Stirpe Maledetta - Rapimento

di Van_Horstmann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte oscura ***
Capitolo 2: *** Combattimento nel castello ***
Capitolo 3: *** All'inseguimento ***
Capitolo 4: *** Sottoterra ***
Capitolo 5: *** Interrogatorio ***
Capitolo 6: *** Incontro nella Vecchia Torre ***
Capitolo 7: *** Sulle tracce ***
Capitolo 8: *** Negli Inferi ***
Capitolo 9: *** L'Alchimista ***
Capitolo 10: *** Trappola ***
Capitolo 11: *** Cultisti e mutanti ***
Capitolo 12: *** Patto demoniaco ***
Capitolo 13: *** Prigione infernale ***
Capitolo 14: *** Dungeon ***
Capitolo 15: *** A colpi di spada ***
Capitolo 16: *** La mutante e il mostro ***
Capitolo 17: *** Un demone alla guida ***
Capitolo 18: *** L'Alchimista ***
Capitolo 19: *** Il centro del Labirinto ***
Capitolo 20: *** Stregone contro demone ***
Capitolo 21: *** Lotta negli abissi ***
Capitolo 22: *** Fuga dal Labirinto ***
Capitolo 23: *** L'ultimo atto del ragazzino ***
Capitolo 24: *** La fine della ragazzina ***
Capitolo 25: *** La punizione della strega ***
Capitolo 26: *** Vittoria amara ***
Capitolo 27: *** Rabbia e speranza ***



Capitolo 1
*** Notte oscura ***


L’Horstschlösse era immerso nel silenzio tanto che ogni suo respiro, ogni fruscio, ogni scricchiolio delle sue ossa gli sembrava abbastanza forte da poter svegliare nobili e servitori o allarmare le guardie.
Più avanti il corridoio girava a destra, oltre l’angolo riuscì a vedere la porta e un uomo di guardia, lo riconobbe dai grandi baffoni neri e dai capelli ricci, era Klaus, stava appoggiato al muro con aria annoiata, la daga legata alla cintola.
«Ci siamo Felix» sibilò Gunther «la stanza del piccolo bastardo è là.»
Si voltò verso di lui, il viso grassoccio e rubicondo di Gunther era ancora più brutto alla scarsa luce delle torce da muro, sudava come se fosse davanti a un fuoco e i capelli rossicci gli si erano appiccicati alla pelle.
«Parla piano, idiota.»
Si accorse di sudare anche lui, nonostante fosse tutta’altro che caldo, si passò il dorso della mano sulla fronte e poi tastò la tasca della giacca di lana, il sacchetto era ancora là.
«Vado io, tu non farti vedere finché non è il momento. Non fare casino, non fare le tue solite scemenze.»
Gunther digrignò i denti marci davanti:«Fai il tuo lurido lavoro, non sei tu che comandi.»
«Neanche tu, scemo.»
Camminò verso l’angolo, si tenne radente alla parete, il cuore gli batteva tanto forte che ebbe paura che Klaus lo sentisse.
Si fermò subito prima di svoltare, inspirò a fondo, poi proseguì.
«Fermo là!» disse Klaus.
Nonostante se l’aspettasse ebbe un sussulto, Klaus aveva estratto la daga:«Ah, sei tu, che ci fai qua? Tornatene nel buco dove dormi!»
«Ehi, sc-scusa, st-stai c-calmo.» balbettò.
Klaus ghignò e rinfoderò la daga:«Non pisciarti addosso, sguattero. Mi piombi addosso in piena notte, è già tanto che non ti ho aperto la pancia. Che ci fai qua? Qua ci dormono quelli della famiglia di Ferdinand.»
«N-niente, m-mi hanno detto di p-portati q-questo.» disse mentre tirò fuori il sacchetto.
Dannazione a me! Sto balbettando troppo! Sospetterà qualcosa!
«E che roba è? Soldi non credo, birra neanche. Di chi è?»
Inventati qualcosa, inventati qualcosa, perché non ci ho pensato prima?
«È u-un r-regalo di Uwe.»
Klaus afferrò il sacchetto, un ghigno divertito gli mosse le labbra:«Quella sgualdrinella? Se vuole un’altra ripassata poteva venire subito senza mandare te o questa roba.»
Sciolse la cordicella e aprì il sacchetto, uno sbuffò di polvere rosa raggiunse il viso di Klaus:«Ma che cosa…?»
Non finì la frase, si portò la mano alla gola e strabuzzò gli occhi, cadde a terra con un tonfo senza riuscire a dire nulla.
Felix arretrò di un passo e fece segno con la mano a Gunther di raggiungerlo, il grassone arrivò sudaticcio e ansimante, guardò Klaus a terra immobile e gli sferrò un calcio alla testa:«Questo maledetto lo odio!»
«Muoviti idiota, non c’è tempo! Se gli altri combinano un casino siamo nella merda! Entriamo e facciamo quel che dobbiamo fare!»
Gunther gli diede una spinta:«Per fortuna che ero io a fare casino, eh?»
«Taci idiota.»
Aprì la porta con calma, la stanza era immersa nel buio, la luce della torcia sul corridoio investì il letto dove una piccola figura era distesa.
Felix entrò mentre Gunther rimase fuori, la sagoma sotto le coperte di lana si mosse, una voce infantile disse:«Chi è? Mamma?»
Era a pochi passi da lui, il piccolo Bastian forse neanche sapeva chi aveva di fronte, del resto non andava nelle stalle dei cavalli a vedere chi spalava lo sterco.
Piccolo ricco bastardo.
«Mamma?» chiese ancora Bastian.
Fece un altro passo, poi scattò, il bambino aprì la bocca, un grido acuto che durò solo un momento prima che la mano di Felix lo fermasse.
«Stai zitto piccolo o ti do in pasto ai cani.»
«Dannazione agli Dei! Ha gridato! Filiamocela!» disse Gunther.
Felix sperò che nessuno avesse fatto caso al brevissimo grido ma prese Bastian tenendo stretta la mano al volto e uscì dalla stanza, saltò il corpo di Klaus e corse lungo il corridoio.
Sentì Gunther dietro di lui ansimare e sbuffare nel cercare di stargli dietro, raggiunsero le scale e scesero di fretta, poi la cucina, era deserta ma le serve dormivano nella stanza a fianco.
Bastian prese ad agitarsi, lo scosse con forza, poi fece cenno a Gunther di seguirlo verso la porta di servizio, ce l’avevano quasi fatta.

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Capitolo 2
*** Combattimento nel castello ***


Eryon non si sentiva tranquillo, i suoi sensi elfici lo tenevano in allerta.
Stanco di rigirarsi nel letto, si alzò in piedi, uscì dalla sua stanza e s’incamminò lungo il corridoio che portava alle scale, poi si fermò di colpo.
Rumore di passi, veloci. Chi corre a quest’ora?
Venivano dalle scale sul lato opposto, dall’ala della famiglia di Ferdinand Van Horstmann, fece un passo verso il primo gradino quando udì qualcos’altro, questa volta dall’ala dove stava la famiglia del Barone Wilhelm.
Un tonfo. Corpo che cade a terra. Peso morto.
Avanzò a grandi passi, in silenzio, il corridoio era illuminato dalle torce, sentì un vocio sommesso, vide due figure davanti a una stanza, era quella dove stava il figlio di Frank, il piccolo Stefan.
A terra c’era una terza figura, supina, una guardia, era Helmut, lo riconobbe solo dalla lunga barba nera poiché il volto era ricoperto di vesciche rossastre.
«Non si apre.» bisbiglio uno dei due.
«La chiave, ce l’avrà la guardia addosso.»
Si voltarono e lo videro, rimasero di stucco, immobili per un attimo, uno era basso e magro, col viso stretto e un naso aquilino, indossava una mantella marrone, l’altro era di altezza media e magrissimo, con un volto quasi cadaverico tanto era pallido e pelle ossa.
Nanetto e Cadavere. Lavorano al pozzo e al magazzino.
Eyron afferrò la torcia più vicina e avanzò addosso ai due che indietreggiarono di fronte al fuoco:«Allarme! Intrusi!» urlò.
«Muori stramaledetto Elfo!» urlò Nanetto, che gli lanciò contro un sacchetto ma ancor prima che lo mollasse Eyron si era già spostato fuori traiettoria e colpì l’assalitore al volto con la torcia.
Un urlo disperato di dolore riecheggiò nel corridoio, seguito dal rumore di passi e dal vociare di persone.
La porta dopo quella della stanza di Stefan si aprì e ne uscì Frank Van Horstmann con gli occhi segnati dal sonno.
«Entrate e chiudetevi dentro! Intrusi!» urlò Eryon.
Cadavere estrasse un coltello da cucina e lo impugnò con la lama verso il basso, attaccò dall’alto dritto al volto.
Eryon schivò di lato e allungò la torcia, il fuoco fece arretrare Cadavere mentre Nanetto si alzò, altre porte si aprirono e i rumori di passi lungo il corridoio si moltiplicarono.
La voce di Mark alle sue spalle risuonò nei corridoi«Che succede?»
«Intrusi!» urlò Eryon.
Nanetto sbiancò quando sentì la voce di Mark, Cadavere lo avrebbe fatto se fosse stato possibile, si voltarono e fuggirono dalla parte opposta, Eryon sferrò un calcio a Nanetto che rovinò sul pavimento di pietra.
«Chi abbiamo qui?» disse Mark, con solo i pantaloni addosso e una spada corta in mano.
Nanetto si girò, dal naso spaccato il sangue colava copioso, guardò prima Mark e poi Eryon con sguardo sconsolato.
«Dobbiamo prendere  Cadavere, era con lui!»
«Non sarà necessario.»
La voce di Lothar venne da oltre l’angolo del corridoio, Cadavere sbucò per primo con l’occhio sinistro tanto gonfio e nero da sparire nel volto tumefatto, il Prete seguì subito dopo con indosso una vestaglia.
Eryon si inginocchiò vicino a Helmut:«Respira ancora, devono averlo avvelenato, il viso è pieno di vesciche.»
Mark colpì Nanetto con un calcio in faccia, vari denti spezzati saltarono sul pavimento:«Brutto bastardo! Ti faccio a pezzi!»
«Non prima che abbia parlato.» disse Wilhelm Van Horstmann che si affiancò a Lothar.
Mark si calmò:«Certo, mio signore. Parteciperò all’interrogatorio, se lo vorrà.»
Nanetto sputò sangue e denti, poi rise:«Interrogatorio» disse in modo quasi incomprensibile «mai, andate agli inferi!».
Estrasse una pietra verdastra luccicante e se la lanciò in bocca.
Mark scattò e afferrò Nanetto alla gola:«Vuole ammazzarsi col veleno! Aiutatemi, non deve ingoiarla!»
Eyron scattò ma si fermò subito dopo, qualcosa non andava, vide gli occhi di Nanetto spalancarsi, tanto, troppo, i bulbi oculari si gonfiarono mentre il naso rotto cominciò a liquefarsi e le labbra parvero saldarsi l’una all’altra.
«Mark, mollalo! Non è veleno!»
«Cosa?»
Nanetto fu scosso da tremiti improvvisi, inclino la testa di lato mentre le mani artigliavano la bocca scomparsa, Mark mollò la presa e arretrò con la spada in mano.
«Eryon, il fuoco!» urlò Lothar.
Gli occhi di Nanetto esplosero, dalle orbite oculari vuote comparvero due lingue sottili e si intravedevano piccoli denti aguzzi, le mani cominciarono a fondersi con il viso, il corpo in mutamento rotolò su sé stesso.
«Il fuoco!»
Eryon deglutì, poi avanzò e puntò la torcia sulla mantella e sulla testa deformata, le fiamme attecchirono subito sulla lana e sui capelli, poi una bocca si aprì sul cranio ustionato e morse il legno.
Mark calò la spada sulla testa di Nanetto, la lama sprofondò come se non ci fossero più ossa ma solo una melma rosacea, il braccio sinistro fuso con la mano alla testa si staccò dall’articolazione della spalla e da essa fuoriuscì un tentacolo viola che agguantò la spada.
Eryon mollò la torcia e afferrò Mark per il braccio:«Via, ora!»
Riuscì ad allontanarlo di qualche passo mentre la spada sparì dentro la testa in continuo mutamento mentre la torcia fu ingoiata dalla bocca che sparì un momento dopo.
Dall’altra parte del corridoio Lothar avanzò con due torce e ne scagliò una:«È una progenie del Caos! Prendete delle armi, molte, tirategli addosso tutto quello che trovate! Usate il fuoco!»
L’addome di ciò che fu Nanetto si rigonfiò, come se qualcosa dovesse uscirne, infine uno squarcio si apri sulla pelle e sui vestiti, una coda nera e scagliosa sormontata da un pungiglione lungo quanto una mano emerse minacciosa da una bocca verticale che andava dall’inguine al collo piena di grossi denti triangolari disposti in modo irregolare.
Eyron balzò indietro, prese una torcia a muro e la scagliò dentro quella bocca, vide Mark fare lo stesso, nel frattempo altri uomini erano sopraggiunti, alcuni rimasero fermi, attoniti, terrorizzati.
«Prendete archi, balestre, pistole! Ora!» urlò Mark.
La coda si allungò e attaccò dritta verso Eryon, che si abbassò e si spostò di lato:«Presto indietro!»
«C’è Stefan in quella stanza, se quel mostro sfonda la porta non avrà scampo!» urlò Mark.
«Quale inferno ha vomitato fuori quella mostruosità!»
Mark riconobbe la voce di Jorn, di girò e lo vide con un’ascia per mano.
Gliene strappò una:«Ottima idea padre!»
Prese a due mani l’ascia e la calò sulla coda, l’acciaio fendette la carne mutante e la progenie parve quasi urlare, un tentacolo irto di spine uscì dalla bocca e attaccò Mark, che saltò indietro e colpì ancora.
Eryon strappò una lancia a un’altra guardia e la spinse dentro quella bocca orrenda, un altro tentacolo uscì per afferrare l’asta, Eryon spinse un altro po’ prima di tornare indietro e vedere Lothar giungere alle spalle della progenie.
Spalle, ammesso che le abbia.
Lothar colpì il mostro con la torcia:«Brucia, creatura del Caos! Brucia immondo! La forza di Sigmar ti bandisce da questo mondo!»
Due tentacoli grossi come zampe di orso uscirono dalla bocca e girarono verso Lothar.
Jorn scagliò la propria ascia che si piantò sull’ammasso di carne mutante aprendo un solco di putridume.
«Scappa!» urlò Eryon.
Ma Lothar non scappò:«Sigmar, concedimi la forza per distruggere quest’orrore!», prese una torcia con due mani colpì la progenie con forza.
Un lampo bluastro illuminò il corridoio, i tentacoli si agitarono come impazziti, poi si irrigidirono e caddero a terra mentre il corpo informe emise versi inumani, dolore forse, la carne della progenie cominciò ad annerirsi e seccarsi.
In pochi istanti il mostro cominciò a ridursi di dimensioni, collassò su sé stesso fino a diventare un qualcosa di simile a una grande maschera di cuoio annerita.
Lothar respirò a fondo, poi disse:«Portate via questi resti e bruciateli.»
«Ancora?» disse Mark.
Lothar annuì.
Urla improvvise giunsero dalle scale, il rumore di passi veloci sugli scalini anticipò di poco Ferdinand Van Horstmann in vestaglia:«Mio figlio! Hanno preso Bastian!» 

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Capitolo 3
*** All'inseguimento ***


Karl Van Horstmann si svegliò di soprassalto, sentì le grida fuori dalla porta, udì la voce di suo padre Ferdinand tuonare e sua madre piangere.
Si mise una mantella e uscì dalla stanza, nel corridoio c’erano anche i suoi fratelli, Heinrich, Hermann e Jurgen, sua madre piangeva consolata dalla moglie di Heinrich mentre suo padre corse verso le scale:«Rimanete qui, le guardie sono arrivate!»
«Che è successo?» chiese.
«Hanno rapito Bastian!» disse Heinrich,
«Cosa? Chi è stato?»
«Non lo sappiamo.»
Arrivarono sei guardie armate di alabarda, solo una indossava l’armatura, le altre dovevano essersi svegliate da poco, i suoi fratelli si diedero un cenno d’intesa:«Andiamo all’armeria e cerchiamo Bastian.»
«Voglio venire anch’io.» disse Karl.
Hermann si voltò:«Scordatelo, rimani qua.»
Sbuffò, aveva quattordici anni, da sei faceva scherma e tiro con l’arco, poteva cavarsela, tornò nella sua stanza e si mise gli stivali e degli abiti pesanti, poi uscì di nuovo.
Guardò sua madre che piangeva abbracciata dalla moglie di Heinrich, ne approfittò e corse per le scale verso l’armeria.
Le guardie non lo badarono, scese gli scalini mentre il vociare echeggiava nelle sale, sempre più guardie e servi erano usciti dalle proprie stanze, ma chi era entrato nel castello? Chi poteva voler rapire Bastian?
E come hanno fatto ad entrare?
Si fermò vicino all’armeria, i suoi fratelli ne erano appena usciti, rimase nella penombra poi quando si allontanarono si fiondò dentro, una guardia all’interno si voltò verso di lui:«Signore, dovrebbe tornare alle sue stanze.»
«Mio padre mi ha ordinato di prendere un’arma, tornerò indietro per difendere mia madre.»
«Non si preoccupi, ormai quei cani cercano di fuggire, prenda pure la sua arma.»
Karl guardò, la sua spada lunga era posata col fodero su una rastrelliera, la afferrò e corse fuori, poi si diresse verso il piano terra.
Gli intrusi stanno scappando, ma dove? Corde e rampini dalle mura? Ci saranno già metà delle guardie del castello a controllare, se vado là i miei fratelli o mio padre mi rimanderanno indietro. Qual è il secondo posto dove potrebbero tentare la fuga?
Si fermò prima delle cucine, le serve erano agitate e le sentiva chiacchierare ad alta voce, non provò neanche ad ascoltare tale era la confusione.
Entrò di corsa nelle cucine, alcune serve stupite che lo fissarono senza proferir parola, aprì la porta di servizio e fu nel cortile, davanti a lui c’era il pozzo, vide uomini correre come formiche impazzite sulle mura, sentì grida concitate e la voce di suo padre emergere tra le altre.
Alcune guardie erano dentro le stalle, altre controllavano i depositi delle provviste, altre ancora cercavano negli angoli bui o guardavano le pareti di pietra, come se gli intrusi potessero essere appesi da qualche parte.
Dove guardare?
Fece qualche passo e si appoggiò al muro circolare del pozzo, vide che la corda che si perdeva nell’oscurità sottostante, qualcuno aveva dimenticato di tirare su il secchio e di coprire l’accesso.
Ricordò quando, due anni prima, ci era caduto dentro, aveva fatto una fatica immane a tornare su con la corda da solo, senza urlare per chiedere aiuto, anche se poi suo padre l’aveva scoperto comunque e lo aveva punito.
Il pozzo!
Guardò verso il basso, quando ci era caduto aveva sentito dell’aria provenire dal basso, doveva esserci una galleria naturale non allagata, o non del tutto almeno, forse gli intrusi erano entrati o usciti da là.
Saltò sul muretto e afferrò la corda, vide una guardia avvicinarsi:«Ehi, tu!»
L’uomo lo guardò:«Signore, cosa fa?»
«Vado a controllare che non siano fuggiti per di qua.»
«No, aspetti! Andremo noi!»
Karl sorrise:«Intanto vado avanti io!»
Si tenne appeso alla corda con le mani, poi avvolse le gambe e cominciò a scendere, la guardia corse fino al muretto e  guardò giù:«Si fermi!»
Non gli rispose e continuò a scendere, la guardia scosse la testa e se ne andò.

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Capitolo 4
*** Sottoterra ***


Sentì il rumore dell’acqua e un lieve soffio d’aria umida, era buio pesto, avrebbe dovuto procurarsi una torcia, ma non voleva tornare su, la guardia doveva essere andato ad avvisare suo padre.
Arrivo fino al secchio che galleggiava sull’acqua, si voltò in tutte le direzioni e infine sentì l’aria in faccia, il tunnel era là, attese alcuni istanti e cominciò a distinguere alcuni contorni, l’ingresso non era naturale ma in muratura, anche se molto vecchio dato che gli angoli delle pietre erano consunti e smussati.
Dovette accucciarsi per entrare, appoggiò le mani sul fondo del tunnel dove scorreva l’acqua, era gelida, per un attimo si chiese se non fosse meglio tornare indietro, ma poi pensò a Bastian e mise una mano avanti, poi l’altra, poi un piede e così via.
Dopo alcuni minuti la sua decisione vacillò, non sembrava esserci fine a quell’oscurità, sentiva solo il rumore dei suoi stivali e delle mani nell’acqua, il freddo e l’umidità gli erano penetrati nelle ossa e le dita sembravano essere diventate pezzi di ghiaccio insensibili.
Si fermo un attimo e soffiò sulle mani, provò ad avanzare senza appoggiarle ma non ci riuscì, allora le posò sulla pietra ai lati, dopo qualche passo perse la presa e dovette rassegnarsi a proseguire come prima.
All’improvviso sentì un rumore, come un tonfo, rimbombare in lontananza, si fermo e rimase in ascolto, ma solo il battito del suo cuore e il suo respiro affannato giungevano alle orecchie.
Ricominciò ad avanzare e poco dopo vide un tenue bagliore tremolante illuminare il tunnel.
Una torcia.
Sentì una voce di uomo in lontananza:«Ma dove sono finiti quei maledetti! Non c’è più tempo, tra poco sarà l’alba!»
«Ma che ne so! Si saranno fatti beccare quegli idioti!» disse un’altra voce, sempre di uomo, che gli parve familiare.
«Maledetti gli Dei, freghiamocene, andiamo via! Se ci prendono siamo morti.» disse il primo.
«E va bene. Ragazzina, il piccolo bastardo dorme? Sono stufo di sentirlo piagnucolare!»
«Si, ma che ti aspettavi? Ha cinque anni!»
Riconobbe la voce, era Uwe, una delle serve che lavorava in cucina, aveva un anno in più di lui. Perché era lì? Era d’accordo con i rapitori?
«Chi se ne frega! Se lo portiamo dal capo con qualche botta in più cosa cambia?»
«Che se lo ammazzi il capo ammazza te poi.»
Avanzò fino a quando la muratura finì e il tunnel entrò in una caverna naturale dove udì il rumore di acqua sulle rocce.
Si affacciò oltre la muratura, la luce della torcia lo abbagliò e ci mise un po’ a vedere i due uomini, uno era grasso coi capelli rossi, era uno dei servi, il macellaio da quel che ricordava, l’altro, quello dalla voce familiare, era Felix, lo stalliere.
Traditori! Mangiano dalle mani di mio nonno e ci ripagano così!
Uwe teneva in braccio Bastian, la ragazza dai lunghi capelli rossi era così magra che nonostante gli abiti di lana era piegata dal peso di suo fratello.
Provò un senso di delusione, pochi mesi prima aveva tentato di corteggiarla prima che suo padre decidesse di metterlo in riga:«Puoi sbatterti tutte le serve che vuoi» gli aveva detto «ma ricordati che sei un Van Horstmann e noi non ci mischiamo con la plebaglia!»
Ci era rimasto male per settimane, una sensazione strana, che colpiva lo stomaco, stupide regole della nobiltà, Uwe le era sembrata quanto di meglio avesse da offrire il genere femminile.
Ora non ne sono più tanto sicuro.
Inspirò a fondo, doveva agire, afferrò la spada e avanzò acquattato radente alla parete rocciosa, non c’era un riparo tra lui e i rapitori, doveva sfruttare la penombra e la loro distrazione, li vide voltarsi dalla parte opposta alla sua e camminare.
Si alzò in piedi e affrettò il passo, cercò di rimanere silenzioso, Felix era davanti con la torcia, Uwe lo seguiva mentre il macellaio chiudeva la fila, Karl era a pochi metri quando colpì con la punta dello stivale un sasso che fu lanciato avanti e rimbalzo quattro volte.
Il macellaio si voltò di scatto e spalancò gli occhi, portò la mano alla cintola e afferrò una mannaia:«M**da!»
Karl tese la spada avanti:«Arrendetevi e liberate Bastian!»
Il macellaio serrò la mascella, i suoi occhi fissi sulla punta della spada mentre le nocche della mando stretta al manico della mannaia sbiancarono.
«Ragazzino» disse Felix «stai calmo, sei da solo, noi siamo in tre.»
«Io ho una spada!»
Felix affiancò il macellaio ed estrasse una daga:«E io ho questa, lui una mannaia, ti basta? Senti, tornatene indietro e fa finta di non averci visto! Ci guadagniamo tutti.»
«È mio fratello!»
Felix sorrise:«Tuo padre ci ammazzerà, non abbiamo niente da perdere, se te la fili via nessuno rischia niente, mi sembra equo.»
Il macellaio si voltò verso il compagno:«Ma che cavolo dici? Non possiamo lasciarlo andare! Se ci scoprono siamo nello sterco di vacca!»
Felix digrignò i denti:«Idiota!» e scattò contro Karl con un affondo della daga.
Karl arretrò scomposto, incespicò sul sinistro e rimase in piedi a fatica, con la spada puntata in alto, il macellaio sollevò la mannaia e gli corse incontro.
Abbassò la spada e intercettò la mannaia, si aspettava di strapparla dalla mano del rapitore che invece riuscì a trattenerla, allora abbassò l’arma e puntò alla gamba destra.
Fu troppo lento, il macellaio arretrò, la punta della spada tocco a metà la coscia e penetrò per qualche centimetro la carne, un urlo di dolore rimbombò nella caverna.
«Brutto bastardo! Io ti faccio a pezzi!»
Gli si buttò contro con la mannaia sollevata, avrebbe potuto infilzarlo come un tordo ma si sentì lento, i muscoli non reagivano come al solito, la gola era stretta come in una morsa, il suo affondo fu fiacco.
Il macellaio schivò la spada ma rotolò a terra, Felix attaccò ancora e mulinò la lama prima a destra e poi a sinistra e Karl arretrò mentre parava gli attacchi.
È un idiota, non sa neanche usarla quell’arma! E io ho una spada, dovrei sfruttare la lunghezza, la mia abilità, che sto facendo? Sto combattendo da schifo!
Felix fece un affondo, Karl schivò a destra e mosse la spada in orizzontale verso sinistra, l’acciaio morse il fianco dell’uomo che urlò e si portò la mano sinistra alla ferita.
Devo solo trafiggerlo, è scoperto!
Un sasso lo colpì in volto, chiuse gli occhi e voltò la testa, poi qualcosa di grosso gli fu addosso con tanta forza da togliergli il fiato nei polmoni e gettarlo a terra.
Aprì gli occhi, il macellaio era sopra di lui, gli occhi scuri iniettati di sangue, i denti marci e spezzati digrignanti, un orribile fiato di vino inacidito gli raggiunse il naso.
«Muori figlio di puttana!»
Il macellaio sollevò il gomito e lo colpì in faccia, Karl urlò, sollevò le braccia, un altro pugno la raggiunse alla tempia, la testa parve esploderli dal dolore, un terzo pugno sopra l’occhio, un quarto al naso, cercò di divincolarsi ma l’uomo era troppo pesante.
Si coprì la faccia con le braccia, un pugno lo colpì alla bocca dello stomaco, aprì la bocca per urlare e alzò le mani, un pugno sul naso lo fece precipitare nell’incoscienza.

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Capitolo 5
*** Interrogatorio ***


Mark vide suo padre sbucare dall’angolo del corridoio e camminare veloce verso di lui, indossava un mantello di lana sopra un farsetto, i capelli rossi lunghi fino alle spalle erano tutti arruffati.
«Stiamo pattugliando i dintorni ma niente! Niente! Nessuna traccia!» sbraitò Jorn quando lo raggiunse.
«Nessuna traccia e nessuna guardia sulle mura ha visto nulla. O sono volati via o sono ancora nel castello.» disse Mark.
Suo padre si portò una mano alla faccia e chiuse gli occhi, poi allargò le braccia:«Stanno perquisendo pezzo per pezzo tutto l’Horstschlösse. Il prigioniero parla?»
«No. Sembra un osso duro. Lavora nel magazzino.»
«Vediamo questo bastardo.» disse suo padre.
Aprirono la porta ed entrarono, una voce feroce rimbombò nella stanza.
«Parla feccia! Parla! Ti faccio incatenare e mangiare pezzo per pezzo dai topi se non parli!»
Ferdinand Van Horstmann era paonazzo in volto, la sua voce era diventata rauca e gli occhi erano iniettati di sangue.
Mark lo comprendeva, lui stesso avrebbe voluto provvedere a tagliare la testa a quel traditore, al momento però serviva vivo.
Incatenato a una sedia il prigioniero sembrava quasi indifferente al dolore che gli era stato provocato, la testa era china, il volto tumefatto era talmente gonfio da sembrar essere sul punto di spaccarsi, gli occhi pesti erano quasi scomparsi e solo due pieghe nel volto lasciavano intendere la loro esistenza, le labbra erano spaccate in più punti e il naso era solo un pezzo di carne molla e nera.
Il corpo seminudo, un tempo pallido, era ricoperto di chiazze nere e faceva ancor più impressione con quelle costole ben visibili sottopelle.
Eppure non parla.
«Adesso basta» urlò Ferdinand «ti sgozzo come un animale lurido pezzo di mer*a!»
Estrasse un pugnale e si avvicinò, ma suo figlio Hermann gli afferrò il braccio destro:«No padre, non possiamo ucciderlo, non ora.»
«Questo bastardo non parla! Non parla!»
«Ferdinand, tuo figlio ha ragione» disse Wilhelm «ci serve vivo.»
«E allora fatelo parlare!» disse Ferdinand.
La porta della stanza si aprì, Lothar Kruger entrò, il suo sguardo severo si posò su Cadavere:«Interrogherò io il prigioniero. Mandate un servo in cucina, ho bisogno di olio bollente.»
Quando due servi giunsero con l’olio, Lothar si avvicinò a Cadavere:«Morgan Sulzberg, hai tentato di rapire un bambino e partecipato al rapimento di un altro, hai cospirato contro il tuo signore che ti ha nutrito e protetto, hai cospirato contro Sigmar e contro l’Impero e idolatrato divinità malvagie.»
Cadavere sollevò la testa e un sorriso beffardo deformò il volto rigonfio di botte:«Stupido prete, credi di farmi paura? Tu non sai cos’è la paura!»
«E tu lo sai?»
«Il mio padrone può farti bruciare nelle fiamme eterne dei veri Dei! Può farti diventare un mutante, un ammasso di carne marcia, può ucciderti col dolore o farti a pezzi con un’ascia! Che paura vuoi farmi tu?»
Lothar fissò Cadavere:«Il tuo padrone non è qui. Chi è?»
Cadavere sogghignò, poi tossì e sputò sangue:«Ti piacerebbe eh? Non so neppure io chi è, è troppo furbo.»
«Quanti siete?»
«Non te lo dirò mai.»
Lothar estrasse un coltello e lo affondò sul bicipite vicino alla spalla sinistra, poi tirò verso l’incavo del gomito, Cadavere urlò e fu scosso da spasmi violenti, un grosso squarcio si aprì sul suo braccio.
Arrivarono due servitori con un pentolone ripieno d’olio e un mestolo, Lothar fece cenno di avvicinarsi, poi si rivolse a Mark:«Ho bisogno che tieni aperti i lembi della ferita con due coltelli.»
«Subito.» rispose.
Lothar prese il mestolo e raccolse olio dal pentolone, si avvicinò a Cadavere e versò il liquido bollente nella ferita.
Cadavere urlò così forte che Mark strinse i denti per sopportare il dolore alle orecchie, si agitò sulla sedia con tanta violenza che il polso della mano sinistra si slogò e le catene stridettero e sferragliarono.
«Quanti siete? Chi siete?»
I sussulti si calmarono, Cadavere respirava con affanno:«S-sporco b-bastardo, io non ho p-paura.»
Lothar piantò il coltello sull’altro bicipite e aprì un secondo squarcio, poi riempì di nuovo il mestolo mentre Mark tenne aperti i lembi di pelle.
Cadavere urlò ancor più forte di prima, un urlo roco, lungo, quasi inumano, che terminò solo quando svuotò tutta l’aria nei polmoni.
«B-basta.» disse Cadavere.
Lothar piantò il coltello nella coscia poco sotto il fianco sinistro e aprì una ferita fin quasi al ginocchio.
«B-basta. N-no, b-basta. P-p-pietà.»
Lothar riempì ancora il mestolo e versò l’olio per tutta la lunghezza dello squarcio, l’urlo disperato di Cadavere riecheggiò nella stanza mentre braccia e gambe erano così tese che gli anelli delle catene segnarono la carne.
«P-pietà! Pietà! Dirò tutto! Tutto!»
Mark guardò Lothar che riempì ancora il mestolo e ripeté la procedura di nuovo sulle ferite delle braccia e sulla gamba, Cadavere si ruppe il polso della mano destra e si morse la lingua, tremava come un fuscello.
«Morgan Sulzberg, sei pronto a confessare i tuoi crimini? Se mentirai o penserò che mentirai dovrò continuare a tormentare il tuo corpo per redimere la tua anima. Se sarai sincero, ti sarà concessa una morte veloce, quando sarà il momento.»
Cadavere aveva la testa china quasi sul peto:«C-confesso.»
«Chi è il tuo padrone?»
«S-si fa chiamare l’Alchimista.»
«E chi è?»
«Porta una maschera d’oro e una veste dorata. Non l’ho mai visto in faccia.»
«Quanti siete?»
«Cinque, sono stati Felix e Gunther a rapire Bastian, poi c’era Uwe.»
«Solo cinque?» chiese Lothar.
«Credo che ci fossero altri, ma ho sempre visto solo loro.»
Lothar si voltò verso Wilhelm:«Un culto organizzato a celle indipendenti forse.» poi tornò a parlare a Cadavere:«Perché avete rapito Bastian e volevate rapire Stefan?»
Cadavere sospirò:«Non lo so, l’Alchimista diceva che dal loro sangue avremmo ottenuto l’immortalità.»
«Volete ucciderli!» urlò Ferdinand.
«Dove li dovevate portare?» chiese Lothar.
«Non lo so, dovevamo incontrarci alla Vecchia Torre e là ci avrebbe detto cosa fare.»
«Alla Vecchia Torre allora» disse Ferdinad «finite di interrogare questo bast***o, non posso aspettare oltre.»
Wilhelm si rivolse al fratello:«Andate, finiremo di cavare tutto ciò che c’è di utile.»
Ferdinand e i suoi tre figli maggiori uscirono dalla stanza assieme a Jorn, Lothar tornò a interrogare Cadavere:«Avete sfruttato il pozzo per portare via Bastian?»
«Si, l’Alchimista ci ha detto della caverna e della sua uscita sul fianco della collina.»
Wilhelm sbuffò:«Chi pensava che la falda sotterranea avesse un collegamento con l’esterno.»
«Perché il tuo compagno aveva della malapietra e perché l’ha inghiottita?»
Cadavere sospirò:«L’Alchimista ci aveva detto che se inghiottivamo quella sarebbe stato impossibile catturarci. Non sapevo fosse malapietra.»
Lothar proseguì con altre domande, ma nessuna diede risposte utili, uscirono dalla cella e lasciarono tre guardie a presidiarla.
«Siamo di fronte a un culto del Caos» disse Lothar «non numeroso credo, ma il magister del culto è stato abbastanza furbo da non lasciare molte indicazioni ai cultisti nel caso fossero catturati.»
«Ma cosa vogliono fare con Bastian?» chiese Wilhelm.
«Niente di buono» rispose Lothar «dobbiamo trovarlo il prima possibile.»
«E dobbiamo trovare anche Karl» disse Frank Van Horstmann «gli uomini che abbiamo mandato nel pozzo e nella caverna non l’hanno visto.»
«Stupido idiota di un ragazzino» sbottò Wilhelm «doveva mettersi a fare l’eroe.»

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Capitolo 6
*** Incontro nella Vecchia Torre ***


Felix odiava la Vecchia Torre, non erano le storie di fantasmi e demoni a spaventarlo, ma l’impressione che da un momento all’altro quelle pietre decrepite e quelle assi di legno marce cedessero.
Qualche centinaio di tonnellate di pietra in testa…
La ferita sul fianco bruciava da morire, teneva premuto un pezzo di stoffa strappato dai pantaloni per fermare l’emorragia, si chiese quanto sangue potesse ancora uscire, i pantaloni e la maglia ne erano inzuppati.
«Dovevamo proprio portarci dietro questo bast***o?» disse Gunther dietro di lui «La mia gamba fa un male cane!»
Si voltò, il grassone era piegato sotto il peso di Karl Van Horstmann, incosciente e imbavagliato:«Il capo dovrebbe aver mandato qualcuno ad aiutarci, ora taci!»
L’interno della torre era decrepito come l’esterno, la luce di Mannslieb entrava dalle finestre e da altre aperture che il tempo e gli elementi avevano aperto.
Un rumore lo fece balzare indietro, un’ombra si mosse, poi alla luce di Mannslieb un corpo imponente si palesò, doveva essere alto almeno due metri e grosso come due uomini robusti, indossava solo una giacca marrone logora e dei pantaloni, la pelle era di un blu scuro con tratti più chiari, al posto dei capelli dal testa aveva piccoli steli viola simili a erba mentre cinque occhi erano sparsi in modo irregolare sul volto, alcuni in diagonale o in verticale.
Non c’era naso e la bocca era una cavità circolare con tanti piccoli denti aguzzi.
«Ma che cavolo è?» disse Gunther.
Una voce femminile rispose:«Si chiama Murg, non dovete aver paura di lui.»
La donna uscì dall’ombra, un viso dalla pelle chiarissima, quasi bianca, colpì Felix, fissò le labbra piene color viola e capelli blu e spalancò la bocca.
«Avete preso Bastian, ma non vedo il figlio di Frank, avete un altro prigioniero?»
Felix provò a parlare ma sentì la gola stretta come in una morsa, la donna era alta quasi come lui e indossava una lunga veste azzurra, si avvicinò con gli occhi fissi su di lui, le iridi erano verticali e color viola che cambiavano di continuo tonalità.
Sfiorò con le dita sottili della mano destra la guancia di Felix e si avvicinò a pochi centimetri da lui:«Su, parla, che fine ha fatto il figlio di Frank?»
«Non… non lo sappiamo, gli altri non sono mai arrivati nella caverna, ci ha trovato quel ragazzo, è un altro figlio di Ferdinand.»
La donna andò oltre Felix che la seguì con lo sguardo, ancheggiava flessuosa e aggraziata, con la veste che a volte aderiva e a volte si gonfiava, mostrando e nascondendo le forme.
«Non è proprio quello che l’Alchimista voleva, ma forse gli andrà bene lo stesso. Murg, prendi questo qui.»
Un rantolo fuoriuscì dall’orifizio sul volto di Murg, si mosse deciso e Felix si scostò.
Mentre Murg prese Karl dalla schiena di Gunther, la donna si avvicinò a Uwe:«Ragazzina, per fortuna c’eri tu con questi due, non ti sei ferita.»
«Grazie al cavolo! Non ha combattuto!» disse Gunther mentre teneva la mano sulla ferita della gamba.
Murg si voltò verso di lui e sibilò, Gunther spalancò gli occhi e fece un passo indietro, inciampò su una pietra e rovinò a terra.
«Buono Murg, è solo un idiota.»
La donna prese Bastian dalle braccia di Uwe e lo sollevò, il bambino era ancora addormentato, rimase a fissarlo per un po’ poi si voltò verso Felix:«L’avete quasi soffocato, l’Alchimista vi avrebbe bruciati vivi se fosse andata male!»
«Siamo feriti» disse Felix «aiutaci invece di parlare!»
La donna ridiede Bastian a Uwe ed estrasse due piccole boccette dalla veste:«Ma certo, questo è il vostro premio, le vostre ferite spariranno.»
Si avvicinò a lei e prese la boccetta che aveva in mano, notò le dita affusolate che terminavano con una sottile fessura al posto dell’unghia, rimase a fissarle per un istante prima di distogliere lo sguardo.
Aprì la boccetta, dentro c’era un liquido azzurrino con una debole luminescenza, aveva un vago sentore di frutta, anche se non avrebbe saputo dire quale, gli ricordò alcuni dei frutti esotici che a volte i Van Horstmann riuscivano a procurarsi.
«Cos’è?» chiese.
«Elisir di Tzeentch» rispose la donna «le ferite non vi preoccuperanno più, dopo che le avrete bevute.»
Non era convinto, ma la ferita al fianco continuava a pulsare e il sangue a uscirne, respirò a fondo e tracannò tutto il contenuto della boccetta.
Avvertì uno strano calore allo stomaco, simile a quello di un liquore, poi sentì uno strano pizzicore al fianco, mollò il tessuto che teneva sulla ferita e vide che il sangue non sgorgava più.
Un dolore atroce all’addome lo piegò in due, sentì qualcosa tagliargli le viscere, come con un coltello, urlò dal dolore, poi fitte terribili lo colsero alle tempie.
Cadde a terra con una mano allo stomaco e una sulla testa, si rotolò su se stesso, sentì le mani bruciare e gli occhi gonfiarsi, quasi dovessero esplodere, infine la lingua si ingrossò e i denti cominciarono a pulsare.
All’improvviso tutto finì, respirò a fondo, incredulo che quell’agonia fosse davvero finita, ma qualcosa non quadrava.
Vedeva in modo strano, oggetti che avrebbe colto con la coda dell’occhio ora erano ben visibili, si toccò gli occhi, erano gonfi e sporgevano di netto dall’orbita oculare.
Spaventato guardò le mani, i palmi erano verdastri e palmati, con la lingua si tastò i denti, si punse, ora sembravano tanti aghi sottili.
Si voltò verso gli altri, Uwe era arretrata di alcuni passi, Murg e la donna erano rimasti fermi a guardare, cercò Gunther, lo vide chino sul pavimento, appoggiato con le braccia ora più lunghe delle gambe, la schiena si era ingobbita e il viso era ricoperto di bitorzoli verdi, un terzo braccio sporgeva dalla spalla destra la cui parte finale era una grossa chela simile a quella di un granchio.
«Che cosa ci hai dato?» urlò alla donna.
«Elisir di Tzeentch, egli vi ha elargito i suoi doni.»
«Il capo ci aveva promesso un futuro migliore! Non questo!»
«Lo avrai se ti dimostrerai degno, oppure vattene e torna alla tua vita di un tempo.»
E dove potrei andare ridotto così?
Gunther si avvicinò a lei, tentò di camminare sulle gambe ma la gobba pronunciata glielo rendeva difficile e dovette appoggiarsi sulle lunghe braccia, alzò la testa e digrignò i denti:«Sporca pu****a! Guarda come mi hai ridotto!»
Saltò contro di lei ma Murg lo afferrò per la gola e lo sbatté al suolo, la donna si avvicinò:«Un altro scherzo del genere e sei morto, i doni di Tzeentch sono imprevedibili, servi bene l’Alchimista e vedrai che Colui che Cambia le Vie saprà ricompensarti. Ora muoviamoci.»
Felix s’incamminò dietro Uwe e la donna, Murg mollò la presa su Gunther e andò in testa alla fila, Felix guardò il suo compagno, uno scambio di sguardi muti ma eloquenti, avevano superato un limite e non sarebbero più tornati indietro.

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Capitolo 7
*** Sulle tracce ***


Frank Van Horstmann rimase fuori dalla Vecchia Torre mentre alcuni uomini guidati da Jorn, Eyron e Mark erano alla ricerca di tracce.
Suo zio Ferdinand e i tre figli maggiori smontarono da cavallo e entrarono a loro volta, mentre suo padre Wilhelm rimase anch’egli fuori.
Lothar era con un gruppo di arcieri che gli chiedevano del suo combattimento con la progenie del caos, così né approfittò per parlare con suo padre.
«Cosa ne pensi dell’interrogatorio?» disse.
«Quel maledetto cultista non ha sofferto abbastanza per quanto mi riguarda.» rispose Wilhlem.
«Non intendevo questo. Lothar sembra essere ben preparato a questo genere di cose, un po’ troppo per un comune prete.»
Wilhlem rivolse un’occhiata furtiva a Frank:«Cosa vuoi dire?»
«Che faceva parte dell’Inquisizione, forse ne fa parte ancora.»
Wilhelm scrollò le spalle:«Probabile, fin da subito immaginavo che non avrebbero mandato un prete di campagna, non ero sicuro che potesse aver militato nell’Ordine del Martello, ma non importa.»
«Non importa? Dovrebbe essere un nostro amico e alleato, non una spia.»
L’idea che Lothar potesse riferire all’Inquisizione o direttamente al Gran Teogonista lo disturbava, la sua famiglia aveva patito abbastanza.
«Figlio mio, la chiesa di Sigmar è nostra alleata, ma in questa alleanza siamo la parte debole e pure scomoda. Per fidarsi di noi devono avere qualcuno che ci sia vicino, molto vicino, questo è il prezzo da pagare. E per come eravamo messi sei anni fa, era anche un buon prezzo.»
Frank arricciò il naso:«Politica. Ma Lothar dovrebbe essere anche il nostro sostegno spirituale, un nostro consigliere.»
«Lo è» disse Wilhelm «ci ha sempre servito bene. Ha rischiato la vita poche ore fa, lo hai dimenticato? Egli ha un dovere, è fedele in primo luogo a Sigmar e al Gran Teogonista, dopo di essi veniamo noi. È più che sufficiente.»
Frank annuì, il padre aveva ragione, come sempre, eppure sentì che non sarebbe più riuscito a fidarsi di Lothar come un tempo.
Eryon uscì dalla Vecchia Torre e si rivolse a Wilhelm:«Sono stati qui non più di due ore fa e hanno incontrato due persone. Devono averli curati perché non ci sono altre tracce di sangue.»
«Per dove sono andati?»
Eryon balzò in sella al suo cavallo:«Verso nord-est.»
«In marcia!» disse Ferdinand dopo essere rimontato a cavallo.
«In marcia!» ripeté Wilhelm.
La colonna di soldati si rimise in marcia, metà delle forze addestrate della casata, un centinaio di uomini in tutto tra arcieri, lancieri, alabardieri e cavalleggeri, una forza sufficiente a spazzare via qualunque culto caotico.

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Capitolo 8
*** Negli Inferi ***


Raggiunsero l’ingresso del Tempio, alcuni scalini di pietra che scendevano nella terra e portavano a una piccola cripta di pietra grigia ricoperta di edera e muschio.
«Andiamo a nasconderci dentro una tomba?» disse Felix.
Delia scosse la testa, quell’idiota e il suo amico ancor più idiota si dimostravano sempre più stupidi ogni volta che aprivano bocca, due pedine che erano state utili, ma che ora avrebbe voluto sacrificare.
«Taci, ringrazia per il privilegio che ti è concesso.»
Sentì Felix sbuffare e Gunther bofonchiare qualcosa, avrebbe voluto girarsi e ucciderli, ma decise di ignorarli, quando sarebbe stato il momento, l’Alchimista avrebbe saputo che farne.
Posò le mani sulla porta di pietra e si concentrò, non ebbe bisogno di pronunciare le parole nel vernacolo oscuro, la sua mente era più che sufficiente, i cardini scricchiolarono e l’accesso fu aperto.
Scesero una stretta scalinata per una decina di metri, poi raggiunsero un corridoio più ampio con pareti di marmo dalle venature colorate che emettevano una strana luce.
Mentre la porta si chiudeva, vide Felix e Gunther guardare a bocca spalancata i muri mutare colore e le venature mischiarsi, incrociarsi, svanire e riapparire.
«Ehi, sembra che ci siano delle persone dall’altra parte di questo muro.» disse Uwe.
La ragazzina è sveglia, altro che quei due idioti. Potrà essere molto utile.
«Questi muri sono in parte qui e in parte nell’Aethyr, dall’altra parte non ci sono persone, ci sono anime e demoni.»
Felix arretrò di un passo verso il centro del corridoio così come Uwe, mentre Gunther si grattò la testa:«Aethyr che?»
Oltre che ignorante, sei pure più stupido del tuo amico.
«La dimensione da dove proviene il potere del Caos e da dove Colui che Cambia le Vie muove i fili del destino. E ora sta lontano dai muri, a volte una mente troppo curiosa attrae i demoni e crea un varco.»
Con te non credo ci sia pericolo.
Proseguirono dritti, superarono vari incroci con altri corridoio e porte, alcune chiuse altre aperte, la luce multicolore pulsava, scemava e si intensificava, Delia avvertiva la presenza dei Demoni, molti intenti a sbirciare tra le maglie del tessuto della realtà e concupire le anime dei mortali.
«Ehi, guarda là.» disse Felix dietro di lui.
Delia si voltò, l’idiota aveva gli occhi fissi su una porta spalancata, fece due passi avanti.
«Stai fermo!» gli urlò e corse verso di lui.
Felix rallentò ma non si fermo, gli occhi fissi su ciò che c’era oltre la porta, quando Delia fu dietro di lui, vide la Demonetta sorridere con le fauci spalancate e gli artigli pronti a colpire.
Afferrò Felix per il collo e lo gettò a terra, la Demonetta ringhiò contrariata prima di svanire.
«Stupido idiota! Cosa ti avevo detto? Ti avrei lasciato crepare come un cretino, ma quel demone sarebbe entrato nel corridoio e ci avrebbe inseguiti!»
«Ma, ma… era bellissima.»
Afferrò il braccio sinistro di Felix, un istante dopo lui cominciò a urlare e a divincolarsi, lo lasciò dopo quale momento, la pelle annerita e ustionata dove l’aveva toccato.
«Disobbedisci ancora e questo sarà quel che succederà a tutto il tuo corpo.»
Ci volle ancora del tempo per raggiungere il limitare del Vortice, il corridoio finì presso un ampio portale, alto come due uomini e largo abbastanza per farci passare due carri affiancati.
Il portone dorato che lo chiudeva si mosse senza alcun rumore e si sollevò, un’enorme creatura alta fino al soffitto e più grossa di Murg li accolse, era ricoperto di metallo nero, in effetti sembrava un’enorme armatura, solo due occhi rossi nell’elmo tradivano una presenza vivente.
Il Magister ha portato a termine una delle sue creazioni.
L’essere li squadrò a uno a uno, poi fece qualche passo indietro e si fece di lato.
Delia entrò per prima, la grande sala circolare era immersa in una luce rossastra, era la luce del Vortice al centro, separato e contenuto dalla barriera, che di fatto occupava metà dello spazio.
«Delia» disse una voce rauca con tonalità metalliche «che te ne pare della mia nuova creazione?»
Lei sorrise:«Impressionante, come sempre.»

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Capitolo 9
*** L'Alchimista ***


Uwe sentiva il cuore battere sempre più forte, per ogni passo là dentro si era chiesta se avesse fatto bene, se non fosse meglio la squallida vita da sguattera nel castello dei Van Horstmann a mangiare le briciole dei nobili e farsi calpestare.
Aveva visto cosa era successo a Felix e Gunther, non era quello che sperava, quello che voleva, li aveva sempre odiati e disprezzati, ma ora provava pietà.
I Demoni nel Labirinto l’avevano spaventata a morte, più di qualche volta aveva rallentato il passo e pensato di fuggire, ma la paura di perdersi e della reazione di Murg e di Delia l’avevano trattenuta.
Quando vide l’Alchimista comprese che era troppo tardi per tornare indietro: la testa era racchiusa in una specie di elmo che sembrava quasi sostituire la parte superiore del cranio più che coprirlo, due occhi verdi facevano capolino da una sottile fessura mentre la bocca affiorava appena tra una lunga barba racchiusa in nove trecce nere.
Il corpo era alto e magro, quasi del tutto metallico, ma di proporzioni sbagliate, le braccia e le gambe troppo corte, il braccio destro terminava con una mano dalle dita tozze, il sinistro con dita metalliche, lunghe e sottili.
Sembrava uno spaventapasseri malfatto, quasi ridicolo, ma il fatto che fosse vivo e parlasse le portò le lacrime agli occhi, sentì la vescica cedere e un tenue calore alle gambe.
«Un golem assistente, bé, quasi, non sono ancora riuscito a fare a meno del Demone che lo guida.»
Delia si inginocchiò:«Grande Magister, il nostro piano ha subito un mutamento.»
L’Alchimista pose lo sguardo su Uwe e poi su Murg:«L’altro non è il bambino, è un uomo ormai. Non ci serve.»
Il tono perse quel poco di calore che poteva aver avuto, a Uwe parve di vedere la stessa Delia tremare:«Magister, purtroppo i due idioti che dovevano rapire il figlio di Frank Van Horstmann non sono arrivati alla caverna, né alla Vecchia Torre. Abbiamo catturato questo ragazzo, Karl, è un fratello di Bastian.»
«È troppo grande. Il suo sangue non va più bene.» disse l’Alchimista.
«Forse no, forse una parte può essere recuperata.» disse Delia.
L’Alchimista guardò Frank ancora incosciente, tenuto per un braccio da Murg:«Non credo, ci serve Stefan.»
«Impossibile» disse Gunther «ormai…»
L’Alchimista allungò il braccio sinistra e una saetta verde colpì in pieno Gunther che fu sbalzato contro il muro:«Chi ti ha concesso di parlare? Io sono il tuo Magister!»
Uwe si inginocchiò e fissò l’Alchimista.
«Cosa vuoi, bambina?»
«Mio Magister» disse Uwe nella speranza di non sbagliare parole «i Van Horstmann sono di sicuro alla ricerca di Bastian e Karl e la sorveglianza nel castello sarà ancora più alta.»
L’Alchimista la fissò per alcuni istanti, poi disse:«Vero, dovrò aspettare che la tensione cali prima di tentare di nuovo. Ma come trovare altri servitori che mi seguano?»
«Mio Magister» s’inserì Delia «forse non è necessario.»
«Ho detto che il sangue del ragazzo non va bene! C’è troppo poco di quel che cerco!»
«S-si, ma se i Van Horstmann sono in giro alla ricerca di Bastian e Karl, forse potremmo catturarne uno. Due anche se non sono bambini potrebbero bastare.»
L’Alchimista si toccò una treccia della barba con la mano destra:«È possibile. Dobbiamo subito elaborare un piano.»
«Si, mio Magister.» disse Delia.
«Portate i due prigionieri in una stanza e legateli, quanto a voi tre, seguite Murg, vi porterà ai vostri… alloggi.»
Seguirono il grosso mutante che li fece entrare in un altro corridoio e, dopo poco, indicò loro una porta, c’era una grande stanza con dei pagliericci e alcuni stracci, alcuni abiti gettati e un forte odore di urina e altro.
Due lacrime segnarono il volto di Uwe.
Cosa ho fatto?

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Capitolo 10
*** Trappola ***


Un rumore di corda in tensione provenne dai cespugli sulla destra e un istante dopo un lanciere crollò a terra con un dardo nella tempia.
«Imboscata!» urlò Mark mentre spinse Hermann Van Horstmann a terra.
I lancieri si abbassarono sulle ginocchia e sollevarono gli scudi, altri cinque dardi saettarono nell’aria ma passarono sopra gli uomini, poi una ventina di uomini urlanti sbucarono fuori dai cespugli.
Non c’era tempo per pensare, Mark sguainò la spada lunga e andò incontro al cultista più vicino, un uomo di altezza media con indosso brache e camicia, con i capelli sulla testa simili a rovi neri e gli occhi di un rosso acceso.
Teneva una spada corta per mano, esitò un attimo e tanto bastò a Mark per attaccare con un affondo al torace, il cultista portò indietro il busto ed evitò la lama ma dovette fare un paio di passi all’indietro per riprendere l’equilibrio.
Mark accorciò la distanza e attaccò in diagonale dal basso a sinistra verso l’altro a destra, la punta della spada tranciò il fianco destro e risalì fino alle prime costole, il sangue sprizzò copioso e bagnò la camicia, il cultista urlò dal dolore e fece un passo indietro.
Inciampò su una radice, riuscì a rimanere in piedi ma con la guardia abbassata, un solo movimento fluido di Mark e un istante dopo la testa del cultista rotolò a terra.
Un secondo cultista armato di lancia lo assalì, era più piccolo e indossava un mantello con cappuccio.
Pessima scelta.
Il cultista affondò con la lancia, Mark schivò a destra, si mosse ancora di lato e vide il suo avversario agitare la testa per scostare il cappuccio.
Né approfittò subito e attaccò in orizzontale da destra a sinistra, all’altezza del fianco, la lama affondò nella carne e aprì un grosso taglio sanguinolento sulla pancia, il cultista abbassò la testa incredulo e guardò le proprie budella uscire dalla ferita e cadere a terra.
Kaputt!
Il cultista si gettò a terra con un urlo di dolore, afferrò le proprie viscere e cercò di ributtarle dentro, Mark represse un conato di vomitò e lo colpì con un calcio al volto, poi cercò un altro avversario.
Un altro cultista gli corse incontro con una mazza sollevata sopra la testa, un attimo dopo un’ascia si conficcò sul fianco dell’uomo che rovinò a terra e urlò dal dolore.
Mark guardò a destra, Jorn aveva un ghigno soddisfatto.
«Adoro le asce da lancio!» disse.
«Padre, non è il momento per queste cose.»
Jorn scosse la testa, si voltò e scagliò un’altra ascia, colpì la gamba destra di un cultista che rotolò a terra con un urlo, cadde supino, afferrò il manico dell’ascia e lo tirò, la ferita zampillò come una fontana e l’uomo non si mosse più.
Mark si guardò intorno, dov’era finito Hermann?
Lo vide una trentina di metri più avanti trafiggere un mutante con tre braccia, attorno a lui c’erano i corpi di altri due nemici.
L’impeto iniziale dei cultisti scemò, privi di armature e scudi non avevano possibilità in una mischia prolungata.
E infatti si diedero alla fuga.
«Presto! Dobbiamo catturarli! Prendetene vivo uno!» urlò Hermann
Mark lo vide lanciarsi all’inseguimento con tanta foga da distanziare subito i lancieri e sparire tra i cespugli:«Hermann! Fermo!»
«Dannazione! !» sbottò Jorn «Presto, raggiungiamolo!»
Scattarono all’inseguimento, non potevano perdere un altro Van Horstmann, un altro figlio di Ferdinand.
Mark distanziò ben presto suo padre e i lancieri, passò in mezzo ai cespugli, vide Hermann già molto avanti colpire un cultista che crollò a terra e si dimenò urlante.
Non si fermò e inseguì gli altri che entravano dentro un vecchio mulino in rovina.
«Fermo! È una trappola!» urlò Mark.
Non ne era sicuro ma il rischio c’era.
Hermann si girò per un attimo:«Seguitemi! Troviamo il loro covo!»
Lo vide passare oltre una breccia nel muro, corse ancora nonostante il fiato corto, superò con un balzo la breccia e si guardò attorno.
Nell’oscurità rischiarata solo da pochi raggi del sole attraverso finestre e buchi si accorse di una porta su un muro.
Era aperta verso l’intero del mulino e una scalinata scendeva sottoterra, illuminata da una tenue luminescenza, sentì Hermann gridare e il rumore di metallo contro metallo.
In quel momento la porta di pietra cominciò a chiudersi, Mark si avventò su di essa, la afferrò e puntò i piedi a terra, ma fu trascinato, si spostò tra lo stipite la porta e si puntò di nuovo, tutto inutile.
La porta era quasi chiusa quando i lancieri e suo padre raggiunsero l’interno del mulino.
«Presto! Tenete aperta questa porta!» urlò Mark.
Troppo tardi, un ultimo movimento e Mark fu spinto dentro, sentì le voci dei lancieri dall’altra parte e lo sbattere di pugni contro la pietra.
«Trovate qualcosa e sfondate questa porta!» ordinò Jorn dall’altra parte della porta.
«Padre, io cerco Hermann!»
«Bene. Stai attento Mark.» disse Jorn con un insolito tremolio della voce.
Mark scese le scale di corsa.

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Capitolo 11
*** Cultisti e mutanti ***


Hermann Van Horstmann era impegnato contro tre cultisti, altri due erano a terra in una pozza di sangue, ma gli altri lo incalzavano con daghe e lance, per quanto lo permettesse la larghezza del corridoio.
Si lanciò in soccorso di Hermann, per un attimo la sua mente fu distratta dalla luce multicolore proveniente dalle pareti, poi si concentrò sul nemico più vicino.
Affondò con la spada e costrinse il cultista ad arretrare, poi sentì qualcosa avvolgerli il piede destro, abbassò lo sguardo un istante e vide una coda squamata stretta alla caviglia.
Con la coda dell’occhio colse il movimento del suo avversario, la daga saettò verso di lui, colpì d’incontro e trafisse il cultista allo stomaco mentre la lama nemica strisciò sulla cotta di maglia.
Un altro cultista crollò a terra con la testa aperta in due, mentre il terzo arretrò di un passo, si voltò e corse via.
Hermann si gettò all’inseguimento:«Prendiamolo!»
Mark scattò, inseguirono il cultista lungo il corridoio con la luce che si attenuava e si intensificava, il fuggitivo sparì oltre un angolo, quando ci arrivarono videro un altro lungo corridoio con una decina di uomini e mutanti una ventina di metri più in là.
Afferrò Hermann per il braccio:«Scappiamo!»
Lo strattonò e tornarono per dove erano venuti, forse gli uomini erano riusciti ad abbattere la porta, raggiunsero la base delle scale e videro la porta ancora intatta.
Mark tornò a guardare verso il corridoio, i cultisti svoltarono l’angolo, si fermarono un attimo, poi uno avanzò di qualche passo:«Arrendetevi.»
«Sono troppi.» bisbigliò Hermann.
Mark annuì, poi vide una porta sulla parete, pochi metri più avanti.
«Andiamo là.»
«Non c’era prima.»
Afferrò Hermann per il braccio e lo trascinò verso la porta:«Lo so ma non abbiamo scelta.»
Entrarono nella stanza, era buia ma dopo qualche istante una debole luminescenza giallastra cominciò a illuminarla, le pareti non sembravano diverse da quelle del corridoio, anche se i colori apparivano così vivi da sembrare quasi uscire dai muri.
«Non c’è un’altra uscita, siamo in trappola.» disse Hermann.
«Mettiamoci alla porta e sfruttiamo lo spazio.»
Si misero subito ai lati della porta, il primo cultista entrò di corsa e rovinò a terra con un urlo, la gamba destra amputata all’altezza del ginocchio dalla spada di Hermann.
Il secondo, un mutante con una dozzina di occhi sparsi in modo irregolare sulla testa, si rese conto del pericolo e si bloccò ma fu spinto in avanti dai suoi compagni, Mark calò la spada e gli spaccò il cranio che sprizzò sangue e cervella mentre gli occhi schizzarono fuori dalla testa.
Altri tre entrarono, Hermann trafisse il primo allo stomaco mentre Mark diede un calcio al secondo che cadde a terra, infilzò il terzo al fianco e poi calò la spada sulla testa del secondo, che rotolò sul pavimento.
Dovettero arretrare poiché gli altri si erano gettati dentro, erano in sei, Mark inspirò e si lanciò all’attacco, il cultista più vicino effettuò un affondo con la lancia, Mark lo schivò e dovette subito parare un colpo di daga di un altro alla sua destra.
Sferrò un calcio al ginocchio al cultista con la daga che cadde a terra con un grido, poi dovette ruotare per parare un nuovo affondo di lancia, l’asta di legno si spezzò ma un terzo cultista gli balzò addosso.
Puntò i piedi e si piegò sulle ginocchio, tenne la spada di piatto tra sé e il cultista, l’impatto lo fece arretrare ma rimase in equilibrio, il braccio destro teso per tenere la lama ferma, il cultista aveva la faccia ricoperta di piccoli tentacoli violacei poco più lunghi di peli di barba, nessun occhio ma una bocca dal quale uscì un tentacolo più lungo.
Mark afferrò con la sinistra il pugnale alla cintola e infilzò il mutante alla pancia, poi tirò su e tranciò tutto ciò che trovò fino alle costole, una cascata di sangue e budella si rovesciò sul pavimento il tentacolo si fermò di colpo.
Colse il momento e arretrò di colpo, represse un conato di vomito quando vide che le budella non erano altro che lunghi tentacoli rossi ricoperti di ventose e al centro dello squarcio dell’addome c’era una bocca circolare con una specie di becco osseo grande come due mani.
Il mutante con la lancia gettò il mozzicone dell’arma e si gettò in avanti, la bocca si spalancò tanto occupare quasi tutto il volto e rivelò due zanne lunghe come dita sopra e due sotto.
Mark si mise in guardia, fintò un attacco da destra e il mutante si spostò a sinistra, poi affondò con la spada dritta al torace, la punta strappò la veste e la pelle e aprì una piccola ferita, troppo poco.
Il mutante con i tentacoli avanzò con la bocca al centro dell’addome che urlava, la testa collassò all’interno del corpo e le braccia si trasformarono in due fruste di carne.
«Ma non c’è fine allo schifo!» sbottò Mark, poi si spostò sulla sinistra per tenere il mutante con la bocca e le zanne enormi tra sé e la mostruosità con i tentacoli, effettuò un affondo che costrinse il primo ad arretrare.
I tentacoli avvolsero il mutante che si divincolò, ne afferrò alcuni e ne morse altri, ma fu attirato dentro la bocca ventrale e il becco osseo lo trafisse e gli spezzò la spina dorsale.
Ora.
Scattò in avanti e calò la spada sui tentacoli ammassati, l’acciaio ne tranciò di netto buona parte, ma le fruste di carne lo colpirono al volto e al collo e lo costrinsero ad arretrare, attaccò di nuovo mentre il mostro finiva di divorare il compagno.
Il busto e le spalle dell’essere si contorcevano come se non avesse ossa, una frusta gli passò a pochi centimetri dal volto, sollevò la spada e colpì, l’altra frusta cadde a terra.
Il mostro ingoiò ciò che restava del mutante e si gettò contro Mark con i tentacoli rimasti tesi in avanti e la frusta sinistra che si agitava spasmodica.
Mark scattò a destra e distanziò il mostro, il cultista che aveva calciato al ginocchio era di fronte a lui, zoppicante, lo afferrò per la camicia e lo strattonò verso di lui, questo inciampò e cadde a terra, Mark lo mollò e si allontanò.
Il mostro avanzò e con i tentacoli rimasti avvolsero il cultista, che tirò fuori la daga e cominciò a colpire a casaccio finché il becco non gli afferrò e stritolò il braccio.
Il cultista urlò dal dolore mentre veniva mangiato vivo, Mark aggirò il mostro a destra, gli fu dietro e lo colpì con tutta la forza che aveva sulla schiena, uno schiocco di ossa spezzate lo fece rabbrividire.
Colpì ancora, il mostro emise un verso acutissimo che gli fece stringere i denti e si voltò, il cultista era stato spezzato a metà all’altezza della vita e i tentacoli rimasti lo stringevano verso il becco vorace, solo la frusta di carne era libera.
Mark si abbassò per schivarla e colpì all’altezza del ginocchio sinistro, mozzò di netto la gamba e il mostro crollò a terra, si rialzò e infierì con una tempesta di colpi, amputò frusta, tentacoli e  gambe mentre schizzi di sangue e pezzi di carne venivano sparsi attorno.
Continuò a colpire, finché nulla si mosse più, ora il silenzio regnava nella stanza, interrotto solo dal suo ansimare.
Grazie Ulric.
Cadde in ginocchio, i muscoli bruciavano per lo sforzo, la gola era secca ed era fradicio di sudore.
Si voltò di colpo, vide i cadaveri di altri cultisti, ma dov’era Hermann?

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Capitolo 12
*** Patto demoniaco ***


Hermann infilzò l’ultimo cultista più o meno dove si trovava il cuore, affondò la spada tanto che la punta sbucò dalla schiena e l’elsa fu a poche dita dalla pelle.
Il cultista sorrise maligno e gli sferrò un pugno alla tempia, Hermann cadde a terra e rotolò su se stesso, si rialzò subito ed estrasse il pugnale.
«Patetico, il Grande Manipolatore mi ha dotato di un corpo che non può essere ucciso così facilmente!»
Con la destra estrasse la spada dal suo corpo e la gettò dalla parte opposta della stanza, con la sinistra si strappò via le vesti e rivelò un corpo ricoperto di scaglie verdastre fino al collo, sotto le quali strane cose sembravano muoversi tra rigonfiamenti e rientranze.
«E ora che hai visto i doni di Tzeentch, verrai con me!»
Il cultista gli fu addosso, Hermann fu travolto dal peso dell’avversario e cadde a terra, colpì alla cieca, poi aprì gli occhi e gli piantò il pugnale sul collo.
Un icore verdastro uscì a fiotti dalla ferita ma il cultista non parve farci caso, allungo le mano verso il suo collo, Hermann mise la sinistra in mezzo e con la destra pugnalò all’orecchio.
Altro icore verdastro sgorgò lungo la pelle e le squame, sentì una presa d’acciaio sulla sua mano sinistra mentre una morsa spietata si chiuse sulla sua gola.
Hermann riuscì a piegare la gamba destra e sollevare un po’ il cultista, poi diede un colpo di reni e sentì la presa al collo mancare, né approfittò subito e col destro colpì con tutta la forza che aveva, fu abbastanza per far cadere di lato il nemico.
Si rialzò subito e il cultista fece lo stesso, l’icore verde continuava a sgorgare senza che ciò lo indebolisse.
«Non puoi battermi, arrenditi.»
Mi vuole vivo.
La sua spada era diversi metri dietro il cultista, doveva riprendersela, quel maledetto doveva pur avere un punto debole!
Fece due passi con calma, abbassò le mani e rinfoderò il pugnale:«Che cosa vuoi?»
Il cultista sorrise:«Bene, vedo che capisci, ora…»
Hermann gli balzò addosso mentre faceva un passo avanti, lo sorprese e lo sbilanciò, il cultista cadde a terra e batté la testa sul pavimento che si ruppe come un vaso, altro icore verde e piccoli serpenti neri uscirono dal cranio.
Scattò in piedi, una mano gli strinse il braccio ma si divincolò, raggiunse la spada e si voltò, il cultista si era rialzato, il suo volto non dava segno che il cranio dietro era aperto:«Come preferisci, patetico idiota!»
Avanzò con le braccia protese in avanti, Hermann colpì e amputò entrambi gli arti, ma il cultista gli fu addosso.
Caddero a terra, il cultista aprì la bocca e un serpente verde grosso come un braccio uscì al posto della lingua, cominciò a strisciare attorno e a stringersi alla vita.
Hermann infilò la spada tra sé e il cultista e spinse con entrambe le mani, il taglio dell’arma cominciò a penetrare poco sotto alle costole.
Il serpente si attorcigliò al torace e cominciò a stringere, nonostante la maglia di ferro la pressione era tale da non farlo respirare.
Spinse più forte, la lama affondò nell’addome del cultista, sentì la pressione del serpente scemare, il nemico si alzò e liberò la presa, arretrò di alcuni passi mentre dalla ferita cominciarono a uscire piccoli serpenti neri.
Un punto debole ce l’hai allora!
Il serpente rientrò nella bocca e il cultista parlò:«Sei tenace ma non puoi vincere.»
Le braccia amputate cominciarono a muoversi flessuose, due teste di serpente apparvero dalla carne viva e avanzarono seguite dal corpo.
Una spada infuocata uscì all’altezza del torace del cultista che urlò di dolore, le fiamme si propagarono e avvolsero scaglie, serpenti e testa.
La spada sparì e il cultista si gettò a terra, si rotolò ma le fiamme ardevano incontrollabili, le urla disperate  rimbombavano nella stanza mentre i serpenti si contorcevano e sibilavano.
Pochi attimi e il cultista divenne cenere, Hermann fissò l’essere ora in piedi davanti a lui, una creatura dalla pelle grigia, alta, due ali da pipistrello alle spalle e una testa allungata priva di capelli con occhi grandi e neri e quattro grosse corna puntate in avanti.
Hermann non aveva mai visto un demone prima, alzò la guardia e deglutì.
E adesso?
«Non essere ridicolo, mortale» disse il demone «cosa pensi di fare?»
«Io devo…»
Hermann si voltò a destra e a sinistra, quella non era la stanza dove era entrato con Mark, anzi, dov’era Mark?
«Non sai nemmeno dove sei e che sta succedendo.»
«Taci, demone!»
Il demone rise:«Tu mortale dici a me di tacere? Credi di potermi ordinare qualcosa? Pazzo!»
«Cosa vuoi? Cosa sta succedendo?»
«Bene, vedo che la tua mente funziona, almeno un po’.»
«Dove siamo?»
«Mortale, sei dentro il Labirinto, una specie di trappola calata nell’Aethyr per portare demoni e magia nel tuo mondo. È stata creata da un mortale, si fa chiamare l’Alchimista.»
Hermann si grattò la testa, non era sicuro di aver capito.
«Perché ha rapito mio fratello?»
«Lo ignoro, ma l’Alchimista non è il solito patetico mortale che cerca il favore di poteri che a malapena comprende. Lui vuole sapere, vuole sperimentare, vuole creare. Non adora davvero Tzeentch, ma la brama di conoscenza che è in lui lo rende proprietà del Grande Manipolatore.»
Hermann sbuffò:«E tutto questo a cosa mi serve? Cosa vuoi?»
«Sei antipatico e noioso, mortale. Io sono Asakron e navigo l’Aethyr da prima che la tua stupida razza diventasse bipede! Portami rispetto!»
Si trattenne, avrebbe voluto insultarlo, ma la paura fu più forte:«Devo trovare i miei fratelli.» disse, neutro.
«E io voglio andarmene da qui, voglio che l’Alchimista paghi per avermi fatto questo. Credo che insieme potremo raggiungere i nostri scopi.»
Hermann fissò Asakron, un patto con un demone? Una pessima idea, ma che altro poteva fare?
«Cosa vuoi dire?»
«Stupido mortale, te lo spiegherò e forse capirai qualcosa. Il Labirinto “pesca” nell’Aethyr e attira noi demoni nelle stanze e nelle pareti, ma i corridoi sono saldamente presenti nel tuo mondo e non sono accessibili per me. Posso solo spostarmi lungo i canali aethyrici interni, da una stanza all’altra, ma non posso né tornare nell’Aethyr, né entrare nei corridoi.
Tu invece puoi, ma non sarai in grado di orientarti né di affrontare tutto ciò che infesta questo luogo, né l’Alchimista e i suoi servitori.»
«E allora?»
«Io entrerò nella tua spada, sarò la tua spada. Quando dovrai combattere, il mio potere sarà sufficiente a distruggere qualsiasi avversario.»
«E come farà a orientarmi? A trovare i miei fratelli?»
«Non preoccuparti, ci penserò io.»
Hermann fissò gli occhi neri e lucidi di Asakron:«Come posso fidarmi di te?»
«Non mi sembra che tu abbia scelta. Io ti permetterò di far uscire da questo luogo i tuoi fratelli, nessun altro può farlo. Tu mi permetterai di punire l’Alchimista come merita. Neanch’io ho molta scelta.»
Inspirò a fondo:«D’accordo.»

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Capitolo 13
*** Prigione infernale ***


Una fitta al volto lo svegliò, aprì gli occhi, ma quello sinistro rimase socchiuso, lo sentiva pulsare di dolore, l’altro vide una sala in penombra, illuminata da una tenue luce verdastra, che divenne violacea dopo poco.
Aveva le braccia legate dietro la schiena, le gambe erano libere, alzò la testa ed ebbe un sussulto, due occhi enormi e sporgenti lo fissavano.
«Ehi Gunther, il signorino si è svegliato!»
Qualcosa si mosse alla sua destra, un essere gobbo che procedeva su quattro zampe con un altro braccio terminante con una chela, solo quando la creatura alzò la testa riconobbe chi era.
L’essere si avvicinò, il braccio con la chela si fermò a pochi centimetri dal viso:«Sappi una cosa, lurido bastardo, quando non servirai più al nostro capo ti farò a pezzi come un maiale!»
«No, lo ucciderò io!» disse il mutante con gli occhi da rana che lo afferrò per il collo della giacca «Se ti fossi fatto gli affari tuoi non saresti qui, ragazzino! E a noi non sarebbe successo questo.»
È ancora troppo poco.
«Lasciate stare i prigionieri» disse una voce femminile «l’Alchimista li vuole intatti per i suoi scopi.»
I due mutanti lanciarono occhiate d’odio a Karl, poi se ne andarono mentre la donna camminò a passi lenti verso di lui, sollevò lo sguardo, era alta e magra, con una veste azzurra, occhi viola con pupille verticali e capelli blu.
«Non cercare di scappare» sussurrò «io posso proteggerti finché sei qui, ma fuori… ci sono i mostri.»
Un ghigno malefico le si disegnò in faccia, poi si voltò è camminò fuori dalla stanza.
La seguì con lo sguardo, quando infine uscì diede un’occhiata attorno a sé, la stanza in cui si trovava era piccola ma non sembrava una prigione e la porta d’accesso era aperta.
L’unica cosa che gli ricordava di essere prigioniero, oltre alle mani legate, erano delle sbarre che impedivano di arrivare alle pareti.
Già, le pareti, sembravano fatte di marmo e attraversate da scie di luce che mutavano di colore, forma, dimensioni e intensità.
Un respiro profondo catturò la sua attenzione su qualcuno adagiato nell’angolo alla sua sinistra, un bambino dai riccioli biondi.
Bastian!
Tirò un sospiro di sollievo, suo fratello era là, ancora vivo, ora doveva solo trovare il modo di liberarsi e filarsela.
Dei passi lo fecero sobbalzare, si voltò verso la porta e la vide.
Uwe si fermò e lo fissò senza dire nulla.
«Perché?» disse Karl.
Una lacrima solcò la guancia sinistra di Uwe:«Mi dispiace, non volevo che succedesse a te. Non doveva succedere a te. Se solo non ci avessi seguito.»
«Hai tradito la mia famiglia! Come hai potuto?» ringhiò Karl.
Uwe abbassò gli occhi:«Mi dispiace Karl, tu sei una brava persona, ma la tua famiglia…»
«La mia famiglia cosa?»
Uwe rialzò gli occhi e tornò a fissarlo, i lineamenti del viso si contrassero:«Tuo nonno, i tuoi fratelli ma soprattutto tuo padre, ci trattano come animali, sgobbiamo tutto il giorno per un tozzo di pane e un letto sulla paglia. E quando tu ti sei avvicinato a me cosa ha detto tuo padre?»
«Cosa c’entra? Per questo tradisci noi, la gente perbene e tutto l’Impero? Ti rendi conto con chi stai tramando?»
Lo sguardo di Uwe si caricò d’odio:«L’Impero! Come può essere una cosa buona l’Impero se a comandare sono le persone come tuo padre? È da quando ho sei anni che pulisco le vostre latrine! Ho visto mia madre crepare di polmonite perché ci fate dormire in stanze gelide e umide! L’Impero è uno schifo! È sopraffazione dei forti sui deboli e i figli dei nobili e dei ricchi rimangono nobili e ricchi e quelli dei poveri rimangono poveri!»
Karl si morse un labbro, doveva trovare un modo per riprendere il dialogo, forse farla tornare dalla propria parte, non riusciva a credere che lei fosse la dolce ragazzina che ricordava.
«Senti Uwe, forse hai ragione, ma con chi ti stai mettendo? Con rapitori di bambini? Bastian non ha fatto nulla.»
Uwe spostò lo sguardo verso Bastian, poi tornò a lui, i suoi lineamenti si raddolcirono.
«Mi dispiace Karl, sei una brava persona, ma all’Impero serve un cambiamento.» disse prima di voltarsi.
«Aspetta!» disse Karl, ma Uwe uscì dalla stanza.
Si alzò in piedi e guardò attorno, non c’era nulla che potesse servirgli per tagliare la corda, le sbarre cilindriche non offrivano nessun angolo, aveva bisogno di un’arma.
Morse la corsa ma i denti non riuscirono a incidere, poi allungò le braccia e infilò la gamba per puntare il piede destro sulla corda, spinse con tutta la forza che aveva, sentì i polsi bruciare dal dolore finché non desistette.
E adesso?

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Capitolo 14
*** Dungeon ***


Mark tornò nel corridoio, non sembrava lo stesso di prima, era più stretto e l’angolo in fondo era più lontano, i cadaveri dei cultisti e mutanti non c’erano più.
Avanzò spada in pugno mentre la flebile luminescenza delle pareti aumentava d’intensità e si spostava verso il viola, raggiunse l’angolo che girava a destra e sporse la testa, niente, il corridoio proseguiva fino a un secondo angolo verso sinistra.
Arrivò là e sbirciò oltre, con sollievo vide un grosso portone di metallo poco più in là, dove il corridoio si allargava, decise di rimanere in attesa, se lo cercavano, forse prima o poi qualcuno sarebbe uscito.
Dopo un po’ il rumore di una serratura che si aprì lo fece sussultare mentre la luce delle pareti si intensificò e variò verso il giallo, non osò sporgersi, lo avrebbero visto subito,  attese dietro l’angolo e tese le orecchie.
«Occhi aperti, se vediamo qualcuno ce la filiamo, l’Alchimista è stato chiaro.» disse un uomo.
«Si è stufato di mandarci al macello? Di quelli usciti in superficie sono tornati in pochi.» disse un altro.
«Contro metà dei soldati dei Van Horstmann è già tanto che siano tornati.» disse un terzo «Quello ci usa come pedine.»
Mark sorrise tra sé, come pensavano di essere trattati in un culto del Caos?
Inspirò a fondo, un cultista dai capelli neri lunghi in una tunica scarlatta apparve oltre l’angolo, spalancò gli occhi, Mark lo trafisse allo stomaco e ritirò indietro la spada.
Il cultista si accasciò urlante e mollò la presa dalla daga che teneva sulla destra, un secondo cultista abbassò la lancia, Mark menò un attacco da destra a sinistra e spezzò l’asta.
Il terzo, un uomo basso e tarchiato con la testa coperta da un cappuccio sollevò una spada corta e attaccò verso la testa di Mark, che parò il colpo e lo deflesse verso il basso, la lama toccò l’armatura senza fare danni.
«Ancora un cappuccio in combattimento? Pessima idea!» disse Mark che afferrò il cappuccio e lo tirò giù con forza, sferrò un calcio al basso ventre del cultista che si piegò in due, poi con un fluido movimento lo decapitò.
Il secondo cultista correva indietro verso il portone, Mark lo rincorse.
«Aprite! Aprite! L’intruso è qui!»
Sbatté i pugni, poi si voltò verso Mark:«Scappa! Ora verranno a prenderti!»
Mark gli fu addosso e lo infilzò al cuore:«Sono io che vengo a prenderli,»
Il portone si aprì, due cultisti in tunica scarlatta lo assalirono armati di mazze, Mark balzò indietro e fintò con la spada lunga verso quello di sinistra che arretrò, poi tornò in guardia.
Il cultista di destra attaccò dall’alto verso la sua testa, Mark sollevò la spada e intercettò il colpo, sferrò un calcio con la pianta del piede destro alla pancia dell’avversario che si piegò in due, un attimo dopo lo calciò alla testa col sinistro e il cultista cadde a terra senza più muoversi.
L’altro tornò all’attacco, ma con scarsa convinzione, dopo un paio di colpi a vuoto cominciò ad arretrare verso il portale.
Sei finito.
Mark avanzò e lo incalzò, fece due affondi che il cultista evitò prima con la mazza e dopo con una schivata, poi la spada tranciò di netto il collo dell’uomo la cui testa rotolò a terra poco prima del tonfo del corpo.
Mark affondò la spada del torace dell’altro cultista a terra per buona misura, poi attraversò il portale, il corridoio era molto più ampio, sufficiente a far passare due carri affiancati, e finiva presso una porta aperta da dove proveniva una luce rossastra.
Prima però due porte più piccole si aprivano a destra e a sinistra, Mark avanzò con circospezione, forse i due che aveva appena ammazzato non avevano dato l’allarme.
Qualcuno, anzi, qualcosa uscì dalla stanza di destra, un essere corpulento dalla pelle blu con indosso giacca e pantaloni logori, era più alto di lui di tutta la testa e grosso il doppio, aveva cinque occhi che sembravano messi a caso e un buco irto di denti sottili al posto della bocca.
E questo da dove esce?

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Capitolo 15
*** A colpi di spada ***


Il mostro emise un suono simile a un sibilo, corse verso di lui, i passi fecero tremare il pavimento, Mark represse l’istinto di arretrare e gli andò incontro con la spada pronta a colpire.
L’enorme braccio destro si mosse, Mark si abbassò e un enorme pugno blu impattò sul muro dal quale sprizzarono scintille e apparvero delle facce deformate che sembravano urlare.
Chiuse la distanza e affondò la spada nella pancia del mostro, tirò indietro l’arma e aprì ancor di più la ferita, budelle miste a millepiedi viola e  blu grandi come mani caddero come una cascata sul pavimento.
Un colpo violento alla spalla destra lo sbalzò indietro di un paio di metri, riuscì a rimanere in piedi nonostante le fitte lungo tutto il braccio, il mostro guardò la sua pancia vomitare viscere e millepiedi enormi, poi tornò a fissare Mark e sibilò ancora.
Non sembra che gliene freghi molto.
Il mostro tornò all’attacco, Mark arretrò verso il portale, appena lo superò tirò indietro il portone per chiuderlo ma un enorme braccio blu si infilò tra la parete e la porta quasi chiusa che cominciò a riaprirsi.
«Bravo idiota!»
Mark colpì con la spada all’altezza del polso, il primo colpo tranciò pelle, vene e  tendini in uno spruzzo di sangue verde, scheggiò l’osso, la mano si strinse, Mark colpì di nuovo, questa volta l’osso si spezzò e la mano cadde a terra.
Il sibilo si fece più acuto, nonostante la ferita il mostro non tirò via il braccio e spalancò di colpo il portone, che sbatté contro il muro.
«Sei un duro, eh?»
Il mostro fece un passo e sferrò un pugno col sinistro, Mark arretrò e contrattaccò quando il pugno colpì il pavimento, ma questa volta l’essere fu più veloce.
Mark si spostò verso la destra del mostro, che ruotò per tenerlo a portata del suo sinistro, si spostò ancora e il mostro pure, continuarono a girare finché Mark non scattò in senso inverso e calò la spada sull’incavo del gomito sinistro.
Colpì con tutta la forza che aveva, la lama attraversò carne e ossa e l’avambraccio destro cadde a terra in una cascata di icore verde.
Il mostro sibilò e mosse i monconi delle braccia addosso a Mark che si abbassò e resse ai colpi, poi chiuse la distanza, infilò la punta della spada nella ferita da cui continuavano a uscire mostruosi millepiedi e tirò verso l’alto.
La lama aprì un lungo squarcio fino alla gola del mostro dal quale fluidi verdi e decine di millepiedi viola e blu presero a uscire, l’essere si bloccò e si guardò il torace e l’addome dilaniati.
Mark arretrò e poi colpì la testa dall’alto verso il basso, le ossa del cranio si spaccarono e una poltiglia bianca ne uscì, poi l’intero corpo crollò a terra, scosso da tremori e dai movimenti dei millepiedi.
Superò il cadavere del mostro e raggiunse le porte delle due stanze, diede un occhio a quella di destra, dentro non c’era nessuno, solo vari giacigli sparsi sul pavimento, si girò dall’altra parte, là vide delle sbarre.
Entrò e un profondo sollievo gli fece passare la stanchezza e il dolore per pochi istanti: Karl e Bastian erano lì, incolumi.
«Mark!» gridò Karl.
Andò subito dal giovane nobile, tirò fuori un coltello e tagliò la corda, poi andò da Bastian, ancora addormentato e lo svegliò:«Coraggio Bastian, ce ne andiamo.»
«Io non credo.» disse una voce femminile alle sue spalle.

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Capitolo 16
*** La mutante e il mostro ***


Mark si voltò spada in pugno, davanti all’ingresso una donna magra dalla pelle bianca pallida e dai lunghi capelli blu aveva le braccia incrociate sulla veste azzurra.
«Sei tu Hermann Van Horstmann?» disse la donna.
Mark scattò verso di lei e attaccò con un fendente dall’alto verso il basso, le iridi verticali color viola della donna parvero illuminarsi per un attimo, la spada trovò il vuoto.
Si fermò e si guardò attorno:«Ma che cosa…?»
«Mark, sopra di te!» gridò Karl.
Alzò la testa, la donna era appiccicata al soffitto come un enorme ragno, lei fece un sorriso maligno poi cadde su di lui con un urlo e lunghi artigli che saettarono fuori dalle dita.
Mark si abbassò e sollevò la spada, l’impatto lo fece barcollare e incespicò all’indietro, la donna gli balzò contro da chissà dove, gli artigli graffiarono la cotta di maglia, che resistette, poi l’urto lo sbilanciò ancor di più.
Con un colpo di reni tornò in equilibrio e piantò i piedi a terra, si piegò leggermente sulle ginocchia e fissò la sua avversaria.
Per fortuna è leggera o sarei a terra.
«Mark eh? No, non sei un Van Horstmann, puoi pure morire.»
Un lampo viola negli occhi di lei, un urlo acuto che gli fece dolere i timpani, se la vide addosso, fendette l’aria con la spada, lei quasi scomparve ma sentì il rumore di qualcosa sbattere sulle sbarre a destra e si girò.
Appena in tempo per far rinunciare lei a concludere l’attacco, schivò la spada e tornò verso la porta a velocità inumana, poi di nuovo un lampo negli occhi, le sbarre a sinistra vibrarono, Mark attaccò alla cieca in quella direzione e si abbassò.
L’intuito lo premiò, sentì qualcosa sfiorargli i capelli, assecondò il movimento della spada e ruotò su sé stesso per colpire dalla parte opposta.
La punta della lama colpì qualcosa, un urlo risuonò nella stanza, la donna finì addosso alle sbarre, la veste azzurra insanguinata e strappata al fianco destro.
Mark scattò per affondare, la donna lo fissò e contrasse i lineamenti, la vide scattare verso al porta, mosse la spada per intercettarla, lei balzò in aria ma la lama le aprì uno squarcio dal calcagno all’incavo del ginocchio lungo tutto il polpaccio destro.
La donna ricadde davanti alla porta a faccia in giù con un gemito, una pozza di sangue rosso si allargò sotto di lei.
Mark si avvicinò guardingo, la donna sembrava inerme, si girò con lentezza, il volto segnato dal dolore, lo fissò con lo sguardo carico d’odio:«Sei solo un piccolo uomo, il mio Magister ti punirà! Golem!»
Una voce bassa proveniente dal corridoio rimbombò nell’aria:«Comandate.»
«Uccidi l’uomo in armatura! Lascia incolumi gli altri due.»
Di fronte alla porta apparve un gigantesco guerriero ricoperto di nero metallo, un’armatura completa massiccia, dovette chinarsi per entrare, Mark deglutì e arretrò mentre la donna si trascinò verso il corridoio.
«Morirai lurido servo dei Van Horstmann. Golem ti farà a pezzi!»
Mark maledì tra sé la donna e fissò il nuovo avversario, Golem era persino più grosso del mutante blu che aveva ucciso poco prima.
Ed era corazzato.
Non aveva spade ma non appena ci pensò, Mark vide gli avambracci di ferro mutare in grosse lame affilate.
«Fantastico!»
«Mark, posso aiutarti!» urlò Karl.
«Hai un cannone?» fece Mark.
«N-no, ma quel coso ha ricevuto l’ordine di non uccidermi, se mi metto in mezzo…»
Mark scosse la testa:«Scordatelo! Prendi il coltello che ti ho dato e porta Bastian con te, io tengo impegnato questo…»
Golem attaccò, le lame si mossero per incrociarsi sulla testa di Mark che arretrò in tempo, poi ci furono due affondi consecutivi che lo spinsero ancora più indietro.
«Scappa Karl!»
Vide Karl afferrare Bastian ancora intontito e aggirare Golem che non li degnò di uno sguardo, si fermarono alla porta per un attimo, poi scomparvero.
Era quasi con le spalle al muro, o meglio alle sbarre, Golem affondò con il sinistro, Mark scattò a destra, la punta di una lama colpì la cotta di maglia, sentì gli anelli incunearsi nell’imbottitura e premere sulle costole.
Strinse i denti e si voltò, colpì il braccio sinistro di Golem all’altezza del gomito, fu come colpire una sbarra d’acciaio.
Si rimise in guardia, Golem attaccò con due affondi consecutivi, Mark si spostò di lato e contrattaccò ancora, colpì ancora la giuntura del gomito del sinistro ma non ci fu niente da fare.
La corazza sembra grossa ovunque, che razza di armatura è?
Il braccio destro di Golem sferzò l’aria all’altezza della testa di Mark che si abbassò e si lanciò nel varco, con tutta la forza piantò la spada nella giuntura dell’ascella, la punta spaccò l’acciaio e penetrò per qualche centimetro, poi Mark avanzò oltre e si voltò mentre Golem già si girava.
Rimase deluso, non uscì neppure un goccio di sangue, niente di niente, quella cosa sembrava essere fatta tutta d’acciaio.
Golem attaccò ancora con un affondo, Mark eluse l’attacco e continuò a girare intorno al nemico, per fortuna non era velocissimo ma sapeva che non sarebbe riuscito a evitare i suoi attacchi all’infinito.
Avrebbe potuto schivare qualche altro attacco e poi correre verso la porta, ma doveva dare più tempo possibile a Karl e Bastian.
Sollevò la spada e attaccò di nuovo.

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Capitolo 17
*** Un demone alla guida ***


Hermann passò da una stanza all’altra attraverso cunicoli di pareti evanescenti dove strane creature dalle svariate forme si muovevano in una specie di acqua purpurea attraversata da lampi, molte di esse si avvicinavano a lui e, quelle che avevano occhi, lo fissavano con insistenza.
«Non guardarli» gli disse Asakron dentro la sua mente «il mio potere li tiene a distanza ma non devi creare un contatto con loro.»
«Va bene.» rispose Hermann mentre fissava la sua spada testa davanti a sé, il Demone doveva essere là dentro, ma allora perché gli parlava dentro la testa?
Raggiunse una stanza, là una creatura dalla pelle verdastra si voltò di scatto, aveva una bocca che sembrava quasi un grosso becco ricurvo da cui spuntavano denti aguzzi, indossava delle fasce di tessuto che dalle spalle raggiungevano le gambe e su cui era fissato uno scudo ventrale, aveva una lunga coda che terminava con un rigonfiamento d’osso irto di spine.
Ma che cosa è?
«Uccidilo.» disse Asakron.
La creatura sollevò una mazza di bronzo, Hermann fece due passi avanti e caricò il colpo con la spada tenuta a due mani, solo all’ultimo vide la coda saettare verso la sua gamba.
Abbassò la spada per intercettarla consapevole che sarebbe stato troppo tardi, ma un attimo dopo tagliò la coda e il moncone finale cadde a terra innocuo.
Risollevò la spada e si spostò a destra, la mazza della creatura cadde nel vuoto, Hermann fece un passo avanti e colpì il nemico al fianco sinistro, la lama penetrò quasi per metà prima di toccare qualcosa di duro.
La creatura emise un grido soffocato, poi un gorgoglio, del sangue uscì dalla bocca, cadde a terra in preda a degli spasmi, del fumo cominciò a uscirgli dalla bocca, dagli occhi, dalla ferita, poi la pelle cominciò a piagarsi e a sciogliersi.
Infine la creatura prese fuoco, si agitò per pochi terribili secondi, poi divenne un cumulo di cenere.
«Ma cos’era? Un altro demone? Un mutante?»
«Non conosci le creature del tuo mondo, umano?» disse Asakron.
«Non ho mai visto niente del genere.»
«Una volta erano creature predilette dei Quattro, prima che spostassero la loro attenzione su voi umani. Forse ora non ce ne sono più molti in giro.»
Uscì dalla stanza e seguì le indicazioni di Asakron, ma in un angolo della sua mente rimase a pensare alla velocità e precisione dei suoi attacchi contro la strana creatura, sapeva che non era stato lui, eppure trovava interessante possedere un simile potere.
Sarebbe potuto essere il miglior guerriero del Nordland, forse dell’Impero, magari del mondo intero, avrebbe redento il nome dei Van Horstmann e sconfitto qualsiasi nemico dell’Imperatore.
«Ci siamo quasi, preparati.»
Si riscosse dai suoi pensieri alla voce di Asakron, quasi non si era reso conto di essere dentro uno di quei cunicoli dalle pareti trasparenti, appena oltre decine e decine di strani esseri lo fissavano.
«Ma cosa sono?»
«Demoni» rispose Asakron «e vogliono la tua anima. Ancora due passi.»
Si ritrovò in un corridoio illuminato dalle pareti color verde chiaro, davanti a lui due presenze.
«Hermann!»
«Karl! Bastian!»
I due gli corsero incontro, lui rinfoderò la spada e li abbracciò.
«Hermann, Mark è qui vicino, sta combattendo contro un mostro d’acciaio!» disse Karl.
«Dobbiamo andarcene, tornerò dopo ad aiutarlo.»
La voce di Asakron fece capolino nella sua mente:«Devi andare verso il centro del Labirinto per uccidere l’Alchimista. Passerai dove si trova l’altro mortale e lo aiuterai, un guerriero in più ti farà comodo.»
Avrebbe voluto andarsene, gli sarebbe dispiaciuto per Mark, ma i suoi fratelli erano più importanti, sapeva però che senza la collaborazione di Asakron non sarebbe mai uscito di lì.
«D’accordo.» disse rivolto sia ai fratelli sia al demone, poi estrasse una daga.
«Karl prendi questa e rimani dietro di me, Bastian, rimani attaccato a Karl. Dov’è Mark?»
«Più avanti c’è un portone e dopo due stanze, è su quella a sinistra.»
Superarono il portone, poi si avvicinarono alle due aperture nelle mura, sentì il rumore di acciaio contro acciaio e raggiunse la soglia della stanza di sinistra.
Un enorme guerriero, anzi, un’enorme armatura catturò la sua attenzione, solo un istante dopo si accorse di Mark.
«Hermann! Scappa! Porta via i tuoi fratelli!» urlò Mark.
Un consiglio sensato.
«No» disse Asakron «non puoi lasciarti un nemico del genere alle tue spalle. Attaccalo.»
Deglutì e sentì le gambe tremare, come affrontare un mostro simile?
«Smettila stupido umano, usa la spada, al resto penserò io!» disse Asakron.
«Va bene.» mormorò Hermann.
Strinse la spada e scattò in avanti, il mostro d’acciaio gli dava le spalle, Mark lo attaccò, il mostro lo respinse, voltò la testa indietro e si girò su se stesso con la lama che saettò orizzontale all’altezza della sua testa.
Hermann alzò la spada e incrociò la lama nemica, un bagliore e una cascata di scintille illuminarono la stanza, l’urto fu molto meno violento di quanto si aspettasse, un pezzo d’acciaio cadde a terra.
Il mostro osservò il suo braccio privato della lama, forse impaurito? O solo stupito?
Mark ne approfittò, affondò la spada all’incavo del ginocchio, il mostro sussultò e dovette fare un passo avanti per non perdere l’equilibrio.
«Ora!» disse Asakron.
Hermann prese la spada a due mani, scattò avanti e affondò la lama nel torace del mostro verso l’alto, fu come tagliare del burro, la punta della lama sbucò fuori dall’elmo, la luce negli occhi del nemico si spensero.
Ritrasse la spada e si allontanò di tre passi, il mostro crollò al suolo in un tonfo che riecheggiò tra le pareti, Hermann sospirò di sollievo mentre Mark gli si fece avanti:«Ottimo mio signore. Non so dove abbia trovato quella spada ma buon per noi. Ora dobbiamo tornare indietro e fuggire.»
«No» disse Hermann «la via dietro di noi è chiusa, dobbiamo andare avanti.»
«Agli ordini.» disse Mark, ma Hermann vide nei suoi occhi un barlume di dubbio.

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Capitolo 18
*** L'Alchimista ***


Delia si trascinò verso la sala centrale, il dolore atroce al fianco squarciato e al polpaccio era quanto di più terribile avesse mai sperimentato, cercò di concentrarsi per usare le sue abilità di guarigione, ma le fitte costanti risalivano tutto il corpo strappando la sua mente dai venti della magia.
«Magister! Aiuto!» gridò.
Vide qualcuno alla sua destra, era Gunther, la sua faccia contorta in un ghigno sdentato:«Ah, qualche problema?»
«Chiama l’Alchimista! Ora!»
«Arriverà qui, prima o poi.»
«Idiota! Chiamalo! Ora!»
«Sono qui, Delia.»
Il ghigno di Gunther si spense, l’Alchimista apparve alle sue spalle.
«Magister! Sono ferita, un intruso, molto forte…»
«Lo so. Ha ucciso Murg e ora anche Golem.»
Delia spalancò la bocca, per un attimo si distrasse dal dolore, come poteva aver ucciso Golem?
L’Alchimista si abbassò e toccò la ferita al fianco, un calore infernale bruciò le carni di Delia che urlò così forte da costringere Gunther a coprirsi le orecchie con le zampe.
Durò pochi istanti ma sembrò un’eternità, poi cessò, il fianco smise di pulsare fitte dolenti, lo guardò, la pelle rosa della ferita sanata risaltava su quella bianca ma per il resto sembrava che non fosse successo nulla.
L’Alchimista toccò poi il polpaccio squartato, un istante di calore intensissimo e poi fu tutto come se non fosse successo niente.
Delia si alzò e guardò l’Alchimista:«Grazie, Magister! La tua maestria…»
«A dopo i ringraziamenti Delia, gli intrusi hanno ucciso quasi tutti i miei discepoli e ora anche Golem. Qualcosa non quadra, non è possibile.»
«L’uomo dei Van Horstmann che mi ha ferito e che ha ucciso Murg era abile e forte, ma non può aver sconfitto Golem.»
«Nessun essere umano potrebbe, almeno con armi mondane. Gunther, chiama tutti qui!»
«Subito!» disse il mutante che corse via sulle quattro zampe.
«Ora ha liberato i due prigionieri, cercheranno di fuggire.» disse Delia.
Gli occhi verdastri dell’Alchimista incontrarono per un attimo i suoi:«Nessuno fugge da qua, se non lo voglio io.»
Delia annuì, conosceva come funzionava il Labirinto, era vero, nessuno poteva uscire senza il consenso del Magister, a meno che il Magister stesso non venisse ucciso.
Sentì i passi di alcune persone, Gunther e Felix giunsero assieme a Uwe e altri sei adepti, ciò che restava del loro culto.
«Quando distruggeremo gli intrusi e metteremo le mani sui tre Van Horstmann, saremo ripagati da tutte le perdite che abbiamo subito.» disse l’Alchimista, quasi come se le avesse letto nel pensiero.
«La ragazzina» disse Delia «è inutile nella mischia, lasciamola indietro.»
L’Alchimista si voltò verso Uwe:«Vero. Ragazzina, prendi l’altro corridoio, torneremo a prenderti quando avremo risolto il problema.»
Uwe annuì e corse via.
«Arrivano.» disse l’Alchimista.
Delia guardò il portale dorato aprirsi, il guerriero che l’aveva ferita entrò per primo, spada tesa in avanti, seguito da Hermann Van Horstmann e dai suoi fratelli Karl e Bastian.

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Capitolo 19
*** Il centro del Labirinto ***


L’ampia sala circolare era illuminata da una luce rossastra proveniente da un vortice che occupava metà dello spazio, racchiuso da una specie di vetrata.
Hermann percepì qualcosa di strano, ma non seppe dire cosa.
È il vortice che alimenta il Labirinto, attraverso di esso l’Alchimista controlla tutti gli accessi. Devi ucciderlo per indebolire il vortice.
Una decina di individui li aspettavano, sei uomini, due orridi mutanti, una donna e un essere che non seppe riconoscere, aveva un corpo alto e magro ricoperto di metallo, non un’armatura, quantomeno non una che riconoscesse, sembrava che l’acciaio aderisse alla pelle.
Gambe e braccia erano corte, la mano destra conservava quella che doveva essere la forma originaria, dita corte e tozze, mentre la sinistra aveva dita metalliche, lunghe e sottili.
Ma era la testa a essere più strana, la calotta del cranio era d’acciaio, due occhi verdi comparivano appena sotto, poi il resto era ricoperto da una folta barba nera raccolta in nove trecce.
È l’Alchimista.
«Molto bene» disse l’Alchimista «vi siete fatti strada nella mia casa e tra i miei discepoli. Ma non importa, mi fa piacere che ci sia un terzo Van Horstmann qua, dovreste bastare per il mio progetto.»
«Sei finito, lurido servo del Caos! La tua vita finisce oggi!» disse Hermann.
L’Alchimista sorrise:«Siete in due, più due ragazzini, noi siamo dieci ma basterei io da solo. Arrenditi, sarà tutto più facile e meno doloroso.»
«Scordatelo maledetto! Cosa volevi farne dei miei fratelli?»
L’Alchimista puntò l’indice della mano destra contro di lui:«Non ho intenzione di discutere dei miei piani con te. Adepti, uccidete l’uomo più alto e prendete vivi i ragazzini, a questo chiacchierone ci penserò io.»
Un raggio nero di energie crepitanti saettò dalla mano verso di lui, Hermann deglutì, l’impulso a gettarsi di lato restò represso in lui, chiuse gli occhi, la voce di Asakron era calma.
Non temere.
Un  rombo scosse la stanza, Hermann si trovò per terra, aprì gli occhi, non era il solo ad essere caduto, Mark fu il primo a rialzarsi, mentre alcuni cultisti sembravano non capire cosa fosse successo.
Poi vide che fissavano una figura che si stagliava tra lui e l’Alchimista.
Asakron!
«E tu chi sei?» sbottò l’Alchimista.
«Taci mortale, come osi rivolgerti a me, il potente Asakron!»
La voce dell’Alchimista divenne sarcastica:«Un patetico demone minore catturato nella mia trappola. Credi che tema quelli come te?»
«Se non mi temi sei più stupido di quanto pensassi. Esisto da prima del tempo, i pochi secoli della tua inutile vita non sono nulla.»
«Ah! In pochi secoli ho ottenuto più potere di quanto tu ne potrai mai avere in tutta l’eternità!»
Una spada di fiamme rossastre comparve nella mano destra del demone:«Dimostralo!»
Nelle mani dell’Alchimista si materializzò una spada nera che risplendeva di bagliori verdastri.
Ucciderò l’Alchimista e distruggerò il vortice, fuggi verso il corridoio a sinistra e non entrare mai nelle stanze. Ogni volta che trovi un bivio, gira a destra.
Asakron puntò la spada verso il basso e colpì il pavimento, un urlo acutissimo fece stringere i denti e gli occhi a Hermann, al suo fianco Mark gridò, Karl e Bastian si tapparono le orecchie.
L’Alchimista fece un passo indietro ma non parve spaventato, la donna, i mutanti e i cultisti erano invece a terra urlanti con le mani sulle orecchie e gli sguardi contratti dal dolore.
«Per di là!» gridò Hermann che scattò verso il corridoio sulla sinistra, si voltò, Bastian e Karl lo seguirono mentre Mark chiudeva la retroguardia.
«Idioti!» urlò l’Alchimista «Prendeteli! Muovetevi!»
Hermann imboccò il corridoio e lanciò uno sguardo indietro, Asakron e l’Alchimista avevano incrociato le lame mentre i cultisti si erano rialzati e si lanciarono all’inseguimento.

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Capitolo 20
*** Stregone contro demone ***


Delia si rialzò, partì all’inseguimento dei Van Horstmann ma rallentò quando vide il demone incrociare le lame con l’Alchimista, il suo Magister arretrò scomposto, la spada fiammeggiante calò su di lui che sollevò la sua.
Una cascata di scintille illuminò la stanza, l’Alchimista si piegò in ginocchio sotto l’attacco di Asakron, poi riuscì ad arretrare e rimettersi in piedi, il viso contratto dallo sforzo.
Gli altri avevano aggirato il combattimento e si erano lanciati all’inseguimento verso il corridoio, ma Delia tentennò.
L’Alchimista ritrasse la spada, poi la sollevò e la calò sulla testa di Asakron che si spostò a destra in un istante.
Vide il suo Magister barcollare con la forza del proprio attacco che lo sbilanciò, Asakron gli afferrò il braccio sinistro e lo strappò, l’urlo dell’Alchimista rimbombò nella sala.
Delia rimase immobile, il suo Magister aveva trovato un avversario forte. Troppo forte.
Devo aiutarlo.
I lunghi artigli neri uscirono dalle sue dita, si piegò sulle ginocchia e poi balzò su Asakron che le dava le spalle.
Piantò gli artigli sul suo collo,  ma scivolarono via come se la sua pelle fosse stata di pietra, sentì qualcosa afferrarle i capelli, un attimo dopo sbatté contro la barriera del Vortice, una scossa di energia la respinse e rovinò sul pavimento.
Un dolore lancinante partì dal naso e dalla bocca, sputò sangue e due denti e sollevò la testa, la vista era annebbiata e faticò a mettere a fuoco i duellanti.
Asakron rise:«Patetica. Non temere, mortale, ci fosse stato anche tutto il tuo culto al completo, non avresti potuto nuocermi.»
L’Alchimista scagliò la spada contro Asakron, scattò verso la barriera e posò la mano su di essa.
Asakron schivò l’attacco ma l’Alchimista rise:«Ora vedremo chi detiene il potere qui dentro!»
La barriera si infranse e il fascio esterno del Vortice si avvolse al braccio destro dell’Alchimista, Delia percepì l’enorme energia magica fluire, tanto forte da bruciarle la pelle.
«Muori! Sparisci! Dissolviti!»
La bocca dell’Alchimista si spalancò in modo innaturale fino a diventare grande quanto metà testa, vomitò un raggio nero verso Asakron che fu investito in pieno, Delia si rialzò, il demone era oscurato dalle energie che l’avevano avvolto come un bozzolo.
Poi il bozzolo esplose tra le fiamme, Asakron emerse avvolto da lingue di fuoco:«Mortale, la tua arroganza non ti porterà da nessuna parte.»
La sua voce aveva perso il tono superbo e sarcastico, ora la rabbia dominava.
L’Alchimista rise:«Non puoi nulla contro il potere del Vortice, viene dal cuore stesso del Caos!»
«Credi di conoscere il Caos? Credi davvero che non sappia cosa sia tutto questo? E ora che usi il Vortice per contrastarmi, con cosa terrai in piedi il Labirinto? I demoni che hai catturato torneranno nel reame del Caos, tutto il tuo lavoro sarà stato inutile!»
Delia vide il suo Magister aggrottare le sopracciglia:«Ricostruirò il Labirinto! Il potere del Vortice è con me! Posso fare qualunque cosa! Con esso sono un dio!»
Asakron scoppiò a ridere:«Un dio? Tu? La tua mente è ben più ristretta di quanto pensassi! Ti dico io cosa succederà: il Labirinto collasserà e tutto il tuo lavoro sarà perso per sempre. Peccato, l’unico risultato passabile della tua inutile esistenza!»
«Sei sordo demone? Con il potere del Vortice posso ricostruire il Labirinto, tenere in piedi il suo centro, completare il mio esperimento! Quando avrò il sangue dei Van Horstmann potrò analizzarlo, filtrarlo, studiarlo e capirò come funziona l’influenza del Caos negli esseri umani!»
Asakron smise di ridere, il suo tono fu perplesso:«Sei impazzito, non puoi studiare il Caos come fosse una cosa del tuo mondo.»
«Ah! Vivete nel Caos voi demoni, sussurrate alle orecchie dei mortali, li seducete, li possedete, ma non sapete davvero perché scegliete alcuni e altri no! Io lo scoprirò presto! Nel sangue dei Van Horstmann c’è qualcosa che attrae voi demoni! Polvere di malapietra forse, o qualcos’altro, qualcosa che passa di generazione in generazione. Quando lo scoprirò avrò il potere di costringere i demoni come te a possedere i mortali che sceglierò! Comanderò i mortali e i demoni!»
La spada di Asakron scomparve e il demone incrociò le braccia:«Te l’ho detto, non puoi studiare il Caos e sperare di trovarne delle regole. Il Caos non conosce regole. Piuttosto, non temi che coloro che hai catturato nel Labirinto si vendichino?»
«Quelli come te? Se tu sei il migliore, posso stare tranquillo.»
«Senza più le barriere magiche delle pareti, questo luogo è solo un po’ meno intriso di magia dell’Aethyr stesso.»
«E allora? Con il potere del Vortice posso tenere testa a una legione di demoni!»
«Anche se fosse, ti sei mai chiesto cosa succederebbe se sfruttassero proprio il Vortice per attaccarti?»
«Impossibile! Solo io posso trarre energia dal Vortice!»
Asakron sorrise:«Vero, ma il Vortice è Caos, nel Caos i demoni vivono. Come i pesci che vivono nei fiumi e nei mari del tuo mondo. Diciamo che con tutta l’energia che c’è nel Vortice è come se ti fossi messo in un’enorme oceano.»
L’Alchimista parve incerto:«N-non succederà! Non troveranno mai la parte del Vortice che si collega al regno del Caos! Non in tempo perché io distrugga te e metta a posto le cose.»
Un ghigno malvagio si delineò sul volto di Asakron:«Forse non ce l’avrebbero fatta, se non avessi indicato loro la strada.»
«Credi di spaventarmi! Menti come mentono tutti i demoni!» urlò l’Alchimista.
«Quando hai sparato tutta quell’energia su di me, mi hai messo in contatto con il Vortice, è bastato un attimo e il Reame del Caos ha visto il bagliore del mio segnale.»
«C-cosa?»
Un tentacolo nero emerse dal moncherino del braccio sinistro dell’Alchimista e gli avvolse il collo, un braccio umano con al termine una chela gigantesca squarciò il suo torace e stritolò l’avambraccio destro, i capelli divennero vermi neri che scesero verso le orecchie, il naso e la bocca.
Altre braccia, alcune umane, altre simili a tentacoli o zampe d’insetto, apparvero dal Vortice e afferrarono l’Alchimista:«No! No! Delia! Aiutami!»
Delia guardò sgomenta il Magister dilaniato dai demoni venire trascinato verso il centro del Vortice, che cosa poteva fare?
«Vattene, donna.» disse Asakron.
Delia corse via verso il corridoio, forse avrebbe trovato una via di fuga.
«Traditrice! Delia! No!»
Si voltò solo per vedere il corpo dell’Alchimista diventare un marasma di carne e mutazione mentre la testa urlò ancora prima di sparire nel Vortice.

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Capitolo 21
*** Lotta negli abissi ***


Il terreno e le pareti tremarono, la luce diffusa parve quasi spegnersi mentre urla inumane e grottesche provenivano da oltre gli angoli.
Mark si guardò alle spalle, i cultisti li seguivano, sentiva i passi anche se con quella poca luce non riusciva a vederli, Hermann correva dritto senza esitare a ogni bivio, si augurò che sapesse dove andare.
All’improvviso si accorse di non sentire più i passi alle loro spalle, forse avevano desistito?
Il pavimento tremò di nuovo e la luce aumentò e diminuì d’intensità, Hermann si fermò.
«Che succede?» chiese Mark.
«Il corridoio! È scomparso!» disse Hermann.
Dove prima c’era un lungo corridoio, ora una parete lo rendeva un vicolo cieco.
«Maledizione!» disse Hermann «Il demone aveva detto bastava proseguire!»
«Il demone? E quando te l’ha detto? Come se ci si potesse fidare! Torniamo indietro!»
«Aspettate» disse Karl «la parete sta… svanendo.»
Era vero, sembrava svanire come nebbia e il corridoio riapparve per finire su una porta.
Dietro di loro il rumore di passi, Mark si voltò, i cultisti girarono l’angolo, uno alzò il braccio verso di loro e li indicò:«Prendiamoli!»
«Via! Ora!»
La parete smise di esistere, Hermann prese Bastian di peso e corse verso la porta, Karl lo seguì, Mark vide gli inseguitori ridurre la distanza a pochi metri.
Superarono la porta aperta e si ritrovarono in quella che sembrava una galleria scavata nella roccia, alcuni metri più in là un ponte di pietra, largo un paio di metri e lungo dieci, passava sopra un baratro oscuro, non c’erano ringhiere né muri a impedire le cadute.
Dall’altra parte un’altra galleria proseguiva e, in fondo, si vedeva una luce.
«Forse ci siamo!» gridò Hermann.
Superarono il ponte, Mark si fermò:«Hermann, io li blocco! Voi Andate!»
Hermann lo fissò negli occhi e fece un cenno affermativo, poi riprese la sua corsa con Bastian in braccio, seguito da Karl.
Si voltò, il primo cultista si lanciò sul ponte e sollevò una mazza ferrata con entrambe le mani, Mark scattò e affondò con la spada, la punta penetrò alla base del collo e impattò con l’osso che si ruppe.
Il corpo crollò a terra, il secondo cultista fu più prudente, affondò con la lancia, fece una finta a sinistra e poi colpì a destra.
Troppo lento, Mark afferrò l’asta con la sinistra e tirò, il cultista resistette e tanto bastò a Mark per un affondo alla pancia.
Il cultista urlò mentre le sue viscere caddero sulla pietra, dei tentacoli uscirono dalla ferita, Mark gli diede un calcio che lo fece precipitare nel vuoto.
In due cercarono di assalirlo in simultanea, Mark sorrise tra sé, attaccò orizzontale da destra a sinistra, il primo cultista arretrò e sbatté verso l’altro che perse l’equilibrio, si aggrappò alla spalla del primo e lo trascinò con sé nel baratro.
Mark fissò i due cultisti e i due mutanti:«Qualcun’altro?»
Esitarono.
«Andatevene» disse Mark «dite che siamo fuggiti e nessuno si farà male.»
Si guardarono tutti, poi il terreno tremò di nuovo e un rombo di centinaia di tonnellate di roccia infrante provenne dal tunnel, assieme a una nube di polvere che limitò la visibilità a pochi metri.
E ti pareva…
Rimase in guardia, colse un movimento nella polvere, effettuò un rapido affondo, la spada trovò qualcosa, un urlo vicinissimo al suo orecchio echeggiò, poi si allontanò nel baratro di sotto.
Ritrasse il braccio e vide la lama bagnata di sangue, una punta di lancia comparve dalla polvere, balzò indietro per evitarla, poi la colpì in avanti, quasi alla cieca, e ne scheggiò l’asta.
Avanzò con la spada in movimento da destra a sinistra e ritorno, sentì dei passi arretrare e toccare qualcosa, poi un urlo disperato prima vicino e poi sempre più lontano scese verso il baratro.
Arretrò un po’, qualcosa apparve dalla polvere alla sua destra, gli fu addosso prima che riuscisse a voltarsi, era Felix, lo stalliere, deformato da occhi enormi e denti sottili come aghi.
Piombarono a terra oltre il ponte, a pochi centimetri dal baratro, Felix l’aveva placcato e aveva la testa sotto il suo braccio destro, lo morse ma la cotta di maglia ebbe la meglio sui denti, Mark sferrò una gomitata alla testa, poi altre due in rapida successione.
Sentì la presa allentarsi e riuscì a rimettersi in piedi, sollevò la spada per far fuori Felix quando qualcos’altro lo travolse come una valanga.
Perse la presa della spada e tutta l’aria gli uscì dai polmoni, rotolò e perse il contatto con chi l’aveva travolto, si rialzò subito ed estrasse due pugnali.
La polvere cominciò a diradarsi e lo vide, era Gunther, lo era stato almeno, ora sembrava una grottesca imitazione delle raffigurazioni delle scimmie dell’Ind o delle Terre Meridionali, ingobbito, appoggiato su due enormi braccia.
Ma il terzo braccio sulla spalla che terminava con una enorme chela di granchio non lasciava dubbi su cosa fosse.
«Vedo che sei stato ben ricompensato per il tuo tradimento.»
Gunther digrignò i denti:«Lurido bastardo! Adesso ti faccio a pezzi e poi mangerò la tua carne!»
Gli balzò addosso, Mark scattò di lato e lo evitò, vide Felix rialzarsi, dov’era la spada?
La vide proprio dietro Gunther, corse verso Felix che scuoteva la testa e sbatteva gli occhi, lo afferrò per i capelli e per la camicia e lo gettò verso Gunther.
«Togliti dai piedi!»
Gunther colpì Felix col braccio teso e lo mandò a terra qualche metro più in là, ora Mark aveva il ponte alle spalle, Gunther avanzò a quattro zampe come una scimmia, Mark gli scagliò uno dei pugnali in faccia.
Gunther si abbassò, tanto bastò, Mark gli  balzò sopra e afferrò il terzo braccio di  peso che si piegò fino a spezzarsi, l’urlo del mutante echeggiò tra le pareti.
Mark fu dietro a Gunther che muoveva a casaccio le possenti braccia, afferrò la spada, Felix era ancora a terra, attaccò Gunther che si girò mentre dal braccio spezzato cresceva un altro arto, simile alla coda di uno scorpione.
Calò la spada dall’alto verso la testa di Gunther che sollevò  il braccio destro, la spada ferì la carne ma meno di quanto Mark sperava, fece due passi indietro per evitare il pugno di sinistro che lo sfiorò, poi fece un affondo dritto alla faccia di Gunther.
La punta della spada spaccò l’arcata superiore dei denti, il naso e penetrò nel cervello, estrasse l’arma e vide il corpo crollare, ma dallo squarcio sanguinolento del cranio qualcosa si mosse, dei denti acuminati apparvero mentre il braccio ferito in precedenza cominciò a ricoprirsi di una fitta peluria nera.
Zampe di rango uscirono dal corpo che cominciò a rialzarsi, Mark deglutì, forse non era più Gunther quella cosa, ma non gli piaceva.
Le zampe toccarono terra e cercarono di fare forza, ma il peso del corpo era eccessivo per loro, altre però sbucarono dai fianchi, dall’addome, dalla schiena, senza alcuna regolarità.
Meglio andarsene, ma prima c’è ancora una cosa da fare.
Andò da Felix e lo prese per una gamba, lo trascinò vicino a ciò che fu Gunther e si allontanò, Felix aprì gli occhi e guardò Mark:«Ma cosa? Gunther?»
Si girò indietro, a pochi centimetri da lui la testa di Gunther con il foro sanguinoso irto di denti si aprì.
«Nooo!»
La testa di Felix fu risucchiata dentro quella di Gunther che si gonfiò, Felix cercò di infilare le mani per allargare quell’orrenda bocca e tirarsi fuori, ma fu risucchiato dentro, le gambe si agitavano impazzite mentre il corpo di Gunther si gonfiava sempre di più.
Le braccia e le gambe, ultime vestigie di umanità, caddero e altre zampe sbucarono dal corpo sempre più simile a quello di un ragno.
Poi qualcosa aprì uno squarcio dall’interno, un enorme serpente dagli occhi enormi che si avventò sulla testa del ragno, il quale si agitò per scrollarselo di dosso.
«Vi lascio alle vostre liti.» disse Mark e corse verso la luce.

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Capitolo 22
*** Fuga dal Labirinto ***


L’apertura era vicina, una scalinata saliva per alcuni metri fino a un’apertura dalla quale entrava la luce del sole, Hermann posò Bastian a terra e si rivolse  a Karl:«Ci siamo ormai.»
«E Mark?» chiese Karl.
«Ce la farà. Ora saliamo, presto!»
Karl e Bastian salirono sui primi gradini, Hermann fece un passo in avanti quando percepì un forte odore di bruciato e sentì un brivido alla schiena.
Si voltò di colpo ed estrasse la spada, davanti a lui si ergeva Asakron.
«Cosa vuoi?» chiese Hermann.
«Abbassa quella spada, non ti può servire.»
«Non obbedisco ai tuoi ordini. Cosa vuoi?»
Asakron camminò attorno a lui con la stessa tranquillità di chi fa una passeggiata:«Ho fatto una bella discussione col nostro amico, l’Alchimista. Per essere un patetico mortale ha avuto un’idea niente male.»
«Cosa stai dicendo? Sei passato dalla sua parte?»
Asakron rise:«No, no. Al più sarebbe stato il mortale a passare dalla mia. Il nostro amico ha avuto quel che meritava, il corpo a pezzi e l’anima in balia dei più insignificanti demoni dell’Aethyr. Prima però mi ha detto che sperava di prendere il tuo sangue e quello dei tuoi fratelli per ricavarne una sostanza per attrarre i demoni.»
«Dal nostro sangue?»
«Si, a quanto pare nella vostra stirpe c’è qualcosa che piace a noi. Almeno così dice, voleva dei bambini perché secondo lui più puri, tu eri il ripiego.»
Hermann diede uno sguardo a Karl e Bastian che fissavano Asakron impietriti.
«Hai promesso che ci avresti lasciati fuggire!» disse.
«Non ti hanno mai insegnato a non fare patti con i demoni?» disse Asakron.
Hermann deglutì e sentì la vescica contrarsi.
Asakron riprese a parlare:«Ma non preoccuparti, io sono di parola. Ho promesso che ti avrei aiutato a far fuggire i tuoi fratelli e loro usciranno da qui, pochi metri e saranno fuori. Ma non ho mai promesso di aiutare te a fuggire.»
Lo sguardo di Asakron inchiodò Hermann che sentì le mani tremare:«Vattene!»
«No, ho deciso che verrai con me, in fondo ho scelto di apparire a te e non al tuo simile sul ponte. Mi potresti essere utile.»
«Mai!» urlò Hermann «Bastian, Karl! Scappate!»
Menò un fendente su Asakron, ma una presa d’acciaio gli bloccò le mani, il demone lo fissò negli occhi:«Vieni, l’Aethyr ti aspetta!»
Una forte luce lo abbagliò e tutto intorno a lui scomparve.
 
Delia corse dietro agli altri, mentre l’urlo disperato dell’Alchimista echeggiava ancora tra le pareti, non ci credeva, non voleva crederci, il suo Magister era morto, nonostante tutta la sua conoscenza e il suo potere.
Ma la cosa peggiore è che sapeva cosa stava per succedere: il Labirinto avrebbe ceduto, in pochissimo tempo, forse minuti, forse qualcosa di più, già percepiva i venti della magia scorrere impetuosi, un potere immenso, troppo grande da canalizzare.
E con esso sentiva le voci, i sussurri, i sibili, le urla e i ruggiti dei demoni che si liberavano dalla loro prigione, forse l’avrebbero presa, forse sarebbe stata schiacciata da qualche tonnellata di roccia o ancora ridotta a una brodaglia informe dalle forze dell’Aethyr.
Si accorse che aveva perso di vista gli altri, il corridoio non era più quello che ricordava, ora si snodava a destra, dirigendosi lontano dalla sua direzione originaria.
Continuò a correre e sperò di arrivare a qualche uscita, poi sentì un urlo proveniente da più avanti lungo il corridoio, vide Uwe correre verso di lei e poi un piccolo demone alato piombarle addosso e graffiarla con gli artigli.
Altri due piombarono sulla ragazzina, Delia si avvicinò e concentrò il proprio potere, un dardo multicolore partì dalla sua mano destra, si divise in tre e colpì i demoni.
Due bruciarono e si dissolsero, il terzo urlò e gracchiò per poi fuggire.
Raggiunse Uwe, la ragazzina aveva profonde ferite da artigli alla schiena, sollevò la testa, il viso ricoperto di lacrime e sangue:«Aiutami, ti prego.»
Delia concentrò il suo potere di guarigione, un flusso enorme di magia la attraversò, sentì il suo corpo bruciare e dovette usare tutta la sua forza di volontà per non esserne sopraffatta, lasciò fluire il potere fuori da sé.
Sospirò, Uwe si alzò, i graffi alla schiena ora erano solo scie più chiare sulla pelle, la ragazzina si sistemò il vestito ridotto a brandelli, poi la guardò:«Dove andiamo? Cosa succede?»
«Il Magister è morto, i Van Horstmann sono fuggiti e ora dobbiamo fuggire anche noi! Di là!»
«Io vengo da là, non c’è nulla.»
«Fai quel che dico, se non c’era nulla prima non significa che non ci sarà dopo.»
«Ma…»
«Presto!»
Corsero lungo il corridoio mentre la luce aumentava d’intensità, arrivarono a un punto in cui un altro corridoio incrociava il loro, Delia guardò a destra e vide un flusso di magia sgorgare come un fiume verso di loro.
Scattò verso sinistra:«Di qua! Ora!»
Corsero a più non posso, Delia non osava voltarsi ma percepiva l’onda di magia seguirle lungo il corridoio e creature che fluttuavano in essa.
Il pavimento divenne sempre più sconnesso, enormi radici sembravano muoversi poco sotto il terreno mentre le pareti si contorcevano senza sosta, la luce delle pareti emanava bagliori improvvisi seguiti da attimi di oscurità.
Visualizzò i venti della magia correre verso la fine del corridoio, ridotto ormai a un cunicolo irregolare, aveva visto giusto, il Labirinto collassava al suo centro ma le turbolenze spingevano fiotti di energie aethyriche verso l’esterno.
Vide la luce, offuscata, fioca, ma c’era, filtrava oltre il terreno e la roccia che sembrava diventare semitrasparente come l’acqua torbida.
«Ma cosa succede?» disse Uwe.
Delia afferrò la mano sinistra di Uwe:«Vieni!»
Un’altra ondata di venti della magia fluì nel corridoio, la sentì attraversarle il corpo come un’onda di fuoco, assorbì una parte di quell’energia e la convogliò verso la fine del cunicolo.
La materia cedette alla forza dell’Aethyr, un varco si aprì, Delia scattò e trascinò Uwe, pochi passi e furono fuori mentre il passaggio collassò di colpo, caddero a terra sull’erba, si voltarono e fissarono un avvallamento nel terreno solcato da crepe e dove l’erba era morta.
«Siamo salve.» disse Delia.
Uwe si portò le mani al volto e cominciò a singhiozzare:«Cosa farò ora? Che ne sarà di me?»
Delia fissò la ragazzina, forse avrebbe dovuto disfarsene, era un peso e avrebbe potuto rivelare troppe cose se i Van Horstmann l’avessero catturata, più distanza avesse messo tra sé stessa e loro e meglio sarebbe stato.
D’altra parte Uwe era sveglia e sentiva dentro di lei crescere i doni di Tzeentch, se avesse voluto fondare un nuovo culto, avrebbe dovuto cominciare con qualcuno.
O avrebbe potuto usarla come merce di scambio con qualche altro culto.

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Capitolo 23
*** L'ultimo atto del ragazzino ***


Karl uscì all’aperto tenendo Bastian per mano, non sembrava vero, l’aria fresca, la luce del sole, gli alberi sparsi, l’erba, nelle ore in cui era rimasto là sotto gli erano sembrati ricordi lontani.
Lanciò uno sguardo all’apertura, Hermann era scomparso assieme al demone, ne sapeva abbastanza da dubitare che potesse riapparire da un momento all’altro, sperò che Mark potesse raggiungerli, doveva trovarsi da qualche parte nei boschi vicini a Horstburg ma non sapeva dire dove.
«Cosa facciamo?» chiese Bastian.
«Aspettiamo Mark.»
Un lampo di luce lo costrinse a distogliere lo sguardo, un rombo risuonò nel sottosuolo e la terra tremò per un attimo, aprì gli occhi, l’accesso al Labirinto era scomparso.
«No!» gridò.
Cadde in ginocchio e prese a pugni il terreno, sentì le lacrime bagnargli il viso, cosa ne era stato di Hermann e Mark? Persi per sempre, ingoiati dalla terra? O da qualcosa di peggio?
Alzò lo sguardo, Bastian lo fissava senza dire nulla, si alzò, toccava a lui portare in salvo suo fratello e far si che Hermann e Mark non fossero scomparsi invano.
Fissò il cielo, il sole calava a ovest, se aveva visto giusto doveva muoversi  in quella direzione per tornare verso Horstburg.
«Andiamo, torniamo a casa.» disse.
«Io non credo.» disse una voce di donna alle loro spalle.
La riconobbe, si voltò di colpo ed estrasse la spada: era Delia e con lei c’era Uwe.
«Mettila via ragazzino» disse Delia «e non sarò troppo cattiva con tuo fratello. Tu puoi andartene, non mi interessi.»
Gli occhi dalle pupille verticali sembrarono inchiodarlo sul posto, si sforzò di controllare la vescica, provò l’impulso di gettare la spada e correre via.
«Scappa Bastian! Di là!» urlò.
Suo fratello esitò.
«Scappa!» urlò a pieni polmoni.
Bastian si volto e corse via, Karl sollevò la spada e caricò Delia.
«Idiota!» ringhiò la donna «Uwe! Prendi il bambino, a questo ci penso io!»
Karl calò la spada su Delia che balzò indietro di un paio di metri, piegò le gambe e aprì le braccia, lunghi artigli neri uscirono dalle dita delle mani, un sorriso crudele le si disegnò sul volto:«Hai scelto di soffrire. E morire.»
Deglutì, poi fissò lo sguardo su Uwe che era ancora dietro Delia:«Aiutami! Puoi ancora rimediare a quel che hai fatto.»
«Uwe, insegui il moccioso!» sbottò Delia senza schiodare gli occhi da Karl.
Vide il dubbio negli occhi di Uwe, forse poteva ancora venirne fuori, la ragazza non sarebbe stata utile in un combattimento, ma quantomeno Bastian sarebbe riuscito a fuggire.
«Mi hai sentito?» il tono di Delia divenne rabbioso «Vai a prenderlo, ora!»
«Non farlo! Sistemerò tutto! Non dirò ciò che hai fatto! Dirò che ci hai aiutati! Andrà tutto bene, devi credermi!»
Delia rise, una risata sguaiata e sarcastica:«Patetico ragazzino! Uwe, credi davvero che manterrà o potrà mantenere le sue promesse? Credi che Bastian o uno degli altri intrusi non dica cosa è successo? Credi che i Van Horstmann ti lasceranno stare solo perché l’ha promesso lui?»
Uwe fissò Karl:«Tuo padre…»
«Posso convincerlo!» disse Karl «Posso farlo.»
«Non lo farà.» disse Delia, sicura «In fondo conosci suo padre, credi davvero che ti lascerà stare come se nulla fosse? Anche se lo implorasse suo figlio? Ti dico io cosa succederà, ti prenderà a calci e mazzate finché non sputerai tutti i tuoi denti, poi ti lascerà nelle mani di quel prete.»
Uwe lo fissò con le lacrime agli occhi, era vero, suo padre si sarebbe vendicato, deglutì:«Non ascoltarla, io riuscirò  a proteggerti.»
Il suo tono non fu convincente neppure per se stesso, Uwe scosse la testa e disse:«Mi dispiace Karl.»
Poi scattò nella direzione in cui era scappato Bastian.
«No! Uwe! No!»
Colse il movimento di Delia con la coda dell’occhio, rabbrividì, fece un balzo a sinistra ma sentì un dolore bruciante al braccio destro, la manica era squarciata e un solco sanguinolento andava dall’incavo del gomito fin quasi al polso.
«Ti avevo detto che avresti sofferto!» rise Delia a due metri da lui.
Strinse i denti e affondò la spada in avanti, Delia balzò di lato a sinistra come un gatto, poi scattò di nuovo, Karl ruotò e attaccò in orizzontale da destra a sinistra assecondando il movimento del corpo, Delia inarcò la schiena e gridò prima di riportarsi a distanza e cadere sulle ginocchia.
Era di lato rispetto a lui, la veste azzurra tagliata a metà schiena e un da un taglio lungo quanto una mano colava sangue.
Ora!
Scattò con la spada pronta a calare sulla testa, Delia si voltò di colpo, la bocca si aprì in modo innaturale e abnorme, un urlo terrificante e acuto gli fece scoppiare i timpani, rallentò e si fermò mentre il mondo era diventato di colpo silenzioso.
Cadde a terra in ginocchio, sollevò la testa, Delia era a un passo da lui, colse il movimento del braccio di lei, sentì gli artigli scavare nel suo collo, attraversare la carne e sbucare sulla nuca.
Non gridò, il dolore sembrava lontano, sentiva qualcosa bagnargli il collo e colare giù sul resto del corpo, mollò la spada e si portò la mano destra al collo, la ritrasse lorda di sangue.
Alzò gli occhi, Delia lo fissava con un ghigno divertito, ritrasse indietro gli artigli, un dolore lancinante esplose dentro di lui, aprì la bocca per urlare ma ne uscì solo un gorgoglio soffocato, crollò a terra su un fianco e chiuse gli occhi.

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Capitolo 24
*** La fine della ragazzina ***


Uwe correva tra gli alberi e i cespugli, dov’era finito Bastian? Aveva solo cinque anni e poco vantaggio ma non lo vedeva più.
Si fermò, aveva il fiatone ed era ricoperta di sudore, appoggiò le mani sulle ginocchia, doveva trovarlo o Delia non gliel’avrebbe perdonato.
Sentì qualcosa nell’aria, qualcosa che non aveva mai sentito prima, eppure era familiare, solo non l’aveva mai percepita in questa maniera e al di fuori di sé stessa.
Paura.
Avvertiva la paura di Bastian, la sentiva provenire da non molto lontano, era una sorta di vibrazione, qualcosa di sottile eppure così chiaro, non capiva ma “sentiva”, come se all’improvviso avesse preso coscienza di un senso rimasto a lungo sopito.
Corse verso Bastian, passo dopo passo lo sentì sempre più vicino, quando lo vide fu solo una conferma di quanto sapeva, il bambino uscì dalla boscaglia, si fermò e gridò:«Aiuto!»
In pochi secondi Uwe lo raggiunse e lo prese per un braccio, lui si voltò di scatto con gli occhi sgranati:«Non voglio tornare da donna cattiva!»
«Non aver paura, ti porto in un posto sicuro.»
Bastian cercò di divincolarsi:«Voglio andare a casa! Anche tu sei cattiva!»
Gli tirò uno schiaffo, ebbe una sensazione di gelo pervaderla, afferrò Bastian per le spalle e lo scosse:«Farai quello che ti dico, chiaro?»
Bastian sbiancò e la fissò con gli occhi spalancati, non disse nulla, solo un lieve cenno d’assenso, meglio di quanto avesse sperato.
Stava per dire a Bastian di seguirlo quando si accorse che non erano soli, tre lancieri erano apparsi a una ventina di metri da loro, dal bosco, si fermarono di colpo:«È lui! Il figlio di Ferdinand!» disse uno.
Represse l’istinto di correre via, l’avrebbero raggiunta, alzò le braccia:«Siamo qui!»
Uno dei tre prese un corno dalla cintola e suonò, subito dopo in risposta risuonarono altri corni, alcuni vicini, gli altri due lancieri corsero verso lei e Bastian.
«Ragazzina, dov’è Karl?»
«Non lo so.» singhiozzò lei, augurandosi di non sembrare forzata.
Forse non sanno che c’entro anch’io nel rapimento. O forse non lo sanno i soldati.
Sospirò e si afferrò una ciocca di capelli con le mani, erano lunghi, e neri.
Sgranò gli occhi: dov’erano finiti i suoi capelli rossi?
Sentì il rumore di zoccoli sul terreno, cinque cavalieri apparvero dal fianco di un avvallamento sulla destra, riconobbe Frank Van Horstmann e Lothar, il prete di Sigmar.
Arrivarono a pochi metri da loro, fermarono i cavalli e smontarono di corsa, altro rumore di zoccoli sul terreno e grida venivano da poco lontano, Uwe lasciò il braccio di Bastian e fece un passo indietro.
Frank avanzò verso di loro:«Ehi ragazzina, tu chi sei?»
Non mi ha riconosciuta! Forse posso farcela.
Rimase muta e scosse la testa, forse poteva passare per ritardata.
«Bastian, corri verso tuo zio!» gridò Lothar mentre scattava contro di lei.
Il bambino la guardò poi corse via.
Devo prenderlo, usarlo come ostaggio!
Si lanciò all’inseguimento ma vide troppo tardi una lancia mettersi di traverso, la colpì alla bocca dello stomaco e ricadde a terra col fiato mozzato, si rialzò di scatto e sentì un riflusso acido in bocca, sputò, di fronte a lui un lanciere in cotta di maglia mollò lo scudo e la afferrò per la spalla.
«Ferma ragazzina!»
Vide un riflesso sullo scudo metallico, era il suo viso, capelli neri lunghi, pelle bianca e pallida, occhi e labbra nere, aprì la bocca per lo stupore, la sua lingua era biforcuta e marrone.
Alzò lo sguardo, vide gli occhi inorriditi del lanciere, sentì il suo fremito di paura, Uwe urlò, un urlo di terrore, anche il lanciere urlò prima di crollare a terra immobile con gli occhi vitrei, il volto cinereo e la bocca aperta.
L’ho ucciso!
Sorrise, poteva uccidere, poteva uccidere con la paura, con un urlo terrorizzante, poteva salvarsi, vide il piccolo Bastian che si teneva le orecchie abbracciato a Frank che stringeva i denti, gli altri due lancieri sembravano intontiti e anche gli altri tre cavalieri, che però avanzavano, uno estrasse una pistola.
Doveva scappare ora, trovare Delia, ma vide Lothar di fronte a lei, con il grande martello a due mani sollevato:«Sigmar avrà pietà per la tua anima.»
Uwe digrignò i denti, si concentrò sulla paura, sulla propria, su quella degli altri, non ne trovò in Lothar, urlò comunque, vide gli uomini gettarsi a terra con le mani sulle orecchie ma Lothar rimase in piedi.
Il martello calò su di lei, urlò ancora, poi la testa esplose di dolore.

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Capitolo 25
*** La punizione della strega ***


Nascosta dietro una quercia, Delia vide il prete di Sigmar sfondare cranio e corpo di Uwe, un vero peccato, la ragazzina era sveglia e il dono che aveva ricevuto molto interessante, se solo avesse potuto insegnarle qualcosa. Non importa. Si voltò e si allontanò di buon passo, c’erano altre pattuglie in giro. Ritornò sui suoi passi, il bosco le avrebbe offerto protezione a sguardi sgraditi, passò a fianco del cadavere di Karl e proseguì lungo i bordi della depressione che il collasso del Labirinto aveva causato, poteva ancora sentire flebili folate di magia uscire dal sottosuolo. Un dolore lancinante la colpì al polpaccio, gridò e cadde in ginocchio, volse lo sguardo alla gamba e vide un coltello piantato dentro il muscolo. «Credevi di potertene andare?» Riconobbe la voce, era dell’uomo dei Van Horstmann che l’aveva quasi uccisa nel Labirinto e che aveva ammazzato Murg. Strinse i denti ed estrasse il coltello, alzò lo sguardo sull’uomo e gli lanciò contro la sua arma che rimbalzò contro la cotta di maglia. «Tu, lurida schiava del Caos! Hai ucciso un ragazzino!» Delia si rialzò, il dolore era tremendo e perdeva molto sangue, doveva curarsi, l’uomo era a pochi metri con la spada lunga in mano, Delia lo fissò e urlò, l’uomo strinse i denti e contrasse i muscoli del volto ma non si fermò. «I tuoi trucchi non ti salveranno!» urlò l’uomo. La spada calò su di lei, estrasse gli artigli che si ruppero sulla cotta di maglia, poi non sentì più le braccia, abbassò lo sguardo e le vide agitarsi a terra come pesci fuor d’acqua, si guardò e vide la destra amputata fin quasi alla spalla e il sinistro al gomito. Sangue multicolore sprizzava copioso, la vista gli si annebbiò, poi il dolore arrivò forte, terribile, intollerabile. Crollò in ginocchio e urlò, poi un colpo tremendo al volto la buttò a terra, sentì i denti spezzarsi e la bocca riempirsi di sangue, aprì gli occhi, l’uomo calò la spada, sentì la lama bucargli lo stomaco, urlò, fece per afferrare la lama ma le sue braccia non c’erano. Un dolore pulsante la attraversò, peggiore di quello delle braccia amputate, sentiva la carne tirarsi e bruciare dentro di sé, doveva fare qualcosa, cercò di concentrarsi, un incantesimo, uno che potesse tornargli utile! Sentì qualcosa appoggiarsi sulla spalla sinistra, prima piano, poi sempre più di peso, aprì gli occhi, era il ginocchio dell’uomo, lo sguardo fisso su di lei era duro, nessuna pietà, solo vendetta. Vide il pugno nel guanto metallico arrivare, il colpo le sfracellò il naso, sentì le cartilagini rompersi e un’altra parte del suo corpo pulsare di dolore, poi un altro pugno e un altro ancora, una tempesta di colpi senza fine, sentì altri denti spezzarsi e finirle in gola, la mascella rompersi, la pelle gonfiarsi e strapparsi, gli occhi riempirsi di lacrime e sangue, infine un ultimo colpo, il cranio fare uno schiocco e più nulla.

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Capitolo 26
*** Vittoria amara ***


Mark si rialzò in piedi, si tolse il guanto imbrattato di sangue, carne e cervella, estrasse la spada dal cadavere della donna e si voltò senza prestarle più attenzione, il cuore batteva all’impazzata e la rabbia era ancora tanta, ma non c’era più nulla da fare se non una cosa.
Raggiunse il corpo di Karl, la terra sotto il suo collo era imbevuta di sangue così come la sua camicia, si inginocchiò di fianco.
Provò vergogna, senso di fallimento, non era riuscito a salvarlo, non sapeva che fine avessero fatto Hermann e Bastian, era stato tutto per niente?
Mise il corpo disteso e lo prese con le braccia sotto le scapole e le gambe, lo sollevò e si alzò in piedi, almeno Ferdinand avrebbe avuto una tomba su cui piangere il figlio.
Camminò tra gli alberi finché non sentì voci di uomini, sbucò fuori dalla boscaglia e una ventina di soldati si voltarono verso di lui.
«Karl!»
Riconobbe la voce di Ferdinand che correva verso di lui, Wilhelm lo seguì, Mark passò il corpo di Karl nelle braccia del padre il cui volto era di marmo.
«Mi dispiace mio signore. Quando l’ho trovato era troppo tardi, ho solo potuto vendicare la sua morte.»
Ferdinand annuì, poi si voltò portando Karl con sé, Wilhelm si avvicinò a lui:«Mark, sai qualcosa di Hermann?»
«Era con noi nel covo dei cultisti, sottoterra, era fuggito con Karl e Bastian… ma, signore, perché non mi ha chiesto di Bastian?»
Wilhelm si concesse un sorriso:«Lui è vivo.»
Mark si sentì sollevato, almeno un po’:«Erano fuggiti mentre io coprivo loro le spalle, credevo fossero insieme.»
«Chiederemo a Bastian, appena smetterà si piangere. Cos’è successo là sotto?»
«Un gran casino» disse Mark «il capo del Culto aveva creato una specie di labirinto infestato da demoni, i cultisti erano quasi tutti mutanti, anche se non sembrava, credo che il capo del culto volesse fare un qualche esperimento con Bastian e Karl. Siamo riusciti a sfuggirgli solo perché un demone è apparso e ha cominciato ad attaccarlo.»
«Cosa da aspettarsi quando si gioca con quel genere di cose. Manterremo altre pattuglie, anche questa notte, forse Hermann è riuscito a uscire da qualche altra parte.»
Wilhelm gli appoggiò la mano destra sulla spalla sinistra e gli fece un cenno d’assenso, poi si voltò e tornò dal fratello.
Jorn giunse di corsa:«Mark!»
«Padre.»
«Temevo di non rivederti più.»
«Sono tutto intero. Ma Karl è morto e non sappiamo dove sia Hermann.»
Jorn annuì:«Hai portato in salvo Bastian da uno stramaledetto culto del caos, da solo, nessuno può biasimarti.»
«Non da solo, padre, ma fino a poco fa speravo di rivedere Karl e Hermann. Li avevo lasciati andare avanti, speravo…»
Jorn sorrise amaro:«Figlio mio, per quanto abili, forti e tenaci, non possiamo controllare tutto. Ora andiamo, di sicuro dovrai riposarti.»
Mark annuì.
Sentì la tensione calare e all’improvviso tutta la stanchezza, le botte e le ferite di quella giornata lo colpirono come un macigno, si sedette per terra e si passò una mano sul volto e sui capelli.
Nel bene e nel male era finita.

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Capitolo 27
*** Rabbia e speranza ***


Ferdinand si alzò dallo sgabello accanto al letto, sua moglie Klara e Bastian finalmente dormivano, raggiunse la porta, uno dei due soldati la aprì piano, lui uscì e la porta fu richiusa, c’erano altri quattro uomini armati fuori.
Superfluo dire loro di stare in guardia.
S’incamminò lungo il corridoio illuminato dalle torce, a ogni angolo e ogni tratto c’era un uomo armato in grado di vederne altri due e ai domestici e servitori era stato proibito di muoversi, eppure era impossibile stare tranquilli.
Raggiunse la scalinata e scese verso la grande sala centrale, vide suo fratello Wilhelm e il figlio Frank attenderlo.
«Ancora nessuna notizia di Hermann?» disse Ferdinand, stanco.
Frank scosse la testa:«Sono appena tornato, ho parlato con tutti i capi delle pattuglie e i cacciatori, nessuna traccia.»
«Domani cominceremo a scavare nei pressi di dove sono usciti Bastian e Karl, forse Hermann si trova ancora là, bloccato nelle gallerie del covo nemico.»
Ferdinand annuì, era una speranza vana, lo sapeva, da quel che si era capito dai racconti di Bastian e Mark sulla natura del Labirinto la cosa migliore che potesse essere capitata a Hermann era proprio la morte.
«Grazie.»
«Manterremo la sorveglianza alta per mesi» disse Wilhelm «il culto è stato spazzato via ma potrebbe esserci ancora qualche superstite, nel castello o nei boschi.»
«Non finirà mai» disse Ferdinand «non finché Egrimm sarà in vita.»
«Non sappiamo se c’è lui dietro tutto questo.» disse Wilhelm.
«C’è sempre lui. Un culto viene a rapire i nostri figli, perché? È quello sporco maledetto bastardo e traditore che vuole distruggerci pian piano con i suoi giochetti!»
Strinse i pugni, avrebbe voluto trovarselo davanti per farlo a pezzi e mettere la sua testa su una picca.
Verrà il giorno della vendetta.
 
Frank Van Horstmann era nella cappella di Sigmar, Lothar si sollevò dopo aver pronunciato il suo ringraziamento al dio e raggiunse lui e suo padre.
«Hermann?»
Wilhelm scosse la testa:«non credo che ci sia molto da fare.»
«Probabilmente no.» disse Lothar «Il magister non era certo uno qualunque.»
«Cosa vuoi dire?» disse Frank.
«I magister che adorano il Grande Manipolatore preferiscono le città alla campagna per poter infiltrare le famiglie, le chiese, i palazzi dei nobili e borgomastri. Almeno agli inizi. Questo vale anche per quelli che cercano più la conoscenza proibita che il potere, dato che è più facile ottenere quel che cercano nei luoghi di transito delle persone.»
«E quindi?» chiese Wilhelm.
«Quindi abbiamo avuto a che fare con un culto o quantomeno un magister che operava da molto tempo. Dalla descrizione di Mark è probabile che abbia sperimentato su se stesso il potere del Caos e altro ancora. Forse non era neppure umano. In effetti poteva assomigliare a … un Nano.»
«Un Nano?»
Lothar annuì:«I Nani né parlano raramente, se non mai, dei loro lontani parenti dell’est, corrotti da qualche oscuro potere. Forse questo magister era uno di loro.»
«Mai sentito parlare di questi Nani corrotti.» disse Frank.
«I Nani preferiscono che non se ne parli e le informazioni che ci danno sono minime. Ma da quel poco che so, questi Nani compiono orribili combinazioni di stregoneria e tecnologia, cosa che sembra quadrare con quel che Mark ha visto nel Labirinto.»
«Allora potrebbe non essere uno scagnozzo di Egrimm?»
«Tenderei a escluderlo, anche se non sarebbe strano per loro cercare di ingannarsi e manipolarsi a vicenda.»
Wilhelm sospirò:«Va bene Lothar, come mai un comune prete sa così tante cose?»
Siamo al dunque.
Lothar aggrottò la fronte e fissò Wilhelm negli occhi:«Signore, io sono qua su vostra richiesta alla Chiesa di Sigmar.»
Frank vide suo padre fare una smorfia:«E chi ha mandato la Chiesa di Sigmar? Un semplice prete o qualcosa di più?»
«Barone Van Horstmann, l’Arcilettore ha ritenuto opportuno inviare qualcuno con una certa esperienza nell’affrontare certe questioni che potrebbero verificarsi. Sarò comunque fedele alla vostra famiglia e al mio compito, finché la vostra fede sarà salda.»
Frank vide suo padre annuire:«Molto bene, Lothar. Frank, possiamo andare,»
Fece un cenno d’assenso a Lothar e seguì suo padre, quando furono fuori dalla cappella lo affiancò:«Allora è vero, Lothar era parte dell’Inquisizione.»
«E forse lo è ancora.» disse Wilhelm.
«Possiamo fidarci di lui?»
«Non abbiamo scelta, se lo mandassimo via desteremmo dei sospetti. Non mi piace avere una potenziale spia in casa, ma al momento la Chiesa di Sigmar è tra i nostri pochissimi alleati.»
«E se Egrimm è tra i nostri nemici…»
«Lui è sempre un nemico. Sempre. Ma forse non siamo tra i suoi obbiettivi, Ferdinand si sbaglia.»
«Cosa credi che voglia fare? Andare in cerca di altri cultisti?»
«Non lo so, terremo d’occhio anche lui. Ora vado a riposarmi, inizio a essere troppo vecchio per giornate come questa.»
«Certo padre. Ci aggiorneremo domani.»
Wilhelm fece un cenno con la mano e s’incamminò verso i suoi alloggi, Frank andò verso i propri, salutò i soldati di guardia ed entrò, sua moglie era sul letto, ancora sveglia, il piccolo Stefan era addormentato sul suo lettino fatto spostare poco prima dall’altra stanza.
«Credi che non servano guardie all’interno?» chiese lei.
«No, ce ne sono abbastanza fuori. I cultisti che avevano rapito Bastian avevano agito quando c’era solo una guardia nei corridoi.»
«Cosa volevano?»
«Non lo so e non credo di volerlo sapere. Quel che so è che finalmente questa orrenda giornata è finita.»
«Ma corriamo altri pericoli?»
«No, il culto è stato sgominato. Vedrai, il nostro Stefan ci seppellirà tutti.»
Lei sorrise, Frank le diede un bacio e si distese sul letto:«Andrà tutto bene.»

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