I'm Daenerys Stark (After all, dragon plants no tree)

di Diomache
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PARTE 1 ***
Capitolo 2: *** PARTE 2 ***
Capitolo 3: *** PARTE 3 ***
Capitolo 4: *** PARTE 4 ***
Capitolo 5: *** Parte 5 ***



Capitolo 1
*** PARTE 1 ***


Ciao a tutti! Eccomi tornata con una nuova storia che prende origine da un gigantesco What if, che ho sempre avuto in testa guardando la serie ed immaginando che Jon e Dany un giorno potessero incorntrarsii!

Mi sono divertita davvero tanto a scriverla e spero che possa almeno un po’ emozionare e divertire anche voi!

Aspetto i vostri commenti nelle recensioni, perdonatemi l’OOC ma sono situazioni lontane a quelle vissute dai nostri protagonisti, ho cercato di immaginare pensieri e reazioni!Ah la foto che ho inserito più in basso a mo' di copertina non mi appartiene, l ho trovata girando qua e là su internet!

Con affetto,

D.

 

 

I’m Daenerys Stark.

(After all, dragon plants no tree)

 

 

 

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PART 1

 

 

“Ed ora un altro punto, proprio lì di fianco al primo….ma! Signorina Arya! Che sgorbio è quello?!- Septa Mondane tirò via con sgarbo il piccolo lavoretto sgualcito dalle mani sgraziate di Arya e se lo portò proprio vicino agli occhi, penetrandolo maglia per maglia, con lo sguardo – incredibile, signorina, che ancora non abbiate imparato questo semplicissimo punto. Di nuovo, ricominciate da capo!”

Arya si incastrava con la sedia nervosamente, come sempre. “Non lo so fare, è inutile accanirsi!”

“Ho il dubbio che non lo sappiate fare perché seguiate l’esempio sbagliato, signorina. Vostra sorella Sansa è bravissima. Guardate che maestria!” come sempre, il lavoro di Sansa era ricamato alla perfezione. Lei ne godeva in silenzio, abbassando lo sguardo per timidezza, certo, ma senza fare a meno di tradire un piccolo sorriso soddisfatto. “Ma non mi pare che voi seguiate il suo retto esempio, Arya. Invece di vostra sorella, voi guardate lei, non è così?”

Gli occhi dei presenti caddero per l’appunto su di lei, la terza sorella. Il suo lavoro era quasi peggio quello di Arya, i punti erano palesemente messi a casaccio, le maglie tirate nei punti sbagliati ed era perfino sporco del sangue che era uscito tante volte dai suoi polpastrelli distratti. Daenerys  si accorse dei loro sguardi solo una manciata di secondi più tardi, fece per nascondere il ricamo ma la septa glielo prese con slancio.

 "Guarda qua! Guarda qua! Un disastro! Un vero disastro! Le vostre mani, signorina, zapperebbero meglio i campi da dove la nostra famiglia vi ha accolta!”

Sebbene le urla di septa Mondane fossero sinceramente accalorate, quegli accessi di disperazione erano talmente teatrali che riuscivano solo a far ridere Arya ed erano molto lontani dall’offendere Daenerys. I suoi occhi diversi si giravano complici verso Arya, bisbigliando “ogni giorno le sue prediche durano di più o sbaglio?”

“Dovreste vergognarvi.” Sansa era glaciale. E distante. Daenerys l’osservò per un secondo, poi tornò a guardare fuori, come faceva abitualmente.

Sansa aveva scelto di odiarla, alla fine. Ma non era sempre stato così.

 

***

 

“Oh per gli dei, allora è vero. Ospiteremo una principessa. Una principessa vera! Una principessa sarà nostra sorella!” 

Mesi prima l’arrivo di quella ragazzina sudicia, legata dalla testa ai piedi, con i capelli bianchi e gli occhi viola avevano suscitato nella ragazza Stark tutta una serie di emozioni contrastanti, ma l’eccitazione era stata sicuramente quella predominante.

Il racconto della sua cattura era stato fenomenale e se l’aveva fatto ripetere tre volte da suo fratello Robb.

Si diceva che gli emissari di Re Robert l’avessero trovata in un posto molto lontano, nascosta da un uomo, Magistro Illiryio, assieme a suo fratello, il Re Mendicante. Questi, folle dagli anni di vagabondaggio, aveva finito per rivelare a tutte le puttane del luogo la sua identità e le sue intenzioni, vendere sua sorella ai Dothraki, popolo rude e guerriero, per avere un’armata, per riconquistare Westeros, insieme a lui, c’era anche un uomo, un cavaliere dannato, Sir Jorah Mormont, suo servitore fedele.

“Ebbene- qui Robb faceva sempre una pausa- tutte quelle chiacchiere gli costarono caro, gli emissari del Re lo trovarono in un bordello e gli tagliarono la testa che consegnarono in un sacco come dono per sua maestà. I Dothraki rifiutarono l’accordo.”

“Khal Drogo non l’ha più voluta?” più che la morte del fratello, era questo il passaggio che più turbava Sansa ogni volta. L’abbandono del futuro sposo.

“No. Per le tradizioni Dothraki un simile lutto nella famiglia della sposa alla vigilia delle nozze… è un presagio infausto. Sarebbe stato come se portasse in dote la morte. L’abbandonarono tutti. E il resto, Sansa, lo sai.”

Poi Magistro Illiryo si pentì dell’aiuto che aveva dato ai Targharien e anche Sir Jorah cambiò partito. Prese in custodia la ragazza e la portò a Westeros per consegnarla al Re. Si racconta però che alla fine fu mosso a pietà per lei e che, rincorrendo il perdono di Eddard Stark più che quello di Re Baratheon, uccise le guardie reali che l’accompagnavano e fece di testa sua, portando la ragazzina a Grande Inverno. Facendo ciò ottenne quello che voleva: il perdono e la vita della ragazza.

“Già.”

 

***

 

“Posso?” Sansa era stata la prima persona ad avvicinarla. Il secondo giorno, aveva bussato alla sua porta, portando il sorriso più rassicurante che aveva ed un dono in mano.

Daenerys si era alzata a fatica dal letto. L’avevano delegata lontano dalle Stark, in una camera singola, da sola, con quasi niente dentro.

Quando aveva aperto, i suoi occhi violetti avevano fatto sciogliere Sansa. “Ciao” disse. “Io sono Sansa. Oh non pensavo che questa storia degli occhi fosse vera, sai? Oh ma non importa, scusa, non voglio farti sentire osservata. Posso entrare?”

Era un mare in piena. Talmente entusiasta che la Targaryen la lasciò entrare nella sua piccola stanza vuota. Sansa lo notò “Poi potrai addobbarla. Potrai metterci tutto quello che vuoi”.

Daenerys ripensava alla sua stanza con la tenda porpora, a Penthos, dove indossava leggeri abiti di seta e non tremava di freddo tutto il tempo. “Grazie” disse comunque. “è sempre così freddo?”

“Oh siamo al Nord. È sempre freddo ma ora è diverso, mio padre dice che l’Inverno sta arrivando.” Dany annuì senza capire. “Penthos era molto calda, invece.”

“Anche al Sud lo è. Ad Approdo del Re. Lì è sempre caldo. Oh ma io non ci sono mai stata, ancora, è quello che mi racconta Septa Mondane. È la nostra tutrice, la conoscerai. Questo è per te.”

Dany la guardò interrogativa e prese in mano quello che sembrava un vestito, molto semplice ed essenziale ma lavorato con grande cura. “Grazie. È bellissimo”

Ripensò a Viserys però, che le portava doni, quando voleva comprare la sua obbedienza.

“L’ho fatto io, è uno dei miei. Quando sarai brava col ricamo potrai farne da sola.” La prospettiva non le sembrava allettante come le suggeriva Sansa, ma sorrise. “Certo. Perché me lo regali?”

La ragazza rise, un po’ stranita. “È una domanda strana, la tua. Un regalo è un regalo. Per darti il benvenuto, credo. Non posso crederci che avrò come sorella una principessa vera.”

Era quello che le avevano ripetuto dalla nascita, ma Dany non era sicura che fosse vero. “Non credo di essere una principessa…”

“Oh certo che lo sei. E, ascolta, ma è un segreto, lo sarò anche io, molto presto.” I suoi occhi brillavano di gioia nella cupa luce fredda della stanza, ed era quasi coinvolgente la sua felicità. “Sposerò il principe Joffrey!” gridacchiò ridendo. “Avevo tanta voglia di raccontarlo a qualcuno, sai mia sorella Arya non mi capisce del tutto, lei è… beh lasciamo stare. Ah, credo che dovrai insegnarmi qualcosa… qualcosa da principessa, no? Qualcosa che ti hanno insegnato quando ti hanno educata. Così sarò pronta. Tra sorelle si fanno queste cose, dico bene?”

“Sì, certo.”

Si rese conto che non aveva senso dire a quella ragazza così piena di immotivata felicità che lei non sapeva nulla, né sulle principesse, sull’educazione, o su quello che fanno o no due sorelle. Viserys le aveva insegnato ad obbedire e a mantenere fede alla loro eterna missione, riprendersi Westeros, per tutta la vita, che gli Stark erano i cani dell’Usurpatore e che meritavano di morire, tutti. Questo era per lei essere una principessa, ricordare che erano i draghi coloro che dovevano regnare e non altri, ricordare la sua famiglia, che non aveva mai conosciuto, e suo fratello, la cui testa era stata consegnata quasi putrefatta al Re Baratheon. Avrebbe dovuto esserci anche la sua, di testa, in quel sacco di juta, così doveva finire.

Ma adesso era lì. Nel posto più freddo del mondo, adottata da coloro che Viserys le aveva detto la odiavano di più. Non aveva senso. E questa ragazza dagli occhi scintillanti le aveva regalato un vestito, chiedendo in cambio che le fosse amica, sorella, e basta.

Tutto questo l’avvolse, come un abbraccio.

“Posso vedere i tuoi vestiti?” chiese Sansa ammiccando all’unico oggetto nella stanza, un baule di legno.

“In realtà non ne ho. Li ho lasciati a Penthos, mi hanno detto che sarebbero stati inutili qui, sai, per il clima.”

“Ah, certo.” Sansa appariva delusa. Vedere dei veri vestiti da principessa poteva essere un’occasione per lei, un’ispirazione per i suoi ricami. Daenerys se ne accorse e provò a rimediare “Ma se vuoi posso mostrarti il contenuto del baule. È l’unica cosa che ho, è il mio dono di nozze.”

Sansa riacquistò colore nelle gote. La storia delle sue mancate nozze la commuoveva sempre. “Oh, se non ti turba troppo!”

Dany aprì il baule, orgogliosa. Dentro, in mezzo alla paglia, c’erano tre grandi uova di pietra, di una manifattura unica. “Sono delle vere uova di drago” spiegò “ il tempo le ha pietrificate ma sono bellissime, non trovi? Mi hanno permesso di tenerle. Vi sono molto grata, anche per questo.”

Anche se non voleva darlo a vedere, Sansa era di nuovo delusa “Già.” Se non ci fosse stata la storia del matrimonio, la vista di quelle uova sarebbe stata addirittura inquietante, per lei.

“Avrai anche tu un marito, presto o tardi, non temere! Oh, perché tu lo vuoi un marito, vero?”

Pensare di essere la regina di Drogo le aveva tolto il sonno, ma sapeva che prima o poi sarebbe capitato, di essere di nuovo di qualcuno. “ Suppongo di sì.” Disse quindi e non immaginava che questo avrebbe reso di nuovo entusiasta Sansa.

“Oh siano lodati gli dei. Arya non vuole un marito, non è assurdo? Arya è mia sorella ma a volte credo che non lo sia affatto, ha delle idee così strane. Ma credo che sia solo invidiosa, quando parlo di Joffrey si agita tantissimo.” Dany iniziava ad avere nostalgia del letto scomodo che aveva lasciato, ma non osava interrompere il flusso elettrizzato dei pensieri della Stark. “Comunque, arriverà anche per te il momento. Forse non sarà un principe, anche perché il principe Tommen è troppo piccolo per te, dico bene?”

Dany sentì come se tra le sue vertebre reggesse tutta la fatica del mondo, mentre annuiva per l’ennesima volta. Anche se non voleva, iniziava ad infastidirsi. Il pensiero di un Baratheon nel suo letto era troppo, persino per l’entusiasta Sansa Stark. “Scusami, ho voglia di rimettermi a letto.”

E in uno scintillio di sorrisi, la ragazza tornò a lasciarla sola, nella sua stanza di legno e pietra.

 

 

***

 

S’accorse che non era più sola quando sentì il ringhio sommesso di un lupo alle sue spalle.

Lo riconobbe e riconobbe il passo leggero di colei che lo accompagnava. Non si mosse quindi, si strinse di più nelle ginocchia e continuò a fare quello che stava facendo. Tirare sassi nello stagno.

Ogni tanto il gracidare dei rospi le ricordava quanto si fossero stancati del suo passatempo.

Si avvicinarono a lei, ma non il lupo, e Dany seppe con certezza che si trattava di Nymeria. Quel cucciolotto non si fidava di lei, per nulla al mondo. Nonostante Arya avesse cercato in tutti i modi di fargli capire che Dany non lo minacciava, il lupo le era ostile. Si fermava a distanza e le mostrava i denti; sempre.

Anche lui, che era un lupo, si accorgeva di come fosse diversa. Anche lui sapeva che non poteva mimetizzarsi tra di loro, neppure volendolo.

La piccola Stark colmò la distanza che c’era tra loro. Come faceva spesso, non si sedette accanto a Daenerys ma si sedette appoggiandosi direttamente alle sue spalle.

La Targaryen era con loro da un paio di mesi soltanto ma Arya non aveva potuto resistere dal notare come fossero simili loro due, come due animali in gabbia, decontestualizzati, strani e diverse da tutto.

I capelli della giovane Stark si confusero col marrone scuro della tunica dell’altra, ma qualche ciuffo bianco, sfuggito alle severe acconciature del Nord, scese sulla sua fronte, solleticandola.

“Vi ho sentito urlare.” Iniziò Arya. Sentì alle sue spalle che Daenerys tirava l’ennesimo sasso e allora anche lei, nervosamente, prese mano alla sua occupazione abituale, tirò fuori Ago dalla tasca e, sottraendo un sasso dall’imminente volo nello stagno, prese a lisciarla. “Sansa l’ha saputo.”

Le vibrazioni della sua schiena le comunicarono che Dany annuiva.

“Non è colpa tua.”

“Sì, lo è.” Ribatté l’altra e il sasso questa volta nemmeno centrò lo specchio d’acqua. I rospi ne furono felici.

“Le hai fatto un favore. Quell’uomo è rivoltante, il principe Joffrey è la persona più schifosa mai vista prima. Tutti i Lannister sono così. E non credere che sia una coincidenza quello che è accaduto a Bran, quando sono venuti qui. Tu non c’eri, ma io sì. C’entrano qualcosa.“ 

La bionda si strinse nelle spalle. “Mi odia.”

“Le passerà”

“Era il suo sogno.”

“Spero che il prossimo sia un sogno migliore…” concluse Arya strappando un ciuffo d’erba. Lo porse a Nymera facendogli cenno di avvicinarsi, perché amava masticare l’erba e poi risputarla, l’erba era curativa per i lupi e rinfrescante. Ma Nymera non si mosse. “Questo lupo è terrorizzato, non c’è niente da fare. Sansa avrà convinto anche lui?”

Daenerys sorrise alla battuta. “Sarebbe capace, sai. - continuò la Stark, che l’aveva sentita sorridere.- in nome di tutti i lupi Stark vi ordino di temere la donna straniera! Ha ucciso i nostri sogni! Buuu non potrò più essere la signora Baratheon!!!” gridacchiò gesticolando e Dany, seppur non volendo, si lasciò sfuggire più di una risatina.

“Lei lo sa.”

“Oh certo che lo sa. Gliel’ha detto nostro padre, in privato, ma credo che …”

“No, intendo il tuo lupo, Arya. Lui lo sa”

“La storia di Sansa?”

Dany si mosse per guardarla negli occhi ed Arya, che poggiava il suo peso sulla sua schiena scivolò all’indietro, ritrovandosi la testa sulle sue gambe della bionda. “Sa che non sono una di voi. Sa che sono un drago.” Disse guardandola dall’alto, inaspettatamente seria.

Ma lei rise. “È la cosa più assurda che abbia mai sentito dire!”

 

 

***

 

“Non puoi farlo, Eddard.”

La sua voce indignata, ma sempre composta e dura come Eddard l’aveva conosciuta infranse il buio della sua camera. Ned era appoggiato alla finestra, gli occhi puntati sul piccolo manipolo di uomini che sostavano ancora nel suo cortile.

“Cat ne abbiamo già parlato, è deciso.” Disse voltandosi verso la moglie. I suoi occhi avvampavano come le sue guance. “Terremo anche lei, dunque. Terremo tutti, qui!” gridò sommessamente. “Le nostre disgrazie sono iniziate quando hai portato qui quel ragazzo ed ora…”

“Non voglio parlare di Jon.” Una fitta strinse come una morsa il cuore di Ned “Non ora, Cat.”

“L’ho accettato.” Disse lei, gli occhi gonfi e la voce ridotta ad un sibilo. “L’ho tenuto qui, con i nostri figli…L’ho fatto perché me l’avevi chiesto e per amor tuo. Ma adesso non puoi chiedermi…”

“Le cose stanno degenerando.”

“Bran si è appena ripreso. È tornando dalla morte, gli dei ce lo hanno ridato. Non possiamo affrontarli, accettando…”

“Catelyn.” Eddard le prese le mani. Era buio, nella loro stanza, c’era solo la fioca luce di una candela ad illuminare il suo volto stanco, teso, duro e freddo come le terre che governava da sempre. “So cosa hanno fatto i Targaryen a questa famiglia, meglio di chiunque altro. Ma qualsiasi cosa, non l’hanno fatta i loro figli appena nati o non ancora nati. Pensaci, Cat. Di quante orribili cose può essere responsabile un uomo o una donna, e nessuna di queste cose ha a che fare con i suoi bambini. “

La donna distolse lo sguardo ma non riuscì a liberare le sue mani, ancora prigioniere della stretta di Ned. L’uomo continuò “Eppure li abbiamo uccisi. Abbiamo frugato sotto i letti, la principessa era una cosina talmente piccola… li hanno uccisi tutti. E Viserys che minacciava Westeros, è morto.”

“Lei doveva sposare un Dothraki. Anche lei minacciava Westeros”

“Era il piano di suo fratello, Daenerys è una bambina. E non ha mai visto Westeros se non nei rocamboleschi sogni di suo fratello.” Cat spinse all’indietro e si ritrovò libera finalmente, anche se lo slanciò minacciò quasi di farla cadere. “Perché qui, perché a Grande Inverno?”

“Robert l’ucciderà. È ossessionato dai Targaryen…”

“Non mi interessano le sue ossessione ma le tue!”

Ned non lo sapeva spiegare. Era qualcosa di contradditorio e di inspiegabile, un dubbio arcaico che lo tormentava nel profondo. Aerys era pazzo, questo si sapeva, eppure, Rhaegar cantava per i suoi sudditi, era un uomo d’onore, ma aveva rapito Lyanna, la sua sorellina,  promettimi….Eppure. “Non posso essere responsabile di questo omicidio. Nessun altro Targaryen morirà per mano mia. L’hanno portata qui e qui resterà. È deciso.”

“E quel cavaliere, Sir Jorah, l’hai perdonato alla fine.”

“Non ho potuto diversamente. Per Robert è un salvatore della patria.”

La donna gli voltò le spalle. L’ira rischiava di far traboccare di lacrime i suoi grandi occhi verdi.

L’uomo tirò un sospiro e si avvicinò a piccoli passi fino a circondare le spalle della donna con le sue braccia. Sulle prime lei tentò di resistere a quell’abbraccio, ma poi si sciolse, sospirò anche lei, qualche lacrima sfuggì dai suoi occhi stanchi e rimase lì tra le braccia di suo marito. “Sei sicuro che Robert lo permetterà?”

“Ha parecchio sbraitato, nelle sue lettere. Ma poi siamo giunti ad un accordo.”

“Un accordo, Robert?”

“C’è lo zampino della Lannister.”

“Sicuramente.” Catelyn strinse le mandibole. “Robert non avrebbe mai messo da parte il suo odio. Dimmi Ned, cosa ci aspetta.”

L’uomo girò delicatamente la donna per poterla guardare negli occhi. Catelyn non fece in tempo ad asciugarli e lui li trovò umidi. Questo lo strinse nel cuore, come sempre. “Robert ha accolto la mia rinuncia all’incarico di primo cavaliere. Con Brandon in queste condizioni e con la Targaryen qui, è d’accordo con me che non sia più il caso che io lasci Grande Inverno. “

La donna sentì un turbine diverso di emozioni. “Ma Sansa andrà da sola, dunque? Devo far partire mia figlia tutta sola per Approdo del Re?”

“No.” Fuori un tuono distante annunciò l’imminente arrivo di un temporale. “L’accordo è rotto. La madre non vuole che il figlio sposi una famiglia che ancora protegge i Targaryen.”

Cat iniziò a camminare nervosamente, avanti e indietro. “Non so se lamentarmi di questo.”

“Nemmeno io.”

“Ma per Sansa sarà una delusione terribile.”

Eddard annuì. Un lampo illuminò a giorno la stanza. “Glielo dirò io”

“Non farlo subito- suggerì Cat- prima vorrei che trovassimo un nuovo matrimonio, per Sansa. Così potrà compensare la delusione, pensando ad un altro uomo.” Infondo era quello che era accaduto anche a lei. Ed aveva funzionato, alla fine. Eddard capì i pensieri della moglie e si sentì decisamente nervoso a riguardo. “Bene. Non è tutto.”

“Cosa?”

“Mettono alla prova la nostra fedeltà.”

Lei rise, incredula. “Questo è assurdo. Se non fosse per te, il culo grasso di Robert non sarebbe durato un giorno su quel Trono!” Gli echi della battaglia del Tridente erano ancora molto freschi nelle orecchie di Ned. “In ogni caso, ci proibiscono di ottenere per Robb un matrimonio… pericoloso per la corona.”

“Che cosa intendi?” chiese, ma Cat sapeva benissimo dove la Lannister era arrivata a parare. Era il Nord, il loro pericolo adesso? Sicuramente non avrebbero voluto un matrimonio tra ex-alleati del Nord, come invece avevano pensato da sempre, per Robb.

“Niente matrimonio con casate affiliate. Per Robb c’è la mano di Daenerys.”

Questo era troppo persino per lei. La leonessa Lannister aveva affondato duramente il coltello nella piaga: non solo aveva dato a Robert una ragione per non uccidere la piccola dei draghi, ma aveva trovato il modo di mettere a cuccia il Nord, una volta per tutte.

Cercò il letto e vi si appoggiò fino a sedersi. Fuori ormai pioveva forte. “Quindi sei disposto a tutto, per salvarla. Sei disposto anche a sacrificare il futuro di tuo figlio e delle Terre del Nord.”

“Non è l’unico figlio che abbiamo, altre alleanze possono essere strette e non solo per vincoli matrimoniali”

“Ma è il tuo primogenito!” urlò, più forte della pioggia. “È un simbolo!”

Ned non poteva negarlo. Non aveva nulla con cui controbattere. Cat si alzò di scatto dal letto e fece per raggiungere la porta.

“Cat…”

“È deciso, no?- lui non smentì- vado da Bran. Ha bisogno di me.”

La stanza sembrò ancora più buia, quando rimase solo.

 

***

 

“Pensavo che Jon partisse e prendesse il nero.” Daenerys masticava una stecca delle spezie che normalmente si mettevano nella vasca per fare il bagno. Era immersa fino al collo. Arya stava per entrare nella propria catina ma ancora desisteva, l’acqua per lei era bollente. “Lo farà la prossima volta che lo zio scende. “provò ad immergere un piede. “accidenti è ancora caldissima! Come fai?”

“Lo sai che ho sempre freddo.”

“sì e l’acqua calda non è mai troppo calda per chi ha sempre freddo, giusto?” La Stark iniziò a sciogliersi le trecce. “perché mastichi le spezie?”

“In Oriente si usa.”

“Siete proprio dei barbari!”

Iniziarono a schizzarsi quando una dei servitori entrò nella stanza con una catina di acqua tiepida “ Per gli dei, signorina Daenerys uscite subito o vi ustionerete!”

“No lei è una barbara” disse Arya prima di ricevere una manciata d’acqua in faccia.

“Va bene, basta così!” urlò la tutrice mischiando in entrambe le catine l’acqua a temperatura ambiente. Anche Arya iniziò il suo bagno. Due servitrici iniziarono a lavare i capelli e le schiene di entrambe. “Quand’è il matrimonio?” chiese Arya quando fu certa che la schiuma non rischiasse di strozzarla.

Dany perse il suo sguardo nell’acqua, cercando il proprio mancato riflesso. “Tra quattro mesi, ha detto tua madre. Se Robb non si oppone”

“Può opporsi? Non credo, l’ha deciso il Re.”

“Beh potrebbe scrivergli o andare ad Approdo del Re a cambiare gli accordi presi”

“Hai paura di questo?”

“In realtà… non mi importa”. Ammise onestamente. Una delle serve iniziò a sfregarla con meno grazia, dopo quella rivelazione. “Tuo fratello è un bravo ragazzo”

“è anche un bell’uomo” interloquì la serva, incapace di trattenere la lingua. Arya ridacchiò.

“Certo” ammise Dany. “Ma sono stanca di farmi odiare.”

Era così.

Aveva passato la sua intera vita a scappare, a credere di dover odiare tutti coloro che non fossero suoi sostenitori, a non conoscere la vera storia di suo padre, Aerys, con tutto il regno che la voleva morta e questo non smetteva di accadere. Non riusciva ad interrompere la spirale d’odio che la sua presenza innescava, anche la calda amicizia con Sansa era andata in frantumi prima ancora di iniziare ed era davvero stanca di lotte. Aveva voglia di trovare il suo posto. E anche se nemmeno tra gli Stark si sentiva più a casa che in quella afosa stanza di Penthos, voleva il loro rispetto. E il loro amore.

“Il matrimonio con Robb sistemerà ogni cosa.”

“Anche con tua madre?”

“Sicuro” Arya ci credeva poco ma aveva voglia di ottimismo.

“E tu?” Daenerys soffiò una bolla di sapone fin dentro la vasca di Arya. “Cosa hanno scelto per te?”

La ragazza abbassò lo sguardo. Una serva rispose per lei. “La signorina Arya quando verrà il momento andrà in sposa e diventerà una bellissima lady”

Dany la guardò preoccupata. Arya non emise più un fiato.

 

***

 

Lei e Bran uscivano spesso in passeggiata. Lui poteva montare cavallo su una sella costruita appositamente per lui da Tyrion Lannister, che doveva aver preso a cuore la causa del piccolo Stark, e lei aveva imparato presto a cavalcare un cavallo grigio e vecchio che nella scuderia non montava nessuno. 

Ma quel giorno, Catelyn aveva altri progetti per suo figlio. “Bran ha le sue lezioni, Daenerys. Non è il tuo passatempo.”

Così si era decisa ad uscire in passeggiata da sola, col “Vecchio”, come lo aveva chiamato. Non era ancora arrivata alle scuderie che si rese conto che non era affatto sola. Voltandosi di scatto si trovò davanti la solita faccia di cane di Theon. “Ciao”

Lei inarcò un sopracciglio. “Ciao.”

“Che fai? Esci in passeggiata?”

“Fatti gli affari tuoi, Theon” non era mai riuscita a legare con quel ragazzo. Ogni volta si sentiva minacciata dalla sua presenza, si sentiva nervosa e strana se erano soli. Non si fidava di lui e si chiedeva come in famiglia fosse più tollerata la sua presenza che quella di Jon.

Theon la precedette di qualche passo, frapponendosi tra lei e il Vecchio. “Vengo con te. Una signorina non dovrebbe restare da sola.”

“Una signorina non dovrebbe restare con te.”

Theon rise stringendo i suoi piccoli occhi. “Te lo permetto solo se mi darai un bacio”. Lei rise nervosamente. “Scordatelo.” Theon avanzò verso di lei mettendole le mani in vita. “Non prenderti gioco di me.”

“Sarebbe fin troppo facile.”

Theon la spinse a terra e Dany non potè far altro che cadere tra la paglia e la roccia.

“Che succede qui?”

Jon Snow era alla porta della scuderia, appoggiato all’architrave. “Niente” rispose Theon, con prontezza. “Aiutavo sua dragosità ad alzarsi da terra. Sono piuttosto ciaffoni questi Targaryen, questo è quello che succede quando cercano di montare a cavallo.” Porse la sua mano alla ragazza ma lei la rifiutò palesemente e gli lanciò uno scintillante sguardo viola che non sfuggì al giovane Snow.

“D’accordo. Ora vai Theon” sospirò Jon e il Greyjoy fu costretto ad andarsene, con una strana risatina dipinta in faccia.

“Non è vero che non so montare a cavallo” era una cosa stupida da dire, ma Dany non sapeva come rompere il ghiaccio. Gli occhi cupi di Jon l’osservavano come si osserva qualcosa che si è rotto e non si sa come rimediare, e lei mal sopportava la pietà.

“Certo” rispose lui. “Ti ha fatto male?”

“Sono inciampata sui miei piedi.”

“Non lo crederei nemmeno se ti vedessi. Non sei imbranata.”

“Che ne sai”

“Beh, ti ho vista cavalcare e me l’ha detto anche Bran, che hai imparato in fretta.”

“Beh, si sbaglia” tagliò corto lei, ma le sue guance si erano stranamente scaldate d’orgoglio. Si era rialzata da sola ma adesso Jon si stava occupando del cavallo Vecchio, quello che lei aveva imparato a montare. “Tieni” disse quando finì di liberarlo, consegnandogli le briglie. “Posso venire con te? - si affrettò ad aggiungere- sei la futura sposa di Robb, non sta bene che cavalchi sola nel bosco.”

La Targaryen si strinse nelle spalle. “Come vuoi”

 

***

 

Non era stata l’unica cavalcata che avevano condiviso insieme. Ormai avevano l’abitudine di farlo spesso e a turno anche Bran ed Arya si univano a loro, Dany lo trovava molto rilassante ma molto di più amava ritrovarsi sola con Jon. Avevano velocemente sviluppato una certa alchimia e, raccontava ad Arya, le loro chiacchierate erano molto stimolanti.

“Tra bastardi ci si capisce” aveva commentato Sansa, un giorno.

Infondo era anche un po’ vero.

“Allora” quella era una mattinata soleggiata ma le montagne intorno a loro allungavano le loro cupe ombre su tutto il bosco. “Gioco della verità. Sei pronta?”

“Quando vuoi” rispose lei stringendo gli stivali attorno ai fianchi del suo cavallo. “Ma è valido il solito patto?”

“Ogni cosa che diremo rimarrà segreta” cantilenò Jon, falsamente infastidito. Lei rise. “Non si è mai troppo prudenti con te. Inizio io”

“No, dovevo farlo io.”

“Prima le signore.” Il vento intanto si stava alzando. “Perché non stai cercando moglie?”

Jon roteò gli occhi. “Perché voglio prendere il nero.”

“Sbagliato, la risposta è: perché non mi piacciono le ragazze” gridacchiò ridendo Dany e Jon in risposta allungò un braccio e tirò un ramo che finì dritto nella sua direzione colpendola in testa. “Ahi, sei scemo del tutto?”

“Sul mio onore non si scherza, biondina”

“Sposo tuo fratello tra un mese, ti pare possibile che tu debba rovinarmi la faccia?”

“È il cognome il tuo problema, non la faccia” Questa volta fu il suo turno e lei gli tirò la sua borraccia d’acqua. Jon la schivò con facilità. “Tocca a me. È vero che ti sei presa la colpa quando uno dei servi ha gettato la portata di carne addosso agli ospiti provenienti da Delta delle Acque?”

Dany rise. “Era davvero colpa mia! Ho allungato un braccio mentre lui passava e…”

“… e tu hai davvero un cuore gentile!”

La ragazza inarcò un sopracciglio.  “Io non ho nessun cuore gentile.”

“Sì, certo…”

“Non quanto te. Si sa che tu sappia a memoria quasi tutti i libri contenuti in casa Stark, in particolare tutte le novelle del Nord ... scommetto che sono novelle romantiche! Vero o falso?”

“Stronzate!” gridò lui interrompendo il trotto per una passeggiata a passo lento. “E questa è bella ma devi essere sincera: corrono voci che di notte prendi le tue sacre uova di drago e te le metti a letto, vero o falso?”

Rideva quando aveva terminato la frase ma Dany aveva fermato il cavallo e non aveva affatto l’aria di chi vuole scherzare. Jon notò che sembrava terrorizzata. “Chi te l’ha detto?” Il vento stava alzandosi minacciosamente, nuvole nere solcavano l’orizzonte. Jon si strinse nelle spalle.

“Che hai?”

“Ti ho fatto una domanda!”

“Non lo so, è un pettegolezzo di palazzo!” cercava di tranquillizzarla, banalizzando la cosa, ma lei sembrava ancora più disperata. “Pensi… pensi che me le toglieranno? Mi toglieranno le uova?”

Jon era incredulo. “Cosa? No! Perché dovrebbero farlo?”

“Io non posso farne a meno!” aveva gli occhi gonfi e sembrava inconsolabile.

“Dany senti…”

“Proseguo sola.”

“Non puoi sta per piovere forte.”

Ma la ragazza era già partita al galoppo e in poco tempo molte leghe di distanza si erano già frapposte tra i due.

 

***

 

 La donna le passò velocemente il palmo della mano sulla fronte, lanciandole uno sguardo più che eloquente. “Stai bene.” Sentenziò, anche se Dany si sentiva ancora congelata, dalla testa ai piedi. Catelyn doveva averlo intuito visto che cercò velocemente una coperta da gettarle addosso. “Tieni e rimettiti” disse, freddamente, andando verso l’uscita della sua stanza. 

Dany aveva galoppato nella pioggia per un’ora e si era portata a casa un febbrone esemplare.

“Lady Stark.” La richiamò dolcemente, deglutendo la saliva che era aumentata nella sua bocca. Catelyn si fermò all’uscio. “So che stai per ringraziarmi. Lo fai sempre. E come sempre, sai che non dovresti essere grata a me.”

Furono le ultime parole che udì, prima di vederla uscire dalla stanza.

La testa le pulsava con un certo fastidio.

“Posso?”

Dany si trovò a pensare di essere molto delusa nel vedere che si trattava di Robb. E non di Jon. Non l’aveva più visto da quel giorno nel bosco ed era davvero dispiaciuta per com’era andata. “Certo.” Disse.

Robb si avvicinò a lei, la luce della lampada illuminava i suoi lineamenti gentili e il suo volto perfetto. “Come stai.”

“Io? Bene.” Daenerys si sentiva nervosa. “Senti, hai parlato con Jon ultimamente?”

“A che proposito?”

Lei si rese conto di essere stata un po’ affrettata a porre quella domanda senza saper come affrontare i discorsi a venire. “Oh niente di che, abbiamo litigato e…“si strinse nelle spalle, concludendo così un racconto un po’ imbarazzante.

Robb le accarezzò il volto. Era forse la prima volta che si avventava ad una tenerezza con lei, che pure doveva essere sua moglie. “Stai tranquilla, Jon non serba racore” si sentì veramente più leggera. “Bene.”

“Finalmente un sorriso” commentò Robb ed inaspettatamente attrasse il suo viso a sé per un bacio. Fu veloce, dolce e bellissimo ma Dany continuava a sentirsi a disagio, continuava a pensare a Jon, voleva chiarirsi con lui e parlare solo con lui, in quel momento.

“Che c’è?”

“Niente, è che sono malata, non vorrei contagiarti.”

“Se la malattia rende così belli forse farebbe bene a tutto Grande Inverno, contagiarsi.” Lei rise.

In quell’istante sentirono dei passi svelti in avvicinamento, passi che poi si bloccarono all’istante, sull’uscio. Dany e Robb scoprirono Jon, in piedi vicino all’architrave, con in mano tre fiori di campo.

“Jon” disse lei, in un sussurro. Dentro di sé si chiese da quanto tempo fosse lì e si sentì pervadere dall’ansia.

“Fratello, stavamo parlando di te.”

“Sono sicuro che tra futuri coniugi c’è di meglio di cui discutere.” Abbozzò lui, palesemente stranito. “Per te.” Le disse, appoggiandoli ai piedi del letto. “Da parte di Arya” mentì.

“Ringraziala da parte mia.” I loro occhi si tenevano agganciati, senza sapere cosa davvero comunicarsi.

“Perché non facciamo un qualche gioco con le carte, così teniamo compagnia a Dany?- propose Robb-  Chiama anche Arya e Sansa, portiamo Bran, Rick e…”

“Dubito che la Lady Stark voglia i suoi figli al capezzale di una persona con la febbre.” L’interruppe Jon. “E poi io devo andare.”

“Anche io vorrei un po’ riposare” sospirò Dany lieta di tirarsi fuori da questa assurda situazione.

“Bene” Robb le stampò un bacio in fronte, davanti a Jon, “Ti lasciamo riposare.”

Entrambi uscirono velocemente dalla stanza richiudendo l’uscio.

La ragazza avrebbe tanto voluto chiedere a Jon di fermarsi per qualche istante ma sarebbe stato un vero oltraggio a Robb, suo futuro marito, allora avrebbe potuto chiedergli di passarle un uovo di drago, da mettere nella coperta insieme a lei, e Jon sarebbe stato l’unica persona a cui chiederlo, senza vergogna.

Ma adesso era sola e lui non c’era. Quindi sgattaiolò veloce dalle coperte, aprì il baule, prese una delle uova che trattava come figli e se lo portò in grembo, nel suo letto, lasciando che la sua mente si perdesse nei suoi sogni.

 

 

***

 

“Ho parlato al vostro cerusico delle mie visioni”

Arya credette di potersi slogare la mandibola. “Non l’hai fatto davvero!”

La sarta nel frattempo stava facendo le prove del suo abito da sposa, e Daenerys era ferma e dritta davanti ad uno specchio, vestita di bianco ed avorio. Vestito elegante, lungo e drappeggiato.  “Invece sì.” Rispose Dany cercando di muoversi il meno possibile o la sarta l’avrebbe di nuovo punta. Di proposito.

“E perché non sei già legata e imbavagliata in una torre?”

La bionda rise e la sarta emise un sonoro sbuffo. “Se sua signoria si vuole stare ferma!”

“Certo certo.” Rispose frettolosamente Arya al suo posto. “Allora?”

“Ha detto che è un buon segno”

“Assurdo.”

“Ha detto che vuol dire prosperità, che Robb avrà figli maschi.”

“Ma tu gli hai detto tutto? Del fuoco, dei draghi.”

La sarta rise. “Draghi? I draghi sono estinti!”

Dany s’aggrottò. “Per l’appunto, è un sogno. Ma un sogno benaugurante.”

Arya si lasciò ricadere a terra e si rimise tra le pagine del libro che stava leggiucchiando. “Buon per Robb, allora. A meno che tu non partorisca draghi, Grande Inverno potrà avere presto degli eredi.”

“Pensavo che tua madre preferisse i figli di Sansa.”

“La vedo dura, ha deciso che non sposerà nessuno che non sia Joffrey”

La sarta punse Dany, volontariamente. “Si stia un po’ ferma! E lei signorina Arya, non è carino da parte sua parlare in questo modo di sua sorella, dato che nemmeno lei si sta affrettando nel trovare marito.”

“Ad ogni modo” continuò la Stark, annoiata. “Mia madre non farebbe mai un torto così grande a Robb, estromettendolo dall’eredità di Grande Inverno.”

“Anche se i suoi figli sono per metà Targaryen?”

“Beh cerca di non farli con i capelli bianchi, magari. Aiuterebbe molto.”

Dany rise.

E la sarta la punse di nuovo.

 

***

 

A molti dei pasti ufficiali lei e Jon non si potevano unire al resto della famiglia. Mangiavano in disparte, come due ospiti fissi e sgraditi, come era da sempre stato deciso da Catelyn.

Quella sera c’erano una delegazione dall’Isola dell’Orso e lei e Jon erano in disparte, in un tavolo con septa Mondane, il cerusico ed altri servitori di primo livello. Da quell’episodio nel bosco e poi nella sua camera non si erano parlati molto. Anzi si erano parlati poco e sempre nervosamente.

“C’è quel cavaliere che non fa che fissarti.”

Jon trovò finalmente qualcosa da dire. Ci pensava da tutta la sera e gli sguardi insistenti di quello straniero gli avevano dato lo spunto. Oltre che il nervoso.

“Lo so. Lo conosco. È quello che mi ha venduto a tuo padre.” Dany non riuscì ad alzare gli occhi dal piatto.

“Scusa” disse Jon, impacciato. Si trovavano al cospetto dei Mormont e delle loro meschine, stupide scelte.

“Suo padre è alla barriera, lo sai? Jeor Mormont, me l’ha raccontato lui durante il viaggio.”

“No, non lo sapevo.”

“Beh lo conoscerai.” Dany si stava facendo parecchio nervosa. Quasi senza conoscerne il motivo.

“Già.”

“E, per quando è prevista la partenza?”

“Dopo il tuo matrimonio, credo. Mio zio verrà a trovarci in quell’occasione e io ripartirò con lui.”

La Targaryen scoprì di non avere più nessuna fame. Nessuna voglia di sposarsi, di fare dei figli che potessero ereditare Grande Inverno, di niente. Voleva di nuovo essere a Penthos a guardare il vento muovere i drappi porpora della sua stanza, a pensare ad un futuro che non conosceva, quando ancora era felice e suo fretello era un brav’uomo e ancora non sapeva come ci si sente quando il tuo posto non è in nessun luogo, nemmeno dall’altra parte del mondo.

“Signorina Daenerys si sente bene?”

Il suo turbamento non era sfuggito ai presenti. “No- disse alla septa- è tutto a posto ma uscirò a prendere un po’ d’aria.”

Dany uscì e Jon interloquì spiegando il suo comportamento. “È l’uomo che l’ha rapita da Penthos. Si è agitata per questo” ma non ci credeva molto. “Vado a vedere come sta.”

 

***

 

 

Fuori l’aria pungeva le sue guance.

“Dany…”

Lei sentì Jon dietro di sé e gli occhi diventarono improvvisamente traboccanti di ansia. “Nel bosco, mi dispiace io…”

“È tutto passato. Non ne parliamo, dai.”

Lei si voltò. E vederla turbata lo trafisse più di quello che pensava. “Quelle uova sono importanti per me.”

“Lo so.”

“Mi ricordano chi sono.”

Lui si avvicinò. Avrebbe voluto dirle tante cose. Raccontarle della paura che aveva sempre avuto quando si rendeva conto che non era accettato, voluto, che non era uno Stark come suo padre e che Catelyn lo odiava, perché era il tradimento di suo marito che aveva ogni giorno sotto gli occhi e che mangiava alla sua tavola, e che lui prendeva il nero- sempre più dolorosamente. - per questo. Per trovare il suo posto. Ma lei questo lo sapeva già.

“Io non sarò una buona moglie per Robb. Ho delle visioni, dei sogni… in cui tutto va a fuoco e…”

Jon le prese la mano. “Stai esagerando. Arya me l’ha detto e mi ha anche detto qual è la risposta che ti ha dato il medico.” La fine della sua frase risultò parecchio amara.

“Si sbaglia. Io lo so. Io non sono fatta per questo posto. I draghi non piantano alberi, Jon.”

“Ma tu non sei un drago, mi spiego? Sei solo una ragazza.”

“Forse devo fare dell’altro, nella vita. Sono destinata ad altre cose.”

“E a che cosa?”

“Non lo so!”

“E allora che vorresti fare?”

“Forse potrei partire con te.”

L’aveva detto di getto, senza pensarci. Il cuore sembrava esploderle nel petto, nelle orecchie fischiava forte il rumore di tutte le sue inquietanti visioni.

Jon si sentiva ubriaco. Aveva bevuto una volta sola nella vita ma sapeva che era esattamente quella la sensazione. Sapeva esattamente cosa dire, cosa fare, ma non poteva farlo.

Il dovere verso suo fratello, verso suo padre, dove poteva lasciare il suo onore? Poteva dimenticarlo così facilmente?

“Hai… hai idea di quanto sia freddo alla Barriera? Lì non ci sono catini d’acqua bollente”

Daenerys capì. E sorrise.  “Rientra pure se vuoi. Io prendo un po’ d’aria.”

“Dai facciamo due passi, sono stanco anche io della cena.”

Camminarono sotto una luna languida e lontana.

Daenerys continuava a sentirsi in trance, la pelle le scottava e l’aria che cercava non arrivava mai a saziarle i polmoni. Si sentiva di nuovo come quando aveva le sue visioni, quando sentiva attorno a lei il fuoco di un incendio, quando nella sua mentre rimbombavano dei forte CRAC e poi generalmente si svegliava, confusa e sudata. Ma adesso era sveglia e non aveva idea di quando sarebbe passata quella assurda miriade di sensazioni.

Jon silenziosamente la spiava. Passo passo le era accanto lasciandole i suoi spazi e senza sottolineare mai troppo i suoi turbamenti. “Mi ha detto Bran che parli due lingue, non lo sapevo.”

“La lingua di Valyria è la mia lingua madre. Me l’ha insegnata mio fratello.”

“Ti manca?”

“… no. Lui non era un vero drago.”

“Non ti capisco mai quando lo dici. Ma una volta ho sentito mio padre dirlo.”

“Dire cosa, a proposito di chi?”

“Di veri draghi o cosa. Scusa, non ricordo altro.”

Lei si fermò. Avevano camminato parecchio. “Non fa niente.”

“Quel cavaliere, Jorah Mormont. Ti ha fatto del male?”

“No. Perché me lo chiedi?”

“Ti fissava.”

“Si sente in colpa. Per il perdono di tuo padre, ha rinnegato il giuramento che aveva fatto a mio fratello.”

“Tradire è forse la cosa peggiore che possa fare un uomo.”

Daenerys aveva gli occhi gonfi e il cuore a mille. “Ora vai, dai. Si chiederanno perché non torniamo.”

“Certo.” Ma esitava. “Dany, dobbiamo parlare.”

La ragazza afferrò al volo il punto ma non si sentiva affatto pronta a farlo. “Noi parliamo sempre, di tutto.”

“Tranne che di questo.”

“Di che cosa.”

“Della mia partenza.”

“Non ora, Jon. Parleremo degli scheletri ghiacciati e dei giuramenti di sodomia eterna un’altra volta, adesso sono davvero…” lui le prese la mano. “Non adesso.” Ripeté lei.

Ma lui non aveva intenzione di rimandare. “Chiedimelo e non partirò.”

Lei rise, nervosa. “E perché dovrei chiedertelo? Sei così eccitato dall’idea di andartene e di lasciarmi qui da sola!”

“Penso che Robb ti terrà compagnia.”

Lei tirò via la mano. “Ti ho detto, non adesso, Jon” I suoi occhi viola sembravano iniettati del sangue che scorreva a tutta nelle sue vene. Attorno a loro vedeva i draghi e sentiva le urla di suo fratello, mentre veniva ucciso. Non era presente ma evidentemente il suo subconscio aveva una buona immaginazione.

“Io non sono sicuro di voler partire se anche tu non lo sei! È la scelta definitiva e non posso rimanere col dubbio che…” Jon era implacabile ma Dany non amava che non gli si desse retta.

Prese slancio e mentre nelle sue orecchie le urla si facevano insopportabili e si mischiavano alle parole di Jon, si puntò alle sue spalle e lo baciò.

Sparì tutto quanto.

La sua voce, il fuoco, le fiamme, tutto quanto, senza nemmeno sentire un CRAC.

Si staccò piano, ma s’accorse che Jon l’aveva circondata in un abbraccio.

Era pallido, e lei poteva vedere lo sgomento e l’eccitazione nei suoi occhi grigi. “Scusa.” Disse lei, ma non fece nulla per sottrarsi alle sue braccia. Lui sospirò, come se trattenesse il respiro da tutta la vita, le prese il viso tra le mani e la baciò di nuovo, profondamente, divorando con la sua quella bocca su cui aveva fantasticato da sempre, per mesi, giorni, accarezzando con le dita quel volto perfetto ed impossibile per lui. Dany si sentì di nuovo che si stava perdendo, come se stesse cadendo da un dirupo ed aspettasse solo di toccare terra.

Quando si staccarono, si riconobbero per la prima volta, si guardarono davvero negli occhi per la prima volta da quando era arrivata.

Dany sentì il panico salirle di nuovo a chiuderle la gola “è meglio che vada.”

Disse frettolosamente correndo verso il castello, i suoi passi suonavano come il suono di un tamburo nella mente e nel petto di Jon, mentre aveva ancora nelle orecchie la frase che lui stesso aveva detto poco prima: “Tradire è forse la cosa peggiore che possa fare un uomo.”

Era veramente così?

 

 

 

 

 

 

[… to be continued…]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** PARTE 2 ***


Non ho saputo resistere ed eccomi qua, con la seconda parte! Buona lettura! :*

D.

 

 

I’m Daenerys Stark.

(After all, dragon plants no tree)

 

 

PART 2

 

La spazzola scendeva veloce e lucidava i lunghi capelli ramati della giovane Stark, seduta davanti ad uno specchio che rifletteva la sua immagine e quella di sua madre, alle sue spalle, intenta a governare la sua chioma. Le ricordava moltissimo la sua, alla sua età, ed amava particolarmente pettinarle i capelli. Il ricordo di sua madre che lo faceva per lei era tra le cose più tenere che conservasse nel suo cuore, insieme ai suoi sogni di ragazzina, alle sue speranze e alle paure che ancora non avevano lasciato alcun segno sul suo viso.

“Madre, ci sono novità? Ieri sera quando sono arrivati i Mormont eravate sereni...ma dopo cena c’è stata una discussione e siete tutti cambiati d’umore. Ci sono novità?”

“Sei astuta ed un’ottima osservatrice, Sansa. Mi piace.”

Ed un’ottima spiona, anche. La verità era che rincorrendo Lady, che quella sera sembrava stranamente attiva, aveva per sbaglio origliato Rob confabulare con Theon, preoccupato. Non aveva capito molto ma le parole Lannister e Sud erano state sufficienti per attirare la sua attenzione.

“Beh è importante per una donna accorgersi di quello che complottano gli uomini.”

“Altroché. Per una Lady lo è ancora di più entrare in quei complotti, per far valere le proprie ragioni. Gli uomini tendono a dimenticare le donne, nei loro ragionamenti, ma sono loro che reggono la casa e la famiglia.”

Gli occhi chiari di Sansa intanto la spiavano dallo specchio, trepidanti. “Dunque è così. Ci sono novità”

Da qualche tempo e, precisamente, da quando Joffrey Baratheon spinto da sua madre aveva ritirato la sua proposta di nozze, si era lasciata andare ai sentimenti più sbagliati per la sua giovane età: tristezza, risentimento, noia. Ma qualcosa le diceva che il vento stava di nuovo cambiando ed un’eccitazione febbrile la rendeva contenta.

La madre incontrò il suo sguardo, dallo specchio. “A quanto pare, sì.”

“Raccontatemi madre, ve ne prego”

Sansa sapeva essere melensa, quando voleva.

“A Sud, sembrano esserci dei… malcontenti.”

“Che genere di malcontenti?!”

“Malcontenti legati ai Baratheon, tesoro. Ogni monarchia ha i suoi difetti.”

Sansa fece spallucce. “Re Joffrey non ne avrà, ne sono sicura. È solo un ragazzo ma…”

“Appunto cara.- il tono di sua madre si era fatto un po’ duro adesso.- è solo un ragazzo. Suo padre invece è un uomo e commette degli sbagli. Uno di questi, l’ha sposato.” Entrambe sogghignarono. Lady Cersei Baratheon non era nelle grazie di nessuno, a Grande Inverno.

“E che cosa gli contestano?”

 “Non è questo il punto- tirò una ciocca più forte delle altre ma Sansa era talmente presa da non accorgersene- Il punto è, come ci hanno detto i Mormont a cena, che coloro che hanno da sempre avuto qualcosa contro la gestione e anche la conquista dei Baratheon e gli omicidi dei Baratheon, come la Principessa di Dorne… adesso hanno un motivo in più per far valere la loro voce. E soprattutto adesso possono appiccicarla ad un volto, il volto della loro legittima Regina sul Trono di Spade.”

Sansa sgranò gli occhi e spalancò le labbra dallo stupore. “Che cosa? Vorrebbero Daenerys sul trono? Ma è assurdo! È troppo giovane e non sa nulla di come si governa!”

“Ma no- la Tully appoggiò la spazzola ed iniziò ad intrecciarli. - non è così assurdo. Daenerys è solo una ragazza ma è l’erede al trono, la legittima figlia di Aerys. Che sappia governare è cosa secondaria, nemmeno gli adulti spesso sanno farlo. E loro contano di … manovrarla, in ogni caso.”

“Re Aerys Il folle.” Puntualizzò.

“Già. Aerys era folle ma molti sentono comunque la nostalgia dei Draghi e mal sopportano di vedere lo Sterminatore dei Re che prende potere, e con lui la sua famiglia, giorno dopo giorno. Non dimenticare che I Lannister hanno commesso molti crimini in guerra.”

 “Che succederà a Daenerys?” Soffiò Sansa.

Nel frattempo sua madre aveva terminato l’acconciatura. “Il fermaglio, tesoro.” La figlia le passò un piccolo fermaglio d’osso in cui era intagliata una foglia con cui la donna fermò le trecce, all’altezza della nuca.

“La domanda giusta, è cosa succederà alla nostra famiglia.- Sansa involontariamente tratteneva il respiro.- Ma tu non preoccuparti. Tuo padre e tutti gli Stark hanno appoggiato i Baratheon e questo non si può dimenticare. Quanto a Daenerys… sì, è complicato. Ma dimmi, ci tieni ancora ad andare in moglie al Principe Joffrey?”

La ragazza iniziava a distrarsi, i discorsi politici non l’attiravano particolarmente, ma improvvisamente sua madre ebbe di nuovo tutta la sua attenzione. “Che cosa? Ho sentito bene?” sentì il cuore saltarle in gola, si girò immediatamente verso la genitrice, che le annuiva.

 “Oh sì, madre! Con tutto il cuore!”.

Questa reazione smodata allarmò Lady che scattò in piedi come per un imminente pericolo ma Lady Stark scoppiò semplicemente in un sonora risata e anche il lupo ritornò quieto, a leccarsi le zampe.

“Dite che c’è una strada?”

“Forse bambina. Forse”

 

 

***

 

Quello che era successo nel bosco, quel piccolo bacio che si erano reciprocamente rubati, lei e Jon Snow, andava dimenticato.

Eppure, non era possibile. Si era infilato come un insetto nella sua mente e non voleva andarsene, non riusciva a lasciarla in pace. 

Di giorno mangiava poco e male, aveva spesso mal di testa e la notte, prima piena di premonizioni e visioni, era diventata incredibilmente vuota. Soffriva d’insonnia e per lei coricarsi era diventata l’eterna attesa del mattino e così restava le ore a fissare il soffitto sempre uguale della sua stanza, o perdeva lo sguardo nello spettacolo senza fine dei boschi neri che circondavano il castello.

  Passava il tempo facendo le solite cose ma niente sembrava più essere uguale a prima e si ritrovava di frequente a maledire se stessa incastrata in quell’inutile esistenza priva di ragione e di speranza, e anche quelle dannatissime uova di drago, sì, le sue amate uova di drago, che avrebbero dovuto schiudersi e salvarla, come nei suoi sogni, e invece continuavano ad essere delle lucenti ed inutili masse di pietra.

E poi era in collera con lui, Jon Snow, perché l’aveva resa folle, l’aveva sottratta dalla quotidianità in cui si rifugiava e l’aveva attirata a quel bacio.

Lei si trovava bene a Grande Inverno, si trovava bene con l’idea di dover sposare Robb, e si trovava bene anche con l’idea che lui, Jon Snow, le restasse accanto, in una qualche rocambolesca maniera, e di certo non poteva andarsene, non poteva confonderla e nemmeno baciarla, perché ecco, l’aveva resa instabile. E pazza.

“Come tutti i Targaryen” mormorò, prendendo un uovo nelle mani. Era verde, lucente, bellissimo. “Siamo pazzi, vero?”

Il sole intanto stiracchiava i suoi deboli raggi invernali fin dentro la sua camera in lunghe unghiate di luce.

“Dany… Dany!”

Una voce femminile ed impaziente l’attendeva dietro alla sua porta di legno. Per un momento la ragazza ebbe un salto in gola, era già passato qualche giorno dalla cena e dopocena nel bosco, ma ancora si sentiva un po’ a disagio, con tutti. Persino con Arya. Temeva che passandoci troppo tempo in solitario non sarebbe riuscita a nascondere quello che il suo cuore folle celava e non poteva in nessun modo essere scoperta. Quindi, per non offenderla, aveva finto una recrudescenza della febbre.

“Dany, sei sveglia? Stai bene?”

Alla fine si risolse ad aprire. “Ehi!” era effettivamente lei. La piccola indomita di casa Stark. Si accorgeva di provare per lei un’ammirazione crescente, giorno dopo giorno.

“Hai ancora la… febbre?” domandò lei, inarcando il sopracciglio castano.

Dany aveva ragione, non le si poteva nascondere niente. “Ehm, no. Diciamo. Entra dai.”

“Ancora dormi con le uova, per gli dei, hai davvero bisogno di un uomo!”

Entrambe risero, gettandosi nel letto. Il sole stava inondando la stanza. “Ho una notizia.” Iniziò Arya, e difatti Dany se l’aspettava, perché di solito non era così mattutina.

“Che notizia?” domandò, a pancia in giù, accanto alla Stark.

“oh è stato grandioso!”

“Chi?”

“Mio padre. Ieri sera… io e Sansa abbiamo discusso. Una cosa sciocca, una cosa da… Sansa!”

“Dai, smettila!”

“E lui mi prende in disparte, per parlarmi! Io penso: mi farà nera e piccola come i topi nelle stalle- Dany intanto se la rideva, divertita- e invece. Inizia un discorso serio, sul mio futuro. Brividi, brividi ovunque. Si parla di castelli, di lady e io… mi sono messa a piangere”

“Cosa? Non è da te.”

“Lo so! E mio padre… oh Dany dovevi esserci! Ha detto che mi capiva. Lui mi capiva. Ha detto che avrei avuto tutte le occasioni che volevo per ripensarci e rimettermi in corsa per trovare uno sposo ma nel frattempo, potevo cercare la mia strada.” Gli occhi violetti della ragazza strabuzzarono sinceramente di sorpresa. “Ma… è magnifico! E… che farai?”

“Potrei diventare una cacciatrice. Insomma, ancora non so farlo ma imparando e facendo carriera potrei comandare io le truppe di caccia, un giorno. Ha chiamato un uomo che verrà dal Sud, a farmi lezioni. – si rotolò a pancia in su- All’inizio dovevo andare a Sud anche io, secondo la mamma, ma poi hanno capito che mi sarei gettata dalla Torre piuttosto che seguire Sansa ad Approdo del Re.”

La cristallina risata di Daenerys le morì in gola. Un macigno alto come un monte fece la comparsa nel suo stomaco ed un brivido leggero s’impossessò della sua schiena. “Partire, Sansa, di che stai parlando?”

Arya la fissò. “Che ti prende? Quella sciocca va con nostro padre, a Sud. La settimana prossima, pare.”

L’ansia aumentava. “E perché?”

“Vogliono piangere miseria finché non le facciano sposare mr-labbra-gigantesche”

Un presagio infausto le attanagliò la gola. “Perché… perché io non lo so?”

“Perché hai avuto la febbre, drago.”

“Giusto.” Dannazione.

“Ehi, non ho finito di raccontarti” Arya riprese, piena di entusiasmo. La ragazza accanto a lei la guardava, ma la sua testa viaggiava oltre, oltre le mura di pietra di quella stanza e cercava gli intrighi che si erano consumati senza di lei, alle sue spalle, qualcosa che poteva costarle la vita, o forse la vita di chi amava, forse andava consegnata, legata di nuovo in un sacco di juta, per il Re, ma se così fosse, perché Jon non l’aveva avvertita? E se nemmeno lui ne era al corrente?

“… sono diretti alla barriera, come Jon, ma loro partono tra meno di quindici giorni. Però lei è una grande cacciatrice e si dice che sia molto abile con arco e frecce”

Tutto aveva un senso, infondo. Le visioni infauste che aveva avuto nei giorni precedenti, erano un presagio di morte, erano la sua fine? E se anche fossero stati beneauguranti per gli Stark, non lo erano per lei. Lei era una Targaryen, una pazza, una povera sciocca che persino i bastardi osavano baciare nei boschi e poi abbandonare al suo destino, come una bambola usata, come se fosse di pietra anche lei, come le sue dannate uova di drago.

“… si chiama Ygritte.”

Ci fu silenzio subito dopo e Dany fu costretta a riallacciarsi con la realtà. “Chi?”

“Ygritte, la mia insegnante. Per quindici giorni. Poi partirà per la barriera e verrà Sirio, quello del Sud.- gli occhietti ancora un po’ appannati di Arya la spiavano di sottecchi.- sicuro che stai bene? C’hai una faccia…”

“Certo. Scusami. Un mare di scorpioni popola la mia mente.”

Disse, stanca, appoggiando la faccia al giaciglio. Arya l’imitò. “Te la febbre ce l’hai perenne. Fidati.”

Riusciva sempre a strapparle un sorriso.

 

 

***

 

“Ah, chi è il migliore, chi è!”

Ovviamente sei tu, Robb.  Avrebbe voluto dirgli, mentre si rialzava senza difficoltà dal terreno. Stavano duellando da circa tre ore e sebbene solo a tratti Robb dimostrasse una tecnica migliore della sua, alla fine dei conti riusciva sempre a metterlo al tappeto e a mostrarsi, e autoproclamarsi, migliore in campo.

“Jon, sei giù di corda, oggi, che hai? Mio padre ti ha detto della cena?”

Cadde un po’ dalle nuvole.

“Cena? Che cena.”

Robb rise e gli lanciò per l’ennesima volta la spada di legno con cui si esercitavano. “Ancora, riprendiamo dal penultimo schema.” Attorno a loro, il solito manipoletto di servi ed amici del castello. “Vogliono parlarci, a tutti noi. Del resto, che ci fossero delle novità era nell’aria, no?”

Avevano ripreso. Jon era in vantaggio e i suoi fendenti precisi facevano arretrare Robb. “Già” mormorò, ad un certo punto. L’unica novità davvero sconvolgente per lui era stato scoprire che Dany s’era inventata una febbre per non vederlo. Insomma, che credeva, che avrebbe fatto una scenata davanti a tutti e si sarebbe fatto scuoiare vivo per lei? Non c’era affatto bisogno di nascondersi!

Immerso nei pensieri, scoprì il fianco e il fendente di Robb gli ricordò di non farlo ancora. “Cazzo, ci vai giù pesante.”

“E sono solo di legno!” se non fosse stato suo fratello, Jon avrebbe profondamente detestato un uomo dal temperamento di Robb. Ma lui, non era solo suo fratello. Era, a suo modo, adorabile. Nessuno poteva odiare la sua faccia buona, la sua battuta sempre pronta e il modo in cui si fidava ciecamente delle proprie valutazioni; inguaribile ottimista, fedele, forte. Non aveva che aggettivi positivi ai suoi occhi e agli occhi di tutti.

Ed era così anche per Daenerys, senza dubbio.

Il pensiero gli fece ribollire il sangue. E Robb se ne accorse, perché Jon riprese a battersi con molta più passione e maestria. “Oh così ti voglio!”

Ripensare a lei quasi lo annebbiava di rabbia. Invece di cercarlo, di chiarirsi, si era chiusa nel suo rifugio per almeno tre giorni, tre infiniti giorni in cui aveva rimuginato ogni momento, solo, come un cane, mentre lei fingeva la febbre della donna arsa dai sensi di colpa. E lui? E i suoi sensi di colpa?

Era suo fratello, Robb Stark, ed erano gli Stark la famiglia che lui deludeva per l’ennesima volta. Già la sua intera vita era fonte di imbarazzo, non bastava questo a macchiare la sua infinita lista di azioni inadeguate? Doveva anche baciare la futura moglie del fratello che amava di più?

“Ottimo, Snow!” esclamò l’altro, entusiasta della rabbia dell’avversario.

“Io non direi.”

Una terza voce, femminile, interruppe per un istante il combattimento. I due fratelli si fermarono, ansanti, alla vista della nuova ospite nella loro arena. Era una donna, quella che avevano di fronte, seppure molto singolare. Vestita di pantaloni e tunica marrone, coperta con una grossa pelliccia, l’arco inforcato sulla spalla ed un cespuglio di capelli rosso fuoco a contornarle il viso.

“Tu… cosa?” prese parola Robb.

“Ho detto che non direi che è ottimo, né che è eccellente.” Continuò, ammiccando alla direzione di Jon. “Tiene il peso spostato troppo in avanti e scopre il fianco ogni cinque minuti, è distratto ed impreciso quando carica, inoltre…”

“Credo. - Jon l’interruppe con una certa stizza- che mio fratello, ti stesse chiedendo il tuo nome.”

La ragazza rise, mostrando una bianchissima bocca di denti imperfetti. “Oh certo. Mi chiamo Ygritte. Sarò l’insegnante di Lady Arya, per qualche settimana. Ho accordi firmati da Lord Eddard Stark.” Concluse con un piccolo inchino del capo.

Jon sorrise, senza quasi conoscerne il motivo.

“Bene, Ygritte. Puoi andare dal nostro fabbro, ti farà vedere dove sono le armature e i poligoni di tiro con l’arco. E manderemo un servo ad avvisare Arya del tuo arrivo.”

La ragazza sorrise ad entrambi e si avviò nella direzione indicatale poco prima da Robb. “Bellissima, eh” commentò questi, dando una sonora pacca sulla spalla al fratello.

Jon non rispose ma la seguì con lo sguardo, mentre si allontanava.

 

***

 

“Ehi.”

Era l’imbrunire. Il sole aveva percorso tutto il cielo prima di abbassarsi di nuovo, su Grande Inverno, prima che arrivasse la cena, con Lord e Lady Stark, prima che tutto sarebbe stato messo di nuovo in discussione. Erano passate tutte queste ore, ore che lui aveva passato ad allenarsi duramente, con Robb e poi anche con Arya e la sua insegnante cercando quasi di … legare con lei, di farci amicizia, con la rossa, perché come Theon diceva sempre una donna scaccia l’altra. Ma ovviamente, non aveva funzionato.

Ad ogni modo, poco importava. Non si era fatta viva per tutto il giorno, di nuovo. Di nuovo l ‘aveva evitato ed umiliato. Poco importava che Ygritte non l’avesse scansata, poco importavano i suoi costanti pensieri su di lei o che lei, adesso, fosse lì.

Sì, adesso, proprio adesso che tutti li aspettavano nella Sala Grande, adesso che la tensione era palpabile nell’aria, adesso, e non prima, lei e la sua piccola ed aggraziata figura sbucavano dal buio di un angolo qualsiasi, a degnarlo della sua presenza.

“Ehi, Jon. Sono io. Dany.”

“Non ho dubbi che sia tu.” Era furioso. Stava finendo di sistemare la sua nuova armatura nella piccola armeria e le sue mani quasi tremavano dall’ira. Si voltò, per incontrare il suo volto ma la penombra del luogo ne nascondeva parzialmente i tratti. “Che cosa vuoi.”

La ragazza trasalì. “Che hai.”

“No, dimmi che hai tu. Il drago ha parlato e adesso è finalmente pronto a degnare un bastardo come me di almeno una parola?”

Le sue parole erano soffocate, graffianti come gli artigli di un lupo. Daenerys fece un passo in avanti. “Non essere ingiusto con me. Ero sconvolta, avevo bisogno di tempo.”

“Tempo?” rise, amaramente. “Qui non ne abbiamo più di tempo, altezza. Lord Stark sta per partire e vuole parlarci, e solo gli dei sanno come cambieranno le vite di tutti quanti!”

La donna si morse le labbra. “Non urlare.” Soffiò mentre sentiva l’ira riempirle il petto. “Sono spaventata quanto te. Mi dispiace non dovevo nascondermi ma… per me- si passò una mano sulla fronte, un po’ umida.- per me è stato sconvolgente. Non riuscivo a guardare in faccia nessuno.”

Questo gli fece bruciare il sangue nelle vene. Senza l’intenzione di farle del male, le afferrò il polso e lo strinse tra le sue rudi dita di guerriero. I loro occhi si trafissero vicendevolmente, come pugnali. “E.. io? Non hai pensato a me? Come potevo sentirmi io, nei confronti di Robb? Avevo bisogno di te, perché stare con qualsiasi altra persona mi distruggeva di rimorsi!”

Dany strattonò il braccio. Era vero. Non poteva dare torto a Snow ma non voleva cedere. Aveva aspettato di incontrarlo tutto il giorno, aveva fantasticato tutto il giorno sul loro incontro e, gli dei non vogliano, lo aveva immaginato diverso. Si malediceva, per quelle stupide romanticherie, adesso.

Jon non accennava a calmarsi. Ma se lei aveva detto una cosa giusta, quella era che non dovevano urlare. Lui non poteva urlare e quindi nemmeno parlare giacchè parlare ed urlare erano per lui la medesima cosa, in questo istante. Si sentiva febbricitante d’odio e la gelida perfezione della figura di lei gli dava la nausea.

Comunque non si aspettava che fosse lei a rompere il silenzio. “A breve dobbiamo rientrare ma…” si avvicinò a lui, così tanto che l’uomo poteva sentire il profumo dei fiori con cui doveva aver fatto il bagno. Dany tornò a fissarlo negli occhi; non sapeva come continuare, aveva sperato che le parole venissero da sole ma sembravano piuttosto timide. “Non so perché ti ho voluto vedere stasera, non so perché non l’ho fatto prima, Jon, io volevo chiederti…”

“Lo so io, invece.”

Lui era freddo, distante. La odiava, anche lui? “Faremo finta di niente, non temere.”

Un coltello d’acciaio di Valyria si conficcò, immaginario, nella sua tenera schiena ed arrivò a trafiggerle cuore e polmoni, tanto che restò così, senza sangue e senza fiato, alla mercé dell’ira dell’uomo che aveva sconvolto la sua mente. “Cosa?”

“Non sapevi come dirmelo, immagino. Beh, spero non avrai creduto che per te avrei rinunciato al nero e all’amore per la mia famiglia.” La giovane continuava a non riuscire a parlare. “Non parliamone più, è tutto passato.”

Con un movimento veloce appese definitivamente la sua armatura alla parete e la sorpassò, curandosi bene di urtarla, mentre se ne andava. Daenerys non voleva quella conclusione, ci aveva pensato, in quei giorni, a quella conclusione e certo era la più comoda e semplice per tutti, ma solo il pensiero le aveva scatenato le più profonde angosce. Ed invece s’era avverata.

Sentì le lacrime premere forte sulla soglia dei suoi occhi ma non poteva che ricacciarle, non aveva tempo adesso.  L’aspettavano dentro. Toccava anche a lei, rientrare.

Ma mentre si incamminava verso il castello, sentì di nuovo qualcosa urlare dal profondo della sua mente.

Ricordati chi sei, Daenerys. Il drago lo sa. E tu?

Il destino tornava a tormentarla.

 

***

 

“Adesso basta, però” le sussurrò Sansa ad un certo punto. Anche quando non voleva essere antipatica riusciva a risultare un po’ sgradevole, nel riprendere gli altri.

“Eh?”

“Sei inquietante ed iniziano ad accorgersene tutti. Anche Robb.” La maggiore delle figlie Stark si portò alla bocca un boccone di pollo dolce alle albicocche mentre lo diceva, e Dany, colta in flagrante, riabbassò veloce lo sguardo sul proprio piatto.

Era vero. Per tutta la durata del pranzo lo sguardo ametista della ragazza non aveva fatto altro che saettare dal proprio piatto a quello di Jon. E se lui chiedeva una pietanza o che gli si passasse il vino o l’acqua, lei lo seguiva con gli occhi, in maniera involontaria, o forse sperando di cogliere qualcosa, un segno, un indizio, sui suoi pensieri. Era una giornata informale, un pranzo come tanti altri e lui era distante, dalla parte degli uomini, vicino a Theon e a Robb.

“Hai ragione. Sono ancora un po’ scossa per quello che mi ha detto Lord Stark, l’altra sera”

“Sicura che non avete litigato?” chiese Arya, con un osso che le usciva dalla bocca. “Lui pure è strano, Jon. Si allena con me e la rossa e credo stiano flirtando quei due. O come si dice. Si annusano, ecco.”

“La rossa?” chiese la sorella. “Oh per gli dei, sputa quell’osso, sei disgustosa.”

“Ygritte.” Continuò Arya, sputando letteralmente l’osso e centrando il piatto. Sansa protestò ancora ma non poteva lamentarsi, Arya aveva seguito le sue istruzioni, forse solo un po’ troppo alla lettera.  “è troppo figa.”

“Modera il linguaggio, per favore. Inizia ad essere sconveniente essere in tua compagnia, Arya, parli come un bruto!”

La castana tracannò un sorso d’acqua, stralunata. “Sansa, ma ti senti quando parli?”

Improvvisamente calò il silenzio nella parte femminile del tavolo. “Ehi, Daenerys.” Era Robb.

“Fratello se sei venuto a rubare il pollo da questa parte del tavolo sei fuori strada.” L’ammonì Arya servendosi ancora.

“Sì, qui le lady si abbuffano, se non lo sai, come delle affamate che non toccano cibo da giorni!”

Sorridendo di quei piccoli bisticci, Dany alzò lo sguardo. “Ciao” disse, arrossendo lievemente.

“Senti, ti va di fare due passi, più tardi?”

Arya sogghignava divertita e Sansa non faceva che riprenderla.

Lei cercò un’ultima volta lo sguardo di Jon ma di nuovo, l’evitava. 

“Certo.”

 

 

***

 

C’è una rivolta, a tuo nome.

Passeggiavano distrattamente. Lui le porgeva il braccio, come si conviene nell’etichetta tra Lord e Lady. Esploravano a piedi solo il bosco attorno al castello, solo fin lì potevano arrivare d’ora in avanti, le passeggiate senza scorta, senza un’arma, senza un cavaliere a proteggerli; ma non importava. Aveva piovuto molto quella settimana ma oggi era il classico giorno di pausa dopo la tempesta, il bosco era umido e profumato, come piaceva a lei, anche se rimaneva freddo e distante, come tutti i boschi, dall’incollatura in su.

 

Ci sono sempre stati, i ribelli e gli scontenti, ma adesso hanno un motivo per combattere. Un volto. Una Regina.

 

 

Robb l’accompagnava e visto che non si sentiva a suo agio nel restare in silenzio, chiacchierava distrattamente a ruota libera. Dany l’ascoltava con piacere ma, com’era prevedibile, la sua mente non faceva che ritornare alla conversazione di qualche sera prima, con Eddard Stark, il Lupo, e la sua pelle continuava ad orripilarsi al ricordo di lui che, sguardo imponente e rassicurante, le parlava.

 

Io non voglio essere la Regina!

Loro lo sanno ma sperano che ti convincerai, sperano che vorrai essere, per loro, l’ultima dei Targaryen.

Impossibile. Questo era Vyseris, questo era il suo sogno! Non è il mio! Io sono … io voglio diventare una Stark. Daenerys Stark. Tu… tu puoi dirglielo per me, Lord Stark?

Posso dirlo ai Lannister e al Re. Ed è quello che farò. Io e Sansa partiamo, la settimana prossima. Che lo sappia il Re è molto più importante che lo sappia un manipolo di ribelli, perché è lui che dobbiamo temere, Daenerys.

 

 

“Mi piacerebbe che tu mi raccontassi di nuovo la storia di Grande Inverno. Di come è stato unificato al Sud in un unico Regno.”

Robb sorrise. “Sei fortunata. Sono in vena di racconti, oggi.”

 

Ma… la famiglia Stark è al sicuro?

Anche di questo voglio sincerarmi. Vedi, quando hanno orchestrato il tuo matrimonio con Robb tutti noi abbiamo pensato che il loro duplice scopo fosse quello di prendere l’occasione per tenere buoni due piccioni con una fava soltanto. Il Nord e i Targaryen.

 

Svoltavano per sentieri un po’ più isolati. Il sole penetrava a fatica tra i rami degli alberi e quell’atmosfera cupa e malinconica rendeva tutto più surreale. “Le battaglie si susseguirono senza quartiere…”

 

Questa ribellione potrebbe ritorcersi contro di noi. I Lannister vogliono distruggerci da sempre, potrebbero iniziare a mettere in giro voci come che la nostra famiglia appoggia la rivolta. Che tu vuoi essere Regina e Robb il Re. E questo è molto pericoloso, per la nostra famiglia.

 

 

“Per di qua” Robb scostò un ramo e dietro di esso il sentiero prendeva una via diversa da quella maestra. “Hai mai visto il campo di primule che c’è dietro il castello?” La ragazza negò col capo. “Dai, ti ci porto. Non so se sono fiorite in questa stagione ma è comunque una bella radura, quando eravamo piccoli andavamo a giocarci spesso.” Le prese la mano e la condusse con sé. “Dov’ero rimasto?”

 

 

Questo è quello che faremo. Rimandiamo il matrimonio finché non siamo sicuri che sia un modo per proteggerci e non per dichiararci traditori del Re, nel frattempo torniamo a caldeggiare l’unione di Sansa con Joffrey, per rimarcare la nostra fedeltà… e perché è quello che lei vuole. Da sempre.

Per il Re sarebbe l’ideale se potesse imprigionarti semplicemente per Alto Tradimento. Per cui, non fare niente, non dire niente che non sia completamente innocuo, esci il meno possibile, ricorda che gli assassini dei Baratheon vi hanno trovato ai confini del mondo, non hanno problemi ad ucciderti qui al Nord. Stai attenta.

 

“…e a quel punto, i draghi diventarono fontane di fiori e sputarono ghirlande sugli avversari. Giusto Dany?”

 

Tutti noi faremo la nostra parte. Mentre io non ci sono Robb prenderà il comando della casa assieme a sua madre, Jon rimanderà il nero e resterà a proteggere i fratelli, ma non sarete comunque soli, un uomo, che mi deve ancora tutto, verrà ad aiutarci e a vegliare su di te e sulla mia famiglia, finché non ci sono. Si tratta di Sir Jorah Mormont, Daenerys, e ti prego di accettare il suo aiuto, anche se vi ha traditi.

 

Si erano fermati, all’improvviso. “Dany?”

 

Questo è l’Inverno, Daenerys. Ma se il branco resterà unito, se tutti noi faremo la nostra parte, il cucciolo si salverà.

 

“Ehi, sei tra noi?”

La ragazza sussultò. “Sì.” Rispose prontamente, nemmeno sapendo a cosa. “Sì, è così. È l’inverno e il cucciolo non sopravvivrà.” S’accorse d’aver parlato a sproposito perché nel bel volto di Robb si dipinse un sorriso obliquo. “Ne sono sicuro, che questo sia l’inverno, piccola Targaryen.”

La ragazza sospirò, avanzando di qualche passo. “Scusami. Che pessima figura.”

“Ho anche insultato i tuoi draghi mentre parlavamo … ma sono ancora vivo, devo preoccuparmi?” la raggiunse, circondandole la vita con un braccio. “Dimmi, come può un uomo attirare la tua attenzione?”

La ragazza negò col capo, sorridendo. Indossava abiti tipici del Nord, marroni e neri ed un lungo mantello grigio-verde le pendeva dalle spalle. Cercava di mimetizzarsi, ma la sua capigliatura era bianca come la neve e il suo sguardo, anche senza voler far caso al colore degli occhi, era palesemente straniero. Un po’ come quello di Robb, uomo del Nord ed esempio di tutti i loro valori ma, innegabilmente, figlio di Delta delle Acque, che avevano mitigato i suoi lineamenti e il suo sentire. “Ripensi a quello che vi siete detti, vero? Tu e mio padre.”

Daenerys distolse lo sguardò ma annuì. “È difficile non farlo.”

“Dany, ascolta. Anche per questo ho insistito per portarti a passeggiare.” Le girò il volto e tornò ad incontrare i suoi occhi. “Io non ho intenzione di piegarmi al volere del Re, qualsiasi esso sia. Ti ha messo nella mia vita e adesso non può privarmi di te solo perché quella donnaccia della moglie decide che è sbagliato.- Dany stava per parlare ma lui riprese.- so chi sono, Daenerys. Sono un uomo del Nord. Ho le mie responsabilità, ho il mio destino da compiere. Ma voglio che tu sappia, che non mi arrenderò tanto facilmente, voglio che tu sappia che io troverò un modo.”

Il fascino di Robb sarebbe stato in grado di rapire chiunque egli avesse voluto. L’attirò a sé per baciarla ma delle improvvise e vicine urla ruppero l’idillio del momento. Daenerys ne approfittò per fare qualche passo indietro pur rimanendo agganciata a lui. “Chi sono?” chiese nella direzione delle urla. “Provengono da…”

“Dalla radura delle primule. Qualcuno deve aver avuto la nostra stessa idea.” Sorrise Robb. Erano delle risate allegre ed entrambi riconobbero sia quella di Arya che di Jon. “Uniamoci a loro, ti va?” ma mentre si avvicinavano Dany inziava a distinguere sempre più chiaramente anche una terza risata, a lei sconosciuta, ed una voce scintillante ed argentina, di donna, provenire dalla stessa direzione.

“Oh per gli dei e quello cos’è?? Un ragno! Salvatemi Jon Snow!” Man mano che si accostavano le risate aumentavano d’intensità, al pari dell’angoscia, nel petto della ragazza, che cresceva misurata solo dal battere forte del suo cuore. Quando svoltarono per l’ennesima volta si aprì davanti a lei una piccola radura senza alberi, leggermente incuneata, protetta dai venti, e forse per questo, casa di un tappeto di gialle primule selvatiche che si apriva ai loro occhi, incontaminato.

“Ehi!” li salutò Arya, non appena li vide spuntare. “Venite!”

Robb la precedette mentre i suoi occhi puntavano le tre sagome, soprattutto quella della donna, Ygritte, che sedeva vicino a Jon e rideva con lui. Si avviò anche lei, l’angoscia che lenta si mutava in rabbia.

Jon l’osservò avvicinarsi, fingendo disinteresse. Ygritte, al contrario, era estasiata. “Per la barba dei bruti, tu sei la Targaryen! Io sono Ygritte, insegnante di Arya! Oh, i tuoi capelli sono leggendari!” la sua allegria era contagiosa ma Dany continuava a stringere le mandibole, per l’ira. “e poi non sembrate la solita lady impomatata, mi sbaglio, Arya?”

Tutti risero, soprattutto Rob e il suo modo di stravaccarsi fece ridere ancora di più la compagnia.

“Lo sai che ha tre uova di drago che prende come se nulla fosse… da un braciere?”

“Un braciere?”

“Sì e non si scotta, l’ho vista centinaia di volte mentre lo faceva. E anche con l’acqua calda è così, lei non la sente!”

“è proprio vero: Fuoco e fiamme!

“Sangue.” La sua voce suonò più fredda del dovuto, o del voluto.” Fuoco e sangue.” Il sorriso di Ygritte si spense velocemente.  “Dai, riprendiamo gli esercizi! Robb unisciti a noi, fai coppia con Jon”

Dany restò a guardarli mentre tiravano con l’arco e le loro frecce arrivavano più o meno lontano dal bersaglio.

Ecco perché Jon aveva chiuso con lei, ecco cosa stava accadendo, c’era Ygritte e lui poteva dimenticarla come qualsiasi donna avesse già dimenticato prima, come se anche prima del bacio non ci fosse stato niente tra loro, niente al di fuori della sua mente. Poteva fingere fino a questo punto? Dany s’accorse che lo stava fissando di nuovo e non voleva allarmare nessuno con il suo comportamento, tanto più che era stata palesemente antipatica, con quella ragazza.

Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente lasciandosi cadere supina in quel profumato letto di primule appena nate. Forse non voleva più essere nemmeno la Targaryen che tutto il regno continuava a tenere d’occhio. Voleva essere solo se stessa o al massimo, voleva essere una Stark, nascosta per sempre in quelle montagne di pietra. “L’inverno sta arrivando” mormorò tra sé, cercando di capire a fondo quello che diceva.

Ricorda le tue parole.  

Sì, le ricordava bene, disse a se stessa. Le aveva appena fatte ricordare a tutti i presenti e il fuoco con cui le aveva pronunciate l’aveva resa degna della sua dinastia. Ma lei non le voleva più.

Sei il sangue del drago.

Sì, ma i draghi sono estinti. Un’ape le volò sopra il viso e si appoggiò un istante al suo naso. Era troppo freddo per loro e quella piccola apetta sembrava confusa. Si riposò un istante per smangiucchiarsi le zampe come le mosche e Dany richiuse gli occhi. Ricorda cosa sei destinata a fare.

Non lo so. Non lo so cosa sono destinata a fare, dannazione. Come posso averlo dimenticato?

Per un istante, ebbe l’impressione che suo fratello Vyseris stesse chinandosi su di lei. “Che delusione, cara sorella.”

Riaprì di scatto gli occhi. “No” mormorò rialzandosi col busto. L’ape non c’era più e nessuno sembrava averla vista delirare.

“Adesso basta. Non devo pensarci più. Se mi guardo indietro, sono perduta.”

 

***

 

La luna era rossa, quella sera.

Sansa e Lord Stark sarebbero partiti all’indomani.

Dopo la cena lei e le altre donne avevano fatto un bagno, come un rito di partenza, e Lady Stark aveva tenuto banco raccontando aneddoti sulle figlie e cose curiose che solo loro potevano capire. Erano comunque una famiglia affiatata e quando lo realizzava Daenerys rimpiangeva di non aver mai conosciuto sua madre. Rimpiangere di essere nata non aveva senso, non era dipesa da lei, quella morte; anche se, probabilmente, aveva sconvolto per sempre la predisposta mente leggera di suo fratello.

Si ritrovò con Sansa quasi per caso, in un attimo di silenzio, mentre tutti facevano dell’altro.  La rossa la fissò intensamente negli occhi ma entrambe avevano paura di rompere quel silenzio con le parole sbagliate. Aveva delle scuse, sulla punta della lingua, che non poteva pronunciare. Perché non aveva ancora imparato che la vita non è facile, non è bella e non è romantica, non aveva ancora capito che Daenerys non sarebbe stata il fastidio più grande della sua esistenza. Pensava ancora a lei come la sorella che l’aveva tradita e le aveva fatto uno stupido sgambetto frapponendosi tra lei e Joffrey, tra lei e la sua felicità.

Così fu Dany a parlare, ricordando come quel giorno di quattro mesi prima Sansa avesse sfidato la timidezza, per venire a fare la sua conoscenza. Sebbene le sue intenzioni non erano proprio nobili, quella visita le aveva scaldato il cuore e l’aveva fatta sorridere, per la prima volta, ad uno Stark.

“Buon viaggio, Sansa.” Disse.

La ragazza annuì, tormentandosi le mani. “Se riuscirò a parlare con Joffrey in privato, a fidanzarmi con lui, tutto questo finirà.”

La bionda non se l’aspettava. “In che senso”

“Lui capirà. Lui metterà a posto tutto quanto; gli spiegherò che tu non hai alcun interesse per quel Trono e le cose andranno per il verso giusto. E quando sposerai Robb, ci chiameremo sorelle.”

Il sorriso ingenuo e dolce della Stark, la commosse. Ricordò di aver sentito molto parlare di Joffrey ed era sicura che Arya fosse a ragione molto preoccupata per la sorella, riguardo quel tipo. Sansa non lo conosceva affatto eppure era sicura che sarebbe stato un uomo buono, addirittura che avrebbe risolto i problemi della sua famiglia; ma Joffrey Baratheon era un leone mascherato da cervo e purtroppo la sua natura sarebbe venuta fuori, un giorno o l’altro.  

“Abbi cura di te” disse Dany, prendendole la mano. “E, tieni duro, d’accordo?”

“Anche tu.”

Si abbracciarono.

Daenerys non sapeva che non l’avrebbe vista mai più.

 

***

 

Era appena rientrata nella sua stanza, aiutata dalla fioca luce della candela. La luna rossa non sembrava avere luce se non per se stessa e quella era una notte molto buia. Meccanicamente si richiuse la porta alle spalle ed abbassò il chiavistello in legno.

“Non spaventarti. Sono io.”

“Chi sei?” disse cercando subito di mettere mano alla porta, per uscire, ma lo sconosciuto fece un passo in avanti e comparve il suo volto, seppur malamente illuminato. Il suo cuore non smise di trasalire. “Jon…? Che ci fai qui…?” Ammiccò alla porta ma lui la rassicurò “Non mi ha visto nessuno. È l’unico posto in cui possiamo parlare, se sai restare quieta.”

Dany rise amara. “Sei tu quello che urla tra noi.”

“Giusto. Tu sei più tagliente…- si avvicinava.- tu minacci, dico bene?”

La ragazza aggrottò la fronte. “Di che minacce parli?” Intanto iniziò a fare luce. Teneva molte candele nella stanza ed anche un braciere, quasi sempre acceso, perché sentiva che le sue uova dovevano restare al caldo.

“Parlo di come hai trattato Ygritte, questo pomeriggio.”

Dany si morse il labbro inferiore ma lui non lo notò. “Mi spiace, ero un po’ tesa. Le puoi dire da parte mia che per sangue non intendevo il suo.” Appoggiò la candela. “È tutto? Ti sei intrufolato in camera mia per difendere l’onore della tua nuova fiamma?”

Jon si passò una mano sulla faccia. “Che diavolo stai dicendo? Ygritte non è…”

“Forse non è.” L’interruppe lei. “Ma tu avresti voluto, non è così? Magari i tempi non sono ancora maturi, magari devi solo lavorarci su” i suoi occhi ametista saettavano al pari della sua lingua.

“E anche se fosse.” Ribatté lui. “Non devo renderti conto, mi pare. Tra noi è stato uno sbaglio ed eravamo d’accordo di non parlarne ancora.”

“Tu.” L’ira, come sempre, le chiudeva la gola. “Tu hai deciso di non parlarne più. Io non sono stata neanche interpellata.”

“E che cosa c’è ancora da dire? Cosa vorresti chiedermi o che io ti dicessi? Sei la donna di mio fratello e lui non rinuncerà a te. Sarebbe disposto a portare l’Inverno a Sud, piuttosto!”

Era concitato, sudato, stravolto. La verità era che nemmeno lui sapeva perché si trovava in quella stanza. Si sentiva come una falena, prigioniero ed ucciso dalla sua ossessione. “Io sono solo un bastardo, Daenerys.”

Il fuoco del braciere scoppiettava nella sua stanza. Lei si avvicinò per l’ennesima volta e s’azzardò a toccargli i capelli, quegli indomiti ricci neri che sempre aveva ammirato. Poi, con la punta delle dita, prese ad esplorare la sua fronte, piana, umida, il suo naso e l’arcata dolce delle sue sopracciglia.

“Smettila.” Sospirò lui.

Ma lei seguiva il suo filo dei pensieri. “L’altro giorno ero venuta nella stalla per farti una domanda. – si vergognò improvvisamente di quelle parole, ma il dado era tratto e non poteva tornare indietro. – volevo chiederti… la sola cosa che mi interessa sapere… è se sei mio, Jon.”

Sentì lui cambiare respiro e vide le sue mani tremare leggermente.

“Non ha senso, lo so. È inutile che tu me lo ripeta. Ho passato tante ore, a ripetermelo.” Negava leggermente col capo, gli occhi bassi. “Io sono inquieta. La mia mente è sconvolta, da sempre credo. Forse sono pazza anche io, come tutti gli altri, forse- lo guardò- moriremo prima di quello che crediamo. Jon, io non posso fermarmi.”

Il suo sincero turbamento lo colpì, a tal punto che d’istinto le prese le mani. “Non ha senso quello che dici.”

“Invece sì.” Lei gliele strinse, di nuovo. “Sta per accadere qualcosa di terribile, l’Inverno sta veramente arrivando per questa famiglia.”

“Parli proprio come una Stark” la prese in giro, con un piccolo sorriso.

Ma lei era molto più seria di quello che pensava. “Per questo ho bisogno di sapere, adesso.” Si alzò con la punta dei piedi e le sue labbra sfiorarono appena quelle del ragazzo. Si retrasse. “Sei mio o no, Jon Snow?”

Il ragazzo la fissò un secondo, in trance. Poi mise le mani sui suoi fianchi e l’attirò a sé, con urgenza, e si riprese quel bacio che lei gli aveva solo fatto annusare. La baciò con impeto, passando una mano sulla nuca mentre l’altra premeva forte sul suo delicato viso. Quando la sua lingua entrò nella bocca, Daenerys l’accolse, e sebbene nessuno dei due sapesse come si faceva, la natura guidò entrambi in movimenti veloci, urgenti, bisognosi, mentre lui la trascinava verso un giaciglio, per una volta, vuoto, delle sue uova.

Dany si sdraiò sulla schiena e lui esitò per un secondo, quasi riacquistando lucidità. Cercava una conferma, Dany lo capiva, e in risposta lei mise mano alla sua casacca, cercando il punto in cui si slacciava, in vita.

A quel punto, fermarsi sarebbe stato arginare una valanga. O un masso che rotola piano fino all’orlo del burrone, sembra fermarsi, piano, indugia sul ciglio, finchè, semplicemente, cade.

E Daenerys cadde, quella notte, finalmente, nel fuoco che sognava ogni sera.

Jon la liberò dei vestiti, poi, ebbro del suo corpo nudo, mangiò il suo collo mentre le sue piccole dita da gatta s’aggrappavano a quella schiena a cui troppe volte aveva pensato. Jon le baciò il seno, il ventre, le sue mani lisciarono tante volte la pelle morbida delle sue gambe, avvolto dal fascino bianco dei suoi capelli, dal suo abbraccio. “Non ti farò male” le sussurrò ad un certo punto. Non era vero, il dolore c’era e lasciò un’ampia chiazza rossa a testimone, ma passò prima che lei potesse veramente accorgersene. Si amarono disperatamente e quando Jon, tremando, cadde al suo fianco, lei poteva dire di essere morta e tornata alla vita, almeno due volte.

Il suo cuore non accennava a smettere di rimbombarle nella testa e il soffitto sembrava fluttuare sotto i suoi occhi.

“Sì. Sempre”

Sospirò lui, al suo fianco.

Dany sorrise, cercando il suo sguardo, mentre i suoi occhi viola si scioglievano in qualche lacrima salata.  

 

 

 

 

[… to be continued..]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** PARTE 3 ***


Buon sabato sera a tutti, eccomi, non potevo ritardare ancora! Grazie a tutti i lettori, in particolare ad Halfblood-Slytherin e Dance che hanno recensito e a chi inserito la mia storia tra i preferiti, o la segue. Un abbraccio! Buona lettura! :*

D.

 

 

I’m Daenerys Stark.

(After all, dragon plants no tree)

 

 

 

“Burning papers into ashes,
what a season, how they fly high from the ground up
there is yet another fountain, flowing over, as the night falls,
keep dreaming away”

 

PARTE 3

 

 

Anche quel giorno il vento continuava a soffiare forte nelle Terre del Nord, diffondendo nella valle le sue canzoni ripetute da centinaia di piccole voci verdi, appese ad alberi spogli che le avrebbero perse molto presto, e ad altri che invece non l’avrebbero fatto mai. Sembravano sussurri della natura, voci lontane dei Primi Uomini che continuavano ad ispirare l’operato delle persone pie che sapevano ascoltarli.

La temperatura scendeva di giorno in giorno, tanto che all’inizio non era stato difficile per lei seguire i dettami di Lord Stark riguardo il farsi vedere poco in giro, rimaneva volentieri nel castello, anche tutto il giorno.

Però col passare dei giorni la tensione cresceva in casa Stark e lei non poteva rimanere a reggere i sospiri della Lady o i numerosi sensi di colpa che nutriva verso quella famiglia, per quello che stava accadendo tra lei e Jon, o per quello che c’era ad Approdo del Re. Così, non potendo chiedere alla Lady quanto più non le fosse già stato dato, si era risolta a vendere ad un mercante un piccolo braccialetto di metallo che non le avevano notato in precedenza, quando erano stati requisiti tutti i suoi averi, perché girava attorno alla sua caviglia e si chiudeva con una testa di drago.

Ci aveva guadagnato più di quello che sperasse, una grossa coperta fatta di pelli di coniglio bianco, ed un mantello più pesante del suo, da cui non riusciva più a separarsi.  Sicuramente quell’uomo aveva fatto un ottimo affare, guadagnando molto di più dal gioiello di una famiglia in estinzione. Era terribile che lei continuasse a svendere il passato dei Targaryen, come quando era in viaggio con Vyseris ed ogni giorno se ne andava una parte diversa, prima ottenevano cibo, protezione, ospitalità, adesso aveva in cambio stupide pelli di coniglio ma la sostanza era la stessa; tuttavia era anche terribile- si disse- non riuscire a respirare dal freddo o tremare così tanto da non addormentarsi, la notte. 

Riuscendo a resistere meglio alle temperature, riprese un po’ le sue abitudini: ogni tanto faceva qualche cavalcata con Bran oppure accompagnava la terzogenita Stark a lezione, da Ygritte.

“Ciao, Arya non è con te?”

Anche quel giorno s’era incamminata verso il campo di primule, dove ormai abitualmente si tenevano le lezioni di tiro. Ma non c’era traccia di Arya, c’era solo Ygritte, intenta a sistemare le frecce.

“Non ancora- rispose distrattamente la rossa, senza alzare lo sguardo dal proprio lavoro- è arrivato il suo nuovo insegnante, il tipo di Braavos. Sta parlando con lui in questo momento, noi riprendiamo più tardi.”

La ragazza annuì e poteva andarsene, se voleva, ma il risentimento della giovane cacciatrice era palese, e Dany ne aveva abbastanza dei sensi di colpa.

“Scusami, Ygritte. - disse quindi cercando di trovare il suo sguardo. - ero un po’ tesa, l’altro giorno, quando ti ho risposto male. Ma tu non c’entravi, ovviamente.” 

Ovviamente. Si augurò che Ygritte non fosse sveglia come Arya, nel captare le bugie.

“Sì… l’ho capito, dopo, non subito, ma l’ho capito”

“Capito cosa?”

La ragazza aveva finito di sistemare le sue cose e la guardava. “Che io non c’entravo, no? Molte persone sono così, si lanciano a tutta su chi trovano, quando sono nervose. Invece all’inizio pensavo che lui piacesse anche a te”

Anche a te.

Deglutire ora divenne difficile. “Lui chi?” chiese ancora, immaginando di sembrare un bambino nella fase dei perché o una tonta irrecuperabile.

“Jon! - rispose lei, con una nonchalance che la sorprese. - pensavo che ti fossi stranita e che ci fosse una sorta di competizione tra noi!”

“Jon?” la sua gola era diventata fastidiosamente secca. “Ma… questo è assurdo!”

“Beh non lo era finché non mi hanno detto che sei la promessa sposa di Robb. Allora mi sono sentita molto stupida” concluse, ridendo.

“Già” mormorò Dany, a denti stretti. Poi, quando si accorse di aver straparlato, ancora, tentò di rimediare “oh, non già che sei stupida, già che sono la promessa sposa di Robb!”

Ygritte ebbe il buon cuore di non insisterci troppo. “Tutto chiarito, ad ogni modo. Aspetti Arya con me?”

Daenerys avrebbe volentieri preferito ballare nuda in mezzo ai dei Dothraki piuttosto che restare con la terribile e fantastica cacciatrice infatuata del suo uomo, ma l’aveva offesa già troppe volte e non voleva continuare.

Comunque l’argomento Jon andava bandito se non si voleva davvero svegliare il drago, quindi iniziò a parlare, a ruota. “Sì, certo, perché no? Quindi… è arrivato il nuovo insegnante di Braavos… e tu che farai? … te ne andrai?” Assolutamente disinteressata.

“Ho prolungato la partenza di un paio di settimane- Bene-  Il mio gruppo è stato bloccato all’altezza dell’incollatura e sono in ritardo con il nostro appuntamento. Non ha senso per me partire da sola.”

Daenerys sorrise ma abbassò lo sguardò perché era la faccia più falsa che avesse mai improvvisato.

“Arya ne sarà contenta. Sei molto brava, vi ho osservate spesso in questi giorni.” In questo però era sincera: la piccola Stark aveva fatto progressi tangibili ed in poco tempo.

“Sì, l’ho notato che ci guardavi. Mi chiedevo se volessi unirti a noi.”

Questo la colse davvero di sorpresa. “Cosa? Io?” e la sua incredulità aumentava mentre osservava la rossa fare qualche passo indietro e recuperare l’arco da terra ed una freccia dalla faretra. “Sì. Tu.”

Dany fece istintivamente un passo indietro e sarebbe volentieri scappata all’istante se il proprio orgoglio non glielo avesse impedito. “No, ti ringrazio.”

“Senti… io lo so che una donna come te avrà sempre qualcuno a difenderla, o che combatta per lei.” Interloquì, abbassando leggermente il tono. “E non voglio sminuirti o… offenderti.”

“Non è questo…”

“… ma nessuno conosce il destino, giusto? È nelle mani degli dei. – le porse l’arco e Dany, inspiegabilmente, lo afferrò invece di ritirare la mano – e un po’ anche nelle nostre, se sappiamo incoccare una freccia.”

Ora capiva perché Arya la trovasse fantastica.

C’era qualcosa di ipnotico e dolce in lei, qualcosa che la rendeva ancora più interessante. Doveva aver solleticato il punto giusto, perché Dany sentiva le sue resistenze cederle ad ogni secondo. Ygritte aveva ragione, c’era stato sempre qualcuno che badasse a lei, prima Vyseris, poi la famiglia Stark, adesso addirittura tornava Sir Mormont ad accertarsi che fosse viva al termine della giornata, non aveva nessuno al mondo eppure non era mai stata da sola neppure per una giorno.

“Non so da dove cominciare” balbettò, saggiando la pesantezza dell’arco. Lo guardò, correndo l’occhio lungo la corda sottile e quasi del tutto trasparente.

Ygritte la condusse in posizione di tiro, a circa cento piedi da uno scudo di legno, il bersaglio.

“L’arco è fantastico per una donna. Puoi colpire il tuo avversario rimanendo distante abbastanza da non farti coinvolgere in uno scontro ravvicinato. E se lo manchi, hai un po’ di vantaggio per correre, no? Ma prima della tecnica, c’è la testa. Vediamo, devi visualizzare le tue paure, al posto del bersaglio, ecco, poi prendi la freccia… così- disse, mentre le prendeva la mano e la guidava nel momento- la tiri finché non senti che la corda non ce la fa più e, cosa più importante, nemmeno tu riesci più a resistere, vuoi scoccare la dannata freccia, ricorda che tu vuoi uccidere, il tuo bersaglio. E lasci. ”

Dany pendeva dalle sue labbra ma trovava tutto discretamente difficile. “Bene” disse soltanto, mentre Ygritte si allontanava, divertita. “Su prova!”

E lei provò. La prima freccia cadde a due metri da lei. “Non scoraggiarti!” La seconda volò troppo alta e troppo di lato. “Dai!” La terza le cadde di mano prima di lasciarla e la quarta descrisse una strana parabola prima di cadere storta dal lato opposto della radura.

Ygritte aveva una strana smorfia in faccia. “Così non va- mormorò avvicinandosi di nuovo. - sei troppo rigida.” Spinse l’arco molto più vicino al suo corpo finché la corda non arrivò a premere accanto alle sua bocca. “Tu non reggi l’arco, tu sei l’arco, capito? E tu puoi uccidere, se vuoi. Quel bersaglio laggiù, chi può essere per te, Daenerys?”

La ragazza prese una freccia. In realtà non aveva nessuno di preciso da visualizzare ma s’accorse che qualcuno poteva davvero esserci laggiù, al posto di quel legno e lei poteva ucciderlo, lei aveva il potere di provocare la sua morte, era una vendetta, e si sentiva nel giusto perché quell’uomo era malvagio e si risponde sempre con giustizia, alle ingiustizie. Tese la freccia, finché, come diceva Ygritte, la corda non arrivò a tremare piano fino alle sua labbra. “Dracaris” mormorò piano, prima di lasciarla, e sotto ai suoi occhi, solo per un secondo, il bersaglio prese fuoco. Poi tornò normale.

Ygritte si avvicinò, osservandola in modo diverso rispetto a poco prima. “Molto bene!”

“L’ho preso?”

“No. La freccia era troppo alta. Ma ho visto l’atteggiamento giusto, Daenerys, tieni a mente come ti sei sentita oggi e la prossima volta imparerai a centrare il bersaglio”

Uno strano brivido percorse la schiena di Dany che, no, non avrebbe facilmente dimenticato, come si era sentita. Per una volta, aveva avuto anche lei il controllo della situazione, aveva avuto la sensazione di potersi determinare, di poter decidere da sola, difendersi da sola. Il bersaglio aveva preso fuoco sotto i suoi occhi e anche se non era accaduto realmente, era stata lei a farlo, era stata lei l’arma, l’arco, il drago.

“Grazie Ygritte. E la prossima volta, mi insegnerai a scappare?”

“Sia mai vostra grazia – improvvisò Ygritte con un inchino molto scenico. - vi porterò io, anche correndo sulle mani!”

E le primule furono di nuovo rallegrate dalle loro risate.

 

***

 

“Si mette male.”

Aveva pensato a come iniziare quella conversazione almeno una decina di volte, durante la cena. Ormai a tavola non si parlava più molto, la tensione si sedeva con loro ad ogni pasto, sua madre, Lady Stark, parlava poco ed aveva sempre i lineamenti contratti come se trattenesse del cibo in bocca, ma non mangiava quasi nulla, quindi doveva essere angoscia, o terrore, ciò di cui si saziava. Aveva pensato molto a come iniziare a parlarne, ma non aveva dubbi su con chi farlo: suo fratello Jon. Da sempre era stata la persona a lei più vicina, colui che la capisse di più ed Arya sapeva di potersi fidare di lui. Quando le aveva detto che sarebbe presto partito per il la Barriera (cosa che si continuava a rimandare, comunque), le aveva portato Ago per mitigare un po’ la tristezza della separazione, e per lei era diventata la cosa più preziosa che possedesse. Quella di cui non si sarebbe privata mai.

 Era mattina inoltrata. Aveva sentito che ormai il suo insegnante braavosiano era a meno di mezz’ora dal Castello ed immaginava che quando oltre a lui fosse arrivato anche Sir Mormont non avrebbero più goduto di troppo tempo libero per parlare. Gli allenamenti con Ygritte la impegnavano molte ore e si erano aggiunti alla sua noiosa ed abituale educazione, poi ultimamente trovare Jon era un’impresa cavalleresca, visto che aveva preso l’abitudine di sparire per intere ore, a fare chissà cosa. Allenarsi, diceva lui.

Ma in questo momento era davanti a lei, seduto a lucidare la sua spada con una pietra.

“Si matte male, vero?”

Lo vide sospirare ma non abbassò gli occhi, la guardò più intensamente invece. “Di sicuro non si sta mettendo bene.” Ammise. “Ma … “

“Sansa non ha risposto a nessuna delle mie lettere...”

Non aveva mai amato scrivere ma sentiva una pressione crescente, un’angoscia profonda ogni volta che pensava a suo padre, e a sua sorella, e scrivere le serviva per sfogare i nervi, e se loro avessero risposto, avrebbe almeno avuto l’illusione che tutto fosse più sotto controllo. “Dimmi che succede… e non trattarmi come una bambina, anche tu. Raccontami!” esclamò battendo entrambi i pugni sul tavolo in legno. Septon Chayle che passava di lì diede ad entrambi un’occhiata incuriosita, prima di proseguire per la biblioteca.

Jon posò la spada nel feretro. “Hai ragione. Non voglio allarmarti ma non va bene nemmeno che tu sia allo scuro di tutto. Tua zia ha mandato un messaggio …”

“Il messo dell’altro giorno?”

“Sì. Jon Arrey è morto.”

“Oh…”

“In circostanze poco chiare. Lysa Arryn accusa i Lannister”

La piccola Stark si lasciò sfuggire un altro pugno. “Ancora loro!” mormorò, in collera. Jon le fece cenno di moderarsi, perché stavano attirando l’attenzione di tutti. “Ci avverte di stare attenti.” continuò. “Inoltre ci informa che ha chiesto a nostro padre, in una lettera inviata anche a lui, di indagare, per incastrare il colpevole. Ma a parte questo la nostra posizione è precaria a corte.  ”

La giovane prese un respiro e poi un altro. “Ma nostro padre è stato appena nominato Primo Cavaliere!”

“Sì, ma ha tutto il consiglio contro per questa decisione.  Il Re è in difficoltà, da una parte non dubiterebbe mai della fedeltà di nostro padre, ma dall’altra ha la Regina a ricordargli tutti i giorni che l’ultima Targaryen è viva e dorme da noi.”

“È vero quello che ho sentito? Che una notte i ribelli hanno scritto fuoco e sangue sulle mura della cittadella, attorno al palazzo? – lo sguardo di Jon glielo confermò- ma il popolo rivuole veramente i Targaryen? Insomma il Re Folle…”

“Questi intrighi politici interessano poco il popolo. Se c’è una rivolta, c’è nei piani alti, spesso nel consiglio stretto del Re. Ecco perché Cersei Lannister sta… gestendo… le persone di cui non si fida.”

“Un giorno Daenerys mi ha detto che l’uomo che li proteggeva a Penthos raccontava a Vyseris che a Westeros si pregava per il ritorno dei Targaryen... ma se non è vero, perché le hanno detto queste cose?”

“Non lo so, forse per dargli un motivo per tornare. Comunque noi non perdiamo la calma, d’accordo? Hanno indetto anche un torneo, per la nomina di Lord Stark, lui e Sansa non sono in pericolo.”

Arya prese nervosamente una mela dal piccolo vassoio accanto a lei. Tutta questa ansia le aveva messo fame. “Proverò a ripetermelo.” Disse, prima di addentarla. “Perché la mamma e Robb sono così tesi, allora?”

Fu questa volta che Jon abbassò lo sguardo. “Dammene un morso.” Disse allungando un braccio, ma la sorella aveva già prontamente allontanato la mela. “Prima rispondi.”

“Suppongo perché sua sorella abbia chiuso la lettera con un liberati di lei.”

Con un’espressione seria in viso Arya passò la mela a Jon, come promesso. “Ma non lo faremo, giusto? - Jon avrebbe tanto voluto rassicurare anche se stesso, su questo punto-  Non possiamo abbandonarla fa parte della nostra famiglia! E poi dove potrebbe andare?”

“Aspettiamo le istruzioni di Lord Stark. È andato a Sud anche per questo, no?”

La loro chiacchierata si concluse di lì a poco. Fecero cenno ad Arya che il suo insegnante era appena arrivato e che stava bene che lei raggiungesse sua madre e Robb, per accoglierlo. “Vado” sorrise al fratello, che le sorrise di rimando, in segno di congedo.

Arya era stata molto eccitata all’idea di quelle nuove lezioni ed aveva anche pensato che l’avrebbero aiutata a distarsi dai suoi problemi; invece il pensiero fisso di suo padre, di sua sorella e di Daenerys l’accompagnò per tutto il giorno sotto la forma di un groppo fastidioso alla bocca dello stomaco. E nemmeno il ripetersi non c’è motivo di stare agitati servì a mandarlo via.

 

***

 

I due cavalieri si affiancavano al galoppo da circa una mezz’ora. Erano usciti per la caccia ma fin ora nessuno dei due aveva sfoderato il suo arco, né avevano fatto cenno di fermarsi a nessuna radura. Il ragazzo moro apriva la corsa ed i suoi occhietti stretti perlustravano la zona alla ricerca di qualcosa di diverso della cacciagione.  Passi ritmati dei cavalli nelle loro orecchie punte dal freddo, lo scrosciare dei rami al loro passaggio, il silenzio ingannevole del bosco, a circondarli.

“Qui va bene!” urlò ad un certo punto, al compagno, facendogli cenno di fermarsi anche lui. Avevano scelto un infittimento del bosco per fermarsi ma non avevano intenzione di scendere da cavallo. Robb Stark confermò “Sì, va bene.” Disse guardandosi leggermente intorno.

Theon si accostò a lui. “Ho notizie.”

“Bene.”

Al Castello era diventato troppo pericoloso parlare di certe cose e anche lui si sentiva spesso osservato. “Hai incontrato i vassalli di mio padre?”

Theon annuì, vigorosamente. L’aria era fredda ed usciva vapore bianco dalla sua bocca, ogni volta che parlava. “Sì. L’omicidio di Jon Arryn è stato solo l’ultimo della lista.”

“Omicidio” ripeté lo Stark inarcando un sopracciglio.

“Tendono a chiamare le cose col loro nome, ho notato. Ognuno di loro ha tanti motivi per voler vedere i Lannister nella merda”

“E chi non ne ha”

“Qualcuno di più. Nella capitale si parla di draghi più di quando c’era Aegon.”

“Chi sono.”

“Nessuno lo sa, direttamente. Dicono che è forte il sospetto che ci sia Doran Martell dietro tutto questo.è risaputo che puntasse tutto su Vyserys ma è finita con lui. E forse hanno qualche idea sulla sorella.”

“Ma con i sospetti non si fanno alleanze, Theon”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Uno dei vassalli di tuo padre dice che Lord Stark sta indagando su questo, come Primo Cavaliere. E che potrebbe essere lui stesso a dirtelo. Molto presto”

Robb sospirò. “Beh, sono molto ingenui se pensano che mio padre laggiù abbia veramente del potere. Lo hanno nominato per tenerselo buono, per tenerci buoni tutti quanti. È poco più di un ostaggio.”

Uno dei cavalli iniziò ad agitarsi. Theon iniziò a guardarsi intorno. “Comunque, sono tutti d’accordo che non ci siano i presupposti.”

Robb rise amaramente. “Che intendi per presupposti.”

“Dicono che la rivolta si soffocherà da sola. E che dopo Jon Arryn i Lannister adesso staranno molto cauti con le loro mosse, per non stuzzicare gli animi. Quanto a Dorne… se hanno progetti su Daenerys, o se vogliono te e Daenerys, forse dovremmo esserne certi prima di fare cazzate.”

Robb annuì, aveva capito l’antifona. I tempi non erano maturi. Nessuno l’avrebbe appoggiato contro i Baratheon, forse nemmeno sua madre sarebbe stata con lui nella rivolta. D’altro canto, non aveva niente in mano, nemmeno il nome di un rivoltoso, niente. “E la Targaryen?”

Un sorrisetto sghembo comparve sul volto del protetto di suo padre. “Nessuno ti impedisce di spassartela, Robb.”

“Che ne pensano di lei.”

“Che non abbia niente del drago. O mi sbaglio?”

“In effetti sembra davvero estranea alla ribellione. Come se non le interessasse.”

“Appunto. E nessuno di quegli uomini è pronto a combattere per qualcuno che non si interessa”

Il giovane Stark si passò una mano tra i capelli. “Non voglio consegnarla ad Approdo del Re. La faranno a pezzi.”

“Oh andiamo, lo sanno tutti che è docile come un cagnolino.”

“Non la conosci”

 “Vedrai che nessuno ti chiederà di consegnarla. La sua indifferenza mantiene tutto in equilibrio, non ti pare?”

Un lupo ululò, distante.

“Già”

 

 

***

 

 

“Avvicinati”

Le sussurrò, cercando di accarezzarle la guancia con la mano, la trovò e il suo pollice vi disegnò dei piccoli cerchi, sistemandole ribelli ciocche bianche dietro il piccolo orecchio. “Ancora?” rise lei, obbedendo ed avvicinandosi effettivamente di più al suo uomo, nudo, come lei, nella bianca pelle bianca di coniglio. Lui ricambiò il sorriso, la prese tra le braccia, lei si aggrappò alle sue spalle, appoggiò la testa sul suo torace scolpito ma gentile, sfiorando con le dita la perfezione bianca della sua pelle calda. “Sei sempre caldo.” Mormorò spiandolo con le sue iridi viola.

Jon sospirò iniziando a ripercorrere con le dita le piccole vertebre di Daenerys, lei trattenne il fiato mentre parallelamente una serie di brividi si irradiavano sul suo corpo. Gli stampò un bacio delicato sullo sterno, nel punto in cui sentiva di più il suo cuore. Le ore passavano lente, quando non passavano insieme, invece quei rari momenti che riuscivano a ritagliarsi trascorrevano con una crudele velocità. 

Si osservavano di nascosto, come due ladri, ed era in effetti quello che erano, ladri e bugiardi, Jon s’era preso quello a cui il fratello teneva di più, e lei continuava a mentire a tutti, su stessa, su quello che provava, su quello che voleva, su quello che il suo destino continuava a suggerirle. Stare con Jon sembrava aver aperto le porte della sua mente, prima non sapeva dove e come poteva spingersi a prendere ciò che desiderava, adesso sapeva che era facile, bello, e che era giusto, essere dov’era.

C’era una stanza che Daenerys aveva trovato, cercando di far passare il tempo nel castello Stark, che dava su un’altra stanza, ancora più piccola e nascosta, proprio sotto ad uno dei tetti più alti, vicino alla torre, tanto che il soffitto risultava più basso rispetto al resto della casa.

Come d’accordo, Jon l’aspettava ogni notte nell’ora più buia, a cavallo dell’ultimo corridoio, prima delle stanze della servitù. Lei arrivava tutte le notti, puntuale, come uno spettro bianco, con una candela troppo piccola in mano. “Vieni, Jon Snow” sussurrava sorridendo, dopo che lui l’aveva baciata ed abbracciata, come sempre. E poi la seguiva, viaggiando quasi ciechi per ali del palazzo e lei conduceva il suo Lupo, nella loro stanza, fatta di legno, pietra ed una pelliccia di coniglio bianco barattata.

“Non scherzavi quando parlavi di … un rifugio” aveva detto la prima notte, sorridendo. “Che cos’è questo posto.”

“Una Tana”

 

***

 

“Questo posto mi fa starnutire ogni volta.”

Era tardo pomeriggio. Una piccola eccezione alla regola.

“La prossima volta prova a cercarla tu un’altra stanza, vuota, isolata, e non terrificante.”

“Perché terrificante? Quelli sono i Bolton, a nascondere cose terrificanti, non gli Stark”

“Non dico che la tua famiglia nasconda cose terrificanti, è solo che prima di arrivare a cercare in alto, sono andata in basso e… mi sono ritrovata in una gigantesca caverna piena di statue e…”

Jon rise “Nel cimitero? Tu nelle cripte degli Stark?”

“Non lo sapevo che erano cripte! Non sapevo che c’era niente di tutto ciò!”

L’uomo si sedette sulla pelle bianca, facendo cenno che si avvicinasse a lui. “Una Targaryen nella cripta, sei stata fortunata che non si siano tutti risvegliati per mangiarti viva!” Lei rise inarcando un sopracciglio “I morti Stak sono stati molto clementi con me”

Lui le accarezzò le labbra e poi vi stampò sopra un bacio leggero. “Anche tua madre è lì? Forse è stata a lei a proteggermi dall’assalto degli altri.” Continuò lei, non trovando però in lui la stessa disposizione allo scherzo. “Scusa” mormorò “Sono spesso poco delicata”

Jon sospirò “Quella su mia madre è una storia che non ho mai avuto il diritto di ascoltare”

“Dici sul serio? Non sai chi sia?”

Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Non so nemmeno se è morta o se è ancora viva. Lord Stark ha sempre rimandato il momento in cui avremmo affrontato l’argomento… prima di partire, mi ha detto che lo faremo al suo ritorno.” Qualcosa dentro di lui sembrava avvertirlo che non ci sarebbe stata, mai, in nessun luogo, l’occasione per quella chiacchiera, ma era molto difficile affrontare un pensiero del genere.

“Quindi, no, non so chi sia, ma sicuramente anche se è morta non ha posto tra gli Antenati Stark.”

“Hai ragione, figurati” commentò lei, pensando alla disposizione d’animo di Catelyn Stark, nei confronti di Jon. “Lady Stark si sarebbe fatta tagliare un braccio, piuttosto”

“O l’avrebbe tagliato a me”. Risero, e Daenerys s’allungò fino ad appoggiare la testa sulle gambe di Jon, cosa che aspettava da tutto il giorno. “Neanche io l’ho conosciuta, mia madre. –lui le accarezzò i capelli sulla fronte, dove avevano l’attaccatura- mi manca comunque, però.”

“Anche a me.” Ammise lui. “La neve è nell’aria, lo sai?”

Le iridi violette di Daenerys si illuminarono. “Non vedo l’ora.”

“Non ti piacerà. Sei troppo freddolosa. Ma la neve è sempre una sorpresa, per chi non la conosce.”

“La tua spasimante mi ha insegnato a tirare con l’arco.” Sorrise lei toccandogli il viso.

“La mia, chi?”

Dany inarcò un sopracciglio, stizzita. “Sai benissimo che parlo di Ygritte. E sai anche che è invaghita di te. E adesso so che non posso detestarla, perché è molto in gamba.”

“Quindi ora sai scoccare frecce ed uccidere un uomo.”

“No.” Daenerys si alzò leggermente col busto. “Ora so che posso farlo.”

 

***

 

Sapeva che sarebbe giunto il momento, si era preparata all’idea, eppure, ora che era giunto, si accorgeva di non essere davvero pronta. Sir Jorah Mormont era nel cortile di casa Stark, di fronte a lei. Vedendola arrivare si chinò appena col capo e non osò alzare lo sguardo, finché lei non arrivò vicino a lui. “Sir Jorah Mormont.” Sentì nell’aria l’odore forte di spezie che c’erano nella sua camera, a Pentos, l’aria calda ed umida, e quell’odore di morte che aveva imparato a riconoscere.

“Sì, Daenerys. Sono tornato.”

 

 

“Tesoro, principessa Daenerys… devo darti una terribile notizia.”

I suoi occhi erano ancora gonfi delle lacrime che aveva pianto per il fratello, quando Migistro Illyrio era entrato in camera sua, scostando il drappo di seta purpurea che ne ornava la porta.

Daenerys si alzò dal letto.

Non era solo. Due soldati robusti lo scortavano a destra e sinistra. “Khal Drogo non vuole più sposarti, principessa, me ne rincresce molto. Un lutto del genere nella famiglia della sposa è un terribile presagio nella tradizione Dothraki… come se tu portassi in dono la morte.”

“E anche tu mi stai portando in dono la morte, non è vero Illiryo?”

I due soldati sogghignarono. Era chiaro. I Dothaki non la volevano più, Viserys era morto… che se ne faceva Illiryio della decaduta Targaryen? Poteva solo venderla.

“No.” Illiryio alzò le braccia. “Ma non posso nemmeno tenerti con me, Daenerys. Ti chiedo di lasciare questa casa, in nome del bene che tu mi vuoi. Sono stato fedele a te e al nostro Re Viserys finché…beh, finché ho potuto. Ma è troppo pericoloso per me, Daenerys. Troppo.”

Si strinse nelle spalle. “Che farò?”

Illiryo si spostò di lato e lo stesso fecero le guardie.

Un quarto uomo entrò nella stanza di Daenerys, la camera che lei chiamava casa. Prima ancora che un servo accendesse una nuova torcia, lei lo riconobbe. L’aveva visto al suo primo incontro con Drogo, al palazzo Dothraki. Era Mormont, il cavaliere in esilio, l’uomo che aveva giurato la sua spada a suo fratello.

“So che hai già conosciuto Sir Jorah Mormont”

I loro occhi si agganciarono, ma solo per qualche istante. L’uomo distolse velocemente lo sguardo e Daenerys capì che non aveva più nemmeno lui. “è tornato a fare il venditore di schiavo, Sir Mormont?”

“Lui ti accompagnerà a Westeros, principessa.”

Il suo cuore ebbe un tonfo. “Westeros? Il Re mi vuole morta!”

“Daenerys.” La voce bassa e calma del cavaliere l’interruppe, con veemenza e gentilezza. Uno strano connubio. “Re Robert Barathleon sa che sei qui. Ha ucciso Viserys e vorrà fare altrettanto con te, non ti permetterà di nasconderti di nuovo, di cercare di sposarti di nuovo e dare alla luce figli che potrebbero nuocergli.”

Per Dany quelle parole non avevano molto senso. Le importava di Westeros come delle zecche ai cani, non avrebbe mai permesso ai suoi figli di ossessionarsi come lo era stato suo fratello. Era inconcepibile per lei pensare che ad Ovest la sua vita premesse a così tante persone, persino al Re.

“Che devo fare.”

“Io e questi uomini ti porteremo a Nord. C’è una taglia sulla tua testa e Pentos è piena di mercenari e di uomini che aspirano al titolo di Lord.”

“O al perdono del Re.”

Le sue parole saettarono verso il Cavaliere come una freccia. Doveva aver centrato il bersaglio perché Illiryo intervenne prontamente. “Ad ogni modo, principessa…- non chiamarmi mai più principessa, pensò lei, ardentemente- i mercenari sono gente rude e manesca, potresti subire molti abusi o arrivare a re Robert in fin di vita o, se vorranno, recapitarti direttamente come testa mozzata. Al Re non fa nessuna differenza, credimi. Invece Sir Jorah non ti farebbe mai del male”

“Che differenza fa se devo comunque morire”

“Ma c’è un altro modo! Mia principessa…”

“Non chiamatemi più principessa!”

Nessuno s’aspettava che urlasse. Jorah ed Illiryio si scambiarono uno sguardo.

“Daenerys- proseguì il primo.- possiamo andare a Nord, dalla famiglia Stark. Eddard Stark è un uomo ragionevole… ”

“Il Ragionevole Cane dell’Usurpratore”

“Non è un sanguinario.” Continuò Illiryio. “Non avrebbe mai voluto l’assassinio della tua famiglia, questo è risaputo in Westeros. Potrebbe proteggerti.”

“È una speranza.” Sospirò Mormont. “L’unica.”

 

Lei gli porse la mano e lui l’accettò velocemente. “Posso chiedere il vostro perdono?”

“E perché mai.” Continuò lei, un po’ commossa. “Avevate ragione sugli Stark e anche su Lord Eddard. Mi avete salvato la vita.”

“Ho fatto solo ciò che mi era sembrato giusto.”

Lei gli sorrise. “Molto di più. Sei tornato.”

 

 

***

 

“Ti ho pensata per tutto il giorno.”

Ansimò lievemente Jon arrivando con la bocca al suo collo, alla sua nuca, i suoi capelli, di nuovo le sue sopracciglia e le sue labbra. “Quando Robb ti ha toccato la mano credevo di impazzire” Dany lo fissò, e il ragazzo lesse strane cose nei suoi occhi distanti. “Robb non è problema, Jon. Sposarmi è diventato pericoloso per lui, anzi, per tutta la famiglia, è diventato pericoloso avermi qui.”

“Che dici…” si sentiva confuso. E stanco. Per passare il tempo aveva aiutato tutto il giorno a preparare la legna per l’inverno in arrivo e adesso si sentiva come se non riuscisse ad arrivare alla più semplice conclusione logica.

“Quello che ho detto. Non può sposarmi”

“Ti vuole. Io conosco mio fratello.”

“Forse dovrei andarmene.”

Fu come se qualcuno gli avesse annaffiato la testa con un catino d’acqua ghiacciata. Si mise a sedere e costrinse lei a fare altrettanto. “Cosa?”

Lei gli prese la mano. “Non posso più stare qui, Jon. Sta diventando pericoloso per i tuoi fratelli e la tua famiglia e io non posso accettare di danneggiarvi.  Posso farcela, me la caverò. Ne parlerò con Sir Mormont, mi farò accompagnare da lui.”

“Accompagnare dove? Che diavolo stai dicendo Dany?”

Lei si tirò addosso uno dei suoi vestiti. “Non voglio coinvolgerti in questo.” Ma lui le prese il braccio e la costrinse a voltarsi. “Dove stai andando”

“Nella mia stanza.”

“Daenerys”

Lei distolse lo sguardo. “Ti prego, Jon.”

“Ti ascolto.”

Lei si voltò a fissarlo. Capì che non l’avrebbe lasciata andare senza un racconto.

 

***

 

 

Catelyn Stark l’avvicinava raramente.

L’osservava spesso, di sottecchi, o per curiosità, o per controllarla, ma sempre da una certa distanza di sicurezza, come se lei fosse una sorta di mostro magico, una leggendaria creatura della cattiva sorte, da tenere sotto controllo senza coinvolgersi, per non restare contagiati.

“Daenerys.”

Per questo, quando l’aveva avvicinata, quella mattina, Dany si era sinceramente meravigliata. Era arrivata sulla soglia della sua stanza ma non aveva bussato, aveva semplicemente aspettato il momento in cui stesse per uscire, per sorprenderla, davanti all’uscio. Un comportamento decisamente insolito ma la giovane non ebbe il tempo di ragionarci su, quando se la vide di fronte.

“Lady Stark”

“Posso entrare e parlarti?” Il modo in cui aveva sorvolato su quello che vedeva, le uova e il braciere tenuto come una reliquia, le sue cose, e anche la disinvoltura con cui era entrata, le aveva dato l’idea che quella non era affatto la prima volta che la Lady entrava nella sua stanza, anche se non si ricordava di averle aperto nemmeno una volta.

“Che succede.”

“C’è posta, mia cara.” I suoi grandi occhi verdi sembravano volerla incatenare al muro. “E spero che mi spiegherai che significa.” Tirò fuori dalla schiena una piccola lettera bianca tenuta a sigillo con della cera lacca. Era già stata aperta. 

“Non capisco…”  Mormorò lei prendendola in mano. Chi poteva scriverle?

“Aprila.”

“Vedo che ci ha già pensato lei.”

Disse, inacidita, ma obbedì senza aggiungere altro. La sfogliò lentamente con lo sguardo e si rese conto che non era scritta nella lingua dei Sette Regni. Era in Alto Valyeriano. “Ma è…” Daenerys la girò ed arrivò alla fine, dove il suo mandante firmava il suo scritto.

“Elia Martel?” sussurrò, aggrottando la fronte. “Non ha senso. Era la moglie di mio fratello ed è…”

“Morta”

“Bene, ora gli Inferi si connettono con me.”

“Gli Inferi si connettono con tutti, Daenerys” l’aveva corretta la Stark, concitata. “Ed io non resterò a guardare mentre la mia famiglia viene sconvolta per una …”

“Targaryen?”

“Ragazzina” la corresse. “Impaurita.”

Una strana rabbia le scorse nelle vene. “Io non ho paura.”

“Dimostralo.” Rincarò la dose la donna indicandole la lettera. “Traduci.”

 

 

***

 

“Chi è il vero mittente.”

“Io e Lady Stark pensiamo che il sia il principe di Dorne. Non lo scrive mai direttamente”

“Tu e la Lady” sbuffò Jon attirando di nuovo la lettera a sé ed avvicinando la candela per guardarla meglio. “E che dice.”

“Mi invita.” Daenerys fissò il suo uomo negli occhi. “A Sud. C’è una precisa coordinata e noi confidiamo che corrisponda al suo castello. Io e Catelyn riteniamo che…”

“Tu e Catelyn?” rimarcò di nuovo Jon, tirando malamente la lettera nell’altro capo della stanza. “Daenerys perché non sei venuta da me.”

Lei scrollò le braccia. “E dove sono, adesso.”

“Perché non hai chiesto il mio parere.”

Era vero. Perché non era corsa subito da lui, invece di aspettare un giorno intero? “Io…”

“Tu. Esatto, tu. Lo sai facendo di nuovo? Mi stai estromettendo? Con tutto quello che sta succedendo tra noi pensavo di aver acquisito il diritto di conoscere i tuoi pensieri!” gridò e lei riconobbe il MetaLupo, nei suoi occhi, l’orgoglio che suo padre gli aveva trasmesso nelle vene. “Sei venuta da me, soltanto per comunicarmi che te ne saresti andata!”

“Io volevo proteggerti…”

“Dovrei ringraziarti per questo? Almeno mi hai avvertito!”

Lei terminò di vestirsi, senza dire nient’altro, finché non aggiunse. “Non avresti capito.”

“No sei tu che non capisci! Vuoi sapere dove porteranno quelle coordinate? Dritte alla forca di Approdo del Re! È una trappola, non c’hai pensato?”

Lei si voltò. “È un rischio che ho ponderato.”

“Rischio che non hai bisogno di correre”

“Jon.” Lei gli prese le mani e lo guardò dolce negli occhi, come quando avevano fatto l’amore e passavano i minuti semplicemente a fissarsi. “Hai ragione quando dici che durante l’Inverno i cuccioli devono restare uniti ma io non sono uno di voi. Catelyn ha ragione quando dice che ho portato guai a questa famiglia”

“Daenerys…”

“È così. Mi chiamo Nata dalla Tempesta e non solo perché non splendeva il sole, quel giorno, e nemmeno perché mia madre è morta di parto. È il mio destino e non posso sottrarmi per sempre, non posso avere paura e nascondermi né tirarvi dentro. Io devo andare avanti, io non posso…”

“Piantare alberi?”

Lei strinse i denti. “Non prenderti gioco di me.”

“È troppo pericoloso.”

“Restare è troppo pericoloso. Tuo padre e Sansa non navigano in belle acque, se io parto la tua famiglia, la famiglia che mi ha salvato, sarà di nuovo al sicuro. Ed io sarò dai Martell, che sono l’unica… parte…di famiglia che mi rimangono!”

Il ragazzo abbassò gli occhi. “Pensavo di essere io, la tua famiglia.”

“Catelyn mi ha detto che tuo zio scenderà la settimana prossima, come tu gli hai scritto di fare.” Jon alzò gli occhi su di lei, che li aveva gonfi ormai. “Te l’ho già detto, Snow. Non prenderti gioco di me.”

Lui si passò istericamente una mano tra i capelli. “Catelyn lo sa.” Ora era tutto molto più chiaro.

“Cosa?”

“Di noi due. Ti ha mentito appositamente.”

“Ma …”

 “È falso, io non ho scritto a mio zio, e lei non avrebbe puntato proprio su questo, per farti partire!” Il cuore di Dany riprese lentamente a battere. “È vero quello che dici? Dici sul serio?”

“Con tutto il cuore” Si rivestì anche lui e le prese delicatamente la mano. “Volevo prendere il nero perché non avevo un posto o uno scopo, per vivere. Ma ora ce l’ho. Se è vero che il principe di Dorne ti vuole a Sud perché ti vuole proteggere e vuole il tuo nome per la rivolta, io sarò con te. Parto con te.”

“Dici sul serio?” ripeté di nuovo e lui inarcò il sopracciglio. “Non sta bene darmi del bugiardo.”

Lei sorrise. “E la tua famiglia?”

“Non sono soli. E io starò con la mia, di famiglia” lei gli accarezzò la guancia, teneramente, ma lui non aveva finito. Si inginocchiò, davanti a lei, la donna che lo aveva rapito dai suoi programmi, dai suoi schemi, dal suo non-futuro, si inginocchiò in quel posto stretto e buio, nella loro Tana, pronto ad impegnarsi, per sempre, con la sola donna che avesse mai amato.

“Jon… che fai.”

“Non interrompermi. È il mio turno di parlare.” L’agganciò con lo sguardo e vide che lei era decisamente in preda al panico. “Catelyn Stark mi ha sempre detto di essere un uomo fin troppo ardito per la mia posizione e gli dei sanno quanto ha ragione, a vedermi adesso. Io sono un bastardo e se anche non puoi sposare Robb tu meriteresti un uomo diverso, un titolo diverso, perché eri una principessa, e perché sei veramente, come dici tu… il sangue di drago.”

“È solo una cosa senza senso.”

“È ciò che sei. Per cui perdonami se sfido il mio destino e forse anche gli dei ci malediranno e in primis odieranno me che oso mettermi contro il tempo e lo spazio in cui viviamo. Ma ti chiedo di sposarmi, Daenerys.”

La vista le sembrò annebbiarsi per un secondo. Jon aveva ragione, quando diceva che stava sfidando tutto, perché probabilmente non era quello che si aspettavano gli uomini del Nord, che scommettevano sull’unione di un vero Stark, con una Targaryen, per combattere i Lannister e nemmeno quello che volevano i Dorniani, a cui forse non sarebbe piaciuto vederla arrivare già maritata, anche Catelyn aveva congetturato che volessero darla in sposa a Quentyn, il giovane erede Martell.

Ma questo poteva davvero impedirle di accettare Jon? Era davvero quello che voleva, andare a Dorne ad essere di nuovo un oggetto, la donna con un cognome, il volto per una rivolta, a patto della sua mano, della sua vita, essere ancora alla mercé di tutti, Robb, Quentyn erano così diversi da Drogo? Ora non c’era più nessuno a venderla, eppure si sentiva ancora legata a quella assurda logica? Quando sarebbe arrivato il momento di rompere la ruota, l’assurdo circolo vizioso, e prendersi la vita che desiderava davvero?

Forse era questo che significava il loro motto, significava non arrendersi. Combattere. Con fuoco e sangue.

I suoi occhi erano ancora tanto ciechi della realtà, che sentì se stessa lontana, come se fosse in un posto decisamente più caldo, sospesa, su un drago?

No, su un cavallo, forse non era se stessa ma era Raegar, come il nome che tutti stavano urlando e davanti a lui c’era Elia, ma non era nel suo cuore, e lui si voltò e con lui, lei, tutti si voltarono, verso la ragazza dal sorriso dolce, verso Lyanna Stark.

E Daenerys vide. Vide che di nuovo c’era uno Stark nel cuore di un Targaryen e si chiese se di nuovo avrebbe cambiato le sorti del mondo, se avesse scelto come suo fratello, se solo come lui avesse trovato il coraggio di deludere sua moglie, i suoi figli, suo padre, il suo paese, attraversando l’arena e gettando la corona di fiori dinnanzi a Lyanna Stark, se solo anche lei poteva dire di sì, di nuovo, al suo cuore.

“Dany” Jon la riportò alla realtà. “Questo sarebbe il tuo turno”

Lei gli sorrise e capì che tutto era compiuto.

“Sì.”

 

 

 

 

 

 

 

 

If you hold on to that past, don't you lock yourself inside,
Nothing has been done before
It’s the most virgin dress you could possibly wear
Mess it up, Time is up

Dust it Off.

 

 

 

[to be continued…]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** PARTE 4 ***


Eccomi, sono tornata!!! Scusate, amici, per il mio spaventoso ritardo! Diversi impegni ed una brutta influenza mi hanno decisamente remato conto ma eccomi qua! Voglio ancora una volta scusarmi se i fan di questa meravigliosa saga che è Game of Thrones (che non mi appartiene, of course) troveranno questa storia decisamente bizzarra ma era da troppo tempo che la mia mente la elaborava… non ho potuto fare a meno di buttarla per iscritto!

Un grazie sincero a tutti i miei lettori, in particolare a chi ha recensito il precedente capitolo: Dance, Joanna Snow, Laucace_Giuls17_ e Geneve: grazie!

aspetto con ansia, come sempre, le vostre opinioni! Per il momento vi auguro una buona lettura!

Vostra, D.

 

 

 

 

I’m Daenerys Stark.

(After all, dragon plants no tree)

 

 

 

 

PARTE 4

 

 

Ultimamente i giorni trascorrevano veloci, tutti uguali e statici ed Arya aveva spesso l’impressione che le scivolassero dalle dita, come se fossero liquidi.

Finalmente, dopo tanto tempo, era arrivata una lettera da sua sorella Sansa ma era così piatta e vuota che non poteva quasi credere che fosse davvero stata lei a scriverla. Certo la calligrafia combaciava e c’erano anche diverse delle espressioni che sua sorella effettivamente usava abitualmente, nel parlare, ma nel complesso era uno scritto straniante e vuoto e Arya si rifiutava di credere che avessero in poco tempo trasformato sua sorella in un abito con le trecce, senza un minimo spessore.

Per questo avrebbe voluto non riceverla mai, quella lettera, perché invece di placare in qualche modo la sua ansia l’aveva aumentata rendendola schiava del dubbio che qualcuno li controllasse e che le cose andassero talmente male che non v’era modo di comunicare, nemmeno per iscritto, nemmeno per la promessa regina dei Sette Regni.

In tutto questo le lezioni con Sirio erano un balsamo a cui non poteva pensare di rinunciare. Il suo maestro le aveva insegnato in poco tempo la leggerezza e la grazia dei movimenti giusti in un combattimento e oltre ad istruirla a padroneggiare la spada, e le aveva assegnato anche diversi compiti buffi come acchiappare gatti o topi all’inizio, e poi le aveva chiesto di imitarli, strisciando e camminando come loro, senza essere vista, leggera e letale, le diceva spesso Sirio, parlando di lei, della lotta, della morte.  

Lei pensava che quegli allenamenti l’aiutassero a capire qualcosa in più di se stessa, lo scopo finale era conoscersi e poi sfruttare le proprie abilità a suo vantaggio, ma quel tardo pomeriggio, Arya Stark capì che non avrebbe scoperto qualcosa solo su stessa, ma in un modo o nell’altro, anche su qualcun altro.

Stava esplorando la Prima Fortezza, un luogo che lei reputava magico, perché solitario, vecchio, dimenticato, un po’ fuori posto e a lei piacevano le irregolarità dei mostruosi visi dei Gargoyle che stavano a guardia della rocca, e la pesante malinconia che si respirava, visitandola. L’aveva costeggiata con leggerezza, prima seguendo un gatto, poi quando il gatto aveva cambiato strada e il seguirlo l’avrebbe portata altrove, si era fermata, incuriosita, dall’impressione di udire delle voci, provenienti dall’interno.

“Non è possibile. Nessuno viene qui.” Mormorò scegliendo di circumnavigarla dall’altro lato, la struttura era bassa e tozza, non era che un ricordo delle vecchie costruzioni e per poter sbirciare dentro non c’era quasi bisogno di arrampicarsi, bastava salire di un piano, come fanno i gatti.

Le voci non se le era inventate. C’erano ed erano stranamente familiari.

Arya si mosse leggera, curiosa, e man mano che si avvicinava aveva l’impressione di non dover essere lì, uno strano brivido percorreva la sua schiena ma non ne capiva il motivo. Poteva andarsene ma ormai non aveva senso essersi spinta fin là e non avere una risposta, ed era ancora un po’ distante, non poteva quasi distinguere nessuna parola. Tanto valeva avvicinarsi un po’ di più e capire che succedeva, di gran segreto, nella Prima Fortezza.

Arrivò appena sotto uno dei muri crollati e non poteva proseguire oltre o l’assenza di pietre l’avrebbe smascherata. Doveva appena sporgere il capo ma doveva farlo in modo cauto e ragionato, senza fare rumore o l’avrebbero vista. Si prese qualche istante e ne approfittò per cercare di capire chi fosse la donna, la più familiare delle due voci, e perché fosse così agitata. Parlava velocemente e a bassa voce, il suo interlocutore era un uomo e sembrava spazientito ed arrabbiato.

Lui parlava ancora più piano rispetto a lei, ma aveva un tono più profondo ed Arya riuscì ad intendere diverse parole, prima senza senso tra di loro, poi man mano, acquisirono significati strani ed assurdi come unione aberrante, matrimonio segreto.

Ma fu quando sentì tradimento agli Stark che Arya capì di non poter più aspettare altro tempo. Prese un respiro come gli aveva insegnato Sirio, contrasse i muscoli dei lombi e sporse il capo dalla rovina del muro, appena quanto bastava per vedere. Il suo cuore mancò di un battito e una feroce rabbia rischiò di toglierle la vista.

Aveva visto e sentito abbastanza.

Tornò indietro velocemente, come un felino in fuga, gli occhi che minacciavano di trasformare la rabbia in lacrime, e uno strano senso di sudore freddo che l’accompagnava nel ritorno. Non poteva credere che Daenerys potesse essere in quella stanza, in una stanza dove aveva chiaramente sentito qualcuno dire le parole tradire gli Stark.

Eppure non c’erano dubbi. L’uomo non lo conosceva, lui poteva vederlo di fronte ma la distanza non gli permetteva di distinguerne bene i tratti del viso, ma lei, oh su di lei non aveva dubbi. Nessuno era tanto tracciabile al Nord come Daenerys Targaryen, i suoi capelli bianco argento erano il suo biglietto da visita, e poi la conosceva così bene ormai da saperla riconoscere anche senza quel dettaglio, passava con lei molto tempo sapeva quali erano i suoi abiti e quella voce, sì tutto tornava, adesso sapeva perché le era così familiare.

Un qualunque pensiero dei loro pomeriggi insieme la portò a considerare che Daenerys poteva essere lì per sventare un tradimento agli Stark, perché forse aveva scoperto qualcosa. Purtroppo anche se il suo cuore desiderava ardentemente che fosse così, sapeva che non poteva essere vero. Era l’uomo che appariva indignato, era lui che aveva detto sarebbe come tradire gli Stark.

Era lei che macchinava. Era lei che… tradiva? Com’era possibile? Pensò a sua madre e a Sansa e si ricordò delle tante volte che l’avevano messa in guardia su di lei, intimandole di non legarsi troppo alla straniera perché non era una di loro e presto o tardi sarebbe venuto fuori.

Una delusione cocente riportò Arya nella sua stanza. A breve sarebbe dovuta scendere per cena, ma non aveva alcun appetito, solo una gran voglia di piangere.

 

***

 

“Niente, e tu?”

“Niente.”

Sospirò lui, all’imbocco della Torre della Biblioteca, il luogo in cui si erano dati appuntamento, per parlare, prima di scendere a cena. Jon sembrava incupito ed era nervoso come un cane in gabbia, i suoi occhi erano inquieti come quelli di un uomo che non si era mai fermato, negli ultimi giorni. In effetti era così: nelle ultime ore non v’era paesano che Jon non avesse consultato alla ricerca di un septo o di una septa, possibilmente in viaggio, di passaggio, come quelli dell’ordine dei poveretti che rimanevano poco in ogni luogo, cercavano adepti e, magari, avevano voglia di celebrare anche un matrimonio scomodo, per così dire. Ma non aveva avuto fortuna e la cosa lo stava progressivamente deteriorando, rendendolo nervoso ed insofferente.  Gli uomini di culto che era riuscito a consultare avevano strabuzzato gli occhi e parlato amaramente, i più sgradevoli, mentre avevano solo negato col capo ed augurato alla coppia di ravvedersi presto, i più misericordiosi.  

Una parte di lui continuava a pensare di stare commettendo un grosso sbaglio: la mente gli ricordava di non avere diritto di compiere quel passo come figlio bastardo mentre il cuore gli suggeriva che era un abominio, come fratello di Robb.

Anche Dany sembrava un po’ stanca. I lunghi capelli erano stranamente sciolti e poco intrecciati ed un velo di tristezza incupiva anche lei. Nemmeno le sue ricerche avevano dato buon esito. Si era informata leggendo alcuni libri circa la religione dei Sette Regni ed aveva cercato di capire come fossero organizzati gli ordini religiosi qui ad Ovest e come poteva fare per contattarli. Ovviamente la Septa Mondane di Casa Stark era stata esclusa a priori ma si era resa conto che nessun’altra donna si sarebbe prestata, ad aiutare una Targaryen. Quindi aveva saputo di un sacerdote di Essos, proveniente dalla Valyria, che transitava in casa Stark in quei giorni, per alcuni affari ed aveva sperato, invano, di farcene anche lei.

“ … il mio incontro con il sacerdote di Essos è stato pessimo.”

Jon si avvicinò, accarezzandole il viso. “Da come sei cupa, non deve essere stata una conversazione piacevole.”

 “Neanche un po’. A quanto pare anche chi commercia vino si sente in diritto di darci lezioni di fedeltà.”

Jon non potè fare a meno di ridere, amaramente. “Bene sono ridotto a questo ormai, a chiedere l’elemosina per sposarmi e a farmi dire da idioti qualunque che sto tradendo mio fratello.”

La giovane Targaryen capì di aver parlato troppo. Forse non avrebbe dovuto fare menzione di quello che il septo gli aveva urlato, fino a poco tempo prima, nella Prima Fortezza, non avrebbe dovuto ricordare ad entrambi ma soprattutto a Jon, quello che tutto ciò rappresentava agli occhi di un esterno alla faccenda, quello che avrebbe rappresentato per Robb.

“Jon…” iniziò, cercando di prendergli il braccio ma lui lo scostò con un gesto spazientito. “Per favore, Daenerys.”

Il cuore gli si stringeva in una morsa amara ogni volta che guardava negli occhi suo fratello, ogni volta che pensava a quello che stava organizzando alle sue spalle e si sentiva un uomo ingrato, senza onore, senza una morale, diviso tra i due amori che gli avevano cambiato la vita, quello per Daenerys e quello per la sua famiglia, nella persona di Robb. Diviso tra l’amore e il dovere.

Spettro sembrò trovarli, ad un certo punto, come se lo stesse cercando da tempo, in apprensione. Ignorò Dany come d’abitudine e corse incontro a Jon facendogli le feste, felice. I suoi occhi rossi sembravano porgergli indietro tutti gli interrogativi che avevano già albergato nella sua mente e il lupo appariva quasi dispiaciuto di portare solo se stesso, al padrone, e non le risposte che cercava.

Jon camminò avanti e indietro per qualche minuto, poi si fermò di colpo a guardarla. Lei sembrava aspettarlo, con il volto insolitamente deciso.

“Jon so quello che significa per te.- disse avanzando verso di lui.- Ma io non intendo farmi dire da nessuno quello che devo fare, tanto meno da grassoni che predicano una misericordia che non hanno voglia di applicare.”

Ma quelle parole non ebbero presa su di lui. L’osservò per qualche istante, poi s’avvicinò per lasciarle un bacio a stampo, fin troppo veloce per lei. “Devo stare un po’ da solo.” Le voltò le spalle e in un secondo scomparve tra i corridoi del castello, lasciandola da sola, sulla soglia della grande biblioteca.

Spettro le mostrò i denti, prima di seguire fedelmente il suo padrone.

 

***

 

 

Era da poco finito il pranzo.

Quel giorno il sole di Grande Inverno sembrava ancora più pallido, l’avanzare della stagione fredda portava con se giornate sempre più brevi e il sole sembrava soffrire di una stanchezza irrimediabile come se avesse esaurito il grosso dei suoi raggi nella stagione estiva.

Il pranzo era trascorso velocemente, Dany aveva impiegato gran parte delle proprie energie a chiedersi perché Arya avesse scelto di sedersi accanto a sua madre e non al suo fianco, come sempre, e aveva quasi non notato che Robb l’aveva fissata per tutto il tempo. La cosa però non era sfuggita a Jon, che aveva mangiato in fretta e male e lamentando di aver un appuntamento, si era velocemente alzato da tavola.

Daenerys l’avrebbe volentieri imitato se non fosse stata intercettata in tempo da Catelyn. La donna le si era parata dinnanzi con un cesto di baccelli di piselli verdi e l’aveva lasciato cadere pesantemente nel tavolo davanti a lei. “Diamo una mano con questi Daenerys, ti va?” Era una retorica, ovviamente. “Arya, anche tu.”

La piccola Stark era tornata indietro, dopo che sia lei che Nymeria avevano appena varcato la soglia della Sala Grande. “Madre, ho la lezione con la Septa tra un’ora.”

“Me ne compiaccio, avremmo finito in molto meno che un’ora.”

Le due obbedirono. Dany si sedette al suo posto e cercò lo sguardo complice della piccola Stark ma quella la evitò accuratamente. Uno strano rossore si dipingeva sul suo volto allungato.

“Bene.” Esordì Catelyn, iniziando l’opera. “Arya, volevo parlarti della tua educazione. Sono molto contenta che tuo padre abbia esaudito la tua necessità di… impratichirti nelle arti della lotta, due insegnanti sono venuti qui per te, sbaglio? I tuoi genitori ti hanno ascoltata ed hanno esaudito le tue richieste.”

Non prometteva bene.

Gli occhi scuri della giovane non osavano alzarsi per osservare in faccia la madre, temeva che anche sbagliando a muovere un singolo muscolo tutta la conversazione sarebbe volta al peggio. “Sì, ve ne sono molto grata.” Disse soltanto, continuando a pulire i baccelli e a liberare i piccoli piselli verdi dal loro involucro. “Infatti il mio insegnante, Sirio, è fenomenale…” continuò timidamente, ma Lady Stark l’interruppe velocemente. “Lo so, lo so. Veniamo al punto, però. Circostanze… sfavorevoli…”

I suoi occhi verdi si puntarono su Daenerys che ricambiò lo sguardo, dura.

“Ti hanno portato ad alimentare la tua natura… selvatica, Arya. Te lo dico senza mezzi termini, sono tua madre, lo sai che ti voglio bene e che faccio tutto per il tuo bene.”

“Ma questo non ha senso…”

“Sì, ne ha. Grande Inverno ha bisogno dei suoi lord e delle sue lady, e tu devi diventare una di queste.”

Arya tirò il baccello che aveva in mano sul tavolo. “Mio padre ha detto che potevo diventare cacciatrice!”

“Sì ma tuo padre non c’è, Arya. E quando sarai una lady potrai anche cacciare se lo vorrai! Se tuo marito non lo troverà inopportuno…”

“Marito...? Cosa?”

“Ho deciso.- continuò sua madre, in un tono non senza privo di dolcezza ma molto fermo.- che per il tuo bene dovresti andare per un po’ di tempo a Delta delle Acque, dalla mia famiglia. Ti farà bene cambiare un po’ ambiente, e starai anche più al sicuro.”

“Che cosa? Non ci penso nemmeno!” urlò la piccola alzandosi in piedi. “Come farò con le mie lezioni? E…”

“Le tue lezioni avrebbero dovuto finire da un pezzo. Andiamo Arya, hai bisogno di un cambiamento, te lo assicuro.”

La giovane Stark rimase in silenzio, in piedi. Le sue guance erano paonazze ormai e teneva gli occhi bassi, i pugni stretti di rabbia. “Perdonate madre ho mal di testa, torno in camera mia.”

Senza aspettare di essere congedata, fuggì via da quello che sembrava l’ennesimo incubo, e Nymeria le fu subito dietro. Daenerys la seguì con lo sguardo finchè non lasciò la stanza e poi tornò a fissare lei, Lady Stark. “Perché l’ha fatto?” chiese, smettendo di lavorare.

“Non ti immischiare negli affari di questa famiglia” La freddò Cat, prontamente. Il suo tono si fece più basso e cupo. “Allora? Perché stai perdendo tempo? Dovevi già essere in viaggio.”

Dany serrò le mandibole “Devo organizzarmi.”

Devo o dobbiamo?” battutina sagace e corretta, osservò la bionda.

“Devi partire entro la fine di questa settimana”

“Forse dovremmo dirlo a Robb.”

In realtà non ci aveva ancora ragionato, ma sapeva che questo avrebbe alterato Catelyn.

“Non osare. Lascia Robb fuori da questo piano. Lui non lo approverà mai e vorrà venirti dietro!”

Daenerys inarcò un sopracciglio. “Non può controllarci tutti, Catelyn.”

“Stammi bene a sentire” la donna le prese il polso, in uno scatto. Dany non se l’aspettava e sobbalzò “Mio marito non c’è ed io devo tenere i miei figli al sicuro. Anche da te, e lo farò con ogni mezzo che posseggo. Eddard ti ha protetta, adesso è il tuo turno, devi fare tu qualcosa per lui e per la sua famiglia. Questa non è la nostra battaglia, Daenerys, lasciaci fuori.”

“Non è neanche la mia, di battaglia.” Tentò di liberare il polso ma la donna non mollò la stretta.

“Ah no? La ribellione, i dorniani, non aspiri alla guerra, al Trono? Vuoi davvero farmi credere che la tua famiglia non conti nulla per te?”

Daenerys si trovò ad ammutolire. Deglutì lentamente e la gola le bruciò forte. “Cosa c’entra la mia famiglia.”

Catelyn le lasciò il braccio, con un sorriso soddisfatto, e riprese a lavorare, sbucciando i piselli, in silenzio. Quando rialzò lo sguardo non era più lei.

Daenerys sobbalzò nel vedere che il volto di Lady Stark aveva lasciato il posto a quello di una donna dai capelli argento, con i suoi, pallida in modo innaturale, con profonde occhiaie nere a circondare gli occhi ametista dei Targaryen e gli angoli della bocca pieni di sangue. Non lo sapeva ma il suo cuore parlò per lei, dicendole che si trattava di sua madre, Rhaella Targaryen.

Aveva la gola chiusa dal terrore, avrebbe voluto andarsene ma quella visione la inchiodava alla sedia.

Due uomini si avvicinarono a Rhaella, Dany riconobbe senza difficoltà suo fratello Vyseris e l’altro uomo, affascinante e regale, doveva essere Rhaegar.

“Ci hai uccisi tutti, sorella.” Disse il primo.

“No, io…” provò a dire lei, ma con orrore notò solo in quell’istante che Rhaegar aveva una mazza conficcata nell’addome, che continuava a sanguinare, come il collo di Vyseris, palesemente tagliato.

“Continui ad ucciderci.”

“Daenerys.” Disse Rhaella cercando di sorridere ma i suoi denti erano neri ed un fumo denso uscì dalla sua bocca, e poi fuoco e fiamme e sua madre divenne un drago, seduto davanti a lei, e poi anche i suoi fratelli si trasformarono ed iniziarono a sputare fuoco, fuoco che l’inondò dalla testa ai piedi.

“Daenerys!”

Urlò più forte Catelyn, di nuovo se stessa, davanti a lei.

Per Dany fu come risvegliarsi da un incubo. Il cuore le batteva forte, si sentiva sudata e strana, l’immagine della sua famiglia le aveva ricordato come erano stati brutalmente assassinati ma il fuoco di cui l’avevano ricoperta non le aveva fatto male e non solo perché era il prodotto della sua immaginazione, l’aveva fatta bruciare d’emozione e di vendetta. Di ambizione.

“Hai sentito quello che ho detto?” la rincalzò Lady Stark, lievemente turbata dal vederla così distaccata dalla realtà.

Senza accommiatarsi, senza chiedere scusa, Daenerys tirò in malo modo i piselli che reggeva ancora in mano e lasciò la Sala Grande, con le critiche della Stark ad accompagnarla.

 

***

 

“Io non andrò mai, a Delta delle Acque, mai!” sbraitava Arya a voce abbastanza elevata, anche se, lì, immersi nella Città d’Inverno la sua voce poteva solo confondersi e mischiarsi alle altre, brulicanti chiacchiere che il popolino intesseva intorno al loro.

Tante volte le avevano raccontato di come fosse allegra e ridente la Città d Inverno, quando le famiglie, i mercanti e i bambini tornavano a popolarla, dopo l’Estate. E in effetti era così e sembrava mettere tutti di buonumore, lei Jon ed Arya chiacchieravano animatamente come avevano sempre fatto. Certo, Arya era costantemente schiva nei suoi confronti, ma quell’uscita sembrava parzialmente recuperare la freddezza che la piccola Stark aveva iniziato a nutrire verso di lei. Daenerys comunque, continuava a non spiegarsi il suo comportamento.

Viaggiavano senza scorta. Jorah Mormont li seguiva passo passo, discreto come se fosse uno della compagnia, solo più silenzioso e con la mano fissa sull’elsa della spada.

“Sorella, forse stai esagerando. Delta delle Acque ha un clima più mite, è piena di boschi e poi ci sono i fiumi… c’è tuo nonno, tuo zio…” Jon cercava di tirarle su il morale ma non era semplice tranquillizzarla e non sapeva davvero cosa trovare di eccitante da dire, su Delta delle Acque.

“Capirai!” sbuffò infatti la sorella, facendoli ridere tutti e tre.

Jon e Dany si scambiavano teneri sguardi segreti. Non si erano più chiariti da quella sera in cui lui l’aveva piantata come una sciocca sulla soglia della biblioteca, ma lei non sembrava risentita così lui si azzardò a prenderle la mano, un gesto un po’ ardito visto che non erano soli, ma ebbe il suo effetto perché Dany si lasciò sfuggire un sorriso.

Lei cercò quindi di sfilarla ma lui la teneva salda nella sua, in un piccolo gioco di strattoni e sorrisi che sembrava passare inosservato ad Arya, intenta ad osservare la bancarella dei giochi di prestigio, ma che non sfuggì di certo a Sir Mormont che non mancò di schiarsi la voce, infastidito.

Imbarazzata, Dany si avvicinò velocemente al banco delle magie “Ehi Arya che guardi di bello…” iniziò la bionda ma venne subito interrotta dal maestro di prestigio che, vedendola, fermò all’istante i suoi trucchi, scatenando i mormorii di dissenso dei presenti. “Mia signora! Lei è o non è Daenerys Targaryen Nata dalla Tempesta?”

Tutti si voltarono a guardarla, accigliati.

 “Non sei al massimo della popolarità, eh” commentò Arya, infastidita dal fatto che qualcuno si azzardò perfino a sputare in terra. Per fortuna né Jorah né Jon sembravano averlo notato. Nonostante quello che aveva visto e sentito dovesse portarla a stare dalla parte di chi la disprezzava, qualcosa dentro di sé continuava ad impedirglielo.

“Prego, mia Lady, lasci che le mostri i miei giochi! Tutta la vita ho aspettato prima di esibirmi davanti all’ultimo dei draghi” esclamò con enfasi, buttandosi a capofitto dentro la sua baracca.

“È meglio rientrare.” Sibilò Jon cercando il braccio di Dany. “Non mi piace”

“Su aspetta, Jon! Non si è ancora esibito!” sbuffò Arya.

Daenerys si sentiva inquieta ma cercando un po’ di compiacere la piccola Stark, rincalzò. “Sì, dai, aspettiamo cosa ha da farci vedere, poi rientriamo”

Jon cercò lo sguardo di Jorah che era teso e concentrato quanto lui; gli annuì lievemente.

Il prestigiatore uscì dalla tenda avvolto dal fumo e come per magia apparve tra le sue mani, dissolta dal fumo, un cesto di vimini rosso avvolto in una bandiera su cui era stampato lo stemma dei Targaryen. L’uomo lo porse a Dany e intanto un discreto gruppetto si stava radunando intorno a loro, curiosi. La donna fissò alternativamente lui e la cesta, sospesa a metà tra di loro. “Cosa c’è dentro?”

“è apparsa per magia, l’avete visto tutti! Chi può sapere cosa contiene?”

“Scoprilo tu.” Propose Jorah Mormont facendo un passo avanti.

“Ma mio signore…”

“Aprila.” Rincalzò Jon, estraendo la spada ma non realmente intenzionato ad usarla.

La folla iniziò ad acclamare, intorno a loro, volevano vedere il contenuto della cesta, l’uomo continuava a porgerla a Dany ma era sempre più nervoso, lei non aveva intenzione di prenderla ma non sapeva che fare, sentì Jon prenderle delicatamente il braccio, e il ricordo di quel tocco fu l’ultima cosa che capì, di quello che accadde; durò un secondo ma si scatenò il parapiglia. Qualcuno, forse un bambino, colpì la cesta con un sasso, l’uomo la lasciò cadere e da lì uscì uno sciame d’api che iniziò a ronzare all’impazzata, addosso a loro.

Persone iniziarono a correre ovunque, Daenerys ed Arya scattarono all’indietro, Jon e Jorah le trascinarono nella corsa, lontane da quella marmaglia di persone impaurite che cercavano di mettersi al sicuro.

Fortunatamente quelle api erano chiaramente troppo tonte ed infreddolite e nessuno sembrava essersi fatto veramente male. “Che stupido scherzo!” ansimò Arya, infilandosi in bocca il dito su cui un’ape assonnata aveva appoggiato il pungiglione.

“Dubito che fosse uno scherzo. Se Dany avesse aperto quella cesta, le avrebbero invaso la faccia!” urlò Jon, furioso. “Prendete quell’uomo!” ordinò a due guardie, sopraggiunte in                quell’istante.

My grace, state bene?” sussurrò Jorah, al suo orecchio, mentre estraeva un pungiglione dalla pelle delle sua guancia sinistra. Daenerys si allontanò di colpo. “Che hai detto?” chiese, inquieta, sperando di non aver capito bene. Ma lo sguardo di Jorah Mormont non lasciava dubbi, in proposito.

“Daenerys!” Theon Greyjoy sembrava essere apparso dal nulla. Se la rideva, trattenendo la testa del sedicente mago tra l’ascella e il dorso. “L’hai saputo, quindi! Il Re ha riaperto la caccia!”

 

***

 

Era vero.

Ma nessun messo era arrivato a casa Stark per avvisarli quando si era sparsa la notizia che ad Approdo del Re qualcuno, forse un ribelle, avesse teso un agguato, fortunatamente fallito, a Lord Eddard Stark, il Primo Cavaliere. Forse non era andata proprio così, sosteneva qualcun altro, fatto sta che la reazione del Re era stata immediata, com’era prevedibile che fosse: era stato convocato un consiglio speciale, a cui stranamente il Primo Cavaliere non aveva partecipato, che aveva pertanto considerato inaccettabile la presente situazione ed aveva dichiarato la giovane Daenerys Targaryen, protetta in casa Stark, colpevole di Alto Tradimento come istigatrice della rivolta, con l’aggravante di essere anche ingrata e traditrice nei riguardi della Famiglia che l’aveva salvata. Ovviamente erano decaduti gli obblighi di matrimonio, per gli Stark, e c’era una grossa taglia sulla testa della principessa perché venisse riconsegnata, preferibilmente viva, ad Approdo del Re.

 Robb sapeva che questo momento sarebbe arrivato. L’aveva fiutato da qualche giorno, da quella strana lettera di Sansa di cui le aveva parlato Arya e anche dal nervosismo di sua madre, Catelyn, che come tutte le madri hanno il dono di una sottile preveggenza per quanto riguardano le sorti dei figli.

“Convocherò i vassalli di mio padre…”

“Non puoi convocarli senza il parere di tuo padre! Loro non ti darebbero credito e faresti la figura dello sciocco!”

Troppe cose si potevano dire di lui, oltre a quelle che già senza dubbio giravano sul proprio conto: che era un ingenuo, un avventato, un debole e senza esperienza alcuna. Ma di certo non si poteva dire che fosse uno sciocco. Quindi non poteva permettere che sua madre lo insinuasse o arrivasse a pensarlo, nemmeno per un attimo. “Siamo già in contatto da settimane, ovviamente! E quanto a mio padre credo che non possa comportarsi liberamente e come desidera, in questo momento!”

“Lo metterai alla forca, se marcerai su Approdo del Re!”

Arya non era stata ammessa a quella conversazione; fuori dalla porta, cercava di carpire quante più parole possibili, l’orecchio attaccato al freddo legno dell’uscio, l’ascolto ostacolato dal rumore del battito impazzito del proprio cuore. Si parlava del destino di Daenerys, certo, ma soprattutto di quello di Sansa e di suo padre, di Grande Inverno, e sulle ripercussioni che ogni loro tentativo di proteggere Daenerys avrebbe comportato.

Poi venne fuori una storia strana. Robb urlò più forte quando sua madre iniziò a raccontare che il principe di Dorne aveva scritto a Daenerys e che questa era in partenza. Lui era stato estromesso, certo, ma per il suo bene, perché era troppo accecato dal sentimento per vedere che quella era l’unica via possibile da seguire.

Arya si sentiva un fascio di nervi. Le voci all’interno erano concitate, sapeva che sua madre era nel giusto, ma lo era anche Robb, non voleva nemmeno lei che Daenerys partisse rischiando di cadere in un’imboscata o di essere catturata, uccisa o consegnata durante il tragitto. Però.

Però c’era quello che aveva sentito nella Prima Fortezza. C’era il tradimento nelle intenzioni di Dany, c’era un altro uomo con cui compiere un’unione aberrante, un matrimonio segreto, c’era qualcosa che Robb di sicuro non sapeva e poteva lei permettere che suo fratello mettesse tutti nei guai per amore di una donna che non lo voleva, che tradiva lui e tutti gli Stark?

Senza pensarci due volte, spinse l’uscio ed entrò nella stanza.

“Arya!” esclamò Catelyn, stanca. “Ti prego, tesoro, io e tuo fratello stiamo parlando.”

“Anche io ho qualcosa da dire.” Esclamò, le gote rosse d’agitazione, gli occhi puntati su Robb. Questi si avvicinò a lei e si abbassò fino a metterle una mano sulla spalla. L’incitava a parlare ma era troppo difficile da dire. “Non fare la guerra per lei.” Alla fine bastava avere la forza di iniziare, la lingua le si scioglieva da sola, da lì in poi. “Io l’ho sentita di nascosto… sta tramando alle tue spalle, di unirsi con qualcuno, lei ti tradisce, Robb. Non fare la guerra per lei”

Robb Stark si rialzò. “È così dunque…” mormorò, gli occhi velati di rabbia. Non osava voltarsi verso sua madre, vedere il suo sguardo di vittoria l’avrebbe umiliato ancora di più. Lui stava mettendo tutto in gioco, la sua famiglia, il proprio onore, per una donna, per una donna che lo stava tradendo sotto il suo naso. Arya l’aveva scoperto per caso, magari sua madre già lo sapeva e chissà quanti altri se l’erano risa alle sue spalle mentre lui sognava di salvarla da Re Robert.

Si sentì tremendamente sciocco. E Robb detestava fare la figura dello sciocco.

 

***

 

“Che cosa stai facendo?”

Daenerys era da poco rientrata nel castello e stava in quell’istante varcando la soglia della sua stanza, che immaginava vuota; sicuramente non credeva che vi avrebbe trovato dentro Jorah Mormont, intento ad armeggiare con le sue uova di drago, inoltre.

L’uomo riappoggiò il braciere a terra, si voltò verso di lei accennando un saluto con un piccolo movimento del capo. “Preparo le vostre cose, Daenerys. C’è un capanno appena fuori dal castello, le sto portando lì. Non possiamo più rimandare la partenza.”

Lei distolse lo sguardo. “Perché l’hai detto?” la sua voce tremava, e non sapeva il motivo. “Perché mi hai chiamato in quel modo, in paese?”

Jorah si apprestò a chiudere l’uscio della stanza mentre Daenerys iniziava a camminare su e giù, nervosa. “Perché è quello che penso. Ed è quello che sei.”

“Io non sono una regina!” si stava arrabbiando, ogni parola che l’uomo pronunciava sembrava infiammarla di una rabbia immotivata e viscerale.

Jorah interruppe la sua nervosa camminata, parandosi davanti a lei. “Invece sì. Sei l’ultima erede Targaryen, la legittima erede al trono- la costrinse a guardarlo- non avere paura di essere ciò che sei.”

I suoi occhi ametisti diventarono umidi di rabbia. “Non ne ho paura, Sir Jorah. Ne sono ossessionata, e lo detesto. Come posso io, da sola, vendicare la mia famiglia? O riprendermi il trono?”

 “Non sei sola, i Dorniani vogliono che ti rifugi da loro, vogliono sicuramente offrirti un esercito e cavalcare con te su Approdo del Re”

“E se così non fosse? Se le loro condizioni fossero inaccettabili per me o se cambiassero idea? Se i Lannister o i Baratheon o chiunque altro offrisse loro qualcosa di meglio, di un cognome come bandiera?”

Jorah non trovò risposte ai suoi interrogativi, ma ad ogni modo lo riteneva piuttosto improbabile. “Dorne non stringerà accordi con i Lannister, questo è sicuro”

“Ad ogni modo, sono ancora una stupida pedina! Senza i Martell non ho nesuno.”

“Ma i ribelli continuano a seminare panico. La vostra sola esistenza scatena la rivolta, questo non può essere niente, Daenerys.”

“Sono solo dei sicari pagati da chissà chi” esclamò lei, sfuggendo quell’idea. “E io non ho nemmeno il denaro per pagarli. E senza soldi, perché qualcuno dovrebbe seguirmi? Perché dovrebbero credermi? – si appoggiò sul letto, dando le spalle al suo interlocutore- Vyseris cercava l’esercito dei Dothraki, per il loro appoggio io sono stata venduta, e adesso, io cerco i Dorniani, cosa dovrò vendere per il loro appoggio?”

Jorah Mormont appoggiò la schiena al muro. “Immagino il giovane Jon Snow. Un matrimonio con Quentyn o con un loro protetto vi permetterebbe un accordo più solido.”

Lei rise, nervosa. “Questo è fuori discussione. Io e Jon ci sposeremo, e Dorne potrebbe essere tanto gentile da accettarlo oppure potrebbe legarci come salami, in memoria del fatto che anche Raegar invece di essere fedele alla loro Elia, finì con Lyanna in un modo o in altro, e portarci dal Re in un sacco di iuta”

L’uomo alzò le spalle. “È possibile.”

“Appunto!” soffiò Dany, riprendendo a vagare. “L’unico motivo per andarmene verso Dorne, è salvare in qualche modo gli Stark. Non voglio essere responsabile della loro rovina”

Jorah annuì. “I vostri ragionamenti sono validi, Daenerys, e condivido le vostre preoccupazioni. Ma io sono qui per voi, per mantenere fede alla parola che diedi a Vyseris, e sono sicuro di essere solo il primo di coloro che vogliono vedervi sul trono, come regina.”

Daenerys continuava a sentirsi troppo arrabbiata con lui. Perché continuavano a pensare che lei potesse fare la differenza? Perché lui, i fantasmi dei suoi morti, continuavano a tormentarla con l’idea della vendetta? Lei non era Aegon, non aveva i Draghi, non aveva che se stessa e la sua forza di combattere ma alle sue regole, sotto le sue leggi.

“C’è una taglia sulla mia testa, Sir Jorah, ma nessun esercito ripagherà questo disonore o farà pagare a quel porco che chiamate Re l’omicidio della mia famiglia, gli Stark mi hanno protetto ma io non posso che scappare per difenderli e vorrei fare molto di più- si voltò verso di lui- Ci sarà un giorno in cui tutti quelli che si affideranno a me saranno al sicuro, io li proteggerò, e chi vorrà torcere loro un capello morirà urlando, e dove sarà ingiustizia, noi applicheremo giustizia. Ma per il momento, sono solo un topo in fuga. Ci vedi qualcosa di regale?”

L’uomo si avvicinò, fino ad appoggiarle timidamente una mano sulla spalla. “Sì.”

 

***

 

La stessa notte, Jon Snow scendeva segretamente le scale del Castello, circondava con passi cauti la parte più ad Est ed arrivava qualche minuto dopo, protetto da una notte senza stelle, al loro punto di ritrovo, la Prima Fortezza. Era una costruzione molto antica, in parte il muro aveva anche ceduto ma non c’erano pericoli di crolli perché non v’erano piani oltre al primo ed era ancora considerata stabile. Tuttavia era pressoché abbandonata e lui e Daenerys avevano da tempo stabilito di trovarsi lì, per parlare, visto che la Tana era spesso un po’ pericolosa da raggiungere.

 Quello che era accaduto al mercato era chiaramente un segnale e non potevano più aspettare ad agire. Non potevano più rimandare la partenza e al diavolo se non riuscivano a trovare un sacerdote per le nozze; l’avrebbero trovato a Dorne o in qualcunque altro buco di paese in cui si sarebbero rifugiati.

Lui e Robb non avevano avuto ancora modo di parlare ma l’avrebbero fatto presto. L’unico modo per non sentirsi un traditore, era chiedere il suo permesso e la sua benedizione. Era rischioso ma ormai non c’era più niente che non lo fosse.

Nel frattempo aveva chiacchierato abbondantemente con Sir Jorah Mormont, uomo esperto e molto acuto, anche se fin troppo protettivo nei confronti di Daenerys. Avevano elaborato diversi piani alternativi in caso la via per il Sud fosse impraticabile, compresa l’idea di scappare anche da Westeros, e rifugiarsi in Essos.

Onestamente, era la via che avrebbe percorso meno volentieri. Da sempre aveva sognato di battersi per qualcosa per cui valesse veramente la pena combattere, qualcosa che gli scorresse nelle vene, che gli riempisse il petto d’orgoglio verso se stesso; leggendo aveva da sempre ammirato le gesta del Giovane Drago e immaginava di poter fare altrettanto per Dany, di poter combattere al fianco dei Martel e della sua donna, di comandare delle armate contro Approdo del Re. Per questo, scappare come un topo verso paesi di cui non parlava nemmeno la lingua era la cosa meno allettante di tutte, ma non si sentiva di escluderla: poteva capitare di tutto.

Arrivò alla fortezza qualche minuto dopo e Daenerys era già lì. Non gli bastò che uno sguardo, e la trovò diversa.

Lei uscì dalla penombra, dandogli un bacio e poi una torcia per guardarla. Aveva una corona di fiori appoggiata al capo, gli ultimi fiori d’inverno prima dell’arrivo della neve. “Benvenuto al nostro matrimonio, Jon Snow.”

Lui si guardò intorno, ma lei era sola, bellissima e sola, nella piccola fortezza di pietra. “Cosa?” domandò, senza che un sorriso si dipingesse sul suo viso.

“Non voglio più passare una notte senza essere tua moglie.” Rispose lei avvicinandosi di nuovo a lui. “Ci sposeremo da soli. In attesa che qualcuno lo faccia ufficialmente.”

Lui la baciò, in risposta, e quando si distaccarono, la prese per mano. “Vieni con me.”

Presero a camminare nella notte, concitati. L’oscurità era loro amica e li protesse, fino all’uscita dalle mura del Castello, dove il vento e il bosco avrebbero garantito la loro sicurezza, il rumore dei loro passi sulla ghiaia era coperto dal chiacchiericcio delle foglie agitate dall’aria e una volta nel parco, nessuno avrebbe potuto dire che fossero effettivamente passati di lì. Jon scoprì la torcia dal mantello e Dany capì che l’aveva condotta nel Parco degli Dei. “Perché?” sussurrò.

“Qualsiasi rito deve avvenire qui. Cerchiamo l’albero del cuore.”

Era così, Daenerys era stata abbastanza a Nord per sapere quanto fosse importante per loro, ma passare in quel parco aveva sempre lo strano potere di metterle i brividi. Era il vero cuore del Nord e lei era un’estranea, qualsiasi cosa sembrava ricordarglielo, le foglie, i sassi, tutto sembrava girarsi al suo passaggio per fissarla, incuriositi, come si osserva un ospite straniero. “Tranquilla, mette un po’ a disagio anche me” le sussurrò Jon, quando notò che Dany si stringeva di più attorno al suo braccio.

Illuminati dalla torcia, arrivarono di fronte all’Albero del Cuore e anche nella poca illuminazione Dany riusciva a scorgere quella corteccia bianca, quel volto malinconico che ne era intagliato e quelle foglie rosse come sangue che si agitavano ad ogni minuto di più, anche se il vento non sembrava mutare.

“Ci siamo.”

“Bene, tieni…” Daenerys aveva preso un piccolo nastro rosso. Ne consegnò a Jon un capo, poi prese la sua mano e fu lei a fare il primo giro di nastro attorno alle loro mani, unite.

“Aspetta.” Jon sospirò, prendendole il volto tra le mani. “Sei sicura? I miei natali non sono all’altezza dei tuoi”

“Jon Snow!” esclamò lei pestandogli un piede. “Non sono in vena di ascoltare queste sciocchezze!”

“Ahi! Ehi, non riprovarci! Stai buona o mi costringerai a legarti davanti a tutti gli dei!” risero, poi Dany gli strinse forte le mani, e anche lui tornò più serio, a guardare le ombre che la luce della torcia disegnava sul suo viso: era talmente bella da non sembrare reale.

“Non esistono le nostre famiglie, i nostri natali. Siamo io e te, e tu Jon Snow, sei un uomo che è degno di qualunque cosa desideri il suo cuore. Per cui, a meno che tu non abbia cambiato idea, io sarò tua moglie, se mi vorrai, prima che venga l’alba.”

L’uomo piegò le labbra in un sorriso che a Dany fece accapponare la pelle, poi prese il nastro e fece un nuovo giro intorno alle loro mani. “Io, Jon Snow, figlio di Eddard Stark, al cospetto dei Primi Uomini e degli Antichi Dei, mi unisco a te.”

“Mi chiamo Daenerys Targaryen…- disse, al suo sposo, all’albero-diga, a se stessa – e al cospetto degli dei del Nord, mi unisco a te.”

Fecero altri due giri, attorno alle loro mani. “Giuro di esserti fedele e che il mio cuore non vivrà che per te, fino al suo ultimo battito.”

Daenerys sentì le gambe farsi leggermente instabili e tremanti. “Sono tua. E questo, è per sempre.”

Jon appoggiò le sue labbra alle sue, un bacio dolce e tenero ma quando si staccò, Daenerys, ridendo, lo baciò con impeto, riuscendo anche ad abbracciarlo, col braccio libero. Jon prese a baciarle il collo, Dany cercò di slacciargli la tunica anche se il freddo del Nord sembrava pungere più del dovuto sulle loro carni. “Ehi aspetta!” disse ad un certo punto la giovane, fermandolo.

“Cosa? Vuoi privarmi della mia prima notte di nozze?”

Lei gli indicò il volto intagliato sull’albero. “Mi fa impressione. Sembra guardarci con biasimo e non voglio che i tuoi dei si offendano subito”

“Hai ragione”

La condusse dietro l’albero diga, su una piccola radura notturna, circondata dagli alberi sacri e dai mille volti degli dei, a proteggere la loro unione. “Meglio no?” disse, lasciando cadere parte della tunica, ai suoi piedi.

“Oh sì.” Rispose lei, maliziosa, non riferendosi certo alla radura, in quell’istante. Daenersy si sedette sopra di lui e lui la strinse spingendo il viso tra i suoi seni, e mentre i loro movimenti si facevano più forti e veloci, la ragazza immerse il viso tra i capelli ricci dell’uomo che amava, strinse con le mani la sua schiena d’avorio cercando di trattenerlo a se per sempre.    

Anche se si erano amati molte volte, in condizioni migliori, senza i vestiti e su comodi giacigli, quella notte sentirono d’appartenersi veramente e per la prima volta, anche se i loro voti nuziali non erano ufficiali, erano davvero marito e moglie, legati per sempre, anche se il mondo non l’avrebbe riconosciuto, loro erano in procinto di fondarne uno nuovo, il loro mondo, di vivere alle loro regole, o per lo meno, di combattere per quel destino che desideravano con la promessa di vivere, felici, o di morire tentandoci.

Rientravano nel buio tenendosi per mano. “Sai, non abbiamo invocato i tuoi dei.”

“Quali?”

“Quelli di Westoros? O di Essos… non so…”

“Oh, non li conosco, gli dei di Westeros, e quelli di Essos non li ho mai venerati. I tuoi mi andranno benissimo.”

“Senti.” Riprese lui, mentre ormai erano alle porte del Castello. “Devo parlare con Robb. Voglio la sua benedizione.”

Dany si fermò. “E se lui rifiutasse?”

Il ragazzo sospirò. “è un rischio ma… non voglio fare altrimenti. È mio fratello.” Daenerys riprese a camminare, al suo fianco. Non osava immaginare cosa potesse accadere, se Robb rifiutava il suo consenso, se non li perdonava, se gli proibiva di partire, se sfidava Jon a battersi con lui.

Ma forse erano solo paure infondate. Robb era un uomo buono ed amava sinceramente suo fratello. Se andavano da lui col cuore in mano, nulla poteva accadere di irreparabile.

 

 

***

 

Invece accadde.

Come molto spesso ci immaginiamo, il destino tesse le sue trame in un modo che ci è oscuro ed ostile e anche quando abbiamo preso, a fatica, la migliore decisione del mondo, possiamo essere comunque in torto, perché non siamo stati al nostro posto, perché l’abbiamo sfidato, il destino, e lui ci presenta il conto.

Prima che potessero entrare nel Castello, la luce della torcia illuminò i volti di tre uomini, appostati davanti alla sua entrata. Non se l’aspettavano ed entrambi trasalirono a quella vista. “Chi è?” domandò Jon, stringendo più forte Dany, al suo fianco.

“Qui le domande le faccio io.”

Due di loro erano soldati ma il terzo, l’uomo che aveva parlato, era suo fratello Robb Stark.

Il cuore di Jon mancò un battito, sospirò, guardandosi intorno come se cercasse qualcuno da incolpare o qualcuno che potesse garantire per lui. “Robb ti prego, fammi spiegare.”

“Quindi le cose stanno così.”

Un soldato passò una torcia al primogenito Stark e questi illuminò il volto di Jon, davanti a lui. Anche alla luce della torcia i due fratelli non smettevano di essere diversi, ma nella loro diversità, erano sempre stati complementari, Robb così somigliante ai Tully di sua madre, e lui, Jon, bruno e cupo come un vero Stark.

Si fissarono qualche secondo negli occhi, entrambi colmi di troppe emozioni che non riuscivano nemmeno ad esprimere. Daenerys li osservava, impotente, in attesa dell’esplosione di rabbia di Robb.

Ma anche questa volta, si sbagliava. Ci fu un’esplosione ma fu reale e non figurata e nella notte subito si alzarono grida di terrore e un fuoco alto si stagliò nel cielo, dalla Torre della Biblioteca.

“Presto!” gridò Jon, prendendo suo fratello per un braccio, e Robb, dopo un attimo di esitazione, lo seguì, correndo verso il Castello, accompagnato dalle guardie. Qualcuno arrivò dal castello urlando al fuoco, e subito i due fratelli lo mandarono a chiamare quanti più soldati poteva affinché li raggiungessero con catini d’acqua, qualcuno urlò il nome di Bran Stark ma nel parapiglia nessuno riuscì a capire il collegamento e non furono sicuri nemmeno d’averlo udito davvero.

Daenerys scattò per correre con loro ma qualcuno la trattenne per un braccio e nello scatto per poco non cadde a terra.

“Non così in fretta, mia signora”

“Ma che diavolo!!!” gridò lei, di disappunto, voltandosi verso colui che la tratteneva.

Apparso dal nulla, il volto divertito di Theon Greyjoy.

 

 

                                                                                                                      [to be continued]

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Parte 5 ***


NdA: eccoci qua, a quanto pare siamo arrivati alla conclusione della storia. Ringrazio vivamente dance che ha recensito il precedente capitolo e tutti coloro che hanno recensito la mia storia, mi ha fatto davvero piacere leggere le vostre opinioni e ne approfitto per ringraziare anche coloro che mi hanno seguita o letta silenziosamente. Un abbraccio a tutti, spero di ritrovarvi e che questo ultimo capitolo vi piaccia!

D.

 

 

I’m Daenerys Stark.

(After all, dragon plants no tree)

 

 

 

 

 

Forse avevano esagerato. Avevano sfidato il destino sputando sopra i complotti di Westeros, le loro stupide leggi patriarcali, perfino i loro dei non erano stati “invitati” alla celebrazione, nel cuore del Parco degli Dei del Nord, al cospetto solo di se stessi e dell’Albero del Cuore, sperando che potesse proteggerli, anche se erano due estranei, due intrusi amanti, nel cuore del Nord.

Ci avevano sperato in quella notte in cui avevano giurato d’appartenersi e la luna e le stelle sembravano essersi oscurate appositamente per nasconderli meglio, anche quando avevano visto Robb e non erano riusciti a respirare, per qualche secondo, comunque avevano immaginato di potercela fare.

Ma tutto andò in frantumi, più velocemente di un battito d’ali. Jon Snow lo capì immediatamente, nel suo cuore, quando nel parapiglia che si era agitato alle porte del Castello perse la mano di Daenerys dalla propria. Gridavano al fuoco e il nome di suo fratello, Bran, ma tutta la sua angoscia era in quella mano che aveva perso per correre in avanti, non era riuscito a trattenerla, lo scatto che aveva fatto era stato troppo veloce e lei non era riuscita a stargli dietro; certo Dany non era in pericolo, ma un dolore profondo iniziò a spandersi a macchia d’olio e gli infiammò il torace e la gola. Si voltò un secondo nella corsa, per rassicurarsi, vedendola, ma si erano già frapposte altre persone in mezzo a loro.

Non c’era motivo per pensare che non l’avrebbe più vista, ma qualcosa dentro di sé capiva solo che aveva perso la sua mano tra le dita e che non ci sarebbe stata più.

Oppresso da un’agitazione che non sapeva motivare, Jon Snow radunò quanti più uomini poteva trovare e alle sue direttive subito si formarono due colonne di uomini che marciavano parallele, questa con i catini d’acqua, l’altra senza, verso la Torre della Biblioteca.

“Presto, per di qua!” gridava Robb coordinando le operazioni di quell’incendio senza spiegazioni, quando un bambino gli si fiondò addosso, agganciandogli le gambe. “Fratello!” Era Rickon, il viso coperto della polvere nera portata dal vento e gli occhioni lucidi.

“Rickon!”

“Presto, si tratta di Bran!” disse indicando dall’altra parte del Castello, Robb si girò verso Jon che annuendo leggermente gli fu dietro nella corsa verso i dormitori Stark. Lì non c’erano fiamme e non sembrava esserci nessun altro pericolo ma lo sgomento nei volti delle persone che incrociavano era più evidente e smentivano le loro impressioni. Entrarono, li accolse immediatamente Catelyn, pallida come un cencio, a gettarsi tra le braccia del suo primogenito.

“Madre, che è accaduto?”

Intanto Arya era corsa tra le braccia di Jon, che la strinse scompigliandole i capelli, come facevano da sempre.

“Robb Stark.” A parlare fu Sir Jorah Mormont, che si fece avanti tra la folla di persone reggendo sotto l’ascella il corpo di uomo vestito di nero. “Questo è l’uomo che ha tentato di uccidere vostro fratello Brandon.” E dicendo queste parole lasciò cadere il suo cadavere che rovinò a terra, schizzando di sangue i calzari dei presenti.

“Che cosa???”

“Come sta Bran?” chiese Jon e fu Catelyn a rispondergli, con una certa stanchezza nella voce. “Sta bene. Il suo MetaLupo è riuscito a tenerlo a bada finché non è sopraggiunto Sir Jorah, in suo aiuto, l’ha pugnalato con la sua stessa daga”

“Voglio vederlo.”

“Non ci pensare neanche” soffiò la Stark ma fu prontamente fermata da Robb. “Madre, ti prego, è anche suo fratello. Visiterà Bran adesso, con me.”

“Gli abbiamo dato dei Sali ed è crollato a dormire. È stato uno shock per lui.” e a giudicare dalla faccia scavata e piatta della donna, il piccolo Bran non era stato l’unico a morire di paura. “Potrete visitarlo al suo risveglio”

“Certo, andremo domattina” Jon scelse la strada dell’accondiscendenza, Arya si staccò da lui, stropicciandosi il volto per nascondere le piccole lacrime che le erano sfuggite non appena aveva abbandonato le difese, tra le braccia del fratello. Avrebbe voluto parlargli di quello che era accaduto in sua assenza ma più passava il tempo più un dubbio le stringeva lo stomaco, l’angoscia di non aver agito bene, alla fine, la spaventava a tal punto che quasi non osava guardarlo negli occhi.

Robb smosse col piede il volto del morto, sembrava un uomo comune senza alcun segno di riconoscimento. “Com’è entrato?” Il volto dello Stark iniziava a tradire una certa rabbia e voglia d’azione.

“Nessuno lo sa.” Gli rispose Mormont sospirando. “Abbiamo solo sentito le urla di Bran, nella sua stanza.”

“Sir Jorah Mormont.- iniziò Robb ponendosi di fronte al cavaliere.- a nome di mio padre e di tutta questa famiglia, io ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per noi. Grazie di essere qui, ti dobbiamo molto.” Gli porse la mano e Jorah la strinse, sorridendo appena. La stanchezza della notte insonne e lo spavento appena ricevuto appesantiva i volti dei presenti, ma quello di Robb sembrava nascondere più motivi di tutti gli altri.

In quel momento uno dei loro servitori li raggiunse per avvisarli che il fuoco della Torre della Biblioteca era stato domato ma ce n’era un altro, nel bosco, forse di quel capanno che conteneva la paglia degli animali, fuori dal castello. Niente di grave, non minacciava la vita di nessuno e avevano moltissime scorte di paglia, così Robb propose alla madre di far entrare tutti coloro che, soldati o civili, avevano aiutato a spegnere il fuoco affinché fossero premiati con un bicchiere di vino caldo e della frutta, nella Sala Grande, e che un piccolo gruppo andasse a controllare l’effettiva situazione del capanno.

Catelyn acconsentì non senza un certo grado di fatica negli occhi. Chiamò le servitrici ed ordinò che la cucina venisse accesa così da poter iniziare a scaldare vino e preparare vivande.

Per quella notte, si decise che Ryckon ed Arya potessero tutti e due dormire nel letto con Bran e tre guardie si posizionarono davanti all’uscio della loro stanza per proteggere il loro sonno.

“Jon.” Arya cercò il fratello, prima di congedarsi. “Posso parlarti? Dov’è Dany?” ma il ragazzo aveva altre discussioni da affrontare, in quel momento, Robb lo aspettava, nella stanza di fianco, e non poteva rimandare quel chiarimento. Stampò un bacio sulla fronte della sorella. “Dormi Arya, ci ragioneremo domani”

La lasciò davanti alla porta, con gli occhi pesanti di parole che non poteva ancora dire, e con un sospiro si diresse da Robb. “Dobbiamo parlare”

Poco prima aveva preso le sue parti, con Catelyn, ma non pareva più lui adesso, i suoi occhi miti e giusti erano adesso freddi e lontani e Jon non si era mai sentito così a disagio e solo, in sua compagnia.

“Non mi interessa quello che hai da dire- rise nervosamente, asciugandosi la fronte sudata col palmo della mano.- mi hai tradito.” Continuava a guardare fuori dalla finestra, guardando senza vedere niente, nel brulicare di agitazione del loro cortile

“Ho sbagliato, lo so. Sarei dovuto venire da te.” Jon era nervoso, i sensi di colpa che aveva covato per tutto questo tempo non erano serviti a farlo agire correttamente, l’amore e il rispetto verso la sua famiglia e neppure il senso del dovere, così forte in lui, l’avevano guidato per il meglio, proprio lui che prendendo il nero avrebbe fatto del dovere stesso la sua vita intera, aveva scelto altro, aveva scelto lei. “Mi sono innamorato.”

A queste parole, Robb si voltò verso di lui. “Perché non me l’hai detto?”

“Avrei dovuto. Ci ho pensato tutto il tempo e sono stato combattuto su ogni mia singola azione, io non avevo l’intenzione di fare tutto di nascosto”

“Perché, credi che lei avrebbe comunque scelto te?”

Jon strinse gli occhi, cercando di capire. “Cosa?”

Robb iniziò a camminare inquieto per la stanza. La cocente delusione rivelatagli da sua sorella Arya, il sogno infantile e stupido sulla sua unione con Daenerys si era stroncato ormai qualche ora fa, eppure solo adesso sentiva di comprendere la situazione, come se qualcuno avesse finalmente dato un colpo di spugna su uno specchio opaco. La realtà si presentava facile ed accessibile come un riflesso, ed aveva il volto del fratello che aveva amato più degli altri, più di coloro che lo erano davvero. “Lo avrei accettato, se fossi venuto da me, io lo avrei accettato. Daenerys non è una donna comune e io avrei capito se ti fossi invaghito di lei.”

“Mi dispiace. Non l’avevo pianificato. E non volevo né dovevo agire alle tue spalle”

“Ma era più comodo, no? Invece di proporti a lei onestamente ti sei avvicinato in modo subdolo, ti sei approfittato della mia fiducia.”

“Tutto questo non ha senso, io non mi sono avvicinato in maniera subdola, lei si è…”

“… innamorata? – lo scherno di Robb era dipinto sul suo volto- oppure vorresti dirmi che è stata lei a sedurti, no?”

Jon ripensò alle loro gite fuori dal castello, i sorrisi complici, lui che si scherniva un po’ e lei che lo prendeva in giro, quel bacio che gli aveva dato, improvvisamente, ma che lui aveva desiderato da sempre e anche se era stata lei a farlo, nessuno era stato sedotto, lei gli aveva slacciato la tunica ma lui si era introdotto nella sua stanza, quella notte, si erano semplicemente avvicinati, come falene alla luce. “No.- disse quindi- ma …”

“Certo, sarebbe stato rischioso per te mettere la tua proposta accanto alla mia! – Jon sentì la rabbia gonfiargli il petto mentre il fratello continuava- Chi avrebbe sposato un uomo, un bastardo, come te!”

“Adesso basta!” Catelyn Stark era appena apparsa sull’architrave della porta, Jon si allontanò dal fratello passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “State dando uno spettacolo pietoso.” Continuò, accanto a lei Sir Jorah Mormont aveva un aspetto particolarmente nervoso e livido d’ansia.

“Che c’è?” sbottò Robb, infastidito. “Questa discussione non vi riguarda.”

“Dovrete comunque rimandarla- iniziò Mormont- Daenerys è scomparsa. Nessuno sa dove si trovi”

Fuori intanto la notte mostrava le sue ore più buie.

 

***

 

“E così questo è il capanno della tua partenza.” Theon si guardava intorno, ridacchiando, aprì un baule a caso, in cui c’erano vestiti e cose essenziali, per il suo viaggio, ne tirò fuori uno, e se lo portò al viso. “Sembra troppo comune per una principessa.”

Daenerys lo fissava, seduta su una masso, con le braccia legate dietro la schiena. Theon aveva faticato a condurla lì e anche se non avrebbe voluto, forse, aveva dovuto lasciarle i segni di un paio di schiaffi ben assestati per riuscire a tenerla ferma, mentre la legava. Una guancia era leggermente arrossata e il labbro inferiore si era rotto nella commissura destra, a giudicare da quel piccolo rivolo di sangue che si vedeva. 

“E queste cosa sono?” Le uova di drago giacevano in uno dei suoi bauli, protette da una leggera imballatura di paglia, sonnecchiavano eterne, belle e lucenti. “Però! Varranno un sacco! Sono pensanti eh!” disse sollevandone una, quella rossa, la preferita della loro padrona.

“Non toccarle.” Fu la prima cosa che disse lei, e quando Theon si girò ad osservarla notò che avrebbe potuto incenerirlo solo con lo sguardo. Questo lo fece ridere e anche un po’ inquietare, abbassò l’uovo, dicendo. “Quanto ti scaldi per due pezzi vecchi ed inutili. Non ti serviranno più, sai, ad Approdo del Re non ti lasceranno giocare con le uova di pietra.”

“Sei un vigliacco.”

Theon rise, avvicinandosi a lei e poi inginocchiandosi per essere alla sua stessa altezza. “Niente di personale, Dany. Voglio quei soldi, e li vogliono anche i miei compari, non puoi capire a quanta gente sta a cuore la tua salute. – fece per sistemarle una ciocca di capelli ma lei scattò col viso. L’espressione sul volto del ragazzo s’indurì maggiormente- Anzi, c’è anche qualcosa di personale, lo ammetto. Ho sempre voluto toglierti dalla faccia quel sorriso strafottente, la tua solita espressione altezzosa con cui guardavi il mondo e tutti noialtri, povere nullità, al tuo cospetto.”

“L’unica nullità che vedevo eri tu.” Soffiò lei, inarcando un sopracciglio. “Robb ti considerava un fratello.”

“Gli faccio un favore.” Sorrise lui. “Sei solo una spina nel fianco per lui.” Il rumore di alcuni passi lo fece trasalire. Si alzò velocemente e si diresse all’entrata del capanno, rassicurandosi velocemente alla vista dei suoi compari. Dany cercò di spiare i loro volti, erano almeno in due a giudicare dalle voci, e forse uno di loro lo aveva già visto, alla cittadina, forse al mercato. Sospirò, pensando al da farsi, cercando una soluzione ma non ne vedeva. Da sola poteva fare molto poco ma s’augurava che presto la sua assenza venisse notata e che qualcuno venisse a cercarla. Non poteva non pensare che alla fine lo stronzo di Theon aveva agito con furbizia approfittando del parapiglia che si era scatenato, l’incendio alla Torre, magari era anche opera sua, e tutti che gridavano il nome di Bran. Chissà cosa era accaduto, lei non poteva saperlo e forse sarebbe morta col dubbio, forse le avrebbero tagliato la testa prima che il sole sorgesse, senza nemmeno la possibilità di un ultimo saluto ai suoi affetti, a suo marito, che aveva amato contro tutte le circostanze.

Davanti a sé, vide lo spettro di Vyseris, seduto su una balla di paglia. Le sorrideva di scherno, come al suo solito. “Te lo meriti, lo sai? Sposare il bastardo Stark! Tu che dovevi nascere per essere di Rhaegar, sposa di un bastardo!”

“Stai zitto” gridò lei, a denti stretti.

Un uomo dalla carnagione pallidissima s’affacciò dall’entrata. “Con chi ce l’hai, sporca Targaryen? Vuoi assaggiare la mia cinghia? Theon imbavagliala non possiamo rischiare che urli!”

“Ogni minuto che perdiamo a parlare rischiamo che qualcuno venga a cercarla!” ribattè l’altro, nervoso.

“Il fuoco brucia ancora nella Torre della Biblioteca, c’hanno altro da fare. Tagliamole la testa e non se ne parli più.”

“Sì, tagliamole la testa”

Erano tutti più o meno d’accordo, sentì Dany. Un terrore freddo le gelò il sangue, s’impadronì di ogni suo organo passo passo, iniziò a respirare più affannosamente, i suoi occhi si erano riempiti di lacrime quando i due uomini e il suo traditore si erano infine decisi ad entrare. Gli altri ridevano della sua paura, solo Theon sembrava più nervoso nel farlo. “Perché non scappiamo e basta? Che ci pensino i Lannister a farle la festa, avremmo anche una ricompensa maggiore se la consegniamo viva”

“No, viva o morta dice la taglia e non c’è nulla di più sbagliato che portarsi dietro un ostaggio vivo. Saremo lenti e vulnerabili, se gli Stark troveranno il suo corpo mozzato potrebbero anche farsene una ragione e smettere di cercarla.”

“Già, la speranza di trovarla intera li porterà chissà dove!” esclamò infine il più basso dei tre, quello che Dany, riconobbe, le aveva venduto delle rose blu, solo una settimana prima. Appoggiò la grossa torcia che teneva in mano ad un’asse di legno del capanno ed estrasse dalla cinghia della tunica un pugnalaccio di vecchia fattura. “Facciamolo e basta, prima che inizino a cercarla davvero.”

Lei sospirò, guardò un’ultima volta Theon, sperando che quello sguardo potesse tormentarlo per tutte le notti della sua insulsa vita, e poi il riflesso di suo fratello che osservava la scena come se fosse uno spettacolo. Anche a lui avevano destinato quella morte, doveva essere un buon compromesso, per lui, che anche lei la subisse.

Chiuse infine gli occhi ed attese la sua fine ma un improvviso ringhio irruppe sulla scena e le fece balzare il cuore in gola.

“Che diavolo è questo cane?”

Grosso e gonfio di rabbia, Spettro ringhiava ai suoi assalitori, sull’entrata del capanno. Daenerys istintivamente sorrise, incredula.

“è uno dei MetaLupo degli Stark.”  Esclamò Theon, sguainando un coltello. “State attenti!”

Ma prima che potessero capire come aggirarlo, il lupo saettò contro il braccio armato dell’uomo affondando i lunghi denti bianchi nelle sue carni. Theon gridò ma prima che un altro potesse attaccarlo, la bestia lasciò la presa e scattò tra le gambe del più basso, e mirò, trovandola, alla gola dell’uomo che aveva ancora in mano il coltello per l’esecuzione. Fu un bagno di sangue, Spettro stesso era rosso del liquido vermiglio che zampillava dal collo dell’uomo ma non era affatto ferito. Cercarono di nuovo di attaccarlo ma erano feriti ed impauriti e lui era un lupo, veloce, e letale. Daenerys intanto cercava di approfittare della situazione, le corde attorno ai suoi polsi erano state fissate in modo veloce e sbrigativo e lei, incoraggiata dal sentirle cedere ai suoi movimenti, si dimenava nel disperato tentativo di scioglierle.

Vyseris intanto se la rideva, acclamando ora il lupo ora gli uomini, folle anche da morto. “Un lupo che salva un Targaryen! Assurdo! Se solo fossi stata un vero drago, come me!”

Era una produzione della sua mente eppure Dany era comunque feroce di rabbia. Tirò più forte i suoi polsi. “Non sono solo una Targaryen adesso, stupido!- ancora un po’ di più- sono anche una Stark!- sentì un crac tra le corde, e sforzandosi di dolore tirò di nuovo, più forte di prima.- e tu… non sei mai stato un vero Drago!” In quell’istante le corde cedettero.

 Le sue braccia erano libere, fece per alzarsi ma in quel preciso attimo accadde l’irreparabile: nel tentativo goffo, e vano, di ferire il lupo, Theon aveva urtato la parete del capanno, e la torcia di fuoco cadde dal piedistallo, arrivò a terra, sulla paglia, in un secondo.

Il fuoco avvampò prima ancora che potessero accorgersene.

Spettro la degnò di un ultimo sguardo poi scappò via veloce come era venuto mentre la paglia che c’era dentro bruciava con una velocità allarmante. Daenerys scattò all’indietro, rifugiandosi verso la parte opposta, il fuoco aveva velocemente preso l’entrata del capanno, uno dei due uomini, pur ferito, era scappato velocemente gridando, solo Theon rimaneva e, naturalmente, quello ferito alla gola, che non avrebbe potuto muoversi nemmeno se avesse voluto. Il piccolo dei Greyjoy stava vicino all’uscita, avrebbe potuto correre ma indugiò. “Vieni! Per di qua!” le gridò, tendendole la mano verso la salvezza, ma Daenerys restò ferma e lucida, nella direzione opposta, e sputò per terra, alle sue parole.

Una parte della parete di legno era completamente invasa dal fuoco e non c’era più tempo da perdere; Theon le voltò le spalle ed uscì, prima che il fuoco si mangiasse completamente la sua entrata. Il fumo iniziava a salire, Dany si schiarì la voce cercando di respirare meglio, iniziava a sudare davvero e non aveva molto tempo, iniziò ad esplorare il capanno in cerca di un’uscita, era molto piccolo, giusto una stanza, e le uniche aperture che fungevano come finestre erano troppo alte per lei e non c’era nulla che potesse usare per raggiungerle. Lo spettro di Vyseris rideva forte di lei mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata, il fuoco era ovunque, si era mangiato tutta la paglia per terra e anche il baule che conteneva le sue amate uova era ormai disintegrato e le sue tre pietre brillavano tra le fiamme. L’uomo che stava a terra cercò, annaspando, di arretrare all’indietro per difendersi dal fuoco ma questi lo raggiunse prima che potesse muoversi.

Daenerys lo sentì urlare forte e in quel momento anche un brandello del suo mantello fu preso da una piccola fiamma che non aveva visto, alle sue spalle. Se lo mangiava velocemente e la ragazza cercò disperatamente di toglierselo e nel farlo mise involontariamente la mano tra le fiamme.

Non sentì nulla. Nessun dolore, niente di niente. Le toccò di nuovo e anche questa volta si stupì nel constatare che non potevano farle del male. Era proprio come nei suoi sogni, un fuoco buono che la inondava senza ucciderla, il fuoco che era la sua rinascita, il suo destino che finalmente le veniva incontro mostrando il suo vero volto, senza più confonderla, senza più spettri. Vyseris era finalmente scomparso davanti ai suoi occhi, le uova di drago bruciavano, come tutto il resto, le urla strazianti che sentiva nei suoi sogni c’erano davvero, erano di quell’uomo che ormai moriva tra quelle fiamme che invece la risparmiavano, in cielo, anche se non poteva vederla, un’unica luminosa stella, la guardava.

“Daenerys!” un urlo improvviso la riscosse, riuscì a sentirlo nonostante la voce del morente e il crepitio del fuoco. Era Mormont, ne era sicura. Cercò di capire da dove venisse e lo vide dall’alto, si era probabilmente arrampicato ad una delle finestre, l’unica non ancora piena di fuoco. “Per di qua!” le urlò abbassando il fazzoletto che aveva tenuto sopra la bocca fino a quel momento. Le gettò una fune ed era abbastanza lunga perché lei potesse afferrarla e, forse, uscire da lì.

 “Daenerys! Presto!” Era disperato, gli occhi rossi dal fumo. Dany aprì la bocca per dirgli qualcosa ma non sapeva cosa dire. Non sarebbe uscita ma non poteva spiegargli, non aveva tempo, e non c’era nessun argomento che qualcuno al di fuori di se stessa, avrebbe ritenuto ragionevole. “Fidati di me” gli disse, ma lui non poteva sentirla. E non avrebbe comunque potuto fidarsi di una donna che sceglieva il fuoco alla salvezza.

L’ultima cosa che Jorah Mormont vide di lei fu il fuoco che le raggiungeva il vestito.

Alla fine, mentre ormai tutto era fiamme, si spostò verso le sue care uova e si sedette tra loro, tutte le lacrime che aveva trattenuto esplosero dai suoi occhi e le inondarono il viso, le dedicò a lui, Jon Snow, l’uomo che aveva tanto amato, e che sapeva non avrebbe rivisto più.

 

***

 

Per cercarla si erano divisi in tre gruppi, a cui stavano a capo lui, Sir Jorah e Robb, rispettivamente. Il suo cuore si era fermato non appena Mormont aveva dato l’allarme, in memoria di quella grossa sensazione d’angoscia che l’aveva invaso da subito. Pensò comunque che chiunque l’avesse presa non poteva essere troppo distante e loro non erano pochi, c’era una concreta speranza che tutto si risolvesse prima dell’alba.

Per questo, quando uno degli uomini di Jorah li raggiunse, gridando di andare al capanno, Jon sentì come se qualcosa di oscuro e terribile l’avesse assalito. “Il capanno? Che capanno?”

Quello che Jorah Mormont aveva preparato per la loro partenza? Quello che andava a fuoco da prima? Erano lo stesso? Che c’entrava Dany con questo?

Il suo cavallo corse veloce ma aveva quasi l’impressione di non muoversi, quando ci fu vicino sentì l’odore aspro del fumo e il calore delle fiamme sul suo viso, poi le vide, le fiamme, alte e minacciose sembravano quasi lambire il cielo, molti uomini si stavano già dando da fare, ormai il capanno era perso ma le fiamme potevano essere arginate e loro tiravano catini d’acqua affinchè non iniziassero ad invadere l’erba, per fortuna troppo umida dal nevischio dei giorni passati. 

Il suo cervello non riusciva a realizzare, fermò il cavallo scendendo con un balzo, anche Robb era arrivato e contemplava con lui la distruzione del fuoco, il volto perso.

Si avvicinò a lui, incapace di capire perché stessero tutti lì, immobili, senza continuare a cercare. L’avevano chiamato per cosa? “Robb…” gli disse e quando il fratello si voltò verso di lui Jon lesse la risposta nei suoi occhi umidi.

“No…” mormorò, negando col capo, s’allontanò di qualche passo, e vide Jorah Mormont, vicino a loro. Lo raggiunse, gridando il suo nome. L’uomo si mosse per andargli in contro, Jon lo prese per un braccio. “Perché mi avete chiamato? Dobbiamo cercarla!” urlò, i presenti lo osservavano scambiandosi sguardi tristi.

“Era troppo tardi…” disse solo, senza menzionare che l’aveva vista accendersi come una torcia sotto i suoi occhi, senza dire che aveva provato a salvarla ma che lei non aveva voluto, aveva scelto di abbandonarli, aveva voluto la morte per se stessa e per loro, la sofferenza.

Jon credette di poter urlare, di aver urlato ma non fu così. Nessun suono uscì dalla sua bocca quando cadde in ginocchio, davanti al capanno, quando capì che era reale l’angoscia che provava, quando ripensò al colore strano dei suoi occhi, al suo modo d’accoccolarsi sul suo petto dopo aver fatto l’amore, al finto matrimonio che avevano celebrato e consumato, e all’ultimo tocco di quella mano, che non avrebbe dovuto lasciare.

 

***

 

Albeggiava.

Il fuoco non aveva ancora smesso di divorare il capanno ma ormai le sue fiamme erano ridotte a vestigia in ricordo del fuoco dell’incendio. Jon aveva creduto di poter restare fino alla fine, ma l’idea di trovare i suoi resti, i suoi effetti, l’aveva devastato sopra ogni cosa. Anche Robb ad un certo punto aveva dato le spalle alle fiamme, si era avvicinato a lui e gli aveva dato la mano, per farlo alzare. Jorah aveva assicurato ad entrambi che sarebbe rimasto per vegliarla e che avrebbe preso qualcosa dal suo baule, per Jon, una spilla o un pettine. Quest’ultimo non riuscì a ringraziarlo ma s’augurò che dai suoi occhi trasparisse la gratitudine che gli doveva.

In silenzio ed in trance, iniziarono ad incamminarsi verso il castello, tirando i cavalli a mano.

Prima di arrivare al Castello, incontrarono un gruppo di uomini e tra loro riconobbero la testa rossa di Ygritte, che sellava il cavallo. Erano i cacciatori, il suo gruppo, quello che aspettava da due settimane. Alzò lo sguardo verso i due e capì in un lampo che allora erano vere le voci che avevano sentito tutti. “Per gli dei.” Mormorò avvicinandosi, la mente corrugata. Osservò Jon, preoccupata, e poi Robb, salutandolo con un piccolo cenno del capo. “Mi dispiace, tantissimo…” le vennero gli occhi lucidi ma Ygritte non era persona da piangere. Il suo gruppo l’aspettava e lei non poteva trattenersi oltre.  “Addio” disse quindi, abbozzando un sorriso.

Robb ricambiò il saluto. “Abbi cura di te.”

“Non mancherò. Quando avremo passato la barriera mi sentirò finalmente a casa.”

“Andiamo???” tuonò qualcuno alle sue spalle, lei concesse loro un ultimo sguardo prima di voltarsi e di salire a cavallo. Si mossero lentamente sotto i loro occhi, Jon li seguì con lo sguardo, pensieroso, poi improvvisamente li fermò. “Aspettate!”

Ygritte fermò il cavallo e anche gli altri lo fecero. “Non farci perdere tempo!- gridò uno di loro- è già l’alba!”

“Jon, che vuoi fare?” gli sussurrò il fratello, trattenendolo per un braccio. “Non prendere decisioni avventate.”

Ma lui era già oltre. “La barriera- disse, schiarendosi la voce- devo raggiungere la barriera”

“La barriera? Cosa?”

“Andrò da nostro zio. Come avrei dovuto fare tempo fa.” Disse, sorridendo amaramente, il suo cuore, crudele, gli rimandò a quella sera quando Dany si era infuriata con lui perché sarebbe partito, quando lui le aveva chiesto un motivo per restare e lei l’aveva baciato. “Non ho più motivi per restare”

“Noi siamo la tua famiglia, Jon. Non puoi andartene adesso, abbiamo bisogno di te!”

“Scusami, fratello.” Gli strinse il braccio. “Non posso”

Si abbracciarono. Robb avrebbe voluto dirgli tante cose, chiedergli di perdonarlo per la discussione che avevano avuto ma sentiva che Jon l’aveva già fatto. Jon l’osservò per l’ultima volta, dicendo a se stesso che l’avrebbe portato nel suo cuore, come il fratello che aveva invidiato ed amato per tutta la vita. Si rammaricò di non aver potuto abbracciare Arya, ma pensò che avrebbe capito e che avrebbe avuto sempre con sé la piccola Ago come suo ricordo.

“Muoviti!” gli uomini di Ygritte erano nervosi ed impazienti. “O ti lasciamo qui” Jon montò a cavallo.

“Vuoi che… ti mandi qualcosa… di suo?” gli chiese Robb, deglutendo a fatica.

“Vorrei solo dimenticare” disse in un sospiro, allineandosi con gli altri per partire, sapendo già che non sarebbe stato possibile e che non l’avrebbe fatto mai.

Si lasciò suo fratello, sua sorella, Grande Inverno e Daenerys alle spalle, sperando di poter trovare un po’ di pace, di riprendere il suo posto, tra i Guardiani della Notte. Alla fine, a quanto sembrava, il destino aveva vinto su di loro, Westeros l’aveva assassinata per ricordargli che non ci sono mezzi termini, quando si gioca al trono di spade. O si vince o si muore.

 

***

 

Quello che accadde a Grande Inverno, nelle ore successive, fu avvolto dal mistero per diverso tempo.

Dopo Jon, anche Jorah Mormont partì, senza congedarsi, senza salutare nessuno, nemmeno avvertì Robb a cui aveva promesso un aiuto per indagare sulla morte di Daenerys. Se ne andò affittando un carro, con alcuni uomini, e di lui non si seppe più nulla. Raccontarono poi di averlo visto ad Est, in compagnia di una donna col capo coperto da un lungo velo, cercare un’imbarcazione per Essos e chissà dove, in realtà.

La famiglia Stark si strinse nel lutto della giovane Daenerys ma di lei non fu trovato nulla. L’unica cosa che Arya trovò, tra le lacrime, mentre esplorava i resti del capanno, furono le schegge di pietra delle sue uova, non in frantumi, ma rotte e cave come se si fossero schiuse. Non potendo più restare a Grande Inverno dove era rimasta sola e triste, Arya partì con la madre, per Approdo del Re, e questa, non potendo più permettere di mandare sua figlia dai Tully dove nessuno l’avrebbe controllata a dovere, anche in virtù di quello che era capitato a Bran, deliberò che stesse con suo padre e sua sorella, a corte.

Della rivoluzione non parlò più nessuno, scomparvero tutti come la regina che avevano acclamato, e quando Robb s’interessò scrivendo ai Martel, per quella lettera, questi gli risposero che era un falso. Era solo una trappola, nessuno aveva mai voluto appoggiarla e anche la ribellione doveva essere stata istigata, finta, come tutto il resto.

Si spense tutto e per un po’ tutto restò in una calma piatta ed innaturale, finché Catelyn Stark non requisì Tyrion Lannister come mandatario del quasi assassinio del figlio, finché Robert Baratheon morì, finché la guerra per il trono non ricominciò di nuovo, ancora e ancora.

 

 

 

 

EPILOGO

 

Era una sera al crepuscolo, l’aria era gelida come sempre, e come sempre, diversa.

Era nel suo terzo mese di lotta contro gli Estranei. Vivo di nuovo, dopo la morte, dopo tutto quello che era capitato alla sua famiglia, ad Ygritte, dopo essere stato il Lord Comandante ed essere stato tradito, dopo aver ricevuto un messaggio, lettogli da Sam, quasi per sbaglio, in cui si parlava della principessa Daenerys Targaryen e si raccontava le sue gesta. Si parlava di draghi, di veri draghi, delle sue lotte nella Baia degli Schiavisti, del suo furore. Era sopravvissuto anche a quello, alla consapevolezza che lei gli era sfuggita dalle dita una seconda volta, ed aveva resistito alla voglia di partire per cercarla.

Gli avevano annunciato il suo arrivo sul dorso di un drago, ma così non avvenne, Daenerys si presentò da lui a piedi, i suoi draghi Jon Snow li vide danzare nel cielo, sopra le loro teste, vide prima le loro grandi ombre che si allungavano sulla neve e poi vide loro, alzando gli occhi agli cielo, troppo distanti perché potesse ammirarli davvero. Il suo cuore mancò comunque un battito quando scorse le creature più incredibili che il mondo avesse mai generato.

Sentì i suoi passi prima di vederla. Il vento non riuscì a confonderglieli con il crepitio delle foglie secche che pian piano spogliavano gli alberi della loro presenza.

Aspettò di sentirne diversi, di udirli farsi sempre più vicini, fino a rallentare, fino a fermarsi. La sentì respirare ed immaginò l’aria che si condensava intorno alla sua bocca.

Aveva sentito su di lei più di quello che si augurasse di udire. La Madre dei Draghi, la chiamavano, perché quelle creature le aveva allevate, protette, nutrite, perché lei era morta così che loro potessero nascere. La morte, unico modo di ripagare la vita.

La morte finalmente tirava le somme. La morte che aveva abbracciato anche lui, ghost, per un lungo attimo, la morte che l’aspettava di nuovo, sul serio, Kill the boy, Jon Snow, perché non s’era compiuto proprio nulla e perché era stato uno sciocco a pensare che gli dei antichi avessero finito con lui.

O che avessero finito con lei.

I suoi passi si fermarono. Lui rimase di schiena ancora qualche istante e quasi sobbalzò quando la sentì dire: “Sono qui.”

Non si aspettava che parlasse. Disse sono qui, come se avesse già letto la sua mente e conoscesse l’attesa che aveva accompagnato il suo arrivo alla barriera. Disse sono qui da arrogante, presuntuosa principessa del fuoco e madre dei draghi. Disse sono qui e lui sentì che il sangue gli ribolliva di un ardore antico e familiare, che c’era sempre stato, sopito, mal nascosto, nei suoi silenzi, nelle notti in cui si addormentava chiedendosi come sarebbe andata, sapendo che lei era viva, lontana, di un altro, sapendo che non gli aveva mai scritto, né lo aveva cercato.

 Avrebbe voluto gridare dalla rabbia di quel dolore passato e nuovo, che faceva da sempre parte di lui, sotto la sua pelle gelida. Non riusciva a parlare ma si voltò, a guardarla. Forse aveva ragione quando pensava che non l’avrebbe rivista mai più ed era effettivamente così: la ragazza smarrita, confusa, forte ma persa, che ricordava, non c’era più. Di fronte a lui, la stessa aurea bianca e argento che lui ricordava precedere il maestro Aemon, gli stessi capelli bianchi di un tempo, ma una donna diversa. Incontrò i suoi occhi violetti e cupi, meno brillanti di come li ricordava, il suo volto era cambiato, era cresciuta, era una guerriera adesso, e non si era più guardata indietro.

Lei aprì la bocca per parlare di nuovo ma tacque. Jon l’avrebbe creduta tremare se non fosse che non sapeva più niente di lei e di quello che sentiva. Si chiese se anche a lei facesse quell’effetto.

“Mia regina.” Disse quindi, abbassando leggermente il capo.

La vide parecchio sorpresa da quell’appellativo. “Perché l’hai detto?”

“Quale dei tuoi nomi dovrei scegliere? Madre dei Draghi? La non-bruciata? Nata dalla Tempesta? Distruttrice di catene?”

Il vento scosse i suoi capelli argento. Era strano notare come fosse così simile al paesaggio bianco che li circondava eppure così chiaramente distante e diversa. Il freddo aveva screpolato le sue labbra e tingeva di rosso le sue guance, una creatura trapiantata in una natura a lei ostile, e questo era molto simile ai suoi ricordi di Grande Inverno.

“D’accordo.” disse quindi lei, lo sguardo improvvisamente più duro e affilato, come una lince.

“Dovremmo parlare di molte cose, mia regina” continuò lui, sulla stessa falsa riga. Ma non avrebbe saputo da che iniziare. Dalla barriera, dagli estranei ovviamente, dai loro nemici gelidi che avanzavano inesorabili perché lei era qui per questo, per combattere al suo fianco, con i suoi draghi. Non era qui per lui. Era qui per il trono e la gloria, era qui per la guerra, per la rabbia.

“Sta bene. – disse lei- Alla mia tenda. Per cena.”

Si congedò, andandosene com’era venuta e lui notò finalmente i due uomini che l’accompagnavano e che erano rimasti distanti da lei fino ad ora. Li riconobbe, con un sorriso grave. Ci sarebbe stato così tanto da dire, anche a loro, che non sarebbe bastata una notte, una vita. Ma lui ce l’aveva ancora una vita da spendere?

La cena arrivò presto. Nessuno dei due mangiò.

Parlarono tutti, di tante cose. Generali, anche semplici soldati, tutti presero parola in un turbinio di decisioni frenetiche, di paura liquida che si versavano nei calici, al posto del vino, consapevoli che sarebbe stato difficile, che in gioco c’era tutto, la vittoria o l’inferno. Risate nervose, sguardi di disagio e smarrimento, chi avrebbe voluto scappare e non essere lì ed altri che trovavano la loro unica ragione di vita in quella guerra e nella battaglia di domani.

Anche lui parlò, per lo più su diretta domanda, lei lo fece poco, tenendo sempre stretto il calice in una mano mentre i suoi occhi viaggiavano avidi sulla mappa o incontravano i suoi, che non trovavano possibile staccarsi da lei. 

Se poco fa, sulla neve, Jon Snow aveva avuto la forte sensazione di avere di fronte una persona molto diversa da come la ricordava, adesso ogni sua cosa le pareva familiare e dolorosa. Daenerys Targerarien era sveglia ma testarda e non era prudente, come ricordava. Ardita, pronta a rischiare la vita di tutto e tutti, a spingersi oltre ad attaccare più forte, a non fermarsi di fronte ad ostacoli veri o falsi che fossero. Inesperta, inconsapevole guerriera. Molti vociferavano che fosse molto intuitiva e di come la sua recente sfortunata esperienza come politico aveva messo in luce invece quanto fosse brillante come stratega di guerra. Lui assaporò la violenza delle sue parole tranquille, trascinato dalla potenza di chi non ha bisogno che di uno sguardo, per convincere.

Ricordò le storie di Aegon il conquistatore e capì di averne di fronte un altro, capì finalmente quello che lei gli aveva detto tante volte, i draghi non piantano alberi

Quella notte venne da lui.

Si presentò alla sua tenda da sola, con la sua pelliccia di leone bianco. Non chiese di essere annunciata, entrò e basta. Lo trovò sveglio, vestito, come in attesa. “Continui ad aspettarmi.” Commentò con un sorriso lasciando che la tenda si chiudesse alle sue spalle.

“Come si aspetta la morte.” Risposte lui, sorriso amaro e bello sul suo volto cupo. Senza avere la consapevolezza di ciò che stava dicendo, disse semplicemente. “Tu devi essere la mia morte.”

“Come tu la mia.” Soffiò lei. Gettò la pelliccia in un angolo rimanendo vestita con l’abito blu della cena. “Ho voluto più di tutto, Westeros ” continuò ad avvicinarsi. I suoi grandi occhi viola erano lucidi come pregiati ametisti “Ho voluto il trono di spade.” Sorrise. “Per nessun motivo se non che sembrava essere il mio destino, quello di non fermarmi mai. Mi dicevo che era mio per diritto di nascita, che dovevo vendicarmi di tutto quanto, che ero la legittima regina… ma non è questo che mi ha impedito di lasciare Qart, Mareen, e tutti i posti in cui potevo stabilirimi… è stata la rabbia.” Deglutì. “Sapevi che ero viva. Perché non mi hai cercato?”

La giovane regina, prima del suo nome, era ad un passo da lui. La sua carnagione diafana la faceva apparire spettrale alla luce fioca delle candele e le sue labbra sembravano il tramite tra questo ed un altro mondo. “Questo è assurdo- Rispose lui, con voce roca. – ho scoperto che eri viva anni dopo. E suppongo di non averti cercata perché fino a quel momento tu non l’avevi mai fatto.”

“Sir Jorah mi ha detto che sei partito mentre ancora il mio corpo bruciava. Se solo fossi rimasto…”

Non poteva ascoltare oltre. Era un ricordo troppo doloroso da sopportare, le prese le braccia e la spinse, senza farle del male, ad una delle pareti della sua tenda. “Non potevo… rimanere- ringhiò di rabbia, mentre sentiva il petto aprirsi in due, come quando aveva sentito, uno ad uno, quei pugnali. – tu eri morta, mi hai capito? Morta!- distolse il suo sguardo.- non riuscivo a sopportarlo.”

Daenerys sembrava piccola ed indifesa tra lui e la parete ma i suoi occhi saettavano ancora di quel sentimento troppo antico da dimenticare. “Sei ancora tu, Jon Snow?”

Lui l’osservò senza parlare. Non aveva una risposta.

Lei gli accarezzò i capelli ed il viso, come la prima volta che si erano amati, esplorando i suoi lineamenti con le dita. “Perché io ti amo.” Disse lei, non riuscendo più a trattenere tutto quello che aveva custodito nel suo cuore da sempre. Jon le afferrò il volto con una mano e la condusse velocemente a lui, unì finalmente le loro bocche in un contatto veloce e violento. Poi si staccò appena il tempo di guardarla negli occhi e convincersi che stava accadendo davvero. Che non era come nei suoi più terribili incubi e che non era nemmeno come quando erano solo due ragazzi a Grande Inverno, perché adesso erano adulti, erano sopravvissuti a tanto, a tutto, ed erano di nuovo lì, a combattere per un futuro che, come si erano detti una volta, li avrebbe visti insieme, morti o vivi.

 “Da tutta la vita- le sussurrò mentre la spogliava- ti amo da tutta la vita” mentre cercavano di ricordarsi e di conoscersi di nuovo, esplorando con le mani il corpo dell’altro, mordendosi di rabbia ed accarezzandosi di perdono, cercando di parlarsi, tra le effusioni, di raccontarsi, di confidarsi le paure, le lacrime, tutte le volte che avevano pensato di non farcela più ed invece erano ancora lì, redivivi e decisi a non mollare.

Il sole del giorno dopo li scoprì ancora abbracciati.

La loro guerra di ghiaccio e fuoco non era che iniziata.

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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