Day 0

di Nerhs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 0 ***
Capitolo 2: *** Day 1 ***
Capitolo 3: *** Day 2 ***
Capitolo 4: *** Day 3 ***
Capitolo 5: *** Day 4 ***
Capitolo 6: *** Day 5 ***
Capitolo 7: *** AVVISO ***
Capitolo 8: *** Day 6 ***
Capitolo 9: *** Day 7 ***
Capitolo 10: *** Day 8 ***
Capitolo 11: *** Day 9 ***



Capitolo 1
*** Day 0 ***


Day 0
 
                                                                                                                   Musica: Ludovico Einaudi - Experience
 
Mi ritrovai spiaccicata contro quel cassonetto dell’immondizia, fradicio e puzzolente, con le mani legate e appese dietro la schiena. Iniziavano a farmi male i gomiti, ma non era la cosa che più mi premeva in quel momento.
Quei tre ragazzi dei quali non conoscevo neanche il nome, mi sbeffeggiavano e ridevano di me, ridotta in quella pietosa situazione. Non sapevo chi loro fossero o il perché avessero scelto proprio me. L’unica cosa che sembravo sapere, era la convinzione che non avrei fatto ciò che loro mi chiedevano di fare.
 
«Coraggio, piccola, se avessi accettato al inizio, ora non saremmo messi così. Devi dire di si» parlò quello al centro
«Non ucciderò mai un ragazzo innocente. Ficcatevelo in testa» urlai, spazientita, agitando le mani dietro la schiena. Uno dei tre mi venne incontro, muovendo tra le mani una pistola nera lucida e puntandola contro la mia tempia destra e facendo pressione.
«In testa ti ci ficco una pallottola se non ti sbrighi ad andare da quello lì e ficcargliela tu, Clarisse»
«Non permetterti di pronunciare il mio nome, assassino che altro non sei»
 
Non potevano costringermi ad uccidere qualcuno. Non conoscevo loro, non conoscevo lui. Uccidere andava contro i miei principi, andava contro i principi di chiunque, ma a quanto pare non ai loro. Mi sentivo impaurita, ma per qualche strano motivo, la paura si era manifestata sotto forma di impertinenza. Non volevo essere lì, non volevo dire di sì per salvarmi la pelle, volevo solo che tutta quella insana situazione fosse un incubo dal quale mi sarei svegliata da un momento al altro. Ma era la realtà, la vita vera.
 
«Se non muore lui, muori tu. Scegli» urlò spazientito quello al centro, prendendo la pistola dalla tasca posteriore dei jeans e puntandola verso di me
«Io non uccido» sentenziai, chiudendo gli occhi, pronta alla prossima mossa
«Io sì»
 
Un dolore fitto mi sconvolse, lasciandomi in balia di me stessa, in balia della morte. Sentii le palpebre farsi tremendamente pesanti e scintille di luce balzavano su e giù, tra le mie iridi. Un vortice mi inghiottì e caddi al suo interno, senza poter far nulla per risollevarmi. Niente sette minuti per rivedere i miei miseri sedici anni di vita. Niente farfalle e fiori.
Mi trovai stesa in un lungo corridoio di pavimento lucido bianco. Aprii di scatto gli occhi, ritrovandomi viva. Sentendo ogni osso del mio corpo emettere un tetro scricchiolio ad ogni tentativo di rialzarmi, mi convinsi che in realtà nessuno mi aveva uccisa, ma forse inciampando ero caduta in fondo ad un fosso e mi fossi rotta tutte le ossa della spina dorsale. Eppure come lo spiegavo quel bianco? Tutto quel bianco che mi circondava metteva paura. Non c’era nulla, solo il bianco. Una volta in piedi, iniziai a tastarmi il corpo e al posto degli skinny strappati e del giubbotto pesante, indossavo una lunga tunica, bianca anche quella. Sformata, senza zip, con delle cuciture grossolane. La raccolsi tra le mani e iniziai a camminare, nel vuoto senza fine.
Senza alcun rumore e soprattutto in maniera del tutto misteriosa, spuntò di fronte a me una porta di acciaio. Balzai al indietro dalla sorpresa e mi voltai, cercando qualcuno. Nessuno. Poggiai la mano sulla maniglia e la trascinai in giù, trovandomi in un’altra stanza bianca. Sbuffai, desiderando solo di poter tornare alla mia vita. Una volta chiusa, la porta scomparve nuovamente e mi convinsi di aver battuto molto forte la testa. Non poteva essere.
 
«Eccome se può essere!» scoppiò una voce allegra. Mi voltai di colpo, trovando un ragazzo di fronte a me. Aveva un gran sorriso ed era vestito completamente di nero, creando contrasto con tutto quel bianco. Si avvicinò ridacchiando e, da subito, mi ispirò fiducia.
«P-può spiegarmi dove sono? E lei chi è?» chiesi
«Non aver paura di me Pich, non devi! Io mi chiamo Ashton e sono qui per aiutarti»
«Pich? Io mi chiamo Clarisse! Cosa vuole lei da me? Aiutarmi per cosa?» iniziava ad essere tutto così confuso, eppure una parte nascosta del mio cervello mi tranquillizzava a fidarmi di quel ragazzo. Ashton sorrise, come dispiaciuto, abbassando gli occhi, e avanzando mi poggiò una mano sulla spalla e mi accarezzò.
«Io e te dobbiamo farci una chiacchierata. Gradisci un tè?»
 
Sbuffai. Un tè? Non c’era nulla oltre al nulla lì. Ashton, leggendomi nuovamente nella mente, sorrise e mi fece voltare. Dietro di me si trovava un tavolo, apparecchiato con una tovaglia bianca e una teiera con due tazze che fumavano. Spalancai gli occhi e ci passai le mani sopra. Era tutto stranissimo. Doveva essere un incubo, uno di quelli così reali da sembrare veri. Il ragazzo mi spinse cortesemente verso una delle due sedie e mi fece accomodare.
 
«Tu mi devi delle spiegazioni» poggiai i gomiti sul tavolino, sentendone la consistenza. Il sogno era proprio ben fatto.
«Si, ma tu smettila di pensare che questo sia un sogno. Non lo è Pich. Tu, o meglio, Clarisse è morta nel momento in cui quel ragazzo ti ha uccisa con il colpo di pistola» alle sue parole, rimasi scioccata. Dov’ero quindi? Se ero morta, quello era il Paradiso?
«Per l’amor del Cielo Pich! No, questo non è il Paradiso! Questa è la Stanza di Mezzo, non ve ne parlano ancora laggiù, eh? No, scommetto di no» sorseggiò il suo tè, sbrodolandosi sulla camicia nera, ma la cosa non lo scalfì. Rimasi in silenzio, per ascoltare cosa aveva da dirmi.
«La Stanza di Mezzo accoglie tutte quelle persone morte, e nel tuo caso, uccise per salvare o proteggere qualcun altro. Credi negli Angeli, Pich?» sorseggiò ancora. Se credevo negli Angeli? Beh, no, ma in quel momento tutte le mie convinzioni erano state spazzate via, quindi avrei potuto ricredermi. Per quel momento, scossi la testa negando.
«E sbagli! Gli angeli esistono, guarda me, ne sono la prova vivente! Ne esistono di varie specie, ci sono i Custodi, i Prendimorte, i Medicanti, e via dicendo…»
«E tu cosa sei?» chiesi curiosa
«Io sono uno dei 20. Ogni cento anni, vengono scelti 20 angeli Custodi che diventeranno Arcangeli, e io sono in transizione, per diventare Arcangelo, ma per ora mi prendo cura di te»
«E cosa c’entro io in tutto questo?»
«Essendo morta per il bene di un’altra persona, favorendo la sua vita al posto della tua, ora diventerai un Angelo, mi sembrava chiaro. Diventerai una Custode, dovrai essere per sempre fedele al tuo Assegnato, fin quando egli non morirà nel bene e sulla diritta via. E’ tua responsabilità, ora. Il tuo nuovo nome sarà Pich, l’ho scelto io per la cronaca, mi piaceva e credo che…»
«Frena un attimo, Angelo, io sono una cosa? Io sono una Custode? Ma…non so neanche preparare il pranzo per me, figuriamoci badare ad un altro essere umano! Ho solo sedici anni e poi Pich, sei serio?»
«Lo so che può sembrare disorientante, ma è così. Devi accettarlo. Anche per me è stato… traumatico, ma sono qui e far del bene è gratificante. Imparerai, non sarai mai sola, ci vuole solo del tempo. Non devi sottovalutarti. Sei una persona coraggiosa, in pochi avrebbero preso la tua stessa decisione, puoi farcela» mi prese la mano e la strinse. Decisi di abbracciare il mio nuovo incarico, sentendo quella vocina nella testa che continuava a ripetermi di fidarmi. Mi abbandonai senza pochi dubbi a quella nuova vita, ma c’erano ancora molte cose che mi ronzavano in mente.
«E…chi sarebbe il mio Assegnato?» chiesi
«Il suo nome è Calum, Calum Hood. Tu gli hai salvato la vita» mi venne risposto.

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Capitolo 2
*** Day 1 ***


Day 1
 
                                                                               Musica: Ludovico Einaudi - Nuvole Bianche
 
Mi ero appostata dietro una colonna del centro commerciale nel quale il mio Assegnato stava facendo delle compere. Era insieme ai suoi amici e alla sua fidanzata, ma a me doveva importare di lui.
Una voce nella mia testa continuava a ripetermi perché io mi stessi nascondendo se, nessuno, eccetto lui, potesse vedermi. Ma era proprio per quello che mi nascondevo, non volevo che lui mi vedesse.
Calum era un ragazzo alto, molto bello, con un fisico allenato e la carnagione scura. Non sapevo molto di lui, perché dovevo ancora imparare a conoscerlo, ma mi chiedevo il perché quei ragazzi volessero ucciderlo. Sembrava un tipo calmo, al quale piaceva ridere e scherzare, non quel genere di ragazzo che si intromette in risse o scommesse di gioco.
Decisi di abbandonare il mio nascondiglio e quando mi immisi nel corridoio immenso della struttura, mi sentii una misera ombra. La gente mi passava accanto, e non mi notava. Un ragazzo mi era persino venuto addosso, e mi aveva trapassata, come se io non fossi stata lì, come se fossi fatta d’aria.
Tirai su col naso e ripartii all’inseguimento.
Calum aveva nella mano sinistra alcune buste sulle quali leggevo loghi mai sentiti prima e con la mano destra teneva stretta la mano di una ragazza alta quasi quanto lui, con dei lunghi capelli rossi e la pelle abbronzata. Mi avvicinai con cautela e iniziai a camminare dietro di lui.
I loro amici camminavano di fianco a me, ma nessuno se ne accorgeva. Erano due ragazzi, entrambi della stessa età, più o meno. Facevano molto chiasso mentre parlavano, tanto da costringermi a coprirmi le orecchie.
Mi avvicinai ad uno dei due, che aveva dei superbi occhi azzurri e provai a leggergli la mente, senza molto successo. Tutto ciò che riuscii a percepire furono dei rumori confusi. Iniziai a fissarlo e a cercare una qualche imperfezione sul suo viso, ma non ne trovai. Provai ad allungare una mano tremolante verso un piccolo cerchio di metallo nero che gli circondava il labbro inferiore, ma il mio dito volò oltre, senza scalfirlo minimamente. Decisi che forse era meglio allontanarmi e così feci. Ripresi a camminare, però avanzai e mi misi proprio alle sue spalle. Lui fortunatamente non se ne accorse.
Percepii i suoi discorsi insieme agli altri ragazzi e capii che il sabato sera, ovvero, se non sbagliavo, tre sere dopo, si sarebbe tenuta una grande festa a casa del loro amico Austin. Non conoscevo questo Austin ma mi auto-invitai alla sua festa, con il semplice scopo di proteggere Calum.
Avanzai di qualche passo fino a superarlo e mi misi a camminare di fronte a lui, senza più guardarlo.
D’un tratto una bambina, iniziò a correre verso di me, con le braccia aperte, come se potesse realmente vedermi e io, mi bloccai, pronta a sollevarla tra le braccia. Rideva ed era spensierata e come mi fu vicina, il suo corpo trapassò il mio, come se non mi avesse vista, come se non mi avesse sentita. Di nuovo.
Come se potessi ancora piangere, sentii un groppo in gola salire e stringersi nella trachea. Ero così solo da un giorno e già non volevo più essere un angelo. Mi girai verso di Calum che come me, aveva assistito alla scena e si era bloccato esattamente dietro di me. Mi fissava con i suoi grandissimi occhi marroni, sbarrati e sorpresi. Non era certamente una cosa da tutti i giorni vedere una bambina che passa attraverso il corpo di una ragazza, come un fantasma.
Iniziai a correre lontano da lui e mi nascosi dietro la statua del clown di un McDonald’s a fissarlo. Era rimasto lì, a guardare il punto in cui fino a poco prima, c’ero io. Il ragazzo con gli occhi azzurri gli scosse una spalla richiamandolo a sé.
 
«Cal, che c’è? Hai visto per caso un fantasma?» rise lui
«T-tu…voi, voi non avete visto?» chiese spaesato
«Cosa Cal?» chiese la ragazza
«La ragazza col vestito bianco…era qui»
«Pft, ora hai anche le allucinazioni!» rise sguaiatamente la ragazza
 
Calum, ancora basito, mi cercò attorno a sé, ma non mi vide e continuò per la sua strada.
 
 
Entrai nella vecchia casa che condividevo con i miei genitori e, trovandola vuota, sgattaiolai nella mia vecchia camera. Nulla era stato mosso dalla mia morte. Il letto era rifatto e le lenzuola erano profumate. I poster di band e cantanti erano rimasti attaccati alle pareti e i miei cd impalati su uno scaffale della libreria.
Mi avviai verso il bagno e mi guardai allo specchio. I contorni della mia figura erano sfocati ed emanavo una luce spettrale.
Sentii una tremenda fitta alla schiena, dalle scapole alla base della spina dorsale, tanto forte da costringermi a piegarmi dal dolore. Alzai piano il vestito bianco con cui mi ero svegliata la mattina dopo la Transazione e lo sfilai. Mi voltai verso lo specchio e due grandi cicatrici traslucide si estendevano dalle scapole evidenti alla base della schiena. Sembravano fresche, appena intagliate, erano ampie e dritte. Formavano come una V che andava a chiudersi verso la fine. Provai a sfiorarle, ma il bruciore aumentò, facendomi scostare la mano come se mi fossi bruciata.
Mi chiesi se quelle non fossero le piaghe dalle quali un giorno sarebbero spuntate le ali, ma esistevano veramente quel tipo di angeli? Insomma, ad Ashton non le avevo viste. Forse era solo una di quelle fantasie che si raccontano ai bambini e che vengono scritte nei libri. Forse le ali non esistono, eppure io avevo delle cicatrici allucinanti lungo tutta la schiena. Scossi la testa, convinta del fatto che avrei chiesto spiegazioni al mio amico angelo il più presto possibile e ripresi il vestito bianco, rigirandolo. Attaccata alla stoffa che prima aderiva alla pelle della schiena, trovai una piccola piuma bianca. Me la rigirai tra le mani e quando la strinsi in un pugno, la ritrovai congelata. Il contatto soffice era sparito, abbandonandosi ad un tocco freddo, immobile. L’elasticità aveva lasciato posto alla rigidezza. Mi domandai il perché di quella fossilizzazione, e la riposi nel mio vecchio comò, sotto ad alcune magliette.
Mi avvicinai al mio vecchio letto e mi allungai verso lo scaffale più prossimo della mia libreria, dove tenevo tutti i miei vecchi diari. Ne afferrai uno a caso, con una sgargiante copertina rosa, e lo aprii alla prima pagina che mi capitò.
 
Caro diario,
oggi mi sembra di essere solo così felice. E va bene.”
 
Sorrisi e richiusi il diario.
Quella felicità sembrava essere svanita nel nulla. Io non ero felice. Non ci capivo più nulla. Non sapevo più chi ero, cosa dovessi farci ancora in quel mondo. Ero morta, qualcuno di più potente aveva voluto che andasse così, e allora perché proprio quel qualcuno mi aveva rivoluta sotto questa forma? Io non ne ero in grado. Mi ero fatta beccare il primo giorno. Non ero in grado di proteggere qualcun altro che non fosse me stessa. Quel gesto di puro coraggio io lo avevo compiuto per pura protezione personale. Non volevo che qualcuno infrangesse i miei principi fondamentali e così li avevo protetti, avevo protetto ciò che ero. Io non ci pensavo neanche a Calum. Io neanche lo conoscevo. Mi venne la voglia di piangere, ma non potevo. Gli angeli non possono piangere.
Tentando ancora una volta, mi allungai verso lo scaffale più alto della libreria e afferrai il mio vecchio mp3, uno di quelli lunghi e sottili, vecchio e malridotto. Mi infilai le cuffiette e sperai con tutta me stessa di poter ancora sentire quella melodia armoniosa e straziante. Pigiai sul pulsante al centro e come una tempesta, le prime note della canzone mi sovrastarono le orecchie.
Mi stesi sorridendo sul mio letto, a pancia in su, lasciandomi cullare dalle magiche note di “Nuvole Bianche”  credendo che forse, quella felicità, non era poi tanto lontana.

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Capitolo 3
*** Day 2 ***


Day 2
 
                                                                                    Musica: Ludovico Einaudi - Divenire
 
Mi svegliai di soprassalto nel mio letto, come se qualcuno mi fosse venuto accanto e mi avesse dato una forte scossa. Mi misi a sedere e, guardandomi intorno, mi scoprii nella mia camera. Sentii mia madre dalla cucina, chiamare mio padre e annunciargli che il suo caffèlatte era pronto. Mi chiesi quasi se tutta la questione dell’essere morta e della trasformazione in un angelo custode, fosse una scemenza e mi convinsi anche di aver sognato tutto, ma quando mi alzai dal letto e mi diressi verso il salotto, mi accorsi che i miei genitori non si accorgevano di me.
Era come se non mi vedessero, come se i miei richiami per attirare la loro attenzione, venissero urlati a qualcun altro. Loro non si accorgevano di me, io non ero lì, con loro. Ero veramente morta ed ero veramente un angelo.
Con il cuore pieno di rabbia e di tristezza, mi avvicinai a mia madre e le lasciai un bacio sulla fronte, consapevole che lei non avrebbe potuto sentirlo e, dopo aver accarezzato la guancia di mio padre, gli rubai una sigaretta dal pacchetto che teneva in veranda. Me la infilai nel ponte del reggiseno, in mezzo alle due coppe, e me ne andai.
Iniziai a camminare per le strade di campagna, diretta in città e decisi di provare a testare le mie ali, se era vero che ne avessi un paio, ovviamente.
Mi fermai in mezzo ad un vecchio campo abbandonato e strofinai le mani tra di loro. Mi guardai intorno e non vidi nessuno, ma comunque non potevo essere vista.
Provai a concentrarmi, ad immaginare due ampi archi che mi fuoriuscivano dalla schiena, un’ampia distesa di piume bianche che libravano e squarciavano l’aria, ma non sentii nulla. Mi tastai le scapole, ma non c’era nulla di diverso.
Ci provai di nuovo. Strizzai forte gli occhi e mi convinsi di voler vedere le mie ali, ora che sapevo che probabilmente esistevano, altrimenti non si sarebbe spiegata quella piuma. Mi convinsi che volevo volare. Si, volare. Volevo alzarmi tra le nuvole e girare a vanvera, verso luoghi che non avevo mai visitato. Volevo volare e sentirmi libera, sentirmi non più così. Volevo che, mentre fossi stata in aria, quella zolla di insicurezze e paura che mi tenevo dentro, cadessero giù e mi lasciassero andare.
Sentii come una spinta da dentro di me e poco dopo, uno squarcio. Il mio vestito si era aperto sulla schiena in un teatrale strappo. Mi voltai di poco, quanto bastava per vedere due arcate di piume di un bianco puro che si allungavano oltre di me. Le sfiorai e sorrisi. Erano così soffici e così profumate.
Decisi che forse potevo provarci, a volare.
E lo scoprii molto facile. Era come dare un comando alle dita, o alle mani, o alle gambe. Era istintivo e in pochi attimi mi trovai con i piedi che non toccavano più il terreno. Iniziai a gridare dalla gioia e a saltellare di metro in metro, man mano sempre più su, verso le nuvole bianche che sembravano fatte di zucchero. Presi velocità pian piano e sentii il vento sferzarmi sul viso, ed ero così felice, volavo ed ero libera.
Continuai a volare verso la città, perdendo a volte quota. Gli uccelli che incontravo, mi sfilavano davanti come se nulla fosse. Mi domandai se loro riuscissero a vedermi o se la regola dell’invisibilità valesse proprio per tutti.
Scesi un po’, costeggiando i tetti dei palazzi più bassi e mi ritrovai nel cuore pulsante della città. Ognuno era impegnato a fare qualcosa. Chi camminava nervosamente, chi lavorava, chi giocava, chi parlava al telefono.
Mettendo alla prova i miei sensi acuti, cercai di rintracciare Calum, e lo scoprii mentre parlava freneticamente al telefono.
Sembrava arrabbiato ed infastidito e una fitta mi trapassò lo stomaco.
Iniziai a virare verso il basso, fino a toccare con i piedi l’asfalto. Il dolore al ventre si faceva sempre più forte, man mano che lui inveiva contro il telefono. Tenendomi a debita distanza, spiai la sua conversazione e mi resi conto che stava litigando con la sua fidanzata.
Urlava talmente forte il suo nome, così rabbiosamente, che sembrava ringhiare. Melissa.
Le stava rimproverando il fatto di essere uscita a cena con un altro ragazzo, un ragazzo che lui non conosceva e con il quale, probabilmente, lui credeva lei fosse andata a letto insieme. Potevo sentire la voce acuta della ragazza urlare a sua volta che ciò che lei faceva non erano fatti suoi.
Come potevano non essere fatti suoi? Era la sua fidanzata.
Calum, sconvolto la mandò a quel paese e attaccò la chiamata nel bel mezzo dei suoi urli isterici.
Come il ragazzo agganciò e si calmò, il dolore alle costole svanì immediatamente. Un grande senso di sollievo mi pervase e mi chiesi se tutte le volte che lui fosse stato male, anche io mi sarei sentita in quel modo. Scossi le spalle, aggiungendo ulteriori domande alla lista inesistente dei quesiti che avrei posto ad Ashton alla prima occasione che mi fosse capitata per vederlo, e seguii il mio Assegnato in un bar. Aspettai fuori dal portone che lui si accomodasse e facesse il suo ordine, per poi entrare a mia volta.
Il suo sguardo era puntato sul tavolino, sul quale era poggiato il suo telefonino, ma quando passai, gli unici occhi che si accorsero di me, furono i suoi. Mi seguì fino al tavolo con lo sguardo per poi abbassarlo nuovamente. Mi sedetti in un tavolo a poca distanza da lui e afferrai un menù, per fare scena. La cassiera del bar, vedendo il menù fluttuare nel nulla, spalancò gli occhi e si diede un pizzicotto. Vedendo che il problema persisteva, si colpì la fronte e distolse lo sguardo, pensando un “Sono troppo stanca”.
Sentii gli occhi di Calum girarsi e bruciare su di me, mi stava osservando e io non potevo abbassare quel maledetto menù.
Provai ad insinuarmi nella sua mente e vedere a cosa stava pensando.
Chiusi gli occhi e provai a fare come avevo fatto per le ali. Mi concentrai e convinsi me stessa di volere con tutte le mie forze sapere a cosa stava pensando il ragazzo. Una seconda voce si insinuò nella mia testa, ed era la sua voce.
 
«Ancora lei? E’ la ragazza col vestito bianco. Perché mi segue? Mi segue? No, sarà una coincidenza. Dai Calum, smettila di fissarla. E se se ne accorge?» di scatto si rigirò sulla sua sedia, facendomi ridacchiare.
«Perché non ordina nulla? E’ muta forse? O magari non ha soldi…dovrei andare da lei e offrirle qualcosa? Ma no, Calum, non ci sarebbe entrata nel bar se non avesse avuto soldi! Sembra che nessuno si accorga di lei…E’ cosi strano, bah»
Poi la voce si interruppe e lui si alzò sbrigativo dal tavolo. La cameriera che lo stava servendo si bloccò di fronte alla sua altezza e potevo scommettere che si sentì intimidita dalla sua bellezza.
 
«D-dove sta andando?» chiese
«Oh, il frullato, ha ragione…può metterlo in un bicchiere da portar via, per favore?» lo sentii sorridere, la ragazza diventò rossa come il grembiule che indossava, e annuì scomparendo dietro il bancone.
 
Tornai ad osservare concentrata il menù, sentendo un paio di occhi color cioccolato osservarmi e sorridere. Prese il suo bicchiere e pagò il servizio, per poi andarsene dal locale.

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Capitolo 4
*** Day 3 ***


Day 3
 
                                                                               Musica: Ludovico Einaudi – Oltremare
 
Mi trovavo seduta sul cornicione di un grattacielo, con i piedi che penzolavano sul baratro e le ali che uscivano dallo squarcio del vestito. Le avevo utilizzate per ripararmi in questo angolo di mondo irraggiungibile e avevo dimenticato di mandarle via, sebbene non avessi la minima idea di come fare, il giorno prima erano scomparse da sole.
L’unica cosa che forse odiavo di più dell’essere diventata un angelo, era il fatto che gli angeli non potessero piangere. Avevo così tanta voglia di sfogarmi e non ce la facevo più. Dovevo piangere e forse anche prendere qualcuno a cazzotti. Ero stata costretta ad un’esistenza inesistente, poter essere vista da una sola persona che però non doveva sapere della mia presenza. Mi mancava parlare con le persone, ridere con loro, vedere i loro sorrisi e magari esserne la causa.
Iniziai a prendere a pugni il cemento sul quale ero seduta e odiai Calum, per un piccolo secondo.
 
Ero di nuovo in città, anche quel giorno. Me ne stavo andando in giro spensierata, consapevole di non poter esser vista. Volevo giocare, volevo vedere cosa la gente faceva, volevo godermi il mio status da “mosca”.
Iniziai a saltellare in giro, spiando le conversazioni altrui e sentendo cosa la gente si diceva.
Pettegolezzi, novità, cose tristi. La gente parlava così tanto. E pensava. Mi sentivo la testa piena dei loro pensieri, sovrapposti e confusionari. Una parola da uno, una frase da qualcun altro. Fin quando non mi accorsi di una voce che conoscevo fin troppo bene e l’unica della quale mi dovesse importare qualcosa.
Voltai lo sguardo per notare Calum che passeggiava insieme ad un suo amico. Quello aveva dei bizzarri capelli colorati e mi ricordai di averlo già visto al centro commerciale. La sua voce era sempre rumorosa e rideva molto.
Mi ritrovai a costeggiare il marciapiede e ad ascoltare indisturbata la loro conversazione.
Parlavano della festa a casa di Austin che si sarebbe tenuta la sera dopo e mi battei la mano sulla fronte. Me ne stavo per dimenticare. Calum assentì e si disse presente, così come quello che scoprii essere Michael. Si diedero appuntamento per la sera successiva e dopo essersi bevuti una birra in una pizzeria, si dileguarono, ognuno nella propria direzione.
Io mi trovavo appoggiata ad una panchina fuori dalla pizzeria, pronta a fuggire nel momento esatto in cui Calum fosse uscito, ma calcolai male i tempi.
Quando il ragazzo aprì la porta del locale, facendo per andarsene, il suo sguardo incontrò il mio, che era intento a fissarlo. Allarmata boccheggiai e mi girai frettolosamente mentre sentivo i suoi pensieri confusi, chiedersi cosa ci facessi nuovamente alle sue calcagna.
 
 
Avvertii un’ondata di energia, posarsi con poca grazia al mio fianco. Mi girai e trovai Ashton fissare il vuoto sotto di noi. Mi guardò e sorrise radioso, ricambiai. Si voltò di nuovo e prese a guardare la sera che ormai giaceva sopra di noi e sembrava perso in quella bellezza di luci e rumori che era la città.
Ashton era un angelo bellissimo. Aveva i capelli biondi e mossi, lunghi fino al collo, ma non gli stavano male, anzi. Aveva dei magnifici occhi verdicci che cambiavano colore con la temperatura, assumendo sfumature di marrone negli ambienti più freddi. Le labbra erano piene e contornate da adorabili fossette ogni qual volta sorridesse. La pelle era liscia e raramente era cosparsa da un lieve accenno di barba.
 
«Ti diverti a valutare quanto io sia bello?» mi chiese fissandomi negli occhi, con un sorriso malizioso
«Ashton» arrossii e lui rise di gusto, abbracciandomi
«Scherzo, Pich! Sono venuto perché ho sentito che volevi parlarmi» disse
«E da chi? Sei l’unico con cui io abbia parlato negli ultimi tre giorni»
«Ho le mie fonti- sorrise- Cosa vuoi dirmi?»
«Si, ho delle domande, ad esempio come mandare via queste ali o se quando Calum starà male anche io starò così, o il perché io non possa piangere…» diedi il via ai miei dubbi e lui mi accarezzò la schiena con la mano
«Le ali puoi mandarle via quando vuoi tu. E’ semplice come farle apparire- alle sue parole quindi, mi concentrai e chiusi gli occhi, desiderando che le ali si ritirassero e con un fruscio, la mia schiena fu di nuovo priva di piume- Visto? Per quanto riguarda Calum, si. Se lui si sentirà solo, o triste, o tradito, o infastidito, tu avvertirai dolore fisico, ti è già capitato?»
«Si, mentre litigava con la sua fidanzata mi sono sentita come se un coltello mi trapassasse da parte a parte. E’ stato orribile» biascicai in preda ai ricordi
«Lo so, non è piacevole, ma è così. Poi, per quanto riguarda il pianto, noi non piangiamo. Gli angeli in quanto creature di Dio, che provengono dal Paradiso e sono stati nominati tali in base ai loro atti di generosità, sono disposti solo a provare sentimenti positivi. Quindi le lacrime non sono accettate, in un certo senso. E’ normale che ora tu ti senta così, “arrabbiata” diciamo, ma passerà, devi solo calmarti ed abituarti a tutto ciò»
«Io non sono capace, Ash. Sono una schiappa! Penso che Calum già abbia dei seri dubbi su di me, mi sono già fatta riconoscere. Ho paura» Ashton, guardandomi, mi strinse più forte a se, facendomi poggiare la testa sul suo petto e passando le sue mani tra i miei capelli
«Non devi averne, piccola. Non ne hai motivo. Anche io ero spaventato, ma passa. Sei coraggiosa, molto, e se Calum scoprirà chi sei, dovrà solo ritenersi fortunato ad averti…io mi ci sentirei» mi scostò per guardarmi
«Ti sentiresti cosa?» chiesi ingenuamente
«Fortunato ad averti»
 
Mi strinse le mani e poi si alzò. Prima che potessi replicare alle sue parole, un paio di ali molto più grandi delle mie, gli spuntarono da dietro la schiena e lui volò via, lasciandomi lì, da sola.



Nerhs's box.
Due cose veloci e poi scappo:
-Cambio il giorno dell'aggiornamento, dal mercoledì al venerdì, per motivi miei.
-Spero la storia e la musica vi piacciano veramente!
Baci xx

 

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Capitolo 5
*** Day 4 ***


Day 4
 
                                                                                      Musica: Ludovico Einaudi – Ancora
 
Mi svegliai sul soffice materasso del mio vecchio letto, con gli occhi appiccicosi. Mi sollevai di scatto, coprendomi il viso dai raggi di sole che filtravano dalla finestra. Dalla mia trasformazione non sapevo dove andare la notte, o quando volevo sentirmi al sicuro, così tornavo a casa. La mia casa. Dove ogni tanto le voci dei miei genitori mi facevano stare tranquilla. Come a dirmi che nulla era cambiato e che loro c’erano ancora. Purtroppo non era così.
Quando mi avvicinai alla porta, lo sguardo mi cadde sulla cassapanca che tenevo di fianco all’uscita, e sopra di essa era poggiato un vestito bianco candido e un foglietto. Presi il pezzo di carta sul quale era solo scritto “Ashton xx” e null’altro. Sorrisi e strappando un pezzo di nastro adesivo con i denti, attaccai il foglietto addosso al muro. Poi presi in mano il vestito e notai che era molto simile a quello che già indossavo, solo era di un bianco sempre più candido. Mi chiesi se lo aveva mandato per la festa, ma io non avevo accennato a nulla di simile. O forse si era impietosito per gli squarci sulla schiena causati dalle ali. Se fosse stato così, avrei avuto la necessità di cambiare vestito ogni due giorni.
Mi spogliai del vecchio vestito e indossai quello nuovo, che sapeva di fresco.
Arrivai in salotto e i miei genitori erano già usciti per andare a lavoro. Sbuffai ed uscii, mi avrebbe aspettato una lunga giornata.
 
Per non rovinare il nuovo vestito, decisi che quel giorno avrei solo camminato.
Riuscii a rintracciare la casa di Calum e alle 18.30 mi ritrovai di fronte al suo portone. Non sapevo a che ora sarebbe uscito, così rimasi lì fuori fin quando, cinque ore dopo, i suoi amici Michael e quello che scoprii chiamarsi Luke, passarono a prenderlo. Mi alzai velocemente dallo scalino su cui ero seduta e mi nascosi dietro un cespuglio. Calum uscì dal portone, mostrandosi in tutta la sua straordinaria bellezza. Indossava un semplice paio di jeans neri strappati sul ginocchio e una t-shirt grigia con le maniche tirate su. Fortunatamente non mi vide ed entrò in macchina, salutando i suoi amici frettolosamente. Mentre la vettura ancora non partiva, il ragazzo tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un pacchetto di sigarette e ne accese una.
Mi chiesi come avrei potuto fare per seguire la macchina senza che loro se ne accorgessero. Non potevo andare a piedi o correre, li avrei persi. Non potevo chieder loro un passaggio, Calum se ne sarebbe accorto. Sbuffando, decisi di rovinare il vestito, e quando loro furono a qualche metro da me, richiamai le ali e li seguii.
La casa in questione non era molto grande, ma strabordava di gente. Mi dissi fortunata, lui non se ne sarebbe accorto. Lo persi velocemente di vista, vedendolo scomparire in mezzo alla folla che, sudaticcia, ballava a tempo con la musica rock.
Terribilmente annoiata, iniziai a girovagare per la casa, non sapendo cosa fare. Salii al piano superiore, cercando il mio Assegnato e una volta giunta sul balcone che si estendeva sul ciglio della strada, lo sorpresi a fumare di nuovo.
 
Oh, Calum, morirai di cancro ai polmoni. Pensai. Forse un po’ troppo forte.
 
Come se qualcuno lo avesse richiamato a gran voce, Calum si voltò e mi vide poggiata sullo stipite, intenta a fissarlo. Lo vidi sorpreso e forse anche infastidito, poiché un crampo si fece strada nel mio stomaco. Mi girai, intenta ad andarmene, ma non feci più di dieci passi, perché uno scossone mi costrinse a girarmi. Mi trovai sbattuta in una camera da letto e mi spaventai. Quando mi accorsi che Calum era lì insieme a me, in parte mi tranquillizzai, in parte tremavo dalla punta dei capelli al mignolo del piede.
Feci qualche passo indietro mentre portavo le mani in avanti, come ad intimargli di non farmi del male.
 
«Ora tu mi spieghi chi sei e perché continui a seguirmi» mormorò
«Posso spiegarti» mi aveva scoperta. Ora cosa facevo? Dicevo la verità?
«Oh, sono tutto orecchi» disse senza un minimo di divertimento
«Tu non mi crederai se ti dirò la verità. Sarà difficile, ma devi saperlo. Prometti di credermi, qualsiasi cosa io dirò?» mi avvicinai, sebbene fossi impaurita. Lui annuì confuso e io presi un bel respiro
«Io sono il tuo angelo custode, Calum. Il mio nome è Pich»
 
Lui scoppiò a ridere sguaiatamente mentre nella sua testa pensava “Questa è una pazza!”. Rideva, e nel frattempo si allontanava di me, prendeva distanza e tremava incredulo. Il dolore allo stomaco si rafforzò mentre lui provava un misto tra paura e confusione e solitudine.
Mi piegai su me stessa, il dolore era quasi insopportabile. Mi costrinsi a guardarlo negli occhi e gli presi la mano, che lui, scostò via.
 
«Calum, calmati! Non riesco a respirare se continui così» biascicai
 
Il suo respiro si regolarizzò e la paura, così come la confusione e la solitudine scemarono via pian piano e io tornai a star bene. Mi misi seduta sul letto rifatto, picchiettando accanto a me, per invitarlo a fare lo stesso, ma lui scosse la testa e rimase lì dov’era. Mi accorsi di avere io il coltello dalla parte del manico e così presi coraggio.
 
«Devo spiegarti un po’ di cose. Molte non le capisco neanche io, se devo dirti la verità. So che è bizzarro, ma è così. Io sono un angelo e ti devo custodire. So per certo che c’è qualcuno da cui devi essere protetto e io lo farò. Devi fidarti di me, non voglio farti del male, e non sono pazza, per tua informazione- lo guardai storto e lui arrossì»
«Come faccio a fidarmi di te, me lo spieghi? Arrivi qui e mi dici di essere un angelo, gli angeli non esistono!» urlò
 
Mi alzai dal letto e sbuffando, richiamai le mie ali. Sarebbero state una prova necessaria a fargli credere che non stavo mentendo. Con un soffio spuntarono dietro di me e le osservai, estasiata. Mi girai verso di Calum che mi guardava a bocca aperta. Non se lo aspettava, continuava solo a pensare a quanto fossi fuori di testa. Mosse un passo verso di me e si sporse per toccare le ali, accarezzandole e sentendo la loro delicatezza. Si parò di fronte a me e mi guardò negli occhi.
 
«Gli altri non ti vedono» affermò
«Solo tu puoi farlo» risposi
«Devi spiegarmi» continuò
«Non vedo l’ora» sorrisi
 

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Capitolo 6
*** Day 5 ***


Day 5
 
                                                                                            Musica: Ludovico Einaudi – Tu Sei
 
«Ricapitolando: tu sei morta uccisa per salvare me, sei diventata un angelo custode, il mio per la precisione, nessuno a parte me può vederti, quando starò male anche tu ti sentirai così e puoi volare, che tra l’altro, penso sia la cosa più figa del mondo» rise
«Si, più o meno è andata così -mugolai rigirando un pop corn tra le dita, masticandone un altro- ricordavo fossero più buoni» sussurrai
 
Calum si sollevò dal divano e poggiò le sue mani sui fianchi. Mi fissò e sorrise. Ricambiai il suo sorriso e notai quanto fossero adorabili i suoi zigomi e quanto le sue labbra fossero piene e gonfie. Chissà quanto deve esser bello baciarlo. D’un tratto lo vidi impallidire, si irrigidì sul posto e lasciò che le mani scivolassero lungo i fianchi, dritte. Mi fissò ad occhi spalancati e aprì la bocca per dire qualcosa ma non uscì neppure un suono. Sembrava sconvolto e sorpreso, poi quando le sue gote si imporporarono, sembrò perfino imbarazzato. Mi girai per vedere se ci fosse qualcuno, ma il salotto di casa Hood era deserto.
Mi voltai nuovamente verso il ragazzo che ora sembrava essersi rilassato leggermente e un sorriso malizioso gli pitturava le labbra.
 
«Ti ho sentito pensare dentro la mia testa -confessò- vuoi provare?» chiese
«Provare cosa?» chiesi facendo la finta ingenua, sapevo benissimo cosa intendesse
«A baciarmi» si avvicinò piano e si sedette accanto a me sul divano
 
Non era una buona idea. Non avrei dovuto. Avremmo dovuto passare ogni singolo istante della sua vita insieme, sarebbe stato maledettamente imbarazzante dopo. Poi lui aveva una fidanzata, che per quanto infedele, era sempre tale. Lo vidi avvicinarsi e man mano che il suo viso si avvicinava al mio, i suoi pensieri si facevano sempre più forti e i suoi occhi si socchiudevano. “Riesci a sentirmi? Avvicinati”. Mi sporsi un poco avanti, giusto quanto rimaneva per riempire lo spazio che rimaneva a separarci e fui io a baciarlo.
Le sue labbra rimasero immobili, così come le mie. Nessuno dei due sapeva se continuare o no. Rimanemmo così per un po’, fin quando lui si decise a prendermi la guancia con una mano e a muovere la sua bocca sulla mia. La mia rimase immobile, così come il mio cervello. Non sapevo cosa fare, né cosa pensare. Le sue labbra erano piene e morbide come avevo pensato, ma non mi davano alcuna emozione. Nulla. Era come se non stessi baciando uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto nei miei brevi e insulsi sedici anni di vita. Presi la sua mano tra le mie e la scostai dal mio viso. Poi mi allontanai e sotto il suo sguardo attento, mi leccai le labbra. Sapevano di lui. Sorrisi e gli lasciai andare la mano.
 
«E’ stato bello come pensavi?» chiese avvicinandosi ancora
«No, in realtà. Baci bene, ma…non era giusto» dissi, abbassando lo sguardo
 
Calum si alzò, mi guardò per un po’, e se ne andò, lasciandomi su quel divano sola. Mi diedi della stupida per ciò che gli avevo detto e mi alzai anche io. Avevo sentito sbattere una porta e non sapevo se lui se ne fosse andato o meno. Iniziai a camminare per casa sua a piedi nudi, sentendo il freddo delle mattonelle sulla pelle e un fastidioso formicolio nel petto. Arrivai alla porta della cucina, ma lui non era lì. Mi fermai comunque e, aprendo lo sportello del frigo, trovai una scatola di latte e miracolosamente, anche l’ingrediente che più preferivo in assoluto. Afferrai un bicchiere dalla dispensa sul lavandino e lo riempii di latte, aggiungendo il liquido gelatinoso. Sorrisi e mi precipitai su per le scale, aprendo ogni porta, ma in nessuna trovai il ragazzo. Se ne era andato, probabilmente. Mi fermai in quella che sembrava la stanza di Calum e mi sedetti sul letto, poggiando il bicchiere sul comodino. Mi guardai intorno e osservai tutti i poster delle band attaccati in una parte di muro. Sembravano formare un murales, tutti rilegati in una parte della stanza. La scrivania era un completo disastro, così non avendo da fare, mi alzai dal materasso e mi sedetti sulla sua sedia girevole e mi misi a riordinare tutte le cianfrusaglie che teneva li sopra. Alcuni fogli caddero da un quaderno che teneva lì sopra e mi piegai per raccoglierli. Erano delle canzoni, con dei titoli stupendi. Erano forse una quindicina di pezzi e su ognuno di essi, oltre alle parole, erano scritti degli accordi musicali.
Nel leggerli mi addormentai con la testa poggiata sui fogli e non mi accorsi di quando lui tornò.
 
 
Entrò in camera e la trovò con la testa poggiata sulla sua scrivania, la schiena ricurva sulla sedia e il braccio che penzolava. Sorrise nel vederla così indifesa e, nel più bel significato possibile, infantile.
Si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla e poi prese a scuoterla. Spalancò gli occhi verdi e lucidi di sonno e, come una bambina, si passò il pugno chiuso su entrambe le palpebre. Non lo lasciò neanche parlare, perché intraprese un soliloquio sul fatto che lei lo stesse aspettando da un po’, e poi avesse iniziato a mettere in ordine la sua scrivania, scoprendo accidentalmente i suoi “stupendissimi testi”.
Calum rise, quando lei si alzò barcollando dalla sedia e si mosse in direzione del suo comodino, dove afferrò un bicchiere colmo di una sostanza verdognola e glielo porse.
 
«E’ latte e menta, niente veleno. Cioè, mia madre da piccola mi diceva che un po’ di latte e menta guarisce qualsiasi cosa, e siccome tu, insomma te ne eri andato, ho pensato che potesse piacerti e farti sentire meglio» commentò
 
Il ragazzo prese il bicchiere e ne trangugiò un bel sorso per poi sorridere. Le prese la mano e la tirò verso di lui, attirandola tra le braccia e stringendola come non aveva mai stretto nessun altro in vita sua. Le lasciò un bacio umido di latte e menta sulla fronte e ridendo “Avevi ragione, sto molto meglio ora” pensò.
Lei lo guardò dal basso, ancora stretta nel suo abbraccio e “Non ce l’hai con me, vero?”, lui scosse la testa, negando e le lasciò un altro bacio.
Lui non ce l’aveva con lei. Lui ce l’aveva col fatto che a lei lui non piacesse. Pich era così bella e lo pensava dalla prima volta che la vide sconvolta e piangente al centro commerciale. Pensava di aver fatto centro nello stesso istante in cui lei aveva confessato di voler provare un suo bacio, ma quando lei gli aveva detto che non aveva provato nulla, si era sentito deluso.
Ma pensò che infondo era meglio. Con quel angelo avrebbe dovuto passarci il resto della sua vita e le cose sarebbero diventate troppo imbarazzanti, dopo. Quindi era meglio così. Quella piccola attrazione fisica sarebbe passata per lui e avrebbero vissuto felici e contenti.
Io non volevo deluderti Cal. Sei un bel ragazzo e se non sarà Melissa, troverai un’altra ragazza da amare, ma quella non sono io. Ti prego credimi. Io ti voglio bene, ma immagina stare con me. I tuoi amici ti prenderebbero per pazzo. Finiresti in manicomio, affermando di avere una ragazza che nessuno vede. Cosa posso darti? Sarebbe tutta un’immensa bugia
Pensò Pich, stretta tra le sue braccia, non accorgendosi però, di aver pensato un po’ troppo forte e che anche Cal aveva sentito.
Hai ragione Pich, amici
 

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Capitolo 7
*** AVVISO ***


Chiedo perdono per non aver pubblicato per due settimane ma il mio computer ha fatto i capricci e non posso aggiornare, spero di risolvere il problema al più presto, intanto scusatemi. Baci, Nerhs xx

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Capitolo 8
*** Day 6 ***


Day 6

                                                                           Musica: Ludovico Einaudi - Elements


Lo vidi apparire dietro di me. Fece scomparire le possenti ali bianche e si pulì le mani sui jeans, per poi venire a sedersi accanto a me.
Per i dieci minuti che seguirono, nessuno dei due disse nulla. Si era creato un silenzio talmente imbarazzante che iniziai a non sopportare.

«Allora…mi hai sentito quando ti ho chiamato» iniziai
«Se non ti avessi sentita non sarei qua, che dici?» sputò infastidito
«Nessuno ti ha costretto a venire» ribattei, altrettanto infastidita

Lo vidi passarsi le mani sugli occhi, scocciato e un sospiro gli uscì dalle labbra. Continuò a guardare di fronte a se, il vuoto, come se guardare me gli procurasse un fastidio troppo grande da sopportare, un dolore quasi insopportabile. Cercava di osservare ovunque intorno a se, tranne me, io, che gli ero seduta accanto. Si passava freneticamente le mani su e giù per le cosce, come a voler sbollire una certa rabbia repressa contro qualcosa che non fossi io.
Si girò poi finalmente a fissarmi e aveva uno sguardo deluso, direi, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato e lui ci fosse rimasto tremendamente male. Ma cosa potevo aver fatto di sbagliato, da procurargli così tanto fastidio e rabbia?

«Ti stai chiedendo perché io ti stia quasi ignorando, non è vero?» chiese con un sorrisino beffardo, come se volesse prendermi in giro. Annuii appena, per incitarlo a parlare di nuovo. Seppure con quel tono maligno, mi stava pur sempre parlando.
«Stava andando tutto così dannatamente bene, maledizione. Pensavo tu lo avessi capito, ma a quanto è sembrato, non hai capito proprio nulla» sbottò alzando le mani in aria
«Cosa dovrei aver capito, Ashton? Parla» ero così confusa, tutti quei mezzi termini non mi piacevano e non riuscivo a capirli
«Che tu mi piaci. Ma non l’hai capito, o forse non avresti baciato quello stupido» si fermò a guardarmi, per poi abbassare lo sguardo e sussurrare «o forse lo avresti fatto comunque»

Mi fermai a guardarlo, col capo chinato e quel espressione sconsolata sul volto, sembrava così indifeso, così piccolo. Ero rimasta senza parole, insomma come faceva a sapere del bacio con Calum? Ma quella non era la cosa più importante. Pensavo di essermelo solo immaginato il modo in cui lui mi mandasse delle frecciatine mentre eravamo insieme, ma a quanto pare era vero.
Gli circondai le spalle con le braccia e lo attirai a me. Gli lasciai un bacio sui capelli, cosa che non avrei mai pensato di fare, infatti mi sorpresi quasi della tranquillità con cui lo feci e lo strinsi a me, avvicinandomi alla sua tempia.

«Io, ora, francamente, non so come tu abbia fatto a sapere del bacio. Probabilmente mi stavi spiando, ma non è questo l’importante, perché se tu fossi rimasto tre secondi in più a guardarmi, mi avresti anche sentito dire che a me quel bacio non aveva lasciato nulla. Non ho sentito assolutamente niente. Calum se ne è anche andato via, dopo di ciò –risi e lui si sollevò per guardarmi- io non sono brava con queste cose, Ash, sono in un imbarazzo tremendo ora» lo guardai arrossendo. Lui sorrise e mi scostò un riccio dalla faccia. Scosse le spalle, come a dire che non gliene importava, di nulla, e mi lasciò un bacio sulla fronte, per poi stringermi sul suo petto.     
Restammo in quella posizione per un tempo indeterminato. Ero in pace con l’universo. Ashton era un bel ragazzo, non c’era dubbio, e il fatto che in qualche modo io gli piacessi mi stordiva. Nella mia vita mortale avevo dato solo uno o due baci sulla bocca, e da morta ottenevo le attenzioni di un angelo, in tutti i sensi. Mi sentivo così dannatamente strana e in imbarazzo. Non sapevo come comportarmi, poiché al contrario di Calum, Ashton anche solo con uno sguardo mi faceva venire i brividi e le mie guance prendevano fuoco. Era così irrazionale.

«Ash, come sei diventato un angelo?» sbottai al improvviso

Lo sentii irrigidirsi e la sua mascella si contrasse sulla mia testa. Mi strinse un po’ più forte e mi lasciò un bacio delicato sulla testa, poi mi allontanò, quel poco che bastava per guardarmi in faccia e mise le sue mani tra le mie.

«E’ sempre un po’ difficile raccontarlo, perché seppure sia stata una morte eroica, io volevo continuare a vivere ancora per un pò» sorrise malinconico e lasciò le mie mani, fissò di fronte a se, e incrociò le braccia sul petto. Prese un bel respiro e continuò a parlare. «Era una mattina. Stavo andando a lavoro, come al solito, quello che dovrebbe fare un normale ragazzo di vent’uno anni. La città era talmente affollata quella mattina, non ricordo neanche il motivo per il quale lo fosse. Sta di fatto che le macchine sfrecciavano veloci, come percorressero un rettilineo e c’era gente che urlava di qua e di là, intimandogli di rallentare. Stavo passando di fronte alla scuola elementare che si trovava sul mio percorso, con le cuffie nelle orecchie…mi ricordo persino la canzone che stavo ascoltando – sorrise e si guardò le unghie- “Fresh Start Fever”, grande canzone quella lì. E…mi accorsi che una bambina, che poi scoprii chiamarsi Mary, di appena sei anni, era scappata dalle mani della mamma, dall’altra parte della strada e stava attraversando senza guardare dove andava. Vidi una…una macchina dietro di lei, con il guidatore che si era accorto che probabilmente non avrebbe potuto frenare in tempo. Mary ne uscì con qualche graffio, dovuto alla spinta che le avevo dato per spostarla di lì, io morii»

Il suo volto si era rabbuiato e giuro, se avesse potuto piangere, avrebbe singhiozzato, in quel momento. Era un ricordo che gli procurava talmente tanto male, che mi sentii una stupida per avergli fatto una domanda del genere. Perché non potevo semplicemente farmi gli affari miei, per una dannata volta nella vita?
Lo presi per una spalla e lo tirai con fatica verso di me, racchiudendolo in un abbraccio, ma sapevamo entrambi che in quella stretta, lui era il più forte.
Mi prese tra le braccia e mi sedetti sulle sue gambe, stringendolo ancora più forte, fino a fargli male probabilmente.
Mi sussurrò qualcosa come “Non è stata colpa tua” ma non ci feci caso. Lo baciai sulla barba ispida e gli accarezzai i capelli. A quel contatto alzò la testa verso di me e sorrise.

«Mi piace se mi tocchi i capelli» sussurrò
«Cosa è successo a Mary, poi?» chiesi, continuando ad accarezzarlo
«I graffi si sono rimarginati, il tipo che mi ha investito è finito in galera per qualche anno, ma ora è libero. Mary ora è una giovane donna, sta per sposarsi. Il suo fidanzato è un bravo uomo, mi piace. Sarà difficile vederla con l’abito bianco, quando l’ho vista crescere»
«Lei ti ha mai visto?»
«No, lei non sa della mia esistenza»

Annuii docilmente e restai a fissarlo, fino a quando la notte non ci coprì col suo manto scuro.



Nerhs's box.
Scusate la mia assenza, ma solo ora sono potuta rientrare in possesso dei miei capitoli e del mio computer.
Questa settimana, per farmi perdonare, inserirò due capitoli, invece che uno. Scusatemi inoltre per il cambio di formattazione, non riesco a fare altrimenti.
Spero che la storia vi piaccia e confido in qualche messaggio :)
Nerhs xx

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Capitolo 9
*** Day 7 ***


Day 7


                                                                  Musica: Ludovico Einaudi – Run


Mi contorcevo sull’erba fresca e mi convinsi che il mio vestito si sarebbe macchiato irrimediabilmente di verde.
Mi ero “svegliata” quella mattina con l’atroce ricordo della mia morte. Mi chiedevo perché l’avessi fatto, per chi l’avessi fatto. Per Calum ovviamente, ma perché? Io non lo conoscevo e ora mi ritrovavo morta, senza nessuno, a parte Ashton e Calum. E Ashton presto sarebbe diventato uno dei Venti, e Calum, lui non ci sarebbe mai stato per me. Capivo perfettamente che la mia esistenza era inesistente per gli altri, anche per lui. Non saremmo mai potuti uscire come due amici di vecchia data, non avremmo mai potuto chiacchierare nel parco e poi quando lui si sarebbe sposato? Io cosa avrei fatto? Sarei dovuta rimanere per sempre nell’ombra, nascosta da tutto e da tutti, senza mai poter fare niente, perché la verità era che io non esistevo. Io non ero nulla. Io non ero nessuno.

Mi sollevai velocemente da terra, non volevo più piangermi addosso.
Ciò che era successo, ormai non poteva essere cambiato. Ognuno fa delle scelte nella propria vita, ed io avevo fatto la mia. Mentre camminavo verso la città, provai a pensare ai lati positivi:non avrei conosciuto né Calum né Ashton se non fossi morta.
Non avrei mai provato cosa vuol dire volare e sentirsi liberi da ogni fardello che ci si tiene dentro. Non avrei mai conosciuto la Stanza di Mezzo e il mondo degli Angeli.
Continuai a camminare e arrivai davanti al bar che Calum frequentava di solito con i suoi amici. Ne vidi poi uscire un ragazzo che aveva un aspetto molto familiare. Indossava una pesante felpa nera con un cappuccio calato sulla testa e dei jeans un po’ larghi, con delle sneaker con i lacci sciolti ai piedi.
Come un fulmine, collegai la sua immagine alla mia morte. Era uno dei tre che mi avevano minacciato quel giorno.
Presa dalla rabbia che più che altro, classificai come curiosità, iniziai a seguirlo e intanto pensavo a dove potesse essere diretto. Speravo con tutto il cuore che mi portasse dagli altri due, speravo che, senza saperlo, mi rivelassero il motivo per il quale ce l’avevano così tanto con Calum.
Senza prendere alcun mezzo di trasporto, il ragazzo continuò imperterrito a camminare verso una zona alquanto buia della città, senza ovviamente accorgersi di me. Entrò in un vicoletto, a pochi isolati da dove io ero stata uccisa e lo percorse fino alla fine, entrando poi in un’apertura creata da un muro spaccato. Lo seguii e mi intrufolai in un posto pieno di polvere e disordine. In fondo al buco, c’era un tavolo di legno rovinato con delle sedie intorno. Sulle sedie erano seduti oltre a quelli che riconobbi come i miei aggressori, anche altri ragazzi, di cui però non conoscevo l’identità.
Mi avvicinai, e mi posizionai accanto a loro.
Farneticavano sul argomento ragazze e rapporti sessuali. Chi ne avesse avute di più, chi ne avesse possedute di più, chi avesse dimensioni anatomiche maggiori di qualcun altro.
Mi venne la tremenda voglia di coprirmi le orecchie e vomitare. Come si poteva ridurre una persona a oggetto? Com’era possibile azzerare un essere umano in quel modo? Infondo non si erano fatti più di tanti scrupoli con me.
Quando sentii pronunciare il mio nome da colui che mi aveva sparato, zittii la mia mente e mi concentrai di nuovo sulla conversazione.

«Mi sarebbe piaciuto scoparmela quella lì, Clarisse, prima di ucciderla» sentenziò
«Si, aveva un corpo da paura» se ne uscì un altro, che non faceva neanche parte dei tre che mi avevano uccisa, battendo deciso una mano sul tavolo. Come faceva a conoscermi un tipo del genere? E come si permetteva di parlare di me così?
«Già, chissà cosa le ha fatto Hood per convincerla a sacrificarsi al posto suo» rise di nuovo il mio assassino
«Pensi che si conoscessero quei due Chris?» chiese uno dei tre, rivelandomi finalmente il nome del mio carnefice
«No, frequentavano due ambienti completamente diversi. E volete sapere l’ultima? Due giorni fa quel verme di Hood è venuto da me per pagarmi tutto il fumo che gli avevo venduto. Si è tirato fuori dal giro, il bastardo. E’ un peccato che non abbia avuto il tempo di dirgli che la sua fidanzata mi avesse già ripagato…in un altro modo, però» e rise sguaiatamente.

Mi allontanai a passi lenti da loro. Non potevo credere a tutto ciò che avevano detto. Calum aveva comprato delle sostanze illegali da loro e probabilmente non gliele aveva pagate. Era per questo che volevano farlo fuori. Ma cosa era successo due giorni prima per fargli cambiare idea e andare personalmente da coloro che lo volevano morto, per pareggiare i conti? Mi sentivo stordita da tutta quella storia. C’erano pezzi che non mi tornavano e domande a cui non sapevo proprio rispondere.
Decisi di andar via di lì, ma prima volevo un po’ di vendetta.
Il mio cuore di angelo stava esplodendo, non potevo, non era giusto. “Porgi l’altra guancia”, ma era più forte di me. L’avrei presa più sullo scherzo, che sulla vendetta, mi convinsi. Mi avvicinai alla sedia di Chris e piegandomi, tirai con forza le gambe di metallo, che vennero presto alzate in aria, facendolo crollare a terra, dolorante e spaventato. I suoi amici iniziarono a ridere, ma presto si ritrovarono tutti col sedere a terra, guardandosi intorno spaventati e stupefatti.
Sorrisi tra me e me e iniziai a lanciare oggetti contro di loro. Pezzi di legno, vecchie cianfrusaglie e altri suppellettili, volavano per aria, mossi da chissà quale forza, secondo loro e iniziarono a correre via terribilmente terrorizzati.
Quando se ne furono andati, risi e me ne andai.



Nerhs's box
Solito problema con l'impaginazione, chideo venia!
Scusate il ritardo, ma io con le promesse non ci so fare, inoltre il mio computer gioca contro di me e quindi...niente.
Non vi assicuro nulla, ma probabilmente domani pubblicherò un altro capitolo.
Grazie mille per tutte le belle parole che mi scrivete, grazie davvero :)
Buona serata, Nerhs xx

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Capitolo 10
*** Day 8 ***


Day 8

                                                 Musica: Ludovico Einaudi – Lady Labyrinth

Non mi erano mai piaciuti i funerali.
Quando avevo sette anni, mia nonna trascinò me e mia cugina al funerale di una sua vecchia collega di lavoro. Mi guardavo intorno e tutto ciò che vedevo era gente disperata, che era sull’orlo di strapparsi i capelli e piangere tutte le lacrime che avevano in corpo. Non era decisamente stato uno dei miei giorni preferiti, quello lì. Vedere la gente triste non faceva proprio per me. Soprattutto se la gente era triste per causa mia.

Mi poggiai contro lo stipite dell’arcata che divideva il salotto dalla cucina della mia vecchia casa, assistendo ai miei genitori che borbottavano tra loro, mentre si sistemavano i vestiti completamente neri. Ci fu un attimo di silenzio, poi mio padre cambiò stanza e si lasciò cadere affranto sul divano, prendendosi la testa tra le mani. Mia madre perse il coraggio di andarlo a consolare, e restò pietrificata a qualche passo da me.

«Non avrei mai pensato di dover seppellire mia figlia» pianse forte
«D-dobbiamo essere forti, per lei. Sicuramente sarà in un posto migliore, e vorrebbe che noi lo fossimo…»

Mia madre si asciugò le lacrime, era sempre stata lei quella decisa e forte nella famiglia. Sapeva prendere in mano le redini della situazione e risolvere tutto al meglio. Sarei voluta essere lì, solo per darle un ultimo abbraccio, o comunque farle sapere che ci sarei sempre stata.
Si girò e afferrò la propria borsa, se la mise sotto braccio e spronò mio papà ad alzarsi. Uscii insieme a loro e seguii la loro macchina fino alla chiesa.
So di essere sempre stata un po’ strana, ma penso che un po’ tutti alla fine siano un po’ matti. Capita a volte di pensare al proprio funerale, a quanta gente ci sarà, quanti saranno lì a ricordarci, come ci ricorderanno. A me era capitato, pensarci, così per gioco.
Non mi sarei mai aspettata di vedere tutta quella gente fuori dalla chiesa.
Quando arrivai mi guardai intorno ed intercettai facce amiche e sconosciute. I miei genitori si fecero spazio tra la folla ed entrarono nella struttura, fermandosi di tanto in tanto per ricevere delle condoglianze.
Li seguii dentro e pian piano le panche iniziarono ad affollarsi. Iniziai a camminare avanti e indietro, trovando poi il parroco con cui ero cresciuta, colui che mi aveva vista diventare grande, piangere come un bambino. Quando vide arrivare la bara di legno, si alzò e si ricompose e salì sull’altare.
Mi sedetti ai piedi di una colonna di marmo e ascoltai ogni parola del mio funerale.
Sembrava di non essere lì. Le parole che ogni persona pronunciava tra le lacrime, non sembravano riferite a me, ma a qualcun altro. Abbracciai le mie ginocchia quando cominciò il momento delle commemorazioni. I miei genitori stettero seduti a fissare la bara che occupava qualche metro della navata centrale. Era decorata con tante margherite, i miei fiori preferiti. C’era anche una mia foto sopra, sembravo così piccola lì. Nel mio campo visivo poi, apparvero le mie migliori amiche. Passarono accanto alla bara e lasciarono un bacio. Chloe e Sam passarono oltre, mentre Anna si soffermò un po’ di più. Lei era quella sorella che non avevo mai avuto e averla lasciata così, mi faceva male al cuore. Vidi la sofferenza nei suoi occhi, mentre le mie amiche la prendevano per le spalle e la trascinavano via. Si sistemarono sull’altare e Chloe tirò fuori un foglio stropicciato. Iniziò a leggere le prime righe e poi un singhiozzo la costrinse a fermarsi. Lei era sempre stata quella più indipendente tra le quattro, quella dura e spesso fredda, e vederla in quelle condizioni per causa mia, mi lacerò. Tutte quelle persone erano tristi a causa mia. Sam le passò una mano sulla spalla, e continuò a leggere lei. Mi ricordavano come una persona meravigliosa che io non mi sentivo di essere. Dicevano di volermi ricordare col sorriso, mentre loro piangevano per colpa mia.
Quando scesero, Anna si soffermò per poi iniziare un soliloquio sulla nostra lunghissima amicizia. Aveva un sorriso nervoso sulle labbra gonfie a causa del pianto. Tutta la chiesa ascoltava in silenzio le sue parole, che ricordavano i nostri momenti più belli.
Mia madre poi si alzò e l’abbracciò, per poi farla sedere accanto a se. Salirono poi per ricordarmi mia cugina e una delle mie tante zie. Raccontavano di una persona solare e amabile, intelligente e sveglia, che certamente non meritava di essere uccisa. Piangendo andarono via e quella posizione accovacciata che avevo assunto iniziava a darmi fastidio, quindi mi alzai. Il prete fece per parlare, ma una voce che conoscevo fin troppo bene , lo fermò urlando. Calum stava correndo lungo la navata, vestito tutto elegante, con dei jeans neri e una camicia dello stesso colore allacciata fino all’ultimo e una giacca che gli calzava a perfezione. Sorrisi nel vederlo così. Salì sull’altare nello stupore generale e prese il piccolo microfono fisso e si guardò intorno. Quando incrociò il mio sguardo stupito, sorrise e andò avanti.

«Si, ecco, emh, vi starete chiedendo chi io sia, beh, io mi chiamo Calum ed ero un…un amico di Pi-emh Clarisse, ero un amico di Clarisse. Io non l’ho conosciuta nel migliore dei modi e credetemi, avrei voluto conoscerla in circostanze ben diverse, ma lei era ed è molto importante per me. Ecco, lei mi ha fatto capire cose che io prima non capivo e mi ha trascinato via dal baratro in cui ero caduto – si girò verso di me e continuò, guardandomi dritta negli occhi- Non meritava ciò. E probabilmente la colpa è solo mia. Voglio dire…nulla, nulla. Solo, sappiate che lei è sempre qui, lei è ancora qua. La sento, la sua presenza è fondamentale per me. E ora lei non vorrebbe vedervi così, lo giuro. Solo, ricordatela bella e sorridente come è sempre stata, perché, vi giuro, che lei è ancora così» sorrise in generale e si asciugò l’unica lacrima che gli colava sul volto e poi baciò la mia foto che si trovava sulla bara e poi si allontanò, e si fermò alla fine della navata, per assistere al continuo della messa.
Sorrisi fino alla fine, lo stupore di tutti mi faceva ridere. Si stavano tutti chiedendo ancora chi fosse.
Verso la fine della funzione, qualcuno mi toccò il braccio, e spaventata mi voltai velocemente. Era Ashton che sorrideva. Mi passò una mano tra i capelli e mi strinse a se, molto forte, baciandomi il collo e ripetendomi all’infinito che lui era lì con me.

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Capitolo 11
*** Day 9 ***


Day 9
 
                                                           Musica: Ludovico Einaudi - Time Lapse
 
Una settimana e due giorni.
Mi trovavo seduta sul tetto della casa di Calum. Ero evasa dal salotto furtivamente perché mi annoiavo. Lui era in camera sua a litigare furiosamente con la sua fidanzata.
D’un tratto, mentre vedevo i miei piedi penzolare liberamente nel vuoto, il rumore di tegole che scivolavano e un’imprecazione mi raggiunsero. Mi girai e vidi il ragazzo divincolarsi tra i pezzi di ceramica e reggersi in ogni modo a qualsiasi appiglio riuscisse a trovare, mi scappò una risatina. Si sedette accanto a me e restò in silenzio. Il rombo di una macchina arrivò fin lassù, ma rimanemmo comunque zitti.
 
«Era Melissa, l’ho lasciata» mormorò, affatto triste
«Mi dispiace amico» biascicai, lui emise un grugnito
«Quando non ti ho vista in salotto mi sono preoccupato. Poi ho pensato “dove potrebbe voler andare un angelo custode?” e non mi è venuto nulla. Ma mentre fumavo ti ho vista quassù» spiegò
«Mi hai cercata molto, noto» sorrisi
«Ieri è stato troppo triste, e la colpa è solo mia» abbassò la testa
«Non dire così, non è ver-»
«E invece si! Non dire il contrario, è tutta colpa mia! Se quelli non ti fossero venuti a cercare per me, tu saresti ancora nel mondo dei vivi» urlò
«Cal?»
«Cosa?» chiese stizzito
«Quei ragazzi. Io, li ho trovati un giorno, per caso, l’altro ieri precisamente. Hanno detto che tu gli hai ripagato tutto ciò che avevi comprato da loro –impallidì- a me non importa cosa fumi o cosa prendi, davvero. Ma…perché lo hai fatto?» chiesi, lui mi guardò dritto negli occhi, riprendendo un po’ di colore poi strinse la sua mano con la mia
«Si, l’ho fatto. Avevo dei debiti con loro per dell’erba che avevo comprato e li ho estinti tutti. Io…ti ricordi il giorno dopo che ti ho conosciuta? Dopo il bacio? Che sono andato via di casa? –io annuii e lui sorrise, riprendendo- Beh, io mi sono sentito un codardo, mi sentivo una vera merda. Eri morta per colpa mia, per colpa di ciò che mi fumavo. E quindi sono andato a pagare quei bastardi, così che non mi, anzi, che non ci stessero più alle calcagna»
«Hai fatto bene e sei stato molto coraggioso. E, ti ringrazio per averlo fatto in parte anche per me» strinsi io la sua mano
 
Mi guardò dalla sua altezza e mi mise una mano attorno al collo, per poi tirarmi verso di lui e abbracciarmi. Il suo braccio era attorno alla mia spalla e quel momento sembrava perfetto.
Sentii le sue dita correre giù per la mia pelle, passando sullo sterno e scendendo verso l’interno del vestito. Scostai velocemente la sua mano, indispettita e lui rise divertito. “Non ho intenzione di toccarti le tette Pich!” affermò. Poi riprese la sua corsa e abbassò la stoffa della scollatura, infilando la mano nel reggiseno, per tirare via la sigaretta che tenevo incastrata nel ponte tra le coppe. Se la rigirò tra le dita e poi tirò fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans un accendino e se l’accese. Mi riprese per la spalla e continuò a fumare indisturbato.



Nerhs's box

Non vorrei quasi dirlo, ma ho di nuovo il mio computer e quindi il carattere originale è tornato!
Bene, questo è l'ultimo capitolo, come avrete notato la storia è terminata. Spero vi sia piaciuta e che magari vi abbia anche fatto emozionare:)
Sto lavorando ad altre storie e spero che, se avrete un pò di pazienza e se il mio modo di scrivere vi è piaciuto, leggerete anche quelle!
Un bacione e grazie ancora a tutte quelle persone che, in silenzio e non, hanno letto le mie parole.
Potete trovarmi su Twitter se volete farmi domande o altro (@cliffordprincss), su Wattpad dove probabilmente cercherò di caricare qualcosa (InNerhs) e qui.
Nerhs xx

 

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