L'uomo di cartapesta

di rossella0806
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo di Aurora in paese ***
Capitolo 2: *** Visite inaspettate ***
Capitolo 3: *** I sette dormienti ***
Capitolo 4: *** Il carillion ***
Capitolo 5: *** La riunione ***
Capitolo 6: *** Ricordi e idee ***
Capitolo 7: *** Gita in città e lavoro nei campi ***
Capitolo 8: *** I carri e le galline ***
Capitolo 9: *** Il mostro della pioggia ***
Capitolo 10: *** Il nuovo Esodo ***
Capitolo 11: *** Camomilla ***
Capitolo 12: *** Incidente di percorso ***
Capitolo 13: *** Le feste natalizie di Aurora ***
Capitolo 14: *** I due sogni ***
Capitolo 15: *** Che le danze abbiano inizio ***
Capitolo 16: *** Fuochi d'artificio ***
Capitolo 17: *** La sfilata dei carri ***
Capitolo 18: *** Gli ottoni ***
Capitolo 19: *** Una cosa sola ***
Capitolo 20: *** Rimpatriata di Capodanno ***



Capitolo 1
*** L'arrivo di Aurora in paese ***


La vera scoperta
                                                                                                                                                     non consiste
                                                                                                                                                 in nuovi paesaggi,
                                                                                                                                                  ma nel guardare
                                                                                                                                                    con occhi nuovi

Marcel Proust




    
Venature di bianco pennellano il cielo, mentre sotto di esso l’acqua del ruscello scorre contenuta tra gli argini di terra cedevole, e i fiori e le chiome degli alberi sono come ballerini insicuri in preda alla brezza fastidiosa.
La casa rossa in cima alla collina domina l’intero paesaggio, protetta dalle montagne controlla la fitta vegetazione.
Davanti ad essa si erge il resto del paese: il guscio della piazza con la chiesa e il campanile, i prati e i campi coltivati, le abitazioni a due piani con il giardino perfettamente curato e i negozi, luogo di ritrovo per gli abitanti del borgo.
Ora il vento si fa più forte e scuote con dispetto tutto ciò che gli oppone resistenza, solo la casa rossa rimane imperturbabile.
Il calore del sole intiepidisce ogni cosa, s’insinua malandrino sotto le pietre per raggiungere le lucertole e le formiche intente a riposare, accarezza il pelo dei cani e dei gatti esposti ai suoi raggi.
Dopo il tepore dei giorni precedenti, ora è di nuovo insolitamente caldo.
Sul lato della piazza che si congiunge con i campi c’è una fontana che sgorga acqua fresca: è composta da una lunga vasca di pietra sbeccata ai lati come piccoli morsi di corvi affamati ed è sovrastata da una colonna un po’ tozza con eleganti volute a sorreggere le fauci aperte del leone da cui fuoriesce l’acqua, gli occhi di sasso due bottoni più scuri.    
Di fronte alla fontana si innalza il muro ad est della chiesa, le cui pareti sono state riverniciate da poco con un insolito color senape.
Sulla facciata in stile romanico dell’edificio svetta una torre in mattoni rossi con le due campane in bronzo.
La pesante porta di rovere scuro con un battente sempre aperto di giorno come ad invitare la gente –fedeli e non- ad entrare in quel luogo sacro contrasta con la semplicità delle due panche di pietra collocate ai lati dell’entrata, messe apposta per far riposare i paesani dopo aver svolto le loro divine mansioni.
Nel borgo la giornata è scandita da ritmi ben precisi: il mattino ogni cosa si rianima, il paese stesso ritorna a vivere.
Il vociare delle comari è intenso e continuo, quasi una nenia, e la sera il rientro degli uomini e delle donne dai campi o da altre mansioni risveglia la vita.
Il pomeriggio, invece, il paese è uno gnomo addormentato: è un villaggio fantasma, quasi nessuno popola le sue strade, solo qualche cliente della bottega che non ha potuto andare prima a fare rifornimento vagabonda per le vie, pronto a sfidare il caldo.
E quando scende la notte, tutto ritorna calmo e silenzioso, il paese si ferma di nuovo, questa volta per riposarsi dalle fatiche quotidiane.
Si mette in pausa, premendo il pulsante invisibile del ritmo umano, per poi rinascere uguale a se stesso l’indomani.


Sebbene possa sembrare un villaggio sperduto e nelle vicinanze non esista la città come la intendiamo noi –caotica, superflua in certe sue sfumature e a volte anche monotona- , vi è una sua copia in miniatura che dista solo quattro chilometri.
La strada per raggiungerla ha un paio di curve, per il resto è lineare e si può percorrere facilmente in bicicletta o a piedi, ovviamente per chi ha fiato ed è allenato.
La città, come il paese, è circondato dalle montagne, ma ha la caratteristica di affacciarsi sul lago e il paesaggio che dalle sue sponde si scorge è straordinario: l’intera vallata -fatta di piccoli borghi disseminati qua e là per il bacino montuoso- sembra cullarsi sotto il suo sguardo vigile e materno.
Il giorno di mercato è poi un autentico spettacolo: molti sono i forestieri in cui ci si può imbattere, la gente s’incontra, si scambia saluti, sorrisi, gesti amichevoli, l’esperienza le insegna ad accaparrarsi la merce migliore.
C’è chi osserva i colori di stoffe e vestiti, chi rincorre gli aromi di cibi e profumi, altri inseguono i rumori e le voci che in un crescendo sempre più forte diventano schiamazzi un po’ fastidiosi, ma tutti si fanno accompagnare dai cinque sensi in quel viaggio settimanale.
E’ un’esperienza cui non si rinuncia mai, nemmeno quando piove o c’è la neve, le bancarelle magari si riducono, il frastuono è più attutito e lontano, ma nulla si ferma.
Non siamo in paese e, per quanto diversa dalle altre, è pur sempre una città.


Si fugge sempre da qualcosa o da qualcuno e la maggior parte delle volte non si sa nemmeno il perché.
Si vuole cambiare, si ha paura, si ha nostalgia del passato, si vuole vivere una vita che non ci appartiene.
Si sogna di notte e ci s’illude di giorno, s’immaginano realtà lontane che, a seconda dei momenti, rendono tristi o allegri.
Il tempo scivola via dalle mani, ogni giorno vorremmo fare cose su cose per provare nuove esperienze, ritagliare degli istanti solo per noi, ma le ore sono quelle che sono, nessun’incantesimo ancora ci permette di accorciare le notti.
Ci svegliamo stanchi e, a seconda di come è andata la giornata, andiamo a dormire eccitati o affranti perché tutto quello che avremmo voluto fare non si è realizzato o si è realizzato solo in parte, così attendiamo con ansia il levare del sole per portare a termine ciò che non siamo riusciti a svolgere il giorno avanti o, più semplicemente, pigri e indolenti, aspettiamo che il tempo scorra.
Lei ha scelto di andare via da tutti e da tutto perché ha voglia di trovare un luogo appartato da quello che gli altri chiamano mondo.
Per questo è scappata, vuole cercare la sua parte di prima donna nello spettacolo della vita: deve fare ordine dentro di sé, per capire cosa diventare e come fare per diventarlo così, quando tornerà, potrà finalmente rivelare tutto il suo amore.


Fuggire dalla città, da quel calore infernale che si sprigiona continuo dai pori di ogni cosa, risucchiando dal corpo qualsiasi forma di energia.
E’ una forza che ottenebra la mente, ricopre i marciapiedi e i muri dei palazzi roventi al suo passaggio, insinuandosi nel cielo di un azzurro a tratti slavato e a tratti di marmo tanto è perfetto.
E quello stesso cielo così magnificamente disegnato, si trasforma senza avvisare in un opprimente coperchio di una pentola –la città- che senza pietà intrappola sotto di sé oggetti, luoghi e persone …
Lei ricorda quel senso di appiccicaticcio sulla pelle che non l’abbandona mai, quell’umidità subdola che per quanto ci si lavi, non si riesce a sciogliere, scomponendola in tante minuscole goccioline invisibili.
La spossatezza prende il sopravvento e conquista ogni fibra, ogni muscolo, ogni tendine di lei, mentre una sonnolenza invincibile l’avvolge.


LUNEDI’ 17 LUGLIO

Sulla via principale, all’imbocco con la strada che porta verso la piazza della chiesa e il ponte che taglia in due il fiume, la forestiera entra in una casa bassa e allungata - ora adibita a bottega- dai muri di pietra e con una grande vetrata racchiusa da infissi in legno e metallo.
Il suono acuto e stridulo della campanella sospesa dietro la porta annuncia il suo arrivo.
Il negozio consiste in un’unica ampia e rettangolare stanza con quattro scaffali posti lungo le pareti e tre più oblunghi nel mezzo a formare una U, mentre una decina di gradini conducono verso il basso, nel magazzino.
In un angolo, di fianco all’ingresso, ha trovato posto un tavolo di legno screziato da numerose venature, mentre sopra è appoggiato il registratore di cassa e, nella parte retrostante, uno sgabello piuttosto alto.
Al trillo del piccolo sonaglio, la donna dietro il bancone alza la testa, abbandonando la matita con cui stava scarabocchiando su dei fogli: ha i capelli color biondo cenere raccolti in un fermaglio verde e indossa un grembiule rosso a pois con l’allacciatura sul davanti.
La forestiera accenna un sorriso e subito chiede se può dare un’occhiata in giro.
Alla risposta affermativa della donna, lei comincia ad aggirarsi per la piccola bottega, il cestino di metallo nella mano destra, la sinistra a cercare il portafogli nella borsa per paura di averlo dimenticato alla casa rossa.
Subito rassicurata dal morbido tessuto, la forestiera riprende tranquillamente il suo tour tra i ripiani colmi di cibo: la spesa è sempre stata per lei un’attività rilassante, nella sua vecchia vita era un’abitudine che conservava almeno tre volte a settimana, ma mai sceglieva il weekend, perché detestava e detesta ancora la folla, la mandria imbufalita che assale con fremente irrazionalità confezioni e scatole di ogni genere.
E poi lei ultimamente è fissata con i supermercati biologici, luoghi più intimi, dove poter girovagare con calma, senza essere spintonati o rischiare di fare folli corse per raggiungere la prima cassa disponibile.
Già, la cassa: la forestiera rivolge uno sguardo verso la donna che si è rimessa seduta sullo sgabello, quasi come nel gioco del nascondino la nuova arrivata non vuole farsi vedere, ma sa di essere vista, tanto da avvertire distintamente la presenza discreta della negoziante che la segue nel suo vagabondare per la bottega.
La forestiera abbassa gli occhi verso il cestino di metallo, fa finta di frugare tra la merce scelta come a controllare di aver preso tutto quello per cui è entrata poi, con noncuranza, si sposta verso lo scaffale congiunto con quello a U, in modo da sfuggire agli occhi della predatrice.
Ne approfitta per aggiungere alla spesa anche del cioccolato e una bottiglia di olio, ma una volta terminati i ripiani, la fortuna la abbandona, costringendola a tornare sui suoi passi, per domandare alla negoziante dove può trovare il pane, i pomodori e le pesche.
“La servo subito … “ la rassicura la donna: esce dalla sua tana dietro il bancone e si reca nelle apposite cassette dove tiene ciò che ha appena promesso alla forestiera, che annuisce con un basta così, e poi si avvicina alla cassa.
Sta per pagare, quando la bottegaia le rivolge nuovamente la parola:
“Mi scusi, è la nuova inquilina della casa rossa, vero?”
“Sì, sono arrivata ieri pomeriggio”  risponde lei, abbozzando un timido sorriso.
“Sa già quanto si fermerà?”
“Almeno un mese …” lei continua a ritirare la spesa nella borsa, senza guardare negli occhi la sua interlocutrice, mentre questa sistema il denaro nella cassa.
“Sono sicura che da noi si troverà bene! Il paese è piccolo, ci conosciamo tutti, però qui vicino c’è la città che è ben fornita … vedrà che non le mancherà nulla”
La forestiera prende le due borse cariche di cibo e, con un lieve sorriso, saluta la bottegaia, desiderosa solo di scappare da quell'interrogatorio.
Grave errore, perché ovviamente essendo umanamente dotata di due mani, da sola non può aprire la porta.
Così, mentre un guizzo di panico le attraversa il cuore, la donna dai capelli biondo cenere esce da dietro il bancone per venire in suo aiuto: prima le apre la porta d’entrata poi, appoggiandosi allo stipite con le braccia conserte, segue con lo sguardo la straniera risalire la piazza.


Per la strada di ritorno che l’avrebbe portata alla casa rossa, lei incontra qualche persona.
E’ mattina ed è normale imbattersi in della gente. Un paio di anziane signore le rivolge un saluto, sorridendo in modo melenso, mentre una piccola comitiva di bambini la guarda incuriositi, indicandola in modo poco educato.
Lei fa cenni a tutti, ma non si cura più del dovuto di risultare gentile: è la novità del paese, suscita interesse e questo le sembra normale, anche se non riesce a capire fino in fondo il loro atteggiamento: forse non sono abituati a vedere turisti? si domanda.
In città, infatti, è sempre stata addestrata a svicolare tra la gente come se fosse invisibile, nessuno la nota più di quanto non noterebbe un’altra donna monotonamente normale.
Ma dopotutto cosa le importa di quello che gli altri pensano di lei?
Le viene in mente una frase di Charlie Chaplin, che aveva letto da qualche parte in un libretto di aforismi:

Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione.
Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te.
E quello che gli altri pensano di te è problema loro

Ma il suo problema è sempre stato quello: la prima volta che aveva visto Mattia aveva subito trovato qualcosa di speciale in quel viso sbarbato ancora da bambino, nello sguardo limpido e irriverente, nei capelli scuri e spettinati e aveva desiderato che anche lui la notasse, in mezzo a quella baraonda caotica che era il parco in agosto, per nulla svuotato dalle ferie estive.
Aurora, un vestito blu con le spalline sottili, stava lottando con una fastidiosissima zanzara che la stava importunando da qualche secondo, impedendole di continuare a leggere il libro che si stava gustando, seduta su una panchina dalla vernice verde scrostata, all’ombra di un salice piangente.
Il libro le era scivolato di mano proprio nello stesso istante in cui Mattia stava passando di lì con la sua bici, diretto verso una delle numerose piccole fontane del parco.
I bermuda rossi e la maglia bianca esaltavano il fisico asciutto e da sportivo, gli occhiali da sole calati sugli occhi.
Lei recuperò il libro con la stessa lentezza proverbiale di una lumaca e se lo appoggiò distratta sulle gambe, mentre lui scendeva dalla bici e, gli occhiali sistemati in testa, portava le mani a coppa verso l’imbocco della fontana, bevendo avidi sorsi.
Poi si asciugò soddisfatto la bocca con il dorso della mano, riempì la borraccia in acciaio incastrata nell’apposito spazio del telaio e, finalmente, il suo sguardo incontrò quello di Aurora, che continuava a spiarlo di sottecchi.
Un rossore improvviso le colorò le guance, sentendosi quasi in colpa per essere stata sorpresa in flagrante: distolse subito gli occhi verdi, nello stesso istante in cui Mattia risaliva sul sellino e, con un sorriso, le passava davanti divertito:
“Ti è caduto questo … “ le fece notare, chinandosi a raccogliere il segnalibro raffigurante un gatto certosino, sfuggito da chissà quale pagina, quando ad Aurora era scivolato il libro dalle mani.
“Ah, grazie … “  borbottò, allungando una mano in direzione dell’oggetto che le stava tendendo il ragazzo.
“Figurati. Ora devo andare, altrimenti chi lo sente il mio allenatore se gli registro un record inferiore alle sue aspettative! Ci vediamo!”
“Sì … ci vediamo”
Il ciclista, un piede appoggiato a terra per mantenersi in equilibrio, si calò gli occhiali scuri e, prima dello sprint, salutò Aurora dicendole:
“Comunque io mi chiamo Mattia”
Ed è così che, grazie al segnalibro, Aurora conobbe Mattia, ma non ebbe il tempo di rivelargli quale fosse il suo nome, piacevolmente stordita e sorpresa da quella figura che si allontanava sempre di più.


NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Questo è un racconto a cui tengo moltissimo, per cui mi auguro con tutto il cuore che vogliate lasciarmi un vostro piccolo pensiero sul racconto: consigli, critiche, anche apprezzamenti sono graditissimi!
La prima parte del capitolo è stata piuttosto riflessiva, ditemi se vi ha annoiato, però la reputo fondamentale per presentarvi il paese e i tormenti interiori di Aurora che scopriremo andando avanti!
Bene, chissà se vi ho fatto compagnia, ne sarei felice se fosse così!
A presto!

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Capitolo 2
*** Visite inaspettate ***


Aurora risale a passo svelto il vicolo che si affaccia parallelo alla strada della bottega: ha voglia di fare un giro per le vie del paese, tanto più che il tempo è piacevolmente allettante, ma senza vedere troppe persone, così decide di rimandare la passeggiata a quello stesso pomeriggio, perché ha già visto ieri al suo arrivo che, durante le ore pomeridiane, non c’è praticamente nessuno in giro.
E poi ci sono le borse della spesa che cominciano a pesarle.
Così, con uno sforzo immane per cercare di essere il più naturale possibile, continua la sua inaspettata sfilata tra le vie del paese, fino a quando scorge in lontananza la villa, la sua nuova dimora.
Il breve sentiero che s’inerpica fino al grande cancello d’entrata della casa rossa è leggermente in pendenza, circondato da roseti e cespugli di more.
La forestiera si guarda intorno, attratta da quell’atmosfera così inusuale per lei, che il giorno prima ha appena percepito.
Appoggia le due borse della spesa vicino ai roveti e comincia il suo giro di perlustrazione.
Di fianco ai gradoni di pietra che conducono all’ingresso principale si erge una piccola altura scoscesa che prosegue verso l’alto, fino a congiungersi con un terreno allungato e rettangolare, ricco di verdi fili d’erba, troppo lunghi e incolti per l’incuria e la trascuratezza degli uomini.
Sul lato sud dello stesso terreno, una serie di cespugli di lavanda in fiore, diffonde una inebriante e persistente fragranza: lei si avvicina e coglie qualche rametto da infilare nei cassetti, tra le maglie che ha portato.
Verso il basso, invece, si apre una distesa di prato ancora più vasta, dove hanno messo le loro radici il prugno selvatico e la vite di uva fragola.
La forestiera ritorna verso il pendio dove, in mezzo tra la parte alta e quella bassa dell’altura, sono stati piantati molti anni prima, alberi di mele rosse, di ciliegio e d’albicocco: hanno il tronco indebolito e piegato dalla deformità del terreno e dall’insicurezza di radici ormai vecchie e stanche.
Grandiosi nella loro bellezza precaria, ma quasi insignificanti rispetto alla maestosità del pino alto cinque metri che si staglia fiero nella volta celeste, con i suoi lunghi rami e gli aghi folti protesi verso l’esterno, come in un abbraccio altezzoso.
Ad Aurora ricorda vagamente l’abete che aveva sua nonna nel giardino, un albero immenso che le faceva compagnia in ogni stagione, e che rappresentava una sicurezza per lei, sempre presente con la sua veste verde in primavera ed estate e bianca in inverno; l’odore pungente e dolciastro della resina collosa, gli aghi pungenti e sottili a farle il solletico sui palmi delle mani … pensieri così piacevoli eppure allo stesso tempo brucianti di nostalgia, lontani nel tempo ma ancora vivi nella mente.
Rivolge lo sguardo oltre il pino: dietro scorge le montagne, tozze ma eleganti, a proteggere e a specchiarsi in un quel secolare panorama abbandonato dalla presenza umana.
La straniera si sposta verso il lato opposto della casa, quello che non si vede dal viale d’ingresso, dove si snodano tutto intorno alla porta arcuata della vecchia cantina, tralicci intrecciati di gelsomino, il cui profumo va scemandosi dopo il rigoglio che li ha visti protagonisti in primavera.

Finita l’escursione, Aurora ritorna davanti alla porta d’ingresso e, prima di recuperare le borse, prende le chiavi dalla tracolla arancione: sono un po’ arrugginite, così come la serratura, e deve fare una leggera pressione per riuscire ad aprire.
Quando entra in casa, posa i sacchetti con le compere sul tavolo della cucina.
Apre le imposte della stanza e dalle finestre entrano finalmente calore, luce e aria fresca.
Poi si sposta nella camera di fronte, per vedere quello che il pomeriggio precedente non aveva voglia di guardare.
Ieri infatti è arrivata che era quasi il tramonto, era stanca e frastornata dal cambiamento, adesso invece con tutta quella luce non può non accorgersi di quanto l’arredamento sia prezioso e ricco di particolari: si avvicina alla grande credenza di legno che troneggia sulla parete principale della sala da pranzo, le ante smerigliate con i telai pieni di venature, i pomelli dorati opachi, non c’è nulla di là dal vetro colorato, ma a lei piace perché le dà un senso di inaspettata pienezza.
Si dirige verso il salone: è ampio e luminoso, e anche il divano e la poltrona in tessuto a fiori rossi hanno vissuto tanti anni, tuttavia sono ancora belli da vedere e comodi da sedersi.
Sprofonda nella poltrona, mentre le dita cominciano a scorrere timide sui braccioli, la stoffa impercettibilmente lacerata in piccoli strappi: chiude gli occhi e immagina di essere a casa, quella di prima, ora così lontana, volutamente abbandonata.
Si ricorda lei, a notte fonda, quando spesso era solita rientrare a quell’ora, mentre in camera si rilassava sul letto, magari ascoltando della musica o leggendo un romanzo, il sonno che le appesantiva le palpebre.
Questa tranquillità è l’unica cosa che le manca della sua vita precedente, anche se sembra assurdo che in quell’oasi distante da tutto e tutti, possa provare una sensazione di pace al pensiero di quei ricordi.
In fondo qui non sono a casa, ogni cosa che mi circonda non è mia, recito solo la parte dell’ospite, per questo mi sento ancora così estranea...
A passi lenti ma sicuri, la forestiera sale le scale che la portano al piano superiore, dove ci sono le sei camere da letto.
Tra tutte lei ha scelto quella con il baldacchino, un pregevole scrittoio e un comò neoclassico: l’essenziale ma di ottima finitura, inoltre dalla finestra riesce a vedere perfettamente l’intero paese e anche un pezzo di lago.
E’ assorta nei suoi ricordi quando suonano alla porta.
Ridiscende le scale sufficientemente piano per rendersi conto che, fuori dalla casa rossa, non conosce nessuno, quindi perché aprire?
Per un attimo spera con tutta sé stessa che sia Mattia, il suo dolce Mattia che, chissà come, è venuto da lei.
"Mi illudo così facilmente ... sono sempre stata solo una stupida, nient'altro".
Il campanello suona una seconda volta, un trillo acuto che quasi le impone di confrontarsi con la realtà, con chiunque si trovi all’esterno di quelle quattro mura.
Così la forestiera va ad aprire e si ritrova di fronte una piccola comitiva composta da cinque donne di mezza età: la prima che si fa avanti indossa un elegante tailleur amaranto, i capelli castano chiaro a incorniciarle il viso ossuto dagli zigomi alti. Gli occhi nocciola leggermente allungati s’illuminano non appena la forestiera fa la sua comparsa.
“Buongiorno! Spero di non disturbarla. Ha un attimo di tempo?” gli angoli della bocca sottile ma ben disegnata si piegano in un affabile sorriso, le braccia a reggere un grande sacchetto di carta colorata.  
La forestiera cerca di guadagnare tempo dicendo che è appena tornata dal paese, sperando che quella schiettezza le sia d’aiuto ad evitare che quell’inaspettata e spiacevole visita continui.
Ma l’elegante signora in tailleur non ha alcuna intenzione di desistere:
“Non ci tratterremo a lungo … molto piacere, sono il sindaco, ma lei mi chiami pure Anna!
Le altre signore qui presenti, invece, appartengono al Comitato feste del paese: Roberta, Adele, Maria e Lina! Su, ragazze, venite avanti!”
A sentire pronunciare i loro nomi, le quattro donne salutano una dopo l’altra.
Formano una stravagante scala umana, che va dalla più alta alla più bassa: la prima citata non dimostra più di cinquant’anni, ha una figura slanciata che quasi stona con la floridità delle sue forme, particolarmente accentuate da una cintura bianca in pelle, i capelli ricci lunghi fino alle spalle, di un indefinito colore tra il castano scuro e il nero.
La seconda donna, all’incirca della stessa età della prima, è più bassa di tre o quattro centimetri, e porta i capelli, già tendenti al grigio, corti fino alla nuca e degli occhiali dalla montatura viola a nasconderle la miopia: è incredibilmente ossuta, caratteristica accentuata dalla piattezza dell’addome e dalla fragilità dei polsi lasciati nudi da una maglietta a tre quarti rossa.  
La terza e la quarta donna sono invece molto più basse delle altre, e devono avere superato gli ottant’anni da qualche primavera.
Quella che ha risposto al nome di Maria ha però un viso privo di rughe, i capelli ordinatamente pettinati forse esito di una recente permanente, la bocca sottile e pallida, un lieve tremore alle mani su cui risaltano macchie caffelatte, le gambe magre e rachitiche avvolte da collant color carne.
L’ultima donna, Lina, non riesce quasi ad essere contemplata dalla forestiera, perché il sindaco riprende allegramente con il suo discorso di presentazione:
“Ci siamo permesse di darle il nostro benvenuto nella comunità, portandole un piccolo omaggio: una torta fatta dalla signora Lina” e, indicando una donna dai capelli bianchissimi, gli occhi cerulei e il seno generoso quasi ad esplodere in quella figura minuta, stretta in un abito di pizzo blu, continua “e la guida scritta dai nostri bambini per orientarsi nella zona. E’ molto utile se vuole fare delle passeggiate per i sentieri di montagna o anche solo per andare in città: lì può visitare il museo storico e i palazzi aperti al pubblico! Le assicuro che ne vale la pena!”   
Le labbra della forestiera si piegano in un sorriso che vuol far apparire il meno forzato possibile, mentre imbarazzata accetta i regali, ringraziando in modo non troppo convinto.
La donna in tailleur amaranto risponde con un gesto della mano come se volesse spazzar via un insetto fastidioso dal viso, continuando poi ad elogiare l’ottima scelta della forestiera in fatto di vacanze, sebbene sappia già che si fermerà appena un mese:
“Quando abbiamo saputo che la vecchia casa rossa sarebbe stata di nuovo abitata, ci si è aperto il cuore dalla felicità! Ormai è da più di mezzo secolo che non viene nessuno, a parte un paio di villeggianti gli anni precedenti: la contessa e la sua famiglia si sono trasferite in Svizzera e qui sarebbe dovuto sorgere un albergo, ma poi non se n’è fatto più nulla. Sa, mancano le risorse per valorizzarla. Il comune fa quello che può per mantenerla in ordine, ma è una casa talmente grande e bisognosa di tutto, che a volta è difficile farcela … “
Lei cerca di assecondare con piccoli gesti del capo la grande tragedia che le sta raccontando la sindaco: prima annuisce gravemente, poi apre le mani in un gesto sconsolato, ma sono gli occhi – acquosi e assenti- a tradirla, apparentemente ipnotizzati dalla bocca in continuo movimento della donna, in realtà esageratamente sgranati per impedire che le ciglia sbattano e la riportino a quei discorsi di cui sente solo un’eco lontana e indistinta.  
Evidentemente la prima cittadina deve aver concluso l’apologia, perché la forestiera si accorge che la bocca sottile macchiata di rossetto color prugna si è improvvisamente chiusa: temendo di essere scoperta a non aver ascoltato non più di qualche brandello del monologo appena concluso, lei cerca di rimediare nel modo più educato possibile:
“Vi offrirei del tè o del caffè, ma non ce li ho, se volete dell’acqua … a proposito, quella dei rubinetti è potabile?”
Una delle donne del Comitato feste, la più anziana del gruppo, quella che il sindaco ha presentato come signora Lina, ribatte un po’ indignata:
A so mia cuma l’ è abitüa lëi in città, ma ch’n paes, tüt col c’ha ghem le cümmestibil e l’acqua l’è potabilissima!”
Un rossore si diffonde sui visi della forestiera e del sindaco, che si affretta a interrompere la concittadina prima che succeda un patatrac, rassicurandola sul fatto che ci saranno sicuramente altre occasioni per compiere i soliti convenevoli.
Le cinque donne la salutano a turno, profondendosi in sorrisi e strette di mano, la Lina meno calorosamente.
Poi lei chiude la porta e rimane nuovamente da sola, di nuovo assalita dai ricordi e dai rimorsi.


Finito il pranzo, la forestiera scende in paese.
Il sole splende alto nel cielo: non c’è nessuno che animi le strade, proprio come aveva previsto tutto è silenzioso.
Ben presto si ritrova nella piazza principale che accoglie la chiesa: oltrepassa la fontana da cui zampilla acqua fresca, e si dirige verso le quattro panchine in pietra disposte in cerchio.
Dietro le aiuole macchiate dai colori dei tulipani, ritrova il piccolo ponte sotto il quale scorre lento e asciutto il riale, e sul quale è passata ieri pomeriggio dopo essere uscita dalla stazione.
Prosegue la passeggiata verso est, costeggiando alcuni prati dove avvista una trentina tra mucche al pascolo e cavalli intenti a brucare l’erba.
S’inoltra ancora per qualche centinaio di metri lungo quel paesaggio, poi – prendendo un sentiero per le vie interne- si ritrova a fiancheggiare dei casolari dismessi con il tetto di ardesia e i gradoni di pietra sbeccati in più punti, che si specchiano su un tratto di fiume invaso da erbacce.
L’acqua defluisce veloce rispetto alla zona sotto il ponte e, sebbene anche qui sia poca, è inaspettatamente trasparente e ricca di piccoli pesci.
Lei fa il giro del paese in poco più di mezz’ora, nota che tutte le case sembrano intonacate di fresco e hanno un piccolo giardino sul davanti, dove i cani sonnecchiano sul prato, mentre i gatti poltriscono sui davanzali delle finestre aperte.
Da esse escono rumori attutiti e a volte anche il profumo di qualche manicaretto, ma ben presto l’aria porta via con sé tutti quegli aromi.
Decide di ritornare verso il ponte in piazzetta.
Si appoggia sul bordo e guarda l’acqua scorrere giù: ha un effetto ipnotico, il rumore è continuo e rassicurante. Si ferma lì per qualche minuto e pensa a quanto sia stata coraggiosa e un po’ temeraria a lasciare il mondo a lei tanto familiare per rifugiarsi in un posto sconosciuto.
Lei che ha sempre avuto il terrore di allontanarsi da casa anche solo per una settimana di vacanza, lei spesso agorafobica, sicura di sbagliare continuamente, e ora invece … chiude gli occhi per qualche secondo, vorrebbe abbandonarsi ai ricordi, ma non può e soprattutto non vuole, è lì per dimenticare, non per ricordare.
Così si avvicina all’entrata della chiesa, attratta da una grande locandina colorata:
Dal 27 al 30 luglio vi attendiamo per la 93° festa del paese”  mormora a bassa voce  “si cercano gentili volontari per i pranzi e le cene. Quest’anno inoltre, visto il successo della scorsa edizione, è indetto nuovamente il concorso della torta più elaborata e dei balconi meglio fioriti.
L’ultimo giorno, come da tradizione, è prevista la parata dei carri dei vari rioni. Tutto il paese vi aspetta!
Il Comitato per le feste e La Proloco
Aurora sorride tra se e se: riflette che il grande evento si svolgerà tra nemmeno due settimane e a leggere quelle parole entusiasmanti, le sembra che sarà una bella esperienza: nonostante tutte le sue paure e indecisioni, una curiosità impellente le stuzzica la mente e non vede l’ora di assistere a quella manifestazione.
Non ha mai partecipato a una festa di paese, ma le piace l’idea e magari potrà approfittarne per fare qualche fotografia.
Vorrebbe chiedere in giro qualche informazione riguardo del grande evento, ma ovviamente a quell’ora non c’è nessuno in giro, e poi  -come le capita da molto tempo a questa parte- non ha tanta voglia di parlare.
Così decide di ritornare alla casa rossa, a passi lenti e cadenzati, assaporando quell’inaspettata novità e quel tepore così rassicurante dei raggi solari.


LA SERA STESSA

Buonasera, sono l’inquilina della casa rossa”
“Ah, buonasera! Ha bisogno di altra spesa?”
“No, non l’ho chiamata per questo. E’ che ho trovato il suo numero di telefono sullo scontrino di stamattina e volevo sapere se ha dei fiammiferi. E’ saltata la luce e non riesco a trovare lampadine o candele in giro”
“Non riesce a trovarle perché purtroppo non ce ne sono. Comunque non si preoccupi, tra poco chiudo il negozio e, se vuole, le porto una scatola di fiammiferi mentre vado a casa”
“Grazie, mi farebbe un grande favore
Riattaccata la cornetta, comincia a scatenarsi un temporale: Aurora va a chiudere tutte le imposte della casa, anche quelle del piano superiore, nel timore che si allaghi tutto.
Aspetta la proprietaria della bottega seduta sulla poltrona a fiori rossi in soggiorno e, con la luce del telefonino, comincia a leggere uno dei tanti libri che si è portata da casa, una biografia di Mata Hari: l’aveva comprata qualche mese prima insieme ad una rivista dopo aver visto un documentario sulla famosa spia olandese, ma non era mai riuscita a trovare il momento adatto per leggerlo, prima perché il libro era finito ammucchiato sotto dei plichi di documenti per il lavoro, poi –smaltiti quelli- a causa di ciò che le era successo se n’era completamente dimenticata, fino a quando era riaffiorata come dal nulla nei giorni precedenti il trasloco alla casa rossa. 
Nonostante le finestre siano ben chiuse, la ragazza riesce a sentire distintamente il rumore della pioggia battere insistente sui vetri, mentre in lontananza si riesce a distinguere il bagliore di qualche lampo che spezza il silenzio e il buio della sera.
Aurora si allaccia il golfino verde acqua che si è portata dalla camera da letto: quasi fa scivolare dal bracciolo il telefonino e, per un momento, vede solo tenebre, tutto intorno e sopra di lei.
Concluso l’arduo movimento di presa per evitare l’atterraggio del cellulare sul pavimento, riprende a leggere, riuscendo a concentrarsi per non più di due pagine: mi sembra di essere su un’isola deserta, naufragata in una casa immensa senza elettricità, ad aspettare che una sconosciuta venga a salvarmi da questa situazione surreale.

Dieci minuti più tardi suonano alla porta: lei abbandona il libro sul bracciolo, tenendo l’indicazione con il segnalibro raffigurante il ponte di Brooklyn, e va ad aprire.
Si ritrova davanti la bottegaia, i capelli non più ordinati nel suo fermaglio verde, ma leggermente scompigliati dai capricci della pioggia.
“Che tempaccio! Era da quasi un mese che non pioveva, ma così è davvero troppo!”
La donna lascia fuori l’ombrello, appoggiandolo nell’angolo tra il muro e lo zerbino, si slaccia l’impermeabile pervinca scuro e senza avere alcuna intenzione di toglierselo, aggiunge che si fermerà solo un attimo.
Da una borsa a tracolla marrone, lisa dal tempo e un po’ sfilacciata ai bordi, la bottegaia tira fuori una pila:
“Allora, le ho portato questa: credo sia migliore dei fiammiferi, fa più luce ed è più comoda da maneggiare! Tenga … Comunque stia tranquilla per il tempo, è solo una cosa momentanea: il brutto viene dalla città, sarebbe stato più preoccupante se fosse sceso giù dalle montagne. Domani o al più tardi dopodomani tornerà il sole!”
Lei si rigira la piccola torcia nera tra le mani, giocherellando con il cordino in stoffa tra pollice e indice, ringraziando la bottegaia per la prontezza con cui gliel’ha portata. Poi, per fare un po’ di conversazione, le confessa che quel pomeriggio è scesa in paese:
“Bene! E le è piaciuto?”
“Sì, ho trovato tutto molto tranquillo. A dir la verità non sono abituata a una vita così rilassante, forse fin troppo … ”
“Oh non dica così! Si abituerà presto e sono sicura che le verrà voglia di rimanere! A proposito, ha già cenato?”
“N-no, non ancora”
“Allora se vuole, può venire da me, motivo in più che non ha la luce in cucina. Domani pomeriggio dopo le cinque, le manderò mio cognato per mettere a posto l’impianto: è un po’ vecchiotto, ma con qualche rimaneggio funzionerà di nuovo, stia tranquilla!”
“Non vorrei disturbare, in qualche modo mi aggiusterò. Potrei far venire un elettricista dalla città … “
“Ma quale disturbo? Lui ha le mani d’oro per le riparazioni! E sono sicura che gli farà piacere venire qui. Una decina di anni fa voleva acquistare la villa, ma alla fine ha cambiato idea. Troppe spese”
“Immagino … allora va bene, lo aspetto domani”
“E per questa sera?”
“Non saprei, mi devo ancora abituare a tutto questo cambiamento. E poi vorrei rimanere un po’ da sola per finire di sistemarmi: alla fine tra una cosa e l’altra ho lasciato le valigie quasi intatte”
“Non si preoccupi, avrà un sacco di tempo per stare da sola. Le prometto che non le farò fare tardi. Casa mia è vicina e se dovesse piovere molto l’accompagnerò”
Un brivido d’indecisione le percorre la schiena, poi, come spinta da una forza interiore, risponde con una voce che non le sembra neppure sua:
“D’accordo, mi ha convinto. Ah, quanto le devo per la torcia?”
“Diciamo che è un regalo di benvenuto!”

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Capitolo 3
*** I sette dormienti ***


Durante il tragitto, parlano del più e del meno, cercando di contrastare il rumore insistente e ritmico della pioggia che pulsa contro gli ombrelli: Aurora finalmente si presenta, ma subito dopo cerca in ogni modo di spostare la conversazione sulla donna, in modo da dover rispondere a meno domande possibili.
Non è ancora pronta per affrontare discorsi che l’avrebbero di nuovo catapultata in quell’inferno da cui era risalita lentamente e con estrema fatica.
-Forse non avremmo dovuto azzardarci ad uscire con tutta quest’acqua: mi dispiace molto che si sia disturbata a venire fino alla villa! Avrebbe potuto andare subito a casa e io mi sarei aggiustata per la luce!- prosegue la ragazza, stringendosi il colletto quasi inesistente dello spolverino sul collo, in modo da proteggersi dal freddo.
-Non lo dica nemmeno per scherzo! Anzi, non vorrei prendesse un malanno per colpa mia … i temporali estivi, quando ci si mettono, possono essere peggio di una bufera di neve! Ma non si preoccupi, tra un minuto saremo arrivate! E poi, domani pomeriggio, dovrà essere in forma per dirigere i lavori di manutenzione di mio cognato!-
Aurora dirige uno sguardo grato alla donna che cammina quasi stretta vicino a lei, come per proteggerla dalle brevi raffiche di vento.
La casa della signora Liliana, questo è il nome della bottegaia, dista un quarto d’ora a piedi dal viale che si abbozza sinuoso oltre il grande cancello d’entrata della villa.
E’ una piccola costruzione di montagna, con i muri di pietra dipinti di rosa salmone e due balconcini che si affacciano sulla via principale del paese, in tono con le persiane di un noce sbiadito.
Dopo aver aperto la porta, la donna depone l’impermeabile sull’appendiabiti, si toglie le scarpe e s’infila delle vecchie pantofole blu.
Una volta entrate, Aurora riconosce il gatto arancione che ha visto nel pomeriggio appollaiato sul davanzale. Ora sta giocando con una pallina di gomma sotto il tavolo della cucina ma, appena riconosce la voce della padrona, abbandona senza esitazione il suo passatempo: sollevando leggermente la coda, si dirige verso le due donne, strusciandosi contro le loro gambe.
-Mio marito non c’è- le spiega Liliana, intenta ad accarezzare il felino -è un rappresentante di occhiali ed è partito due giorni fa per un congresso. Rientrerà domani sera! Siamo solo noi due e mia figlia. Si accomodi sul divano, io vado a chiamare Linda-
Aurora annuisce imbarazzata: non avrei dovuto venire, non sono pronta per affrontare degli sconosciuti, non sono abbastanza forte da sopportare tutto questo.
Si guarda attorno con discrezione, mentre si toglie lo spolverino e lo appende di fianco a quello della donna.
Per un secondo ha l’impulso irrefrenabile di rivestirsi e uscire, di ritornare alla casa rossa e di rinchiudersi lì dentro, per delle ore o per dei giorni non le sarebbe importato nulla, perlomeno fino a quando avrebbe capito che cosa fare.
Non posso andarmene: Liliana è stata così gentile a portarmi la torcia e ad invitarmi a cena. Devo solo resistere fino alla cena
Facendo qualche passo in avanti, Aurora si ritrova nel soggiorno e lì rimane piacevolmente stupita da quello che vede: ogni cosa è curata per dare un armonioso risultato d’insieme; al centro della stanza, infatti, troneggia un tavolo ovale di ciliegio chiaro con le sedie coordinate rivestite di stoffa color panna e in mezzo una fruttiera di maiolica.
Sulla parete di destra, una graziosa specchiera sovrasta un antico comò con le maniglie leggermente rovinate dall’usura, forse cimelio di famiglia.
Di fronte ad essa, una cristalleria intarsiata con fregi e greche espone una serie di porcellane in stile Sèvres.
Mentre Aurora osserva tutto questo, la signora Liliana è tornata, accompagnata da una bambina di undici anni, alta, le spalle armoniose e la figura sinuosa per la sua età, con una lunga treccia color biondo cenere e gli occhi nocciola, grandi e rotondi rispetto al naso dalla punta un po’ storta, la bocca carnosa perfettamente proporzionata con il resto del viso allungato.
-Questa è mia figlia Linda, mentre lei è la nuova inquilina della casa rossa, la signorina Aurora!-
La forestiera si alza dal divano e stringe la mano che la piccola le porge: ha la pelle molto sottile, tanto da riuscire a vedere in rilievo le vene, le dita lunghe e affusolate con le unghie tagliate cortissime.
-Ciao! Come ti trovi alla villa? Dicono che c’è un fantasma che si aggira per il giardino, è vero? -
-Linda smettila, sono solo vecchie leggende senza alcun fondamento!-
-Ma non è vero, mamma, e tu lo sai! –
-Ti ho detto di smetterla! Adesso riscaldo la cena e andiamo a mangiare!-


La cena si rivela inaspettatamente piacevole: Liliana è una cuoca veramente dotata, ha preparato dei tortelli alla zucca e funghi porcini a dir poco squisiti, è riuscita a farle mangiare persino una fetta di crostata ai frutti di bosco, lei che i dolci li ama solo se sono al cioccolato, e adesso si sente letteralmente scoppiare stomaco e pancia, tanto che – di nascosto- deve sbottonarsi i jeans.
Dopo aver finito di sparecchiare, Liliana incastra i piatti e le posate nella lavastoviglie, mentre Aurora si ritrova inaspettatamente ad aiutare madre e figlia, felice di poter dare una mano.
Il gatto arancione è di nuovo appollaiato sul davanzale della finestra, proprio come l’aveva visto la forestiera quel pomeriggio, solo che questa volta è dalla parte interna. Sta sonnecchiando, i baffi vibrano per qualche secondo, la coda si muove leggermente non appena sente le voci delle sue padrone.
Una volta in soggiorno, le due donne e la ragazzina prendono posto sulle sedie rivestite color panna, scostandole leggermente dal tavolo di legno.
-Allora, Aurora, fino adesso abbiamo parlato di varie cose, ma ancora non ci ha detto come mai ha scelto il nostro paese per venire in vacanza!-
-E’ vero, non ci hai ancora detto nulla- incalza Linda, curiosa di sapere qualcosa di più su quella giovane forestiera.
Lo sapevo che prima o poi mi avrebbero fatto delle domande, sono stata io a non prepararmi le risposte.
-Beh, non c’è molto da spiegare. Come ha detto lei, sono qui per trascorrere qualche settimana in tranquillità, da sola. Di solito mi piace andare al mare, l’acqua è il mio elemento, ma … - sorride sforzandosi di sembrare il più rilassata possibile- quest’anno ho voluto cambiare. Tutto qua-
-Anche a me piace nuotare!- s’intromette solennemente la bambina, sorridendo entusiasta.
-Io l’ho sempre adorato: ho praticato nuoto per dieci anni poi, a causa degli impegni scolastici, ho dovuto abbandonare, però, appena posso, vado in piscina per rilassarmi … -
-Quindi ha scelto il nostro paese perché si vede il lago, che è pur sempre acqua?- domanda Liliana, forzandosi di essere il più cordiale possibile.
-Oh no, non volevo dire questo. Sono andata in un’agenzia di viaggi e lì mi hanno consigliato di venire qui, che se volevo un posto tranquillo per passare un po’ di tempo, questo era al caso mio. Non troppo lontano né troppo vicino da dove abito, a ***-
La bottegaia annuisce, soddisfatta dalla spiegazione, con una mano liscia il pizzo del centrotavola su cui poggia la fruttiera.
-Il sindaco ha fatto un’ottima scelta a mettere in affitto la casa rossa. Da quando è stata eletta tre anni fa, si è subito battuta affinché la villa ritornasse, almeno in parte, agli antichi splendori. Sa, prima -intendo dire quando ero una bambina e la famiglia della contessa si era trasferita in Svizzera già da qualche tempo-  il sindaco di allora voleva trasformarla in un albergo-
-Sì, lo so, me lo ha detto quando è venuta a trovarmi insieme al Comitato feste per darmi il benvenuto-
-Ah, è tipico del Comitato! Ficchiamo il naso un po’ dappertutto, anche se io sono un membro acquisito da poco! Grazie alle nostre raccolte fondi periodiche e alla generosità di qualche ditta di manutenzione che ci fa prezzi più che ragionevoli, riusciamo, quanto basta, a mantenere la villa, anche se è comunque difficile. Ho perso il filo del discorso, cosa stavamo dicendo … ?-
-Ehm … parlavamo dell’albergo che avrebbero dovuto costruire al posto della villa-
-Giusto. Da quanto si dice in paese, è stata la stessa contessa ad insistere che la casa rossa venisse trasformata in un ricovero per i poveri, se lei stessa non fosse riuscita a trovare i soldi  per riacquistarla-
-Perché?- s’informa Aurora, incuriosita da quella storia misteriosa e antica – la casa rossa non apparteneva alla sua famiglia?-
-Certo, però, nell’ultimo periodo, erano caduti in disgrazia, non una rovina assoluta, questo è vero, ma non sufficiente a permetterle di condurre un’esistenza come avevano fatto fino a quel momento e, soprattutto, a mantenere quell’immensa dimora! Così, alla fine, ha dovuto rinunciare a tutti i suoi progetti di beneficienza-
-Da quanto ho capito, il sindaco non  riesce ad affittare la villa per l’intero anno, vero?-
-Oh no, tu sei solo la terza persona che viene ad abitare alla casa rossa- s’intromette Linda, spostandosi in avanti con la sedia, il più possibile vicino ad Aurora – due anni fa erano venuti dei francesi: io ho fatto amicizia con le loro tre figlie, anche se non è che ci capissimo molto. Si sono fermati un mese. Poi, l’anno successivo, è stata affittata per un matrimonio e, visto che gli invitati venivano dalla città –non la nostra, eh, ma una più lontana- sono rimasti a dormire una notte. Adesso, però, sei arrivata tu, che sei ancora qui!-
-Grazie per il resoconto fedele e preciso, Linda- l’apostrofa la madre, pizzicandole con delicatezza una guancia.
-E’ un posto molto bello, è un peccato che non si riesca a valorizzarlo abbastanza- continua la forestiera, sincera.
-Purtroppo è così: speriamo solo che le cose migliorino, altrimenti rischiamo, nonostante tutti i nostri sforzi, di non riuscire a salvarla. Anzi, sa cosa le dico? Contiamo sul fatto che ci farà una buona pubblicità, quando tornerà a casa!-
Aurora sorride con una punta di imbarazzo e di divertimento nella voce, quando la rassicura che, se le cose proseguiranno in quel modo, non avrà alcun problema ad assecondare la sua richiesta.
La bottegaia annuendo si alza e, dando uno sguardo alla finestra aperta, propone di andare fuori in veranda, attratta dalla piacevole brezza serale che comincia a far oscillare le foglie di acacia, clima ideale per chiacchierare sdraiati sul dondolo o accomodandosi sulle sedie.
Linda, invece –alle parole della madre- esce dal soggiorno, apre l’anta di un basso mobile bianco laccato sulla parete di fianco all’entrata, e tira fuori una grande confezione di cartone, che esibisce soddisfatta alla forestiera:
-Posso chiederti di aiutarmi a completare il mio puzzle? Me l’hanno regalato la mamma e il papà quando sono andati in Baviera, due anni fa. Ha mille pezzi, ma da sola non riuscirò mai a finirlo … –
Aurora annuisce, lusingata dalla fiducia che sta riponendo la ragazzina nelle sue doti creative.
L’atmosfera è così famigliare e calorosa da renderla a suo agio, tanto che quasi non vorrebbe più rientrare alla casa rossa, così lontana da tutto e tutti, così isolata.
Subito si riscuote da quel pensiero sciocco e inappropriato: ha abbandonato la sua vecchia vita per trovare quella tranquillità e quella serenità che da tempo non le appartengono più, non certo per divertirsi con degli sconosciuti.
Nonostante la solitudine sia diventato il suo obiettivo, non può far altro che rimanere stordita da quella sensazione che non provava da molti anni, da quando trascorreva le vacanze insieme ai cugini e ai nonni, e si divertiva come non mai, nemmeno quando era con le sue amiche.
E ogni volta che doveva tornare a casa, in città, era quasi una tragedia, proprio come s’immagina sarebbe stato quella sera rientrare alla villa, con quel tempo così poco invitante e quei ricordi così lontani e malinconici a farle da ombra.
Prova a distogliere i pensieri riflettendo ad alta voce su quello che ha visto in piazza poche ore prima, così, quasi con noncuranza, domanda alla bottegaia:
-Questo pomeriggio, sono passata davanti alla chiesa e ho visto affissa la locandina della festa del paese. Di cosa si tratta esattamente?-
Aurora sta cercando di incastrare il pezzo di puzzle che ha in mano da qualche minuto, persa com’è da quelle immaginazioni adesso così inconsistenti. Tra quelle centinaia di tessere, però, l’impresa risulta piuttosto ardua.
-Esattamente non si può descrivere in una sola parola- risponde sorridendo la bottegaia, che sta aiutando la figlia nella composizione del grande quadro di cartone.
-La festa del paese è qualcosa che si riesce a capire solo quando ci si partecipa: è una tradizione di cui siamo molto orgogliosi e che richiama spettatori da tutta la valle, anzi molto spesso anche da oltre il confine.
Da cerimonia religiosa è diventata con il passare degli anni una festività popolare, nel senso che è il popolo che l’ha modellata, l’ha cambiata e ha reso possibile la sua esistenza a distanza di tutti questi anni.
Per quattro giorni è come se fossimo un’unica grande famiglia, riviviamo il significato più profondo della parola convivialità, ci sentiamo uniti e parte di una stessa comunità come mai durante il resto dell’anno.
Non si può spiegare fino in fondo, bisogna semplicemente viverla-
-Ecco, ho trovato dove metterlo!- esclama Linda, brandendo trionfante il suo pezzo di puzzle.
-In città non c’è nulla di simile- continua Aurora – ognuno vive la propria vita in solitaria, si è tutti un po’ menefreghisti e  diffidenti! Credo sarebbe impensabile organizzare una cosa del genere … -
-Non è impossibile, basta volerlo, mettersi d’accordo, anche se un conto è farlo tra mille persone come siamo noi, e un altro è cercare di riuscirci tra migliaia di individui!-
-E’ vero mamma che è stata la famiglia della contessa ad aver avuto l’idea della processione?- chiede la ragazzina, ora più tranquilla da quando ha finalmente trovato il pezzo mancante che tanto l’angosciava.
-Sì, è così. Le voci di paese di allora dicono che abbia fatto una sorta di fioretto: in cambio delle piogge che avrebbero salvato le sue terre e il raccolto dei contadini, la contessa avrebbe smesso di finanziare - diciamo così- le imprese di gioco del marito, anche a rischio del loro fallimento.
Era appena finita una guerra terribile, la Grande guerra, che aveva duramente messo alla prova il nostro paese e di conseguenza la sua famiglia: suo figlio era stato arruolato come tenente ed era ritornato capitano, ma molti, allora, dicevano che era quasi impazzito per tutto quello che aveva visto al fronte, nelle trincee. Comunque sia, sembra che qualcuno lassù l’abbia ascoltata, perché, dopo pochi giorni dalla processione che ha visto coinvolto tutti gli abitanti, ha cominciato a piovere così tanto che si è inondata la base del campanile nella piazza! Pensi che è ancora visibile la linea di vernice che tracciò il parroco di allora, a ricordo di quel miracoloso evento!-
-Sembra che gli abitanti della casa rossa centrino sempre con tutto quello che riguarda il paese: da quando sono arrivata non ho sentito che parlare di loro, prima dal sindaco e poi da voi!- continua Aurora, sfregandosi le mani con imbarazzo.
-Era la famiglia più in vista dell’intera zona e, tutto ciò che di moderno abbiamo, lo dobbiamo a loro: la strada che ci collega alla città, il ponte, la chiesa nuova, il pozzo all’entrata del paese, quasi tutto!
A proposito, la sa la leggenda dei sette dormienti?-
-N-no, non ne ho mai sentito parlare-
-E’ un detto contadino, che però ha ancora un certo successo tra la gente anziana: i sette dormienti erano dei giovani della città greca di Efeso -poi nominati santi- che, per sfuggire alle persecuzioni cristiane dell’epoca, si rinchiusero in una caverna, fino a quando non vennero scoperti e murati vivi al suo interno, per volere dello stesso imperatore. Ma, inaspettatamente, non morirono: infatti, rimasero addormentati per duecento anni, fino a quando furono risvegliati da un pastore, che riuscì a spostare la pietra posta davanti alla loro caverna, credendo di trovarla vuota e di usarla per farci un ricovero per le sue pecore.
Se non che, ebbe una bella sorpresa: dentro, infatti, ci trovò i sette giovani i quali, credendo di essersi addormentati poche ore prima, temettero di essere ancora in pericolo a causa della loro religione.
Invece, si resero conto di vivere in una nuova epoca in cui, quelli come loro, non erano più perseguitati: da allora, sempre secondo la leggenda, cominciarono ad andare in giro per il mondo a diffondere il messaggio cristiano … -
Si interrompe per un attimo poi, sorridendo, riprende:
-Ovviamente mi sono informata su tutta la storia, non è che la sapessi così bene! Comunque, secondo la sapienza popolare, sembra che il tempo che faccia il 27 luglio, giorno in cui i sette dormienti sono celebrati dal Cristianesimo e giorno in cui annualmente ha inizio la nostra festa, possa influire sul resto dell’estate, per così dire raddrizzandola: i sèt ‘ndộrmentà radrissộ ‘temp ‘d l’istà. Quindi, fino ad allora, può anche fare brutto, che tanto i santi dormono ancora!-
Tutte e tre si mettono a ridere, svegliando il gatto arancione dal suo sonnellino.
Aurora dà un’occhiata all’orologio da polso, ricordandosi che, prima o poi, deve tornare alla casa rossa:
-Mi sono divertita molto, grazie ancora per la bella serata, ma è meglio che vada-
-Vuoi già andare?- domanda Linda, il puzzle abbandonato a metà sul tavolo.
-Sì, sono un po’ stanca. E poi, è meglio che ne approfitto adesso che ha smesso di piovere … -
Le due donne si alzano, seguite di malavoglia dalla ragazzina.
-E’ stato un piacere averla qui con noi. Spero che tornerà presto a farci visita!- la saluta Liliana, stringendole la mano.
-Verrò sicuramente. Anzi vorrei ricambiare una di queste sere la vostra gentilezza-
-Quando vuole noi siamo qui. E ci pensi per l’organizzazione della festa: per lei sarebbe una bella esperienza-
Aurora promette che sì ci penserà, poi si rivolge a Linda per invitarla un pomeriggio a fare merenda alla casa rossa, proposta che la ragazzina accetta con entusiasmo.
Si avvicinano alla porta, soddisfatte per la serata appena trascorsa: la forestiera indossa lo spolverino e recupera l’ombrello dall’apposito cilindro con le grate.
 -Allora, domani pomeriggio alle cinque, le mando mio cognato. E’ sicura che non vuole che la riaccompagni?-
 -No, non si preoccupi-
 -Va bene, buonanotte-
 -Buonanotte a voi-



Quando torna a casa, la stanchezza prende il sopravvento: si toglie lo spolverino e le scarpe, li abbandona per terra, appoggia l’ombrello ormai asciutto in un angolo vicino alla porta e sale le scale.
Non accende nemmeno le luci, perché dalla finestra del soggiorno filtra un po’ di chiarore lunare, piuttosto scarso ma sufficiente a non farla inciampare sui gradini fino alla sua camera.
Entra nella stanza come se avesse raggiunto il traguardo di una corsa infinita, la mente annebbiata da un torpore improvviso, gli occhi stanchi di vedere: si siede sul baldacchino e comincia a ripensare alla serata appena trascorsa.
Quasi non crede a quello che le è successo, è fuggita da tutto per trovare la pace, per ritrovare se stessa, a malapena sopporta i bambini e, solo adesso, si rende conto di aver invitato in quella che è la sua casa da poco più di ventiquattro’ore, la figlia di una persona in pratica sconosciuta.
Se questo le fosse capitato anche solo un mese prima, probabilmente non ci avrebbe creduto, anzi avrebbe pensato ad uno di quei sogni che si fanno verso il mattino, nel dormiveglia, quando la coscienza non è ancora del tutto vigile e attenta, e può lanciarci dei brutti tiri.
Tuttavia, non riesce ad essere completamente insoddisfatta e nemmeno si biasima per l’inaspettato comportamento che ha tenuto quella sera: che cosa ho da rimproverarmi? Ho solo cercato di divertirmi, ma è così difficile …
Scrollando il capo, si alza  dal letto e va alla finestra, scostando le tendine bianche per guardare fuori.
La pioggia ha ripreso a scendere, ma adesso cade leggera, quasi timida, tintinnando contro i vetri.
Il lago è una massa oscura in lontananza, le luci fioche dei lampioni e quella della luna lo illuminano debolmente, increspandone la superficie.
L’orologio del campanile batte le dieci e mezzo, gli ultimi rintocchi prima della notte.
Quella scena così inusuale per una persona come lei, abituata a non avere orari, al ritmo incalzante della vita cittadina, le appare ancora una volta una strana illusione.
Aurora chiude le imposte, allo stesso modo di come vorrebbe lasciare fuori tutto ciò che fa parte del suo passato: sta cercando da settimane di dimenticare la sua vita precedente, ma i loro visi continuano ad alternarsi nei suoi pensieri.
Il ricordo di Mattia è ancora bruciante sulla sua pelle e nella sua mente, l’unico piacevole in quella marea che le si è riversata addosso nell’ultimo periodo.
Non può abbandonarsi ai sensi e alle emozioni proprio adesso, è passato solo poco tempo da quando è arrivata, la sua armatura è ancora debole, anzi, per l’eccessiva confidenza che ha dato quella sera, sembra che ancora si debba formare.
Guarda le due grosse valigie abbandonate sul pavimento, di fianco al grande tappeto persiano che ricopre il parquet scricchiolante: finirò di sistemarle domattina, si convince, ora ho troppo sonno e troppa confusione in testa.
Tira indietro le lenzuola, si spoglia e s’infila il pigiama.
Al sicuro nel letto, abbraccia il cuscino come fosse l’unico appiglio, una zattera di acciaio che la possa trascinare al sicuro, e si addormenta così, proprio come quando era bambina.

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Capitolo 4
*** Il carillion ***


 IL CARILLION




Tre giorni più tardi, Aurora sta preparando il budino al cioccolato, perché quel pomeriggio verrà a trovarla Linda, la figlia della bottegaia.
Ha smesso di piovere da due giorni, e adesso il cielo è di nuovo sgombro di nuvole, con il sole come assoluto protagonista in quell’ orizzonte così nitido e diverso da quello a cui è abituata.
Il dolce è ormai pronto: rovescia quella calda crema liquida in uno stampo di silicone che ha comprato alla bottega il giorno prima, e lo ripone in frigorifero.
Non ha molto da fare, è ancora presto per cucinare il pranzo, così decide di fare un po’ di pulizie al piano superiore, che non ha ancora avuto modo di esplorare accuratamente.
La prima stanza che s'incontra salendo le scale, oltre ad essere quella a fianco della sua camera da letto, era un tempo la biblioteca della villa: è immensa, e ha la forma di un trapezio allungato. Sui suoi scaffali impolverati dovevano essere allineati centinaia di volumi ora, invece, è rimasto solo qualche libro impolverato: tragedie di Shakespeare, alcune commedie greche di Aristofane e la Mandragola dell’Alfieri.
E’ la stanza più luminosa della casa, grazie alle quattro finestre su ognuna delle pareti, da cui entra una luce abbondante e calda.
Al centro della biblioteca, spicca un antico tappeto turco blu cobalto, sbiadito in più punti e con le frange piuttosto rovinate dall’usura e dal tempo trascorso.
Aurora si avvicina per osservarne le decorazioni, quando inciampa su un asse del pavimento non perfettamente allineata con le altre: si abbassa e tasta quella barra di legno.
Sotto la leggera pressione delle sue dita, il pezzo di faggio si solleva con estrema facilità, scoprendo quello che, a prima vista, sembra una piccola rientranza nel rivestimento sottostante i suoi piedi.
Non è molto profonda, entrambe le sue mani, infatti, vi entrano senza alcuna difficoltà, tanto che, ben presto, Aurora si ritrova a reggere un cofanetto, una sorta di carillon di zaffiro e oro intarsiato.
Lo apre incuriosita, ma anche titubante di trovare dentro chissà cosa: ci sono due foto in bianco e nero dal bordo sgualcito e ingiallito, accompagnate da una lettera, il cui inchiostro sbiadito ha quasi cancellato tutte le parole che qualcuno ha scritto tempo addietro.
Raccogliendo quell'inaspettato tesoro, la forestiera si alza per andare a sedersi sul divanetto di un verde slavato, posizionato di fronte alla libreria.
Le immagini appena ritrovate ritraggono delle persone, probabilmente una coppia di genitori con i loro tre figli, un maschio e due ragazze, vestiti secondo la moda degli inizi degli anni Venti.
Anche la missiva risale probabilmente allo stesso periodo, perché si riesce ancora a intravedere la data 192?, l’ultima cifra eliminata dal tempo trascorso.  
L’intestatario è un certo Umberto e la firma di tutte le lettere è di una donna di nome Teresa.
Non si riesce quasi a comprendere cosa c’è scritto, solo qualche parola è decifrabile: Uruguay, matrimonio, povertà, oltre ad alcune frasi di circostanza.
Si rigira tra le mani quel tesoro misterioso: non sa cosa farne, non ha l’indole da investigatrice, tuttavia considera quello che ha appena trovato una sorte di eredità della casa rossa e, in quanto tale, sente che bisogna averne cura.
Raccoglie il carillon da terra e, dimenticandosi di fare pulizia, scende in cucina.



-Ciao! Scusa il ritardo, ma sono venuta in bicicletta e ho dovuto gonfiare le ruote-
-Non preoccuparti. Entra, ti ho preparato il budino al cioccolato … spero ti piaccia-
-Tutti i dolci mi piacciono, sta’ tranquilla!-
-Bene. Vieni, da questa parte ... -
La bambina, un paio di pantaloncini blu e una maglietta bianca, entra e va a sedersi al tavolo della cucina, guardandosi attorno, incuriosita.
Aurora tira fuori il budino nelle ciotole dai bordi scheggiati, mentre dalla finestra entra distintamente il frinire dei grilli e il cinguettio di qualche capinera.
Non sa come comportarsi, perché vorrebbe raccontarle della scoperta che ha fatto quella mattina, ma non sa se è giusto, ha paura di tradire il segreto di qualcuno che oltretutto non conosce neppure, sempre che di segreto si tratti.
Così esordisce in tono vago, dopo aver ingoiato il primo boccone del dolce:
-E’ una bellissima giornata, vero?-
-Sì, molto! Però non fa tanto caldo, per fortuna! E’ proprio buono questo budino, sai? … -
-Grazie. E’ vero, alla sera poi c’è sempre un po’ di vento. A me non piace il caldo, però adoro l’estate- continua Aurora, proseguendo a mangiare con noncuranza.
-Non è un controsenso?- la interroga Linda, un baffo di cioccolato sopra le labbra sottili.
-Beh, sì, forse ... Allora, diciamo che adoro la primavera, quando ancora
non fa così caldo!-
Sei proprio una stupida, si rimprovera la forestiera, come fai ad avere soggezione di una ragazzina?!
-C’è qualcuno in paese che si chiama Teresa?- domanda con tono incolore l'inquilina della casa rossa, guardando distrattamente fuori dalla finestra, alle spalle della bambina.
-Teresa? Sì, ci sono almeno dieci comari con questo nome! Hanno superato da un pezzo gli ottanta, qualcuna anche i novanta. Perché me lo chiedi?-
-Stamattina, mentre ero in biblioteca, ho trovato un cofanetto con delle fotografie e delle lettere, firmate da una certa Teresa ... - continua Aurora, sentendosi più a suo agio.
-Io adoro i misteri e, se quello che mi stai raccontando è vero, allora vuol dire che c’è un tesoro nascosto! Lo sapevo che la storia del fantasma non era una leggenda!-
-Non saprei se definirlo proprio un tesoro- cerca di farla ragionare la forestiera -sono sicura, però, che quel carillon sia rimasto nascosto per molti anni, anzi, se non fossi inciampata nel tappeto, probabilmente lo sarebbe stato ancora per molto tempo-
-Sei davvero fortunata, Aurora, a me non capitano mai delle avventure del genere ... - ribatte Linda, facendo spallucce.
-Perché dici che c’è un fantasma alla casa rossa? Ti riferisci alla storia che mi hai accennato l’altra sera, a cena?-
La bambina si pulisce solennemente la bocca dai rimasugli di cioccolato, incrocia le mani e, appoggiandole al bordo del tavolo, comincia:
-Dunque, è la mia bisnonna che me l’ha raccontata per la prima volta. Quando era giovane, lavorava come cameriera proprio qui, alla casa rossa, dov'era diventata amica della figlia più piccola della contessa, che aveva un anno meno di lei. Il padre della sua amica era un nobile, ma aveva il vizio di giocare a non so più quale cosa, e così perdeva moltissimi soldi. In realtà era la contessa - che poi non era nata contessa ma solo molto ricca- ad avere il denaro e, grazie a lei, riuscirono ancora per molto tempo a fare la bella vita, nonostante il brutto difetto del marito. Un giorno, però, il conte la combinò davvero grossa e così dovettero mandare il loro primogenito da alcuni parenti in Svizzera, a Locarno, in modo che potesse continuare la carriera militare, mentre costrinsero le altre due figlie femmine, tra cui l’amica della mia bisnonna, a sposarsi in fretta e furia, pur di salvare i beni della famiglia.
La secondogenita che era un po’ bruttina –così mi ha raccontato la nonna- si sposò con un vecchio ma ricco mercante francese, mentre la figlia più piccola fu … come si dice … -
-Maritata?-
-Sì, credo di sì … maritata con un uomo giovane e ricchissimo, che aveva delle case e dei terreni anche in America. Solo che questo tizio non era molto fedele alla moglie che, infatti, veniva continuamente tradita. In paese, diceva la mia bisnonna, tutti lo sapevano, e lei –la sua amica- se ne vergognava tantissimo, tanto che quando lui, il marito intendo, decise di trasferirsi dall’altra parte del mondo, lei non ha voluto seguirlo, perché lì non conosceva nessuno, mentre qui aveva la sua famiglia e anche mia nonna.
Così, la sera prima della partenza, la poveretta si uccise: si sparò con la pistola del marito in giardino, proprio sotto a un ciliegio, che però hanno abbattuto dopo la sua morte, anche perché dicevano che non dava più frutti a causa delle radici che si erano … come posso dire ... bagnate? -
-Impregnate?-
-Sì, impregnate del suo sangue. E da quella notte si dice che il suo spirito continui ad aggirarsi per la casa rossa, in cerca di vendetta-
-Tu sai il nome della ragazza?-
-Certo, si chiamava Teresa! -
-E sai anche chi era Umberto?-
-Se non ricordo male era il fratello, quello che hanno mandato in Svizzera a fare il militare-
-E magari il posto in America dove sarebbe dovuta andare l’amica della tua bisnonna era l’Uruguay?-
-Questo mi dispiace ma non lo so proprio. A scuola ho studiato solo le città d’Italia e qual cosina dell’Europa, però questo Uruguay non so nemmeno cosa sia- facendo un breve respiro per riprendere fiato, Linda continua domandando:
-Secondo te, come c’è finito il carillon sotto il pavimento?-
Aurora scuote impensierita la testa, giocando con il cucchiaino sporco di cioccolato.
-Probabilmente lo ha nascosto Teresa, prima di uccidersi: non ha fatto in tempo a spedire la lettera al fratello, ma non se n’è nemmeno disfatta, così come ha fatto con le foto. E’ una storia molto triste quella che mi hai raccontato ... -
-Lo so, però almeno così la mamma smetterà di dire che sono tutte sciocchezze. Senti, posso prendere un altro po’ di budino?-
-Certo, prendilo pure. Io vado a prendere una cosa … -
E si avvia su per le scale, verso la sua camera, dove ha riposto il carillon di zaffiro e oro intarsiato.
 


VENERDI’ 21 LUGLIO


Sono le sei e mezza di mattina: Aurora ha gli occhi aperti già da qualche minuto, le palpebre per nulla pesanti come invece dovrebbero essere quando ci si è appena svegliati.
Si sofferma a guardare il soffitto, anonimo e con l’enorme lampadario a gocce di cristallo di cui, a causa del buio, non può vedere la lucentezza e l’incredibile biancore.
Se fosse ancora in città, probabilmente starebbe ancora dormendo, la tapparella completamente abbassata, le tende verdi tirate e il condizionatore in funzione.
Aspetterebbe con rassegnazione il suono della sveglia, il trillo ammonitore che la riporta alla realtà.
Poi accenderebbe la radio, già sintonizzata sulla sua stazione preferita, scegliendo i vestiti da indossare quella mattina, perché sicuramente non li ha già preparati, come invece si esorta a fare da sette anni, da quando cioè ha cominciato a lavorare.
E poi, cosa farei? Dopo scenderebbe in cucina, aprirebbe il frigorifero e prenderebbe la bottiglia di latte parzialmente scremato. Se lo verserebbe nel bollitore e ci aggiungerebbe un po’ di caffè per poterci fare il cappuccino.
Sceglierebbe i biscotti o la torta che le ha portato la sorella quando viene a cena da lei e, infine, andrebbe alla ricerca dei progetti che si è portata dall’ufficio il giorno avanti: metterebbe tutto nella ventiquattrore nera e finalmente andrebbe a fare colazione.
Stupida, si dice, cosa ti viene in mente? E’ tutto passato, è tutto finito, quella vita non esiste più.
Appoggia il dorso della mano sinistra sugli occhi, di solito quella posizione le concilia il sonno: ma ben presto si stanca, e capisce che il tempo di dormire per quella mattina ormai è concluso, così decide di uscire a fare una passeggiata.
Mentre è ancora sdraiata nel letto, avverte il campanile suonare le ore, conta sette rintocchi, un suono troppo martellante per le sue orecchie cittadine.
Si stiracchia le braccia, si gira sul lato sinistro per vedere la luce timida che filtra dalle persiane accostate: anche oggi dev’esserci il sole, constata.
Cerca a tentoni con la mano opposta l’orologio da polso che ha appoggiato sulla sedia che, da quasi una settimana, le fa da comodino.
Un po’ controvoglia per quel piacevole intorpidimento che ancora le avvolge le membra, Aurora si alza dal materasso, le lenzuola stropicciate dal sonno agitato, una mano che tenta di lisciarle.
Si toglie la camicia da notte, infila le pantofole e indossa la maglietta gialla e i pantaloni blu scuro, che portava il giorno avanti.
Poi, scende dabbasso per fare colazione.


Il paese si è già svegliato da un pezzo, nelle sue strade brulicano i primi passanti, gente che va al lavoro, alcuni contadini che si recano nei campi, persone che, semplicemente, si godono il fresco tepore di una giornata non ancora del tutto calda.
La forestiera è appena arrivata nella via principale, di fronte alla piazzetta della chiesa, quando incontra la bottegaia che sta aprendo il suo negozio, stupita dal fatto che sia così mattiniera:
-Non riuscivo a dormire- le risponde semplicemente, mettendosi un braccio davanti agli occhi, per proteggersi dai raggi solari che si stanno alzando lentamente.
-Purtroppo capita: mio marito ultimamente soffre d’insonnia, dorme magari quattro ore filate, poi alle cinque è già in piedi- spiega la donna, mentre assesta la saracinesca della bottega e infila le chiavi nella serratura.
-Comunque, meglio non pensarci, altrimenti mi viene voglia di ritornare a letto! Cambiando discorso, come prosegue la vita alla casa rossa?-
Aurora si rifugia all'ombra della porta del negozio, la schiena appoggiata al muro di pietra.
-Molto bene, anche se ancora mi devo abituare al suono delle campane del mattino!- prosegue abbozzando un sorriso.
-A quelle si può sempre rimediare con un bel doppio vetro: magari è l’occasione buona per convincere i nostri benefattori a farlo! A proposito, volevo ringraziarla per come ha trattato Linda l’altro pomeriggio, si è molto divertita! Mi ha anche  parlato di un certo tesoro che le avrebbe mostrato … -
-Sì, ho trovato delle vecchie fotografie e una lettera che probabilmente appartenevano alla famiglia della contessa-
-Linda non mi ha voluto dire di più, mi ha detto che è un segreto tra voi due-
-E' una ragazzina molto sveglia e simpatica ... -
-Non si lasci ingannare! Anche lei, come tutti, è piena di difetti! Comunque, basta parlare di quel diavoletto, ha pensato alla festa del paese? Manca appena una settimana, ormai-
-Lo so, infatti ci ho pensato e vorrei fare la mia parte, ma non so bene come: non sono molto pratica di queste cose- risponde la forestiera, ricambiando un vago cenno di saluto di un paio di contadine che passano davanti a loro, reggendo delle sidelle colme di latte appena munto.
-Troveremo sicuramente qualcosa che fa al caso suo! C’è un sacco di roba ancora da preparare! Prima di tutto, le consiglio di parlarne con le ragazze del Comitato feste. Loro, sicuramente, sapranno indirizzarla al meglio. A proposito, questa sera c’è la riunione in parrocchia: don Luigi ci affitta un locale, anche se lui, poverino, non può venire, perché si è rotto una gamba mentre stava verniciando il soffitto del refettorio. Se le fa piacere, può partecipare per farsi un’idea!-
-Va bene- risponde titubante la forestiera - a che ora devo presentarmi?-
-Alle nove andrà benissimo-
La donna dà un’occhiata all’orologio da polso, poi in tono di scusa continua:
-Ora è meglio che entri in negozio, devo finire di smistare la merce che mi è arrivata ieri sera. Ha bisogno di qualche cosa, già che è qui?-
-Adesso no, grazie. Continuo con la mia passeggiata, al ritorno magari mi fermo per comprare un po’ di pane-
-Come preferisce, a più tardi allora-


Mentre sta ritornando alla casa rossa, Aurora sente un rumore provenire da uno dei tanti cespugli che circondano l’entrata. All’inizio è un po’ spaventata, poi, avvicinandosi con cautela, si accorge che quello che sente è solo un miagolio.
C’è un gatto di circa tre mesi, seminascosto dietro al roveto: è nero, con le zampette e la pancia bianche e ha due occhi color ambra. Barcolla leggermente e si avvicina alla nuova arrivata, miagolando ancora più forte.
-E tu cosa ci fai qui?- mormora lei.
Dopo essersi infilata il sacchetto con il pane oltre il polso, la forestiera prende in braccio il piccolo felino, mentre, per tranquillizzarlo, gli accarezza la testolina.
Non sa da dove sia arrivato, sicuramente è lì da poco tempo perché, quando è uscita oltre un’ora prima, non lo ha notato.
Decide di portarlo in casa per dargli un po’ di latte, non se la sente di abbandonarlo.
Prima, però, si accerta che
nei dintorni non ci sia la madre, perché sa che se la gatta sentisse l’odore di un estraneo sul suo piccolo, non esiterebbe ad abbandonarlo al suo destino.
Sta quasi per entrare, quando sente avvicinarsi qualcuno, il rumore dei tacchi sul vialetto di terra battuta e ghiaia:
-Ciao- 
Aurora si gira, perchè sa bene a chi appartiene quella voce: una donna alta e un po’ robusta, con i capelli ramati tagliati a caschetto, le sta sorridendo.
-Mamma, che ci fai qui? Ti avevo detto chiaramente che non volevo vedere nessuno, tu più di tutti!-
-Lo so, ma sono venuta lo stesso a trovarti. Non mi fai entrare?-
-Sono appena rientrata e … -
-Non preoccuparti, non noterò il disordine, se è questo che vuoi dirmi-
-Sempre con le tue stupide fissazioni- taglia corto la forestiera, non guardandola negli occhi.
Poi, ordina alla madre di aprire la porta, perché ha le mani impegnate dal sacchetto del pane e dal gatto che tiene ancora in braccio.
-Siediti … - la invita restia Aurora, una volta in cucina; si appoggia al lavandino in marmo e, usando un po' di sapone per i piatti, si risciaqua le mani.
-Non dirmi che non hai neppure una saponetta o, peggio ancora, un bagno? Dopotutto, almeno dall'esterno, questa casa mi sembra accogliente-
La forestiera fa finta di non aver sentito e, sempre dando la schiena alla donna, tira fuori dal sacchetto la carta in cui la bottegaia ha avvolto il pane, per riporlo in un cesto di vimini intrecciato.
-E’ tuo quel gatto?- continua la madre, non infastidita dal comportamento della figlia.
-No, l’ho appena trovato-
Aurora apre il frigorifero, prende la bottiglia di latte, e ne versa un po’ su un sottovaso pulito, che ha recuperato dal davanzale, dietro il lavandino.
Il gatto, vedendo quel gesto a lui indirizzato, si avvicina traballando al suo pasto.
-Mi sembra un bel posto. La casa è in ordine ed è grande, un po’ troppo per una persona sola. Ti trovi bene?-
-Sì, molto. Tu, piuttosto, perché sei venuta? Lo sai che ho bisogno di stare per conto mio, così non mi stai di certo aiutando- risponde la giovane, riprendendo la sua postazione, il più lontano possibile dalla donna.
-Lo so, ma mi sembrava normale venire a trovarti. E’ da una settimana che non ti fai sentire: Aurora, mi stavo preoccupando, dovresti capirlo!-
-Beh, adesso che mi hai visto, sai che sto bene ... -
-E ne sono contenta. Pensavo che magari potrei fermarmi questa notte e ripartire domani mattina. Cosa ne dici? -
La forestiera alza lo sguardo dal gatto che sta continuando a bere il suo latte, avidamente e a piccole linguate veloci.
-Fai quello che vuoi. Sappi però che stasera non ci sono -
-Hai già fatto nuove amicizie?-
Aurora, le braccia conserte, non demorde a fare la sostenuta e, sempre non guardando in faccia la donna, replica:
-Sì, il paese è piccolo e le persone sono molto accoglienti e gentili-
-Mi fa piacere, anche se il tuo tono non è certo altrettanto nei miei confronti- le ribatte la madre, facendo finta di lisciare una tovaglia inesistente.
-Per favore, non ho voglia di discutere-
-Lo sai che non è mia intenzione ... -
-E’ tanto che aspetti?-
-Non molto, dalle otto e mezzo, ho sentito i rintocchi delle campane. Ho chiesto un po’ in giro dove abitava una ragazza che è arrivata da qualche giorno e mi hanno indicato questa grande casa su per il sentiero. Devo ammettere che avevo un po’ il fiatone quando sono arrivata!-
-E come mai? Non sei tu quella patita di passeggiate e biciclettate salutari?- la punzecchia, ritirando il sottovaso ormai vuoto.
-Beh, sì, ma dicevo così, per dire ... Hai visto? Ti ho portato un mazzo dei tuoi fiori preferiti, i girasoli! - la donna indica una dozzina di quelle corolle marroni dai petali gialli, abbandonate su un angolo del tavolo.
Poi, la voce acuta di una scolaretta colta a copiare, prosegue:
-Non sapevo cosa portarti: tu che viaggi molto, sai com’è in treno, e poi, visto che sei qui solo temporaneamente, non volevo ingombrarti troppo la casa … -
-Non c’era bisogno di portarmi niente. Come hai potuto notare, sono circondata da alberi e fiori.  Purtroppo non ne ho
di vasi, però se tagli un po’ il gambo con quella forbice lì appesa, puoi metterli in un bicchiere, sopra a destra, nella credenza –
-Sì, d’accordo. Volevo solo farti un regalo ...  comunque, per questa sera, non è un problema. Me ne starò qui buona buona e domani, come promesso, andrò via-
-E’ meglio che li metti nell’acqua, quei fiori, altrimenti appassiscono e tutta la fatica che hai fatto nel portarmeli, non sarà servita a nulla-
-Dove hai detto che li trovo i bicchieri?-





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Capitolo 5
*** La riunione ***


LA RIUNIONE

Ci sono dei momenti in cui non riesce a non pensare a Mattia, al suo sorriso, alla sua voce, ai suoi occhi, alle facce che assumerebbe e alle parole che le direbbe, se solo fosse lì con lei:
"Credo gli potrebbe piacere questo posto, lui e la sua bici qui non si stancherebbero mai ..." riflette.
Dopo il loro primo fortuito incontro avvenuto al parco, ci sono volute altre tre settimane prima che avesse potuto rincontrare quel ragazzo, sempre in sella al suo velocipede; Aurora era ferma ad un semaforo, in attesa che scattasse il verde, sbuffando perchè era già in ritardo per andare al lavoro.
La tracolla arancione stretta tra le mani, non aveva avuto alcun dubbio quando Mattia le era sfrecciato davanti; così aveva fatto una specie di corsa per seguirlo, una reazione d'impeto e decisamente infantile, tantopiù perché era a piedi, eppure non aveva potuto fare altrimenti.
Solo il Caso, la Fortuna o il Destino, qualsiasi cosa fosse stata, le aveva permesso di raggiungerlo, un attimo prima che svoltasse e lo perdesse così di vista, per l'ennesima volta in dieci minuti.
Quando la vide, strabuzzò leggermente gli occhi, la fronte corrugata come a ricordarsi quel volto pallido ma grazioso, che sentiva di aver già visto da qualche parte.
"Tu sei la ragazza del segnalibro!" pronunciò alla fine, sorridendole e stringendole la mano: la sua era calda e rassicurante, dalle dita affusolate.
Aurora aveva annuito e, finalmente, si era presentata.
"Hai davvero un bel nome ..." le sorrise nuovamente Mattia.
Questa volta non era vestito da allenamento, indossava una T-shirt blu notte e un paio di jeans, e calzava dei mocassini marrone scuro.
I capelli erano sempre spettinati, però, e il viso perfetto glabro.
"Ora devo andare ..." dovette aggiungere lei, dopo qualche battuta sul tempo che era ritornato calmo e primaverile, nonostante fossero già a metà maggio.
"Adesso sei tu quella che scappa!" le fa eco lui, sfoderando un altro sorriso, meno aperto e cordiale dei precedenti, forse triste per quel mezzo commiato.
"Mi aspettano al lavoro" tentò di giustificarsi Aurora, la voce bassa e colpevole.
"Ma scherzavo! Vorrà dire che ci vedremo al parco. Io passo di lì tutti i giorni, per gli allenamenti, tranne il fine settimana. Se ti capita di fare un salto, ti aspetto alle sei, vicino alla quercia ..."
Seduta sul bordo del letto, la forestiera si stringe ancora di più l'accappatoio di un giallo sbiadito al petto: ha appena finito di farsi una doccia, e il pensiero di uscire, a causa di quel girovagare tra i ricordi, le ha dato la nausea.
"Ormai ho detto che sarei andata, e così deve essere ..." si fa coraggio, alzandosi e dirigendosi verso l'armadio a muro, in cerca di qualcosa di adatto per l'occasione da indossare.


Aurora guarda l’orologio, e si accorge con un sospiro di sollievo che manca ancora qualche minuto all’orario convenuto quella mattina con la bottegaia: la madre, infatti, ha insistito per fermarsi a cena, per questo, quando è uscita dalla casa rossa, credeva di essere in ritardo.
C’è una brezza piacevole che le culla i capelli: non fa per niente freddo, il vestito verde oliva appena sopra le ginocchia e dalle spalline larghe, è più che sufficiente a coprirla in quel breve tragitto fino alla piazza del paese.
Quando arriva in parrocchia, alle nove come aveva concordato con Liliana, si ritrova davanti un gruppetto ben nutrito di persone: ci sono le cinque donne che sono venute a trovarla il giorno dopo il suo arrivo, c’è la bottegaia e infine due uomini che non ha mai visto, tutti seduti sulle panche di pietra davanti la chiesa e intenti a parlottare.
Il primo deve avere all’incirca sessant’anni, la corporatura massiccia, i capelli brizzolati più radi sulla fronte, gli occhi cerulei piccoli e penetranti, il naso bitorzoluto, le parole che fluiscono dalla bocca insieme ad assensi fatti di sorrisi.
Il secondo invece, dimostra qualche anno in meno: anche lui ha le tempie e la barba ben curata striate di grigio, gli occhi color ambra spiccano sul naso aquilino, le labbra stirate in un’espressione un po’ perplessa, le mani incrociate sullo schienale della panchina incredibilmente magre rispetto al resto del corpo, alto e atletico.
Quando si accorgono della sua presenza, i presenti le sorridono e le danno il benvenuto con un cenno del capo.
Il sindaco si fa avanti come la prima volta che si sono viste, rassicurandola sul fatto che Liliana l’avesse già avvisata della sua presenza alla riunione.
Aurora, un po’ imbarazzata, accenna un sorriso e si avvicina all’insolita comitiva.
-Non me ne vogliano gli altri, ma darei l’onore al membro più giovane del Comitato, sia per età che per acquisizione, di iniziare con le presentazioni. Cosa ne dice?- domanda la prima cittadina, rivolgendosi alla bottegaia che, schiarendosi la voce, comincia ad elencare i nomi dei presenti:
-Grazie per la fiducia, sindaco. Dunque, queste che già conosce, Aurora, sono Adele, Lina, Maria e Roberta che, insieme al sindaco e a me, fanno parte della Proloco: noi ci occupiamo dell'organizzazione vera e propria della festa, dagli addobbi, alla distribuzione dei volantini, dalla preparazione degli stand alla regolarità delle partecipanti ai vari concorsi. Poi ci sono Vittorio e Pietro, che ci danno una mano per quanto riguarda la parte tecnica: luci, suoni, impianti vari … cose noiose, per intenderci, ma necessarie. Loro sicuramente la sapranno indirizzare al meglio su cosa fare nel caso voglia aiutarci con gli ultimi preparativi pratici… ecco, mi sembra di aver dato un'idea generale su cosa facciamo - conclude la bottegaia, indirizzando uno sguardo complice al sindaco.
-Grazie, Liliana, perfetta come sempre. Ora che ci siamo presentati, cosa ne dite di spostarci nel nostro quartier generale?!-
Il gruppo, capeggiato dalla prima cittadina, si dirige verso una porta laterale di metallo, ed entra in quella che sembra la sala dei banchetti dei poveri: una parete è in gran parte scrostata, il parquet di legno è lucido e le tendine bianche alle finestre risultano un po’ corte, ma pulite e ben stirate.
-Non faccia caso al muro … - le sussurra la bottegaia –ogni anno don Luigi dice che lo fa sistemare, ma poi non fa mai nulla-
La forestiera abbozza un sorriso e, inaspettatamente, comincia a sentirsi un po’ più a suo agio: gli altri hanno già preso posto sulle sedie di legno scuro, così ne approfitta per sisistemarsi vicino a Liliana.
Solo a questo punto il sindaco esibisce un ampio sorriso rivolto proprio ad Aurora, poi si schiarisce la voce con un paio di colpetti di tosse e, rivolta verso l'intero pubblico, debutta con il monologo che l' ospite ha già ascoltato appena qualche sera prima:
-Innanzitutto, se siete d’accordo, vorrei spiegare un po’ le origini di questa festa alla nostra nuova arrivata: la prima edizione risale al 1921 e recita la leggenda che venne istituita per ringraziare il santo patrono del nostro paese. Dopo un lungo periodo di siccità, infatti, i contadini erano convinti che il raccolto sarebbe andato perduto per quell’anno e, di conseguenza, non avrebbero avuto i soldi necessari per comprare i viveri per l’inverno. Così, si decise di fare una sorta di processione: ciascuno degli abitanti avrebbe tenuto in mano una candela accesa e, dal punto più alto del paese, cioè dalla casa rossa, sarebbero scesi fino alla chiesa e qui avrebbero continuato a pregare, invocando san Martino. Leggenda vuole che, due giorni dopo, il raccolto fu salvo: piovve così tanto che alla base del campanile si può ancora vedere la linea dell’altezza che l’acqua raggiunse!-
La bottegaia, ad un cenno del sindaco, prosegue con la spiegazione, a entrambi i lati il gruppetto seduto composto sulle sedie di legno:
-Ogni anno, nei quattro giorni dei festeggiamenti, si organizzano pranzi e cene, mentre la sera sono previste veglie danzanti e l’apertura dei banchetti provenienti da tutta la valle per la degustazione di vini e prodotti tipici locali. Poi … -
-Un momento! Dimentichema mia la sfilà- puntualizza la Lina, quella che ha portato la torta all’arrivo di Aurora, e che l’ha ripresa in malo modo sui dubbi che nutriva a proposito della potabilità dell’acqua.
-Ha ragione- prosegue Liliana, accondiscendente e regalando alla vecchietta un mezzo sorriso -la sera prima della conclusione, ci troviamo tutti in piazza per vedere i fuochi d’artificio, mentre il pomeriggio successivo, assistiamo in piazza alla sfilata dei carri dei vari rioni, mentre la banda del paese ci allieta con la sua musica! Ovviamente non manca la pesca di beneficienza, anche se in realtà quella la facciamo per i bambini, ma anche noi adulti ci divertiamo, anzi, forse più di loro! Cosa dice, sindaco, ho detto tutto?-
-Direi di sì- conclude annuendo la prima cittadina, seria e soddisfatta allo stesso tempo.
-Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa … ? Adele?-
La donna chiamata in causa annuisce, i ricci neri lunghi fino alle spalle ad incorniciare il viso finemente truccato, il vestito lillà a renderla più magra rispetto al primo incontro con la forestiera:
-Sì, volevo ricordare che dall’anno scorso abbiamo introdotto il premio per la torta più elaborata e per il balcone più fiorito. Le nostre comari sembrano apprezzare molto, anche se in realtà ci sono state delle discussioni tra la Piera e la Giovanna: lei, la Giovanna intendo, insisteva che la sua era la torta meglio riuscita, mentre la Piera sosteneva che belli come i suoi fiori non ce n’erano in tutta la provincia. Alla fine, la giuria, cioè noi del Comitato, abbiamo dovuto istituire un premio speciale apposta per loro, un foglio scritto e incorniciato dal sindaco in cui si elogiavano le loro qualità culinarie ed artistiche. Spero solo che quest’ anno non si ripeta la stessa solfa!-
-Purtroppo Adele ha ragione. C’è stata un po’ troppa rivalità tra le due signore che, oltretutto alla soglia degli ottant’anni, sono fin troppo agguerrite- si inserisce la prima cittadina, poi continua:
-La verità è che è un aspetto della festa che ha avuto un enorme successo, tanto che a gran voce tutti i nostri concittadini hanno chiesto di riproporre anche per questa edizione … fino a qui le è tutto chiaro?- s'interrompe improvvisamente.
Aurora annuisce come iponotizzata, incuriosita e attratta da tutte quelle parole che le erano state dette, così pronuncia in modo un po’ troppo deciso un che ha il sapore di un entusiasmo sincero ma timido.  
-Molto bene, allora direi che abbiamo detto tutto. Dunque, visto che adesso ha un quadro più delineato della situazione, vuole aiutarci a migliorare la festa?-  chiede il sindaco, rivolgendosi alla forestiera con qualla voce quasi in falsetto, le mani congiunte quasi in preghiera.
Lei ha seguito con attenzione l’intera spiegazione, ma quella domanda così a bruciapelo l’ha un po’ colta di sorpresa.
-Non saprei … non ho mai cucinato per tante persone e non ho mai servito ai tavoli. Potrei stare alla cassa della pesca di beneficienza … - azzarda, evitando di guardarsi attorno per non dover sostenere lo sguardo delle altre sette persone.
-E’ tradizione che ci stiano i bambini, purtroppo. Ci rimarrebbero male, credo, se gli togliessimo questa opportunità. Potrebbe far parte della giuria per la premiazione dei due concorsi, cosa ne dice?- precisa Roberta, sperando in una sua risposta positiva.
-Oh no, non è un ruolo che mi si addice!- taglia corto Aurora, dimenticandosi di arrossire  -non mi piace giudicare, nemmeno in un contesto del genere-
-Allora ha qualche capacità che può mettere a nostra disposizione?- incalza la donna, il piglio deciso di chi vuole chiudere lì la questione, senza troppi giri di parole.
Aurora non ci pensa un secondo, ed esclama con una punta di entusiasmo nella voce, sempre bassa e insicura:
-Potrei fare delle foto … -
-Sembra una bella idea- approva il sindaco, cercando con gli occhi l'approvazione degli altri presenti.
-Le büna da fütügrafà?- si intromette nuovamente la Lina, interessata dalla piega che sta prendendo la conversazione.
-Sì, mi piace molto, anche se non lo faccio di professione, però sono abbastanza brava da poter curare una mostra-
-Di che tipo?- s’informa l' Adele, anche lei attratta da quella insolita proposta.
-Ancora non saprei … - la forestiera sente il sangue affluirle prepotentemente sulle guancie, "mi devo far venire in mente qualcosa", si dice e, come se avesse strofinato la lampada di Aladino, un’idea affiora improvvisamente nella sua mente:
-Si potrebbero alternare immagini della preparazione della festa a schizzi di carboncino che ritraggano il paese … -
-E’ anche brava a disegnare?- s’informa il Vittorio, le braccia conserte e un'espressione di vivo interesse sul volto.
-Non credo che quel burbero del Giovanni sia interessato a farsi fotografare come un damerino! E’ già tanto se saluta quando vede passare qualcun altro che non siano le sue vacche!- esordisce Pietro, facendo sorridere tutti.
-Già- continua Vittorio –l’è verament brav cun la tera e cun le besstie, ma par tutt al rest, l’è mei lascià perda-
-Sempar a parlà mal dügli altar!- ribatte la Lina – Roberta, ti che ti abitat viscin a lüi, cüs’ ti pensat?- continua rivolgendosi alla donna.
-Mah, a credi mia che l’è un om cativo … l’è sempar stai abitüà a laürà da quand’ l’era un bocia, almeno l’è col che diseva la mi mama e … -
-Direi di concludere qui l’apologia del signor Giovanni - s’intromette il sindaco, alzandosi in piedi –anzi, direi che è deciso: quest’anno ci sarà una mostra fotografica e la nostra nuova concittadina sarà la curatrice! Prepari con calma il programma, poi ce lo illustrerà. A tutto il resto penseremo noi!-



Quando torna alla casa rossa, la forestiera trova addormentata
la madre sul divano, un golf color turchese appoggito di traverso sul petto.
Il gatto è appollaiato su un bracciolo, la coda lunga e sottile penzolante, il muso appoggiato alle zampette.
Per un momento, vedendo quella scena così pacifica, Aurora si dimentica di tutto la delusione che prova nei  confronti di quella donna, uno dei motivi che l’ha spinta a rifugiarsi in quel luogo di cui non sapeva neppure l’esistenza fino a quattro settimane prima.
Sta salendo le scale lentamente, quasi con stanchezza, in preda ai ricordi, quando la madre appare ai piedi della gradinata:
-Come è andata la serata?-
La figlia si gira svogliata, la mano sinistra appoggiata al corrimano e, con voce tagliente ma il più possibile naturale, risponde:
-Molto bene. Tu cosa hai fatto?-
-Niente di particolare. Ho letto uno di quei libri impolverati che ho trovato in biblioteca, poi, però, devo essermi addormentata, perchè non ricordo dove sono arrivata!-
-Non hai dato un’occhiata in giro?- la punzecchia Aurora, cercando di risalire un altro paio di gradini.
-Sì e no- ammise innocentemente la donna  -mi sembrava brutto curiosare mentre tu non c’eri-
-Ma se lo hai sempre fatto!-
-Non dire così, lo sai che non è vero!-
-Senti, mamma, non ho voglia di litigare. Visto che ti sei già ambientata, immagino che tu abbia scelto dove dormire … -
-Quale stanza mi consigli?-
-E non ho neppure voglia di indovinelli. Sei tu che devi decidere: per una sola notte non vale la pena darsi tanto da fare ... -
-D'accordo, allora mi arrangio io, non preoccuparti- si arrende, senza dar alcun segno di sconfitta o di amarezza  -dammi solo le lenzuola e una federa, almeno questo me lo devi concedere ... -
-Vieni, ti faccio vedere dove sono-
Aurora apre la porta della sua camera da letto, poi prende a rovistare in un cassetto del comò neoclassico:
-Ecco, tieni, qui c’è tutto quello che ti serve. Se hai bisogno di qualcos’altro, chiamami-
-Senti, perché ti ostini a trattarmi così? Io credevo di fare bene a dirti tutto, ma di certo non mi aspettavo una reazione come la tua! Sei diventata ostile, rancorosa, non ti riconosco più- tenta di farla ragionare la donna, le sopracciglia aggrottate da una smorfia di disappunto e di impotenza.
-Tu hai la faccia tosta di dirmi che non mi riconosci più?! Sono io che non mi aspettavo una cosa simile da quella che consideravo mia madre!-
-Io sono tua madre, e tutto quello che ti ho detto, l’ho fatto solo per il tuo bene-
-Smettila di mentire: lo hai fatto solo per alleggerirti la coscienza! Sai, da una parte sono contenta che sia venuta, vuol dire che ancora provi del rispetto nei miei confronti, ma se vuoi recuperare il rapporto con me,  è meglio che mi lasci da sola per un po’, altrimenti rischierai di perdermi per sempre!-
-Se è quello che desideri, lo farò, non ti preoccupare. Buonanotte –
La donna ha già superato la soglia, quando la voce ora più calma della figlia, la blocca:
-Aspetta … domani a che ora hai il treno?-
-Non ho guardato- risponde girandosi, le lenzuola e la federa rosa antico piegate tra le mani  -pensavo di uscire di casa per le otto e aspettare il primo che passa … -
-Va bene, ti accompagnerò alla stazione- concede magnanima Aurora  -metto la sveglia per le sette e un quarto. Buonanotte -

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Capitolo 6
*** Ricordi e idee ***


RICORDI E IDEE


SABATO 22  LUGLIO


Il mattino successivo, Aurora e la madre si avviano verso la piccola stazione ferroviaria del paese.
L’aria è frizzante, il sole si sta alzando nel cielo limpido e sereno.
La strada che conduce alla stazione non è molto lunga, ma per raggiungerla è necessario attraversare un paio di vicoli, la piazza della chiesa e passare sopra il ponte che divide le due rive del fiume.
Una volta fatto tutto ciò, gli ultimi duecento metri dal traguardo sono invasi, da un lato, da cespugli di buganvillea e casette a due piani, dall’altro da distese di prati più o meno incolti e ricoveri di bestiame ormai in disuso.
Giunte a destinazione, le due donne si dirigono verso la bacheca con gli orari di partenza e arrivo dei treni.
-C’è n’è uno alle otto e diciassette. Ti può andare bene?- domanda la figlia, un vestito di viscosa blu dalle maniche corte.
-Non ho fretta. Altrimenti a che ora c’è?-
La madre, una camicetta bianca e un paio di pantaloni rossi sui sandali, trasporta con noncuranza una borsa nera, particolarmente capiente, di paglia intrecciata, mentre fissa il grande ritaglio di carta, fisso di orari e località a lei sconosciute.
Aurora continua a non fissare la donna, poi, con voce annoiata, prosegue:
-Alle otto e venticinque, alle otto e trentatré … ogni otto minuti per intenderci-
-Prenderò il primo che hai detto, tanto tu non resti qui con me, vero?-
-Perché dovrei restare? Ci sono altre persone che aspettano come te-
-Ma io non le conosco, e loro non conoscono me-
La più giovane delle due scuote la testa indispettita, rivolgendo alla più anziana un sorriso a metà tra il sarcastico e l'allibito:
-Ho delle commissioni da sbrigare, se vuoi posso rimanere fino a quando arriva il primo treno, non di più ... -
-Se ti senti in obbligo, non è necessario. Mi siederò su quella panchina e aspetterò da sola-
La accontenta la madre, mentre si siede sull’unica panchina in pietra della stazione, la borsa di paglia appoggiata sulle ginocchia, aspettando che anche la figlia faccia lo stesso.
-Non ti sei informata nemmeno per il treno che devi prendere in città?- domanda Auroa dopo un minuto di silenzio, le braccia conserte, mantenendosi sempre a debita distanza dalla donna.
-No, non ho avuto tempo. Ieri mattina credevo di essere in ritardo per prendere quello che mi avrebbe portato qui. Aurora, cerca di capirmi, ti prego! Mi sono alzata alle cinque per raggiungerti, solo per farti piacere … non avercela con me, almeno provaci!-
-Non sono io quella che ha iniziato tutto, forse non te lo ricordi-
-Se vuoi punire me, lo accetto, ma ricordati che a casa ci sono tante persone che aspettano il tuo ritorno: tuo padre, tua sorella, tuo fratello … -
-Non è mio fratello!-
La forestiera deve aver pronunciato un po’ troppo ad alta voce quella considerazione, perché i due uomini in giacca e cravatta di fianco a lei, si girano e le rivolgono uno sguardo interrogativo.
Così, a voce più bassa, prosegue:
-E’ un estraneo per me, con cui non voglio avere nulla a che fare. Aver sentito parlare di lui e aver visto una sua fotografia poco più che bambino, non vuol certo dire conoscerlo!-
La donna abbassa lo sguardo: sa che quello che le ha appena detto la figlia corrisponde a verità, tuttavia non vuole ammettere neppure a sé stessa l’errore che ha commesso anni prima. Prende coraggio e ritorna a guardare in faccia la sua interlocutrice:
-Se non vuoi tornare per noi, torna per il tuo lavoro, per i tuoi colleghi, i tuoi amici … -
-Lascia stare i sentimentalismi, non ne sono in vena … guarda, sta arrivando il treno. Ciao, buon viaggio– spara a raffica la ragazza, facendo già per allontanarsi da tutta quella situazione sgradevole.
-Aspetta- la blocca la madre, il braccio a trattenere quello della figlia -pensa a quello che ti ho detto. E ricordati che per quanti sforzi uno faccia, non si riuscirà mai a scappare da se stessi, mai, ricordatelo. Si può andare in capo al mondo, dall’altra parte dell’oceano, ma non possiamo cancellare quello che proviamo e soprattutto quello che siamo- 
Poi si avvicina per darle un bacio sfuggente sulla guancia e, senza degnarla oltre di uno sguardo, sale lentamente sul treno.


Quando esce dalla stazione, Aurora ha la testa che le scoppia: le tempie le pulsano e le lacrime le pizzicano gli occhi, ma non sono ancora pronte a scendere.
Tornerei solo per lui, si dice, per i suoi sorrisi e la sua bocca, per le sue parole.
Rimane per qualche secondo sul viale affiancato dai cespugli di buganvillea: due bambine stanno giocando nel cortile della casa di fronte, ridono spensierate mentre fanno a gara a chi lancia più in alto la palla.
Vorrei essere come loro, anzi no, vorrei solo la mia vita di prima, quella che mi permetteva di essere normale e di non soffrire ogni giorno appena apro gli occhi.
Senza pensarci, le viene in mente una poesia che aveva letto su uno di quei quadernetti dedicati a sentimenti così vivi eppure così cedevoli: l'amicizia, l'amore, la fiducia, tutte parole che, senza la persona giusta con cui condividerle, risuonano vuote e impossibili …

Credo in te.
Credo nel tuo sorriso
Dono della tua felicità.
Credo nelle tue lacrime
Di gioia o di tristezza.
Credo nel tuo sguardo
Limpido e sincero.
Credo nella tua parola
Di amore e di speranza.

Ormai lei a cosa crede? A chi deve credere? Tutta la sua esistenza è stata un inganno, gli attimi di spensieratezza, di gioia, di allegria, persino quelli tristi, non sono mai stati pienamente condivisi.
Non le rimane altro che una famiglia spezzata e uno sconosciuto che tenta di entrare a far parte della sua vita.
La testa continua a scoppiarle, le tempie a martellarle e le voci e le scene a rincorrersi nella testa.
Le mani dalle dita affusolate a cercare il suo viso, la bocca sottile che si distende in un sorriso perfetto e che si adagia dolcemente sul collo di lei, il corpo premuto con delicatezza contro il suo. E poi …
L’ufficio vuoto, lui all’inizio scherzando le prende il volto, le mani salde nella presa, prepotente l’attimo dopo, la bocca egregiamente disegnata a cercare con infernale passione quella di lei, la figura alta e atletica a premerle il corpo. E poi …
-Hai un fratello-
-Ma cosa dici, mamma?! Ho solo una sorella, quella rompiscatole di Silvia. Cos’è, hai bevuto?!-
-Non sto scherzando, ha due anni più di te. L’ho avuto quando abitavamo in Belgio: tuo padre viaggiava sempre per lavoro e noi due c'eravamo appena sposati da qualche mese. Credevo che mi trascurasse e che mi avesse scelta solo per ripicca nei confronti dei suoi genitori e della ragazza che avevano deciso per lui, così da stupida ho cominciato una relazione con uno scrittore norvegese che avevo conosciuto per la casa editrice… -
-Ma cosa stai dicendo?!-
-E’ la verità, Aurora. Ho dovuto prendere una decisione non sai quanto sofferta: rovinare la famiglia che avevo appena formato, ammettendo la verità, oppure far crescere di nascosto tuo fratello. Da codarda, ho fatto quest’ultima scelta.
Non è stato difficile, la pancia praticamente non mi si vedeva, e tuo padre era sempre in viaggio.
Due giorni dopo la nascita di Edoardo, l’ho affidato a una coppia di nostri amici italiani a Liegi, e per i successivi tre anni che siamo rimasti lì, ho potuto vederlo ogni giorno.
Poi, quando siamo di nuovo tornati in Italia e sono stata assunta a tempo pieno dalla casa editrice, tutto è stato più difficile e allo stesso tempo più semplice: ogni volta, appena potevo, correvo da lui … perché credi che mi assentassi così spesso per tutti quei giorni? Non era solo per lavoro come vi raccontavo, ma era per andare a trovare Edoardo, e trascorrere quanto più tempo possibile con mio figlio. Sono stata una madre mostruosa, ma per lui ci sono sempre stata: ci telefonavamo, ci scrivevamo, solo per le feste non potevamo stare insieme, perché voi eravate e siete la mia famiglia. Ho cercato di rimediare come meglio ho potuto … tu riesci a capirmi?-
-E’ tardi per capire … Chi altri lo sapeva?-
-Nessuno-
-E adesso? A chi lo hai detto adesso?-
-Tu sei la prima-
-Nemmeno Silvia lo sa?-
-No, nemmeno lei-
-E papà?-
-Non ho il coraggio di affrontarlo-
-Mi stai rovinando la vita, te ne rendi conto?-
-Voglio migliorartela, Aurora, desidero solo che tu, insieme a Silvia lo conosciate, solo questo. Poi spetterà a voi decidere se frequentarlo oppure no. Ti prego, vi chiedo solo un incontro o una telefonata. Lui vuole conoscervi-
-Io invece voglio dimenticarlo,ancora prima di incontrarlo, così come voglio dimenticare te!-
Il resto del colloquio Aurora lo ha come rimosso: ancora adesso non vuole ricordarlo, è come se il velo di Maya avesse ricoperto quegli attimi vissuti in maniera così brusca, così cruda, catapultandola in una realtà che le hanno sempre deliberatamente fatto ignorare.
La sensazione di essere uscita troppo presto da quel guscio protettivo che ha continuamente considerato la sua esistenza, la fa sentire come il bruco che ha perso precocemente la sua crisalide, come il serpente che ha effettuato troppo presto la muta.
Ma quella rivelazione, in confronto a quanto sarebbe successo pochi giorni dopo, era solo un aperitivo amaro, dal gusto acido, che rimane in bocca per lungo tempo, e basta un nonnulla perché si ripresenti prepotente sulle papille, a coprire tutti i sapori più dolci.
Il ricordo di quella notte non l’abbandona mai, lo ritrova nell’odore della paura che invade i suoi sogni, un odore che all’inizio è invitante, ma presto diventa acre, irrespirabile e opprimente ...
Lei che si  fa convincere a bere, proprio lei astemia, il ricordo vivo e ancora pulsante dei vestiti stropicciati, delle sue mani a bloccarle i polsi, lei che stupida e infantile, prima di quel gesto e prima dell’arrivo di lui, aveva addirittura creduto di provare qualcosa per l’altro, quell’uomo così forte, con quel piglio da comandante, sempre sicuro di sé e del suo lavoro, sempre pronto a sorriderle.
E poi capire che era solo una sciocca infatuazione, non per l’uomo, ma per il ruolo che rivestiva, per le belle parole, i bei vestiti, il tono di sicurezza che traspariva dalla voce.
Tutto distrutto, la sua vita, il suo lavoro, il concorso per diventare assistente, tutto.
Solo il viso di lui, quel sorriso perfetto, quel profumo inebriante che si sprigiona dalle dita affusolate e da quel corpo, solo lui poteva ancora rappresentare l’ancora di salvezza, senza la quale, la nave della sua esistenza precaria, sarebbe inevitabilmente affondata.
 

La forestiera ritorna alla casa rossa completamente affranta e stordita: si prende una pastiglia per il mal di testa e si rintana nella sua camera per cercare di riposare, ma non riesce a tenere gli occhi chiusi per più di mezz’ora, così si alza dal letto e si affaccia alla finestra.
Le tempie ora non le pulsano più, la mente sta ritornando lucida e al presente: mentre il suo sguardo si allarga verso il lago in lontananza, le affiora avida l’ idea della mostra fotografica che deve cominciare a preparare.
Non ha ancora i pensieri molto chiari su come realizzare il progetto, anche se ormai mancano pochissimi giorni all’inizio dei festeggiamenti e quel pomeriggio vorrebbe andare dalla sindaco per presentarle un primo abbozzo della mostra. 
All’ improvviso la sua mente ha un’illuminazione che è convinta farà molto piacere anche alla prima cittadina.
Si dirige verso il cassetto dello scrittoio, presa da un desiderio insperato di fare, di disegnare, di creare.
Prende un foglio di carta e una penna e inizia a scrivere.



Quando arriva nell’ufficio del sindaco, poco prima delle quattro, viene accolta molto cordialmente.
La stanza è piccola ma ordinata e particolarmente luminosa grazie alla grande finestra che dà le spalle alla scrivania.
Sulla parete di sinistra ha trovato spazio una libreria con gli scaffali imbottiti di libri e di piccole cianfrusaglie, su quella destra invece una poltrona color caffè in eco pelle che ha tutta l’aria di essere comoda, protetta davanti da un tavolino di vetro.
Le due donne si salutano con una stretta di mano, poi la prima cittadina indica alla forestiera una sedia di legno intarsiato di fronte allo scrittoio: Aurora si siede ubbidiente, sebbene il richiamo della spaziosa poltrona sia molto forte, forse perché le dà un senso di accoglienza e di protezione che da tempo ormai ricerca invano. Così, senza aspettare oltre, distoglie la sua attenzione dall’oggetto banalmente normale, dirottandola invece sul motivo per cui è lì:
-Non sapevo se l’avrei trovata, ma ho voluto venire ugualmente-
-Ha fatto bene! Di solito il sabato non sono in ufficio, tuttavia a pochi giorni dall’inizio della festa, ho ancora molte faccende da sbrigare: gli ultimi preparativi, il discorso inaugurale da correggere, più altre noiose ma necessarie incombenze che riguardano l’amministrazione!  Allora- prosegue la donna, un tailleur grigio perla che le avvolge la snella figura, i capelli raccolti in una crocchia – ha già pensato a qualcosa per la realizzazione della mostra fotografica?-
-Sì, sono venuta proprio per parlare di questo, anche se è solo un’idea e non so se potrà piacerle-
-Lei la esponga, poi valuteremo insieme se può andare bene oppure no. La ascolto-
La ragazza estrae dalla tracolla arancione il foglio di carta su cui ha scritto poche ore prima i suoi pensieri, e lo mostra alla prima cittadina:
-Credo che potrebbe venire fuori una bella cosa se unissimo la parte tradizionale del paese con quella  moderna: come vede, vorrei infatti dividere la rassegna in due spazi. Il primo ovviamente riguarda la festa, quindi scatterò delle fotografie che vadano a ritrarne la realizzazione, come ad esempio gli allestimenti degli stand dove verranno vendute le torte o quello per il banco di beneficienza. In poche parole seguirò il lavoro del Comitato dietro le quinte-
-Sì, potrebbe essere fattibile … e poi?-
-Sono rimasta colpita quando la sera della riunione in parrocchia, Liliana ha raccontato della sfilata dei carri: ecco, vorrei poter fare qualche foto o magari ritrarli durante la loro realizzazione … -
-Su questo punto purtroppo la devo interrompere: i carri vengono scelti e preparati almeno sei mesi prima dell’inizio dei festeggiamenti e gli abitanti dei vari rioni sono gelosissimi delle loro opere, è tradizione che vengano svelati solo il giorno della sfilata-
Un’espressione di scoraggiamento appare sul viso di Aurora.
-Allora potrei  fotografare solo i particolari, non il lavoro d’insieme. Crede si possa fare?-
-Potrebbe andare bene, anche se prima dovrà chiedere l’autorizzazione agli incaricati dei rioni … proverò a contattarli- la donna si appunta su un’agenda aperta di fronte a lei qualche riga, poi continua:
-E questa sarebbe la parte moderna della mostra, giusto?-
-Sì, esattamente. Allo stesso tempo, però, mi piacerebbe dedicare uno spazio anche alle figure tradizionali del paese, come i contadini e i mungitori. Li vorrei ritrarre durante le loro occupazioni quotidiane, scegliendo ovviamente un momento che anche a loro vada bene-
-Questa sì che è una bella idea! - annuisce la prima cittadina - potrebbe essere una bella lezione anche per i nostri bambini, che sempre di più si stanno allontanando dall’ esistenza semplice e genuina che tiene in vita il nostro paese. Sono convinta che saranno entusiasti anche gli altri membri del Comitato!-
-Questo vuol dire che posso mettermi all’opera già da oggi?-
-Direi proprio di sì: manca meno di una settimana all’inizio della festa e se vuole terminare in tempo, dovrà rimboccarsi le maniche. Un’ultima cosa, il nome della mostra lo ha già pensato?-
La forestiera annuisce sorridendo, indicando un mezzo scarabocchio su un angolo del foglio appoggiato sulla scrivania:
-Ho un’idea anche per questo. Le può piacere Lavori di ieri e di oggi: il passato e il presente fra tradizione e modernità? Forse è un po’ troppo lungo, però mi sembra che suoni bene!-
-S-ì, sì direi che può andare! Anche se ancora non le assicuro niente: prima di approvare l’intero progetto, vorrei sottoporlo anche agli altri membri del Comitato, ma come le ho accennato non credo ci saranno problemi. Più tardi proverò a sentirli e vediamo cosa dicono. Comunque, complimenti, mi sembra che abbia le idee piuttosto chiare su come realizzare il progetto … -
-Voglio farvi fare bella figura-
-E’ molto gentile da parte sua offrirsi così spontaneamente per una festa che nemmeno conosce! Dal momento che ha pensato praticamente a tutto, non resta che scegliere il luogo dove allestire la mostra, o già ne ha uno?-
-A questo non saprei proprio come rimediare. Non conosco ancora così bene il paese da … -
-Se me lo permette, almeno a quello ho già pensato io! Ha presente la vecchia chiesa abbandonata, quella di pietra, di fronte alla strada che porta in paese?-
-Uhm sì, l’ho vista quando sono arrivata-
-Molto bene. Quella è la chiesa di sant’Abbondio, l’hanno sconsacrata dopo la fine della seconda guerra mondiale: era diventata il rifugio dei nostri concittadini durante i bombardamenti sulle montagne e dicono che i nazisti abbiano compiuto delle azioni ignobili al suo interno, hanno rubato i paramenti e violentato alcune giovani del posto, tanto che il vescovo di allora ha preferito sconsacrarla. Nonostante la sua storia indubbiamente triste, l’apriamo una volta all’anno, proprio durante i quattro giorni della nostra festa, in modo che anche voi turisti possiate ammirarne i meravigliosi affreschi e venire a conoscenza della sua drammatica storia-
Un brivido percorre la schiena di Aurora.
-Non c’è un altro luogo dove poter allestire la mostra?-
-Purtroppo no. Si potrebbe fare qui in municipio, ma la verità è che di stanze disponibili non ce ne sono. Oppure c’è la casa rossa, però non so se lei sarebbe disposta ad ospitare l’intero paese e anche i turisti … -
-Se le cose stanno così, allora la chiesa rimane l’unica alternativa-
-Infatti … -
-Va bene- conclude la ragazza , alzandosi -ora è meglio che vada, così potrò riorganizzare al meglio le idee. Grazie ancora per la sua attenzione-
-Non deve ringraziarmi, anzi, grazie a lei per la sua generosità. Buon lavoro ... -




Il pomeriggio sul tardi, mentre sta attraversando la via principale, la forestiera si accorge ben presto che la notizia dell’installazione di una rassegna fotografica si è già diffusa per il paese.
Adesso, ogni qualvolta attraversi la piazza o si ritrovi a passare per le strade, tutti la fermano e vogliono saperne di più, ma lei non sa cosa rispondere, perché in realtà ha un sacco di idee nella testa, ma ancora nessuna pronta da realizzare.
Così si rifugia senza farsi vedere in un vicolo parallelo alla bottega dove è entrata pochi minuti prima per fare rifornimenti: lì è ben protetta dall’angolo di un muro di pietra, da cui sbircia un secondo sì e uno no, per riuscire a trovare il momento giusto in cui possa svicolare senza essere fermata per l’ennesima volta.
Quando finalmente rientra alla casa rossa, non appena apre la porta, il gatto che ha trovato tre giorni prima le viene incontro e comincia a miagolare con insistenza.
-Ciao, piccolo. Avrai fame, adesso ti do un po’ di latte ... - il felino le trotterella dietro fino alla cucina, dove attende il suo pasto davanti al sottovaso che è diventato la sua ciotola.
-Non ti ho ancora dato un nome e prima o poi dovrò farti vedere da un veterinario … - continua Aurora, abbassandosi per versare nella scodella il liquido bianco –potrei chiamarti Macchia, sei tutto nero ma quella chiazza che ti copre la pancia mi fai ricordare una macchia … -
Mentre il gatto continua a leccare nel sottovaso, lei decide di salire in camera da letto per cercare la sua macchina fotografica, i fogli da disegno e il carboncino: da quegli oggetti non si separa mai da oltre vent’anni, quando sa di poterli usare, li porta sempre con sé.
Apre il comò neoclassico e tira fuori tutto il materiale di cui ha bisogno per iniziare a lavorare al suo progetto.
Si avvicina alla finestra e la apre per fare qualche scatto di prova: all’orizzonte il lago è calmo e i riflessi del sole creano dei brillanti giochi di luce sulla sua superficie, mentre il campanile con la torre dell’orologio si staglia altezzoso e solido a poche centinaia di metri da lei.
Dalla posizione in cui si trova, le vette delle montagne non sembrano tanto alte, una vicina all’altra come una catena ininterrotta di triangoli un po’ in sovrappeso, ma sono ugualmente maestose e protettive.
C’è una buona luce e lei continua a fotografare, fino a quando intravede sul sentiero che porta alla casa rossa la figura di una bambina che si sta avvicinando: è Linda, la figlia della bottegaia.
Aurora si affaccia per salutarla, quasi felice per quel'incontro a distanza:
-Ciao, Linda! Che ci fai qui?-
La ragazzina alza la testa e si copre la fronte con una mano perché ha il sole contro e non riesce a vederla bene, ma riconosce subito la voce:
-Ciao! Sono venuta a fare una passeggiata. Posso entrare?-
-Sì, aspetta che scendo … -
-Che caldo che fa fuori. Qui invece è così fresco- esclama Linda, una volta entrata, mentre si fa aria con una mano.
-Vieni in cucina, ti offro del tè freddo: è alla menta,
l’ho fatto stamattina-
-Ah bene, ne ho proprio bisogno!-
Nel giro di pochi secondi, la bambina si è appena seduta su una delle sedie attorno al tavolo, quando esclama:
-Un gatto! Ma è tuo? Com’è piccolo … - lo prende in braccio, approfittando del fatto che il micio si faccia coccolare, regalandole anche qualche fusa.
-Si chiama Macchia, in realtà ho appena deciso il nome: l’ho trovato dietro al roveto nel giardino, qualche giorno fa. Mi ha fatto tenerezza e così l’ho preso, ma non so se è di qualcuno. Magari l’hanno perso e lo stanno cercando-
-Oh non penso proprio. Se qui in paese qualcuno perde qualcosa, nel giro di cinque minuti tutti lo sanno! E non mi sembra che qualcuno abbia smarrito un gatto!-
-Da una parte meglio così, mi ci sto affezionando. Senti, ti va di portarlo dal veterinario con me? Pensavo magari di andarci adesso, non è tanto tardi, però non so dove andare. In città ce ne sarà uno, vero?-
-Sì, c’è Ginevra, lei cura anche il mio Blasco!-
-Blasco?-
-Sì, il mio gatto-
-Ah, certo, il gatto arancione! Bene, allora passiamo da tua mamma e le chiediamo se puoi venire con me in città. D’accordo?
-Va bene. Finisco di bere il tè e andiamo!-
 

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Capitolo 7
*** Gita in città e lavoro nei campi ***


                                     Gita in città e lavoro nei campi


                                                                                     

La chiesetta sconsacrata di sant'Abbondio, di cui ho parlato nello scorso capitolo, durante la Festa dell'Uva di settembre


Aurora sta guidando sicura, mentre Linda tiene in braccio Macchia, che guarda fuori dal finestrino un po’ agitato.
E' da parecchio tempo che non tiene tra le mani un volante, che non vede scorrere, davanti a lei, la strada, a tratti vellutata e a tratti disseminata di piccole o grandi imperfezioni.
Una volta a settimana, di solito il venerdì sera, Mattia passava da casa a prenderla e, insieme, andavano a vedere un film o uno spettacolo a teatro, poi mangiavano in un locale dove suonavano musica dal vivo.
Sono molti mesi che non abbiamo una serata solo per noi, riflette la ragazza, e tutto questo le manca terribilmente.
-Sono proprio contenta che tu sia arrivata in paese- la fa quasi sobbalzare Linda, la voce allegra e lo sguardo perso oltre il finestrino, mentre con una mano continua ad accarezzare la testolina del felino.
Aurora le lancia un'occhiata impensierita:
-Davvero? E perché?!-
-Vuoi la verità?-
-Sì, se è una cosa bella … -
-D’accordo: allora, per prima cosa mi stai simpatica e poi con quella storia del tesoro hai confermato che il fantasma del giardino non è una mia invenzione! Sai, da grande voglio fare la criminologa, e credo che se comincio a fare un po’ di pratica, forse è meglio! A proposito, lo hai per caso visto una di queste notti?-
-Chi, il fantasma? No, non ho visto nessuno- sorride lei, fissando la strada –è solo una leggenda, ma questo non vuol dire che la storia che mi hai raccontato sia falsa. Stai tranquilla, ti credo-
-Ah beh, grazie, è già qualcosa. Comunque è da molto che non vado in città, voglio dire, a parte per la scuola. Di solito vengo in bici, ma la mamma preferisce che prenda la corriera. Dice che è più sicura, ma in bici è tutta un’altra cosa: puoi vedere il ruscello e i campi, sentire l’aria fresca in faccia, è una sensazione bellissima! A proposito, tu ce l’hai una bici?-
Lei abbassa il volume della radio.
-No, cioè sì, ma non l’ho portata. In realtà ho visto che ce n’è una nella rimessa, ma è talmente vecchia e arrugginita che non ho avuto il coraggio di avvicinarmi per pulirla!-
-Non posso prestarti quella della mamma perché non c’è l’ha. Anzi, ti dico un segreto: non è proprio capace di usarla! Però a lei non dirlo, ci rimarrebbe male-
-Va bene, stai tranquilla- la rassicura lei -svolto di qui, vero?-
-Sì sì di qua. Quando entri in città, devi proseguire fino al semaforo, poi ti dico dove girare-
-Ok-
Linda sembra un treno in corsa, non si ferma un secondo:
-Senti, posso chiederti una cosa?-
-Dimmi- risponde titubante Aurora, la paura che qualcuno sia venuto a conoscenza dei suoi segreti.
-Perché sei venuta proprio in paese ad abitare? L’altra sera, quando sei venuta a cena da noi, non ho ben capito-
-Ve l’ho detto, ho bisogno di stare un po’ da sola … - cerca di spiegare con tranquillità, le mani che stringono un po' troppo forte il volante.
-Sì, va bene, ma potevi scegliere un’altra città: quello che voglio dirti è che è difficile che una persona della città voglia venire da noi, avete delle abitudini troppo diverse. Di solito succede il contrario, anche se d’estate ci sono un sacco di stranieri: francesi, tedeschi, svizzeri … -
La forestiera fa un respiro profondo e, schiarendosi la voce, prosegue:
-Hai ragione. Però è difficile da dire, ma visto che tu prima mi hai svelato un segreto, posso provare a spiegartelo. Vedi, non mi trovavo più bene dove abitavo prima, lì c’erano delle persone che mi hanno detto delle bugie e altre a cui voglio molto bene ma non so come dimostrarlo-
-Sei innamorata?-
Ora Linda si gira a guardarla con maggiore interesse, mentre Macchia tenta di sgusciarle dalle mani, spaventato da un lieve dosso che hanno appena superato.
-Sì, diciamo di sì … -
-Se non sono troppo indiscreta, posso chiederti che bugie ti hanno raccontato?-
-Delle bugie molto gravi e cattive: hanno cercato di farmi perdere il lavoro e … -
-E’ vero, non ce lo hai ancora detto! Cosa fai?-
-Disegno vestiti-
-Che bello! Io non sono brava a disegnare-
-Posso sempre insegnarti-
-Mi piacerebbe, ma preferisco la musica. Comunque, cosa stavi dicendo?-
-Che ci sono state delle persone che mi hanno fatto soffrire. Adesso sto cercando di dimenticare, per questo ho scelto il vostro pese. Qui nessuno mi conosce ed è tutto molto diverso dalla città-
-Lo so, ma è questo il bello, almeno per chi non è nato qui. Ecco siamo arrivati- la interrompe Linda, indicando un cartello poco distante - devi svoltare alla seconda strada a sinistra, lo studio di Ginevra è il primo sulla sinistra -


Quando escono dallo studio veterinario, il cielo è limpido e sereno: ci sono ancora un paio d’ore di luce.
-Sono contenta che Macchia stia bene- dice Linda, accarezzando il felino tra le mani di Aurora.
-Già, anch’io. Senti, cosa vuoi fare adesso? Possiamo andare a comprargli un paio di quei pacchi di croccantini che ci ha consigliato la tua amica, un trasportino, e poi per noi che ne dici di un buon gelato?-
-Oh sì, è un’idea fantastica! Qui vicino c’è un negozio per animali, e poco più in là una gelateria!-
-Allora affare fatto!-
-Affare fatto!-


La città ha un aspetto molto differente da quella che ha abbandonato: questa è sicuramente più piccola, è un paese allargato, ma non ha niente in comune con esso. Le sue strade brulicano di passanti, di qualche macchina e soprattutto di biciclette.
Il ritmo sembra meno frenetico delle grandi città e il paesaggio non è fatto solo di asfalto e cemento, perché ci sono le montagne e il lago a ricordare che è un posto fuori dal mondo.
-Sarà meglio che andiamo, si sta facendo tardi e non vorrei che tua madre si preoccupasse- hanno terminato i loro due coni di gelato e ora stanno facendo una passeggiata tra le vie, in attesa di ritornare alla macchina.
-Aspetta, passiamo da questa parte. Ti faccio vedere una scorciatoia- suggerisce Linda, il guinzaglio nella mano destra, che la forestiera ha voluto comprare per Macchia.
In città ho visto qualche gatto che ce lo aveva, si è giustifica, sebbene le sembri un'idea sciocca.
-Non è che ci perdiamo?-
-Ma no, sono passata di qua centinaia di volte, non preoccuparti!-
La via che stanno attraversando è stretta e leggermente in pendenza: su entrambi i lati si affacciano delle case di recente costruzione o messe a nuovo da poco, per il resto non c’è nulla.
Quando arrivano all’uscita del vicolo, si ritrovano in una piazzetta con il pavimento acciottolato, le logge scolpite dei palazzi con le colonne di granito sormontate da capitelli in stile dorico.
Su di un lato, svetta una costruzione massiccia e quadrata di pietra scura e rettangolare.
-Questa è la torre di guardia- spiega Linda -risale al 1300 e faceva parte delle vecchie mura che circondavano la città. Questa a sinistra invece è piazza della Fontana: ci fanno il mercato ed è antichissima. Tutte le colonne, i balconi e i palazzi che vedi sono originali e hanno più o meno la stessa età della torre. A me piacciono molto perché sono coloratissimi e poi danno una forma particolare alla piazza, perché sono un po’ alti e un po’ bassi e se li vedi da lontano sembrano storti. Ecco, adesso se proseguiamo da questa parte arriviamo dritte dritte alla macchina-
La ragazza guarda attenta tutto quello che le mostra la bambina.
A un certo punto si ritrovano a passare in un vicolo stretto e antico, con un arco a sesto acuto che lo sovrasta.
Affascinata da quell’architettura così antica eppure così viva, la forestiera mormora:
-Avrei dovuto portare la macchina fotografica ... -
-Cosa?- le domanda Linda, girandosi verso di lei.
-No, dicevo che mi sarebbe piaciuto fare delle fotografie. Sono posti molto belli, non ho mai visto nulla di così speciale-
-Possiamo sempre tornarci e io posso farti da guida ufficiale, se vuoi-
Lei annuisce e prende in braccio Macchia che comincia a miagolare, forse contrariato da quello che per lui è un lungo viaggio.
-Poverino, me ne stavo quasi dimenticando. Dev’essere stanco: prima il veterinario, poi questa passeggiata-
- Non è abituato, ma non ti preoccupare, siamo arrivati. Lì c’è la macchina-
-Tieni tu Macchia … -
Lei e Linda prendono posto in auto e si avviano verso il paese.
-Mi sento un po’ in colpa … - riprende Aurora, dopo una manciata di secondi in silenzio.
-Perché?-
-Oggi avrei dovuto iniziare il progetto per la mostra fotografica … -
-Ah sì, in paese tutti ne parlano!-
-Me ne sono accorta. Però, dal momento che siamo venute qui, non ho potuto cominciare e ho paura di non riuscire a finire in tempo-
-Se ci metti d’impegno, sicuramente ce la farai. A proposito, cosa devi fotografare?-
-Tutte le fasi di preparazione della festa: per prima cosa vorrei fare qualche scatto ai carri dei vari rioni, che è la parte del lavoro che più mi preoccupa, perché dovrò andare da chi li tiene e chiedere di mostrarmeli. So che c’è una sorta di segreto sulla loro realizzazione-
-Oh, ma questo non è un problema: mio zio è stato scelto come rappresentante del nostro rione, domani è domenica e se glielo chiedo, ti farà sicuramente vedere il carro. Lui poi potrebbe chiederlo agli altri e così potrai fare tutte le fotografie di cui hai bisogno!-
-Sarebbe un ottimo punto di partenza, anche se oggi pomeriggio il sindaco mi ha già detto che si sarebbe interessata … allora verrò da voi appena avrò finito con i contadini- dice lei svoltando per il paese.
-Cosa c’entrano con la festa?-
-Ho intenzione di fare qualche scatto e magari qualche disegno del lavoro nei campi, perciò domani mattina mi dovrò alzare molto presto-
-Che bella idea! Non vedo l’ora di vedere i ritratti!-
-Te li farò vedere in anteprima, promesso!-
Dieci minuti più tardi sono davanti alla bottega del paese.


Quando torna a casa, Aurora e Macchia sono molto stanchi.
Si prepara un piatto di pasta al pesto e finita la cena sale in camera.
Punta la sveglia per le cinque e si sdraia sul letto: ha trascorso un bel pomeriggio in città con Linda, ma non è contenta di quello che le ha raccontato.
Non avrebbe dovuto dirle tutte quelle cose sul suo passato, la storia delle bugie, della quasi perdita del lavoro, del suo essere innamorata …
E’ sempre stata una bambina e una ragazza piuttosto introversa, timida, che faticava a relazionarsi con le persone: dava fiducia solo dopo averle sottoposte ad una severa occhiata interiore e, spesso, nonostante tutte queste precauzioni, rimaneva delusa e abbandonata.
Guarda il soffitto intonacato chissà quanto tempo prima, scrostato in più punti, l’enorme lampadario con gocce di cristallo lucenti e bianchissime, quasi a confondersi con i muri.
Chissà chi  dormiva in questa camera? si domanda, mentre un brivido le percorre la schiena.
La storia del fantasma non la turba per nulla, tuttavia quando ripensa a Teresa, a quella giovane donna seppellita chissà dove, le viene sempre una malinconia, una tristezza che quasi non sa spiegare.
Di lei rimane solo una sbiadita fotografia da ragazzina, ormai quasi un secolo prima.
Ha avuto una vita infelice, non è riuscita a scegliere e ad imporre le sue idee, io non farò così.
Chiude gli occhi e rivede ancora nitida la scena davanti a lei: la madre che le rivela l’esistenza di un fratello avuto da una relazione appena sposata … lei che rischia di essere licenziata perché non scende a compromessi con il suo dirigente, abituato ad avere tutto e tutti, subito e sempre, senza prima fermarsi a pensare se quello che è giusto per lui sia invece sbagliato per gli altri … lei che non vince il concorso per diventare capo assistente.
E poi quel sorriso perfetto, i suoi occhi così espressivi, le mani ad accarezzarle il volto …
Affonda la testa nel cuscino: non riesce più a reggere quei ricordi, vorrebbe poter bere una pozione, una tisana, una brodaglia, qualsiasi cosa che le permetta di dimenticarsi del suo passato e, come in una preghiera muta ma disperata, nel giro di pochi minuti si ritrova tra le braccia accoglienti di Morfeo.



DOMENICA 23 LUGLIO


Le cinque: la sveglia suona puntuale.
Aurora si rigira nel letto, apre controvoglia gli occhi e per un momento non ricorda più dove si trova.
Si alza a sedere e si passa una mano tra i capelli e, come quando si toglie la polvere da una superficie che prima era perfettamente pulita, tutto le ritorna in mente: oggi è il gran giorno, oggi inizia a lavorare al progetto, deve andare nei campi a fotografare i contadini con i loro animali e poi passare dallo zio di Linda per vedere il carro del loro rione.
Si veste in fretta, ha paura di essere in ritardo, mangia qualche biscotto e beve un bicchiere di latte, ne dà un po’ a Macchia e finalmente, la macchina fotografica e i fogli nella borsa a tracolla arancione, esce dalla casa rossa.
Attraversa il viale in pendenza, la lunga strada stretta che porta alla piazzetta, si lascia alle spalle la parte moderna del paese e arriva nei campi: il sole deve ancora sorgere, c’è solo qualche schizzo vermiglio a macchiare il cielo, ma i contadini sono già pronti per la giornata.
Sono intenti a parlare, forse si stanno dividendo il lavoro.
Poche centinaia di metri più in là, dentro un grande recinto di legno, una ventina di mucche bruca con gusto l’erba rigogliosa: sembrano essersi accorte della presenza estranea, le code brevi e sottili che si muovono a scatti come in una danza rituale, le orecchie piccole in quei musi allungati e tozzi, fremono e si arricciano verso l’interno per poi drizzarsi al minimo rumore o segnale di allarme.
La forestiera rimane in disparte a osservare quella scena che tanto assomiglia a un quadro di Courbet, uno dei suoi pittori preferiti.
Stringe tra le mani la cinta allungabile della tracolla arancione, forse per farsi coraggio, e in quel gesto di sfregamento contro il tessuto di similpelle, sente i palmi delle mani bagnarsi di sudore freddo.
Davanti a sé è come se avesse un dirupo, un precipizio, un abisso di cui non riesce a vedere il fondo, ma sa che è nero, che è buio e se dovesse cadervi, non potrebbe più tornare indietro.
La solita tipica e infantile indecisione la attanagliano, divorandole il cervello: ha come un ripensamento, così all’improvviso, senza un motivo realmente valido, si sente fuori luogo, avulsa da quel mondo rurale che le appare davanti.
L’estensione dei campi bruno oro e le distese di foraggio, gli animali al pascolo, gli stessi contadini nei loro abiti da lavoro, tutto non ha nulla a che fare con lei.
Stupida vigliacca, stupida testona, come puoi aver paura di una cosa che nemmeno conosci?
Prende un respiro profondo che le comprime il diaframma più del dovuto e distoglie lo sguardo per cercare di recuperare un po’ di coraggio per affrontare … cosa? Un gruppo di uomini e donne che ancora non si è accorto della mia presenza?  
Si volta verso la strada da cui è venuta, e subito capisce che non può tornare indietro, che è lì per compiere una missione, per dimostrare al paese quanto sia capace di scattare delle belle fotografie e disegnare ritratti a carboncino.
Non può e non vuole tornare indietro a mani vuote, così a passi decisi, si avvicina al gruppo:
-Buongiorno- la voce risuona sicura, per nulla velata dall’incertezza di pochi istanti prima.
Le donne e gli uomini si voltano a guardarla, un impalpabile stupore misto a curiosità appare sui loro volti che, subito, si trasformano in maschere imperturbabili da decifrare.
-Buongiorno. Lei è la signorina forestiera, vero?-
Sorride imbarazzata e annuisce con convinzione:
-Sì, sono io. Scusate se vi disturbo, ma avrei bisogno di farvi delle fotografie per la mostra che verrà allestita alla festa del paese, non so se ne avete sentito parlare … -
-Certo che lo sappiamo, il sindaco ci ha avvisato. E poi tutta questa storia è diventata la novità di quest’anno, non si parla d’altro ormai-
Aurora rimane interdetta da quelle parole: non mi aspettavo di certo un’ accoglienza trionfale, ma un po’ più di educazione sì.
Vedendo che la sua interlocutrice non ribatte, il gentiluomo prosegue ad elencare gli ultimatum:
-Ci può fare tutte le fotografie che vuole, basta che non facciamo troppo tardi, i campi e le bestie non possono aspettare-
E’ alto e molto abbronzato, il viso incorniciato da radi capelli bianchi, le braccia quasi ustionate lasciate nude dalle maniche della camicia a quadri arrotolata fino ai gomiti.
I pantaloni di tela grezza, di un indefinito colore tra il nero e il marrone, sono disseminati da rattoppi e pieghe più o meno appariscenti, forse per l’orlo casalingo che è stato effettuato da mani per nulla esperte.
Robuste scarpe di cuoio, molto simili agli scarponi di montagna, fanno capolino da quella stoffa: anch’esse un tempo dovevano essere del colore della pece, ma adesso quella tinta è ormai sbiadita dai numerosi lavaggi e dal trascorrere del tempo.
Qualcosa dice alla ragazza che deve essere Giovanni, il burbero del paese: i suoi occhi cerulei non sono affatto malvagi, contrastano amabilmente in quel viso dai lineamenti duri, gli zigomi alti e la mascella squadrata e, anche lei come Roberta alla riunione del Comitato in parrocchia, pensa che dev’essere un brav’uomo, nonostante il carattere poco incline a esprimersi con un po’ più di gentilezza.
 -Bene, meglio così. Non c’è bisogno che stiate in posa, dovete essere il più naturale possibile, fate come se io non ci fossi-
Le donne e gli uomini si guardano, il loro è un discorso muto, fatto di sguardi. Alla fine l’uomo che ha appena parlato annuisce:
-Faccia come vuole. Allora noi iniziamo a lavorare, ci dica lei quando può bastare-
Il gruppo si disperde, composto e solenne si appresta a compiere le sue mansioni.
Aurora si sistema in un angolo del campo, non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino, cercando di dare il sole alle spalle, ma è difficile perché la luce si sta propagando velocemente nel cielo.
Finalmente trova il momento e il luogo adatto, toglie il copri obbiettivo e inizia a scattare.
Le mani scorrono sicure sulla macchina fotografica, la forestiera la maneggia con presa salda, si muove delicatamente per i campi, non vuole fare rumore, non vuole disturbare il lavoro dei contadini.
Quando è certa di aver fatto abbastanza fotografie, si siede per terra, sull’erba soffice.
Ritira il dispositivo nella borsa a tracolla e tira fuori i fogli e il carboncino.
Adesso il sole ha preso il posto più alto nel cielo, e illumina il paesaggio sottostante.
La giovane prosegue il lavoro facendo qualche schizzo che vada a ritrarre le mucche: alcune stanno pascolando, altre sono accovacciate per terra, altre ancora muggiscono, ma tutte, appena si muovono, fanno ondeggiare il campanaccio che hanno al collo, provocando un concerto troppo intenso e rumoroso per le sue orecchie non abituate.
Ci sono un paio di donne intente a rivoltare le balle di fieno e anche quelle finiscono per essere ritratte.
Sebbene non sia troppo vicina al gruppo, la forestiera distingue il sudore e la fatica imperlare le fronti dei braccianti.
Hanno dedicato, e continuano a farlo, le loro esistenze alla campagna e agli animali, riflette la ragazza, mentre vengono ripagati dall’immensa stanchezza che li accompagna ogni giorno, con il caldo torrido dell’estate e il freddo pungente dell’inverno. Non sanno che cos’è il divertimento spensierato, il fare tardi la sera e l’alzarsi oziosi il mattino successivo. A loro basta questo, perché è la loro vita. Perché questa è stata, è e sarà la loro scelta.
Riguarda gli schizzi a carboncino: è abbastanza soddisfatta, crede che così possa bastare. Li infila nella tracolla arancione insieme al resto, poi si alza e si avvicina all’uomo più anziano del gruppo, quello a cui ha rivolto la parola poco prima:
-Mi scusi, io avrei finito. Spero che gli scatti che ho fatto saranno di vostro gradimento. Grazie ancora e buon lavoro-
-Tutto qua? Credevamo ci sarebbe voluto l’intera mattinata. Non penso di essere molto adatto come modello, ma siamo curiosi di vedere cosa ha combinato … -
-Non svilupperò le foto prima di un paio di giorni e poi le porterò al Comitato feste perché le scelgano ...-
-Allora speriamo che facciano una bella scelta, arrivederci-
Lei sorride e se ne và con il suo bottino nella borsa, prima che a qualcuno venga in menta di trattenerla con altre domande.




NOTA DELL'AUTRICE:

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino in fondo e a chi, spero, vorrà lasciare un breve o lungo commento che sia!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e mi scuso se ho pubblicato in maniera così ravvicinata, ma prima di una decina di giorni non potrò farlo, quindi non volevo lasciarvi ...a bocca asciutta!
A presto!

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Capitolo 8
*** I carri e le galline ***



I carri e le galline 

Ormai sono quasi le undici: il sole è il padrone indiscusso del cielo, limpido e di un azzurro intenso.
Né una foglia né uno stelo si muovono, sotto quella calura estiva, l'unica che sembra non esserne toccata è l'acqua del riale, così invitantemente fresca e dall'andamento ciclico, persino monotono.
Aveva ragione Eraclito, "tutto scorre", e come quel liquido limpido, nulla ritorna nella sua condizione originaria, ogni cosa muta, attimo dopo attimo, incessantemente.
Aurora, dopo essersi assicurata che Macchia fosse ancora nel giardino dove lo aveva lasciato cinque ore prima, sta andando a casa di Linda per sapere se suo zio ha accettato di farle vedere il carro.
Si accorge che in quella parte del paese, a ridosso della via principale, non c’è abitazione, negozio o insegna che non sia decorata con i festoni blu, verdi e marroni, gli stessi colori che campeggiano anche nello stemma del paese, a rappresentare rispettivamente il cielo e il lago, la vegetazione e le montagne.
Pendono ordinati sulle ringhiere dei balconi e lungo le imposte, rendendo l’intera strada un tripudio carnevalesco.
Da lei, su alla villa, l’unica casa è la sua, ed essendo arrivata da poco, forestiera com’è, non conosce ancora la tradizione di rivestire con quelle decorazioni le abitazioni del paese durante i giorni precedenti la festa di fine luglio.
La sua passeggiata termina in pochi minuti, ritrovandosi davanti alla villetta della bottegaia, facendole abbandonare quelle riflessioni.
La ragazza bussa alla porta senza metterci troppa forza, mentre osserva incuriosita le finestre della casa, perfettamente addobbate.
Pochi istanti dopo, le viene ad aprire un uomo alto, dai capelli sale e pepe e gli occhi grigioverdi: vuoi vedere che Linda è stata così premurosa da farlo venire qui, credendo che magari potessi perdermi per il paese? pensa Aurora, sicura di aver riconosciuto la persona di fronte a lei.
-Buongiorno, si ricorda di me? Sono la nuova inquilina della casa rossa, è venuto a ripararmi l’impianto d’illuminazione pochi giorni fa … -
-Veramente io non l’ho mai vista, ma ho capito chi è. Si sta confondendo con mio fratello gemello, è lui l’esperto in manutenzione!-
La forestiera sorride imbarazzata: ma certo, quei due uomini si assomigliano in modo incredibile e lei ha semplicemente fatto un po’ di confusione.
Mentalmente si dà della sciocca, poi ad alta voce cerca di darsi un certo tono:
-Oh mi scusi, allora lei è il padre di Linda … -
-Sì, sono io. Ha bisogno di qualcosa?- continua l'uomo, invitandola, con un gesto della mano, ad entrare.
-No, grazie, non sono venuta a disturbare. Sua figlia ieri mi ha detto che mi avrebbe fatto parlare con lo zio per mostrarmi il carro del vostro rione. Non so se ne ha sentito parlare, ma il Comitato feste mi ha incaricato di … -
-Sì, so già tutto- la blocca con un sorriso e un'alzata di spalle  -mia moglie mi ha informato almeno una decina di volte!-
Aurora lo fissa imbarazzata per qualche secondo, distogliendo poi l'attenzione e posandola sul gatto arancione che sta uscendo dalla porta d'entrata, Blasco, se si ricorda bene il nome del felino che le ha confessato Linda, appena il giorno prima.
-Comunque, la casa di mio fratello è molto semplice da raggiungere. Prosegua per la strada principale: alla fine, sulla destra, troverà una casetta bianca con le persiane verdi, è l’unica di quel colore nelle vicinanze!-
-Grazie- risponde la ragazza, smettendo di adocchiare gli eleganti movimenti di stiracchiamento del gatto 
-è stato molto gentile e mi scusi ancora per l’inconveniente ... -
-Non si preoccupi, quando eravamo piccoli anche nostra madre si confondeva! A presto e buon lavoro-


Dieci minuti più tardi, Aurora è al cancello dell’abitazione indicatale dal padre di Linda.
Sta per suonare il campanello, quando vede un uomo tagliare il prato in giardino, così agita una mano per attirare la sua attenzione:
-Scusi! Mi sente?!-
Dopo tre o quattro volte di quel richiamo apparentemente muto, l’uomo si gira, le fa un cenno di saluto, spegne il tosaerba e si avvicina al cancello di assi in legno, dipinte di verde.
-Buongiorno! Funziona adesso la luce, su alla casa rossa?-
-Funziona tutto alla perfezione, grazie-
La forestiera ricambia la cordiale e vigorosa stretta di mano dell'uomo in tenuta da lavoro, davanti a lei, il sorriso sincero ad incurvargli le labbra.
-Bene, mi fa piacere. E’ venuta qui per vedere il carro, vero? Mia nipote ieri sera mi ha telefonato e mi ha  spiegato tutto. Prego, la faccio entrare-
Lo zio di Linda apre il cancelletto: la forestiera si ritrova a percorrere un viottolo di terra protetto da entrambi i lati da due file di ciottoli ornamentali e cespugli di agrifoglio, il profumo di erba appena tagliata le stuzzica piacevolmente le narici.
-Vuole bere qualcosa? Le posso offrire dell'acqua o una limonata?-
-No, non grazie, sono a posto così- risponde Aurora, le mani a rovistare nella tracolla arancione, alla ricerca del suo quaderno dei disegni, della matita e del carboncino.
-Se cambia idea, non faccia complimenti, la prego-
La ragazza assicura con un gesto della mano che va tutto bene.
-Allora mi segua, da questa parte, le mostro il carro!-
I due si avviano sul retro della casa, dove è stato coltivato un piccolo orto da cui spuntano tra l’altro zucchine, cespi di lattuga e file di piantine di pomodori ciliegino.
L’uomo tira fuori dalla tasca dei pantaloni un mazzo di chiavi, ne sceglie una particolarmente tozza e arrugginita, e con quella apre la rimessa, la porta in legno che cigola rumorosamente.
-Ecco qua! Lo abbiamo finito appena due giorni fa. E’ tradizione che i carri non vengano mostrati prima della sfilata, quindi la prego solo di non fotografarlo per intero, altrimenti non sarebbe più una sorpresa per il resto del paese-
-Sì, lo so, non si preoccupi, mi limiterò a fare qualche scatto-
Aurora si avvicina all’oggetto che poi andrà a rappresentare il rione: accarezza con dita insicure la base rettangolare di legno chiaro, sovrastata da manichini di cartapesta che ritraggono contadini dal volto triste. Alcune donne, le mani congiunte, reggono una candela ciascuna, anche i loro visi sono affranti e molto realistici. Poco più in là, nella parte anteriore del carro, la scena è più festosa, ci sono tre bambini in cerchio, hanno il volto che guarda all’insù, sembra che ridano, e danzano tenendosi per mano:
-Sa già il perché della festa?-
Lei si ridesta da quell’ipnotico spettacolo: l’uomo, le braccia conserte, abbozza un sorriso nella sua direzione, indicando poi il capolavoro davanti a loro.
-S-ì, sì, me lo hanno spiegato alla riunione del Comitato, l'altra sera ...-
-Meglio così, non ci sarà bisogno che le dica nulla, allora!-
-Infatti. E’ molto bello, lo ha decorato da solo?- continua la ragazza, additando il lavoro.
-No, sarebbe impossibile: è un lavoro immane, che richiede tanto tempo e dedizione! La persona che il Comitato sceglie per realizzare il carro può, anzi deve, essere affiancato da altri! Ogni anno viene cambiata, a turno; lei, in questo caso io, dirige i lavori, sceglie il soggetto, si preoccupa di reperire il materiale, ma se ha bisogno di aiuto, chiunque del suo stesso rione lo può aiutare: carpentieri, falegnami, fabbri, gente che sa maneggiare gli attrezzi per intenderci, ma anche persone con un po’ di volontà e di testa-
-In che senso?- prosegue interessata Aurora, mentre continua ad osservare la scena che le si staglia davanti.
-Beh, è vero che ci vuole grande manualità, come le ho detto, però è importante il buon senso nel scegliere, nel preparare e fare le cose. E’ un po’ come la realizzazione di una ricetta elaborata: il cuoco è il punto fermo, la certezza attorno al quale si muovono i suoi assistenti.
Tutti devono darsi da fare ma allo stesso tempo non devono prevaricare l’uno sull’altro. Si può riassumere come un lavoro di squadra, se preferisce …  -
-Non sempre è facile, vero? – la forestiera continua il suo giro di perlustrazione, un’occhiata al trattore da cui spicca l’opera appena conclusa, un’altra all’uomo di fronte.
-Infatti non lo è. Ci vuole coordinazione e un pizzico di modestia. Anche se, molto spesso, le discussioni sono all'ordine del giorno!-
-E per quanto riguarda i soggetti dei carri? Cambiano ogni anno?-
-Non proprio, in realtà finiscono per ripetersi a distanza di due o tre edizioni: c’è la botte di vino a simboleggiare i festeggiamenti, il paese in miniatura, la processione, il campanile con la base sommersa dall’acqua, i contadini disperati. Io, ad esempio, quest'anno ho voluto rappresentare l’ultima scena che le ho appena detto, uomini e donne che piangono perché credono di aver perso il raccolto, ma subito dopo ci sono i bambini che ridono per il miracolo che si dice abbia salvato il nostro paese dalla carestia: ho cercato di fondere la felicità con la tristezza, ma sarete poi voi spettatori a giudicare!- spiega l'uomo, avvicinandosi alla sua opera, e mostrando ad Aurora i dettagli della realizzazione.
-Da profana in materia, direi che c’è riuscito molto bene …- conferma la ragazza che, voltandosi nuovamente verso l’uomo, continua:
-Mi piacerebbe fotografare i volti dei suoi manichini, se non le dispiace-
-Certamente-
-Senta, un’ultima cosa, crede che se mi presentassi dagli incaricati degli altri rioni, mi farebbero vedere le loro opere? Il sindaco l’altro giorno ha detto che li avrebbe contattati, ma poi non mi ha più fatto sapere nulla-
-Come non lo è stato per me, credo non sarà un problema nemmeno per loro! L’importante è che non vada a dire in giro i carri che ha già visto e che si limiti a fotografare qualche particolare qua e là, come sta facendo adesso-
-Va bene. Mi può dare lei i nomi degli altri rappresentanti?-
-Non si preoccupi, faccia le sue foto e poi le spiego tutto-



All’ora di pranzo, la forestiera ha concluso il suo giro: è riuscita a fotografare quello che le interessava ed è abbastanza sicura di aver fatto un buon lavoro.
La parte della mostra che riguarda la tradizione si può dire conclusa, adesso le rimane da ritrarre i preparativi veri e propri della festa.
Per questo però ha bisogno di mettersi d’accordo con i membri del Comitato, così decide di telefonare alla bottegaia, la signora Liliana.
-Pronto?-
-Linda? Ciao, sono io-
-Ciao, come è andata? Papà mi ha detto che sei passata: mi dispiace che non ci siamo incontrate, ma ero a casa di una mia amica … -
-Non preoccuparti, è stata una giornata meravigliosa: ho fatto tante fotografie e disegni! Quando andrò in città a svilupparle, se vuoi puoi accompagnarmi, che ne dici?-
-Quindi li posso vedere in anteprima?!-
-Se vuoi domani puoi venire da me, così le vediamo insieme sul mio computer … -
-E’ una bellissima idea! Questa volta però ti porto io qualcosa: preparerò un dolce con le mie mani!-
-Brava, affare fatto! Allora ti aspetto domani. Ascolta, ora però ho bisogno di parlare con tua madre, è in casa?-
-Sì, te la passo subito … ci vediamo presto, ciao!-
La ragazza rimane in attesa per qualche secondo, poi la voce familiare della donna la saluta:
-Pronto, Aurora, come va?-
-Buongiorno, molto bene. Questa mattina sono andata in giro per i rioni a vedere i carri: sono tutti magnifici, hanno fatto un bellissimo lavoro!-
-La sento entusiasta, è un ottimo segno! Ogni anno non rimaniamo mai delusi, quindi le credo ciecamente. Mi dica, ha bisogno di qualcosa?-
-Sì, l’ho chiamata perché devo chiederle un favore: vorrei cominciare a fotografare la preparazione della festa, se non mi sbrigo temo di non fare in tempo, solo che non so da che parte posso iniziare. Lei ha qualche idea?-
-Per questo deve chiedere ad Adele, è lei che si occupa degli annessi e connessi, del dietro le quinte, per intenderci!-
-Adele è la donna dai capelli ricci che ho incontrato alla riunione in parrocchia?-
-Sì, proprio lei-
-E mi sa anche dire dove abita?-
-Ha presente la casa blu a due piani un paio di porte oltre la bottega? Ecco lei abita lì-
-Va bene, credo di esserci passata qualche giorno fa. Andrò a trovarla oggi pomeriggio. Grazie per la sua disponibilità-
-Si figuri, arrivederci –


Il pomeriggio, Aurora esce dalla villa per andare da Adele: quando arriva davanti all’abitazione, trova il cancelletto in ferro battuto aperto.  
Si guarda intorno, ma non vede citofoni per avvertire la donna della sua presenza.
Così, cautamente, attraversa il viottolo che divide il giardino, dove in una mezza dozzina di aiuole egregiamente curate, margherite e tulipani ondeggiano al ritmo della leggera brezza pomeridiana.
All’improvviso sente uno schiamazzare soffuso e poco convinto, come di qualcuno che si diverta a riprodurre il verso dei qualche volatile. Sembrano … galline!
La forestiera si gira versa la sorgente di quel rumore, mentre una scossa le attraversa il cuore: cinque ovaiole, di cui due cocincine, una meticcia bianca e altre due livornesi fulve, chiocciano ora più forte e cominciano a muoversi come in una danza rituale, il collo allungato avanti e indietro, sempre più vicine a lei.
Presa dal panico, Aurora comincia ad avvicinarsi il più fulmineamente possibile alla solida porta d’entrata, distante solo un paio di metri eppure così incredibilmente irraggiungibile.
-C’è qualcuno? Per favore, mi apra!-
Le bestie assassine si avvicinano compatte tra di loro come per consultarsi, poi si disperdono nel retro del cortile, dispiegando le ali che, così facendo, perdono qualche piuma, non più attratte da quella forestiera visitatrice.
Lei bussa di nuovo, nel caso in cui la sette delle streghe sotto le mentite spoglie di quelle cinque galline, ricompaia per impadronirsi della straniera.
Finalmente il rumore della serratura la distoglie da quei terrificanti pensieri e, girandosi verso la porta, si ritrova il viso sorridente della donna dai capelli ricci e scuri che ha incontrato alla riunione del Comitato feste, appena due giorni prima:
-Buon pomeriggio… scusi il disturbo, ma ho bisogno di parlarle-
La signora Adele l’accoglie con un cordiale sorriso: le mani al vento per lasciare asciugare lo smalto, lo scamiciato a righe verdi e blu, e poi la voce acuta che la invita ad entrare.
La casa è ben curata, l’arredamento è essenziale: il salottino dove si accomodano ha le pareti color pesca e i mobili in rovere, mentre da un’ampia vetrata entra la luce calda del sole.
Un largo tappeto color zafferano divide i due divani cremisi posti l’uno di fronte all’altro.
-Allora, cosa l’ha spinta a venire a trovarmi? A proposito vuole del caffè, del tè freddo, succo di frutta, un analcolico …?- domanda la donna, soffiando sulle unghie.
-No, grazie, un bicchiere d’acqua andrà benissimo- si riprende la ragazza.
-D’accordo. Torno subito-
Ciabattando fino alla cucina, pochi attimi dopo, la donna ricompare con una caraffa di acqua dentro cui galleggiano un paio di cubetti di ghiaccio, mentre nell’altra mano tiene pericolosamente in bilico due bicchieri di vetro colorato, dimenticandosi dello smalto appena steso:
-Ecco qua, si serva pure. Dicevamo?-
La forestiera beve qualche sorso, poi, con il tono un po’ titubante, comincia a spiegare:
-Vede, ho bisogno di fare qualche foto per la mostra. La signora Liliana mi ha detto che è lei ad occuparsi della preparazione della festa, per questo mi sono permessa di disturbarla … -
-Per così poco, mia cara! In effetti è la seconda volta che il Comitato mi ha delegato per questo compito delicato: l’anno scorso, infatti, mi sono messa in aspettativa dal lavoro, e in questo modo ho più tempo per dedicarmi alle cose, diciamo così, futili. Sa già in cosa posso esserle utile?
-Avrei pensato alle torte e ai fiori per il concorso … -
-Le torte le consegnano il giorno prima dell’inizio della festa, quindi per il momento non se ne può fare nulla- spiega desolata  -per i balconi però sì! Se vuole possiamo andare insieme dalle comari che partecipano alla gara, non sono tante, sempre le solite otto dell’anno scorso, a dir la verità. Sono sicura che potranno farle vedere i vasi con i fiori: le assicuro che sono delle autentiche opere d’arte!-
-Va bene, la trovo un’ottima idea. Quando è disposta ad accompagnarmi?-
-Anche subito, se non ha impegni. Si sarà accorta che al pomeriggio il paese è praticamente deserto, chi non è al lavoro è a casa a riposare. Non ci vorrà molto, promesso!-
-Se è così, sono disponibilissima. Ah, un’altra cosa: con le fotografie che farò oggi pomeriggio, avrei concluso la preparazione della mostra, così pensavo di andare in città per svilupparle, ma sono talmente tante che non so da dove cominciare. Magari voi del Comitato potete darmi una mano a sceglierle ... -
-Direi che per prima cosa dovrebbe farle vedere al sindaco: dal momento che è lei il rappresentante più in vista del nostro Comitato, credo le farebbe piacere vedere in anteprima gli scatti. Poi, per la scelta, se è d’accordo, penso che potremmo affidarle completamente il compito: sarà ancora più bello vedere le fotografie il giorno della mostra!-
Un risolino un po’ isterico le piega gli angoli della bocca.
-A me … ?- domanda la forestiera, dopo aver bevuto un altro sorso d’acqua: la gola le sta diventando secca, un prurito le pizzica la lingua, mentre i palmi delle mani cominciano a bagnarsi di insensata paura.  
-Vede forse qualcun altro, oltre a noi, in questa stanza? Mi scusi un attimo … -
La donna si alza dal divano, si dirige verso il piano della credenza posta sulla parete dietro al sofà e, con voce serafica, domanda:
-Biscotti?-


Quello che avrebbe dovuto essere un sopralluogo piuttosto veloce, si rivela invece un lungo peregrinare per le case del paese.
Le comari hanno la lingua assai sciolta e cominciano a raccontare alla forestiera episodi della loro vita: le offrono torte, caramelle, cioccolatini, bibite e tutte sono ovviamente orgogliosissime dei loro balconi fioriti.
Ora ha davvero così tanto materiale da poter allestire anche due mostre fotografiche.
Ritorna alla casa rossa affaticata e sonnolente: al posto dello stomaco le sembra di avere un macigno, tanto ha spiluccato di qua e di là, senza tenere conto poi dei bicchieri di limonata e di tè freddo che l’hanno obbligata a bere.
Trova Macchia in un angolo del giardino: sta rincorrendo le farfalle, s’infila nel cespuglio lì vicino, per poi uscirne pochi attimi dopo senza troppo entusiasmo.
Con un balzo scansa i vasi di fiori sul davanzale e balza a terra, attutendo dolcemente la caduta grazie ai cuscinetti incorporati sotto le zampe.
Si guarda attorno: nessuna preda da cacciare, solo folti fili d’erba e fiori più o meno alla sua altezza.
Aurora lo chiama, lui scodinzola come un cagnolino e in due rapide mosse la raggiunge.
-Vedo che ti stai ambientando anche tu!- lo prende in braccio, accarezzandolo dietro le orecchie, mentre  il felino comincia a ricambiarla con calde fusa.
-Vieni, entriamo in casa-
Il gatto si dirige in cucina verso la sua ciotola di croccantini e comincia a sgranocchiarli.
Lei invece si siede su una sedia: apre la tracolla arancione e tira fuori la Kodak insieme agli schizzi a carboncino.
Toglie il corpi obbiettivo: schiaccia il pulsante con l’icona della macchina fotografica, in modo che le immagini comincino a scorrere davanti ai suoi occhi stanchi.
Ha fatto più di cento foto: senza farlo apposta, metà sono state scattate durante il lavoro dei campi, l’altra metà ritrae i particolari dei carri e le composizioni di fiori.
Alcune sono venute veramente bene, tanto da sperare che non tocchi a lei scegliere, perché proprio non saprebbe quale scartare.
Appoggia sul tavolo la Kodak, per passare ad esaminare i disegni: in tutto sono una decina, li ha tracciati velocemente e, tenendo conto della grandezza piuttosto scarsa dei fogli, ne accortaccia un paio, perché teme che si vedano troppo i particolari imperfetti di quegli schizzi che non sono riusciti come avrebbe voluto.
Ormai è quasi sera, domani passerà in comune dal sindaco per farle vedere il lavoro che ha fatto e, con il suo benestare, andrà in città per sviluppare gli scatti.
Il telefono squilla: è la prima volta da quando è arrivata due settimane prima che qualcuno la cerca in quel modo.
Il trillo acuto e improvviso fa quasi sobbalzare Macchia, che smette di gustarsi i suoi croccantini.
Guarda interrogativo la forestiera, che si alza dalla sedia e si dirige verso il corridoio per rispondere:
-Pronto?- la sua voce risulta un po’ insicura, forse hanno sbagliato, pensa, ma non è così:
-Ciao, sono Linda- quel saluto flebile e quasi accennato le fa dubitare di aver sentito bene.
-Linda?! Ma perché parli così? Cosa ti è successo?-
-Ho la febbre, quasi 39-
-Mi dispiace, com’è possibile? Fino a ieri stavi bene-
-Lo so, forse l’ho presa oggi quando sono andata in piscina: entravo e uscivo dall’acqua con il vento che mi soffiava alle spalle … - le spiega desolata, sospirando forte nella cornetta.
-Volevo farti vedere le foto. Domani nel pomeriggio, se al sindaco piaceranno, pensavo di andare a svilupparle e, già che eri qui per la merenda, volevo portarti con me. Però, se non stai bene, come rimaniamo d’accordo?-
-Infatti ti ho chiamato proprio per questo. Non credo di riuscire a venire … -
-Facciamo così, dopo che le ho sviluppate vengo a fartele vedere ugualmente. Però non dire a nessuno che le hai viste, è un segreto-  
-Grazie, non vedo l’ora! Allora ci vediamo domani- si assicura sollevata la ragazzina  -vieni quando vuoi, tanto io sono a casa, purtroppo-
-Va bene. Guarisci presto, buonanotte!-
-Anche a te, ciao-
In parte affranta per la notizia della mancata visita di Linda, Aurora rientra in cucina e rimette in ordine gli schizzi di carboncino sparpagliati a ventaglio sul tavolo: li ritira insieme alla Kodak nella tracolla arancione, poi si affaccia alla finestra.
L’orologio del campanile ha appena battuto le otto e mezzo: è una bellissima serata, in cielo non ci sono molte stelle, ma quell’oscurità che avvolge ogni cosa e non le permette di vedere oltre la distesa del lago in lontananza, inspiegabilmente la rassicura, trasmettendole un senso di pace e di tranquillità.
Le sembra il mare capovolto, quel tappeto azzurro sopra di lei, irraggiungibile eppure così vicino, proprio come quando – da piccola- insieme alla sorella Silvia, si divertiva ad immaginare forme reali e irreali, solamente unendo quei puntini luminosi.
Chissà se anche Mattia sta guardando il cielo, chissà cosa sta facendo, se mi sta pensando. Sono sparita così in fretta, che forse mi ha già dimenticata ...
E’ stata una giornata lunga e impegnativa, ma anche estremamente proficua e particolare: le emozioni che ha vissuto -prima con i contadini e poi con i carri- è da tempo che non le risultavano più famigliari.
Credo che andrò a dormire ... si consola, stiracchiando le braccia indolenzite.
Ora, dopo quella giornata insolita, si sente pervasa da un nuovo vigore e da una tranquillità che anelava di trovare durante il suo soggiorno alla casa rossa e che, a metà percorso, è già riuscita a conseguire.

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Capitolo 9
*** Il mostro della pioggia ***


IL MOSTRO DELLA PIOGGIA


LUNEDI’ 24 LUGLIO

La mattina successiva, i rintocchi indistinguibili delle campane in lontananza, Aurora è svegliata dal rumore della pioggia che batte sulla finestra.
La camera è scura, le tende sono tirate e le imposte ancora chiuse.
Sposta malamente il leggero lenzuolo di un azzurro sbiadito che l’ha ricoperta durante la notte, troppo pigra per alzarsi e recuperare un golf o una maglia, dal momento che di coperte non ne ha portate e neppure si è accorta della loro presenza, forse dimenticate in qualche angolo della villa.
L’acqua che scorre, monotona e sfacciata lungo i vetri, le fa percepire una strana sensazione di intimità.
Dormirò fino a quando non mi sveglierò da sola, fino a quando le membra saranno talmente intorpidite e la mente annoiata dalla vista in penombra della stanza, che mi alzerò e andrò a prepararmi una tazza di cioccolata fumante, magari con una spruzzata di panna. Poi tornerò a rintanarmi nel letto, Macchia accoccolato al mio fianco e … non posso!
All’improvviso, infatti, ad Aurora ritorna in mente l’impegno che l’avrebbe tenuta occupata per l’intera mattinata: così, si alza in fretta, con il pensiero di essere in ritardo per andare dal sindaco a mostrarle gli scatti che ha fatto il giorno prima.
Scende le scale velocemente e, in fondo ad esse, trova Macchia che le viene incontro, strusciandosi tra le sue gambe.
-Ciao, piccolo, ora ti do da mangiare- lo saluta la ragazza, il pigiama ancora addosso, una T- shirt grigia e i pantaloncini blu.
Poi, proprio come la sera precedente, lo squillo del telefono, un apparecchio assai antiquato, posizionato su un tavolino circolare all’imbocco del salotto, interrompe quella tranquillità quotidiana.
-Pronto?- esordisce la forestiera.
-Buongiorno, spero di non averla disturbata- la voce del sindaco risuona cordiale come le altre volte, ma adesso sembra più affrettata, quasi sbrigativa.
-No, non si preoccupi. Mi stavo giusto preparando per venire da lei. Volevo portarle i disegni e farle vedere le foto che ho scattato ieri… -
-E’ proprio per questo che l’ho chiamata. Adele mi ha accennato che oggi sarebbe venuta a portarmi il lavoro, però mi deve scusare, perché non possiamo vederci. C’è stata una frana nel paese vicino al nostro, che rischia di scendere ancora più a valle. I Vigili del fuoco hanno indetto una riunione con tutti i sindaci della zona tra meno di un’ora, in città, in Prefettura. Quindi mi dispiace, ma non la posso ricevere. Se la situazione si risolverà, possiamo fare oggi pomeriggio ... mi scusi un attimo, avanti!-
-D’ accordo, non si preoccupi … -
-Entra Fabrizio, siediti. Perdoni l’interruzione … dicevamo? Ah sì, senta, facciamo così: le do carta bianca, scelga le fotografie, i disegni, tutto quello che vuole ... ormai posso dire di fidarmi di lei e credo che potrò farlo anche per il lavoro della mostra. Certo, capisco, ora la devo proprio lasciare, arrivederci e mi scusi ancora- taglia corto la prima cittadina, il respiro quasi affannato e un rumore di carta che scorre sulle dita.
-Si figuri, mi rendo conto che … pronto?!-
Ma il sindaco ha già riattaccato, senza darle il tempo di replicare o di farle percepire la sua vicinanza per quella notizia per nulla positiva.    
Bene, pensa la ragazza, guardandosi intorno, avrò più tempo per fare colazione.



La casa rossa è avvolta da una leggera foschia: la pioggia continua a cadere in piccole gocce fitte e pesanti, ingrossando il letto del riale, di solito così rachitico d’acqua.
Aurora esce sul balconcino della camera da letto e osserva il paesaggio desolante tutto intorno: le montagne più alte quasi non si riescono a vedere, tanto sono avvolte da quella spumosa e inconsistente bruma estiva; il viale di terra battuta che porta fuori dalla villa gronda acqua e già lei s’immagina a come avrebbe fatto ad attraversarlo senza inzupparsi come un pesce nel mare, dovrò comprare degli stivali di gomma quando andrò in città, sentenzia.
D’improvviso, il suo sguardo viene attratto da una figura incappucciata, avvolta in un impermeabile blu notte, che quasi si confonde con il turbinio delle gocce di pioggia.
Nella mano destra, in barba al vento che sta cominciando a soffiare, la sagoma cerca di reggere un ombrello di un colore indefinito, mentre con l’altra trascina a fatica un trolley bordeaux scuro, zigzagando con le ruote per non bagnarle troppo nelle pozzanghere grandi e deformi.
Chissà cosa ci fa in giro con questo tempo, pensa la forestiera, sembra un turista che si è perso, ma non ci sono alberghi in paese.
Dopo una marcia faticosa e anche un po’ buffa per schivare il più possibile le pozze d’acqua, la misteriosa forma umana si ferma di fronte al cancello in ferro battuto della villa: appoggia sulla spalla il manico dell’ombrello, tenendolo goffamente in equilibrio, depone in un punto poco allagato il trolley e, con la mano sinistra ora libera, armeggia nella tasca dell’impermeabile, tirando fuori un mazzo di chiavi.
Cosa pensa di fare? si domanda già allarmata Aurora, non vorrà mica cercare di entrare in casa mia?!
Finalmente, dopo un paio di tentativi andati a vuoto, l’incappucciato riesce ad aprire il cancello: rimette nella tasca dell'impermeabile le chiavi, riprende saldamente l’ombrello e, con la sua valigia, si sta avviando verso il vialetto della casa rossa, quando la voce della forestiera lo ferma bruscamente:
-Ehi, lei, chi è? Perché sta entrando in casa mia?- sporgendosi dal balconcino, la ragazza si ripara la testa con il golf rosso, mezzo zuppo di quella pioggia troppo forte.
-Mi scusi … ? Non la sento bene! E’ la proprietaria dell’albergo?!-
Dal timbro sembra che sia un uomo a parlare, dall’età indefinita ma sicuramente giovane.
-Non è un albergo! E’ casa mia! Ha sentito adesso?! Se ne vada immediatamente o dovrò chiamare la polizia!-
-Le ho detto che non la sento! Aspetti che entro!-
Lei si precipita giù dalla scalinata, apre gli infissi e poi le imposte della trifora vicino all’ingresso, proprio nello stesso momento in cui lo sconosciuto usurpatore della sua tranquillità suona il campanello.
-Ha capito quello che le ho detto poco fa? Se ne vada immediatamente!-
Adesso che sono così vicini, Aurora si rende conto che, il nuovo arrivato, oltre ad essere un uomo, deve avere all’incirca trent’anni: il ragazzo si gira verso la finestra, la barba perfettamente curata e gli occhi acquosi ma vivici, sorride imbarazzato, due fossette ai lati della bocca sottile ma ben disegnata:
-Perché me ne dovrei andare? Ho pagato per trascorrere qui le mie vacanze ed è quello che ho intenzione di fare! Lei, piuttosto, tratta così tutti i suoi ospiti o si riserva di essere gentile solo per i più fortunati che arrivano con questo bel tempo estivo?!-
La forestiera impallidisce per qualche secondo: pagato? A chi? Non di certo a me! Riflette sconcertata, poi, ad alta voce, leggermente inviperita, prosegue:
-Mi sta forse scambiando per una albergatrice?! Mi dispiace se l’hanno fatta venire qui per niente e con questo bel tempo, come lo ha definito lei, ma ha fatto un viaggio a vuoto! Le ripeto per l’ennesima volta che questa casa è mia, quindi la invito gentilmente ad andarsene o a trovare un altro posto in cui trascorrere le sue vacanze!-
-Ma lei non può cacciarmi dopo tutta la strada che ho fatto! Dalla stazione del paese a qui ci ho impiegato quasi mezz’ora per cercare di non bagnarmi da capo a piedi! E poi come lo ho detto, ho pagato la quota di soggiorno all’agenzia di viaggi, e ormai ho le chiavi! Dove vorrebbe che andassi così conciato?-
Stai calma, si ripete, è tutto un enorme e stupido equivoco. Ora troveremo una soluzione e io potrò rimanere di nuovo da sola.
-Senta, veramente, mi dispiace, ma io ho prenotato questa casa per un mese, ed è molto probabile che rimarrò ancora più a lungo, rispetto al tempo pattuito. Quindi, per il suo bene, le consiglio di alloggiare in uno degli alberghi che ci sono in città: dista solo quattro chilometri ed è un posto veramente grazioso, glielo assicuro, ci sono appena stata due giorni fa ... -
Aurora continua a mantenere a debita distanza il misterioso venuto, tra loro due i vetri opachi dalle gocce di pioggia.
-Ma io non voglio andarmene in città! Vengo qui proprio per starmene lontano  dalla sua infernale realtà, e lei mi vorrebbe ricacciare indietro?! Non mi muoverò di qui e, se non crede alle mie parole, può anche chiamare l’agenzia lei stessa: le confermeranno la mia prenotazione!-
E chi ce l’ha il numero? Si domanda desolata, perché non avrebbe immaginato di doverselo portare dietro, così prende tempo, la voce nervosa:
-Va bene, certo che telefonerò! Lei intanto … sì, insomma, mi dia il numero ... per favore!-
L’uomo le detta le dieci cifre e lei, cellulare alla mano, fa per allontanarsi quando il poveretto, zuppo e indignato, l’apostrofa:
-Ha intenzione di lasciarmi fuori o, almeno, mentre telefona, mi permette di entrare?!-
La ragazza ripercorre quei tre o quattro passi che l’hanno allontanata dalla finestra, il cellulare alla mano e, guardandolo prima e sospirando dopo, si dirige alla vicina porta d’ingresso: la apre con riluttanza e, sentendosi sconfitta come una giocatrice di pallavolo della squadra perdente, non le rimane altro che far entrare il vincitore, rinunciando all’ambito premio.
-Venga, mi aspetti qui, io torno subito-


Nessun equivoco, la donna dell’agenzia di viaggi conferma che la casa rossa, essendo così grande, può essere affittata anche da più persone contemporaneamente: a nulla valgono le rimostranze, i ma e i però, le quasi minacce che la forestiera elargisce generosamente alla malcapitata, quest’ultima irremovibile a difendere a spada tratta il giovane avventuriero appena arrivato.
Così, affranta e allibita, non le resta altro che ritornare dall’uomo a testa bassa, la valigia da un lato, l’impermeabile che gronda acqua sospeso su un braccio:
-Ha vinto lei. Può rimanere. Dovremo mettere in chiaro alcune cose, se non le dispiace. Per prima cosa, mi sta allagando l’ingresso … - continua stizzita Aurora, guardandolo dall'alto verso il basso.
-Me ne sto accorgendo anch’io, ma se non mi lascia subito cambiare, lo trasformerò in una piscina ... -
Il giovane la guarda con un sorriso sornione e, aggrottando le sopracciglia, indica il soprabito.
-Prima vorrei dirle qualcosa … - fa finta di nulla la ragazza, non degnandolo di uno sguardo, ma concentrandosi sulla pozza d’acqua tra di loro.
-Tutto quello che vuole, basta che prima mi faccia fare un bagno: sa, non vorrei beccarmi una polmonite, dal momento che sono in vacanza la mia intenzione è quella di rilassarmi e non di passare le mie giornate a letto-
Lei annuisce gravemente, lanciandogli un’occhiata di traverso:
-Sì, certo, le mostro il bagno: ce ne sono tre, a parte quello che ho già occupato con la mia roba, può scegliere uno degli altri due-
-Non ho molte pretese-
-Bene, allora mi segua-
-Comunque, per la cronaca, mi chiamo Tommaso -
-Piacere, io sono Aurora-
E così, dopo le presentazioni di rito, si avviano su per le scale, una scia di acqua lasciata sui gradini dal forestiero.


Lo sconosciuto ridiscende in soggiorno dopo quasi tre quarti d’ora, vestito con una semplice tuta blu, su cui si apre una T-shirt grigio perla, che mette in risalto i pettorali ben disegnati, ma non fanaticamente scolpiti da ore di insensata palestra.
La ragazza, invece, è seduta su uno dei divani a fiori sbaditi, intenta a sorseggiare una tazza di cioccolata con panna, ormai l'unico ricordo tangibile della sua idea di trascorrere l'intera giornata a poltrire nel letto, da sola ed in santa pace.
-Scusi se l’ho fatta attendere, ma ne ho approfittato per stendere i vestiti: sono talmente zuppi che prima di lavarli li devo fare asciugare!-
Aurora si gira verso l’uomo che le dà le spalle: è alto, i capelli castani molto corti e una lieve abbronzatura gli colora il viso e le braccia lasciate nude dalle maniche corte, ora ben visibili, dopo che si è tolto la parte superiore della tuta e averla appoggiata su una delle sei sedie, attorno al lungo tavolo di mogano scuro.
-E dove li avrebbe stesi?- domanda lei con una punta di sarcasmo, lanciandogli l' ennesima occhiata di sottecchi.
-In quella che ha tutta l’aria di essere una lavanderia, proprio nella stanza di fianco al bagno che mi ha gentilmente assegnato-
Il sorriso di lei, tirato e per nulla espressivo, non avvilisce quello di lui che, invece, ribatte prontamente:
-A proposito, quali sono le cose che vuole mettere in chiaro?-
La forestiera appoggia la tazza di cioccolata sul tavolino davanti, si gira completamente verso il giovane, la gamba destra ripiegata sotto la sinistra sul divano:
-Giusto: allora, come prima cosa sarà meglio dividerci le stanze. In secondo luogo dovremo separare i compiti: spesa, inconvenienti vari … -
-Ovvero?- la interrompe lui in modo serio, le braccia conserte.
-Beh, così, su due piedi, non saprei … ah no, aspetti! Il giorno dopo che sono arrivata è saltata la luce: se dovesse capitare una cosa del genere, è bene che s’individuino le responsabilità e, nell’eventualità che la colpa sia di entrambi, dividerci le spese. Ehm … dove ero rimasta?-
Aurora non è mai stata così pragmatica come in quella situazione capitatale fra capo e collo: si riscopre piena di iniziativa, ironica ed incredibilmente aggressiva.
-Agli inconvenienti vari … - le suggerisce Tommaso, non riuscendo a trattenere l'ennesimo sorriso che ha tutta l'aria di un'amichevole presa in giro.
-Ah sì, giusto. Anzi, io per farla breve, direi che è meglio se ognuno conduca la propria vacanza come meglio crede: tutto separato, intendo dire, lei si cucina, pulisce le sue stanze e, se si rompe qualcosa di suo, lo farà aggiustare. Cosa ne pensa?-
-In realtà mi sembra un tantino esagerato. Se ho ben capito, intende dire che dovremo fare dei turni per mangiare, lavare e perfino per passeggiare in casa, giusto?-
Presa un po’ in contropiede, alla forestiera sembra una grande sciocchezza quello che ha appena proposto: forse sto enfatizzando un po’ la situazione, riflette, così cerca di cambiare argomento, la voce colorata da una nota malcelatamente isterica:
-Non le ho chiesto quanto tempo si fermerà … -
-Sedici giorni a partire da oggi-
-Ah ... cioè, volevo dire, una lunga convivenza la nostra. Forse rivedrei l’ultima parte del programma, quella sui turni, intendo dire ... - azzarda Aurora, sistemandosi imbarazzata una ciocca di capelli caduta sulla fronte.
-Sì, forse è meglio. Diciamo che se capiterà di fare qualcosa insieme, come condividere la cucina, il soggiorno o la biblioteca, faremo in modo di non darci fastidio!-
-Sì, ma, lei come fa a sapere che c’è una biblioteca?!-
-L’ho vista mentre scendevo, così come ho incontrato il gatto, che presumo sia suo. E’ molto affettuoso-
Questo è davvero troppo! riflette la ragazza e, sistemandosi con la maggiore naturalezza possibile sul divano, prosegue ad alta voce:
- Cos’è, mi vuole corrompere anche il gatto, oltre alla tizia dell'agenzia?!-
-Ma per favore, cosa va a pensare?! Semplicemente mi avrà preso in simpatia, oppure avrà sentito l’odore del mio cane, Argo-
-Che fantasia che ha … - lo sbeffeggia la forestiera, facendo un gesto di sufficienza con la mano destra, come a sottolineare l'ovvietà della scelta del nome del quattrozampe.
-Mi piace essere una persona acculturata e aperta nei confronti del mondo, tutto qui. Il suo gatto invece come si chiama?-
-Macchia- taglia corto lei, sempre non fissando Tommaso negli occhi, ma preferendo convogliare tutta la sua attenzione su un soprammobile poco distante, una vecchia lampada a petrolio ormai inutilizzabile.
-Anche lei, quanto a fantasia, non scherza … -
-Sarà meglio cambiare discorso- si schiarisce la voce Aurora, sempre più nervosa  -adesso posso mostrarle le sue stanze?!-
-Prima potrei avere una tazza di quello che sta bevendo lei? Sa, ho una certa sete ... -
-E’ cioccolata, cosa pensa che sia?!- lo redarguisce la forestiera, cercando di nascondere goffamente la tazza sul pavimento, in prossimità dell'angolo del divano.
-Io non penso proprio un bel niente! Comunque, ottima scelta! Per caso c’è anche un po’ di panna?-
-Sì, per caso c’è anche la panna-  e, rassegnata, si alza dal divano, raccogliendo la piccola scodella, la bevanda quasi finita.
Un volta in cucina, Tommaso si guarda intorno e domanda:
-Visto che la nostra convivenza è appena cominciata, sarà bene che impari a muovermi in questa casa, così da darle il minor fastidio possibile-
-Ha ragione … questa è la cucina- il gesto sarcastico della mano è come un invito ad esplorare l’ambiente, in modo infantile e superficiale.
-Lo vedo da me che cos’è- sbuffa il ragazzo, avvicinandosi sempre di più ad Aurora -ma io intendevo dire dove posso trovare le cose: vettovaglie come posate, piatti, tazze … -
-Lei affitta una casa, oltretutto già occupata e, per quindici giorni,  … - comincia ad esaltarsi la forestiera, mantenendo per l'ennesima volta le distanze dall'uomo.
-Sedici per l’esattezza-
-Beh quelli che sono … e non si porta nulla?!-
-Ho portato il minimo indispensabile. Non potevo certo traslocare l’intero arredamento di casa mia! Non le pare?-
-Io ho fatto proprio così, invece-
Un punto a mio favore! esulta puerilmente Aurora.
-Sì, ma lei si ferma qui per un mese, giusto?
-Vedo che ha una buona memoria … -
-E in più è una donna. Scommetto che la metà delle sue valigie contiene trucchi, abiti all’ultima moda, tacchi a spillo, cose completamente inutili in un posto del genere … -
-Per chi mi ha presa?!- il respiro si fa più corto, il volto quasi paonazzo: che persona maleducata e incredibilmente insopportabile!
-Io sono venuta qui per rilassarmi, per stare in pace, non certo per fare vita mondana! Non ho portato nulla di quello che ha detto, e la smetta subito di offendermi, altrimenti dovrò cacciarla via, lo giuro!-
-Va bene, va bene, non c’è bisogno di scaldarsi in questo modo! Forse sta girando un po’ troppo attorno all’argomento, non le pare? Questa conversazione è nata perché io volevo gentilmente sapere dove posso procurarmi ciò di cui ho bisogno per la mia convivenza di questi giorni ma, a quanto pare, lei non sembra molto propensa a farmi partecipe dei suoi segreti-
-La smetta di fare lo sbruffone! Per prima cosa, si sieda, così le rovescio la cioccolata e, mentre la beve, ne approfitterò per mostrarle come orientarsi in cucina e usare i miei piatti-
-Se preferisce posso sempre andare in città a comprarmeli. Almeno i soldi li ho portati- conclude con un sorrisino sardonico il nuovo arrivato, facendo il gesto di tirare fuori il portafogli da una tasca dei pantaloni.
-Beh, per il momento glieli offrirò gentilmente io, poi vedremo-
Aurora cerca di trattenersi dal rispondere a tono all'ennesima battuta, a suo dire, di infimo livello: si avvicina al fornello su cui ha appoggiato il pentolino con la cioccolata ormai fredda.
-Dovrò riscaldarla- constata, sbuffando.
-Non ho fretta-
-Intanto le do la tazza e il cucchiaino, ma non si abitui troppo a questi  ... vizi-
-E la panna, non se la dimentichi- la canzona lui.
La forestiera scuote la testa, poi si avvicina alla credenza di legno chiaro, di fianco alla grande porta finestra che dà sul giardino.
-Qui, nel cassetto, può trovare le posate e i tovaglioli di carta- comincia ad enumerare la ragazza, con aria da maestrina petulante  -mentre nell’anta di destra i piatti, le tazze e i bicchieri. Nell’altra, invece, ci sono le pentole. E’ tutto chiaro fino a qui?-
-Sì, signora, è tutto chiaro!-
-Uffa ... e per finire, in quell'angolo c’è il frigorifero, quel parallelepipedo bianco sporco ... -
-So come è fatto un frigorifero ... - la guarda storto Tommaso, giochicchiando con il cucchiaino in acciaio.
-Uhm, era per fare un po’ di conversazione, non se la prenda! Bene, per questa stanza direi che può bastare. Dopo la merenda, le mostrerò anche le altre stanze-
-D’accordo, grazie. E’ stata veramente gentile-
Aurora fa finta di non aver sentito quell'insulto velato, accingendosi a riscaldare la cioccolata:
-Adesso che sa dov’è la panna, se la può prendere da solo: ah, ovviamente è nel frigo ... -
L’uomo si alza, tira fuori la confezione con la fredda crema bianca e ritorna a sedersi composto al tavolo:
-Lo sa che il cacao venne scoperto dai Maya?-
-Credo che lo sappiano tutti, ormai. Non mi sembra che sia una novità- lei gira la cioccolata con il mestolo di legno, liquidando la risposta con un'alzata di spalle.
-E sa anche che furono gli Aztechi a migliorarne il gusto? La bevanda, infatti, aveva un sapore molto diverso da quello che conosciamo noi, più amaro, tanto che per berla aggiungevano vaniglia, cannella e acqua?-
-Beh, sì, più o meno-
La forestiera spegne il fornello con gesto quasi stizzito e, prendendo il pentolino per il manico, rovescia la calda crema nera nella tazza di fronte a Tommaso.
-Grazie!-
-E che altro sa del cioccolato?-
L’uomo aggiunge un paio di cucchiaini di panna, mescola il tutto con cura, per poi comincia a soffiare sul liquido denso:
-Ad esempio, che la pianta di cacao cresce esclusivamente nella cosiddetta cintura del cacao, ovvero nei Paesi tropicali quali Africa Equatoriale, Sud America e Sud est asiatico, questo perché ha bisogno di molto calore e umidità, ma è anche una pianta estremamente fragile e non sopporta la luce diretta del sole. La cosa più curiosa, però, è che si fa “desiderare” … -
Una breve pausa ad effetto, come il più esperto e navigato dei cantastorie.
-In che senso?-
-Ci vogliono circa dieci anni perché dia i suoi primi frutti, affascinante, no?-
-Così tanto?!-
-Già, così tanto. I frutti vengono raccolti in inverno e in estate, però devono essere gialli o arancioni, altrimenti vuol dire che non sono ancora maturi. Il cacao è un dono della natura veramente eccezionale, eppure ne esistono solo tre varietà: il criollo, che è la più pregiata e rara, dal gusto molto aromatico; il forastero, un po’ più acido, è quella maggiormente utilizzata e, infine, il trinitario, che non è altro che l’ibrido tra le due varietà. Uhm, comunque questa cioccolata non è male-
Aurora si è seduta sulla sedia a fianco del nuovo arrivato, affascinata da quella storia dalle origini così antiche e lontane, il pentolino abbandonato sul tavolo.
-Lei per caso è come la protagonista di Chocolate?-
Tommaso scuote la testa ridendo:
-No, niente di simile! Sono semplicemente un appassionato. Il mio compagno ha un negozio di pasticceria e m’insegna qualche trucco del mestiere, anche se lui sostiene che mettere la panna nella cioccolata è come mangiare il pane con la frutta, uno copre il sapore dell’altro, impedendo di gustare appieno i due cibi-
-Il suo compagno … ?-
-Sì, c’è chi ha una donna e chi un uomo. Spero per lei che non sia rimasta scandalizzata ...  –
-Oh, beh, certo che no. E lei, invece, che lavoro fa?- si stropiccia le maniche del golf rosso, lo stesso colore di cui si è soffuso il suo viso, maglioncino che ha asciugato dalla pioggia con il phon,.
-Sono un vigile del fuoco-
-E’ una persona intrepida, allora. Dev’essere un lavoro molto impegnativo e di grande responsabilità-
-Lo è infatti, ma dà anche enormi soddisfazioni!  Ne sono molto orgoglioso e non lo cambierei per nessun’altro al mondo. Domiamo le fiamme, doniamo i cuori. E’ il nostro motto-
-E’ … poetico- farfuglia la forestiera – e in quale città donerebbe i cuori?-
-In Liguria, a ***. Faccio parte del nucleo sommozzatori-
-Veramente? Io adoro l’acqua, ho praticato piscina a livello agonistico per otto anni-
-E cosa ci fa un’amante dell’acqua in un posto così?-
-Questi non sono affari suoi!- di nuovo le guance della ragazza si colorano della stessa tinta del golf rosso.
-Va bene, era solo una banale domanda per fare un po’ di conversazione. Almeno si può sapere dove vive?-
-Sì, questo sì. Abito a ***-
-Uhm, molto caotico come posto. E io che mi lamentavo della mia città … -
L’uomo rimette il cucchiaino nella tazza e, alzandosi, si avvicina al lavandino:
-Lei invece che lavoro fa?- l’acqua scorre con un getto deciso e si mescola ai rimasugli della cioccolata.
Il suo cuore accelera i battiti, mentre rivoli di sudore freddo le bagnano i polpastrelli:
-Mi occupo di abbigliamento. Disegno abiti: vestiti, maglioni, pantaloni … nell’ultimo periodo sono addetta anche alla scelta dei tessuti- gli spiega, impensierita ed orgogliosa allo stesso tempo.
-Bello anche il suo di lavoro. Per una casa di alta moda?-
-N-no, no, è un laboratorio artigianale di maglieria: è abbastanza conosciuto, sebbene le nostre produzioni siano limitate e oserei dire uniche. I clienti che ci frequentano sono affezionati da generazioni e ... beh, non voglio annoiarla. Sono molto felice di quello che faccio-
-L’importante è questo, essere contenti e appagati di quello che si fa. A proposito, cosa ne dice se ci diamo del tu?-
-Come preferisce … quando finisci di lavare la tazza e il cucchiaino, ti faccio vedere il resto della casa-
Aurora si alza dalla sedia, più rincuorata rispetto a pochi minuti prima, ma non ha ancora metabolizzato l’arrivo dello straniero.  
Un’espressione di stupore appare sul volto della forestiera:
-Oh no, mi hai fatto bruciare il tavolo!-
-Guarda che il pentolino lo hai messo tu lì, non io!-
-Sì, ma l’ho appoggiato perché hai cominciato a parlarmi di cacao, cioccolata, panna, e io non ho capito più niente … -
-Non ti preoccupare, ho un metodo contro le bruciature: se andiamo in città potremo comprare della pasta abrasiva. Mettendone un po’ qui sopra e poi passando uno strofinaccio per levigarla, sono convinto che non si vedrà più!-

 
Ora che il temporale è passato, un vento tiepido accarezza le foglie rigogliose della vite e del prugno, mescolandosi al tepore rigenerante dei raggi solari.
Di fronte alla casa rossa, spostata su un lato a un centinaio di metri di distanza, si trova una vecchia abitazione costruita con pietre a vista, che dà su un vicolo tortuoso di lastricato liscio e nuovo.
Sotto le persiane color castagno sono stati posti chissà da chi, due vasi di gerani rossi –due per parte- del genere parigino, che danno vivacità e contrasto alla dimora, rendendola simile a una di quelle tipiche baite di montagna.
Sul muro a nord, che dà verso prati incolti, si arrampicano intrecciandosi l’uno con l’altro, cascate di fiori di plumbago, glicine e passiflora, alternati dai sottili rami di edera a separare quel groviglio.
Durante le sue passeggiate per le strade del paese, la forestiera ha notato attaccata in modo sbilenco alla porta della casa, una targa recante la scritta locanda, ma ha sempre visto chiuso, sebbene qualche anima compassionevole continui a bagnare quei vasi di gerani, rigogliosi nonostante l’abbandono.
Lo sbuffare e i fischi del treno giungono forti benché la stazione ferroviaria non sia così vicina alla villa né tantomeno si riesca a vedere.
Lei s’immagina la destinazione dei passeggeri: pendolari di frontiera, turisti all’assalto di uno dei borghi della valle per ammirarne le bellezze e i colori, ascoltando i rumori del paesaggio e assaporando i gusti di una realtà fiabesca eppure così vicina da tutelare.
Il profumo di fieno stuzzica le sue narici che, non abituate a quell’aroma penetrante, emettono un improvviso e stridulo starnuto.
Il vento la fa da padrone, s’insinua tra i suoi capelli sciolti, così da far ricadere sulla fronte qualche ciocca più sbarazzina di altre: Aurora si chiude velocemente il golf, facendolo aderire al petto con le braccia conserte, come in risposta a un inconsapevole e leggero brivido di freddo.
Poi, quasi come un gesto meccanico, volge lo sguardo verso il lago in lontananza, la superficie increspata dai giochi del vento, una distesa irregolare di acqua scura per la pioggia caduta spessa e pesante, ora rischiarata da qualche grappolo di luce solare.
Rincuorata da quello spettacolo, rientra in camera da letto, chiudendosi alle spalle la portafinestra per non fare entrare il vento, poi tira le tende, ma non troppo, così che quell’esibizione pura e gratuita della natura, possa continuare anche nelle stanze della casa rossa.

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Capitolo 10
*** Il nuovo Esodo ***


IL NUOVO ESODO


La forestiera sta scendendo le scale con la sua solita borsa a tracolla arancione: ha già le dita che premono sulla maniglia dell’entrata, quando si accorge della presenza ingombrante del nuovo arrivato, seduto sulla poltrona a fiori rossi, con il computer portatile sulle gambe:
-Siamo sicuri che c’è connessione?- le chiede Tommaso, con fare assorto, guardandola di sfuggita.
-Non lo so … non ho ancora acceso il mio, in questi giorni. Comunque sto uscendo, ci vediamo più tardi- taglia corto Aurora.
-Dove vai?- il ragazzo si sgranchisce il collo, posa il PC sul tavolino di cristallo e le si avvicina.
-In città, a sviluppare delle foto. Vieni con me?-
Ancora prima di riflettere, quella semplice domanda le è uscita dalla bocca come un'esigenza fondamentale: imbarazzata, abbassa lo sguardo, sentendosi osservata dal sorriso di piacevole stupore stampato sul volto abbronzato di Tommaso.
-Va bene, così prendiamo anche la pasta abrasiva! Di che foto si tratta?-
-Tra quattro giorni ci sarà la festa del paese- comincia a spiegare Aurora, più rilassata -il Comitato feste mi ha coinvolto nell’organizzazione dell'evento e io mi sono offerta di dare un piccolo contributo-
-E si possono sapere i soggetti di questa tua collaborazione?-
Un sorriso sornione si dipinge sulle labbra di lei, che prontamente risponde:
-Gli scatti e i disegni andranno a rappresentare una mostra fotografica che s’intitola "Lavori di ieri e di oggi: il passato e il presente fra tradizione e modernità". Ho cercato di fondere le immagini che riguardano la preparazione della festa con la vita contadina che caratterizza da sempre il paese. Oggi avrei dovuto mostrare le foto al sindaco perché anche lei fa parte del Comitato, ma non ho potuto incontrarla perché è impegnata con una riunione in città di non so bene cosa ... -
-Io sono una frana nelle cose creative!- ribatte il ragazzo, tastandosi una tasca dei pantaloni, alla ricerca del portafoglio  -mi piace molto l’arte, ma nel caso piuttosto remoto che debba cominciare a fare qualcosa, è meglio che lasci perdere o che inizi con giorni di anticipo!-
-A me è sempre piaciuto … ho frequentato l’Accademia di Belle Arti e tutto quello che è creativo, dalla pittura al disegno, dalla scultura al decoupage, mi affascina e mi appassiona. Credo sia nella mia natura ... -
-Diciamo che, in un certo senso, siamo entrambi creativi, ognuno a nostro modo, però. Allora, cosa aspettiamo? Vogliamo andare a sviluppare queste famose foto o mi fai rimanere in casa tutto il giorno?-
Aurora ricambia lo sguardo divertito e complice, poi, assicurandosi di aver messo nella borsa un piccolo ombrello nell'eventualità di nuova acqua piovana, asserisce:
-Con piacere!-


La giornata si è rimessa a posto: qualche strascico di pioggia si può ancora notare sulle foglie bagnate degli alberi e sui petali dei fiori, così come qualche screziatura violacea a macchiare il cielo.
Tuttavia il sole affiora perentorio dalle soffici e bianche nuvole, cominciando a riscaldare nuovamente l’ambiente sottostante.
-Grazie per la bella gita in città. Avevi ragione, è un posto speciale-
-Te l’avevo detto!-
I due forestieri sono rientrati alla casa rossa dopo essere andati dal fotografo dove, nero su bianco, lei ha potuto constatare la qualità e la bellezza degli scatti fatti due giorni prima.
Seduti sui gradoni di pietra, stanno sfogliando quella carta lucida, un pezzo alla volta, mentre Aurora s'improvvisa commentatrice esperta e autocritica.
-Sono veramente soddisfatta: sento di aver fatto un buon lavoro, anche se forse avrei potuto fare meglio ... -
-Oserei dire ottimo, davvero! Non c’è una sola fotografia o un solo disegno che non sia degno di essere messo in mostra. Hai un grande talento ... -
-Dopo il modo in cui ti ho trattato prima- ribatte la ragazza, scuotendo leggermente la testa e guardando verso il sentiero di terra battuta, ormai quasi sgombro di acqua  -dovresti essere scontroso e antipatico proprio come lo sono stata con te, invece mi stai riempiendo di complimenti!-
-E’ la verità: potrò avere mille difetti, ma di certo, quando c’è da ammettere qualcosa, lo dico senza riserve, anche se dovesse andare contro il mio stesso interesse!-
Rimangono per una manciata di secondi in silenzio, senza sapere bene come togliersi da quella situazione fatta di discorsi sinceri e lusinghieri, fino a quando il campanile in lontananza batte dodici rintocchi.
-Cosa ne dici se per sdebitarmi ti offro il pranzo?- propone Aurora, ritornando a guardare verso Tommaso.
-Va bene. Dove mi porti di bello? Nel ristorante più chic del paese?-
-Purtroppo temo ti dovrai accontentare della mia, anzi, della nostra cucina! Ti avviso che per quanto mi piaccia cucinare, non sono bravissima, però dicono che me la cavo!-
-Chi è che lo dice? La tua famiglia o il tuo ragazzo?-
Aurora s’irrigidisce di colpo: un leggero brivido le percorre la schiena e le scuote le spalle, facendole provare la solita nauseante sensazione di quando ripensa a quella notte, mitigata dal dolce ricordo di Mattia, lontano chilometri da lei e dalla vita che stavano iniziando a costruire insieme.
-N-o, in realtà è qualche collega che viene a cena da me che si azzarda a dire così. Anzi, devo ammettere che la maggior parte dei miei pranzi e delle cene le passo fuori casa: ho dei turni abbastanza pesanti così, quando mi viene in mente qualche nuovo modello, rimango in ufficio fino a tardi per disegnare una prima bozza, altrimenti rischio di farmi passare l’ispirazione-
-Quindi, oltre essere un’ottima fotografa, sei anche un'instancabile stacanovista!-
Un insicuro sorriso piega le labbra di lei.
A un segnale di Aurora, che si alza e si abbottona il golf color lillà che ha cambiato con quello rosso zuppo di pioggia, entrano in casa, dirigendosi in cucina.
-Mettiamoci al lavoro, allora! In cosa posso esserti utile? Se ci sono gli ingredienti giusti, potrei cucinarti una torta salata: in quelle nessuno mi batte, sono il re delle torte salate, cara mia!-
-Mi dispiace, ma non credo di avere granché in frigo- risponde la ragazza, dirigendosi verso l'angolo in cui è posizionato il grande parallelepipedo.
-Non ho rotoli di pasta sfoglia- prosegue, aprendolo  -e ultimamente sono stata talmente assorbita dalla realizzazione della mostra, che ho fatto ben poca spesa-
-Ho capito, vorrà dire che più tardi andrò a fare rifornimenti. Che cosa avevi in mente di preparare?-
-Beh, tu sarai bravo nelle torte salate, ma io sono piuttosto afferrata nei primi piatti: che ne dici di una pasta all'Aurora ?-
-Uhm, ovvero … ?-
Tommaso si avvicina alla forestiera, ora intenta ad aprire i cassetti della credenza, alla ricerca di un grembiule da indossare.
Poi, una volta trovato, si concentra sulle ante del mobile, dove agguanta prontamente tutti gli ingredienti che le servono, elencandoli e mostrandoli a Tommaso:
-Sugo di pomodoro, una manciata di noci e nocciole, qualche acciuga, un paio di mazzetti di basilico che ho comprato surgelato e infine frulli tutto! Ti assicuro che è una vera bontà, e te lo dice una a cui le acciughe e le nocciole non sono mai piaciute!-
-Va bene, mi fido delle tue doti culinarie! Dove prendo il sale e l'olio?-
-Guarda un po’ nella credenza, in basso a sinistra. Ah, e ricordati della cipolla per il soffritto e di un pizzico di zucchero da mettere nel sugo!-
Aurora sta aprendo la bottiglia con la salsa di pomodoro, per rovesciarla nel pentolino, quando squilla il telefono.
-Qui non ci sono!- la voce di Tommaso giunge attutita dalla cucina, mentre lei, le mani asciugate sul grembiule, si accinge ad andare in soggiorno a rispondere:
-Aspetta che arrivo! Pronto … ?-
-Sono il sindaco- ribatte la voce preoccupata all'altro capo della cornetta -mi scusi ancora se la disturbo. Ho urgente bisogno di parlarle-
-Non si preoccupi, stavo preparando il pranzo … mi dica, c’è qualche problema per quanto riguarda la mostra?-
-No, non è per questo. A proposito, già che siamo in tema, è andata a sviluppare le foto?-
-Sì, sono tornata poco fa. Sono circa una cinquantina, più otto schizzi a carboncino. Le altre cinquanta erano più che altro ripetizioni e … -
-Va bene, va bene- la interrompe la donna, sbuffando, mentre in sottofondo la ragazza riconosce il rumore dei tasti di un computer -oggi pomeriggio mi può raggiunge nella chiesa di sant’Abbondio per vederle? Ho già fatto portare i cavalletti di legno per sistemarle e qualche composizione floreale per abbellire il tutto-
-Sì, come vuole lei. Per che ora devo passare?-
-Alle quattro andrà benissimo. Ora mi ascolti: si ricorda che prima, quando le ho telefonato, le ho detto che non avremo potuto vederci perché stavo andando in Prefettura per una riunione con i Vigili del fuoco …?-
-Sì, me lo ricordo … -
-Ecco, adesso l’ho contattata perché è sorto un problema, un problema molto grave, che solo lei può aiutarci a risolvere-
-Io? Che cosa posso fare?-
-La frana che è precipitata nel paese dietro il nostro ha bloccato la strada che conduce alla città, isolando gli abitanti del paese qui vicino. Gli uomini della Protezione civile, insieme ai Vigili del fuoco, temono che la frana possa raggiungere la parte bassa del nostro abitato, così hanno ordinato lo sgombero parziale della zona interessata-
-Mi dispiace molto, ma non capisco come possa aiutarvi … - prosegue Aurora, lanciando un'occhiata preoccupata in direzione della cucina, da dove non avverte provenire più alcun suono.
-Non si possono allestire tende da campo perché la frana è ancora pericolante e potrebbe cadere da un momento all’altro: inoltre, il maltempo di qualche ora fa, non ha certo aiutato gli uomini della Protezione civile e i Vigili del fuoco a rimuoverla, cosa che sperano di fare al massimo entro domani. Perciò, le chiedo con tutto il cuore, se almeno per questa notte può ospitare una dozzina di concittadini nella casa rossa … -
-Ma … veramente non credo sia possibile. Questa mattina, dopo che ci siamo sentite, mi è letteralmente piombato in casa un turista a cui l’agenzia di viaggio ha affittato la casa … -
-Ah, è già arrivato?- per un momento il sindaco sembra aver ripreso il solito tono spensierato  -l’agenzia mi ha mandato un fax ieri pomeriggio, ma con tutta questa confusione a causa della frana, prima mi sono completamente dimenticata di parlargliene. E’ un uomo o una donna?-
-Un uomo- taglia corto la ragazza, deglutendo preoccupata.
-E si sta già ambientando?-
-Sì, direi proprio di sì-
-Molto bene, mi fa piacere. Se riuscirò a tirare il fiato per dieci minuti, magari passo a conoscerlo. Ritornando al discorso della frana, mi auguro che questa situazione non le dispiaccia-
-Non vorrei risultare egoista ma, ad essere sincera, l’unica cosa che mi infastidisce è il fatto che, in teoria, io abbia affittato questa casa solo per me, invece mi ritrovo improvvisamente con un coinquilino e adesso con la richiesta che mi ha appena fatto lei ... -
-La capisco perfettamente, anch’io non sarei entusiasta, tuttavia confido che comprenda la situazione d’emergenza in cui ci troviamo: per consolarla, le posso dire che l’ultima frana è caduta cento anni fa, con nessun danno di grave entità. Come le ho già detto, gli uomini della Protezione civile e i Vigili del fuoco mi hanno assicurato che entro domani sera, tempo permettendo, ritornerà tutto a posto. La prego, si tratta solo di una notte, la sua abitazione è il posto più sicuro per i nostri concittadini-
Aurora riflette per un paio di secondi, combattuta tra accettare quella richiesta di aiuto oppure dire un no fermo e categorico, facendo magari anche una mezza scenata.
Poi, come spinta da una forza misteriosa, con un’impercettibile tono di voce, sentenzia la salvezza:
-Va bene, li faccia venire. Ma l’avviso che dovranno stringersi, due camere sono già occupate da me e dal nuovo coinquilino, così rimangono altre quattro stanze da letto e un solo bagno, se non si conta la lavanderia, ovviamente-
-Di questo non deve preoccuparsi, quelle che verranno sono tutte famiglie, anzi, alcune le conosce già, che possono benissimo dormire assieme, per questa notte: si tratta della signora Liliana, con la figlia e il marito, poi c’è la signora Lina e la signora Roberta del Comitato, assieme al marito e ai due figli.
Gli altri sono due coppie anziane che non le daranno alcun fastidio, glielo assicuro. Quindi, facendo un rapido calcolo, rimarrebbe una famiglia o una persona scoperta … -
-S-sì, cioè, non sono riuscita a starle dietro, ma mi pare di sì. Se le quattro stanze le diamo alle famiglie, la signora Lina dove può dormire?-
-Non lo so, una soluzione sono sicura che … sì, arrivo!!! Mi scusi, ma devo proprio andare. Allora, grazie ancora per quello che farà, avviserò gli sfollati che potranno venire da lei dopo pranzo, mentre noi ci vediamo alle quattro nella chiesetta sconsacrata, va bene?-
-Se non si può fare altrimenti … -
Ma il sindaco, come per la loro prima telefonata, ha già riattaccato.
-Che chiacchierata lunga! Chi era, un tuo spasimante?-
Tommaso, intento a rimescolare il sugo di pomodoro  - ecco svelato il motivo di tutto quel silenzio- si rivolge con un sorriso ad Aurora che, invece, tornata in cucina, ha un viso tutt’altro che cordiale:
-Non so se sia tu a portarmi sfortuna, facendo cominciare questa catena di tragici eventi con la tua improvvisa presenza, oppure se è proprio la mia buona stella che da qualche tempo a questa parte ha deciso di abbandonarmi ... -
La forestiera si siede sulla sedia dietro di lui, le braccia sconsolate sulle ginocchia, la schiena leggermente incurvata.
-Perché dici così? Mi sembrava che avessimo trovato un compromesso per la nostra convivenza. Chi era al telefono? Hai cambiato completamente espressione da quando sei tornata … -
Il ragazzo abbandona il suo compito di rimescolamento, per avvicinarsi ad Aurora.
-Ti comunico che almeno per oggi non saremo soli. Dopo pranzo, non so esattamente quando, arriverà una dozzina di persone a farci compagnia-
-E chi sono?! Anche loro hanno affittato la casa a tua insaputa?-
-Non è affatto divertente, anche se quasi lo avrei preferito- lo guarda decisamente storto lei.
-Sono alcuni abitanti del paese le cui case sono a rischio di crollare a causa di una frana che è caduta nel paese dietro il nostro. I Vigili del fuoco e la Protezione civile stanno cercando di levarla, ma il sindaco –era lei prima al telefono - mi ha detto che il maltempo di questa notte ha rallentato i lavori di rimozione, così fino a domani non riusciranno a procedere-
L’uomo ritorna al pentolino con il sugo e, dopo aver spento il fornello, si siede nuovamente vicino alla forestiera:
-Forse potrei aiutarli, dopotutto sono un collega- riflette Tommaso, facendo spallucce e sospirando.
-Oh sì, ti prego! Magari puoi essere utile, così questa storia finirà prima … alle quattro dovrò andare in chiesa per allestire la mostra e ci sarà anche il sindaco, se vuoi posso chiederle se hanno bisogno di una mano … -
Gli occhi verdi di Aurora si illuminano per un istante, speranzosi come la sua proprietaria.
-Va bene. Anzi, magari ti accompagno, che ne dici?-
-E qui chi ci resta con i nuovi arrivati?- prosegue lei, sistemandosi meglio sulla sedia e continuando a stropicciarsi le mani.
-Non ti preoccupare, vedrai che non saccheggeranno nulla!-
Un insicuro sorriso si delinea sul volto della ragazza:
-Anche perché non c’è molto da saccheggiare … l’unico problema è che non so dove far dormire una di loro. E’ una vecchietta con un certo caratterino! Ho paura non le andrà bene niente-
-Non ci sono abbastanza camere da letto?-
Lei scuote la testa, pronta a spiegare la situazione con chiarezza e la voce da comandante militare:
-Due le stiamo occupando noi, nelle altre quattro si sistemeranno le famiglie, mentre la signora Lina, che è appunto da sola, rimarrebbe senza stanza-
-Se vuoi posso cederle la mia. Dopotutto, hai detto che si tratta solo di un giorno. Io potrei dormire sul divano … -
-Per te non sarà un problema?-
-No, non preoccuparti. Devo ancora disfare le valigie. E poi è meglio che ci dorma io sul divano, piuttosto che un’anziana signora con magari qualche acciacco. Lascia che mi rovini un po’ la schiena … !-
-Che stupido che sei … è solo che mi dispiace che sia successa tutta questa confusione. Fino a poche ore fa ero così contenta, pensavo solo a come realizzare al meglio la mostra, e adesso … -
Tommaso le accarezza dolcemente il braccio e pone la sua mano su quella di lei che, nel frattempo, ha smesso di sostenere lo sguardo del ragazzo:
-Non preoccuparti, vedrai che si rimetterà a posto ogni cosa, anzi, la tua mostra sarà un autentico successo!-
-Grazie, sei molto gentile a consolarmi- ribatte Aurora, la voce roca e preoccupata  -quasi vorrei non essere mai venuta qui, ma aver scelto un altro posto dove stare da sola …  oddio, sola ormai non lo sono più-
-Che brontolona che sei! Forza, ora finiamo di cucinare, altrimenti, quando arriverà tutta quella gente, noi staremo ancora mangiando!-
Il giovane si alza e, con un gesto di incitamento della mano destra, invita anche lei a seguirlo:
-Ancora una cosa: mi dispiace darti l’ennesima delusione del giorno, ma le nocciole per fare la tua super pasta non ci sono … -
-Ecco, te l’ho detto che la mia buona stella mi ha abbandonata!- sancisce la forestiera, aprendo le braccia in un gesto di sconsolata evidenza.
-Vorrà dire che faremo a meno delle nocciole-


Un’ora prima che la ragazza si preparasse ad andare all’appuntamento con il sindaco, due colpi in successione del battiporta risvegliano la sua agitazione.
Va ad aprire un po’ nervosa, si rimbocca le maniche della maglia a righe blu e bianche e si sistema i capelli che ha raccolto in una treccia sgangherata: come in una scena da film, l’Esodo moderno invade il gradino d’entrata della casa rossa.
Gli uomini portano le valigie, le donne la loro borsetta: ma non si devono fermare solo un giorno? Si domanda già allarmata.
La bottegaia, la signora Liliana, sembra capeggiare quel gruppo di sfollati:
-Buonasera- esordisce con un sorriso incerto  -ci scusi fin da subito per l’intrusione. Il sindaco ci ha detto che l’ha già avvertita del nostro arrivo. Le assicuro che le daremo il minor fastidio possibile e, soprattutto, non faccia caso alle valigie: le abbiamo portate per precauzione, non vorremmo dover stare qui un giorno in più o, peggio ancora, perdere qualche ricordo a causa di quella frana. E poi, dato che siamo un bel po’, ho portato qualche pentola in più e dei viveri-
-Non si preoccupi- la interrompe il più cordialmente possibile Aurora, nervosa e preoccupata di arrivare in ritardo alla chiesetta di sant'Abbondio  -per un giorno ci aggiusteremo. Cominciate ad entrare- conclude, mentre saluta accarezzando la guancia di Linda, ancora febbricitante da quando l’ha sentita il giorno avanti.
-Ciao, come stai? Hai visto che alla fine sei stata costretta a venire?-
La ragazzina sorride, gli occhi un po’ cerchiati e le guance arrossate:
-Già, così potremo stare insieme. Ho portato anche Blasco, adesso è in braccio al papà- le spiega, indicando l'uomo con il gatto rosso sul petto, qualche passo dietro a loro.
-Bene, così lo faremo conoscere a Macchia: sono sicura che andranno d’accordo-
La sventurata processione di esuli entra raccolta e composta nella casa rossa, salutando con estrema gentilezza quella che un tempo era l’unica inquilina della villa.
Tommaso si avvicina al gruppo, rimanendo un po’ in disparte vicino alla forestiera, che esordisce nel suo nuovo ruolo di salvatrice della comunità:
-Benvenuti. Spero che il vostro soggiorno si rivelerà breve ma positivo. Se volete seguirmi, vi mostrerò le vostre camere, così potrete cominciare a sistemarvi. Purtroppo c’è un solo bagno disponibile, oltre alla a quello piccolo adiacente alla lavanderia. Gli altri due sono occupati da me e dal nuovo inquilino … -
-Piacere, mi chiamo Tommaso – si presenta il ragazzo, salutando gli altri ospiti con un veloce gesto della mano.
-Nel caso in cui ci sia necessità, non esitate a chiedere e ad usufruire anche dei nostri. Bene, allora da questa parte, seguitemi-
La signora Lina, con il suo bagaglio in mano composto da una grossa borsa apparentemente più pesante di lei, si avvicina ad Aurora strascicando un po’ le scarpe, dicendole:
-Grazie per averci accolto, cara. Vorrei solo farle una dumanda: vist’ che tuti i gan una famiglia, e mi sun la sula che à l’aglo mia, indüa l’è che a  podi durmì?-
-Oh, il nuovo inquilino le ha gentilmente ceduto la sua camera-
Un sorriso degno della migliore pubblicità di dentifricio, incornicia il volto raggrinzito della donnetta, che subito esclama:
-Ma che brav fiöl! Che generüs che l’è! Indüa l’è, che lo voli ringrazià?!-
Senza mai abbandonare il carico di guerra- la grossa borsa nera- la signora Lina si avvicina a piccoli passi verso Tommaso, abbracciandolo di slancio, per quanto sia possibile data la sua scarsa altezza:
-Grazie, grazie di cuore, lei è veramente un bravo ragazzo! Il Cielo la ricompenserà!-
La forestiera e gli altri si mettono a ridere, mentre il povero malcapitato arrossisce e, stritolato dalla presa mortale della mantide religiosa, si rassegna a dare piccole pacche sulla schiena della vecchietta, che sembra non avere alcuna intenzione di lasciarlo andare.

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Capitolo 11
*** Camomilla ***




L'antica chiesetta in stile romanico di sant'Abbondio, sul retro il campanile della piazza ( foto a destra)


La strada che conduce alla chiesa di sant’Abbondio si trova dalla parte opposta rispetto alla zona soprannominata a rischio frane.
Un cartello plastificato di forma triangolare avvisa di non oltrepassare l’area delimitata dal filo rosso, in quanto momentaneamente pericolosa .
Il centro del paese sembra ancora più deserto rispetto agli altri monotoni pomeriggi quotidiani, in cui ciascun abitante è alle prese con le proprie occupazioni: il negozio della bottegaia ha la saracinesca desolatamente abbassata, così come quella della piccola edicola situata sullo stesso lato del marciapiede, del chiosco di fiori e del bar all'altro capo della via e, più in là, dove ha inizio il fiume, dell' ufficio postale.
Dalla sua posizione, Aurora riesce a scorgere abbastanza bene quel maestoso macigno sospeso lassù in alto, verso le montagne, la sinistra causa di quell’improvviso spopolamento e della fine della sua vita in quasi solitudine, proprio allora che aveva trovato, con non poche riserve e titubanze, un equilibrio nella relazione più che accettabile con Tommaso.
Persino il lembo di cielo sopra la vetta non promette nulla di buono, è plumbeo e carico di pesanti banchi di nuvole e foschia.      
La forestiera distoglie lo sguardo, un brivido a percorrerle la schiena, per concentrarsi sul rettangolare orologio del campanile, poco oltre la strada che sta attraversando: mancano un paio di minuti alle quattro, così si affretta ad attraversare il violottolo che conduce alla chiesa sconsacrata.
I battenti sono accostati ma, dopo la storia che la prima cittadina le ha raccontato durante la loro inaugurale riunione per discutere della mostra fotografica, ha paura ad entrare da sola, ad aprire quel portone che la divide dal luogo che un tempo è stato scena dell’orrore che lei stessa ha vissuto.
Si guarda intorno con una lieve nota di circospezione, arrendendosi all'evidenza che lì intorno non ci sia né una panchina o una sasso su cui sedersi, così aspetta in piedi l’arrivo del sindaco, la schiena appoggiata a uno dei muri di pietra.
I rintocchi del campanile la riportano alla realtà e, proprio in quel momento, si accorge dell'ormai famigliare sagoma dell’altra donna, sempre elegante nel suo tailleur questa volta blu elettrico, ma con una ciocca ribelle che le scappa dalla crocchia sapientemente pettinata, una borsetta poco più grande di un portafoglio.
-Buonasera, mi scusi per il ritardo!- la saluta trafelata la prima cittadina, mentre si guarda intorno per attraversare la strada.
-Non si preoccupi, sono arrivata da poco … - la tranquillizza Aurora, stringendo la mano che la donna le porge.
-Meglio così: il telefono dell'ufficio continuava a squillare, non sapevo più quale scusa usare per lasciare tutto e venire da lei!-
La forestiera sorride di rimando, domandandole subito dopo se portasse qualche novità.
-No, purtroppo. La situazione
, da quando ci siamo sentite questa mattina, è rimasta invariata - il volto del sindaco si fa improvvisamente serio, lo sguardo vacuo perso nelle preoccupazioni che le affollano la mente e l’indice della mano sinistra strofinato compulsivamente avanti e indietro sul labbro inferiore.
-Si sente bene?- la ragazza si avvicina di qualche passo alla prima cittadina, la mano tesa a sfiorarle il braccio lasciato nudo dalla giacca di satin a maniche corte.
-Come? Ah sì, certo, è tutto a posto: non faccia caso al mio comportamento! Sono preoccupata e nervosa, ma sono certa che presto ogni cosa si sistemerà!- le confida, avanzando di qualche passo in direzione dell'antico portone di pietra.
-Bene, prima di entrare volevo sapere se i suoi ospiti sono già arrivati … -
-S-ì, circa un’ora fa- spiega Aurora, grattandosi distrattamente il sopracciglio destro, un gesto che è solita fare quando è nervosa, poi prosegue:
-Li ho fatti accomodare nel salotto e ho mostrato loro le camere dove sistemarsi ... non dovrebbero esserci problemi-
-Ha trovato una collocazione anche per la signora Lina?-
-Il nuovo inquilino le ha ceduto la sua stanza. A proposito, arriverà a momenti ... - continua la forestiera, guardandosi attorno in cerca di Tommaso, diventato quasi un rassicurante appiglio.
-Credo sia rimasto per completare il giro della casa ai suoi concittadini: sa, io non ce l’ho fatta- continua, fissando con finta noncuranza un punto in lontananza, per non dover reggere lo sguardo del sindaco.
-Lo so che non è mia, ma in queste due settimane è come se lo fosse stata e, adesso, vederla, mi passi il termine, invasa da tutta quella gente mi fa uno strano effetto-
La prima cittadina abbozza un sorriso triste e, ricambiando il gesto che Aurora ha fatto pochi minuti prima con lei, le appoggia una mano sul braccio sinistro, come per dimostrarle che capisce perfettamente il suo stato d'animo.
-So cosa vuole dire e la ringrazio per quello che sta facendo, davvero. Le prometto che la toglierò molto presto da questo disagio: mi sono messa in contatto, proprio poco prima di raggiungerla, con il Comandante dei Vigili del fuoco, il quale mi ha assicurato che stanno approfittando del bel tempo per cercare di rimuovere fin da ora la frana. Però,
a causa di tutta la pioggia che è caduta, il terreno è fangoso, per questo devono muoversi con estrema cautela ... -
-Certo, non si preoccupi- prosegue imbarazzata la ragazza -non fraintenda le mie parole, è solo che mi sembrava corretto farle sapere quanto la casa rossa sia importante per me. Confido nel loro lavoro e nelle sue parole, sindaco-
-E’ quello che speriamo tutti. Purtroppo sfere di cristallo ancora non ne abbiamo, dobbiamo solo sperare che presto ogni cosa si aggiusti e che questa brutta storia rimanga un brutto ricordo del passato!-
La forestiera annuisce, rincuorata dalle parole che le sono state dette: si sente sgravata di un peso che non sapeva come fare a togliersi dalla coscienza, seppure avesse temuto di ferire la donna, a causa delle parole sincere che le ha confessato poco prima. 
E' ben consapevole che non godono dell'aiuto di alcun oracolo, così come sa che l'intera situazione risulta ancora precaria, però vuole comunque avere fiducia e ottimismo verso quella donna.
-Cosa facciamo?- la riporta alla realtà la prima cittadina
, togliendola ancora una volta dall'imbarazzo -entriamo o vuole aspettare il suo coinquilino?-
-Oh, come vuole … -
-Allora cominciamo ad entrare, così mi dice se le piace come ho allestito la scenografia! Le foto e i disegni li ha con sé, vero?-
-Sì, li ho messi in questa busta- precisa la forestiera, tirando fuori dalla tracolla arancione un rettangolo di carta marrone poco spiegazzato.
Una volta dentro, Aurora rimane stupita dall'austerità che trasuda da quelle pareti.
L’ambiente interno, infatti, menziona solo piuttosto vagamente una chiesa: il pavimento in pietra è quasi completamente zigrinato e in minima parte liscio.
Non è rimasto alcun paramento che ricordi la sua antica origine: le panche e l’altare sono stati smantellati, al suo posto vi è un ammasso di assi di legno assemblate da mani evidentemente inesperte.
Gli unici paramenti a dare ancora una parvenza di realtà e soprattutto di luce a quello spazio assai desolato, sono le colonne dall’intonaco scrostato e i tre rosoni con le raffigurazioni di sant’Abbondio, di Gesù e della Madonna, attorniati da biondi e ricciuti angeli che suonano festosamente le trombe.
-Sul soffitto si possono ancora intravedere gli affreschi che, secondo le cronache prebelliche, godevano
di tanto pregio tra tutte le chiese della vallata- spiega il sindaco, indicandoli con l'indice sinistro -rappresentano l’Ultima cena e la Resurrezione. Il resto è un po’ desolante, me ne rendo conto, ma è comunque un posto ancora molto luminoso-
La ragazza annuisce convinta, guardandosi intorno con il volto all’insù e compiendo un piccolo cerchio per osservare meglio:
-Sì, in effetti c’è un’ottima luce ... -
-Se mai riuscissimo a valorizzarla come merita, sarebbe una grande soddisfazione per l'intera cittadinanza … Ora, però, cambiamo argomento e parliamo della mostra!- prosegue la donna, incamminandosi verso l'altare.
-Come vede, nei quattro angoli vicino ai pilastri, ho fatto portare dei cesti di fiori. Sono due vasi di spatifillo e altrettanti di peonie … le piacciono?-
-Ha avuto un’ottima idea, rallegrano l’ambiente!- la forestiera si avvicina ai treppiedi e, una volta vicino, apre la busta contenente le foto e i disegni - quelli sono i cavalletti su cui attaccare le foto, giusto?-
-Esatto. Ne ho presi quattro, spero che bastino-
-Credo di sì. Come le ho detto prima al telefono, le foto sono una cinquantina, senza contare gli otto schizzi a carboncino. Le ho fatte sviluppare con un formato medio, quindi direi che quattro di questa grandezza vadano bene. Abbiamo tempo per fare una prova generale?-
La voce emozionata di Aurora rimbomba tra le mura, rimandando una lieve eco.
-Siamo qui per questo. Prego, sulla base dei cavalletti ho lasciato del nastro biadesivo ... -
-Prima di attaccarle, le posso chiedere dove scriveremo il titolo della mostra?-
-Ha ragione, me ne sono completamente dimenticata!- esclama il sindaco, scuotendo la testa e facendo schioccare le labbra - ho lasciato gli striscioni da appendere all’esterno della chiesa in ufficio! Mi perdoni, sono terribilmente sbadata, ma tutta questa storia mi ha scombussolata!-
-Non deve scusarsi, la capisco ... sapesse quante volte io dimentico le cose!- cerca di rincuorarla, invitandola a sorridere.
-Comunque, non si preoccupi, le ho già fatta stampare: sono bianche, semplici, con le lettere scritte in corsivo di colore blu, rosso e verde. Cosa ne pensa?-
-Mi sembra possa andare bene … - sospira fiduciosa l'altra, curiosa di vederli dal vivo.
-Se entro domani tutta questa storia della frana sarà finita, le prometto che glieli porterò, così potrà vederlo con i suoi occhi!-
-Va bene, anzi, magari, senza disturbarsi a venire, passo da lei in ufficio-
-Sì, forse è meglio. Allora, cos’altro aspetta? Le attacchi, così potremo vedere il risultato finale!-
La ragazza comincia a tagliare in piccoli pezzi il nastro biadesivo, mentre con delicatezza li piega per farli aderire al retro delle fotografie e dei disegni.
Cerca di dare un significato a tutte quelle immagini: sui due cavalletti di sinistra posiziona gli scatti che ritraggono i contadini e le mucche, insieme ai rispettivi ritratti, sugli altri due trespoli, invece, incolla le foto che rappresentano la preparazione della festa, il dietro le quinte, come lo aveva definito la signora Liliana: i particolari dei carri, i vasi dei fiori, gli oggetti che andranno a costituire i premi della pesca di beneficienza.
-Ci stanno proprio per un soffio: per fortuna i cavalletti sono grandi, altrimenti bisognava procurarsene almeno un altro … -
Aurora si allontana dalla sua postazione, soddisfatta del risultato finale.
-Sono straordinarie!- esclama la prima cittadina –e poi, la scelta del bianco e del nero per la parte antica è veramente azzeccata, non saprei in che altro modo definirla! E questi ritratti ... sembrano fatti da un pittore professionista! Mi piacciono molto, ha fatto un ottimo lavoro, complimenti davvero!-
Il rumore del portone che si apre e subito dopo si accosta interrompe quelle lusinghe: in quel mentre, infatti, arriva Tommaso, anche lui un po’ trafelato come poco prima si è presentata il sindaco.
-Buonasera, scusate il ritardo … credevo di perdermi, invece non è stato per niente difficile trovare la chiesa!-
Il giovane si avvicina alle due donne e porge la mano a quella che ancora non conosce:
-Piacere, sono Tommaso Pastero -
-Il piacere è mio, signor Pastero. Da sindaco di questo paese le do il più cordiale benvenuto a nome mio e degli altri concittadini. Spero che avrà un soggiorno piacevole. Se non ricordo male dal fax che mi ha inviato l’agenzia, dovrebbe fermarsi un paio di settimane … -
-Sì, sedici giorni. Mi scuso ancora per non essere stato puntuale, ma appena arrivato, ho dovuto accontentare la signora Lina, mi sembra si chiami così- chiede conferma con gli occhi ad Aurora -
da quando sa che le ho ceduto la mia camera, credo mi abbia preso in simpatia!-
-Ah sì?- continua il sindaco, piacevolmente stupita, guardando con fare allusivo la forestiera, forse ricordando l'imbarazzante episodio di benvenuto che la vecchietta aveva riservato alla ragazza, qualche settimana prima –  è stato un gesto molto cavalleresco. Può sembrare aggressiva, ma in realtà bisogna solo conoscerla. I figli sono lontani e il marito, un
marinaio con una donna in ogni porto, è proprio il caso di dirlo, l’ha abbandonata più di vent’anni fa, così, da allora, ha sempre vissuto con la sorella che, poverina, è morta tre anni fa. Insomma, la signora Lina è quasi un’istituzione per tutti noi, fa parte del Comitato per le feste da quasi mezzo secolo! Se l’ha presa in simpatia, signor Pastero, allora vuol dire che la considera già un suo protetto, e questo si rivelerà solamente un bene per lei, glielo assicuro!-
Tommaso ritorna con lo sguardo ad incrociare quello della coinquilina, quasi un'occhiata complice e divertita.
-Comunque sia, cambiando discorso, ha già visto le foto della mostra? Immagino che la signorina le abbia già raccontato della nostra festa ... -
-In effetti sì ... -
-Mentre ti aspettavamo, abbiamo attaccato le foto e i disegni- s’intromette Aurora, ritornando davanti ai sostegni di legno su cui poco prima ha posizionato le foto e i disegni.
-Cosa ne pensi?- si affretta a sapere Aurora, con una punta di attesa nella voce.
Il nuovo arrivato si avvicina ai cavalletti e, dopo un'attenta osservazione, sorride soddisfatto:
-Non avevo dubbi che il risultato d’insieme sarebbe stato perfetto! La mostra sarà un autentico successo, non ho dubbi!-
-E’ quello che credo anch’io, signor Pastero, questa ragazza ha un vero talento!-
Poi, guardando l'orologio da polso, propone:
-Ora che abbiamo sistemato tutto, vogliamo uscire? Scusatemi, ma sono rimasta lontana già troppo tempo dall'ufficio e non vorrei avessero bisogno di me ... -
-Certo, non si preoccupi, ma le foto le lasciamo qui?- s’informa la forestiera, indicandole.
-Sì, ma tanto chiudo a chiave, non è un problema. E poi, domani dobbiamo venire a mettere su gli striscioni: mancano solo tre giorni alla festa, sempre che si possa fare ... - spiega impensierita, recuperando dalla borsetta il mazzo con cui ha aperto.
-Si riferisce alla frana?- domanda Tommaso, partecipe.
I tre, nel frattempo, sono usciti dalla chiesa e il sindaco, mentre gira la chiave nella toppa arrugginita del pesante portone di legno, risponde con voce rassegnata:
-Sì, purtroppo. Temo che, se la frana non verrà rimossa e non si aprirà la strada che ci congiunge alla città, dovremmo rimandare tutto: non ci saranno turisti, non si potrà accedere alla via principale e, cosa più importante, non si potrà assistere alla sfilata dei carri ... -
-Gliel'ho chiesto perché vorrei sapere se posso dare una mano. Sono un vigile del fuoco e, anche se le montagne non sono propriamente il mio luogo abituale di lavoro, forse potrei mettermi in contatto con i colleghi del posto e vedere se in qualche modo mi è possibile contribuire ... mi farebbe molto piacere-
-Sarebbe veramente gentile da parte sua, signor Pastero!- ribatte riconoscente la donna, riponendo il mazzo di chiavi nella borsetta.
-Il Comandante dei Vigili del fuoco mi contatterà tra circa un’ora: se non è un disturbo per lei, posso dare il numero della casa rossa?-
-Ma certo, sarò felice di rendermi utile, non si faccia problemi! -
-Allora grazie, grazie a nome mio e dei miei concittadini!-
I due si stringono la mano, mentre Aurora ne approfitta per domandare:
-Mi scusi, ma come mai avete sfollato solo una dozzina di persone? Voglio dire, la via principale per quanto non sia lunghissima, ha molti più abitanti di quelli che mi ha mandato. Gli altri dove andranno questa notte?-
-Ha ragione, ma le loro case sono considerate, almeno per il momento, sicure: gli uomini della Protezione civile e i Vigili del fuoco hanno fatto due sopralluoghi per verificarne le condizioni e, dal momento che si trovano dalla parte opposta rispetto alla frana e alla montagna, hanno stabilito che, adesso come adesso, non c’è alcun pericolo.
Ed effettivamente, se ci fa caso, passando di lì, è vero: le abitazioni degli sfollati danno le spalle alla montagna e, quindi, all’eventuale pericolo, mentre quelle degli altri concittadini sono troppo lontane per essere coinvolte-
E allora perché non li avete distribuiti nelle case più sicure? Si interpella con un briciolo di sarcasmo la forestiera.
Il sindaco, come se le avesse letto nel pensiero, prosegue a spiegarle la situazione:
-Purtroppo, non è stato possibile smistare gli evacuati nelle altre abitazioni: molte, infatti, sono troppo piccole anche solo per un paio di persone in più, altre invece –come avrà potuto notare se ha passeggiato fino a lì- sono vecchi casolari adibiti al ricovero del bestiame. E poi sì, ci sono le case dei forestieri, della gente che viene da fuori, ma a malapena sappiamo chi è: sono quasi troppo snob persino per salutarci, senza contare che passano tutta la giornata in città e qui vengono solo per dormire. Inoltre, non le nego, che per una sola notte ho preferito evitare di creare disagi inutili ... -
A me, però, i disagi li ha creati!
Un lieve rossore imporpora le guance della ragazza che, con il senno ritrovato, risponde:
-Sì, in effetti ha ragione. L’unica soluzione possibile rimane la casa rossa: è grande e in fondo è più vostra che mia-
-Però è lei che l’ha affittata e quindi, almeno per questo periodo, siamo noi gli ospiti e non lei!- la donna dà un’occhiata all’orologio, poi esclama:
-Ora mi dispiace, ma devo proprio salutarvi. Arrivederci, signor Pastero, la farò chiamare più tardi-
-Va bene, aspetto la telefonata-
-Noi invece ci vediamo domani, Aurora, per ultimare gli ultimi particolari dello striscione … -
Dopo gli ennesimi saluti, i due forestieri osservano il sindaco allontanarsi a piedi, avvolta nel suo tailleur blu elettrico, il passo veloce a rincorrere il tempo che le sta scivolando tra le dita,
forse insieme alla sorte dell’intero paese.
-Sembra una donna in gamba- considera Tommaso, mentre la donna è ormai lontana dalla loro vista.
-Sì, anche a me dà questa impressione-
Poi, una volta che la sagoma è ormai scomparsa, un guizzo indefinito, lei sbuffa preoccupata:
-Ora sarà meglio andare: chissà Macchia come si sentirà con tutta quella confusione ... -
-Da quello che ho visto benissimo!Si stava rincorrendo in giardino con un altro gatto, uno arancione-
La forestiera sorride, ritornando a guardare verso la montagna, il cielo sopra di essa sempre più minaccioso:
-E’ il gatto della bottegaia, anzi, di sua figlia Linda. Hai presente quella donna che mi ha parlato quando è arrivato quella specie di Esodo?-
-L’Esodo?! Ma sei veramente tremenda! Comunque sì, mi ricordo ... - risponde divertito Tommaso, scuotendo la testa.
Aurora gli sorride di rimando, poi si avviano a passi lenti e coordinati su per la strada secondaria che porta alla casa rossa.
A un certo punto, poco oltre il secondo viottolo, il nuovo coinquilino, la voce titubante, considera ironicamente intimorito:
-Non vorrei fare il guastafeste per l’ennesima volta ma, quella donna, la signora Lina, non fa altro che chiedermi di mangiare: ha praticamente svuotato il frigo e la credenza e, se va avanti così, temo rimarremo presto senza scorte ... -
-Bene! Devo ammettere che mi dai sempre delle belle notizie! Almeno
fino a domani abbiamo abbastanza cibo?- ribatte lei, sarcastica, fermandosi per un momento.
-Spero di sì. Liliana, la bottegaia con cui parlavi quando sono arrivati, ha portato dei pacchi di pasta, delle confezioni di tonno e della frutta. Tieni conto che dovremo mangiare in quattordici per almeno una cena e un pranzo, sperando che domani sera ritornino tutti nelle loro case, ovviamente. A proposito, dov’è che mangeremo?- domanda con tono preoccupato l'uomo, fermandosi anche lui
-Il tavolo in cucina va bene per massimo otto persone-
-Senti, così mi stai mettendo ansia! Non lo so dove mangeremo! So solo che vorrei che quest' incubo non fosse mai iniziato e ... aspetta, ma se facessimo dei turni?-
-Tu allora sei proprio fissata con questi turni!- sbuffa Tommaso, riprendendo a camminare, di nuovo uno fianco all'altra.
-Però, se non si può fare diversamente, forse è l’unica soluzione possibile. Anzi, sai che ti dico? Per me va bene! Magari possiamo accontentare prima i più anziani e quella povera ragazzina che non fa altro che starnutire e tossire. E’ scesa un momento giù in soggiorno per cercare la madre ma, conciata com’è, è subito risalita nella sua stanza-
-Povera Linda.
Ieri sera le è venuta la febbre e questa uscita proprio non ci voleva. Le ho promesso che le avrei fatto vedere in anteprima le foto della mostra, perciò, se dovesse capitare, non dire che in realtà è la seconda a vederle, ho paura che ci rimarrebbe male … -
-Promesso! Sarò sincero come Pinocchio!-
La casa rossa ora si vede chiaramente: stanno risalendo per la stradina che costeggia la vecchia abitazione con i vasi di gerani rossi e l’insegna locanda ormai slavata dal tempo.  
-Ma se siamo tagliati fuori dalla città e nella bottega del paese non possiamo andare, come facciamo a sfamarli tutti quanti?- domanda allarmata lei, la necessità dei rifornimenti ormai trasformata in incubo.
-Non pensiamo subito al peggio. Aspettiamo quello che diranno i miei colleghi e poi, beh sì, poi potremo disperarci! Sempre che, nel frattempo, non abbiano già rimosso la frana. Magari, da qui, non riusciamo a vederla, anzi, a non vederla ... -
-Sì, magari. Fino a mezz’ora fa c’era ancora, e anche bella grossa, purtroppo-
-Forza, sii un po’ ottimista, Aurora! Vedrai che si risolverà tutto molto presto, abbi fiducia!-
Una volta entrati, la casa rossa sembra davvero un rifugio per sfollati: c’è un gran vociare al piano di sotto, soprattutto in cucina, e lei pensa già al peggio: mi avranno incendiato qualcosa o, peggio, avranno fatto del male a Macchia. O avranno rotto qualcosa, me lo sento.
-Cos’è questa confusione?-
Tommaso si affaccia cautamente nella stanza, seguito a ruota dalla forestiera, appiccicatagli come un’edera rampicante.
-Per fortuna siete tornati!- esclama sollevata Liliana, attorniata dal resto degli evacuati, eccetto Linda che, per la febbre, non è potuta scendere.
-La signora Lina si è sentita male, è quasi svenuta e ora dice di avere degli attacchi fortissimi allo stomaco ... -
Effettivamente, la vecchietta, seduta su una delle sedie di legno, non ha propriamente quella che si definisce una bella cera: il viso raggrinzito dalle rughe attorno agli occhi, ora è di un indefinito colore giallo-grigio, e le mani stringono con forza il vestito, proprio alla bocca dello stomaco:
-Ahi, che mal ca gò! Quela camumila non l’è servì a nuta! Datemi un altro po’ di quella pastiglia o morirò!-
-Che cosa le avete dato?- s’intromette la ragazza, terrorizzata che possa succedere l'irreparabile.
-Le abbiamo fatto sciogliere nella camomilla una bustina contro il mal di stomaco, nulla di più, non era una pastiglia, come ha detto lei. Sono passati appena dieci minuti, forse non ha ancora fatto effetto ... -  le risponde il marito della bottegaia, anche lui in aprrensione.
-Speriamo che non ci lasci proprio adesso che c’è la frana e ancora dobbiamo fare la festa! Sarebbe una tragedia senza precedenti! - commenta la Roberta, scuotendo la testa, il fazzoletto di stoffa in una mano a sventolarlo sul viso della Lina.
-Non siate esagerati!- Tommaso si accoccola di fronte alla vecchietta che, appena lo vede, sembra riprendere subito colore:
-Oh, eccolo il mio eroe! Da quando te ne sei andato, ho subito cominciato a stare male! Non sarà forse che mi hanno avvelenato per avere un posto in più in casa?!-
-Cuma l’è che cun noi la parla il dialet e cun lüi l’italian?- commenta non troppo ad alta voce una delle altre due donne anziane lì presenti.
-Ma cosa va a pensare! Io, piuttosto, direi che ha fatto una brutta indigestione! Ora riesce ad appoggiarsi a me? L’accompagno in camera ... -
-Certo, mio caro, andiamo pure. Mi gira ancora un po’ la testa, ma sento che lo stomaco va meglio-
Gli esuli, proprio come le acque del Mar Rosso, si aprono in due gruppetti, lasciando passare il Salvatore con la povera vittima avvinghiata al suo braccio che, ciabattando piano piano, si avvia su per le scale.
-Che spavento ci ha fatto prendere!- è una critica velata quella di Liliana che, come gli altri evacuati, ha capito che forse la vecchietta non è che stesse poi così male.
-E’ svenuta per davvero o è una mia impressione che fosse tutta una messinscena?- domanda la forestiera.
-No, per essere svenuta è svenuta, e credo che un po’ di mal di stomaco lo avesse veramente, ma tutti ci siamo accorti che non appena è arrivato quel giovane, si è ripresa all’istante!- commenta la Roberta, ridacchiando.
-Comunque tutto è bene quel che finisce bene!- sentenzia la bottegaia che, trascinando un po’ in disparte Aurora, le chiede:
-Come procedono i lavori per la mostra?-
-Bene, li ho praticamente conclusi. Sono tornata dalla chiesa di sant’Abbondio per una prova generale con il sindaco. Abbiamo attaccato le foto sui cavalletti che ha procurato e il lavoro d’insieme non ci è affatto dispiaciuto! A proposito, ho saputo che prima Linda è scesa. Come sta?-
La donna fa spallucce, chiudendo per un attimo gli occhi.
-Tutto questo trambusto non le fa per niente bene, però sembra che la febbre si sia abbassata un po’. Se vuole può salire a trovarla ... -
-E’ quello che ho intenzione di fare. Ieri le avevo promesso che le avrei fatto vedere in anteprima le fotografie, però, con quello che è successo, ho avuto appena il tempo di salutarla-
-Le farà molto piacere! A casa non fa altro che parlarmi di lei e di Macchia!-
-E’ una bambina molto intelligente: la sua compagnia è sempre piacevole-
-E furba, non se lo dimentichi!-
La forestiera sorride alla battuta e, assicurandole che sarebbe tornata presto per aiutarla a preparare la cena, sale le scale.
Prima va nella sua stanza a recuperare la Kodak ma, quando è pronta per bussare alla camera di Linda, vede Tommaso uscire da quella della signora Lina, intento ad accostare delicatamente la porta.
-Come sta? Si è ripresa?- domanda, avvicinandosi al giovane.
-Quella donna ha mille risorse, e poi non credo che stesse così male. Ha mangiato come un uomo che pesa il triplo di lei, ovvio che poi le sia venuto mal di stomaco!- precisa il ragazzo, parlando a bassa voce.
-Secondo me è stata la tua presenza a farle passare tutto. Credo ti abbia preso molto più che in simpatia!-
-Eh lo penso anch’io … e tu? Dove stai andando?-
-Da Linda. Le faccio vedere le foto della mostra- continua Aurora, mostrandogli la Kodak.
Con un piede già sul primo scalino, il nuovo coinquilino s'informa se per cena ci sono abbastanza provviste.
-No, non ancora, guarda pure se vuoi, io ti raggiungo quando ho finito-
-Va bene, ti aspetto giù-
Dopo essersi scambiati un saluto con gli occhi, bussa alla camera della ragazzina e apre piano la porta:
-Si può?-
L’ammalata ha la testa rivolta verso la finestra, i capelli non più raccolti nelle trecce, ma abbandonati a ventaglio sul cuscino.
Socchiude gli occhi pigramente, poi, quando si accorge chi le sta davanti, cerca di fare un sorriso:
-Ciao! Vieni, ho sentito un po’ di confusione su per le scale. Cos’è successo?-
-Niente di grave, la signora Lina si è sentita male: crediamo abbia mangiato troppo!-
-Immagino dolci: lei è golosissima. Pensa che quando ha compiuto ottant’anni e per festeggiare le abbiamo portato una torta con cioccolato, crema e panna, se l’è mangiata tutta da sola, invece di aspettare la cena a cui peraltro ci aveva invitati! Non ti sembra incredibile?! E’ così magra, sembra così fragile e indifesa, invece mangia più di Tristano, il cavallo di Agnese, una mia amica. E lui pesa almeno tre volte più di lei, oltre ad essere molto più alto, ovviamente! Comunque, ora sta meglio?-
-Sì, ora sì- ridacchia Aurora, la macchian fotografica nascosta dietro la schiena.
-Per fortuna! Non vorrei che chiamassero il dottore e poi quello tormentasse anche me: e apri la gola, e fai ah! E fai un bel respiro e poi un altro ... dov'è che ti fa male?! Uffa, la mamma credo che gioisca quando si ammala qualcuno in famiglia, ha un debole per i camici bianchi, anche se poi lui non viene mai con quella specie di grmbiule, ma sempre elegante e con la cravatta!-
-Sbaglio o oggi ce l’hai su con tutti?!- la punzecchia la ragazza, accarezzandole la testa.
-Con tutti eccetto te! Vieni, siediti vicino a me. Mi fai un po’ di compagnia?-
La forestiera si avvicina al bordo del letto e si sistema sulla sedia di legno con il cuscino di velluto rosso.
-Sono venuta proprio per questo, sai? Beh e anche per mostrarti le foto: ti va?- domanda retoricamente Aurora, svelando il cimelio.
-Certo che mi va! Mi annoio a stare sempre a letto, anche se mi sento un po’ più in forma di ieri. Sono tante?-
-Abbastanza: ne ho fatte un centinaio, però quelle che ho stampato sono la metà, altrimenti non ci stavano tutte nella chiesa! Quelle originali, insieme ai disegni, sono già lì: appena sarai guarita, ti porterò a vederle!-
-Quindi la mostra si farà in chiesa?-
-Sì, in quella sconsacrata, però. Ci sei mai stata?-
Linda annuisce, a metà tra il serio e l'annoiato.
-E' un obbligo, più che una tradizione. La mamma e il papà mi portano ogni anno per la festa, ma gira che ti rigira è sempre la stessa cosa, non so perché ci tengano tanto … allora, me le fai vedere queste foto?!-
La forestiera sorride complice, poi tira fuori dalla custodia la Kodak, l'accende e finalmente si avvicina alla ragazzina, cominciando a far scorrere le immagini una dietro l’altra.




                                                                 


Il retro di sant'Abbondio

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Capitolo 12
*** Incidente di percorso ***



INCIDENTE DI PERCORSO


Dopo aver lasciato Linda addormentata e felice di aver visto gli scatti in anteprima o quasi, Aurora scende in cucina, dove trova Tommaso seduto su una delle sedie, proteso in basso a coccolare Macchia che, con le rumorose fusa e la coda che si muove sinuosa, sembra assai gradire quella dose di attenzioni.
La ragazza, sorridendo verso di loro, si siede a sua volta, notando solo allora la strana quiete che si è creata nella stanza: la confusione di poco prima, infatti, è svanita, sembra che la casa rossa sia di nuovo solo per lei, il gatto e il nuovo inquilino, ovviamente.
-Dove sono tutti?- domanda, speranzosa che il grande Esodo abbia già tolto il disturbo, versandosi
in un bicchiere di carta un po' d' acqua dalla bottiglia sul tavolo.
-Ho incontrato Liliana e il marito che stavano salendo dalla figlia, ma gli altri?-
Tommaso elargisce un'ultima carezza al manto folto e brillante di Macchia, poi ritorna a sedersi più comodamente, approfittando per stiracchiarsi braccia e schiena.
-Nelle loro camere, a riposare e a riordinare i pensieri, come mi ha detto Angela, quella signora tanto simpatica che parla solo il dialetto … - risponde con un sospiro soddisfatto da post stretching, poi, indicando il felino ebbro di coccole che si sta allontanando in giardino, la porta della veranda aperta, commenta:
-E' proprio bravo il tuo gatto, Aurora. Te lo sei portato da *** ?-
-No- ribatte orgogliosa, ma anche rassegnata al fatto che gli ospiti non se ne andranno così presto come aveva sperato in un primo momento -l’ho trovato qui, qualche giorno dopo essere arrivata. Per fortuna, si è subito ambientato... -
Versandosi un altro bicchiere d'acqua e sventolandosi con una mano per evitare di boccheggiare a causa dell'improvviso sole estivo che è tornato a illuminare la stanza, la ragazza s'informa con una punta di curiosità:
-A proposito, prima, mentre scendevo le scale, ho sentito il telefono. Chi era?-
-Ah, sì, erano i colleghi del posto. Sono andati all’appuntamento dal sindaco prima del previsto: sono stati contenti della mia proposta, tanto più che in queste situazioni critiche due mani in più servono sempre. Purtroppo, per stasera non riusciranno a fare più nulla: a causa del buio e del terreno fangoso per la pioggia di ieri, preferiscono aspettare domani mattina … mi verranno a prendere davanti al municipio, per le otto. Tu sai dov’è?-
-Sì, è molto facile da raggiungere- risponde Aurora, alzandosi per tirare le tende della finestra, nello stesso istante in cui Macchia ripiomba in casa con scattante agilità -è l’unico palazzo dall’altra parte della via principale, da solo occupa mezza strada. E poi ha la bandiera esposta su un balconcino o una finestra, non ricordo bene, comunque non puoi sbagliarti, stai tranquillo-
Una volta tornata a sedersi, continua:
-Sapete già come procedere?-
Tommaso smette di accarezzare il gatto che è tornato alla carica per nuovi grattini e carezze e che, contrariato da quella mancanza di attenzioni, si struscia con maggior vigore tra le sue gambe ma, senza ottenere altre coccole, se ne va indispettito dalla sua padrona, che lo accomoda sulle ginocchia.
-Per prima cosa, cercheremo di mettere in sicurezza la frana: mi hanno detto che gran parte del lavoro lo hanno già fatto stamattina, dovremo solo aggiungere una maglia di protezione in più e, con l’elicottero, sollevarla e portarla via. Se il tempo sarà clemente, credono che per domani pomeriggio dovrebbe tornare tutto come prima-
-Ah, bene, che sollievo ... al sindaco non ho negato il mio aiuto, mi sarei sentita una stupida e una maleducata, però, tutta questa situazione mi tiene sulla corda e non fa altro che farmi preoccupare e ... -
Tommaso le appoggia una mano sulla sua, per cercare di calmarla e per farle capire che, tutto sommato, la comprende; punzecchiandola, le fa notare con un mezzo sorriso:
-Ti ricordo che anche se andranno via gli altri, avrai sempre me da sopportare ancora per un po’ di giorni!-
Aurora abbozza un respiro più profondo degli altri, la voce ironicamente indifferente:
-Lo so, ma devo ammettere che ormai mi sto abituando alla tua presenza. E anche Macchia, da come ti gironzola sempre intorno-
-Sì, in effetti è una soddisfazione aver conquistato in un giorno solo un’anziana signora, un gatto e te  … non è da tutti, mia cara- prosegue, stringendo con maggior calore la mano della forestiera che, imbarazzata, la retrae e commenta:
-Già, non è da tutti ... -


Come previsto, le riserve di cibo per quattordici persone non sono certo facili da trovare così all’improvviso.
Quella sera Tommaso, propostosi addetto alla cucina, avrebbe preparato una casseruola abbondante di mezze maniche al pomodoro, gli unici due ingredienti che alla casa rossa non mancano, lasciando da parte le scorte della signora Liliana, per un eventuale futuro ancora molto incerto.
Ovviato il problema del cibo, rimane quello di dove e come far mangiare tutta quella gente, così, all’unanimità, dopo una democratica votazione per alzata di mano, ci si accorda per fare dei turni: prima avrebbero cenato le due coppie più anziane, poi tutti gli altri esodati, ad esclusione della signora Lina che, dato il forte attacco di mal di stomaco dovuto all'indigestione di poco prima, si sarebbe sfamata con un’altra tazza di camomilla e qualche biscotto secco, e di Linda che, non ancora completamente in forze per scendere le scale, avrebbe consumato la cena in camera sua.
Per ultimi, a gustarsi il banchetto per nulla luculliano, sarebbe toccato al cuoco e alla forestiera, che non avrebbero potuto sottrarsi al dovere di lavare da soli quella pila di piatti, se l’anima caritatevole della signora Liliana non li avesse aiutati nell’immane compito, volendosi assolutamente sdebitare in qualsiasi modo per l'ospitalità forzata.
Così, sfiniti ma soddisfatti, agli ultimi rintocchi del campanile, anche loro tre se ne vanno a dormire, fiduciosi che l'indomani avrebbe decretato la fine di quell'incubo ad occhi aperti.



MARTEDì 25 LUGLIO

La mattina successiva, il tempo sembra promettere bene: il cielo è completamente sgombro di nuvole e il sole, nonostante sia ancora relativamente presto, splende già alto.
Aurora si affaccia al balconcino della sua camera, la camicia da notte ancora addosso: da lì non riesce a vedere la frana, l’incombente minaccia che le ha fatto dormire un sonno agitato, ma intravede solo la parte buona della montagna, quella protettiva e famigliare, a racchiudere la distesa a perdita d’occhio del lago, in quel momento così simile al mare, largo, di un azzurro limpido, con i giochi di luce ad incresparne piacevolmente la superficie.
L’unica sua consolazione è che tra appena due giorni inizierà la festa del paese, di cui tanto ha sentito parlare e in cui tanto è stata coinvolta nella realizzazione.
Un rumore la distoglie dai suoi pensieri: hanno bussato alla porta, così, mentre si augura di non avere i capelli troppo scompigliati e la camicia troppo stropicciata, invita chiunque sia a farsi avanti.
Tommaso si affaccia nella stanza titubante, poi, ad un cenno ad entrare della ragazza, si mostra già perfettamente pettinato e vestito:
-Spero di non averti svegliata ... - commenta, indicando con un indice l'abbigliamento di Aurora, le tende che ondeggiano come danzatrici, spumose e protese ad accarezzare le pareti.
-N-no, figurati, mi ero appena alzata. Stai già andando?- ribatte, nervosa per essersi fatta trovare in quelle condizioni così poco consone ed eleganti.
-Sì, parto prima perché devo provare la divisa: ieri, per telefono, ho comunicato la taglia e hanno detto che me ne avrebbero portate un paio per vedere qual è la più comoda ... -
-Ho capito. Allora confidiamo tutti in voi, almeno questa volta cerca di portarmi belle notizie … - prosegue Aurora, sorridendogli e sentendosi meno inadeguata di quanto non sia.
Tommaso distoglie lo sguardo, come per ricambiare la forestiera con la stessa moneta, punzecchiandola amichevolmente, ma poi sembra cambiare idea, perché semplicemente annuisce:
-Ci proverò. Buona giornata, coinquilina, a più tardi-
-Grazie, buon lavoro e in bocca al lupo, coinquilino-


Per l’intera mattinata, alla casa rossa, sono tutti un po’ agitati e attendono con trepidazione che arrivi una qualche notizia dal “fronte” montagnino: le signore più anziane, capeggiate dalla Lina che si è ripresa a pieno regime, hanno indetto cinque minuti di preghiera prima e dopo il pranzo, convinte che le loro parole devote e supplichevoli, abbiano il potere di richiamare un qualche aiuto divino.
Oltre ovviamente a voler tornare al più presto nelle loro case, tutti sperano di non dover rimandare l’inizio della festa, perché non è mai successo e, credono piuttosto superstiziosamente, che possa rivelarsi di cattivo auspicio doverlo farlo.
Preghiera dopo preghiera, Aurora è costretta molto a malincuore ad abbandonare quella sorta di setta, per recarsi nell’ufficio del sindaco a recuperare gli striscioni da appendere alla mostra, come dall'appuntamento fissato il giorno avanti.
Senza pensare due volte circa l'affidabilità di Liliana, consegna nelle sue mani la gestione della casa e, dieci minuti dopo le tre e mezza, si avvia verso il municipio, costeggiando il paese e la chiesa di sant’Abbondio, fortuitamente lontana dalla zona rossa.
-Venga, si accomodi- la invita il sindaco, una volta entrata nella stanza: tutto è rimasto come sabato, pochi giorni prima, perfettamente in ordine.
La grande finestra che dà le spalle alla scrivania in mogano, la libreria di ciliegio con gli scaffali imbottiti di libri di ogni dimensione e genere e cianfrusaglie di modesto pregio, la poltrona color caffé in eco pelle ... la frana avrà anche modificato le abitudini dei paesani, ma l'apparenza di normalità che traspare dall'ufficio della donna, la dice lunga sulla tenacia e la costanza montagnina degli abitanti del luogo.
La forestiera si siede come l’altra volta sulla sedia di legno intarsiato, di fronte allo scrittoio:
-Poco fa ho parlato con il Comandante dei Vigili del fuoco- esordisce il sindaco, non riuscendo a trattenere un sorriso carico di soddisfazione, un'elegante girocollo di seta color amaranto a lasciarle nude le braccia -mi ha detto che sta procedendo tutto come previsto, anzi, mi ha praticamente assicurato che entro questa sera i nostri concittadini potranno tornare nelle loro case!-
-E’ una bellissima notizia! Quindi hanno già rimosso la frana?- vuole sapere Aurora, sistemandosi meglio.
-Avrebbero iniziato proprio dopo la nostra telefonata! Speriamo che vada tutto per il meglio, così non dovremo rimandare la festa. Ah, guardi, le ho messo gli striscioni in questo sacchetto. Lo apra pure, così mi dice come sono- spiega la prima cittadina, porgendo una busta di carta alla sua ospite, dopo averla recuperata da uno dei cassetti della scrivania.
La forestiera dispiega con mani un po’ emozionanti le due stoffe bianche ripiegate con eleganza, trovandosi sotto gli occhi quei caratteri blu, verde e rosso che le aveva annunciato la donna appena il giorno prima.
-Vanno benissimo! E’ molto bella anche la stampa ... -
-Perfetto, allora direi che possiamo procedere con l’allestimento sul cornicione della chiesa e dietro l’altare, almeno con questo potremo dire concluso il suo lavoro!- sancisce il sindaco, già pronta ad agguantare la cornetta dell'apparecchio di fianco a lei.
-Chiamerò subito Vittorio, si ricorda di lui?-
-Sì, certo, c’era alla riunione in parrocchia … -
Lo squillo del telefono interrompe la conversazione: il sindaco sbianca in volto appena un paio di battute dopo aver pronunciato semplicemente la parola pronto.
-Quando è successo?! C’è qualche ferito grave?! No, purtroppo, non è possibile. D’accordo, lo contatto subito. Vi aspetto in ufficio, a dopo-
Aurora, abbandonato lo striscione che ora rischia di cadere, comprende che dev’essere accaduto qualcosa di molto serio, così, allarmata, domanda:
-Chi era? Cos’è successo?!-
-Era il Comandante dei Vigili del fuoco- la informa soprappensiero l'altra donna, lo sguardo basso e preoccupato.
-C’è stata una nuova frana, per fortuna più piccola della precedente: erano appena riusciti a rimuovere la prima, che la seconda è scesa proprio mentre stavano caricando l’altra sull’elicottero. Ci sono tre feriti ... lievi - continua il sindaco, cercando di domare la voce concitata in favore di un tono sereno.
-Ora devo telefonare al dottor Berti: porteranno i feriti qui al municipio, perché il suo ambulatorio si trova nella zona rossa e per questo è stato momentaneamente chiuso-
-Sa se è coinvolto anche il signor Pastero?- si appresta a sapere Aurora, ormai dimenticatasi dello striscione e della festa.
-Non me lo ha detto, mi dispiace. Se vuole aspettare, credo che a momenti saranno qui ... -
-Sì, certo, aspetterò, non c'è problema-


Il dottor Berti, un uomo sulla cinquantina, dai capelli folti e brizzolati, arriva dopo una decina di minuti con la sua valigetta in cuoio marrone e la cassetta del Pronto soccorso:
-Mi scusi- dice rivolto al sindaco, che nell'attesa ha sgomberato la scrivania e fatto portare in ufficio altre tre sedie e un tavolo, per poter visitare i feriti –ma dal momento che l’ambulatorio non è agibile, è tutto quello che avevo in casa … -
-Non si preoccupi, il Comandante mi ha detto che sono solo casi lievi. Se proprio sarà necessario, chiameremo un elisoccorso, anche se mi auguro non si arrivi a tanto ... -
La ragazza ascolta con attenzione il dialogo tra i due, mentre lancia un’occhiata verso la finestra dietro la scrivania, per controllare l’arrivo dei Vigili del fuoco.
-Spero infatti che non ce ne sia bisogno. Non le hanno detto di che tipo di ferite si tratta? Contusioni, probabili fratture, lacerazioni ... ?-
-No, non so nulla, purtroppo- risponde sempre più in apprensione il primo cittadino, torturandosi l'anello in oro bianco all'anulare destro.
-Se posso fare qualcosa ... - commenta con un filo di voce la forestiera, facendosi per la prima volta avanti.
L'uomo si volta verso di lei e, dopo le sbrigative presentazioni da parte del sindaco, scuote la testa:
-Fin quando non vedo con i miei occhi cos'è successo, non posso dirvi se potrà essermi utile il vostro aiuto, signore mie ... dobbiamo solo aspettare, a quanto pare-
Cinque minuti più tardi, tempo che la donna più anziana ha trascorso a rispondere a un paio di telefonate all'apparenza infinite, i malcapitati entrano nell’ufficio del sindaco: c’è anche Tommaso, tra di loro, con una vistosa escoriazione al braccio sinistro e alle mani, fasciate con delle bende ora sporche di sangue.
Gli altri due feriti zoppicano piuttosto vistosamente e, anche loro, mostrano varie lesioni sulle braccia.
-Siamo stati fortunati- saluta il Comandante, un uomo alto ed atletico, i capelli completamente rasati e gli occhi molto scuri, stringendo le mani della prima cittadina e del medico.
-Com’è accaduto?- s’informa prontamente la donna, facendosi da parte per far accomodare i tre feriti sul tavolo portato apposta per l'improvvisa evenienza.
-La frana era la metà di quella che abbiamo rimosso, però è scesa talmente all’improvviso che non abbiamo potuto deviarla. Per fortuna, i miei uomini, così come il tenente Pastero, sono allenati e in gamba, altrimenti avrebbe potuto travolgerli-
-E lei Comandante, non si è fatto niente? Non è ferito, vero?-
-No. Io, insieme alla squadra della Protezione civile, ero addetto a coordinare i lavori di rimozione dagli elicotteri: mentre l'uno avrebbe portato via la frana, l’altro lo avrebbe seguito a distanza, sorvolando sulla zona per controllare che non ci fossero altri massi. Purtroppo, la frana era perfettamente nascosta e non abbiamo fatto in tempo a dare la segnalazione ai colleghi lì sotto… -
-L’importante è che non sia successo nulla di grave- continua il sindaco – ora occupiamoci dei feriti. Le presento il dottor Berti, il medico del paese: l’ho subito chiamato, come d'accordo, così potrà visitare i feriti ... -
-Grazie, è stata molto gentile- ringrazia il Comandante, un sorriso sincero a testimoniarlo.
Aurora, sempre in disparte dal gruppo, si gira verso Tommaso, che si tiene il braccio escoriato con la mano insanguinata e, incrociando il suo sguardo, la rassicura sorridendole.
-Prima preferirei visitare i due uomini che ho visto zoppicare: vorrei escludere lesioni importanti-
I Vigili del fuoco chiamati in causa si fanno avanti, due quarantenni non troppo alti ma massicci, i visi ancora leggermente sporchi di terra e gli occhi color ambra, l'uno con i capelli ricci, l'altro lisci:
-Per fortuna non c’è nessuna frattura, solo una distorsione abbastanza grave- sentenzia il dottor Berti, dopo un’accurata analisi alle caviglie dei feriti – ora fascerò il piede ad entrambi, ma cercate di non appoggiarlo per almeno un paio di giorni. Se avete dolore e il ghiaccio non vi aiuta, potete togliere la fasciatura e mettere un po’ di questo spray che vi darò. Mi raccomando, utilizzate sempre bende pulite e possibilmente fatele aderire alla pelle, ma non troppo. Ora vi disinfetto le escoriazioni- continua a spiegare l'uomo, spostandosi verso la scrivania per recuperare gli strumenti necessari nella cassetta del Pronto Soccorso -fatelo anche a casa, possibilmente la sera, e dopo lasciatele libere durante la notte, in modo che la cute non maceri ... -
-Va bene dottore, grazie- annuiscono i due Vigili del fuoco, aiutati dal medico a sistemarsi sulle sedie e ad allungare le caviglie ferite su altrettante seggiole di fronte a loro.
-E ora passiamo a lei- il medico si rivolge a Tommaso, rimasto in piedi vicino alla scrivania del sindaco.
Aurora vorrebbe avvicinarsi, ma non fa in tempo perché il dottor Berti si para davanti al forestiero.
-Ha una brutta escoriazione al braccio: riesce a muoverlo?-
-Abbastanza, comunque non credo sia rotto- commenta con una smorfia mal celata, le sopracciglia aggrottate.
-Le fa molto male?- indaga l'altro, prendendo l'arto con delicatezza tra le mani.
-Uhm ... n-no, non molto-
-Provi a portarlo in alto, poi in basso … sì, così, ancora una volta di lato e infine cerchi di disegnare un piccolo cerchio in aria-
Il giovane fa tutto quello che gli dice l’uomo, soffocando un'altra smorfia di fastidioso dolore.
Il dottor Berti, soddisfatto per la buona riuscita di quegli esercizi, prosegue:
-Molto bene, anche lei è stato fortunato, non ha nessuna frattura. Ora vorrei vedere le mani … -
Srotolando le bende macchiate di un sangue scuro,
domanda rivolgendosi al sindaco:
-Ha un cestino dove buttarle?- .
-Sì, tenga- gli risponde lei, avvicinandolo preoccupata.
-Come ha fatto a conciarle in questo modo? Sembra che abbia cercato di bloccare la frana … - commenta, a metà tra il sarcastico e l'inquisitorio.
-Quando l’ho vista arrivare, mi sono buttato di lato, per cercare di ripararmi, solo che dalla mia parte c’era un groviglio di arbusti che mi ha graffiato le mani e le braccia … -
-Ho capito. Comunque, non vedo schegge di legno infilate … disinfetterò le escoriazioni anche a lei: come ho detto ai suoi colleghi, lo faccia anche a casa, tutte le sere. In più, per farle cicatrizzare prima, le do un campione di una pomata da mettere due volte al giorno: prima lavi accuratamente le mani, le disinfetti, e infine ci spalmi su un po’ di questa. E’ meglio, però, che tenga sempre su le fasciature, anche durante la notte, almeno per tre o quattro giorni-
-Va bene, grazie-
Il dottor Berti, una volta fatto il suo lavoro e aver scambiato ancora qualche battuta di circostanza con i presenti, se ne va, promettendo che a fine settimana sarebbe tornato a visitare i tre feriti.
-Ora Comandante, dovrete rimuovere anche la seconda frana che è caduta?- domanda la prima cittadina, dopo essersi accomodati sulle sedie libere, insieme a Tommaso e alla forestiera.
-No, la frana è rotolata fino a valle, ma si è fermata in un luogo, diciamo così, sicuro e facilmente raggiungibile con l’elicottero. Andremo a recuperarla domani mattina. Il problema è un altro: non vorrei che qualche altra frana scendesse dalle montagne e che, non riuscendola a vederla, come è successo con quella di oggi, possa fare altri danni maggiori. Gli uomini della Protezione civile stanno aspettando una mia telefonata per andare a fare un sopralluogo, prima che faccia buio, così potremo valutare l’eventuale presenza ed entità del pericolo-
-E le famiglie che abbiamo fatto evacuare ieri? Potranno tornare a casa?-
-Direi proprio di no. Per la loro incolumità preferisco che restino ancora per questa notte lontano dalla zona rossa. Le saprò dire qualcosa con maggiore sicurezza più tardi, dopo aver fatto il sopralluogo-
-Va bene. E per quanto riguarda il collegamento con la città?- continua apprensiva il sindaco, lanciando un'occhiata ad Aurora, attenta a quella conversazione.
-Non è più un problema. Questa mattina, prima di salire a rimuovere la frana, abbiamo sgomberato la strada dai detriti, così ora non siete più isolati. E lo stesso vale per il paese dietro il vostro, da cui è scesa la prima frana-
Finalmente, un sorriso si apre sul volto dei presenti, che stringe la mano all’uomo:
-Grazie, almeno una bella notizia!- commenta soddisfatta la prima cittadina.
-Sono sicura che anche il sopralluogo andrà bene!-
-Lo speriamo tutti. Ora mi scusi, ma devo andare-
Il Comandante si alza dalla sedia e, stringendo la mano delle due donne, si commiata rassicurante:
-La terrò informata. Arrivederci a tutti, e lei, tenente Pastero, si rimetta presto - gli augura, salutandolo con una stretta sulla spalla.
-Sì, signore, grazie-


Passando davanti alla chiesa di sant’Abbondio, Aurora e Tommaso si fermano sul ponte che attraversa il fiume, la parte illesa che non fa parte della zona rossa.
Affacciata al parapetto, il vento le scompiglia i capelli raccolti da un fermaglio tempestato di piccoli Swarovski.
-Ho avuto paura per te-
-Dici sul serio?- la guarda stupito il ragazzo, muovendo titubante le mani.
Lei annuisce, distogliendo lo sguardo da lui, per posarlo sul fiume dorato dal sole.
-Quando il sindaco mi ha detto che c’erano stati dei feriti, anche se lievi, ho come avuto la sensazione che tu fossi coinvolto, non so perché … -
-Beh, mi fa piacere che ti sia preoccupata per me, ma hai sentito quello che ha detto il dottore, no? Basta disinfettare e spalmare la pomata! Vedrai che le mie mani torneranno come nuove!-
Ritornando a fissare gli occhi verdi in quelli scuri di Tommaso, la forestiera sembra davvero preoccupata:
-Sei sicuro che non ti faccia male?-
-No, per niente, credimi! Mi dà solo un po’ fastidio il braccio: la pelle mi tira quando lo muovo, ma per il resto mi sento bene, anzi, sto bene!-
Aurora si mette a ridere, scuotendo la testa:
-Perché ridi?-
-No, scusa, è che mi viene in mente una cosa sciocca: questa sera chi mi aiuterà a cucinare e a lavare i piatti?-
-Ah, grazie per la tua considerazione! Ora capisco tutte quelle domande … puro ed egoistico interessamento personale, il tuo!-
-Ma scherzavo! Io ero veramente preoccupata per te! E’ solo che devo ammettere che ci sai fare in cucina, e anche con la signora Lina. Chissà adesso quando ti vedrà ridotto così come ti coccolerà!- lo punzecchia, girandosi e dando la schiena al fiume.
-Vorrei scappare solo per questo! No, a parte tutto, mi sta simpatica quella vecchietta, è molto gentile … -
-Se non te ne sei ancora accorto, lo è solo con te: la prima volta che ci siamo incontrate e mi sono permessa di domandarle se l’acqua del rubinetto fosse potabile, mi ha quasi sbranata!-
-Ma dai, non ci credo!- ribatte il ragazzo, ancora appoggiato al parapetto del ponte.
-E' perché non sai come trattarla, ci vuole pazienza e, quando possibile, assecondarla in quello che vuole fare, io non faccio nulla di più ... -
-Se lo dici tu che sei diventato il suo protetto … -
-Puoi fidarti. Comunque, per questa sera, non preoccuparti: con le mani conciate così non posso fare molto, ma il mio sostegno morale ce l’avrai sempre, e anche incondizionato!-
-Bene, ora sì che sono tranquilla e non vedo l’ora di affrontare quella banda di affamati!-
Tommaso dirige lo sguardo in direzione del campanile dietro di loro:
-Sono le cinque e mezza: cosa ne dici se cominciamo ad avviarci?-
Aurora annuisce con un profondo respiro e, sostenendo ironicamente il ferito, si apprestano a raggiungere la strada principale e a percorrere il viale verso la casa rossa e l'ignoto.

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Capitolo 13
*** Le feste natalizie di Aurora ***



LE FESTE NATALIZIE DI AURORA


Tardo pomeriggio di martedì 25 Luglio


Invece, alla cena, Aurora non deve affatto pensare.
Appena rientrati alla casa rossa, infatti, lei e Tommaso trovano Liliana indaffarata
in cucina, intenta a tirare fuori dal forno due teglie fumanti.
-Buonasera! Eccovi, finalmente, stavo per … oh, signor Pastero, cos’è successo? Cosa si è fatto?!- domanda allarmata la donna,
appena vede il ragazzo in quelle condizioni, gli occhi chiari contratti in una smorfia preoccupata e il sorriso che si spegne all’istante.
Posa con non troppa cura le presine e il contenuto che reggono sulla credenza lì vicino, per avvicinarsi insicura ai due nuovi venuti.
-Non si preoccupi, abbiamo avuto un piccolo incidente durante la rimozione della frana. Per fortuna non è successo niente di grave, solo qualche escoriazione … - la tranquillizza Tommaso, passandosi il braccio sinistro, quello che non gli fa troppo male, sul viso ancora leggermente sporco e graffiato sulla guancia.
-Le sue mani … le fanno male? Posso fare qualcosa?- continua la donna, la voce preoccupata e gli occhi angosciati, gesticolando con una punta d'isteria, in preda all’ansia.
-Mi danno fastidio, lo ammetto, ma, le ripeto, signora, non è successo nulla di grave. Poco fa,
nell’ufficio del sindaco, ci ha visitati il dottor Berti, veniamo proprio da lì. Devo solo disinfettare le ferite e metterci una pomata, ma nel giro di qualche giorno passerà tutto, stia tranquilla!-
Tommaso rassicura con lo sguardo la donna, che si appresta a soffiarsi il naso, l’emozione palpabile che quella scena le ha suscitato.
-E siete riusciti a rimuovere la frana?- domanda speranzosa, rimettendo il fazzoletto nell’incavo del seno, indosso la maglia turchese traforata a maniche corte.
-Sì, l'incidente è avvenuto poco dopo. Il masso che ci ha quasi investito è stata un’altro, più piccolo, che è inaspettatamente sceso a valle. Proprio in questi momenti, il Comandante dei Vigili del fuoco insieme agli uomini della Protezione civile è andato a fare un sopralluogo su in montagna, per controllare l'eventuale presenza di zone a rischio e non visibili dal paese … -
I tre, ancora in piedi vicino alla credenza in legno, non riescono ad alleggerire la tensione, sebbene nessuno di loro voglia fomentare ancora di più l'ansia e l'agitazione che le parole hanno suscitato.
-Possiamo anche sederci … - propone Aurora, sorridendo, trasformando a parole il pensiero di Liliana e Tommaso –la situazione di certo non cambierà se rimaniamo in piedi. Anzi, beviamo qualcosa?-
Il ragazzo è il primo ad assecondare la proposta della forestiera, ovviamente scosso da tutto ciò che gli è capitato nel pomeriggio.
Le mani fasciate gli prudono terribilmente, il braccio sinistro gli pulsa fastidiosamente; si sente sporco, a causa della terra che percepisce essersi infilata nella divisa che ha ancora addosso.
-Sì, grazie- risponde con un sorriso tirato – per me va bene dell’acqua fresca … -
La giovane si avvicina al frigo e, dopo che anche Liliana ha confermato di volerne un semplice e dissetante bicchiere, tira fuori la bottiglia.
La porta al tavolo, dove recupera dei bicchieri capovolti su uno strofinaccio verde e posti lungo la parete, al centro, in modo che non cadano.
-Quindi, signor Pastero- prosegue la bottegaia, dopo aver sorseggiato il liquido trasparente – se c’è la possibilità che esista qualche altra frana, vuol dire che dovremo fermarci ancora qui, almeno per questa notte?-
-Credo proprio di sì, signora, però, almeno una buona cosa siamo riuscita a portarla a termine: abbiamo fatto in tempo a togliere i detriti dalla strada che porta alla città, così ora non saremo più isolati- spiega Tommaso, mentre Aurora gli versa dell’altra acqua.
-Oh, finalmente una bella notizia!-
-Dobbiamo esserne molto felici!- s’intromette la ragazza –è un passo avanti verso la normalità che, sono certa, presto tornerà a regnare in paese!-
Il forestiero le lancia un’occhiata complice, soddisfatto per quella testimonianza inattesa di generosità, mentre Liliana la fissa con occhi lucidi, poi, trattenendo a stento le lacrime, si giustifica:
-Mi dispiace molto per quello che sta succedendo, Aurora, e anche per il disturbo che le stiamo creando! Lei, qui, è venuta per fare una semplice vacanza, per rilassarsi, invece si ritrova catapultata in quest’incubo ad occhi aperti ... mi dispiace davvero-
-Ma no! Perché dice questo?- le risponde la forestiera, mentre un sorriso di conforto le affiora sulle labbra.
-E’ il minimo che possa fare per la sua gentilezza e quella della sua famiglia- prosegue, avvicinando la sedia a quella della bottegaia.
-Anzi, almeno mi ha dato la possibilità di sdebitarmi per quella fantastica cena che alla fine non ho più avuto occasione di ricambiare!-
-
A proposito di cena, quasi mi dimenticavo!- la donna batte una mano sul tavolo, le guance imporporate.
-Mi sono permessa di preparare qualcosa con quello che ho trovato in giro. Volevo farvi una sorpresa per festeggiare il rientro nelle nostre case, invece … -
-Invece ci mangeremo ugualmente tutto quello che ha preparato!- conclude la ragazza, appoggiandole una mano sul braccio – allora, cos’è questo profumino?-
-Oh, nulla di che- si schernisce ingenuamente Liliana -ho infornato due teglie di focacce. Le ho potute fare solo semplici, con un po’ d’olio, di sale grosso e del tonno che ho portato-
Poi, dopo aver ritrovato il solito entusiasmo che la caratterizza e alzandosi per rimettere a posto le presine che ha malamente abbandonato sulla credenza pochi attimi prima, continua:
-Ho preparato anche due budini al cioccolato, li ho già messi in frigo. Non so se basterà come cena ... magari potremmo fare uno sformato di pasta: ho visto che c’è della mozzarella e ancora mezza bottiglia di salsa, in frigo.
Anzi, le prometto che appena tutto questo sarà finito, le offrirò tutte le spese che vuole, potrà comprare anche mezzo negozio, se lo desidera!- propone in rapida successione la donna più anziana, per poi ritrovarsi a ridere entrambe, complici dell’intimità che si è creata tra di loro:
-Va bene, ma non vorrei depredarle la bottega! Ora, però, bando alle ciance! Preparariamo lo sformato, altrimenti non sarà tutto pronto per l’inizio del primo turno delle sette! E tu, Tommaso, rimani seduto e riposati!-
-Agli ordini!- si arrende il ragazzo, reprimendo una smorfia di doloroso fastidio alla mano destra, portata alla tempia per fare il tipico gesto di obbedienza dei soldati di fronte ai loro superiori.
-A proposito, Linda come sta?- s’informa la forestiera, recuperando
dal chiodo nel muro il grembiule giallo con le cocche scucite, vicino alla finestra semiaperta.
-Meglio. Poco dopo che è andata via, ha voluto scendere in soggiorno e ha coccolato un po’ Blasco: deve vedere come
quei due gatti vanno d’accordo!-
Liliana sta recuperando dal frigo la mozzarella e la bottiglia di pomodoro già per metà utilizzata.
-Lo so, li ho visti ieri! Se sua figlia si sta riprendendo, magari stasera potrà scendere a cenare con noi …  immagino si annoi molto a rimanere sempre da sola in camera sua-
La bottegaia fa spallucce, mentre con la forbice taglia un lato della confezione del formaggio molle e, sorridendo, asserisce:
-Forse, se sale lei a chiederglielo, riuscirà a convincerla!- le schiaccia l'occhiolino la donna, accondiscendente.
-Va bene. L’aiuto qui e, una volta finito, vado!-



Aurora sta salendo le scale per andare a farsi una doccia: la preoccupazione per quello che improvvisamente è successo, l’ansia per le condizioni fisiche dei feriti, la piacevole sorpresa della cena che Liliana ha preparato e la velocità con cui hanno cucinato i due timballi di pasta, insomma, tutte quelle emozioni hanno contribuire a sfiancare ancora di più la ragazza.
Non si azzarda nemmeno a pensare alla possibilità tutt’altro che remota che la festa non si possa realizzare: tutto il lavoro che ha condotto in quella settimana per completare la mostra fotografica, l’impegno, la ricerca di idee, non può rivelarsi solo mero tempo sprecato.
Dopo aver recuperato dall’armadio e dal comò il necessario per rimettersi in sesto, la forestiera è pronta per rinfrescarsi corpo e idee con una bella doccia fresca.
Sul pianerottolo, di fronte alla sua camera, c’è il bagno che ha scelto di utilizzare prima che arrivassero Tommaso e gli esuli, in quanto più grande e vicino rispetto agli altri due e alla piccola lavanderia posta sul retro della cucina, al piano terra, dove si trovano anche il grande salotto con il divano e la poltrona in tessuto a fiori rossi e alla sala da pranzo, priva di un altro tavolo, assolutamente essenziale in quei giorni, ma occupata dalla meravigliosa credenza in legno intarsiato, con i pannelli colorati di vetro smerigliato e i pomelli dorati.
Dal lato opposto rispetto alla propria, ci sono le altre cinque stanze da letto, ora occupate dai nuovi coinquilini.
Esattamente a metà del corridoio del piano superiore, vi è la biblioteca, dove quasi due settimane prima Aurora ha ritrovato il carillon con le lettere e le fotografie di Teresa, la figlia più piccola dei conti che fino a quarant’anni prima erano gli unici proprietari della villa.
La ragazza aveva trovato la morte giovanissima, appena ventenne, decidendo di impiccarsi al ciliegio del giardino ormai sradicato, per fuggire al viaggio in Uruguay con il ricco marito libertino, lontano dalla sua casa e dai suoi cari.
La forestiera conserva
quell’oggetto prezioso e antico in uno dei cassetti del comò, nella camera che probabilmente avrebbe potuto bennissimo essere della ragazza, per quanto ne sa, l’eredità di una persona che non ha mai conosciuto, ma che, grazie anche al racconto di Linda di qualche giorno prima, riesce a sentire emotivamente vicino.
All’improvviso, proprio mentre sta richiudendosi la porta alle spalle, la ragazza avverte il getto dell’acqua provenire da una delle altre stanze da bagno, quella più vicina alla camera di Tommaso, ora occupata dalla Lina.
Aurora appoggia i vestiti sullo stretto davanzale in pietra e, con passi titubanti, si avvia lungo il corridoio.
Il giovane, poco prima di salire, l’ha avvisata che avrebbe voluto lavarsi, per rimuovere tutta quella polvere che avverte essergli finita addosso, sotto la divisa.
Lei e Liliana si erano subito offerte di aiutarlo, anche solo per fargli la barba, se ce ne fosse stato bisogno, però, dopo aver pronunciato quella richiesta non del tutto assurda, il senso di pudore e l’imbarazzo si erano insinuati nella loro mente: che domanda stupida, che cosa avrebbero potuto fare per rendersi utile?
Di certo non si trattava di un bambino, che potevano lavare come meglio credevano, ma di un uomo, che non avrebbe lasciato che due donne sconosciute gli pulissero schiena e torso.
Avrebbe dovuto sfasciare le bende, certo, ma Tommaso era sicuro che un po’ di acqua e del sapone neutro non avrebbero fatto male alle sue escoriazioni.
E poi, da coscienzioso paziente, le avrebbe diligentemente disinfettate, vi avrebbe spalmato con cura la pomata che gli aveva dato il dottor Berti per, infine, rimettere a posto le fasciature, con l'intento di proteggere le mani ancora per qualche giorno.
Aurora passa di fronte alla porta dietro cui sente distintamente lo scroscio dell’acqua: sa per esperienza che le tubature della villa sono piuttosto vecchie e che ci vuole qualche minuto prima che l’acqua diventi calda, quindi, probabilmente, potrebbe fare ancora in tempo a bussare e domandare a Tommaso se ha bisogno del suo aiuto.
Poi, appena formulato quel pensiero, si dà della sciocca: c’era voluto molto tempo per entrare in intimità con Mattia, il suo Mattia, figuriamoci se potevano bastare tre giorni per permettersi di vedere un completo estraneo mezzo nudo.
Già, Mattia: da quanto tempo non lo vedeva? Almeno un mese, da quella sera in cui lei gli aveva chiesto del tempo per riflettere, per pensare alla loro storia e al rapporto che li legava.
Quello che era successo, prima con l'insensata rivelazione della madre e poi con la violenza subita dal suo capo, l’aveva indubbiamente scossa, facendole vacillare le più elementari certezze che credeva facessero parte della sua vita: la famiglia e l’amore.
Pensare anche solo di non riuscire a stringerlo tra le sue braccia, di non riuscire a baciarlo, perché la vicinanza, il contatto fisico le avrebbe procurato ribrezzo e pudore, era qualcosa che non avrebbe mai pensato potesse accadere.
I dieci mesi che li avevano visti uniti erano stati tra i periodi più belli che riusciva a ricordare.
Ancora ferma in corridoio, Aurora avverte la porta di una delle stanze aprirsi: prima di rendersi conto che ha gli occhi lucidi, si allontana velocemente dalla parte opposta da cui proviene il rumore, per rintanarsi, finalmente e in solitudine, in bagno, non desiderando incontrare nessuno che, con il solo sguardo, la possa compatire.




Il vociare in soggiorno e in cucina si fa sempre più alto: i poveri sfollati sono usciti dalle loro camere e, ora, sono tutti concentrati a dare una mano con i preparativi della cena.
La signora Angela e Roberta stanno apparecchiando la tavola; Liliana è intenta a tagliare in fette più eque possibili le due focacce e gli sformati di pasta; i mariti si sono autoproclamati addetti ufficiali alle bevande, mentre la Lina, gli occhi incollati su Tommaso, lo
sta tartassando con parole zuccherose e abbondanti moine.
Dalla porta della veranda aperta, la ragazza riesce a scorgere Macchia scorrazzare tra i cespugli di more e i gigli in fiore.
La doccia l’ha fisicamente rigenerata ma, prima di andare da Linda, vuole assicurarsi che la bottegaia non abbia bisogno di aiuto per imbandire il tavolo in favore del primo turno che si sarebbe svolto da lì a dieci minuti.
Gli esuli più anziani – le due coppie che ha visto per la prima volta solo il giorno precedente, all’arrivo dell’Esodo, e la signora Lina- sono già pronti per riversarsi affamati sui piatti.
Ad Aurora, tutto quel piacevole e famigliare trambusto, fa riaffiorare alla mente i giorni affannosi delle feste natalizie: a casa sua tutti erano in gran fermento, la madre stilava il menù della Vigilia con settimane di anticipo e, ogni cosa, dall’argenteria impolverata che tirava fuori solo per le occasioni importanti, ai vestiti eleganti delle figlie e del marito, doveva risplendere per l’intera serata e suscitare invidia davanti ai parenti al gran completo.
Persino ai due cani di famiglia, Sansone ed Ercole, veniva comprato un collare o un guinzaglio nuovo, a seconda delle necessità annuali, ovviamente.
Lei e sua sorella Silvia erano le addette alle decorazioni dell’albero e della tovaglia di raso rosso e dorato: disseminavano gli aghi più lunghi che rubacchiavano dal pino nel giardino della casa della nonna, avendo cura di posizionarli negli spazi tra i vari piatti e bicchieri, appoggiavano con solennità i segnaposti a forma di renna – disegnati rigorosamente da loro due- davanti ai piatti di cristallo e, infine, sparpagliavano, con abile maestria, candele bianche e rosse in prossimità dei calici per il vino e lo spumante …
I mormorii indistinti della signora Lina, avvolta in un vestito nero da lutto, risvegliano da quel viaggio della memoria la forestiera: l’anziana donna ha cominciato a pregare insieme alle altre due vecchiette -Angela e Teresa, che è scesa
in compagnia del marito pochi attimi dopo la ragazza-, non prima di essersi assicurata che il suo prediletto, Tommaso, stia effettivamente bene:
-Oh, caro, come ti senti? Ti fa male da qualche parte?- è ormai diventata la sua implacabile nenia.
-No, signora, sto bene- biascica per l’ennesima volta il forestiero, avvolto da una T-shirt rossa che lascia scoperte le braccia abbronzate e
muscolose al punto giusto, le ampie spalle rivolte verso la porta della cucina, i pantaloncini grigi appena sopra il ginocchio e ai piedi un paio di sneakers.
Le mani ancora fasciate ondeggiano sui fianchi, un antistress alle domande monotone della vecchietta.
-Sei stato molto coraggioso, sai? Non tutti avrebbero avuto quella prontezza di riflessi! Però, se fossi in te, cambierei mestiere, almeno è quello che ti suggerisco. E’ troppo pericoloso, soprattutto per una persona giovane come te: poverino, chissà come soffri con tutte queste ferite … !- prosegue petulante, accarezzando dolcemente le mani di Tommaso.
-Ma a me il mio lavoro piace, signora! E poi, se la pensassero tutti così, chi lo farebbe?-
La signora Lina ci riflette su per un nanosecondo, la fronte carrugata,poi asserisce con convinzione:
-Hai ragione, caro, solo gli eroi come te possono fare un lavoro del genere. Fossi nel sindaco, ti darei la medaglia d’oro!-
Poi, stringendo gli occhi cerulei e acquosi, sotto la perfetta pettinatura candida cotonata, ha un’illuminazione a dir poco sensazionale, che non le impedisce di emettere un risolino di auto convincimento e di battere le mani ossute, con le vene in rilievo ma incredibilmente senza rughe:
-Forse, non tutto è perduto! Come membro più anziano del Comitato, sono sicura che riuscirò a convincerla, mio caro!-
-Ma no, non si deve disturbare! -
Il forestiero si guarda intorno con la speranza che, qualche anima pia, venga finalmente a trarlo in salvo.
-Quale disturbo?! Se non ci fossi stato tu, chissà dove avrei dormito! Fuori, nel cortile, ecco dove mi avrebbero messo! E poi, ieri mi hai salvato la vita: non potrò mai dimenticarlo, caro, mai!-
Aurora non riesce a resistere a quelle moine, le viene inevitabilmente da ridere e, visto che a differenza di Tommaso lei non rientra nelle grazie della Lina, preferisce salire da Linda, per vedere se riesce a convincerla a cenare con loro.
Macchia le sfreccia davanti, per concludere la sua corsa con un elegante e quasi silenzioso tuffo su uno dei cuscini del divano.
La ragazza dà un’ultima occhiata divertita a quel covo di matti e, finalmente, sale di nuovo le scale.



-Posso entrare?- domanda la forestiera, dopo aver bussato con un paio di colpi di nocche alla porta.
La voce della ragazzina non risuona più flebile, anche se è ancora sdraiata nel letto, il cuscino dietro la schiena e Blasco accoccolato vicino a lei.
-Ciao! Sì, entra pure. Oggi pomeriggio mi sentivo meglio e sono scesa giù sperando di fare due chiacchiere con te, ma non c’eri … -
-Sono andata a sistemare gli ultimi preparativi per la mostra- le spiega Aurora, accomodandosi sulla sedia rivestita di velluto rosso - il sindaco mi ha fatto vedere gli striscioni da appendere in chiesa, per questo sono dovuta uscire ... -
-Ma allora avete fatto le cose in grande! E cosa c’è scritto?-
-Il titolo della mostra fotografica, Lavori di ieri e di oggi: il passato e il presente fra tradizione e modernità. Che te ne pare?-
-Mi piace! Sì, suona proprio bene!-
Poi, con voce coscienziosa e una punta di preoccupazione, chiede:
-Senti, ma secondo te, riusciremo a fare la festa?-
La ragazza sospira in maniera più evidente del solito, a testimoniare che quella è una domanda per la quale nessuno conosce ancora la risposta.
-Non lo so. Questa mattina, i Vigili del fuoco sono riusciti a rimuovere la frana, ma ne è scesa un’altra, ferendo alcuni di loro … -
Linda, eccitata e incuriosita, si sistema meglio il cuscino dietro la schiena, Blasco immobile accanto a lei e, con fare solenne, domanda:
-Stanno bene, però, vero?-
-Sì, per fortuna, il dottor Berti li ha medicati e sembra che non avranno conseguenze. Solo che adesso, dopo quello che è successo, i pompieri temono che ci possa essere qualche altra frana nascosta, su in montagna, per questo dovrete rimanere qui ancora per questa notte … -
-Che bello!- batte le mani la ragazzina, ridiventando subito dopo seria  -cioè, ovviamente mi dispiace per quello che sta capitando, non sono così insensibile, mi rendo conto anch'io che la situazione è molto precaria, però qui mi piace molto: dalla finestra riesco a vedere un panorama bellissimo, con il lago e parte della città, mentre a casa, dalla mia camera, posso guardare solo le montagne e il campanile della piazza-
-Ogni volta che vorrai, lo sai, potrai venire da me ... - le sussurra amorevolmente Aurora, guardandola con dolcezza.
-Lo so, ma non è solo per il paesaggio. Qui ci sei tu che mi fai compagnia, e anche Blasco si diverte tanto con Macchia! E poi, se penso che in questa villa ha abitato Teresa e che magari per il giardino si aggira il suo fantasma, mi elettrizza un sacco! Quando tutto questo sarà finito, potrò vantarmene con le mie amiche!-
-Ehi, calmati, Linda!- le sorride con una punta di rimprovero la forestiera, bloccando quel fiume di parole.
-Lo so bene che tutto questo ti piace- prosegue, accarezzando il dorso di Blasco.
–E so anche che il tuo gatto e il mio sono diventati amici: si sono talmente stancati, che ora Macchia si sta riposando sul divano, anche se, con tutto quel rumore, non so proprio come faccia! A proposito, ti va di scendere e mangiare con noi?-
Gli occhi verdi della ragazzina si illuminano di gioia e, non riuscendo a frenare la curiosità, s’informa se quello che ha sentito corrisponde a verità:
-Stamattina, la mamma mi ha raccontato che dovete fare i turni. E' davvero così?-
-Sì- ammette la forestiera, allargando le mani con un sorriso -non ci sono abbastanza posti per sedersi al tavolo tutti insieme, così siamo stati costretti a trovare questo piccolo stratagemma! Ma, se è solo questo che ti preoccupa, non hai scuse, perché tanto tu mangerai con noi, non con i vecchietti!- continua a punzecchiarla, pizzicandole amichevolmente una guancia.
-Allora, scendi?-
-Uhm, va bene- fa finta di fare la sostenuta Linda, per poi aggiungere allegramente: -Oggi a pranzo non ho quasi mangiato nulla, ma adesso, dalla fame che ho, mi sta venendo un’acquolina in bocca che mi divorerei l'intero letto!-
-Perfetto!- si alza in piedi Aurora -quando tocca a noi, verrò su a chiamarti. Anzi, se te la senti, possiamo far che scendere, così non starai più tutta sola e Blasco terrà compagnia a Macchia! Che ne dici?-
Gettando il lenzuolo e la leggera coperta raffigurante dei delfini da un lato, Linda si mette a sedere entusiasta:
-D’accordo, ci sto!-

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Capitolo 14
*** I due sogni ***



I DUE SOGNI



MERCOLEDI' 26 LUGLIO


La frana scende lentamente, un masso brunastro dagli spigoli appuntiti e affilati come grezze cesoie: sembra un quadro di Picasso, in cui lo spettatore non riesce a comprendere, da una prima sommaria occhiata, dove finisce la realtà del soggetto rappresentato per lasciar posto alla fantasia dell'inconscio.
Oh no! Non è l’unica, ce ne sono altre che la seguono.
Aurora prova a contarle, angosciata cammina avanti e indietro dalla sua postazione di sentinella.
Scruta con occhi sbarrati quel corteo inarrestabile, composto da almeno dieci frane; una è molto grossa, grande quanto un’automobile, e trascina dietro di sé tutto quello che incontra: arbusti, alberi, fiori, piante, sembra riesca a contrastare persino la forza del fiume.
Lei è terrorizzata: è rimasta in casa, da sola con Macchia, e guarda quello spettacolo infernale dal balcone della camera.
A un certo punto, quando ha finalmente trovato il coraggio di sporgersi dal parapetto, si accorge con orrore della presenza di tutti gli abitanti del paese, stipati nella piazza della chiesa: Aurora controlla meglio, un tuffo al cuore la trafigge, perché tra di essi ci sono anche i dodici sfollati e ... sì, certo, quello è Tommaso, che ha ancora le mani fasciate e le bende macchiate di sangue.
La ragazza urla, per tentare di avvisarli, di intimarli a sbrigarsi a fuggire, per mettersi in salvo, ma qualcosa le blocca le corde vocali: è la paura.
Affonda nel fango del panico, tanto da ripetersi biascicando "come faccio a salvarli, se non ho voce?"
Allora, comincia a richiamare l’attenzione dei presenti facendo degli ampi gesti con le braccia, poi batte le mani, si toglie il golf turchese e lo sventola sopra la testa, in grandi vortici scomposti.
E, finalmente, riesce a liberarsi da quella morsa silenziosa e infida, riesce a gridare con tutto il fiato che ha in corpo: avvisa con tutta l'aria che ha nei polmoni del pericolo che stanno correndo le persone lì sotto, adesso tentano di scappare e di rientrare alla villa, ma sono tutte pigiate, l’una sull’altra, non riescono a trovare una via di fuga!
Aurora si sente impotente, non sa cos'altro può fare per aiutarli.
Un fulmine improvviso, seguito da un rombo di tuono che squarcia l'orizzonte, guarda in alto, verso il sole nel cielo che, improvvisamente, lascia il posto a grosse nubi scure, basse all’orizzonte, cariche di pioggia, acqua che, prontamente, comincia a scendere.
La terra diventa fango e il fango si allarga fino a formare delle pozzanghere enormi, mentre la melma -scura e pastosa- straborda fuori quegli specchi di orrore.
Nel frattempo, la prima frana, quella più grande di tutte, raggiunge la gente in piazza, travolgendola senza che nessuno possa fare qualcosa per evitarlo, senza che lei possa fare qualcosa.
Il campanile batte le ore, le undici o forse le dodici, la forestiera non riesce a distinguere bene i rintocchi.
È come un gioco di magia, un'illusione di cattivo gusto, quel masso enorme che, piano piano, si trasforma nel suo capo: il ghigno così sicuro dipinto in faccia, i capelli perfettamente pettinati, le braccia forti, il corpo atletico … è lui, non c'è alcun dubbio.
La ragazza urla, ma nessuno la sente, perché ormai non c’è più nessuno...
Aurora si sveglia madida di sudore, il respiro affannoso, i palmi delle mani premuti contro le lenzuola stropicciate.
Ha gridato solo nel sogno, anzi, nell’incubo? Perché, mentre guarda con orrore la porta della stanza, non le sembra di sentire alcuno scalpiccio concitato incedere nel corridoio, a indicare l'arrivo preoccupato di qualcuno in suo aiuto.
Si toglie i capelli dalla fronte e scende dal letto: una nausea improvvisa le attanaglia lo stomaco e ancora di più la gola.
E’ da quando è successo, tre mesi addietro, che lei non ha più avuto così nitida quella visione devastante.
La paura per la sua incolumità le ha fatto risvegliare il sentimento di pura angoscia, di terrore incontrastato, che ha avvertito prepotente e atroce negli attimi della violenza, impossibile da dimenticare.
Si mette a piangere con tutta la disperazione di cui è capace, come se fosse l'unica arma di difesa rimastale: non si accorge neppure che le unghie grattano la pelle sottile dei palmi, poi affonda il viso nel cuscino spiegazzato, caldo e profumato di lillà, ora bagnato di lacrime.


 
Dopo qualche minuto di quello sfogo il più silenzioso possibile, la forestiera guarda l’orologio da polso che ha appoggiato la sera prima sulla sedia che le fa da comodino: le sei e un quarto.
Supina, lancia un’occhiata verso la finestra, le tende tirate, i vetri socchiusi.
Non ha più sonno, così si alza e, lasciando la stanza completamente al buio, scende le scale.
Sta andando in cucina per bere un bicchiere d’acqua, quando vede una figura sdraiata sul divano.
Subito non le viene in mente che si tratta di Tommaso: si avvicina cautamente alla sagoma, il lenzuolo tirato fino a metà del petto che sobbalza con delicatezza al ritmo di un respiro tranquillo, tranquillizzandosi subito dopo nel vedere il volto rilassato del giovane.
Macchia, acciambellato sulla poltrona di fronte al divano, si accorge della sua padrona e, per testimoniare la sua contentezza, comincia a miagolare.
-Shh, silenzio, Macchia!-
Ma il gatto non ha alcuna voglia di smettere: pretende la sua razione di coccole mattutine, così la ragazza è costretta a riprenderlo ancora una volta, questa volta con tono più perentorio:
-Smettila, altrimenti si sveglierà! Vieni, andiamo in cucina ... - continua, prendendo in braccio il felino che, finalmente contento di aver imposto l’attenzione, comincia a fare le fuse, contornate da qualche generoso miao di ringraziamento, senza rendersi conto che, ormai, il danno è compiuto …
- Aurora, sei tu? E’ successo qualcosa?-
Lei si volta lentamente, sentendosi come una ladra sorpresa a rubare nella casa di un conoscente e che, nonostante tutte le precauzioni prese, è stata colta in flagrante:
-Sì ... no, cioè, scusami se ti ho svegliato, anzi, se lui ti ha svegliato … continua a dormire, è presto- tenta di sgusciare via la ragazza, felice che il rossore che le sta imporporando le guance, al buio non si riesca a notare.
-Lui chi?-
-Ehm ... Macchia, è stato lui a miagolare e ... va beh, non fa niente-
Tommaso, il volto ancora in penombra, abbassa la testa e, sospirando, s'informa di che ore siano, non riuscendo a trattenere un sorriso.
-Le sei e un quarto passate da poco. Ora dormi ... hai bisogno di riposo –
Ma lui ha tutta l'intenzione di non lasciarla andare:
-Come mai sei così mattiniera?-
-Non avevo più sonno, tutto qui. Però tu, da eroe quale sei, meriti ancora di riposare, no? A proposito, come ti senti?-
Aurora, il tono di voce sempre basso, cerca di ironizzare in quella situazione apparentemente irreale:
-Bene, mi danno un po’ fastidio le bende, ma per il resto bene. Comunque, hai ragione- un lieve sorriso gli increspa le labbra - ieri sera non finivano più di farmi domande, per non parlare di quella donna, la signora Lina, che voleva a ogni costo che le facessi vedere le ferite! A un certo punto, ho dovuto dirle che ero talmente stanco e provato da quello che era successo, che avevo bisogno di riposarmi-
-E lei ci ha creduto?- domanda Aurora retorica, già sapendo la risposta.
-Per fortuna sì. Dovevi vedere con quale aria compassionevole mi ha accompagnato fin qui, sul divano. Voleva persino aiutarmi a sdraiarmi e a spogliarmi… -
-Ormai non puoi più sfuggirle!-
Il forestiero si mette a sedere sul sofà, il lenzuolo giallognolo buttato da un lato, mentre la ragazza si siede sulla poltrona, con Macchia sempre tra le braccia:
-Questa notte ti ho sognata … - esordisce Tommaso, la mano destra abbandonata sul ginocchio corrispondente flesso.
-Oh, davvero? E almeno era un bel sogno?-
-Per me sì. Stavamo passeggiando, tu ed io, e tutte le persone che incontravamo ci salutavano, ci chiamavano per nome. Poi mi giravo verso di te e mi sorridevi: credo che fossi felice per qualcosa … -
Lei deglutisce imbarazzata, non sapendo quale significato dare alle parole appena udite.
-E’ un bel sogno, mi piace. E ... come è finito?-
-Non lo so, mi sono svegliato. Diciamo che era ancora in corso quando ti ho sentita arrivare!-
-Mi dispiace, non solo per il sogno, ovviamente. E’ che Macchia, quando vuole le coccole, non ha alcun ritegno!-
-Non importa- la rincuora, facendo spallucce.
-Magari, con un po' di fortuna, questa notte lo continuerò-
-Magari ... sono curiosa di scoprire la fine-
-Ascolta- riprende il ragazzo, la voce ancora più bassa e complice -c’è una cosa che vorrei dirti … -
-Ti ascolto- la forestiera sprofonda in quella poltrona troppo grande per lei, la mano sinistra che continua ad accarezzare Macchia, mentre con l’altra si stropiccia gli occhi appesantiti dal sonno bruscamente interrotto.
-Riguarda la mia vita. Solo che non so da che parte iniziare ... -
-Beh, prova a dirmi in che modo come posso aiutarti …  vuoi un consiglio, un parere?-
Tommaso abbassa lo sguardo, le mani fasciate e giunte a mo' di preghiera, abbandonate tra le ginocchia, i capelli spettinati e il sorriso così affabile e sincero:
-In realtà non saprei se definirlo proprio un consiglio … il fatto è che, da quando sono arrivato, ho capito molte cose che prima, da solo, non ero riuscito a comprendere fino in fondo ... -
-Ti ricordo che sei qui da soli due giorni: non vorrei che diventassi troppo saggio, quando te ne andrai!- lo punzecchia lei, sistemandosi meglio sulla poltrona.
-Può essere- ammette lui, recuperando con un piede il lenzuolo caduto -anche se saggi non si finisce mai di esserlo. Aurora, tornando a quello che stavo cercando di dirti, è una cosa che mi riguarda nel profondo e che solo tu puoi aiutarmi a svelare. Promettimi che … -
Un ciabattare cauto e guardingo, distoglie i due giovani dalla conversazione: Tommaso si gira, mentre la forestiera rivolge lo sguardo verso le scale, il punto da cui proviene il rumore.
-Oh, caro, ti sei già svegliato! Sei riuscito a riposare questa notte?-
La signora Lina, avvolta in una vestaglia rosa a fiori blu e le babbucce di spugna fucsia, si avvicina al ragazzo e, con premura, appoggia le mani su quelle ferite di lui.
-Ma cosa ci fa qui, a quest’ora? E’ ancora presto!-
-Non sono riuscita a riposare oltre, mio caro, continuavo a pensare a quello che ti è successo, lassù in montagna. Hai avuto veramente coraggio!-
Aurora, lusingata dalla profusione di saluti fatti in suo onore dalla vecchietta, emette un debole risolino che, però, non sfugge alle attente orecchie della donna:
-Perché la rida? L’è quai suces un quarantot’ e lei la ghigna? Fossi in lei, mi vergognerei!-
-Ma no, signora, non rideva mica di me!- arriva in suo soccorso Tommaso.
–Vede? E’ per il gatto, le sta facendo le fusa, per questo sorride. Comunque, grazie per il suo interessamento, signora. Ho dormito molto bene e lei non doveva affatto disturbarsi-
Il forestiero cerca di togliersi da quell'impiccio, alzandosi dal divano ma, furba come una volpe, la donnina anticipa le sue mosse, bloccandogli un braccio:
-Quale disturbo, caro? E’ un piacere farti compagnia e confortarti! Cosa ne dici se non rispettassimo quegli stupidi turni e andassimo a fare colazione insieme?!-
Tommaso rivolge uno sguardo d’aiuto ad Aurora che, scuotendo la testa, non riesce a ribattere, concentrata com’è a rimanere seria e a non riprendere a ridere.
-Veramente, avrei ancora un po’ di sonno e vorrei riposarmi almeno per ... un’ora, sì. Lei, se vuole, può cominciare a mangiare, più tardi la raggiungo, non si preoccupi-
La Lina rivolge uno sguardo carico d’odio alla ragazza, occhiata che raggelerebbe persino Jack lo Squartatore.
-Uhm, non è che vuoi rimanere da solo con lei?- 
-Ma no, signora, è che non ho voglia di fare colazione. E’ ancora presto … -
A quelle parole, la vecchietta si rabbonisce e, con un leggero buffetto sul viso di Tommaso, accetta senza riserve:
-Hai ragione, caro. Quando suoneranno le sette, allora andremo a berci un bel caffèlatte, con qualcuno di quei biscotti dell’altro giorno! Cosa ne dici?-
-Ehm, che ore sono … ?-


La giornata è limpida e serena: non ci sono nuvole nel cielo, un tappeto azzurro con al centro la palla infuocata del sole.
Con quelle previsioni così favorevoli, tutti alla villa sperano che, finalmente, quello sia il giorno in cui potranno ritornare alle loro case.
Verso le nove, dopo la tortura della colazione con la donnina, il cellulare del forestiero squilla:
-Pronto? Sì, buongiorno comandante, mi dica. Ah, perfetto, molto bene signore, grazie. Certo, glielo dirò subito. Cosa? Naturalmente, lo avevo immaginato. D’accordo, se ci sono problemi non esiti a contattarmi! Arrivederci, signore, buona giornata anche a lei!-
Aurora sta versando la seconda porzione di latte a Macchia, la cucina si è svuotata da poco dal resto degli esuli appena usciti dal primo pranzo della giornata.
Liliana la sta aiutando a lavare e asciugare le posate che gli ospiti si sono portati da casa, non volendo utilizzare le posate di plastica che la bottegaia si era offerta di offrire a tutti.
-Sbaglio o era il comandante dei Vigili del fuoco?- domanda la ragazza.
-Non sbagli, infatti! Ho una bellissima notizia da darvi: non c’è più pericolo di frane, la zona rossa questa mattina stessa verrà smantellata e stasera potrete rientrare nelle vostre case!- annuncia Tommaso, un bel sorriso stampato sul volto riposato.
-Oh, santo cielo! E’ una notizia meravigliosa! Grazie, grazie di cuore!- esulta la bottegaia, abbracciando il ragazzo.
-Ma non faranno altri controlli per verificare che sia davvero tutto a posto?- s’informa Aurora.
-Sì, certo. Oggi pomeriggio ci sarà un sopralluogo, ma è esclusivamente formale, che farà stare più sicuri voi e noi!-
-E’ davvero stupendo! Devo andare ad avvisare anche gli altri!- continua Liliana che, nell’impeto del momento, lascia cadere lo strofinaccio che ha tra le mani.
-C’è una sola condizione, signora- l’apostrofa Tommaso, abbassandosi a raccogliere goffamente l’asciugapiatti, le mani fasciate, mentre lo anticipa la donna, ringraziandolo con lo sguardo per quel gesto.
Liliana lo appoggia sul ripiano in ceramica di fianco al lavandino e, una strana sensazione, domanda:
-Riguarda la festa? Non possiamo farla?-
-Sì, in effetti riguarda la festa, ma non è questo per fortuna. Anzi, in realtà non si tratta di un vero e proprio problema: il comandante mi ha pregato di chiedervi di effettuare lo spettacolo pirotecnico in tempi tecnicamente ridotti. Il sindaco lo ha informato di questa vostra tradizione, così vi chiede se, al posto dei soliti venti minuti, potete farne al massimo la metà. Anche se tutte le frane sono state rimosse, non vorrebbe che, con le vibrazioni prodotte dai botti, se ne crei qualcun'altra-
-Oh, ma certo, questo non sarà affatto un problema! Ne parlerò io con Pietro e gli altri addetti ai fuochi, state tranquilli!-
-Molto bene, allora oggi dobbiamo festeggiare!- s’intromette la forestiera, prendendo tra le sue le mani di Liliana che, emozionata, risponde:
-Sì, oggi dobbiamo dare il meglio di noi, ma prima devo andare ad avvisare gli altri, perché non riesco a trattenere tutta questa felicità!-


Quel giorno, a pranzo, sono tutti giubilanti: non fanno altro che ridere, scherzare, prevedere come andrà la festa, sarà sicuramente
un successo, dicono ad alta voce, mentre brindano con il tè alla pesca che ha preparato Aurora.
Per una volta, riescono persino a mangiare insieme, si stringono sulle sedie che vengono occupate dagli anziani e da Linda, mentre gli altri rimangono in piedi, chi appoggiato al tavolo, chi alla credenza, chi al lavandino.
Non importa più a nessuno di quegli stupidi turni, come li ha definiti la signora Lina poche ore prima, l’incubo adesso è concluso, finalmente a póduma turnà a cà nostra, continuano a ripetere gli esuli.
Persino la forestiera ritrova quella sensazione di convivialità, respira quell’aria così famigliare, esattamente come la sera in cui è andata a cena da Liliana, il giorno dopo il suo arrivo alla casa rossa.
Si guarda intorno, reggendo il bicchiere di tè in una mano e, nell’altra, l’ennesimo pezzo di focaccia che la bottegaia ha voluto replicare dopo il successo della cena precedente, anche perché di scorte alla villa non ne sono rimaste granché.
Sorride alle battute dei commensali e, come loro, s’immagina il successo della festa che finalmente potrà iniziare appena due giorni dopo, proprio come ogni anno da novantatrè stagioni a quella parte.
In pochi minuti, capisce che è tutto finito: la fobia e la brama di rimanere da sola che l’hanno accompagnata in quella manciata di giorni di convivenza forzata, non sono servite a niente.
Aurora avverte un vuoto alla bocca dello stomaco, come quando in macchina si percorre a velocità un po’ troppo sostenuta una salita e subito dopo una discesa, mentre si percepisce la temuta ed eccitante sensazione che sembra risucchiarci.
Non riesce a non dispiacersi al pensiero che, di lì a poche ore, tutto quel vociare e quell’allegria spariranno.
Dopotutto la compagnia non è così male, riflette, e quell’armatura che desiderava tanto indossare da quando è arrivata, forse non l’ha mai davvero portata con sé o, più probabilmente, si è resa conto che non serve a nulla nascondersi dietro a una maschera di ostilità, perchè, prima o poi, si sgretolerà.

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Capitolo 15
*** Che le danze abbiano inizio ***



CHE LE DANZE ABBIANO INIZIO!

GIOVEDI' 27 LUGLIO


Oggi è il giorno dei Sette Sapienti: il sole si riversa generoso sulle imposte della casa rossa, creando un geometrico gioco di luce sulle pareti in ombra dell’abitazione.
Anche quest’anno la leggenda millenaria non ha deluso gli abitanti del paese: i giovani pastori di Efeso hanno raddrizzato l’estate
ancora una volta, il tempo promette bene e, nonostante le incertezze protratte fino all'ultimo, tutto è pronto per dare inizio ai festeggiamenti.
Appena svegli, ci si affaccia alle finestre o ai balconi per scrutare l'orizzonte, i nasi all'insù e lo sguardo lontano: nessuna frana sembra incombere sulla quiete faticosamente ritrovata, le montagne sono lì solo ad ammirare e proteggere quel paesaggio secolare, non per danneggiarlo.
Come da tradizione, i negozi del borgo rimangono chiusi, tanto più che la zona rossa è ancora da smantellare, titubanti sul pericolo finalmente scampato.
Pochi minuti prima delle cinque, l’ora in cui si è deciso avverrà l’inaugurazione della mostra fotografica e l’inizio ufficiale dei festeggiamenti, Aurora e Tommaso escono dalla villa e si avviano verso la chiesetta di sant’Abbondio, le fronde degli alberi mosse da una leggera brezza, l'impazienza nei piedi e un sorriso di soddisfazione sul volto.


Nell'edificio sconsacrato, la tensione è più che palpabile: i teli di cotone che ricoprono l'evento della stagione, ovvero il percorso fotografico realizzato dalla forestiera, fanno capolino in bella vista proprio di fronte all'altare, propagandosi ai primi metri delle navate laterali; i mormorii curiosi e speranzosi riempiono il luogo, mentre le alte e spoglie pareti rimandano l'eco dei discorsi eccitati.
Dietro al leggio, emozionatissima e sorridente, si erge il sindaco, impeccabile in un vestito color turchese, i capelli castano chiaro avvolti in uno chignon spalmato di lacca, gli occhi nocciola che si agitano alla ricerca degli ospiti più illustri, le mani che continuano a muoversi, stropicciandole sui fianchi o nascondendole dietro la schiena.
Al posto delle panche ormai smantellate da diversi decenni, hanno trovato posto numerose sedie di legno, lo schienale alto che fa sembrare gli ospiti seduti su degli scranni medioevali.
Le porte della chiesetta rimangono spalancate, così da permettere l'afflusso di quante più persone possibili, sebbene molti degli avventori dovranno accontentarsi di aspettare sul sagrato.
Il caldo è discretamente soffocante, mitigato da una mezza dozzina di ventilatori strategicamente distribuiti agli angoli dell'edificio, in prossimità delle colonne dall'intonaco rosa marmoreo scrostato, il cui stato stato di abbandono è messo in risalto dall'abbondante fiotto di luce che penetra attraverso i tre ampi rosoni, raffiguranti sant'Abbondio, Gesù e la Madonna attorniati da angeli e putti che suonano le trombe.
Un'ultima occhiata verso la platea ormai al completo e un respiro lungo, silenziosamente impercettibile, che le infonda coraggio: il sindaco accende il microfono e dà inizio al suo discorso, scritto più con la pancia che con la testa.

<< Buon pomeriggio a tutti voi, cari concittadini e graditi ospiti, è con grande felicità che vi porgo i miei saluti, quelli dell’amministrazione comunale e soprattutto quelli della nostra Proloco ( gridolini entusiastici e numerosi applausi) che, ancora una volta, si è impegnata con lo stesso profondo entusiasmo e devozione che riserva per ogni altra manifestazione che organizza!
Come sapete, temevamo che avremmo dovuto rimandare l’inizio della festa (unanimi sibili di dissenso), un evento largamente sentito nella nostra comunità, nonostante sia arrivata alla sua novantatreesima edizione! ( qualche battito di mani e mormorii accondiscendenti)
Per fortuna, questo increscioso episodio non si è verificato grazie agli uomini dei Vigili del fuoco, in particolar modo nella persona del Comandante Luotti (scroscio di applausi) che è qui presente e si è adoperato senza sosta perché ciò non avvenisse; un grazie particolare va anche alla sezione provinciale della Protezione Civile (altro scroscio di applausi), instancabile nel suo lavoro di aiuto al prossimo.
Bene, dopo i ringraziamenti di rito e, permettetemi di dirvi più che meritati, vorrei spiegarvi il motivo per il quale siamo qui oggi: sono ormai da due anni che tramite la generosità di diversi mecenati, la casa rossa è ritornata a vivere e -anche se per brevi periodi- ad essere abitata da persone speciali, oserei dire uniche, come lo è la signorina Aurora ( l'intera platea si volta verso la forestiera, addossata ad un angolino, per evitare il più possibile gli sguardi indiscreti e gli additamenti del caso; dopo un iniziale imbarazzo da parte della ragazza che alza la mano ad accennare un saluto, il pubblico elargisce numerosi battiti di mani e altrettanti saluti a distanza da parte delle "ragazze" del Comitato, Lina inclusa), che ha voluto offrire il suo talento artistico per migliorare la nostra festa.
Gli scatti e i disegni che
qui potrete ammirare, sono infatti frutto del suo lavoro!
Concluderei ringraziandovi ancora una volta per essere venuti così numerosi e, soprattutto, vi chiederei un ulteriore applauso per la nostra fotografa e per i protagonisti degli scatti, i pilastri del paese, i contadini ( e giù applausi di giubilo) che sono felice e orgogliosa di vedere tra di noi!
Grazie e buona festa a tutti!>>

La mostra fotografica risulta un successo fin dal primo giorno: la chiesetta di sant’Abbondio richiama non solo l’intero paese, ma anche i molti turisti arrivati da fuori e gli abitanti dei borghi limitrofi.
Aurora, un semplice tubino di seta color carne che ha abbinato a un maglioncino crema, rimane in disparte il più possibile, sebbene sia letteralmente trascinata in mezzo alla bolgia di ammiratori, che le vogliono ad ogni costo cavare di bocca qualche commento sulla preparazione e l'esito dell'evento.
La ragazza è piacevolmente stupita da tutta quella folla accorsa per visitare il suo lavoro, quello che lei ha prodotto in così poco tempo, ma con tanto entusiasmo e voglia di fare, e si lascia andare senza riserve ad assecondare le richieste di una grezza intervista per il giornale locale.
Come annunciato dal sindaco, sono venuti persino i contadini dei suoi ritratti, sorridenti e nei loro abiti migliori: anche il Giovanni, alla vista di quegli scatti e di quei disegni, si lascia andare ad un sorriso, e saluta con un cenno della mano la forestiera.
-Non avevo dubbi che sarebbe stato un successo!- si complimenta la prima cittadina, liberatasi dall'ammasso di persone in cui era rimasta intrappolata.
-Grazie, ma il merito è anche dei modelli: senza di loro, questa mostra non esisterebbe!- le risponde orgogliosa, ma non fa in tempo a concludere la frase, che la donna si allontana ancora una volta per andare a salutare i sindaci dei due paesi vicini.
Linda, ormai guarita dalla febbre, si avvicina alla forestiera e, alzandosi sulle punte, la abbraccia:
-E’ davvero tutto bellissim, Aurora, sei stata veramente bravissima!-
Anche Liliana la saluta calorosamente, complimentandosi per l'ennesima volta e lasciandosi scappare qualche lacrimuccia di affettuosa partecipazione al meritato successo; e poi, quando finalmente la giovane spera di avere qualche secondo per tirare il fiato e ammirare il suo stesso lavoro, ecco che arriva Tommaso, sportivo ed elegante al contempo con una polo blu notte e il colletto bianco, i pantaloni color terra di Siena.
Ha concluso di fare il giro della chiesa, le mani in tasca - ora non più fasciate, grazie al nullaosta del dottor Berti che, la mattina stessa, lo ha visitato e gli ha permesso di togliersi le bende, data la miracolosa e veloce guarigione delle escoriazioni- ritorna da lei, un grande sorriso stampato in volto:
-Hai visto? Sono qui tutti per te e per il tuo talento. Sei riuscita a fare un lavoro splendido, devi essere orgogliosa di te, proprio come lo siamo noi!-
-Sì, lo sono! E' da tanto che non provavo questa sensazione di pienezza e di entusiasmo, sono così felice che quasi non ci credo! A proposito, vuol dire che ti piacciono davvero molto se li stai rivedendo per la seconda volta!-
-E chi ti dice che stavo guardando le tue foto? Erano gli affreschi ad interessarmi, non loro!- ribatte con tono serio il ragazzo, subito dopo pronto ad aggiungere: -Ovviamente scherzo, anche se devo ammettere che da amante dell’arte quale sono, anche quelli sono magnifici ... -
-Hai ragione- gli concede Aurora, assumendo un' espressione fintamente arrabbiata -e, visto che su una cosa siamo d’accordo, per questa volta ti perdono!-
Tommaso sorride, poi, la voce profonda, le domanda:
-Ti posso offrire qualcosa da bere?-
La prima cittadina, infatti, ha fatto allestire un piccolo rinfresco in un angolo della chiesa: ci sono tramezzini, focaccine, pizzette e bibite varie.
-Sì, grazie, mi è venuta una certa sete!-
I due si avvicinano al banchetto, poi il giovane le rovescia in un bicchiere di carta il contenuto di una bottiglietta in vetro.
-Allora, continui a trovarti bene alla casa rossa, dopo che siamo rimasti solo noi due?- esordisce la forestiera dopo un paio di sorsi dell’analcolico alla pesca.
-Beh, è passato meno di un giorno dalla fine della convivenza con la mia spasimante, la donna dei miei sogni, e non puoi certo chiedermi di dimenticarla così, su due piedi ... -
-Non dirmi che stai parlando della signora Lina?!-
-E di chi, se non lei?!-
I due scoppiano in una sincera risata, divertiti e sollevati per l'allontanamento della morbosa vecchietta dalla villa, in lacrime e con un fazzoletto bianco ricamato in mano, pronto a sventolarlo in direzione di Tommaso, un passo sì e l'altro pure, mentre Roberta cercava di trascinarla via.
-A parte gli scherzi, perché non dovrei trovarmi bene? Se dimentichiamo il modo in cui mi hai trattato al mio arrivo, direi che non posso assolutamente lamentarmi!-
-E’ vero- conferma la ragazza, abbassando lo sguardo e sentendosi colpevole -quella mattina sono stata imperdonabile e terribilmente maleducata. Scusami ancora, davvero ... -
-Ormai è acqua passata. Senti, ti va di uscire un momento?-
-D’accordo, almeno posso riposarmi per un po’ dall’assedio dei fan!-
Qualche ritardatario si affretta a raggiungere la chiesetta, un cenno di saluto rivolto in direzione di Aurora e di Tommaso.
Per il grande evento, è stata messa una panca appoggiata al muro, così i due forestieri ne approfittano per sedersi, i bicchieri di carta rossi in mano:
-Ti ricordi che ieri mattina e prima che c’interrompesse la signora Lina … -
-La tua spasimante- lo stuzzica lei, mentre si passa l’indice destro sotto l’occhio e poi si sistema i capelli già perfettamente in ordine, in un tic nervoso.
-Forse lei vuole esserlo, ma per fortuna non è così … comunque, quella mattina stavamo parlando in soggiorno e io ti stavo chiedendo una sorta di consiglio, te lo ricordi?-
-Sì, certo: volevi raccontarmi qualcosa, ma non sapevi da dove incominciare. Se non sbaglio, c’entrava la saggezza ... -
-Beh, non esagerare- un lieve sorriso affiora sul volto del ragazzo, mentre, con la mano destra su cui sono ancora visibili gli esiti delle escoriazioni, fa ruotare il bicchiere ancora mezzo pieno.
–Era solo una metafora per farti capire che da quando sono arrivato ci sono molte cose che adesso mi sembrano più limpide, più chiare ... un po’ come l’acqua-
-L’acqua a volte non è affatto limpida, purtroppo- precisa lei con un sorriso dal sapore sarcastico.
-Hai ragione, infatti per me non lo è stata per molto tempo. Ma adesso, in questo luogo e in questo momento, grazie a te, ho capito che non ci si può nascondere dietro le apparenze, dietro una maschera, solo perché si ha paura. Aurora, mi devi promettere che non mi giudicherai per quello che sto per dirti … -
Tommaso cerca di creare un contatto, toccando la mano sinistra della forestiera.
-Così mi stai spaventando, che cos’è che ti turba a tal punto da non riuscire a spiegarti? Ci stai girando intorno da troppo tempo: insomma, o è una cosa talmente grave da non sapere come uscirne, oppure sei così imbranato che non ti vengono le parole per dire una cosa tanto semplice!-
La ragazza riprende a sorseggiare il suo aperitivo, poi appoggia il bicchiere vuoto tra lei e il giovane.
-Entrambe le cose, ho quasi paura di quello che provo e sì, sono anche imbranato!-
Se fosse stato un fumetto, probabilmente l'abile disegnatore avrebbe raffigurato una lampadina proprio sulla testa di Aurora, gli occhi sgranati e la bocca semiaperta.
-Di quello che provi? Ma tu non eri … ?-
-Dov'è la nostra fotografa? Ah, eccola qui! Signor Pastero, venite, entrate, è il momento dei ringraziamenti ufficiali! La reclamano a gran voce!- il sindaco interrompe quella mezza confessione che, per la seconda volta in poche ore, rimane bloccata in gola al forestiero.
Turbata, lei accenna un sorriso e, senza neppure rivolgere uno sguardo dubbioso a Tommaso, si precipita in chiesa, seguita a ruota tutti dagli altri due, il bicchiere con l'aperitivo ormai svuotato.

 
Quella sera, dopo la cena in casa di Liliana per festeggiare l’apertura della festa e il successo della mostra, lei si ritira in camera con un nuovo senso di malinconia e di incertezza che le attanaglia lo stomaco.
Nonostante l’eccezionalità della giornata, i complimenti, le strette di mano, la compagnia, ha come una strana sensazione.
Per tutta la serata, ha cercato -almeno fisicamente- di stare il più lontano possibile da Tommaso, anche se con la mente e con lo sguardo cercava di rincorrerlo non appena si allontanava dal suo campo visivo.
Il terrore di quelle frasi lasciate a metà, l’angoscia del significato delle parole non completamente dette, quasi la stordisce: non voglio più uomini nella mia vita, non voglio avere altre sofferenze, non voglio che mi facciano ancora del male.
Poi il pensiero vola a Teresa, a quella giovane donna che ha vissuto nella casa rossa, anzi alla giovane padrona della casa rossa: tempo prima, quando era tornata dalla città dove aveva portato Macchia dal veterinario, ha giurato a se stessa che non avrebbe fatto la sua stessa fine, che avrebbe lottato per imporre le sue idee.
E adesso, l’unica idea in testa è quella di allontanarsi da Tommaso, l’estraneo piombato alla villa quattro giorni prima, che ora sta 
improvvisamente minando la sua incolumità, la sua stessa vita.
No, avrebbe fatto di tutto perché non succedesse un’altra volta, lo avrebbe cacciato se fosse stato necessario, lo avrebbe aggredito, lo avrebbe preso a pugni, ma non gli avrebbe permesso di farle del male.
Un lieve bussare alla porta la distoglie bruscamente dai suoi tormentati pensieri: il panico l’assale, non sa cosa fare, divora con lo sguardo la sedia e, subito, pensa di metterla di fronte alla porta per impedirgli di entrare.
Si accorge presto dell’idea stupida che le è balzata in mente: non servirebbe a niente, non ha neppure la chiave con cui chiudersi dentro, anzi, per un assurdo scherzo del destino è l’unica porta della casa a non averla.
-Aurora, posso entrare?-
-Un attimo, aspetta un attimo-
Guarda il comò, troppo grande e pesante, lo scrittoio rimane la sua unica salvezza: mentre lo trascina, inciampa sul pavimento e cade carponi.
Il cuore accelera i battiti, le mani sudano, gli occhi inorriditi continuamente rivolti verso la porta.
-Tutto bene? Per favore aprimi- la voce di Tommaso risuona preoccupata e insistente.
Arrendevole a quello che immagina accadrà di lì a poco, la forestiera piega le ginocchia, poi affonda la testa tra le ginocchia, cullandosi avanti e indietro.
Passano così otto, dieci secondi, ed ecco, di nuovo, la voce dell’orco:
-Aurora, stai bene? Mi stai facendo preoccupare! Per favore, fammi entrare!-
Lei, rassegnata e tremante, le mani che con forza sfregano le guance, si alza, a passi strascicati, si avvicina alla porta, aprendola come se pesasse tonnellate.
-Finalmente! Mi hai fatto spaventare! Cosa ti è successo … ?-
Con le dita ormai libere dalla fasciatura, Tommaso cerca di sfiorare il viso di lei che, bruscamente, si tira indietro:
-Non toccarmi!-
-Va bene, scusami- ribatte stupito -sono venuto solo perché volevo concludere con te quel discorso infinito che, per un motivo o per l’altro, non riusciamo mai a terminare. Hai un attimo di tempo?-
-Ho sonno, magari domani sarà il momento adatto-
-Sei sicura? Non ci metterò molto, te lo prometto- insiste speranzoso, ma viene subito zittito.
-No, te l’ho detto, sono stanca. Oggi è stata una giornata molto impegnativa e ho la testa che mi scoppia-
-E’ solo che … -
-Ho detto di no, per favore!-
Il tono risulta in falsetto, irriverente e persino rabbioso.
-Come vuoi tu. Allora buonanotte-
-Buonanotte-

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Capitolo 16
*** Fuochi d'artificio ***



FUOCHI D'ARTIFICIO


VENERDI' 28 LUGLIO

Una pianta di orchidee rosa pallido è appoggiata sul tavolo della cucina.
Inutile dire che Aurora avesse faticato per riuscire ad addormentarsi anche solo per qualche minuto continuativo, ossessionata dalla paura che il suo coinquilino potesse farle del male.
Alle sette, quando i raggi del sole erano filtrati attraverso le fenditure delle persiane lasciate accostate per il caldo notturno, la ragazza abbandona definitivamente il proposito di riposarsi.
Lungo il corridoio, il pigiama ancora indosso, non può far altro che passare di corsa davanti la stanza di Tommaso, che ha ripreso possesso della camera dopo la partenza della signora Lina, avvenuta ormai due giorni prima.
Mentre sorseggia un bicchiere di latte freddo e inzuppa un paio di grossi biscotti al cioccolato, la forestiera si accorge della presenza di Macchia, che le viene incontro miagolando ed agitando sinuosamente la lunga coda folta.
Aurora si alza e gli prepara la colazione, versando il solito liquido bianco nel sottovaso.
-E’ un piccolo regalo per farmi perdonare-
Lei sobbalza, reprimendo a stento un'esclamazione di terrore: il giovane coinquilino è appena spuntato da dietro la porta.
-Perdonare? E di che cosa?- riesce a boccheggiare la ragazza, non guardandolo negli occhi scuri e profondi.
-Non lo so, ma qualcosa devo pur aver fatto: ieri sera, mi hai trattato come se ti avessi offesa, anzi, peggio, quasi non ti facevi avvicinare ... -
Un sospiro si fa largo tra le labbra della forestiera, che è ritornata a sedersi, dopo aver sfiorato insicura le foglie dell’orchidea:
-Non è colpa tua, sono io che non mi sentivo bene-
Tommaso fa spallucce, la maglietta arancione e i jeans blu notte, i piedi nudi sul pavimento irradiato dalla luce del sole.
-Mi dispiace, ma almeno so che non sei arrabbiata con me. Ora come ti senti?-
-Meglio, adesso mi è passato. E’ molto bella, la pianta, non dovevi disturbarti- ribatte Aurora, retraendosi sulla sedia e continuando a sorseggiare dal bicchiere.
-Te l’ho detto, è solo un piccolo regalo, mi faceva piacere fartelo- continua il ragazzo, sorridendo e sedendosi sulla sedia opposta.
La forestiera si alza di colpo, avvicinandosi al frigorifero: lo apre e tira fuori nuovamente la bottiglia di latte.
-Macchia lo ha già bevuto- s’intromette il forestiero, alzando la mano destra nella sua direzione.
-Come fai a saperlo? Mi spii? -
-Certo che no! Semplicemente é da un'ora che sono sveglio: quando sono sceso in cucina, quel furbacchione era già qui a reclamare la sua dose di latte mattutino, ecco perché lo so!-
-E tu invece? Hai già fatto colazione?- mugugna, cercando di mantenere un tono di voce il più neutro possibile.
-Sì, non preoccuparti- riprende lui, cercando di avvicinarla nuovamente.
-Senti, per quel discorso che volevo finire con te, ieri sera, se non vuoi non ne parliamo ... non è poi così importante-
Aurora lo guarda confusa, una mano appoggiata al tavolo, le gambe praticamente attaccate allo stipite della porta, pronta a scappare: non sa se esserne sollevata o se pensare alla prossima mossa 
del ragazzo da anticipare, incredula per il fatto che voglia demordere così facilmente.
-Credo che sia meglio. Almeno durante i giorni della festa, vorrei stare tranquilla. Forse, quando sarà tutto finito, potremmo riparlarne-
Tommaso si arrende all'evidenza: ormai non tenta più alcun approccio, né tantomeno ritorna a sedersi, ma rimane in piedi, a una debita distanza che possa non preoccupare la forestiera.
-Come preferisci. Allora, oggi quali sono i programmi?- continua allegro.
-Per prima cosa, sistemare un po’ la casa. Da quando se ne sono andati tutti gli ospiti, sono riuscita a fare solo il necessario. Tu, però, puoi fare un giro in paese, se ti va ... -
-In realtà, sempre che ti faccia piacere, potrei aiutarti: faremo sicuramente prima, insieme-
-Non mi sembra una buon idea. Sono passati appena tre giorni dall’incidente e, anche se il medico ti ha dato il permesso di rimuovere le fasciature, forse ... -
-Smettila di preoccuparti- taglia corto Tommaso, ancora all'altro capo della cucina, vicino al frigorifero.
-Se ti dico che ce la posso fare, è così. E poi, non puoi continuare a trattarmi come una mummia, è un ruolo che non mi si addice!-
Aurora si lascia andare ad un sorriso:
-Va bene, quattro mani sono meglio di due. Pensavo di spazzare e pulire i pavimenti, poi vorrei mettere fuori all’aria i tappeti delle stanze. Cosa ne dici?-
-Mi sembra un bel lavoro, credo che così ne avremmo per tutta la mattinata- risponde il giovane, riavvicinandosi di qualche passo.
-Perfetto, prima iniziamo e meglio è. Finiremo presto, così
oggi pomeriggio potremo andare alla festa-
Tommaso annuisce, mentre la forestiera riprende a versarsi il latte in un bicchiere: questa volta lo tracanna velocemente, solo per buttar giù qualcosa, perché la fame e la sete l'hanno abbandonata, ma sa che, se bevesse a piccoli sorsi, potrebbe vomitarlo ancora prima che arrivi nello stomaco.
-Andiamo?- domanda lei, mentre risciacqua il bicchiere e poi ritira la bottiglia.
-Dove mi porti?- domanda lui, divertito.
Escono dalla cucina e si avviano verso il retro della casa, nel capanno degli attrezzi:
-Toglimi una curiosità … ma ti sei portata il necessario per le faccende domestiche da *** o hai fatto rifornimento qui?!-
-Credi davvero che sia così paranoica?- lo guarda indispettita, dandogli le spalle.
-Mi dispiace deluderti, ma tutta questa roba non l’ho dovuta comprare: nella rimessa ho trovato la scopa, mentre lo spazzolone me lo ha prestato Liliana ieri sera, quando le ho detto che oggi avrei lustrato per bene la villa- conclude con uno sbuffo, dopo aver recuperato il materiale al gran completo.
- Ecco che cos’era quel pacco che hai portato qui, prima che ti raggiungessi a casa loro! Volevi fare le cose di nascosto, eh? -
-Ci ho provato, ma evidentemente non ci sono riuscita!- la forestiera porge il carico di battaglia al giovane, poi richiude a chiave la porta della rimessa.
-Direi che possiamo cominciare, ci sono una marea di cose da fare: potresti occuparti del piano di sotto, mentre io mi concentrerò sul secondo. Ci sarebbe anche l’ultimo da pulire, ma tanto non lo usa nessuno, quindi lo lascerei stare, almeno per il momento. Allora, sei pronto?-
Tommaso si pone sull'attenti e, con il tono scherzoso ma il volto serio, replica:
-Sissignore, signore!-


Circa un’ora dopo la suddivisione dei compiti, il sottoposto raggiunge il generale nella stanza che, fino a due giorni, prima era stata occupata da Linda.
-Permesso! Io avrei finito … ho spazzato e lavato il pavimento, come mi hai detto di fare. Ti ho portato il secchio con l’acqua, così possiamo dare una bella passata anche qui, se ti va ... - suggerisce il ragazzo, avvicinandosi alla forestiera.
-Ah, grazie- lo accoglie, affacciata ad una finestra, mentre i capelli castano chiaro sono ormai scompigliati sulla fronte, un leggero abito rosso e blu che ha sostituito il pigiama.
-Stavo finendo di mettere fuori i tappeti: per fortuna che la biancheria se la sono portata da casa, altrimenti non saprei dove l’avrei presa, per tutta quella gente!-
Il ragazzo, il volto abbronzato e leggermente arrossato dal vigore impiegato fino a pochi attimi prima, conferma le sue parole, sorridendo: 
-E’ vero: sono stati molto previdenti a portare lenzuola, pentole, posate e bicchieri!-
-Però, vedo che non ti è sfuggito nulla, hai fatto un elenco più che preciso ... sei più petulante della signora Lina!- lo rimpovera bonariamente, dando le spalle alla finestra.
-Comunque, grazie per il secchio, sarei venuta io a chiedertelo- riprende seria Aurora, indicandolo con un cenno del capo.
-Beh, se basta solo un secchio a farti venire da me, ben vengano le pulizie di primavera!-
Lei sorride e, per stemperare un po’ la tensione, guarda fuori dalla porta finestra in mezzo alla stanza, anch'essa spalancata:
-E’ una bella giornata: la leggenda dei sette Dormienti non ha sbagliato-
-I sette Dormienti?! E chi sono?- domanda lui incuriosito, sbattendo ancora una volta i tappetti sul davanzale e rimettendoli al proprio posto.
-Me l’ha raccontata Liliana, quando sono andata a cena da lei il giorno dopo il mio arrivo-
La forestiera si toglie con un braccio le ciocche ribelli
dalla fronte, sbuffando e concentrandosi:
-Non è una storia molto lunga. Dunque, i contadini, ancora oggi, credono che il tempo che farà il 27 luglio abbia il potere di raddrizzare il resto dell’estate, ovvero di far sì che ci sia sempre il bel tempo ... -
-E per quale motivo?- ascolta interessato il ragazzo, appoggiato con la schiena alla finestra.
-Sette giovani di Efeso, durante le persecuzioni cristiane, si nascosero in una grotta per sfuggire alla morte, ma i soldati dell’imperatore li trovarono e li murarono vivi.
Loro però, invece di morire, si addormentarono per moltissimi anni.
Quando si risvegliarono, si trovarono di fronte un uomo, un pastore che aveva spostato la pietra davanti al loro nascondiglio perché credeva fosse vuota e voleva trasformarlo in un ricovero per le sue pecore.
I sette Dormienti, essendo convinti di aver dormito solo per poche ore, ebbero paura di quella persona apparsa all’improvviso, ma lui, il pastore intendo, dopo aver sentito la loro storia, li tranquillizzò, spiegando che il cristianesimo era diventata una religione accettata da tutti. Così, li convinse ad uscire dal loro rifugio improvvisato e cominciarono a viaggiare per il mondo, a diffondere il messaggio cristiano. Fine della storia!-
-Però: credo ci sia sempre un sottofondo di verità nelle leggende popolari e, a quanto pare, sembra che il tempo si sia veramente raddrizzato; rispetto a quando sono arrivato e a tutte le disavventure che ci sono capitate, oggi al confronto, è veramente una bella giornata!-
Aurora lo guarda divertita, dimenticandosi delle riserve che aveva nutrito verso di lui appena poche ore prima.
-Sì, è veramente una bella giornata … -



SABATO 29 LUGLIO

La terza sera dei festeggiamenti, la penultima, la tradizione vuole che sia dedicata ai fuochi d’artificio: come raccomandato dal comandante dei Vigili del fuoco, lo spettacolo potrà durare solo una decina di minuti, e dovrà essere eseguito il più lontano possibile dalle montagne, per scongiurare altre improvvise frane.
Alle undici in punto, il cielo dietro il campanile comincia a squarciarsi e a illuminarsi a giorno, grazie ai colori sgargianti dei razzi: ruote panoramiche, stelle cadenti, coriandoli, zampilli d’acqua e cascate si disseminano velocemente, uno dietro l’altro, per poi ricadere al suolo privi di energia.
Chi non si è riunito in piazza o nel campo appena fuori il paese, è affacciato alle finestre e alle ringhiere dei balconi, ad osservare con il naso all’insù lo spettacolo pirotecnico.
E dopo la pioggia dorata e argentata, scoppiettante più che mai, è il momento della fuga, il gran finale, caratterizzato da un ritmo incalzante di bombe blu, rosa, rosse e verdi, lanciate tutte nello stesso tempo, per poi scemare e spegnersi sul terreno una dietro l’altra, come una rete impalpabile che sembra piacevolmente intrappolarti.
Anche quest’anno, i due fuochisti hanno fatto un ottimo lavoro, offrendo uno spettacolo che ha sempre il potere di stupire, festa dopo festa, generazione dopo generazione, affascinando paesani e turisti in un gioco di luci e rumori, incredibilmente nuovi e sorprendenti ogni volta.


La ragazza richiude la portafinestra del balcone del soggiorno, dove hanno appena concluso di vedere i fuochi: serra le persiane con l’apposito chiavistello e tira le pesanti tende lattescenti, la notte ormai spenta all'esterno.
Poi, si gira verso Tommaso, rientrato dalla cucina per riportare i due bicchieri
adesso vuoti di acqua tonica.  
-Macchia si è molto spaventato- lo accoglie Aurora, stringendosi al petto il golf turchese.
-Me ne sono accorto. Anche il mio Argo, quando sente un rumore insolito e più forte degli altri, cerca la mia compagnia o va a nascondersi sotto il tavolo-
Seduti entrambi sul divano a fiori rossi, il forestiero, le gambe incrociate, commenta:
-Poverino … spesso noi umani non ci ricordiamo che per il nostro divertimento facciamo loro del male, a degli animali che non possono capire quello che sta succedendo e che, per questo, si affidano totalmente a noi –
-L’importante è che adesso si sia ripreso: dopo le coccole, l’ho lasciato tranquillo su una sedia in cucina, pronto per dormire!-
-Ottimo, andiamo di là anche noi: mi è venuta ancora sete-
Il giovane si alza, la mano destra tesa verso quella di Aurora, ad invitarla a seguirlo: la ragazza lo guarda titubante, poi si lascia andare e, sorridendo, si avviano verso la stanza adiacente, il rumore placido del riale che scorre a pochi metri dalla villa.

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Capitolo 17
*** La sfilata dei carri ***




LA SFILATA DEI CARRI


                                                                       






DOMENICA 30 LUGLIO



Sui muretti che costeggiano le rustiche ma curate case e quelli che rasentano il perimetro degli esercizi della via principale, si possono contare un centinaio di persone, le teste rivolte a sinistra: c’è chi è seduto in modo composto nell’attesa del grande inizio, chi -come i bambini e i più giovani- è in piedi a farsi schermo con le mani per non rimanere abbagliato dalla luce solare, mentre qualche raro ritardatario, perlopiù dei paesi limitrofi, si appresta a trovare un posto.
Le donne del Comitato feste fanno parte ovviamente del primo gruppetto: si sono riservate un angolino appartato ma dalla visuale eccellente, trascorrendo i minuti che mancano a chiacchierare animatamente del tempo, domandandosi se reggerà per l’intera sfilata e commentando come sono stati a dir poco incantevoli i fuochi d’artificio della sera precedente, ormai dimentichi del pericolo della frana che incombeva sull'intero paese, solamente pochi giorni prima.
Tutte vestite nei loro completi di appartenenza blu elettrico, cercano di contrastare l’aria tiepida del pomeriggio con antiquati ventagli spagnoleggianti: i turisti le rivolgono sguardi incuriositi, all'opposto degli altri abitanti del paese, che sono ormai abituati a quel défilé.
-Eccoli, arrivano!- si sente gridare emozionato qualche bambino.
Come se fosse stata pronunciata una parola d’ordine, il capannello di presenti aumenta il chiacchiericcio, mentre si fanno largo i primi gridolini di giubilo: in lontananza, infatti, comincia ad intravedersi la banda musicale, impeccabile nella sua divisa di rito, costituita da pantaloni verdi per gli uomini e gonne del medesimo colore per le donne, le camicie bianche e le giacche rosse a sfidare il caldo estivo.
Il complesso di sedici elementi dista ancora due o trecento metri, ma le fanfare che lo precedono hanno iniziato a suonare e a richiamare l’attenzione di tutti.
Pietro, uno dei due uomini del Comitato, regge sorridendo orgoglioso lo stendardo con lo stemma del paese: grande, a forma di scudo, svetta in alto sull’alabarda, mentre sulla stoffa vecchia di quasi un secolo, campeggiano i colori del paese cuciti nelle immagini ritranti le montagne, il lago e la forma del sole.
Ora la banda si riesce a scorgere con grande chiarezza: ecco il maestro che dirige gli orchestrali, i musicisti di trombe e di clarinetto che precedono quelli di tamburi e di grancasse, gli sbandieratori che agitano verso il cielo quei pezzi di stoffa colorata dai volteggi così perfetti, a disegnare eleganti figure che fanno ondeggiare le teste dei presenti ritmicamente all’insù e all’ingiù.
E dietro, a chiudere la parata, arrivano sorridenti bambini e ragazzi vestiti con gli abiti tipici della vallata –grembiuli ricamati, calze bianche e zoccoli di legno decorato- intenti a lanciare fiori, caramelle e cioccolatini sulla folla festante, mentre i genitori e i parenti indirizzano loro baci e applausi entusiasmanti.
-E’ bellissimo!- esclama Aurora che, grazie a Liliana, è riuscita a ritagliarsi uno spazio privilegiato per godersi la famosa parata, proprio a metà della via principale, seduta sul muretto del negozio della bottegaia.
-Non avevo mai visto niente del genere, nemmeno a Carnevale c’è questa atmosfera! Quando sfileranno i carri?- le fa eco Tommaso, cercando di sovrastare la piacevolissima musica che accompagna le loro parole.   
-Non lo so, credo alla fine della banda!- gli ribatte la ragazza, affascinata dallo spettacolo che continua a snodarsi davanti a loro, imperterrita a battere ritmicamente le mani.
I due giovani si sorridono, per poi essere nuovamente risucchiati dall’atmosfera festante: l’orchestra è ormai passata, è giunta in fondo alla via principale e continua a suonare e ad incantare le orecchie del loro pubblico.
Lo sguardo degli spettatori non riesce più a seguire la colonna di musicisti, perché sta proseguendo celermente fino ai prati vicino ai campi, destinati all’insediamento degli stand enogastronomici, al banco di beneficienza e ai capannoni che, in quei giorni, ospitano con grande successo pranzi, cene e veglie danzanti.
Un rombo di motore arrugginito dal tempo si fa strada tra il continuo chiacchiericcio e i gridolini esultanti della folla, costringendo a far voltare le teste dei presenti verso la direzione opposta, la musica un'eco lontana.
La signora Liliana, un elegante abito rosso di cotone a maniche corte e i capelli biondo cenere raccolti, batte le mani come tutti gli altri e, con un leggero colpo di gomito, per farsi sentire in mezzo a tutto quel frastuono, urla ad Aurora:
-Adesso è il momento dei carri! Il trattore della prima edizione della festa annuncia l’inizio ufficiale della sfilata!-
La forestiera e Tommaso annuiscono, sporgendosi tra la folla per vedere il tanto atteso arrivo.
Qualche minuto dopo, uno dietro l’altro, giungono i carri, in fila e composti a una cinquantina di metri di distanza, guidati dai rappresentanti dei vari rioni: la ragazza intravede lo zio di Linda e il marito di Roberta.
All’altoparlante, la voce di Vittorio, seduto su una sorta di sidecar che precede i veicoli su cui sono state montate le figure di cartapesta, annuncia con entusiasmo le caratteristiche delle varie opere, mentre tutti applaudono ed emettono fischi di incoraggiamento.
Il fotografo ufficiale, lo stesso uomo che continuava a scattare durante l'inaugurazione della mostra fotografica appena tre giorni prima, cerca di immortalare quegli attimi apparentemente ripetitivi, ma ogni anno così unici.

Aurora, una camicetta rosa antico con le maniche a sbuffo e un paio di pantaloni di seta nera su dei sandali beige, vede passare proprio di fronte a lei il trattore che trasporta il lavoro dello zio di Linda, l’ultimo della sfilata: quell’opera maestosa che ha visto poco più di una settimana prima, le appare in tutta la sua magnificenza, ancora più della prima volta, mentre gli altri cinque carri sembrano quasi sfiorarla, talmente le passano vicini.
Ora tutto è finito, la sfilata tanto attesa che ha richiesto l’impiego di molte energie e altrettanti uomini, si è conclusa anche per quell’anno.
I carri si dirigono verso i prati vicino ai campi, dove verranno parcheggiati ai lati della strada, chiusa per l’occasione ai veicoli a motore, per permettere l’afflusso ordinato della folla festante.
Pochi attimi di felicità e di giubilo hanno ripagato mesi di duro e faticoso lavoro, nonché di sacrifici ampiamente ricambiati dagli applausi e dai complimenti gridati dalla folla compiacente.
-Vi è piaciuto?- domanda la bottegaia, ancora battendo le mani all’ultimo carro che se ne va, girandosi in direzione dei due giovani, mentre il campanile batte i quattro rintocchi.
-Immensamente- risponde la forestiera, sorridendo con gioia, seguendo con lo sguardo l'ultima opera, quella dello zio di Linda, raffigurante i contadini piangenti e il cerchio di bambini che ballano tenendosi per mano.
-E’ stato uno spettacolo unico!- ribatte Tommaso, una camicia blu oltremare con le maniche lunghe e un paio di jeans scuri, degli eleganti mocassini a completare l’abbigliamento.  
-Benissimo, sono molto felice! Allora, adesso, possiamo andare agli stand: per l’ultimo giorno, ogni anno allestiscono delle bancarelle con delle cose molto graziose, ancora più degli altri giorni!- spiega la donna, mentre si fa largo in mezzo alle persone, elargendo saluti praticamente a tutti i presenti a lei famigliari.
-E poi tra un’ora ci sarà la premiazione dei due concorsi, quello per la miglior torta e per il miglior balcone fiorito!- ricorda Liliana, finalmente fuori da quell’ammasso di gente.
Attraversano la via principale, transennata per impedire il traffico che non sia esclusivamente su due piedi, per poi girare a destra di fronte alla piazza della chiesa con i vasi di fiori e le panchine di pietra, proseguendo infine verso i prati rigogliosi.
Quando arrivano a destinazione, al campo sportivo, li accoglie una distesa di fili d’erba, talmente verdi da sembrare finti, ricoperta per gran parte della sua area dai due capannoni adibiti ad ospitare i pranzi, le cene e le veglie danzanti, mentre il resto del terreno è occupato dai banchetti per l’esposizione delle torte e dei vari prodotti provenienti dall’intera vallata: ci sono manifatture di legno intagliate a mano, soprammobili, saponette profumate, cibi tipici, collane, braccialetti e anelli realizzati con le pietre del lago.
Aurora si guarda intorno, trasportata da quella fiumana di gente: molti sono i turisti e gli abitanti dei borghi limitrofi, che hanno così triplicato il numero delle persone del paese, tutte intente a passeggiare alla ricerca di qualche particolare souvenir da conservare come testimonianza di quella piacevole giornata.
La ragazza si sente di nuovo felice, appagata da quello spettacolo che ha davanti e ai ricordi ancora così recenti della manifestazione a cui ha assistito poco prima.
E’ circondata da persone di cui si può fidare, è accettata così com’è, ora tutti le sorridono e lei sorride agli altri che, non appena la incrociano, la riconoscono e colgono l’occasione per complimentarsi ancora una volta per la bellissima mostra fotografica di cui è l’autrice, visibile nella chiesetta di sant’Abbondio fino all'indomani.
Mentre passeggia sottobraccio a Tommaso, di cui ora sente di potersi completamente fidare, si ferma a contemplare una meravigliosa borsa di rafia intrecciata, coloratissima e capiente.
Con un cenno della mano, fa capire al suo accompagnatore che ha intenzione di comprarla: una volta scelto il modello, la donna sulla cinquantina che l'ha servita, la impacchetta e gliela porge augurandole buon proseguimento.
Il ragazzo, dopo che hanno ripreso la loro passeggiata, zigzagando tra le persone davanti ai banchetti, commenta con un sorriso:
-E’ un po’ come il sogno che ti ho raccontato qualche notte fa … ricordi?-
-Certo che mi ricordo!- lo rassicura lei, stringendogli con affetto un braccio -forse la tua è stata una specie di premonizione della giornata che si sarebbe svolta oggi!-
-Chissà, può darsi! Comunque, sono felice che tra di noi sia tornato tutto come prima-
-Anch'io ne sono contenta, Tommaso-
-Cosa ne dici se dopo la premiazione ci mangiassimo una fetta di quella torta? Sembra buonissima!-

Aurora si blocca davanti allo stand, l’aria divertita:
-Ma dai, lo dici solo perché sicuramente sarà la torta vincitrice, dato che è stata fatta dalla tua spasimante e pesta i piedi se non la si accontenta!-
In effetti, il banchetto davanti al quale si sono fermati, è proprio quello dedicato alla gara culinaria: appoggiati in eleganti piatti di ceramica posti su un’altrettanta raffinata tovaglia bianca ricamata con dei minuscoli girasoli, fanno bella mostra una dozzina di dolci all’apparenza golosissimi e appetitosi; davanti ad ognuno di esso, campeggia un segnaposto con il nome della massaia che lo ha cucinato.
-Buongiorno!-
I due giovani si girano nella direzione da cui proviene la voce: il sindaco, raffinata in un abito color amaranto e i capelli castano chiaro lasciati sciolti sulle spalle, stringe loro la mano.
-Finalmente sono riuscita a trovarvi! Volevo farvi un saluto, ma sono stata assorbita fino adesso a svolgere il mio ruolo di giurata!-
-Avete già deciso chi sarà la vincitrice del concorso?- s’intromette Tommaso, ammiccando verso la coinquilina, che fa finta di sbuffare.
-Certo, signor Pastero! Diciamo che c’è stato un ex aequo, che ha visto primeggiare la signora Adelaide, una delle tre vecchiette che avete gentilmente ospitato alla villa nei giorni precedenti e … la signora Lina-
-Non avevo dubbi … - commenta con una punta di sarcasmo la forestiera, mentre il ragazzo non riesce a reprimere un sorriso e una scrollata del capo.
-Lo ammetto, anche l’anno scorso si è ripetuta la stessa storia, ma se non la facciamo vincere … - confida a bassa voce la prima cittadina  - abbiamo paura di qualche ritorsione!-
-E che cosa hanno vinto?- s’informa Tommaso, spostandosi per lasciar passare un gruppetto di persone.
-Una pergamena con i nostri eterni complimenti! A proposito, le torte si possono comprare! Il ricavato sarà devoluto alle casse del nostro Comitato, quindi, fatevi avanti!-
-Contribuiremo molto volentieri! Invece, per il concorso per il miglior balcone fiorito? Avete già scelto?- continua Aurora, speranzosa che, almeno in quella gara, la Lina non si sia intromessa.
-Sì, ieri pomeriggio la giuria si è riunita e abbiamo deciso quasi all'unanimità! Ha vinto la signora Teresa, la donna che abita davanti alla casa di Liliana, ha presente?-
La forestiera annuisce vagamente.
-Ora scusatemi, ma gli ospiti mi reclamano!- li saluta il sindaco, dirigendosi verso un capannello di uomini e donne che le fa cenno di raggiungerli.
-Sono tentato di comprare una di queste meravigliose torte: dal momento che non le distribuiscono, è un peccato lasciarsele scappare, sembrano così buone … - suggerisce Tommaso, avvicinandosi di pochi passi all’esposizione.
-Scommetto che vuoi comprare quella della tua spasimante … -
-Uhm, non saprei- commenta scherzando il giovane, facendo spallucce  - non posso sempre dargliela vinta, non credi?-
Poi, come un miraggio nel deserto, tutto si ferma: lei intravede il viso di lui, quel sorriso perfetto, quel volto rassicurante che la osserva tra la folla, in mezzo ad altre centinaia di volti sconosciuti che le passano di fianco e la sfiorano con lo sguardo.
Si blocca improvvisamente, lì su due piedi.
Gli occhi frugano avidi alla ricerca di lui, il naso freme impercettibilmente, le guance si imporporano, la bocca si dischiude smarrita.
La mano di Tommaso le sfiora il braccio, riscuotendola da quel torpore così meraviglioso ma allo stesso tempo insostenibile da interpretare come una sensazione reale.
-Aurora, va tutto bene? Perché ti sei fermata?-
-Scusa- deglutisce, sbattendo le palpebre per cercare di focalizzare la scena in lontananza.
-Mi sembrava di aver visto una persona: era lì, dopo quella bancarella- continua, indicando in quella direzione.
-Ma forse era solo qualcuno che gli assomigliava … -

-Se vuoi possiamo avvicinarci, non è un problema ... -
L’indecisione e il panico l’assalgono: indugia per qualche secondo, combattuta tra il desiderio bruciante di correre verso di lui e la lenta e razionale presa di coscienza che quello che ha visto è stata solo una suggestione, un uomo che assomiglia al suo Mattia, lontano da lei e che forse l’ha già dimenticata.
-No, non fa niente- si riscuote decisa, ritornando a guardare negli occhi Tommaso.
-Mi sarò sicuramente sbagliata. Allora, quale torta compriamo?-



                             

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Capitolo 18
*** Gli ottoni ***




GLI OTTONI



LUNEDI' 7 AGOSTO



Finiti i quattro giorni di festa, ognuno in paese ritorna alle proprie occupazioni abituali: i contadini e i mungitori a lavorare nei campi, Liliana a smistare merce tra gli scaffali della bottega e i membri della Proloco a organizzare le celebrazioni per il santo patrono.
Le giornate continuano ad essere intiepidite dal sole che adesso si accompagna nel pomeriggio a refoli di vento ora fastidiosi ora cullanti. 
La sera prima della partenza di Tommaso, otto giorni dopo la fine dei festeggiamenti, il giovane e Aurora si stanno occupando di bagnare i fiori e le piante del giardino, sofferenti per quella calura così pressante.
In mezzo ai gigli arancioni, le dalie purpuree, le margherite bianche, i cespugli di lavanda e quelli di gelso, il tempo sembra fermarsi: ciò che c'è all'esterno di quella sorta di cerchio magico sembra non esistere, appare privo di importanza; persino Macchia si dipana da quei grovigli alla ricerca di qualche insetto da inseguire, schivando con agilità i tronchi invecchiati del
pruneto e del melo.
-Stamattina, sulla porta della bottega, ho visto una locandina di un concerto di musica classica. Si svolgerà questa sera, nella chiesa principale della città. Ci andiamo?-
Tommaso ha rotto il silenzio che si era creato dopo aver parlato degli argomenti più disparati, lasciando un vuoto di parole e di pensieri.
La forestiera è intenta a non sporcarsi con la gomma imbrattata di terra che, come un serpente strisciante, si aggira famelica per il giardino e, ai suoi comandi, si libra leggiadra da una parte o dall’altra per dissetare ora un fiore ora una pianta.

Cercando di non abbandonare la presa su quell'improbabile rettile, con la mano libera Aurora diminuisce con sicurezza il getto dell’acqua, stringendo la leva del rubinetto a pochi metri da loro.
-
Fino a due giorni fa, non ho visto nessuna locandina ... -
-Probabilmente le hanno distribuite solo ieri o oggi. Allora, vuoi che andiamo? Pensavo di fare qualcosa di speciale per concludere la mia permanenza qui, una cena mi sembrava sminuente … -
La ragazza lo guarda sorridendo, pronta a replicare senza riserve:
-Va bene, se vuoi ci andiamo. Mi piace la musica classica. Sai anche quale sarà il programma?-

-E’ un quintetto di ottoni ma non c’era scritto cosa suoneranno. Il concerto inizierà per le nove-
-Bisognerà informarsi dell’orario dei treni: più tardi andrò a vedere in stazione-
Il serpente di gomma guizza felice tra le dalie e la lavanda, qualche spruzzo si leva verso i due improvvisati giardinieri.
La forestiera abbandona per un attimo la presa, perché una mosca le sta ronzando insistentemente sulla punta del naso.
-Attenzione, abbassalo, altrimenti ci faremo una doccia!- avverte Tommaso, portando le mani in avanti.
Poi, prosegue con un sorriso sornione tutte le spiegazioni del caso:

-Non preoccuparti, ho già pensato anche a questo! Dopo pranzo sono andato in stazione a vedere quali treni ci fossero e, se non ricordo male, c’è n’è uno alle otto e trenta, mentre l’ultimo dovrebbe essere alle dieci e quaranta! Credo che per allora il concerto sarà finito, almeno spero-
Aurora distoglie per un attimo lo sguardo dalla terra inzuppata di acqua, quando la mosca torna a disturbarla e, questa volta, colpisce nel segno:
- Ah! Maledetta gomma! Mi sono bagnata tutta! E’ meglio che la piantiamo qui e che andiamo a prepararci!- suggerisce, allontanandosi dalla pozzanghera che aveva creato.
Tommaso non riesce a trattenere una mezza risata, la maglietta arancione mezza fradicia, così come le gambe tornite e muscolose lasciate nude dai pantaloncini neri, le sneakers affondate nel terreno umido.
-Mi sembra che non sei molto portata per il giardinaggio!-
La ragazza gli lancia un'occhiata per nulla amichevole e, facendogli il verso, T-shirt e pantaloni virati dal blu al nero a causa della doccia non prevista, replica:
-Speriamo solo di non perdere il treno, simpaticone che non sei altro. Anche perchè non voglio passare la notte all'addiaccio con te, maleducato!-
-Come hai detto? Ah già, hai ragione, sono troppo gentile per i tuoi gusti! Dai, imbranata, andiamo in casa!- la consola, facendo finta di non aver sentito le sue lamentele e avvicinandosi per recuperarla, le mani che si sfiorano.



Hanno finito di cenare da quasi mezz'ora, e adesso entrambi i forestieri sono nelle loro camere a prepararsi per la serata di gala.

Aurora non ha portato abiti eleganti nella valigia, l’unico che potrebbe andare bene per un concerto di musica classica è un vestito azzurro, modello tubino, con l’orlo un po’ scucito, che spera nessuno noterà.
Tanto non ci conosce nessuno, in città, constata per convincersi a indossarlo, senza contare che è il migliore che ho.
Specchiandosi nell'ovale sbiadito appeso alla parete di fianco alla porta, si tira su la cerniera laterale, facendo una difficoltà che non era solita riscontrare: solo allora, infatti, si accorge che è difettosa, così oltre la metà non riesce a chiuderla.
Spazientita e sbuffando, pesca in uno dei cassetti del comò neoclassico di fronte al baldacchino, alla ricerca di un golf che possa abbinare, affinché non si veda quel difetto: la scelta cade su un cardigan bianco, i bottoni in madreperla e le tasche ricamate con dei motivi ad onda.
Sorridendo compiaciuta, indossa rapidamente quella salvezza, richiude il comò, si allaccia l’orologio con il quadrante blu recuperato dalla sedia che le fa da comodino ed esce dalla stanza con la sua tracolla arancione, l’unica borsa che si è portata da casa.
E anche se stona con il resto della mise, a chi può importare?
Tanto non ci conosce nessuno, ripete come un mantra, e si avvia giù per le scale.



Ancora una volta, la forestiera si ritrova a percorrere la strada che porta alla stazione: prima, i due vicoli illuminati da un solitario lampione che emana una luce troppo fioca, poi la piazza della chiesa, suggestiva nel riverbero lunare, con i lunghi vasi rettangolari e le panchine di pietra a colmarne il perimetro, infine il sentiero di terra battuta e acciottolato che si snoda sicuro tra le case, i prati e i cespugli di buganvillea.
Il giorno in cui ha accompagnato la madre, seduti sulle banchine o in piedi a piccoli gruppi composti, c’era una mezza dozzina di pendolari, quella sera invece, sono solo lei e Tommaso ad attendere l’arrivo del treno.
-Te l'ho già detto che sei molto elegante?- esordisce il ragazzo, dopo la sua ennesima e brevissima passeggiata avanti e indietro sul marciapiede che costeggia la sala d'aspetto deserta.
-Sì, questa è la seconda volta- risponde con un sorriso Aurora, stringendo la tracolla al ventre e abbassando lo sguardo.
-E tu? Non hai freddo?- continua lei, indicandogli la camicia color Tiffany.

-No, è il maglione più pesante che mi sono portato-
-Le serate cominciano a diventare più fresche... anche se siamo ad agosto, si sente che siamo in montagna, vero?-
Il vigile del fuoco la guarda facendo un'espressione strana:
-Cosa ci facciamo noi in un posto del genere, abituati all’acqua, al mare e agli acquitrini?!-

-Gli acquitrini … ?-
Tommaso apre rassegnato le braccia:
-Nel mio lavoro tocca anche scendere giù nelle fogne, nel caso s’intasino o succeda qualche incidente. Basta solo abituarsi, cara mia!-

-Non parlarmi di acqua, per favore! Con tutta la fatica che abbiamo fatto a bagnare il giardino, saremmo veramente sfortunati se dovesse piovere come nei giorni scorsi!-
Lo sbuffare del treno li avvisa del suo arrivo, impedendo al ragazzo di replicare: i fari della locomotiva principale illuminano i binari e, man mano che si avvicinano, quasi accecano i forestieri.
-Sarà meglio spostarci- dichiara Tommaso, allontanandosi definitivamente dalle rotaie.
Il convoglio rallenta fino a fermarsi, un leggero stridio delle ruote sul ferro arrugginito che si snoda sotto le sue possenti ruote.
Una volta saliti, hanno solo l’imbarazzo della scelta di dove andare a sedersi: i vagoni, infatti, sono quasi tutti vuoti, oltre a loro c’è una decina di persone disseminata qua e là sui sedili dello scompartimento di seconda classe.
Scelgono due posti sul lato del finestrino, uno di fronte all’altro.
Il bigliettaio si avvicina ad Aurora e, facendo un cenno con il capo, domanda:
-Buonasera, quanti biglietti devo farvi?-
-Quattro, due per l’andata e due per il ritorno- risponde Tommaso.
-Scendete a *** ?-
-Sì- conferma la forestiera.
L’uomo, il berretto blu scuro in testa, apre la tracolla marrone sbiadita in più punti ed estrae un taccuino e una biro dall'inchiostro quasi terminato: scribacchia qualche cifra e poi porge al ragazzo la ricevuta con la cifra del costo dei biglietti.
-Ecco a voi-
Il forestiero paga con prontezza, per poi lasciare il bigliettaio ritornare nel corridoio, tra i vagoni di prima e seconda classe, mentre il treno si mette nuovamente in moto.
Il viaggio non dura molto, cinque minuti a vedere quel paesaggio notturno di alberi, campi e case indefinite, che si confondono insieme in un’immensa e caotica macchia scura.
La ragazza e Tommaso scendono dal treno insieme a quasi tutti gli altri passeggeri, dirigendosi all’uscita, dopo aver salito una breve rampa di scalini.
Si ritrovano nella sala d’aspetto della stazione, illuminata e affollata di gente, sicuramente molta di più rispetto a quella che ci sarebbe stata in quella del paese se non fosse stata chiusa.
I tabelloni delle partenze e degli arrivi registrano destinazioni nazionali ed estere, ma subito Aurora distoglie lo sguardo da quei nomi, richiamata dalle parole di Tommaso:
-Questa mattina ho chiesto alla signora Liliana: la chiesa dovrebbe essere oltre la piazza, dietro ai giardini che si intravedono là in fondo-
-Ah sì, credo di averla vista quando siamo venuti a stampare le foto-
Sono quasi le nove meno un quarto e si devono affrettare se non vogliono arrivare in ritardo, così continuano il loro discorso mentre si rimettono in moto.
Attraversano un paio di strade, poi la piazza del mercato e infine un piccolo parco vicino alla vecchia torre di guardia che le ha fatto vedere Linda il giorno in cui hanno portato Macchia dal veterinario.
Dieci minuti dopo, sono di fronte alla facciata rinascimentale della chiesa, l'opposto della costruzione che svetta in paese.
Le porte imponenti sono spalancate e, al suo interno, le panche appaiono per la maggior parte occupate da numerosi e curiosi spettatori.
Di fronte all’altare, in bella vista, sono stati sistemati cinque leggii rossi con le spartiture per il concerto.
Lei e Tommaso si dirigono verso la metà della navata e si siedono su una panca libera, il rumore dei loro passi sul tappeto rosso ammorbidito dal vociare confuso del resto degli avventori.
Sullo schienale davanti, trovano ad accoglierli il programma della serata:



PRIMO TEMPO

Fanfare ………………………………………..      P.Dukas
The liberty bell ……………………………….       J.P.Sousa
Washington Post ……………………………..       J.P. Sousa
Just a closerwalk ……………………………..       Traditional
When the Saints go marching in ……………       L. Armstrong
I Buffoni ……………………………………..        Marcia Sinfonica



SECONDO TEMPO


Memory ………………………………………..      A.L. Webber
Amparito Roca ……………………………..            J.T. Dalmau
Cumparsita ………………………………….         M. Rodriguez
Oblivion …………………………………........        Astor Piazzolla
Fantastica …………………………………...          Marcia Sinfonica



-Non ne conosco molte: Memory, Oblivion  e quella di Armstrong. Tu?- domanda la forestiera, sussurrando e mettendo le gambe di lato per far passare una coppia con due bambini all'incirca di tredici e dieci anni.
-In realtà, anch’io sono nella tua stessa situazione: qualche anno fa ero andato a vedere il musical Cats, per questo mi ricordo molto bene la canzone Memory-
-Forse non c’intendiamo poi così tanto di musica classica, anche se questa non mi pare esclusivamente classica-
-In effetti non lo è-
Una donna dai capelli biondo cotonati e un abito nero sfavillante di pailettes, fa il suo ingresso trionfale da una porta laterale dietro l’altare: si avvicina al microfono sul pulpito e, con il migliore dei sorrisi che si possa immaginare, elargisce cenni di assenso all’intera navata, adesso zittitasi.
-Buonasera a tutti e grazie per essere venuti alla XII^ edizione dei nostri concerti estivi! Questa sera avremo l’onore di assaporare le note di cinque strumenti dal suono poderoso come solo gli ottoni sanno avere: cinque maestri di fama internazionale ci delizieranno con brani che vi stupiranno piacevolmente, il tutto incorniciato dallo splendido ambiente che la nostra chiesa ci offre ogni volta che qui ci riuniamo! Non mi resta altro che augurarvi buon ascolto e buona serata!-
Un caloroso applauso si leva dalla platea, mentre la donna si avvia sulla panca in prima fila, occupata da altre quattro persone.
-Mi sembra di averla già vista alla mostra- azzarda Aurora, girandosi verso Tommaso, seduto alla sua destra.
-Forse è il sindaco della città-
Le elucubrazioni tra i due vengono interrotte dall’entrata in scena del quintetto, composto da tre uomini e due donne, tutti vestiti di nero.
In mano reggono i loro dorati e luccicanti strumenti: trombe, trombone, corno e la maestosa tuba diventano gli assoluti protagonisti.

Un inchino e un sorriso per nulla nervoso salutano il pubblico; poi, dopo un’occhiata d’intendimento, i cinque musicisti cominciano a suonare con una sicurezza degna dei migliori esperti.
Note alte si alzano da quei meravigliosi congegni, il classico suono forte ed energico che ci si aspetta da fiati del genere.

Le orecchie degli ascoltatori si devono abituare a quel vortice di suoni e simboli sonori, perché la naturale eco nella chiesa amplifica quegli immortali e splendidi fragori ma, una volta assuefatte, vorrebbero che quel turbine non finisse più.


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Capitolo 19
*** Una cosa sola ***




UNA COSA SOLA












MARTEDI' 8 AGOSTO



Pioggia, pioggia e ancora pioggia: scrosci di acqua battono sui vetri delle finestre fin da notte fonda, verso le tre comincia il diluvio.
Tic tic fanno le gocce, schh schh fa il riale, mentre il letto del fiume si ingrossa sempre di più, secondo dopo secondo.
Qualche lampo solitario illumina il buio, poi tutto ridiventa scuro e la luce artificiale dei lampioni non riesce più a supportare quella naturale della luna, nel suo compito abituale e persino noioso di ogni sera.
Trascorre così l’intera nottata e, adesso che il sole nascosto da nuvole basse e pesanti si sta ormai levando, quel paesaggio continua a rimanere in parte immutato, anche se più chiaro rispetto a qualche ora prima.
I rintocchi delle campane squarciano il silenzio mattutino: la forestiera conta sette rintocchi, lenti e ravvicinati, incredibilmente vicini, poi apre gli occhi.
Fa un respiro profondo, le mani sul viso, consapevole che l'insonnia le è stata fedele compagna: non ha dormito molto, infatti; quel poco che è riuscita a riposare, sono stati minuti inframmezzati dai rumori molesti e persistenti della pioggia.
Il ricordo del meraviglioso concerto della sera precedente ritorna ad insuinarsi nella sua mente: sulla strada del ritorno fino alla stazione, poi durante il brevissimo viaggio in treno e più in su, ormai in paese, percorrendo il viale in salita verso la casa rossa, Tommaso ed Aurora non hanno fatto altro che commentare lo spettacolo; la leggiadria delle bocche e delle dita affusolate dei musicisti, il suono potente e
al contempo carezzevole del quintetto d'oboe, le luci sapientemente miscelate per creare l'atmosfera perfetta, l'emozione che si fa largo dentro di lei, gli applausi abbondantemente elargiti a più riprese ... persino la dolce carezza del ragazzo su una spalla non ha fatto tremare la forestiera, pronta a ricambiare quel gesto di augurio per una buonanotte, con un sincero e riconoscente sorriso.
Adesso, però, la consapevolezza e un sentimento molto simile alla tristezza fanno capolino in mezzo ai ricordi di Aurora, costringendola a scacciare quei pensieri e a guizzare disturbata sotto il lenzuolo accartocciato.
Dopo essersi levata il pigiama e aver indossato la tuta, scende dabbasso e si dirige in cucina per preparare il caffè, con l'intento di distrarsi.
Non vuole ammettere nemmeno con se stessa che quel miscuglio di emozioni per nulla piacevoli non sono altro che l'esito naturale per l'imminente addio che dovrà essere consumato a breve: Tommaso, infatti, partirà quella mattina stessa, con il treno delle otto.
Per questo e per ringraziarlo di tutti i bei momenti trascorsi insieme, vuole fargli trovare la colazione pronta, come ultima dimostrazione di amicizia, se così si può definire, il rapporto che li ha legati in quei giorni così velocemente vissuti.
La casacca blu e grigia ben aderente al petto, la ragazza dà un'occhiata fuori dalla finestra, muovendo con titubanza le tendine color limone sbiadito.
Da un lato del suo cuore vorrebbe che fuori continuasse a diluviare ma, dall'altro, vorrebbe che splendesse nuovamente il sole, per aiutarla a superare meglio il grigio della solitudine che l'attende per le prossime due settimane, fino a quando anche il suo soggiorno alla villa si potrà ritenere concluso.
Il tempo non è affatto clemente, però: sebbene le gocce di pioggia non siano grosse e simili a chicchi di riso come lo erano appena qualche ora prima, l'acqua continua a farla da padrona.
Aurora sospira insoddisfatta, pensierosa per ciò che l'attende, poi si concentra sull'obiettivo che si è prefissata pochi minuti addietro.
-Buongiorno ... -
-Ciao, ti stavo preparando il caffè- le mani a svitare la caffettiera, in piedi di fronte al lavandino, la forestiera si gira in direzione della voce roca del vigile del fuoco, quasi stupita di vederlo già in piedi, nonostante sia consapevole della sua imminente partenza.
Il forestiero si avvicina alla credenza, aprendo il cassetto dove tengono le tazzine e i cucchiaini, la parte sopra di una tuta color petrolio su cui si apre una T-shirt cachi, i jeans di un blu sbiadito e le sneakers bianche e grigie.
Gli occhi nocciola sembrano penetrare per qualche secondo quelli verdi di Aurora, che si sofferma a guardare i folti capelli castani e la barba leggermente incolta ma curata.
-Direi che non sono molto fortunato con il tempo: quando sono arrivato sembrava il diluvio universale e beh, anche oggi, non fa altro che piovere … -
-Nessuno è contento che tu parta, nemmeno il tempo-
Adesso lei ha messo la caffettiera sul fuoco, poi il pacco dei biscotti sul lungo tavolo in rovere, lo stesso che aveva bruciato con il pentolino della cioccolata appena sedici giorni prima, quando il ragazzo si era presentato alla casa rossa senza alcun preavviso.
Dopo una manciata di secondi in silenzio, Tommaso ribatte con il solito sorriso a metà tra il serio e il divertito:
-Anche tu?-
-Sì, un po’ mi dispiace- ammette l'altra, con finta noncuranza, facendo spallucce.
-Ormai mi ero abituata alla tua invadente presenza!-
In quel mentre, arriva Macchia: trotterellando sulle zampette ancora da cucciolo, si avvicina alla padrona, miagolando e attorcigliando la coda sinuosa tra le sue gambe.
-Lascia stare, gli do io il latte … - si offre Tommaso, vedendo con la coda dell'occhio la forestiera avvicinarsi al frigorifero.
Abbozzando un sorriso, ne approfitta invece per controllare la caffettiera che, nel frattempo, ha cominciato a sfiatare: ora il caffè è pronto, il beccuccio della moka sussulta impercettibilmente, mentre il forte aroma si diffonde per la cucina.
-Ecco, adesso sì che possiamo fare colazione- sancisce lei, prendendo posto su una delle sei sedie.
I due si siedono, forse persino un po’ imbarazzati, perché non trovano le parole per quell’ultimo pasto insieme.
-Hai già preparato le valigie?-
-Putroppo sì. Quando siamo tornati dal concerto, nonostante il sonno, ho finito di mettere i vestiti nel trolley. Sembra ieri che sono arrivato ... - i biscotti inzuppati nel caffelatte, il cucchiaino a raccogliere quelli che si sono sbriciolati, prima ancora di essersi sciolti.
-Sei riuscita a dormire questa notte?- continua lui, lanciandole un'occhiata che avrebbe voluto dire tutto e niente.
-Sulla mia finestra la pioggia continuava a sbattere e, in mattinata, ho sentito il vento alzarsi e cominciare a soffiare. Devo ammettere che non è stato piacevole come il concerto di ieri sera, vero?-
La forestiera sorride, beve un po’ di quel miscuglio che ha nella tazza.
-No, infatti. Anch'io ho passato la stessa cosa: dormivo magari per un paio d’ore, poi mi svegliavo, poi ancora mi riaddormentavo e ... beh, insomma, ho continuato così per tutta la notte. Ci rivedremo ancora?- continua lei, tutto d'un fiato, smettendo ancora una volta di fissarlo.
-A me farebbe molto piacere-
Aurora continua a sorseggiare il caffelatte, poi accantona di lato la confezione di biscotti, spingendola quasi subito verso il forestiero, ancora seduto di fronte.
-Anche a me … -
-Allora ti aspetto a ***. Lo sai che puoi venire a trovarmi quando vuoi. Ah, a proposito, ti ho lasciato una busta all’entrata, con il mio indirizzo e il numero di telefono-
Lei si alza, la tazza in mano che si riempie del getto freddo dell’acqua del rubinetto.
-Va bene, lo stesso vale per te. Se mi aspetti un attimo, vado a prendere un foglietto su cui scriverti anche i miei recapiti-
-Certo, tanto manca ancora mezz’ora … -
Prima, Aurora si reca in anticamera per prendere la busta di Tommaso, poi sale le scale il più velocemente possibile e, una volta arrivata nella sua stanza, apre il cassetto del comò dove tiene la Kodak, il taccuino per gli schizzi a carboncino e l’occorrente per disegnare.
Strappa un foglio a metà dal blocco: con una matita un po’ troppo piccola per le molte volte che è stata temperata, comincia a scrivere il suo indirizzo, il numero di cellulare e quello di casa.
Poi, quando ha ormai un piede fuori dalla porta, una strana curiosità le punzecchia la mente: riattraversa la soglia e osserva dubbiosa la busta del forestiero.
Dal momento che non è sigillata, la apre senza difficoltà, stupendosi del grande foglio su cui dovrebbero essere scritti solo delle semplici cifre e il nome di una strada.
Guarda l’orologio da polso appoggiato sulla sedia che le fa da comodino: le sette e trentacinque, ha ancora un po’ di tempo prima di salutare Tommaso, così dischiude quel pezzo di carta troppo ingombrante e comincia a leggere:
    

"Cara Aurora,
si dice che le donne siano il sesso debole, ma in realtà sono convinto che sia l’esatto opposto: quando dicono che gli uomini sono dei codardi, che non si prendono le loro responsabilità, quelle persone hanno più buonsenso di tutte le altre che non hanno il coraggio di ammetterlo o, addirittura, lo negano, perchè non fanno altro che dire la verità.
In questi sedici giorni trascorsi insieme, non ho infatti avuto il coraggio di rivelarti il motivo per il quale sono venuto in questo paese, di cui fino a un mese fa non conoscevo neppure l’esistenza.
Ho cercato di affrontare il discorso più di una volta e, almeno questo, lo devi ammettere, tuttavia mi è mancato quel pizzico di intraprendenza in più che mi ero ripromesso di avere nei tuoi confronti, prima del mio arrivo.
Anche adesso che sono seduto nella “mia” stanza, non riesco a trovare le parole giuste per dirti quello che devo raccontarti, per spiegarti chi sono veramente.
Molto tempo fa, quando andavo alle elementari, una delle maestre ci aveva letto un racconto di un uomo che, per le molte bugie dette da bambino, era diventato di cartapesta, una sorta di robot ante litteram.
Ecco, io, in tutti questi giorni, non ho fatto altro che sentirmi quell’uomo di cartapesta: le menzogne che mi hanno raccontato per anni, mi hanno trasformato in un cattivo Pinocchio, spersonalizzandomi in ciò che adesso mi ritrovo ad essere.
Spero che tu non abbia frainteso quella volta alla mostra, quando ti ho detto che avevo paura di ciò che provavo: mi rendo conto che non era paura quella che sentivo, ma codardia, proprio come ti ho scritto all’inizio di questa lettera.
Ho sempre odiato i melodrammi, credimi: a me le cose piace dirle in faccia, apertamente, senza troppi giri di parole, tuttavia, questa volta, qualcosa mi blocca.
Adesso non posso più tentennare, Aurora, ho il dovere di dirti la verità: sono tuo fratello, il figlio che nostra madre ha avuto quando viveva in Belgio.


Le mani tremanti reggono il foglio di carta bianca che, senza rendersene conto, all’improvviso si bagna di lacrime, insicure e copiose.
La forestiera si morde il labbro inferiore, stringe le mani ora umide di ansia e di sudore freddo.
In cuor suo, ha sempre saputo che quell’uomo portava con sé un mistero, un filo invisibile che li lega da quando sono nati, impossibile da tagliare, ma non voleva o non riusciva ad accettarlo.
Distoglie per un attimo lo sguardo, indecisa se continuare a leggere o se accartocciare quelle righe, solamente per gettarle lontano.
Si alza dal letto, il foglio abbandonato che cade per terra, leggiadro rispetto al massiccio carico che gli è stato impresso.
Cerca di calmarsi, fa un respiro profondo, poi un altro e un altro ancora.
Disperde lo sguardo oltre la finestra aperta, le tende bianche che s’infrangono come onde spumose sui vetri, per raggiungere la distesa calma e piatta del lago in lontananza.
Anche a lei manca quel pizzico di coraggio per continuare a leggere, ma l’incredulità prende il sopravvento e, per questo, decide di proseguire in quella rivelazione:


"Sai, quando ho scoperto la tua esistenza, quando lei mi ha rivelato di avere due sorelle, l’ho detestata, quasi odiata, perché non mi ha permesso di vivere insieme a voi, mi ha negato un’infanzia normale, come quella che immagino abbiate avuto tu e Silvia.
A proposito di nomi, non ti ho mentito quando mi sono presentato come Tommaso, mi chiamo veramente così, anche se so che nostra madre ti ha detto che mi chiamavo Edoardo, il nome che lei mi ha dato alla nascita, ma le persone con cui sono cresciuto, lo hanno voluto cambiare, ma non chiedermi per quale motivo, la verità non la so.
Sapevo, invece, che lei era mia madre: non me lo ha mai tenuto nascosto, sebbene nessuno mi abbia mai rivelato il perché sia cresciuto “segregato”, lontano da lei, da voi e da mio padre, che non so neppure che faccia abbia.
Quando dieci anni fa mi sono trasferito dal Belgio in Italia, sono andato a cercarla e, solo allora, ho saputo dell’esistenza tua e di Silvia, ma, anche in quella circostanza, lei mi ha impedito di rintracciarvi.
Si è persino inventata che vi eravate stabilite in Norvegia, chissà poi perché proprio in quel Paese ..."

Aurora sa benissimo il motivo di quella che non è per niente una bugia: l'amante della madre era infatti uno scrittore norvegese che aveva conosciuto per il suo lavoro alla casa editrice.
Lacrime di rabbia, delusione e tristezza le offuscano la vista, impedendole per qualche secondo di riprendere la lettura.

"E' stato per puro caso, circa un mese e mezzo fa, che, durante un nostro incontro, ho sentito una vostra telefonata. Non appena ho compreso che eri tu, ho insistito fino allo sfinimento perché mi dicesse finalmente dove abitassi.

Ma quando sono venuto a *** per cercarti, tu eri appena partita per venire qui, alla casa rossa, così mi sono di nuovo disperato, perché questa volta –ad un passo dal conoscerti- tutto era andato in fumo, svanito ancora una volta
Dopo che nostra madre mi ha rivelato l’indirizzo di questo posto, sono andato all’agenzia di viaggi per prenotare la mia “vacanza” proprio nel tuo stesso periodo.
Il resto della storia lo sai e, adesso, anche il passato.
Spero che non mi odierai per il comportamento da codardo che ho avuto nei tuoi confronti, che capirai che entrambi abbiamo sofferto e perso un pezzo della nostra vita in questa storia.
So che Silvia non è conoscenza delle mia esistenza: mi piacerebbe incontrarla insieme a te, per cercare di recuperare il tempo che ci è stato volutamente sottratto.
In fondo alla lettera ti lascio il mio indirizzo e il numero di telefono.
Cercami, per favore.
A presto,
Tommaso


I singhiozzi hanno cominciato a sconquassarle il petto: ora non ha più lacrime, solo un senso di disgusto misto a disperazione per quello che ha appena letto.
Un disgusto per la madre –se così si può chiamare una donna che le ha continuamente mentito fin da quando ha avuto una ragione per capire- e disperazione per la sua ingenuità, per essere stata ancora una volta ingannata, sebbene da un’altra vittima come lei.
Lo sguardo le cade sull’orologio da polso: le sette e cinquanta.
Non sa se scendere le scale che la separano da quello che ha appena scoperto essere suo fratello, oppure lasciarlo andare, per non vederlo e prolungare tutta la sofferenza che si sta impadronendo di lei.
E' giusto aspettare che tutto quel dolore e quell’incredulità passi, per poi cercarlo?
E' giusto rassegnarsi al destino, lasciando che quell'uomo entri a far parte della sua esistenza?
Seduta sul letto, le mani a lisciare i pantaloni della tuta, la testa che si dondola a destra e a sinistra, Aurora non riesce a decidersi su come comportarsi.
Stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa, la figlia più piccola della contessa della casa rossa.
Anche lei, in un certo senso, era stata ingannata, l’avevano costretta a sposarsi con un uomo che non faceva altro che tradirla, era stata sacrificata prima dalla sua famiglia e poi dal marito.
Solo il legame con il fratello lontano riusciva a darle un po’ di conforto, ma non era stato sufficiente per salvarla.
La forestiera si alza dal letto, per andare di nuovo verso il comò: questa volta apre il cassetto nel quale settimane prima ha ritirato il carillon di zaffiro e oro intarsiato.
Lo sfiora, come un talismano che la possa proteggere e, soprattutto, rivelarle quello che deve fare, come si deve comportare con quell’uomo seduto giù in cucina.
Adocchia ancora una volta l’orologio da polso abbandonato sulla sedia: le sette e cinquantacinque.
Sa che il treno per la città partirà tra cinque minuti, perciò si convince che Tommaso non può essere ancora dabbasso, a meno che non voglia perdere la coincidenza.
Con quella infantile speranza, adesso si sente più tranquilla, la quasi convinzione di non trovarlo più davanti a sé.
Dopo aver ritirato il carillon, si allaccia il cinturino del quadrante ed esce dalla stanza, un respiro profondo a farle da eco.



Effettivamente, in cucina, non c’è più nessuno.
Il ragazzo se n’è andato, il tavolo è stato ripulito, le tazze e i cucchiaini riposti nella credenza, così come il pacco di biscotti.
Macchia è sdraiato vicino alla porta d’entrata, la coda che si muove da una parte all’altra irrequieta, lo sguardo interrogativo rivolto alla sua padrona.
Aurora emette un profondo respiro, un sorriso compare sul volto arrossato, anche se è più simile ad una semplice incurvatura delle labbra, mentre qualche lacrima le cade dagli occhi già arrossati.
Sono di nuovo sola, dopotutto è quello che ho sempre desiderato. Sono venuta qui per questo.
E di nuovo, stupidamente e irrazionalmente, il pensiero corre a Teresa: lei, per suo fratello, sarebbe stata disposta a qualsiasi cosa, lo testimoniano le lettere che ha trovato nascoste sotto un'asse del pavimento, le fotografie con i volti sereni, ritratti di quasi un secolo prima; aveva avuto addirittura il folle e sbagliato coraggio di togliersi la vita, di decidere per sé stessa, disperata per l'allontanamento forzato dalla famiglia, seguendo un marito che non la rispettava, tradendola, in Uruguay, all'altro capo del mondo.
Tu, invece, che coraggio hai?
Le immagini del carillon di zaffiro e oro intarsiato si confondono a quelle delle lettere dentro contenute, alla festa del paese, alle mani fasciate di Tommaso, alle fotografie della mostra, al volto e al sorriso perfetto di lui, del suo Mattia, al ghigno beffardo dell’altro, al buio di quella notte nell’ufficio, alla rivelazione della madre, a Linda e a Liliana, al lago in lontananza, al campanile ... immagini confuse, non cronologicamente in ordine, eppure così vicine, così vive nella sua anima e nel suo corpo ancora una volta feriti per non sua volontà.


Con la fretta nei piedi, la ragazza attraversa i due vicoli, la piazza della chiesa con i vasi di fiori e le panchine di pietra, il ponte sotto cui scorre il fiume, il viale con le case e i cespugli di buganvillea da un alto e i prati con i ricoveri per il bestiame dall’altro.
La pioggia continua a cadere, fitta e noiosa, l’ombrello che ha portato con sé è ritmicamente piegato di lato dal vento.
Finalmente raggiunge la stazione, ci sono altre persone ad attendere l’arrivo del treno, pronte a ripararsi sotto la tettoia dell’entrata della sala d’aspetto.
Aurora si accorge subito che Tommaso non c’è, la sala di aspetto è vuota e, fuori, tra quei volti sconosciuti, è sicura che il suo viso non lo possa vedere.
Poi, da dietro il casotto che un tempo ospitava l’abitazione del guardiano, lei lo scorge, la maniglia del trolley in una mano, l’ombrello tenuto in quel modo buffo come il giorno del suo arrivo.
Gli va incontro, lentamente, le mani strette a pugno lungo i fianchi, dimenticandosi della pioggia e del vento, l’ombrello in bilico su una spalla.
-Speravo che arrivassi … non ho preso il treno delle otto proprio per questo-
La forestiera annuisce, abbassa lo sguardo e poi, con voce fioca, risponde:
-Io, invece, non so che cosa speravo, se trovarti ancora qui oppure no. E’ stato un caso che abbia letto la lettera, altrimenti non sarei venuta ... -
-Quando non ti ho vista scendere, ho capito che la stavi leggendo. Così me ne sono andato, senza aspettarti. Ancora una volta sono stato un codardo, perdonami-
Lei distoglie l'attenzione dal volto che la sta fissando, spostandola sulle scarpe.
-Sì, l’ho letta, certo che l'ho fatto. Cosa posso dire, cosa vuoi che ti dica? Sono sconvolta ancora una volta di più dal comportamento di nostra madre. E’... insomma, è diventata subdola ed egoista, anzi, forse lo è sempre stata e, le tue parole, non hanno fatto altro che confermarlo. Ci ha mentito ... tanto e per troppo tempo-
-Lo so, lo so, Aurora!- esclama con passione, alzando la voce  -ma, adesso, dobbiamo cercare di recuperare il tempo che non abbiamo potuto vivere insieme, solamente questo. I giorni trascorsi alla casa rossa mi hanno fatto capire l’importanza di quello che ci lega, non lasciamocelo sciupare per i suoi capricci, ti prego!-
Le otto e un quarto, le sbarre del passaggio a livello che si abbassano al segnale luminoso e sonore, il treno che annuncia il suo arrivo in lontananza e, subito dopo, la fermata sulle rotaie.
-Adesso devo andare … -
-Ma come? Non torni indietro?-
-Mi piacerebbe, ma non posso. Domani devo tornare al lavoro, la vacanza è finita- riprende sorridendo.
-E' meglio che ognuno rifletta da solo su quello che è successo- continua con fare serio -però ricordati quello che ti ho detto stamattina: vieni a trovarmi, telefonami, ma non sparire! Porta anche Silvia, così finalmente potrò conoscerla ... -
I passeggeri salgono sul treno uno dopo l’altro, mentre loro due sono gli unici a non muoversi.
-Allora vai, altrimenti perderai il treno-
Lui annuisce, lascia la maniglia del trolley e le chiede:
-Posso abbracciarti?-
Lei annuisce.
-E ricordati di venire, io ti aspetto … -
-Lo farò, te lo prometto-
Tommaso riprende la valigia, sparisce nel primo scompartimento libero e, una volta sistematosi, si affaccia al finestrino, in cerca dello sguardo della ragazza.
Il capotreno fischia, con un cenno della mano avvisa il macchinista che può ripartire.
Le porte si chiudono automaticamente, il treno si mette in moto, lo stridio delle ruote è un rumore troppo acuto per le sue orecchie.
Aurora fa un cenno con la mano a quello che una volta era il forestiero, lui ricambia con un sorriso.
La pioggia smette lentamente di cadere, le gocce si diradano fino a scomparire e, nel cielo plumbeo, le nuvole grigie e pesanti si aprono al sole, rischiarando la luce mattutina, ora satura solo del vento.
L’inquilina della casa rossa si avvia sulla strada di ritorno, il treno ormai lontano, i cespugli di buganvillea da un lato, i prati dall’altro, mentre una dolce malinconia fa breccia nel suo cuore.



Quando
non vi resta più nulla
ad eccezione dell’amore,
per la prima volta
vi rendete conto
che l’amore basta
all’amore

Emmet Fox


NOTA DELL'AUTRICE




Ciao a tutti!
Credo che questo sarà l'ultimo capitolo, perlomeno per un pò di tempo: la storia originale finisce così, ma vorrei dedicare ancora qualche paginetta all'epilogo, solo che adesso sono super impegnata con il tirocinio universitario, quindi non so se e quando avrò la possibilità di farlo.
Nel frattempo, ringrazio TUTTI coloro che hanno seguito il mio racconto fino a qui: siete stati tantissimi e vi ringrazio di cuore, perché senza di voi sarebbe stato meno bello e soddisfacente scriverlo! Mi dispiace solo che, troppi di voi, non abbiano scritto qualche commento per questa avventura, ma sono comunque felicissima così!
Milioni di grazie agli stupendi RECENSORI, a chi ha inserito la lista nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite.
Vi ringrazio tantissimo!
A presto!
Un abbraccio a tutti

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Capitolo 20
*** Rimpatriata di Capodanno ***



RIMPATRIATA DI CAPODANNO


La strada correva sinuosa e quasi priva di curve, spoglia di veicoli ad ingombrarne la carreggiata.
Il paesaggio, ovattato da una brina spettrale, rigogliva di pini ed abeti, maestosi ed accoglienti.  
La macchina, un'Audi grigio metalizzata, procedeva di buona lena, accarezzando l’asfalto non perfettamente liscio: lei e Mattia non avevano avuto alcun dubbio a raggiungere il paese in auto, piuttosto che con il certamente più comodo treno ma, il caldo soffocante che si sarebbe respirato nei vagoni, sarebbe stato di gran lunga peggiore della ghiacciata aria condizionata estiva.
"Non vedo l'ora di rivederli, tutti quanti!" commentò il ragazzo, le mani forti e sicure che accarezzavano il volante.
Aurora guardò il ragazzo, intuendo che stava dicendo la verità: dopo parte dell’estate trascorsa alla casa rossa, in cui era stato accolto in maniera a dir poco calorosa da Liliana, Linda, la signora Lina, il sindaco e tutti gli altri, Mattia aveva accettato entusiasta l'invito della bottegaia, per trascorrere qualche giorno in loro compagnia.
Mancava una manciata di giorni alla fine dell'anno, Aurora non aveva avuto bisogno di chiedere alcun giorno di ferie, perché, dopo il suo ritorno in città, oltre un anno prima, si era licenziata dalla ditta tessile e, adesso, lavorava come stilista in una piccola impresa di cui lei stessa era titolare.

Sorrise al giovane, bellissimo ed elegante in un completo blu notte, la camicia bianca e la cravatta rossa.
Lanciò un'occhiata amorevole al suo profilo perfetto, i capelli tagliati corti, castani, ricordando la limpidezza e la sincerità di quegli occhi color nocciola, contornati dalle ciglia allungate, la dentatura smagliante.
"Non dici niente?" la riportò alla realtà, pizzicandole con dolcezza un ginocchio, avvolto da un paio di collant neri traforati.
"Scusami, stavo pensando che anch'io sono felice di rivederli. Molto felice"
"Tommaso e Andrea a che ora arriveranno?"
"Dovevano passare un attimo in negozio, per dare disposizione ai dipendenti e ritirare il panettone da portare. Credo saranno appena partiti …" constatò Aurora, recuperando il cellulare che aveva appoggiato sul cruscotto, nell'apposito porta telefono attaccato al vetro, guardando l’orario sul display.
"Panettone?" domandò avvilito Mattia, mentre imboccavano finalmente l'ultima curva: il paese si apriva a pochi chilometri da loro, sapientemente arroccato sulla montagna più bassa, il lago -biancastro e piatto- si allungava davanti a loro, circondato da una distesa di rami spogli e pungenti abeti.
"Lo so che non ti piacciono i canditi e neppure l'uvetta, amore, ma Andrea mi ha assicurato che te ne ha preparato uno speciale!"
Il ragazzo si voltò per un istante verso di lei: le sorrise con riconoscenza e, schioccandole un bacio a distanza, chiese:
"Ti ho mai detto che ti amo?"
Aurora fece finta di pensarci su, quindi, le labbra spalmate di un bel rossetto morbido e burroso, constatò:
"Non quanto spesso meriterei!"



La signora Lina ancora non si era rassegnata al fatto che il suo Tommaso fosse "dell'altra sponda".

Quando, la scorsa estate, Aurora era ritornata al paese per trascorrere qualche giorno alla casa rossa, a Ferragosto era arrivato anche il fratello e il compagno pasticcere.
Apriti cielo! La vecchietta era rimasta completamente sbalordita, mentre il giovane vigile del fuoco, il coraggioso tenente Pastero, presentava agli ospiti della villa Andrea, un altrettanto bel ragazzo, aveva piacevolmente constatato la Lina, ma che non godeva della benché minima classe del suo eroe.                                                       
Da quando le aveva ceduto quella che avrebbe dovuto essere la sua camera, alla casa rossa, dopo l'episodio increscioso della frana che aveva scosso il paese l’anno precedente, la vecchietta non aveva occhi che per Tommaso.

A capisci mia, continuava a ripetere a se stessa e alle altre comari del Comitato, un bel fiöl insci intelligente, cun quel curac, forte, che le aveva tirato uno scherzo talmente di cattivo gusto, da non riuscire a crederci.
Ma si sa, al cuore non si comanda: per questo motivo, la Lina gli aveva scritto un biglietto di auguri, qualche giorno prima di Natale, di suo stesso pugno, per invitare Tommaso e quell’altro a passare il Capodanno in paese, in modo da tenerli sott’occhio.
Dopo che aveva personalmente spedito la busta, si era sentita sgravata di un peso, felice di aver compiuto la missione che sarebbe diventata lo scopo dei giorni a venire, fino a quando il bel vigile del fuoco non le avesse confermato la sua presenza.
La risposta arrivò non appena il servizio postale fu ripristinato, dopo santo Stefano, e la riempì di pura e infinita gioia: la vecchietta passò il resto della settimana a cucinare primi piatti e dolci, oltre ad andare in città alla ricerca di un negozio decente in cui scegliere un abito degno per un'occasione tanto importante.
Quando ritornò a casa, accompagnata dalla signora Roberta, del Comitato per le feste, la sera prima dell’arrivo di Aurora e di tutti gli altri, la Lina si sentiva nuovamente giovane e desiderata: si addormentò subito, senza neppure prendere la tisana di rosa e cannella che era diventata la sua inseparabile compagna notturna, scivolando in un sonno profondo e duraturo.



La villa era sempre lì, fiera e possente, a tratti persino sprezzante.

Non era cambiato nulla, dall'anno precedente e neppure dall'estate appena trascorsa, il paesaggio sottostante era dominato da quel quadrato tozzo ed elegante.
Dalla finestra di quella che considerava la sua stanza, Aurora stava ammirando il lago in lontananza, di un bianco spettrale e piatto, le abitazioni della città avvolte da una soffusa bruma.
Il viale che portava al cancello d'ingresso risultava asciutto, ma in parte sconnesso, a causa del terriccio rivangato dallo scalpiccio delle loro scarpe.
Il campanile della chiesa barocca continuava a svettare orgoglioso, forse solo un po’ più ingrigito dall'atmosfera invernale.
Persino il gruppo di montagne e la foresta di pini ed abeti suggerivano qualcosa di magico, quasi di fiabesco: i cocuzzoli erano spruzzati di neve fresca, candida e dai contorni irregolari.
Aurora si affacciò meglio al davanzale: stava cercando la distesa dei campi, che d'estate avevano un intenso colore giallo dorato, alternati a rigogliosi fili d'erba.
Adesso, in quella tarda mattinata di fine anno, a testimonianza dei frutti della terra, riusciva a rintracciare solamente dei rettangoli lontani, brunastri, che le provocarono un'intensa sensazione di malinconia.
Quando si trovava lì, tra le mura di pietra della villa, si sentiva a casa, veramente a casa: le pareti spesse, le ampie e un po’ antiquate stanze, l'intricato giardino, ogni particolare aveva contribuito a renderla la persona che era diventata, più sicura e decisamente più serena.
L'incubo della violenza, ormai, non tornava più ad oscurarle le ore, a tormentarle le notti e a rovinare le sue giornate; le cose con sua madre erano migliorate, non poteva negarlo, ma non sarebbero andate a posto ancora per chissà quanto tempo.
Sorrise tra sé e sé, all'idea della trasformazione interiore che le era capitata: era pronta per ridiscendere da Mattia e da tutti gli altri ospiti che attendevano nel salone, quando sentì qualcuno bussare alla porta della camera:
“Volevo avvisarti che siamo arrivati!”
La voce allegra di Tommaso riempì la stanza, mentre Aurora gli andava incontro, abbracciandolo.
“Avete fatto in fretta! Come è andato il viaggio?”
“Molto bene. Per fortuna, non abbiamo trovato traffico, solo qualche mucchio di neve non ancora spazzata! E tu? Cosa mi racconti?”
La ragazza invitò il fratello a sedersi sul letto, mentre anche lei prendeva posto di fianco a lui:
“Dalla Vigilia non è cambiato nulla: sono molto felice, non posso lamentarmi, lo sai”
“E con mamma? L’hai sentita?”
Aurora abbassò lo sguardo, perdendosi in un sorriso appena abbozzato.
“Con lei è una battaglia già persa in partenza. Sai, in macchina, prima, ho pensato per un attimo al nostro rapporto: è migliorato, certo, ma ancora non riesco a fidarmi completamente di ciò che dice, di ciò che fa. Persino a Natale, quando parlava o guardava Mattia, temevo che potesse dire qualcosa solo per farmi soffrire. Ho bisogno di tempo, Tommaso, e questo lei lo sa”
“Ieri sono andato a farle gli auguri di buon anno. Le ho detto che sarei venuto a passare il Capodanno insieme a te… mi è sembrata felice”
Lei annuì, mordendosi un labbro.
Si passò un dito lungo il tessuto verde della gonna, morbido e scuro, poi appoggiò una mano sui pantaloni di velluto del fratello: con lo sguardo, accarezzò la giacca color cammello, la camicia bianca, gli occhi verdi e i capelli castani, sempre cortissimi ed in ordine.
“Hai ragione, forse sono io che esagero e non riesco a vedere il bene nelle persone”
Tommaso le cinse le spalle, abbracciandola e baciandole la nuca, pettinata in una elaborata acconciatura.
“E’ meglio andare: di sotto ci stanno aspettando per mangiare. E poi, ho bisogno del tuo sostegno … la signora Lina ha già preteso di sedersi vicino a me, ma non credo di riuscire a sopportarla per l’intero pranzo!”
La ragazza scoppiò a ridere, una mano sulla bocca, scuotendo il capo divertita.
“Nonostante tu sia fidanzato, non vuole proprio saperne di lasciarti stare, eh? Scendi pure, io devo finire di fare una cosa e ti raggiungo”
“D’accordo. Allora ti aspetto qui fuori, nel corridoio, così scendiamo insieme”
Aurora si avvicinò alla finestra, scostando le tendine: banchi di nuvole, soffici ed eteree, si affacciavano all'orizzonte; assomigliavano a grandi meringhe, irregolari e dalle forme più improbabili, eppure magnetiche allo sguardo.
La ragazza stette per qualche istante con il naso all'insù, per cercare di carpirne l'essenza, fino a quando un gruppo nutrito di nembi cominciò a fluttuare nel cielo azzurrissimo, rincorrendosi e quasi scomparendo ai suoi occhi.
Felice di quella nuova pace interiore che era riuscita a conquistare, uscì dalla camera e, seguita dal fratello, scese dabbasso, accolta dal vociare festoso degli altri convitati e dal crepitio del camino acceso.

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