Porterò con me il tuo mondo.

di inside of londondreamers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I. ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III. ***



Capitolo 1
*** Parte I. ***


PORTERO' CON ME IL TUO MONDO. 



Parigi.
Sole pallido.


Perrie Dubois avrebbe potuto avere una carriera splendente nel teatro. Aveva quell’indole drammatica e tragica senza eguali. 
Perrie Dubois era talmente acida, scontrosa, pungente e sarcastica, non ammetteva repliche. Era una di quelle antipatiche a vista, che voleva sempre averla vinta e riteneva la gente troppo conformista, sciocca e banale per essere degna di un suo sorriso. Perrie non rideva mai.
In realtà lei era molto più di questo, era anche una povera squattrinata, con pochi amici, costretta a fare un lavoro che nemmeno le piaceva. A diciotto anni si era convinta d’aver trovato la sua vocazione tra i testi affascinanti di antichi filosofi, così era andata all’università col sogno di studiare la storia e la filosofia, per poi insegnare in qualche scuola superiore e chissà, forse avere una famiglia – non sentiva di pretendere molto. Si laureò in fretta, con il massimo dei voti, e tanto in fretta svanirono anche i suoi sogni: dopo aver passato un anno e mezzo a lavorare come barista in un autogrill scadente e in periferia, decise di smetterla di credere che i desideri sarebbero diventati realtà e tornare nel mondo vero. Come si ritrovò, nei mesi successivi,  a lavorare in una piccola, squallida, redazione come giornalista, benché non avesse nessun master o qualificazione per tale mestiere, non lo capii mai. Fu un colpo di fortuna – o sfortuna, a seconda dei casi – incappato nel suo cammino. Non che Perrie fosse entusiasta della vita che conduceva, ma almeno non doveva pesare sulle spalle del padre e poteva permettersi di pagare l’affitto di un monolocale. Anzi no, a pensarci bene Perrie Dubois sostanzialmente detestava la sua vita, sapeva che mancava qualcosa. Ma cosa?
Era il 21 marzo quando il suo capo redattore, così dal nulla, volle dare una svolta al giornale, fare un salto di qualità – parole testuali – costringendola a fare i bagagli, a partire per l’Inghilterra, a Londra, e a scrivere un saggio sulla “nuova capitale del mondo” – come la definiva lui. E  Perrie davvero credette che la sua vita non poteva prendere piega peggiore. Quando seppe la notizia per poco non si mise a piangere davanti al capo. Non lo fece solo perché ci teneva ad avere un contegno. Così non le restò altra scelta se non quella di accettare, nonostante lei –  tra le tante cose – non pensasse minimamente di avere la stoffa della scrittrice.
 
Se c’era una cosa che odiava Perrie Dubois era proprio l’Inghilterra, anche se forse questo era troppo riduttivo. Più precisamente lei odiava gli inglesi, il loro odioso accento e la pronuncia da perfettini; come se non bastasse si sentivano padroni indiscussi del mondo coi loro bei skinny jeans firmati, con la convinzione di saper cucinare e avere dei buoni formaggi, quando tutti sapevano che non era così. E se c’era proprio una cosa che Perrie Dubois detestava profondamente era la presunzione delle persone – difetto che lei stessa aveva, ma di cui preferiva non parlarne e dimenticarsene. La verità è che lei non sapeva con precisione quando era diventata così cinica e facilmente irritabile, forse il suo atteggiamento nei confronti della vita era cambiato non appena aveva lasciato la sua amata Francia e si era ritrovata in mezzo a figli di papà con la puzza sotto il naso, oppure ancora molto tempo prima, quando aveva realizzato che tutti gli anni di studio e i soldi spesi per un pezzo di carta erano stati totalmente inutili e sprecati.
Perrie Dubois odiava davvero tante cose, specialmente la sua stupidità. Se avesse potuto ritrovarsi davanti la se stessa di diciotto anni, si sarebbe presa a schiaffi e non avrebbe rincorso un inutile sogno che l’aveva portata sull’orlo della miseria, in uno stretto vicoletto nei sobborghi di Londra.
 
Londra.
Pioggia.
 
Zayn Malik era un ragazzo pacifico, che non perdeva mai la calma, con voce languida, modi di fare pacati e il sorriso sempre sulle labbra. Non aveva mai avuto grandi sogni nel cassetto, era sempre stato una persona coi piedi per terra e lavorava sei giorni su sette in una tavola calda. Finita la scuola superiore aveva capito subito che non era portato per lo studio e che la sua unica grande passione, quella per il disegno, non l’avrebbe mai portato distante. Così si era rimboccato le maniche, aveva trovato presto un lavoro ed era andato via di casa, trovandosi un piccolo appartamento in una zona tranquilla. Nel tempo libero continuava a dedicarsi ai suoi quadri e quando aveva un po’ di fortuna riusciva addirittura a venderne qualcuno.
Zayn Malik era sempre stato soddisfatto della sua vita, non si era mai spostato da Londra e non aveva mai sentito realmente il bisogno di farlo: continuava a stupirsi ogni giorno dei luoghi che vedeva, nonostante fossero sempre gli stessi. Quella era una città che lo affascinava, che aveva tante meraviglie nascoste ancora da scoprire e tanto da offrire, per qualsiasi genere di persona. Era una città in cui si poteva semplicemente passeggiare e ammirare ciò che di bello aveva da offrire, era una città senza pretese, in cui era facile sentirsi a casa. Fino a quel giorno, Zayn Malik era stato soddisfatto della sua vita fino a quel giorno, quando le cose iniziarono a cambiare non lo seppe nemmeno lui. Semplicemente una mattina si rese conto che non era abbastanza, che niente era abbastanza e che ci voleva più colore nelle sue giornate.
Zayn si domandava se non ci fosse dell’altro da scoprire, se non valesse la pena rischiare qualche volta. Magari prendere il primo volo per un Paese sconosciuto e girarlo in sacco a pelo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo, ma a volte era bello sentirsi un poco temerari.
 
Il 28 marzo era un venerdì. Zayn Malik ogni giorno si svegliava alle 4.15, rassettava il letto, prendeva una colazione veloce e andava al parco a correre, prima di recarsi alla tavola calda. Gli piaceva davvero correre, gli permetteva di riflettere e al contempo rilassarsi, liberare la mente. Quella mattina però si alzò in ritardo, il giorno prima era stato trascinato ad una festa dal suo migliore amico – Zayn non era il tipo da pub e in verità non reggeva molto bene l’alcool, ma quella volta aveva fatto un’eccezione, solo per far contento l’amico. Così si ritrovò a correre a perdifiato  con un caffè scadente in mano pur di non arrivare in ritardo a lavoro, senza accorgersi della ragazza che camminava a capo chino, arrivando dalla parte opposta e che andò ad urtarlo facendogli rovesciare tutto il caffè addosso.




Il 28 marzo era un venerdì e se avesse avuto un colore sarebbe stato rosso: rosso come il sangue di quel passante imbranato che le aveva versato tutto il caffè addosso. Perrie si guardò la camicetta tutta macchiata, per poi passare al ragazzo che tentava di scusarsi in ogni modo. Siccome non era dell’umore adatto per discutere o rispondergli sgarbatamente, decise di ignorarlo, raccolse i fogli che le erano caduti di mano e svoltò l’angolo.
Era a Londra da una settimana o poco più e già avrebbe voluto andarsene a gambe levate, tornare dal suo stupido capo redattore, dirle che si licenziava e fare la mendicante per strada. Qualsiasi prospettiva era meglio che stare in quell’umida e grigia città – e per Dio, lei odiava la pioggia!
Svoltò l’angolo e raggiunse in fretta il suo appartamento, corse in camera e infilò una maglietta pulita. Accese il computer e cominciò a scrivere qualcosa per il saggio – da quando era arrivata aveva osservato attentamente le abitudini di quella gente, era andata per musei e aveva cercato di visitare la città al meglio, ma niente era riuscito a farle cambiare l’opinione estremamente negativa che aveva sull’Inghilterra. Continuava a restare del parere che fosse una città decisamente troppo, troppo sopravvalutata. Stava per chiamare il suo capo e dire che gettava la spugna, non era in grado di scrivere qualcosa di totalmente imparziale e poi, davvero “un salto di qualità per la redazione”? Quel tugurio cadeva a pezzi ed era una grazia se non aveva già chiuso. Perrie era ben consapevole delle sue capacità, della sua intelligenza e non nascondeva il fatto che si sentisse la migliore tra i suoi colleghi al giornale. Ma non era quella la sua strada.
Bussarono alla porta. Improvvisamente Perrie si ricordò che sarebbe dovuto arrivare un coinquilino irlandese, che aveva deciso di trascorrere un anno sabbatico nella capitale. Semplicemente fantastico.
«Ciao sono Niall Horan! Piacere di conoscerti!» disse il ragazzo tutto trafelato, con le guance arrossate e il fiato corto, porgendole la mano.
«Perrie Dubois. Entra.»
«Oh sei francese! Hai un accento carinissimo!» rispose lui sorridendo e mostrando una fossetta sul mento. Perrie sbuffò, alzò gli occhi al cielo e gli mostrò la casa palesemente irritata. Non sopportava quando facevano riferimenti al suo accento, che non era per niente “carinissimo”, ma troppo marcato, il che la faceva sentire un’idiota e lei detestava sentirsi in quel modo.
 
I giorni trascorsero relativamente in fretta e Perrie Dubois non solo si era resa conto di non sopportare gli inglesi, ma anche gli irlandesi. Niall Horan era la persona più rumorosa e disordinata che avesse mai conosciuto, rideva sguaiatamente per ogni minima cosa, anche la più stupida e si ostinava ad essere gentile e cordiale anche quando lei non lo era affatto. Se avesse potuto permettersi un appartamento tutto per sé non avrebbe esitato ad andarci: Niall Horan era ufficialmente entrato nella sua lista nera, insieme a quell’inutile fossetta, le guance perennemente arrossate e quell’accento fastidioso.
Era mattina presto, Perrie stava passeggiando tranquillamente per il centro, guardandosi accuratamente intorno, in cerca di ispirazione per quel noiosissimo saggio. Era certamente a buon punto e aveva scritto più di venti pagine, anche se Niall la interrompeva spesso per chiederle cose futili e stupide mentre lei se ne stava con il PC acceso in grembo. Una sera aveva perso mezz’ora solo per spiegare a quello sciocco irlandese dove fosse il caffè all’interno della dispensa e lui si era dilungato nel spiegarle gli effetti che la caffeina, se usata in eccesso, procurava ai tessuti celebrali; soltanto allora capì che si stava laureando in Educazione Alimentare e a Perrie risultò patetico pure quello. Patetico come il contesto in cui era costretta a ritrovarsi. Maledetta laurea in filosofia.
Una cosa l’aveva imparata certamente in quei giorni che aveva soggiornato a Londra: in quella città non si poteva passeggiare tranquillamente senza essere spintonati da una parte all’altra, perché la gente non era capace di essere puntuale?
Aveva analizzato tutto di quel’insipida città, tuttavia non aveva ancora approfondito la sua ricerca per quanto riguardava i prodotti tipici alimentari della zona, a quel pensiero Perrie si rese conto che non aveva ancora fatto colazione e decise di cogliere entrambe le opportunità entrando nella prima tavola calda che le sarebbe capitato sotto mano, avrebbe analizzato i prezzi, l’igiene del posto e la qualità delle cibarie, magari al suo capo sarebbe piaciuta come idea.
 
Zayn era in piedi da ben cinque ore, ed era già stanco alle dieci del mattino, si passò distratto una mano tra i capelli. Per lui sarebbe stato un altro semplice giorno, avrebbe servito alla tavola calda, avrebbe fatto la sua pausa pranzo con un bel panino e sarebbe ritornato al lavoro fino all’ora di chiusura, per poi concludere la giornata noleggiando un bel film alla videoteca. Era da un po’ di tempo che si domandava se non stesse sprecando gli anni d’ora della sua vita, conducendo una vita normalissima e  fin troppo semplice, arrivando a convincersi che non ci sarebbe mai stata una svolta nelle sue giornate e non riusciva a capire se questo pensiero gli stava stretto, lo rattristava o gli era indifferente.  Proprio mentre era assorto nelle sue riflessioni, quella svolta entrò dalla porta.
«Salve signorina, buongiorno, cosa le porto?» chiese cordialmente, seguendo il solito copione.
La ragazza aveva un’aria fredda, distaccata e pungente che lo metteva in soggezione. Si guardava intorno scrutando ogni angolo del locale, quasi cercando qualcosa che non andava. I capelli biondissimi raccolti in modo severo in una coda alta, il rigido contorno delle labbra rosse, un sopracciglio alzato mentre scorreva il menù: sembrava un cliché vivente. Tutto di quella donna lo metteva a disagio, per la prima volta da quando faceva il cameriere Zayn non sapeva come comportarsi, la guardò accigliato, aspettando una risposta.
«Latte scremato, un caffè doppio e una brioche vuota.» disse la sconosciuta, con voce calma e tagliente, porgendogli il listino. Zayn si avviò tranquillamente verso il bancone e, scrutando ancora quella ragazza, si mise a preparare il latte scremato. Aveva un aria familiare, anche se dall’accento non sembrava di lì. Stava scrivendo qualcosa e continuava a guardarsi intorno, mentre il giovane si avviò con il vassoio in mano verso il tavolo della giovane.
 
Le brioche non erano di certo come quelle francesi e di questo Perrie ne era sicura. Non era il massimo della pulizia ma quel piccolo bar non era affatto male, le piacevano i quadri appesi alle pareti e anche il caffè non era male, aveva gradito anche la gentilezza del barista, ma ciò non voleva dire che tutti gli inglesi fossero come lui, magari quel grazioso barman non era di Londra. Anzi, sicuramente dai tratti somatici non lo era, ancora una volta Perrie uno, Londra zero.
Stava per andare a pagare e continuare la sua visita della città, magari sarebbe andata a Camden Town, tanto per togliersi uno sfizio, quando il suo sguardo cadde su qualcos’altro. Si incantò ad osservare un piccolo dipinto che raffigurava la Senna, i colori scelti erano davvero belli e per un istante le parve di essere proprio nella sua amata Parigi, le sembrò di sentire scorrere le acque di quell’enorme fiume che aveva attraversato molte volte, di vedere le luci fioche della Tour Eiffel e per un attimo si ricordò perché aveva fatto le scelte che l’avevano condotta lì. Quel quadro le piacque talmente tanto da non sentire la voce del barista.
«Signorina, ha gradito la colazione? Mi sente, sign— »
«Sì, che ti sento! Non sono sorda! Il latte era troppo scremato comunque.» in quel momento Perrie ritirò tutto ciò che aveva pensato sul barista – troppo impiccione e lei non sopportava gli impiccioni –  lasciò una buona mancia nel vassoio, si infilò i guanti e si diresse verso la porta, quando la sua voce la bloccò.
«Ecco dove l’ho vista! Le ho versato il caffè sulla camicia, nel parco!»
«Sono molto colpita, signore, dalla sua memoria. Se mi vuole scusare avrei da fare ora.» aveva cercato di dimenticare quel terribile episodio e ora aveva di fronte l’idiota che le aveva rovinato la giornata, oltre che la camicia.
«No, la prego, non ho avuto il tempo di scusarmi come si deve. Mi dispiace immensamente per la sua camicetta— io, ecco, ero in ritardo. Mi scusi, comunque sono Zayn Malik, piacere.» Zayn le porse amichevolmente la mano, che lei scrutò con disprezzo e senza nemmeno stringergliela gli rispose acida: «Che novità, un inglese in ritardo, per me non è affatto un piacere ma accetto le scuse, questo lo fa sentire meglio?» Zayn restò allibito da quella freddezza, Perrie lo poteva leggere benissimo negli occhi di quel poveretto.
«A dire il vero no, non mi fa stare meglio la sua risposta, ma non importa. Arrivederci e grazie per aver scelto il nostro Bar.» si avviò lentamente verso il bancone. Zayn non era mai stato audace, non aveva mai fatto nessuna pazzia, ma non si risparmiava di dire ciò che pensava. Per un attimo si compiacque di se stesso per quella risposta, almeno aveva zittito la ragazza.
Perrie dal canto suo non era abituata ad essere trattata freddamente, di solito avveniva il contrario. Non seppe cosa la spinse a fermarsi e a concedere un altro sguardo al ragazzo, forse fu  la sua velata innocenza, forse una strana gentilezza, o il semplice fatto che la colpì a prima vista.
«Ehi, arriviamo ad un compromesso.» Zayn si voltò con un sorriso, e si avvicinò a lei, «Io sono Perrie. Ma di la verità, tu non sei inglese, sei troppo gentile per esserlo.» aveva usato un tono scherzoso e, dopo tanto tempo, un brevissimo sorriso le si dipinse in volto.
«Perrie, sei francese, lo sospettavo.» ammiccò.
« Sì, sono francese e orgogliosa di esserlo.» Perrie sollevò un sopracciglio, ma non era irritata come lo era stata con quel coinquilino da soffocare. Spinse la porta d’entrata e prima che riuscisse a chiudersela alle spalle Zayn la bloccò, «Comunque, se ti fa sentire meglio, sono un inglese purosangue.» per poi lasciarla andare. Perrie sorrise sinceramente divertita. Forse l’Inghilterra sarebbe potuta piacerle di più, forse sarebbe tornata in quella tavola calda.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Parte II. 


Zayn Malik non poteva credere a ciò che aveva visto: quell’antipatica ragazza aveva sorriso, per un attimo, ma aveva sorriso. Continuò a servire gli altri tavoli, senza capire perché continuava a sorridere compiaciuto. Di solito non interagiva molto coi clienti, nemmeno con quelli più abituali e in fin dei conti non era suo compito farlo – lui doveva limitarsi a portare ciò che le persone chiedevano. Eppure quell’incontro gli aveva cambiato la giornata. Zayn credeva nel destino: si erano scontrati e si erano rincontrati. Qualcosa di lei lo intrigava, ma non era l’aria austera, forse il modo in cui aveva guardato il suo quadro, quello della Senna. A prima vista sembrava una persona piuttosto prevedibile, con quell’agenda, con quel fare indagatorio, sicuramente era una giornalista e sicuramente era anche molto sicura di sé. Ma come osservò il quadro: per un attimo fu tentato di svelarle che l’autore era proprio lui, ma poi si trattenne senza un motivo preciso – poteva giurare che nessuno aveva mai guardato una sua opera così, con tale intensità e trasporto e forse, a pensarci bene, magari non era neanche tanto prevedibile quella ragazza.
 
La signorina Dubois non aveva ancora un’idea precisa di quel Zayn, le aveva fatto una buona impressione, era gentile e carino, ma non sapeva ancora spiegarsi perché aveva deciso di  presentarsi e di strappare la regola che si era imposta prima di partire: niente amicizie con gli inglesi – e dopo aver conosciuto Niall Horan, neanche con gli irlandesi. A dir la verità non sapeva nemmeno perché continuava a rimuginare su quell’incontro, nemmeno lo conosceva! Perrie decise di concentrarsi su altro: era particolarmente ispirata, forse grazie a quel meraviglioso quadro che l’aveva tanto colpita. Era stesa sul suo letto trapuntato, avvolta da un grosso panno e stava continuando quel saggio che sembrava diventare più interessante ai suoi occhi. Stava procedendo con l’analisi dei prodotti tipici della zona, aveva scritto un’altra decina di pagine, quando Niall fece irruzione nella sua stanza.
«Scusa se ti disturbo, ma mi sento solo di là in cucina e c’è un freddo cane!» la giovane sbuffò e chiuse di scatto il portatile.
«In Irlanda non esistono le porte? Beh potevi anche bussare, cosa devo farci io? Il riscaldamento è rotto da ieri.» rispose seccata. Quell’appartamento era peggio della redazione in cui lavorava, Perrie era terrorizzata che da un giorno all’altro le crollasse in testa. Almeno era economico.
«Non sono affatto bravo con quelle diavolerie elettriche, ma potrei farti compagnia!» un sorriso bianco si dipinse nel volto di Niall, che si lanciò nel letto di Perrie e si accovacciò sotto la coperta. Ovviamente senza il suo permesso.
«Non mi sembrava di aver accettato la proposta e comunque devo lavorare.» riaprì brusca il computer e continuò a scrivere.
«Beh quando non sei fuori sei chiusa qui con questo pc, hai bisogno di distrarti un po’, io se studio più di due ore al giorno mi si fonde il cervello! Dimmi un po’  a cosa lavori?»
« A un saggio chiamato “Fatti i fatti tuoi”. Sottotitolo “Non ti riguarda”» con quella risposta sperava di liberarsi di Niall, ma lui non sembrava affatto offeso, infatti continuò a restarsene sotto le coperte e a guardarla con l’aria da cucciolo smarrito. Perrie sbuffò, dopo tre settimane di convivenza avrebbe dovuto conoscerlo almeno un poco. « E va bene! Un saggio sulla “Nuova capitale del mondo”, il mio capo redattore mi ha spedita qui per rinnovare il suo giornale, spero in un aumento dopo questa fatica succube. »
«Fatica succube? Londra è meravigliosa, è una delle mie città preferite. Anche gli inglesi sono perfetti a mio avviso.» Niall restò allibito quando la giovane iniziò a ridere di gusto.
«Non posso credere alle tue parole Niall, tuttavia per me non è così, ho sempre odiato questo posto mediocre ancora prima di venirci. Ma che parlo a fare! Neanche mi ascolti.»
«Probabilmente sei semplicemente piena di pregiudizi! Sai, solo perché sei schizzinosa e perfettina, non hai sempre ragione. Oggi dove sei stata? Sentiamo, cosa ti hanno fatto gli inglesi mediocri? » Niall era davvero una macchinetta, non smetteva un secondo di parlare e cambiava argomento alla velocità della luce – dal tono che usò Perrie capì che la stava prendendo in giro. In un millesimo di secondo la giovane tornò la donna composta e a modo di sempre.
«A una graziosa locanda, ho fatto colazione e ho fatto un giretto in centro.» ripensando alla mattina un lieve sorriso le alzò gli angoli delle labbra.
«Graziosa locanda? Giretto in centro? Quale forza oscura ti ha rapita, scusa? »
«Sappi che non sei simpatico. » rispose risoluta, facendo sembrare di non aver colto l’umorismo del ragazzo, « e comunque le brioche sono pessime, altroché i croissant francesi.»
«Se lo dici tu, per me non me la racconti giusta. Film e popcorn, ti va?» Niall le fece l’occhiolino e la prese per una manica della felpa.
«No, voglio continuare il mio lavoro, grazie comunque.» se ne restò a letto, ma Perrie aveva la mente da un'altra parte.
«Almeno posso restare qua? Giuro che non sbircio! Non voglio anticiparmi niente, voglio leggere il libro pubblicato e vedere quante fesserie hai scritto.»
Quel sorrisetto involontario che aveva colorato il viso solamente pensando alla mattinata le risvegliò la voglio di rincontrare Zayn, anche se il suo io interiore le diceva che era sbagliato, che comunque sarebbe ripartita di lì a poco. In ogni caso, sarebbe andata alla locanda il pomeriggio seguente.
Perrie alzò gli occhi al cielo, «E va bene! Resta qua! Ma se osi anche solo fiatare questa notte dormirai in davanzale.» in fondo in fondo però Perrie si stava affezionando a quell’impiccione. Non che lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, sia chiaro.



«Salve, signore… sì, il lavoro procede bene e sono più che felice di come sta venendo, penso che ne sarà entusiasta. Come ha detto lei, darà uno spicco in più al giornale.» Perrie sorseggiò un po’ della sua tisana, prima di proseguire, «Beh  penso che mi serviranno almeno due settimane, prima di poter tornare in Francia…va bene, au revoir.» Quando riagganciò riuscì a pensare solo ad una cosa: aveva quindici giorni per conoscere meglio Zayn, prima di ritornare a casa e consegnare il lavoro al suo capo redattore.
 
Zayn stava scaldando un panino con speck e fontina, mancavano dieci minuti alla pausa pranzo e non vedeva l’ora di poter uscire a respirare un po’ d’aria fresca. Stava canticchiando quella nuova canzone dei Kodaline che gli piaceva tanto, quando sentì il suono del campanello della porta d’ingresso. Con un sorriso il meno tirato possibile, si voltò: non poteva credere che avrebbe dovuto servire ad un altro cliente prima di poter staccare dal lavoro, ma non poteva di certo mandarlo via. Era in piedi dalle cinque del mattino e aveva bisogno di un’ora di riposo, forse avrebbe dovuto smetterla di andare a letto tardi e svegliarsi presto per correre. Si stava atrofizzando, decisamente. Eppure, non appena mise a fuoco la persona che entrò, un sorriso gli illuminò lo sguardo: lo sapeva, ci avrebbe scommesso il collo che sarebbe tornata. Fece per salutare Perrie ma, non accorgendosene, il suo pollice finì nella piastra.
«Porca miseria, che dolore!» fece un salto da terra e, agitando la mano a più non posso, cercò di salutare la bella donna che lo aveva distratto, «Ciao Perrie, che bella sorpresa, tutto bene?»
«Ti conviene mettere il dito sotto l’acqua fredda e, attento, il panino si brucerà.» con un sorriso di accomodò al tavolo in cui si era seduta la prima volta che Zayn l’aveva vista.
«Cosa le porto, signorina?»
«Magari evitiamo i panini, meglio tener buono l’altro pollice. Questa volta un’insalata e niente signorina, avrò la tua stessa età se va bene.» doveva proprio ammettere che la trovava bellissima sotto ogni aspetto, dagli occhi appena truccati a quei capelli ondulati, fino al suo carattere distante e pungente. Aveva pure senso dell’umorismo.
« Va bene. E mi devi tu delle scuse questa volta, sai.» Perrie lo guardò accigliata.
«Come scusa? E cosa avrei fatto?»
«Si da il caso che quando sei entrata io mi sia distratto e mi sono bruciato il dito! Mi devi delle scuse.» la giovane scoppiò a ridere, per la prima volta di gusto.
«Beh si da il caso che quella ferita sia frutto della tua sbadataggine, non della mia presenza.» Zayn le fece l’occhiolino e si accomodò al tavolo.
«Casualmente è ora della pausa pranzo, perciò, se non ti disturba, mangiamo insieme e poi facciamo un giro, giusto per scusarti, naturalmente.» Perrie si arrese e sospirò, non le restava altro che invitarlo a sedersi lì con lei.
«Naturalmente»
E la cosa non le dispiaceva affatto.
 
Il tempo volò, pranzarono insieme e poi decisero di fare una passeggiata tra le vie principali di Londra. Perrie si mostrò molto aperta nei suoi confronti – il suo io interiore voleva dimostrare a Niall Horan che si sbagliava, lei non era piena di pregiudizi. In quell’ora passata insieme si rivelò una persona differente: spiegò a Zayn della sua repulsione per gli inglesi, il quale la trovò assurda e cercò di farle cambiare idea mostrandole le parti più belle della città e spiegandole alcune tradizioni e aneddoti, ai quali lei aveva risposto con affermazioni del tipo “No, ma non mi dire, non lo avrei mai detto” oppure “Però sono svegli gli inglesi, noi francesi non avremmo mai pensato ad una cosa simile”, sempre con tono sarcastico e ironico naturalmente, il che divertiva tantissimo Zayn.
Zayn parlò molto di sé e della sua vita tranquilla e anche Perrie fece lo stesso, non sapeva spiegarsi quel suo comportamento, di solito lei non era quel tipo di persona che parla molto del suo privato, preferiva che fossero gli altri a scoprire cosa aveva da offrire, cosa c’era nella sua mente. Allo stesso tempo però pensò che non sarebbe rimasta per molto lì, con questo sconosciuto con cui, incredibilmente, si sentiva a suo agio.
Rimase affascinata dalla spavalderia del giovane nel lasciare casa e studi, rimboccandosi le mani e lavorando sodo per poter vivere discretamente in un piccolo appartamento. Zayn, dal canto suo, rimase invece colpito quando Perrie pensò che lui fosse stato spavaldo. Lui non si era mai sentito così, si era semplicemente considerato una persona con i piedi ben saldi a terra, ma senza un briciolo di coraggio. Anzi, se ne avesse avuto, allora sarebbe andato in giro per il mondo a fare l’arista di strada.
Nel pomeriggio andarono a sedersi in un parco e rimasero per un poco in silenzio ad osservare i passanti – Zayn chiese per quel giorno di essere sostituito dal suo collega, chissà se avrebbe rivisto quella ragazza così curiosa e intelligente.
Ad un trattò fu proprio Perrie a rompere il silenzio: «Mia madre amava Londra, era venuta qui a studiare e me ne parlava spesso. Lei amava la letteratura inglese e da piccola, invece di leggermi le classiche favole, mi leggeva qualche estratto dai libri delle Brontë, Oscar Wilde Carroll – oh Lewis Carroll quanto lo amo! – Dickens…raccontato da lei tutto sembrava avere un colore diverso, non so se mi spiego.»
Zayn attese in silenzio che Perrie continuasse, aveva timore di sentire come sarebbe andata a finire la storia.
«Una malattia me l’ha portata via. Mi aveva sempre promesso che saremmo venute qui insieme, noi due e nostro padre, invece non facemmo mai questo viaggio. Da quando se n’è andata non sono più riuscita a vedere questa città come prima. Lo so che può suonare stupido ma—» Perrie sospirò, non aveva mai raccontato questa storia a nessuno e si domandò perché non l’avesse mai fatto. A volte parlare liberava la mente. «Avevo diciassette anni. Piansi per settimane e poi mi promisi che non avrei più versato una lacrima in vita mia. Nello stesso anno scoprii un filosofo, Epicuro. Lui diceva che quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi per questo non dobbiamo averne paura. Ero tanto arrabbiata all’epoca e non so, quelle parole mi tranquillizzarono, mi fecero vedere la vita in modo diverso, un po’ come faceva mia madre, così decisi di studiare filosofia l’anno dopo.»
Quella rivelazione toccò profondamente Zayn. Non se lo aspettava, ma incominciò a capire un po’ meglio il carattere della giovane. Perrie gli sorrise debolmente, si sentiva meglio. Magari se avesse aperto il suo cuore a più persone la sua vita avrebbe preso una piega diversa, più—più viva.
Passarono a temi più leggeri e Zayn fu colpito dalla passione che Perrie aveva per l’arte e per la scrittura, scoprendo che avevano veramente tante cose in comune e rivelando anche una Perrie molto più umile di quando non fosse veramente.
«E così ti piace l’arte? Che tipo di arte?» chiese Zayn curioso. Perrie alzò il capo al cielo, iniziava lentamente a tingersi di rosa, non si era nemmeno resa conto del tempo che passava.
«Un po’ tutta l’arte sai, è limitativo dire questo sì, questo no—non sarebbe giusto. Amo ciò che mi colpisce e ciò che mi trasmette qualcosa, percepire le sensazioni e interpretarle a modo mio, entrando nell’opera… per esempio nel tuo locale c’è un quadro che mi piace tantissimo.» si trovarono improvvisamente a passeggiare molto vicini.
«Ecco—» Zayn abbassò il capo, leggermente imbarazzato, « ho trovato lavoro e abbandonato tutto, perché se avessi inseguito il mio sogno sarei stato solo un peso per i miei genitori. Vendere quadri, sai, non mi avrebbe portato distante. Non sono stato affatto temerario, tu invece sì, molto più di me.»
Perrie sembrò scioccata, «Zayn mi stai dicendo che quei quadri sono tuoi?» Zayn annuì sorridendo appena, « Sono meravigliosi! E sono sicura che prima o poi li venderai e protrai fare ciò che ami davvero, quel quadro che ho visto della Senna è mozzafiato, mi sembrava di essere a casa io—» Zayn veramente non era abituato ai complimenti, sentì il volto diventargli rosso.
«Grazie Perrie, ma sai, i materiali per poter dipingere sono molto costosi, con quello che guadagno al locale posso arrangiarmi, fino a quando non troverò un buon compratore e dipingere potrà diventare un lavoro a tempo pieno. Spero possa accadere un giorno, i miei ne sarebbero felicissimi. Li vedo solo il fine settimana, abitano a mezzora da Londra, perciò…»
«Sono senza parole, davvero. Non dovresti sottovalutarti così, sei stato molto coraggioso. Il coraggio non sta solo nell’inseguire i propri sogni, anzi a volte è il contrario. Si vuole raggiungere qualcosa per scappare dalla realtà.» Perrie guardò accigliata l’ora e sospirò, «Ho un lavoro da finire, dovrei andare. E, visto che abbiamo trascorso una giornata piacevole, devi sapere che tra due settimane tornerò a casa.» e si sorprese per il tono amaro con cui uscì quella frase, si sorprese ritrovandosi quasi dispiaciuta al pensiero di un’imminente partenza.
Zayn annuì lentamente, se lo aspettava, «Spero comunque di poterti rivedere ancora qualche giorno. Mi ha fatto piacere parlare con te.» La verità però andava molto più a fondo. Zayn non aveva solo apprezzato la sua compagnia, ma era rimasto completamente stregato da quella donna colorata da mille sfumature, dalla mente brillante, dall’animo puro. Sapeva che tra loro non sarebbe mai nato niente, ma in un solo pomeriggio gli aveva fatto cambiare il modo di vedere la sua stessa personalità: le sue scelte erano sembrate giuste e Zayn Malik, il ragazzo intrappolato nella sua quotidianità, era apparso coraggioso.
No, Zayn Malik non voleva affatto perdere Perrie Dubois, non poteva lasciarsela sfuggire, era una persona fantastica.
Perrie sorrise per l’ennesima volta in quella giornata, «Mi farebbe immensamente piacere rivederti.»
Un’idea folle balzò nella mente di Zayn. E se fosse andato in Francia con lei? 

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Capitolo 3
*** Parte III. ***


Parte III. 


Le settimane successive trascorsero in fretta. Tra visita della città e scrivere, Perrie non aveva avuto molto tempo libero. Zayn l’aveva portata nei posti più disparati, di cui non conosceva minimamente l’esistenza e solo allora capì perché a sua madre piaceva tanto l’Inghilterra. Londra era caotica, confusionaria e lei forse era rimasta per troppo tempo intrappolata nella rigidità parigina. Si era perdutamente innamorata della Whitechapel Gallery e avrebbe potuto camminare per ore e ore lungo quelle strade affollate e semplicemente esistere, senza avere tante pretese. Il pomeriggio più bello lo aveva trascorso osservando Zayn dipingere, lui era così concentrato sul quadro e lei era totalmente persa dai movimenti sinuosi del pennello sulla tela, non avevano mai parlato ma era come se avessero comunicato per tutto il tempo. Aveva avuto l’occasione di vedere il mondo di Zayn attraverso i suoi stessi occhi.  
Mancava davvero poco alla sua partenza e Perrie Dubois doveva fare qualcosa: il lavoro era parzialmente finito, lo aveva riletto cinque volte, i ritocchi finali andavano fatti in redazione e con grande sorpresa  le sembrava davvero un buon saggio. Il problema però non era di certo quello.
«Ehi Perrie, va tutto bene?» Niall fece capolino nella sua stanza, tenendo le mani dietro la schiena.
«Sì, credo. Stavo solo pensando che tra due giorni dovrò andarmene. Mi dispiace, per molti motivi.» il ragazzo sorrise amichevolmente, avvicinandosi al letto dove Perrie era seduta, la luce evidenziava i tratti particolari del suo viso, quella fossetta sul mento e quegli occhi chiarissimi, quasi vitrei.
«Ed è proprio per questo che ho deciso di portarti questi.» estrasse da dietro la schiena un mazzo di fiori profumatissimi e la ragazza rimase di stucco.
«Niall, è un gesto così elegante e carino, grazie davvero. Mi mancherai, sai… » trasse un sospiro malinconico. Era sincera, per questo Niall non se la sentì di fare nessun commento.
«Sì, ecco ti ho fatto questo per ringraziarti di tutto e per scusarmi, sai ehm— non volevo rompere la tua tazza preferita.»
«Cosa?! Hai rotto la tazza che mi aveva regalato mio nonno? Niall, ma come hai fatto?» il ragazzo diventò rosso in viso e iniziò a parlare velocemente, tanto che per Perrie seguirlo risultò difficile.
«Ecco, stavo preparando una tisana per te per portartela insieme ai fiori, ma mi è scivolata di mano e si è rotta, scusa…te ne compro una se vuoi.» il buffo e dolce atteggiamento di Niall riuscì a far sorridere Perrie.
«Oh, non preoccuparti, era una vecchia tazza dopotutto. Magari fosse una semplice tazza il mio problema.»
«Oh, grazie! Aspetta, cos’è tutta questa gentilezza? Non è che ti sarai forse innamorata? Ah, no giusto, tu non hai un cuore.» Perrie fece la finta imbronciata, ma poi si mise subito a ridere. Dopotutto Niall non era stato così male, era rimasto con lei tutte le sere in silenzio mentre lavorava e ogni tanto la faceva pure divertire – quel Niall Horan era diventato ben presto suo amico, con quei suoi modi di fare a volte grezzi, a volte maldestri, con le sue battute che capiva solo lui. Perrie Dubois in poco tempo si era affezionata a due persone che non avevano nulla in comune se non il fatto di trovarsi nella stessa città, nel momento giusto. Il suo coinquilino gli sarebbe mancato davvero, insieme a tutto ciò che quell’esperienza si portava dietro anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce nemmeno sotto tortura.
« Beh se ti va di parlarne dimmelo. Sono qui a tua disposizione, mademoiselle.» Perrie l’osservò come lo facesse per la prima volta e non poté fare a meno di sorridere. E  iniziò cosi a raccontare di Zayn, del suo primo incontro con lui, di come si fosse rivelato un ragazzo carismatico, intelligente, di come era riuscita ad aprirsi con lui come non aveva fatto con nessun altro e di come questo l’avesse in qualche modo cambiata e resa meno severa. Perrie non era pronta a dirgli addio. Niall l’ascoltò seriamente interessato e decise di aiutarla per avere un ultimo incontro con Zayn.
«Dovresti organizzare qualcosa di…diverso.»
«Di diverso?»
«Sì, andiamo, non la solita cena e tanti saluti! Usa la fantasia.» per Niall sembrava una cosa ovvia, ma non per Perrie.
«Non ho fantasia!» Perrie sbuffò frustrata, «Non sono brava con queste—con queste cose. Non ho mai permesso a nessuno di avvicinarsi a me e—»
«Non ho qua, non ho là. Smettila! È più facile pensare a cosa non hai invece di ciò che hai, ma sai che ti dico? Ho capito molto di più io di te in queste settimane, che tu di te stessa in tutta una vita. Sei venuta qua di controvoglia e hai trovato una persona che ti ha fatto cambiare il modo di vedere il mondo, accettalo e basta, senza farti troppe domande. »
Quella era la prima vera conversazione che avevano e ancora una volta Perrie rimpianse di non aver parlato con lui seriamente, prima. In quei giorni Perrie aveva rimpianto tante cose e si domandava se non fosse tutto troppo tardi. Era cambiata così tanto da quando era partita.
«Due.»
«Cosa?» Niall si accigliò.
«Due persone hanno cambiato la mia visione del mondo. Grazie, Niall, davvero.»
Niall le sorrise riconoscente e Perrie improvvisamente sapeva cosa fare.


                                   
Zayn si mise la sua unica camicia buona, l’unica che aveva che non era a quadri. Sapeva già cosa Perrie gli avrebbe detto, sapeva già che sarebbe dovuta ripartire per Parigi, se lo sentiva. La notte precedente non era riuscito a dormire, era andato a correre di buon mattino e aveva riflettuto molto, arrivando sempre alla stessa conclusione: lei non apparteneva a quel posto, aveva terminato il suo lavoro ed era tempo per le di tornare nella sua vera casa. Le sarebbe mancata terribilmente, non si conoscevano da molto, ma era rimasto troppo colpito dai suoi modi di fare vecchio stile, non si vedevano tante persone così in giro. Aveva anche pensato seriamente di partire per Parigi con lei, era pazzo, ma non gliene importava molto. Zayn sospirò e si guardò tristemente allo specchio. C’era qualcosa che continuava a frenarlo, un freno che lo aveva accompagnato per tutta la vita e che non se ne voleva andare. Non sarebbe mai partito, anche se aveva già preparato una valigia, anche se aveva un biglietto aereo pronto nel cassetto del comodino. Non sarebbe partito, quello era il suo poso, nella sua routine, con i suoi pochi amici, con il suo lavoro e i suoi pennelli. Forse stava sbagliando e forse non sarebbe passato molto tempo prima che prendesse davvero quel volo per Parigi – avrebbe vissuto per scoprirlo.
Arrivò a casa di Perrie in perfetto orario, con un mazzo di rose blu. Non sapeva esattamente che significato avessero, ma il blu si addiceva al colore dei suoi occhi e a quella freddezza che aveva sempre mostrato in apparenza, ma che non c’era mai stata realmente.
Perrie lo accolse raggiante, scambiò due parole con Niall che prima non conosceva e poi uscirono. Non sapeva cosa aspettarsi, non protestò quando Perrie gli bendò gli occhi e non fece domande mentre lo conduceva per mano chissà dove. Zayn sapeva che era riuscito a stupirla in quei giorni trascorsi insieme e forse quell’ultimo appuntamento era il suo modo per sdebitarsi con lui.
«Ecco.» disse Perrie sfilandogli la benda. Non avevano camminato per molto.
«Dove siamo?» Zayn si guardò introno e rimase senza fiato. Che vista spettacolare, il sole che stava tramontando all’orizzonte chiazzava d’arancione l’intera città e da lassù riusciva a vederla tutta, non ne le sue sfumature come aveva sempre fatto, ma nel suo caldo insieme.
«Sul tetto del mio condominio. Ci sono venuta per la prima volta due settimane fa e me ne sono innamorata subito. Quell’appartamento avrà tutti i difetti di questo mondo e l’ho odiato fin dal primo giorno, ma con una vista del genere non mi importa più.» Perrie fissava l’orizzonte con un velo di malinconia nello sguardo.  Zayn avrebbe voluto chiederglielo, avrebbe voluto domandarle quando sarebbe ripartita, ma non lo fece. Quello era il loro momento.
Cenarono seduti su una coperta, osservando il sole percorrere il suo lento cammino e vedendo il cielo cambiare continuamente colore. Chiacchierarono del più e del meno e solo allora Zayn si rese conto che quelle erano state le settimane più belle della sua vita dopo tanto tempo: aveva provato di nuovo qualcosa. Aveva incontrato una persona speciale, un’amica, una cara amica o forse qualcosa di più e si era sentito in qualche modo…speciale, coraggioso non sapeva spiegarsi il motivo, ma così era.
Perrie si voltò verso di lui,  «Magri potrei farmi i capelli viola quando torno o—o dei tatuaggi oppure i capelli blu. Sì, blu sono più belli.» Perrie non glielo aveva mai confessato direttamente e forse non lo aveva nemmeno mai ammesso a se stessa, ma lei era spaventata dall’idea di tornare alla sua quotidianità.
Zayn rise appena, scuotendo il capo: «Perrie, va bene così come sei, davvero.»
«Devo ripartire, la mia vita è là e io—»
«Lo so.» non la lasciò finire perché anche se non voleva ammetterlo lasciarla partire era più difficile di quello che credeva, «devi tornartene a casa. È giusto così, non è qui il tuo posto.»
«Volevo solo dirti che mi sono davvero divertita in tua compagnia. Hai reso questo posto infernale magico.»
«Allora sei disposta ad ammettere che sono un tuo amico?» chiese Zayn sorridendole, per alleggerire l’atmosfera.
«Mai e poi mai, non sono razzista, ma non sono nemmeno amica degli inglesi. Però mi stai simpatico, almeno sei puntuale.» ribatté lei con aria fiera, giocando il suo stesso gioco.
Rimasero a parlare per un’altra ora, ammirando il cielo a tratti stellato, a tratti coperto da quelle instancabili nuvole onnipresenti, finché non furono entrambi pronti a salutarsi un’ultima volta.

Londra non era mai sembrata tanto malinconica.
Perrie non aveva mai faticato tanto ad alzarsi dal letto quella mattina. Non le era mai dispiaciuto tanto lasciare un appartamento con la muffa alle pareti, non aveva mai creduto possibile sentire la mancanza di un coinquilino rumoroso, perché a dire il vero non ne aveva mai avuto uno.
Perrie stava scaricando i bagagli dal taxi e si stava dirigendo verso l’ingresso dell’aeroporto quando sentì una voce famigliare richiamarla da dietro. Si sarebbe potuta aspettare di tutto – il volo in ritardo, un tacco rotto, pioggia all’ultimo minuto – tranne che vederlo. Lui, Zayn era andato a salutarla.
«Non credevo di fare in tempo!»
«Ma che ci fai qui?»
Zayn aveva il fiatone, doveva avere corso.  «Ieri sera mi sono dimenticato di portarti questo.» e le porse un piccolo pacchettino rettangolare, incartato con dei fogli di giornale. «Scusa, non avevo carta migliore.»  sorrise appena imbarazzato.
Perrie lo guardò incuriosita e scartò lentamente, tenendo sempre fissi gli occhi su Zayn. Quel momento le sembrava surreale, ma erano cambiate così tante cose che niente aveva più senso. Trattenne il fiato quando vide la sorpresa: era il quadro che era appeso alla parete della tavola calda di Zayn, il primo che aveva notato e che l’aveva da subito rapita, quello che le ricordava tanto la sua Parigi. Perrie lo abbracciò di slancio, gesto che nessuno dei due si aspettava. Si staccò subito, ma non poté nascondere la commozione nei suoi occhi. Non voleva piangere, non l’avrebbe fatto.                                                                                                                  
«Mi prometti che ci sentiremo spesso.»
«Certo, Zayn. Adieu
«Bon voyage, mademoiselle. Adieu

E così Perrie Dubois talmente acida, scontrosa, pungente e sarcastica, non ammetteva repliche aveva vissuto davvero in una città che non era la sua e non si era mai sentita tanto meglio.
 Si imbarcò, salì su quell’aereo che l’avrebbe riportata a casa e finalmente si lasciò scappare quella lacrima che minacciava di uscire da tanto tempo.
Mentre teneva ancora quel quadro stretto tra le mani e il volto di Zayn fisso nella mente, ebbe la prima grande certezza della sua intera esistenza: un giorno si sarebbero rivisti. Ne era sicura.
 

 
 

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