi riconobbe un morbido velo di lisci capelli del colore delle viole che decorano i prati con l’arrivo della primavera ed occhi blu velati di lacrime che minacciavano di cadere ed arrossati da altre già cadute.
 – Che succede, Leuviah, perché piangi? – l’interrogò, preoccupato dalla paura e dall’amarezza che distorceva quel viso che aveva sempre conosciuto come di una bellezza e di un’innocenza incorrotta, tanto che gli occhi non potevano non seguirlo una volta che l’avevano veduto. Con un moto d’ira, si volse all’essere dai capelli color cremisi. – Che le hai fatto?
Come in risposta, la fanciulla svolse dall’immacolato tessuto ciò che teneva in braccio, sollevando e mostrandogli un neonato dormiente. Aveva pelle candida, in testa pochi capelli di color ramato, sulla schiena piccole ali fremevano nel sonno.
– Ti presento Cahetel, mio figlio. – pronunciò Melahel, guardandolo boccheggiare dalla confusione e paura.
– Non è possibile, la Legge, il consiglio dei Serafini… non possono nascere cuccioli a meno che nessuno sia… – non terminò di balbettare la frase, bloccato dall’eloquente sguardo acquamarina posato su di lui. – Nessuno è morto, vero?
– Non erri, nessuno è morto ancora. Cahetel è nato in previsione di questo giorno. Sapevamo che non ce l’avresti fatta. – detto ciò, con un cenno del capo l’angelo l’invitò a guardarsi.
Abbassò lo sguardo sul proprio petto, che sprigionava una luce bianca come latte, la quale illuminava i paraggi, inclusi i tre lunari di fronte a lui. Era totalmente corrotto, non poteva nasconderlo, la luce del desiderio si era accesa in lui e non se n’era neppure accorto. Lui desiderava Haruna, desiderava vederla, ammirarla sorridere, stringerla tra le braccia, desiderava donarle quel bacio che lei gli aveva chiesto. Non era più una creatura perfetta, l’avrebbero ucciso. Rialzando le iridi tremanti di paura, vide che altre sagome erano entrati nel suo raggio visivo, tutt’intorno a lui. Gemette, era giunta la sua fine. Si avvicinarono, mentre Leuviah indietreggiava, stringendo al petto il figlio in tono protettivo, squittendo spaventata. Cadde in ginocchio, non poteva far nulla, era la sua punizione. Abbassò il capo, mentre li sentiva sempre più vicini, percepiva i loro occhi giudicarlo indegno di vivere, nonostante non potesse vederli. Trattenne il fiato, finché non sentì le prime unghie graffiargli le ali alle loro basi, le dita strappargli le penne nivee, urlò di dolore, sentendo qualcosa di caldo e viscoso scivolargli lungo le spalle e la schiena. Una piuma gli vorticò davanti al volto, la strinse debolmente fra dita tremanti e se la portò al petto, scosso da un lancinante dolore, mentre si accasciava al suolo abbandonandosi alla violenza dei suoi simili. Più loro graffiavano e strappavano, più lui urlava, presto alla sua voce si unì il pianto del bambino, e la ninna nanna cantata soavemente dalla madre, in singhiozzi, per tentare di calmarlo. Presto, il dolore divenne tale che iniziò a perdere sensibilità, vedeva macchie muoversi sulla sua vista, si strofinò gli occhi stancamente, ma non ottenne nulla. Aveva l’udito ovattato, tutte le percezioni si stavano lentamente spegnendo, lasciandolo in uno stato di lenta agonia. Ruotando freneticamente gli occhi, tutto ciò che riusciva a vedere erano confuse sagome che graffiavano, strappavano e mordevano le sue ali, chiazzando il grigiore della roccia su cui era abbandonato del denso rosso di sangue fresco e brandelli di carme, tra i quali spiccavano le bianche piume, come ninfee che galleggiavano su uno stagno, o cadaveri in mare dopo una tempesta. Perse conoscenza, con in mente l’immagine della dolce lunare che stringeva a sé il suo piccolo, carezzandolo e cantando per lui, le lacrime che scorrevano sul suo viso come ruscelli in piena.
 
 
Haruna sorrise, guardando quelle poche righe delineate dai pixel che componevano lo schermo del suo cellulare. Si alzò dal letto, su cui era sdraiata, lanciandovi l’apparecchio elettronico ed incamminandosi sulle punte dei piedi nudi verso l’armadio, afferrando i primi indumenti estivi le capitassero sottomano. Pantaloncini a vita alta di stoffa leggera delle stesse tonalità dell’inchiostro ed una maglia color sabbia; sarebbero andati benissimo. Una volta vestita ed i capelli spazzolati, uscì di casa precipitandosi giù per le scale, il sorriso stampato sulle labbra. Arrivata ad un parco, posò gli occhi su una figura maschile poggiata ad un muretto. Sedeva sul bordo di quest’ultimo, su cui anche poggiava la pianta di un piede, le braccia erano incrociate sul petto; aveva capelli castano chiaro intrecciati in innumerevoli rasta, raccolti in una coda, scrutava i dintorni da dietro le lenti di un paio di occhialetti da aviatore. Gli corse incontro, mentre egli la notava e le sorrideva, allacciandogli le braccia dietro al collo.
– Ciao, fratellone. – il ragazzo più grande le carezzò la testa; nonostante avessero ormai l’uno sedici l’altra quindici anni ella continuava a chiamarlo in quel modo infantile, che lui però adorava.
La ragazza amava attribuire la causa del loro riavvicinamento, iniziato tre anni prima, all’angelo che nei suoi ricordi aveva vissuto al suo fianco per due settimane. Non sapeva se pensare che quella creatura fosse frutto della sua immaginazione, di uno scherzo della sua mente per la troppa solitudine, o che fosse stato reale. In ogni caso, quei momenti passati erano vividi nella sua memoria e se li teneva stretti come qualcosa di prezioso, quel genere di ricordi di cui non si può parlare con nessuno, perché sono per noi e noi soltanto, e renderne partecipe qualcun’altro varrebbe come, in un certo senso, rovinarli, renderli meno speciali. Fatto sta che ricordasse bene come qualche giorno dopo che quello che appariva quasi in tutto e per tutto un ragazzo - eccetto per il paio d’ali che aveva sulla schiena - se ne andò, l’ultimo suo parente in vita si rifece vivo senza alcun genere di preavviso all’uscita da scuola, stringendola fra le braccia e scusandosi per il comportamento tenuto fino ad allora. La fanciulla ci mise un po’ a digerire la cosa, ma lo perdonò, era pur sempre suo fratello e l’amava.
Ridendo ad una battuta del giovane che le era di fronte, distolse lo sguardo di lato, mentre con le dita si sistemava la cortina di setosi capelli scuri come l’oceano che le coprivano la fronte. Sobbalzò quando le parve di vedere per una manciata di istanti, tra i tronchi ed i rami della piccola boscaglia che si trovava poco distante, una macchia del colore della carta, capelli argentei e due occhi di colore scuro. Si diede della scema, pensò fosse stata solo un’impressione dovuta al fatto che stava ripensando al lunare, e tornò con noncuranza a dialogare col ragazzo.
Il tempo trascorse con velocità, trasportato dalle risate ed i discorsi che scambiava col fratello maggiore, che baciò sulla guancia non appena venne per lei il momento di rincasare. Dopo averlo salutato con la mano per alcuni secondi, si avviò a passo allegro, il sorriso tanto solare che a vederlo lo si sarebbe detto indelebile. Mentre camminava persa nei propri pensieri, non notò una persona ferma al centro del marciapiede, almeno fino a quando non entrò nel suo campo visivo la sua mano protesa, chiusa a pugno. Sussultò, ed osservò quella mano dalla pelle nivea e senza alcuna imperfezione, mentre le dita le schiudevano lentamente la visuale su di una grande piuma simile in colore e morbidezza alle nuvole che adornavano pigramente il caldo cielo estivo di quel giorno. Dopo un primo attimo di perplessità, notò come il bianco all’apparenza uniforme dell’oggetto presentasse in realtà dei disegni di color argenteo, come ricami su di un pregiato tessuto. Il suo cuore prese a battere sempre più forte, mentre alzava lentamente lo sguardo sulla figura di fronte a sé. Una maglia verde mare, lineamenti eleganti di un bellissimo quanto pallido viso, capelli color cenere che lambivano morbidamente i contorni di quest’ultimo, un dolce sorriso che le mozzò il fiato e, per finire, degli occhi delle tonalità della notte. Non si poté trattenere dall’emettere un gemito, nel poter ammirare nuovamente quella creatura che aveva esaudito il suo più profondo desiderio. Mentre lei era ancora troppo sorpresa per pronunciare una qualunque cosa, egli le prese gentilmente una mano, nella quale pose la piuma, stringendovi intorno le sue piccole dita. Sorrise.
 
– Ci ho messo un po’, ma ho mantenuto la promessa. Ora, se lo desideri ancora, posso offrirti quel dono che mi chiedesti.


Seth's corner:
Salve piccole persone! Sono davvero davvero felice di aver concluso questa storia, è un piccolo traguardo personale per la mia continua lotta con la mia autostima, la mia mancanza di organizzazione e la mia pigrizia. Le immagini contenute nei banner (se vi interessa, ne ho inserite anche nei precedenti capitoli) sono state disegate da me (a scuola, sul banco) e poi modificate al telefono grazie a Camera360 sight, magari non vi interessa, ma insomma, tanto per farvi sapere che sì, le ho disegnate io. In verità di disegni per questa storia ne avrei fatti parecchi perché li disegnavo ma poi li riguardavo e mi dicevo "No, fanno schifo", e li rifacevo. Ma vabbeh- Se vi può interessare, ma ve lo sconsiglio, ho anche pubblicato un video su youtube dove leggo con la mia voce del cavolo la primissima parte del primo capitolo, e lo trovate qui. Perché? Perché una sera ero stanca e mi annoiavo, ecco perché. Fa abbastanza schifo perché NON sono una doppiatrice e NON so montare video, è stata la prima volta che lo facevo da sola, e non avevo neppure tutta questa gran voglia di impegnarmici, perché l'ho fatto solo per sfogare una mia voglia(?) di leggere qualcosa, perché a me piace leggere le cose(?).
Spiego un secondo questo finale ancora più confusionario di tutta la storia: il consiglio dei Serafini nominato da Shirou/Sehaliah è un gruppo di lunari che governa la vita sulla Luna, e tra le Leggi ne hanno creata una che stabilisce che non possono nascere "cuccioli" se non sotto ordine dei Serafini stessi. In pratica, viene messo al mondo un lunare quando ne muore un altro. Quando i Serafini intuiscono che Shirou non saprebbe resistere alle tentazioni umane, concedono ad Hiroto/Melahel di "procreare", lui sceglie come compagna Fuyuka/Leuviah per la sua bellezza e beh... procreano, poi spediscono Shirou sulla Terra e lui torna prevedibilmente impuro. A quel punto, lui pensa che vogliano ucciderlo, ma invece i lunari gli strappano le ali e lo abbandonano sulla Terra. Qui, Shirou tenta di ritrovare Haruna, ma ci impiega tre anni, durante i queli lei si è riavvicinata al fratello. Fine.
Ora, dato che ho detto anche troppe cose, concludiamo in fretta. Ringrazio il mio vicino di banco a sgarro e amico (che magari leggerà pure quello che sto scrivendo, chissà) che ha sopportato tutti i miei scleri su questa storia (per noi, "Super piccione e la disadattata sociale"). Ringrazio tutti coloro che leggeranno, coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli, coloro che recensiranno questo, ed in particolar modo _Mamoru_ che mi ha dato qualche consiglio. Vi chiedo se vi va di dedicare due minutini per darmi un parere dicendomi cosa vi è piaciuto e cosa no. 
Eh beh, speriamo che il contest vada bene. *incrocia le dita*
Spero avremo l'onore di leggerci in futuro, che tu sia un recensitore o un lettore silenzioso!

~Seth

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