Mi ricordo del 1974

di misteryOo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Sometimes I slide away
silently
I slowly lose my-self
over and over.
Take comfort in my skin
endlessly
Surrender to my will
 forever and ever

-Depeche Mode, Heaven

 

 

 

Quando la conobbi era una calda estate del 1974. Berlino pareva un enorme forno fatto di cemento. Gli alberi dei viali erano completamente secchi, non pioveva da mesi. Il muro invece era perfettamente integro, con la sua maestosità se ne stava lì, in mezzo alla città, a dividere famiglie, amanti e amici. Ormai tutti avevano abbandonato ogni speranza di oltrepassarlo, e, nonostante fosse motivo quotidiano di scontri, la popolazione aveva (più o meno) imparato a conviverci. A me era andata bene. Avevo sempre il mio piccolo appartamento nella Berlino Ovest, situato all’ottavo piano di un palazzo pieno di francesi. Tutti emigrati, io per prima. Berlino era sembrata ad ognuno di noi un bel posto dove ricominciare. Certo, nessuno aveva preso in considerazione l’idea di potersi svegliare una mattina e di trovare la città divisa in due da un muro.  All’epoca avevo dieci anni, e mia madre era ancora viva. Per me e per lei fu davvero uno shock. Fortunatamente il nostro (ora solamente mio) alloggio si trovava abbastanza distante dalla linea di confine con la Berlino sovietica, e questo bastò a farci dimenticare in fretta la faccenda.

 

Eileen arrivò, come accennato, in una calda mattina d’estate. Stavo scendendo le scale correndo: la giacca malamente indossata, il vestito di cotone di cui non aveva tirato giù la sottoveste, il cappello che continuava a scivolarmi giù dalla testa, e la borsa che dondolava da una parte all’altra e non la smetteva di scontrarsi con la mia coscia destra. Ero nota per il mio ritardo, secondo solamente al mio costante essere terribilmente maldestra. Inciampai, difatti, e caddi rovinosamente a terra. Mi rialzai barcollando un po’ e mi spolverai il vestito. Una ciocca di capelli rossi mi penzolava davanti agli occhi, soffiai per rimetterla al suo posto. Quando la mia visuale fu sgombra notai un particolare a cui, probabilmente per la fretta, non avevo fatto caso. Una ragazza piuttosto slanciata mi sta osservando da sotto un grande cappello di paglia, con un nastro arancione. Scoppiai a ridere rendendomi conto dell’enorme figuraccia che avevo appena fatto, e allungai la mano in segno di saluto. Lei sollevò lo sguardo e due occhi verdi come la menta mi scrutarono. Mi strinse la mano. Era pallida, ma non un pallore malato, direi più un colorito candido. Incurvò le labbra rosee e generose in un sorriso. Il nasino a punta si arricciò leggermente e le guance piene di lentiggini si sollevarono. 

«Piacere, Eileen» Mi disse lei, e, anche se può parere assurdo, capii immediatamente che quel nome mi avrebbe accompagnata, in un modo o nell’altro, per il resto della mia vita.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


   CAPITOLO PRIMO

 

 

Quella mattina non andai a lavorare. Era da mesi che continuavo a pubblicare ed appendere a destra e a manca lo stesso annuncio: “Cercasi coinquilino”. Queste due parole erano diventate il mio chiodo fisso ma, sfortunatamente, alla mia porta non si era presentato nessun candidato accettabile: Drogati, ubriaconi, qualche poco di buono e squattrinati. Quando ormai avevo considerato il trasferimento in un appartamento più piccolo e più a buon prezzo come unica soluzione possibile Eileen Marlon mi era piombata addosso. No, in realtà io gli ero piombata addosso, e non proprio addosso, diciamo più ai suoi piedi. Fatto sta che quella mattina, con un lieve accento americano, la ragazza mi aveva cortesemente domandato informazioni sull’appartamento affittabile all’ottavo piano. Io avevo spalancato le braccia raggiante e le avevo detto di seguirmi. 

L’appartamento era stato pensato per un massimo di quattro abitanti. La porta di entrata dava su un grande salotto con un divano raso terra, coperto da teli colorati. Tappeti ovunque, ricoperti di candele e cera. Sempre il salotto era illuminato da un’ unica grande porta finestra che fungeva da uscita ad un piccolo balcone che, a sua volta, si affacciava sulla piazza. Le tende erano arancioni. Le camere da letto erano due, ma ad Eileen mostrai solamente quella vuota dove sarebbe venuta ad abitare, qualora avesse voluto. La cucina si trovava dietro ad una tenda improvvisata muro. Nel complesso era tutto molto disordinato, ma all’americana piacque immediatamente. «Fantastico! Fantastico!» Disse battendo le mani. E, dopo aver trattato prezzi e condizioni, andammo a bere un caffè insieme. La conversazione che accompagnò quella mattinata fu davvero piacevole sebbene, come mi resi conto più tardi,  avevamo semplicemente parlato del più e del meno, e di lei sapevo come prima: nulla. «Avrei bisogno di una mano per portare alcuni scatoloni, oggi avresti ancora tempo?» Mi domandò, sempre con cortesia. Io naturalmente risposi di sì.

Verso le tre di pomeriggio eravamo entrambe sedute in salotto a sorseggiare una limonata. Avevo abbandonato l’eleganza della mia tenuta lavorativa per indossare una salopette di jeans, piuttosto usurata. Lei invece si era semplicemente tolta il grande cappello. Aveva un taglio di capelli molto fresco, innovativo. I capelli neri erano corti come quelli di un uomo, e spettinati. Nonostante la fatica di quel breve trasloco era ancora perfettamente in ordine. La fronte non le sudava e l’abito di seta color acqua non le si era appiccicato alla pelle candida. Ma quel che trovai più affascinante in lei fu sicuramente la sua capacità di non annoiarmi con inutili sproloqui. Se non trovava argomentazioni valide restava in silenzio, eppure riusciva a comunicarmi ugualmente qualcosa. Non mi dava fastidio stare ad osservarla mentre beveva la sua bevanda al limone, così, mute come due pesci. 

 

 

Uscimmo per festeggiare. C’era un piccolo locale in Wenter Gasse 14*, molto frequentato da artisti di tutti i generi. Alla sera suonavano blues, e d’estate era immensamente piacevole udire la musica e sorseggiare qualcosa seduti sui graziosi tavolini sotto la tettoia. La portai lì e, mentre cenavamo, mi confessò che amava cantare.

Camminammo poi lungo il viale illuminato a braccetto. Le raccontai che della mia patria Francia avevo davvero pochi ricordi, gli ultimi si erano estinti con la morte di mia madre. Mi domandò allora se sapevo parlare francese. «Bien sûr» Le risposi e lei, arricciando il naso sorrise. 

«Purtroppo non ho mai avuto l’occasione d’imparare bene l’inglese» «Si può sempre rimediare». Parlavamo entrambe un tedesco con sfumature straniere e pensai che fosse bello avere qualcosa in comune.

 

La mia camera era quanto più di disordinato si potesse immaginare. Le tende viola erano imbrattate di pittura gialla, difatti qualche mese prima avevo deciso di colorare i tubi dell’acqua (che erano a vista) di quell’allegro colore. C’erano vestiti ovunque e al posto dell’armadio possedevo un appendiabiti con le rotelle. Delle tendine colorate fungevano da porta, e decine di libri erano impilati gli uni sugli altri. Al muro era appeso un crocifisso e intorno dozzine di poster e foto. La camera era a nord, quindi sempre piuttosto buia. 

Non mi era mai importato molto di sistemarla e fare ordine, quella sera però, per la prima volta, mi sentii in soggezione all’idea che Eileen potesse vederla. Imposi quindi la regola che l’accesso alla mia camera era vietato. «Non vedo motivo per cui io debba ficcare il naso nella tua camera» Mi rispose lei, al che mi resi conto che forse avevo esagerato con l’autorità. 

Ci salutammo augurandoci la buonanotte, e quella sera, attraverso le tendine, potei udire il suo flebile e dolce respirare. 

 

 

 

*I luoghi da me descritti sono completamente inventati.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE: Ringrazio TheComet13 (la tua recensione mi ha fatto molto piacere) e _i_am_sher_locked_1804 per i commenti. Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite|seguite. Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e se volete commentare non  esitate a farlo. Dal prossimo capitolo la storia inizierà un po’ a svilupparsi.

Baci.

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