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Disclaimer: i
personaggi sono proprietà di Terajima Note: io volevo solo scrivere cose
romantiche a caso. Mi pare evidente che la cosa sia un tantino sfuggita di
mano. Avvertimenti (tematiche delicate): in
questa fan fiction mi sono ritrovata impelagata in tematiche importanti. Tra
queste, mi sembra opportuno segnalare la presenza di asessualità e identità di
genere; poiché potrebbero non essere gradite a tutti, invito coloro che non
sono interessati o si sentono disturbati a chiudere la pagina e non proseguire
oltre.
Specifico inoltre che in alcun modo questa fanfic
vuole tramutarsi in testimonianza diretta o indiretta degli argomenti di cui
sopra. Cercherò, nel limite del tatto e della delicatezza dovute, a dare più
che altro accenni specie riguardo l’identità di genere, giacché troverei poco
opportuno da parte mia che non vivo in prima persona l’importante percorso che
sta dietro a questo argomento parlarne diffusamente o nel più piccolo
dettaglio.
Pregherei, poiché l’avviso della presenza di tale tematica è qui presente, di
evitare commenti nelle recensioni – quando la fan fiction arriverà a quel punto
– quali “ma tizio non è plausibile voglia essere donna”; dopotutto, se il
plausibile si basa sul canon sfornato da Terajima, il 99% di quanto scriviamo non lo è. L’obiettivo
ultimo di questa storia, peraltro, non è questo. Note di ambientazione: Eijun è al
suo ultimo anno e Miyuki al primo dell’università (medicina); le età degli
altri personaggi sono state modificate di conseguenza. Eijun pratica il
baseball, Miyuki lo ha fatto in passato, in nessuno dei due casi è un tema
centrale nella storia. Narumiya fa il pianista. Ulteriori note, che al momento
potrebbero sfuggirmi, saranno eventualmente segnalate più avanti.
Vorrebbe avercela a
morte con qualcuno, è questa la verità: che si tratti del karma, dei suoi
antenati che – per quanto ne sa – potrebbero essersi inimicati una qualche
divinità, o di Kuramochi, Eijun vorrebbe solo avere il responsabile delle sue
sventure lì fra le mani.
Miyuki Kazuya lo sta fissando con tanto d’occhi, almeno per gli standard di
sorpresa che la sua faccia si degna di mostrare al mondo; Sawamura l’ha vista
in altre occasioni, come quanto Miyuki scopre che lui – Eijun – è sempre più incapace in matematica di quanto
dovrebbe essere concesso a uno studente liceale. Se fosse il caso anche in
questo momento, gli rivolgerebbe un insulto in tempo record, tanto più che
ormai Miyuki deve essersi arreso in merito al sentirsi rivolgere appellativi rispettosi
da lui.
Ma, con suo grande disappunto, stavolta non può dargli torto; e per quel che lo
riguarda, Eijun vorrebbe solo essere risucchiato dal pavimento della sua stanza
e sparire. O avere la propria stanza a qualcosa come il decimo piano di un
edificio, perché dubita che buttarsi di sotto dal primo servirebbe a causargli
qualcosa di definitivo per mettere fine alle sue pene. Con la sfortuna che ha
potrebbe al massimo slogarsi o rompersi qualcosa, e a quel punto magari nemmeno
potrebbe fuggire; no, è poco conveniente, si dice. Vuole
morire e basta. Cioè, non nel senso stretto del termine, lui ama la vita – ha
un po’ di sfiga, questo lo ha appurato, ma niente di così terribile da
giustificare un gesto estremo.
A parte il fatto di aver appena detto qualcosa di troppo. Qualcosa che a
Kominato Haruichi, che si è preso la briga di essere il suo migliore amico
negli ultimi due anni e mezzo di scuola, costerà una chiamata fatta di lagne;
se fossero due ragazze potrebbe salvarsi con una mega coppa gelato – Wakana ha
sempre sostenuto funzionasse con le sue amiche, Eijun francamente dubita che
del gelato possa farlo sentire meno nel panico.
Miyuki ha ritrovato la sua calma interiore, perché l’espressione non mostra più
la genuina sorpresa di poco prima. In compenso Eijun non saprebbe come definire
quel sorrisetto che gli incurva le labbra e lo sguardo che gli rivolge: non è
pietà e non gli sembra schifo, ma è una ben magra consolazione visto che non sa
comunque riconoscere niente sul viso del più grande, e la cosa non lo aiuta a
tranquillizzarsi.
Anche perché se c’è una persona che negli ultimi mesi è sempre riuscita ad
angosciarlo, metterlo in imbarazzo, farlo sentire un perfetto demente e
farlo incazzare, quella è Miyuki Kazuya.
Quando, più o meno sei mesi fa e a ridosso di un giugno che si preannunciava
fin troppo afoso, Kuramochi Youchi gli mandato uno
sterile messaggio “muovi il culo e vediamoci quando finisco il turno”,
Miyuki avrebbe dovuto capire che la fregatura doveva essere da qualche parte.
Non perché di solito il suo ex compagno di liceo fosse l’apoteosi delle
smancerie nei suoi messaggi (grazie al cielo), quanto perché almeno una
motivazione veniva sempre data. Ma cogliere i segni sarebbe stato troppo
semplice, e in ogni caso Miyuki aveva sempre dato il beneficio del dubbio in
merito alla totale sanità psicologica di Kuramochi – non che lui potesse
davvero fare la predica a qualcuno in merito.
Era stato troppo fiducioso degli ultimi tre anni di frequentazione al liceo in
cui, bene o male, credeva di aver “preso le misure” con lui, di saper gestire
qualsiasi cosa l’altro gli ponesse di fronte; a suo favore bisognava dire che
Youichi aveva le sue stranezze, ma per lo più innocue. Se eri tipo da non
scomporsi particolarmente perché il tuo migliore amico aveva la fissa per mosse
di pro-wrestling – che di sicuro non era né sarebbe mai stato il suo sport, per
così dire – e la risatina un po’ infoiata che ogni tanto tirava fuori… il resto era tranquillamente vivibile.
Forse Miyuki era stato troppo fiducioso.
Eijun non è un cattivo ragazzo, anzi: Miyuki lo ha inquadrato abbastanza
facilmente da quando si sono incontrati, tramite Kuramochi, perché a detta di
quest’ultimo il suo vicino di casa era “troppo stupido per sperare di finire
gli esami senza essere bocciato, figurarsi l’ammissione alla Waseda!”. Una
frase che, Kazuya lo sapeva, nascondeva una sottile preoccupazione e una chiara
richiesta ad aiutarlo.
Youichi si è messo a lavorare subito dopo il diploma. La sua media era di tutto
rispetto, ma niente di particolare – nulla comunque gli avrebbe precluso
l’ingresso a una normale università pubblica, se avesse voluto – ma, e non lo
aveva mai nascosto, non c’era niente che volesse studiare di specifico.
Riteneva che andare all’università per lui sarebbe stato uno spreco di tempo e
soldi per la sua famiglia, così aveva rinunciato andando a cercarsi un buon
lavoro.
Non era servito spiegare tutto questo a Miyuki per chiarire che non si sentiva
minimamente in grado di aiutare Eijun con i suoi studi; tra l’altro la
matematica, una delle due materie in cui Sawamura andava peggio, a Kuramochi
aveva sempre fatto schifo.
Così, Kazuya aveva accettato e aveva incontrato Eijun e i genitori di
quest’ultimo; loro erano sembrati molto più entusiasti di lui, a dire il vero,
cosa che aveva inizialmente reso dubbioso Miyuki: aveva fiducia nelle proprie
capacità di spiegare e insegnare, specie argomenti con cui non aveva mai
davvero perso la mano, ma far sì che una persona svogliata e senza alcuna
intenzione di applicarsi riuscisse ad apprendere era un altro discorso.
Si era dovuto ricredere: forse Eijun non lo aveva in simpatia – peccato, perché
prenderlo in giro si era rivelata da subito una delle cose più divertenti che
Miyuki avesse provato nella sua vita relazionale con altre persone –, ma aveva
in mente un obiettivo e da subito si era capito quanto fosse disposto a mettere
da parte anche l’odio per lui, se solo fosse servito a fargli raggiungere lo
scopo. Così, nonostante Miyuki non avesse mai rinunciato alle prese in giro ai
danni dell’altro durante le loro lezioni, aveva fatto del proprio meglio per
aiutare Sawamura a colmare le sue lacune nello studio.
Cosa più semplice a dirsi che a farsi, quando alzando lo sguardo per
controllare a che punto fosse con gli esercizi lo trovava a contare con le
mani, ma non era così terribile nel complesso.
Per essere completamente sinceri, Eijun è un bravo ragazzo. È una di quelle
persone che si impegna al massimo delle proprie possibilità senza mai
risparmiarsi, di quelle che finiscono sempre per contagiare gli altri con il
proprio entusiasmo; ha un carisma di cui – Miyuki ne è sicuro ormai – non è
conscio lui stesso, e ha la capacità di circondarsi di persone che finiscono
con il riconoscere il suo valore e la sincerità dell’amicizia da lui offerta
con naturalezza. Questo Miyuki lo ha capito di volta in volta rapportandosi con
lui, o vedendolo avere a che fare con Kuramochi e Kominato, quest’ultimo trovato
più di una volta a casa Sawamura e immediatamente identificato come il fratello
di Ryousuke.
Kazuya ha capito e imparato ad apprezzare anche la totale schiettezza di Eijun,
nel bene e nel male, fatta di assenza di rispetto nei suoi confronti ma anche
di pareri privi di malizia o cattiveria gratuita. Sa riconoscere, dopo sei mesi
di assidua frequentazione due pomeriggi a settimana e occasionalmente – ossia a
ridosso dei test – il sabato mattina, quando può prendere in giro e quando è da
evitare; ha persino scoperto, in un certo senso suo malgrado, che persino uno
chiassoso e perennemente ottimista come Eijun ha dei momenti di sconforto,
momenti in cui sembra convinto di non potercela fare né con la scuola, né con
la sua scelta universitaria, né con qualsiasi altra cosa. Quelli sono i rari
momenti in cui decide che Sawamura non ha bisogno di chi lo prende in giro, ma
di possa sostenerlo; Miyuki non è mai stato tipo da indorare la pillola o dare
false speranze, per cui non direbbe mai a qualcuno che può farcela se non ci
credesse davvero – come Kuramochi gli ha ricordato per tre anni di scuola, e
con una puntualità svizzera, “sei una persona di merda, ma non fino a questo
punto”, una verità che poteva adattarsi a tutte quelle situazioni dove il
tatto non era puramente questione di educazione e rispetto dei ruoli, ma
qualcosa che non si poteva non avere in situazioni troppo serie per essere
prese con leggerezza e quella punta di menefreghismo che a Kazuya non era
mancata mai.
Quando dice a Eijun che entrerà alla facoltà di scienze motorie della Waseda,
non ha dubbi in proposito.
Mentirebbe se dicesse di non aver colto quasi tutti i segni che Eijun, in
maniera del tutto inconsapevole, gli ha lanciato; con ogni probabilità Sawamura
doveva essersi persino convinto di aver fatto un ottimo lavoro nel nascondergli
la cosa. E a Miyuki in fondo è sempre andato bene che l’altro lo credesse, per
tutta una serie di motivi che esulano dal rapporto “insegnante-alunno” instauratosi
tra loro ma che in realtà non è poi questo granché, considerando come mai una
volta Eijun lo ha chiamato con il -san, figurarsi “sensei”.
Di sicuro è anche colpa della differenza di età pressoché inesistente: passano
sei mesi ad avere lo stesso numero di anni, prima che Miyuki festeggi – per
modo di dire – il compleanno a novembre e finisca per aggiungere una cifra che
rimarca l’anno di stacco che c’è tra loro. Come ora, a inizio dicembre, con
Eijun che rimane ancorato ai suoi diciotto anni mentre Miyuki no.
Sì, forse anche quella vicinanza anagrafica ha fatto il suo, e se da una parte
non rappresenterebbe il minimo ostacolo – non ci sarebbe poi nulla di male, ad
avere un certo tipo di rapporto –, dall’altro complica di molto le cose.
Kazuya lo ha capito definitivamente a metà novembre, non perché Eijun gli abbia
fatto un regalo di compleanno che avrebbe messo in difficoltà entrambi, ma per
la pioggia che ancora stenta a dar loro tregua come ogni anno in questo
periodo. Era un sabato mattina, di quelli in cui ci si svegliava ritrovandosi
con un cielo così carico di pioggia da far sembrare ancora piena notte; Miyuki
aveva comunque dovuto abbandonare letto e casa, prendere la metro e un autobus.
Solitamente faceva il tratto dalla stazione della metro fino all’abitazione dei
Sawamura a piedi ma, nonostante si fosse munito di ombrello, non aveva voluto
rischiare di arrivare fradicio di pioggia.
Raggiunta la casa, si era ritrovato Kuramochi ad aprire la porta in procinto di
uscire, e la signora Sawamura ad accompagnarlo; aveva salutato Miyuki
invitandolo ad accomodarsi e lasciandogli spazio per farlo. Aveva poi allungato
una mano verso Youichi, tendendogli un ombrello: «Grazie di essere passato in
farmacia anche se non dovevi uscire per il lavoro, Youichi-kun.»
aveva pronunciato con un sorriso grato, che Kuramochi aveva ricambiato con un
sorriso aperto e un “non c’è di che” amichevole.
Ben diverso da quello quasi compiaciuto che gli aveva rivolto, quasi
pregustando una vittoria il cui senso sfuggiva totalmente a Miyuki, come d’altronde
il «Buona fortuna.» con tanto di pacca sulla spalla con cui l’altro si era
congedato.
Non ci era voluto molto per capire, una volta che l’attenzione della signora
Sawamura era stata totalmente su di lui; il maltempo risvegliava in Eijun
dolori muscolari dovuti a un vecchio infortunio durante una partita di
baseball. Niente di grave che lo avesse fermato per sempre, anche se ci era
voluto qualche mese per tornare totalmente in forma. Però, in giornate come
quella, a volte i dolori era forti e altri no – la cosa intaccava quel buon
umore tipico di suo figlio, e a volte c’era bisogno di un antidolorifico, come
quello che Youichi le aveva gentilmente portato.
Una volta entrato nella stanza di Sawamura, il tanto decantato malumore era stato
evidente, così come per buona parte della loro prima ora di studio: Eijun non
mancava mai di borbottare se una cosa non gli riusciva, o di insultare Miyuki
per le prese in giro che puntualmente gli rifilava; non era difficile trovare
strana l’atmosfera di una camera in cui Eijun non fiatava nemmeno, gli occhi
incollati al foglio senza davvero concentrarsi sugli esercizi. Un paio di volte
Kazuya lo aveva anche notato portare la mano alla gamba e massaggiare
distrattamente, premendo però con una certa forza le dita contro la carne.
Alla fine Miyuki si era arreso, lasciandosi sfuggire un sospiro tra le labbra e
sottraendo il foglio da sotto il naso di Eijun che aveva portato lo sguardo
perplesso su di lui: «Che—»
«Inutile stare ancora su questi esercizi, visto che comunque non ti ci stai
neanche impegnando.» aveva tagliato corto Kazuya alzandosi e iniziando a
rimboccarsi le maniche della felpa che aveva addosso, accennando con la testa
al letto nella stanza: «Va’ a sdraiarti.»
«Eh?!»
E fin lì, Miyuki aveva anche trovato il modo di attribuire lo sgomento alla
proposta di per sé, non senza un imbarazzo di fondo che poteva essere
giustificato in un unico modo: «Sdraiati. Do’ un’occhiata alla gamba che ti fa
male.» aveva chiarito, il tono che non ammetteva molte repliche.
L’espressione di Eijun era stata impagabile, e in qualsiasi altro contesto
Kazuya ne avrebbe approfittato; ma quello era uno dei famosi, rari momenti in
cui dava tregua a Sawamura perché capiva non fosse il caso di infierire oltre.
Forse proprio per l’assenza di prese in giro, l’altro si era sistemato sul
materasso, rimanendovi seduto; ci erano voluti almeno un paio di minuti per
convincerlo a liberarsi dai pantaloni – “Sawamura, se ti fa male il
quadricipite non posso controllarti il ginocchio. Levati quei pantaloni o te li
tolgo io” si era rivelata una potente arma per convincerlo.
Aveva taciuto, controllando con attenzione anche il ginocchio, facendolo
sistemare a pancia in giù per effettuare una precisa manovra utilizzata per
individuare alcuni tipi di traumi, e chiedendo a intervalli se l’altro provasse
dolore. Lo aveva fatto sistemare di nuovo supino, portando le mani a fare
pressione in diversi punti, da poco sopra il ginocchio a risalire fino alla
coscia: i muscoli erano duri, in quel modo familiare per tutti gli sportivi,
segno di allenamenti che avevano temprato il fisico. Qua e là, però, non era
stato difficile notare diversi punti particolarmente contratti.
«Sawamura, segui ancora gli allenamenti del club?»
«Certo che sì.»
«Fai mai stretching, alla fine?»
«...un po’.»
«Certo.» aveva commentato scettico, occhieggiandolo e facendo un po’ più di
pressione, sentendo Eijun irrigidirsi e quasi scattare seduto.
«Ohi!» lo aveva richiamato, lamentandosi.
«Questo non è il muscolo di uno che fa allungamento come si deve, Sawamura, non
cercare di fregarmi.» lo aveva ammonito «Sei in anticipo di almeno diciotto
anni per farlo.» aveva aggiunto sogghignando; gli era valso un mezzo insulto
che non aveva colto alla perfezione, ma l’aveva lasciato cadere così, senza
repliche.
«Aspetta.» aveva detto alzandosi dal bordo del letto dove si era seduto in
precedenza, andando a poggiare con un ginocchio sul materasso, entrambe le mani
a tenere su la gamba di Eijun. Era ancora uno studente lontano dalla laurea in
medicina e dalla specializzazione come medico sportivo a cui ambiva, ma anni di
sport – e di visite con un fisioterapista, quasi impossibile evitare dopo anni
di attività a livello agonistico – gli avevano insegnato qualche manovra che
gli atleti potevano anche fare da soli, esercizi di allungamento che non
avevano bisogno di essere supervisionati, purché venissero fatti bene.
«Senti dolore?» aveva chiesto, occhieggiandolo in viso e vedendolo annuire
leggermente: «Non tantissimo.» aveva aggiunto quasi subito Eijun, facendolo
ridacchiare divertito mentre tendeva ancora di più il muscolo che gli stava
allungando e sentendolo trattenere istintivamente il respiro.
«Non fare l’eroe, devo stenderlo finché non lo senti teso al limite.» gli aveva
fatto presente, vedendolo inspirare ed espirare un paio di volte, annuendo di
nuovo.
Avevano tenuto quella posizione per diverso tempo, almeno un paio di minuti;
gradualmente Eijun era andato rilassandosi, gli occhi puntati solo e unicamente
sulla gamba senza mai risalire fino a Miyuki. Vedendo la sua espressione farsi
meno tesa, Kazuya aveva piegato con attenzione la gamba dell’altro un paio di
volte, per poi osservarlo: «Va meglio?» aveva chiesto, osservandolo in viso e
notando facilmente il suo annuire. Aveva incurvato le labbra in un sorriso
compiaciuto, lasciandolo libero di sistemarsi e rimettere i pantaloni.
«Sei una delle persone più flessibili che io conosca, sai?» aveva detto, e non
c’era stato alcun intento di metterlo in imbarazzo; ma Eijun aveva sussultato
appena, le mani che non c’entravano l’asola con il bottone, e l’attimo dopo
Miyuki aveva potuto affermare che sì, le persone potevano davvero
arrossire fino alle orecchie.
Mentirebbe anche se dicesse di non averlo trovato carino, di non aver capito
cosa stesse per succedere, di non averne avuto il minimo sentore; per quanto
sia avvezzo alla menzogna, però, Kazuya sente di non pronunciare alcuna bugia
dicendo che di sguardi come quello di Eijun non ne aveva visti spesso.
«Tu— io non sono— razza di—» “di cosa”, Miyuki non aveva comunque avuto il
tempo di chiederlo; perché Sawamura, estremo in tutto quello che decideva di
fare, non aveva potuto certo risparmiargli la dichiarazione più goffa,
frettolosa e assolutamente non romantica che avesse mai ricevuto.
Lo guarda in silenzio. Mentre muove le labbra per articolare la sua risposta,
vorrebbe essere una persona migliore di quella che invece è conscio di essere.
Qualche nota iniziale, giusto per: tutta la
famiglia Sawamura si è trasferita da Nagano a Tokyo, e si sono ritrovati vicini
di casa di Kuramochi; la maggior parte dei personaggi è ancora invischiata nel
baseball, ma l’elemento di per sé è meno presente (ma riscontrabile a più
riprese, come si vedrà).
Potrebbero esserci note come questa di volta in volta, piccoli dettagli cambiati
e adattati alla realtà di questa au. Spero risultino
sempre chiari (L)
Non sa dire se quello che ha fatto può
considerarsi immensamente stupido, tanto da fargli temere di essere stato
contagiato da Sawamura, o se tutto sommato può fingere che sia stata una
decisione ponderata in base a una serie di pro e di contro che non saprebbe
nemmeno elencare – forse perché non li ha neanche cercati.
Il problema non è per se stesso: Miyuki si conosce abbastanza da sapere che
uscire una volta con Eijun non intaccherà la sua vita al punto tale da
sconvolgerla, nel bene o nel male; ha un equilibrio tutto suo, che alcuni
(Kuramochi) nemmeno definiscono vero equilibrio a dirla tutta, ma la cosa non è
mai stata un problema. Kazuya non ha mai dato importanza all’opinione degli
altri sulla sua persona. Non sono pochi a credere si sia crogiolato durante
tutti e tre gli anni del liceo per la propria popolarità acquisita grazie al
baseball, o per lo stuolo di fan che aveva.
La verità è che non gli è mai interessato particolarmente niente di quello che
lo circondava; le uniche cose che contavano erano il baseball – e altro
elemento al riguardo dello stesso – e il proprio andamento scolastico. Per il
resto, non c’era mai stato niente di così fondamentale e allo stesso tempo
“esterno” al suo modo di essere: non gli importava che gli altri lo
considerassero un buon compagno o meno, non gli pesava non avere veri e propri
contatti al di fuori di quelli con la squadra o con il campo come unica base del
rapporto – motivo per il quale, lontano dal diamante, quel presunto legame
moriva abbandonato a se stesso, o al massimo si manteneva su una sterile
cortesia. I complimenti magari hanno nutrito il suo ego, certo, ma non hanno
mai avuto un’importanza tale da sentirne la mancanza se non gli venivano
rivolti.
Questo era stato per anni, dalle medie al liceo, e questo è ancora oggi.
Avere un appuntamento con Eijun non lo preoccupa al pensiero che, se non
andasse bene, non sopporterebbe la mancanza dell’altro ragazzo nella sua vita.
Lo angoscia più l’idea di un Eijun che possa riscoprirsi innamorato di lui.
Qualcuno la definirebbe “fortuna nella sfortuna”.
Kazuya personalmente odia quel modo di dire applicato alla sua situazione,
giacché nell’insieme di questioni che l’adolescenza gli ha messo di fronte
perché potesse affrontarle e – al pari di ogni suo coetaneo – sentirsi in
diritto di fare le solite affermazioni quali “la vita fa schifo”, non figura il
problema della sua identità sessuale. Più o meno.
Si riconosce un’intelligenza superiore a molti della sua età e se l’attribuisce
da diversi anni peraltro, insieme a un’apertura mentale più che discreta. Non
che abbia semplicemente preso atto della cosa quando gli si è presentata
davanti, ma la soluzione finale, la comprensione ultima, quella sì; l’ha
accolta a braccia aperte perché era molto più sopportabile di qualsiasi
alternativa.
Al primo anno delle superiori, in piena estate, Miyuki ha scoperto che ricevere
una dichiarazione da qualcuno del proprio stesso sesso non era particolarmente
disgustoso; suonava alle sue orecchie come una cosa più o meno normale, proprio
come gli apprezzamenti delle ragazze nei suoi confronti: entrambi lo
lusingavano dal punto di vista del proprio ego, entrambi lo lasciavano
perplesso perché non capiva davvero cosa potesse piacere loro a parte il suo
aspetto, entrambi non lo smuovevano granché dal punto di vista emotivo.
Entrambi, infine, gli facevano pensare “perché no?”, se la persona che aveva di
fronte tutto sommato lo stuzzicava un minimo.
Così, per la prima volta era uscito con un ragazzo – in maniera molto
infantile, forte di nessun’altra esperienza se non di qualche vaga frequentazione
alle medie e solo con ragazze.
Era durata poco e niente: si erano avvicinati per il baseball, e nel momento in
cui l’altro aveva lasciato il club – troppo impegno, allenamenti sfiancanti – il
tempo da condividere si era ridotto a poco e nulla; si erano allontanati con la
stessa facilità con cui si erano avvicinati, e Kazuya aveva capito che un “mi
piaci” da manuale delle dichiarazioni sul retro della scuola raramente
aveva un valore.
La sua prima relazione degna di essere così definita, non fosse altro perché
durata ben quattro mesi, risale al suo secondo anno; una senpai del terzo gli
si era dichiarata e lui aveva accettato – era bella, con un carattere
interessante per quel che aveva avuto modo di osservare, e di nuovo si era
detto “perché no?”.
Non erano esattamente compatibili, di quelle coppie dagli innumerevoli
interessi comuni, ma se non altro lei non aveva mai rinfacciato a Kazuya di
avere poco tempo da dedicarle per colpa del baseball e lui si era sentito
spronato in qualche modo a riservarle almeno i momenti in cui lo sport non
occupava la sua vita. Uscivano insieme nei week-end liberi, lei veniva a tifare
alle amichevoli della sua squadra, pranzavano in un angolo del giardino quando
il tempo lo permetteva; poi, dopo i primi due mesi di frequentazione, erano arrivati tutti
quegli atteggiamenti che in una coppia adolescente si affacciano per la prima
volta – per Miyuki non era stato il primo bacio, casto o meno che fosse, ma
c’era stato il primo rapporto fisico, quello sì.
Due mesi dopo Kazuya era di nuovo single. Non perché il sesso fosse stato
catastrofico, non perché improvvisamente si vedevano meno; Kazuya non aveva più
voluto fare sesso, non si era più voluto avvicinare fisicamente alla sua
ragazza e questo, per quanto non fosse né uno psicologo né un esperto di
relazioni sentimentali a lungo termine, gli aveva suggerito che qualcosa non
andava.
Ora è certo non ci sia nulla che non va, non nel senso di una cosa sbagliata
che di solito si attribuisce all’espressione. A Miyuki il sesso non piace, non
ne sente il bisogno e gli sta più che bene un rapporto platonico; del rapporto
con quella ragazza – e, sì, anche di alcuni venuti dopo di lei perché per
istinto aveva tentato di nuovo – percepisce l’insieme fisico come due corpi
sudati che si strusciano l’uno con l’altro, le mani che si muovono
nell’intimità altrui come qualcosa di fastidioso e causa di un disagio non
indifferente. Si è masturbato nella sua vita, com’è ovvio e naturale che sia,
ma solo quando non può farne a meno. Non avverte il bisogno del sesso e vive
benissimo senza.
Ma questa è una cosa che non condividono molte persone, almeno nella cerchia
che rientra nella sua quotidianità; ma anche al di fuori di essa, non è così
scontato incontrare qualcuno che la pensi nello stesso modo. Ragion per cui,
anche le relazioni sono sempre più complicate.
Prima di tutto perché gli altri non capiscono: troppe volte Miyuki si è
ritrovato a dire a qualcuno di non avvertire alcun impulso sessuale e a essere
guardato con perplessità, sentendosi rivolgere domande piene di scetticismo.
Kazuya di per sé non si fida delle persone, non vi si lega facilmente, e la
maggior parte dei suoi rapporti personali sono superficiali, conoscenze che
condividono una sfera della sua giornata e niente di più – i compagni di
baseball al liceo, i colleghi dell’università e del suo lavoro part-time ora –
e viene da sé quindi come non passi il suo tempo a specificare il modo in cui
si destreggia nella propria vita (non) sessuale.
Sa bene, però, che non è facile; sa per esperienza che una relazione con una
persona che prova attrazione sessuale verso di lui non è facile, e quasi sempre
sarà destinata a finire. L’ha presa con molta filosofia considerando il tutto
un semplice volere cose diverse, ed è giusto che entrambi cerchino il meglio
per sé. Quel “meglio”, per Miyuki, è racchiuso in una sfera unicamente
sentimentale. Non esclude a priori di poter un giorno fare sesso con il proprio
partner, ma al momento gli sembra qualcosa di molto difficile e distante dalla
percezione che ha di sé.
E Kazuya sa di non avere bisogno di doversi spiegare a qualcuno, ora
come ora.
Non lo preoccupa il pensiero di un appuntamento con Eijun, perché lui ne uscirà
comunque tranquillo.
Ma non può dire lo stesso per Sawamura. E comunque lo si guardi, Eijun è una
persona così calda, piena di troppe cose e fisica, che Miyuki non
potrebbe mai alimentare niente di lui; solo spegnerlo.
Non sa se vuole farlo.
Il ristorante per famiglie dove Kuramochi lavora
part-time gli piace, anche se è chiaro che all’inizio ci sia andato più per il
gusto di vedere l’altro obbligato a trattarlo con la gentilezza dovuta a un
cliente; la cosa è andata sfumando nel momento in cui Miyuki è diventato un
abituale del posto e anche la padrona lo ha identificato come amico di vecchia
data. Kuramochi ora può continuare a mandargli maledizioni per nulla velate
senza rischiare di essere licenziato dal posto di lavoro che gli permette di
risparmiare da un anno a questa parte per pagarsi un corso che non vuole
assolutamente far pesare sui suoi genitori.
Tipico di Youichi, ha pensato Miyuki quando l’altro glielo ha detto, parlando
dei loro piani post diploma.
Evidentemente che ora il suo capo lo faccia sentire legittimato a rispondergli
a tono, in virtù del fatto che la loro amicizia implichi un’assenza di
lamentele da parte di Miyuki per gli insulti di Kuramochi, è di grande conforto
per Youichi; almeno a giudicare da come poggia bruscamente il bicchiere d’acqua
di fronte a Miyuki e senza neanche un saluto sputa fuori un: «Giuro che se
Sawamura continua a confidarmi cose sul vostro “forse appuntamento” ti
incendio casa.»
Miyuki ghigna, e non si dà nemmeno la pena di
nasconderlo, cosa che gli vale un sospiro pesante e in un certo senso
rassegnato da parte dell’altro, condito da un: «Tu hai dei problemi, lasciatelo
dire.» che sottintende un “problemi con quella personalità di merda che ti
ritrovi”, implicito probabilmente a causa della famiglia con pargolo al seguito
che è appena passata dietro Kuramochi.
Youichi estrae il blocchetto delle ordinazioni dalla tasca sul grembiule nero
che indossa, e recupera la penna poco dopo, fissando quindi il suo cliente in
attesa dell’ordinazione. Miyuki non ha bisogno di guardare il menù per decidere
cosa vuole mangiare; l’altro prende nota e fa per muoversi verso la cucina. Lo
ferma proprio la voce di Kazuya, che sta tirando fuori il portatile – non è
raro che si porti qualche saggio da scrivere lì, lavorandoci al caldo
nell’atmosfera famigliare di quel ristorante – e gli rifila un: «Allora devi
solo sperare che l’appuntamento non ci sia.»
Lo dice di proposito, perché non importa quante volte Youichi dica che Sawamura
è rumoroso, idiota o insopportabile; sa che non gli augurerebbe il male in
nessuna forma, sia perché non è da lui, sia perché è più affezionato a quel suo
vicino di casa di quanto non gli piaccia ammettere. Miyuki sospetta che l’altro
si senta perfino responsabile, avendoli presentati lui stesso.
Kuramochi non gli dà apertamente dello stronzo, ma l’occhiata che gli lancia
parla da sé.
Il tempo in quel ristorante passa sempre
velocemente: per lo più grazie al portare sempre con sé qualcosa da fare, di
solito inerente all’università, ma ci sono anche volte in cui si sofferma a
guardare le famiglie che mangiano lì, con una curiosità di fondo che non sfocia
mai nell’indiscrezione.
Youichi ogni tanto passa e fa due chiacchiere con lui, ma sono per lo più
scambi brevi quando ha una scusa per soffermarsi al suo tavolo – dopotutto per
Kuramochi si tratta di lavoro, non può certo fermarsi a mangiare con lui né Kazuya
glielo chiederebbe mai. A eccezione di quei brevi momenti, quando a Miyuki
iniziano davvero a incrociarsi gli occhi tra le presentazioni in powerpoint che descrivono
minuziosamente le fasce muscolari da trattare in questa o l’altra casistica, si
muove sempre nello stesso modo: si libera per un attimo degli occhiali,
massaggia le tempie, e allontana il portatile. In quei momenti lascia vagare lo
sguardo su quel locale confortevole e pieno di odori, di buon cibo, di
quell’atmosfera che ricorda un po’ quella che aleggia a Natale e che sembra
trascinarti quasi a forza in una spirale di felicità e buoni propositi, e la
sensazione che tutto andrà per il meglio. A pensarci bene, in effetti, Natale
non è poi così lontano: Dicembre ormai li ha raggiunti, le strade cominciano ad
essere già illuminate per aumentare l’attesa di chi ha abbastanza tempo per
osservarle mentre cammina.
Con le festività ormai così vicine, Miyuki sa che a essere una realtà palpabile
sono anche gli esami e i test: non solo universitari, ma anche del liceo, e
questo gli riporta alla mente di Kazuya che la possibilità di un appuntamento
con Sawamura non è poi necessariamente così poco realistica come potrebbe
sembrare – hanno fatto un patto, dopotutto, e Eijun sembra stupido abbastanza
da prenderlo a cuore come fa con ogni cosa, in pratica.
Miyuki non sa bene cosa pensare della loro scommessa: che Sawamura tentasse il
tutto per tutto proponendola ce lo si poteva aspettare, ma che lui gli desse
corda no. Forse non crede davvero che possa riuscire a ottenere dei voti che –
nonostante le ripetizioni – continuano a essere sopra gli standard di Sawamura.
Scuote impercettibilmente la testa, un mezzo sorriso di scherno verso se
stesso, e gli occhi tornano a vagare per il ristorante mentre la mano va a
prendere il bicchiere, portandolo alle labbra. Miyuki non prova più tanta
nostalgia come in passato, nel vedere famiglie come quelle che sono lì: un
tempo forse viveva male quella sorta di diversità rispetto ai suoi coetanei,
fatta di un padre indaffarato e una madre sparita dalla sua vita troppo presto;
ha un vago ricordo di se stesso che si adatta all’assenza, e non è sicuro di
quando abbia smesso di pesargli o quando lui abbia arbitrariamente deciso che
non era questa grande tragedia.
Per questo non è sicuro di poter dire che la sua incapacità relazionale sia
figlia dell’assenza in cui è cresciuto – assenza in generale, assenza di una
famiglia completa e di un genitore presente, assenza di un’infanzia fatta di
piatti caldi già sul tavolo al suo rientro, di tifo alle sue partite e quel
calore per cui non serve necessariamente un abbraccio.
A volte ci pensa e si dice che non è quello il punto: probabilmente anche se
suo padre gli avesse chiesto ogni domenica di fare due lanci insieme e sua
madre lo avesse visto diplomarsi lui sarebbe stato proprio così, capace di
analizzare le persone e per questo poco incline a legarsi davvero; troppo
attaccato all’idea di preservare se stesso per mettersi in gioco al punto da
dipendere da qualcuno e dall’avere qualcuno che in una certa misura dipenda da
lui. Ancora meno crede di non voler finire al letto con le persone solo per
quella che è stata la sua infanzia, specie considerando che non ha avuto traumi
di alcun genere, né niente di simile.
Semplicemente, ci pensa e si fa la stessa domanda di tanto in tanto, per
controllare che sia tutto a posto e che la risposta non sia cambiata – perché
quello lo manderebbe davvero in confusione, forse, uno stato in cui non ricorda
di essere stato negli ultimi anni –, per essere sicuro di potersi ancora
permettere di vivere con se stesso come unico alleato.
I compagni di squadra sono in campo, e fuori da esso quello che c’è dentro non
sempre conta qualcosa. O non dura. Non ne ha mai fatta una tragedia, Miyuki;
lui si è adattato, perché è la cosa che sa fare meglio da tutta la vita.
A ben pensarci, Miyuki si sarebbe dovuto
aspettare qualcosa di simile da Sawamura Eijun. È così nelle sue corde, che non
ha idea di come non abbia pensato all’eventualità – a sua discolpa, Miyuki si
era illuso che Eijun avesse almeno un poco di pudore.
Sbagliava.
E quell’errore di giudizio gli sarebbe costato le prese in giro velate da parte
di Kominato Ryousuke, con quella nota di sadismo ben nascosto che il tono
altrui era sempre stato in grado di nascondere abbastanza da non essere
esagerato, ma non così tanto da vivere nell’ignoranza di quali terrificanti
conseguenze portasse con sé fare un qualsiasi torto allo studente più grande.
Miyuki aveva frequentato il liceo con lui, o meglio, era stato in squadra con
l’altro durante quegli anni, insieme anche a Kuramochi. Aveva imparato che non
si scherzava con Ryousuke, specialmente su certe cose – specialmente su suo
fratello minore.
Deve ammetterlo, però: se i ruoli fossero invertiti lui sarebbe il primo a sfruttare
una così ghiotta occasione per sfottere l’altro più o meno velatamente. Ma
nonostante questo è abbastanza sicuro che non avrebbe mai potuto prevedere di
ritrovarsi Eijun nell’atrio della sua facoltà, l’aria agitata di chi cerca
qualcosa o qualcuno con foga; aria che si era fatta trionfante quando i suoi
occhi avevano trovato la figura di Miyuki tra tanti, per poi dirigersi verso di
lui fino a raggiungerlo e, senza nemmeno un saluto, piazzargli sotto il naso un
foglio rettangolare.
Miyuki lo aveva preso, non senza una certa perplessità, analizzandone il
contenuto. La sorpresa era stata difficile da mascherare: il pezzo di carta
riportava fedelmente i risultati degli esami invernali di Sawamura. Incredibile
ma vero, tutti i voti concordati erano stati superati – non che improvvisamente
fossero spuntati fuori cento a non finire, ma la sufficienza c’era.
A quel punto lo sguardo vittorioso che non aveva mai vacillato sul viso di
Eijun era stato chiaro, ma l’altro aveva avvertito il bisogno di chiarirne la
ragione.
«Ho rispettato il patto!» aveva esclamato, come se Ryousuke non fosse nemmeno
presente lì con loro «E ora devi rispettare il tuo, quindi mi devi un
appuntamento!» aveva esclamato, mettendo su un broncio leggero, immaginandosi
probabilmente che Miyuki gli avrebbe rifilato una presa in giro di qualche
tipo. E lo avrebbe fatto, Kazuya, lo avrebbe fatto davvero in altre occasioni.
Avrebbe potuto fargli notare quanto fosse idiota ad applicarsi nello studio
solo quando c’era un premio in palio, o come sarebbe stato sufficiente che lui
si applicasse con la metà della forza che usava per sbraitare, per avere dei
voti “comodi” abbastanza da non richiedere ripetizioni né esami riparatori.
Invece si era fatto fregare da quello sguardo – gli aveva ricordato al tempo
stesso un bambino che ha ottenuto i risultati sperati e ora vuole sentirsi dire
che è stato bravo e quanto si è fieri di lui, e un cucciolo che eseguito un
ordine attende fiducioso il biscottino.
Aveva tutti gli elementi per prenderlo in giro ma non lo aveva fatto. Perché
mentre pronunciava quelle parole Eijun aveva assunto un’aria imbarazzata, mal
celata sotto la falsa spavalderia che stava ostentando – e Miyuki, contro ogni
logica e suo modo di essere, non era riuscito a fare altro che ridere.
La faccia di Sawamura di fronte a quella reazione inaspettata era stata
impagabile, e la sua testardaggine è il motivo per cui ora Miyuki sta
aspettando al punto d’incontro che hanno scelto, a ridosso dell’ora di pranzo,
per concedere quell’appuntamento messo in palio, convinto che non sarebbe
servito nemmeno ricordarsi di quella sorta di scommessa.
Si aspettava un ritardo, invece Eijun gli sta andando incontro in quel momento,
una mano che già scatta verso l’alto per richiamare la sua attenzione; gli
rivolge uno sguardo, ma nessun gesto, ritenendolo superfluo. Lo accoglie con il
sorrisetto divertito che di solito gli vale sempre qualche insulto o
un’espressione guardinga da parte del suo interlocutore, proprio come accade
ora.
«Stai tramando qualcosa.» borbotta Sawamura e lui inarca un sopracciglio,
fingendosi ferito da quell’insinuazione, ma c’è solo divertimento nel tono di
voce quando gli risponde un: «Non ti si può nascondere niente, Sawamura.»
Probabilmente non ci ha messo abbastanza impegno, perché Eijun non lo prende
sul serio, limitandosi a portare le mani nelle tasche del cappotto che indossa
e stringendosi nelle spalle, il naso che quasi sparisce dietro la sciarpa blu,
attutendo parole borbottate che Miyuki non riesce a decifrare ma per le quali
non chiede spiegazioni. Decide piuttosto di evitare da subito un silenzio
scomodo tra loro: «Allora» esordisce osservandolo «dove mi vuoi portare,
Sawamura?»
Non lo fa proprio con l’intento di metterlo in difficoltà, per quanto vederlo
concentrarsi come se cercasse una risposta ai misteri del mondo risulta – per
Miyuki – estremamente divertente. Lo domanda perché dopotutto è stato l’altro a
voler uscire con lui, e può supporre che a qualcosa abbia pensato; ma anche se
stesse improvvisando, cosa assai probabile in effetti, non pensa sia una
cattiva idea lasciarlo fare. D’altronde Kazuya non ha mai avuto un’aspettativa
precisa su quell’uscita, né un’idea di come vuole che vada a finire.
«Beh» comincia Eijun, allontanandolo da quelle considerazioni «...è ancora
presto per mangiare. Possiamo… insomma, volendo ci
sarebbe—»
Miyuki rimpiange un po’ averlo lasciato alle sue elucubrazioni, perché ha la
sensazione che non decideranno in tempi umani. Perciò gli rivolge le parole che
più di una volta ha pronunciato per prenderlo in giro: «Sawamura, non
applicarti troppo nei ragionamenti. Ti fa male e non ti si addice.» gli fa
presente e sogghigna, preannunciando già lo sbraitare dell’altro, e quello comincia
– e muore, forse perché persino Eijun si rende conto di essere in mezzo ad una
strada trafficata – con un “bastardo” che lo fa ridacchiare perché,
davvero, come lo insultano con tanto impegno Sawamura e Kuramochi, nessun altro
lo fa.
«Intendevo dire» riprende Eijun con l’espressione di chi potrebbe mordere una
mano se interrotto di nuovo con qualcosa di stupido «che pensavo di passare in
un negozio. Di articoli sportivi. Per roba da baseball.» pronuncia,
sbirciandolo in viso alla ricerca di una reazione che preannunci in qualche
modo la risposta. Ma non gliene dà comunque il tempo, aggiungendo
frettolosamente un: «Se ti va, altrimenti possiamo andare da un’altra parte,
eh!» e Miyuki non sa se interpretarlo come un tentativo di essere galante
(senza riuscirci, non senza accompagnare la cosa con molta goffaggine) o se ci
sia altro dietro.
Eijun tace sul serio, stavolta, non dando ulteriori spiegazioni; sembra solo
restare sulle spine, finché Kazuya non annuisce e si incammina per primo.
Sawamura lo affianca quasi subito, e il silenzio che si sono dati la pena di
evitare cala tra loro. Buon per entrambi che Eijun non sia tipo da lunghi
momenti di imbarazzo latente, anche se ne prova lui stesso.
«Non ci dobbiamo andare per forza.» chiarisce, come se temesse di venire
assecondato controvoglia. Miyuki volta appena la testa quanto basta a
guardarlo, tornando quasi subito con gli occhi sulla strada che stanno
percorrendo: «Ho detto che va bene.» tecnicamente non lo ha pronunciato, ma è
chiaro «Non ti facevo tipo da ritrattare, visto come sei venuto fino all’atrio
della mia facoltà per farmi presente che ti dovevo un appuntamento.» lo prende
in giro, senza alcuna nota piccata o infastidita nella voce.
Tanto basta per imbarazzare Eijun, ma fortuna (o sfortuna) vuole che la sua
reazione non sia minimamente quella cliché di una ragazzina della sua età,
com’è poi anche normale; certo, sentirsi dare una spallata e apostrofare con un
«’sta zitto.» ben poco rispettoso non è il massimo, ma Kazuya si è abituato
anche a questo ormai. C’è qualcosa in quel modo di fare che lo fa sentire a
proprio agio, nonostante di per sé non sia mai portato a esserlo con chi non
conosce bene – va detto anche che, per quanto superficialmente, è abituato alla
presenza di Sawamura da mesi ormai.
«Youichi-san ha detto che non giochi più a baseball,
ma non so perché.» riprende, e Miyuki impiega qualche attimo a metabolizzare e
a capire; l’incurvarsi di labbra è appena accennato, ed è sicuro che
Eijun non abbia tempo né modo di interpretarlo correttamente. Quanto a lui
allunga una mano tenuta in tasca fino a quel momento, e picchietta con un dito
contro la testa altrui. Non è un vero e proprio contatto, ma c’è un’assenza di
qualsiasi tipo di disagio significativa.
«Non ho smesso per nessun motivo tragico.» gli chiarisce, sottintendendo che
non ci sono problemi se vanno in un negozio ad acquistare articoli baseball:
«Ho scelto un’università che mi porta via tempo. E io non sono tipo da fare le
cose a metà.» chiarisce, tornando con la mano lungo il proprio fianco.
La decisione magari non era stata facile, da prendere, ma le considerazioni
fatte erano state semplici, immediate quasi: Miyuki era sempre stato il tipo da
dare il massimo nel baseball, per non dover mai dire un giorno “avrei potuto
fare di più”. Aveva consacrato i tre anni del liceo a quello sport, e aveva
sempre saputo che se avesse deciso di continuare sarebbe stato lo stesso,
incapace di prendere sotto gamba qualcosa che era stata così importante. Tra
l’altro perdere non era mai stato nelle sue corde, e questo vale ancora oggi a
distanza di tempo.
Quando ha deciso di studiare all’università ha capito subito che non avrebbe
potuto portare avanti le due cose insieme, proprio per quella sua forma mentale
di dare tutto, fino all’ultimo. Ha semplicemente scelto, ma non rimpiange
quello che ha lasciato indietro – e poi a volte gioca ancora, si incontra con i
vecchi compagni, almeno quelli meno impegnati e in zona. Non ha avuto nemmeno
tempo di sentire la mancanza di Kuramochi che gli sbraita contro, o di Ryousuke
che forma con Youichi un’accoppiata perfetta da far saltare quasi i nervi.
Ovviamente, fregarli partita su partita è una delle sue maggiori gioie da ex
ricevitore. «Cos’è,
sei un mio fan?» lo prende in giro, perché sarebbe strano non farlo, e Miyuki
non cambia il modo di rapportarsi con le persone solo perché ha un appuntamento
con loro; è abbastanza chiaro che Sawamura non si aspetti alcun trattamento di
favore, in compenso anche lui si mantiene fedele a se stesso con una delle sue
uscite imprevedibili, quando borbotta qualcosa a proposito di “articoli che
parlavano di Miyuki, ogni tanto” prima di infilarsi a tradimento nel negozio di
articoli sportivi raggiunto nel frattempo.
Contro ogni sua aspettativa, questo Kazuya deve ammetterlo, si è
rivelato piuttosto piacevole passare un intero pomeriggio con Sawamura: il
negozio che ha fatto da prima meta ha occupato una buona parte del loro tempo, entrambi
– nemmeno a dirlo – presi dal reparto dedicato al baseball. Ha scoperto che,
nell’osservare i guantoni, Eijun sa essere incredibilmente silenzioso.
Dopo quello, è stata la volta di una libreria, non fosse altro perché era nei
paraggi e Miyuki ha deciso di risparmiarsi un viaggio inutile il giorno
seguente: hanno deviato nel negozio, beandosi dell’ambiente riscaldato così
diverso dalle strade. Ha perso Sawamura fra gli scaffali a un certo punto, e si
è stupito – non mancando di prenderlo in giro – di ritrovarlo con la testa fra
alcuni volumi. Tralasciando le battute scontate su quanto sorprendente fosse
scoprirlo capace di leggere kanji, cosa che gli è
valsa un paio di epiteti non esattamente signorili, Miyuki si è riscoperto
quasi ad analizzare il ragazzo più giovane.
Nei sei mesi passati, ha visto di lui solo i lati di uno studente non troppo
brillante e poco predisposto allo studio, che però cerca di recuperare facendo
del suo meglio, deciso a raggiungere un obiettivo. Questo Miyuki lo ha
apprezzato da subito, così come ha semplicemente archiviato la totale mancanza
di tatto in Sawamura, nonché di rispetto dei ruoli. Non ha mai pensato a come
il ragazzo possa essere sul campo da baseball, non ne ha nemmeno una vaga
immagine in testa nonostante Kuramochi gli abbia assicurato che “è rumoroso come in ogni altro fottuto
istante della sua vita”; ha più o meno una vaga idea di come sia a scuola,
ma non riesce a figurarsi che tipo di amici possa avere; crede sia uno di quei
figli particolarmente affettuosi, ma non lo ha mai visto interagire con i suoi
genitori abbastanza a lungo da averne conferma.
Alcuni dicono che osservando i libri che una persona possiede, si può intuire
che tipo sia. Sfortunatamente Eijun alla fine non ha comprato nulla in quella
libreria, e Miyuki ha lasciato scivolare via tutte quelle considerazioni nel
momento in cui sono usciti tornando in strada.
Hanno parlato poco, nel dirigersi verso un ristorante dove mangiare: ha
lasciato che fosse Eijun a fare strada, temendo anche per un attimo di finire
nel locale dove lavora Youichi. Per sua fortuna si tratta di un posto
altrettanto accogliente, ma lontano da quello frequentato di solito Miyuki.
È stato ben felice di abbandonare nuovamente le strade, anche stavolta il
motivo è stato una reazione un po’ troppo esuberante di Sawamura – davvero,
Kazuya non credeva che l’altro potesse reagire persino al suo dargli
scherzosamente del moccioso per aver scelto un posto il cui cartello
pubblicitario in bella vista all’ingresso recita la possibilità di ordinare un
menù per bambini.
«Hai deciso cosa prendere?» lo incalza, spostando l’attenzione su Eijun, che
non alza nemmeno gli occhi dalle pagine plastificate su cui sono elencati i
cibi, il broncio facile da intravedere nonostante la sua posizione. Solo quando
il cameriere si avvicina Sawamura mostra di nuovo il proprio viso, anche se
rivolto verso il ragazzo e non in direzione di Miyuki. Non vi dà troppa
importanza, visto che di lì a poco l’unica alternativa di Eijun sarebbe tacere
per il resto della cena.
«Come va la gamba?» decide di rompere lui il ghiaccio, e forse Eijun non si
aspetta quella domanda, almeno a giudicare dalla sua espressione prima di
rispondere un: «Meglio. E sto facendo quegli esercizi che mi hai fatto vedere.»
aggiunge, e Kazuya non fatica a indovinare perché subito dopo l’altro porti lo
sguardo a vagare per la sala.
Gli esercizi in questione glieli ha mostrati poco prima che Sawamura
“sganciasse la bomba” con quella dichiarazione, dopotutto. Miyuki non ha mai
perso occasione per prendere in giro nessuno, nella sua vita, ma per stavolta
decide che forse può evitare di essere sempre così stronzo e risparmiare in via
del tutto eccezionale Sawamura – fondamentalmente, è comodo anche per lui non tornare
su quell’argomento specifico.
«Kuramochi dice che fra amichevoli e torneo scolastico giocate almeno una volta
a settimana. Continua con gli esercizi, o dovrai farti sostituire.» lo provoca
con un sorrisetto.
«Non mi sostituiranno affatto!» esclama Eijun, accalorandosi in un attimo, ma
abbassando i toni (per i suoi standard) quasi subito: «Tch,
e io che volevo onorarti della mia
presenza alla prossima partita che giocate tra di voi.» aggiunge e questo
attira l’attenzione di Miyuki, in effetti.
«La nostra? Mia e di chi?»
«Tua, di Youchi-san e del fratellone.»
Miyuki lo guarda per un attimo senza la minima idea di cosa stia parlando:
passi Kuramochi, ma se Sawamura ha un fratello non solo Miyuki non lo ha mai
conosciuto, ma si è perso anche per strada un Sawamura con cui presumibilmente
gioca.
«Prego?»
«Dai, era l’altro giorno con te all’università!»
«Ah» capisce solo allora, anche se l’appellativo che lo ha tratto in inganno
gli sfugge ancora «Ryou-san?» tenta e vede l’altro annuire. Non sa se vuole
sapere perché lo chiami “fratellone”, né è sicuro di voler scoprire i motivi
per cui hanno chiesto a Sawamura di unirsi a loro.
«Me lo ha chiesto Harucchi.» e Miyuki ringrazia di conoscere Kominato junior
perché se dipendesse da Eijun, si ritroverebbe con l’ennesimo nome buttato lì
senza avere idea di chi stiano parlando: «Dice che ha saputo che vi mancheranno
entrambi i lanciatori. Kawakami-senpaie…?»
«Tanba-san. Non sapevo sarebbero mancati entrambi.»
commenta osservandolo – non fa domande su Kawakami,
che sa essersi diplomato nello stesso liceo di Eijun.
«E quindi Harucchi ha chiesto a me e Furuya.» prosegue, e Miyuki non ha bisogno
di chiedere il perché di quella sfumatura stizzita nel tono altrui, dal momento
che segue ancora il baseball liceale – dal quale è fuori da poco meno diun anno, in pratica – e sa bene chi sia
Furuya Satoru. Come sapeva anche di Sawamura, anche se si è ben guardato dal
dirglielo.
«Magari saremo avversari, allora.» lo punzecchia di nuovo, anche se ammette di
non riuscire a decidere cosa sia più divertente tra la possibilità di giocare contro Sawamura o con. Ammette che,
però, poterlo guardare da ricevitore sarebbe tutta un’altra storia, rispetto
all’osservarlo dalla panchina o al massimo dalla posizione di battitore.
È quando sono praticamente a fine cena e Miyuki ha appena ordinato
caffè, che si ritrova a lasciar scivolare con naturalezza fra le labbra una
domanda evitata ogni volta che ha incrociato Sawamura dopo la sua dichiarazione.
Di sicuro l’altro non se l’aspetta, è evidente quando sgrana gli occhi e il suo
viso prende colore, sentendosi chiedere: «Cos’è che ti piace tanto da insistere
per avere un appuntamento?»
Sa bene che non è corretto da parte sua domandare, o meglio non così, nel
chiaro intento di metterlo in difficoltà. Miyuki è più che conscio di stare
giocando sporco e di stare scommettendo in quel modo solo perché non è lui che
rischia di uscirne malconcio; sa che forse è anche codardo, da parte sua, e se Kuramochi
lo sentisse è probabile che lo starebbe già prendendo a pugni, posto di lavoro
o meno.
Non può dire di non stare facendo quella domanda con il chiaro intento di
essere sottilmente provocatorio. D’altronde, per quanto sappia che non c’è
nulla di cui vantarsi in tutto quello, non può evitare di fare la cosa per lui
più naturale – mettere alle strette le persone, perché quando lo fa loro non
mentono con la stessa nonchalance che di solito le caratterizza. E non importa
che sappia perfettamente quanto Sawamura sia sincero al punto da risultare
anche fuori luogo o imbarazzante, a volte. Questo non gli permette ancora di
trattarlo in modo di diverso.
Non si fida, perché ha imparato con
il tempo che le persone sono troppo inclini a farsi un’idea di te, e sono poche
quelle che poi sanno accettare il ritrovarsi di fronte qualcuno di irriconoscibile rispetto al modello che
si era formato nella loro testa. Miyuki sa bene come il proprio aspetto faccia
pensare a uno studente perfetto e popolare, perché glielo hanno detto e perché
per certi versi lo è stato: capitano durante il suo terzo anno di liceo, bravo
negli studi, popolare con le ragazze e – anche se naturalmente non era di
dominio pubblico – tra più di qualche ragazzo.
Ma in pochi hanno potuto dire, alla fine, che lui fosse esattamente come si
erano aspettati.
Non crede Sawamura potrà essere tra questi.
Sospetta di non aver sbagliato il proprio giudizio quando Eijun non risponde
alla sua domanda, e si chiude nel completo silenzio; Miyuki non lo esorta,
bevendo il suo caffè quando arriva, chiedendo il conto e alzandosi quando è il
momento di pagare e andare via.
Eijun insiste per pagare la sua parte, così dividono il conto ed escono dal
ristorante. Miyuki non lo incalza per farlo parlare in alcun modo, limitandosi
a camminare verso la stazione con l’altro al proprio fianco, osservandolo con
la coda dell’occhio e vedendolo con le mani affossate nelle tasche del cappotto
che indossa, notandolo incassarsi leggermente tra le spalle e nascondere il
viso fino al naso nella propria sciarpa.
Ogni parte del corpo di Sawamura sembra gridare che è sulla difensiva, per
questo Miyuki non si aspetta minimamente quanto accade quando raggiungono vie
ancora popolate ma meno affollate, non troppo distanti dalla stazione ormai.
Eijun si ferma, fortunatamente non in mezzo alla strada tanto da attirare
l’attenzione, né per iniziare a sbraitargli contro; tiene lo sguardo basso, una
cosa che Miyuki non riesce a decifrare perché ci sono davvero troppe opzioni, e
perché è concentrato sulla mano di Sawamura che è protratta verso di lui,
tenendo tra le dita la sua manica. Da Eijun si aspetta sempre gesti estremi,
per questo lo avrebbe sorpreso meno sentirsi tirare per un braccio.
Inarca un sopracciglio, ma non fa in tempo a incalzarlo in alcun modo, perché
Eijun fa tutto da solo.
«Perché devi essere così stronzo?» …Beh, forse se l’è meritato, ma di certo si aspettava
un approccio un po’ diverso.
«Non capisco se sei solo uno stupido narcisista che vuole sentirmi elencare un
sacco di complimenti, o se sei solo un bastardo.» continua Eijun, senza
minimamente preoccuparsi del fatto che qualche passante possa sentire quel suo
modo di esprimersi tutt’altro che rispettoso o in generale il loro discorso.
«Che cavolo di domanda è?!» sbotta, alzando lo sguardo su di lui, e Miyuki non
riesce a stupirsi del tutto del fatto che gli occhi dell’altro siano così vivi
e così caldi, perché gli sembra talmente insito nella natura di Sawamura che è
come se fosse sempre stato una caratteristica scontata della sua persona. Come
se tutto di lui dovesse essere tanto,
e dovesse avvolgere gli altri ottenendo i risultati più disparati – farli
sentire al sicuro, o farli sentire in
trappola, e Miyuki non saprebbe dire delle due quale sia la sua situazione.
Teme comunque che quello non sia il posto adatto alla discussione, specie
perché i toni si stanno decisamente alzando e, per quanto a lui non sia mai
interessato particolarmente cosa gli altri pensassero del suo modo di fare e di
essere – che lo odiassero o meno, che lo trovassero una piacevole compagnia o
meno, a lui non è mai interessato granché – da lì a dare spettacolo in mezzo
alla strada ne passa. Per questo sta per proporgli almeno di spostarsi, ma
Sawamura lo anticipa.
E ovviamente non può farlo in maniera normale, o tirando dritto verso la
stazione trascinandoselo dietro; Sawamura lascia la sua manica e con la mano
afferra senza tante cerimonie né esitazioni quella di Miyuki, stringendola
nella propria. Non è la presa di un amante, non intreccia le dita con le sue,
ma sfrutta quel gesto per avvicinarsi – o per avvicinare lui, Kazuya non
saprebbe dire – e sembra più voler iniziare una rissa dandogli una testata che
non parlare.
Con la coda dell’occhio Miyuki fa in tempo a notare le persone ignorarli,
l’afflusso in arrivo dalla stazione che è ormai del tutto scemato, lasciandoli
in un tratto di strada che vede passare solo impiegati diretti finalmente verso
casa o persone che passeggiano perché probabilmente per loro la serata è ancora
solo agli inizi. Ma non ha tempo per notare altro, perché il viso di Eijun è
tutto ciò che sta nel suo campo visivo, con la punta del naso arrossata dal
freddo, il fiato caldo che si condensa in nuvolette bianche e gli occhi dorati
che lo guardano come se dovesse scavargli dentro.
Non “guardare”, non “leggere”, come si dice nei libri romantici; scavare, con l’irruenza che gli è
propria, nel bene e nel male.
«Non è ovvio? Certo non mi piace tutto, di te: hai un carattere orribile, un
sarcasmo odioso, sei una persona pessima e Youichi-san
dice che hai una personalità contorta da fare schifo!» e Miyuki, lo giura,
vorrebbe ridere perché così tanti insulti insieme non li ha mai ricevuti,
specie in risposta a “cosa ti piace di me?”, ed è tutto così ilare che non
crede di farcela a trattenersi.
«E ci sono chissà quante persone molto migliori di te, ma io mi sono dichiarato
a te, Miyuki Kazuya, quindi non è
ovvio che qualunque sia la cosa che mi piace sia veramente…
beh, non lo so, ma per annullare tutto il resto ti assicuro che ce ne vuole!»
È la sua mano a muoversi in quella di Sawamura, a far sì che si ritrovino palmo
contro palmo e che lui possa accennare un movimento che agevola l’intrecciarsi
delle loro dita o almeno un accenno della cosa, visto il fermarsi un istante
prima lasciando che a toccarsi davvero siano solo i polpastrelli.
Sono le sue labbra a incurvarsi in un sorriso che di sicuro Eijun non saprà
riconoscere, semplicemente perché non lo ha mai visto.
Sempre di Miyuki è il viso che si avvicina di più, tanto che i loro nasi si
sfiorano e se si chinasse ancora un pochino, starebbe posando le labbra su
quelle di Eijun. Se ne rende conto persino l’altro, perché un rossore palese
affiora sulle guance e fa sorridere ancora di più lui.
«Grazie dei complimenti.» glielo sussurra piano perché di alzare la voce non ha
alcun bisogno, e rimane fermo a cercare nello sguardo di Eijun il dubbio su
quanto sta per accadere, sulla possibilità o meno che Miyuki si chini e annulli
la distanza tra loro o no.
Dopotutto, si dice, potrebbe farlo.
Ma forse non dovrebbe.
Quando ha il turno di sera e tocca a lui fare chiusura, Kuramochi
torna a casa con giusto la forza di mangiare un boccone – se non ha già
approfittato della bontà d’animo del loro cuoco – e di darsi una lavata veloce
prima di morire sul letto. Il lavoro di cameriere non è particolarmente
difficile, specie se si è spigliati abbastanza; a fine giornata, però, le sue
gambe implorano pietà in un modo diverso da come facevano dopo gli allenamenti
al liceo.
Tuttavia, quando invece ha la fortuna di avere il turno che va dall’ora di
pranzo a poco prima dell’ora di cena – dovuto al fatto che da loro non si
servono unicamente i pasti completi ma anche i dessert con cui una clientela
per lo più femminile si intrattiene nei pomeriggi – approfitta volentieri di
una serata tranquilla in casa propria.
Per inciso, quindi, i suoi piani per quel giorno erano ben diversi dal
ritrovarsi Sawamura nella stanza, svaccato sul suo letto e con la faccia
affondata nel suo cuscino, a brontolare cose che non è nemmeno sicuro di
comprendere appieno; l’unico dettaglio di cui è certo è che c’entri Miyuki,
perché Eijun lo ha letteralmente angosciato
con la storia dell’appuntamento. Dubita sia un caso che l’altro si sia
presentato da lui proprio di ritorno da quel presunto appuntamento, e che
l’abbia fatto senza nemmeno passare da casa propria a cambiarsi.
Kuramochi mentirebbe se dicesse di non avere a cuore Eijun, perché dopo quasi
tre anni di conoscenza e di frequentazione data dall’essere vicini di casa, non
sarebbe vero. Sono entrambi persone portate ad affezionarsi a chi li circonda,
e a non imparare anche se in passato qualcosa non è andata come speravano.
Sawamura se possibile ha una fiducia ancora più incrollabile della sua, ed è
proprio per questo che Kuramochi ha avuto chiaro fin dall’inizio che qualsiasi
cosa avesse detto, l’altro non avrebbe rinunciato all’appuntamento.
«Se mi riempi di moccio il cuscino ti ammazzo.» pronuncia, le braccia
incrociate al petto e seduto alla scrivania nella propria stanza, lo sguardo su
Eijun che non accenna a muoversi dalla sua posizione. Kuramochi sbuffa
sonoramente, recupera un foglietto di carta destinato comunque a essere buttato,
lo appallottola e lo lancia dritto contro la testa di Sawamura: ancora nessuna
reazione.
«Mi dirai prima o poi che è successo, o ti trasferisci a casa mia, Eijun?»
sbotta quindi, esasperato ma senza alzare la voce; vede l’altro voltare appena
la testa e sbirciare nella sua direzione. Non si nota, visto che il braccio
copre in parte il suo viso, ma Youichi è sicuro che ci sia un broncio da
qualche parte.
«Miyuki è un bastardo.»
«Non mi stai dicendo nulla di nuovo.» commenta. Sa che chiunque lo senta
parlare di Miyuki immagini quasi sempre che ci sia stato un burrascoso passato
con loro, qualcosa che abbia lasciato a entrambi un rapporto insanabile. In
verità hanno semplicemente un’amicizia particolare, un modo di fare diverso
dall’amico medio, e sono entrambi inclini a insultarsi e sfottersi più o meno
velatamente; ma Kuramochi sa che in fondo Miyuki è meno peggio di quanto
sembri.
Da lì a difenderlo a spada tratta, comunque, ne passa.
«Mi pentirò di quanto sto per chiederti e ti giuro, se entri nel dettaglio più
del necessario te la faccio pagare.» prosegue, e nella testa di Sawamura c’è
già l’immagine di Kuramochi che lo chiude in una morsa terribile dell’ennesima
mossa di wrestling, soffocandolo definitivamente.
«Che è successo?» domanda secco Kuramochi ed Eijun un po’ se lo aspetta, un po’
no. Alla fine si tira su, mettendosi a sedere con la schiena contro il muro –
un lato del letto di Youichi poggia contro la parete – e porta il cuscino al
petto, affondandovi il mento e parte del broncio che ora è evidente.
«Ha… non ha—»
«Oh cristo, non cominciare a balbettare come una ragazzina da fumetto di terza
categoria!» implora Youichi perché è già atroce fare da consulente amoroso,
farlo a Sawamura e farlo quando la controparte è Miyuki; almeno i sospiri
sognanti, gli occhi che brillano e rose di dubbio gusto sullo sfondo se li
vuole risparmiare. Eijun per un attimo dimentica l’oggetto della conversazione
e assume un’aria indignata, ribattendo che non si sta comportando affatto in quel modo. Sbraita un po’, Youichi
gli lancia un’altra pallina di carta, e cade di nuovo il silenzio.
«Mi ha baciato. Più o meno.»
«Che schifo.» è il commento immediato «E che diamine significa più o meno?»
«Cioè, non proprio un bacio serio. Più spostato. Più…
più.»
«Sto per vomitare.»
«Ma lo hai chiesto tu, Youichi-san!»
«Perché stai piagnucolando da trenta fottutissimi minuti sul mio letto, come se ti avessero ucciso il
gatto e io volevo solo fare nottata a giocare ai videogiochi e invece devo
sentire di te che sei uscito con quello stronzo di Miyuki e che ci hai fatto
cose che non voglio alimentino i miei incubi!
Ma quando ti lagni sei più fastidioso di una spina nel culo, quindi falla breve
e meno dettagliata possibile!» gli sbraita contro, raggiungendolo per avere
almeno la soddisfazione di dargli uno scappellotto più forte di quanto
servirebbe.
Si fissano e sospirano entrambi, Youchi in maniera
più rumorosa, Eijun tra l’offeso e il rassegnato.
Eijun non sa se definire la chiacchierata con Kuramochi imbarazzante o utile a
sentirsi più calmo, forse perché è stata entrambe le cose. Non è meno confuso
dal gesto di Miyuki di baciarlo all’angolo della bocca, dove non si tratta di
un bacio vero e dal quale non può tirar fuori alcuna risposta – non un “questo è il primo e ultimo appuntamento che
abbiamo”, ma nemmeno un “usciamo
insieme”.
Lui non è fatto per pensare, e cercare di farlo tenendo conto di cosa potrebbe
agitarsi nella mente dell’altro è pura utopia. Miyuki è una persona complessa
sotto ogni punto di vista, e per quanto Eijun sia sicuro di averlo inquadrato
almeno un poco, non può di certo vantarsi di esserci riuscito al punto da non aver
bisogno che l’altro gli parli chiaramente; peccato che sperare in un discorso
chiaro e a cuore aperto da parte di Kazuya sia assurdo quasi quanto ritrovarsi
un Furuya loquace.
«Eijun-kun?» è il richiamo di Haruichi a riportarlo alla realtà, la mano sulla
maniglia del vagone in cui si trova che stringe appena più forte, mentre lui
lascia uscire un sospiro lungo dalle labbra e porta lo sguardo verso il basso.
L’amico è seduto di fronte a lui e ha il volto leggermente alzato per
guardarlo: a volte Eijun non sa dire cosa l’altro pensi, ma sa bene che
raramente sbaglia, specie quando si tratta di indovinare qualcosa che lo
riguarda. Gli piace l’amicizia fra loro, e si fida completamente dell’altro:
non è un caso Haruichi sia stato l’unico a cui abbia parlato dell’attrazione
per Miyuki ancora prima di dichiararsi al diretto interessato, e non solo
perché Kominato – tramite il fratello – conosceva già l’ex ricevitore.
«Stai meglio?» gli domanda l’altro, con un sorriso discreto ma gentile. Eijun
tace, in un primo momento, per poi annuire lentamente.
Sono più o meno quattro settimane che limita i suoi contatti con Miyuki alle
ripetizioni del sabato, se non si conta la partita di quasi quindici giorni
prima, che è stata un vero disastro; non il “durante”: ha scoperto che giocare
con Miyuki è qualcosa di quasi ipnotizzante per certi versi, ed entusiasmante
per altri. Per tutta la durata della partita Eijun non era riuscito a fare
altro che concentrarsi sui segni di Miyuki, sul suo guantone, sulla certezza che
avvertiva quasi sottopelle che qualunque lancio avesse fatto, l’altro sarebbe
riuscito a prenderlo. Benché non avessero mai giocato insieme prima, mai una
volta si era ritrovato a dubitare di un segno di Miyuki o della sua guida nel
gioco – ed era così strano, perché al di fuori di quella parentesi fatta di
baseball, Eijun non riusciva a trovare una sola cosa dell’altro che non gli
insinuasse dubbi e confusione nella testa.
Il problema era stato quando la partita era finita, l’entusiasmo era andato
scemando e l’adrenalina aveva smesso di scorrergli nel sangue rendendolo
euforico senza alcun motivo; a quel punto tutte le sensazioni gli erano
caracollate addosso ancora una volta e ignorarle non era facile quando il
proprio savoirfaire è
pressoché inesistente.
Ogni sabato in cui lo ha visto, invece, è stato in un certo senso più semplice:
lo ha salutato e ha ascoltato le correzioni agli esercizi; ogni tanto hanno
scambiato qualche chiacchiera durante la pausa – se la gamba gli ha dato altri
problemi, il torneo
interscolastico, cose del genere – ma mai Eijun ha accennato a quanto avvenuto
durante l’appuntamento, né a come se n’è andato dandogli del bastardo.
Nel mezzo c’è stato anche Natale, poi, una cosa che ha sempre messo Eijun di
buon umore nonostante tutto, perché la casa si riempie di chiacchiere e di
persone, nel via vai di parenti che vanno a trovarli da quando si sono
trasferiti, senza contare la visita da parte proprio di Haruichi e di suo
fratello.
Loro e la famiglia di Kuramochi si sono uniti nella festa della Vigilia,
facendo un unico cenone perché sarebbe stato inutile farne di separati per poi
andarsi a trovare a vicenda di lì a poco per gli auguri. Kuramochi non gli ha
chiesto altro, né Ryousuke – nell’accompagnare Haruichi a portare a Eijun il
suo regalo prima di andare dai propri parenti – ha accennato a quando Sawamura è
stato alla sua università.
Avrebbe potuto mandare gli auguri a Miyuki ma non lo ha fatto, finché non gli è
arrivata una mail in cui l’altro ne ha scritti per lui e la sua famiglia; a
quel punto ha dovuto rispondere per forza di cose e si è sentito lo stomaco
così stretto da fargli passare buona parte dell’appetito.
«Eijun-kun.» pronuncia Haruichi, il tono più fermo e in qualche modo deciso,
segno che non ha creduto a quel suo annuire: «Dovresti parlare con Miyuki-san.»
azzarda quindi, ritrovandosi un Sawamura che lo fissa ad occhi sgranati.
«Non è meglio che restare così confusi? Chiedigli una spiegazione. Te la deve,
dopotutto, e non credo si rifiuterà di dartene una.» aggiunge, anche se in
questo c’è una punta di bugia – conosce superficialmente Miyuki, quindi non è
così sicuro l’altro risponderà senza battere ciglio,
ma conosce bene Eijun e sa che se non glielo assicura, forse l’amico non si deciderà mai davvero. Eijun è una persona che prende di
petto questioni e rapporti, ma Haruichi non trova poco da lui quanto sta
succedendo, forse perché ha saputo prima di chiunque altro e lo ha visto
confuso, entusiasta di quegli incontri settimanali anche se erano per studiare;
ha visto Eijun tornare a scuola dopo un week-end e impegnarsi come non mai
nello studio, rivelandogli con un sorriso contagioso che aveva strappato una
promessa (“più una scommessa, ma che
importa!”) a Miyuki se avesse superato i test con un voto concordato
all’ultima lezione.
Non è affatto sicuro che le cose possano risolversi per il meglio o che l’amico
sia corrisposto, ma vederlo arrovellarsi su cose del genere gli fa sentire un
po’ la mancanza dell’Eijun a cui è abituato.
Lo ritrova però in un annuire più deciso e un broncio leggero, accompagnato dal
borbottio: «Dopo le feste.» che trasforma quella fuga fatta di contatti
limitati in un prendere tempo per prepararsi alla sua personale lotta.
Va bene così.
Eijun adora sua madre, ma come ogni adolescente ha avuto e ha dei
momenti in cui ha sentito di volerla strozzare con le proprie mani. Uno di quelli
è quando, rientrato in casa, si è ritrovato Miyuki Kazuya nel salotto a
prendere un tè con suo nonno.
Se il gelo che ha lasciato in strada potesse renderlo una statua di ghiaccio,
lo sarebbe già diventato.
Lo sguardo di Miyuki per un istante gli suggerisce che non era lì che voleva
essere al rientro di Eijun o, comunque, non voleva trattenersi a tal punto. Nel
panico che gli ha appena ucciso lo stomaco in una manciata di secondi, Eijun
gli riconosce una totale mancanza di colpa: sa che sua madre adora Miyuki, che
gli è grata per l’impennata di voti del proprio figlio – “impennata”
considerando la media precedente, chiaro –, ed è conscio del fatto che la sua
famiglia sia ospitale per natura genetica visto come la cosa faccia anche parte
di lui.
Non incolpa nessuno, ma al tempo stesso vorrebbe gridare che è palese lo
vogliano morto, specialmente quando sua madre, approfittando del suo rientro,
decide che è una buona idea dare un colpetto sulla spalla di Miyuki e
pronunciare un: «Insisto, Miyuki-kun, perché ti fermi
per la cena. Ti dobbiamo almeno un ringraziamento per l’aiuto che hai dato a
Eijun.»
Miyuki non ha modo di rifiutare, e un’occhiata di Sawamura Eitoku
basta a Eijun per capire che una frase come “lo hai già ringraziato visto che le mie ripetizioni le paghi”
potrebbero valergli una sberla che sarebbe seconda solo al manrovescio di
quando aveva dieci anni e per ripicca aveva disegnato qualcosa di molto stupido
sulle mutande preferite del nonno.
Non vuole ripetere assolutamente l’esperienza.
Mettere a posto le scarpe all’ingresso, indossare per bene le pantofole, salire
in camera a sistemare la borsa che aveva con sé, mettere a posto il cappotto e
indossare una felpa calda e comoda non bastano a calmarlo e a far sì che possa
mostrare un’espressione normale quando in salotto si ritrova solo con Miyuki.
Ha detto ad Haruichi “dopo le feste”, e per lui significava “dopo Capodanno”,
invece si ritrova al trenta di dicembre con Miyuki Kazuya nel suo spazio vitale
e non sa perché. Potesse lo caccerebbe fuori di casa, ma la verità è che sa lui
per primo di non avere un motivo valido per farlo.
«Sono passato da Youichi perché a Capodanno non sarò a Tokyo e probabilmente
sarà un incubo mandargli gli auguri. Non che a noi cambi molto, ma i suoi ci
tengono abbastanza.» commenta Kazuya senza che Eijun abbia fatto alcuna
domanda, adocchiando la tazza di tè ormai vuota: «Ho pensato, già che c’ero, di
passare anche da voi.» e nel tono di voce a lui sembra di cogliere un “non
credevo sarei finito a cenare qui”.
Eijun annuisce, sospira, e anche se le prime due parole che gli vengono in
mente non sono proprio concilianti o accoglienti, le relega in un angolo di
mente perché rasenterebbe il ridicolo arrabbiarsi di nuovo. Anche se è ancora
convinto di averne pieno diritto.
«Almeno hai fatto gli auguri a Youichi-san?»
s’informa per non far cadere un silenzio che odierebbe più del solito.
«No, ha il turno di sera al lavoro.» liquida la questione Miyuki, puntando gli
occhi sull’altro, come se stesse cercando di leggere la situazione e capire
cosa può dire e cosa no – non fosse che al momento Eijun non lo crede per
niente capace di tanta accortezza nei suoi confronti, anche meno di quanto lo
credesse prima, il che è tutto dire.
Le cose vanno meglio quando sua madre lo chiama dalla cucina, e lui si rimangia
mentalmente ogni istinto omicida nei suoi confronti; borbotta una mezza scusa e
sparisce nel corridoio che collega salotto e cucina, per riaffacciarsi poco
dopo nella stanza ed elencare una serie di piatti che la signora Sawamura vuole
essere sicura piacciano a Miyuki.
Eijun si impegna a sparire quando ha avuto le informazioni che voleva, ma
Miyuki fa lo stesso – si assicura di recuperare la tazza usata per il tè così da
avere un motivo di spostarsi in casa d’altri e raggiungere gli altri due. Si
ritrova a guardare madre e figlio nello stesso spazio, una cosa che è abituato
a vedere per il tempo di qualche scambio, visto che di solito lei lascia Eijun
e Miyuki nella stanza del primo perché possano studiare.
Non si è mai preso il tempo di guardarli a lungo e lo fa ora, non stupendosi
molto di come Eijun in cucina rischi di essere più un tornado che fa cadere
tutto piuttosto che un valido aiuto, ma nemmeno del modo in cui si sporge a
baciare la guancia della madre con una naturalezza unica e un affetto
smisurato. La supera di tutta la testa, ma sembra un bambino nel modo in cui le
sorride perché ha accettato di fare il piatto che gli piace e che ha
espressamente richiesto. Decisamente da Sawamura, si ritrova a
pensare Miyuki: quello è proprio il calore che ha sempre percepito venire da
Eijun, qualcosa che non ha a che fare con la temperatura corporea, e non sembra
affatto strano notarlo come carattere distintivo della famiglia intera; sembra
solo un puzzle che combacia perfettamente con l’ultimo pezzo aggiunto per
completarlo.
Eijun, si dice, è proprio come se lo aspettava.
La cena è meno drammatica di quanto si possa pensare. Se Eijun dovesse
trovare un momento imbarazzante, questo non comprenderebbe né silenzi pesanti
tra lui e Miyuki, né occhiate indesiderate o riferimenti al loro appuntamento;
Eijun sceglierebbe piuttosto gli aneddoti che suo nonno ha deciso di
condividere con l’ospite, o una battuta di suo padre che riscuote un gran
successo tra i vecchi amici d’infanzia di Eijun ma che a Tokyo – dove la realtà
della campagna è vagamente registrata come qualcosa che sì esiste, ma lontana
da lì – dubita sortisca lo stesso effetto.
Eppure Miyuki è impeccabile nei suoi comportamenti, tanto che Eijun ha anche
pensato fosse assurdo perché andiamo, hanno solo un anno di differenza eppure a
volte quel bastardo sembra lontano anni luce anche in quello.
Il problema nasce dopo, quando la cena è ormai finita e sua madre sta
recuperando gli ultimi piatti dal tavolo, mentre la tv accesa manda la notizia
che i treni sono stati fermati per il maltempo. Fuori la neve si è ammassata
così tanto che quando Eijun prova a uscire con le scarpe da ginnastica
indossate alla bell’e meglio, affonda nella neve fino alla caviglia e rimpiange di aver anche solo tentato.
Sua madre lo richiama dentro, e si rivolge a Miyuki, perché gli autobus
sostitutivi non passano più a quell’ora, e di certo l’altro non può pensare di
tornare a piedi; la signora Sawamura lo invita a passare la notte lì ed Eijun
ha un moto di amore incondizionato per suo padre quando fa notare che “forse Miyuki-kun
si sentirebbe più a suo agio con Youichi-kun visto
che si conoscono dal liceo”.
Esce fuori che Kuramochi è, ovviamente, bloccato al lavoro e costretto a farsi
ospitare da un collega; viene da sé che sia più sconveniente chiedere ai
Kuramochi di ospitare un amico del figlio quando il suddetto figlio non c’è, e
non ci vuole molta insistenza perché Miyuki stesso si arrenda all’evidenza di
dover dormire in casa Sawamura.
«Dovevi partire questa sera, Miyuki-kun?»
«Fortunatamente no, Sawamura-san. Contavo di partire
comunque domani verso pranzo, perciò dovrei cavarmela con uno dei primi autobus
in mattinata.»
Eijun cerca di prestare attenzione allo scambio tra l’altro e sua madre, oltre
che al futon che sta portando nella
propria camera; a un certo punto, mentre manda Miyuki in bagno perché faccia
per primo e sua madre sistema il materasso, manda anche una mail ad Haruichi. È
una cosa assolutamente inutile, ma ha davvero bisogno di scrivere a qualcuno
che “Miyuki Kazuya sta per dormire in
casa mia, Harucchi se resto nel vialetto dici che congelo?”, per quanto
stupido sia – e lo è parecchio.
Si dà il cambio con l’ospite e si prende il suo tempo in bagno, tanto che sua
madre passa a bussare lì per augurargli la buonanotte; ne esce con il pigiama
che altro non è se non una tutta vecchia ma calda, le posa un bacio sulla
guancia e percorre corridoio e scale per raggiungere la sua camera.
Quando entra ha ancora qualche momento grazie al dover posare i vestiti al loro
posto, ma finito anche quello non ha altra scelta se non parlare. Fissa Miyuki
per qualche attimo, e poi sospira: «Prendi tu il letto.»
Se ne pente nel momento esatto in cui nota il sorrisetto sulle labbra
dell’altro.
«Non servono tutte queste premure, Sawamura, davvero.» assicura divertito,
restandosene seduto sul futon steso a
terra così vicino al letto di Eijun che deve fare attenzione a non pestarlo per
raggiungere il proprio materasso. Resta ancora fermo dove si trova, scuotendo
la testa: «Sei un ospite, dormi tu sul letto.» insiste.
«Sei troppo basso, starei scomodo nel letto.»
«Ma se sono alto quanto te! E crescerò anche!»
ribatte, avvicinandosi istintivamente solo per rimpiangerlo dopo, ma Miyuki ha
già allungato una mano e gli ha dato un colpetto alla fronte, ridacchiando:
«Torna a dirlo quando mi avrai superato.» lo prende in giro, ma con fare
bonario, come se finalmente entrambi si fossero tolti almeno un piccolo peso –
è la prima, vera frase che si rivolgono al di fuori delle lezioni e di una cena
in cui passarsi del cibo l’un l’altro oltre la tavola.
Miyuki decide di arrendersi quando sente l’ennesimo sospiro alle
proprie spalle e il rumore di un corpo che si muove sotto le lenzuola. Si
volta, ritrovando la schiena di Sawamura e la sveglia sul comodino di lui che
segna l’una e dieci di notte. Hanno spento le luci che era da poco passata la
mezzanotte, quindi è un’ora che Miyuki sente l’altro muoversi nel letto, di
sicuro sveglio e chiaramente incapace di fingersi addormentato.
Poco prima, non sa dire quanto, può giurare di averlo sentito alzarsi a sedere
e fare per mettersi in piedi – lo ha chiamato a bassa voce ma Miyuki non ha
risposto, sicuro che l’altro fosse deciso a ritrattare la questione letto, per
nulla convinto a lasciarlo dov’era. In assenza di replica Eijun si è nuovamente
sdraiato, ma non sembra trovare una posizione.
Miyuki si arrende perché, davvero, vorrebbe prendere l’autobus presto domani e
farlo con più di due ore di sonno, il massimo a cui può aspirare se Sawamura
continua a rigirarsi nel letto. Si tira su a sedere, scostando le coperte, e
stringe gli occhi per distinguere alla meno peggio i contorni; non recupera gli
occhiali, dal momento che dovrebbe comunque toglierli da lì a breve, e si
limita ad alzarsi in piedi senza dover percorrere chissà quale distanza per
ritrovarsi vicino al letto di Eijun.
L’altro si volta nello stesso momento in cui Miyuki scosta le sue coperte con
tutto l’intento di mettersi al letto – come c’era da aspettarsi Sawamura prima
si irrigidisce e poi si gira di scatto, e nel buio Miyuki non ne è sicuro ma quasi
si immagina l’espressione allucinata dell’altro.
«Che stai facendo?!» sibila, facendogli spazio involontariamente,
allontanandosi verso il lato opposto.
«Ti giri da un’ora, se sei così preoccupato che io prenda freddo, tanto vale
che dormiamo entrambi nel letto.»
«Perché dobbiamo dormire insieme?!»
«Perché hai un solo letto?» ribatte come se fosse un’ovvietà. Per la verità non
lo è, ne è consapevole, ma non vuole far dormire Eijun a terra – prima di tutto
perché è casa sua, e secondo perché… beh, non ci
trova un vero motivo, escludendo il fatto che non stanno insieme e come è
andato l’unico tentativo di fare qualcosa “da coppia”.
Poi che sia esclusivamente colpa sua sembra un dettaglio irrilevante.
«Lo fai di proposito?» si sente interrogare in un sussurro quasi sconfitto
«Perché se è così sei veramente uno stronzo.»
Miyuki rimane fermo, entrambe le gambe già sotto le coperte e un gomito che
sorregge il suo peso contro il materasso, mentre lui era già lì lì per sistemarsi meglio in assenza di calci a mandarlo di
nuovo giù sul futon. Sa che la
domanda di Eijun è giusta, legittima, e che se Kuramochi lo vedesse lo
prenderebbe a calci in culo fino allo sfinimento; sa di non essere corretto, ma
sa anche che sarebbe impensabile spiegare a Eijun quattro settimane di silenzi
in risposta ad altri silenzi, di piccoli gesti notati senza rispondervi, di
nervosismo palese che ha cercato di ignorare – non solo non infierendo con una
presa in giro ma anche (soprattutto)
senza fare qualcosa che quel nervosismo lo avrebbe sciolto, ma lo avrebbe anche
trasformato in una confusione imbarazzata che lui non era pronto a
fronteggiare.
Non è pronto nemmeno ora, mentre si sdraia e copre entrambi, in silenzio. Sente
Eijun rabbrividire, o forse tremare, e poi irrigidirsi nelle spalle come se
quella fosse la sua presa di posizione.
Ci sono troppe cose che dovrebbe dirgli, spiegargli. Di sicuro dovrebbe farlo
prima di qualsiasi altra cosa, di qualsiasi gesto o parola o decisione.
Invece lascia scivolare un braccio sopra il fianco dell’altro, avvicinandolo al
proprio corpo – lo sente caldissimo e si chiede se sia solo la sua temperatura
o le troppe coperte, o magari l’imbarazzo – e posa un bacio alla base del collo
di Sawamura, con leggerezza e con naturalezza. Lo sfiora con il naso, ma quello
è involontario, una conseguenza del chinare leggermente la testa e poggiarla
contro la nuca dell’altro.
«Dormi.» mormora piano, e sa che forse è codardo da parte sua, ma quel calore
lo stordisce abbastanza da convincerlo di non voler affrontare nessuna
conversazione al momento: «Parliamo domani.»
Funziona, per un po’, per un lasso di tempo che Miyuki non sa quanto sia di
preciso. È abbastanza perché lui si rilassi e rischi quasi di addormentarsi,
non fosse per la voce di Eijun che lo chiama e lo fa tornare del tutto sveglio,
vigile. Non lo sa ma è passata quasi un’ora senza che nessuno dei due dicesse
nulla o si muovesse; sessanta interminabili minuti in cui l’unico movimento
percepibile è stato quello dato dal respiro apparentemente regolare dell’altro.
Questo è il tipo di cosa che si dovrebbe aspettare da Sawamura, lo sa. Però era
davvero a tanto così dallo scivolare nel sonno, e decide che quella può essere
una scusa dopotutto; si percepisce anche dal tono appena roco con cui replica
al richiamo improvviso di Eijun. Evidentemente voleva tastare il terreno per
vedere se era sveglio, perché alla sua risposta si gira in modo da
fronteggiarlo – sembra essersi dimenticato del braccio di Miyuki che gli cinge
un fianco e che, faccia a faccia, lo fa sembrare troppo vicino. O forse ne è
ben conscio, visto come non lo stia guardando negli occhi, o almeno crede, tra
buio e assenza di occhiali può solo provare a indovinare in effetti.
«Devi piantarla di fare queste cose.» esordisce e Miyuki vorrebbe poter fare il
finto tonto. Lo vorrebbe così tanto che ci prova davvero, a farlo.
«Quali cose?»
«E se invece non la vuoi smettere» prosegue Eijun come se lui nemmeno avesse
parlato «devi spiegarmi perché le fai.»
Una spiegazione è ciò che Miyuki non è pronto a dare, ciò che ha evitato anche
solo di nominare per un motivo preciso: troppe implicazioni. Dovrebbe definire
il suo rapporto con Sawamura, tanto per cominciare. No, in realtà il rapporto è
già definito a modo suo – Eijun vuole stare con lui, lo ha reso chiaro alla
dichiarazione, all’appuntamento, lo palesa in quasi ogni gesto che gli rivolge
e ogni occhiata solo per lui. Miyuki? Pensa di sì. Pensa che stare con Eijun
potrebbe essere una cosa bella o, a voler essere pessimisti, meno peggio di tante
frequentazioni passate.
Vuole dirglielo? Pensa di no. Dire a Eijun che non si vede poi così male con
lui implicherebbe ammettere cose che non è solito chiarire ad alta voce. Ma
soprattutto, dovrebbe mettersi a nudo e quella è una cosa che una volta fatta
non torni più indietro.
Non è fatto per essere messo alle strette, Kazuya.
«Devi» calca Eijun, riparte alla
carica perché ci vuole ben più di un silenzio per farlo desistere «spiegarmi
perché mi baci. Anche se non sono baci seri.»
«Che vuol dire baci seri?»
«Cristo Miyuki, sto parlando seriamente.» Lo so, vorrebbe dirglielo ma si
limita a inspirare quasi a pieni polmoni e a espirare lentamente; sembra
dimenticarsi della vicinanza che fa quasi mescolare i respiri.
«Va bene.» decreta: «Cosa vuoi fare con me?»
La domanda suona così assurda persino a lui che sa di cosa sta parlando da non
riuscire a stupirsi della perplessità che coglie nel «Come cosa—» di Eijun; ma
la tronca quasi subito, come se non lo avesse nemmeno sentito: «Sai cosa fanno
insieme due persone che stanno insieme, di solito?»
«Se mi stai di nuovo prendendo per il culo giuro che—»
«Sto parlando del sesso, Sawamura.» e gli risparmia una battuta di terza
categoria per la quale, in effetti, il “prendere per il culo” non era così
distante dalla realtà. Lo sente irrigidirsi, avendo ancora il braccio a
contatto col suo corpo. Interpreta quel silenzio come una improvvisa presa di
coscienza e decide che ormai ci sta, ormai ha tirato fuori l’argomento, e per
quanto odi ancora l’idea di condividere qualcosa di tanto personale, sa anche di
non potersi sottrarre. Sawamura non si arrenderebbe mai con una frase fatta sul
genere di “lascia stare, non capiresti”.
Anche se forse è vero che non può capire – Miyuki crede siano in pochi quelli
che ci riescono davvero.
«E te lo sto dicendo perché a me fare sesso non piace. Potrei non volerne mai
fare con te. O, per quello che mi riguarda, con nessuno per tutta la vita.»
sgancia la bomba così. Ormai è stanco anche di trovare un modo per girarci
intorno.
Sawamura si chiude in un silenzio attonito più che comprensibile, quasi
scontato; lo sente sistemarsi meglio sotto le coperte, senza aumentare né
diminuire la distanza fra loro.
Incredibilmente – o forse no? – non arrivano alle sue orecchie frasi scontate o
istintive.
Non arriva nulla; quel “nulla”, si dice Miyuki allontanando il braccio dal
fianco dell’altro e scivolando lentamente nel sonno, è una risposta già
sufficiente.
Eijun si fissa le scarpe, con la punta della destra struscia nervosamente
contro l’asfalto. Sente le mani sudate nelle proprie tasche, quindi le tira
fuori passando i palmi sui pantaloni.
Sono le sette di sera del tre gennaio, e lui si ritrova davanti
all’appartamento di Miyuki senza poter bussare, perché il padrone di casa non
c’è ancora; è stato Haruichi a dirgli che l’altro sarebbe tornato da casa del
padre nel tardo pomeriggio – indiscrezione trapelata grazie a Ryousuke, che a quanto
pare trova abbastanza divertente l’idea di mettere in difficoltà Miyuki a quel
modo. Anche se prima o poi Eijun sospetta dovrà pagare quelle informazioni.
Sawamura è lì da quasi un’ora, quando sente dei passi salire le scale e vede
comparire poco dopo Miyuki, un borsone a tracolla e lo sguardo stupito nel
ritrovarselo lì; Eijun lo vede fermarsi sul penultimo gradino, sospirare, e
riprendere ad avanzare verso di lui. Non gli dice nulla, limitandosi a cercare
le chiavi nella tasca del proprio cappotto e ad aprire la porta, entrando. La
lascia aperta e lo adocchia: «Entra.» dice soltanto.
È la sua prima volta nell’appartamento di Miyuki: è molto essenziale, con un
corridoio brevissimo su cui si affaccia un piccolo bagno con solo i servizi, e
alla fine del quale c’è una sola stanza più grande, che al momento ospita un
tavolino basso e una tv insieme all’angolo cottura. Eijun, a un’occhiata più
discreta possibile, suppone che nell’armadio che occupa un’intera parete si
trovi anche il futon.
È strano. Si aspettava, chissà perché, un appartamento occidentale.
«Siediti dove preferisci.» lo invita Miyuki in un tono che Eijun non sa
distinguere bene. Non riesce a capire se sia arrabbiato per quell’improvvisata
o stanco per il viaggio, o nessuna delle due cose.
Si guarda intorno mentre l’altro posa il borsone in un angolo e si dedica all’angolo
cottura, i rumori classici di una casa che gli arrivano all’orecchio; poco dopo
Miyuki presta di nuovo a lui tutta la propria attenzione: «Ho messo su il tè.»
«Grazie.» borbotta Eijun e si odia, perché avrebbe mille cose da dire e invece
oltre a quel meccanico “grazie” l’unica a cui riesce a dare forma sul momento è
un «Buon anno.» a cui Miyuki replica con un mezzo sorrisetto e un augurio identico
al suo.
Non è così che funziona tra loro. Non ha mai
funzionato così, eppure al momento sembra l’unico modo in cui riescono a stare
nella stessa stanza. A Eijun non piace, non è con quest’intenzione che gli ha
detto cosa prova per lui – a dire il vero non c’era proprio alcuna intenzione
in generale, ma già che lo ha fatto sperava che la cosa fosse percepita come… una cosa bella.
A quanto pare non lo è.
«Tu…» esordisce ma si blocca, in testa troppi
rimproveri sulla mancanza di tatto fatti da molte persone e in altrettante
occasioni. Deglutisce, lo adocchia, torna con lo sguardo sul tavolo. È più
forte di lui, non crede di saper girare intorno alle questioni: «Qualcuno ti ha
fatto qualcosa di male?»
L’espressione di Miyuki è impagabile: è difficile capire se sia più incredulo,
più confuso o più divertito.
A giudicare dallo sbuffo che gli sfugge fra le labbra e da come l’espressione
si rilassa, forse l’ultima.
«Tu sei davvero incredibile.» gli dice, ed Eijun all’improvviso sente caldo,
non sa se per l’imbarazzo o per quella che ha tutta l’aria di essere
un’ennesima presa in giro. Sta per ribattere che è serio e non c’è niente da
ridere, ma Miyuki lo anticipa.
«Nessuno ha fatto niente. Non ho nessun trauma di qualche tipo.»
«…Oh.» è sollevato e non prova nemmeno a negarlo,
anche se questo porta tutto su un piano diverso, ossia quello in cui la miriade
di domande che gli affolla la mente spinge e spinge per uscire fuori e avere
risposta. Non è sicuro di poter chiedere.
«Sawamura, ti ho già detto una volta che pensare troppo non ti si addice. Se
vuoi farmi una domanda, falla e basta.» pronuncia Kazuya guardandolo – ormai
non ha granché da perdere, ormai Eijun sa
e se lui avesse voluto davvero evitare le spiegazioni avrebbe fatto come con
tutti gli altri prima di Sawamura: avrebbe taciuto, lasciando che pensassero
quello che preferivano o gli tornava più comodo.
Insospettabile, ma Eijun indugia ancora. Miyuki non avrebbe mai detto che
l’altro potesse essere indeciso pur avendo appena ricevuto il permesso di
chiedere qualsiasi cosa gli passi per la testa. Invece aspetta, e aspetta, al
punto che il silenzio da sempre tipico di quel piccolo appartamento che sa di
primo assaggio di indipendenza, per lui, appare quasi scomodo.
Sawamura inspira e Miyuki è pronto – qualsiasi cosa gli chieda, non sarà mai
qualcosa che non abbia già sentito almeno una volta, in fondo.
«Io—» comincia Eijun, tacendo per qualche momento come se nemmeno lui sapesse
come articolare la domanda; ma quello che viene dopo no, è qualcosa che Miyuki
non si è mai sentito dire prima: «Non ho mai detto di voler uscire con te per fare… insomma.» e Kazuya sbatte le palpebre non solo per
quella frase – che non è ancora neanche vicina
a ciò che lo attende dopo – ma perché Sawamura è visibilmente in imbarazzo.
Perché non pronuncia “sesso”. E Miyuki ha esorcizzato quella parola così tanto
che ad un certo punto, non sa bene come, ha finito per essere una cosa senza
importanza, qualcosa a cui non dare peso.
Lui ha conosciuto solo due tipi di approcci nei confronti di quell’argomento:
il proprio e quello delle persone per cui una relazione non può prescindere
dalla sfera sessuale. Kazuya non è mai stato ipocrita al punto da dar loro
torto, ma come avrebbe mai potuto rapportarsi alla cosa quando per lui il sesso
era quasi un deterrente della relazione stessa?
Non ha mai visto un approccio che stesse nel mezzo, prima d’ora.
«Voglio dire, potrebbe anche… potrebbe. Ma non è per forza. E poi magari ti odio e non ti
sopporto, ecco.»
Non gli risponde subito, perché ammette di non sapere cosa dire. C’è una
piccola parte di lui che è lusingata da quello che legge nelle parole di
Sawamura, e ne è persino intenerito; ma l’altra sa che non può concedergli una
mezza risata e un “va bene” come se niente fosse, come se bastassero le buone
intenzioni.
«Grazie.» perché almeno di questo Miyuki deve dargli atto, perché c’è del buono
in quello che Eijun ha detto e lui non vuole negargli quello che lo rende
migliore delle altre persone che sono state al suo posto «Ma è probabile sia
solo un pensiero del momento.» aggiunge, i lineamenti non contratti come si
sarebbe aspettato. Ha affrontato quel discorso altre volte, alcune con molto
distacco dato da una relazione non così importante al punto che mettervi la
parola fine lo sconvolgesse, altre con toni che spera di non sentire mai più.
In quelle occasioni ha imparato come non ci sia un vero modo per cercare di
farsi capire – soprattutto quando non te ne sei mai curato, quando non ti è mai
neanche interessato e all’improvviso diventa l’unica cosa con cui puoi mettere
la parola “fine” a un rapporto. Farsi capire non è una cosa fatta per lui, e
invece si ritrova ancora una volta a dover prendere un pezzo di sé tra le mani,
modellarlo perché sia fatto di parole da pronunciare guardando negli occhi
qualcuno.
Ma non guarda Eijun; gli occhi sono puntati sul tavolino, e sente lo sguardo di
Sawamura su di sé. Può quasi immaginarselo, con quell’espressione confusa che
spesso lo rende davvero buffo.
«Che vuol dire?»
«Adesso non sarebbe un problema. Siamo usciti insieme una sola volta,
dopotutto. Ma a un certo punto ci saranno delle cose che vorrai fare con me,
no?» lo incalza con un mezzo sorriso – perché sa che andrà così: è successo con
quell’unica ragazza con cui ha avuto anche un rapporto sessuale, è successo con
chi c’è stato dopo e si chiedeva perché Miyuki non andasse mai oltre. In questo nessuno è diverso,
nemmeno Eijun.
«Non è sbagliato, Sawamura. Vorrai fare quello che fanno la maggior parte delle
persone con chi frequentano. Ma a un certo punto io potrei dirti di “no”. » lo
dice senza alzare i toni e senza calcare le parole. Lo pronuncia con fermezza,
il tono basso come se raccontasse una favola a un bambino che vuol fare
addormentare. Eppure, è conscio di come ci sia una crudeltà di fondo in quello
che dice, una cosa che non potrà mai rendere meno dolorosa o meno cattiva alle
orecchie degli altri: il rifiuto e la consapevolezza che, ecco, siamo tornati al punto di partenza.
È una manciata di secondi quella in cui c’è un moto di stizza, e rabbia, e
anche qualcosa che si avvicina pericolosamente all’odio. Perché a volte Kazuya
vorrebbe davvero che le cose fossero diverse.
Quello che stona è un colpo secco, il pugno di Eijun che batte sul tavolino –
non a tutta forza, ma è come se lo avesse fatto, e anche se Miyuki non lo
biasima vorrebbe che la smettesse, che tutti
la smettessero.
«Perché devi decidere per me?» incredibilmente Sawamura non sbraita, anche se
trema: «Ok, forse se usciamo insieme a un certo punto ti chiederò
di fare… qualcosa di più che tenerci per mano o più
di un bacio.» c’è un rossore che Eijun ignora e invece Miyuki non riesce a ignorare «Ma è ovvio che se
mi dici di no sarebbe un no. Voglio dire, sembro una persona che potrebbe
arrabbiarsi perché non vuoi? Certo, se non volessi perché non ti piaccio
sarebbe strano— se non ti piacessi da
adesso e tu uscissi comunque con me per poi dirmi che non ti piaccio dopo, allora ecco, mi arrabbierei perché
dimostreresti di essere davvero lo stronzo che sembri e che a volte riesci a
essere senza neanche impegnarti.» prosegue e Miyuki si chiede se faranno mai un
discorso senza che Eijun sottolinei il suo essere stronzo, ma in fondo pensa
anche di non aver fatto molto per dimostrare il contrario, e allora lascia correre.
«Ma se non fosse così, insomma, mi hai detto adesso che il sesso» lo pronuncia
quasi di fretta, rischiando di incespicare nelle parole «non ti piace. Se
voglio ancora uscire con te non pensi significhi…
beh, non è che non mi importi, ma se diventa una cosa insostenibile posso
dirtelo. O possiamo pensarci insieme. Chiunque
potrebbe pensarci, andiamo. Cioè, non voglio pensarti con un’altra persona, ma
intendevo dire che… è ok. Adesso è ok. Non mi è mai
piaciuto un ragazzo prima e potrebbe non piacere nemmeno a me, l’idea di fare
cose.»
Dice proprio così: cose. Per tutto il
tempo in cui a fatica Eijun riesce a dare un nome a quello di cui stanno
parlando, gli occhi che a Miyuki sono piaciuti dalla prima volta – senza
malizia, senza alcun doppio fine o significato – non incontrano mai la sua
figura, non lo cercano mai; trovano le mani, il legno, ma non lui.
Un fischio dalla cucina li fa quasi sobbalzare entrambi. Miyuki si alza, quasi
stordito perché aveva totalmente dimenticato di aver messo su il bollitore. Si
muove con pochi passi, spegne i fornelli e sistema l’occorrente per servire il
tè al suo ospite; sono gesti meccanici che gli consentono, in un certo senso,
una tregua. Ma momenti del genere, quando non sai cosa dire o non sai come
dirlo nemmeno se ci pensassi su per giorni interi, non durano mai abbastanza o
quanto vorresti.
Non impiega granché a ritrovarsi di fronte a Sawamura, le tazze da tè che
fumano davanti a entrambi, oggetto di distrazione che non può essere tale per
sempre senza insospettire.
Miyuki ha una percezione piuttosto chiara di cosa dovrebbe e di cosa non
dovrebbe fare: dovrebbe dire a Eijun che capisce cosa intende, ma che non
potrebbe funzionare; che per quanto bastardo possa essere, nemmeno lui
arriverebbe mai a chiedere a qualcuno di sacrificare se stesso o i suoi
desideri per stare con lui. Non dovrebbe dare alcuna speranza perché renderebbe
tutto più difficile. Uscire insieme, e poi? Finirebbero per l’affezionarsi
l’uno all’altro, e avrebbero più mancanze che certezze, dopo una separazione.
Si tratta di realismo, più che di pessimismo; e di quello che è il modo di fare
di tutte le persone che stanno al mondo: basarsi sulle esperienze vissute, poche
o tante che siano.
Miyuki sa come andrà a finire, ma sa anche come vorrebbe che non finisse
stavolta – egoisticamente, ma in completa sincerità, non pensa di desiderarlo
perché si tratta di Eijun. Lo vuole e basta.
Si detesta per la prima volta dopo anni quando sente la sua voce riempire la
stanza con un: «Proviamo.»
Il brano per pianoforte suonato
e descritto nel capitolo è l’Etude Op.10 N.4 di
Chopin (consigliato, per l’ascolto, la versione di Pollini).
«Oh. Quindi da quel momento non vi siete ancora visti?»
La domanda di Haruichi è semplice, ed è certo che l’amico non stia tentando di
sottolineare quanto strana risulti la cosa. Sono tornati a scuola già da una
decina di giorni, ma l’ultimo sabato è saltato – con tanto di comunicazione
alla famiglia da parte di Miyuki – e Eijun sa
che non è per quanto si sono detti, ma non può fare a meno di chiedersi se sia
tutto a posto. Picchietta con le bacchette contro il bordo del contenitore del
suo bentou
e borbotta qualcosa di non meglio comprensibile.
Haruichi gli rivolge un sorriso e, con pochi movimenti, deposita in quello
stesso contenitore una piccola porzione di omelette; Eijun alza lo sguardo su
di lui confuso, chiedendosi se abbia una faccia da funerale tale da invogliare
qualcuno a cedergli del cibo per tirarlo su di morale, ma incontra niente più
del sorriso incoraggiante che Haruichi gli rivolge sempre, anche durante le
partite o gli allenamenti. In qualche modo, almeno in parte sembra tornare
tutto a posto.
«Perché nel pomeriggio non vieni da me?» domanda osservandolo «Per oggi le
attività del club sono sospese, io e Satoru pensavamo di studiare insieme. E
sicuramente faremo la cioccolata calda, a un certo punto.» azzarda, come se
quello fosse un motivo più che valido per accettare l’invito. Haruichi ha
questa capacità di trattarlo con riguardo senza farlo sentire un perfetto
imbecille a cui qualcuno sta facendo da bambinaia. Storce il naso, sospira
quasi rassegnato e finge di darsi un’aria d’importanza: «Beh, non mi va l’idea
di un intero pomeriggio con quell’altro, ma se proprio devo…»
lascia cadere la frase, recuperando l’omelette gentilmente offerta e
mangiandola senza troppe cerimonie.
Haruichi ridacchia, perché per quanto Eijun si finga infastidito dalla presenza
altrui, sa meglio di chiunque altro che in campo – e, per assurdo, soprattutto
fuori da esso dove la rivalità lascia spazio a una quotidianità del tutto
normale – Eijun sia forse una delle persone che più apprezza Satoru, o che
quantomeno lo conosce al punto da saper individuare i suoi pregi e non solo
l’essere poco loquace e il sembrare in alcuni casi niente più di un arrogante.
Ci hanno messo tre anni, ma Haruichi non scambierebbe un solo giorno della loro
amicizia.
Ciò che Eijun non si aspetta, è di ritrovare in casa Kominato altri
ospiti: lui e Satoru varcano la soglia subito dopo Haruichi, si liberano delle
scarpee vengono indirizzati verso
il soggiorno. È una volta lì, in procinto di entrare e già pronti a posare le
borse a terra, che Eijun si blocca sul posto perché ad accoglierlo non c’è solo
il saluto di Ryousuke – il fratello maggiore di Haruichi – ma anche di Miyuki;
è chiaro che nessuno dei due fosse al corrente della presenza dell’altro, e se
Eijun fosse stato portato dalla sorpresa a credere che Haruichi ne sapesse più
di lui, capisce immediatamente di aver sbagliato quando l’amico guarda spaesato
il fratello. Sembra cercare in lui una risposta che, tuttavia, Ryousuke non gli
può dare.
Il primo a lasciarsi scivolare nella stanza è Satoru, con la sua invidiabile
indifferenza verso tutto e tutti, come se non sentisse il bisogno di alcun
chiarimento né la tensione che invece appare palpabile tra Miyuki e Eijun. È il
più grande a parlare, rivolgendo un saluto generale a tutti e tre e
soffermandosi su Haruichi: «Stavo giusto chiedendo a Ryou-san come stesse
andando la vostra squadra.» dà voce all’argomento più scontato – e l’unico che,
in effetti, può portarlo a una conversazione innocua su un argomento di comune
interesse con il minore dei Kominato.
«Bene, so che il coach voleva organizzare un’amichevole dopo le vacanze
invernali, ma non so se ne abbia già fissate o meno.» replica, rivolgendosi poi
a Satoru ed Eijun «Possiamo spostarci in camera mia, e—»
«Lascia stare, Haruichi.» lo richiama il maggiore, abbandonando la posizione
seduta vicino al tavolino basso: «Non stareste granché comodi, a studiare in
camera. Io e Kazuya stavamo giusto facendo una pausa prima di riprendere con il
saggio che dobbiamo scrivere per l’università.» assicura, facendogli cenno di
seguirlo in cucina per preparare qualcosa da offrire agli ospiti. C’è
un’occhiata discreta di Haruichi all’indirizzo dei due compagni di classe – più
di Eijun che di Satoru, ma lo maschera bene – prima di seguire il fratello. Il
silenzio che cala è a dir poco scomodo; sorprendentemente è Furuya a romperlo,
dopo aver tirato fuori come se niente fosse i quaderni e l’occorrente.
«Miyuki-senpai» pronuncia «sei bravo in matematica?»
«Direi di sì.» è la replica pronta che l’altro gli rivolge con un sorrisetto.
Se sia lui che Eijun si aspettavano l’altro stesse per chiedere un aiuto, sono
entrambi presi in contropiede dal «Aiuta Eijun, per favore. Ci rallenta.»
pronunciato da Satoru con un’espressione indecifrabile in viso che non permette
di capire se lo stia facendo per aiutare Eijun, per prenderlo in giro, o per
una capacità tutta sua di parlar chiaro.
Miyuki si apre in una risata che Eijun riconosce come quella che accompagna le
sue prese in giro: «Sawamura, la tua bravura in matematica ti ha reso famoso.»
ironizza con un sorrisetto sghembo e al diretto interessato basta, perché è
quello che si dicono sempre, il modo in cui interagiscono ogni volta ed è molto
meglio dell’imbarazzo di chi non sa come comportarsi ora che le cose tra loro
stanno cambiando. Soprattutto perché Eijun non ha idea del modo in cui lo stiano facendo, se sia o meno quello giusto o se
porterà a qualcosa.
«Perché tu sei un pessimo insegnante!» rimbecca con il tono alto che lo
contraddistingue, e Satoru sospira rassegnato al suo fianco guadagnandosi un
«Tu sta’ zitto!» con tanto di spallata – che è niente più di un muto
ringraziamento.
Non ci vuole molto perché i padroni di casa li raggiungano: l’odore di
cioccolata calda riempie la stanza quasi prima dell’ingresso dei due fratelli,
accompagnati dal profumo più lieve ma ben percepibile di biscotti allo zenzero.
Il piatto viene messo al centro del tavolo, le tazze ognuna davanti a uno degli
ospiti; passano quasi quaranta minuti in silenzio, ognuno con il proprio
quaderno o libro davanti al viso, l’espressione più o meno concentrata, la
penna che scivola sul foglio con una pausa qua e là. L’assenza di chiacchiere
sembra quasi innaturale, come un tacito accordo cui nessuno sembra intenzionato
a venire meno. Quando accade, è con un sospiro esasperato di Eijun e un
solidale: «Ti serve una mano, Eijun?» di Haruichi. Riceve in risposta lo
scuotere di una testa e uno sguardo concentrato che neanche passa su di lui,
rimanendo sulle pagine che gli rimandano indietro un’espressione aritmetica
sviluppata solo a metà. Haruichi sorride, limitandosi a tornare ai suoi
compiti.
È Miyuki che, dieci minuti e nessun progresso dopo, si allunga appena sopra il
tavolino e punta l’indice sull’ultima parte scritta da Eijun: «Qui non puoi
svolgerla in questo modo.» gli fa notare, gli occhi che rimangono sul quaderno
altrui «Fa’ attenzione, è un errore che fai spesso. Ti ricordi cosa abbiamo
rivisto prima degli esami invernali?»
«Mh…» Eijun corruga la fronte e si acciglia appena –
la cosa richiede un doppio sforzo di memoria, dal momento che matematica non è
esattamente la sua materia – dopodiché recupera la gomma da cancellare, toglie
l’ultima parte, e la corregge. Non sembra proprio sicuro di quanto fatto, a
giudicare da come indugia con la punta della matita sul foglio per poi alzare
lo sguardo incerto su Miyuki. Quello che trova è un sorriso soddisfatto,
l’indice puntato in precedenza sulla carta che va a picchiettare contro la
fronte di Eijun; c’è un secondo incurvarsi di labbra e sa di presa in giro pura
e semplice, ma bonaria: «Allora qualcosa di quello che dico ti rimane in
testa.» ironizza.
Eijun vorrebbe fargli presente che non è simpatico, per niente, e comincia
imbronciandosi. Non arriva a pronunciare quell’affermazione condita anche da
qualche insulto perché Ryousuke li guarda entrambi e non si risparmia il
commento che ammutolisce Sawamura in meno di un secondo: «Se volete fare i
piccioncini forse è davvero meglio la stanza di Haruichi.»
C’è un momento in cui il silenzio sembra gelo e nessuno si azzarda a dire
nulla; la prima risposta palese è il colorito assunto da Eijun, qualcosa di
inequivocabile. La seconda è l’espressione di Miyuki, che il primo a notare è
Haruichi, dal momento che Sawamura è troppo preso a fissare i suoi esercizi di
matematica e Satoru sembra concentrato sul suo biscotto allo zenzero: Miyuki guarda
Ryousuke in un tacito “so che ti stai divertendo” – probabilmente perché in
quello sono molto simili, bravi a leggere le persone al punto da potersi
permettere il lusso di insinuare con facilità sicuri di cogliere nel segno. C’è
però anche qualcosa che Haruichi non è sicuro di riuscire a riconoscere
davvero, ma sembra ammorbidire in qualche modo quell’espressione a cui non ha
mai potuto né saputo associare l’affetto puro e semplice, né la tenerezza di
fronte a qualcosa che suscita un moto di amore, di qualunque natura e forma
esso sia.
«Non essere geloso, Ryou-san.»
C’è un messaggio implicito ma chiaro, nelle sue parole, una risposta ovvia a
una domanda che Eijun non aveva ancora avuto il coraggio di fare direttamente a
Kazuya.
«La volete smettere?!» sbraita Sawamura, imbarazzato – ma Haruichi nel
guardarlo è abbastanza sicuro che si tratti di una vergogna che trabocca
felicità.
Satoru fa un tratto di strada con loro, e a conti fatti li abbandona
soltanto quando manca un isolato alla stazione. Eijun e Miyuki continuano
ancora, e non ci sono silenzi scomodi mentre parlano del torneo per il quale il
club scolastico di cui fa parte Eijun si sta preparando. Non ha bisogno di
spiegare a Kazuya gli allenamenti o le parti tecniche, perché quello è un
universo di cui ha fatto parte anche l’altro, fino all’anno prima, e che si
trascina ancora dietro adesso per quanto a livello meno agonistico.
«È stato massacrante!» ribatte con una nota di disperazione nel tono di voce,
di chi non vuole mai più provare la sensazione delle gambe che gli cedono o
delle braccia pesanti come mattoni: «Certo, ho comunque battuto Satoru ma lui
non conta. Non ha resistenza e poi è ovvio io sia migliore.» commenta con
quell’arroganza in cui non sembra credere davvero, per quanto pronunci la cosa
con tutta la convinzione del mondo. Miyuki lascia che sulle labbra rimanga il
sorrisetto formatosi quando Eijun ha cominciato a parlare, lascia a quello il
compito di accogliere qualsiasi cosa di cui l’altro vuole parlargli e non per
fare la parte della persona interessata anche se non lo è, quanto più perché
Eijun brilla di luce propria ogni volta che parla di quello sport. Anche se gli
racconta di un allenamento sfiancante, o del campo estivo dell’anno precedente
dove era convinto di morire sulla salita di montagna che dovevano percorrere
avanti e indietro per almeno dieci volte, Eijun sembra aver amato ogni singolo
istante.
Quella passione è una cosa che ha fatto parte di Miyuki, qualcosa che era
convinto avrebbe dovuto abbandonare quando ha scelto di dare precedenza
all’università e non a una possibile carriera sportiva, e si era convinto
avrebbe perso qualcosa di sé – l’unica cosa che è convinto lo rendesse Miyuki
Kazuya, l’unica capace di definirlo: ancora adesso non è sicuro di aver
qualcosa che inquadri con la stessa precisione o pronunci per lui la verità
assoluta sulla sua esistenza.
«Ma sei durato per tre anni.» gli fa quindi presente, un tono strano che Eijun
non sa riconoscere e che lo porta a indirizzare lo sguardo su di lui,
facendogli inarcare un sopracciglio. A volte non è sicuro se riuscirà mai a capire Miyuki, altre gli sembra che siano
così simili da non doversi nemmeno impegnare per comprendere.
«Dopo pensi di continuare? Dopotutto hai intenzione di prendere una facoltà
focalizzata sulle attività motorie. Non sarebbe strano, né difficile.»
«Non lo so. Forse.» pronuncia Sawamura, le mani in tasca e la sinistra che
giochicchia con il cellulare: «Ovvio che voglio continuare con il baseball,
perché mi piace. Però all’inizio potrebbe anche essere difficile, no? Insomma,
non so nemmeno come saranno le lezioni. Però potrei, perché no.» ammette,
accarezzando l’idea con la mente e sorridendo, anche se lo sguardo va verso
l’alto, verso un cielo dove non si vedono troppe stelle perché coperto e perché
le troppe luci delle strade di Tokyo impediscono di vedere oltre le
illuminazioni degli edifici più alti.
«Come sei giudizioso, Sawamura.» lo prende in giro Kazuya, ridacchiando
divertito nonostante sia colpito dal modo di pensare altrui – non stupito,
perché sembra il tipo di cosa che Eijun e nessun altro potrebbe fare: arrivare
al dunque e improvvisare. Miyuki non ha idea di come l’altro riesca a essere
così, se si tratti solamente di una questione caratteriale o di una forma
mentale acquisita con il tempo e grazie all’ambiente famigliare in cui è
cresciuto. Se così fosse, la spiegazione sarebbe più semplice da trovare: ha
visto abbastanza della famiglia di Eijun da capire come si possa essere così.
«C’è mai qualcosa che mi dici senza prendermi per il culo?» sbotta l’altro in
un borbottio, stringendosi leggermente nelle spalle, il cartello luminoso a
indicare la stazione raggiunta che li accoglie insieme alle scale dirette
sottoterra. Le scendono insieme senza che ci sia risposta da parte dell’altro,
e per quanto ne sa Eijun, questo significa che la replica è implicita: “no, non
dirò mai niente senza sfotterti in maniera più o meno palese”.
Pochi altri passi e devono dividersi, le case in due direzioni diverse.
«Ohi, Miyuki» lo richiama e non ci gira intorno, perché non sa farlo. È una
cosa stupida e lo sa, potrebbe valergli la più grande presa in giro degli
ultimi anni di vita, ma come ha detto Haruichi: gli deve una risposta, giusto?
Non più in merito alla loro relazione, non del tutto almeno, ma in fondo
chiedere non costa nulla. Beh, a parte sentirsi un po’ stupido. Ma si sente
così anche quando si ritrova a pensare di continuo a qualcosa che riguarda
Miyuki – e inutile pensarci per giorni e giorni, perché questo è uno di quei
casi in cui non riuscirebbe a entrare nella testa dell’altro nemmeno se
l’aprisse in due per sbirciarci dentro.
«…potresti non chiamarmi più “Sawamura”, sai.»
Kazuya lo guarda. Non ci vuole certo un genio per capire cosa sottintende
quella richiesta e, in verità, non ha nemmeno un vero e proprio motivo per
rifiutare. Tra i ragazzi della loro età non è nemmeno così strano, essere meno
attaccati alle formalità rispetto ai propri genitori o – ancora di più – ai
loro nonni. Direttamente o meno, loro sono accomunati da più cose di quante ne
abbiano realmente vissute insieme: lo sport, tanto per cominciare, sebbene non
siano mai stati nella stessa squadra. Lo studio, dal momento che Miyuki fino a
prova contraria è ancora lo studente più grande che gli dà ripetizioni. Ed è
quel qualcosa a cui entrambi non hanno ancora dato un vero nome, qualcosa che
per alcuni andrebbe sotto la semplice definizione di “frequentarsi”, per altri
di “stare insieme”, per altri ancora “il mio ragazzo”.
Miyuki non ha intenzione di rimangiarsi quel “proviamoci” che gli ha rivolto, e usare un nome non significa
alcuna promessa per la vita, dopotutto. È solo strano perché ha la sensazione
che per Eijun sia importante, molto più di quanto lo sarebbe per chiunque altro
al suo posto – molto più di quanto lo sia stato per chi al suo posto c’è stato
davvero, dalla senpai frequentata un tempo, a chi è stato una frequentazione
breve e passeggera, poco rilevante.
Chiamarlo per nome significherebbe rendere chiaro a chiunque che hanno un
rapporto intimo, una conoscenza profonda, perché è così che è in ogni angolo
del Giappone; Miyuki non è preoccupato da cosa la gente possa pensare, anche
perché per quanto ne sanno potrebbero essere anche niente più di due amici
d’infanzia. Anche se, e questo un po’ lo fa sorridere, Sawamura non è proprio
il tipo capace di mascherare le sue emozioni.
Allunga una mano ed è la prima volta che prende quella di Eijun nella propria,
escludendo il contatto prima del bacio-non-bacio: non
è una presa salda, anzi, somiglia più a quella di un bambino dal momento che
tiene solo due dita di Eijun. È come volerlo trattenere lì, ma non essere
sicuro di volerlo fare; come volergli comunicare in quel modo i suoi pensieri,
ma non volersi ancora sbottonare del tutto.
Le abitudini sono dure a morire. Quella stretta così vaga è come lo specchio dei
suoi sentimenti verso Eijun: forse vuole che funzioni tra loro. Forse non vuole
davvero.
«Ancora un po’.» lo pronuncia con tono basso, e non sa se è per un vago senso
di colpa che non credeva di poter provare ancora in un contesto simile, o
perché semplicemente non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire.
Non aggiunge altro, ma Eijun sembra capire la richiesta implicita: “aspetta”.
Gennaio si rivela un vero inferno: gli esami di ammissione per l’università
incombono, ed è un susseguirsi di gruppi di studio e agitazione. Miyuki si
ritrova ancora più spesso a casa Sawamura, ma non c’è altro che studio e
qualche pausa per evitare che il cervello di Eijun esploda a causa di troppe
informazioni. In quei momenti parlano soprattutto della preparazione al torneo
scolastico che stanno portando avanti, delle condizioni fisiche dei giocatori,
di come Eijun avrebbe tutto il diritto di allontanarsi dalla squadra visto che
è del terzo anno e in piena preparazione esami, il periodo più importante nella
vita di un liceale.
Sawamura, come c’è da aspettarsi, trova la proposta ridicola e Miyuki non fatica
a immaginarselo in mezzo a compagni d’anno e insegnanti che gli consigliano
vivamente di preoccuparsi della sua media e lui che sbraita di responsabilità
da senpai e cose simili. Quando la verità, poi, è solo che Sawamura è proprio
quel tipo di persona: gioca finché ha la forza di muoversi, urla finché ha
fiato in gola, non si arrende e basta – Miyuki sa che non si applica solo al
baseball, quell’insieme di qualità che ormai gli accosta con naturalezza.
Eijun gli racconta di come anche Haruichi e Kanemaru, del suo anno e rispettivamente
il capitano e il vicecapitano della squadra, non abbiano pensato neanche per un
attimo di ritirarsi nonostante siano in pieno studio anche loro; ha ovviamente
accennato a Furuya che continua ad allenarsi e lui – Eijun – non si può certo permettere
di essere da meno. Poi è il turno dei piccoli aneddoti, come Okumura che sembra
scatenare in Eijun un istinto materno in qualche modo perché “voi ricevitori siete bestie strane, che problemi
avete?!”. A Kazuya non dispiace ascoltarlo, perché è innamorato del
baseball quanto lo è Sawamura, in fondo.
Così gennaio arriva alla sua metà, portando con sé gli esami veri e propri,
quelli che non sono una simulazione da tentare all’infinito migliorando di
volta in volta; Eijun è un fascio di nervi che si scioglie solo quando sono
fuori dall’aula, lungo il corridoio e infine sul tetto dove non importa che
faccia anche troppo freddo, lui spalanca le braccia e inspira a pieni polmoni e
gli sembra che tutta la forza vitale lo abbandoni.
È Haruichi a dargli modo di pensare ad altro mentre camminano verso la stazione
in un raro giorno libero da allenamenti, visto l’esame sostenuto – anche se
Haruichi ha pochi dubbi in merito al fatto che Eijun troverà comunque il modo
di fare qualche lancio entro sera, nonostante la stanchezza e qualsiasi
imprevisto nel resto della giornata: «Eijun sei occupato nel week-end la
prossima settimana?» gli chiede mentre la banchina dove aspettano entrambi il
treno si mostra, molto meno affollata del solito.
Sawamura scuote la testa, lo sguardo che tradisce una punta di curiosità che
Kominato non manca di soddisfare: «Il figlio di un amico di famiglia partecipa
a una competizione musicale. Abbiamo ricevuto biglietti per tutta la famiglia,
ma mio padre non può esserci a causa del lavoro: ti va di venire?»
Eijun ha accettato, perché non aveva nulla da perdere e perché un po’
lo incuriosisce, un mondo così diverso dal suo; non potrà apprezzarlo come un
vero intenditore ma, si dice mentre si sistema meglio sulla poltroncina, non
farà certo un torto a qualcuno. Lui si trova tra Haruichi e sua madre, Ryousuke
che siede dall’altro lato del fratello: la signora Kominato tra un musicista e
l’altro ogni tanto gli sussurra qualche suggerimento – è appassionata di musica
classica e ha suonato uno strumento ai tempi del liceo, gli ha accennato mentre
arrivavano all’auditorium che li ospita, perciò è l’unica ad aver seguito molti
concorsi come quello. Molti ragazzi, gli ha spiegato, li ha visti gareggiare
esibendosi altre volte, e sebbene non li ricordi tutti alcuni non possono che
rimanere impressi. Eijun crede di capire, perché alcuni sono così bravi che
persino un profano come lui riesce a rendersene conto mentre li ascolta.
Il turno dell’amico dei Kominato è ancora lontano, ma lui sente la madre di
Haruichi tendersi di fianco a lui e quando la guarda sembra molto più giovane e
piena di sincera aspettativa; Haruichi posa una mano sulla spalla dell’amico e
gli sorride come a suggerirgli di non badarci troppo, che è sempre così: «Il
prossimo a esibirsi è Narumiya-kun. Mamma è una sua fan.»
Lo sguardo di Eijun va al palco, di nuovo, proprio mentre Narumiya avanza verso
il pianoforte; il primo pensiero è che possa avere origini straniere, perché è
così strano vedere qualcuno con capelli così biondi e occhi tanto chiari, in
Giappone. Ha una zazzera disordinata che stona con il completo elegante indossato
in maniera impeccabile, ma la cosa che Eijun nota davvero è lo sguardo:
Narumiya sembra totalmente diverso dai concorrenti che lo hanno preceduto,
perché ha nell’espressione qualcosa che Eijun ha imparato a riconoscere sul
campo di baseball, negli avversari più validi incontrati in tre anni. Narumiya
non ha paura, non teme il giudizio dei presenti ma soprattutto non teme il
fallimento: ha nelle movenze e negli occhi la sicurezza dei propri mezzi, e
quando siede e guarda il pianoforte, lo fa come se rivedesse un vecchio amico
anziché lo strumento che può segnare un successo tanto quanto un insuccesso.
Si siede allo sgabello e le punte delle dita sfiorando i tasti bianchi,
carezzandoli in un saluto, quasi; Eijun non ha idea di quale brano suonerà – ha
provato a leggere il programma all’inizio, per ingannare l’attesa, ma non
intendendosi di musica classica è stato come non farlo.
Quando Narumiya comincia a suonare, Sawamura si ritrova a sobbalzare sulla sua
poltroncina: un inizio veloce, quasi violento, che lui non si aspettava. Le
mani del pianista si muovono a una velocità che lui non credeva nemmeno fosse
possibile raggiungere. C’è una forza strana nel modo in cui tocca i tasti – è
forte la musica, forte lo sguardo di Narumiya sui tasti bianchi e neri, ma al
tempo stesso gli sembra che le mani non si posino mai con violenza sullo
strumento, tutt’altro. Un controsenso di cui Eijun non riesce a capacitarsi,
mentre gli occhi rimangono incollati a quelle mani che scorrono alternandosi
tra bianco e nero senza sostarvi mai abbastanza, e a un cambio veloce che non
si aspetta e che quasi somiglia a una brusca inversione di marcia in macchina,
Eijun sente qualcosa stringergli lo stomaco: gli occhi di Narumiya sembrano
pieni di quella che lui non saprebbe definire in altro modo se non con
“ossessione”. Un bisogno fisico di
suonare sembra possedere il pianista che si esibisce a neanche dieci metri da
lui.
Sente per puro caso la madre di Haruichi muoversi di fianco a lui, ma non ha la
forza di spostare lo sguardo dal musicista: sul suo viso si è fatto strada un
sorriso ferino, e all’improvviso Narumiya è più di un pianista ossessionato
dall’idea di arrivare alla fine di quel brano, è un predatore che sta mettendo
alle strette una preda inerme instillandole nella mente niente meno del puro
terrore.
C’è un momento di falsa delicatezza, che dura troppo poco per lasciarsi
ingannare davvero ma abbastanza a lungo da far sperare per poi inghiottire quel
solo istante di debolezza; ripartono veloci, le mani di Narumiya e Eijun sente
al tempo stesso di non poter allontanare gli occhi da lui e l’istinto di voler
andare via da quella stanza, lontano dalla musica che gli riempie le orecchie e
gli fa quasi girare la testa.
E allora, quando sembra che il brano sia concluso, Eijun comprende esattamente
ciò che Narumiya sta gridando con tutto il corpo: guardami, guardami, guardami.
Lui lo guarda, perché non c’è altro che possa fare – e quando il brano finisce
e il silenzio ingloba un’intera sala di respiri trattenuti e stupore malcelato,
si sente stordito e spaesato. Lo richiama all’attenzione la mano della mamma di
Haruichi sulla propria spalla, gli applausi che sembrano esplodere all’improvviso e il palco improvvisamente
troppo vuoto nonostante il musicista seguente stia già prendendo posto al
pianoforte.
Kuramochi non sa bene quando sia diventata un’abitudine avere, come punto
d’incontro, il posto in cui lavora: passa già abbastanza tempo in quel
ristorante con i propri turni, ma in un modo o nell’altro finisce per
ritrovarsi lì anche come cliente – come ora, con Eijun che gli siede di fronte
e controlla il menù con gli occhi che brillano, neanche avesse davvero bisogno
di curiosare tra pietanze che conosce quasi a memoria. Il suo turno è finito
esattamente mezz’ora fa, ma Sawamura si era già presentato lì e Kuramochi non
sa di cosa voglia parlargli, tuttavia sarebbe stato inutile spostarsi in un
altro locale. Senza contare che ha fame, e i racconti di Eijun non sono mai
concisi; specie quando ha nello sguardo quel qualcosa che di solito Youichi gli
vede dopo una partita di baseball, ossia così tanta adrenalina a scorrergli in
corpo da non stupirsi se l’altro passa in bianco quasi tutta la notte.
Considerando che non aveva partite, non è sicuro di voler sapere la causa di
tanta esagitazione, ma si sforza di domandare comunque perché una cosa meno
sopportabile di Sawamura in piena fase di esaltazione è la suddetta fase senza
che gli venga data una valvola di sfogo.
«Allora?» lo esorta, occhieggiandolo: «Cos’è successo?» non ci gira intorno,
anche se teme fortemente di sentire l’altro iniziare un racconto fin troppo
dettagliato su un qualche appuntamento con Miyuki; poco male, si dice, almeno
avrà un motivo per sfottere Kazuya.
Eijun si sofferma ancora per qualche istante sulle pagine del menù, dopodiché
lo richiude soddisfatto e la sua attenzione è tutta per l’altro, un sorriso
ampio a incurvargli le labbra e illuminargli il viso. La cosa di cui Kuramochi
non si è mai dovuto preoccupare è leggere l’umore o le espressioni altrui:
Eijun è sempre stato così trasparente, fin dal loro primo incontro, che non ce
n’è davvero mai stato il bisogno.
«Youichi-san!» esclama con il tono troppo alto, come
sempre, ma al quale sono davvero in pochi a girarsi a guardarli – l’orario non
è quello di punta, per il ristorante, mentre tra i dipendenti ormai tutti
conoscono Sawamura al punto da sapere che spesso sembra incapace di tenere il
tono di voce alto nella norma e non come se ti chiamasse da due isolati più in
là. Kuramochi storce appena il naso, visto che a dividerli non ci sono due
isolati ma un tavolo, e lo guarda senza dire nulla: «Conosci Narumiya Mei?»
chiede l’altro pieno di entusiasmo e questo, questo è inaspettato e lo fa irrigidire; per sua fortuna a volte
Eijun non è esattamente ricettivo come persona.
«Narumiya?» domanda con cautela, perché non riesce a pensare a un solo contesto
in cui Eijun possa fargli quella domanda sembrando piuttosto soddisfatto della
sua scoperta anziché irritato, o deluso, o qualcos’altro sul genere. Lo vede
annuire, ma deve aspettare che il suo collega prenda le loro ordinazioni e
torni verso la cucina, per avere una risposta concreta: «Harucchi mi ha
invitato ad andare con lui, sua madre e suo fratello a vedere una specie di
competizione di musica. Narumiya ha suonato il piano lì!» comincia con il suo
racconto – nemmeno così lungo in verità, fatto di un’esagitazione tipica di un
vero fan sfegatato e poco altro, perché a conti fatti non c’è altro che Eijun
sappia davvero di Mei. E quando lo apprende, Kuramochi sente di lasciarsi
sfuggire tra le labbra un mezzo sospiro sollevato perché davvero, non vuole
entrare in una questione tanto spinosa per la seconda volta. Gli è bastata
quella in cui è finito per forza di cose: l’essere l’unico amico di Miyuki.
Non parlano di altro per tutta la sera, se non di quanto forte sia stato
ascoltare Narumiya dal vivo, della sua bravura che persino Eijun ha potuto
capire anche senza essere un esperto, del modo in cui è salito sul palco, della
sua musica; Kuramochi si ritrova a fingere di dover immaginare qualcuno che,
tutto sommato, ricorda piuttosto bene anche senza averci mai avuto molto a che
fare, non direttamente. Eijun parla di Narumiya come di qualcuno di distante,
in un mondo a parte – e non sbaglia di molto, almeno per quel che riguarda le
discipline in cui mettono tutto ciò che hanno; per il resto Sawamura non
sospetta nemmeno di aver incontrato la persona più simile a lui che potesse
capitargli davanti, simile per tanti, troppi motivi.
Youichi non glielo dice: non gli consiglia di chiedere a Miyuki, non gli fa
presente di sapere perfettamente di chi stia parlando, non gli suggerisce di
tenersene alla larga per quanto sia difficile che possano avere un incontro
ravvicinato di qualche tipo. Lo lascia straparlare, lo riprende e insinua prese
in giro di poca importanza come farebbe in qualsiasi altro momento – ed è
contento, Kuramochi, di essere poco avvezzo alle bugie ma che Eijun sia ancor
meno portato a riconoscerle.
Quando lo lascia entrare in casa quasi tre ore più tardi, e lui rientra nella
propria abitazione, non ha davvero la forza di chiamare l’unica altra persona
che potrebbe tenerlo al telefono per più di mezz’ora a parlare di quella stessa
persona. Così l’unica cosa che fa è scrivergli, lanciandogli maledizioni per
averlo costretto a una serata di bugie e lo minaccia di non azzardarsi nemmeno
a chiamarlo fino al giorno dopo; solo dopo quella manciata di caratteri,
aggiunge l’unica cosa che può far capire a Miyuki che la sua non è una mail
piena di soli insulti.
«Ogni volta che ti vedo in cucina temo sempre la fine del mondo.»
commenta Kuramochi, rimanendo a quella distanza definibile solo come “di
sicurezza”, lì poggiato allo stipite della porta che collega il corridoio alla
cucina di casa Kominato. Miyuki non si degna neanche di rispondergli, se non
con un ghigno leggero, muovendo agilmente il polso e di conseguenza la padella
che tiene tra le mani, facendone saltare il contenuto senza far cadere nulla;
poggia di nuovo il tutto sul fornello e ne abbassa leggermente la fiamma. Solo
allora si volta in sua direzione, il ghigno ancora presente a incurvargli le
labbra: «Kuramochi-kun non essere timido, se vuoi
fare da assaggiatore sono pronto a imboccarti.» ironizza, come se non fosse
inquietato all’idea quanto l’ex compagno di scuola – con la differenza che
Kuramochi lo mostra apertamente assumendo un’espressione quasi schifata e
borbottando qualcosa che si perde in corridoio. Il suo posto è preso da
Ryousuke e dal suo apparire sulla porta, per poi muoversi in cucina con
familiarità; Miyuki sposta lo sguardo sull’orologio posato sul tavolo e che ha
tolto per cucinare: dieci minuti e i tre festeggiati per cui è stato
schiavizzato da tre ore a quel momento dovrebbero arrivare. Non avrebbe molta
fiducia nella loro puntualità, se non sapesse che tra loro c’è Haruichi.
«Grazie dell’aiuto.» pronuncia Ryousuke con un mezzo sorriso – Miyuki non si
esprime, il suo collega sicuramente è contento che la festa per l’ammissione
all’università del suo amato fratellino sia riuscita senza intoppi finora, ma
non è che a Kazuya sia stata lasciata molta scelta. Ha imparato a sue spese
che, se è possibile evitarlo, non si dice di no a Kominato; non sa bene come
faccia, ma l’altro ha sempre qualcosa di tuo che non vorresti mai fosse svelato
al mondo e, ancor peggio, non si fa scrupoli a usare le informazioni di cui dispone.
Miyuki è abbastanza sicuro di non avergli concesso armi da quando si conoscono,
ma non si sente pronto a rischiare quando tutto sommato si è soltanto dovuto
chiudere in cucina per tre ore.
Poteva andare molto, ma molto peggio.
«Quindi quei tre andranno alla stessa università, mh?»
soppesa quasi distrattamente, mentre spegne il fornello e allontana la padella,
girandone un poco il contenuto con un cucchiaio di legno. Ryousuke, intento a
tirare fuori i piatti puliti dalla credenza, annuisce senza aggiungere nulla in
un primo momento: «Haruichi mi diceva di non essere sicuro dell’università che
avrebbe scelto Furuya. Pare che alcuni scout gli avessero proposto delle
alternative valide alla Waseda.»
«Ma non ha accettato.»
«Così pare. Il che è degno di lui: molto stupido.» commenta Ryousuke «Specie
considerando come in questo modo sia lui che Sawamura si ritroveranno di nuovo
nella stessa squadra, esattamente come al liceo, e faranno il doppio della
fatica.»
«Magari è quello che li ha convinti entrambi.» osserva Miyuki, il contenuto
della padella ormai nel piatto da portata. Incrocia lo sguardo di Kominato e il
suo sorriso la dice già lunga: «Io lo farei.»
«Tu hai una personalità discutibile, non conti.» taglia corto Ryousuke, l’aria
divertita mentre sparisce oltre la porta della cucina. Miyuki non ha dubbi:
Kuramochi e Kominato si frequentano troppo.
«Congratulazioni per il miracolo, Eijun, ora puoi dirci quanto hai
pagato per farti promuovere!» è il personale augurio che Kuramochi strilla per
sovrastare il rumore dei coriandoli che scoppiettano nel salotto di casa
Kominato, subito dopo l’ingresso dei tre liceali. La sua risata contagia tutti
gli altri, per quanto si limitino a niente più che sorrisi – a parte Eijun, lui
sta già sbraitando in merito alla fatica che ha fatto e a quanto abbia studiato
impegnandosi al massimo delle sue possibilità. Miyuki decide che va bene così,
non vuole fare da paciere, anche perché non ce ne è reale bisogno; si rivolge
più ad Haruichi: «Ryou-san mi ha detto che hai scelto Scienze della formazione:
di sicuro hai già due mocciosi con cui fare pratica.» fa notare ridacchiando,
riferendosi palesemente a Eijun e Furuya. Haruichi si lascia scappare uno
sbuffo divertito e non smentisce, troppo cortese per dargli apertamente ragione
ma incapace di mentire sostenendo che non sarà così, com’è sempre stato anche
al liceo: «In fondo è rassicurante sapere che certe cose non cambieranno.» dice
soltanto, con un sorriso affettuoso e lo sguardo che si sposta sui due
compagni. Furuya sembra particolarmente preso dalle pietanze sul tavolo, mentre
Eijun si volta proprio in loro direzione e gonfia appena le guance in quello
che è un broncio a tutti gli effetti: «…stai dicendo
qualcosa di antipatico come al solito, vero?» accusa Miyuki. Kazuya si sposta,
fingendo di nascondersi dietro Haruichi – inutile vista la differenza di altezza
tra loro, ma è palese lui sia tutt’altro che spaventato: al massimo è chiaro il
divertimento nello sguardo e nell’espressione: «Coda di paglia, Sawamura?»
Non c’è risposta, dal momento che Kuramochi lo recupera per la collottola e se
lo trascina via in una presa più simile a una mossa di lotta libera che a un
gesto da cameratismo maschile; è grazie a lui se riescono a sistemarsi intorno
al tavolo imbandito e se non impiegano molto a far calare nella stanza il
silenzio tipico di chi sta mangiando con gusto e non ha tempo per le
chiacchiere.
Ci pensano i tre più giovani a interrompere presto quel momento di stallo –
Eijun straparla anche a bocca piena in alcuni casi, ogni tanto tossisce e Haruichi
gli dà qualche pacca sulla schiena. Furuya dice poche parole rispetto agli
altri due, ma si fa sentire: è così evidente il sollievo di essere stato
ammesso alla facoltà di Biologia che nemmeno lui riesce a nasconderlo, pur
essendo quello meno espressivo degli altri e caratterialmente più riservato. Non
è una festa con particolari avvenimenti, finisce con il somigliare più che
altro a una serata come tutte le altre, a parte la quantità di cibo maggiore
del normale; i genitori di Haruichi e Ryousuke si presentano che Miyuki ha già
occupato la cucina per lavare i piatti mentre Eijun e Furuya fanno avanti e
indietro dal salotto per portare quel che c’è da pulire o da rimettere a posto
in frigo, Kuramochi intento ad aiutare in soggiorno a sistemare i coriandoli
lasciati sul pavimento fino a ora.
Miyuki li sente chiacchierare da dove si trova, davanti al lavabo e con addosso
un grembiule che di sicuro appartiene alla padrona di casa, vista la fantasia
floreale; Eijun quasi gli scoppia a ridere in faccia quando Kazuya si volta
verso di lui, e per punizione si ritrova schizzato d’acqua e obbligato a dare
una mano asciugando i piatti – «Lo faccio per non lasciare cose in giro alla
mamma di Harucchi, non per te!» è quel che sente di dover rimarcare perché
nessuno (Miyuki) si faccia un’idea sbagliata.
Haruichi si affaccia poco dopo, richiamando l’attenzione di Eijun: «Eijun»
pronuncia e Miyuki se ne sorprende un po’, ma solo perché fino a ora lo ha
sempre sentito usare il “-kun” dopo il nome «Satoru
si ferma a dormire, vuoi rimanere anche tu?» domanda, rimanendo in attesa
finché Eijun non scuote la testa e pronuncia un «Non preoccuparti Harucchi, ce
la faccio a prendere i mezzi in tempo per tornare a casa!»
Haruichi indugia per qualche attimo ancora e poi si limita ad annuire con un
sorriso, sparendo alla loro vista per tornare verso il salotto. Miyuki non
parla subito, le mani che passano sul piatto che sta lavando dal sapone; solo
quando lo allunga verso Eijun, rompe di nuovo il silenzio: «Sicuro di fare in
tempo? O era un raro momento di tatto?» lo prende bonariamente in giro, senza
bisogno di guardarlo per immaginarsi l’espressione accigliata che l’altro mette
su. Eijun sbuffa, ma non sbraita come suo solito: «Penso di sì.»
«Puoi fermarti da me.» dice senza preavviso, quasi fosse una loro abitudine e
non fosse in effetti la prima volta che Miyuki lo invita a stare da lui per la
notte – o da lui in generale. A Eijun quasi scappa di mano il piatto, cosa che
per fortuna non avviene. In compenso non può non voltarsi verso l’altro, con la
brutta sensazione di un rossore che va espandendosi sul proprio viso; cerca di
non badarci troppo, borbottando un: «Sei sicuro? Non devi per forza ospitarmi,
penso davvero di riuscire. Appena finiamo qui vado a salutare, e—» si blocca
lì, con gli occhi di Miyuki fissi nei propri e il suo viso come unica cosa a
rientrare nel suo campo visivo, le labbra che vengono posate all’angolo della
sua bocca, di nuovo. Lo sente spostarsi, ma quando Miyuki parla lo sfiora in
modo quasi insopportabile: «Non ti ospito per forza. Ti sto invitando perché mi
va di farlo.» mormora piano, tornando ai piatti.
Eijun borbotta qualcosa in merito all’avvertire a casa.
È strano entrare nell’appartamento di Miyuki come se fosse la prima
volta, e al tempo stesso riconoscere ciò che ha visto quando – con
un’improvvisata – si è recato lì. Si stupisce un po’ di trovarlo in ordine
esattamente come nell’altra occasione in cui vi è entrato; forse andando a
vivere da soli, come Miyuki, si acquisisce una specie di tendenza all’ordine,
non fosse altro per una questione di igiene e sopravvivenza.
Kazuya si toglie le scarpe all’ingresso e indossa le pantofole, prendendo il
paio per gli ospiti e lasciandolo a sua disposizione, entrando per primo. Eijun
indugia, anche se di poco – non ha davvero motivi seri che giustifichino il suo
rimanere impalato all’ingresso – e si muove seguendo le orme del padrone di
casa, fino a raggiungere la stanza principale dove hanno parlato la prima
volta.
Miyuki ha spostato il tavolino basso di lato, addossandolo alla parete, e ha
appena acceso la tv lasciando su un canale a caso, abbassando di qualche tacca
il volume perché il vociare di un quiz a premi riempia la stanza ma non
disturbi troppo, considerato che è quasi mezzanotte ormai. Lo vede poggiare il
telecomando sopra la tv e spostarsi verso l’armadio, facendo scorrere
lateralmente una delle ante; ne estrae poco dopo degli abiti puliti che gli
porge, ed Eijun li prende quasi senza pensarci: «Puoi usarli per dormire.
Domani ho lezione, ma sul tardi. Metto la sveglia per te, comunque.» gli
comunica, allungandogli anche una gruccia «Appendi la divisa con questa e
lasciala pure sulla porta del bagno.» aggiunge, aspettando il tempo necessario
perché l’altro la prenda per potersi voltare.
Quando Eijun esce dal bagno, libero dalla divisa e con addosso pantaloni e
maglietta sportivi leggermente lunghi per lui, Kazuya ha sistemato il futon a terra. Un futon singolo.
Eijun pensa di voler morire più di quando ha scritto a Haruichi che magari,
rimanendo al gelo, sarebbe congelato prima di vivere l’esperienza di Miyuki in
casa propria dopo una dichiarazione senza risposta.
Kazuya non gli dà tempo di fare domande, perché sparisce in bagno e non ne
riemerge prima di dieci minuti – si è cambiato a sua volta, indossando un
pigiama semplice. Lo osserva e abbozza un sorriso che Eijun non sa decifrare,
seduto dov’è di fianco al materasso: «Hai deciso di congelare dormendo per
terra?» domanda alzando le coperte e infilandosi per primo sotto, senza
coprirsi ancora ma sistemandosi su un fianco osservandolo. No, si dice Eijun,
non può scrivere un messaggio a mezzanotte passata per dire a Haruichi che
vuole morire; non di nuovo, almeno. E comunque l’amico non potrebbe farci
nulla.
«Il telecomando?»
«Tieni.» borbotta passandoglielo, senza la minima idea di cosa fare o dire, se
fingere uno svenimento magari: potrebbe funzionare. Sospira e sembra uno
sbuffo, ma si infila comunque sotto le coperte che sono sicuramente più
invitanti del pavimento: fa attenzione a non sfiorare Miyuki per quanto lo
scarso spazio gli permetta, e finisce con l’intrufolarsi con un lungo sospiro
mentre si sistema in maniera speculare all’altro. Ci sono lunghi istanti di
silenzio dopo che la televisione viene spenta e il telecomando poggiato a
terra, poco distante dal materasso dal lato di Miyuki; lo vede fissare il
soffitto e poi assumere un’aria rassegnata.
«Che c’è?»
«La luce.» fa notare e sì, non hanno effettivamente pensato a spegnerla prima
di sistemarsi sotto le coperte. Eijun si sente un po’ meno stupido, o un po’ meno
solo nella propria stupidità. Ma la sensazione di calma che lo pervade quando è
solo nel letto non dura a lungo, solo il tempo di un interruttore che viene
spento e una camminata rallentata dal buio; il fruscio delle coperte gli indica
fin troppo chiaramente come Kazuya sia di nuovo steso di fianco a lui. Dopo
qualche istante non c’è più alcun rumore a indicargli se l’altro abbia già
chiuso gli occhi per dormire o meno.
«Così tu e Furuya sarete in squadra insieme anche all’università, eh?» dà voce
Miyuki senza alcun tipo di premessa e, anche se non lo vede, Eijun non fatica a
immaginarsi un ghigno divertito sulle labbra altrui. Sbuffa sonoramente, dal
naso: «Tch, tanto che Furu—
Satoru— oh insomma» si corregge due volte, esasperato «che sia o meno in
squadra con me, lo batterò ugualmente, ecco!»
«Ci ho fatto caso anche prima, come mai all’improvviso vi chiamate per nome,
voi tre?» chiede, una nota divertita nel tono di voce. Eijun lo guarda, o
almeno guarda il buio davanti a sé conscio che il viso di Miyuki non è poi così
distante dal suo, ancora intento ad abituarsi all’oscurità per distinguere
almeno i contorni: «Abbiamo fatto una specie di… non
era proprio una scommessa, più una cosa come “se succede questo, prometto che
farò quest’altro”.» tenta di spiegare «Se avessimo passato tutti e tre l’esame
per la Waseda, saremmo passati al nome. Beh, insomma, a me non cambia molto con
Harucchi.»
«E con Furuya? Non ho ancora capito se siete due idioti rivali per la vita o
amici.» fa notare Kazuya, il tono morbido e tenuto basso, visto che nel
silenzio della stanza non c’è bisogno di alzarlo per farsi sentire.
«Non siamo due idioti!» sibila Eijun, e Kazuya decide di non dire la sua in
proposito solo perché non ci tiene che i vicini bussino per lamentarsi di
eventuali urla: «Non lo so.» ammette «Lui e Harucchi sono in classe insieme dal
primo anno, io solo dal secondo. E sul campo, beh…
però non è così male. A volte. Fuori dal campo.» bofonchia e a Miyuki scappa
una risata appena accennata e sommessa, perché Eijun sembra un ragazzino che
non vuole ammettere di voler essere amico di qualcuno per paura che suoni troppo
da imbranati. Decide che non è necessario farglielo presente, per ora.
«Non è così male come vuoi farlo sembrare, però.» mormora, sistemandosi meglio
sotto le coperte «Avere un rivale, intendo.»
«Tu non ne avevi?» chiede sorpreso, non solo dall’affermazione dell’altro, ma
anche dal braccio che gli cinge il fianco e lo tira appena verso il corpo di
Kazuya, pur senza ridurre a zero lo spazio tra loro.
«Non proprio. L’unico ricevitore che volevo davvero battere si è ritirato per
un infortunio.» spiega brevemente, ma nel suo tono di voce c’è una nota
affettuosa che Eijun crede di non avergli mai sentito usare; quell’affetto per
i ricordi di un periodo bello, nonostante i sacrifici e le sconfitte, magari. È
lo stesso modo con cui anche lui, Eijun, parla del baseball.
«Ehi» lo richiama, e Sawamura alza il viso il poco che basta a sentire la
propria fronte sfiorare quella altrui e rendersi conto di quanto la distanza
tra loro sia nuovamente troppo, troppo
poca: «Dormi.» pronuncia piano Miyuki, scostando leggermente la testa ma
stringendolo un poco di più sui fianchi «Non ho intenzione di svegliarmi presto
domani per lasciarti poltrire.» scherza su, senza aggiungere altro.
Nonostante tutto, Eijun si ritrova a scivolare nel sonno più facilmente di
quanto pensasse.
«Tieni.» pronuncia Kuramochi lanciandogli al volo la lattina di caffè presa al
distributore e che Miyuki intercetta senza troppe difficoltà con entrambe le
mani: «Ricordami perché durante le ore libere dal lavoro sono seduto qui, con
te, a vedere una partita non ufficiale del tuo presunto amico.» aggiunge dopo aver preso di nuovo posto accanto a Kazuya.
Questi lascia vagare lo sguardo ancora per qualche attimo sul campo,
l’autocensura di Kuramochi imposta dalla presenza di diversi adulti che sono
evidentemente tifosi di vecchia data della squadra della scuola. Ryousuke è in
piedi, non troppo distante da loro, e si sta rivolgendo al fratello oltre la
rete che divide il campo di baseball dall’esterno.
Miyuki vi accenna con la testa e un sorrisetto che dice tutto: «Avresti privato
Ryou-san della tua compagnia all’ultima partita di suo fratello? Davvero?»
insinua e Kuramochi fa schioccare la lingua contro il palato in un verso
stizzito – no che non lo farebbe mai, si ricorda anche troppo bene delle volte
in cui si è messo contro Kominato ai tempi del liceo. Gli ci è voluto molto poco
a capire quanto fosse poco consigliabile.
In breve Ryousuke li raggiunge e prende posto accanto a loro, Miyuki che lo
occhieggia: «Quindi questa, in pratica, è la partita di ritiro per i giocatori
del terzo anno, giusto Ryou-san?» domanda, visto che ci vorrà ancora qualche
minuto prima che inizino. Kominato annuisce e gli dà qualche informazione in
più al riguardo, senza esimersi da commenti non richiesti, come il fatto che si
siano attardati a causa degli esami e che abbiano dovuto spacciare la partita
per un allenamento – non che, a conti fatti, non lo sia – visto l’imminente
torneo a cui gli altri dovranno partecipare.
«Questa sarà anche l’ultima partita di Haruichi da capitano.» aggiunge, e
Miyuki sta per commentare quanto ammiri il più piccolo dei fratelli per aver
retto un intero anno da capitano di una squadra con Sawamura e Furuya come
lanciatori, quando è proprio il vociare di Eijun che lo distrae. Non fatica a
distinguere le parole, ci riuscirebbe anche se fossero distanti visto il tono
dell’altro. Miyuki si ritrova a inarcare un sopracciglio nel vedere Sawamura
dietro quello che è sicuramente uno studente più piccolo e qualcuno tirare per
la collottola lo stesso Eijun verso i compagni del terzo anno.
«Qual è il tuo problema?!» sente esclamare al lanciatore, i piedi puntati per
terra e la chiara intenzione di rimanere dove si trova: «È l’ultima partita,
che male c’è se gioco con Koushu?!»
«Che lui non è del terzo anno!» gli sta sbraitando contro un ragazzo che Miyuki
identifica come “Kanemaru” per il semplice fatto di aver sentito Haruichi
accennare a quanto a volte il suo vice l’abbia salvato dalla testardaggine di
Eijun o dalla pigrizia sconfinata di Furuya.
«Ma noi non abbiamo un ricevitore nel
nostro anno, bakanemaru!»
ribatte Eijun e Kuramochi sta quasi soffocando sul posto senza risparmiare i
suoi commenti sull’intelligenza dubbia di Sawamura e su come la sua squadra gli
si adatti perfettamente a quanto pare – tranne Haruichi, come specifica
l’istante dopo.
Kazuya sposta la sua attenzione sul ragazzo biondo dietro il quale si trova
ancora Eijun, lo vede tentare un paio di volte di richiamare l’attenzione e a
lui scappa un sorriso, perché è curioso di vedere che batteria formino quei
due. È in un secondo momento che gli sente alzare la voce – non troppo, il
tanto che basta a essere udibile nonostante gli schiamazzi intorno a lui: la
voce è ferma, senza inflessioni particolari, ma riesce comunque ad attirare su
di sé l’attenzione di Eijun.
Miyuki non riesce a cogliere parola per parola, complici i commenti che animano
lo spazio intorno a lui, ma anche quelli lo aiutano a capire come non sia una
scena così inusuale vedere il ricevitore più giovane riuscire a far ragionare
quello che in teoria sarebbe un senpai; alla fine, qualunque cosa questo Koushu abbia detto, sembra bastare a convincere Sawamura sebbene
con qualche borbottio e un broncio evidente.
Haruichi sospira sollevato abbozzando un sorriso in direzione di Okumura, e
Kanemaru di fianco a lui sbuffa: «Rimane comunque il fatto che non abbiamo un
ricevitore. Forse dovremmo davvero spostare uno dei due nella nostra squadra.»
suggerisce a Kominato, desideroso di non attardarsi oltre per iniziare.
Alla fine, impossibilitati a ritardare oltre e riportati all’ordine da un coach
che Kazuya non fatica a riconoscere nella sua figura di guida già solo dal poco
tempo che impiega a ripristinare una situazione di calma, una prima parte della
partita vede uno degli esterni spostato di ruolo al posto di tale Kariba, il
ricevitore coetaneo di Sawamura che non capisce con esattezza per quale motivo
non si trovi lì al momento. C’è persino un frangente in cui, senza preoccuparsi
di risultare più che udibile, Yoichi propone a Miyuki
di riprendere in mano un guantone dopo tanto tempo e proporsi come sostituto –
ma è chiaro che nessuno dei due è davvero serio: proprio perché entrambi hanno
fatto parte di un contesto sportivo simile, sanno meglio di chiunque altro
quanto importante sia per tutti i giocatori la partita di ritiro degli studenti
del terzo anno. Per quanto sia fuori ruolo il ragazzo che sta facendo del suo
meglio per rendere un minimo come ricevitore, Miyuki non pensa nemmeno per un
attimo di proporsi davvero. Per
quanto guardare Sawamura e Furuya gli faccia prudere le mani all’idea di non
essere lì a ricevere e a fare da registra di una squadra le cui qualità sono
lampanti, non fa che guardare avidamente la partita, con la testa a processare
così tante strategie contemporaneamente da farlo sorridere. Forse a livello
mentale non si smette mai di essere ricevitori.
A sorpresa, è l’inizio del quarto inning che vede Kariba arrivare in fretta e
furia, la divisa indossata e il sorriso di chi ha veramente fatto tutto per arrivare
in tempo. La differenza è palese, per quanto se messi a confronto si noti che
il ruolo di titolare deve essere quasi certamente di Okumura.
«Mi sembrava di averti raccomandato lo stretching.» è la frase che
pronuncia Miyuki mentre, una posizione analoga a quella imposta la prima volta
nella stanza di Eijun, lo aiuta ad allungare la gamba. Qualche lamento arriva,
in parte camuffato e in parte soffocato dalla risposta dell’altro: «L’ho
fatto!» rimbecca «Mi sono persino fatto aiutare, per alcuni esercizi.»
«Sarà. La tua gamba fa più fatica ad andare oltre un certo punto, però.»
osserva più serio, la mano che spinge la pianta del piede e il corpo che
accompagna tutto l’arto qualche centimetro in più verso il petto di Sawamura. Lo
sente mugolare dolorante e si ferma, visto che non c’è bisogno di farlo
soffrire.
«Come va, Eijun?» domanda Haruichi affacciandosi, Furuya a fare capolino dietro
di lui senza nemmeno doversi sporgere troppo dal momento che supera il capitano
di tutta la testa e non solo. Eijun alza la mano e il pollice, dando un segno
positivo mentre va in apnea senza quasi accorgersene.
«Respira.» lo richiama Miyuki, voltandosi poi verso i due compagni di squadra
del lanciatore «Tutto a posto, dovrebbe essere solo affaticamento. Non so quanto
pensate di allenarvi per conto vostro ora che in teoria vi siete ritirati, ma
confido sia più sensato chiedere a te di assicurarti Sawamura faccia il suo
allungamento che non al diretto interessato.» dice rivolgendosi più a Kominato
che non a Furuya, ricevendo un sorriso e un cenno affermativo della testa in
risposta.
Sawamura dal canto suo sente il bisogno di sottolineare che “può occuparsene
benissimo da solo”, ma le tre occhiate che riceve contemporaneamente dagli
altri presenti sono così eloquenti da far tacere persino lui.
«Eijun, allora siamo d’accordo per domani.» pronuncia Haruichi con un sorriso,
attendendo il cenno di Sawamura per chinare appena la testa all’indirizzo di
Miyuki e congedarsi seguito da Furuya. Quando i due non sono più in vista,
Kazuya torna con lo sguardo su Eijun, allentando la presa sulla sua gamba e
lasciandolo finalmente libero, a eccezione dell’accompagnare lentamente l’arto
in una posizione di riposo.
C’è un silenzio prolungato che aleggia tra loro, e a Sawamura fa strano e
sembra normale al tempo stesso; ci sono volte in cui con Miyuki è così, e non è
mai troppo un peso, eppure l’istinto in qualche modo gli fa avvertire quel
silenzio in maniera diversa dal solito.
«È stata una bella partita.» commenta Kazuya con un mezzo sorriso, e Eijun si
gonfia di orgoglio: «Vero? Saranno una buona squadra e comunque io voglio
andare a seguire lo stesso qualche allenamento.» dà conferma di una cosa che
probabilmente tutti in squadra si aspettano senza nemmeno bisogno di chiedere
se sia o meno nelle intenzioni del lanciatore. Miyuki esaspera volutamente un
sospiro: «Non ti facevo così mamma chioccia.» lo prende in giro, sentendosi
un’occhiataccia addosso anche se non lo sta guardando, sistemando la manica del
maglione che ha addosso e che aveva tirato su per muoversi meglio durante lo
stretching di Eijun. Questi allunga un piede in un calcio dalla forza
trattenuta, ma significativo nel gesto: «Sta’ zitto.» ribatte «Abbiamo ancora
delle cose da fare agli allenamenti, tipo annunciare il nuovo capitano. Beh, lo
fa il coach però è triste se i senpai non sono presenti, no?!»
«In verità credo che gli unici a dover presenziare siano Kominato, che
l’attuale capitano, e il suo vice?» azzarda una domanda retorica, ricevendo in
risposta un broncio; sbuffa divertito, decidendo di non aspettare oltre una
risposta che tanto non arriverebbe comunque «Avete già deciso, quindi?»
«Mh, pare fossero entrambi d’accordo su Koushu, il ricevitore. Domani ci vediamo fuori dalla
scuola, Harucchi dice che sono ancora indecisi sul vicecapitano.» replica più
ben disposto, alzandosi dopo aver riallacciato la scarpa di cui si era liberato
per lasciare campo libero a Miyuki nell’allungamento.
C’è di nuovo un momento di stallo tra di loro, ma ancora una volta è Kazuya a
interromperlo, anche se quel che dice non è qualcosa che Eijun si aspettava: «Cerca
di non piangere prima della cerimonia di diploma, ora che ti sei ritirato.» lo
prende in giro, e tanto basta a Sawamura per puntare lo sguardo su di lui con
un epiteto poco cortese che gli sta già sfuggendo di bocca, quando l’aria gli
si secca tra le labbra trattenuta all’improvviso. Gli occhi chiari si
abbassano, trovando la mano di Miyuki che senza alcun preavviso ha preso la sua;
il pollice gli sta sfiorando piano il dorso della mano, e pur nella semplicità
di quel contatto Eijun avverte un’intimità che non credeva Miyuki fosse
disposto a mostrare in un luogo come quello – per quanto si siano ormai tutti
ritirati e non ci sia granché il rischio di essere visti.
«B-Beh» borbotta, con un vago tentativo di mantenere un certo contegno «non c’è
niente di male, a piangere. Mostro i miei sentimenti sinceri!» rimbrotta,
sfidandolo con lo sguardo a dargli torto, mentre la sua mano stringe un poco
quella altrui.
C’è un sorriso strano che si forma sulle labbra di Miyuki, ma Eijun riesce a
vederlo per un tempo così breve da non riuscire nemmeno a provare a decifrarlo.
Kazuya di contro, con un’ultima e leggera stretta sulla sua mano, lo lascia
andare. Pronuncia un «Sarà, ma nessuno ti prenderà
sul serio come senpai.» e lo incalza con un cenno della testa verso l’uscita a
muoversi da quello spogliatoio.
Eijun non sa dire cosa ci sia che non va, eppure la stessa sensazione avvertita
durante il primo silenzio creatosi fra loro si riaffaccia con prepotenza,
pizzicandogli la nuca e stringendogli lo stomaco.
Quella tra loro è una distanza che, a volte, non ha idea di come far diminuire
– in quei momenti si chiede persino se Miyuki glielo permetterà
mai.
«Harucchi, vedi anche tu quello che vedo io?!» è l’esclamazione di Eijun mentre
la mano ha raggiunto la manica del cappotto di Haruichi per tirarla e far sì
che l’attenzione dell’amico si sposti da Furuya a lui. C’è un primo momento di
confusione negli occhi di Kominato, almeno finché seguendo lo sguardo altrui
non riesce a focalizzare cosa abbia tanto stupito quello che a conti fatti può
definire come il proprio migliore amico. Ci sono cose che non ci si aspetta di
vedere accadere quando si va in centro città con il solo scopo di fare alcuni acquisti,
trovare un locale tranquillo in cui sedersi davanti a una buona cioccolata
calda e parlare di chi potrebbe essere il vicecapitano da affiancare al tuo
kohai. Una di queste di sicuro è incontrare Narumiya Mei in un luogo tanto
affollato, per quanto Haruichi riesca ad avere la lucidità per considerare che
se non si è appassionati di musica e non si seguono da vicino le competizioni,
probabilmente il ragazzo che non è troppo distante da loro appare come niente
più di un loro normale coetaneo. Le persone occupate in un via vai generale per
la strada che stanno attraversando, d’altra parte, non sembrano nemmeno notarlo
se non per il colore dei capelli forse, capace di attirare sguardi distratti
che non durano più di pochi secondi. Forse qualche ragazza di passaggio ha la
reazione più simile a quella di Eijun, sebbene siano mossi da motivazioni del
tutto differenti, e Haruichi non fatica a indovinarle. C’è un sorriso
accondiscendente da parte sua, mentre porta una mano sulla spalla dell’amico:
«Lo vedo, Eijun, ma—»
«Wow. Allora non sono impazzito, è Narumiya?!» esclama Eijun, e Haruichi non ha
il tempo materiale di chiedergli di abbassare la voce – per quanto non siano
soli in strada e il brusio e i rumori tipici del centro città coprano in parte
le sue parole, Haruichi sa meglio di chiunque altro quanto il tono di Sawamura
sia alto per natura, al punto che
nemmeno quando Eijun cerca di mantenere bassa la voce ci riesce sempre. Ne ha
conferma in due momenti diversi che si susseguono l’un l’altro in quella che
sembra una buffa gag comica: prima Furuya si porta metaforicamente le mani
sulle orecchie, in un gesto che negli anni ha sostituito il semplice fingere di
non sentire il suo pari ruolo quando Eijun straparla dentro e fuori il campo;
la seconda reazione arriva proprio da Narumiya e Haruichi non si sente di
dargli torto: chiunque si volterebbe alla ricerca di un viso familiare che
possa aver chiamato il proprio nome.
Quel che Kominato non si aspetta è di vedere Mei puntare dritto verso di loro,
sul volto il sorriso soddisfatto che ricorda quello alla fine della sua
esibizione – è facile riconoscere la sottile arroganza di chi è cosciente delle
proprie capacità e di essere riconosciuto per quelle. È un modo di fare lontano
da quello di Haruichi, eppure negli anni di baseball ha avuto così tanti esempi
di caratteri simili a quello che sembra avere Narumiya, da non riuscire a
sentirsi a disagio di fronte a qualcosa di sconosciuto che in fondo tale non è.
«Ah!» esclama quello quando è di fronte a loro tre «Acquisti per il baseball,
eh?» gli si rivolge ed è surreale perché lo fa come se si conoscessero da tempo
e si fossero incontrati per strada casualmente, ma con il piacere di
ritrovarsi. Pur nella sorpresa Haruichi si prende qualche momento in più per
elaborare la cosa, ed è mentre Narumiya è preso verbalmente d’assalto da Eijun
e la sua sorpresa genuina per l’incontro e l’approccio inaspettato, che coglie
una sfumatura sottile ma al tempo stesso quasi pressante. Il modo in cui
Narumiya gli parla è amichevole, ma è distante nella sua familiarità; c’è la
consapevolezza, in lui, di parlare con qualcuno che lo conosce sicuramente per
le sue capacità e questo forse gli impedisce di essere scortese e al tempo
stesso di suonare autentico. Haruichi non azzarda a definirlo falso
nell’accezione più negativa del termine, eppure per assurdo gli risulta più
criptico di come si direbbe a una prima occhiata. O forse lui sta solo pensando
troppo.
«Noi – io e Harucchi, Harucchi è lui – abbiamo visto la tua esibizione l’altro
giorno? È stata, wow, insomma io non capisco molto di musica ma è stato un po’
come un ace? Del baseball dico.» è quanto sta pronunciando Eijun in quel
momento, e i complimenti così sinceri rilassano lo stesso Haruichi, mentre un
cenno della testa viene educatamente rivolto a Mei che sposta lo sguardo su di
lui quando Eijun vi accenna.
«Certo che lo so.» replica come se fosse del tutto fuori questione non
conoscere il termine «Ho seguito il baseball per un pezzo, durante gli anni del
liceo.» ammette come se fosse un vanto, e a quel punto Haruichi decide
arbitrariamente che quel modo di fare deve essere proprio insito nella
personalità dell’altro.
«Se non ricordo male i dati sul depliant della tua esibizione, Narumiya-san,
hai solo un anno più di noi, giusto?» azzarda quindi, adocchiando Furuya nel
momento in cui sente la suoneria del suo cellulare e lo vede allontanarsi con
un cenno veloce per avvisarli della chiamata in corso. Gli occhi azzurri di Mei
lasciano trasparire un lampo di quella che sembra noia – e che forse è solo una
sorta di vago risentimento per il poco interesse di Satoru, così diverso da
quello di Eijun – e torna poi su Sawamura, anche se non visto, quando questi si
rivolge a Kominato. Ha un’espressione incredula mentre pronuncia un «Sul serio?!»
che fa scuotere la testa con bonaria rassegnazione ad Haruichi.
«Direi di sì, ho visto lo stesso anno di nascita di Miyuki-san e
Kuramochi-san.» assicura.
Ci sono cose che non ci si aspetta possano accadere, e una di queste è il tono
di voce con cui Narumiya si intromette nel loro scambio, l’espressione un misto
di incredulità e qualcosa che Haruichi non riconosce.
«Miyuki? Kazuya?»
In un primo momento appare come una coincidenza forzata, quella che ha
portato Mei a identificare nel cognome di Miyuki proprio Kazuya; ripensandoci
mentre il treno li ha portati di nuovo verso casa, però, quante possibilità ci
sono che un Miyuki e un Kuramochi oltre quelli conosciuti da loro abbiano un
rapporto di qualche tipo e abbiano rapporti con Narumiya? È la spiegazione che
si è dato Haruichi, pronunciandola con una vaga incertezza, ma Eijun continua a
essere confuso di fronte a quella possibilità. Tutta la sua perplessità non si
deve alla mancanza di accenni da parte di Miyuki, quanto più – per assurdo che
suoni anche a lui stesso in un certo senso – all’atteggiamento di Kuramochi: se
Narumiya conosce lui, o sa almeno di chi si tratti tanto da collegarlo a Miyuki
Kazuya, perché Youichi non gli ha detto nulla quando non ha fatto altro che
parlare per ore dell’esibizione del pianista a cui aveva assistito?
Eijun è al corrente della buona memoria di Kuramochi, di quale buon osservatore
sia e, sebbene il suo istinto in questo momento non gli comunichi altro se non
un vago senso negativo, non riesce a scacciare la sensazione che ci sia un
motivo se Kuramochi non ha detto nulla, un motivo su cui non dovrebbe indagare.
Per questo lo sguardo non cerca subito il volto di Miyuki quando questi gli
apre la porta del proprio appartamento, non senza una sfumatura di sorpresa
nello sguardo. A Eijun basta instaurare un contatto visivo per vedere qualcosa
negli occhi di Miyuki cambiare – lo vede
capire che qualcosa non va, che la sua non è una casuale visita di cortesia né
un’improvvisata sorpresa per passare del tempo insieme.
Kazuya si scosta di lato, invitandolo a entrare perché fuori fa freddo; alle
orecchie di Eijun quella considerazione arriva quasi ovattata, lontana: il suo
cervello sta viaggiando troppo velocemente e lui sa di non essere mai stato una
persona “di pensiero”, per così dire. Lui ha bisogno di vedere, di sentire, di provare per capire davvero perciò
tentare di portarsi sullo stesso livello di Miyuki, i cui pensieri viaggiano
così veloci che probabilmente nemmeno lui riesce a stargli dietro, lo sfianca.
Riprende più o meno coscienza di sé quando sente le mani calde di Miyuki
stringere le sue e vede la sua espressione mutare in un leggero fastidio,
quello tipico del rimprovero: «Hai le mani congelate.» osserva con poca
attenzione, perché non deve certo dirglielo per far sì che Eijun ne sia
cosciente. Ha nelle dita quella spiacevole sensazione di rigidità che, abituato
a fin troppo sport forse, di norma gli è quasi estranea. Si imbroncia, sebbene
non ritragga le mani da quelle del più grande: «Lo so, ma ho dimenticato i
guanti.» borbotta, ricevendo in risposta un sospiro leggero e un incurvarsi di
labbra rassegnato, mentre l’altro lo tira appena in un invito a entrare del
tutto abbandonando l’ingresso. Eijun si libera delle scarpe alla meno peggio,
senza interrompere il contatto piacevole con la pelle calda di Miyuki, ed entra
del tutto nell’appartamento. Una delle mani scivola via dalla presa altrui, ma
l’altra vi rimane e anche se le loro dita non si intrecciano e il tragitto fino
alla stanza con il tavolino basso a cui si sono seduti già una volta è breve,
Eijun si sente più tranquillo.
Si lasciano andare quasi di comune accordo quando prendono posto a due lati
diversi del kotatsu: sono le sei del
pomeriggio ma fuori sembra molto più tardi e il freddo fa sembrare a Eijun che
quello sia il posto migliore di tutti. Miyuki ha recuperato il telecomando
abbassando il volume della piccola tv così tanto che si avverte solo un ronzio
senza senso in sottofondo. Ora che ha le gambe al caldo sotto il kotatsu, quel rumore vago sarebbe quasi
soporifero se solo decidesse di sdraiarsi o di poggiare la testa sul tavolo. Se
fosse più tardi e si fosse presentato più a ridosso dell’ora di cena, pensa
Eijun, si ritroverebbe a osservare Miyuki muoversi ai fornelli nell’angolo
cottura a disposizione in quell’appartamento, e sarebbe una cosa così familiare
e calda che di sicuro si addormenterebbe così, quasi fosse la parte più
naturale della sua quotidianità con Kazuya.
Ma, ricorda a se stesso, non è lì per farsi preparare da mangiare dall’altro.
«Miyuki» ne richiama l’attenzione quando lui sta per alzarsi di nuovo, forse
con l’intento di preparare qualcosa di caldo da bere dimostrandosi un buon
padrone di casa; si ferma con la mano sul tavolo senza usarla ancora come perno
per alzarsi, una posizione di innaturale immobilità mentre lo guarda e cerca di
anticipare ciò che Sawamura sta per pronunciare: «conosci Narumiya Mei?»
A Eijun non serve davvero una risposta: non ha mai visto Miyuki assumere
un’espressione come quella che gli si forma in viso nel momento esatto in cui
lui pronuncia quelle parole. C’è un misto di sorpresa e incredulità nello
sguardo altrui, ma ciò che colpisce Eijun come un pugno in pieno stomaco è il
riuscire a leggergli negli occhi quanto Kazuya vorrebbe essere in qualunque
posto tranne che lì, a parlare di tutto tranne quello e con chiunque tranne lui.
Miyuki non dice nulla all’inizio: si alza, gli dà le spalle e si muove con una
calma fuori luogo verso il lavello, andando a riempire il bollitore con l’acqua
per poi sistemarlo sul fornello e accendere quest’ultimo. Eijun lo vede aprire
lo sportello della credenza per recuperare due tazze e i filtri per il tè, e la
cosa più strana è proprio che Miyuki non gli abbia nemmeno chiesto se ne vuole,
se ha senso prepararne anche per lui, se non preferirebbe altro da bere. Eijun
è lontano dal poter affermare di riuscire a capire Miyuki prima ancora che
questi parli, anzi, ma la tensione nelle spalle del più grande è così evidente
da rendere – per una volta – i suoi sentimenti trasparenti come altrimenti non
sarebbero mai.
Stringe i pugni, non sapendo se provare a incalzarlo nuovamente ripetendo la
domanda o se lasciargli il tempo che serve; Eijun non è mai stato una persona
paziente, e con Miyuki non è certo portato a diventarlo tutto a un tratto, ma
il problema è che quel ragazzo per lui è ancora incomprensibile quasi come lo
era il primo giorno e questo lo spaventa. Forse chi li conosce attribuirebbe a
lui – Sawamura – quell’accostamento ma per Eijun Kazuya è come una bomba a
orologeria: l’attimo prima una calma piatta fa sembrare sia tutto a posto, e
quello dopo c’è solo un forte rumore, un’esplosione che non ti dà neanche il
tempo di capire cosa stia succedendo, e poi il caos completo. Miyuki è con lui
ora, sta riuscendo a mantenere equilibrata la situazione fra loro per adesso,
ma cosa gli assicura che tra qualche istante non lo starà mandando via?
Lo vede voltarsi e spostarsi di lato, in modo da potersi poggiare contro il
piano da lavoro dell’angolo cotturae guardarlo. Kazuya sospira piano, tirando fuori l’aria lentamente e le
spalle si rilassano un poco. Quando parla non gli chiede come lo sappia o come
gli sia venuto in mente di domandarglielo.
«Sì,» gli risponde «siamo stati insieme.»
È strano come la sensazione di uno stomaco chiuso sparisca senza che il motivo
sia il provare sollievo di fronte a una rassicurazione di qualche tipo. Eijun
si sente stordito perché tante, troppe domande si affollano in un ronzio senza
senso nella sua testa e quasi gli scatenano un moto di nausea. Non è la presa
di coscienza di Miyuki che prima di lui ha avuto altre storie, perché lo sapeva
già, Miyuki stesso aveva accennato a qualcosa del genere – e in ogni caso è del
tutto normale sia così. Non è nemmeno una questione di accostare alla figura
finora vaga di una persona al fianco di Kazuya il viso di Narumiya, quanto la
pressante consapevolezza di come l’altro non lo avrebbe mai accennato se lui
non lo avesse chiesto, se il caso non gli avesse fatto cogliere quel qualcosa
tra i due a cui non era riuscito a dare un nome fino a quel momento.
«…Oh.» si sente pronunciare quell’unica sillaba per
la quale impreca contro se stesso, conscio di quanto suoni stupida; sta davvero
cercando la domanda giusta da fare, ma l’altro lo ferma. Anche quello è un
aspetto strano di Miyuki: le persone sulla difensiva spesso diventano
aggressive, brusche. In lui invece c’è il gelo di chi chiude chiunque altro
fuori. Eijun sente quasi l’istinto di fuggire – una cosa che non gli appartiene
– quando si ritrova a formulare nella propria mente come essere allontanato da
una persona come Kazuya significhi esserlo in maniera definitiva, senza
compromessi, senza chiarimenti.
Apre la bocca per parlare, ma lo sguardo altrui lo inchioda lì dove si trova,
tanto nel fisico quanto nella mente; Eijun capisce che la conversazione non
andrà da nessuna parte quando gli sente pronunciare un impersonale «Non ci
siamo lasciati in buoni rapporti.»
«Ma—»
«E non ho intenzione di parlarne.» chiarisce ulteriormente Miyuki, incrociando
le braccia al petto. Eijun si chiede se una persona possa chiudersi al mondo
più di come stia facendo l’altro in quel momento. Sa di non essere una persona
con una grande sensibilità, o di averla ma di non possedere il tatto adatto ad
affrontare alcuni discorsi o certe situazioni, eppure Eijun non lo capisce; è
troppo abituato a come la sua famiglia affronta le cose, forse, al modo in cui
suo nonno strilli anche quando non serve o a quello bonario in cui sua madre li
rimprovera come se fossero tutti e tre figli suoi, ma Eijun non ha mai pensato
di risolvere un problema – uno serio
– senza la propria famiglia. Miyuki invece è il suo esatto opposto, e per
quanto persino lui capisca come la cosa non sia colpa dell’altro e non si possa
risolvere quando l’ambiente in cui sono cresciuti non potrebbe essere più
diverso, si chiede come possa resistere da solo e soprattutto come si impari a
guardare negli occhi chi ti è affezionato abbastanza da preoccuparsi per te e
lasciar trasparire in quel modo quanto non si abbia intenzione di lasciarlo
avvicinare. È come se Miyuki vedesse in chi gli sta di fronte, lui compreso,
una minaccia prima di qualsiasi altra cosa.
Forse è per quello che con Narumiya le cose non sono andate bene.
«È una storia vecchia, in ogni caso.»
«Puoi almeno risparmiarmi la stronzata, Miyuki?»
Lui è il primo a non aspettarselo, e lo sguardo confuso che alza sul ragazzo di
fronte a lui forse è una prova anche troppo diretta di come le parole non siano
state pronunciate dopo un pensiero articolato e diverse considerazioni
razionali; ma dopotutto Eijun, nel bene e nel male, è istinto. Una parte di lui
sa di non avere il diritto di forzare la spiegazione di nessuno, e l’altra odia
non avere quel diritto. Deglutisce. Il danno lo ha fatto comunque.
«Le storie sono vecchie quando non te ne importa nulla e quando nemmeno te le
ricordi. Non quelle di cui hai paura di parlare o che ti fanno fare quella
faccia.»
«Quale faccia, di grazia?»
«Dovresti guardarti e dirmelo tu. Ma forse è una delle tante cose che non puoi
dirmi. Tieniti la tua storia con Narumiya, tanto fai sempre così: “proviamo”.
Cosa vuoi provare non lo so, Miyuki, però—»
«Non avevo capito» lo interrompe Kazuya, negli occhi un monito preciso «che
strare insieme significasse dirci tutto. Forse dovresti leggere meno shoujo, Sawamura.»
pronuncia ed Eijun dubita se ne penta. Miyuki ci crede, in quello che dice.
Per un momento ha la tentazione, molto forte, di coprire la distanza fra loro e
dargli un pugno in faccia per vedere se quell’espressione sia reale o solo una
delle tante maschere che non sarebbe sorpreso di trovare su di lui; magari il
colpo lo sveglierebbe e Kazuya capirebbe che il problema non è sapere tutto di
lui, ma solo non avere l’angoscia di sentirsi un estraneo mentre cerca di stare
insieme a lui. Cambia idea, quando è in piedi, e non solo perché capisce quanto
inutile sarebbe qualsiasi parola pronunciata in quel momento.
Le uniche due che si concede sono «Ci sentiamo.» e dopo quelle raggiunge
l’ingresso; non sbatte neanche la porta, ma quando è fuori prova così tanta
rabbia che vorrebbe prenderla a calci fino a scardinarla.
Non si stupisce di come Eijun non si faccia sentire per i due giorni
successivi, perché ha capito nel momento stesso in cui lo ha lasciato uscire
dalla porta del proprio appartamento come l’assenza di un rimbrotto da parte
del più giovane collimasse con l’implicito “ci risentiamo quando sarai meno
stronzo o quando io sarò meno arrabbiato”. Nemmeno la chiamata di Kuramochi il
terzo giorno di silenzio da parte di Sawamura lo stupisce: l’altro non fa
accenno alla questione, ma Miyuki è sicuro ne sappia qualcosa o abbia almeno
intuito a grandi linee l’accaduto, sebbene senza interrogare nessuno dei due
diretti interessati per avere i dettagli. Kazuya è abbastanza certo che Youichi
viva nell’eterna indecisione tra il mandarli al diavolo entrambi risparmiandosi
il vivere una situazione sentimentale che non lo riguarda in prima persona e
l’istinto di protezione verso Eijun che Kuramochi è sicuro di nascondere molto
bene.
È quando i giorni di silenzio diventano un’intera settimana che Miyuki inizia a
essere sinceramente stupito. Una parte di lui ne è grato, perché considera
quell’assenza di contatti la soluzione perfetta per non dover condividere
qualcosa di vecchio a cui riesce a non pensare senza difficoltà, di solito – ci
riusciva bene, prima che Sawamura si dichiarasse e gli facesse considerare i
(pochi) pro e i (molti) contro di una nuova relazione; Miyuki all’idea di un
rapporto stabile si è arreso, e dal momento che gli manca la premessa base per
quelli di una sola notte, era riuscito a risolvere la questione in maniera
molto pratica: evitare complicazioni.
Sa bene di essere sorpreso perché sovrapporre l’immagine di Eijun a quella di
Mei a volte è anche troppo facile, nonostante non abbiano pressoché nulla in
comune e lui ne sia consapevole; eppure è stato più facile aspettarsi che Eijun
arrivasse anche a litigare con lui insistendo fino allo sfinimento, che
supporre l’altro avrebbe avuto il tatto o la pazienza di lasciar cadere
l’argomento in quel modo.
Il libro di anatomia sembra farsi beffe di lui, mostrandogli la stessa pagina
sulla quale sta tentando di concentrarsi da almeno venti minuti. Ci rinuncia
con uno sbuffo stizzito, chiudendolo e recuperando la matita con cui stava
segnando alcune piccole annotazioni, riponendo tutto nella borsa; impiega poco
a indossare sciarpa e giacchetto, a recuperare le chiavi di casa e a uscire dal
proprio appartamento con la tracolla a poggiare sulla spalla sinistra, diretto
verso l’unico posto dove sa di potersi portare dietro qualcosa da studiare
senza essere disturbato. A volte il vociare in sottofondo lo aiuta, perché è un
ronzio sul quale non ha bisogno di concentrarsi e che al tempo stesso lo
distrae abbastanza dalla formulazione di un qualsiasi pensiero che non sia
leggere mentalmente le parole davanti ai suoi occhi; è un po’ come
autosuggestionarsi, forse. È abbastanza sicuro di averne sentito parlare in tv
mentre cucinava, ma non ci ha prestato particolare attenzione.
Casa sua non è troppo lontana dal ristorante in cui lavora Kuramochi, anche se
Miyuki opta quasi subito per l’autobus perché nonostante si vada verso la
primavera l’inverno non è ancora così lontano da risparmiare loro il freddo a
quell’ora.
Non è così difficile trovare un posto a sedere. Le strade di Tokyo, già quasi del
tutto inglobate dal buio ma illuminate dalle insegne e dai cartelloni
pubblicitari, passano tutte uguali sotto i suoi occhi, la testa a poggiare
appena contro il vetro del finestrino. Sa bene che presto o tardi avrebbe
potuto toccare l’argomento “relazioni precedenti” con Eijun, specie se aveva
intenzione di portare avanti la loro, di relazione; ma forse una parte di lui
si era convinta si trattasse di un’eventualità ancora incerta e distante,
qualcosa che Sawamura avrebbe potuto non chiedere mai. Mentirebbe se dicesse di
non pensare mai al modo in cui lui e Mei si sono lasciati, ma mentirebbe anche
dicendo che ha lasciato condizionare tutta la sua vita da quello; gli è rimasto
nella giusta misura, quella da cui ha capito di dover mettere una certa
distanza tra sé e le persone fin dall’inizio, di non dover lasciare possibilità
a un malinteso di venirsi a creare ed è la stessa misura dalla qualeha imparato che molte volte le persone
promettono prima di conoscere i propri limiti. Non è necessariamente una colpa,
Miyuki non è mai riuscito davvero a pensare alle volte in cui gli è stato detto
che in fondo “andava bene” e poi bene
non andava; è coerente con se stesso e con gli altri abbastanza da capire da un
punto di vista razionale come ci siano state sempre le migliori intenzioni
nelle parole pronunciate dagli altri. Sa meglio di chiunque altro quanto Mei ci
abbia creduto, ricorda la schiettezza e la sicurezza che gli ha visto nello
sguardo; ma erano dei ragazzini – non che adesso siano uomini di mondo,
comunque – e non erano all’altezza.
Nessuno dei due. Che Mei, all’epoca, abbia letto nelle sue parole un “non sei all’altezza” a cui Kazuya non ha
davvero mai pensato è un’altra questione; Narumiya però non è mai stato il tipo
con cui ragionare a mente fredda e così il modo in cui si sono lasciati è stato
discutibile sotto così tanti aspetti che per Kazuya è stato impossibile
pensare, allora, a un modo per migliorare le cose.
E come tutti i rapporti della sua vita che si sono conclusi, le persone con cui
li ha intrattenuti sono state spinte via tanto da allontanarsi ed essere
allontanate in un modo che alla lunga non poteva divenire altro se non
definitivo.
Abbozza un sorriso, tornando in posizione dritta, intravedendo la fermata prima
di quella a cui deve scendere e preparandosi a prenotarla non appena il signore
in piedi a metà della vettura sarà sceso alla propria, le porte chiuse alle sue
spalle. Ogni tanto, in passato, in tanti tragitti in autobus o in treno gli è
capitato di osservare distrattamente qualche persona, tutti sconosciuti; non
gli è mai stato facile immaginare le storie degli altri, e a dire il vero non
ci si è mai applicato davvero, non essendo interessato alla cosa. Ma si è
chiesto se il modo in cui lui si rapporta al suo prossimo abbia pecche o pregi
in particolare, se sia giusto mettere dei paletti precisi e indistruttibili –
dal suo punto di vista sì. Per come la vede lui, la chiarezza verso i
sentimenti degli altri è anch’essa una forma di rispetto, dire subito di no, piuttosto
che trascinarsi dietro qualcosa di cui non si è granché sicuri per poi dare
comunque la stessa risposta è quasi meschino e, benché non abbia mai preteso da
se stesso di essere una persona modello, è giunto presto alla conclusione che
non sarebbe stato in grado di esprimere sentimenti a metà, nel bene e nel male.
Certo, lui non è comunque granché nell’esternazione; lo considera un effetto
collaterale di un sacco di fattori della sua vita, ma non si è mai sentito
sfortunato o diverso dagli altri al punto da farsene una malattia.
Quando da bambino gli avevano insegnato come scrivere il proprio nome e cognome
in kanji,
sostituendo un tondeggiante e infantile hiragana, Miyuki si era sentito molto fiero del suo cognome
al punto che verso l'ultimo anno delle elementari e l'inizio delle medie si era
sentito elogiato ogni volta che gli si rivolgevano con quello. Non era così
importante che non usassero un meno formale "Kazuya" – non lo
preoccupava come l'assenza di un nome proprio dimostrasse l'inizio della mancanza
di una sfera relazionale più intima –, perché "Miyuki" aveva
quell'ideogramma che all’epoca gli aveva fatto brillare gli occhi: «Miyuki-kun» lo aveva chiamato la maestra sorridendo
benevola di fronte al foglio con il suo primo tentativo di scrittura in kanji «il tuo è
un cognome fortunato, perché contiene il carattere di felicità.»
A un certo punto della sua vita, Kazuya si è chiesto se la felicità che tanto
fa mostra di sé nel suo cognome non sia l'unica che proverà negli anni; o se
non sia lì, come un monito onnipresente, a farsi beffe di lui e del fatto che
non sarà mai capace di donarne alla sua persona importante. Se sarà mai in grado di averne una.
Alla fine si è convinto di non averne bisogno: forse può farsi bastare la
felicità che ha nel nome. Potrebbe non essere così male, dopotutto.
«Scende?» lo riscuote la voce dell’autista, che dalla sua postazione di guida
si è sporto per assicurarsi sia tutto a posto. Poco distante dalla testa di
Miyuki, in alto, lampeggia l’avviso di fermata prenotata e le porte davanti a
lui devono essersi aperte qualche secondo fa senza che se ne rendesse conto.
Borbotta delle scuse vaghe e scende, il freddo della strada che lo colpisce di
nuovo in viso; per sua fortuna il ristorante per famiglie dove lavora Kuramochi
non è distante e dunque il vento leggero non ha il tempo di penetrare oltre il
giacchetto pesante. La sua entrata è annunciata al personale del posto da un
tintinnio a cui Kazuya è abituato al punto da non badarci neanche troppo,
ormai. Una collega di Kuramochi lo riconosce e pare stupita dalla sua presenza
lì, forse perché di solito questa combacia con i giorni in cui è sicuro di
trovare Youichi di turno.
«Miyuki-san» pronuncia a mo’ di saluto, senza celare la vaga sorpresa nella
propria voce. È più piccola di loro, da quanto il suo ex compagno di scuola gli
ha riferito blaterando di tanto in tanto durante le pause: dovrebbe avere
persino un anno in meno di Sawamura, in effetti, e la statura minuta insieme al
fisico esile e ai lineamenti ancora un po’ tondeggianti e da bambina la fanno
sembrare anche più giovane. Se non ricorda male, il suo nome ha qualcosa a che
fare con l’estate. «Kuramochi-senpai oggi non è di
turno.» gli comunica, credendo erroneamente – non che possa davvero darle torto
– che la sua presenza lì sia subordinata a quella dell’altro. Le sorride,
annuendo: «Lo so.» si limita a dire «C’è un tavolo disponibile? Anatomia
pretende tutta l’attenzione possibile.» fa presente e lei annuisce con un
sorriso entusiasta, privo di alcuna malizia, accompagnandolo al tavolo fino a
fargli cenno di accomodarsi e posando sulla superficie in legno il menù che
Kazuya conosce quasi a memoria.
«Torno subito.» assicura lei sparendo oltre il bancone, dove Miyuki sa esserci
la cucina. Il ristorante dove lavora Youichi è accogliente, di dimensioni medie
e con un arredamento modesto che sa di casa; uno sguardo basta a capire il tipo
di clientela a cui sono abituati, con dei seggiolini pieghevoli addossati in un
angolo e pronti all’uso per le famiglie che li necessitano. Al momento non è
granché affollato: poco distante dal suo tavolo Kazuya vede con chiarezza una
coppia a cui non dà più di venticinque, ventisei anni al massimo;
dall’ingresso, in un punto invisibile dalla sua posizione, ha intravisto una
famiglia con due ragazzini e per raggiungere il proprio tavolo è passato vicino
a un gruppo misto di liceali con libri e quaderni sparpagliati ovunque e che
immagina siano lì dal primo pomeriggio. Sta tirando fuori il libro quando la
collega di Kuramochi appare di nuovo al suo fianco e posa un bicchiere d’acqua
pieno sul tavolo. Uno sguardo veloce alla targhetta appuntata sulla camicetta
bianca gli suggerisce il nome, più o meno: «Hotaru-chan?» tenta e lei sorride
più divertita che altro.
«Complimenti, Miyuki-san.» replica «Molti sbagliano e leggono Kei*.» ammette, per nulla disturbata dall’errore comune. Ha
l’aria di una persona socievole e Miyuki non fatica a capire come possa andare
d’accordo con Kuramochi; sembra il tipo da avere buoni rapporti con chiunque,
in modo simile e al tempo stesso diverso da Eijun.
«Per ora vorrei del caffè. Per la cena preferisco aspettare un po’.» comunica e
lei si limita ad annuire, congedandosi una seconda volta. In un primo momento,
Miyuki riesce a concentrarsi molto meglio, grazie alla capacità del suo
cervello di recepire i rumori intorno a lui senza per forza focalizzarsi sugli
stessi, così tra quello e le nozioni è occupato abbastanza a lungo da superare
indenne più di un paragrafo. Di tanto in tanto allunga la mano verso il caffè
che a un certo punto Hotaru ha lasciato sul suo
tavolo e ne sorseggia un poco, apprezzando il liquido caldo e amaro che scende
per la gola dandogli quella piacevole sensazione di calore nello stomaco.
L’incantesimo durerebbe di più, se non gli arrivasse all’orecchio
l’inconfondibile risata di Kuramochi dall’ingresso del ristorante e non ha
davvero bisogno di voltarsi per accertarsene o per fargli cenno di raggiungerlo
– anche perché potendo, e sa di non potere, lo eviterebbe. Lui e Youichi
volenti o nolenti si conoscono da abbastanza tempo per saper riconoscere quando
stanno esagerando l’uno nei confronti dell’altro, quando hanno bisogno dei
propri spazi e quando invece uno dei due ha bisogno che l’altro gli dica quanto
stia andando troppo oltre un tacito limite. In verità il bisogno è quasi sempre
di chi lo dice e molto spesso è di Kuramochi; Kazuya ha piena coscienza di
essere fortunato, dal momento che Youichi ha comunque la sensibilità adatta a
capire che essere pressante è la regola d’oro per ottenere da Miyuki l’esatto
opposto di ciò che si vuole.
Come volevasi dimostrare, l’altro rientra nel suo campo visivo quando si ferma
accanto al suo tavolo, rivolto verso di lui. Sanno entrambi che era solo
questione di tempo, non perché Kuramochi smani dalla voglia di impicciarsi dei
fatti suoi, ma perché il suo avviso via messaggio era stato già chiaro nel suo
subliminale “non volevo davvero finirci
di mezzo ma beh, come sempre è successo”; così Miyuki era certo che presto
o tardi avrebbe voluto parlare con lui e che, non trovandolo a casa, lo avrebbe
cercato lì. Dopotutto a quell’ora non sono molti i posti da lui frequentati con
assiduità.
Youichi non gli domanda se può sedersi al suo tavolo, lo fa e basta. Gli si
sistema di fronte, posando il giacchetto con tutta calma e sistemando il cellulare
sul tavolo. Miyuki non alza lo sguardo, perciò non saprebbe dire di preciso se
l’altro stia guardando lui, l’interno del locale o il telefono che fastidioso e
abbandonato a se stesso fa lampeggiare una lucina verde, avviso di un’e-mail
ricevuta.
Quando Kuramochi parla, tuttavia, spostare l’attenzione su di lui diventa
imperativo.
«Non ti dirò che te lo avevo detto, per questa storia di Narumiya, perché in
effetti devo averci pensato senza renderti nota la cosa.» è la sua premessa, le
braccia incrociate al petto e l’aria di chi ha ragione, sa di averne e sguazza
nell’idea stessa «Ma» calca la parola «te
l’avevo detto, di non mettermi più in mezzo alle paturnie sentimentali che
ti riguardano.»
«Fino a prova contraria, non l’ho fatto.» replica divertito con un mezzo
sorriso.
«Sta’ zitto.» ribatte Kuramochi «Lo fai indirettamente ogni volta che il tuo
inesistente tatto si abbatte su Sawamura. Purtroppo per me siete la coppia peggiore possibile dal momento che tu sei
uno stronzo con problemi relazionali e lui un’anima emotiva relegata nel corpo
di un cretino.»
«Wow, Kuramochi-kun, non pensavo articolassi parole
come “relazionale” e “relegata”.» lo sfotte apertamente, guadagnandosi
un’occhiata assassina che lo fa ridacchiare. A seguito di quello scambio, tuttavia,
segue un silenzio consapevole da parte di entrambi almeno finché Youichi non
sospira e si lascia andare contro lo schienale della propria sedia.
«Offrimi la cena.»
«E se non avessi intenzione di cenare?»
«Stronzate. Offrimi da mangiare, me lo devi per i danni morali.» fa presente
come se fosse un dovere per Miyuki sfamarlo; Kazuya si chiede quando arriverà
al punto «E comunque, lasciami dire che siete entrambi molto stupidi. Su Eijun
non avevo dubbi, ma speravo che tu bilanciassi un po’.» ah ecco, si dice Miyuki. Le parole dell’altro hanno sempre avuto la
capacità innata di essere a metà tra un rimprovero e una lamentela legittima,
per cui ammette di non essere mai stato in grado di prendere male quanto gli
veniva detto. Si sono scontrati, ovvio, e Miyuki sa esattamente come fargli
capire quando sta oltrepassando il limite di ciò di cui non vuole parlare con
nessuno e su cui non accetta opinioni esterne, nemmeno da lui e neanche quando
è certo ci siano dietro le migliori intenzioni.
È quello il modo in cui sono sempre riusciti a convivere negli stessi spazi, ed
è il motivo per cui a volte è tentato di far presente a Kuramochi come lui sia
la sua relazione – sebbene non romantica – che dura da più tempo; sarebbe
esilarante vedere la sua espressione schifata.
«Dico sul serio» riprende Kuramochi «odio dovermi mettere in mezzo agli affari
tuoi, ma non ti costerebbe niente essere meno… meno
Miyuki.»
«Solo perché non voglio parlare di cosa è successo con Mei? Pensavo di averne
il diritto.» replica, il tono calmo mentre alza lo sguardo su Youichi; c’è un
implicito fargli presente come non abbia intenzione di renderlo partecipe,
proprio come non lo ha fatto all’epoca. Ha sempre saputo che Kuramochi aveva
intuito qualcosa, ma vista la sensibilità che gli ha impedito di fare domande
scomode Miyuki non lo ha mai considerato un grosso problema. Sarebbe un
discorso diverso, se all’improvviso l’altro pretendesse di avere con lui il
tipo di comunicazione che non hanno avuto mai.
«Miyuki, hai presente che in una relazione siete due persone? Perché mi sembra
ti sfugga, ogni tanto.» è il commento acido a cui Kuramochi dà voce, e per un
momento c’è Narumiya davanti ai suoi occhi, con il suo cipiglio orgoglioso e
arrogante e una divisa scolastica che Miyuki non indossa più già da diverso
tempo. Sbuffa dal naso, arrendendosi a posare sul libro aperto la penna con cui
stava scribacchiando note qua e là.
Potrebbe liquidare il tutto con diverse battute su come Kuramochi non sembri
molto esperto in fatto di relazioni, se non passivamente attraverso quelle
degli altri forse, ma per una volta si risparmia l’antipatia gratuita nella
speranza di essere chiaro tanto da non dover più riprendere il discorso: «E le
due persone in questione devono essere per forza identiche in tutto e per
tutto?» è una domanda retorica, e l’altro lo capisce bene visto come non si
sprechi nemmeno a pensare di rispondere. Con un gesto veloce e meccanico,
Miyuki sistema gli occhiali sul naso: «Sono stato con Narumiya e le cose non
sono andate bene. Perché non era destino? Perché eravamo diversi, o perché
eravamo troppo simili? Cosa cambia saperlo, visto che in ogni caso non ci siamo
mai più sentiti al telefono né con nessun altro mezzo? Potrei capire la
curiosità se avessimo mantenuto un qualche tipo di rapporto, ma dal momento che
considero molto probabile ignorarci se anche ci incrociassimo per strada, non
vedo l’utilità di raccontare a Sawamura quali siano stati i nostri problemi.»
chiarisce, e spera di farlo una volta per tutte. Forse Kuramochi non è
convinto, visto come inarca un sopracciglio man mano che lui parla e come
scuote la testa rassegnato alla fine; o almeno suppone sia in risposta alle sue
parole, almeno fin quando non c’è la voce di Eijun a rispondere al posto loro.
«Perché vorrei non essere lo stesso problema.» sbotta, lì in piedi a guardarlo
senza esitazioni, nonostante tutto. Miyuki ammette di non essersi aspettato
quel tipo di risposta e, allo stesso tempo, si rende conto di quanto sia adatta
a Sawamura; gli basta guardarlo per capire che è sincero, e quella frase non è
pronunciata tanto per dire, per far sembrare nobile un’intenzione che nobile
non è. Per qualche istante, Kazuya tace e pensa davvero con altrettanta sincerità che Eijun una risposta la
meriterebbe, una soddisfacente e priva di tutti quegli accorgimenti di cui
Miyuki si fa forte mentre parla alle persone – sono quelli che alla lunga
diventano semplici da utilizzare, naturali tanto da non sembrare più un
artificio a un certo punto – eppure c’è qualcosa a frenarlo ancora. Non sa se
sia il poco tempo passato da quando ha deciso di provare a stare con l’altro, o
la sua indole, o se Kuramochi abbia ragione a etichettarlo come uno “stronzo con
problemi relazionali” ma la prima cosa che fa è sospirare, con lentezza
controllata.
Il senso di colpa non è mai stato una cosa che lo abbia portato ad agire in un
modo piuttosto che in un altro; se così fosse stato, è probabile non sarebbe
nemmeno andata male con Narumiya.
«Potresti esserlo.» glielo dice chiaro e tondo e la sedia di Kuramochi gratta a
terra nel momento in cui lui si alza di scatto. Kazuya non ha bisogno di alzare
lo sguardo per sapere che l’altro lo sta guardando con una gran voglia di
prenderlo a pugni: «Però mi prendo il rischio.» aggiunge «Sawamura tu non sei
una persona che pensa troppo alle cose o a come parlare con gli altri.
Cercheresti di fare attenzione a tutto quello che dici o che fai. Non sarebbe
da te. Sarebbe il comportamento di un’altra persona. Apprezzo le buone
intenzioni, ma Narumiya non è una cosa di cui voglio parlare adesso.» conclude.
Non ha idea di quanto suoni davvero chiaro quel “saresti un’altra persona ed è con te che voglio provare ad avere una
relazione, non con un altro” che nella sua testa è palese, così deve
sottostare al silenzio che si forma al tavolo fatto di sguardi che Kuramochi
alterna tra loro due e da pugni che vengono stretti fino a far sbiancare le
nocche da parte di Eijun; li vede bene, perché rimanendo seduto se li trova
all’altezza dello sguardo quando Sawamura abbassa il proprio. A sorpresa, Kuramochi
si allontana con un verso stizzito, per lasciargli modo di parlare da soli
suppone. È al bancone, lontano anche dal campo visivo di Miyuki, quando Eijun
reclama la sua attenzione con una domanda pronunciata a tono così basso da non
sembrare nemmeno lui a parlare.
«Se io diventassi un problema, però, me lo diresti?»
Kazuya lo guarda, e gli occhi ambrati dell’altro mandano un ultimatum che a
Miyuki sembra chiaro e tondo: pretende sincerità.
Lui non è mai andato d’accordo con gli ultimatum, ma suppone di doverglielo.
Vorrebbe avere un approccio normale alle persone, per una volta, almeno verso
quelle che si prendono la briga di stare con lui.
«Te lo direi.» risponde, sentendo lo sguardo di Sawamura su di sé ancor prima
di incrociare i suoi occhi con i propri «Te lo direi.» ripete, serio.
Alla fine non cenano lì. È Eijun a chiedergli di mangiare insieme, solo da
un’altra parte; assicura persino come gli vada bene prendere qualcosa di
precotto in un conbini
e guardare qualche stupido programma alla tv – si guadagna uno scappellotto
scherzoso da Miyuki, perché chi crede lui sia? Non può cucinargli una cena da
ristorante di lusso, ma può fare qualcosa di meglio del negozio all’angolo. A
un certo punto, mentre aspettando l’autobus, Kazuya non si lamenta nemmeno troppo
nel sentire la mano di Eijun scivolare nella tasca del suogiacchetto: non cerca di stringere la
sua, ma la sfiora quasi fosse casuale; ha le mani calde, ma per fortuna non
borbotta nulla contro il freddo così Miyuki gli risparmia una battuta al puro
scopo di prenderlo in giro. C’è un’atmosfera strana tra loro, meno rilassata
del solito ma nemmeno troppo tesa.
Vorrebbe continuasse così. Vorrebbe veder arrivare l’autobus, salirci su,
sedersi uno di fianco all’altro per le poche fermate utili a raggiungere il suo
appartamento e poi mettersi ai fornelli, di un umore di certo migliore di
quello con cui è uscito.
Immagina che il suo karma abbia da
ridire in merito.
«Sei serio?» è la voce che gli arriva all’orecchio. Pensava di aver rimosso
dalla sua vita e dalla sua testa anche il suono della voce di Mei, e invece a
quanto pare non è così se riesce a riconoscerlo prima che l’altro posi una mano
sulla spalla e lo obblighi a voltarsi verso di lui. A essere onesto, Miyuki
pensava sarebbe stato più strano rivedere Narumiya, ma si riscopre con addosso
una patina di calma gelida di cui non c’è molto di che vantarsi, dal punto di
vista strettamente umano. Sente i muscoli del proprio viso muoversi fino a
mostrare un sorriso di cortesia.
Il volto di Mei muta in un’espressione a metà tra incredulità e qualcosa di
molto vicino al disprezzo, e Kazuya in quel momento sa che l’altro ha capito
quel che c’era da carpire nella sua espressione. Considero molto probabile ignorarci se
anche ci incrociassimo per strada; lui, almeno, lo farebbe.
Mei no.
*Kei/Hotaru
pur essendo due nomi diversi vengono trascritti con lo stesso ideogramma. Da
qui il comune e plausibile errore di lettura nel caso della targhetta della
collega di Kuramochi.
Giusto per ulteriore chiarimento, l’ideogramma di “yuki”
nel cognome “Miyuki” è lo stesso con cui si scrive parte della parola “felicità”.
Per una manciata di secondi si guardano tutti e quattro – lui, Eijun,
Mei e la persona con quest’ultimo e che Kazuya non ha idea di chi sia – e
sembra un film comico: negli occhi azzurri di Mei c’è un’accusa così palese da
far supporre a Miyuki che persino il cartello della fermata dell’autobus abbia
capito cosa stia succedendo; lui vorrebbe avere la certezza di stare mantenendo
un’invidiabile poker face, ma ammette
di non fidarsi così tanto di se stesso da mettere la mano sul fuoco, ora come
ora. Quanto al ragazzo con Narumiya, sembra spaesato quanto basta a suggerire a
Kazuya di non doversene preoccupare troppo. Eijun invece, accanto a lui, si è
irrigidito quando il pianista è rientrato nel suo campo visivo; Miyuki lo avverte
chiaramente nella propria tasca, la mano di Sawamura che ha stretto più forte
la sua di riflesso. Quasi non ha bisogno di guardare il ragazzo al proprio
fianco per sapere che sta spostando lo sguardo tra lui e Mei come se si
aspettasse di veder esplodere una bomba o qualcosa del genere.
«Mei-san, è tutto a posto?» è la domanda che rompe il
silenzio, posta dal giovane vicino a Narumiya. Miyuki capisce dal suo sguardo
come sappia già da solo la risposta ma abbia preferito quel modo di mettere la
cosa invece di un più diretto – e catastrofico? – “che sta succedendo?”.
La cosa più destabilizzante per Kazuya, in quel momento, non è l’espressione
che si fa strada sul viso di Mei, ma riconoscerla, interpretarla con
un’esattezza pressoché totale e sapere di averne pieno merito; Narumiya non è
mai stato trasparente come Eijun, né ermetico come lui. Mei è sempre stato la
via di mezzo perché spaccato a metà, due persone in una, due identità così
distinte da rendere tutto irreale. Kazuya ha conosciuto il Mei semplice, quello
dagli atteggiamenti infantili e l’ego troppo grande, bisognoso di attenzioni ma
non di protezioni, impossibile da definire sensibile credendoci davvero; eppure
ha conosciuto anche il Mei complesso, il pianista che in una sola nota musicale
ha sempre saputo raccontare tutto se stesso, senza risparmiare nulla,
mettendosi tra le mani del suo pubblico, a nudo come nessuna persona potrebbe
davvero avere mai il coraggio di fare. Mei è sempre stato dicotomico, nella sua
complessità che agli occhi di Kazuya lo ha reso semplice da comprendere dopo
anni di conoscenza e un discreto tempo di relazione – e perciò ha pensato che
l’assenza di un rapporto li avrebbe resi sconosciuti l’uno all’altro, estranei
privi del desiderio di sfiorarsi di nuovo anche solo con lo sguardo. Invece ora
gli occhi azzurri di Mei lo squadrano, e per un momento il ragazzo e il
pianista sono unici nel loro conflitto: Miyuki non fatica a riconoscere
l’arroganza di chi si è sempre creduto dalla parte della ragione, l’irritazione
per non avere mai ottenuto delle scuse che lo soddisfacessero, l’incredulità di
quando si capisce di non essere unici e insostituibili come si credeva e
insieme a quella lo sconquasso della mediocrità.
Mei è, infine, la dimostrazione vivente di come non sia facile lasciarsi alle
spalle gli altri e cancellarli dalla propria esistenza come se non ne avessero
mai fatto parte; è uno schiaffo morale.
Miyuki pensava di essere molto meglio – nel peggio – di così.
Narumiya ha detto con lo sguardo più di quanto potesse dire con le parole, ma
non si priva certo di queste ultime, non sarebbe da lui; alterna lo sguardo tra
Kazuya e Eijun, tra loro e la mano che sprofonda nella tasca della giacca di
Miyuki, e li guarda entrambi con qualcosa che somiglia alla pietà: «Buona fortuna,
ne avrai bisogno.» è quello che pronuncia ed è rivolto a Sawamura, non a
Kazuya. Se lo richiama, Miyuki, non è per dargli quelle scuse che ha
pronunciato già una volta e che è evidente non siano state abbastanza; c’è un
monito nel suo sguardo prima ancora di dare voce a delle parole, ma Mei non gli
dà modo di pronunciarle.
«Non ci provare neanche.» quasi lo ringhia «So già quanto tu possa essere codardo, non ci sperare che stia qui ad
ascoltarti mentre fai la voce grossa, Kazuya.» gliele vomita addosso, le
parole, e Miyuki sente anche quelle che non dice. Spero tu possa pentirtene.
Lo lascia andare via, senza dirgli nulla, perché fuggire nel silenzio è più
facile; nella sua tasca, la sua mano è fredda, appena sudata, e stringe quella
di Eijun senza nemmeno accorgersene.
Il tragitto verso il suo appartamento è silenzioso, e dal momento che c’è Eijun
con lui, la cosa risulta innaturale; non da parte di Kazuya, quello no, per
quanto di solito tra loro non aleggi quasi mai un’atmosfera fatta di quel tipo
di quiete che pesa sulle spalle degli altri, fatta di pensieri inespressi in
mancanza di un modo giusto di dargli voce o della voglia di farlo. Sawamura
riempie le loro conversazioni più di lui, ma Miyuki non è mai stato il tipo che
non riesce a spiccicare parola – se lo è, il motivo alla base della sua
mancanza di partecipazione è la poca simpatia verso il soggetto di fronte a
lui, e non è quello il caso. Suppone che l’assenza di domande sia il modo di
Eijun di mostrare una certa sensibilità nei suoi confronti e, in fondo, gliene
è grato.
Di contro la sua mente non è piena di congetture e di pensieri, non è un
accavallarsi confuso di considerazioni sulle parole di Mei; è una tabula rasa,
il classico esempio di come si ottenga il nulla totale tanto più ci si sforza
di ragionare su qualcosa controvoglia. È un conflitto d’interessi tra la
consapevolezza di dover mettere ordine agli avvenimenti e il non avere alcuna
intenzione di farlo per così tanti motivi da non voler nemmeno iniziare ad
analizzare il primo. Così ad animare il loro ritorno è il rumore del motore
dell’autobus che avanza lungo la strada, il raro suono del campanello che
preannuncia una fermata prenotata da qualcuno dei pochi passeggeri presenti
oltre loro, dalla cadenza regolare dei loro passi sulle scale che li guidano
fino alla porta del suo appartamento e, infine, dal tintinnio delle chiavi prima
che una di esse venga infilata nella serratura per aprire ed entrare,
riparandosi dal freddo e dal resto del mondo.
Eijun entra come se non fosse sicuro di poterlo fare, a eccezione del fatto che
Miyuki lo anticipa e non si richiude la porta alle spalle, in un tacito invito
a varcare la soglia. Kazuya si concede pochi istanti di calma nel ripetere la
piccola routine di gesti a cui si è
abituato quando rientra: mettere le chiavi nella toppa dopo aver richiuso la
porta o chiudersi dentro se non ha più bisogno di uscire, posandole poi sul
mobiletto all’ingresso; liberarsi del cappotto, delle scarpe e indossare le
pantofole lì nel genkan per poi
entrare davvero e accendere la luce. È automatico per lui dirigersi nella
stanza dove ha parlato con Eijun l’ultima volta, così come sono meccanici i
gesti con cui mette il bollitore sul fornello una volta riempito con l’acqua,
accendendo il gas e aspettando che lo avvisi quando l’acqua bollirà. Il lato
negativo dei gesti fatti senza quasi pensare è che non fanno mai parte di
azioni che impiegano un quantitativo di tempo molto ampio; ne consegue il
trovarsi imbambolato davanti ai fornelli senza sapere bene cosa fare.
Per sua fortuna, vivere da solo comporta avere molti gesti abitudinari; per sua
sfortuna, ora non è solo.
«Stai bene?» è la domanda con cui Sawamura rompe quella loro fase di stallo, e
Miyuki abbozza un sorriso senza troppa convinzione perché è una domanda così da lui eppure lo stupisce comunque.
Eijun sembra persino dimentico dell’ultima conversazione che hanno avuto in
casa sua, e quando si volta a guardarlo Kazuya trova sul suo viso
preoccupazione anziché qualche tipo di accusa; gliene è grato, e al tempo
stesso lo innervosisce, in una piccola parte di lui. La mette a tacere, perché
non è ancora messo così male da perdere di vista la razionalità e si concede
uno scrollare le spalle, quasi a minimizzare l’accaduto. In verità non c’è
stato niente di inaspettato nell’atteggiamento di Mei.
«Te l’ho detto,» pronuncia, poggiandosi contro il piccolo piano da lavoro
vicino ai fornelli, incrociando le braccia al petto «io e Mei non ci siamo
lasciati bene.» ribadisce, come se non ci fosse altro da dire perché tutto il
resto è ovvio. Legge negli occhi di Eijun come di ovvio non ci sia molto.
Sospira. Alla fine immagina di doversi arrendere.
«Hai visto Mei suonare, giusto?» domanda e non fatica a scorgere
nell’espressione perplessa dell’altro il tacito dubbio su come la cosa abbia
rilevanza nel discorso che stanno affrontando; Sawamura però annuisce, forse
più d’istinto che non per comprensione: «Non nasconde molto di sé quando suona:
è orgoglioso, arrogante, sa quali sono le sue capacità e la falsa modestia non
fa parte del suo carattere. Riversa nel pianoforte tutto quello che ha da
mostrare al mondo, tutto quello di cui va fiero, la perfezione che vuole
raggiungere e che sa di raggiungere.
Lavora più di chiunque altro, o come tutti gli altri del suo ambiente, non
saprei dirlo. Rimane il fatto che gli piace primeggiare, gli è sempre piaciuto.
Questo è un bene.» ammette, perché non ha dubbi su quanto sia importante
nell’ambito di una perpetua competizione «Ma fuori dal pianoforte, non è così
facile. Non gli basta allenarsi per ore e ore fino a sputare sangue sui tasti.
Fuori il suo carattere snerva la maggior parte delle persone che lo conoscono
abbastanza da farsi almeno un’idea superficiale. Ha lati positivi, ma non è
facile avere la pazienza per arrivare al punto in cui li mostra.» ammette con
un mezzo sorriso che non ha molto di affettuoso, ma tanto di derisione, un po’
per sé e un po’ per Narumiya.
Ha sempre pensato di essere durato con lui a lungo perché sono simili. Il che,
forse, è anche quello che li ha fregati alla fine – o forse no, Kazuya non ha
voluto davvero pensarci e non vorrebbe farlo nemmeno ora. Guarda Eijun, preso
dalle sue parole, lì a pendere dalle sue labbra.
«Mei ha sempre amato pavoneggiarsi ed essere al centro dell’attenzione
femminile, a scuola. Ma anche di quella maschile, per lui essere idolatrato non
aveva limiti nel genere di chi gli rivolgeva quel tipo di sentimento. Non è mai
stato un mistero per nessuno che lo conoscesse un minimo, come non si facesse
problemi a ricevere avances dall’uno
o l’altro sesso; il che non significava che gli andasse bene chiunque,
tutt’altro. Il bell’aspetto gli valeva una popolarità immeritata, considerando
il suo pessimo carattere, ma alla fine qualcuno se ne accorgeva in tempo per
risparmiarsi un rifiuto non sempre cortese.» spiega brevemente. Aveva
dell’assurdo ritrovarsi a parlare del Narumiya conosciuto qualche anno addietro
quando fino a un paio di ore prima non aveva preso in considerazione di
parlarne neanche alla lontana per ancora parecchio tempo.
«E tu com’eri?» chiede Eijun, spezzando il suo silenzio prima di quanto Miyuki
avesse messo in conto. C’è uno sbuffo divertito, ma vuoto; è più autoironia,
forse.
«Come adesso, più o meno. Kuramochi potrebbe confermare.» assicura «Non mi
interessava molto Mei in quell’ottica. Avevo ricevuto qualche dichiarazione dai
ragazzi ma non mi aveva mai toccato granché, in positivo o in negativo. Tra me
e Mei era più un… beh. Mei non accetta mai un “no”
come risposta. Era divertente continuare a rifilargliene ed essere uno dei
pochi a non cedere al fascino di Narumiya, qualunque fosse quello che gli altri
vedevano in lui.» pronuncia, il fischio del bollitore che gli arriva alle
orecchie distraendolo, quasi dimentico di averlo messo sul fuoco. Si volta per
spegnere il fornello e apre la credenza, tirandone fuori due tazze e iniziando
a occuparsi della miscela e di versare l’acqua con gli stessi gesti meccanici
di prima. Decide di continuare comunque a parlare – non crede molto nella
durata del proprio coraggio.
«A un certo punto siamo finiti insieme. Non dirò che sia stato casuale, ma non
immaginare il tipo di dichiarazione dopo anni di sentimenti ritenuti a senso
unico. Abbiamo iniziato a uscire insieme, e andava bene; a me non dispiaceva
assistere alle esibizioni di Mei, a lui non seccava troppo venire a vedere le
mie partite quando poteva. È veramente una storia senza molti colpi di scena.»
ironizza, assicurandosi di aver chiuso l’anta della credenza, di aver riposto
gli infusi inutilizzati, di aver riempito abbastanza entrambe le tazze per portarle
al tavolino basso. Ne posa una davanti a Eijun, concentrato più sulle sue mani
che sul suo viso e tanto gli basta per capire lo stato d’animo altrui o
intuirlo almeno in parte: i pugni stretti gli comunicano ansia, attesa per il
resto della storia, nervosismo per il non sapere dove tutto andrà a parare.
Miyuki vorrebbe saperlo.
Sawamura non parla subito, sciogliendo la stretta delle proprie mani per
poterle avvolgere intorno alla tazza e bearsi del calore che il liquido all’interno
conferisce alla ceramica. Mugugna qualcosa che a Miyuki sembra più un tentativo
di ordinare i pensieri prima di dargli voce, ma non lo incalza e si chiede
intanto come dovrebbe continuare il racconto. Non è sicuro di voler dare a
Eijun i dettagli di una relazione, perché significherebbe raccontare più di un
anno di cose andate bene; non vuole farlo per due motivi: è restio alla
condivisione di dettagli della sua vita se può evitarli, e soprattutto, un anno
e mezzo di relazione presumibilmente felice non cancella la fine disastrosa.
Sospetta sarebbe inutile mostrare il bello che tanto non è durato, come
l’incontro di quella sera dovrebbe aver reso chiaro persino a Eijun.
L’altro non gli fa domande, e Kazuya capisce di non poter sperare in quelle per
scegliere come proseguire. Perciò decide che un anno e mezzo si può saltare.
Non è così importante.
«Alla fine» riprende come se avesse invece spiegato ogni più piccolo dettaglio
all’altro parlando per ore «in una relazione è normale arrivare al sesso. Ci
abbiamo provato. Non è andata bene.» lo dice con tono asciutto, più brusco di
quanto vorrebbe – sa che non è colpa di Eijun, come non era colpa di Mei e
gliel’ha detto. Avrebbe voluto sentirsi dire che non era nemmeno colpa sua.
«Quindi l’ho lasciato.» aggiunge, quasi impersonale, come se non lo
riguardasse. Alza lo sguardo su Sawamura, e vede nei suoi occhi qualcosa a metà
tra la presa di coscienza e il timore, e Miyuki riderebbe in altri contesti.
«Perché… non potevate fare sesso?» mormora Eijun, in
un’incertezza che non fa parte di lui. Kazuya non lo biasima per il suo non
riuscire a comprendere al volo cosa ci sia dietro a quella che sembra una
motivazione assurda; in altre occasioni ha sentito altri dire la propria
sull’argomento, credere che basti aspettare e la voglia prima o poi salterà
fuori. Ne sa abbastanza da sapere che non è così.
«Perché voleva qualcosa che non avrei mai potuto dargli e che non saprò dare
mai a nessuno. Nemmeno a te.» aggiunge schietto, duro, forse anche crudele. C’è
un’atmosfera tesa fra loro, dove sorseggiare tè non sembra contemplato come
azione per fingere che tutto sia a posto mentre si prende tempo; Eijun ha gli
occhi fissi sul liquido scuro e tace, forse in cerca delle parole giuste, ma la
sua espressione rende chiaro come il peso di quanto detto da Kazuya sia
caracollato anche sulle sue spalle. È una cosa che Miyuki si augurava di non
vedere più: la persona impegnata a fare del suo meglio per stare con lui
cercare le parole giuste per qualcosa che gli è difficile inquadrare e capire,
tanto da finire con il sentirsi in colpa.
Ammette con se stesso di non aspettarsi di sentire il richiamo di Eijun, quel «Miyuki?»
pronunciato con fare interrogativo che invece riempie la stanza. Alza lo guardo
su di lui prima ancora di processare la cosa nella propria testa e quello che
si trova davanti è uno sguardo deciso e sincero; lo destabilizza, a dire il
vero. Si aspettava qualcosa di diverso.
«Io non vorrei qualcosa che tu non vuoi.» lo dice con una semplicità spiazzante
e al tempo stesso con la serietà di chi conosce il peso delle parole che
pronuncia «Voglio dire, potrei volerlo.» ammette e Miyuki scorge in lui il
tentativo di mettere da parte ogni imbarazzo che l’argomento sesso, un qualcosa
di intimo di cui in condizioni normali non parlerebbero in quel modo, gli
suscita «Ma se tu non lo volessi a tua volta… è una
cosa che si fa in due. Insomma, è come una relazione e basta. Non è una cosa a
cui puoi costringere gli altri.» cerca di spiegarsi e Miyuki capisce davvero
cosa intende – è una cosa che chiunque al mondo dovrebbe capire ma che troppe
volte, anche in altri contesti, sfugge con una facilità incredibile.
Vorrebbe credergli, vorrebbe trovare meno difficoltà ad affidarsi alle sue
parole, vorrebbe non fargli il torto di insinuare il dubbio tra i sentimenti di
Eijun chiedendosi se sarebbe davvero così andando avanti, o se sia davvero
conscio del peso di quanto sta pronunciando o, ancora, dicendosi che forse è
stato così pure per Mei e invece sono arrivati al punto in cui si incontrano
per strada e cercano uno di scappare e l’altro di riversare niente più della
delusione e del disprezzo su un’altra persona. Vorrebbe vantarsi della
razionalità che gli è propria nella maggior parte degli ambiti della sua vita.
«Mh.» è il suo massimo, e non inizia neanche ad
avvicinarsi a quanto potrebbe dirgli se solo le cose fossero diverse.
Vorrebbe spiegargli che pur trattandosi di una cosa da fare in due, lui e Mei hanno fatto il grande errore di ragionare
come se fossero sempre stati soli, l’uno preservando il proprio orgoglio e i
propri sentimenti, l’altro la propria sicurezza emotiva; è così che ci si
lascia in maniera orribile, così che si chiudono per sempre rapporti forse
salvabili.
Mentre lo guarda, Miyuki per la prima volta non riesce a inquadrare con chiarezza
cosa lo spaventi di più: la quasi assoluta certezza che Eijun abbia sempre più
il potere di ferirlo, o la consapevolezza – per nulla sana – che se mai
succedesse, l’unico modo per proteggere ancora una volta se stesso sarebbe
annientare lui.
Abbozza un sorriso, non visto nel suo nasconderlo dietro la tazza di tè: è
abbastanza sicuro che Kuramochi lo ucciderebbe, nell’eventualità.
A Furuya piace l’inverno, e gradisce in particolare l’idea di mettersi sotto il
kotatsu, anche se quella di
sistemarsi lì per studiare in passato si è sempre rivelata pessima,
considerando che il calore ha sempre comportato per lui lo stabilire un nuovo
record di velocità nel prendere sonno. Se non altro ora come ora per loro gli
esami sono conclusi e il grosso dello studio può essere messo da parte.
Lì sistemato nel salotto di casa Kominato, la parte inferiore del corpo già a
bearsi del calore, gli arrivano all’orecchio le voci di Haruichi ed Eijun dalla
cucina; in genere non approfitta dell’ospitalità altrui in quel modo, di solito
c’è un via vai tra le stanze in modo da portare in breve tutto ciò di cui hanno
bisogno, iniziando dal tè e finendo con stuzzichini di vario genere. In questo
caso non c’è l’impiccio dei libri da sistemare, e per quanto loro tre in
qualche modo si siano ritrovati a formare un trio dal loro primo anno, Satoru
ha sempre trovato facile delineare i loro rapporti. Non è un mistero per
nessuno il fatto che Haruichi e Eijun siano migliori amici, né lui si è mai
sentito escluso per questo. Hanno relazioni diverse tra loro, e d’altronde
troverebbe molto difficile accudire Eijun come una mamma mancata, cosa che
spesso a Kominato risulta naturale come respirare. Ci vuole una pazienza che
non possiede, un’inclinazione che non gli è propria e forse una sensibilità che
non è certo di voler ammettere di possedere.
In ogni caso, se anche fosse il migliore amico di Eijun, per un kotatsu lo tradirebbe.
I due si affacciano sulla soglia con le mani impegnate: Haruichi porta con sé
un vassoio con sopra l’occorrente per servire un tè caldo di cui si intravede
solo il vapore a fare capolino dal beccuccio della teiera; dietro di lui Eijun
è occupato a portare con sé un quantitativo di biscotti che Furuya suppone
fosse originariamente in una confezione promozionale da un chilo. Entrambi si
inginocchiano per posare il tutto sulla superficie in legno, e Haruichi perde
un poco più di tempo a versare la bevanda per tutti e tre.
Eijun è silenzioso, e non lo è mai, perciò capire che qualcosa non va è fin
troppo facile. Furuya non vanterà una grande dialettica, ma un buono spirito di
osservazione sì, ed è abbastanza sicuro di riconoscere nella poca loquacità di
Sawamura e nel modo in cui tiene gli occhi bassi la presenza di qualcosa che
gli dà da pensare. Non azzarda a dire “lo
turba”, perché non è sicuro sia proprio quello il sentimento predominante.
In ogni caso, non è a lui che tocca incalzarlo.
Haruichi riempie il loro silenzio con domande o commenti di natura semplice,
perché è tipico di lui mettere a proprio agio gli altri lasciando che scelgano
da soli il momento in cui parlare o se vogliono farlo; forse quella sua
capacità innata è persino stata coltivata da quando è diventato capitano della
squadra, sebbene oramai il tempo per il club scolastico sia agli sgoccioli e il
nuovo capitano sia già stato designato. Alterna lo sguardo da lui a Eijun, con
la scusa di portare una mano ad appropriarsi di un biscotto, non troppo
distante dal suo pari ruolo. L’altro sta replicando a una domanda di Kominato
che lui si è invece perso per strada, quando si blocca a metà della frase, un
biscotto a mezz’aria e l’espressione contrita. Furuya riconosce il segno, nel
linguaggio del corpo di Sawamura, che preannuncia l’equivalente della rottura
di una diga; un attimo dopo, la voce di Eijun esprime una sola domanda: «Non
avrei dovuto chiedere cos’è successo?»
Tocca a Satoru aggrottare le sopracciglia senza capire, scambiare uno sguardo
perplesso con Haruichi, e lasciare a quest’ultimo il compito di decifrare
quell’uscita che non si collega affatto al discorso affrontato fino a un
momento prima – a meno che Eijun non stia disquisendo sul fatto di aver chiesto
qualcosa a una marca di ramen
precotto.
«Di che parli, Eijun?» è la legittima domanda a cui dà voce Haruichi, e Furuya
si limita a mordere un biscotto e a guardarli. Osserva Eijun, più che Kominato,
e cerca di estrapolare dalla sua espressione quanto può prima che lui parli.
Sawamura non è una persona riservata, perciò già il fatto che ponderi tanto
prima di rispondere anziché lanciarsi in un’invettiva contro qualunque cosa lo
disturbi è strano; Satoru ha imparato ad apprezzare in silenzio il fatto che
l’altro riesca a essere tanto trasparente nei suoi sentimenti, probabilmente
perché lui non è in grado di farlo nemmeno in minima parte se non per ciò che
concerne il baseball. È determinato, certo, e ambizioso nell’ambito sportivo ma
tutto ciò che esula da quest’ultimo gli è difficile da esprimere e non solo per
il bisogno di trovare le parole giuste per farlo. Certo, preferirebbe ancora un
Sawamura in grado di regolare il tono della propria voce, ma quella è un’altra
questione.
«Eijun» il richiamo di Haruichi risveglia anche lo stesso Furuya dai propri
pensieri «è successo qualcosa con Miyuki-san?» domanda a bruciapelo, con quella
schiettezza cortese ma decisa che è parte di lui. Satoru sa che nel loro trio
Haruichi è sempre stato considerato il più incline all’osservazione, ma in
verità è abbastanza certo che pur se in modi diversi quella qualità sia propria
di entrambi; l’unica differenza è il modo in cui Kominato la mette in pratica,
ossia riuscendo a dare una mano senza risultare impiccione o spesso senza che
nemmeno ci si accorga dell’aiuto che fornisce, quasi come un’eterna comparsa
messa vicino a un brillante protagonista che ruba la scena. Per quanto riguarda
lui, Satoru preferisce osservare e fare tesoro della maggior parte delle cose
che vede, risparmiandosi spesso domande a cui non ha davvero voglia di dare
voce o la cui risposta potrebbe non essere il modo migliore per finire la
giornata. Conosce meglio di molti altri il bisogno di mantenere i propri
segreti e, ancor più di quello, di far sì che gli altri non sospettino nemmeno
la presenza degli stessi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di cose di
poco conto, comunque. Però è facile riconoscere lo stesso bisogno nello sguardo
di Eijun e nel suo modo di indugiare senza guardare Haruichi.
Alla fine lo vede annuire.
«È complicato.» inizia Sawamura e quello desta l’attenzione di Satoru «E sono
cose private di Miyuki…» ammette, il che fornisce più
spiegazioni di quante ne servano in realtà. Furuya non finirà mai di stupirsi
in merito a quanto Eijun diventi bravo a mantenere i segreti degli altri,
quando a guardarlo nella quotidianità si sarebbe legittimati a credere che non
sia capace neanche di tenere per sé le cose più imbarazzanti della sua vita.
Non lo ha mai pensato con cattiveria, Satoru, solo che insomma: Eijun è così
chiaro nei suoi sentimenti da risultare per nulla credibile quando mente e troppo
nervoso quando cerca – senza risultato – di nasconderti qualcosa; non è proprio
la prima persona a cui Satoru penserebbe se dovesse affidare a qualcuno
un’informazione da non divulgare per un motivo o per l’altro. Tende a
dimenticare quanto Eijun sia testardo e attaccato al concetto stesso di
amicizia, per cui ogni parola di troppo sulle questioni private di un’altra
persona è per lui il tradimento peggiore che si potrebbe rivolgere a qualcuno,
con ogni probabilità.
Encomiabile, ma anche di una stupidità infantile e buffa.
«È stato insieme a Narumiya.» si lascia scappare alla fine, con un sospiro così
grande che a Furuya sembra quasi di vederlo afflosciarsi su se stesso. Haruichi
di suo non sembra sorpreso, più rassegnato di fronte alla dimostrazione di avere
ragione in merito a qualcosa di già intuito o fiutato. Sebbene Satoru non abbia
idea di come potesse aver indovinato la relazione di una persona che non
conosce con una che conosce a malapena perché all’università con suo fratello
maggiore, intuisce come l’altro si fosse augurato di avere torto o che almeno
la verità non arrivasse alle orecchie di Eijun. Non dice nulla, né fa gesti
particolari, in un tacito incoraggiamento a continuare rivolto all’amico;
Sawamura non ha bisogno di altro: «Pensavo andasse bene chiedere. Insomma, gli
avevo raccontato di aver visto con te la sua esibizione e lui non aveva detto
niente. Pensavo che magari fosse perché non tutti parlano dei propri ex a
quelli con cui stanno.» ammette.
Furuya non si sente di rendere noto ad alta voce il suo pensiero, ossia che per
il poco tempo passato a osservare Miyuki Kazuya l’altro non gli sia sembrato il
tipo da avere un’accortezza simile e che, se deve indovinare un motivo per cui
potrebbe nascondere la passata relazione con qualcuno è per riservatezza nella
migliore delle ipotesi. Decide di non voler indagare sulla peggiore.
«Ma poi abbiamo discusso, e ci siamo trovati al ristorante dove lavora Youichi-san, e mentre tornavamo a casa abbiamo incontrato Narumiya…» continua a raccontare Eijun, il viso sempre più
contrito mentre gli occhi ambrati scrutano la parte in legno del kotatsu come se dovesse farci dei fori
da parte a parte. Se non sembrasse così impensierito dalla situazione, Furuya
troverebbe quasi divertente il modo in cui l’altro affretta le sue spiegazioni
rimanendo sul vago quando, per un motivo o per l’altro, non è in grado di
fornire dettagli. Haruichi invece si sistema meglio, seduto al suo fianco – e
dal lato opposto a quello dove sta Satoru – lasciando trapelare dal linguaggio
del proprio corpo come non abbia intenzione di forzare Eijun ad aggiungere
niente più di quanto sia già disposto a dire e al tempo stesso sia pronto ad
ascoltare, di qualunque cosa si tratti.
Satoru non assume posizioni particolari, perché ha imparato come Eijun non ne
abbia bisogno: l’altro ricerca la sicurezza in Haruichi, non in lui; in parte è
come se desse per scontato il suo silenzio, in un modo buono e che una volta
compreso ha fatto sentire Furuya persino lusingato in un certo senso. Non se lo
sono mai detti a parole, e suppone non se lo diranno mai, ma immagina che abbia
sempre significato fiducia.
«Eijun, se non puoi parlarne è giusto tu non lo faccia.» pronuncia Haruichi, il
tono morbido e una mano che va a compiere con delicatezza il gesto di posarsi
sulla schiena dell’amico, passandola su e giù come si farebbe con un bambino
per fargli passare la paura. Quel fare così semplice e affettuoso ha il potere
di cambiare lo sguardo di Eijun – Furuya lo vede prendere più coraggio, tornare
deciso e poi scuotere la testa: «Hanno avuto dei problemi tra loro.» dice, e
per quanto possa sembrare un’affermazione scontata parlando di due persone che
si sono lasciate, sia Satoru che Haruichi comprendono come quello sia il modo
di Sawamura di fargli capire che non dirà niente più di quello in merito.
Rispettano entrambi la cosa, e lo dimostrano non facendo alcuna domanda. È così
ovvio quanto quello metta Eijun a proprio agio da far chiedere a Furuya se lui
sia diventato improvvisamente empatico o se abbia solo imparato a conoscere
Sawamura più di quanto ammetterebbero entrambi. C’è un imbarazzo di fondo nel
sapersi conscio che si tratti della seconda opzione.
«E non lo so, penso… è un tipo di cosa che potrebbe
succedere anche con me. Oppure penso “quindi a parte questo problema, andava
tutto bene?”, e se quel problema non ci fosse più…
insomma. Miyuki potrebbe—»
«Eijun,» lo interrompe Haruichi «non posso vantare una grande conoscenza di
Miyuki-san. Ma se posso darti un parere, non penso tu debba preoccuparti di una
eventualità del genere. Ora vuole stare con te, e questo…
problema, di cui parli, non si è ancora presentato. Potrete preoccuparvene
insieme, se succederà, e nel frattempo dovresti
solamente impegnarti perché non accada.» conclude, il suo punto di vista chiaro
e rassicurante. In effetti non è da Sawamura fasciarsi la testa prima del
tempo, e dal canto suo Satoru non pensa di dover davvero aggiungere qualcosa a
quanto detto da Haruichi.
La quotidianità di Furuya, d’altronde, non è mai stata costellata di molte
presenze a lui coetanee; finché ha vissuto in Hokkaido, la compagnia preferita
è sempre stata quella di suo nonno, silenzioso e austero nella sua gentilezza,
simile a quei fiori che contro ogni aspettativa sbocciavano proprio in
concomitanza con lo scioglimento delle neve. Agli occhi degli estranei suo
nonno poteva sembrare scostante e freddo, incapace di gesti d’affetto, ma
Satoru si è sempre sentito amato e protetto; di contro, sono sempre stati così
simili da andare d’accordo in maniera perfetta e naturale.
È stato incredibile arrivare lì a Tokyo e ritrovarsi nella squadra Eijun, la
cui indole è accostabile all’immagine del sole e dell’estate, una luce
accecante e un calore quasi insopportabile – e quando Satoru ha vissuto per la
prima volta la calura dell’estate di quella città ha pensato il paragone fosse
ancora più calzante. Il confronto con Sawamura è sempre stato inevitabile, come
succede già tra compagni di classe e non fa che peggiorare quando si è compagni
di squadra, pari ruolo, e si finisce persino a fare gruppo. Anche se in modo
poco convenzionale, visto che al loro primo anno forse nessuno dei due lo
voleva né lo riteneva possibile.
Molte sconfitte e due infortuni dopo – uno per parte – le cose vanno meglio,
sono più naturali. È ancora abbastanza sicuro che chiunque li veda per la prima
volta insieme non penserebbe mai a loro come amici, e forse tra loro manca
ancora quel qualcosa che gli permetta di esserlo nel modo in cui lo sono Eijun
e Haruichi; ma è molto, molto più di quanto Satoru abbia mai avuto. Gli sta
bene essere lì in silenzio, gli va bene che Sawamura non si aspetti da lui un
conforto simile a quello offerto da Kominato, è persino grato che non si aspetti da lui qualcosa più di quanto lui potrebbe
dare perché sentirebbe addosso ancora una volta il fastidioso senso di
inadeguatezza che il baseball lo ha aiutato a lasciar scivolare via, relegato
in un angolo della sua testa e dimenticato per la maggior parte del tempo.
Gli va bene che Eijun non parli con lui di tutti i suoi segreti. Sa meglio di
molti altri quanto pesino quelli altrui.
«Lo so.» pronuncia Sawamura, rivolgendosi ad Haruichi più che a lui «Non è che
poi mi pesi evitare di finire nella stessa situazione. Insomma, è a posto. Anche
se io dovessi… ecco, comunque, vorrei solo che non
fosse così complicato farglielo capire.» sbotta, il principio di un broncio sul
suo viso.
Satoru non sa perché gli venga spontaneo aprire bocca, specie perché Eijun non
ha detto nulla di così terribile; quando lo fa – gli occhi sulla tazza di tè
che non ha ancora toccato – ha il tono di sempre, l’inflessione di sempre,
eppure c’è un’urgenza che è tutta nella sua testa e gli fa avvertire quella
punta di disagio lì in mezzo al petto: «“Se tu dovessi”, qualunque cosa sia»
pronuncia, rubando le parole dello stesso Eijun «allora dovresti.» ed è conscio che suoni senza senso, ma quando alza lo
sguardo sull’altro e gli occhi di Eijun instaurano un contatto visivo, lo vede
sussultare. Non sa immaginare che espressione abbia assunto contro la propria
volontà, ma persinoHaruichi sembra
in qualche modo sorpreso, anche se con più discrezione.
«Non so cos’abbia Miyuki-san.» riprende, sull’onda di una partecipazione
sentita «Ma di certe cose si parla. Non si fa finta di niente. Altrimenti che
senso ha?» domanda, e il suo suona come l’interrogativo innocente di chi non
sa, di chi non conosce la portata della situazione su cui sta mettendo bocca.
Eijun sembra ancora troppo stupito per dirgli di farsi i fatti suoi – cosa che
Satoru ha la sensazione non direbbe comunque, perché se non avesse voluto
condividere la cosa non gliene avrebbe parlato fin dall’inizio – e continua a
guardarlo per una manciata di secondi prima di chiudere la bocca e annuire,
confuso.
Satoru abbassa gli occhi, torna a guardare la tazza e la prende tra le mani.
Si sente strano, fuori dal suo ruolo di ascoltatore passivo come di una larva
dalla propria crisalide prima che fosse il tempo giusto per uscirne.
Avverte invece con estrema chiarezza la punta di disagio che si espande
silenziosa e letale dentro di lui; si sente ipocrita, ecco cosa.
Miyuki non si aspetta mai la maggior parte di quel che Eijun fa, stupendolo
volta dopo volta come se fosse la cosa più facile da fare. Certo, vederlo
uscire dal proprio appartamento qualche giorno prima a seguito dell’incontro con
Mei è stato diverso della volta ancora precedente, i presupposti e i toni lo
sono stati, e per questo Kazuya aveva dato per scontata l’assenza di una sorta
di vendetta fatta di silenzi o simili.
Da quello a ritrovarsi il messaggio di Eijun che è ancora lì, illuminato sullo
schermo del suo cellulare quasi a farsi beffa della sua persona, ne passa. Le
parole sono chiare, e per quanto Miyuki vorrebbe avere la scusa buona per
sottolineare nella sua risposta come Eijun sia incapace di scrivere senza
sbagliare ideogrammi – anche se l’opzione di burlarsi di lui per il suo
scrivere in hiragana
parole il cui kanji
evidentemente gli sfugge sembra un’alternativa di tutto rispetto – non può. Non
per un’improvvisa coscienza, ma più perché c’è ancora una buona dose di incredulità
che non permette al suo cervello di processare appieno quanto letto.
Inspira, mentre digita la propria risposta e non sa se odiarsi e no per ciò che
scrive e poi invia, né sa cosa aspettarsi; qualcosa in lui sembra preda di
un’innaturale vena di ottimismo, e al tempo stesso gli urla dietro quanto sia
una pessima idea.
L’avviso di messaggio inviato con successo distrugge ogni possibilità di
ripensamento.
“Nel week-end i miei tornano a Nagano.
Ti va di restare a dormire?”
Il silenzio in bus è qualcosa a cui Miyuki non è mai stato abituato.
Mezzi pubblici come quello o la metro sono abbastanza affollati, di solito,
perché un minimo di vociare aleggi senza troppe pretese nei vagoni o nel mezzo
di per sé; certo, forse il fatto che sia un orario particolare del sabato
mattina – non l’ora di punta in cui gli impiegati si muovono da casa per andare
al lavoro, né l’ora di pranzo che vede rientrare le più svariate categorie di
cittadini giapponesi – aiuta a far sì che lui viaggi con pochi occupanti
insieme a lui, come qualche sera prima.
Il tragitto verso casa di Eijun è più abituale di quanto Kazuya stesso voglia o
riesca a credere, diventato familiare come quello che fa per andare
all’università quando ha lezione: non deve più prestare la massima attenzione
per essere sicuro di scendere alla fermata giusta, né controllare la strada percorsa a piedi
per quei pochi minuti di cammino necessari a coprire la distanza tra la fermata
dell’autobus e casa Sawamura. Non si tratta, tuttavia, di una familiarità dal
significato preciso, poiché formatasi prima di qualsiasi dichiarazione, grazie
a incontri settimanali dovuti a un rapporto più simile a quello lavorativo che
non a quello informale tra due persone. È anche in assenza di un vero e proprio
bisogno di guardare dove stia andando che Kazuya ha il tempo di riformulare
nella propria testa il breve scambio di messaggi tra lui ed Eijun, oltre che a
ripercorrere in silenzio gli ultimi scambi tra loro e riscopre così quanto poco
sia portato alle situazioni non chiare, lasciate in sospeso, e come risulti
inesistente in lui una qualsiasi inclinazione al compromesso, di cui finora non
ha mai avuto davvero bisogno.
Si chiede, a pochi passi dall’abitazione dei Sawamura, se dare il proprio
consenso a passare la notte lì da solo con Eijun non sia stata una delle –
sempre più numerose – scelte discutibili dell’ultimo periodo. Aggiustando la
tracolla del borsone usato per portare con sé l’occorrente, ferma i propri
piedi a un paio di passi dall’ingresso dove fa mostra di sé la targhetta con il
cognome della famiglia dell’altro ragazzo; gli è ancora incomprensibile la
natura di quell’invito.
Quando suona il campanello, Eijun si ostina per qualche secondo a far
finta di controllare il cellulare con una nonchalance
che non esiste davvero nella sua persona in quel momento, come se andare ad
aprire non fosse la priorità e come se non avesse fatto altro che passeggiare
avanti e indietro per il corridoio d’ingresso fino a qualche minuto prima. Lo
schermo del tuo telefono gli mostra il messaggio di Haruichi di quella mattina,
un semplice “buona fortuna, Eijun. Andrà
tutto bene” di cui aveva un bisogno smisurato e nel quale, tuttavia, ora
non riesce a credere.
In diciotto anni di vita Eijun può vantare di essersi pentito poche volte delle
cose fatte o delle decisioni prese: certo le ha riconsiderate in parte, ha
riconosciuto di aver gestito male delle situazioni a causa di un carattere
prettamente impulsivo e istintivo, ma non si è mai pentito; non è sicuro di poter ancora vantare la stessa cosa anche
adesso, mentre guarda il citofono come se quello dovesse mangiargli l’orecchio
nel momento stesso in cui lo avvicinerà per sentire gracchiare dall’altra parte
la voce di Miyuki – in effetti decide di non alzarlo nemmeno e di aprire
direttamente la porta, per guardare e accertarsi si tratti del suo ospite, così
da aprirgli il cancelletto con il pulsante di quel mostro elettronico che si fa
beffe di lui (nella sua testa).
A distanza di un vialetto breve, il viso di Miyuki è rivolto al citofono in
attesa di una risposta che non arriva; non è molto il tempo che concede a Eijun
per osservarlo e cercare di sbirciare la sua espressione prima di ritrovarsi
davanti qualcosa di non meglio identificato a celare buona parte dei pensieri
altrui, qualcosa alla quale si è abituato controvoglia nell’ultimo periodo. Purtroppo,
non vede molto altro oltre alla confusione per una mancata risposta, che si
spiega – lo capisce nel distendersi di qualche ruga d’espressione e delle
sopracciglia aggrottate – quando alzando lo sguardo lo inquadra di rimando.
Eijun gli sorride, sparendo oltre la porta e pigiando il pulsante per aprirgli
il cancelletto e lasciargli libero accesso alla propria casa, e non ci vuole
molto perché Miyuki sia alla porta e varchi la soglia.
La prima cosa che colpisce l’attenzione di Eijun è il borsone dell’altro,
perché troppo abituato a usarne lui stesso per le trasferte con la squadra e
dunque riconoscerne uno simile non è difficile; non reca scritte particolari se
non la marca e, su un lato, la targhetta appena scolorita su cui si riescono
comunque a leggere gli ideogrammi del nome e cognome di Miyuki. Ci si sofferma
poco, perché quasi subito si muove per chiudere la porta e mostrare all’altro
le pantofole per gli ospiti.
«Puoi lasciare il borsone all’ingresso se vuoi, lo portiamo su dopo.» assicura,
certo di non dover fare gli onori di casa come se fosse la prima volta che
l’altro è ospite e conscio di come Miyuki conosca la planimetria della sua
abitazione senza che lui si sprechi a illustrargliela – cosa che rende più
strano di quanto avrebbe creduto il trovare un valido argomento di
conversazione.
Forse invitare Miyuki dopo gli ultimi incontri che hanno avuto non è stata una
grande idea; com’è ovvio, lui ci pensa quando ètroppo tardi.
Kazuya ai suoi occhi non sembra granché agitato, ma quello non è poi molto
indicativo visto che non è comunque uno stato d’animo tipico dell’altro nemmeno
in condizioni normali. Lo osserva posare il borsone lì come indicato, privarsi
delle scarpe nel genkan e inforcare
le pantofole come ha fatto altre volte, ogni settimana durante la sua
preparazione agli esami di ammissione. Lo nota guardarsi intorno per qualche
istante, ed Eijun non riesce a indovinare di cosa l’altro stia cercando di
sincerarsi – forse della reale assenza o meno di altri membri della famiglia
Sawamura. Sembra prendere coscienza della situazione in breve tempo, però,
considerando come si volti a guardarlo come se nulla fosse.
«Dove sono andati i tuoi?» è la domanda posta da Miyuki, ed Eijun non ne è
sicuro ma suppone l’altro stia cercando di rompere il ghiaccio in qualche modo.
Decide che guidarlo in salotto, tanto per cominciare, può essere una buona
idea: «A Nagano.» replica distratto, ma uno sbuffo divertito da parte
dell’altro lo fa voltare di nuovo in sua direzione dopo appena due passi.
«Sì» osserva Miyuki «quello me lo avevi scritto per messaggio. Intendevo dove,
a Nagano.» aggiunge con una sottile presa in giro insita nel suo tono di voce.
Eijun s’imbroncia senza quasi accorgersene, forse perché è la cosa più naturale
che si è concesso da quando Miyuki ha suonato il citofono: «Non ci stavo
pensando.» bofonchia «Comunque una cugina di sposa. Una cugina di secondo
grado, credo, cioè è la figlia della cugina di mia madre…
o qualcosa del genere.» replica, abbastanza confuso anche lui sulla parentela.
«E tu sei stato esonerato dal partecipare?»
«No, ma insomma, i pochi parenti della mia età sono rimasti tutti a casa per il
periodo di ammissioni all’università o per non perdere giorni di scuola e quindi…» aggiunge, lasciando cadere la frase senza il bisogno
di una reale conclusione per intuire il resto. In salotto gli fa cenno di
sedersi dove preferisce, l’arredamento occidentale della casa che offre come
opzione il divano o la poltroncina dove si sistema di solito suo nonno; con la
coda dell’occhio Eijun lo vede optare per il primo e dunque si muove verso la
tv poco distante, recuperandone il telecomando e voltandosi verso Miyuki,
l’aria decisa a non lasciare che la loro ultima conversazione renda quel
week-end invivibile.
«Film o videogioco?» domanda a bruciapelo, come se un’altra opzione al di fuori
di quelle due non fosse contemplata – e in effetti non lo è: l’orologio indica
un orario ancora poco indicato a preoccuparsi della cena, che dal suo punto di
vista sarà ordinata al suo ristorante di fiducia, perché non ha nessuna
intenzione di permettere a Miyuki di prendersi gioco dei suoi tentativi di
cucina.
«Sawamura.»
«Non ti farò scegliere qualcosa che non sia una delle due opzioni che—»
«Cosa vuoi mangiare per cena?»
«…pensavo di ordinare» inizia, ma il lieve sospiro di
Miyuki e la sua espressione da “lo sapevo”
lo fanno tacere prima di poter concludere la frase. Sente i muscoli del proprio
viso contrarsi in un’espressione indispettita e sta già prendendo aria nei
polmoni al fine di rifilargli una filippica su quanto potrebbe rendersi più
apprezzabile dell’aculeo di un riccio piantato al centro del piede in maniera
piuttosto dolorosa, quando l’altro si salva in corner con un: «Se il tuo frigo
non è del tutto vuoto, posso cucinare io.» afferma, lasciando Eijun del tutto
spiazzato e senza dargli il tempo di chiedere granché, vista l’aggiunta di un
semplice «Un film andrà bene. Non potrei mai privare Kuramochi della gioia di
batterti ai videogame.»
La scelta del film da vedere li impegna per ben dieci minuti, in cui appare
evidente come non siano per nulla accomunati da gusti cinematografici simili e
alla fine dei quali Eijun decide che il modo migliore di scegliere è affidarsi
alla casualità. Impiegano altri dieci minuti a portare dalla stanza di Eijun al
salotto il portatile del padrone di casa, attaccarlo alla tv e tirar fuori un
buon sito di film in streaming. Miyuki teme il peggio quando, sbirciando sullo
schermo, vede l’altro aprire la lista dei titoli, chiudere gli occhi e tenere
pigiato il tasto che fa scorrere la lista: quando lo ferma, il titolo che la
schermata gli rimanda è quello di un film di sicuro appartenente al genere
romantico. Lasciano passare qualche momento, per dare tempo allo streaming di
caricarsi, e in quel frangente Eijun recupera dalla cucina da bere e qualche
stuzzichino; poco dopo fa partire il film, lo schermo ampio della televisione
che cattura la loro attenzione quando sono entrambi accomodati sul divano.
Dura pressoché due ore e la cosa che stupisce di più Miyuki non ha nulla a che
vedere con la pellicola. Lo sforzo per non ridere è quasi disumano.
«Smetti di fare quella faccia, lo so che stai ridendo di me!» sbraita Eijun e
Miyuki si chiede come possa aver sperato di vederlo impassibile quando a un
certo punto, nel mezzo del film, ha sentito tirare su con il naso al proprio
fianco e voltandosi – non senza una certa incredulità – si è ritrovato davanti
un Sawamura in lacrime che: «No, Riko-chan non ti
arrendere!»
Non pensa esista qualcuno in grado di non ridere di fronte a una scena simile.
Si sente superiore a qualsiasi essere umano per una manciata di secondi, anche
se ora lascia scappare uno sbuffo divertito che si tramuta presto in risata. In
risposta, Eijun gli dà una spallata per poi soffiarsi il naso e pronunciare
nello stesso momento un: «Non è colpa mia se tu sei arido dentro, va bene?!»
«Hai ragione, ma la tua anima di fanciulla delicata è stata una sorpresa.» lo
prende in giro, e fa appena in tempo a ripararsi da una cuscinata. A dire il
vero non si aspettava un’atmosfera così tranquilla e giocosa – non ci sperava,
più che altro. La preferisce di gran lunga agli interminabili silenzi pieni di
domande inespresse e di risposte negate, a cui si è aggiunta l’ombra di una
terza persona che sperava di non sovrapporre mai a nessun altro; per fortuna,
senza neanche farlo di proposito suppone, Eijun riesce a mostrargli quanto poco
ci sia in comune tra lui e Mei e quella presenza di fa meno pressante.
A volte Miyuki si chiede se sparirà mai del tutto come finge sia già avvenuto da
tempo.
«Andiamo,» pronuncia con un mezzo sorriso, interrompendo la furia vendicativa
di Eijun che si ferma con il cuscino sollevato e pronto a colpire,
sull’espressione l’indecisione tra l’assestargli un altro colpo o mostrarsi
misericordioso: «ti faccio l’onore di preparare la cena.» ironizza Miyuki e
tanto sembra bastare a far prendere all’altro una decisione – la comunica il
suo stomaco, brontolando.
Ricorda dove si trova la cucina di Sawamura, ma si lascia comunque guidare, più
per educazione che non per reale bisogno. Di certo, una volta dentro, vi si
muove in maniera diversa: la prima volta è stato lì da osservatore, da ospite,
guardando Eijun e sua madre interagire; ora cerca con lo sguardo gli utensili
in vista, prova a indovinare cosa nasconda ogni sportello secondo un
posizionamento di solito comune a un po’ tutti gli spazi dediti alla
preparazione dei pasti. Appeso in vista nota quasi subito il grembiule e se ne
appropria, indossandolo nella semplicità della stoffa blu: gli ci vuole un po’
giusto per le pentole, abituato ad averle nei ripiani alti e trovandole invece
in quelli bassi, grazie a uno spazio di certo maggiore di quello offerto
dall’angolo cottura del suo appartamento. Eijun dapprima gli gironzola intorno
incerto, forse con l’intento di essere vicino qualora servisse il suo aiuto –
ed è così, dal momento che Kazuya non vuole frugare in casa d’altri per trovare
gli ingredienti – ma una volta trovato tutto il necessario, lo fa sedere. Non
dura molto, giusto il tempo di preparare le prime cose e mettere una delle
padelle sul fuoco che Eijun è di nuovo in piedi. Con la coda dell’occhio lo
vede cercare di mantenere una distanza tale da non essergli d’intralcio, anche
se a tratti la curiosità vince e Miyuki se lo ritrova a pochi passi.
«Quando hai imparato a cucinare?» domanda Eijun, sorprendendolo un po’ in
effetti.
«Da piccolo, per le cose semplici. Mio padre lavorava tutto il giorno, così
quando tornavo a casa mi facevo il pranzo da solo.» spiega, assicurandosi di
non tagliarsi mentre il rumore ritmico del coltello contro il tagliere riempie
l’aria e fa da sottofondo mentre parla «E mi piace, quindi ho continuato. Poi
vivendo da solo non potevo affidarmi solo al cibo da conbini.» aggiunge, con un mezzo
sorriso e un’occhiata veloce a Eijun; quando ne vede il broncio capisce che
l’altro ha colto il sottile riferimento alle sue intenzioni per la cena di
quella sera prima che Miyuki prendesse il controllo della cosa.
«Non penso di essere bravo come tua madre,» continua Kazuya «ma posso garantire
lo stesso sul sapore.»
Eijun a un certo punto si offre di apparecchiare, o meglio ancora inizia a
muoversi per prendere l’occorrente senza davvero comunicarglielo. Kazuya si
volta a guardarlo per momenti brevi, così da non distogliere troppo a lungo
l’attenzione dalla cena quasi pronta, ma non può fare a meno di notare come sia
strano e al tempo stesso familiare in un modo bizzarro come Eijun si sposti
nella stanza, e lui si sposti per permettergli di prendere questo o
quell’oggetto quasi condividessero spesso gli stessi spazi. Durante la
preparazione, come anche mentre mangiano, non una sola volta Sawamura gli
domanda perché non fosse sua madre a occuparsi del pranzo.
Gliene è grato.
Il dopocena è passato inaspettatamente veloce: Eijun ha insistito per
lavare i piatti, e quando Miyuki si è offerto di aiutarlo lo ha costretto a
sedersi – «Sei ospite, che padrone di
casa sarei se ti facessi fare anche questo?» – dandogli modo di osservarlo,
sebbene sia sicuro l’altro non ci abbia neanche pensato. Kazuya si è ben
guardato dal farglielo notare, approfittandone, e dopo quella parentesi così
casalinga hanno trovato di nuovo posto sul divano. Se l’idea iniziale è stata
scorrere i canali della televisione alla ricerca di qualcosa di decente da
vedere, il proposito si è perso quasi subito: è stato strano ritrovarsi a
parlare, lasciando il programma in corso come semplice ronzio di sottofondo, ma
non una brutta cosa. Miyuki ha sentito di apprezzare più di quanto avrebbe mai
pensato la normalità della loro conversazione – baseball, idee sul futuro,
qualche aneddoto dei tempi del liceo con Kuramochi, tutt’altro che lontani.
Decidono di spostarsi quando i piedi di entrambi stanno iniziando a gelarsi, lì
sul divano e fermi nella stessa posizione; a Miyuki viene offerto di nuovo di
usare il bagno per primo e non fa storie, recuperando dal proprio borsone
l’occorrente per cambiarsi, Eijun che da metà scala pronuncia un «Gli
asciugamani sono già in bagno!» continuando a salire. Kazuya si prende il suo tempo,
non tanto per cambiarsi, quanto per darne anche a Eijun: sa di essere stato
esplicito nelle ultime occasioni in cui hanno affrontato argomenti che avrebbe
preferito tenere per sé ancora per un po’, ma la sensazione di essere da solo
con Eijun in casa è comunque lì, presente. In modo diverso da come lo sarebbe
se Sawamura fosse una ragazza, e ancora diverso da come sarebbe se Miyuki non
gli avesse apertamente detto che non ha intenzione di avere con lui alcun tipo
di esperienza sessuale.Per quanto
Eijun abbia dichiarato più di una volta come la cosa gli vada bene, il dubbio e
il sospetto sono annidati lì da qualche parte e Kazuya vorrebbe davvero, davvero liberarsene senza fare un torto
al più giovane ma è più forte di lui.
Certo la situazione prende una piega del tutto inaspettata quando, abbandonato
il bagno e raggiunta la stanza di Eijun, nel varcarne la soglia lo trova
intento a sistemare il futon a terra
come l’ultima volta. Peccato il loro rapporto sia in qualche modo diverso da
allora, al punto che vedere quel materasso per gli ospiti lo porta a sorridere
prima e a sbuffare divertito poi: non sa se Sawamura voglia mostrargli così la
sua determinazione a non chiedergli nulla di più di quanto Miyuki si sia detto
pronto a dare o se si tratti di una manovra data dal nervosismo e dal non
sapere cosa fare. Fatto sta che lo fa sentire molto meglio di quanto Eijun
stesso si renda conto, forse.
«E quello?» lo interroga, con una nota divertita nel tono che cerca di celare.
Eijun guarda con insistenza il proprio operato, come se fosse quello a dovergli
suggerire la risposta.
«Beh, ho pensato…» borbotta, alzando gli occhi su di
lui e indicandogli il futon come si
farebbe con l’uscita, rivolti a una persona importante: «Prego, Miyuki-senpai!» esclama Eijun e quello sì, lo fa ridere. A
giudicare dall’espressione di Sawamura deve essere la prima volta che ride
apertamente in quel modo, con lui, perché quando gli presta di nuovo attenzione
l’espressione dell’altro è stupita, la bocca un poco aperta, incapace di contenere
la sorpresa tanto da non lasciare alcuno spazio a un broncio o a un’offesa.
Miyuki avvicina l’indice all’angolo del proprio occhio, asciugando un accenno
di lacrima per la risata scemata: «Sul serio? Non mi hai mai chiamato senpai da
quando ti ho fatto notare che sarebbe stato il caso.» sottolinea, vedendolo
assumere un’aria imbarazzata che di certo potrebbe celare, se non fosse così
trasparente nelle proprie emozioni.
«Potresti anche non ridere in quel modo per una cosa così.» lo sente borbottare
e sospira, muovendosi verso di lui. Ci vuole poco a passargli un braccio
attorno alle spalle, nonostante la posizione di Eijun non renda il movimento
del tutto fluido, per poi trascinarlo di pochi passi fino al letto. Si siede, e
spinge l’altro a fare lo stesso per inerzia del proprio spostamento, niente di
più; lascia andare Eijun, ma si lascia anche cadere sdraiato sul materasso
visto che la propria posizione – leggermente di sbieco rispetto al letto –
glielo permette senza che ci sia il rischio di finire a dare una testata contro
il muro. Sente lo sguardo dell’altro su di sé, ma non si mette fretta nello
stabilire un contatto visivo tra loro. Quando lo fa trova Eijun a guardarlo, la
fronte un poco aggrottata, di certo confuso; Kazuya si muove, si sistema su un
fianco e con una mano dà un paio di pacche leggere al materasso in un invito
eloquente. Eijun sembra un po’ un animale sulla difensiva mentre, con più
lentezza di quanta lo animerebbe di solito, si libera delle pantofole ai propri
piedi e si stende. Il risultato è una posizione del tutto innaturale, con
Sawamura supino e intento a fissare con insistenza il soffitto. Lo sbuffo
divertito è qualcosa che Kazuya non riesce a risparmiare tanto a se stesso
quanto all’altro, ma è qualcosa di breve, non si trasforma in una risata e lui
si muove a propria volta, imitando l’altro nella scelta della sua medesima
posizione. Un po’ come se guardassero lo stelle, peccato che tutto ciò su cui
possono posare gli occhi siano le venature del legno.
Il silenzio, a metà fra uno scomodo e pregno di disagio e uno naturale, riempie
la stanza di Eijun per un tempo lungo abbastanza da rendere plausibile
l’essersi addormentati, se solo entrambi non si lanciassero di tanto in tanto
un’occhiata discreta. Alla fine, Miyuki è conscio di non poter lasciare sempre
che dell’inizio dei loro discorsi si occupi Sawamura: «Dormire insieme non è un
problema.» è il modo in cui articola il suo pensiero, molto più complesso di
quanto quella semplice frase possa esprimere, ma non aggiunge altro e lascia
invece che la propria affermazione aleggi tra loro. Per quel che può vedere, il
corpo accanto al suo non si irrigidisce né sussulta, così prosegue quando si
potrebbe credere il discorso sia nato e morto in una sola frase: «In verità
poche cose possono diventarlo. Un problema, intendo.» chiarisce. Non è così
facile, soprattutto perché ha affrontato una sola volta quel tipo di discorso e
con toni molto diversi, tanto che sovrapporre le due situazioni è pressoché
impossibile. Ciò non gli impedisce di avere, nitida e precisa in un angolo
della propria mente, un’immagine fatta più di suoni che non di volti, di voci
dai toni troppo alti, di tentativi di comprendere e farsi comprendere falliti
in maniera totale.
È la mano di Eijun a distrarlo, sfiorando incerto la sua un paio di volte prima
che le dita si intreccino con quelle di Kazuya, portandolo ad abbassare appena
lo sguardo per cercare conferma visiva del gesto; torna quasi subito a guardare
Sawamura, però, notandone un’espressione confusa, più che preoccupata. Prima
che possa chiedere qualcosa, lo sente muovere i piedi per spingere più verso la
fine del letto le coperte già sistemate in precedenza perché lo accogliessero,
e con una manovra buffa – e piuttosto sgraziata, a essere sinceri – vi infila i
piedi sotto e smuove il tutto abbastanza perché gli basti allungare una mano
per arrivare a recuperarle. Miyuki non capisce per quale motivo Eijun non apra
bocca, lui che a volte sembra faticare a tenerla chiusa, compreso in quel
momento mentre lo guarda come a suggerirgli solo con gli occhi di imitarlo,
cosicché possa coprire entrambi. La stanza è calda, ma in effetti il clima
esterno non permette ancora di stare scoperti a lungo senza risentirne; perciò
Kazuya si muove a sua volta e infine sembrano aver esaurito le sistemazioni da
fare e con cui occupare il tempo.
Se ne accorge anche Sawamura.
«Voglio sapere cosa può diventare un problema.» ammette, e lo fa senza
preavviso come quando si sgancia una bomba, in pratica – il che è applicabile a
buona parte delle azioni altrui a ben pensarci. Miyuki lo vede mettersi su un
fianco per poterlo guardare in viso, e a quel punto sa di non poter in alcun
modo evitare di rispondere. Ma, si dice, se avesse voluto farlo non si sarebbe
neanche avvicinato a Eijun, limitandosi a occupare il futon a terra e a fingersi troppo stanco per qualunque cosa.
«Di sicuro, non il tenersi per mano.» fa notare, più per rompere la tensione
che non per prenderlo in giro. È la sua attività preferita: è convinto del
fatto che nulla sia più divertente di buona parte delle espressioni dell’altro
quando è oggetto di una presa in giro bonaria, ma sa riconoscere il momento in
cui può permettersi di scherzare e quando è invece opportuno essere seri. Forse
lo percepisce anche Eijun,il suo
intento, giacché non ci sono insulti ma si limita a guardarlo in attesa di
qualcosa che sembra certo stia per arrivare. Miyuki sospira, e in quel momento
sente la mano del ragazzo steso lì con lui stringere un poco di più la sua, e
il suo pollice sfiorarne con movimenti circolari il dorso. Se lo faccia con
l’intento di calmarlo o per puro riflesso Kazuya non lo sa, ma c’è un piccolo
incoraggiamento che riesce a fare suo e lascia scivolare un respiro trattenuto
per metà fra le labbra, muovendosi piano e avvicinando il viso a quello di
Eijun. Arriva vicino abbastanza da sfregare la punta del proprio naso contro
quello altrui, e anche se la posizione non è delle migliori – perché la troppa
vicinanza gli causa un fastidio leggero a causa degli occhiali – non socchiude gli
occhi, ritenendo importante mantenere vivo il contatto visivo. Sente Sawamura
irrigidirsi più per la sorpresa che non per il fastidio, e le labbra gli si
incurvano in un sorriso accennato notando il viso di Eijun assumere un rossore
leggero ma inequivocabile.
Il modo in cui gli sfiora la bocca con la propria in un primo tentativo è
talmente casto da sembrare goffo, e somiglia più all’accenno di un gesto che
non al gesto in sé; è un contatto così lieve da fargli percepire a stento se
anche le labbra di Sawamura siano screpolate o secche quanto le proprie. Non
chiude gli occhi, nell’avvicinarsi tanto seppure per pochi istanti, né la prima
volta né quando ripete la stessa azione una seconda e una terza, soffermandosi
appena di più quasi tastando il terreno. La sorpresa di Eijun si traduce in un
respiro trattenuto e lasciato andare lentamente, a piccole dosi, il timore –
appena percepibile eppure così evidente – che anche un dettaglio minuscolo come
quello potrebbe spezzare il loro delicato equilibrio.
È diverso da qualsiasi situazione in cui Miyuki si sia mai trovato, perché
prima di allora i baci sono sempre venuti prima di una spiegazione,
dell’accorgersi da parte del suo partner che qualcosa stonava, in un certo
senso. Eijun è la prima persona a sapere dall’inizio che un bacio non porterà
mai al sesso, ed è lì, a dosare quella sua indole un po’ irruenta che non è mai
mossa da cattive intenzioni perché timoroso di fare la cosa sbagliata. Lo
confonde più di quanto creda, di certo, e Kazuya stesso non saprebbe dire se si
tratti di una confusione gradita o che lo spaventa, portato al pensiero
pessimistico più che a quello ottimistico, se deve essere sincero con se
stesso.
Lo guarda, notando come Sawamura abbia chiuso gli occhi appena lui si è
avvicinato palesando le proprie intenzioni e non li abbia più aperti; vede le
sue sopracciglia un poco aggrottate, in un modo che lo fa sembrare buffo, ma
intenerisce anche Kazuya per poco incline che possa essere al
sentimentalismo.Azzera di nuovo la
distanza, ma si sofferma di più sulle sue labbra questa volta e le sente
morbide, tremare impercettibilmente – la cosa lo fa sorridere, sperando Eijun
non si senta preso in giro per una volta in cui non lo è, perché traspare così
tanto il fatto che l’altro sia emozionato da un gesto così semplice che,
ancora, Miyuki si chiede se non stia davvero sbagliando nel concedersi la
debolezza di credere alle parole di Sawamura quando l’altro dice che andrà
bene, che non vuole per forza arrivare a un certo punto con lui. Si domanda di
nuovo se non dovrebbe essere lui, dall’alto della sua esperienza su una cosa
che lo riguarda tanto da vicino, a mettere un freno prima che la cosa sfugga di
mano. Ma Eijun gli sta stringendo la mano, ancora di più, e che sia un invito a
non allontanarsi o un modo di sfogare il nervosismo Kazuya non lo sa, ma pensa
davvero e con ogni buona intenzione possibile che sia in entrambi i casi
qualcosa di positivo.
Forse è proprio per questo che la distanza tra lui e Sawamura, quella emotiva,
sembra sempre diminuire nonostante i suggerimenti della sua razionalità spesso
fuori luogo: Eijun lo porta a pensare che per una volta potrebbe essere una
buona cosa, credere che andrà tutto bene.
E potrebbe fare di più, potrebbe anche approfondire quel bacio – perché l’altro
dopotutto gli ha chiesto cosa possa diventare un problema e cosa no, e quello
decisamente non lo è né lo è mai stato. Sarebbe il modo più veloce ed efficace
di fargli capire come essere asessuale non significhi aver bisogno che l’altra
persona sia sempre preoccupata per ogni gesto o movimento, come non significhi
essere più fragili, più inclini a essere feriti, o traumatizzati dalla vita.
Sarebbe facile, più di un qualsiasi discorso in cui Miyuki non saprebbe da dove
cominciare senza sentirsi un idiota, perché è il tipo di cosa di cui non ha mai
sentito il bisogno di parlare, di affrontare come un’influenza negativa per la
propria esistenza.
Non lo fa, però, per rispetto di Sawamura; tuttavia non affronta nemmeno alcun
discorso con lui, perché la certezza di un silenzio enigmatico lo fa sentire
più sicuro. Perciò gli lascia solo un altro bacio veloce, come se fosse la loro
quotidianità e spera che Eijun ne colga il significato, la sfumatura, e gli
perdoni l’ennesima domanda aggirata.
Quando la mano libera di Sawamura sale a sfiorargli i capelli alla base del
collo, con un movimento impacciato ma che vorrebbe essere rassicurante, sa di
essere stato scusato per ancora una volta – e capisce, con forza improvvisa e
brutale, come non sia mai stato abituato alla cosa.
Chiude gli occhi, e la fronte di Eijun poggia sulla propria, il respiro a
solleticargli il viso.
Mantiene lo sguardo sulla vetrina, con una punta di incertezza e un
accenno di intimo imbarazzo, ma abbastanza sicuro di poter attirare poco
l’attenzione o almeno di farlo per il motivo sbagliato. Averne coscienza in
maniera razionale di certo aiuta ma, di contro, vedere una delle due commesse
all’interno sporgersi verso la collega e sussurrarle qualcosa guardandolo,
prima di ridacchiare entrambe, gli mette addosso un nervosismo che non sa
controllare. Non è la prima volta che gli capita, ma non si è mai abituato: si
sente sotto esame, perché sa di essere “colpevole”.
La boutique che ha davanti è famosa
tra le ragazze della sua età o poco più grandi, ed è da alcune compagne di
classe che ne ha sentito parlare: l’entrata ha delle porte in vetro che
permettono di guardare dentro da fuori e viceversa, e l’interno è luminoso e
arredato con semplicità ed efficienza, in modo da rendere facile trovare i vari
reparti da quel che riesce a vedere da lì. Quando decide di fermarsi come ora
in negozi del genere, si mantiene sempre un poco distante dalla vetrina; ogni
tanto capita che qualche commessa dia l’interpretazione più scontata alla sua
presenza, e lo fa anche quella di questa boutique
dal momento che si prende la briga di andargli incontro uscendo sulla strada e
pronunciando in sua direzione un: «È interessato a qualcosa in particolare?»
Immagina sia una reazione naturale quando qualcuno rimane a lungo davanti alla
vetrina con aria confusa, per quanto la confusione in questione sia dovuta a
tutt’altra cosa rispetto a quella di certo ipotizzata dalla giovane: «Sta
guardando qualcosa per la sua fidanzata?» lo incalza lei e lui sospira, in un
misto discreto tra rassegnazione e sollievo, per poi scuotere la testa.
Sente lo sguardo deluso della commessa su di sé e si stringe nelle spalle,
perché si sente deluso lui stesso anche se per un motivo del tutto diverso. A
fermargli il cuore per un momento, però, è il richiamo che lo raggiunge dopo
neanche una ventina di passi – abbastanza per dissimulare, se non altro.
«Satoru!» è il modo con cui Haruichi attira la sua attenzione prima di posargli
una mano sulla spalla in una pacca leggera, rivolgendogli un sorriso. Satoru si
ferma il tempo necessario a farsi affiancare, prima di avviarsi di nuovo.
Kominato gli cammina vicino, senza fretta, e non parla subito: ha sempre
trovato confortante la sua compagnia, forse perché si trova esattamente a metà
strada tra lui ed Eijun, con i suoi silenzi quando di parole superflue non c’è
bisogno e la sua capacità di mantenere viva la conversazione quando l’imbarazzo
o la poca conoscenza rischiano di farla da padroni. Furuya si ricorda di quando
ha conosciuto Haruichi, un momento del tutto diverso da quello in cui ha
incrociato Eijun sul diamante; ha una memoria piuttosto nitida di Kominato che
viene chiamato durante l’appello il primo giorno di liceo e si alza per una
breve presentazione davanti a tutta la classe, con il suo impaccio palpabile e
il tono non troppo alto ma con un modo chiaro di parlare nonostante quello.
Satoru lo ha seguito con lo sguardo in più occasioni di quante volesse, ma il
motivo è stato chiaro fin dall’inizio: anche oggi, dopo tre anni di convivenza
nella stessa classe e nella stessa squadra, conoscendo i pregi e i difetti di
Haruichi, prova ancora una sottile, bonaria invidia quando lo guarda e non ha
nulla a che vedere con le loro prestazioni sportive o con il ruolo di capitano
della squadra ricoperto dall’altro. Sono diversi nella corporatura, nella massa
muscolare: Haruichi è minuto, con i
suoi quasi venti centimetri di altezza in meno rispetto a Satoru e per quanto
il suo fisico sia modellato dagli anni di attività sportiva proprio come quello
di Furuya, non è difficile immaginare a chi tra loro starebbe meglio un vestito
nello stile di quello adocchiato nella vetrina del negozio che si è lasciato
alle spalle. Lo sa per esperienza, memore degli anni delle medie che ha provato
a cancellare dalla propria testa – e ci ha provato davvero, credendo nella
possibilità di vivere meglio senza ricordare, ma è stato un fallimento su tutta
la linea.
«Credo» pronuncia Haruichi al suo fianco, distogliendolo da quei pensieri «sia
stato importante quello che hai detto a Eijun.» rivela, con un’occhiata di
sbieco più simile a un implicito “grazie” che non a un “sappiamo entrambi di
cosa parliamo”, più sensato se Satoru negasse di aver colto di cosa stiano
parlando. Non risponde subito però. Le parole pronunciate quel pomeriggio gli
sono rimaste nella testa, sembrano sussurrate costantemente al suo orecchio, e
quasi pizzicano sulla punta della lingua come fosse in procinto di pronunciarle
anche ora. Ha attribuito il non riuscire a togliersele dalla mente al fatto di
aver percepito con grande forza e chiarezza quanto ipocrite fossero. Perché è
indubbio, crede in quello che ha detto, pur senza conoscere i dettagli della
situazione tra Eijun e Miyuki – ed è un bene non saperli, giacché è convinto
non saprebbe analizzare con altrettanto distacco la situazione se avesse una
più chiara opinione riguardo chi potrebbe avere ragione o torto, sempre ammesso
che sia una situazione dove attribuire l’una o l’altra cosa sia così semplice.
È convinto si debba rimanere fedeli a se stessi, nel bene e nel male, e per
quanto possa aver compreso negli anni quanto sia vitale anche sapersi adattare
agli ambienti e alle persone ha sempre creduto ci sia un limite preciso oltre
il quale scendere a compromessi significhi cancellare o dimenticare se stessi.
Satoru l’ha provato sulla propria pelle: ha dovuto imparare a non pensare di
essere solo quando giocava una partita, e per lungo e difficile che possa
essere stato il suo percorso per migliorarsi anche in quell’aspetto, è felice
di aver smussato parte del suo carattere eliminando quegli spigoli che non
permettevano a nessuno di avvicinarsi senza esserne colpito nel modo più
sbagliato. Sa quindi come sia importante sapersi bilanciare, piegare la testa
quando necessario senza però calpestare la propria dignità e per questo ha
detto a Eijun quelle parole, perché Sawamura ai suoi occhi è qualcuno capace di
migliorarsi senza mai perdere se stesso, senza mai smettere di essere quello
che è anche quando non è cosciente di esserlo. Non saprebbe immaginarlo come un
animale in gabbia, schiavo del bisogno di una persona; quando ha parlato e ha
cercato di farglielo capire, lo ha fatto mosso da sentimenti sinceri, per
quanto gli sia difficile esprimerli e farli arrivare alla persona interessata.
Non rimpiange il pensiero a cui ha dato voce, ma rimpiange la consapevolezza di
essere stato bravo solo a parole, solo perché riguardava qualcuno che non era
lui – perché quando si guarda allo specchio Satoru vede qualcosa che non gli
piace, qualcosa che non sente di essere e che non potrà mai essere davvero senza arrivare a odiarla eppure è ciò che si
obbliga a mostrare, perché adattarsi è più facile, passare inosservato e non
giudicato è più semplice; perché non importa come lui si senta dentro: il corpo
visto allo specchio all’ultimo anno delle medie era già troppo alto, troppo
muscoloso per poter star bene con abiti come quello delle boutique che guarda furtivamente.
Quello è il corpo di un uomo. Non è affatto sicuro sia qualcosa che potrà
accettare mai.
«Mh.» è l’unica cosa che pronuncia, e non la si può
neanche chiamare davvero “risposta”, ma Haruichi – da quanto riesce a scorgere
sbirciando il suo viso con la coda dell’occhio – sorride, nello stesso modo in
cui lo farebbe se Satoru si fosse prodigato in una replica lunga e articolata.
È abbastanza sicuro che in più di qualche occasione Haruichi si sia reso conto
di essere osservato, ma non glielo ha mai fatto notare, non ha mai mostrato
fastidio e Furuya gliene è grato perché avrebbe di certo causato imbarazzo fra
di loro. Se c’è una cosa che apprezza davvero di cuore è come si sente con
l’altro, il modo in cui Kominato gli trasmette lo stare bene, a proprio agio. È
una sensazione che Satoru ha associato sempre e solo a suo nonno, e ritrovarla
con una persona non della famiglia è stato destabilizzante all’inizio, curioso
con il tempo e ora è piacevole; stare con Haruichi somiglia allo stare avvolto
in una coperta davanti al fuoco, mentre fuori c’è una tormenta di neve che
finirà col ricoprire ogni strada, albero o tetto nelle vicinanze, rendendo
tutto bianco e irriconoscibile e quasi irreale.
«Satoru?» si sente chiamare e allora si concede di voltare completamente la
testa verso l’altro, di abbassare un poco lo sguardo per incontrare il suo: «Anche
tu puoi fare come Eijun, se vuoi.» pronuncia, e in un primo momento Satoru non
fa finta di non capire, è reale la sua espressione confusa a quelle parole e
Haruichi non pare faticare ad accorgersene «Voglio dire che se dovessi avere
qualcosa che ti preoccupa, io ed Eijun saremmo felici di darti una mano.»
chiarisce e a Furuya sembra di percepire con fin troppa chiarezza la punta di
esitazione nella voce dell’altro, la cautela nella scelta delle parole. Ancora
una volta si rende conto di come Haruichi dosi ogni cosa a cui decide di dare
voce dopo riflessioni di un certo spessore e sente di saperlo meglio di molti
altri – non può azzardare a dire “meglio di chiunque altro” ma non importa,
anche così è abbastanza, nel suo piccolo Satoru si sente speciale nel modo più
normale in cui potrebbe sperare di esserlo, così diverso da quello che lo
specchio gli ricorda ogni giorno, per poi suggerirgli con crudezza che in lui
non c’è niente di speciale.
Eppure sa di non poter rimanere in silenzio, percepisce su di sé lo sguardo di
Haruichi e avverte come ci sia in esso l’urgenza di comprendere e insieme a
essa, ben bilanciata, la gentile discrezione con cui evita di metterlo sotto
pressione. Si è accorto a malapena di aver fermato i propri passi portando
l’altro a fare lo stesso, e quando se ne rende conto irrigidisce le spalle e
stringe i pugni lungo i fianchi; si tratta solo di un attimo, però, perché poi
tutto torna a rilassarsi.
«D’accordo.» dice, e in quell’unica parola non c’è la presa di coscienza di
quanto la loro amicizia sia pronta a essergli di supporto, quanto l’ammissione
a non essere pronto a condividere quella parte di sé con nessuno. Suggerisce,
con la paura mascherata da garbo, di non avere intenzione di affrontare quel
discorso.
Non sa leggere negli occhi di Haruichi, quando questi si limita ad annuire,
eppure sente in cuor suo di aver tradito la sua fiducia. Camminare al suo
fianco, all’improvviso, non ha più niente di normale e familiare.
Il film visto da Miyuki e
Sawamura, nel caso qualcuno avesse la voglia e la fantasia di vederlo, è “Kanojowa Uso
o Aishisugiteru”, conosciuto anche come “The Liar and his Lover”.
I conbini/konbini/combini
sono dei mini market giapponesi aperti ventiquattro ore su ventiquattro dove
tra le altre cose è possibile trovare un sacco di cibi precotti o di veloce
consumo.
A lui i cliché non sono mai piaciuti. Fin da ragazzino e per quel che
la memoria gli permette di ricordare anche a distanza di anni, c’è sempre stato
il “qualcosa in più” nel suo voler diventare qualcuno: desiderava essere il super eroe, il dottore, quell’attore
famoso; non gli è mai bastato essere uno tra tanti, perciò non è mai importato
molto che cambiasse idea spesso come tutti i bambini, perché nella varietà
c’era la costante di voler primeggiare. Nei libri letti – non molti, non è
propriamente quel che si definisce un divoratore di romanzi – non è mai
riuscito ad appassionarsi ai protagonisti canonici, come nemmeno ai cattivi o
qualsiasi standard gli venisse presentato davanti e così, per implicita natura,
si è sempre distinto nei modi più diversi.
Quando ha deciso, a sette anni, che sarebbe diventato il pianista aveva ben delineato nella propria mente, per quanto
accecata dall’età infantile, che non sarebbe mai stato quel tipo di musicista
acclamato un giorno e dimenticato quello subito dopo. E ci è riuscito, poco
importa quanto gli altri considerino estremi i suoi comportamenti ai limiti del
paranoico o i suoi piccoli riti a cui non rinuncerebbe neanche sotto tortura
prima di un’esibizione. Per Mei la perfezione si ricava unicamente da altra
perfezione: per questo le sue ore di allenamento sono sempre le stesse,
distribuite con cura minuziosa lungo la giornata – mai di più, e di certo mai
di meno –, i brani per le esibizioni provati fino allo sfinimento ma arrivando
sempre al punto in cui li si padroneggia con la stessa facilità con cui si
respira, senza nemmeno aver bisogno di pensare di doverlo fare. Mei non ha mai dimenticato le fasi importanti della sua vita, ne
consegue perciò come i suoi ricordi più vividi siano – per esempio – il momento
in cui ha scelto che suonare il pianoforte sarebbe stata la ragione della sua
vita o qualcosa di molto simile, o come lo strumento sarebbe stato al tempo stesso
l’amico più fidato, il rivale più detestato e parte di se stesso e del suo
corpo; il momento in cui ha vinto la sua prima competizione; la sua prima
esibizione su invito, lalettera ricevuta con l’offerta di studiare all’estero per
un anno intero. La sua relazione con Kazuya. Sente lo sguardo di Itsuki su di sé, mentre cerca
di regolarizzare il respiro dopo aver sbraitato ininterrottamente per cinque
minuti abbondanti in cui il concetto chiave si sarebbe potuto benissimo
racchiudere nel primo «testa di cazzo!» che ha pronunciato. Si volta a
guardarlo, concentrandosi al pensiero di poter incenerire chiunque e qualunque
cosa solo con lo sguardo, come se farlo fosse normale e alla portata di tutti;
trova in Itsuki la calma che non gli appartiene e la perplessità naturale di
chi non riesce ad afferrare cosa stia accadendo di preciso. La cosa ha il
potere di innervosirlo ancora di più, se possibile.
«Non ci posso credere.» ripete per l’ennesima volta da quando sono rientrati,
forte di un’irritazione crescente anche di fronte alla confusione che legge sul
viso di Itsuki, pur conscio di come l’altro non sia da biasimare in alcun modo;
ma quella è una cosa di cui è consapevole in maniera razionale, e di
razionalità adesso non ha molto. Sente le mani prudere, ma si guarda bene dal
fare un gesto avventato come dare un pugno al primo oggetto o alla prima
superficie disponibile, perché è delle sue mani che si sta parlando e non si
potrebbe mai perdonare una leggerezza del genere nel periodo delle competizioni
musicali. In compenso niente gli impedisce di tirare un calcio proprio davanti
a sé, e a farne le spese è la borsa a tracolla che ha lasciato cadere a terra
senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
La cosa a cui non può credere è così personale da non averla mai condivisa con
nessuno, nemmeno Itsuki – nonostante tutto ciò che l’altro possa rappresentare
(senza saperlo) per la sua persona. Ovviamente non è mai stato così stupido da
credere che Kazuya non avrebbe avuto relazioni dopo quella con lui, ma era una
di quelle cose che si formulano nella propria testa per abitudine, perché “è la
norma”, perché suona troppo strano credere che qualcuno resti da solo per tutta
la vita. Allo stesso tempo, però, in cuor suo ha ceduto il posto al suo lato
infantile e ha creduto che sì, magari un
giorno Kazuya avrebbe trovato un’altra persona che per motivi a lui
incomprensibili sarebbe stata quella giusta, avrebbe avuto quel qualcosa in
più. Mai ha preso in considerazione succedesse così presto o che la verità gli
sarebbe stata sbattuta in faccia in quel modo, ed è questo a farlo innervosire
così tanto, perché la celerità della cosa gli sibila nell’orecchio che il
problema è stato lui, quanto inadeguato
fosse e sarà sempre. Ed è la fiera del cliché, ancora una volta, la presa di
coscienza peggiore: non è stato il
ragazzo né uno come tanti, ma il peggiore, il perdente, quello che ha fallito.
È inaccettabile.
Ha scelto la strada del pianoforte prima di qualsiasi altra cosa, e si
può dire sia stata la prima decisione importante della sua vita; tutte quelle
venute dopo in qualche modo non sono mai arrivate a eguagliare quel singolo
passo che da solo ha significato più di centomila passi successivi: la volta in
cui ha varcato la soglia della casa del suo maestro di pianoforte,
avvicinandosi di appena un piede allo strumento, è stato per lui al pari del
lasciare un’impronta sulla superficie della luna.
Da quel momento la sua vita è stata costellata di prime volte tutte dovute e
condivise dal pianoforte e da un brano suonato passando le dita sui tasti
bianchi e neri – la prima esibizione, il primo scrosciare di applausi da parte
del grande pubblico, i primi complimenti, il primo premio, il primo invito come
musicista di apertura per la premiazione di un altro concorso, il primo mazzo
di fiori da parte di qualcuno che non fossero i suoi genitori. Il pianoforte
gli ha tolto ogni singolo istante libero, gli ha reso un inferno mantenersi al
passo con i compiti scolastici senza rinunciare alle ore di esercizi e di brani
ripetuti fino alla nausea, di noiosi solfeggi e di spartiti a causa dei quali
temeva avrebbe perso la vista; lo ha fatto rinunciare a delle uscite con gli
amici, è stato pesante come un macigno ma quello strumento è stato il compagno
più fedele, simile agli eroi dei libri, perché gli ha restituito tutto. Ogni
goccia di sudore, ogni volta che ha finito con il trascurare anche la salute
per focalizzarsi fino a raggiungere la perfezione, ogni momento in cui la
certezza di fallire era la sola realtà palpabile il pianoforte gliel’ha
restituita sottoforma di gioia, di eccitazione, di soddisfazione e successo.
Nonostante tutto Mei non ha mai desiderato smettere, e se lo ha fatto è stato
per il tempo di un battito del cuore, un singolo battito tra migliaia di altri
– ignorato subito dopo.
Nel tempo non ha mai sentito il bisogno di qualcuno che lo comprendesse o con
cui condividere quel modo di vivere; non ha mai preteso la piena comprensione
dei suoi genitori, né anche solo la vaga consapevolezza dei propri compagni di
classe o presunti amici più stretti, ritenendoli troppo al di sotto per poter
davvero capire. Come avrebbe mai potuto biasimarli per non saper collocare bene
nella propria mente gli sforzi e l’ebbrezza di ciò che faceva e di cui loro non
avevano nulla se non un vago sentore? Per quello, a metà degli anni delle
scuole medie, ha deciso da solo di non condividere con gli altri niente più di
quanto potessero ascoltare in un’esibizione – e di contro, forse senza saperlo,
fin dall’inizio ha riversato in quegli unici minuti di comunicazione totale e
spassionata ogni cosa a cui avrebbe voluto saper dare voce in un altro modo.
E poi, senza preavviso e senza che lo volesse, il pianoforte gli aveva
restituito ancora una volta quanto sottratto, seppure in un modo imprevedibile
e lui aveva dovuto abituarsi all’idea di Kazuya nell’aula di musica a ogni
esercitazione tra le mura scolastiche.
La prima volta Kazuya si è presentato alla finestra della stanza a ridosso
delle vacanze estive del secondo anno di liceo, aspettando la fine del brano a
cui si stava esercitando per esprimersi in uno sbuffo divertito, quello capace
di farlo risultare insopportabile ancora prima che abbia modo di presentarsi. E
Mei, mai stato abituato ad alcun cenno nei propri confronti se non la totale
ammirazione, lo aveva a malapena guardato per poi tornare al pianoforte con un
movimento della testa seccato e uno schiocco della lingua contro il palato.
Miyuki quella volta aveva riso e gli aveva detto di impegnarsi, prima di
togliere il disturbo. La cosa era andata avanti più del previsto, come una
routine piuttosto esilarante, e a Mei tutto sommato sarebbe andata bene se si
fosse limitata sempre a uno sbuffo divertito e a una frase di circostanza –
fare orecchie da mercante era una delle cose in cui eccelleva, dopotutto – ma
il karma evidentemente aveva avuto altri progetti per lui fin dall’inizio, così
Miyuki Kazuya aveva sentito il bisogno interiore di dirgli l’unica cosa capace
di fargli saltare i nervi. Non nasconde che forse essere a ridosso di una
competizione importante possa, allora, aver influenzato il suo modo di
rispondere; ma non crede sia stato solo colpa di quello.
«Dovresti impegnarti un po’ di più» gli aveva detto in quell’occasione, lo
sguardo divertito, lì poggiato allo stipite della porta con quell’arroganza
capace di farti desiderare di lanciargli un mobile «sembra di sentire un cd.»
«Hai idea di come si incida un brano su disco?» era stata la sua risposta
piccata, un sorrisetto sbilenco a sottolineare la sua ignoranza «Solo
l’esibizione perfetta viene considerata buona abbastanza da rimanere su un cd.
Quindi grazie del complimento.» aveva tagliato corto, sicuro della sua vittoria
verbale – e dopotutto Miyuki Kazuya era solo l’ennesimo incompetente in fatto
di musica, uno da cui non ci si sarebbe mai potuto aspettare granché.
«Non lo era,» gli aveva detto, perdendo già interesse al punto da muoversi per
andare via «non c’è granché di encomiabile nel suonare come un cd.» aveva aggiunto, e troppo tardi Mei aveva compreso la
realtà dietro quelle parole: suoni senz’anima. Non trasmetti nulla. Sei noioso.
Da quel giorno ha iniziato a suonare nel modo più autodistruttivo possibile: si
svuota dell’anima a ogni nota, dà tutto di sé, e se arriverà il giorno in cui a
lui non resterà niente almeno potrà dire a Miyuki che è un grandissimo stronzo
e che aveva ragione lui.
«Eijun sembra tornato di buon umore.» è l’osservazione di Haruichi mentre si
muovono, chi più chi meno silenzioso, per le strade di Hiraizumi; la loro meta
sono le terme Yukyunoyu, dove li attende un soggiorno di due notti e tre
giorni. Il loro è un regalo di ammissione anticipato su cui, pare, i vari
membri delle loro famiglie abbiano concordato in precedenza. Biglietti in mano
non gli è rimasto che prendere lo shinkansen e affrontare qualche ora di viaggio per arrivare
e godersi ciò che Hiraizumi ha da offrire. Finora a Satoru piace ciò che vede,
e non solo un Eijun entusiasta avanti di una decina di passi rispetto
all’andatura più tranquilla di Haruichi, nonché della propria.
Le terme sono ormai vicine, quasi si intravede la strada in cui dovranno
svoltare secondo la mappa che la madre di Eijun ha procurato loro;
personalmente Satoru preferisce le terme nei posti pieni di verde, quelli che
danno l’idea di una natura incontaminata e protetta dal tempo. Hiraizumi non è
il paesino di montagna immerso tra alberi e strade sterrate, ma non somiglia
nemmeno al caos di Tokyo, con le sue case più sporadiche e qualche sprazzo di
erba incolta qua e là, i negozietti tipici di una meta turistica non ancora del
tutto inglobata dalla modernità.
Si limita ad annuire, in risposta a Kominato e quello, nel mentre, volta la
pagina di un piccolo opuscolo offerto loro alla stazione: «Potremmo andare al
tempio Chusonji,» propone, accostandosi a Furuya
tanto da sfiorargli il braccio con il proprio e mettendo tra loro l’opuscolo,
indicandogli con l’indice una piccola foto del luogo in questione «sembra
ospitino uno spettacolo di teatro nō.»
«Quale? Che spettacolo?» fa eco Eijun, all’improvviso più vicino – forse ha
rallentato, Satoru non se ne è neppure accorto – guardando con curiosità quanto
indicato da Haruichi; questi si prende qualche istante per leggere il breve
programma: «Mettono in scena Yuya, a quanto pare.» conferma infine. A Satoru viene
istintivo lanciare un’occhiata a Sawamura, cercando di decodificare al meglio
il suo entusiasmo, giacché non sembra proprio il tipo appassionato di teatro
tradizionale – o di teatro in generale, in effetti. Suppone, ma non lo dice,
l’altro viva solo sull’onda di un ottimismo immotivato, quello che gli è
proprio.
«Tu cosa ne dici, Satoru?» gli arriva l’interrogativo di Haruichi mentre si
immettono nella via che ospita il loro albergo. Furuya porta lo sguardo su di
lui, quasi sorpreso nel sentirsi interpellato, limitandosi ad annuire.
Haruichi, come sempre, non sembra disturbato dal suo silenzio e torna
semplicemente a scambiare qualche chiacchiera con un Eijun esagitato nemmeno
fosse regredito ai sette anni, gli occhi pieni di meraviglia.
A essere onesto almeno con se stesso, Satoru non si ritiene stupido. Per questo
il suo ignorare come il proprio sguardo segue Kominato non è mai stato casuale,
ma fatto in piena coscienza – anche ora, sebbene lo stia facendo di nuovo,
impedisce ai suoi pensieri di fossilizzarsi sul tentativo di dare alla cosa una
spiegazione valida. Come potrebbe, d’altronde, dedicarsi appieno all’idea di
voler stare con qualcuno quando non ha ancora nemmeno compreso in quali termini
riesce a stare con se stesso? Solo pensare di avvicinare una persona e
rivelargli i propri sentimenti è, ora come ora, una delle cose più spaventose a
cui lui riescaa pensare. E anche
se quando è con Haruichi gli sembra di riuscire ad accettarsi un po’ di più,
anche se in sua compagnia si sente più rilassato e respirare è un poco più
facile, non basta ad attenuare la paura. Quello è l’unico modo in cui Satoru lo
sfiora: con lo sguardo, con discrezione, come se fosse casuale – e gli basta
così, perché non sa ancora chi lui sia o chi voglia essere, a volte crede di
saperlo e di sbagliare, altre di saperlo ed essere nel giusto ma preda di
qualcosa di irrealizzabile.
Abbassa sempre gli occhi prima che l’altro lo noti. Si odia, per questo.
Satoru non ha mai amato particolarmente il teatro, forse perché solo
una volta suo nonno lo ha portato ad assistere a uno spettacolo e lui era poco
più di un bambino; come ogni suo coetaneo è sempre stato abituato più al
cinema, che non alle rappresentazioni tradizionali e anche per questo è rimasto
folgorato dallo spettacolo a cui hanno appena assistito. Persino Eijun, lontano
dall’immagine di uno spettatore pacato per chiunque lo conosca, non ha quasi
fiatato per tutta la rappresentazione. Le movenze, le parole, anche solo il
semplice modo di camminare degli attori ha lasciato un’impronta così forte su
Satoru che ancora gli sembra di sentire addosso i brividi e la partecipazione
alla vicenda, benché quello di Yuya non sia un tema che lo abbia mai toccato in qualche
modo. Ma, in effetti, ad averlo affascinato è stato anche altro oltre la
storia: l’attore di Yuya, la giovane protagonista che
dà il nome anche all’opera messa in scena, è la bellezza più eterea e ambigua
che Satoru abbia mai visto. Un giovane che, se non avesse letto il piccolo
libricino con indicati anche i nomi degli attori, forse non avrebbe mai
scommesso fosse un uomo. È stato colpito non soltanto dalla sua bravura, palese
anche agli occhi di un non intenditore o esperto della sua arte, ma anche dalla
sua totale credibilità nei panni di un fisico, un atteggiamento, un’identità così diversa. E se
razionalmente Satoru comprende come ci sia quasi da aspettarselo – perché è ciò
che fa un attore, indossare identità diverse meglio di come si indosserebbe un
vestito – non riesce a limitare tutto a quello, a minimizzarlo come un qualcosa
di dovuto e richiesto da un lavoro.
Come si diventa qualcuno (qualcosa)
che non si è? Come ci si condiziona al punto da credere di essere davvero
un’altra persona così da essere credibili per gli altri, da far sì che persone
guardando non pensino che c’è qualcosa di strano, qualcosa di innaturale?
Lo invidia. Vorrebbe saperlo fare.
«Ohi, Satoru, muoviti!» lo richiama Eijun, ma sembra così lontano e così
estraneo che contro ogni logica gli si forma un nodo alla gola; se fosse più
attento, se fosse com’è di solito – osservatore silenzioso a cui di rado sfugge
qualcosa – si accorgerebbe dello sguardo di Haruichi su di sé e capirebbe,
forse, di lasciar trapelare molto più di quanto crede.
Ma non se ne rende conto; lui, ora, vorrebbe solo non essere Furuya Satoru.
«Aaaah, non posso credere che per la nostra ultima
festa della fondazione abbiano scelto uno snack bar.» brontola Eijun, del tutto
sdraiato sul proprio banco e approfittando dell’inizio della pausa pranzo. Da
quando hanno dovuto smettere di frequentare il club con la stessa assiduità a
cui si erano abituati dal primo anno, Sawamura somiglia a un bambino esagitato
a cui non è permesso sfogare tutta la propria energia all’aperto. Nonsi fatica a indovinare come l’altro
avrebbe preferito qualcosa di molto più movimentato – ma, d’altronde, è già
tanto che alla festa della fondazione della scuola vengano loro permesse
attività anche al di fuori della sfera culturale purché siano in qualche modo
collegate.
«Io trovo che siamo stati fortunati.» afferma infatti Haruichi «Specie
considerando come i rappresentati di classe sono riusciti a convincere il
professore.» aggiunge; nemmeno Satoru si aspettava davvero come proposta quella
di allestire uno snack bar a tema “fondazione”, e più nello specifico in merito
alle divise scolastiche che si sono susseguite fino a quella indossata
attualmente. Certo, si parla di abiti del tutto fuori moda, ma considerando
come ad alcune classi sia toccato fare dei cartelloni o delle piccole mostre
sulla storia della scuola, immagina di potersi ritenere fortunato.
«Tu che ne dici, Satoru? Hai preferenze su cosa fare?» domanda Haruichi,
coinvolgendolo. A essere sinceri nell’ultimo periodo non saprebbe dire bene
perché, ma ha la sensazione che Kominato lo osservi di più. E non c’entra la
sua idea a proposito del ragazzo, che si è sempre premurato di tenere per sé da
quando l’ha formulata: sembra come se Haruichi stesse cercando di cogliere
qualcosa in più di quanto potrebbe fare chiedendo a lui direttamente e questo
Satoru non sa come prenderlo, né sa come sentirsi al riguardo. Non ha mai fatto
troppi misteri sulla propria persona, in verità, e non lo ha mai disturbato il
modo di Kominato di venire a sapere le cose più disparate su di lui – anche
quelle sciocche, come il cibo preferito o la musica che ascolta. A eccezione
dell’unica cosa con cui non è sceso a patti nemmeno lui stesso, non c’è davvero
niente che abbia tentato con tutte le sue forze di nascondere e richieda quindi
tanta attenzione e segretezza.
Eppure da Haruichi sente provenire il tipo di sguardi non dovuti alla curiosità
dei ficcanaso, ma alla preoccupazione. Forse non vuole indagare davvero.
Fingere di non averlo notato è molto più semplice, dopotutto.
«Non cucinare.» afferma, sicuro, scatenando l’ilarità di Eijun.
«Sfido, ti scioglieresti prima di arrivare a metà turno, deboluccio come sei,
ah! Io potrei cucinare!»
«Sai farlo?» fa eco Satoru, nel tono un’inflessione quasi impercettibile che
però nessuno degli altri due fatica a cogliere, come dimostra anche il
raddrizzarsi immediato di Eijun e il suo: «Per tua informazione sono anche
bravo! E poi che ci vuole a preparare cose semplici come gli snack?!»
«Sono sicuro che le ragazze saranno contente di avere un volontario tra i
ragazzi per la cucina.» cerca di mediare tra loro Kominato, voltandosi poi a
guardarlo: «Credo saresti un bravo cameriere, Satoru.» aggiunge poi, annuendo
convinto con un sorriso incoraggiante.
«Mmh…» pronuncia, per nulla convinto. Fosse per lui,
in realtà, preferirebbe aiutare con la preparazione dell’aula piuttosto che
fare avanti e indietro fra i tavoli per tutta la giornata, esclusa la pausa data
dall’alternarsi dei turni con gli altri compagni. Non che ci sia poi moltissimo da vedere
in quel momento libero che avrà per riposare, tra l’altro. Suppone però di non
avere molta scelta.
«Furuya-kun?» si sente chiamare e, alzando lo sguardo,
si ritrova davanti due compagne di classe: Chiba e Takahashi sono entrambe nel club di teatro, se non ricorda
male, e sono state poche le occasioni in cui hanno avuto di che parlare se non
in occasioni come quella, dove l’organizzazione compete all’intero gruppo
coinvolto. Delle due è Chiba a fare da portavoce, la
schiena dritta e gli occhi a sostenere quelli di Satoru: delle due è di certo
quella più diretta, questo non ha faticato a notarlo fin dalla prima volta. Si
limita a guardarle entrambe in un tacito far presente di essere in ascolto.
«Torniamo adesso dalla sala professori.» spiega brevemente «E purtroppo non c’è
modo di avere vecchi modelli delle divise usate in passato, se non qualcuno e
che bisognerà sicuramente aggiustare in termini di misure. Hai già deciso di
cosa occuparti?» domanda, con un modo sbrigativo di chi è abituato a fare le
cose mossa da un certo pragmatismo, ma senza la fretta di chi vuole concludere
in breve qualcosa di seccante. Con uno sguardo a Eijun e Haruichi, Satoru si limita
ad annuire, pronunciando un: «Cameriere.» che, a giudicare dal sorriso sul viso
della ragazza, l’altra doveva essersi aspettata. O averci sperato.
«Allora abbiamo un favore da chiederti!» esordisce senza ulteriori preamboli «Dobbiamo
prendere le misure entro oggi, per avere il tempo di comprare l’occorrente,
cucire e avere un piccolo margine per degli aggiustamenti. Specie perché non
fermano le attività del club, e anche se avendo gli esami non abbiamo
partecipato attivamente, stiamo comunque dando una mano con le piccole cose per
abituare il nuovo presidente.» si dilunga il giusto, quanto serve a spiegare i
suoi comportamenti e le sue richieste ma senza sfociare nelle informazioni
inutili e non richieste. Satoru annuisce, sebbene ancora gli sfugga il punto
della situazione, a meno che una delle divise rimediate e modificabili non vada
potenzialmente bene per lui. Vede Chiba e Takahashi scambiarsi un’occhiata, e poi quest’ultima
abbassare lo sguardo quasi a mo’ di scuse; è ancora Chiba
a prendere la parola.
«Yuki-chan è a casa, e non verrà per almeno un paio
di giorni perché è influenzata ed è l’unica ragazza di cui ci mancano le misure.
Nessuna di noi due può andare a casa sua e… lo so che
non dovremmo chiedertelo perché sei un ragazzo, ma Yuki-chan
è così alta— certo non quanto te, ma ti
prego, Furuya-kun, sei l’unico a cui possiamo
chiederlo!» conclude, le mani unite davanti al viso in un’estremizzata
richiesta di aiuto.
A Satoru ci vuole qualche istante per mettere insieme tutti i pezzi e capire:
lo aiuta ricordarsi che “Yuki-chan” si riferisce senza
dubbio a SasakiYukiko, una
compagna di classe che ha sempre involontariamente attirato l’attenzione con il
suo quasi innaturale metro e ottanta di altezza.
Non c’è nessuna ragazza che possa indossare la divisa rimediata al posto di Sasaki per prendere misure verosimili per le modifiche; per
questo stanno chiedendo a lui. Non fatica a notare come Takahashi
abbassi di nuovo lo sguardo e si torturi le mani, forse l’unica delle due a
sentirsi a disagio per lo stare chiedendo qualcosa di abbastanza inconcepibile.
Satoru si chiede, guardandola, cosa stia pensando o se consideri scomoda la
loro richiesta per una semplice questione di ragazzi che non indossano la
gonna, o ancora se stia leggendo qualcosa in più del suo silenzio stupito. Chiba, però, lo incalza di nuovo: «Non ti chiedo di
cambiarti qui, ovviamente!» esclama, convinta così di risolvere ogni problema «Insomma,
ci possiamo spostare nell’aula che usiamo con il club di teatro.» insiste,
offrendogli una valida alternativa. Satoru sente lo sguardo di Eijun e Haruichi
su di sé, ma non osa incontrare quello di nessuno dei due; l’aula si è svuotata
quasi del tutto, dal suonare della campanella a ora, e i pochi compagni rimasti
stanno cincischiando su cosa fare dopo la scuola mentre infilano gli ultimi
quaderni nelle borse o sistemano le sciarpe intorno al collo.
Stringe i pugni, perché vorrebbe scappare via – ma non lo fa, perché sarebbe
sospetto. Crede. Forse è il panico latente a suggerirglielo e a portarlo ad
annuire in silenzio, scatenando una serie di ringraziamenti da parte di Chiba e facendo sì che Takahashi
gli lanci un’occhiata discreta ma perplessa. Nota in un secondo momento,
abbassando gli occhi, la busta tra le mani di Chiba e
come la compagna la tiri su, la posi su un banco vuoto e inizi a trafficare con
il contenuto.
Quando ne tira fuori la gonna di una vecchia divisa scolastica, lunga e dal
taglio classico, Satoru sente un tuffo al cuore e quando la ragazza gliela
porge con entusiasmo, aspetta qualche momento nel timore che gli tremino le
mani.
«Posso provarla sui pantaloni?» domanda, gli occhi a vagare senza una meta
precisa.
«Certamente! Devo solo controllare la lunghezza, mettere un paio di spille di
riferimento e poi puoi toglierla!» assicura Chiba,
mettendogli la gonna praticamente tra le mani senza troppe cerimonie e andando
a cercare ciò di cui ha bisogno nella stessa busta. Satoru guarda la stoffa di
un blu spento e indugia, deglutendo. Con pochi gesti si libera delle scarpe da
interno e dopo un momento di ricerca fa scivolare verso il basso la lampo laterale;
tiene la gonna per il bordo e si china in avanti, alzando un piede e poi
l’altro per infilarla con gesti incerti. Con un momento di esitazione, tira su,
e con qualche difficoltà e le dita che incespicano tra loro alla fine chiude la
zip.
La sensazione che prova è strana: c’è un misto di vittoria, di senso di
realizzazione e poi una grande, immensa vergogna. Quasi trattiene il respiro
mentre Chiba gli gironzola intorno, e mai una volta
cerca con lo sguardo le figure di Haruichi ed Eijun – il loro silenzio gli pesa
più di qualsiasi altra cosa, lasciandolo nell’incertezza su cosa aspettarsi: la
perplessità, l’indifferenza o la derisione.
Sente il sangue confluire fino a dargli la fastidiosa sensazione delle orecchie
tappate e inspira così piano per non sembrare agitato che, forse, ottiene
esattamente l’effetto opposto; quel che spera di non mostrare è l’imbarazzo,
che il sangue non fluisca fino al viso rendendo palese quella sua emozione che
è lì, ad attorcigliargli lo stomaco. Quasi non si rende conto di quando Chiba si allontana e gli dà l’ok per togliersi la gonna, e
la sua reazione è quindi appena in ritardo, sebbene nessuno intorno a lui
sembri badarci troppo.
È di nuovo chino, un piede già sfilato e l’altro lì per alzarsi dal pavimento,
che la voce di Chiba lo raggiunge: «Grazie, e scusa Furuya-kun. A un ragazzo proprio non fa piacere indossare
cose da donna, ma eri davvero l’unica speranza!»
In cuor suo Satoru sa che non c’è cattiveria in quelle parole. Razionalmente
capisce come Chiba non possa nemmeno sospettare con
quale forza lo tocchino, lo demoralizzino; in verità non è la frase di per sé a
bloccarlo per una manciata di secondi in quella posizione scomoda, ma la
consapevolezza che sia un pensiero comune, che sia la norma. Si libera della
gonna, lasciando scivolare di nuovo la stoffa tra le mani di Chiba, i piedi a contatto con il pavimento senza che lui
abbia di nuovo indossato le scarpe. Per qualche attimo non ci sono rumori e non
ci sono persone lì in quella stanza, ma un vortice di pensieri confusi che
quasi lo nauseano.
Come ha potuto essere così stupido? Non ci sarà mai qualcuno che, guardandolo,
vedrà in lui più di ciò che appare – come ha potuto credere di poter essere
come Yuya, senza la derisione o la confusione altrui
a fargli da muro invalicabile?
Deglutisce, le mani abbandonate lungo i fianchi; per qualche istante le stringe
così forte da far sbiancare le nocche, e quando Haruichi azzarda a sfiorargli
una spalla per richiamare la sua attenzione, a malapena si rende conto del modo
brusco in cui si scosta da lui, di come infili velocemente e alla meno peggio
le scarpe, del braccio allungato per prendere al volo la sua borsa e dei passi
frettolosi con cui si allontana per guadagnare l’uscita. La mascella contratta,
lo sguardo focalizzato su tutto e su niente.
Ogni parte del suo corpo grida non
toccarmi; ; l'identità di Furuya Satoru sarà la sua eterna prigione, perché
comprende che per tutta la vita non potrà mai essere altro che quello agli
occhi di chiunque.
«Si prepari Narumiya-san.» è il familiare richiamo che sente a malapena. Non
che sia una novità perdere spesso un richiamo, ed è proprio perché si conosce e
sa in quale stato di trance cade nel
concentrarsi prima di un’esibizione che Mei ha preso l’abitudine di rimanere
nei pressi della porta da cui entrano ed escono dandosi il cambio i
partecipanti a una competizione. Non è rilevante, per lui, che si tratti di una
serata di beneficienza a cui i più giovani musicisti sono stati invitati e che,
quindi, non si tratti di primeggiare; questo non lo ha mai portato a impegnarsi
di meno, a ricercare qualcosa di diverso dalla perfezione in ciò che suona.
Alza lo sguardo sull’uomo che ha pronunciato il suo nome, annuendo
distrattamente e senza dargli più attenzione di quella manciata di secondi in
cui lo fa rientrare nel proprio campo visivo. Lo spartito rilegato che ha tra
le mani, mai aperto pur in quel momento di ripetizione della melodia nella
propria testa, gli rimanda dalla copertina semirigida il nome del brano che ha
scelto di suonare: Chopin,Étude Op. 25,
No. 11. Immagina molti lo conoscano più con il titolo di “Ventoinvernale”piuttosto che
con il nome tecnico, ma è il tipo di dettaglio di cui Mei non si è mai curato
molto, non pretendendo mai troppo dai non musicisti.
Le dita tamburellano sulla copertina ancora per qualche attimo, prima che
decida di alzarsi e abbandonare lo spartito sulla sedia dove si era accomodato.
Muove qualche passo per avvicinarsi alla porta, le note dell’esibizione prima
della sua e in procinto di concludersi arrivano ovattate; ne attribuisce la
colpa alla porta tenuta chiusa perché nessuno dei rumori del “dietro le quinte”
disturbi i musicisti che si avvicendano sul palco uno dopo l’altro. Inspira,
aprendo e chiudendo le mani, concedendosi quei piccoli esercizi per sciogliere
le dita come prima di ogni esibizione – fa qualche respiro più profondo e lungo
degli altri, cerca un punto fisso nella parete che non lo distragga, in modo da
lasciare il tempo alla sua mente di concludere il millesimo ripetersi di note che
andranno suonate a breve. Non è agitato, in lui scorre un tipo di adrenalina
diversa da quella per la paura del fallimento. Quest’ultimo non è contemplato,
non è un’opzione per lui.
Chopin non ha una storia. O meglio, di sicuro come essere umano ce l’ha, come
musicista, ma i suoi étude
non ne hanno, almeno di pervenute; se anche ne avesse una, in ogni caso, quello
sarebbe il momento che Mei dedicherebbe a dimenticarsene. Prima di ogni
esibizione decide cosa vuole suonare, e non in termini di programma, ma di cosa
vuole mettere in scena per il suo pubblico, quale parte di se stesso è disposto
a mostrare in quella particolare occasione.
Da quando ha sbraitato contro Itsuki – da quando ha avuto quello spiacevole
incontro con Kazuya – è passata una settimana. Odia dover ammettere che Miyuki
riesca ancora a influenzare il suo modo di suonare, o il suo stato d’animo al punto
da fargli cambia lo stile in cui suona, ma purtroppo per lui è così. Più che
una questione inerente al suo ex è, in realtà, un modo di essere mai cambiato:
tutto ciò che lo tocca nel profondo, da quel profondo preme per uscire fuori e
alla fine ogni nota del pianoforte che suona trasuda i sentimenti peggiori che
ha a disposizione. A volte anche i migliori.
Lo scroscio di applausi arriva più forte nel momento in cui le porte si aprono
per permettere a TachibanaYuri,
la giovane appena esibitasi, di tornare lì e rilassarsi: avvolta in un vestito
di un rosa pallido, ha un sorriso soddisfatto sul viso, una sfumatura di
dolcezza nello sguardo. Mei ha avuto altre occasioni di condividere il palco
con lei, sebbene sempre in momenti diversi essendo entrambi solisti, ma gli è
bastato poco per comprendere quanto siano diversi dal punto di vista della
musica e dell’interpretazione. Lei gli rivolge un cenno del capo e lui ricambia
con uno appena accennato, varcando la soglia e dovendo muovere pochi altri
passi perché le luci del palco filtrino dal lato da cui dovrà entrare. Attende
lì, la voce che lo annuncia e un paio di secondi in più per un altro respiro e
le mani lasciate molli lungo i fianchi.
Quando avanza accolto dai riflettori e dall’applauso della platea ha un
portamento dritto e fiero, gli occhi azzurri fissi sul pianoforte lì al centro
ad attenderlo; vi si ferma davanti, voltandosi verso un pubblico di cui a
stento riconosce le sagome nel contrasto tra il buio della sala e
l’illuminazione del palco, e rivolge loro un inchino educato ma rigido – perché
fin quando le sue mani non sfioreranno i tasti, non ci sarà condivisione tra
loro.
Prende posto, si sistema, posa le mani sui tasti. C’è sempre una frazione di
tempo indefinita in cui solo il silenzio lo circonda, carico dell’aspettativa
di tutti quegli occhi posati su di lui mentre il suo corpo è attraversato
dall’adrenalina; ama l’istante in cui qualcosa che non ha mai saputo
riconoscere con esattezza sembri inglobare tutto, lasciando in lui una calma
innaturale. Unico nodo nel nulla completo, è quello nello stomaco, lì come il
punto in cui si lascia cadere una goccia d’inchiostro sulla carta e la si guarda
poi spandersi fino a inzuppare del tutto un foglio bianco fino a poco prima. È
desiderio puro. È una diga infranta dalla prima nota: i primi suoni sono lenti,
ritmici, ripetitivi. Somigliano al modo in cui i bambini imparano a
destreggiarsi tra i tasti le prime volte, ma non dura molto; quando nessuno se
lo aspetta i suoni si fanno improvvisamente veloci, le note incalzanti in un
alternarsi di bassi e alti, le dita si alternano a una velocità quasi
innaturale. Mei tiene gli occhi fissi sui tasti, quasi senza guardare le mani e
il loro muoversi; la musica che arriva alle sue orecchie è strana, di quella la
cui interpretazione sta nel cuoree
nella testa di chi ascolta. Si agita come una persona disperata, accecata dal
dolore che non sa più dove guardare, e poi oscilla verso l’entusiasmo folle di
un pazzo che vede mostri nei giochi delle ombre proiettate sui muri e
fantastiche magie nei colori brillanti per il riflesso di una luce troppo forte.
Mei quasi riesce a immaginarla, una giovane portata alla malattia per le
emozioni così intense da farle esplodere il cuore; gli sembra di vederla
muoversi lì sul palco, quasi la sente ridere. Un’immagine gioiosa portatrice di
un dolore fuori luogo – la fretta per trattenere tra le mani ciò che non si può
catturare, come l’acqua o l’aria.
C’è un intervallo, una piccola pausa con un inciso diverso, come un’agognata
risoluzione; è la flebile speranza schiacciata dalla ripetizione del motivo
principale di quel brano. Non è così distante dalla fine, Mei lo sa, e quasi gli
sembra di sentire qualcuno sussurrare vicino a lui una nenia fatta di “guardami, guardami, guardami”. E non è
ciò che comunica ogni volta? Non è ciò che esorta a fare – guardarlo, non avere
occhi che per le parti di sé messe a nudo perché chiunque possa spiarle nel
modo più diretto possibile?
È strano sentire una nota stonata all’improvviso. Mei non si è mai
autosuggestionato al punto che la sua mente gli giochi brutti scherzi per cui
nemmeno quanto suonato da lui stesso riesca più ad arrivargli all’orecchio
chiaro. Per la prima volta nella sua vita da quando siede al pianoforte, lo
stomaco gli si chiude in una morsa di puro panico, e le dita incespicano tra
loro saltando una nota.
Non ci vuole molto al brusio per formarsi nella sala, il pubblico incapace di
tenere per sé uno stupore genuino che a Mei risulterebbe irritante se riuscisse
a sentirlo per bene; ma quello che arriva a lui è ovattato: è il panico? È la
paura che gli sta facendo brutti scherzi, mentre cerca di recuperare con la
memoria e le ore di pratica un errore grossolano che non avrebbe mai commesso?
Poi è improvviso, come le sue mani che si fermano, il silenzio che avvolge la
sala, gli occhi che si sgranano fissando i tasti bianchi e neri come se lo
avessero appena privato della cosa più importante al mondo. Lì, seduto sotto i
riflettori, su un palco vuoto che catalizza tutta l’attenzione su di sé, gli
sembra di vedere messa in pratica quella sciocca storia per cui un attimo prima
della morte la vita scorre davanti ai propri occhi. Ciò che vede, però, sono
solo gli ultimi giorni e tutto va a posto non come un puzzle, perché lui ha tra
le mani solo un bicchiere infranto e che è riuscito a ricomporre, a eccezione
di un unico pezzo perso chissà dove. Non osa guardare la platea, il brusio
distante. Non ha il coraggio di alzarsi e andarsene, tornare dov’era prima di
esibirsi e ricercare la propria calma.
Come ha potuto sottovalutare tutti i campanelli d’allarme dell’ultimo periodo?
Come ha potuto minimizzarli? Gli tremano le mani mentre quasi si aspetta la
ragazza immaginaria, perfetta e romantica personificazione della sua musica,
guardarlo e ridere di lui come una bambina. Forse lo sta facendo, ma lui non
può sentirla come tutto il resto.
Le voci, la musica: non c’è niente che riesca a sentire come prima. Niente.
Yuya,
è uno dei più famosi drammi del teatro nō. In questa forma di teatro anche le protagoniste
femminili erano interpretate da attori uomini.
Avviso che gli aggiornamenti – come si è notato – rallenteranno. Purtroppo la
tecnologia mi è avversa e per una serie di motivi non ho modo di lavorare
sempre con word u_ù”