The Past, The Present, The Future

di Aagainst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La sveglia suonò, fastidiosa, interrompendo il sonno di Ziva. L’israeliana bofonchiò qualcosa contro l’apparecchio e si alzò. Andò a farsi una doccia, poi si asciugò, si vestì e scese a fare colazione. Versò del latte nella tazza e mangiò un paio di biscotti. Poi andò a lavarsi i denti, si mise la giacca e uscì, pronta a recarsi al lavoro. Era una bella giornata di aprile, perciò decise di non prendere l’auto. Si incamminò verso il quartier generale dell’NCIS. Il cielo era azzurro e l’aria era caratterizzata da un bel tepore primaverile. Ziva camminava di buona lena, gustandosi la città che si stava risvegliando poco a poco dal torpore della notte. Sorrise vedendo due bambini con la loro mamma che stavano andando a scuola. Provò a immaginarsi mamma, per un’istante. Scacciò immediatamente via il solo pensiero. Lei madre? Sì, coi bambini ci sapeva più o meno fare, ma non avrebbe mai voluto regalare ai suoi figli una mamma assente. E poi, per ora, le mancava una cosa essenziale: un uomo che le stesse accanto. E lei non aveva ancora trovato nessuno. Ziva si ridestò dai suoi pensieri dopo essere caduta a terra. –Mi dispiace! Mi scusi!- esclamò una voce. L’israeliana alzò la testa. L’uomo che l’aveva spinta era alto e possente. Di sicuro frequentava qualche palestra. L’aiutò a rialzarsi. –Mi scusi tanto, non volevo. Oh, le ho anche rovinato la giacca. Mi dispiace tanto..-. Ziva vide solo in quel momento l’enorme macchia di succo d’arancia sulla sua giacca. Deglutì. –Non importa. Era costata solo… Non me lo faccia pensare.-. L’uomo la fissò, imbarazzato. Poi le disse:-Senta, un mio amico ha un negozio d’abbigliamento da queste parti. Se vuole posso offrirle una nuova giacca.- -Oh, no, la prego! Oltretutto devo andare a lavorare e rischio di arrivare in ritardo.-. Ma l’uomo insistette:-Per favore. Non mi metterò il cuore in pace, altrimenti.-. Ziva sospirò. –E va bene. Ma facciamo in fretta, per favore.-. L’uomo sorrise e l’accompagnò in un bel negozio, dove Ziva scelse una giacca nuova, identica a quell’altra e lui gliela offrì. –Bene. Mi scusi ancora.- disse. Ziva vide che gli era caduto qualcosa dalle tasche. Si chinò per raccogliere e vide che erano tre fotografie ritraenti due ragazze e un bambino. –Le sono cadute queste. Sono i suoi figli?- chiese. –Grazie. Beh, i più piccoli sono i miei due figli naturali, Mitch e Alexandra, detta Alex. Hanno dieci e quindici anni. La più grande è, invece, la mia figliastra, Rachel. Ha diciassette anni ed è una bomba pronta ad esplodere. Fa tutto il contrario di quello che le dico e non mi ascolta mai.-. Ziva vide l’uomo incupirsi. Si morse il labbro. -Le va di bere qualcosa?-. Si stupì di sentire la sua voce porre quella domanda. L’uomo le sorrise e annuì. -Sì, grazie. C’è un bar qui vicino, se vuole. Non farà tardi al lavoro, però?-  domandò. –Non si preoccupi.-. I due entrarono in un bar e si sedettero a un tavolo vicino alla porta. Ordinarono lui del caffè e della torta e lei un espresso. Iniziarono a chiacchierare. –Il mio nome è Jamie Thompson. Sono un capitano della marina.- esordì lui. –Della marina? Che coincidenza! Io sono dell’NCIS. Mi chiamo Ziva David, sono di origine israeliana.-. Jamie fece una faccia sorpresa. –E cosa ci fai qui in America?- le chiese. –Diciamo che ho avuto varie.. Peripezie.- rispose lei. Ziva lo guardò. –Prima mi hai parlato di Rachel e mi hai detto che è la tua figliastra. Quindi tu sei… Oh, scusa l’indiscrezione. Sei divorziato?-. L’israeliana arrossì per l’imbarazzo. Era una domanda troppo personale. –Sono vedovo due volte.- sospirò Jamie con un filo di tristezza. –La mia prima moglie, Cindy, era la madre di Alex e Mitch. E’ morta di cancro quando Mitch aveva solo tre anni. Rachel invece è la figlia di Helen. Lei era un marine. La conobbi cinque anni fa, ma eravamo solo amici. Ci sposammo l’anno scorso e io adottai Rachel. Sai, Helen era una ragazza madre e io la amavo. Non mi sembrò strano adottare sua figlia. Peccato che a Rachel non sia mai piaciuto. E’ una ragazza piuttosto ribelle. E da quando Helen è morta la situazione non è per niente migliorata.- -Come è morta?- chiese Ziva. Jamie abbassò lo sguardo. –Incidente stradale.- rispose lapidario. Ziva gli prese la mano. –Mi dispiace.- sussurrò. Improvvisamente il suo cellulare squillò. Sobbalzò quando lesse il nome di Gibbs sullo schermo. –Io devo andare. E’ stato un piacere.- salutò. –Anche per me. Ciao.-. L’israeliana si recò di corsa al lavoro. Questa volta Gibbs l’avrebbe ammazzata. –Salve a tutti!- esclamò entrando. –Oh, guarda chi si vede McGee! La puntualissima agente speciale Ziva David! Onorati di avere la grazia della sua presenza!- la prese in giro Tony non appena la vide. –Puntualissima per andare al porto DiNozzo. Marinaio morto.-. esclamò Gibbs.
-Stephan Forrester, 43 anni, secondo capo. I testimoni dicono di aver udito alcuni spari, ma nessuno ha visto nulla.- riferì McGee. -E la morte è stata causata probabilmente dalle quattro pallottole che ha in corpo. – aggiunse il dottor Mallard. Mentre stava ascoltando il medico legale Ziva fu attirata da un luccichio vicino a dei container. Era un ciondolo d’argento, con il simbolo della Stella di David e la lettera aleph dell’alfabeto ebraico. Sbiancò. –Ninja, tutto bene?- chiese DiNozzo. Ziva deglutii. –Io… Ho trovato questo. E’ meglio analizzarlo.- rispose. –Ottimo lavoro. Bene. Ragazzi, si torna al quartier generale. E vi voglio vedere tutti al lavoro, chiaro?- ordinò Gibbs mentre saliva in macchina. Ziva aprì la portiera, ma non entrò subito nell’auto. –Ehi, ti vorresti sbrigare? Anche perché voglio capire il tuo ritardo di stamattina!- disse Tony. L’israeliana abbozzò un sorriso e salì in macchina. “Perché Aaron? Perché?” pensò tra sé e sé.

Angolo dell' Autrice
Hello! Spero vivamente che questo primo capitolo vi sia piaciuto! Aggiornerò (se riesco) una volta alla settimana, il sabato! Chiedo a chi la legge di recensire, così vedo anche se ho da migliorare qualcosa o sono opportuni dei cambiamenti! 
Bene, ci vediamo sabato prossimo!

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
-Allora McGee, notizie su Forrester?- chiese Gibbs. –Sì, capo. La vittima, Stephan Forrester, aveva 43 anni ed era originario di Coneway, in Arkansas. Non aveva parenti e viveva da solo. La cosa strana è che non doveva essere al porto quando è stato ucciso.-. Gibbs assunse un’aria sorpresa. –E dove doveva essere, scusa?- domandò. –Aveva il turno di guardia su una portaerei, la USS Enterprise. L’ammiraglio si chiama Steve Leicester.- rispose McGee. –Ottimo lavoro.- si congratulò Gibbs. –Fatelo chiamare.- ordinò. –Ah, capo, Abby ha trovato qualcosa. La sta aspettando di sotto.-. Gibbs annuì e si recò immediatamente dalla specialista forense. Entrato nel laboratorio, si tappò immediatamente le orecchie: la musica era altissima, tanto da far rimbombare le pareti. –Abby!- la chiamò, ma lei non sentì. –Abby!- urlò più forte, senza ottenere ancora nessuna risposta. Vide il telecomando dello stereo, lo prese e spense l’apparecchio. –Chi è quel brutto bastardo che ha spent… Oh, ciao Gibbs.- disse con una punta di imbarazzo. –Ciao Abby. Ecco il tuo caffè. Allora, cos’hai da dirmi?- chiese Jethro. –Oh, sì. Beh, Ducky mi ha portato i proiettili che c’erano nel corpo di Forrester. Come potrà confermare anche lui, c’è qualcosa che non quadra.- -In che senso?- chiese Gibbs, confuso. –Beh, le quattro pallottole provengono da un fucile M4. Ma non ha senso, dato che le ferite mortali sono state probabilmente inflitte da una Beretta M9.- rispose la forense. –Quindi vorresti dirmi che l’assassino ha sparato con una pistola e successivamente ha sostituito i proiettili con quelli di un M4?- -Esatto!- affermò Abby. –Ma non ha alcun senso!- esclamò l’uomo. –Ah, Gibbs, ho analizzato anche il ciondolo che mi ha dato Ziva.- comunicò la forense.  –E hai trovato qualcosa?- chiese Jethro. –Ci sono solo le impronte di Forrester, ma non era suo. Penso che appartenga a qualcuno del Mossad, Gibbs. O comunque a qualche israeliano. La lettera aleph potrebbe indicare l’iniziale di un nome.- spiegò. –Ottimo lavoro Abby. Se scopri qualcos’altro informami subito.- la ringraziò Gibbs. Poi le diede un baciò sulla fronte e si recò da Ducky.
–Oh, Jethro. Accomodati pure.- disse il medico legale. –Ducky, perché mi hai fatto andare prima da Abby?- gli chiese Gibbs. –Intuisco che ti abbia già detto dei proiettili. Vieni, voglio farti vedere un’altra cosa.-. I due uomini si avvicinarono al corpo di Forrester già abilmente sezionato dal dottor Mallard. –Signor Palmer, può andare per favore a prendere un po’ d’acqua?- domandò Ducky. –Ma dottor Mallard…- protestò il giovane. –Per favore ragazzo.- insistette il medico legale. Palmer cedette e andò a prendere l’acqua, lasciando soli i due uomini. –Che ti prende Ducky?- chiese Gibbs. –Guarda qua, sul polso.-. Jethro prese il polso e notò una piccola incisione, invisibile a prima vista. –Sembrerebbe una… Stella?.-. Ducky annuì. –E’ un simbolo ebraico, per la precisione è la Stella di David. Eppure è solo incisa, non tatuata. Questa storia non mi piace per niente.- -Neanche a me Ducky. Neanche a me.-. Gibbs alzò gli occhi al cielo. –Eppure continuo a non capire come mai tu abbia allontanato Palmer, Ducky.-. Il dottor Mallard si guardò attorno. Poi sussurrò:-Ho la vaga impressione che il Mossad c’entri qualcosa. E quando c’entra il Mossad vuol dire che- -Che c’è di mezzo Eli David.- concluse Gibbs. –Esatto. E Ziva ha già sofferto abbastanza. Palmer è un bravo ragazzo, ma non sa certe cose. E forse è meglio che non le sappia.-. Gibbs annuì. –Beh, comunque penso che questo omicidio sia assolutamente senza senso. Non capisco proprio perché uno debba sostituire i proiettili.- -Beh, questo sta a te scoprirlo. Io sono solo un medico legale.-. A Gibbs scappò un sorriso. Salutò Ducky e salì al piano superiore: Leicester era arrivato e Tony e Ziva lo stavano interrogando.
-Allora, cosa vi ha detto Leicester?- chiese jethro a Tony. –Beh, solo che Forrester non aveva praticamente amici, l’unico che frequentava era proprio l’ammiraglio. E anche se aveva una casa a Coneway non ci andava praticamente mai. Diciamo che ormai abitava sull’USS Enterprise.- rispose l’agente. –E sui nemici che mi dite?- -Non ne aveva. Era un tipo introverso, molto chiuso. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori ed era cresciuto in un istituto.- rispose Ziva. L’israeliana guardò l’ora e, vedendo che erano le sette disse:-Ora devo andare, ho un lavoro da sbrigare.-. Tony fece una faccia perplessa. –Di che genere di lavoro si tratta?- chiese. –Eh, sapessi…- rispose enigmatica lei, mettendosi la giacca. –Ehi, ti ricordo che avevamo appuntamento tu, io, Abby e McGee in pizzeria!- esclamò DiNozzo. Lei lo guardò, con i suoi occhioni scuri. Se n’era completamente dimenticata. –Sarà per un’altra volta. Mi dispiace.-. Fece per andarsene, ma Tony le prese il polso. –Ho la vaga sensazione che c’entri con il ritardo di stamattina.- rifletté. Ziva sospirò. Infine, cedette. –Ok, va bene! Stamattina ho conosciuto un uomo, si chiama Jamie Thompson ed è un capitano di marina. Abbiamo chiacchierato un po’, niente di che. Lui ha una fidanzata, Jenna Grace e gli serviva qualcuno che tenesse d’occhio i suoi figli.-. Tony scoppiò a ridere. –Ehi, che c’è?- protestò Ziva. –Tu… Tu babysitter! Ahahah! Muoio!- disse lui fra le risa. -Sì io babysitter. E allora?- fece lei. –E se non ti obbediscono che fai? Li torturi con un coltello?-. Ziva lo ignorò e uscì dal quartiere generale. Prese un taxi e andò dritta a casa di Jamie. Suonò il campanello e attese. Un bambino gli aprì. –Ehm… Ciao, tu devi essere Mitch. Io sono Ziva, un amica di papà. Posso entrare?-. Il bimbo la squadrò. Aveva dei riccioloni biondi che gli contornavano il viso, su cui spiccavano due enormi occhi azzurri. –Alex, puoi venire? C’è una che vuole papà.-. Subito apparve una ragazzina magra, di media statura. I capelli erano neri e anche gli occhi erano scuri, ma il viso era identico a quello di Mitch. Era vestita totalmente di nero, perfino le pantofole erano nere. –Ehm, ciao. Posso entrare?- chiese Ziva. –Sì, entra pure.- rispose la ragazza. –Vostro padre non c’è?- domandò l’israeliana. –Te lo chiamo subito. Tu devi essere la babysitter. Sai, papà è fissato con questa storia della babysitter. Non pensa che io e Rachel siamo affidabili. Beh, su Rachel ha anche ragione, ma su di me…-. Ziva si guardò intorno. La casa era molto grande. L’ampio salotto presentava al suo interno tre divani, un pianoforte, una tv e una vasta libreria. Delle scale permettevano l’accesso al secondo piano. –Ziva! Mitch è venuto a chiamarmi! Accomodati pure e scusa se mi sono rivolto a te, ma non sapevo chi chiamare!- esclamò Jamie. –Oh, beh, non ti preoccupare.- disse lei. –No, mi fai un favore, invece! Come sto?- chiese scavalcando agilmente la ringhiera delle scale. Ziva lo osservò: indossava una camicia bianca, coperta da una giacca nera. Al collo, una cravatta rossa. Le scarpe erano nere. –Wow, sei elegantissimo!- esclamò. –Grazie-. Alexandra fece una faccia schifata, mentre Mitch applaudì. –Bene, io vado. Ragazzi, fate i bravi. Ziva rimarrà con voi. Io torno presto.-. Jamie baciò in fronte suo figlio, mentre Alex si allontanò. –Dai papà, vai!- lo spronò lei. Il marinaio aprì la porta e se ne andò. –Bene. Prima domanda: vostro padre mi ha parlato di tre figli. Dov’è Rachel?- chiese Ziva. –Oh, beh, lei non c’è mai la sera. Va sempre in giro con i suoi amici. Tornerà verso le tre, come al solito.- rispose Alex. –Ah. Ottimo. Quindi lei non torna prima di tuo papà. Giusto?- domandò. –Già.- disse la ragazzina. L’israeliana sorrise, nervosa. –Bene. Passiamo alla seconda domanda: che cosa volete fare?- -Cartoni!- rispose Mitch. Dalla faccia che fece la sorella Ziva capì che però lei non condivideva assolutamente la stessa idea. –Guarda pure i cartoni con mio fratello. Io me ne vado in camera.-. L’israeliana la lasciò fare. –Allora Mitch, che cosa vuoi guardare di bello?- -Hercules! Voglio vedere Hercules!-. Ziva prese il dvd e fece partire il cartone. Quando finì Mitch dormiva beatamente sul divano e l’israeliana lo portò in camera  sua. Poi si recò da Alexandra. –Alex, è ora di andare a letto.- le disse. –Vado subito, tu entra pure, non ti preoccupare.-. Ziva entrò  nella stanza della ragazzina. Era una camera strana: era indubbiamente grande, eppure sembrava piccola a causa degli innumerevoli poster che tappezzavano le pareti. Ziva li osservò meglio: erano tutti immagini di band, probabilmente di stampo metal. –Che c’è? Non ti piace camera mia?- chiese Alex con voce delusa. –No, no. E’ che è molto… Particolare.- rispose Ziva. –Capisco cosa intendi. E’ che io sono così, mi piacciono il metal e il metalcore. Non è colpa mia.- sembrò quasi giustificarsi la quindicenne.  –Già. Dai vai a letto. Buona notte.- -Buona notte.-. L’israeliana uscì dalla camera e si buttò sul divano. Il cellulare vibrò. Lo prese. Le era arrivato un messaggio da Tony. Lo lesse. “Ciao Zee, scusa per prima. Sono sicuro che sei un’ottima babysitter. A domani.”. Ziva sorrise. Non se l’aspettava, ma ci sperava. Ora doveva solo aspettare che Jamie tornasse a casa e poi sarebbe andata a dormire. “Babysitter Ziva David.” Pensò tra sé. Sorrise. “Non suona male.”.

Angolo dell'Autrice
Sì, è vero, vi avevo detto che avrei pubblicato sabato. Però ora vi spiego: mi è venuta l'ispirazione subito e in due giorni ho scritto il capitolo. Poi ho avuto quattro (QUATTRO!) interrogazioni di fila e mi sono andate tutte bene! Quindi, per festeggiare, ho pubblicato oggi!
Spero vi sia piaciuto! Ringrazio chiunque abbia inserito la storia tra le seguite e poi le persone che hanno recensito lo scorso capitoolo:
-Scrittrice in canna
-CheesecakeTIVAfan
-Anny_97
-AleTiva95
Allora, o a sabato prossimo o a mercoledì prossimo! In qualunque caso, aspettatevi un capitolo la prossima settimana :)
Bye Bye!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
-Ciao Tony!- salutò Ziva entrando nel quartier generale dell’NCIS. –Oh, ciao Ziva. Allora, com’è andata ieri?- chiese l’agente. –Tutto bene. C’erano solo due figli su tre, Alexandra e Mitch. Sono una l’opposto dell’altro. Alex è una metallara tostissima, mentre Mitch è un bambino adorabile. Ho guardato “Hercules” con lui.- -“Hercules”? Intendi la serie televisiva con Kevin Sorbo?- chiese Tony, perplesso. –Ma no, il cartone, sciocco!- rispose l’israeliana. –Io non sonno sciocco, sei tu che non hai specificato bene di che “Hercules” si trattasse.- si giustificò lui. –Certo Tony, perché credevo avessi il cervello in grado di capire a cosa mi stessi riferendo.- lo prese in giro Ziva. –Ma figurati se il cervello di Tony è in grado!- esclamò McGee dalla scrivania, intrufolandosi nella discussione.  –Ehi, McPivello, non mi sembra di averti invitato a parlare!-. Timothy fece una smorfia e Tony si rivoltò verso Ziva. –Hai usato i coltelli?- le chiese. L’israeliana lo ignorò e andò a sedersi alla sua scrivania, lasciandolo in piedi da solo. –DiNozzo, hai trovato quello che ti avevo chiesto di cercare?-. Tony si girò. Gibbs lo fissava, impassibile. L’agente di origine italiana si schiarì la voce, poi rispose:-Oh, capo! Certo che ho cercato. Purtroppo non ho trovato molto.- -Uhm… Vediamo quel poco che hai trovato.-. Tony deglutì. Poi accese il proiettore e mostrò delle immagini di una vecchia abitazione. –Cos’è? La casa dove andrai ad abitare?- chiese Ziva. –Spiritosa. No, questo è tutto quello che è rimasto dell’istituto dove Forrester è cresciuto. Ora è un casolare disabitato e malmesso da dieci anni.-. Gibbs era pensieroso. –Per caso sai chi dirigeva la struttura quando c’era Forrester?- domandò. –L’efficiente Tony DiNozzo ha pensato anche a questo. Il direttore dell’istituto è un certo Ian McCallister, ma dubito che potremmo chiedergli qualcosa: è in coma da circa un anno a causa di un incidente. In compenso ho trovato alcuni degli operatori dell’istituto. In particolare, sono riuscito a risalire una certa Nadia Kovalev, la responsabile del gruppo di ragazzi in cui era inserito anche Forrester. Nonostante il cognome è americana e all’epoca aveva poco più di vent’anni. Ne avrà una cinquantina adesso. Ecco l’indirizzo!-. Tony finì di parlare, sorridendo soddisfatto. Ziva e McGee si guardarono, trattenendosi dal ridere. –Bel  lavoro DiNozzo!- si congratulò Gibbs tirandogli uno scappellotto. –McGee, Tony, andate a parlare con questa Kovalev. E in fretta.- ordinò. Ziva fece una faccia stupita. –Ma Gibbs, e io?- -Tu vieni con me!- rispose l’agente più anziano.
McGee e Tony bussarono alla porta. Una donna sui cinquant’anni aprì la porta. Era una donna ben tenuta, dai capelli scuri, probabilmente tinti, lunghi fino alle spalle. –Buongiorno. Avete bisogno di qualcosa?- chiese gentilmente ai due agenti. –Lei è la signora Nadia Kovalev?-. La donna annuì. –Beh, io sono l’agente speciale Anthony DiNozzo e lui e il mio collega, Timothy McGee. Siamo dell’NCIS. Possiamo entrare?- -Certo. Accomodatevi pure.-. La signora Kovalev li fece sedere sul divano. –Volete qualcosa da bere? Ho del succo di frutta o del  te.- -No grazie. Invece, sa dirci qualcosa in merito a quest’uomo?- chiese McGee, mostrandole la fotografia. –certo! E’ Stephan! E’ da un po’ che non lo sento. Si è messo nei guai?- -E’ morto. L’hanno ucciso la notte scorsa.- annunciò McGee. La signora Kovalev trattenne le lacrime. –Se se la sente, vorremmo farle qualche domanda.-. La donna sospirò, poi disse:-Sì, va bene. Cosa volete sapere?- -Un po’ di lui, la sua infanzia.- rispose Tony. –Beh, quando arrivai all’istituto lui aveva 13 anni e io 24. Era un ragazzino chiuso e molto introverso. Tuttavia si legò molto a me. Fin da allora voleva entrare in marina. Me lo ricordo come fosse ieri il giorno in cui riuscì ad essere ammesso. Sapete, mi veniva a trovare ogni volta che poteva.- -So che non è la cosa migliore da chiedere in questo momento ma… Lei sa se era entrato i giri poco raccomandabili?- chiese Tony. –No, non penso. Stephan era un brav’uomo.-. Tony e McGee videro la donna piangere, così decisero di  andarsene. –Grazie  mille e scusi il disturbo. Se le viene in mente qualcosa ci chiami.- disse McGee. I due agenti entrarono in macchina. –Cosa ne pensi Tony?- -Non lo so. Spero che riusciamo a scoprire qualcosa o non sono sicuro che risolveremo questo caso.-.
-Gibbs, perché mi hai portato da Abby?- chiese Ziva. –Devo farti vedere una cosa.- rispose Jethro. I due agenti entrarono nel laboratorio, ma non trovarono Abby. –Abby! Abby! Dove sei?- la chiamarono, senza ottenere alcuna risposta. –Vado a chiamare qualcuno.- esclamò Ziva, quando Abby entrò nel laboratorio con un’enorme caffè. –Si può sapere dove sei stata?- chiese Gibbs. –Stavo facendo un esperimento: stavo provando a separare il caffè dall’acqua.-. Jethro alzò gli occhi al cielo, poi disse:-Abby, fai vedere a Ziva la foto del polso di Forrester.-. La forense si mise subito al lavoro e caricò sul computer l’incisione che avevano trovato sull’arto della vittima. A Ziva le si strinse il cuore in gola. Conosceva quel simbolo, fin troppo bene. –Che volete sapere?- chiese. –Se sai qualcosa a proposito di questa pratica di incidere i polsi. Come puoi bene vedere non è un tatuaggio.-. L’israeliana sospirò. –Sì, ne so qualcosa. Alcuni gruppi interni al Mossad lo facevano. Era un simbolo di appartenenza, ma era completamente diverso da un tatuaggio. Quest’ultimo si nota subito, si vede ed è ingombrante. Un’incisione, invece, è piccola e a prima vista è praticamente invisibile. Conosco alcune persone che si sono incise il polso. E’ facile farsela: prendi un coltello e ti incidi. Diventa una cicatrice col passare del tempo. Ma non capisco come faccia Forrester ad avere quell’incisione. Lui non era del Mossad.-. Ziva fece per andarsene, quando Gibbs la bloccò. –Tutto bene?- le chiese. L’israeliana si bloccò. Si voltò lentamente, abbozzando un mezzo sorriso. –Non lo so. E’ che… A volte vorrei cancellare il passato. Tutto qua.- rispose. Gibbs annuì, capendo perfettamente di cosa stesse parlando. –Andiamo di sopra, sono arrivati anche gli altri.- esclamò Gibbs. Quando si trovò Tony e McGee di fronte chiese loro cosa avessero scoperto ed essi riferirono ciò che la signora Kovalev aveva raccontato. –Mi dispiace capo, non abbiamo scoperto praticamente nulla.- -Fa niente, intanto abbiamo appreso pur sempre qualcosa di nuovo.-. Ziva, nel frattempo, si stava guardando intorno. –non dirmi che devi di nuovo andare via, piccola Ninja!- esclamò Tony. –Io… Devo sbrigare una piccola commissione. Torno subito.- disse uscendo di corsa. Salì in macchina e si diresse verso una scuola. Rimase ferma ad aspettare, fino a quando Alex e Mitch salirono in auto. –Perché ci vieni a prendere tu oggi?- chiese il bambino. –Vostro papà è andato a salutare Jenna che stamattina è partita per andare a sistemare degli affari e poi è andato a lavorare. Rachel? Dov’è?-. Alex si morse il labbro e rispose:-Oggi viene a casa più tardi.-. Ziva ci credette poco, tuttavia accese il motore. –Ziva, possiamo fermarci in quel negozio di dischi vicino al parco? Devo vedere se mi è arrivato un cd!-. L’israeliana sorrise. –Certo.- rispose. Accostò con la macchina e entrarono nel negozio. –Buongiorno, avevo ordinato una raccolta degli Iron Maiden. E’ arrivata?- chiese la ragazzina al negoziante. –Dunque, tu sei Alexandra Thompson, giusto? Sì, è arrivata! Sono dieci dollari, prezzo di favore!- rispose l’uomo. Ziva fece per prendere il portafogli, ma Alex estrasse una banconota dalla tasca dei pantaloni e pagò. Quando uscirono le spiegò:-I dischi voglio pagarmeli da sola.- -Come mai?- chiese l’israeliana. –Perché ci tengo ai miei dischi. E quando tieni a una casa vuoi che sia il più possibile tua. Così, pagandoli li sento più miei.- rispose. –E’ un pensiero molto profondo.- osservò Ziva. –Me l’ha insegnato mia madre. Lei mi diceva sempre di non far passare le cose, ma di farle mie, una ad una. Viverle una ad una.- -Era una persona in gamba.- disse l’agente dell’NCIS. –Mi manca tantissimo.- confessò. Ziva l’abbracciò, senza dire nulla. Rimasero così per molto tempo, poi arrivò l’ora di tornare a casa. Una volta arrivati, però, notarono subito che c’era qualcosa che non andava: la porta era accostata e un silenzio irreale dominava l’abitazione. –Papà! Siamo tornati!- esclamò Alex. La mano di Ziva andò istintivamente alla pistola. L’agente si diresse verso la camera da letto di Jamie. Rimase pietrificata da quello che trovò: il corpo dell’uomo era a terra, in una pozza di sangue. Ziva udì dei passi. Si voltò. Alexandra stava arrivando. –Ziva, hai trovato qualcosa?-. Le parole le morirono in bocca. Corse verso il corpo del padre, urlando disperata. –Papà! Papà! Ti prego svegliati! Ti prego! Parla, papà! Papà!-. Ziva si avventò su di lei e la trascinò via, mentre la ragazzina continuava a urlare. L’israeliana le tirò degli schiaffetti sul viso, per farla calmare. –Alex! Alex! Esci di casa con Mitch! Prendilo e andate in giardino! Ti prego!- ordinò l’agente dell’NCIS. –Alex, esci!- disse di nuovo, vedendo che la ragazzina non si era minimamente mossa. Finalmente se ne andò, dopo aver preso il fratellino, in giardino. Ziva chiamò immediatamente Gibbs, il quale le disse che sarebbero arrivati in dieci minuti. Rimase così da sola, con il corpo di Jamie, in lacrime. -Addio Jamie.- sussurrò. Poi alzò lo sguardo. -Alav hašalòm*-.

*Riposi in pace

Angolo dell'Autrice
Ahah! Rido perché aggiorno sempre prima di quando dò l'appuntamento! Ma stavolta ho una valida scusa: nè mercoledì, nè sabato ho la possibilità di aggiornare. Quindi... Et voilà! Ecco a voi il terzo capitolo. Spero che vi piaccia (a Scrittriceincanna scommetto che non dispiacerà molto). A me è piaciuto scriverlo, anche se mi ha messo una certa tristezza (si, non ha molto senso, dato che scrivevo io, vabbeh!). Quindi, ricapitolando, abbiamo il secondo omicidio, non abbiamo ancora conosciuto Rachel e potrebbe essere implicato il Mossad... 
Ringrazio chiunque legga, e recensisca:
-AleTiva95
-Scrittriceincanna
-cheesecakeTIVAfan
-Anny_97

GRAZIE DAVVERO!

Bene, alla settimana prossima! Non vi dico il giorno stavolta!
Ciao ciao!


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
-Quattro pallottole, probabilmente calibro 9. E’ morto circa venti minuti fa, anche se con l’autopsia potrò essere più preciso.- affermò Ducky. Gibbs sospirò mentre guardava Ziva. Non se lo meritava. Non dopo tutto quello che in passato aveva dovuto sopportare. Si avvicinò all’israeliana e le chiese come stava. –Sto come una persona a cui hanno ucciso un amico. Non so cosa pensare.- rispose. Gibbs si voltò verso Alexandra e Mitch. –Loro come stanno?- domandò. –Alex è distrutta. Mitch non ha detto niente, per tutto il tempo. E’ rimasto in silenzio e basta, a fissare il vuoto.-. Jethro indurì il volto. Chiunque avesse osato privare quei ragazzini del loro padre poteva essere considerato solo una bestia. –E’ ora di andare al quartier generale. Da lì potremo decidere il da farsi.- esclamò. Ziva annuì e si incamminò verso la macchina. Era preoccupata: non aveva ancora appreso nessuna notizia di Rachel. Alex aveva provato a chiamarla e a mandarle un messaggio, ma non aveva risposto. La ragazzina salì nell’auto, seguita dal fratellino. Fu  proprio in quel momento che i paramedici dell’ambulanza portarono fuori il corpo di Jamie. Mitch, che fino a quel momento era stato come paralizzato, scattò di colpo, come una molla e iniziò a correre verso il corpo del padre. –Papà! Papà!-. Ziva scese tempestivamente e iniziò a rincorrerlo. –Mitch, No!- urlò. Fu Tony a bloccare il bambino e a riconsegnarlo all’israeliana. –Io volevo solo andare da papà!- si giustificò il piccolo, piangendo. –Lo so Mitch. Lo so.- sussurrò Ziva. –Zee, forse è il caso che guidi io.- suggerì Tony. L’israeliana annuì. Salirono in macchina e partirono, abbandonando quel luogo ormai maledetto dal sangue di un padre ucciso. Quando arrivarono si apprestarono subito a interrogare Ziva. Gibbs decise di fare tutto in maniera formale e si fece accompagnare da Tony. –Allora Ziva, mi puoi spiegare per bene che rapporti c’erano tra te e Jamie Thompson?- chiese Jethro. –Eravamo dei semplici amici. L’avevo conosciuto due giorni fa. Lui mi è venuto addosso con un caffè, allora mi ha offerto una giacca nuova. Poi abbiamo fatto colazione insieme, lui mi ha raccontato di sé e il pomeriggio mi ha chiesto se ero disponibile a tenere i figli la sera. Tutto qui.- rispose l’israeliana. –Qui vedo che è vedovo due volte e che ha tre figli. Ma ne abbiamo portati qui solo due.- aggiunse Tony. Ziva alzò gli occhi al cielo. –Sì, si tratta di Rachel.  Non l’ho mai incontrata. E’ la figliastra di Jamie. Non so dove si sia cacciata. E a dire il vero sono anche molto preoccupata. Non risponde al cellulare e ho paura le sia successo qualcosa.-. Tony le prese la mano per calmarla. –Ehi, tranquilla. Vedrai che riusciremo a sistemare tutto.- disse. –Ziva, tu sai per caso se avesse mai avuto contatti con Forrester?- chiese Gibbs. –Volete dire che Forrester e Jamie potrebbero essere stati uccisi dalla stessa persona?- domandò l’israeliana, ormai nel panico. –Sì. Il sospetto è molto forte.-. Ziva si morse il labbro. Poi guardò Gibbs negli occhi, come a voler chiedere aiuto. –Io non lo so. Eppure non credo. Da quel che so non erano nemmeno sulla stessa nave.- rispose. –Va bene. Per ora è tutto.- disse Gibbs alzandosi. L’israeliana li fermò mentre se ne stavano andando. –Posso partecipare alle indagini? Vi prego!-. Tony si voltò verso il suo capo, in attesa di una risposta. –Sì, va bene. Già che ci sei, porta i ragazzini a casa tua. Dovranno pur dormire da qualche parte, no?-. Ziva sorrise, sollevata. Voleva assolutamente riuscire a trovare l’assassino di Jamie. Andò da Alexandra e Mitch. Trovò La ragazzina con gli occhi gonfi: doveva aver smesso di piangere da poco. Il bambino era, invece, seduto per terra, intento a disegnare qualcosa. –Gli ho dato dei fogli e dei pennarelli- spiegò McGee. –Hai fatto bene. Grazie.- affermò l’israeliana, abbracciandolo. –Ragazzi, venite. Vi porto a casa mia.- -E Rachel?- domandò Alex. –La troveremo. Non ti preoccupare. Ma ora è meglio che andiamo.
La casa di Ziva era totalmente diversa da quella della famiglia Thompson. Oltre a essere molto più piccola era anche maggiormente spartana, mostrando anche come, in realtà, l’israeliana non avesse nella sua abitazione il fulcro della sua vita. L’agente dell’NCIS mostrò ai due ragazzini la camera e il bagno e poi ordinò delle pizze per la cena. Si misero a tavola per mangiare. Ziva stava per iniziare una preghiera in ebraico, quando Alex fece il Segno della Croce. Le due si guardarono, con una punta di imbarazzo. –Oh, ehm… E se ognuno prega per sé?- domandò la ragazzina. Ziva annuì, accennando un sorriso. Pregarono, ognuno secondo le sue tradizioni e si misero a mangiare, senza parlare. Il silenzio fu interrotto da un cellulare che squillava. –E’ il mio.- affermò Alexandra. Ma quando lo estrasse dalla tasca perse un battito. –Alex, chi è?- chiese Ziva, preoccupata. –E’… E’ Rachel!- -Rispondi, presto!- la incitò l’agente. –Rachel? Da dove chiami?- -Non importa da dove chiamo! Si può sapere voi dove diamine siete?- chiese la voce dall’altra parte del telefono. –Siamo a casa di un’amica di papà, quella che è venuta da noi l’altra sera.- rispose Alex, tremante. –Da una sbirra? Ma siete cretini?- la sgridò Rachel. Nel frattempo Ziva aveva incaricato McGee di rintracciare la telefonata. –Tim, sei riuscito?- chiese all’amico. –Sì, è una cabina telefonica a pochi metri da casa tua.- le rispose. –Ottimo. Ora vado a prenderla.- affermò l’israeliana, chiudendo la telefonata. Vedendo che Alex era ancora al cellulare con la sorellastra la esortò ad allungare la chiamata. La ragazzina capì e annuì. Ziva uscì dalla casa, con la pistola in mano. Camminando facendo attenzione a non provocare alcun rumore si avvicinò all’unica cabina telefonica dell’isolato. E lì trovò una ragazza che telefonava. Mise la pistola nella fondina, contò mentalmente fino a tre e poi uscì allo scoperto. –Rachel, Non scappare! Vieni qua!- esclamò. Ma la ragazza non la ascoltò e iniziò a correre. ”Maledizione!” imprecò a mente Ziva, lanciandosi all’inseguimento. –Rachel, fermati! Per favore!- gridò. –Col cavolo! Prendimi se riesci, sbirra!- rispose la ragazza, con arroganza. Ziva dovette ammetterlo: Rachel era veloce, perfino per una ex agente del Mossad addestrata. La stava letteralmente seminando. Decise di tirare fuori la pistola, per spaventarla. –Rachel, se non  ti fermi sparo! Mi hai sentita?-. La ragazzina si voltò e le rispose:-Tanto lo so che non lo faresti mai! Non sono un’idiota!-. Ziva scosse la testa, prese la mira e sparò, senza colpirla. Solo in quel momento Rachel arrestò la sua corsa. L’agente la raggiunse e le prese per un braccio. –Finalmente.- sospirò. –Tu sei pazza! Tu sei una sbirra pazza!- le gridò addosso Rachel. –Può darsi. Ma intanto ti ho presa. E, te l’assicuro, ho sparato per molto meno. Ora muoviamoci che ti porto a casa.-. Rachel le sputò in faccia. Ziva allentò la presa del braccio e la ragazza ne approfittò per provare a scappare. –Ti ho avvertita, ho sparato per molto meno. E potrei sempre dire che hai provato a intralciare le indagini.- disse fredda l’israeliana. Rachel si fermò e si portò la mano destra sul fianco. Cadde per terra, sulle ginocchia. –Ehi, tutto a posto?- le chiese Ziva. La ragazzina la guardò negli occhi, continuando a tenere la mano sul fianco. L’israeliana gliela spostò e sobbalzò. –Tu sei ferita.- constatò. –Ho fatto a botte ieri sera, va bene? E non sono tornata a casa! Una mia amica mi ha medicata, ma si vede che la ferita si è riaperta mentre correvo.- ansimò Rachel, guardandola in faccia. Fu allora che Ziva notò la sua carnagione, più scura di quella dei suoi fratellastri e gli occhi azzurri, che contrastavano fortemente con il colore della sua pelle. –Ce la fai ad alzarti?- le chiese. La ragazza annuì e si diressero insieme a casa. Quando entrarono Mitch corse incontro alla sorellastra, abbracciandola. –Rachel!- esclamò. Alex rimase invece seduta, con uno sguardo duro, quasi deluso. –Voi due andate a dormire. Io e vostra sorella dobbiamo parlare. Mitch e Alexandra obbedirono, diligenti. Ziva fece stendere Rachel sul divano e andò a prendere il necessario per medicarle la ferita. –E’ meglio che suggerisci alla tua amica di non andare a fare l’infermiera.- disse. –Ecco fatto. Allora, penso che noi due dovremmo farci una bella chiacchierata.- osservò l’israeliana. –Io penso proprio di no, invece!- rispose Rachel. –Mettiamola così. Se non la fai con me la farai con il mio capo. E non so cosa sia peggio.- ribatté Ziva. La ragazza sbuffò. –E va bene. Che cosa vuoi sapere?- -Perché sei scappata?- le chiese. –Perché sono scappata? Beh, diciamo che odio gli sbirri!- rispose Rachel. –Capisco.- -No tu non capisci niente! Così come non capiva Jamie! Anzi, sai che ti dico? Ora che è morto avrò un rompiscatole tra i piedi in meno!- -Sei cattiva!-. Ziva e Rachel si voltarono: Mitch era sulla soglia della porta che le stava fissando, con gli occhi pieni di lacrime. L’israeliana lanciò un’occhiataccia a Rachel e andò incontro al bambino. Lo prese per la mano e lo condusse in camera. –Mitch, dormi.- gli disse rimboccandogli le coperte. –Perché è così cattiva con papà?- chiese il piccolo. –E’ solo stanca. Tranquillo, dormi.-. Gli baciò la fronte e lo accarezzò, fino a quando Mitch non si addormentò. Nell’altro letto il corpicino di Alex era continuamente scosso da tremiti. Il cuscino era bagnato, segno che aveva pianto ancora. Le accarezzò la testa e scese in salotto. Rachel le lanciò uno sguardo di disgusto. –Il discorso lo continuiamo domani. Dormirai in camera mia. Vedi di non fare sciocchezze o ti assicuro che la pagherai molto cara, più di quanto tu possa immaginare.- disse Ziva. Rachel andò in camera dell’israeliana e si chiuse dentro sbattendo la porta. Ziva si buttò sul divano. Prese una foto dal mobile, ritraente lei e un ragazzo. Accarezzò la foto. “Dimmi che tu non c’entri. Ti prego!” supplicò. Poi scivolò in un sonno profondo, distrutta per la pesante giornata. 

Angolo dell'Autrice

Eccomi qua, con un nuovo capitolo! Finalmente conosciamo Rachel. Beh, che dire... A primo impatto come vi sembra il nuovo personaggio? Premetto che avrà un ruolo importante all'inerno della fan fiction e che a me intriga molto. E' una ragazza forte, forse troppo impertinente, ma credo che mi somigli un po'.
Non vi preoccupate, le scene drammatiche strappalacrime sono praticamente finite, dal prossimo capitolo cercherò di fare sul serio!
Un ringraziamento ad AleTiva95 e a Anny_97 che hanno recensito lo scorso capitolo.
Un ringraziamento anche a coloro che leggono e basta. Mi piacerebbe comunque sapere la vostra opinione :)
Bien! Al prossimo capitolo! Hasta la vista :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
Gibbs era esausto. Era da quasi due ore che stava provando a interrogare Rachel. Ma la ragazzina non solo non rispondeva alle domande, ma lo prendeva pure in giro, facendo la strafottente. –Sono stufo, Rachel! Qua va a finire molto male! Quindi, per l’ennesima volta, vorresti spiegare per bene che cosa hai fatto ieri pomeriggio? Abbiamo chiesto alla tua amica che ti ha ospitato la notte e ci ha detto che te la sei svignata quella mattina!-. Rachel accennò un sorriso canzonatorio. Gibbs non ci vide più. Si alzò di scatto e rovesciò il tavolo per terra dalla rabbia. La ragazza fece appena in tempo a scansarlo. –Allora, vuoi rispondere?- sbraitò Jethro. –Capo… Vance vorrebbe che lei uscisse un attimo.- -Arrivo McGee.- rispose controvoglia il caposquadra. –Non finisce qui, sia chiaro.- sussurrò alla ragazza mentre usciva dalla sala interrogatori. Si ritrovò davanti Vance, decisamente alterato. –Che c’è Lion?- gli chiese. –Che c’è? Che c’è? Mi stai prendendo in giro? Lo sai che non puoi trattare così gli interrogati, soprattutto se minorenni. Jethro, o ti calmi o tolgo il caso alla squadra.-. Gibbs annuì e si diresse nuovamente dentro la sala. Rachel era ancora seduta, come se nulla fosse, schiacciata contro la parete. Jethro rialzò il tavolo e le ordinò di avvicinarsi, senza essere, ovviamente, ascoltato. –Riprendiamo dall’inizio. Allora, due notti fa sei andata in discoteca, sei stata coinvolta in una rissa e in seguito sei andata dalla tua amica che ti ha medicata. La mattina, poi, ti sei svegliata e te ne sei andata.- -Sì, bravo, ora che ho visto che conosci la mia giornata tipo posso andarmene fuori?-  rispose Rachel,  strafottente. –Non prima di avermi detto cosa hai fatto dalla mattina alla sera di ieri!- disse Gibbs. –Non ho niente da dire!-. Jethro era nuovamente arrivato al limite. Decise di giocare al suo stesso gioco. –Vedi, io so che tra te e Jamie non c’erano buoni rapporti. Anzi, mi hanno raccontato che diverse volte sono volate parole grosse.-. Rachel capì immediatamente dove l’agente dell’NCIS stava andando a parare. –Lei non sa proprio un bel niente.- sibilò. –Beh, però posso fare ipotesi su come Jamie sia stato ucciso. Anzi, ora ti racconto una bella storia. C’era una volta una ragazza che odiava il suo patrigno. Un giorno tornò a casa dopo essere stata fuori tutta la notte e tutta la mattina. Il patrigno la sgridò, mettendola in punizione e lei, presa la pistola di questo, lo ammazzò. Fine della storia. Che ne dici? Ti è piaciuta?- -Lei è un lurido bastardo! Io non ucciderei proprio nessuno!- urlò Rachel piangendo. –Questo è tutto da vedere. Certo, se ci dai informazioni su ciò che hai fatto ieri forse potrei cambiare ipotesi.- disse Gibbs, freddo. La ragazza lo scrutava, immobile. –Bene, hai avuto la tua occasione. Ci vediamo.- la salutò. Stava per uscire dalla stanza, quando Rachel esclamò:-Ero andata da Luke. E’ il mio ragazzo e a Jamie non piaceva. Ma quando sono tornata a casa ho trovato voi, così mi sono nascosta. Quando ho capito che Jamie era morto sono scappata. Ho vagato per la città tutto il giorno. Poi sono finita in un quartiere e ho telefonato a Alex e Mitch per andare e prenderli. Il resto lo sapete. Io non ho fatto niente!-. Gibbs sorrise. –Bene, puoi uscire ora. Ah, e tanto perché tu lo sappia, lo so che non hai fatto niente a nessuno.-. Rachel seguì Gibbs fino alla scrivania di Ziva. –Ti accompagno a scuola.- affermò l’israeliana. –Ci so andare da sola.- ribatté Rachel. Ziva sbuffò, provando a ignorarla. Si mise la giacca e prese le chiavi della macchina. –Non ci vado a scuola!- esclamò Rachel. –Tu ci vai eccome. Muoviti!-. Ziva e Rachel salirono in macchina e si avviarono verso la scuola. –Ziva, hai notato quella macchina? Non ci ha mollate un attimo da quando siamo partite.- notò la ragazza. –La Audi? Bah, vedrai che ora ci supera. Sta accostando.- rispose Ziva. Le due auto si trovarono fianco a fianco. Nell’Audi c’erano due uomini. “Aaron?” pensò Ziva, sorpresa di vedere il ragazzo nella macchina che la stava superando. Quando vide, però, che l’uomo accanto a lui aveva in mano una pistola e la stava puntando contro di lei ritornò alla realtà. –Rachel! Giù!- esclamò. I proiettili ruppero il finestrino. Ziva sbandò e la macchina finì addosso a un muro. –Rimani giù.- ordinò l’israeliana alla ragazza. –Tu dove vai?- chiese Rachel. –A sgonfiare delle ruote.- rispose. L’agente dell’NCIS uscì dall’auto e sparò alle ruote dell’Audi, colpendole. La macchina sbandò e i due aggressori dovettero scendere. Vedendo che stava arrivando la polizia Ziva decise di correre, inseguendo Aaron e il suo compagno. –Agente federale, fermatevi!- gridò, senza essere, ovviamente, ascoltata. I due uomini si separarono. L’israeliana decise di lasciar scappare Aaron e di concentrarsi sul suo complice. Mentre correva sentì il cellulare squillare. –Gibbs, che c’è?- -Dove sei?-. Ziva si guardò attorno. –Sono nei pressi del Lincoln Memorial. Gibbs, non so se..-. Ziva si interruppe, vedendo che l’uomo che stava inseguendo aveva preso la pistola. Si buttò a terra, istintivamente. Sentì l’aria spostata dai proiettili scompigliarle i capelli. Rabbrividii. Quell’uomo aveva una buona mira e finora se l’era cavata solo grazie ai suoi riflessi. Si rialzò e continuò l’inseguimento. Arrivò fino al tempio dove vi era la statua gigante del presidente Lincoln. Esortò i turisti a lasciare il luogo, mostrando il distintivo e la pistola. Si guardò attorno, per vedere dove l’uomo che stava inseguendo si era cacciato. Sentì un rumore metallico proveniente dalla statua del sedicesimo presidente americano. Si girò di scatto e si buttò di lato, evitando un proiettile. Sparò un colpo, ma non colpì il suo aggressore il quale si accorse in quel momento di aver esaurito i proiettili. –Vieni giù, lentamente.- ordinò Ziva. L’uomo si accostò all’israeliana. Approfittando di un’esitazione della donna le sferrò un calcio in faccia. Ziva si trovò per terra, con il sangue che le usciva dal naso. L’uomo le si avventò addosso , con un coltello in mano. L’israeliana lo scansò per un pelo. L’aggressore le era, però, ormai sopra. Le mise una mano intorno al collo e alzò il coltello, pronto a colpire. Ziva chiuse gli occhi, pronta ad accettare il suo destino, quando sentì uno sparo. Riaprì gli occhi. I suoi vestiti erano sporchi di sangue, ma non era il suo. Su di lei il corpo dell’uomo posava, immobile. –Ziva!-. La donna alzò lo sguardo. Sorrise quando vide Tony. L’agente dell’NCIS la aiutò a rialzarsi. –Come stai?- le chiese. –Adesso bene. Grazie, mi hai salvato la vita.-. Tony la abbracciò.
-Allora, chi era il mio aggressore?- chiese Ziva a Gibbs, in ufficio. –Beh, a dire il vero speravo che me lo dicessi tu.-. L’uomo le porse un foglio. –Qui c’è scritto che si chiamava Yona Haas ed era un… Ex agente del Mossad? Gibbs, che significa?- -Oh, beh, io non ne ho idea. C’è qualcuno che ti vuole morta?-. Ziva era rimasta senza parole. –Di sicuro molta gente. Ma la maggior parte è tutta in galera.- rispose. Gibbs sospirò. Poi le porse un altro foglio, con scritti i dati del conducente dell’auto. –Aaron Issel. Lo conosci?- gli chiese Jethro. –Io… No, mai sentito.-  mentì l’israeliana. –Quindi non conosci nessuno degli uomini che ti hanno aggredita?- domandò lui. –No.- mentì ancora. –Strano. Anche lui era del Mossad.- spiegò Gibbs. –Era?- si lasciò sfuggire Ziva. –David, mi nascondi qualcosa?- le chiese Jethro, accortosi della strana reazione. –No. Assolutamente no. Gibbs, non li conoscevo. Ora, se permetti, dovrei andare a prendere Alex e Mitch a scuola.-. Fece per andare, ma Jethro la fermò. –Li andranno a prendere gli agenti Jamson e Lee. Tu invece vai a casa con Rachel. Tony e McGee verranno con voi.-. Ziva sbuffò. Odiava dover avere bisogno di protezione. Tuttavia disse:-Va bene. Grazie Gibbs.-. Poi andò a mettersi da Rachel, che era seduta su una sedia accanto alla finestra. –Andiamo?- -L’ultima volta che mi hai detto così ci hanno sparato addosso mentre eravamo per strada. E sto parlando di prima.- rispose la ragazza. Ziva alzò gli occhi al cielo.  –Beh, che intenzioni hai allora? Non puoi restare qui.-. Rachel si alzò e si diresse alla macchina, seguita da Ziva, Tony e McGee. Quando arrivarono a casa la ragazza si chiuse in camera sua a parlare al telefono. –Però, osso duro la ragazzina!- osservò Timothy. –Lascia perdere McGee. Non so proprio da che parte prenderla.- si lamentò l’israeliana. –Per me devi lasciarla perdere.- le suggerì Tim. –Secondo me, invece, ti assomiglia un po’. Devi solo conquistare la sua fiducia.- disse Tony. –Questa da dove ti esce? Come fa ad assomigliarmi Tony? Non siamo parenti!- ribatté Ziva. –Magari sì!- la canzonò DiNozzo. L’israeliana gli diede un pugno sul braccio, poi andò ad aprire, dato che qualcuno aveva bussato alla porta. –Oh, agente Lee. Buongiorno.- -Buongiorno. Ecco qua i due ragazzi.-. Mitch entrò di corsa, saltando in braccio di Ziva. Seguì poi Alex che sembrava un po’ più serena. –Ciao. Mitch ha fatto un disegno oggi a scuola.- annunciò la quindicenne. –Dai, fallo vedere.- esortò poi il fratellino. Il piccolo tirò fuori dallo zainetto un foglio e lo porse a Timothy. –Uhm.. Vediamo… Chi sono queste persone?- gli chiese. –In mezzo ci siamo io e Alex con Ziva. Poi vicino a noi c’è Rachel, perché anche se è arrivata dopo comunque è mia sorella lo stesso e le voglio tanto bene. E in cielo ci sono papà, mamma e Helen perché per me è un po’ come se fosse stata mia mamma.- spiegò il bambino. Gli agenti dell’NCIS gli sorrisero. –E’ bellissimo.- constatò Tony. Ziva sentì qualcuno singhiozzare. Si girò. Rachel si nascose dietro alla porta. L’israeliana fece per andare, ma DiNozzo la fermò. –Vado io.- le propose. Bussò e la ragazzina gli aprì. –Che vuoi?- -Nulla. Solo darti un paio di fazzoletti.- rispose lui. –Grazie. Ora vattene!- sbottò lei dopo aver preso  i fazzoletti. –Come vuoi. Ci vediamo.- -Aspetta!- fece lei. Tony si voltò. La ragazza aveva uno sguardo profondissimo. I suoi occhi azzurri sembravano due angoli di cielo. –Io… Cioè… Ringrazia Ziva per avermi salvato la vita. E dì ad Alex che mi dispiace di non essere tornata a casa.-. Tony sorrise. –Sarà fatto.- promise. Poi andò verso gli altri, avendo ormai capito che la vera Rachel era, in realtà, molto meno forte di quanto volesse apparire.

Angolo dell'Autrice

Good Morning! Ma quanti nuovi personaggi da queste parti! Allora, piaciuto il capitolo? Spero di sì, anche se forse è troppo  lungo. Mitch è il mio nuovo personaggio preferito, sia chiaro! E Ziva invece... Come mai ha mentito? Eh, vorreste saperlo subito... E io invece non ve o dico muahahah (risata malefica). Che cattiva che sono ;). Per consolarvi ho deciso di inserire un Tony che riesce a far trapelare (adoro sto verbo!) la vera Rachel... Che ne pensate?
Passiamo ai ringraziamenti:
grazie a:
  • AleTiva95
  • Anny_97
  • Scrittriceincanna
che hanno recensito lo scorso capitolo!
Un grazie poi a tutti coloro che leggono e basta. Ripeto: mi piacerebbe sappere anche il vostro parere, solo per capire se la storia piace o no.
Bueno, non vi annoio oltre!
Hasta la vista :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
Gibbs era sceso da Abby, portandole il suo Caf-Pow. –Allora, che hai trovato?- le chiese. –Ho analizzato le schede telefoniche delle due vittime e ho scoperto delle cose molto interessanti. Ma prima il caffè!- rispose la forense. Gibbs si avvicinò al computer e le diede la bibita. Abby aspirò fortemente dalla cannuccia, poi posò il bicchiere sul tavolo. –Indovina da chi ha ricevuto una telefonata Forrester prima di morire?- -Abby, non ne ho idea!- esclamò Jethro. –Ha telefonato a Stephan Forrester è… Jamie Thompson!-. Gibbs rimase a bocca aperta. –Però ho controllato. I due non sono mai stati insieme su qualche nave. Non so onestamente, quindi, come si siano conosciuti.- continuò. –E di Thompson che mi dici? Ha ricevuto qualche telefonata prima di morire?- chiese Gibbs. –Ne ha fatta una a un certo Paul Wyatt. E’ un giornalista della ZNN.- spiegò. –E Issel? L’hai trovato?- -No, mi dispiace Gibbs. Sembra svanito nel nulla!- rispose. –Ok, grazie mille Abby.-. Si congedò dalla ragazza dandole un bacio sulla fronte. Poi si recò dalla squadra e spiegò la situazione. –Ziva e Tony, voi andate da Wyatt. McGee, tu verrai con me dall’ammiraglio Schrine.- -Quello della Kitty Hawke?- chiese Tim. Gibbs annuì. –Su, muoversi!- esortò poi il capo.
Tony e Ziva erano in macchina. Arrivarono davanti agli studi della ZNN. Ziva fece per scendere, ma Tony la fermò per un polso. –Che c’è?- chiese l’israeliana. –Tu… Tu lo conoscevi Aaron Issel, vero?-. Ziva si sentì mancare. –Ho detto di no.- rispose. –Perché menti, maledizione? Perché?- chiese esasperato Tony, sbattendo le mani sul cruscotto. –Io… Tony, tu non puoi capire.- -Sì, io non posso mai capire, vero? Ziva, ti ha sparato addosso! Che senso ha proteggerlo?- provò a farla ragionare. –Beh, in realtà è stato l’altro a spararmi.- sbottò l’israeliana. –Era del Mossad! Era un tuo compagno?- le chiese. –Lui era tante cose, Tony. Per me lui era un fratello minore. Aaron Issel era mio fratello! Capisci cosa vuol dire?- -Che avevi due fratellastri?- rispose Tony. Ziva stava trattenendo le lacrime. –Tony, ti racconterò una storia. Ma tu devi stare zitto. Promettilo!- -Va bene, come vuoi tu.- promise l’agente dell’NCIS. –Aaron Issel abitava vicino a noi. I suoi genitori lavoravano nell’esercito. Quando aveva sedici  anni morirono  durante la cosiddetta Seconda Intifada*. Mio padre decise di prenderlo in casa con noi. Legò presto con Ari e a diciotto anni entrò nell’esercito. Mio padre lo usò come agente di collegamento con il Mossad. Per me era un fratellino. Tony, io volevo solo trovarlo per prima. Voglio capire se è finito in qualche guaio!-. Tony la abbracciò. Le lacrime di Ziva gli bagnarono tutti i vestiti. –Ziva, non ne parlerò con Gibbs, giuro. Ma tu devi farlo. Se vuoi aiutare Aaron devi trovarlo, ma non puoi farlo da sola.- le sussurrò DiNozzo. L’israeliana lo strinse ancora di più. –Io ho bisogno di aiuto anche con i ragazzi. A Mitch farebbe tanto bene avere una figura maschile come riferimento.- -L’intrepida Ziva David che mi chiede aiuto? Allora vuol dire che sta finendo il mondo!- scherzò Tony. –Comunque te lo darò. Parola di Anthony DiNozzo!-. L’ex agente del Mossad sorrise. –Beh, forse è meglio che scendiamo dalla macchina e andiamo da Wyatt. Che ne dici?- osservò poi. –Sì, hai ragione.-. I due entrarono negli studi della ZNN. Due agenti della sicurezza si avvicinarono e intimarono loro di uscire. –Avete un appuntamento? Perché altrimenti è meglio che smammiate- disse uno. –Ricordami di non guardare mai più questo canale.- bisbigliò Tony a Ziva. –Vedete signori, non siamo noi ad avere un appuntamento con la ZNN, ma è la ZNN ad avere un appuntamento con noi. Sono l’agente speciale Anthony DiNozzo e lei è l’agente speciale Ziva David. Siamo dell’NCIS. Quindi, vi consiglio di farci passare.-. I due agenti di sicurezza si guardarono, imbarazzati. –Scusateci, passate pure.-. Ziva e Tony si recarono all’ufficio di Wyatt. Bussarono. Ad aprire fu il giornalista stesso. –Buongiorno. E’ lei Paul Wyatt? Agenti speciali dell’NCIS Anthony DiNozzo e Ziva David.- -Oh, beh, che volete? Sono solo un giornalista.- ribatté Wyatt. –Lei conosceva il capitano di marina Jamie Thompson?- chiese Ziva. Il giornalista si guardò attorno. Poi li invitò ad entrare nel suo ufficio. –Prego, accomodatevi- disse, esortandoli a sedersi. –No grazie, stiamo bene anche in piedi.- rispose DiNozzo. –Capisco. Beh, so che Jamie è morto, o sbaglio?- -Non sbaglia. Il corpo l’ho ritrovato io. Ed era un mio amico.- rispose Ziva. –Mi dispiace molto. Vedete, Jamie lo conoscevo dal liceo. Era un brav’uomo. Comunque non lo sentivo da un po’.- -Ah, non lo sentiva da un po’? Strano, i suoi tabulati telefonici dicono l’esatto contrario.- affermò Tony. Wyatt sbiancò di colpo. –Io… Ok, sentite, io non c’entro nulla con questa storia!- esclamò. –Quale storia? Signor Wyatt, sa qualcosa e non ce lo dice?- fece Ziva. –E va bene. Io conoscevo Jamie e anche l’altro che è morto, Stephan Forrester.- -Ci dica per bene tutto quello che sa.- lo esortò l’israeliana. Wyatt sospirò. Poi iniziò a raccontare:-Io e Jamie eravamo compagni al liceo. Poi io sono andato al college e lui è entrato in accademia, così ci siamo un po’ persi di vista. Ogni tanto lo sentivo, ma sapete com’è, a causa del lavoro non ci vedevamo praticamente mai. Fu lui a chiamarmi qualche tempo fa. Diceva che forse aveva scoperto le cause dell’incidente di Helen, la sua seconda moglie. Mi chiese se potevo cercare un tale, che poi si rivelò essere proprio Stephan Forrester. L’avevo intervistato una volta, credo per un servizio sulla USS Enterprise.- -Ma Thompson non le spiegò mai perché Forrester dovesse c’entrare con l’incidente di sua moglie? E poi, lei non è un investigatore privato. Perché si rivolse proprio a lei?- domandò Tony. –Beh, sono un giornalista e un amico. Era comodo, mi aveva solo chiesto un favore. Per il resto, mi accennò solamente che doveva essere un parente di Helen. Ma non capii, anche perché sapevo che Forrester era senza famiglia. Tuttavia lo cercai e li misi in contatto. So che la sera in cui Forrester è morto dovevano incontrarsi.- rispose Wyatt. –Poi, il giorno in cui è stato ucciso mi ha chiamato. Era agitato, diceva cose confuse. Non capii bene, anche perché ero a un convegno, così riattaccai. Magari se non lo avessi fatto ora sarebbe vivo.- -Non abbia rimpianti. Non è colpa sua.- lo consolò Tony. Wyatt annuì, poco convinto. –Voi dovete trovare il bastardo che l’ha ucciso. Jamie era una brava persona. Non si meritava una fine così.- esclamò il giornalista. –Non si preoccupi, lo troveremo.- promise DiNozzo.
Ziva e Tony erano tornati alla base, anche perché l’israeliana doveva andare a casa: i ragazzi stavano per finire scuola. Gibbs fece il punto della situazione:-Dunque, ricapitoliamo: Forrester aveva appuntamento con Thompson, per motivi che ancora non conosciamo. Però viene ucciso. Qui le opzioni sono due: o a sparare è stato lo stesso Thompson…- -Jamie non era un assassino!- esclamò Ziva, interrompendolo. –David, non interrompere! La seconda ipotesi è che qualcun altro gli abbia sparato. Probabilmente Thompson ha trovato il corpo ed è tornato a casa. E, per me, questa è l’ipotesi che regge di più. L’assassino di Forrester è poi andato da lui e l’ha fatto fuori. Le cose strane sono molte: la sostituzione dei proiettili nel primo omicidio, la stella di David incisa sul polso di Forrester e la presunta parentela di quest’ultimo con Helen Parker, la seconda moglie di Thompson. In più, abbiamo una strana aggressione ai danni di Ziva da parte di due ex agenti del Mossad. Quindi, a parte l’agente David, tutti al lavoro!-. La squadra si mise ad analizzare dati e immagini. –Gibbs, io andrei.- disse Ziva. –Sì, vai pure.- rispose Jethro. –Ah, David, mi devi dire qualcosa per caso?- domandò. –Io? No!- mentì. –Capito. Beh, salutami i ragazzi.- esclamò Gibbs.
Ziva e i ragazzi erano a casa. L’israeliana era in sala con Mitch, mentre Alex e Rachel erano di sopra. La quindicenne stava ascoltando la musica e Rachel stava leggendo una rivista di moda. –Alex, potresti spegnere quello schifo che tu hai il coraggio di chiamare musica?- -Schifo? Questi sono i Suicide Silence*, bella! E sono una bomba!- ribatté Alex. –Bah, chiunque siano fanno veramente schifo! Urlano e basta! Fanno venire il voltastomaco. E io sto provando a leggere qualcosa!- -Sì, vedo! “Allure”*, che roba interessante.- esclamò la ragazzina. –Beh, che c’è? A me interessa!- ribatté Rachel. –Quella è spazzatura!- affermò Alex. Nel frattempo, qualcuno suonò alla porta. Ziva andò ad aprire e si trovò di fronte un ragazzo biondo, sui diciassette anni. –Posso fare qualcosa per te?- chiese gentilmente. –Sì, salve. Sono Luke Brown, il ragazzo di Rachel. Me la può chiamare? Pensavo di portarla a fare un giro.- rispose. –Ah, a fare un giro? Beh, prima mi spiegherai cos’è questo odore.- rispose l’israeliana. –C-che o-o-odore?- balbettò Luke. –L’odore dello spinello che ti sei fumato poco fa. Ne hai i vestiti impregnati.- rispose Ziva con nonchalance. –Io non fumo spinelli. E non mi drogo.- affermò il ragazzo. Proprio in quel momento gli cadde dalla tasca un sacchettino contenente della polvere bianca. –Sì, sì. Vedo. Quindi quello sarebbe zucchero, giusto? Senti, lo sai che io sono un agente federale, vero?-. Luke sbiancò. Tese il braccio per riprendere la cocaina, ma Ziva fu più veloce. Il ragazzo estrasse un coltellino dalla tasca e minacciò la donna:-Ridammelo, o di te rimarranno solo le budella!-. Ziva scoppiò a ridere, poi gli tirò un calcio nello stomaco. Il ragazzo provò a reagire. Tirò un pugno, ma l’israeliana lo schivò e gli affibbiò un bel dritto sulla faccia. Alex si accorse della scena. –Ehi Rachel, ma quello non è il tuo ragazzo? Perché Ziva lo sta sistemando proprio per bene.- disse. La diciassettenne guardò fuori dalla finestra e scese in giardino di corsa. –Ziva, fermati! Per l’amor di Dio! Ma che fai?- gridò, avventandosi sull’israeliana. Luke ne approfittò per scappare via. –Sei una stronza! Vuoi per caso rovinare la mia vita sociale? Adesso grazie a te non mi parlerà mai più!- si lamentò Rachel. –Grazie a me ci sarà un po’ di cocaina in meno.- ribatté Ziva, mostrandole il sacchettino contenente la droga. Rachel rimase a bocca aperta. –Ziva io…- -Non scusarti. Non serve.- la tranquillizzò l’israeliana rientrando in casa, seguita da una Rachel molto confusa. 

*E' stata la rivolta palestinese esplosa a Gerusalemme il 28 settembre del 2000, in seguito estesa a tutta la Palestina.
*Band deathcore. Il cantante, Mitch Lucker, è morto l'anno scorso, il primo novembre.
*Rivista di moda statunitense.

Angolo dell'Autrice
Buongiorno e buona domenica. Inizio questo mio angoletto rivelando che l'ultima parte del capitolo ho sempre sognato di scriverla! La adoro! Ziva che prende a pugni Luke e che zittisce Rachel! Mi è piaciuto un sacco scriverlo. Poi abbiamo Tony, che forse lo sto rendendo troppo dolce e cuccioloso. E infine c'è Gibbs, che ha probabilmente capito, anche se fa finta di nulla.
Il mistero si infittisce. Vedrete che tra un po' tutto diventerà più chiaro. E poi finalmente abbiamo capito chi è Aaron :)
Ringrazio:
AleTiva95;
Anny_97
Scrittriceincanna;
VooJDee;
Meggie90
per le fantastiche recensioni.
Un grazie anche a chi legge e basta e a chi l'ha inserita nelle preferite e nelle seguite!
Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7
-Quindi, signorina Thompson, lei saprebbe di sicuro dirmi la teoria delle idee di Aristotele, vero?-. Rachel si destò dal suo dormiveglia e guardò la professoressa. La signorina Meyers le aveva sempre provocato una sensazione simile a quando si incontra un cane rabbioso. –Ehm… Certo. Dunque, Aristotele pensava che le idee fossero contenute tutte nell’Iperurano e che vivessero insieme.-. La sua compagna di banco si colpì la fronte con la mano, in segno di disperazione assoluta. –Signorina Thompson, è talmente distratta da non accorgersi nemmeno che la teoria delle idee è stata elaborata da Platone e non da Aristotele, filosofo che, per altro, dobbiamo ancora cominciare a trattare. In più, le idee sono nell’Iperuranio e non nell’Iperurano!-. Rachel deglutì. –Mi scusi signorina Meyers. E’ che…-. La campanella suonò, salvando la ragazzina. –Che è finita l’ora. Arrivederci!- concluse la diciassettenne, correndo via dall’aula. Andò verso il suo armadietto, lo aprì, mise a posto i libri e lo chiuse di scatto. Tirò un sospiro di sollievo: le era andata fin troppo bene. –Si può sapere come fai?-. Rachel si voltò. –Oh, ciao Naomi. Mi hai spaventata. Come faccio a far cosa?- -A dormire in classe durante l’ora della Meyers e a non pagarne le conseguenze! Ti stimo!- esclamò l’amica. –Come sta il fianco?- chiese poi Naomi. –Meglio. Mi ha medicata la sbirra che mi ospita.- spiegò Rachel. –Ah! Come va con lei?- -Ha preso a calci nel culo Luke. Gli ha trovato della coca addosso.- disse la diciassettenne. –E Luke? Che ha detto? L’hai sentito dopo?- -Mi ha mollata. Grazie a quella stronza.- affermò, mesta. –Mi dispiace.- disse Naomi. Rachel fece spallucce. –Senti, io devo andare fuori a sistemare una faccenda rimasta in sospeso. Mi accompagni?-. Naomi capendo subito che cosa intendeva annuì e la seguì. Si diressero in cortile. C’era un gruppo di ragazzi seduti per terra. –Ehi, guardate, arriva la puta*!- esclamò uno di loro. –Ciao Miguel, è un piacere anche per me rivedere te e la tua cricca cubana.- lo prese in giro Rachel. -Che volete? Qui ci siamo noi, voi stronzette e il vostro gruppetto di facce bianchicce dovete solo starvene alla larga! E’ così difficile da capire?- abbaiò Miguel. –Non sono venuta qui per te, stai tranquillo. Solo, sai, non mi piacciono i conti in sospeso!-. Fece un passo avanti, ma un ragazzo le si parò davanti. –Oh, avanti! Davvero le tue chicas* non hanno il coraggio di difendersi da sole?- lo schernì Rachel. Una delle cubane si avvicinò. –Maria, non farlo!- implorò Miguel. –Levati dalle palle fratello! Con questa puta me la vedo da sola.- affermò la ragazza, spingendo via gli amici. –Allora perra*? Non fai più la spaccona?- la sfidò. –Non sia mai. Allor, dove eravamo rimaste l’altra sera? Ah già! A questo!-. Rachel le sferrò un micidiale pugno sul viso. Maria cadde a terra, col sangue che le scorreva dal naso. La cubana si rialzò e si avventò sulla sua avversaria, tirandole un calcio nello stomaco. Rachel si trovò sul prato, piegata in due dal dolore. Immediatamente ricevette un calcio in faccia. –Allora, non sfotti più, perra?- la canzonò la cubana. Maria la prese per il bavero della maglietta e le sussurrò:-Tu eres solo una hija de puta*! Proprio come tua madre! Anzi, secondo me hai ucciso tu il tuo patrigno. Non riuscivi ad accettare che si scopasse tua madre!-. Rachel guardò a terra, poi, scattando come una molla, si liberò dalla presa della cubana e le tirò un pugno nello stomaco.  Maria provò a reagire, ma l’americana fu più veloce e iniziò a tirarle una serie infinita di calci e pugni.
Ziva e McGee si scontrarono. Oh, accidenti, avevo appena riordinato le carte!- si lamentò Timothy. –Mi dispiace McGee.- si scusò l’israeliana mentre lo aiutava a riordinare i fogli. Il suo sguardo si posò su una delle carte. –Ziva, che c’è?- le chiese Tm. –Lo sapevi che Helen Parker, ovvero la seconda  moglie di Jamie, è rimasta per tre anni in Israele per una missione ed è tornata diciassette anni fa?- -Ziva, tu credi che questo possa c’entrare con i due omicidi?- domandò un confuso McGee. –Con gli omicidi non lo so, ma ragiona: Wyatt aveva detto a me e a Tony che Forrester e la Parker potevano essere parenti. E di sicuro due ex agenti del Mossad non vengono negli Stati Uniti per caso.- rispose Ziva. –Ma io scarterei l’ipotesi della parentela: i cognomi erano diversi.- ragionò McGee. –Magari Helen è stata adottata!- ribatté Ziva. –Voi avete controllato se c’è stata un’adozione?- chiese Gibbs. –Oh, capo, ha sentito tutto? Beh, ecco io.. non ancora, capo.- -E cosa aspetti McGee? I pasticcini? Mettiti subito al lavoro, immediatamente!- ordinò Jethro.  –Sì, capo.- bisbigliò Timothy mentre si sistemava davanti al computer. Tony entrò nell’ufficio. –Salve ragazzi, ero in bagno. Che mi sono perso?-. Ziva stava per rispondergli, quando il suo cellulare squillò. Rispose. –Ehi, McPivello, secondo te sono brutte notizie?- sussurrò DiNozzo a Timothy, notando che la faccia di Ziva si stava facendo sempre più cupa. L’israeliana terminò la telefonata. –Tony, mi puoi accompagnare alla scuola dei ragazzi? La mia macchina è ancora dal meccanico e con il bus ci metterei troppo.- chiese. –Oh, si va bene. Ma che succede?- domandò DiNozzo, preoccupato. –Rachel.- rispose lei, lapidaria.
-Io lo so che sta passando un brutto periodo, ma non è una scusa ragionevole per aggredire e picchiare una compagna di scuola.- disse la preside, la professoressa Looper. –Lei mi ha chiamata “figlia di puttana”!- ribatté Rachel. –Signorina Thompson, dei testimoni mi hanno informata che la prima a provocare è stata proprio lei.- affermò la preside. La ragazzina si voltò verso Ziva, che le lanciò un’occhiata trasudante preoccupazione, rabbia e dolore. –L’altra ragazza come sta?- chiese l’israeliana. –E’ all’ospedale per accertamenti, anche se non dovrebbe avere nulla di rotto oltre al naso.- rispose la signora Looper. –Comunque per me questo è un comportamento inaccettabile. Rachel sarà sospesa per due settimane. E questo potrebbe anche costarle l’anno scolastico.- continuò la preside.  –Capisco. Mi dispiace molto per l’accaduto, le garantisco personalmente che episodi come questo non capiteranno mai più.- disse Ziva, alzandosi e stringendo la mano alla dirigente scolastica. Uscirono dall’ufficio. Ad attenderli c’era Tony con Alex e Mitch. La quindicenne scosse la testa non appena vide la sorellastra. –Vi accompagno a casa.- propose Tony. –Sì, grazie.- rispose Ziva. Arrivati a casa, scesero dall’auto. L’israeliana salutò Tony. –Ricorda di farti spiegare per bene quello che abbiamo scoperto. E tienimi aggiornata.- gli raccomandò. –Non ti preoccupare. Tu, piuttosto, hai bisogno di qualcosa?- le chiese. –Per ora no. Grazie comunque.- rispose lei. Poi entrò in casa, trovando Rachel e Alexandra che litigavano. –Noi ti abbiamo accolta! Nostro padre ti ha preso con noi! E tu non fai nient’altro che creare casini! Non ti rendi proprio conto, vero?- le urlò la quindicenne. –Voi non siete la mia famiglia! Io non ho famiglia! Siete solo un ammasso di stronzetti schifosi!- ribatté la diciassettenne. Ziva si avvicinò. –Alex! In camera! E porta Mitch con te!- ordinò. La ragazzina prese il fratellino con sé e si recò nella sua stanza. Assicurandosi che nessuno potesse ascoltare, l’israeliana incominciò a parlare:-Si può sapere come fai?- -A far cosa?- chiese Rachel. –A comportarti così senza preoccuparti minimamente delle conseguenze.- rispose Ziva. –Io… Tu non puoi capire!- affermò la ragazzina. –Certo. Soprattutto se non mi spieghi alcune cose. Per esempio, potresti chiarirmi un piccolo dubbio? Tu sapevi della cocaina di Luke?-. Rachel abbassò lo sguardo. –No. Non sapevo nulla, se non che ogni tanto si fumasse qualcosa.- rispose. –Bene. E adesso dimmi: chi è la ragazza che hai aggredito a scuola?- domandò Ziva. –Si chiama Maria Gomez. Fa parte di un gruppo rivale al nostro. E’ stata lei a colpirmi al fianco quella sera. Ho solo regolato i conti.- rispose Rachel. –Solo regolato i conti? Senti, lo so che non è un momento facile, ma ti assicuro che tu non hi vinto un bel niente! Anzi, lei ha ora ha ottenuto la tua sospensione. E ringrazia il Cielo che non ti abbiano espulsa.- esclamò l’israeliana. –Tanto non me ne importa niente! Non appena potrò me ne andrò a vivere da sola, lontano da tutti, soprattutto da Alex e Mitch!- -Perché? Perché sei così cattiva con loro?- domandò Ziva. –Perché… Beh, perché loro non sono miei fratelli. E Jamie non era mio padre. La mia unica famiglia era mia madre.- -Non hai mai pensato, invece, che loro ti vedono come la sorella maggiore? Soprattutto Mitch. Tu sei importante per loro. Sei tutto ciò che resta!-. Rachel scoppiò a piangere, buttandosi sul divano. Ziva si sedette accanto a lei e la abbracciò. –Ho paura.- confessò la ragazzina sottovoce, forse più a sé stessa che all’israeliana. Ziva le alzò il mento con l’indice. –E’ normale. Ma ricorda: io ti aiuterò. Sarò sempre al tuo fianco. Rachel, io sarò con te! E’ una promessa.-. La ragazzina si soffiò il naso e si asciugò le lacrime. Abbracciò forte l’israeliana, poi sussurrò timidamente:-Grazie.-.  

*Puta: puttana
*Chicas: ragazze
*Perra: stronza
*Tu eres solo una hija de puta: tu sei solamente una figlia di puttana

Angolo dell'Autrice

Mi scuso per le diverse parolacce nella prima parte del capitolo, ma si tratta di uno scontro tra due bande, non potevo fare altrimenti. 
Dunque, che ne pensate di questo capitolo? E di Rachel? Si sta sciogliendo, a suo modo. Poi finalmente si è (forse!) trovato un collegamento tra i due omicidi, anche se le sorprese sono ancora tante tante! 
Ringrazio:
  • AleTiva95
  • Anny97
  • Meggie90
  • Scrittriceincanna
che hanno recensito. Ringrazio poi chi ha inserito  la storia nelle seguite o nelle preferite e chi la sta semplicemente leggendo. GRAZIE <3
Mi eclisso!
Bacioni, al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
Ziva si svegliò e andò a farsi una doccia. A casa non era rimasto nessuno: Alex e Mitch erano stati accompagnati a scuola da McGee mentre Rachel era andata a fare la spesa. Uscì dalla doccia e indossò l’accappatoio. Ma quando entrò in camera per vestirsi incontrò l’ultima persona al mondo che si aspettava di vedere quel giorno. –Aaron! Ma che diamine ci fai tu qui? E come sei entrato?-. L’israeliano stava tranquillamente seduto sul letto di Ziva con una pistola in mano. –Ciao Zee. Oh, scusa se non ti ho telefonata prima di presentarmi qui, ma ho pensato che la cosa poteva non piacerti. Così ho deciso di farti una sorpresa. Che ne pensi?- -Penso che sei nei guai fino al collo!- rispose l’israeliana. –Se è per la pistola, guarda, rimedio subito.- affermò posando l’arma a terra. –Aaron, si può sapere cosa significa?- chiese Ziva. –Cosa significa cosa?- ribatté il ragazzo. –Senti, tu e il tuo amichetto mi avete sparato addosso due giorni fa!- esclamò Ziva. –Beh, tecnicamente a sparare è stato solo Yona, comunque ero certo che ce l’avresti fatta!-. La donna alzò gli occhi al cielo. –Aaron, ma si può sapere che stai dicendo? Ho mentito a Gibbs per proteggerti. Ma voglio capire cosa sta succedendo!- si disperò lei. Aaron sospirò, poi le fece segno di sedersi accanto a lui. –Sono in missione personale. Il tuo caro paparino mi ha cacciato dal Mossad. Diceva che provocavo inutili allarmi.- spiegò il ragazzo. –In che senso?- domandò Ziva. –Sostenevo che ci fossero delle talpe all’interno del Mossad. Sapevo anche i nomi. Ma non avevo le prove.- -Fammi indovinare: tra le talpe c’era anche Yona Haas?-. Aaron annuì. –Io… Ziva, ho scoperto delle cose che…-. Non fece in tempo a finire la frase poiché Gibbs, Tony e McGee spuntarono fuori all’improvviso. Jethro fu subito addosso all’israeliano e lo immobilizzò. –In nome della legge, ti dichiaro in arresto per tentato omicidio!- esclamò l’agente dell’NCIS. –E’ tutto un equivoco! Ziva, diglielo tu! Ti prego!- si difese Aaron. Gibbs alzò lo sguardo. –Agente David, conosci quest’uomo?- domandò, con un misto di stupore e delusione. Ziva chiuse gli occhi e chinò il capo. –Sì, lo conosco.- rispose. Jethro fece alzare l’israeliano e, voltandosi, uscì dalla casa, rimanendo in silenzio. Un silenzio di quelli che fanno male. Tony si avvicinò alla donna. –Ci ha chiamati Rachel. Era tornata a casa e aveva visto che la porta era socchiusa. Allora ha sbirciato dalla finestra e ha riconosciuto il vostro aggressore.- spiegò McGee. –McRompo, non è il momento!- esclamò Tony. –Penso che dovresti venire con noi. Non ti preoccupare, spiegherò tutto io a Gibbs se per te è troppo difficile.- propose. –Grazie Tony, ma è giusto che sia io a parlare con lui. L’ho tradito.- rispose la donna. DiNozzo non sapeva cosa dire. –Beh, allora ti aspetto fuori. Rachel la portiamo con noi o…- -Sì, la porteremo con noi. Dovrebbe essere in sala.- affermò Ziva. Tony le sorrise, poi uscì, permettendole di cambiarsi. Ziva si buttò sul letto. Aveva combinato un bel guaio.
-Gibbs, posso parlarti?-. Jethro si voltò. Di fronte a lui Ziva si sitava torturando le mani. –Lo so, ho mentito. Ma ti prometto che non accadrà mai più. Io… Io non so cosa mi sia preso.- disse la donna. Gibbs non disse una parola. Il suo silenzio fu, per l’israeliana, più tagliente di mille coltelli. –Era il mio fratellastro.- aggiunse Ziva. Vedendo  che Gibbs non accennava alcuna reazione decise di andarsene. Era già quasi oltre la porta, quando Jethro disse:-Lo sai qual è la cosa incredibile? Che più ci penso e più mi accorgo che io avrei fatto esattamente lo stesso. E la cosa mi fa veramente arrabbiare.-. Ziva si morse il labbro, poi si diresse verso Jethro. Stettero una di fronte all’altro, muti. Fu Gibbs a interrompere il silenzio. –Vado a interrogare Issel. Con me verrà McGee. Tu e Tony rimarrete fuori.- affermò, lasciando l’israeliana imbambolata. Poi andò verso il luogo dell’interrogatorio. –Ehi, Mossad! Vieni?- esclamò Tony, riportandola alla realtà. –Sì, aspettami. Arrivo subito.- rispose lei. Andò verso Tony che le circondò le spalle con il braccio. –Cos’è tutta questa confidenza?- chiese Ziva. –Beh, era solo una coccola. Da amici.- rispose lui, imbarazzato. Giunsero all’infuori della sala interrogatori. Gibbs e McGee erano già dentro con Aaron. Ziva guardò l’israeliano. Era spavaldo, sicuro di sé.
-Allora, cos’è questo equivoco di cui parlavi a casa dell’agente David?- chiese Gibbs. –Non le avrei mai fatto del male. Mai!- rispose Aaron. –A me sembra che il tuo compare, Yona Haas, fosse nella stessa auto in cui c’eri anche tu. E lui sparava per bene.- notò Gibbs. –Oh, andiamo. Ero un infiltrato tra loro, che potevo fare? E poi, contavo molto sulla reattività di Ziva.-. L’israeliana, all’udire quelle parole, sferrò un pugno sul muro. Tony le fece segno di calmarsi, così lei tornò al suo posto. –Signor Issel, ci può spiegare per bene che cosa sta succedendo? Altrimenti le assicuro che Guantanamo potrebbe sembrare una reggia rispetto al posto dove lo spedirò.- lo minacciò Gibbs. Aaron si guardò attorno. –E va bene. Tempo fa scoprii che Yona Haas poteva essere stato una talpa all’interno del Mossad. Indagai e scoprii che lavorava per una banda di guerriglieri armati. Si fanno chiamare i “Maledetti”. Non si conosce il volto del loro capo. I “Maledetti” agiscono nell’ombra, pianificano attentati, furti e quant’altro. E non lo fanno per essere contro Israele. Lo fanno per i soldi. Sì, insomma, voi non sapete in che casino siete andati a ficcare il naso.-. Gibbs fece segno a McGee di rimanere tranquillo, notando che l’agente si stava iniziando ad agitare. –Beh, continua.- esortò Jethro. –Il caro Eli, però, mi ha cacciato dal Mossad, sostenendo che procuravo solo stupidi allarmi inutili. Così ho deciso di investigare da solo. Ho seguito le tracce di Yona Haas e sono arrivato negli Stati Uniti. Il primo contatto con loro l’ho avuto a New York. Mi sono finto uno di loro e sono entrato nel giro. Volevo documentarmi e portare delle prove a Eli. Solo che… Solo che poi siamo venuti qui a Washington e siamo stati incaricati di trovare la ragazzetta che Ziva ha in casa.- -Come? Aspetta, vuoi dire che cercano Rachel?- chiese McGee, sconvolto. –Sua madre, Helen, era a conoscenza dei codici di lancio di due missili nucleari rubati anni fa al Mossad.- rispose Aaron. –Quindi dal tuo discorso deduco che Stephan Forrester era veramente il fratello di Helen Parker.- osservò Gibbs. –Eccome se lo era. Helen aveva scoperto di avere un fratello l’anno scorso, ma non ha fatto in tempo a conoscerlo. E’ morta prima.- -Parli come se foste stati amici.- notò Jethro. –Lo siamo stati. Quando venne in missione con l’esercito diciotto anni fa in Israele.- affermò Issel. –Aspetta. Sulle carte c’è scritto diciassette anni fa.- esclamò McGee. –No, diciotto, ne sono sicuro. Rimase incinta a metà di quell’anno e poi partorì Rachel l’anno successivo. C’ero anche io al momento del parto.- -Chi è il padre?- domandò Gibbs. Aaron guardò in basso, imbarazzato. –Ho detto: chi è il padre?- insistette Jethro. –Io… Io non posso.- mormorò Aaron. –Sì che puoi.- affermò Gibbs, innervosito. –Vi scriverò nome e cognome, a patto che Ziva si allontani immediatamente.- disse l’israeliano. Ziva fece una faccia stupefatta. Gibbs fece un segno a McGee che andò dall’israeliana. –Mi dispiace, l’hai sentito.-. La donna se ne andò, senza neanche fiatare, a metà tra lo sdegnato e il deluso. Tony non poté affermarlo con sicurezza, ma gli sembrò di scorgere delle lacrime. McGee tornò dentro e si sedette accanto a Gibbs. –Se n’è andata, capo.- affermò. –Bene. Ecco qui un foglio di carta e una penna. Scrivi possibilmente non in israeliano, grazie.-. Aaron prese il foglio e la penna e scrisse per un tempo che a Gibbs e a McGee sembrò essere interminabile. –Ecco fatto. E’ lui. Era lui.- disse Aaron. Jethro prese il pezzo di carta e lesse. Sbiancò.-Non è possibile. Quindi Ziva… Quindi Ziva è zia!-.

Angolo dell'Autrice

Sì, uccidetemi! Tanto ormai posso morire felice! Sono andata a vedere i Paramore dal vivo, ora ho avuto tutto quello che volevo! E' stato fantastico, incredibile! 
Anyway, passiamo al capitolo (non so nemmeno se tra voi c'è qualcuno che li conosce, comunque sono la mia band preferita e sono bravissimi!). Chi sarà mai il padre di Rachel? Dai, non è difficile da capire, basta lavorare un po' con il cervello ;)
Che ne pensate di Aaron? E di Ziva? Ma, soprattutto, volete un po' di Tiva? Perché basta chiedere e io faccio di tutto, anche una pizza quattro stagioni se lo desiderate :P
Ok, oggi ho preso molto spazio nel mio angolo, ma è colpa del concerto! Io sono... FRIZZANTE!! E felice! 

Ringrazio:
  • Meggie90
  • Scrittriceincanna
  • Aletiva95
  • Anny_97
per le belle recensioni! Grazie! 
Un grazie anche a chi legge e ha inserito la storia tra le seguite o preferite :)



Bene, mi eclisso!
Bye bye, al prossimo capitolo :)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
CAPITOLO  9
Gibbs si era chiuso nell’ufficio di Vance da oltre un’ora. La situazione era delicatissima. –Gibbs, la dobbiamo informare! Si tratta di una ragazzina!- esclamò Lion. –Si tratta di Ziva, maledizione! Ti rendi conto il peso che si porta dentro ogni giorno? Ari non era uno sconosciuto per lei! Come potrà mai riuscire a guardare Rachel in faccia con la consapevolezza di averne ucciso il padre?- ribatté Jethro. Il direttore dell’NCIS inspirò profondamente. –Sai meglio di me che non possiamo nasconderle una cosa del genere. – disse. –Sì, hai ragione. Però non riuscirò a dirglielo io. Non questo.- -Allora lo farò io!-. Gibbs e Vance si girarono. Tony era in piedi, sulla soglia. –DiNozzo, quale parte di “Parlo io con il direttore” non riesci a comprendere?- lo rimproverò Jethro. –Ziva mi ha spiegato cos’è successo alla morte di Ari. E’ stato due anni fa. Ero andato in bagno e l’avevo trovata nascosta nel gabinetto che piangeva. Mi disse che non riusciva più a dormire per i sensi di colpa. Mi spiegò che ogni notte sentiva uno sparo e poi vedeva il corpo di Ari cadere per terra. E poi mi rivelò tutto il resto.-. Gibbs e Vance si guardarono, perplessi. –DiNozzo, ti rendi conto della responsabilità che vuoi assumerti?- domandò Lion. –Sì, signore. Me ne rendo conto.- esclamò Tony. –E allora va bene.  Ma entro oggi.- affermò Vance.
-Tony, sei un angelo! Senza di te non saprei che fare!- esultò Ziva mettendo in bocca una grossa forchettata di spaghetti. –Lo so io: riscaldare cibo già pronto, rigorosamente kosher.- bisbigliò Rachel, beccandosi una gomitata di rimprovero da Alex. –Oh, beh, non ringraziatemi. Era solo un  po’ di pasta.- disse DiNozzo. –Tony, dopo vuoi giocare con me a carte?- chiese Mitch. –Certo piccolo. Anzi, andiamo subito, mentre Ziva sparecchia.- esclamò lui. –Vengo anche io!- affermò Alex. I tre si spostarono in camera, lasciando Ziva e Rachel da sole. La ragazzina aiutò l’israeliana a sparecchiare, poi si sedette sul divano. –Sai, ho pensato a quello che mi hai detto ieri. Hai ragione, io mi sono comportata malissimo con Alex e Mitch. Voglio rimediare. Non voglio più scappare.-. Ziva l’abbracciò, contenta che finalmente Rachel si stesse aprendo un po’ con lei. Ogni volta che la guardava negli occhi poteva leggere di tutto, soprattutto un immenso dolore. Il dolore di chi non ha mai potuto avere una vera infanzia. L’israeliana si era rifiutata di leggere il fascicolo sulla ragazzina. Era convinta che dovesse essere lei ad aprirsi. Eppure nei suoi occhi poteva scorgere anche qualcos’altro. Ogni tanto lo sguardo di Rachel assumeva un’aria familiare, ma Ziva non sapeva associarlo a qualcuno che conoscesse. –Vado a dormire.- annunciò Rachel. –Sì. Oh, e chiamami Tony.- esclamò l’israeliana. L’italoamericano la raggiunse. –Ho messo a letto Alex e Mitch.- affermò. –Bravo. Senti, al telefono mi hai detto di dovermi dire qualcosa. Cosa?-. Tony aspettava una domanda simile da tutta la serata. –Zee, siediti. Perché non è una cosa facile.-. L’israeliana, pur non capendo, obbedì. DiNozzo si sedette accanto a lei. –Ziva, non me la sento di fare tanti giri di parole. Abbiamo scoperto che Rachel è la figlia di Ari. E’ tua nipote Zee.-. L’israeliana era rimasta con la bocca aperta. –Non è vero. Se volevi farmi uno scherzo, beh, non è divertente.- sbottò. –Non è uno scherzo. E’ la verità! E’ stato Aaron a dircelo.-  ribatté Tony. –Aaron? E voi vi fidate di lui? Con tutto il rispetto, ma anche se è il mio fratellastro non ci credo.- -Ziva, ma non hai notato lo sguardo di Rachel? E’ identico a quello di  Ari! E la sua carnagione? E’ più scura di quella degli altri americani. E’ più simile alla tua!- provò a farla ragionare. –No, non è vero! E anche se fosse vero, io non potrei mai… Io l’ho resa orfana Tony! Allora sono io la causa di tutto!- si disperò lei. Tony l’abbracciò. –Non è colpa tua. Ti prego, non devi pensarlo. Non puoi torturarti per sempre. Hai dovuto fare una scelta. E per me hai fatto quella giusta.- disse lui. –No Tony. Io sono sicura che ci sarebbe potuto essere un altro modo. Io non ero venuta qui per ucciderlo. Io volevo salvarlo. Per me lui era il mio fratellone innocente. Ho sbagliato, due volte. La prima, credendo che non fosse colpevole, la seconda uccidendolo.- si avvilì Ziva. Tony la strinse nuovamente in un abbraccio. Le lacrime dell’israeliana gli bagnarono tutta la camicia, ma lui non se ne curò. –Sai, a volte penso che se c’è Qualcuno lassù, beh, allora si divertirà veramente molto.- -In che senso?- domandò lei. –Non è curioso? Ora tu hai Rachel. Tu hai una nuova possibilità. Una seconda chance! E devi solo esserne felice.- esclamò lui. Ziva si staccò dall’abbraccio di DiNozzo. –domani chiamerò Jenna. E’ ancora all’estero, non le hanno neanche permesso di ritornare per il funerale. Ma appena sarà qui, i ragazzi li prenderà lei. D’altronde era la fidanzata di Jamie.- ragionò lei. Tony le prese la mano. –Tutti abbiamo paura di affrontare il nostro passato. Ma finché non lo facciamo questo tornerà sempre e non ci farà mai vivere appieno il presente. E senza presente non ci sarà mai un futuro.- sussurrò Tony. Ziva fissava il vuoto, sconvolta. –Io… Mi sento di troppo. Forse è meglio che vada.- disse DiNozzo. –Hai detto che dobbiamo affrontare il nostro passato. Beh, allora voglio fare una cosa che ho sempre desiderato fare, fin dal primo giorno che ti ho visto.- mormorò la donna, riportandolo sul divano. –C-cosa?- balbettò lui. –Questo.- bisbiglio Ziva, avvicinandosi al suo volto. Tony capì. Avrebbe voluto fermarla, dirle che forse non era il momento. Avrebbe dovuto. Invece si sporse verso l’israeliana. Le labbra dei due agenti dell’NCIS si incontrarono, desiderose, vogliose, costrette a stare lontano per troppo tempo. I loro respiri diventarono sempre più irregolari. Ormai non erano più amici, sempre che lo fossero mai stati. I loro corpi volevano di più. Loro volevano di più. Fecero l’amore per la prima volta, come se potesse essere stata l’ultima. E Ziva capì che le seconde possibilità esistono davvero. –Tony.- lo chiamò, piano. –Sì?- rispose lui. –Sai, se esiste Qualcuno lassù, penso che sia un grande.- bisbigliò. –Perché?- chiese DiNozzo. –Perché sa esattamente quando non dobbiamo stare soli e sentirci abbandonati.-. Ziva aveva capito anche questo: non si è mai soli. E non si è mai abbandonati.

Angolo dell'Autrice

Vi prego, non uccidetemi! Lo so, è corto, ma mi sembrava superfluo scrivere di più, anche se nel progetto originale doveva esserci un altro pezzetto.
Beh, allora, che ne dite? Ho combinato un casino o vi piace? Siate sinceri, vi prego! E commentate in tanti. Lo scorso capitolo siamo arrivati a ben SEI recensioni! Quindi grazie di cuore a:
  • AleTiva95
  • gaia1986
  • Meggie90
  • Anny_97
  • VooJDee
  • scrittriceincanna
Il capitolo è dedicato a voi! Un grazie anche a chi h inserito la storia nelle seguite o nelle preferite e a chi legge e basta! Siete anche voi che mi spingete ad andare avanti. 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10
Alex fu svegliata da un fascio di luce: Ziva aveva aperto gli scuri. –Dai, su. Svegliatevi. Oggi dobbiamo… Cioè…- -Sì c’è il funerale di papà, lo so.- concluse la quindicenne. –Sì. Prepara per bene Mitch.- si raccomandò l’israeliana. Scese in sala. Tony era andato a casa sua, per prepararsi per la cerimonia. Sarebbe passato a prenderli di lì a poco. Quella notte l’avevano passata insieme per la prima volta e lei si era accorta di poter provare anche amore verso gli altri. –Ziva.-. La donna si voltò. –Rachel, che c’è?- chiese. –Io… Io vorrei chiederti un favore.- -Tutto quello che vuoi.- affermò. –Prima del funerale di Jamie io vorrei passare a salutare mia mamma.-. Ziva restò di stucco. –Ti prego. Ne ho bisogno. E’ da quando è morta che non vado più a trovarla. Non ne ho mai avuto il coraggio.- supplicò la diciassettenne. –E va bene. Chiamo Tony e gli dico di venire a prenderci subito.- propose Ziva. –Non serve. Il cimitero non è lontano, si può raggiungere anche a piedi.-. L’israeliana annuì. Avvertì Alex e Mitch che sarebbe uscita con Rachel e si avviò con lei al cimitero. Arrivarono alla lapide di Helen. –Io… Vorrei stare un po’ da sola.- chiese la ragazzina. L’agente dell’NCIS si allontanò, permettendole di avere più intimità possibile.
Rachel se ne stava davanti alla tomba di sua madre. Tremava. Tremava perché era da troppo tempo che non andava lì. Era da troppo tempo che fingeva. Fingeva non le importasse nulla. Teneva un fogliettino in mano, una lettera che sua madre le aveva scritto poco prima del matrimonio con Jamie. La teneva chiusa nel suo pugno, come per non permettere al vento di portarsela via. Iniziò a ricordare tutti i momenti che aveva passato con sua mamma. Fin da piccolina le chiedeva continuamente dov’era il papà. E Helen le sapeva solo ripetere che lui non poteva stare con loro, ma che la pensava spesso. Rachel aveva sempre fantasticato su suo padre. Se lo immaginava alto, muscoloso e pronto a proteggerla. Tutti gli eroi delle fiabe che sua mamma le raccontava lei li associava alla figura immaginaria di suo papà.
Lei e sua madre viaggiavano molto. Helen era marine e spesso erano costrette a cambiare casa. Quando la mamma doveva partire per qualche missione la affidava ai vicini. Non avevano parenti e Rachel aveva imparato a fare la brava. I suoi vicini preferiti erano stati i signori Brownlow. Erano due vecchietti simpatici che le raccontavano sempre un sacco di storie avventurose. Mentre quelli che aveva odiato di più erano i signori Callister. Erano stati loro a chiamare i servizi sociali. Era tutto accaduto così in fretta. Aveva dodici anni. Si ricordava ancora le urla di sua madre che, disperata, continuava a gridarle:-Non sarai mai sola! Io sono la mamma!-. Quelle grida di disperazione le rimbombavano continuamente nella testa. Era da sette anni che c’erano e da sette anni non se n’erano più andate. E quelle grida l’accompagnarono nell’istituto dove visse per tre anni. Tre anni della sua vita in un posto in cui nessuno ti racconta più fiabe, nessuno ti coccola e nessuno ti parla di pirati e isole misteriose. Un posto in cui sei solo un numero, uno dei tanti bambini che gridano, giocano, mangiano e dormono. Rachel, in un primo momento, odiò suo madre. Pensava che l’avesse abbandonata per sempre. Poi iniziò a dare la colpa a sé stessa. In fin dei conti, se sua madre l’aveva messa in un istituto doveva avere qualche buon motivo, no? Fu l’incontro con Naomi a tenerla viva. Lei era lì da più tempo. Rachel l’aveva trovata una ragazzina simpatica. Uscirono dall’istituto lo stesso giorno. Naomi tornò dalla sua famiglia, mentre Rachel trovò una brutta sorpresa: sua madre era in compagnia di un uomo che lei non aveva mai visto e di due bambini, un maschio e una femmina. Sua madre le aveva detto che il signore si chiamava Jamie e che i due bambini si chiamavano Alexandra e Mitch. Rachel ricordava il colpo al cuore che ebbe quel giorno. E quando vide l’anello al dito di sua mamma  capì subito che non erano solo amici. Si incamminarono verso una grande casa, accogliente. Ma a lei non piaceva. Lei voleva la sua casa. E voleva soprattutto sua mamma. E quei tre estranei erano degli intrusi, qualcuno che voleva mettersi in mezzo a una figlia e a sua madre. Alexandra, in particolare, non riusciva proprio a reggerla: si comportava gentilmente con lei, ma Rachel pensava continuamente che potesse celarsi un doppio fine dietro al suo atteggiamento. Ma non era colpa della ragazzina: era lei che era stata abituata ad aspettarsi sempre qualche doppio fine. Quando si finisce in istituti come quello in cui era stata lei  quello era l’unico modo per sopravvivere. Mitch, invece, le piaceva come fratellastro. Era un bravo bambino, gentile e buono. E poi c’era lui, Jamie. Per Rachel era solo uno che voleva farle da padre, pur non essendolo. E la cosa la infastidiva alquanto. Jamie non era suo papà, non aveva il diritto di intromettersi nei suoi affari. Per fortuna non aveva perso i contatti con Naomi. Le due erano perfino finite in classe insieme. E Naomi le aveva presentato i suoi amici, tra cui c’era Luke. Rachel si era fidanzata con lui poco tempo dopo, ma ovviamente a Jamie non andava bene. E l’uomo aveva convinto anche sua madre che la relazione tra i due andava ostacolata. E, col senno di poi, avevano ragione. Luke e Naomi l’avevano coinvolta in un brutto giro di droga, violenza e furti. Rachel si era sempre tenuta fuori il più possibile, in modo da non finire in galera. Quanta gente aveva visto andarsene per delle stupide lotte tra bande. Eppure non aveva mai cercato di uscirne. Non voleva. Per lei la sua banda era la sua vera famiglia. Odiava sua madre e ogni giorno che il matrimonio tra lei e Jamie si avvicinava la detestava sempre di più. Tuttavia fu proprio Helen a stupirla. Il giorno prima del matrimonio trovò una lettera da parte sua sul cuscino. Quando la lesse riuscì quasi ad accettare che sua mamma si sposasse. Fu una cerimonia lunga e molto intensa.
La vita andò avanti per quattro mesi tranquilla. Tutto cambiò quel dannato martedì. Alex stava ascoltando la musica e Mitch stava disegnando. Jamie era al lavoro. Rachel non poté mai scordare la faccia del poliziotto che annunciò l’incidente stradale di sua madre. Una macchina l’aveva travolta e non si era neanche fermata. Helen era in condizioni critiche in ospedale. Rachel fece appena in tempo a salutarla, un’ultima volta. Si ricordava ancora la madre sul lettino bianco dell’ospedale con la maschera d’ossigeno a coprirle il volto e gli occhi che si chiudevano. Si ricordava ancora di come Jamie piangesse davanti al corpo della sua seconda moglie e della marea di gente che si presentò al funerale. Quella fu l’ultima volta che andò sulla tomba di sua madre. –Mi dispiace, mamma. Ti voglio bene.- sussurrò Rachel.
-Ehi, dobbiamo andare.-. La voce di Ziva ridestò la ragazzina dai suoi pensieri.  –Sì, arrivo. Tu parti, ti raggiungo.- dichiarò. L’israeliana annuì e si incamminò. Rachel diede un’ultima occhiata alla tomba della madre. Aprì il pugno. Il vento sospinse lontano la lettera che Helen aveva scritto per lei. La ragazzina corse verso Ziva, senza voltarsi.
Da qualche parte, in mezzo a un prato, un foglio di carta stropicciato giaceva sull’erba. L’ultima frase diceva:
Non sarai mai sola. Se mai ti sentirai abbandonata, io non ti lascerò cadere. Mai.
Mamma.”

Angolo dell'Autrice

Vi lascio questo capitolo prima di partire per il mare. Non aggiornerò per minimo due settimane, mi dispiace molto anche a me, ma dove vado non ci sarà internet :(
Perciò vi lascio questo capitolo, totalmente incentrato, come avrete capito, su Rachel e il suo passato. Spero che vi piaccia. Confesso che ce l'ho in testa da molto tempo. Mi è venuta in mente una mattina, in autobus, mentre ascoltavo "Never Gonna Be Alone" dei Nickelback. Vi consiglio di ascoltarla mentre leggete. Tra l'altro, la frase della lettera è tratta dal ritornello. Ecco il link del video:
http://www.youtube.com/watch?v=1GWQ-oDMG6g
Ringrazio di cuore:
  • Meggie90
  • Aletiva95
  • scrittriceincanna
  • Anny_97
che recensiscono sempre tutti i capitoli! Grazie mille :)
Un grazie anche a chi ha inserito la storia nelle seguite o nelle preferite e a chi legge e basta. Ricordate: non è mai troppo tardi per recensire :)
Bene, io vi lascio!
Buone vacanze e buona lettura!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11 
Per Ziva il funerale era stato straziante. Perfino lei aveva pianto vedendo il dolore dei tre ragazzi. –Tutto a posto?- chiese Abby. L’israeliana era andata nel suo laboratorio. Aveva voglia di parlare e la forense era stata l’unica persona che le era venuta in mente. –Tra poco verrà Jenna a prendere i ragazzi.- rispose. –Capisco. E loro che  ne pensano?- -Non lo sanno. Ma io non riesco a guardare Rachel negli occhi. Vedo ogni volta il riflesso di Ari nel suo viso. E poi, non posso ospitarli in casa mia. Non ne sono in grado.-. Abby le prese le mani fra le sue. –Sai, è normale avere paura. Ma non ti devi sentire bloccata. Anche con Tony, devi confessargli quello che provi.-. Ziva le aveva raccontato quello che era successo tra lei e DiNozzo e Abby aveva gioito come una pazza. –Il punto non è solo la paura. E’ una cosa troppo grossa. Mio fratello è morto.- affermò.  La forense sospirò. –Senti, io non so come è morto. Ma posso solo dirti che non va sempre tutto come vogliamo noi. E meno male. Noi possiamo solo accettare le cose e trovarci qualche significato oppure torturarci addossandoci la colpa per tutto. Ziva, non possiamo salvare tutti.-. L’israeliana abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello così fermo e convinto di Abby. McGee sopraggiunse. –Mi dispiace interrompere qualcosa, ma è arrivata Jenna.- annunciò. –Arrivo subito McGee.- rispose Ziva. Poi, girandosi verso Abby le disse:-Grazie. Sei un’ottima amica.-. La forense le fece cenno di andare, così l’ex agente del Mossad seguì Tim. Jenna Randall era una donna sui trentacinque anni, alta, bionda e con gli occhi verdi, dai modi di fare leggermente altezzosi. –Ziva, si può sapere perché lei è venuta qui dicendo che dobbiamo andare a casa sua?- chiese Alexandra. –Perché io… Voi avete bisogno di qualcuno che si occupi di voi. E quella persona è Jenna.- rispose la donna. –No, per niente! Noi ci troviamo bene con te!- ribatté Alex. –Vi troverete benissimo anche con lei.- dichiarò Ziva. –Aspetta un attimo. Tu ci stai… Tu ci stai scaricando!- esclamò Rachel. –Non è vero!- -Sì, certo. Ma è ovvio. Prima ti fanno i bei discorsi e poi ti lasciano al primo che capita. Sei una stronza, lo sai?-. Quelle parole ferirono Ziva a tal punto da farle scendere due grosse lacrime. –Un giorno capirai. E spero che quel giorno arrivi il più tardi possibile.- mormorò tra i singhiozzi, prima di andarsene via. Gibbs si avvicinò a Jenna e ai ragazzi. –Beh, signora Randall, sono tutti suoi. Le auguro il meglio.- disse, stringendole la mano. –Tony, tu e Ziva verrete a prenderci dopo, vero?- chiese Mitch. DiNozzo sospirò. –Io… Cioè…- -No, Mitch. Non verranno. Il loro mestiere è scaricare le persone, non lo vedi? Andiamo.-. Gibbs, McGee e DiNozzo si guardarono e ognuno dei tre capì che stavano, probabilmente, facendo  la cosa sbagliata. Tuttavia era ormai troppo tardi per i ripensamenti. L’agente più anziano guardò Jenna e i tre ragazzi che se ne andavano. E, doveva ammetterlo, gli sarebbero mancati.
-Non sto piangendo.- affermò Ziva a Gibbs, accorgendosi che l’uomo era entrata in bagno e l’aveva vista in lacrime. –No, lo so. Ti sei solo bagnata con l’acqua.- disse l’agente dell’NCIS. –Io… Ho avuto paura. Paura della realtà. Io l’ho ucciso. Io ho privato mia nipote di suo padre.- -Ma mi hai salvato la vita.- la interruppe Gibbs. –E di questo te ne sarò grato, per sempre.- continuò. –Sai, di solito non mi va di dispensare consigli di vita, ma Dio, io penso che tu ti stia torturando davvero. Ziva, tu devi andare avanti.- -Ho sbagliato a chiamare Jenna. Ma…- -Non c’è “ma” che tenga. Vedi, non seguo mai quello che dice DiNozzo, ma stavolta aveva ragione: Rachel poteva essere la tua seconda possibilità-. Ziva sospirò. –E se fosse stata solo una coincidenza?- -Regola 14: “Mai credere alle coincidenze”. Sai, non sono uno di quelli che si ammazza cercando un significato a tutto, ma sono un essere umano anche io. E l’ultima cosa che penso è che l’entrata di Rachel nella tua vita sia stata una coincidenza.-. L’israeliana si soffiò il naso con la carta igienica. –Ziva, quella era…- -Sì, lo so. Ho sbagliato. Ancora.- ribatté la donna. –Io ammiro una cosa di te: ne hai viste tantissime, eppure sei sempre risalita in sella e hai ricominciato a cavalcare. Sei molto forte. Però a volte è come se non ti accorgessi delle opportunità che ti vengono date. E io ho un’altra regola, la numero 8: Mai dare…- -Nulla per scontato. Lo so. Grazie capo, ora so cosa fare.-. Ziva si sistemò la faccia e uscì dal bagno. Gibbs la osservò allontanarsi col sorriso stampato in volto.
Rachel guardava fuori dalla finestra della sua nuova casa. Era arrabbiata, ma non solo. Si sentiva maledettamente inquieta. Quell’ultima frase di Ziva l’aveva angosciata molto. “Un giorno capirai. E spero che quel giorno arrivi il più tardi possibile.”. La ragazzina si interrogava sul significato di ciò che l’israeliana le aveva detto. E, in quel momento, provò a fare una cosa che non faceva da moltissimo tempo: volò con la fantasia, cercando di immaginarsi suo padre. E, per la prima volta, si rese conto che nonostante tutti i suoi sforzi l’unica figura che riusciva ad accostare all’idea di padre era Jamie. Capì che, alla fine, era stato lui l’unica a crescerla e a curarsene. –Rachel!- la chiamò Mitch. –Che c’è piccolo?- chiese la diciassettenne. –Sei ancora arrabbiata con papà?- domandò il bimbo. –No.-. Mitch andò a sedersi in braccio alla ragazza. –Ma papà dov’è ora? E’ andato in cielo? Perché Mark, un mio compagno, mi ha detto che ora è sotto terra, in una tomba buia e fredda. Ma non voglio che sia in un posto così brutto.-. Rachel sorrise al bambino, carezzandogli dolcemente i capelli. –Papà ora è in cielo, dietro a quelle nuvole. Sta giocando a nascondino con mia mamma e tua mamma e, nel frattempo, ci osserva e guarda se va tutto bene. Robe da papà.-. Mitch l’abbracciò. La diciassettenne si voltò. Alex la stava guardando. Sorrideva e Rachel poté giurare di averle visto gli occhi lucidi.
Tony era a casa. Non sapeva che cosa pensare. Lui e Ziva avevano passato un’intera notte insieme, tuttavia la donna si era comportata come se non fosse successo nulla. Si stava guardando un film con Mel Gibson, tanto per rilassarsi. Sentì bussare alla porta. Un po’ controvoglia stoppò il film e andò ad aprire. –Ziva? Che ci fai tu qui?-. L’israeliana rispose:-Tony, ho sbagliato. Io dovevo dirti una cosa importantissima.- -Cosa?- chiese DiNozzo. –Io ti amo.-. Ziva scattò verso Tony e lo baciò. –Vuoi sapere la cosa buffa? Anche io.- dichiarò lui. Poi aggiunse:-Risolveremo tutto, insieme.-. Ziva gli sorrise e ricominciò a baciarlo, più appassionatamente di prima.
Gibbs stava intagliando il legno. Saranno state le due di notte. Il cellulare vibrò. Jethro lo prese. Era un messaggio di Ziva. “Regola numero 9: è meglio cercare il perdono che chiedere il permesso. E poi ne ho inventata una mia: Regola numero 1: a volte la tua famiglia non è quella di cui porti il cognome.”. Gibbs sorrise. Posò lo sguardo su una foto, ritraente lui, sua figlia Kelly e sua moglie Shannon. “E’ bello essere padre.” Pensò tra sé e sé mentre riprendeva a intagliare il legno. 

Angolo dell'Autrice

Ve l'avevo promesso che avrei pubblicato e ora l'ho fatto! E' un capitolo molto introspettivo e di passaggio, spero vi piaccia. L'ho scritto in pochissimo tempo da quanto ero coinvolta, quindi spero lo gradiate ;)
E' di passaggio e serve come introduzione a ciò che succederà dopo. Vi consiglio di leggerlo con "Murder Of One" dei Counting Crows, penso c'entri :)
Ecco il link:
http://www.youtube.com/watch?v=5ePfsdr94ow

Ringrazio:
  • AleTiva95
  • Scrittriceincanna
  • Anny97
che hanno recensito lo scorso capitolo! E poi anche chi ha inserito la storia nelle seguite e/o nelle preferite! Ci terrei ad avere anche la vostra opinione!
Bene! Buona lettura, alla prossima :)

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12
Quando Gibbs arrivò a casa di Jenna Randall si trovò davanti uno spettacolo raccapricciante: la donna era stesa, a terra, in un lago di sangue, mentre ovunque vi erano tracce di lotta e di sangue. Fortunatamente la donna era stata trovata viva, mentre dei ragazzi non vi era nessuna traccia. Jenna fu portata in ospedale e Jethro iniziò a perquisire la casa, in cerca di qualcosa. O di qualcuno. Già, perché Gibbs sperava con tutta l’anima di poter ritrovare i tre ragazzini. E invece erano spariti. –Capo, Ziva si sta piombando qui. Che faccio?- chiese Tony. Jethro si guardò intorno, poi sospirò. No, non era opportuno che lei vedesse tutto quello. –Bloccala e non farla entrare. E poi informala che non potrà continuare le indagini. E’ troppo coinvolta emotivamente.- rispose. –Ma, capo, perché non glielo dice lei? Insomma, Ziva tira dei calci molto potenti e…- -DiNozzo, non obiettare! Non è il momento!- lo rimproverò Gibbs. Tony chinò il capo e si avviò a testa bassa verso la porta. La aprì e uscì fuori in giardino. La sua ninja era già arrivata e stava lottando con gli altri membri dell’NCIS addetti al blocco. –Lasciate stare ragazzi, ci penso io.- affermò ai due agenti. Ziva superò il nastro che delimitava la casa e si gettò tra le braccia dell’uomo. –Tony, che è successo?- mormorò. –Hanno preso i ragazzi, Zee. Ma Jenna è ancora viva, per fortuna.-. L’israeliana scoppiò a piangere. Era stata colpa sua. Se solo non fosse stata così codarda e avesse avuto il coraggio di guardare in faccia la realtà! Ora non li avrebbe mai più rivisti. –Ziva, calmati.- le sussurrò dolcemente Tony. –Dobbiamo trovarli! Non possono essere lontani, bisogna salire subito in macchina e…-. La donna si bloccò. DiNozzo la scrutava, immobile. –Che c’è?- gli domandò. –Gibbs mi ha detto di informarti che tu… Sì insomma che tu… Che tu sei fuori. Non potrai partecipare a queste indagini. Mi dispiace.-. Ziva ebbe la sensazione di ricevere un grosso pugno nello stomaco. Rimase ferma, inerme, per circa trenta secondi, poi urlò:-No! Io devo trovarli! Io devo trovarli! Devo trovarli!-. Tony si avventò su di lei e la abbracciò, con tutta la tenerezza possibile, sussurrandole parole di conforto. Non l’aveva mai vista in quello stato. E avrebbe preferito non doverlo mai fare. –Zee, vedrai, andrà tutto bene. Ci sono io con te. Tranquilla.- le bisbigliò. Piano piano la donna si calmò, anche se continuava a singhiozzare. –Ora ti accompagno a casa mia. Ti va?- le propose. Ziva annuì e salì in macchina, in silenzio. Tony la seguì e, mettendo in moto il veicolo, guidò fino a casa sua. Una volta arrivati la fece accomodare sul divano. –Ti va un film?- le chiese. –Sì. Ho voglia di vedere Hercules.- rispose lei. –Il cartone animato?- domandò, scettico. –Sì, quello. Era il preferito di Mitch.- spiegò Ziva. –Ora vedo se ce l’ho. Ho dei film d’animazione, in caso venga a trovarmi qualche amico con dei bambini piccoli.- disse mentre cercava ciò che Ziva aveva chiesto. –Eccolo! Allora lo faccio partire, va bene?- chiese. La donna annuì lentamente, così lui schiacciò il tasto play sul telecomando e fece cominciare il cartone. Si voltò verso l’israeliana e la baciò, ma lei rispose freddamente. –Scusami. E’ che io…- -Tranquilla, lo so.- le sussurrò. Si erano rimessi a guardare il film, quando sentirono bussare alla porta. Tony si alzò e andò ad aprire, trovandosi davanti, con grande sorpresa, ad un Mitch spaventatissimo e piuttosto malmesso. –Mitch! Entra, presto!- esclamò. Poi, prendendolo in braccio, lo portò a Ziva. –Mitch! Vieni qui, piccolo. Sei tutto bagnato e sporco di…- la donna non riuscì più a parlare: il bambino era tutto sporco di sangue. Fu Tony a prendere in mano la situazione:-Vieni, ti porto a lavare.- -La so fare da solo la doccia.- affermò il bimbo. –Va bene. Però ti accompagno.-. DiNozzo accompagnò il piccolo alla doccia, poi, dopo aver osservato se il bambino fosse effettivamente ferito ritornò da Ziva. –Bisogna chiamare Gibbs. Comunque quel sangue non è suo.- -E di chi è?- trovò la forza di chiedere Ziva. –Questo non lo so. E lui non mi ha detto niente. Ha solo iniziato a piangere e poi l’ho convinto a lavarsi.-. Ziva non sapeva se doveva essere sollevata per aver trovato Mitch o angosciata per non avere notizie su Alexandra e Rachel. Fu ridestata dal rumore del campanello. Aprirono: era Gibbs con McGee. –Dov’è Mitch?- chiese Jethro. –Si sta lavando, capo. Questi sono i suoi vestiti.- disse Tony, porgendo gli abiti del bambino a McGee. –Ma sono tutti sporchi di sangue!- protestò Tim. –Non è suo.- affermò Ziva. –Abbiamo fatto un grave errore. Non dovevamo lasciare Rachel incustodita.- dichiarò Gibbs. –Hanno ucciso Forrester e Jamie perché cercavano lei.- osservò Ziva. Ormai la donna era sull’orlo di una crisi. –E Jenna? Come sta?- chiese. –Sta bene. Ora andrò ad interrogarla. Ma prima voglio salutare Mitch e accertarmi che stia bene.- rispose Gibbs. Il bambino entrò in sala e andò verso Ziva. Indossava uno dei pigiami di Tony risultando quindi abbastanza buffo: il pigiama gli andava larghissimo. Jethro si accovacciò davanti a lui. –Ciao piccolo. Come stai?- -Voglio le mie sorelle. I tipi cattivi le hanno portate via.-. Gli agenti dell’NCIS si guardarono fra loro: Mitch aveva visto tutto. –Chi sono gli uomini cattivi? Li hai visti?- chiese Tony, con la maggior delicatezza possibile. –Erano tutti mascherati. Rachel lo sapeva che Jenna non era buona per papà.-. Ziva gli prese dolcemente le spalle. –Che cosa c’entra Jenna?- gli domandò.
-Signora Randall, c’è l’agente Gibbs.- disse l’infermiere. –Sì, va bene. Oh, agente! Come sta?- lo salutò. –Non sono io quello in ospedale.- rispose lui. –Sa, abbiamo trovato Mitch.- affermò Jethro. –Oh, davvero? Fantastico!- dichiarò Jenna. –Signora Randall, sappia che lei è in arresto per terrorismo, rapimento e omicidio. Ora può solo darmi una mano a trovare le due ragazze.- -Mai!- sibilò la donna. –Bene. Però sa, penso che così la pena non le sarà ridotta.-. I due iniziarono una lotta di sguardi che parve interminabile. –E va bene. Le stanno portando a Tel Aviv.- -Perché?- chiese Gibbs. –Rachel da qualche parte ha i codici di lancio per due testate nucleari. Mi capisce se le dico che i soldi che girano non sono pochi, vero?-. Jethro rimase in silenzio: non voleva neanche pensare a cosa gli sarebbe potuto uscire dalla bocca. –Domani lei sarà dimessa e andrà in galera. Non so quanti soldi potrà godersi lì dentro.- affermò Gibbs, uscendo dalla stanza. Era tempo di agire e dovevano farlo subito: era proprio il tempo che mancava.

Angolo dell'Autrice

Allora, nonostante la bruttissima notizia, io non mollo! La storia mi piace e non sarà Cote a impedirmi di scriverla. Chissà, magari la legge e cambia idea ;)
Non saprei neanche io che dire. Di sicuro avrà avuto i suoi buoni motivi, che secondo me non sapremo mai. Insomma, non sono una di quelle che crede alla prima versione dei fatti e spero che non sia solo una mera questione di soldi. L'importante è che non facciano un finale da schifo alla Kate, sennò dò fuoco alla CBS!
Detto questo, passiamo al capitolo: che ne pensate? Dai prossimi inizia l'azione. E, vi assicuro, i prossimi saranno capitoli col botto (un po' in tutti i sensi XD).
Ringrazio:
  • AleTiva95
  • Scrittriceincanna
  • Meggie90
Per le recensioni allo scorso capitolo. Poi meritano un ringraziamento anche tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, ricordate o preferite. Mi piacerebbe quache vostra recensionina. Ricordate: Io non mordo :)
Bene, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ciao ciao! :)

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
CAPITOLO 13
Rachel si risvegliò. Era in un luogo buio e cupo. Si accorse di essere legata sia alle mani che ai piedi con del nastro adesivo. Accanto a lei c’era Alex,  ancora svenuta. Provò a liberarsi dello scotch, ma non ce la fece. Udì dei passi. Forse erano venute a liberarle. Ma, quando da una porticina entrò Aaron la speranza le morì in corpo. –Ciao Rachel. Come va?-. La ragazzina non rispose, impaurita. –Oh, scusami. Dimenticavo che hai fatto un viaggio in cui sei stata perennemente in stato di incoscienza.- osservò lui. –Brutto porco! Perché ci hai portate qui?- urlò Rachel. Aaron stava per aprire la bocca, quando anche Alexandra riprese conoscenza. –Oh, bene. Anche la sorellina si è ripresa.- ridacchiò l’uomo. –D-dove sono?- chiese la ragazzina. –Beh, sei nel luogo in cui Rachel è nata.- spiegò Aaron. La quindicenne realizzò chi aveva di fronte e si avvicinò alla sorellastra. –Che cosa intendi dire?- domandò Rachel. L’israeliano si passò una mano sul volto. –Ma tu lo sai chi sei veramente? Tu lo sai chi è tuo padre?- -Vaffanculo!- rispose Rachel, sputandogli addosso. –Brutta mocciosa di merda! Se non fossi tuo zio ti avrei già fatto fuori!-. La diciassettenne alzò lo sguardo. –M-m-mio zio?- balbettò. –Già. Ti interessa adesso, eh?-. La ragazzina annuì, così Aaron iniziò a raccontare:-Beh, quando i miei genitori morirono Eli David mi prese con sé. Vedi, lui è il direttore del Mossad ed è il padre di Ziva.- -Quindi tu e Ziva siete… Fratellastri?- chiese Alex. –Già. Ma non solo. Ziva aveva un fratellastro, Ari Haswari. Vedi, lui lavorava per il Mossad, ma non solo. Era un doppiogiochista, un terrorista e un altro bel po’ di cose che terminano in –ista. Tua madre, invece, era una bellissima marine. Si innamorarono e, lo sai com’è, la relazione era difficile, gli ostacoli erano molti e puf! Guarda un po’ sei spuntata fuori tu!-. Rachel non sapeva se lasciarlo proseguire o no. Non pensava che stesse mentendo, anche se avrebbe voluto. Suo padre l’aveva immaginato sempre come un eroe, invece aveva appena scoperto che era un criminale. Aaron continuò:-Beh, vedi, quando i suoi superiori hanno scoperto la relazione l’hanno rispedita negli USA, insieme a te. Ari rimase turbato da quella partenza, tuttavia scrisse ogni settimana una lettera che io dovevo poi inviarvi.- -Ma io non ho mai ricevuto alcuna lettera!- esclamò Rachel. Aaron sghignazzò. –Beh, ovvio. Non ne ho mai spedita una. Mai! Perché dovevo? Beh, fatto sta che tuo padre era anche un ladro e tempo prima aveva rubato due testate nucleari che, per essere attivate, necessitavano di un codice. Ma quel bastardo di tuo padre lo affidò a Helen! Capisci il mio sgomento quando, per riuscire a vendere le testate, scoprii di non poter accedere ai codici di attivazione? Fu così che, una volta rintracciata, la investii. Sapevo che custodiva il codice in un ciondolo che Ari le aveva dato prima della sua partenza!-. Alex guardava Rachel, sbigottita. Non poteva credere che la sua sorellastra avesse avuto una storia così complicata. –E… Mio padre… Mio padre che fine ha fatto?- chiese la diciassettenne, fra le lacrime. Aaron sospirò. Si aspettava una domanda come quella. –Vedi, Ari ha avuto la pessima idea di andare negli Stati Uniti. Si scontrò con l’NCIS e suo padre mandò l’altra sua figlia, Ziva, ad ucciderlo. Povera, piccola, Zivuccia. Lei voleva solo salvarlo. E invece ha dovuto scegliere: o tuo padre o Gibbs. E credo tu sappia cosa tua zia abbia scelto. Oh, sì, perché anche lei è tua zia.-. Rachel non aveva la forza di piangere, né di urlare. Avrebbe voluto, ma proprio non ci riusciva. Sentiva solo freddo, tanto freddo. E soprattutto si sentiva svuotata di ogni, singola, certezza. Ziva, Ari, sua madre, Gibbs. Non sapeva più nulla. Non sapeva più chi le voleva bene veramente. Non sapeva più chi era.
L’agente Lee era andato ad accompagnare Ziva a prendere dei vestiti puliti. Poi sarebbero andati da Tony. –Mi raccomando agente David, faccia presto.- disse. –Certo, non ti preoccupare, Lee. Dai, se controlli bene se i miei calzini sono appaiati forse Gibbs ti farà entrare nella squadra.- lo prese in giro lei. Poi Ziva entrò in casa e si chiuse in camera sua. Prese la valigia e la riempi con dei vestiti sportivi e una tuta mimetica. Poi tirò fuori il suo vecchio distintivo del Mossad e dei passaporti falsi. Infine prese delle armi che aveva nascosto sotto un’asse del pavimento. Sentì bussare. –Signorina David, ha fatto?- chiese Lee. –Sì, ho quasi finito. Un attimo.- rispose lei. Lee si tranquillizzò e si appoggiò con la schiena alla porta. Continuò ad attendere per altri dieci minuti, poi ribussò. –Agente David? E’ pronta?-. Silenzio. –Agente David?-. Silenzio. Lee aprì la porta, trovandosi di fronte la finestra aperta e la camera vuota. –Cazzo!- esclamò l’agente.
-Cosa diamine vuol dire che hai perso l’agente David?- chiese Gibbs. –Io… Lei è entrata in camera e mi ha detto di aspettare. Poi sono entrato e non c’era più.-. Jethro provò a non strozzarlo e, con grossa fatica, ci riuscì. –Lee, sei un… No, lascia stare. Vai via. Sparisci dalla mia vista. Per il tuo bene.- disse Gibbs. Jethro sferrò un pugno al muro. –Trovatela!- ordinò. –Capo, dove può essere andata?- chiese McGee. –A Tel Aviv.- rispose Tony. –Penso che sia andata lì, a liberare Rachel e Alex. O a uccidere chi l’ha presa.-. Gibbs prese immediatamente la pistola. –Andremo a Tel Aviv anche noi. Subito.-.

Angolo dell'Autrice

E' corto, ma non penso che si potesse scrivere di più. Allora, ve l'aspettavate di Aaron? E Rachel? Riuscirà a perdonare Ziva, cioè, sua zia? E la squadra? Riuscirà a trovare l'israeliana? E Ziva riuscirà a salvare Rachel e Alex? Si accettano previsioni!
Grazie a
  • AleTiva95
  • Anny_97
  • Scrittriceincanna
per le recensioni! Grazie :)
Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14
Ziva inspirò a pieni polmoni. Casa. Era a casa. Doveva ammetterlo: le era mancata. Le sembrava strano esserci ritornata. Si sentiva quasi un’estranea. Ripensò per un momento alla squadra. Povero Lee, l’aveva messo nei casini. Ma Rachel e Alex erano più importanti di qualsiasi cosa, perfino della carriera di un agente. O di lui. Sì, di Tony. Le due ragazzine erano più importanti di Tony. Se n’era andata così, senza nemmeno avvisarlo, senza nemmeno salutarlo. Ma proprio perché sapeva che, altrimenti, non l’avrebbe mai fatta partire. Stava pensando a tutto questo, quando vide qualcosa. Anzi, per la precisione, vide qualcuno: una persona di cui non aveva più notizie da quando si era trasferita negli Stati Uniti. Si stava dirigendo ad un bar. La seguì, attenta a non farsi notare. La ragazza entrò nel locale dal retro. Fu allora che sentì una pressione sulla schiena e udì una voce familiare intimarle:-Non urlare e voltati lentamente.-. Lei ubbidì e subito un grosso sorriso comparve sul suo volto. –Ziva!- esclamò, buttandosi al collo dell’agente. –Rivka! Quanto tempo! Come stai?- le chiese. –Io sto benissimo. Ma tu, che diamine ci fai qui? Pensavo ti fossi trasferita a Washington!- constatò la ragazza. –Io… E’ una storia lunga. Diciamo che… Ho scoperto che Ari aveva una figlia.- spiegò Ziva. Rivka guardò in basso. –Che c’è?- le chiese l’agente dell’NCIS. –Io… Mi dispiace. Davvero, perdonami!- iniziò a piagnucolare l’altra. Ziva le alzò il mento con l’indice. –Aspetta… Vorresti dirmi che tu… Tu sapevi?- esclamò, stizzita. –Me lo disse Ari stesso. Ma quando seppi che la madre era quella marine, io… Non volevo farti soffrire, Ziva. Ti prego, perdonami! Perdonami!- pianse Rivka, stringendosi forte all’amica. Ziva le accarezzò piano la testa e le diede un bacio in fronte. –Ascoltami, non ti preoccupare. Io l’ho conosciuta quella bambina, Rivka. Si chiama Rachele ora non è più una bimba, ma una splendida diciassettenne. E ha due fratellastri. Il problema è che… Qualcuno l’ha rapita con la sua sorellastra dopo aver ucciso il patrigno, lo zio e la madre. E io sono qui per salvarla.-. La barista la guardò, incredula. –A tal proposito, mi chiedevo, se, per caso, Rabi è ancora in attività.-. Rivka strabuzzò gli occhi. –No, ascoltami, non puoi chiedermi questo. Rabi… Rabi è un tipo pericoloso.- -Appunto! Mi serve qualcuno che sappia dove si possano trovare due ragazze statunitensi.- concluse l’agente, con un sorrisetto sulle labbra. –E va bene. Ti scrivo l’indirizzo. Ma poi devo andare al lavoro, che altrimenti mio fratello mi ammazza.-. Prese un foglietto e scrisse un indirizzo. Ziva la guardò, mentre scriveva. Ebraico. Quanto le era mancato. –Ecco fatto. Ci vediamo, allora. Se dopo vuoi passare da me, io abito sempre nella stessa casa.-. Ziva annuì e la salutò. Fece per andarsene, ma si voltò un attimo. –Mi raccomando, non dire a nessuno che io sono qui. E’ importante.- le raccomandò. –Non ti preoccupare, fidati di me.- la rassicurò Rivka. Le due si salutarono e Ziva uscì definitivamente dal bar. Estrasse il fogliettino che la sua amica le aveva dato. –Allora, vediamo dove abiti, vecchio mio.- disse tra sé e sé.
Rabi stava dormendo in camera sua, quando un rumore lo svegliò. Si guardò intorno, ma non vide niente. –Gatto di merda!- esclamò. Si rimise a letto. Ma qualcosa di freddo sulla tempia lo costrinse a riaprire gli occhi. –Ma che ca… Ziva?- -Già, proprio io, Rabi. Allora, come la mettiamo?-. L’uomo si mise a sedere sul letto. –S-s-senti, non ho fatto niente.- balbettò. Ziva si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere. –Lo so, Rabi, lo so. Ma ho qualche domandina da porti.-. Ziva lo guardò e gli mise davanti le fotografie di Rachel e Alex. Rabi sobbalzò. –No, no, no, no, no, no! No! Non ne voglio sapere niente! No! No! Mi hai capito? No!- si difese lui. –Beh, allora facciamo così: ti pianto una pallottola nella testa e poi vediamo.- lo minacciò lei. –Ehi, aspetta! Non puoi!- protestò Rabi. –Io posso fare tutto quello che voglio.- affermò lei. –Ok, allora, non ci siamo capiti. Tu non hai idea in che casino ti vai a ficcare.- disse lui, a bassa voce. –Rabi, andiamo. Ti prego!- lo supplicò. –E va bene! Ma non voglio essere coinvolto. Giuramelo!- esclamò. –Giuro.- promise lei.

-Tel Aviv! Devo ricordarmi di passare dall’Hard Rock Cafè.- esordì Tony scendendo dall’aereo. –DiNozzo, non sei in vacanza!- lo rimproverò Gibbs. –Oh, accidenti! Beh, ma se risolviamo il caso dopo posso…- -No!- lo bloccò Jethro. –Oh, andiamo. L’ho promesso a Mitch!-. McGee e Gibbs lo guardarono, perplessi. –Davvero? Hai promesso una maglietta a un bambino che sta rischiando di perdere le sue sorelle?-. Tony abbassò lo sguardo. –Ok, la volevo io. Ma posso portarla anche a lui.-. McGee e Gibbs lo ignorarono e proseguirono, verso l’uscita dell’aeroporto. Presero un taxi e si diressero in albergo. –Siccome non ho avvisato nessuno del Mossad, dobbiamo fare tutto da soli. Quindi, agiremo subito e nell’ombra.- disse Gibbs. –Ok. Cosa dobbiamo fare?- chiese McGee. –Dobbiamo trovare Ziva. E per trovarla dobbiamo andare dai suoi vecchi “amici”. Qui ho una lista delle persone da cui dovremo andare.- spiegò Jethro. Tony fece una facci preoccupata: i nomi della lista erano tutti di persone per niente raccomandabili. –Ma questi… Per la maggior parte sono stati tutti in galera!- osservò. –Tony, tranquillo. Vedrai che non le succederà niente.- lo calmò Tim. –Se troviamo Ziva, troveremo Aaron. E se troviamo Aaron, troviamo Rachel e Alex.- spiegò Gibbs. –Ma- continuò –Pregate che non dovremmo mi trovarci a dover scegliere.-. Tim e Tony si guardarono. –Tra cosa?- chiese DiNozzo, timido. Gibbs abbassò lo sguardo, per un attimo. Poi lo rialzò, deciso. –Tra le ragazze e Ziva.-.

Angolo dell'Autrice

Non sono morta. Ma mi sono ammalata e non riuscivo a stare al computer. Nel frattempo, mi sono consolata guardando i mondiali di nuoto (vista la Pellegrini? Incredibile, eh?).
Allora, che ne pensate di questo capitolo? E' un po' corto, ma non ci stava nient'altro. Ziva si sta riambientando, a quanto sembra. Mentre Tony si preoccupa (giustamente!).
Ringrazio
  • AleTiva95
  • Scrittriceincanna
che hanno recensito lo scorso capitolo. E poi, grazie proprio a Scrittriceincanna ho scoperto che la prima puntata della prossima stagione avrà lo stessi titolo della mia storia! Visto Ale, che possiamo seriamente andare a lavorare in CBS? Ahah!
Dai, vi saluto! Ciao ciao!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15
-Tony, sbrigati per favore! Muoviti!- lo spronò Gibbs. –Sì, capo, arrivo. E’ che, non ce la faccio più, è tutto il giorno che non facciamo nient’altro che camminare, andare a chiedere informazioni ai vecchi amici di Ziva sperando non ci scoprano, ci nascondiamo dal Mossad e mangiamo stupido cibo kosher!- si lamentò l’italoamericano. –Tony, a te sono sempre piaciuti il cibo kosher e la cucina israeliana!- ribatté McGee. –Facevo finta per… Oh, al diavolo, volevo fare colpo su Ziva! Che diamine potevo fare?- ammise lui. McGee scoppiò a ridere. –Mi mancano le costolette di maiale che cucinava mio zio… Quello sì che era cibo.- disse Tony. –Se vuoi ti do un po’ del mio Sabich.- propose Timothy. –No, grazie, quello te lo puoi tenere- gli rispose il collega. Jethro si voltò e sbottò:-Adesso basta! Se non la piantate vi spedisco a casa a rilevare le impronte digitali sulle portaerei per capire da quali marinai sono state frequentate negli ultimi vent’anni! E tu, Tony, hai fame? Prendi questo Shawarma!-. Gibbs gli tirò quello che aveva più o meno la parvenza di un panino e DiNozzo lo prese al volo. –Grazie capo.- mormorò, addentandolo. –Buonissimo.- dichiarò, non molto convinto. –Dove andiamo? Abbiamo già fatto visita a tutti i vecchi amici di Ziva e nessuno l’ha vista!- osservò McGee. –Mancano due nomi alla lista: Rivka Segel e Rabi Tal. E l’ultimo lavorava per dei terroristi tempo fa.- spiegò Gibbs. –T-terroristi?- domandò Tim. –Sì. Vuoi che te lo ripeta un’altra volta? Terroristi, McGee, terroristi.- rispose Jethro, aumentando il passo. Entrò in un bar e si diresse al bancone. Rivka lo guardò e lo riconobbe subito: quello era di sicuro Jethro Gibbs. Ziva le aveva mostrato alcune fotografie l’ultima volta che era andata in Israele. “Cioè, non so quanti anni fa” pensò tra sé e sé la ragazza. –Desidera?- chiese, con  un sorriso smagliante. –Per me un hamburger con tripla pancetta e formaggio, grazie.- ordinò Tony. –DiNozzo, qui non vendono hamburger con pancetta!- lo rimproverò Gibbs, sottovoce. Poi disse:-Per me della pita con hummus, se possibile. Oh, e una birra.-. –Bene. Per voi due?- chiese Rivka. –Proprio non ce l’ha l’hamburger pancettato, vero?- domandò Tony. –No, mi spiace.- rispose lei. –Allora una bottiglia di aranciata, grazie.- ordinò l’agente. –Arrivano subito. Lei non prende niente?- chiese, rivolta a McGee. Tim scosse la testa e Rivka andò a preparare il cibo. Poi lo portò ai tre uomini. Gibbs mangiò per bene il suo hummus e la sua pita e chiese dove si trovasse il bagno. –Signorina, la porta è bloccata, ma dentro non c’è nessuno!- esclamò Jethro. Rivka andò al bagno e provò ad aprire la porta. –Non è bloccata sign…- -Entra dentro e stai zitta!- le bisbigliò Gibbs, spingendola dentro il gabinetto. La ragazza non protestò, sentendo il freddo della pistola sulla schiena. Jethro chiuse la porta. –C-che cosa vuole?- balbettò lei. –Solo trovare una amica.- rispose l’uomo. –Dov’è Ziva?- le chiese. –Ziva? E’ da anni che non la vedo.- mentì Rivka. –Non dire balle! Lei è qui e deve essere passata per forza da qui!- si infuriò lui. Rivka deglutì rumorosamente. Si sedette per terra, stringendosi le ginocchia al grembo. Quell’uomo le faceva paura. –Io… Io non posso dirle dove si trova, signore. Mi dispiace.- dichiarò. Gibbs si sedette vicino a lei e le mise una mano intorno alle spalle. –Ascolta, se non la trovo rischia di rimanere ammazzata, insieme a sua nipote. E non è quello che voglio. Mi capisci, vero?-. Rivka si guardò il polso. “Non cedere ora. Non ora, Rivka”. Gibbs seguì il suo sguardo. Le prese il braccio. –Ehi, che fa?- esclamò lei. –Stai ferma, non voglio farti  male. Ma questa… E’ un’incisione uguale a quella di Forrester! Che cosa significa esattamente?-. Rivka lo fissava, con i suoi occhi scuri. Non capiva o forse non voleva parlare, semplicemente. –La prego, io… Devo tornare a lavorare e…-. Fece per alzarsi, ma Jethro la trascinò a terra. La ragazza scoppiò a piangere, disperatamente. Gibbs la guardava, benevolo. Le faceva tenerezza. –Io… Fu Ari il primo a farsi  questo simbolo. Lo imitarono tutti i suoi migliori amici, tra cui c’ero anche io. Se lo fece anche Helen, come segno di appartenenza a lui. Eravamo tanti, siamo rimasti in quattro: io, mio fratello, Rabi Tal e Aaron Issel. E, ora che ci penso, anche Ziva.-. A quelle parole, Gibbs trasalì: la sua agente israeliana non gli aveva detto tutto, proprio per niente. –Rivka, perché so che ti chiami così, io non sono del Mossad e non dovrei essere nemmeno qui. Ma io devo capire una cosa: facevate tutti parte dei servizi segreti?- domandò. –No. Io non ho mai fatto parte del Mossad. Mio fratello sì, però. Senta io… Ari mi disse di aver avuto una figlia. Mi confessò di non volerlo dire a Ziva, perché altrimenti si sarebbe preoccupata troppo, ma di doversi sfogare con qualcuno. E io fui la prima a capitargli sotto mano.- spiegò la ragazza. Jethro sospirò. –Lo sai vero che Ari è morto per mano di Ziva?- esordì lui. Rivk annuì. –Quando tronò in Israele me lo disse. Non ci volevo credere. Signore, io…- -Gibbs. Leroy Jethro Gibbs. Ma puoi chiamarmi Gibbs.- dichiarò l’agente dell’NCIS. –Grazie. Scusi, è che… Lei è andata da Rabi sign… Cioè Gibbs. Ma ormai saranno andati via.- spiegò. Jethro sospirò. –Hai appuntamenti con lei?- le chiese. –Sì, stasera. Ma… No, mi rifiuto, non farò il lavoro sporco per lei! E’ una mia grande amica e non la tradirò!- affermò, convinta. –Rivka, lo so che non vuoi farlo. Ma rischiano di morire due ragazzine insieme a lei, lo capisci o no? E lo sai per mano di chi, eh? Lo sai chi è il bastardo?- gridò lui. La ragazza scosse la testa. –E’ Aaron. Ed è spietato. Rivka, noi abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ti prego, ragazza.- la supplicò. –Io… E va bene. Ma sappia che mi sta mettendo nei guai fino al collo.- dichiarò l’israeliana. Gibbs sorrise e si alzò in piedi, seguito dalla barista. –Stasera, alle 20.00. Lei verrà da me per una cena. Ecco l’indirizzo, ci sarà anche Rabi.-. Gli porse un biglietto con su scritto l’indirizzo e uscì dal bagno. Anche Jethro uscì. I due si diressero al bancone e Gibbs pagò il conto. –Capo, si può sapere che cosa…- -Te lo racconto dopo Tony. Ora andiamo a preparare qualcosa per questa sera.-. McGee e DiNozzo si guardarono, senza capire. Eppure continuarono a seguirlo.


Angolo dell'Autrice

In questo capitolo non c'è Ziva. In compenso abbiamo un Tony affamato e un grande Gibbs (almeno così la penso io). Non giudicate male Rivka, non so cosa avrei fatto io e a Jethro solo pochissimi riescono a tenere testa. E poi, poverina, a me piace come personaggio. Non come Aaron (lo odio). In più, scopriamo anche la storia delle incisioni, yuppie!! E anche che Ziva è una gran bugiarda, yeee!
Un grazie a
  • AleTiva95 (dai che ci assumono, dai che ci assumono)
  • Alex995 (grazie per aver detto che non vedevi l'ora che aggiornassi)
  • Scrittrice in canna (vai con gli israeliani strani, yeah!)
per le recensioni! Poi anche a chi legge e basta (che comunque è invitato a recensire lo stesso).

Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


CAPITOLO 16
-Passami un po’ di Pita, per favore.- disse Ziva a Rivka. La ragazza le passò il pane. –Ehi, tutto a posto?- le chiese l’agente dell’NCIS, notando che c’era qualcosa che non andava. –Sì, sì. Sono contenta che tu e Rabi mi stiate svaligiando la dispensa.- rispose ridacchiando. -Ehi, non esagerare. E poi di solito mi faccio portare del cibo d’asporto, per una volta che posso mangiare decentemente ne approfitto.- si schermì Rabi. –Questo è sicuro.- asserì Rivka, notando che l’uomo si era praticamente mangiato tutto. Diede un’occhiata all’ora e si incupì. –I-io… Io vado un attimo in cucina che prendo un po’ di formaggio.- annunciò. Ziva si alzò e la seguì. La prese dal braccio e la bloccò. –Che c’è?- le chiese l’amica. –Rivka, che cosa ti succede? Di me ti puoi fidare.- -Sei tu che non ti puoi fidare di me!- gridò la ragazza. Ziva si trovò spiazzata. –C-che cosa intendi dire?- chiese l’agente. Rivka abbassò lo sguardo e scoppiò a piangere. –Ehi!- la richiamò Ziva, con dolcezza. –Ho incontrato Gibbs, il tuo capo di Washington. Non volevo, Ziva, non volevo! Ma lui mi ha detto che rischiavi di morire e che rischiava di finire ammazzata anche tua nipote e un’altra ragazzina. Mi ha puntato una pistola! Io non… Io non sono forte come me!- confessò lei. Ziva l’abbracciò, sorprendendola. –Perché mi abbracci? Io… Io ti ho tradita!- le chiese Rivka. –Perché ora mi hai detto la verità. E poi, l’hai fatto per proteggermi. Ma ora devi aiutarmi ad andarmene via da qui. Quanto tempo abbiamo io e Rabi?- -Cinque minuti. Gibbs è praticamente qui.- rispose la ragazza. Ziva si precipitò in sala da pranzo e spiegò a Rabi in poche parole ciò che era successo. L’uomo cadde nel panico. –Dovremmo ammazzarla!- esclamò. Rivka si appiattì contro la parete, spaventata. –Non dire assurdità! E’ stata praticamente costretta! Ora aiutami a radunare le cose e poi filiamocela!- ordinò Ziva. Rivka, intanto, controllava che Gibbs non arrivasse. –Sta arrivando! Ci sono anche gli altri due!- esclamò. –Gli altri… Due?- chiese Ziva. –Sì, ci sono anche l’agente McGee e quell’altro, DiNazo, DiNizo…- -DiNozzo?- completò l’agente. –Esatto!-confermò Rivka. Ziva chinò il capo. Si sentiva maledettamente in colpa. –Ehi, David! Andiamo, muoviti!- la spronò Rabi. Ziva fece un bel respiro e aprì la porta. Uscirono dal retro, per non farsi scoprire. Ma i tre uomini non erano stati sprovveduti: così Ziva e Rabi si trovarono Tony davanti, con la pistola in mano. –Fine della corsa!- esclamò. –Tony, fammi passare!- intimò Ziva. –Mi dispiace Zee, ma non posso. Non fare sciocchezze e seguimi. Vedrai che si sistemerà tutto. Fidati di me.- disse DiNozzo. Ziva lo guardò, dritto negli occhi. Una lacrima le scese lungo il viso. Ma lei non se ne curò. Non troppo, almeno. –No. Perdonami.-. Estrasse dalla giacca una pistola e sparò, colpendolo alla spalla. Poi si mise a correre, seguita da Rabi.

-DiNozzo, che diamine è successo?- chiese Gibbs, preoccupato. Era stato richiamato dagli spari. –Non posso mentire. Ziva mi ha sparato.- rispose lui. –Stai scherzando?- domandò McGee, incredulo. –Vorrei, credimi, McPivellino. Vorrei.- dichiarò. Rivka li guardava, tenendosi a distanza. Jethro si voltò. E lei volle sparire. –Perché mi hai tradito?- le chiese. La ragazza lo fissò, senza indugiare. –Perché non potevo tradire me stessa e la mia storia. Mi dispiace, ma Ziva è mia amica. Lei invece ha saputo solamente usare una pistola, ingannandomi. Se cerca un colpevole, quello è lei! Ci sono mille modi per affrontare una situazione. E lei ha usato quello meno indicato. Lei ha usato la paura, Gibbs! E invece Ziva mi ha dato il coraggio.- rispose, tutto d’un fiato. Jethro annuì. Gli costava ammetterlo, ma Rivka non aveva poi tutti torti. –Comunque, posso aiutarvi a medicare la ferita del vostro amico. Se andiamo in ospedale farebbero troppe  domande. Invece ho un’amica che sa ricucire molto bene le ferite.- -Fa l’infermiera?- chiese McGee. –No, fa la sarta. Ma sa cucire anche le ferite.-. I tre uomini si guardarono, spaesati. “Se esisti, basta divertirti” pensò tra sé e sé Gibbs.

Aveva sparato all’unica persona a cui non avrebbe mai pensato di fare del male. Aveva ferito l’unica persona che aveva amato più di sé stessa, in tutta la vita. Le veniva da vomitare. E sì che aveva sparato a così tanta gente in vita sua. Ma a lui non doveva sparare. Lui non c’entrava. Lui l’amava. E ora l’avrebbe odiata per sempre. –Zee, vedrai che tutto si risolverà.- provò a rassicurarla Rabi. –Lo diceva anche lui. E poi io l’ho colpito.- affermò, mesta. –Capisco. Ma, in che rapporti siete tu e lui?- chiese l’uomo. –Lo amavo. E lui amava me. Belo schifo, eh?-. Rabi la guardò. Erano in macchina che stavano andando a cercare un luogo in cui poter passare la notte. –Lui… Lui mi ha molto aiutata in questi ultimi anni. Mi è sempre stato vicino. E io l’ho sempre dato per scontato.- singhiozzò lei. –Vedrai che ti ha già perdonata. In fin dei conti, era ovvio che non ti saresti fermata.- affermò Rabi.

-Era ovvio che non si sarebbe fermata, Gibbs!- esclamò Tony. Erano tornati in albergo da poco, dopo essere andati dall’amica di Rivka a medicare DiNozzo. Jethro se ne stava seduto, con la testa appoggiata al braccio. –Ti poteva ammazzare!- sbraitò, furioso. McGee capì che per lui era arrivato il momento di andarsene. Così si alzò e uscì dalla stanza, lasciando Gibbs e DiNozzo soli. Tony sospirò. –Non mi avrebbe mai ammazzato. Ha mirato alla spalla. Capo, abbiamo sbagliato noi.- -No, ho sbagliato io.- ammise Jethro. –C-come?- balbettò DiNozzo. –Ho sbagliato. Non sono riuscito a capire che lei fa tutto questo perché non vuole coinvolgere altre persone. Non vuole che noi ci finiamo in mezzo. E anche con quella ragazza, Rivka… Ho agito impulsivamente. Ho sbagliato anche con Rachel, Alex e Mitch: non dovevo permettere che Jenna li portasse via. Ho sbagliato, Tony. Ho sbagliato perché credevo di essere sempre perfetto. Non ho calcolato una cosa.- -Cosa?- chiese DiNozzo. –Che sono un uomo. E l’uomo non è perfetto. Ho peccato d’ego. Credevo di avere tutto sotto controllo. Ma non era così.- dichiarò. Tony sorrise: era strano sentire Gibbs ammettere i suoi errori, figurarsi poi parlare così a lungo di non avere tutto sotto controllo. Guardò fuori dalla finestra. E l’unica cosa che riuscì a pensare fu che l’amava ancora, nonostante ora avesse un buco nel braccio proprio per causa sua.

Ziva e Rabi erano arrivati nel rifugio segreto di quest’ultimo: un enorme capanno, pieno zeppo di armi. –Ma questo è un kalashnikov!- esclamò la donna, prendendo un fucile in mano. –Già. Lì ho delle granate, se ti servono.- disse l’uomo, con nonchalance. Ziva rimase sorpresa. E anche un po’ spaventata. –Da quando hai un arsenale privato?- gli chiese. –Beh, da quando tu te ne sei andata sono cambiate un bel po’ di cose qui. La mia ragazza mi ha mollato, i miei sono morti… E io mi sono rifiutato di lavorare per alcune persone. Così ho imparato ad arrangiarmi.- spiegò. –Comunque ora ti mostro dove dormirai.- le disse. Ziva lo seguì: vicino al capanno c’era una casetta. Entrarono. –Io dormirò sul divano, tu sul letto. Ehi, perché ridi?-. Ziva aveva gli occhi umidi. E pensava solo a una cosa: lui l’avrebbe perdonata di sicuro, perché loro erano una cosa sola. Erano un cuore solo.

Angolo dell'Autrice

Salve a tutti! Con questo capitolo è successa una cosa strana: non riuscivo a fermarmi! Sul serio, ho fatto fatica a smettere di scrivere! Ma sono più di 1200 parole, veniva troppo lungo altrimenti! Che ne pensate? Come nel capitolo 11 ho provato a scrivere seguendo vari punti di vista. In particolare ho voluto creare un Gibbs che scende fra gli umani e si accorge di non essere perfetto. Poi c'è Ziva, costretta a fare una cosa orribile e Tony la perdona. Anzi, fa ragionare Jethro! Insomma, mi sono impegnata, dai! Spero vi piaccia perché mi sa che è uno dei miei preferiti! 
Ringrazio
  • Alex995
  • Scrittrice In Canna
per le recensioni e poi tutti quelli che leggono. Un saluto particolare a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate e anche a chi legge e non esprime mai la propria opinione. Vi invito a farlo, in modo che possa rendermi conto di come sta diventando questo mio lavoro.
Ciao, al prossimo capitolo :)

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


CAPITOLO 17
-Perché non mi hai detto che sapevi il motivo per cui Helen è stata uccisa?- sbraitò Alex. Rachel aveva ammesso di essere stata a conoscenza dei codici di lancio dei missili nucleari. –Ci hai messo tutti in pericolo! Mio padre è morto per causa tua!- -Vaffanculo!- ribatté la mezza israeliana. –Innanzitutto non urlare! Se Aaron scopre che so dove si trovano quei codici ci ammazzerà tutte e due. Dobbiamo guadagnare tempo. Secondo: pensi davvero che non mi senta in colpa? Ma non è il momento giusto. Non ora!- dichiarò. Alexandra chiuse gli occhi e sospirò. Iniziò a piangere. –Rachel, ho paura. Come non mai.- ammise, stringendosi alla sorellastra. –Anche io, Alex. Ma non ti preoccupare, ne usciremo. Te lo prometto.- la rassicurò lei. Alexandra alzò lo sguardo. Poi chiese:-Tu… Insomma, Ziva ha ucciso tuo padre. Che intenzioni hai con lei? Sempre che riusciamo a uscire da qui.-. Rachel inspirò profondamente. –Non lo so. Penso che le chiederei qualche spiegazione. E’ pur sempre mia zia. E non riesco a odiarla fino in fondo. Non so perché. E poi le ho mentito anche io.- rispose. –In che senso?- domandò Alex. –Io… Ero al porto quando hanno ucciso quell’altro marine. E ho visto qualcuno scappare. Ora posso affermare con certezza che si trattava di Aaron. Non so nemmeno perché l’ho detto a Gibbs. Ho avuto… Paura, credo.-  ammise la diciassettenne. -Ti prego, perdonami se ti ho trascinata in questo casino.-. Alex la guardò. –Ehi, sei sempre mia sorella. Ti voglio bene.- la rassicurò. Rimasero in silenzio per un po’. Poi Aaron entrò, furibondo. –Allora, ti è tornata la memoria, nipotina?-. A quell’ultima parola la ragazzina rabbrividì. –Io non li ho.- mentì. –Se non parli, ti ammazzo.- -Se mi ammazzi, non li avrai mai.- osservò lei. Aaron sbuffò. –Sei una tipa tosta, eh? Beh, vediamo se lo sarai ancora dopo che avrò ucciso Alex.-. La quindicenne entrò nel panico. Rachel perse un battito. Aaron estrasse la pistola e la puntò contro la tempia della ragazzina. –Allora? Ce la puoi fare a dirmi dove si  nascondono quei codici?- chiese l’uomo, non smettendo di sogghignare nemmeno un attimo. Rachel rimase zitta, con gli occhi puntati sulla pistola. Aaron caricò l’arma. –Allora? Hai cinque secondi. Uno.-. Rachel abbassò lo sguardo. –Due.-. Alex guardò la sorellastra, disperata. –Tre.-. Una lacrima solcò il viso di entrambe le ragazze. –Quattro.-. Alex si preparò ad accogliere la pallottola dentro di sé. Rachel alzò lo sguardo. –Cinqu…- -No!- urlò. –Te lo dirò. Te lo dirò.- mormorò. Aaron sogghignò, divertito. –Molto bene. Li voglio ora.- disse, chinandosi sulla ragazzina. –Sì, certo. Ma mi serve un computer. Io… Io li ho messi su Facebook.-. Alex e Aaron si guardarono, straniti. –Tu hai messo dei codici di lancio su un social network? Dico, sei impazzita?- -Non è proprio così, Aaron. Li ho inviati a una persona, ma lei non sa cosa siano. Ti prego, se mi dai un computer risolviamo tutto.-. L’uomo fece una faccia perplessa. –E’ rischioso. Se tu accedi al tuo profilo qui mi ritrovo circondato dal Mossad.- osservò. –E allora fottiti, te e i tuoi codici del cazzo!- esclamò Rachel. –Vedrò come fare. Intanto spera di non avermi detto una balla o la testa di Alex salterà in aria. Capito?- abbaiò Aaron. Rachel annuì. Poi l’uomo se ne andò, lasciando le due ragazzine nuovamente sole. –Rachel, ma che ti è saltato in testa?- chiese Alex. –Intanto tu sei ancora viva. E poi, in parte è vero quello che gli ho detto.- rispose l’altra. –In parte? Rachel, non voglio morire!- si disperò la più piccola. –Non morirai, Alex. Te lo giuro.- promise Rachel. In cuor suo pregava che fossero davvero riuscite a cavarsela, anche se le sembrava un’impresa impossibile.

-Sei sicuro che sia da queste parti?- chiese Ziva. –Sì, sono sicuro al cento per cento.- rispose Rabi. Arrivarono a un grande capannone. Era circondato da uomini. –Rabi, siamo solo in due. Forse avremmo dovuto fidarci della mia squadra e chiedere il loro aiuto.- osservò la donna. –Ziva, io… Se ci ripensi siamo sempre in tempo.- disse l’uomo. Ziva si sedette per terra. Per lei era quasi sconosciuta la sensazione di non sapere cosa fare. –Accidenti, ora è troppo tardi!- esclamò. –E cosa facciamo?- -Non lo so! Non lo so! E non mi sono mai trovata nella situazione di non sapere cosa fare! Soddisfatto?-. Rabi alzò le mani in segno di resa: la conosceva abbastanza bene per sapere quando era meglio stare zitti. –E se facessimo una pazzia? Se li attaccassimo a sorpresa?- ragionò Ziva. –Se vuoi morire, accomodati. Non siamo in “Matrix”, non possiamo cavarcela in due contro… Tutti quelli!- ribatté lui. –“Matrix”?- –E’ un film. Oh, lascia perdere!-. Ziva sorrise. Anche Rabi nutriva una profonda passione per il cinema e questo le ricordava molto Tony. –Direi di provare. Possiamo farcela.- dichiarò. –Ok, facciamo questa pazzia e poi torniamo a casa.-.

-Gibbs, li ho localizzati! Ecco le coordinate.- esclamò Abby. Jethro le aveva chiesto via Skype di trovare Ziva e Rabi prima che combinassero qualche pazzia. –Ottimo lavoro Abby. Brava.- rispose Gibbs dall’altra parte dello schermo. –Beh, a dire il vero è strano che Ziva abbia riacceso il telefonino. A meno che non volesse venire trovata.- osservò la forense. –A meno che non lo abbia riacceso qualcun altro.- ragionò McGee. –Qualcun altro tipo Rabi?- domandò Tony. –Già. Comunque grazie Abby, ti teniamo aggiornata. Ciao.- la salutò Timothy. Il monitor divenne scuro e Abigail capì che la videochiamata era terminata. Si sedette su uno sgabello. Quel luogo senza la squadra, senza i suoi amici, era così vuoto. –Ciao Abby, ti ho portato un caffè.- -Oh, ciao Ducky. Grazie.- disse la donna, prendendo il bicchiere in mano. –Dov’è Mitch?- chiese. –Oh, il piccolino è andato in bagno. Gli ho detto di raggiungermi qui.-. Il bambino entrò in quel momento dalla porta. Si sedette accanto a Abby e la fissò. –Che c’è?- chiese lei, un po’ a disagio. –Quando tornano Ziva e le mie sorelle?- chiese. Abby sospirò. Guardò Ducky, in cerca di aiuto, ma lui non riusciva a dire nulla. Abby si voltò verso il bimbo. –Presto. Te lo prometto.-. E in cuor suo sperava fosse vero.

Angolo dell'Autrice

Buongiorno! Anzi, buonasera! Allora, ecco un nuovo capitolo. Finalmente ritroviamo le ragazze e Mitch (quel bambino è tenerissimo). Se non si fosse capito, ho cercato di creare un parallelismo tra Rachel e Abby: entrambe sperano che vada tutto bene, ma non ne sono sicure. Si capiva? Potete anche rispondermi di no, voglio la verità.
Allora, questa settimana sono via, quindi non aggiornerò (vado in vacanza anche io, ogni tanto!). Mi farò venire le idee, promesso.
Ringrazio:
  • Alex995
  • TinaTiva99 (è sempre bello vedere gente nuova che recensisce)
  • AleTiva95
  • Scrittrice In Canna
che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie anche a chi ha letto e inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite. Spero si aggiunga qualcun altro a recensire, male non fa :)
Alla settimana prossima!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


CAPITOLO 18

Non so cosa ti aspetti da me
mi tieni sotto pressione per assomigliarti

Aaron stava ragionando sulla proposta di Rachel. Era conscio del rischio che correva ad andare su internet. In più, non si fidava assolutamente della ragazza. Si vedeva che era figlia di Ari. “Stessa pasta, stessa testa. Quella mi vuole morto.” Pensò tra sé e sé. Fu richiamato alla realtà da uno dei suoi uomini che entrò, sbattendo la porta. –Capo, abbiamo un problema!- esclamò. –Che diamine succede?- abbaiò lui. –Sono entrati. Hanno delle bombe a mano. Ci sparano addosso!- spiegò il sottoposto, affannato. –E chi? Chi sono? Mossad?- chiese Aaron, allarmato. –Ehm… Più o meno. Si tratta di Ziva David, signore.- mormorò l’uomo. –Cosa? E’ con qualcuno o è da sola?- si affrettò a chiedere Issel. –R-R-Rabi Tal, capo. E’ con lei.- balbettò l’altro. –Merda.- imprecò Aaron. Questa non se l’aspettava. –Sono solo in due. Andate e uccideteli. Anzi, no. Ziva mi serve viva. Di Tal fate quello che volete. Ma fermateli, maledizione!- ordinò. Il suo sottoposto corse via, lasciandolo da solo. “La pazzia ripaga sempre, così diceva sempre tuo padre. Ma stavolta si accorgerà di quante stupidaggini ha detto nella sua vita quel babbeo.”.

Ogni passo che faccio è un altro errore per te
(intrappolati nella risacca, noi siamo
esattamente intrappolati nella risacca)

-Ziva, non ce la faremo mai.- ragionò Rabi. –Ce la faremo, fidati. Intanto, stai giù!- esclamò lei, abbassandosi per evitare un proiettile. Si ritrovarono schiacciati contro un muretto. –Zee, siamo in trappola.- affermò lui. –No! Non ancora! Dammi quella bomba a mano.- ordinò la donna. –No! Ziva, ci ammazzeranno.- -Dammela, ho detto!-. Rabi la guardò e si arrese. Ziva prese la bomba in mano e la lanciò contro gli uomini di Aaron. Per nessuno di loro ci fu nulla da fare. –Ziva, non possiamo ucciderli tutti!- provò a farla ragionare l’amico. –Rabi, noi dobbiamo salvare Rachel e Alex!- -Ma non possiamo perdere te! Zee, tu non sei un’assassina spietata. Ti prego!-.

Tutto quello che desidero fare 
è essere più come me
e meno come te

I due amici si fissarono. Ziva udì altri uomini che prendevano il posto di quelli appena uccisi da lei. I proiettili spostavano l’aria, facendole muovere i capelli. Si guardò attorno. In mano teneva un’altra bomba a mano. Tirarla contro quegli uomini avrebbe significato ucciderli tutti. Avrebbe ammazzato coloro che avevano rapito sua nipote e la figlia del suo amico, ucciso sempre da loro. La vendetta si sarebbe compiuta, nel silenzioso rumore di una semplice esplosione. Eppure lei sapeva che non le sarebbe bastato. Non poteva uccidere così tante persone. Perché lei non era come lui. Lei non era come Aaron. Ziva non era un’assassina. E non lo sarebbe mai potuto diventare. Si scoprì, improvvisamente, inerme e così piccola e debole di fronte alle cose. La bomba le scivolò di mano, fortunatamente inattiva. Scoppiò a piangere. Rabi l’abbracciò. –Se io ti copro, riesci a scappare via.- le sussurrò. –Ma così tu… Morirai!- ribatté lei. –Zee, tu sei la sorella che avrei sempre voluto. E’ stato bello conoscerti. Ma ora devi andare. Devi salvarti! Io… Me la caverò. Te lo prometto: ci rivedremo.-. Ziva si sforzò di fermare le lacrime, ma la cosa non le riuscì. –Me lo prometti, vero?- mormorò, singhiozzando. –Sì. In un un modo o nell’altro ci rivedremo.- affermò lui. Poi aggiunse:-Tieni questa. La portava sempre mio padre. Ti porterà fortuna.-. Le mise una collanina al collo con, come ciondolo, una croce. –Che significa?- chiese lei, stupita dal pendaglio. Mio padre si è convertito al cristianesimo prima di morire. E la mia famiglia l’ha seguito. Sono orgogliosamente israeliano, ma sono cristiano. Ziva, io credo che ti proteggerà.-. La donna gli si gettò al collo. –Tu prendi la mia Stella di David. Perché io sono ebrea.- disse, mettendogli al collo la sua collanina.  –Ora vai. Non c’è più tempo.- la spronò lui. Ziva si rialzò e si guardò attorno, in cerca della via di fuga migliore. –Rabi, io…- -Vai. E’ un ordine.- disse, serio. La donna si abbassò e strisciò verso una porta. Decise di non voltarsi, altrimenti sarebbe stata tentata di tornare indietro. Un uomo si avventò su di lei, ma un proiettile lo raggiunse prima che potesse colpirla. "Ti prego, proteggilo, perché lui sta proteggendo me.” pregò. Ovunque i proiettili fischiavano, ma lei non fu mai colpita. Rabi le copriva le spalle in maniera impeccabile. Finalmente raggiunse la sua meta.

Ogni secondo che spreco è più di quelli che mi
posso permettere

Si alzò, iniziando a correre. La tentazione di voltarsi era forte. E lei, la forte Ziva, si scoprì di nuovo debole, bisognosa di rivederlo, almeno un’ultima volta. E così, alla fine, cedette. Si girò verso lui, verso Rabi. Ma, come nel mito greco di Orfeo ed Euridice, quell’ultimo sguardo si tinse di morte. Un proiettile colpì al cuore Rabi. –No!- urlò Ziva, disperata. Si bloccò, inerme, incapace di agire. Il suo sguardo si posò sulla collanina che Rabi le aveva donato. Si risvegliò, improvvisamente. E comprese di doversi salvare, per non vanificare il sacrificio del suo amico. Corse all’impazzata, uscendo dal capannone. Continuò a correre, corse per tutto il deserto, corse per non fermarsi. Ormai non aveva più senso niente. Lei non aveva più senso, la vita non aveva più senso. E, mentre correva, l’immagine del volto di Rabi le perforava il cervello, senza pietà. Arrivò su un’altura. Sotto, il mare si stagliava, con le sue onde minacciose.

Sono diventato così intorpidito
Non riesco più a sentirti lì
Diventato così stanco
Così tanto più consapevole
di quel che sto diventando

Chiuse gli occhi. Indietreggiò, per prendere la rincorsa. Poi avanzo versò il bordo del precipizio. Inspirò e fece per buttarsi giù, quando qualcosa la tirò indietro. Si voltò. Tony la fissava, con quel suo sguardo profondo. Lei si alzò e gli si gettò al collo, disperata. Lui non disse niente, lasciandola sfogare. Poi le sussurrò:-Vieni.-. La prese per mano e la condusse a una jeep, dove c’erano anche Gibbs e McGee. –Ziva!- esclamò Tim, sorpreso. Jethro la guardò, senza dire nulla. –Torniamo in albergo.- ordinò poi a Tony. L’agente obbedì.

E so che potrebbe darsi che anche io fallisca 
ma so che tu eri esattamente come me
con qualcuno deluso da te 

Ziva era sola, in stanza. Era seduta sul letto. Tra le mani aveva la collanina che Rabi le aveva donato. Si sentiva persa, sola e abbandonata. Sentì la porta aprirsi: Tony. L’uomo si sedette accanto a lei. La abbracciò e lei non si oppose. Si appoggiò al suo petto, come se lui potesse essere la sua unica salvezza. –Mi dispiace di averti sparato.- si scusò lei. –Non importa.- la rassicurò Tony, scostandole i capelli dagli occhi. Voleva vedere il suo sguardo, ma la capigliatura glielo impediva. –E’ morto, Tony. E’ morto. Rabi non c’è più. Ed è solo colpa mia.- singhiozzò Ziva, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo. –Mi aveva promesso che ci saremmo rivisti.- -E lo farete. Vi rivedrete Zee. Abbi fede.- le bisbigliò lui. Ziva smise di piangere e lo baciò. –Perché tutto mi sfugge sempre dalle mani? Perché?- chiese lei. –Non ti mento. Non lo so. Però sono certo di una cosa: se tutto quello che hai passato è successo affinché tu ed io ci incontrassimo e finissimo così, beh, allora tutto diventa meno negativo.- rispose Tony. Ziva gli sorrise e si appoggiò a lui. Sì, effettivamente così tutto le sembrava meno negativo. Ma avrebbe comunque voluto trovare un senso per ogni cosa.

Non riesco più a sentirti lì 
Mi sono stancato di essere ciò che desideri io sia

 

Angolo dell'Autrice

Buonasera! Allora, nuovo capitolo, che entra nella lista dei miei preferiti. Le frasi in corsivo sono versi tratti da "Numb" dei Linkin Park e ho immaginato che fossero tutti pensieri di Ziva. Tutti, anche all'inizio. Non so se l'idea vi piacerà, ma fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio:

  • TinaTiva99
  • Alex995
  • Scrittrice in canna
  • Meggie90
per le bellissime recensioni. Grazie anche a chi legge, vi invito comunque a lasciare un commento. Vi informo che il primo capitolo ha superato le 620 visualizzazioni! Quindi grazie a tutti voi!
Al pr
ossimo capitolo!

Numb-Linkin Park: 
http://www.youtube.com/watch?v=kXYiU_JCYtU

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


CAPITOLO 19
Tony si alzò. Andò a svegliare Ziva, ma non la trovò nel suo letto. Si allarmò e iniziò a cercarla ovunque, senza riuscire a trovarla. Diede un’occhiata fuori dalla finestra: l’israeliana era seduta per terra, che scrutava l’orizzonte. In mano teneva la collanina di Rabi e muoveva le labbra. Probabilmente stava pregando, ma Tony  non ne era sicuro. Sorrise: la sua piccola ninja era ora così fragile, così vulnerabile. “Sei incredibile.” pensò tra sé e sé. Gibbs lo riportò alla realtà. –DiNozzo! Dov’è Ziva?- chiese. –E’ fuori, capo. E io non so che fare.- rispose Tony. –Lo so io.- affermò Jethro.
-Gibbs!- esclamò stupita Ziva, vedendo il suo capo che si sedeva accanto a lei. –Allora, come stai?- chiese lui. L’israeliana scosse la testa. –Male. Mi sento in colpa. Lui è morto per salvarmi. Ma io l’ho portato in quell’inferno! Io l’ho ucciso nel momento in cui gli ho chiesto di aiutarmi! E’ solo colpa mia! E’ solo colpa mia! Come sempre! Come con Ari, come con Rachel e Alex, come con Tony! So solo fare casini.- si sfogò lei. –Non sono nemmeno riuscita a dirgli quanto è stato importante nella mia vita! Io… Io mi odio!- continuò. Lo schiaffo arrivò, inaspettato e sperato allo stesso tempo. Gibbs abbassò il capo e scosse la testa. Ziva iniziò a piangere, abbracciandolo. Jethro le accarezzò il capo. –Ziva, tu lo sai che non è colpa tua. Ari ha scelto lui la su strada. Rachel e Alex sono state rapite da coloro che dovevano proteggerle. E Rabi ti ha protetta e, anzi, ha acceso il tuo cellulare perché potessimo localizzarvi.-. Ziva si voltò, di scatto. –Come?- chiese, stupita. –Sì, il tuo cellulare era acceso. Zee, non siamo noi a scegliere il nostro destino. Devi smetterla di torturarti. Devi smetterla di pensare a come sarebbe andata se tutto fosse stato diverso.- affermò lui. –Ma io ho delle domande! E sono urgenti! Io voglio capire perché!- esclamò lei. Si guardarono negli occhi. Gibbs le accarezzò la fronte. –Sai, non posso darti io le risposte. Non ne sono in grado. Ma, penso di aver capito una cosa: per ogni cosa che perdiamo ce ne viene data un’altra.- disse. –In che senso?- domandò Ziva. –Guarda me: ho perso una moglie  e una figlia. Eppure ne ho trovata un’altra: te. Ziva, per me sei come una figlia.- dichiarò Jethro, con voce leggermente tremante. L’israeliana lo abbracciò, sforzandosi di non piangere. –Poi.- continuò Gibbs –Hai perso un fratello. Ma hai trovato McGee e Abby. Hai ucciso Ari, ma hai trovato Rachel, Alex e Mitch. Hai perso molto, ma hai trovato Tony.-. A quell’ultima affermazione Ziva scoppiò in lacrime. Tutto il dolore che aveva nel cuore, tutto quello che aveva provato negli ultimi otto anni, tutto quello che aveva dovuto lasciarsi alle spalle, tutto, ma proprio tutto, era ora lì, davanti a lei. Guardò Gibbs, con gli occhi velati dalle lacrime. E, per la prima volta, si trovò davanti all’opportunità di cambiare: non doveva dimenticare, ma semplicemente accettare il presente. –Gibbs, io ho paura.- confessò, più a sé stessa che al suo capo. –E’ normale. Ma non devi permettere che ciò ti blocchi.- la rassicurò lui, con uno sguardo carico di tenerezza. L’israeliana sorrise. No, non doveva permettere alla paura di fermarla. Non doveva permettere che tutta la sua vita ruotasse attorno al terrore di fare qualcosa di sbagliato. –Gibbs, quando mi troverò davanti a Rachel io…- -Tu le parlerai e le spiegherai tutto. Senza dimenticare che Ari era suo padre e tuo fratello. Senza dimenticare che  tu sei stata costretta a scegliere, ma che questo non significa che tu non gli volessi bene. Senza dimenticare che ora c’è lei.-. Ziva annuì. Si asciugò le lacrime con la manica della maglia. Non voleva più piangere. Non voleva più essere debole. Voleva essere forte. E ci sarebbe riuscita, per una buona volta. Si alzò, seguita da Gibbs. I due si abbracciarono. –E ricordati che nessuno se ne va mai davvero. Nessuno.- le sussurrò dolcemente Jethro. Lei lo strinse ancora più fortemente a sé. Quel momento se lo sarebbe ricordata per sempre. Sì, perché durante quella conversazione lei era rinata. Ora doveva solo muoversi e ricominciare a vivere.

-Voglio i codici! Ora!- sbraitò Aaron. –E non venire a dirmi che sono su internet! Muoviti, dammi i codici o sparo a tua sorella!-. La diciassettenne si guardò intorno. I giochi erano finiti. Così come il tempo. –Va bene. Sono su questo braccialetto. Mamma li aveva incisi all’interno. Tieni.- disse, porgendo il suo braccio al suo carceriere. Aaron le afferrò il gioiello, poi la scaraventò per terra. Le puntò la pistola addosso. –La pagherai per avermi fatto perdere tutto questo tempo.- sibilò. Poi sparò. Rachel si sentì svenire. –Alex!- urlò, disperata. Si gettò sul corpicino della sorellastra. –Alex, rispondimi! Ti prego, rispondimi! Alex, rispondimi!- supplicò, disperata. –Dovrei averla colpita di striscio, non temere. Ahahahah.-. La risata di Aaron le fece venire i brividi. Avrebbe voluto ucciderlo, distruggerlo, torturarlo. Ma non poteva. –Adieu! Ci vediamo, nipotina!- la schernì, andandosene. –Rachel…- mormorò Alex. –No, non parlare. Ti scongiuro, perdonami. Perdonami.-. La diciassettenne iniziò a piangere, stringendo la mano della sua sorellastra. Era tutta sporca di sangue e c’era un cattivo odore. –Rachel… Mi fa male.- si lamentò la quindicenne. La diciassettenne si strappò un pezzo della sua maglietta e la usò per fasciare il fianco della sorella. –Andrà tutto bene. Te lo prometto. Te lo prometto.- dichiarò. –Scusami. Scusami! Scusami!- urlò. Avrebbe voluto prendere il proiettile e spararselo dentro di sé. Avrebbe preferito morire piuttosto di vedere Alexandra in quello stato. Perché, perché, perché aveva provato ad imbrogliare Aaron? Che cosa aveva credeva di fare? Lei era solo una ragazzina, lui era un ex-agente del Mossad, come sua zia. Già, Ziva. Come avrebbe voluto averla lì. –Rachel…- sussurrò la quindicenne. –Non affaticarti.- si raccomandò la mezza israeliana. –Rachel io ho... Ho freddo.-.

Angolo dell'Autrice

In onore dei cliffi di Ale (AleTiva95, specifichiamo), eccone uno tutto per voi! Mi dispiace aver finito il capitolo così, anzi no! Muahahah! Allora, cosa succederà ora ad Alex? E Rachel? Eh... Sarà una sorpresa. Sappiate che non manca tantissimo alla fine, almeno credo. 
Che ne pensate della prima parte? Un po' più allegra e speranzosa, vero? Sì, lo so, sono cattiva!
Allora, dall'alto della mia malvagità ringrazio
  • AleTiva95
  • Meggie90
  • Scrittrice in canna
  • Alex995
  • TinaTiva99
per le recensioni. Grazie anche a chi legge e a chi ha inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


CAPITOLO 20
Ziva aveva guidato Gibbs, McGee e Tony al capannone. –Come potete vedere, è totalmente circondato! E’ impossibile entrare senza essere scoperti.- spiegò. –Già, da soli sarà difficile.- mormorò Gibbs. –Capo, che cosa hai in mente?- domandò McGee. Jethro scrutò i suoi uomini, uno a uno. Non avrebbe mai pensato di poterlo dire. Non avrebbe mai creduto di non poter fare altro. –Chiederemo aiuto al Mossad. E’ l’unica occasione che ci resta. Ziva, tu verrai con me da tuo padre. DiNozzo e McGee rimarranno qua, a sorvegliare la zona. Mi raccomando, ogni minima mossa sospetta dovrà essere segnalata. Non fatevi scoprire. Assolutamente.-. I tre agenti sospirarono. Il piano non piaceva a nessuno di loro, ma sapevano che era l’unica occasione che avevano per salvare Rachel e Alex.

Il quartier generale del Mossad era cambiato molto da quando Ziva si era trasferita definitivamente negli Stati Uniti. Era molto più grande, molto più nuovo e molto più moderno. –Ziva, a cosa pensi?- chiese Gibbs. Erano in ascensore: si stavano arecando all’ufficio di Eli David, il direttore dei servizi segreti israeliani. -Solo a quanto è tutto cambiato in questi ultimi otto anni. A volte mi manca il Mossad, sai?- rispose l’israeliana. –E allora perché non sei tornata indietro?- domando Gibbs. Ziva si morse il labbro, accennando un sorriso imbarazzato. –Perché, se al Mossad ho imparato a combattere, all’NCIS ho imparato a legarmi alle persone. E non sto parlando solo di Tony.- affermò. Gibbs sorrise. –Bene, quarto piano. Direi che siamo arrivati.- osservò l’israeliana. Percorsero un lungo corridoio, alla fine del quale trovarono la porta dell’ufficio di Eli. L’agente che li aveva accompagnati li annunciò al suo capo e li fece entrare. Ziva esitò. Ma poi si ricordò del dialogo che avevano avuto la mattina lei e il suo capo. Doveva vivere, non scappare. Si ritrovò, così, faccia a faccia con Eli David. Faccia a faccia con il suo ex capo. Faccia a faccia con il suo ex mentore. Faccia a faccia con suo padre. –Direttore David, non penso servano presentazioni.- esordì Gibbs. –No, agente Gibbs. Non lo credo nemmeno io. Allora, per telefono mi avete accennato qualcosa riguardo ad Aaron Issel, se non sbaglio.-. Jethro annuì. Eli si alzò e si avvicinò ai due agenti dell’NCIS. Ziva deglutì. –Papà, ha detto che lo hai cacciato via perché aveva segnalato la presenza di una talpa. Poi ha affermato di essere andato in America in cerca di una banda di guerriglieri armati chiamati “I Maledetti”.- dichiarò. –Non è andata così. Non l’ho cacciato io, ma è sparito lui. Pensavamo fosse stato rapito da degli agenti nemici. Mi sono messo personalmente sulle sue tracce e scoprii io stesso che era lui il capo della banda- spiegò Eli. –E perché non ha informato anche noi, maledizione?- sbraitò Gibbs, infuriato. –Perché non sono affari che riguardano il vostro governo, caro il mio agente Gibbs!- ribatté l’israeliano, senza scomporsi minimamente. Ziva strattonò Jethro, invitandolo a calmarsi. –Papà, tu lo sapevi che Ari aveva avuto una figlia?- domandò la donna. –U-u-una figlia?- balbettò Eli. –Sì. Si chiama Rachel. Sua madre era Helen, te la ricordi?-. Il direttore del Mossad sbiancò. –Se non ricordo male, partì per gli Stati Uniti.- mormorò. –Rachel la seguì. Poi Helen si risposò. Si portarono con loro i codici dei missili nucleari scomparsi qualche tempo prima. Aron la uccise, ma non trovò i codici. Così ha fatto rapire Rachel e la sua sorellastra dopo aver fatto uccidere il suo patrigno e suo zio. Sono qui, ora. Devi aiutarci!-. Eli guardò la figlia. Non l’aveva mai vista così determinata in vita sua. –E va bene. Quanti uomini vi servono?-.

-Tony, guarda!- esclamò McGee. –Che succede, McBurger?- domandò. –McBurger?- fece Tim. –Nuovo nome! Ti piace?-. McGee alzò gli occhi al cielo. –Guarda, stanno portando delle casse.- disse, porgendogli il binocolo. –Scommetto che dentro ci sono le testate nucleari rubate al Mossad.- ragionò DiNozzo. –Chiamo subito Gibbs.-.

Rachel fissava Alex. La quindicenne era stesa a terra, immobile. Fortunatamente Rachel l’aveva fasciata abbastanza bene e il sangue si era fermato. Ma il fianco le faceva malissimo. Inoltre, aveva comunque perso molto sangue. Era pallida e debole. –R-Rachel…- mormorò a fatica. –Shh… Che cosa c’è?- chiese la diciassettenne, con dolcezza. –Non voglio morire.- piagnucolò Alexandra. Rachel sentì le lacrime bagnarle il viso. Le accarezzò i capelli. –Non morirai.- affermò, cercando di sembrare il più sicura possibile.  –Ora chiudi gli occhi e prova a dormire.- le bisbigliò. Mai, come in quel momento, aveva avuto così tanta paura. Aveva il terrore di perdere la sua sorellastra. Ripensò a come l’aveva trattata per tutto quel tempo e scoppiò a piangere. Non le aveva mai detto nemmeno “ti voglio bene”; con lei si era sempre comportata malissimo. Ma, in quel momento, capì quanto lei era stata importante. No, non poteva morire. Non poteva andarsene. –Tu non te ne vai. Tu resti qui.- mormorò. Sentì Alex gemere dal dolore. –Shh.- la tranquillizzò. Pensò a Mitch. Quanto le mancava.  “Ziva, dove sei?” supplicò tra sé e sé.

-Capo, finalmente!- esclamò McGee vedendo arrivare Gibbs e Ziva. –Ormai il sole sta tramontando. Avete risolto qualcosa?- chiese Tony. –Sì. Abbiamo ottenuto dei rinforzi. Arriveranno tra poco. Qua com’è la situazione?- chiese Jethro. –Oltre all’arrivo delle casse non è successo nulla di rilevante.- spiegò Timothy. –Avete visto Aaron?- domandò Ziva. –No, non è  mai uscito.- rispose Tony. Ziva e Gibbs si sedettero per terra. La squadra del Mossad arrivò poco dopo. Erano una quindicina di uomini, capeggiati dall’agente Abadi. –Siamo abbastanza, direi.- osservò Tony. –Sì. Attaccheremo stanotte. Il buio ci coprirà.-.

Angolo dell'Autrice

Eccomi! Scusate il ritardo, ma ho avuto un blocco. Sapevo cosa scrivere, ma non come scriverlo. Mi dispiace, è stato brutto. Questo capitolo non è lunghissimo, ma è di passaggio. 
Grazie a:
  • AleTiva95
  • Meggie90
  • Scrittrice in canna
  • TinaTiva99
  • Alex995
per le recensioni e per la pazienza!
Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


CAPITOLO 21
Notte. Buio. Silenzio. Sì, il silenzio. Non si poteva udire nemmeno un minuscolo rumore. Nemmeno l’aria riusciva a intromettersi in quella strana quiete. Aaron stava pulendo la sua pistola: l’indomani si sarebbe incontrato con coloro che avrebbero comprato le testate nucleari. Guardò fuori dalla finestra: l’oscurità non permetteva di poter scorgere nulla.
-Siamo pronti?- chiese Gibbs. –Prontissimi.- rispose Abadi. –Mi raccomando, la priorità non è il recupero delle due testate nucleari, ma il salvataggio di Alex e Rachel.- puntualizzò l’agente dell’NCIS. –Vorrà scherzare?- ribatté l’ufficiale del Mossad. –Senta, il direttore David ci ha mandati qui per recuperare le testate.- -Ma sono due ragazzine! E una è la nipote di David!- si innervosì Jethro. –Mi dispiace, ma gli ordini non si discutono.- sentenziò Abadi. –Tuo padre non si smentisce mai.- mormorò l’altro, rivolto a Ziva. –Già.- disse la donna, caricando la pistola.

-Rachel...- mormorò Alex. –Ti fa male? Vuoi che ti aiuti a metterti in qualche posizione?- chiese la maggiore. –No. Io… Io volevo dirti che…- si sforzò la quindicenne. –Che cosa?- domandò Rachel, preoccupata. –Che ti voglio bene.- sospirò Alexandra. Rachel sentì le lacrime bagnarle le guance. –Vedrai, Ziva e la sua squadra verranno a salvarci.- affermò.
-Capo, capo!- urlò uno dei sottoposti di Aaron. –Che succede?- chiese l’uomo. –Saranno una ventina. Stanno sparando; sono del Mossad! E Jona ha notato anche degli elicotteri!- spiegò l’altro. –Maledizione! Nascondete le testate, io vado a prendere Rachel e Alex. Muovetevi!- ordinò Issel. Poi corse via, verso le due ragazze.

-Gibbs, voglio entrare e salvarle!- esclamò Ziva. –Vengo con te.- affermò Tony. –E va bene. Noi vi copriremo.- disse Jethro. I due agenti schivarono le pallottole ed entrarono nel capannone da una finestra aperta. Si guardarono intorno, per vedere se avessero potuto proseguire. Iniziarono a camminare, quando tre uomini si pararono davanti a loro. –Su le mani!- esclamò uno dei tre. –Altrimenti?- provocò DiNozzo. –Altrimenti vi arriva una pallottola nello stomaco.-.

-La situazione si sta mettendo male. Ma dovrebbero arrivare gli elicotteri tra poco.- esclamò Abadi. Le pallottole fischiavano ovunque. –So io come prendere tempo.- dichiarò McGee. –Che cosa intendi dire?- domandò Gibbs. Ma Tim si era già avvicinato a quello che sembrava una tanica di benzina. Ne versò un po’ al suolo, poi prese un accendino dalle tasche e appiccò un fuoco che, arrivato vicino a degli esplosivi, fece saltare in aria un intero capanno. –McGee, da quando…- provò a dire Gibbs. –Sì, capo?- -No, nulla.- tagliò corto Jethro, sorpreso dalla prontezza di spirito del suo agente.

-Guarda, guarda… Ma questa non è Ziva, la figlia di Eli?- sogghignò uno dei tre uomini che tenevano Tony e l’israeliana sotto tiro. Si avvicinò alla figlia del direttore del Mossad e la prese per i fianchi. –Guarda un po’ che bel bocconcino.- sogghignò. Ziva non aspettava altro: gli rifilò una gomitata, facendolo barcollare, gli rubò la pistola e gli sparò, uccidendolo. I due uomini restanti le si scagliarono addosso, ma lei sparò nuovamente. Poi si accasciò a terra. Tony la soccorse. –Ehi, tutto a posto?- le chiese. –Sì, tutto bene. Andiamo, dobbiamo trovarle!-.

Rachel sentì la porta aprirsi. –Nipotina, andiamo!- esclamò Aaron. –Fottiti!- ribatté la diciassettenne. L’uomo la prese per i capelli. –Tu fai quello che dico io! Mi hai capito?- sibilò. Rachel annuì, poi guardò Alex. Non poteva abbandonarla. Aaron capì. –Oh, capisco. Beh, ma lei la lasciamo lì.- dichiarò, pacatamente. –No! Ti prego! Morirà!- si disperò Rachel. Issel le prese la faccia tra le mani. Le carezzò le guance. –Ma, Rachel, non è tua sorella. Cosa te ne importa?- soffiò. Poi la prese per un braccio e la portò via, lasciando Alex sola, stesa sul pavimento, in lacrime e completamente inerme.

Gli elicotteri arrivarono e il capannone fu accerchiato. Gli agenti del Mossad arrestarono o uccisero i guerriglieri che si trovavano all’esterno. –Ziva e Tony non sono ancora usciti, capo! E nemmeno Aaron!- osservò Tim. –Vado dentro.- esclamò Jethro, correndo.

-Aaron, fermati!- esclamò Ziva. L’israeliano alzò gli occhi al cielo. –Ziva, Ziva… Andiamo, non vorrai uccidermi come Ari!- -Tu non sai cosa voglio fare!- ribatté l’agente dell’NCIS. –Lascia andare Rachel!- esclamò. –Non penso proprio. Vedi, la mia nipotina mi serve.- sibilò. –Sei un lurido bastardo!- lo insultò Tony. –Bah, sono uguale a lei, DiNozzo. Io e Ziva siamo uguali. Identici. Perché in fondo, anche tu, pensi che tutto sia sbagliato. Ziva, anche tu pensi che Eli sia solo e sempre un colpevole.- -Stai parlando dell’uomo che ti ha accolto in casa!- ribatté la donna. –Ziva! Aiutami!- la supplicò Rachel. Aaron le mollò uno schiaffo, facendola tacere. –Ziva, non mentire a te stessa. La verità la sappiamo tutti e due. Eli è solo un lurido verme.- disse. Ziva era ferma, con la pistola puntata verso il fratellastro, che usava come scudo Rachel. Gli occhi azzurrissimi della ragazza la imploravano di salvarla. Avvicinò il dito al grilletto.

Gibbs entrò e corse per il corridoio. Sentì un gemito provenire da una stanza. Entrò. –Alex!- esclamò, gettandosi sul corpo della ragazzina. –Stai tranquilla, si sistemerà tutto. Ti aiuto io.- disse, prendendola delicatamente in braccio. La portò fuori,e l’accomodò su uno degli elicotteri. –Jethro…- mormorò la ragazzina. –Shh. Tutto si sistemerà, te lo prometto.- le bisbigliò dolcemente.

-Ziva, devi solo scegliere. Ma tu lo sai che siamo uguali.- -No!- esclamò l’agente dell’NCIS. -Io non sono come te! Non lo sono e non lo sarò mai!- urlò Ziva. –Davvero? Beh, sì, forse hai ragione.- esclamò Aaron. Poi, presa la pistola, sparò. Tony spinse Ziva per terra, salvandola. I due agenti guardarono Issel andarsene con Rachel. –Ziva, mi dispiace.- mormorò Tony. –Io non sono come lui. Io non sono come lui!-.


Angolo dell'Autrice

Non sono in ritardo, ma di più! Scusatemi davvero, spero solo di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo. 
Allora, Alex l'hanno salvata, ma Rachel è ancora nelle grinfie di Aaron, che è riuscito a scappare. Che ne pensate del capitolo? Ho cercato di renderlo abbastanza frenetico e angosciante, spero di esserci riuscita!
Grazie a:
  • AleTiva95
  • Meggie90
  • TinaTiva99
per le recensioni. Grazie anche a chi legge e segue la storia. Spero ci sia ancora qualcuno che legge.

Alla prossima!

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


CAPITOLO 22

Erano passate due settimane da quella notte. Due lunghissime settimane. E di Rachel e Aaron non si era saputo più nulla. Probabilmente erano tornati negli Stati Uniti, ma non erano sicuri di ciò.

-Come stai?- chiese Ziva ad Alex. La quindicenne si era ripresa abbastanza velocemente e la ferita si era completamente rimarginata. –Bene. Ma vorrei che Rachel fosse qui. Lei… Davvero hai ucciso suo padre?-. A quella domanda l’israeliana trasalì. –Ve l’ha detto Aaron?- domandò. –Sì.- affermò la ragazzina. Ziva si sedette sul divano, cupa. Sospirò, con le lacrime agli occhi. –Ascolta, io volevo salvarlo. Ma ho dovuto ucciderlo. Per tutti questi anni mi sono chiesta se avessi avuto la possibilità di fare diversamente. Beh, ho capito di no. E quando ho scoperto di essere la zia di Rachel ho avuto paura. Per quello vi ho mandati via. E di questo chiedo scusa.-. Alex era rimasta a bocca aperta. Si alzò dalla sedia e si sedette accanto alla donna. –Ziva, tu sei tutta la nostra famiglia ora. Sei tutto ciò che ci resta. E anche Rachel voleva solo che tu ci salvassi.- dichiarò. Ziva l’abbracciò. Sentì il cellulare suonare. Lo prese e sobbalzò: Rachel. Rispose immediatamente. –Rachel! Dove ti trovi?- chiese. Ma l’entusiasmo si spense subito quando udì la voce di Aaron dall’altra parte. –Ciao Ziva. Come stai?- -Lurido bastardo, dove si trova Rachel?- urlò l’israeliana. –Davvero penso che io te lo dica? Ahahahah.- sogghignò l’uomo. –Comunque, è in un posto sicuro, tranquilla.- soggiunse. –Perché mi hai chiamata Aaron?- domandò la donna. –Ziva, Ziva, Ziva, povera, piccola Ziva… Vedi, mi serve qualcosa che solo tu puoi darmi.- -Cosa?- chiese l’ex agente del Mossad. –Seguiranno istruzioni. Mi farò vivo molto presto.- -No!- esclamò Ziva. Ma il fratellastro aveva già attaccato.

-Hai fatto bene ad inviarmi un messaggio dicendomi di provare a rintracciare la telefonata, ma non ce l’ho fatta.- dichiarò McGee. –Come mai? Troppo poco tempo?- chiese la donna. –No, semplicemente deve avere qualche dispositivo che mi ha impedito di rintracciare il segnale.- rispose Tim. –Sai già come ti contatterà?- domandò Tony. –No. Mi ha solo detto che si farà vivo lui.- spiegò l’israeliana. –Alex e Mitch dove sono?- chiese DiNozzo. –Sono giù, da Abby.- rispose Gibbs. –E ora Ziva, vai a prenderli e tornatevene a casa. Tony e io vi faremo da scorta.-.

-Ehi, Alex. Dai, vedrai che la troveremo.- disse Abby, per risollevare il morale della quindicenne. –Io… Avevo così tante cose da dirle. Lei mi voleva bene e io invece la odiavo. Sì, okay, la trattavo bene, ma solo per far piacere a papà. E’ che… Lei si metteva sempre nei guai, faceva sempre di testa sua. E io non riuscivo a sopportarlo.-. Abby l’abbracciò. –Ascoltami, stai tranquilla. Vedrai che andrà tutto bene. Te lo prometto.-. Alexandra le sorrise e ricambiò l’abbraccio. Le due si separarono non appena Ziva e Tony entrarono nel laboratorio. –Andiamo, dai.- la esortò l’israeliana. La ragazzina si alzò e, preso Mitch per mano, seguirono i due agenti. Salirono in macchina e partirono. Arrivarono a casa e Alex andò in camera sua e si addormentò.

Rachel si svegliò. Si guardò intorno, sperando di trovare davanti a sé Ziva. E, invece, fece una smorfia dovendo accettare la realtà: si trovava nel solito sottoscala in cui era rinchiusa da due settimane. Si stiracchiò per bene e si preparò a ricevere la solita ciotolina di latte che Aaron le dava ogni mattina. Bevve rapidamente e poi si addossò contro la parete. Le sue giornate erano tutte uguali: sveglia all’alba, a causa della luce che penetrava dalla piccola finestra posta nella parte alta del sottoscala, poi restava ferma ad aspettare il pranzo fino a mezzogiorno per, infine, aspettare la cena fino alle sette di sera. Ogni tanto Aaron le portava qualcosa da leggere, ma oltre a questo non poteva fare nient’altro. Si guardò in giro. I suoi pensieri andarono subito su Alex e Mitch. Chissà come stavano. In particolare, era preoccupata per la sorellastra: non sapeva se erano riusciti a rimarginarle la ferita. Immediatamente, pensò alla sua di ferita: quella procuratale involontariamente da Ziva. Ancora non riusciva a credere di essere sua nipote. E, soprattutto, era rimasta sconvolta dalla scoperta dell’assassinio di suo padre. Si scoprì a piangere: da una parte avrebbe voluto che sua zia fosse lì, per proteggerla e salvarla, ma, dall’altra, non riusciva a perdonarla di un gesto simile. Si trovò a pensare che, in realtà, suo padre non fosse arrivato negli Stati Uniti per atti di terrorismo, ma per ricongiungersi a lei. “Sì, deve essere così.” pensò tra sé e sé, cercando di convincersene.

-McGee, dimmi che sei riuscito a trovare qualcosa!- esclamò Gibbs. –Capo, ho ascoltato la telefonata di Aaron cento volte, ma…- -“Ma” un corno! Ascoltala altre cento, se necessario. Non si tratta di un semplice caso! Si tratta di Rachel!-. Tim deglutì, impallidendo: non aveva mai visto il suo capo così. –Gibbs, vieni subito in ufficio.- lo chiamò Vance. Jethro si diresse verso il suo capo, a malincuore. Entrò nell’ufficio, chiudendo la porta e rimanendo a fissare il panorama fuori dalla finestra. –Senti, ti stai coinvolgendo troppo. Si può sapere che ti prende? Ho capito che è la nipote di Ziva, ma…- -Non è per quello Leon.- mormorò Jethro. –E, allora, per cos’è?- domandò il direttore dell’NCIS. Gibbs sospirò. –Si tratta di Kelly. Non posso permettere che succeda di nuovo. Non posso permettere che una persona così giovane paghi un prezzo così alto. Leon, il sangue è sempre sangue. Non importa di chi è. Si tratta sempre di morte e dolore.-. Vance pensò ai suoi figli. –Gibbs, non potrò mai capire quello che hai provato. Ma ora quella ragazzina ha bisogno della tua razionalità, non della tua agitazione.- affermò. –Sì, hai ragione. Cercherò di calmarmi.-.

-Abby, devi aiutarmi. Non riesco proprio a capire da dove Aaron abbia chiamato.- dichiarò Tim. –Mmm… Proviamo a riascoltare tutto.- suggerì la forense. Si misero a riascoltare la telefonata attentamente, provando a cogliere ogni particolare utile. –Accidenti, è finita di nuovo e non abbiamo cavato un ragno dal buco!- si innervosì McGee. –Tim, aspetta. C’era come un rumore di treni.- affermò Abby. Ascoltarono tutto nuovamente. –Sì, hai ragione. Questo vuol dire che…- -Devono trovarsi vicino a una stazione o a dei binari. E, dato che Aaron vuole qualcosa da Ziva, devono trovarsi a Washington!- esclamò Abby. –Corro da Gibbs, subito!- affermò Tim. Corse fino all’ufficio di Vance, urlando:-L’abbiamo trovata! L’abbiamo trovata!-. Entrò nell’ufficio, senza curarsi minimamente di bussare. – Agente McGee, le sembrano i modi?- lo rimproverò Vance. –Mi scusi direttore. Ma io ed Abby l’abbiamo trovata. Sono qui a Washington.- dichiarò Tim. –Bel lavoro McGee. Ora so cosa fare.- affermò Gibbs.

Angolo dell'Autrice

Ehilà, dai, sono abbastanza in orario stavolta. Che ve ne pare di Gibbs? Lui pensa a Kelly e, in effetti, lei era più o meno coetanea di Rachel. Ziva pensa ad Ari, ma sta iniziando a superare il suo passato. E McGee... McGee pensa a lavorare ahahah. Basta, lo adoro!

Grazie a Meggie90, AleTiva95 e a TinaTiva99 per le recensioni. 


Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


-Dovrebbe essere questa! Pronti all'azione!- sussurrò Gibbs nella ricetrasmittente. Erano giunti davanti a una villetta che si trovava dietro le ferrovie. 
-Ricevuto capo! Aspettiamo solo il segnale.- rispose DiNozzo, per poi voltarsi teneramente verso Ziva. 
-Tutto bene?- domandò, preoccupato.
-Sono stufa Tony. Stufa di tutto questo dolore inutile che mi ha portato il mio passato.- confessò l'israeliana, trattenendo le lacrime.
-Ehi, ehi, calma.- l'abbracciò lui, con dolcezza. -Ti ha portato anche delle cose belle.-.
-E cosa?- chiese lei, non molto convinta.
-Rachel. E adesso la libereremo, fosse l'ultima cosa che faccio!- affermò l'uomo. Ziva gli sorrise.
-Siamo pronti per l'irruzione, passo.- avvisò Jethro.
-Anche noi.- rispose Tony.
-Al mio tre. Uno, Due...-.
-Aspettate! Fermi!- esclamò Ziva. L'ex agente del Mossad si guardò intorno. Qualcosa non quadrava. Decisamente. Iniziò a correre.
-Ziva, che stai facendo? Fermati!- la chiamò Tony. Ma la donna sembrava sorda. Correva lungo la strada, come se stesse inseguendo un 'entità invisibile. Estrasse la pistola dalla tasca.
-DiNozzo, che sta succedendo?- chiese Gibbs.
-C-capo, non ne ho la più pallida id...-.
-Ripeto: cosa sta succedendo?- si innervosì Jethro.
-Ziva sta correndo lungo la strada con la pistola capo, non so cosa abbia visto.- rispose Tony.
Gibbs tentò di mantenere la calma.
-Maledizione!- esclamò Leroy.
-McGeec muoviti!-.
 
Ziva arrivò in un parco. Si guardò attentamente intorno. C'erano famiglie con bambini, coppiette, persone anziane. Nulla di sospetto. Apparentemente.  
 
-Dov'è Ziva?- chiese Gibbs, raggiunto Tony.
-L'ho vista entrare nel parco.- rispose l'agente.
-E per caso hai intenzione di seguirla o preferisci aspettare che te lo consigli caldamente?- 
-Io...- provò a ribattere DiNozzo.
-Penso che tu l'abbia leggermente innervosito.- bisbigliò McGee.
-Tutti e due! Muovetevi e andiamo verso Ziva! Pivelli!-.
 
L'israeliana camminava lentamente verso un parcheggio, con circospezione. 
-Aaron! Lo so che sei qui!- esclamò. -Vieni fuori!- continuò, scrutando il mare di veicoli davanti a sé. Il silenzio era assordante.  Improvvisamente, si sentì un battito di mani. Aaron sbucò, dal retro di un camion. Teneva Rachel sotto ostaggio.
-Ziva, Ziva, Ziva, mia piccola Ziva. Ci hai visti uscire dal retro, eh?- la sbeffeggiò l'uomo.
-Ziva! Ti prego aiutami!- la implorò la ragazzina. 
-Zitta!- urlò Aaron, muovendo la pistola con fare minaccioso. 
-Aaron, non fare stupidaggini! Lasciala andare!-.
-Lasciarla andare? Ziva, ma stai scherzando vero?- replicò il fratellastro.
Rachel scoppiò a piangere, disperatamente. 
-Non riguarda solo i codici, vero?- provò a capire la donna.
 
-Eccola lì!- esclamò McGee. Tony fece per andare verso di lei, quando Gibbs lo fermò.
-Gibbs, ti prego!- lo supplicò DiNozzo.
-Se ti lascio andare, mettiamo a repentaglio la sua vita. E quella di Rachel.-.
 
-Ari mi ha rovinato la vita! Lui e tutti i vostri schifosi amici. Voi, fottuti figli dell'Intifada!- si sfogò l'uomo, stringendo con violenza la spalla di Rachel.
-Mi fai male!- si lamentò la ragazzina.
-Ah, ti faccio male?- ironizzò lui, stringendo ulteriormente la morsa.
-Aaron, smettila! Non è colpa sua se è scoppiata l'Intifada!-. 
Aaron parve rilassarsi un po'. Allentò la presa su Rachel ed estrasse dalla tasca una sigaretta. La mise in bocca e l'accese.
-Dove sono gli altri sbirri? Non ci credo che sei venuta da sola.- sbottò.
-Hai ragione, Aaron. Non è venuta da sola. Ma era nelle sue intenzioni.-.
Ziva si voltò. Gibbs avanzò verso lo strano trio. 
-G-Gibbs- balbettò Rachel.
-Non ti preoccupare piccola, usciremo da questa situazione.- provò a rassicurarla.
-Sai, dovresti smetterla di fare promesse che non puoi mantenere, vecchio.- sibilò Aaron. Gibbs non reagì.
-Lo sai benissimo a chi mi riferisco. Chissà quante volte avrai promesso a tua figlia che non le sarebbe capitato nulla.- lo provocò l'israeliano.
-Aaron, sei circondato. Ti conviene arrenderti.- asserì Jethro, mantenendo la calma.
-Arrendermi? Mi credete uno sprovveduto? Nah!- ribatté il terrorista.
-Che cosa vuoi da me, Aaron?- domandò Ziva, al limite dell'esasperazione. Avrebbe solo voluto prendere Rachel con sé e tornarsene a casa. 
-Io voglio te. La tua vita per quella di Rachel. Ci stai?- le propose l'israeliano.
-Ziva, No!-. 
La donna si voltò. Tony la fissava. Era sul punto di scoppiare a piangere. 
-Oh, e chi l'avrebbe mai detto? Ziva, a quanto pare dovrai scegliere tra la tua nipotina e il passare la vita con quello.-.
-Ehi! Io non sono "quello"!- ribatté Tony. 
-Aaron, lascia andare Rachel, o apriremo il fuoco.- lo ammonì Gibbs.
L'israeliano, per tutta risposta, serrò gli occhi, con aria di sfida. 
-La mettete così? Bene!- asserì, caricando la pistola e puntandola alla tempia di Rachel. Si addossò al camion, in modo da coprirsi le spalle.
-Aaron No!- esclamò Ziva.
-Se provate anche solo a sparare un colpo giuro che le faccio saltare in aria il cervello! E non scherzo! Ziva sa che io non scherzo mai!- minacciò.
-Si può sapere cosa vuoi?- domandò Gibbs.
-Voglio Ziva. Per esattezza, voglio vendetta. Vendetta verso la famiglia dell'uomo che mi ha portato via la famiglia!- sbraitò l'israeliano.
-Ma di cosa stai parlando?- domandò Ziva, confusa.
-Ne ho abbastanza di questi giochetti.- affermò Aaron, ignorandola e salendo sul camion.
-Adios, stronzi!- disse, partendo.
-Non posso lasciarmelo scappare di nuovo.- asserì Ziva, determinata, montando su una moto della polizia.
-Vengo con te.- affermò Tony.
-E anche io.- dichiarò Tim.
Gibbs sospirò.
-Beh, che aspettiamo? Un invito a cena? In macchina, forza!- 
-No, ragazzi. Andrò da sola con Gibbs. Tony... Tu rimani qui. Per Mitch e Alex, nel caso non dovessi... Tornare.- richiese Ziva. 
Tony chinò il capo. -E va bene. Ma vedi di tornare.-.
Ziva lo baciò. 
-Ti amo.- sussurò, dolcemente.
-Non per interrompervi, ma direi che abbiamo delle cose urgenti da fare.- li riportò alla realtà Gibbs, esortando l'israeliana a salire in macchina. Mise in moto e partì.
-C'è solo una strada che può aver preso, ovvero quella per la statale.- osservò Leroy. 
 
-Perché non mi lasci andare? Cosa ti ho fatto?- piagnucolò Rachel.
-Se non taci ti bucherò il cervello!- la minacciò Aaron.
-Non sono stupida! Sono la tua unica difesa, la tua merce di scambio. Non mi uccideresti!- replicò la diciassettenne.
-Odio ammetterlo, ma hai ragione.- sibilò il rapitore.
 
-Vedo il camion! Gibbs, eccolo!- esclamò Ziva. Jethro accelerò.
 
-Maledizione!- imprecò Aaron. Si affacciò dal finestrino e iniziò a sparare.
 
-Ziva, spara alle gomme!- ordinò Gibbs. L'israeliana estrasse la pistola e mirò agli pneumatici. Si morse il labbro. Sparò. Il camion sbandò e si schiantò contro un guard rail. Dal veicolo usciva fumo. Gibbs accostò. I due agenti dell'NCIS corsero verso il camion, per salvare Rachel. La ragazzina era incastrata nel veicolo, ma stava bene. L'aiuto fino ad uscire.
-Rachel, come stai?- le domandò Ziva.
-Hai ucciso mio padre! Non toccarmi!- sbraitò la giovane, spingendo via l'israeliana, salvo poi cadere per terra per i dolori provocati dalle varie vessazioni a cui era stata sottoposta.
-Rachel, io...-.
-È tutto inutile, Ziva. Lei ormai ti odia.-.
Ziva, Gibbs e Rachel si voltarono. Aaron era in piedi davanti a loro, sanguinante, con un ghigno malvagio stampato sul volto e la pistola in mano.
-Sai, Ziva, tu e Ari siete uguali. Anche lui ha devastato la mia famiglia, ordinando lo sterminio di un intero villaggio su consiglio di tuo padre!-.
-Ma di cosa stai parlando?- domandò l'ex agente del Mossad.
-Mi ero sposato in segreto. Lei era così bella. E anche nostra figlia lo era. E quei due figli di puttana mi hanno rovinato la vita! E ora io mi vendicherò!- urlò il criminale, sparando verso Ziva. Gibbs rispose immediatamente, uccidendo Aaron. L'israeliana si preparò a ricevere il colpo, che, però, non arrivò. La donna aprì gli occhi. Rachel era davanti a lei, piena di sangue. 
-Rachel!- scoppiò a piangere.
-Maledetto figlio di puttana!- imprecò Gibbs. 
-Bisogna tamponare la ferita.- affermò Jethro, strappandosi un pezzo della sua maglia e fasciando il fianco della ragazza. Poi chiamò il 911, chiedendo un'ambulanza.
-Z... Ziva.- mormorò la diciassettenne.
-Non sforzarti Rachel, tranquilla, ci sono qui io.- bisbigliò la donna.
-Ho freddo... E sonno.-.
-No, Rachel! Resta sveglia! Resta sveglia!-.
La ragazzina lottò con tutte le sue forze, ma il buio la travolse.
 



Angolo dell'Autrice

Ehm... Scusate il ritardo (di tipo due anni). Non so chi segua ancora questa storia, ma mi sono sbloccata (alla buon'ora). Grazie a chiunque abbia letto, recensito, seguito e a quanti leggeranno questo capitolo. 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


24.

-Come sta?- domandò Gibbs a Ziva. Jethro, accompagnato da Tim, aveva raggiunto lei e Tony in ospedale. 
-Non lo sappiamo. È ancora sotto in sala operatoria.- rispose DiNozzo.
-Sta arrivando anche Abby con Alex e Mitch.- asserì McGee. Ziva sospirò. Sentì una vocina chiamarla. Si voltò: Mitch le correva incontro, seguito da Alex. Le saltò in braccio. 
-Come sta?- chiese.
-Io... Ecco il dottore.-.
Il chirurgo si avvicinò al gruppo. 
-La ragazza è fuori pericolo.- dichiarò. Tirarono tutti un sospiro di sollievo. 
 
Ziva entrò nella stanza in cui Rachel era stata portata. Era una comune camera d'ospedale, spoglia, ma non fredda. La ragazzina la vide e accennò una sorta di sorriso.
-Come stai?- le chiese la donna.
-Abbastanza bene.- rispose la nipote.
-Tu... Mi hai salvato la vita.- affermò l'israeliana.
-Già.- mormorò Rachel. 
Ziva capì. Aaron doveva averle raccontato tutto.
-Com'era?-.
-Mh?-.
-Com'era mio padre?- insistette la ragazzina.
-Era... Lui era tante cose. Ha fatto tante cose, alcune di queste molto brutte. Ma non era le sue cose brutte. È stato anche un fratello molto affettuoso. Gli volevo molto bene.- rispose l'israeliana.
-E allora perché l'hai ucciso?- esplose Rachel, in lacrime.
-Perché?- continuò, piangendo. Ziva si sentì sprofondare. Già, perché? Se lo stava chiedendo da anni anche lei.
-Perché andava fermato Rachel.- trovò la forza di rispondere. 
-Volevo molto bene ad Ari. Voler bene a una persona vuol dire anche provare a salvarlo da sé stesso. E io non ce l'ho fatta. Tuo padre l'ho perso molto prima di ucciderlo. L'ho perso perché aveva perso sé stesso. E, a quel punto, ho dovuto fermarlo, prima di perdere ciò che avevo appena incontrato.-.
Rachel parve calmarsi. Ziva si sedette sul letto, abbracciandola.
-A me piacerebbe molto che tu venga a vivere da me con Alex e Mitch.- dichiarò. Rachel sospirò. Iniziò a torturarsi le mani. Appoggiò il capo al petto di Ziva e scoppiò nuovamente a piangere. La donna la lasciò sfogare.
-Ti voglio bene. Lo giuro.- affermò.
-Lo so Rachel. Lo so.-.
 
-Eccoci arrivati!- asserì Tony. Rachel era stata dimessa e lui l'aveva accompagnata da Ziva. 
-Tony!- esclamò l'israeliana. DiNozzo sorrise. 
-Beh, io andrei.- affermò. 
-Oh. Okay.- mormorò l'ex agente del Mossad, chiudendo la porta. Si voltò. Alex, Rachel e Mitch la fissavano, contrariati.
-Che c'è?- domandò lei. 
-Che c'è? No, stai scherzando, vero?- ribatté Alexandra.
-Dovevi farlo entrare!- esclamò Rachel.
-Già.- aggiunse Mitch.
Ziva sospirò.
-Io... Non mi pare opportuno.- provò a replicare Ziva.
-Opportuno? Ahh, faccio io!-.
-Rachel, non mi pare il...- provò a fermarla l'israeliana, senza successo: la ragazza aveva già aperto la porta e richiamato Tony, invitandolo a pranzo.
-Ti volevano qua.- si giustificò Ziva.
-Solo loro?- chiese Tony. L'israeliana alzò gli occhi al cielo. 
-Beh... Non solo.- rispose, baciandolo.
-Non guardare queste cose Mitch!- esclamò Alex, coprendogli gli occhi.
Rachel sorrise. Finalmente il passato diventava tale e il presente ora brillava, luminoso e carico di speranza per un futuro tutto da scoprire e vivere.


Angolo dell'Autrice

Non ci credo! L'ho finita. Questo capitolo è cortissimo e mi scuso di ciò, ma non aveva senso scrivere di più. Tutto è bene quel che finisce bene, come si suol dire!
Ringrazio di cuore chiunque abbia letto questa storia, l'abbia recensita e mi abbia aspettata per due anni! Grazie di cuore!
Alla prossima!

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