Attraverso le lenti della realtà

di ChrisAndreini
(/viewuser.php?uid=466967)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Virus nella storia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Il gioco del raggiro ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Troppo a fondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: La Cattiva ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Tasto di Reset ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Virus nella storia ***


Partecipa al contest “AAA Genio cercasi”
Nickname: ChrisAndreini
Genere: Introspettivo
Sottogere: Fantasy e Romantico
Rating: Arancione
Oggetto: Occhiali

 

Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 1: Virus nella storia

 

Salve a tutti, il mio nome è Riley Collins.

…Si, mi sto rivolgendo proprio a voi che leggete la mia storia, e non lo sto facendo perché la sto scrivendo io, ma perché l’autrice sta scrivendo di me proprio in questo momento.

Come faccio a sapere di essere il personaggio di una storia?

Facile, io sono l’esperta massima di storie.

Credo di aver letto la maggior parte dei libri scritti sulla Terra, sono una grande fan della vostra letteratura.

E dico vostra perché, da dove vengo io, la scrittura non esiste.

Ma non mi va di parlare del mio mondo, soprattutto visto che sono scappata apposta per non ritornarvi, e perché lì sono meno di una reietta.

Solo perché sono diversa.

Nel mio mondo non importa che tipo di diversità tu abbia, ma se hai un pezzo fuori posto che non si abbina con il resto della tua razza sei solo spazzatura da buttare via.

E da questo ritorno alla mia fuga.

Avevo diverse dimensioni tra cui scegliere, naturalmente, ma quella che trovavo migliore era senz’altro la Terra.

Perché, sulla terra, tutti sono uguali, e non parlo di come la gente vede qualcuno, perché sono a conoscenza del fatto che in realtà ci sono discriminazioni anche qui, ma fisicamente, a livello di capacità particolari hanno tutti le stesse potenzialità, e nessuno nasce avvantaggiato (poi se uno ha genitori ricchi si, ma le abilità sempre quelle rimangono).

Perciò io, trasferendomi completamente da voi, avrei perso tutto ciò che mi rendeva diversa e mi sarei finalmente integrata in una società che mi avrebbe accettata.

O almeno, così credevo.

Perché non solo ho scoperto di non invecchiare e rimanere per sempre una diciassettenne, ma le mie abilità sono rimaste quasi immutate.

Però con il passare degli anni ho iniziato ad apprezzarlo, dato che così sono riuscita ad arrivare fino ad ora ed imparare moltissime cose.

Inoltre in questo mondo accadrà una cosa, e da immortale potrò essere presente per viverla.

Ma basta con i convenevoli, è il caso che inizi una storia vera e propria.

E questa storia comincia il mio primo giorno di scuola.

No, dai, è una partenza banale, meglio vivacizzare, e soprattutto velocizzare, un po’ la faccenda… facciamo che inizia il primo giorno di scuola di Joseph Jones.

Perché è stato allora che mi son immischiata in fatti e personaggi con cui non dovevo assolutamente avere a che fare in modo diretto.

Ah, fatemi fare un’ultima premessa: quando sono arrivata sulla Terra e ho scoperto di essere immortale, ho girato il mondo per moltissimi anni, e con moltissimi intendo centinaia e centinaia, mantenendo la mia età, quindi ho cambiato nome spesso, utilizzando cognomi di autori che mi sono piaciuti (Collodi, Tolkien, Cussler, Dickens, Checov, Balzac eccetera, in questo momento Collins) 

Ecco, fine della premessa, possiamo continuare.

Era il 15 Gennaio 2013 alla Eleanor Roosevelt High School di Manhattan. Fuori faceva freddo, ma non c’era neve, ad eccezione di qualche traccia agli angoli delle strade.

Appena entrai in classe quella mattina mi misi come al solito seduta al mio banco in prima fila da sola e tirai fuori il mio quaderno di disegno.

Disegnare non è solo una passione per me, è tutto il mio mondo.

Disegno da quando ero nella culla, e, questo mi sembra opportuno dirlo, nel mio mondo, Kosmos, le persone come me si chiamano Pittrici delle Nuvole, e riescono a disegnare senza uso di colori ma direttamente con le dita, oltre ad avere l’innata capacità di captare i dettagli più minuscoli, e, vabbè, creare dal nulla gli oggetti disegnati.

Sulla terra però ho bisogno di matite e pastelli, non preoccupatevi. L’unica cosa che ho portato con me è la capacità di cogliere i dettagli meglio di Sherlock, Poirot o Miss Marple.

Comunque, avevo iniziato a fare uno schizzo della professoressa della prima ora, che mi guardava scuotendo la testa ormai abituata alla mia disattenzione, quando la porta si aprì, e il preside entrò, seguito da un ragazzo composto e dall’espressione incredibilmente seria.

Lo guardai per poco più di un secondo, e capii immediatamente che c’era qualcosa di diverso in lui, e non per la postura rigida, l’uso di una camicia con i gemelli per andare a scuola o lo sguardo intelligente.

A colpirmi fu infatti il suo tic alla mano sinistra.

Inizialmente perché mi aiutò a capire che era stato mancino ma lo avevano educato ad usare la mano destra esattamente come era successo a me, poi perché mi resi conto che comunicava un messaggio in codice Morse. E io Morse lo conosco bene, ci ho studiato insieme.

-Ragazzi, voglio presentarvi un nuovo alunno, che starà qui per un periodo da sua zia perché la sua tutrice è scomparsa…- dopo poche parole del discorso inutile del preside mi isolai dalla realtà per decifrare il codice, che mi incuriosiva parecchio.

Il problema è che cambiava spesso, anche se alcune parole si ripetevano qualche volta prima di modificarsi.

“Abbassate gli sguardi, non avete mai visto un inglese? Il ragazzo in terza fila si chiama Stuart. Non incrociare lo sguardo del tipo a destra. L’America ha pessime scuole”

Si, il preside aveva parlato molto a lungo, e lui batteva le dita molto velocemente.

Fatto sta che, dopo aver finito il discorso interminabile che non avevo minimamente ascoltato, salutò la classe e Joseph con un caloroso:

-Non fatevi spedire nel mio ufficio, mi raccomando- e una risatina.

Osservai le dita di Joseph, e lessi il seguente messaggio “Tra due ore e quarantacinque minuti”

Non mi trattenni dal ridere sommessamente, e tutta la classe si girò verso di me, guardandomi storto.

Non è che mi apprezzassero più di tanto a dire il vero. Nonostante tutti i miei tentativi di sembrare normale molti mi davano dell’aliena, e non sapevano quanto avessero ragione.

-Allora, Joseph, puoi sederti accanto a Riley, qui, al primo banco- la professoressa, un tantino seccata per aver perso venti minuti di lezione, gli indicò svelta il posto vuoto affianco a me, e dopo avermi lanciato uno sguardo calcolatore, il ragazzo si sedette alla mia destra, a schiena dritta ovviamente, e senza smettere di battere con le dita della mano sinistra.

Probabilmente non se ne accorgeva neanche.

Io presi un nuovo foglio del quaderno, e inizia a disegnare lui.

Era senz’altro un ragazzo che volevo tenere nella mia raccolta di volti.

Sapete, ogni volta che incontro una persona interessante le faccio un ritratto molto elaborato, scrivo il nome e lo conservo in una grossa cartella.

Davvero grossa, visto che sono in circolazione da un sacco di tempo.

Comunque la maggior parte delle persone poi sono diventate molto famose, per esempio Shakespeare, o quel simpaticone di Leonardo… Da Vinci, ovviamente, non Di Caprio.

Albert l’ho tenuto solo perché ero convinta che avrebbe avuto un futuro, ma a dire il vero gli ho dovuto dare ripetizioni di grammatica per un sacco di anni, ed era di una noia mortale, troppo preso dai suoi studi per pensare ad altro.

Comunque ho sempre adorato Leo, voleva dipingermi per ringraziarmi di averlo aiutato nel sorriso della Gioconda, ma poi io gli ho chiesto di no, dato che sarei potuta essere riconosciuta, quindi ha lasciato il dipinto a metà. Credo sia conservato in qualche museo con il nome della “Scapigliata”, ma non mi sono molto informata.

Ma tornando a noi, la professoressa stava spiegando, il mio vicino di banco stava ascoltando, probabilmente annoiato quanto me ma molto più educato, e io disegnavo.

Non avevo bisogno di lanciargli occhiate furtive per fare meglio il disegno, dato che avevo già immagazzinato ogni dettagli del suo volto, ma lanciai qualche sguardo alla sua mano sinistra, che continuava a battere ed era nel mio campo visivo.

“Ti sta disegnando” disse solo, e si ripeté più volte, finché il ragazzo non sembrò accorgersi della mano ballerina, e mi lanciò un’occhiata, come per vedere quanto ci fosse di vero nel messaggio che lui stesso si stava inviando.

Poi si fermò ad osservare, ed io naturalmente feci finta di niente.

Solo che ad un certo punto la sua mano si bloccò, per circa dieci secondi, ed io distolsi l’attenzione dal mio disegno, curiosa e interessata nello scoprire il perché.

Poi la mano riprese a ticchettare, lentamente, come sforzandosi di trovare delle parole.

“Ignoto. Virus. Kosmos” Joseph mi guardò confuso, soppesandomi, e io non potei più far finta di non essermi accorta delle sue attenzioni, così sollevai lo sguardo su di lui, e gli feci un gran sorriso.

Ci guardammo per qualche secondo, poi la mano riprese a ticchettare, ed io finsi nuovamente di concentrarmi solo sul mio disegno, distogliendo lo sguardo da lui, e decifrando il codice solo ascoltando, senza vedere.

“Non è di questo mondo. E’ come un virus. Non riesco a vedere niente di lei. Non esiste”

Non ci volle molto ad immaginare l’espressione confusa di Joseph, anche se non alzai lo sguardo per vederla.

Dentro di me non facevo altro che pensare a come quel messaggio mi avesse scoperta, e non riuscivo a dargli un senso logico.

Solo una cosa era del tutto certa: 

Joseph aveva qualcosa di fin troppo strano, e la mano che gli dava i messaggi non era controllata da lui.

Decisi di fare una cosa molto rischiosa ma fondamentale.

Mi portai con discrezione una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ed attivai un piccolo bottone sulla stanghetta destra dei miei occhiali.

Ah, si, mi sono dimenticata di dirvi che porto gli occhiali.

Generalmente io non mi descrivo mai, non perché io sia brutta, anzi, se i ragazzi terrestri mi avessero vista nella mia dimensione d’origine, è molto probabile che ora sarei materia di stalking ossessivo, rischierei di scivolare ogni secondo per la bava sulla loro bocca e di certo la mia vita sarebbe molto meno sopportabile.

Di solito non mi descrivo perché in questo mondo cambio molto spesso aspetto, dato che vado a spasso da secoli, e poi perché, per scelta, ho adottato uno stile più invisibile, composto da abiti larghi, capelli neri lunghi e capo chinato.

Se vi state chiedendo il motivo di questo stile è che sono consapevole di essere in una storia, e se c’è una cosa che assolutamente non voglio fare è essere invischiata con i protagonisti.

Infatti ogni storia che si rispetti ha i suoi personaggi primari, secondari e le comparse, e finché non raggiungerò la storia che voglio io non ho intenzione di essere altro che una comparsa.

Perché io sto aspettando una storia particolare, e ne passano molte in questa dimensione, del tutto simile al mondo reale quanto incredibilmente diverso.

E da qui torno al bottone dei miei occhiali.

Innanzitutto voglio chiarire che io non ne ho bisogno, dato che ho una vista perfetta e molto accurata, come avete avuto modo di capire, ma gli occhiali sono il mezzo perfetto per due miei obiettivi in questa terra: 

1) Nascondere il più possibile i miei occhi, dato che gli occhi sono lo specchio dell’anima, e non ridete alla frase fatta perché è vero. Quando uno porta gli occhiali gli occhi diventano meno facili da riconoscere, e quindi non corro il rischio di venire scoperta nel corso dei secoli;

2) Grazie ad un piccolo aiuto tecnico del già citato Leo, siccome nella meccanica io non sono mai stata molto pratica, ho creato una lente speciale che se attivata mostra la vera identità del mondo.

E su questo, scusatemi, ma devo davvero aprire un’ulteriore parentesi.

Non so se siete pratici di Filosofia, io non ho conosciuto personalmente i filosofi antichi (per fortuna non sono così vecchia) ma conosco teorie sui concetti che sono l’essenza pura delle cose, o, se vogliamo metterla sul platonico, delle idee come forma immutabile ed esplicativa della realtà.

Non vorrei essere troppo logorroica, dato che Joseph, durante questo intermezzo, è ancora lì a guardarmi, vi basti sapere che essendo in una storia, ogni singolo oggetto, persona o ambiente è fatto di parole che si intrecciano tra loro, come un calligramma.

Se osservo una sedia, per esempio, vedo centinaia di aggettivi, parole, e il ruolo della suddetta nella storia.

Io, essendo un’infiltrata, sono semplicemente nera, come una macchia d’inchiostro uscita per sbaglio dalla penna dello scrittore.

Solitamente non è rischioso usare questa invenzione quasi magica, ma se il ragazzo davanti a me era onnisciente come temevo che fosse, poteva essere un protagonista e capire di essere in una storia, provocando un vero problema all’interno della stessa, che avrebbe potuto autodistruggersi.

Ed io avevo bisogno di questo mondo.

Però decisi di rischiare, e sollevai leggermente lo sguardo verso Joseph, incontrando la sua faccia.

Prima che potessi emettere una flebile imprecazione in arabo (è la mia lingua preferita per le volgarità) la professoressa ci richiamò.

-Ragazzi, un po’ di attenzione per favore- ci riprese.

Mentre Joseph si rimise composto borbottando qualcosa che non riuscii a comprendere, io rimasi a guardarlo, concentrandomi sull’enorme parola appena sopra la sua testa.

“Protagonista”

Non avevo mai visto così tante parole nella stessa persona, e la maggior parte erano concentrate nella mente, così affollate e vorticose che non riuscii a leggerle tutte chiaramente.

Scoprii solo che era un maniaco dell’ordine e della pulizia, con un passato familiare travagliato, orfano, ossessivo compulsivo… una biografia perfetta per essere un protagonista. 

Sicuramente era molto odiato dall’autrice, comunque, oppure molto amato, dipendeva dal sadismo delle suddette, che di solito era alle stelle.

Come la Rowling, che afferma che Harry sia il suo personaggio preferito e gli ha dato una vita di vero inferno.

Ma naturalmente c’è bisogno di conflitto e problemi per far andare avanti una storia, ed io rispetto la cosa.

A volte il fine giustifica i mezzi, anche se sembra una frase da antieroe o cattivo.

MANO, così chiamerò per ora l’entità che invia i messaggi, avvertì Joseph con grande preoccupazione “Gli occhiali!” ma lui non sembrò badarci, ed io mi affrettai a disattivarli.

Per quel giorno avevo visto abbastanza, e avevo capito che dovevo assolutamente stargli lontana per non compromettere la mia attesa.

Però quel protagonista aveva qualcosa di davvero affascinante, e dall’occhiata che mi lanciò mentre la professoressa si era allontanata un attimo per richiamare dei compagni in ultima fila, capii che anche lui pensava lo stesso di me, e non sembrava minimamente uno che lasciava perdere.

Si sollevò gli occhiali (si, li portava anche lui), poi tornò ad ascoltare la conversazione, e non mi guardò più fino alla fine dell’ora.

Io continuai a disegnare, e lo ricreai perfettamente, ma non riuscivo a concentrarmi neanche per fare la cosa che mi riusciva meglio, così, non appena la campanella suonò, mi precipitai in bagno, per riordinare le idee.

Avevo un protagonista come compagno di banco che aveva già notato che in me c’era qualcosa di strano.

E dato che era senza ombra di dubbio una persona intelligente e che imparava in fretta, dovevo trovare il modo di stargli lontana senza che lui si insospettisse.

Mi appoggiai sul termosifone, e in un riflesso incondizionato iniziai ad attivare e disattivare gli occhiali della preziosa lente della realtà.

E la lente era impostata quando tre ragazze entrarono in bagno, chiacchierando e scambiandosi pettegolezzi. Approfittando del cambio dell’ora per rifarsi il trucco.

-E così ho detto ad Alex che aveva avuto la sua occasione, e gli ho sbattuto il telefono in faccia. Insomma, non voglio stare con uno stalker bavoso- quella che molto probabilmente era il capo, con abiti molto poco invernali e una quantità sconvolgente di trucco, si avvicinò allo specchio con un rossetto in mano, pronta ad aumentarne la dose sulla faccia, e senza accorgersi minimamente di me.

Sulla sua testa si leggeva chiaramente la parola “Comparsa”, e per le sue amiche la faccenda era simile.

Le parole che la descrivevano erano molte di meno rispetto a quelle per Joseph, e una spiccava tra tutte, perché era la parte che stava usando maggiormente in quel momento, e l’aggettivo scritto più grande e ripetuto più volte.

“Bugiarda”

Ridacchiai tra me, incapace di trattenermi.

Mossa molto sbagliata.

La ragazza, di nome Natasha, si girò verso di me, e mi squadrò dall’alto in basso.

-Hai qualche problema?- mi chiese, presuntuosa.

Io sorrisi caldamente, non potevo farne a meno, dato che ero stata abituata a sorridere in ogni momento, nel mio mondo. Certe abitudini imparate da bambina sono dure a morire.

Mi portai una ciocca dietro l’orecchio, ma decisi di non disattivare la lente della realtà, poteva sempre tornare utile.

-No, nessun problema. Stavo solo pensando a una barzelletta che ho sentito poco fa. Sarà il caso che torni in classe- risposi, giocherellando con una ciocca di capelli.

Non fraintendete, io non sono debole, ma le comparse stereotipate come Natasha mi fanno soltanto pena. Poverette, non è colpa loro se sono state scelte per essere inutili e odiate da tutti i lettori.

Un po’ meno pena mi fanno quando mi lanciano un rotolo di carta igienica in pieno volto.

-Si, torna in classe, cesso ambulante!- mi prese in giro lei, avvicinandosi con il rossetto stretto in mano -Così impari a prenderti gioco di me. Tu non sai di che cosa sono capace- mi minacciò, usando il suo rossetto come un pennarello e sporcandomi il naso.

Io rimasi impassibile, aspettando che finisse e conservando il sorriso.

Quando Natasha mi diede le spalle e si mise a ridere come un’oca insieme alle sue amiche, chiamandomi clown, il mio sorriso si congelò, e la guardai per qualche secondo, mentre con la carta igienica mi ripulivo il naso tranquillamente.

-Hai finito di giocare?- chiesi in tono freddo.

Le ragazze si girarono, confuse. Non si aspettavano di certo una mia reazione.

-Ne vuoi ancora, ragazzina?- mi chiese lei con tono di sufficienza.

-Io ho sempre ammirato Gandhi è il suo rifiuto verso la violenza, ma ho anche sempre pensato che Cenerentola fosse una debole ragazza senza spina dorsale nel farsi usare in quel modo senza reagire. Così ho elaborato una mia teoria, che appoggia leggermente quella di Newton “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e opposta”. L’unica differenza è che a me piace restituire con gli interessi e in modo creativo- risposi io. Dalla faccia che fece non aveva capito nulla di quello che avevo detto, ma io ero troppo impegnata a recuperare il sorriso ed essere felice di aver tenuto impostate le lenti della realtà.

Infatti, quando Natasha, ripresasi dallo shock, cercò di tirarmi uno schiaffo con quelle unghie smaltate e piene di glitter, io seppi perfettamente dove scrivere con velocità una parola sul suo braccio per spezzarglielo.

Un singolo tocco con la punta dell’indice e lei si strinse al petto il braccio dolorante, con un urlo in gola pronto ad esprimersi.

Mentre le sue amiche le si avvicinavano confuse, io mi sporsi per toccarle la gola, e cancellare una parola per privarla della capacità di esternare suoni, il sorriso sempre più aperto.

Avvicinai la mia bocca al suo orecchio, mentre lei mi guardava immobile, muta e terrorizzata.

-La prossima volta che qualcuno ti sorride e vuole andarsene, lascialo andare senza fare storie- le sussurrai, con voce mielosa, poi le misi una mano sulla fronte, e le cancellai gli ultimi ricordi da quando era entrata in bagno, sostituendoli con qualcosa di nuovo.

Similmente feci con le sue amiche, che sembravano mute come il loro capo per lo shock.

Infine uscii dal bagno, spegnendo gli occhiali, e diretta a lezione di chimica.

 

…Cosa c’è?

Mi sembra che siate confusi.

Ah, già, scusate per il piccolo inconveniente con Natasha, mi sono lasciata trasportare dalla scia dei ricordi. Avrei seriamente dovuto tralasciare il fatto, ma…

Sapete, è così difficile fingere, guardare il mondo così ingiusto, non curarsene e passare oltre.

Si, ho parafrasato un po’ Dante, ma il concetto è uguale.

Ho tanta rabbia dentro, e un potere sconfinato da far uscire fuori, ma sto aspettando il momento giusto, e mentre attendo, devo pur sfogarmi in qualche modo. Con i bulli che inquinano la società.

Non sono stata del tutto onesta con voi, e probabilmente continuerò a non esserlo. Sarete voi a scoprire piano piano la verità.

Perché questa non è una storia d’amore, non è una storia di avventura, non è una storia di fantasia e felicità.

Questa è una storia d’attesa, una storia di rimpianto, una storia di errori e di cambiamenti.

Io so di essere in una storia, e questo mi da il potere di cambiare le piccole cose, e a volte anche le grandi.

Un aggettivo qua, un’abilità là. Posso cancellare una cosa e aggiungerne un’altra a mio piacimento, gli occhiali servono solo a trovare il posto giusto.

E toccando un punto preciso, posso fare in modo che una determinata persona cessi semplicemente di esistere.

Ogni mio cambiamento modifica il passato e il futuro dei personaggi.

C’è solo un personaggio, in tutta la storia, che non ho il potere di cambiare, oltre a me, e questo è il protagonista.

E… beh… è un bel problema!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2: Il gioco del raggiro ***


Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 2: Il gioco del raggiro

 

Per il braccio rotto della muta dalla nascita e senza amici Natasha, che probabilmente si era sfasciata scivolando nel bagno, o per attirare l’attenzione, venne chiamata un’ambulanza, e fu l’evento più interessante della giornata.

Per il resto l’ora di chimica fu tranquilla, così come le due di matematica, tranne quando alla fine della prima ora Joseph richiese di andare dal preside per lamentarsi della semplicità dei corsi.

Io disegnavo senza molti complimenti, quindi sembrò che non prestassi abbastanza attenzione, ma non riuscii a non notare che MANO aveva predetto esattamente che l’evento sarebbe avvenuto.

Joseph tornò dall’ufficio del preside durante la pausa pranzo, accompagnato da due ragazze e litigando con una di loro, dallo stile completamente opposto al suo.

Avevo letto abbastanza libri per arrivare alla conclusione che lei sarebbe stata l’interesse amoroso del tanto serio protagonista, e attivai un attimo gli occhiali per averne conferma, rimanendo parecchio sorpresa, devo ammetterlo.

Infatti sulla testa di entrambe le ragazze che accompagnavano il giovane Jones, c’era la scritta un po’ più piccola di “Protagonista” e non erano collegate a Joseph con amicizia o amore, ma da parentela.

Loro due erano le sorelle minori di Joseph.

Una aveva tredici anni, e stava in disparte, timida, artistica e imbarazzata nel trovarsi vicino a due litiganti.

L’altra ne aveva quindici, anche se ne dimostrava di più, ed era cleptomane, insicura di se stessa e iperattiva.

Il trio della storia.

Joseph intercettò il mio sguardo, e io mi affrettai a disattivare le lenti e concentrarmi sul mio pranzo.

Purtroppo il dado era tratto, e il ragazzo mi si avvicinò, lasciando perdere la discussione con la sorella.

-Riley, giusto?- mi chiese, sedendosi accanto a me e guardandomi indagatore.

MANO batteva i soliti messaggi, ma mi resi subito conto che aveva cambiato il codice.

Ora infatti non distingueva suoni brevi e suoni lunghi, ma usava solo suoni brevi, e a distanza molto diversificata l’uno dall’altro.

Iniziai a riflettere su che codice fosse, e intanto gli feci un sorriso e continuai la conversazione.

-Si, sono Riley. Cose c’è?- cercai in tutti i modi di non guardargli la mano, ma era davvero un’impresa.

-Volevo solo chiederti cosa avevate fatto l’ultima ora di lezione- mi rispose lui, composto, e osservandomi negli occhi.

Io non distolsi lo sguardo, e tenni i miei occhi neri come inchiostro fissi nei suoi.

-Niente di che. Le solite cose che sono convinta a te non servano perché le sai già, visto che il sistema scolastico americano è molto peggiore di quello inglese- gli dissi in tono tranquillo, mentre riflettevo sui codici che conoscevo.

Prima che lui potesse rispondere feci una grande stupidaggine, lo ammetto.

Non ho la più pallida idea di come mi sia venuto in mente di dirlo ad alta voce, soprattutto perché io, solitamente, sono una ragazza parecchio discreta su me stessa, e non amo mettermi in mostra, preferendo tenere per me i miei successi personali.

Forse fu la sua influenza a contagiarmi un attimo.

Forse quello sguardo di sfida, il fatto che ci guardavamo fisso da un sacco di tempo o il suo evidente giudizio negli occhi grigio tempesta furono il fattore scatenante di un’insana voglia di sbandierare la mia intelligenza ai quattro venti.

Fatto sta che, tra i denti, arrivai alla conclusione che cercavo da quando avevamo iniziato a parlare.

-Codice binario- sussurrai, e me ne pentii subito dopo.

Vidi i suoi occhi accendersi in uno sguardo di consapevolezza, mentre MANO si fermò.

-Come?- mi chiese, sorpreso.

Io non riposi, e distolsi lo sguardo.

Mi chiedo tutt’ora il motivo della mia stupidità!

-Chi sei tu?- mi chiese Joseph avvicinandosi, mentre io giocherellavo con una ciocca di capelli.

-Riley Collins- risposi io, cercando di riprendere il sorriso e la sicurezza.

Che diavolo mi era preso?!

-Chi sei tu, veramente?- insistette Joseph.

-Perché la tua MANO è onnisciente?- chiesi io, spiazzandolo.

-Come?- lui sobbalzò, non si aspettava quella domanda.

Io lasciai perdere il sorriso, e lo guardai fisso, per fargli capire che ero seria e che doveva ascoltarmi.

-Joseph, potremmo rimanere qui a farci domande a vicenda che toccano i nervi più scoperti della nostra anima e del nostro passato, oppure potremmo ognuno andare per la propria strada e lasciar perdere questa conversazione. Sarebbe molto meglio per tutti, non trovi?- sapevo di non poterlo fregare con i miei sorrisi o con il mio comportamento, così adottai la tecnica dell’intimidazione.

Ma purtroppo lui era più imprevedibile di quanto pensassi.

Fece un mezzo sorriso, interessato alla piega che stavano prendendo gli eventi, e si tirò su gli occhiali.

Poi, contro ogni mia aspettativa, rispose.

-La mia mano non è onnisciente. Ora tocca a te. Chi sei tu, veramente?- e diede via ad uno strano gioco, che io, dopo lo sconcerto iniziale, mi scoprii impaziente di giocare.

Dovevo trovare una risposta reale e inoppugnabile che raggirasse in qualche modo la domanda, rendendola inutile senza però mentire.

Cos’ero io?

Era una domanda così generica.

Potevo dire tantissime cose, ma decisi di attenermi a una risposta che non rivelasse nulla.

-Raja Pawan- risposi, dando il mio nome reale, che non pronunciavo da troppo tempo, e che mi fece tornare in mente ricordi lontani che cercai di tenere a freno.

-Perché tu sei onnisciente?- chiesi allora, ma lui trovò un altro modo per aggirare la domanda.

-Ma io non sono onnisciente. Ti facevo più brava a porre domande, Raja. Da dove vieni?- mi chiese lui.

Il gioco era appena cominciato, stavo facendo solo un po’ di riscaldamento.

Riflettei sul modo migliore di rispondere alla domanda. Certo, io venivo da un altro mondo, ma non potevo dirglielo. Però era anche vero che prima di trasferirmi a New York ero stata in Spagna, perciò risposi senza troppe incertezze.

-Da Valencia- lui sembrò deluso -Chi muove la tua mano sinistra quando vengono inviati messaggi in codici particolari e tu non ne sei cosciente?- chiesi subito dopo, specifica.

Lui aprì la bocca per rispondere, poi la chiuse. Sapevo che stava valutando l’idea di mentire, ma non gli andava a genio.

In realtà non capisco perché nessuno di noi, con tutti i segreti che avevamo e non volevamo rivelare, mentì, fatto sta che preferivamo dimostrare la nostra intelligenza evitando le domande più che risponderle senza dire la verità.

Alla fine si vide costretto a cedere.

-STAR- mi rispose solo.

-STAR?- chiesi io, ma lui mi riprese.

-E’ il mio turno per fare le domande. A che servono quegli occhiali?- mi chiese lui.

Io impallidii. Non potevo assolutamente rivelare la vera funzione delle lenti della realtà. Ma ora la lente non era impostata, quindi gli occhiali servivano solo…

-A nascondermi. Li uso per nascondermi- non era affatto una bugia -STAR per cosa sta?- chiesi poi, curiosa.

-Sensore Trova Avversità Rapidamente- distolse lo sguardo, irritato dall’aver dovuto dare due risposte inevitabili.

-Io l’avrei chiamato MANO. Mentale Atipico Navigatore Onnisciente- suggerii, tra me e me. 

Lui mi guardò, soppesando le mie parole.

-Sai, non è affatto male. Ma è più un sensore che un navigatore, mi aiuta… A che serve quel bottone?- si riprese in extremis prima di rivelare troppe informazioni e fece la sua domanda, e indicando il bottone quasi invisibile sulla stanghetta.

La risposta non era così problematica, quindi, a malincuore, gliela diedi.

-A cambiare lente- risposi io.

Prima di potergli fare qualche altra domanda, la campanella suonò, annunciando la fine della pausa pranzo, e incoraggiando tutti gli studenti a tornare nelle proprie classi.

Lui si alzò, e mi guardò, con un sorriso soddisfatto.

-Continueremo dopo, immagino- e poi mi lasciò seduta lì, mentre si dirigeva in classe.

Io finii velocemente di mangiare e sparecchiai il tutto, per poi raggiungerlo nella classe di biologia, dove finimmo a lavorare insieme, ovviamente.

Si, non ero una molto socievole, e fino ad allora avevo sempre lavorato da sola, in mancanza di un compagno.

Naturalmente non avevo bisogno di nessuno, ma non era stata certo la mia abilità ad allontanare tutti, quanto il mio desiderio di rimanere sola.

Durante le lezioni io e Joseph non parlammo, ed io cercai di ignorarlo il più possibile, nonostante fossimo sempre appaiati.

All’ultima ora, quando già pregustavo l’idea di tornarmene a casa con i miei libri, senza dover parlare una volta di più con il protagonista, ci fu un annuncio che mi spiazzò.

-Per il progetto sulla letteratura nel corso dei secoli ho deciso che vi dividerò in coppie e dovrete lavorare a casa. Perciò assicuratevi di avere l’indirizzo del vostro compagno di banco. Allora… Riley, tu e il ragazzo nuovo- Joseph grugnì sentendosi chiamare così -vi occuperete della letteratura greca, con i poemi dell’Iliade e dell’Odissea, e voglio un approfondimento sul modo di trasmettere oralmente le storie che vigeva in quel periodo- mi trattenni dal darmi una manata sulla testa per la seccatura.

Non solo doveva mettermi con il “protagonista”, che meno lo frequentavo meglio era per tutti, ma dovevo pure parlare della poca letteratura che non avevo visto scrivere. Cioè, conoscevo perfettamente Iliade e Odissea, ma avrei preferito un tipo di letteratura di cui conservo le firme originali degli autori, come la Divina Commedia.

Si, posseggo l’unica ed inimitabile Divina Commedia, e so che avrei dovuto consegnarla agli storici eccetera, ma adoro quella commedia, non posso farla rovinare lasciandola a qualche stupido studioso. 

Inoltre è stata difficilissima da rubare.

…Tralasciate l’ultimo punto, ok?

Devo dirlo, sembrava il più banale dei cliché di una storia romantica adolescenziale. 

Ma non ero il personaggio di una storia romantica, o lo avrei saputo… probabilmente.

Comunque, sospirai, rassegnata, mentre l’insegnante assegnava i compiti agli altri.

Joseph mi guardò con aria di superiorità.

-Non preoccuparti, sono un esperto dei poemi epici- mi disse, interpretando male il mio sospiro.

Io gli sorrisi (come ho già detto vecchie abitudini sono dure a morire).

-Ne sono felice- gli dissi, secca.

Lui rimase zitto per qualche secondo, la mano che aveva ripreso a battere il codice Morse.

“Dove vi vedrete?! Non puoi invitarla, non chiederglielo!” 

Dopo aver decifrato il messaggio fui io a fare il primo passo.

E questa volta so perfettamente perché.

Anche se è comunque qualcosa di molto strano, per la mia personalità tranquilla e poco incline alla socializzazione.

Il fatto è che STAR, o MANO, che dir si voglia, stava mettendo una cattiva parola su di me, e per quanto questo potesse essere verissimo e anche utile per mio conto, che non volevo avere molto a che fare con Joseph, non mi piaceva.

Perché odio quando qualcuno mi parla contro alle spalle, soprattutto con il tono saccente di STAR… non che lo sentissi, ma lo intendevo.

-Allora, Joseph, ci vediamo a casa tua? Casa mia è un po’ problematica- proposi, con il solito sorriso che non riuscivo a non fare.

Casa mia era davvero problematica, e non solo perché non c’erano i genitori che avevo finto di avere, ma soprattutto perché semplicemente non esisteva.

Era un vicolo della 8th Avenue, nella zone Chelsea di Manhattan, molto vicino al Magnet Theatre, che io avevo trasformato con qualche modifica della realtà, in una casa invisibile. 

Aveva tutto ciò che si poteva desiderare: libri, carillon, fogli da disegno, cibo, acqua e servizi igienici. E nessuno sapeva della sua esistenza, quindi i ladri non potevano entrare.

Inoltre lo spazio era piccolo fuori ed enorme all’interno, cosa davvero comoda quando possiedi parecchie opere letterarie originali che non sai dove mettere.

Ma tornando a Joseph, dopo che gli feci la mia domanda mi guardò per un attimo, incerto sul da farsi.

-Se STAR non vuole non fa niente- gli dissi, e lui si irrigidì nel sentire nominare la mano onnisciente, tanto da impedirle di dare ulteriori messaggi.

-Per me va bene, credo. Insomma, è casa di mia zia, non mia, e ci sono le mie sorelle...- era molto a disagio parlando di loro, e, lo ammetto, mi intenerii un po’, chissà quante ne aveva passate, obbligandosi a crescere presto, o venendo obbligato da qualcuno.

-Potremmo sempre fare un lavoro separato- proposi allora, leggermente delusa.

-Forse si… Comunque l’indirizzo è il 610 di Park Avenue. Nell’appartamento 3E. Ora che ci penso credo che Julie esca tutti i pomeriggi- alzò gli occhi al cielo nel ricordarlo -E Jasmine sembra una brava ragazza, tranquilla. Inoltre zia Josie non credo sia tipa che impone regole in casa- sbuffò -Quindi forse potresti venire, credo- concluse poi, senza sapere il da farsi.

Devo dire che era disturbato forte, il ragazzo, ma mi incuriosiva, perciò decisi, nel pieno delle mie facoltà mentali, di proporgli di fargli una visita quel pomeriggio.

E me ne pento tutt’ora.

-Park Avenue è vicina- osservai, invidiosa -Beato te, io sono nel quartiere di Chelsea, ci vogliono ore a tornare a casa- non per me, dato che accorciavo il percorso e poi lo allungavo di nuovo per fare prima, ma per qualsiasi altra persona si, quindi non era una bugia.

-Vuoi venire questo pomeriggio?- mi propose, tenendosi la mano sinistra chiusa nell’altro palmo per evitare che STAR si mettesse in mezzo.

Il mio sorriso si allargò.

-Con piacere- gli risposi.

Entrambi sembrammo renderci conto di quello che avevamo fatto troppo tardi, così Joseph aggiunse, con un’occhiata sospettosa.

-Così magari continuiamo ciò che abbiamo lasciato in sospeso- 

Il mio sorriso caldo si trasformò presto in un sorrisino di sfida.

-Con grande piacere- aggiunsi.

Ma in cosa mi ero cacciata?!

La campanella suonò prima che potessi ripensarci, e un po’ titubante, iniziando a pentirmi della mia scelta, mi diressi con Joseph sull’autobus che ci avrebbe portati entrambi a casa sua.

Lui si sedette su un posto vicino al finestrino, e io mi misi accanto.

Evitò accuratamente il mio sguardo, mentre la sua MANO batteva furiosamente sulla gamba.

Per rispetto decisi di non immischiarmi, anche perché non ne potevo più di decifrare codici morse.

Così decisi semplicemente di leggere un po’, e presi A Dance with Dragons, di George R.R. Martin.

Per tutto il viaggio, che durò una ventina di minuti, non parlammo, e sembrò che Joseph non mi degnasse di un singolo sguardo, anche se poi mi dovetti ricredere.

-Quindi leggi libri fantasy?- mi chiese infatti, quando scendemmo, prendendo le chiavi di casa, e con una certa nota di delusione.

Credeva forse che leggessi solo grandi classici e libri tosti?

-Leggo tutto- risposi semplicemente, poi ci ripensai un attimo.

-Era il mio turno per fare una domanda, immagino che tu me ne debba due adesso- gli sorrisi, vincente.

Lui strinse i denti.

-Era solo una curiosità- borbottò, mentre entravamo nel palazzo.

La sua irritazione mi fece capire che non era abituato ad essere fregato, e se da una parte mi sentii in colpa, dall’altra anche molto potente.

E di solito non è conveniente per gli altri farmi sentire così, l’ho imparato a spese di molta gente per bene, e ancora più gente crudele.

Joseph salutò il portiere e si apprestò a salire.

Io attivai un attimo gli occhiali per vedere il ruolo del portiere nella storia, e fui sorpresa di trovarci la parola “secondario” invece del classico “comparsa” tipico delle persone come lui.

Lo salutai con un sorriso e un cenno affermativo del capo che lui non colse e poi seguii Joseph.

Non appena arrivammo all’appartamento, ci fu una simpatica scenetta.

Infatti venimmo accolti da un disordine abissale, causato dalla sorella quindicenne di Joseph, che stava cercando qualcosa in valigia, buttando tutti i panni all’aria.

-Julie!- esclamò Joseph, infuriato, le mani chiuse in pugni.

-Ah, sei tornato. Diamine, speravo che saltando le ultime due ore di lezioni sarei riuscita ad andarmene di qui prima che tu tornassi. Ah, beh, la prossima volta salterò anche il pranzo- commentò Julie, con un sorriso di sfida, gettando la maglietta che aveva in mano dritta in faccia a Joseph, che però, non si sa come, la schivò… no, non la schivò.

Persino io rimasi a bocca aperta, ma non l’aveva senz’altro schivata, l’aveva spostata con un gesto seccato della mano, senza neanche accorgersene, troppo arrabbiato con la bionda davanti a lui.

-Tu non esci finché non metti tutto in ordine!- si pose davanti alla porta, dimenticandosi di me, che osservavo la scena tentando di non ridere.

-Trovato, me ne vado subito e ti lascio con la tua amichetta, che sinceramente credo sia ritardata se è uscita con uno come te- Julie tirò fuori un coltellino multiuso dalla valigia e si avvicinò al fratello per uscire, lanciandomi un’occhiata di scherno.

Io, ovviamente, ormai mi conoscete, le sorrisi.

Joseph voleva sicuramente ribattere irato (e imbarazzato), ma io parlai per prima, schierandomi, con somma sorpresa di tutti, dalla parte della ragazza.

O almeno così sembrò di primo impatto.

-Su, falla passare. Sono certa che metterà in ordine quando tornerà e soprattutto non è tua figlia. Lasciale un po’ di respiro- non tentai di mettermi contro Joseph, ma parlai con voce calma e rilassata.

-Confermo, è ritardata forte!- commentò solo Julie, cercando di spostare suo fratello, che mi guardava seccato.

-Le persone che giudicano con superficialità gli altri di solito sono quelle più insicure. Volevo solo assicurarmi che tuo fratello non intaccasse maggiormente la tua precaria sicurezza, che, a giudicare dal cappello che porti per nascondere il volto e gli abiti neri usati da chi vuole passare inosservato, rasa davvero il fondo. Senza contare la cleptomania, chiaro sintomo di persone chiuse in se stesse che vorrebbero attirare l’attenzione. Però non preoccuparti, io sono dalla tua parte, non temere- avete appena assistito a una tecnica da me inventata per confondere l’avversario, umiliarlo e allo stesso tempo tentare di aiutarlo. Piano con gli applausi.

Entrambi i fratelli mi guardarono a bocca aperta, senza sapere bene cosa dire.

Julie fu la prima a riprendersi. Mi lanciò un’occhiataccia, le guance rosse per l’umiliazione, spostò il fratello con una spallata che probabilmente gli lasciò un livido e uscì sbattendo la porta.

Joseph continuò a guardarmi per qualche secondo, ed io gli sorrisi, innocente, come se non sapessi il perché di quello stupore.

-Che cosa sei?- mi chiese, in un sussurro.

-Una ragazza speciale… e siamo a tre domande. Stai attento, hai un grande debito nei miei confronti. Allora, Joseph, iniziamo il progetto?- chiesi io, indicando il corridoio che conduceva oltre il portico.

E in quel momento, mentre io lo guardavo soddisfatta e lui ricambiava il mio sguardo, fece una cosa che ancora non aveva mai fatto… sorrise, un vero, autentico sorriso, che credo ricorderò per sempre nella sua semplicità.

Perché io conoscevo i tipi come Joseph, ed erano persone che raramente si lasciavano andare a veri sorrisi, soprattutto d’ammirazione, come quello.

Poi però, mi sorprese un sacco, perché non ci mise troppo a riprendersi.

-Si, iniziamo il progetto. Ora sono in debito di due- rispose, e fu il mio turno di sorridergli, anche se con una leggera nota seccata.

Non ero minimamente abituata ad essere fregata in questo modo.

 

Da qui in poi vi giuro, non ho idea di come sono finita dove sono finita, soprattutto perché sapevo che potevo fare qualcosa per evitarlo.

Se fino ad allora avevo tastato l’ambiente per vedere come comportarmi e conoscerlo meglio, da lì in poi qualcosa cambiò, ed io non riuscii a smettere di parlare a Joseph, di incontrarlo per i corridoi, accettare i suoi inviti, fargli domande e rispondere.

Un gioco all’apparenza così banale, così semplice, eppure pieno di segreti, e di scaltrezza.

Io vorrei tanto non essermi immischiata, perché non so se i bei ricordi dell’esperienza ripaghino tutte le altre sofferenze che essa ha causato.

Però, in un certo senso, è bello riviverla, anche se le memorie allegre rendono nostalgici.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3: Troppo a fondo ***


Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 3: Troppo a fondo

 

 

Non mi starò a soffermare sui dettagli delle successive due settimane, vi basti sapere che io e Joseph ci vedemmo tutti i giorni a scuola, e, molto spesso, a casa sua, dove continuavamo il progetto e parlavamo un po’… ok, parlavamo tanto e continuavamo un po’ il progetto.

Non ci voleva molto a farlo bene, dopotutto eravamo i massimi esperti della classe nelle opere letterarie greche, senza contare che io le avevo studiate in greco, spagnolo, italiano e altre lingue nel corso degli anni.

Molti potrebbero dire che è una vera sventura ripetere gli ultimi anni delle superiori tutte queste volte, ma io credo che ogni volta si impari qualcosa di nuovo, quindi apprezzo molto la cosa.

Credo che il vero scopo della vita sia imparare e trasmettere agli altri, non c’è obiettivo migliore.

Altro che pace nel mondo e sciocchezze varie.

La pace non esiste, è solo un periodo di pausa tra una guerra e l’altra, e parla una che era presente alla maggior parte dei conflitti importanti degli ultimi anni… le ultime centinaia di anni.

Infatti non sto parlando solo delle Guerre Mondiali, mi riferisco anche alla Guerra dei cent’anni, Guerra delle due rose… le ho viste un po’ tutte. 

Ma torniamo a noi.

Passarono due settimane, e feci amicizia con tutti i Jones, chi più, chi meno.

Julie non mi rivolgeva la parola, ed era tanto, visto che le ragazze come lei hanno davvero il gusto per la vendetta e i colpi bassi.

Jasmine, la più piccola, era un vero tesoro, e devo dire che le ho parlato molto, soprattutto di disegni, visto che anche lei era un’aspirante pittrice.

Mi resi conto, naturalmente, che loro stavano procedendo con la loro storia, e li vedevo, mano a mano, più uniti, come condividessero un segreto, che io, naturalmente, conoscevo.

E non sto dicendo che mi misi a fare da stalker, ma che ogni tanto usai gli occhiali su di loro e capii che i loro “poteri” se così si possono definire, stavano aumentando.

Vi ricordate quando Joseph aveva spostato la maglietta con il pensiero?

Beh, la telecinesi era parte del suo potere, che comprendeva anche STAR e una capacità formidabile di apprendimento.

Julie era molto atletica, veloce e forte, senza contare i sensi parecchio sviluppati, soprattutto durante la luna nuova o quando il cielo era coperto.

Mentre Jasmine, la piccola Jasmine, possedeva poteri naturali, e poteva aumentare o diminuire un evento atmosferico se già in corso, oppure causare terremoti, folate di vento, controllare l’acqua e credo anche far crescere piante in fretta e muoverle con il pensiero.

In realtà sembra più forte di quanto non fosse.

In queste due settimane io e Joseph avevamo iniziato a porci domande e a rispondere senza raggirarci a vicenda, tranne in casi particolari.

Il giorno che segnò l’inizio della fine, e più o meno, metà di questa storia, fu un freddo venerdì pomeriggio, il 25 Gennaio 2013.

Io e Joseph eravamo sul divano del salotto a parlare, come ormai spesso succedeva.

-Newton e Pascal decidono di giocare a nascondino. Newton conta e Pascal si va a nascondere dietro un cespuglio. Appena finisce di contare Newton prende un ramo e disegna un quadrato per terra, ci si mette sopra e grida: ”Pascal, vieni fuori, ho vinto!” Pascal esce dal suo nascondiglio stupito, dicendosi “Ma lui non mi ha trovato" e grida a Newton: “E perché?” “Perché Newton su metro quadro fa Pascal!”- con mia somma sorpresa lui scoppiò a ridere, e fu l’unica persona che io abbia mai conosciuto a ridere ad una mia battuta scientifica.

Io risi con lui, e ci arrivò alle orecchie lo sbuffo esasperato di Julie.

-Trovatevi una stanza, voi due!- ci urlò dalla cucina, seccata.

Joseph sollevò gli occhi al cielo, mentre io osservai l’orologio.

-Beh, Julie ha ragione, dovremmo concludere il lavoro. Ieri a casa ho finito l’animazione al computer dell’ultimo quarto d’ora della parte dedicata all’Odissea, dovremmo montarla- mi alzai dal divano, e Joseph mi seguì.

Ormai conoscevo quella casa come il palmo della mia mano.

Voi lettori ormai avrete imparato a capirmi, credo, quindi potete immaginare quante esperienze ho avuto nella mia vita, tra guerre, incontri con personaggi famosi eccetera.

Naturalmente ho quasi sempre vissuto da spettatrice, ad eccezione di alcuni casi particolari come Leonardo, Albert e qualche altra decina di persone, che in realtà sono davvero pochi visti tutti gli anni in cui sono vissuta.

Ma vi posso giurare davanti a Lilah (è il nome della mia divinità, non ha niente a che vedere con l’indù e mi ha causato parecchi problemi nel Medioevo e nella seconda guerra mondiale) che con Joseph tutto era diverso.

Ho conosciuto molti geni, nel corso della mia vita, e molte persone davvero gentili, altruiste e amabili, ma Joseph, Joseph era una persona così sveglia, così intelligente e preparata.

Da un certo punto di vista era identico spiccicato a me, e non tardavano mai ad arrivare argomenti di conversazione, risate e spunti di riflessione che altra gente si sarebbe solo sognata.

Dall’altra… lui era una persona davvero buona, a modo suo, di quelle persone che una volta che ti hanno preso sotto la loro ala protettiva morirebbero senza esitazioni per te, mentre io… lui non conosceva che una parte di me, non aveva la più pallida idea di chi io fossi in realtà.

E tutto questo discorso perché, vi chiederete? 

Tra un po’ lo capirete.

Quando iniziammo ad avviarci nella stanza di Joseph, incrociammo Jasmine appena uscita da camera sua che avanzava verso di noi con una valanga di libri in mano.

Io non mi accorsi di lei e prima che Joseph potesse avvertirmi ci scontrammo, e tutti i libri volarono via dalle sue braccia.

A quel punto, senza pensarci, Joseph sollevò una mano e fermò i libri a mezz’aria, in modo che non ci colpissero e che potessero essere ripresi con più facilità.

Quando si accorse di avermi mostrato i suoi poteri li lasciò cadere, ma era troppo tardi.

Rossa come un peperone, Jasmine li raccolse in fretta a sparì in cucina, mentre Joseph mi prese delicatamente ma con decisione le spalle e mi spinse dentro la camera, chiudendo la porta, come a togliermi ogni via di fuga.

Io lo guardai interrogativa, e, tanto per cambiare, sorrisi.

-Non so cosa tu abbia visto, ma c’è senz’altro una spiegazione… vedi, è probabile che…- Joseph iniziò a giustificare la telecinesi, ma io lo interruppi prima.

-Forse c’è stato una frammentazione spazio temporale che ha disattivato per qualche secondo la gravità, oppure c’è stata una forza d’attrazione ultraterrestre che ha attratto a se tutti i libri di questa parte della terra- proposi, anticipandolo sul tempo, in tono leggermente di scherno.

Lui si prese la testa tra le mani, senza sapere bene come comportarsi, così io continuai, rassicurandolo.

-Tranquillo, Joseph, non sono minimamente sorpresa, spaventata o sconvolta, e non ho intenzione di immischiarmi nei tuoi affari. Se per te va bene farò finta di non aver visto e possiamo procedere con il progetto- gli misi una mano sulla spalla per rassicurarlo, e lui mi guardò, sorpreso.

Poi accadde.

Una cosa che non mi sarei mai aspettata.

Un gesto all’apparenza così semplice e banale, ma per me, per Joseph, per la storia, così fondamentale.

Joseph si sporse… e mi baciò.

Ed io, quanto fui stupida, risposi al bacio.

Sentii le sue labbra sulle mie, una sensazione mai provata prima.

Non so dire quanto durò, se pochi secondi o qualche ora, anche se sono più propensa a dire la prima opzione.

Fatto sta che quando ci staccammo, eravamo rimasti entrambi del tutto sconvolti, senza sapere bene cosa fare, e cosa dire.

Lui era rosso e imbarazzato, di una tenerezza infinita.

Io probabilmente non ero da meno.

Il fatto è che non mi aspettavo minimamente che una cosa del genere sarebbe accaduta.

Joseph non era tipo da relazioni e baci all’improvviso, e nemmeno io.

E questo gesto mi fece provare qualcosa di strano e inaspettato.

Sentii come se tutto l’interno di me venisse smosso e cambiato per essere adattato a una qualche circostanza.

Mi sentii come svenire, e dovevo assolutamente uscire di lì.

-Devo andare- dissi in un sussurro, cercando di superare Joseph, ancora davanti alla porta.

-No, aspetta, mi dispiace, parliamone. Non volevo…- iniziò a dire lui, era così imbarazzato che avrei voluto accarezzarlo come un cucciolo di cane… dannazione, non erano da me questi pensieri!

-Mi dispiace, non posso…- riuscii in qualche modo a superarlo e ad uscire dalla stanza.

Presi le mie cose dal portico e aprii la porta, con un lieve tremore alle mani.

-Wow, mio fratello fa così schifo?- commentò Julie, ridacchiando nel vedere la mia reazione al bacio che probabilmente aveva sentito con il suo udito sopraffino, o forse solo immaginato con la sua malizia.

Io le lanciai un’occhiata davvero orribile, che la fece indietreggiare, spaventata.

Neanche quello era da me, o meglio, lo era, ma non doveva esserlo.

La mia facciata stava crollando.

-Sta zitta! Tu non hai la minima idea di quello che comporterà!- le dissi a denti stretti, in un tono basso e poco affabile, riuscendo ad aprire la porta e uscire.

Scesi a Park Avenue e chiusi gli occhi, prendendomi la testa tra le mani per riordinare le idee.

Dovevo tornare a casa, prendere tutte le mie cose e andare in un anfratto oscuro che Joseph non sarebbe riuscito a trovare nemmeno con MANO, o STAR, o come la si volesse chiamare.

Senza neanche attivare gli occhiali modificai le vie di Park Avenue, dato che ormai ero abituata e mi ritrovai velocemente a Chelsea, nel vicolo in cui abitavo.

Poi via via le allungai nuovamente.

Almeno ora avevo qualche ora di vantaggio su Joseph, se avesse deciso di rincorrermi.

Mi avvicinai a “casa” mia ed entrai, per prendere tutti i libri e il computer.

Purtroppo, era già troppo tardi per me.

No, non sono morta, figuriamoci se io, a metà di questa storia, posso morire.

Ma era successa una cosa ben peggiore, e non era l’espulsione (Hermione Granger docit).

Dopo aver iniziato ad arraffare tutte le mie cose, due uomini entrarono dietro di me, talmente stereotipati che chiunque avrebbe capito cosa fossero.

Io però attivai in fretta gli occhiali, e lo confermai.

“Cattivi del I libro”

Uno di loro era alto, biondo e con gli occhiali. Il sorriso era scaltro e malvagio.

L’altro era grosso, muscoloso e con la faccia cattiva.

In poche parole: la mente e il braccio.

-Salve, ti abbiamo osservata molto le ultime due settimane- disse il biondo, in tono suadente.

Scoprii i loro intenti e i loro sogni in poco più di dieci secondi, grazie agli occhiali.

-Non posso aiutarvi- dissi fredda, con il mio peggiore sguardo omicida.

-Oh, io credo di si. Puoi cambiare ogni cosa nel modo che vuoi, ti abbiamo visto all’opera- il suo tono aveva una minaccia non indifferente, e io mi stavo veramente stufando.

Non volevo essere coinvolta nel libro, non avevo mai voluto esserlo. Non era quella la storia che cercavo. Non volevo intrufolarmi nella vita di Joseph!

Iniziai a perdere davvero la pazienza.

-Allora avrete capito anche cosa potrei fare a chi mi minaccia- dissi a voce bassa.

-Noi ti chiediamo solo di seguirci e aiutarci, se non vuoi che i tuoi cari amici Jones la paghino a causa tua- quindi loro non sapevano che io sapevo, perché i loro piani di certo avrebbero comportato la morte dei Jones.

Mi venne da ridere, e iniziai lentamente a cercare un oggetto allungato per trasformarlo in un coltello con poche parole aggiunte con cura e altre cancellate velocemente.

Per fortuna ero rapida.

-Allora andate da loro. A me non interessano affatto- la mia mano si posò su una forchetta, andava più che bene e iniziai a modificarla, lanciandole occhiate talmente brevi che non mi fecero notare una cosa molto importante circa la mia mano.

-Se non ti interessassero non saresti stata da loro tutto questo tempo!- esclamò convinto il biondo, poi si fece pensieroso, e si rivolse al suo compare.

-E’ giusto, no? Se stai con qualcuno è perché ti interessa, sennò che senso ha?- gli chiese, incerto.

-Non chiederlo a me, lo sai quanto sono pessimo nei rapporti umani- sbuffò l’altro, incrociando le braccia.

-Se fossimo bravi nei rapporti umani non saremmo arrivati a odiare l’umanità a tal punto- rifletté di nuovo il biondo, e io approfittai della loro distrazione per creare un coltello piuttosto lungo e affilato.

Purtroppo mi accorsi finalmente di quello che non andava nella mia mano poco prima che potessi disattivare gli occhiali.

Imprecai in arabo (come ho già detto è la mia lingua preferita per le imprecazioni) e i due brutti ceffi si ricordarono di me, e si voltarono di scatto a guardarmi, e soprattutto a guardare il coltello che tenevo con la mano destra, che fissavo insistentemente.

Infatti, al posto del nero che ero solito vedere ogni volta che attivavo gli occhiali, le mie mani, in quel momento, erano diventate del tutto sommerse di scritte, ancora non chiare, ma ogni secondo più visibili e meno confuse.

La mia essenza all’interno del gioco stava cambiando. Ero andata troppo a fondo nella vita dei protagonisti, e stavo diventando un personaggio vero e proprio.

Forse, in linea di massima, non sarebbe stato un problema così grande, ma avevo paura di scoprire che tipo di personaggio, ed ero abbastanza sicura di sapere quale, dato che ero già passata in una situazione simile, centinaia e centinaia di anni prima, e fidatevi, non avete bisogno di conoscerla.

-Hey! Molla quel coltello- la voce leggermente spaventata del brutto ceffo biondo mi fece tornare alla realtà, e mi voltai verso di loro, il coltello stretto in mano e uno sguardo che li fece indietreggiare, lo stesso rivolto a Julie poco prima.

-Andatevene via. ORA!- urlai loro contro, ma probabilmente erano molto stupidi, o molto determinati, quindi si fecero coraggio, e presero uno strano congegno che mi avrebbe trasportato nel luogo dove volevano che andassi per aiutarli.

Probabilmente pensavano non facessi sul serio.

Sicuramente credevano fossi una ragazzina che aveva preso la prima arma trovata in modo da difendermi.

Io sollevai il coltello.

Devo dire che, tra tutte le armi, i coltelli sono le mie preferite, perché colpiscono da vicino.

Quando un guerriero ha una spada ha più libertà e meno bisogno di precisione.

Senza parlare poi dell’arco e delle pistole, che colpiscono a distanza.

Con il coltello c’è bisogno di essere precisi, di gettarsi contro le vittime, ed è l’unico mezzo che ti permette di sentire il loro sangue sulle tue mani, il loro ultimo respiro sul tuo volto, e vedere la vita andarsene via dai loro occhi.

… Sapete, non c’è bisogno di continuare a leggere, non è che questa storia abbia così bisogno di essere raccontata e continuata.

Non… non è indispensabile finirla, potreste anche lasciarla incompleta ed esultare per il bacio….

… o magari pensare a me ed essere felici di sapere che sono un bel personaggio buono, gentile e intelligente.

Ma se proprio insistete…

Sollevai il coltello, mentre “il braccio” si avventava su di me per strapparmelo dalle mani.

Io tentai un affondo, che lui schivò senza molti problemi.

Mi prese con forza e mi gettò dall’altra parte della stanza, disarmandomi, dritta contro il suo amico che stava attivando il congegno.

Purtroppo per loro, a quel punto, mi vidi in uno specchio.

Io adoro gli specchi. Nel mio mondo i riflessi rappresentano solo il lato positivo della persona, mentre le ombre il lato negativo.

Quindi cerco sempre, in tutti i modi, di avere uno specchio accanto, per mostrare a me stessa il mio lato migliore.

Beh, questo non è il mio mondo, e quando vidi il mio riflesso nello specchio, l’unica cosa che riuscii a leggere fu, poco sopra la mia testa, in parole che dovevano ancora formarsi del tutto.

“Cattiva”

Mi montò una rabbia incredibile, una furia cieca e sorda che non provavo dai tempi in cui vivevo ancora a Kosmos, la mia terra.

Prima che “la mente” potesse trasportarmi in qualche isola mitologica, io mi rialzai in piedi e mi gettai contro il biondo, cancellando con decisione la parola sopra la sua testa, e facendolo cessare di esistere.

-Craig!!- urlò devastato “il braccio”, correndo verso di me per uccidermi, probabilmente.

Dopo poco si sarebbe persino dimenticato di averlo mai conosciuto, ma l’effetto della cessazione di esistenza non era immediato.

Io presi il coltello da terra, e, non appena si avvicinò, lo pugnalai ripetutamente al petto, con la precisione disarmante di chi lo ha fatto tante altre volte.

Lui cercava di colpirmi, di dimenarsi, ma le forze lo abbandonavano, e io schivavo tutto senza troppa difficoltà.

Alla fine crollò anche lui, in un mare di sangue che vedevo a parole, ed io, nonostante non avessi contratto nessuna ferita, a eccezione di qualche leggerissima contusione, mi sentii male.

Per la seconda volta in meno di un’ora, sentii tutto il mio corpo cambiare nel profondo.

Mi presi la testa mentre tutto il mondo fatto di scritte girava intorno a me.

Un dolore acuto mi perforò la fronte, e questa volta non riuscii a rimanere lucida.

L’ultima cosa che vidi prima di crollare fu il mio riflesso allo specchio, dove si leggeva chiaramente “Cattiva finale del I libro” 

-No…- sussurrai, prima di crollare a terra.

Gli occhiali mi scivolarono dal viso e io vidi tutto rosso intorno a me, poi tutto nero.

 

…Per favore, non giudicatemi, vi ho detto che non ero stata del tutto sincera con voi, ma… dovete capirmi, io non volevo che voi mi condannaste.

Voi non ne sapete nulla di me! 

Voi non avete la più pallida idea di cosa io abbia passato!

Di quanto abbia sofferto!

Se avete intenzione di criticarmi per essere un’assassina, allora non leggete il prossimo capitolo. 

E’ già stato difficile per me rivivere il mio passato in quel modo, se poi deve essere usato contro di me…

Vedrete da voi.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4: La Cattiva ***


Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 4: La Cattiva 

 

 

Non inizierò la frase con “Quando mi svegliai”.

Perché sapevo che non mi ero svegliata, perché non potevo risvegliarmi a Kosmos, nel mio mondo.

Quindi arrivai alla conclusione che dovevo essere ancora svenuta, probabilmente in un ricordo.

Iniziai a spaventarmi, poi una voce dietro di me parlò.

-Wow, sei riuscita a distruggere secoli di pazienza in meno di un’ora. Mi fai proprio pena, Riley- mi voltai di scatto, e vidi la mia ombra.

Vi ho già parlato di ombre e riflessi nel mio mondo, anche se di solito non si animano di vita propria e di certo non si mettono a parlare con i loro proprietari.

-Che bello! Sono secoli che non torniamo a casa- una seconda voce veniva da uno specchietto attaccato come collana.

Ero vestita con abiti tipici delle Pittrici delle Nuvole: un abito viola nello stile medievale lungo fino a metà tibia con dei sandali di cuoio.

Al collo portavo lo specchietto che portavano sempre tutti i Pittori delle Nuvole, dato che i nostri poteri possono essere usati solo se siamo in contatto con il nostro riflesso.

Il mio aspetto, inoltre era tornato quello di sempre.

Una bellezza mozzafiato, capelli mossi e morbidi di un bel rosso acceso, come quello di molti della mia razza, lentiggini sul naso e denti bianchi e perfetti.

E’ semplice essere belle in un mondo dove puoi creare le cose che disegni.

Doloroso, ma semplice.

Vi dico senza troppi giri di parole che vissi nuovamente tutta la mia vita fino al momento in cui svenni, naturalmente in modo rapido, altrimenti sarebbe stata una vera rottura.

E non starò qui a dirvi tutto, perché prima di vivere mille anni nel vostro mondo da ragazza immortale, ne vissi circa duecento tentando di lasciare il mio.

Perciò, con mio grande rammarico, mi sento in dovere di raccontarvi i punti salienti della mia vita, e, vi prego, non odiatemi per quello che ho fatto, o io…

Suvvia, partiamo e basta, così ci leveremo questo capitolo in fretta e poi passeremo al prossimo e poi finalmente questa storia finirà.

Mi ero ritrovata poco fuori da quella che era stata la mia casa per i primi dodici anni della mia vita.

Tra un po’ scoprirete cosa mi fece andare via.

Vi risparmio i tristi dettagli della mia nascita, che ho rivisto in terza persona dalla finestra (tranquilli, nessuno poteva vedermi).

Dico solo che quando mia madre mi prese in braccio storse il naso.

-Perché ha l’ombra?- chiese, osservando la piccola ombra attaccata ai miei piedi.

Le donne che l’avevano assistita si guardarono confuse.

-E’ umana, giusto? E normale abbia l’ombra- osservò una di loro, la sua migliore amica, incinta (servirà per dopo questa descrizione).

-Suo padre è un Pittore delle Nuvole- obiettò mia madre.

No, non era sposata, e questo di certo non è andato a mio favore.

-Forse non ha ereditato quel suo gene- rifletté la sua migliore amica.

Mia madre fece una smorfia di disappunto, e mi lanciò la prima di una lunga serie di occhiate deluse e irritate che avrebbero caratterizzato la mia infanzia.

-Ed io che me ne faccio di una figlia con un’ombra!?- chiese irritata, cercando di darmi indietro alla sua migliore amica, che mi prese confusa.

-E’ tua figlia, Jean, sono sicura che sarà una fantastica umana- lei mi cullò, e mia madre guardò fuori dalla finestra.

Lei voleva una figlia senza ombra, ovvero senza emozioni e sentimenti negativi, perché credeva che quelle fossero le figlie perfette.

Per questo voleva una Pittrice, perché i Pittori delle Nuvole non hanno l’ombra per nascita, e sono sempre sorridenti, felici e amabili.

…tutto il contrario di me!

Vi risparmio gli anni passati con una mamma psicopatica che tentava di insegnarmi a non avere un’ombra intimandomi di sorridere sempre e comunque qualsiasi cosa succedesse e frustandomi se non ci riuscivo.

Vi tralascio quel giorno in cui mi strappò con violenza tutti i denti in modo che io li ricreassi dal nulla dritti e bianchi, e non voglio certo raccontarvi nei dettagli il giorno in cui la gente ha iniziato a capire che ero una Pittrice delle Nuvole con emozioni negative, diversa da tutti.

Da quel giorno in poi non potevo camminare per il villaggio senza essere additata, derisa e guardata con sospetto e paura.

Perché loro non avevano ragione di credere che io non mi sarei armata e non li avrei distrutti tutti.

Loro non capivano che la mia ombra era come quella di qualsiasi altro.

Provavo le loro stesse emozioni, ma dato che io avevo poteri forti era come se la mia ombra mi rendesse cattiva per il gusto di esserlo.

Non voglio parlarvi di tutta la sofferenza che ho provato, tanto nessuno di voi la considererà come è giusto che sia, e io risprofondo nel dolore solo a raccontarvela.

Vi parlerò invece del giorno in cui feci amicizia con Samira, la figlia della migliore amica di mia madre.

Vi avevo detto che era importante il fatto che fosse incinta.

Avevo cinque anni, e avevo deciso di uscire a fare una passeggiata, solo che subito i ragazzi più grandi avevano iniziato ad additarmi e a ridere di me per i più svariati motivi.

Io cercavo di trattenere il sorriso, ma non ero ancora molto abile in questa sottile arte.

Così ho fatto prima e sono scappata, rifugiandomi in quello che ora come ora si chiamerebbe parco cittadino, ma nel mio mondo era solo uno spazio selvaggio in mezzo alle casette del villaggio, e senza strada battuta.

Di solito veniva utilizzato per delle passeggiate pomeridiane, o dai bambini per giocare, tuttavia quel pomeriggio era particolarmente deserto, e quando vi entrai, seppi immediatamente che non era stata una buona idea, perché quei bulli conoscevano la strada molto meglio di me, e mi avrebbero senz’altro presa, umiliata e chissà cos’altro.

Mentre correvo in mezzo agli alberi, seguita dalle voci che mi tenevano il fiato sul collo e non sembravano darmi pace, da un cespuglio una mano uscì e mi afferrò, trascinandomi dentro di esso.

Ero talmente sconvolta che non riuscivo neanche ad urlare, ma non c’era molto di cui essere spaventati, perché la mano apparteneva ad una bambina della mia età, dai corti capelli biondo miele a caschetto e vivaci occhi verde smeraldo, che mi fece un sorriso che io non potevo neanche sperare di eguagliare.

Le mancava un dente da latte, ma era così splendente come sorriso che io ne rimase abbagliata.

Prima che io potessi dire qualsiasi cosa, lei mi mise un dito davanti alla bocca, e mi fece cenno di fare silenzio.

-Non ci troveranno qui. Dobbiamo pensare a un modo per neutralizzarli. Allora, potremmo piazzare trappole in giro tra gli alberi in modo che loro ci caschino dentro. Ci serviranno corde e massi… mmmm, io non ho né corde né massi. Potremmo sempre usare qualcos’altro- lei disegnò un progetto niente male per una bambina di cinque anni, ed io mi riscossi il tempo sufficiente da creare delle corde e dei massi, che le porsi senza dire una parola.

Lei era così concentrata sul sui progetto che quasi non ci fece molto caso.

Si limitò a prendere tutto l’occorrente e ringraziarmi con un gran sorriso.

-Grazie, amica! Ora dobbiamo solo creare le trappole. Così quei tipi ci penseranno due volte prima di… un momento- si rese presto conto di quello che avevo fatto, e io mi diedi mentalmente della stupida per non aver fatto finta di essere normale.

Poi, però, la ragazza mi stupì.

-Ma che forza! Come hai fatto?! Credi che me lo potresti insegnare? Ah, giusto, che stupida, non si può insegnare ad essere Pittrici. Il mio nome è Samira- mi porse la mano, che era sporca di fango.

Io rimasi sconvolta, lo ammetto, e a bocca aperta.

Lei mi guardò confusa, poi cercò di pulirsi al meglio la mano e me la porse nuovamente.

Ma non era per il fango il mio sconvolgimento.

Per la prima volta in tutta la mia vita, e, se ci penso ora, anche per l’ultima, qualcuno mi guardava senza giudizio negli occhi, senza frasi di critica sulle labbra, e senza una minima traccia di esitazione nel darmi la mano.

Ed io, per la prima volta, riuscii a sorridere. A sorridere veramente.

Poi mi macchiai la mano nel fango a mia volta e la strinsi a quella di Samira.

-Io sono Raja- mi presentai, lei allargò il suo sorriso.

I suoi occhi erano così brillanti, così pieni di speranza, giovinezza e sicurezza di un futuro luminoso.

E, in quel momento, lo erano anche i miei…

Purtroppo non durò abbastanza.

Da quel giorno diventammo amiche inseparabili.

Furono i sette anni più belli della mia vita, e credo non ci sarà niente che potrà batterli, perché a dodici anni, in un fresco pomeriggio ventoso, tutto cambiò. La mia vita cambiò, la mia città cambiò, e, soprattutto, io cambiai, radicalmente, definitivamente.

Ma prima ho bisogno di parlarvi più ampiamente del mio rapporto con Sam. 

Perché lei non fu solo la mia migliore amica, fu come una sorella, come un… non so nemmeno spiegare la sensazione.

Eravamo sempre insieme, qualsiasi fossero i pericoli. Non che incontrassimo vere e proprie minacce, ma per un bambino ogni cosa poteva rivelarsi un ostacolo, e il divertimento stava nell’affrontare tutto, dai bulletti alle foglie dalle forme più bizzarre.

Sam era la migliore persona che io abbia mai incontrato.

Era allegra, esuberante, sorridente, il modello di vita che mi ha ispirato nel corso degli anni che ho vissuto senza di lei.

Il suo sorriso illuminava le giornate, ma aveva anche un caratterino tutto pepe che non faceva desiderare agli altri di esserle nemici.

Poi era sveglia, e furba, sapeva sempre come attaccare, ed è stata la mia prima vera maestra.

Io all’inizio non facevo altro che creare senza pensare, poi lei mi insegnò cosa voleva dire avere immaginazione.

E fidatevi, l’immaginazione non era una dote molto comune nel mio mondo, e credo non lo sia tutt’ora.

Di solito le persone erano spinte dalla sola forza bruta, o dalla ragione, non cercavano modi per aggirare l’ostacolo in maniera originale, ma seguivamo percorsi prestabiliti dalla logica degli animali.

Lei era completamente diversa dalle persone normali, nonostante fosse una persona senza particolari abilità magiche.

Ogni volta che i ragazzi più grandi mi prendevano di mira perché ero diversa, lei mi difendeva, si metteva tra noi e loro ne uscivano sempre ridicolizzati.

Eravamo il team perfetto. 

E mai, mai una singola volta mi ha pressato, mi ha obbligato a creare qualcosa per lei, mi ha usato come faceva di solito mia madre.

Purtroppo era l’unica, nel mio villaggio, a vedermi come un essere umano, e non a pensare a me come a una fabbrica di oggetti.

Ogni tanto anche lei si interessava al mio potere, ma solo per curiosità generica: Sapevo forse creare forme di vita? No, non potevo, solo oggetti inanimati. Potevo creare ombre o riflessi dal nulla? No, o meglio, si, ma non funzionavano come veri riflessi, ma solo come elemento visivo. Cose così.

Quel ventoso pomeriggio ero parecchio nervosa perché mia madre era furiosa con me per essere tornata tardi la sera prima.

Avevo provato a spiegarle che ero stata rinchiusa da alcuni ragazzi nel cimitero di orme e che se non ci fosse stata Sam non sarei nemmeno riuscita a tornare a casa, quella sera.

Però mia madre non aveva voluto sentire ragioni, e mi aveva picchiata, pretendendo poi che rimarginassi le ferite con i miei poteri.

Purtroppo non c’erano il telefono azzurro o i servizi sociali a Kosmos, era parecchio indietro nella protezione delle dodicenni maltrattate.

Però, se ci fossero stati, sarebbero stati dalla parte di mia madre, ne sono sicura.

Comunque ero insieme a Sam a vedere le nuvole chiacchierando quando i soliti ragazzi iniziarono a tirarci delle pietre.

Era il divertimento dell’epoca prendersela con il perdente del villaggio, non si dovrebbero biasimare, probabilmente.

Sam subito scattò sull’attenti, ma io non fui abbastanza reattiva, e prima che potessi creare una rete di salvataggio, un masso la colpì in testa, lasciandole un bel bernoccolo.

Io scattai solo in quel momento sull’attenti, furente con i ragazzi per aver fatto male a lei quando era a me che miravano.

-Sam, stai bene?- le chiesi, controllandola. I ragazzi continuavano a lanciare massi.

-Si, ahi, tranquilla sto… ATTENTA!- un masso particolarmente grande mi arrivò in faccia alla massima velocità, ma io ero talmente arrabbiata dentro che lo intercettai e lo gettai contro un albero lì vicino.

Solo che non colpì l’albero, ma venne risucchiato al suo interno.

Perché in una Pittrice delle Nuvole l’ombra permette di spedire gli oggetti nelle superfici, così come vengono creati.

Lo scoprii quel giorno, e appena i ragazzi videro quello che avevo fatto, scapparono via, terrorizzati.

Io osservai la roccia nell’albero ghiacciata per l’orrore.

Se mia madre avesse scoperto il mio nuovo potere sarebbe stato molto doloroso. Probabilmente avrebbe cercato di togliere la mia ombra come avevano fatto a mio padre (ci tornerò a lui), ed è un procedimento molto costoso e di una tortura infinita.

Sam, al contrario, mi guardava eccitata.

-Raja! Ma che gran forza!! Puoi far scomparire di tutto?- mi chiese senza più badare al bernoccolo, e andando ad osservare il tronco dell’albero.

Ebbi una mezza specie di attacco di panico, e rabbia, e qualcosa che non so bene spiegare, fatto sta che per la prima volta, l’interesse di Sam nei miei confronti mi irritò, mi sembrò così opportunista, sempre ad esultare per quello che potevo fare senza sapere tutte le sofferenze che ne derivavano.

Mi alzai di scatto, furiosa.

-Non lo so, e non mi importa. Smettila di trattarmi come un giocattolo!- le urlai contro. Lei si girò a guardarmi, incredula.

-Cosa?- chiese, sinceramente confusa.

Mi rendo conto di aver esagerato, ma ero molto giovane, avevo passato una vita d’inferno e quello che avevo fatto mi spaventava tantissimo.

-Non ce la faccio più ad essere soggetta a… tutto questo! Basta! Lasciami in pace e non chiedermi più niente!- corsi via, per cercare di calmarmi e rimanere sola. 

Non so sinceramente se me ne andai per proteggerla, e una parte di me cerca di convincersi tutt’ora che l’abbia fatto per questo, ma in realtà in quel momento non ero del tutto in me, era come se la mia ombra stesse prendendo il controllo del mio corpo, e sentivo il bisogno di sfogarmi in qualche modo.

Il problema è che Sam mi seguì.

Lei era mia amica, e voleva aiutarmi, anche se le avevo detto cose orribili.

Entrai in un deposito di legna da ardere, e Sam dietro di me.

-Raja, calmati. Non c’è niente di sbagliato in quello che hai fatto, è solo una parte di te- come al solito Sam aveva capito alla perfezione ciò che mi turbava, eppure, mi chiesi in quel momento, come mai non riusciva mai a capire quando mia madre mi picchiava? Forse lo sapeva ma aveva fatto finta di niente?

Quanto fui stupida a pensare una cosa così crudele. Lei non l’avrebbe mai fatto.

-Hai ragione, è una parte di me, allora sono io che sono sbagliata! O lo sono tutti gli altri. Io li odio! Vorrei… vorrei…Vattene via! Voglio stare sola!!- la cacciai, ma lei si avvicinò, e fu il più grande errore della sua vita.

Credeva così tanto in me.

Non avrebbe dovuto.

-Raja, tu lo sai che ti voglio bene, insieme possiamo superare tutto. Però anche tu devi impegnarti e provarci- mi mise una mano sulla spalla, ed io la spinsi via da me, verso il muro, per poi rigirarmi in fretta, dandole le spalle.

-E’ facile per te dirlo, tu non hai la più pallida idea di quello che provo! Sei come gli altri, non ti importa niente di me e vuoi solo usarmi perché io sono forte e posso fare cose che altri non fanno! Non voglio essere usata! Io non sono forte!- urlai, prendendomi la testa tra le mani, e aspettando il suo intervento.

Intervento che però non avvenne.

Sollevai la testa, gli occhi pieni di lacrime di rabbia, senza capire.

-Brava, non rispondere! Perché lo sai anche tu che è vero!- esclamai, mentre mi giravo.

E in quel momento il mondo mi crollò addosso

Per qualche secondo semplicemente non capii.

Ero nel capanno, lagna tutto intorno e un muro di pietra davanti a me.

Ma perché un muro doveva avere un disegno di Sam sulla sua superficie, e dov’era la mia migliore amica?

Il mio cervello si rifiutava di credere che quella intrappolata nel muro fosse lei.

Che quella che io avevo intrappolato nel muro…

-Sam?- sussurrai, con la poca voce che riuscivo a cacciar fuori.

La verità poi mi colpì come un pugno.

-SAM!- urlai, terrorizzata, correndo verso la mia migliore amica e cercando di tirarla fuori.

Per mia fortuna far uscire le cose dal nulla era molto più semplice che metterle dentro, perché ero allenata.

Ma tutto quello che ottenni fu un corpo vuoto che mi cadde addosso.

-Sam! Mi dispiace, non intendevo… ero solo sconvolta, ti prego perdonami- inizia a smuoverla, sperando che si svegliasse, ma lei era una bambola molle tra le mie braccia.

-Sam, ti prego svegliati! Samira!!- io non potevo tirare fuori dal nulla qualcosa di vivo, ma lei non era stata tirata fuori dal nulla, giusto? Forse era solo svenuta, ma allora perché aveva gli occhi aperti.

-Mi dispiace, mi dispiace…- la abbracciai stretta, singhiozzando senza riuscire a credere che lei potesse essersene andata, a causa mia.

Non so per quanto tempo rimasi lì, a cullarla con la remota speranza che si svegliasse, piangendo profondamente, e anche quando rividi la scena vagando tra i miei ricordi non contai il tempo.

Quella fu l’ultima volta che piansi, perché la morte di Sam rimane ancora oggi l’unico evento della mia vita che merita davvero delle lacrime. 

Dopo esso non me ne rimasero poi molte da versare, in generale.

Vorrei poter dire che questa fu la cosa peggiore che feci, e io personalmente credo sia così. Credo in assoluto che questo sia l’atto più cattivo che io abbia mai compiuto, ma se dobbiamo metterlo a giudizio oggettivo, probabilmente avevo delle attenuanti al mio caso e quello che feci in seguito fu, a parere comune, qualcosa di ancora peggiore.

Ma, per quanto riguarda quello che vi sto per raccontare… non lo rimpiango, anzi, lo rifarei, altre mille volte.

Venni trovata dal proprietario del deposito, che chiamò il resto del villaggio.

Ve la farò breve, per non urtare troppo i vostri piccoli cuoricini, e soprattutto per non dare spazio importante a quelle persone che, a mio modesto parere, non lo meritano.

Io ero come svuotata, mi sentivo morta con lei, mentre tutta la città gridava dall’orrore. La madre di Sam pianse, urlando contro di me.

Tutti volevano fare qualcosa: cacciarmi, imprigionarmi...

Tutti mi davano del mostro, dell’assassina, della traditrice, dello scherzo della natura.

Io subivo tutto, senza parole, cercando di non farmi portare Sam via dalle braccia.

I ragazzi che mi avevano sempre preso in giro riferivano le abilità che avevano visto poco prima.

Era diventata notte, strano come in fretta passava il tempo quando si soffriva, eppure doveva essere il contrario.

In mezzo a tutta quella gente, una persona si fece largo tra la folla, e fece sentire la sua voce, una voce insolitamente calma, fredda e, ma forse era solo la mia impressione, leggermente soddisfatta.

Mia madre parlò in mezzo a tutti, a voce alta, mettendosi tra me e la folla inferocita.

-Mamma- sussurrai, a corto di parole, con la voce spezzata.

Per un secondo pensai che mi avrebbe difesa, lei sapeva quanto amassi Sam, forse aveva capito che era stato solo un incidente.

Mi chiedo ancora ora come feci a credere ad una cosa così assurda.

-Oggi abbiamo avuto la conferma di ciò che sapevamo da un sacco di tempo. Mia figlia, questo rifiuto umano, si è dimostrata per quello che è: un mostro, un errore, uno scherzo della natura. Ma non dobbiamo imprigionarla per questo, non dobbiamo cacciarla via- cominciò.

Credetti davvero che, in fondo, lei mi volesse bene.

-Mamma…- sussurrai nuovamente. 

-Troverebbe un modo per scappare, poi farebbe male a tutti noi, e si espanderebbe alle città vicine. Con un tale schifo in giro nessuno è al sicuro- ovviamente mi sbagliavo.

-Mamma…- supplicai, mentre altre lacrime minacciavano di uscire, lacrime che però trattenni.

-C’è solo un modo per liberarci di lei- continuò mia madre senza un briciolo di tremore.

-Mamma?- chiesi, sapendo già il suo esito, ma senza volerlo ascoltare.

-Dobbiamo ucciderla, prima che lei uccida tutti noi, come avrei dovuto fare io non appena la misi al mondo- enunciò a tutti, che annuirono vistosamente.

Poi si rivolse a me, con un odio profondo negli occhi.

-Sei sempre stata una delusione. Sono stata troppo buona con te. Mi vergogno di essere imparentata ad una creatura così mostruosa- mi disse con disgusto.

E a quel punto esplosi.

Mi presi la testa tra le mani e urlai con tutto il fiato che avevo in corpo.

Non ce la facevo più, non potevo più trattenere un dolore così grande, una rabbia così ampia. Non potevo più sopportare quella chiusura mentale.

Mia madre mi aveva distrutto interiormente, aveva deteriorato la mia anima, e non era colpa mia se tutti cercavano di rendermi assoggettata alla mia ombra.

In quel momento compresi che se loro volevano davvero che io diventassi un mostro, allora lo sarei diventato, sarei diventato il mostro peggiore che avessero mai visto.

Quando mi rividi da fuori non riuscii a trattenermi dal ridere, mentre i miei compaesani scappavano da me, come topi, loro che fino a pochi secondi prima asserivano che mi avrebbero ucciso.

Mi vidi mentre li prendevo uno ad uno, alcuni li gettai contro i muri più vicini, facendoli risucchiare e così uccidendoli, questa volta intenzionalmente.

Poi creai dal nulla due affilati pugnali e iniziai ad accoltellare tutto ciò che si muoveva: uomini, donne, bambini.

Quei pochi che cercavano di combattermi e di trapassarmi con la spada o con delle frecce purtroppo ricevevano brutte sorprese, perché riuscivo a far scomparire le cose non solo nei muri, ma anche nel mio stesso corpo.

Il dolore c’era, ma le ferite no.

E poi niente superava il mio dolore mentale.

Feci una strage, il villaggio gridava e nessuno accorse ad aiutarlo.

Mia madre la lasciai per ultima, ma non perse la sua impassibilità neanche quando la uccisi, lentamente e dolorosamente.

A volte ancora ora mi chiedo se abbia avuto un riflesso.

Comunque da quel giorno diventai una ricercata.

Crebbi nascondendomi, e imparando ogni arte della magia, e dei miei poteri.

Cambiai identità molto spesso, e dopo molti tentativi riuscii a nascondere la mia ombra e passare per una normale Pittrice delle Nuvole.

Imparai a sorridere, e a rimanere con il sorriso.

Raggiunsi mio padre all’età di quindici anni.

Era un Pittore come me, e capii perché ero nata strana.

Lui era nato con l’ombra, ma siccome era destinato a diventare il capo dei Pittori gliel’avevano estirpata, ed era rimasto solo un piccolo residuo, che l’aveva reso leggermente sadico, perciò avvolte diceva e pensava qualche cattiveria senza neanche capire che fosse sbagliata, e le sofferenze degli altri lo divertivano.

Era inoltre l’unico Pittore che dipingeva per passione, creando opere d’arte invece che semplici oggetti da far diventare reali.

Grazie a lui imparai il significato dell’arte, ed ebbi, nella sua corte, il tempo e la possibilità per inventare una delle migliori pozioni mai create.

Infatti realizzai con successo l’elisir di lunga vita, che mi impedì di crescere e invecchiare.

Poi abbandonai la corte di mio padre per cercare una nuova vita con persone normali.

La verità è che cercavo un’amica.

Sapevo di non poter sostituire Sam, ma volevo provare quel calore nell’avere qualcuno che ti vuole bene accanto.

In quel periodo non avevo scopi, potevo creare tutto quello che volevo ma non sapevo bene cosa potessi fare davvero.

Odiavo Kosmos, e volevo andare via.

Inizialmente trovai rifugio da un veggente, che probabilmente sapeva tutta la mia storia, ma che sembrava non vedermi come una minaccia.

Era un brav’uomo, e un giorno, a cena mi diede un’importante notizia.

Aveva letto il mio futuro, e mi rivelò che avrei trovato, in un’altro mondo, un mondo di storie, l’amica che mi avrebbe salvato da me stessa, e che mai mi avrebbe abbandonato.

Io non gli credetti per molto tempo, ma mi impegnai per trovare un modo di lasciare quel mondo che tanto odiavo.

Sapete, in seguito il veggente mi diede anche un’altra interessante informazione, e questa volta fu molto più riluttante a darmela.

Kosmos non era altro che una storia, che veniva raccontata attraverso strani simboli che formavano parole, la scrittura.

Nella mia terra sembrava una cosa assurda, ma io, non so perché credetti alla notizia.

Passarono gli anni, io non invecchiavo, mentre il veggente si, e presto morì.

Probabilmente era possibile considerare un amico anche lui, ma io non so perché non gli diedi una possibilità.

Alla fine creai un portale, e raggiunsi il mondo delle storie.

Inizialmente pensavo che sarei stata normale, poi mi dovetti ricredere, e iniziai ad aspettare, ad aspettare la mia nuova amica, anche se non sapevo bene quando sarebbe arrivata e come sarebbe stata.

Avevo solo un nome: Scarlet.

Ma non è ancora arrivata quella storia.

Gli anni che passai sulla versione letteraria della terra furono davvero tanti, e ho già avuto modo di descriverli in un certo modo.

Non sono molto importanti, e poi sono più di mille.

Alla fine del mio viaggio nel passato, la mia ombra mi parlò, mentre rivivevo le ultime settimane.

-E così sei di nuovo la cattiva, sai di meritartelo, vero?- mi chiese, con malizia.

Nel corso degli anni, leggendo libri, avevo iniziato a capire che il mio background era quello di un cattivo, e che se Kosmos era una storia, io non potevo che essere l’antagonista.

In effetti lo sterminio del mio villaggio aveva fatto partire una guerra tra due fazioni, e la mia storia è stata tramandata dai cantastorie fino alla mia partenza. Forse anche ora continua tutto questo, ma non so dirlo con certezza.

Il mio riflesso rispose all’ombra al posto mio.

-Noi non siamo cattive, e che ci scrivono così, ma siamo molto buone, generose e sorridenti, sono sicura che ci redimeremo- 

Io nel frattempo guardavo Joseph, mentre la mia versione di qualche giorno fa parlava con lui.

-E’ nel nostro DNA, Riley, Raja, o come vuoi chiamarti, qualsiasi storia visiterai sarai sempre la cattiva, i cattivi non cambiano. Devi smetterla di fingere e di lottare, tanto perderai. I cattivi perdono sempre- continuò la mia ombra.

-Non è detto che saremo i cattivi con Scarlet, forse potremmo essere aiutanti del protagonista, ed esserle amiche, anzi, è probabile che sarà così- ribatté il mio riflesso.

-Già, o forse sarai la cattiva principale, quella difficile da sconfiggere, quella che tutti odieranno e vorranno vedere morta. Forse morirai pure, e forse sarà Scarlet ad ucciderti. Ma non è forse giusto, perché è probabile che se non ti uccide lei sarai tu a farlo, come hai fatto con Sam- mi punzecchiò la mia ombra, e io ringhiai sommessamente, seccata.

-No, lei sarà nostra amica e ci salverà, l’ha detto il veggente- cercò di risollevarmi il mio riflesso.

-Forse è vero, forse tutto sarà un lieto fine e… ops, no, invece non sarà così, a meno che tu non riesca ad eliminarti dalla storia, ma purtroppo non controlli il passato e non puoi cambiarlo. Quindi rassegnati, sarai un cattivo da primo libro, di quelli che tutti dimenticano, che cosa triste, vero, per la potente Raja Pawan. Dopo tutto quello che hai fatto morirai in modo così insignificante. Ma forse è quello che meriti- strinsi i denti, la mia ombra sapeva perfettamente i tasti più dolenti della mia anima, probabilmente perché li rappresentava.

-Puoi sempre resettare la storia. Dopotutto sei comunque un virus, e hai gli occhiali- propose il mio riflesso, per poi bloccarsi, come se avesse detto troppo.

Io sobbalzai, perché non ci avevo pensato prima?

-Wow, capisci di essere cattiva nel DNA quando il tuo stesso riflesso ti propone di compiere malvagità- mi prese in giro l’ombra, ma io non la stavo del tutto ascoltando.

-Io non intendevo, insomma… un reset non comporta niente di cattivo nelle conseguenze- cercò di recuperarsi il mio riflesso.

-State zitte!- urlai loro contro, mentre osservavo gli ultimi momenti della mia vita fino a quando ero svenuta.

Dovevo resettare, non importava quello che avrei dovuto fare, non mi importava niente di quello che sarebbe accaduto a Joseph, Julie, Jasmine e chiunque altro. 

Se avessi fallito tutto il mondo sarebbe stato distrutto, ma non mi importava.

 

Si, ero egoista, e lo sono tutt’ora.

Ma che vi aspettate da me, sono una cattiva.

Ormai sapete tutto ciò che c’è da sapere su di me. Sono un personaggio, so di esserlo e sto cercando in tutti i modi di raggiungere il mio lieto fine.

Voi cosa fareste al mio posto, restereste come bravi bambini ad aspettare che la vita si prenda tutto quello che avete.

Io che colpe ho, se non quelle di essere nata diversa?

Io non ho deciso di essere cattiva, di essere sbagliata, di fare del male.

Io sono stata costretta a diventare quello che sono.

Se provaste quello che ho provato io ora potreste capire, ma dato che non potete vi chiedo solo di non guardarmi con espressione schifata, perché non avete diritto di giudicarmi.

Potete anche interrompervi nella lettura per quanto mi riguarda, mi fate solo un piacere.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5: Tasto di Reset ***


Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 5: Tasto di reset

 

 

-Non si sveglia, non si sveglia. Non dovremmo portarla all’ospedale?- quando smisi di rivivere tutto quello che avevo passato, finalmente mi svegliai, ma rimasi ad occhi chiusi.

Prima di fare qualsiasi cosa dovevo analizzare la situazione.

Allora, ero in un posto morbido, e qualcuno era vicino a me.

-No, non dobbiamo fare niente, presto si sveglierà- 

Joseph? Cavolo! Non avevo molto tempo, dovevo assolutamente resettare, e probabilmente quella che aveva parlato prima era Jasmine… ma Julie?

-Ah, già, il tuo sensore mentale super infallibile. Secondo me è difettoso. Quella tipa non sta apposto con la testa- ed ecco qua Julie.

Sarebbe stato difficile battere tutti e tre, a me serviva solo Joseph. Come protagonista principale della storia era lui che conteneva il tasto di reset, ma aveva una guardia del corpo dalla potenza non indifferente.

-Non dire così, tu non la conosci, ce l’hai con lei solo perché ti tiene testa- ribatté Joseph.

Aw, che tenero! 

No, dovevo restare concentrata, e non lasciarmi prendere da sentimentalismi. Tanto se non premevo quel dannato tasto di reset mi avrebbe ucciso molto presto.

Che odio le scrittrici che amano i feels!

Julie insistette.

-Non mi convince, non mi convince affatto. E poi quegli occhiali…- gli occhiali?! Non poteva averli messi… no, non poteva, perché se li avesse indossati il mondo sarebbe già finito da un pezzo.

Aprii gli occhi quel tanto che bastava per constatare che ero a casa dei Jones, sul divano, e che Julie e Joseph litigavano poco distante, mentre Jasmine rivolta verso di me, faceva passare lo sguardo da uno all’altro come in una partita di tennis, senza sapere bene come reagire o da che parte stare.

-Ti ho detto che non hanno niente che non va, o meglio, hanno qualcosa che non va, ma non ci riguarda. STAR mi ha suggerito di stare alla larga da quegli occhiali, o succederanno cose terribili- obiettò Joseph, incrociando le braccia.

Sbirciai il tavolino ai miei piedi, e fui sollevata di trovarci gli occhiali, ora dovevo solo prenderli e sarebbe stato tutto più facile.

-Se è davvero così… PERCHE’ DIAVOLO CE LI HA LEI?! L’ABBIAMO TROVATA VICINO A UN CADAVERE!! CON UN COLTELLO INSANGUINATO IN MANO!!!- asserì Julie, con vigore. Jasmine sobbalzò, Joseph non sapeva che ribattere.

Era tutto rosso, e confuso, e sapevo che stava valutando l’idea di non fidarsi più di me.

Quante volte ci ero già passata! Ormai non mi sorprendevo più.

-Era lo stesso uomo che mi aveva aggredita il primo giorno qui- si intromise Jasmine, in un sussurro.

Iniziai a scivolare in direzione del tavolino, per recuperare gli occhiali, e riuscii con molta discrezione a prenderli con i piedi, e a spingerli verso di me, nel divano, approfittando della distrazione dei tre fratelli.

-E a quanto mi ricordo, Julie, anche tu eri dell’opinione che fosse una buona idea mandarlo al creatore- ribadì Joseph, contro la sorella.

Io feci scivolare lentamente gli occhiali verso la mia mano, sperando che nessuno mi notasse.

Ero brava a passare inosservata.

-Ehm, ragazzi…- Jasmine cercò di attirare la loro attenzione, ma io non pensai che potesse avermi vista, e se anche così fosse stato, ero quasi riuscita nel mio obiettivo.

-Però quando io propongo di ammazzare un probabile molestatore tutti contro di me, quando la tua ragazza lo ammazza davvero ha fatto la cosa giusta- la discussione intanto continuava. 

-Ehm, ragazzi…- ripeté Jasmine.

-Non ho mai detto che abbia fatto la cosa giusta, ma ha delle attenuanti al suo caso, sono convinto che la polizia…- continuò Joseph, e io sobbalzai leggermente, e per poco gli occhiali non mi caddero dalle mani.

Davvero era stato così stupido da chiamare la polizia?!

-Davvero sei stato così stupido da chiamare la polizia?!- Julie diede voce ai miei pensieri, e credo fu la prima ed ultima volta che mi ritrovai d’accordo con lei.

-No, ma dovremmo chiamarla, non possiamo fare finta di niente- rispose Joseph, parecchio irritato per essere stato chiamato stupido.

-RAGAZZI!- Jasmine attirò l’attenzione di tutti, che si girarono a guardarla. Io mi misi gli occhiali, e li attivai, proprio mentre Jasmine mi indicava agli altri.

-Riley! Ti sei svegliata!- Joseph mi si avvicinò, e trattenni un’imprecazione per essere stata scoperta.

Ero in una contro tre, e loro erano molto potenti.

Decisi di giocare la carta della ragazza confusa.

-Cosa è successo?- chiesi, mettendomi a sedere, e cercando di apparire con la mente annebbiata.

-Questa sarebbe la domanda che noi dovremmo fare a te!- sottolineò Julie, guardandomi storto.

Avrei avuto molte cose da dirle, e non molto carine a dire il vero, ma dovevo fare in modo che i ragazzi si coalizzassero tra loro, per rendere più facile il mio compito.

Julie era testarda, e mi odiava, quindi dovevo solo attirare su di me la comprensione dei fratelli per isolarla.

Per fortuna io so benissimo quando è necessario che l’orgoglio vada a farsi friggere, perché se fossi stata più come Joseph le avrei risposto senza esitazioni.

Invece mi presi la testa tra le mani, e finsi di cercare di trattenere le lacrime.

-Io… io non ricordo bene… C’erano quei due…- primo grandissimo errore, ma me ne accorsi troppo tardi.

-Due? C’era un complice?- mi chiese subito Joseph, preoccupato.

Notai che era piuttosto a disagio, ed evitata di guardarmi negli occhi.

Dato che avevo vissuto secoli di vita in poco tempo ci misi un po’ a pensare che il bacio da cui ero scappata era accaduto solo qualche ora prima.

-Ehm…- cercando una scusa al volo finsi di pensarci e di essere confusa da tutto quello che era accaduto.

Il problema è che avevo completamente cancellato il tipo dall’esistenza, quindi in teoria non esisteva e non potevo averlo incontrato.

Non avevo voglia di inventare scuse, e seppellii il volto tra le mani, fingendo una confusione che non avevo.

-Non lo so… è successo tutto così in fretta. Sono tornata a casa e c’era questo uomo… ed io mi sono solo difesa. Voleva portarmi via- finsi di singhiozzare tra le dita, ma in realtà il mio volto era asciutto, e sarebbe rimasto tale.

Non valeva proprio la pena versare lacrime per quella situazione.

Jasmine mi si avvicinò e mi abbracciò, solidale. Da quanto avevo capito era successa la stessa cosa anche a lei.

Cercai di non ritirarmi dall’abbraccio.

Julie però continuava a guardarmi storto, e sentivo che non si sarebbe mai bevuta la mia sceneggiata.

Joseph sembrava alquanto a disagio, e credo fu davvero strano per lui ritrovarsi in una situazione così confusa e senza sapere bene da che parte stare.

Senza contare che STAR stava inviando messaggi a tutto spiano, talmente in fretta che probabilmente neanche Joseph riusciva a coglierli, anche se sospettavo che sentisse, in quei momenti di confusione, la voce di STAR in testa.

-Perché?- chiese Julie, indagatrice.

-Non lo so. Perché mai dovrei saperlo. Ho preso un coltello che era lì vicino e l’ho gettato contro di lui, non volevo colpirlo, solo spaventarlo- obiettai, leggermente seccata, ma cercando di mantenere un tono distrutto.

-Immagino, deve essere stato duro per te- Julie mi batté incoraggiante sulla spalla, ma il suo tono non aveva traccia di comprensione.

-E’ davvero incredibile che una sempliciotta come te sia riuscita a beccare per errore assoluto le arterie principali nel corpo di quell’uomo. E’ assurdo che in sette coltellate tu abbia beccato proprio i punti giusti- mi provocò infatti, subito dopo.

Io aprii un varco tra le dita per guardare il suo sguardo di sfida.

-Io… una coincidenza… forse non è la stessa persona che…- non sapevo bene cosa ribattere, mi chiesi come avevo fatto ad essere così stupida.

Purtroppo per me sono troppo abile, ho ucciso troppe persone e la mia mano è diventata troppo allenata. Se solo avessi potuto dimostrare la mia bravura anche su di lei. Peccato che dovevo avvicinarmi a Joseph, e lui avrebbe opposto una leggera resistenza se gli avessi ammazzato la sorella.

-Sei abituata ad uccidere, vero? O sei solo troppo intelligente e sapevi perfettamente i punti dove colpire per uccidere un omone in fretta. Un omone che per giunta sicuramente si dimenava- mi aveva sgamata in pieno. Non sapevo cosa ribattere, e rimasi in silenzio, mentre Jasmine si allontanava da me, guardandomi senza sapere bene cosa pensare.

-Julie…- Joseph era l’unico che sembrava ancora convinto di me, ma anche la sua sicurezza sembrava vacillare, e face passare lo sguardo da me alla sorella.

Julie si avvicinò, con un sorrisino furbetto.

-Forse c’entra qualcosa con questi occhiali?- me li sfilò così velocemente che non feci in tempo ad intercettarli che già lei era dall’altra parte della stanza.

-Oh, guarda, neanche una lacrima. Sono resistenti all’acqua a tal punto, Riley?- mi chiese sarcastica, mentre anche Joseph iniziava a perdere del tutto la fiducia.

Ormai ero scoperta, senza veli, la mia anima era nuda di fronte ai protagonisti che avrei voluto a tutti i costi evitare di incontrare.

E in quella situazione così spinosa, che probabilmente era la fine del libro, e la scena che tutti, da qualche parte del mondo, avrebbero letto con il fiato sospeso, io non riuscii a fare altro che a ridere.

Risi come una pazza, facendo indietreggiare tutti, poi mi girai verso di Julie con un sorriso malvagio, e alzai le spalle.

-Beccata! Ti facevo molto più stupida, Julie Jones. Ora, ti prego, ridammi quegli occhiali, o mi costringerai a prenderli con la forza dalle fredde dita del tuo cadavere- persi del tutto i miei modi affabili, e mi ritrovai faccia a faccia con il trio, seduta comodamente sul loro divano e pronta all’azione.

Joseph aveva perso colore, e tutti gli oggetti nella stanza iniziarono a tremare, come pronti a gettarsi tutti contro di me.

Jasmine mi guardava spaventata, e Julie si mise davanti a i fratelli, rigirandosi gli occhiali tra le dita.

-Vorrei proprio vederti provarci- mi provocò.

Io rimasi tranquilla, dovevo evitare scontri con Julie, dato che l’unico mio obiettivo era Joseph.

Però, in quella situazione…

Mi venne un’idea.

-Già, sarebbe proprio un bello spettacolo, io che mi getto su di voi, tu che mi spezzi un braccio mentre cerco di prendere gli occhiali. Joseph che mi getta contro tutti gli oggetti della stanza e Jasmine che… non credo che Jasmine sia utile al chiuso, ma non importa, tanto già in due contro una mi dareste del filo da torcere, ed io sono pure disarmata, e senza occhiali- commentai facendo scorrere lo sguardo tra i ragazzi, sorridendo.

-Non ti servono gli occhiali- obiettò Joseph, in un sussurro, ricordando una delle nostre prime conversazioni.

Io lo guardai dritto negli occhi, e lui indietreggiò leggermente. Eh, già, gli occhi sono proprio lo specchio dell’anima.

-Forse non nel senso più comune, ma ne ho bisogno per altri motivi. E poi c’è un valore affettivo, ci lavorai insieme a Leonardo- non avevo più bisogno di nascondermi, quindi ormai potevo mettere in gioco tutte le carte in tavola, e se tutto andava come previsto avrei messo fuori gioco Julie senza neanche alzarmi dal divano.

Lei iniziò a sussurrare confusa un cognome, ma io la interruppi subito.

-Non osare dire Di Caprio, è Da Vinci. Il mio caro compagno di studi Leonardo Da Vinci- la corressi, e lei mi guardò scettica.

-Non sarò un’esperta di storia, ma non è vissuto nel 1600?- mi chiese, come se fossi pazza.

-Si vede che non sei un’esperta di storia, è vissuto tra il 1400 e il 1500, se vogliamo essere più precisi dal 1452 al 1519- la corressi, con un largo sorriso.

Lei mi guardò storto, e guardò Joseph, che mi osservava con un sopracciglio inarcato. Poi si rivolse nuovamente a me.

-Appunto? Non puoi averlo conosciuto- insistette.

-Andiamo, Julie, tu hai sensi e abilità triplicate, Joseph solleva oggetti dal nulla e possiede un sensore mentale onnisciente, Jasmine amplifica o blocca eventi atmosferici e trovi strano che io sia immortale- Julie spalancò gli occhi, tenendo gli occhiali con tale forza che per poco non si ruppero.

-Però non temere, posso essere uccisa, solo che, fidati, è molto difficile- le feci l’occhiolino, interpretando male la sua sorpresa.

-Comunque, gradirei che mi dessi gli occhiali e che mi lasciassi tornare a casa- continuai poi, sollevando una mano, ma senza alzarmi.

-Ma neanche per sogno! Non mi sorprenderei se scoprissi che tu sei la mente dietro Hitler… o la terrorista che ha distrutto le torri gemelle!- esclamò Julie, riprendendosi dalla sorpresa e stringendo forte gli occhiali.

Stavo raggiungendo piano piano il mio obbiettivo, e così continuai a parlare.

-Stai scherzando?! Hitler era un’idiota. Quella strage epocale, per cosa poi? Certo, il risultato è stato grandioso, con il giorno della memoria eccetera. Probabilmente non si dimenticherà tanto presto, è vero. Ma lui voleva davvero vincere. E poi non c’era una vera organizzazione. Certo, avrei potuto aiutarlo, ma ero più incuriosita dai campi di concentramento, così mi sono finta ebrea e mi sono fatta catturare. Alla fine è stato fastidioso, ma ho imparato molte cose sulla sofferenza degli altri. E per quanto riguarda le torri gemelle, lavoro scialbo quello dei terroristi, privo di qualsivoglia utilità. Vuoi sapere cosa farei io se avessi la possibilità e la voglia di distruggere il mondo? Dammi quegli occhiali, lasciami andare, e tra qualche anno, se sarai ancora viva, lo scoprirai- e ridacchiai, e la guardai con sguardo malvagio.

Julie fece esattamente quello che speravo.

Mentre Jasmine mi guardava a bocca aperta e Joseph spostava il suo sguardo stralunato verso Julie, battendo le dita in un codice che neanche io riuscivo a capire, la ragazza mi guardò con un sorrisetto orgoglioso, certa di avere il coltello dalla parte del manico.

-Beh, credo che nessuno avrà mai questo onore- affermò, convinta, e portò gli occhiali all’altezza del viso, spezzandoli di netto.

-Julie! NO!- Joseph si gettò contro la sorella per fermarla, ma era troppo tardi.

Dagli occhiali spezzati uscì un fumo verde che colpì Julie in pieno.

Un gas velenoso di mia invenzione, che avrebbe fermato il suo cuore in pochissimi minuti, che variavano a seconda della quantità e indebolivano gradualmente lo sfortunato che era stato colpito.

Julie si accasciò a terra, tossendo rumorosamente, mentre Joseph la prendeva tra le braccia, per aiutarla.

Gli occhiali, ormai rotti, erano caduti poco più avanti, verso di me, ed io mi alzai e li raccolsi in fretta

-Ho sempre odiato i monologhi da cattiva, per fortuna questo aveva senso- commentai, per poi dirigermi verso la cucina, non prima di aver lanciato a Joseph uno sguardo eloquente.

A quel punto mi guardò con espressione così furente che credo me la ricorderò per tutta la vita.

-Jasmine, tu aiuta Julie, io vado a sistemare questo… mostro- sentii uno squarcio aprirsi nel petto a sentire quella parola, ma me la meritavo tutta, e cercando di sorridere scomparvi attraverso l’arco che portava in cucina, aggiustai gli occhiali con qualche parola, indossandoli nuovamente, e presi un coltello molto grande e affilato da un cassetto, che ne conteneva altri cinque, che velocemente si animarono di vita propria e mi andarono contro, puntandosi dritti alla mia gola.

La seconda porta delle cucina si chiuse di scatto, bloccandomi ogni via di fuga, ed io guardai Joseph, che, con le spalle all’arco, mi guardava senza emozioni, e con la mano sinistra sollevata, come se controllasse i coltelli con essa.

-Perché?- mi chiese, scuotendo la testa, incredulo.

Il gioco era ricominciato.

-Perché no?- risposi io, sorridendo, lui strinse i denti e uno dei coltelli si slanciò verso la mia trachea, ma io lo deviai senza troppe difficoltà.

Gli altri cinque coltelli seguirono le orme del precedente, e io cercai di difendermi al meglio contro tutti quei fendenti.

-Cinque contro una, non ti sembra scorretto, Joseph?- chiesi io, iniziando a sudare, ma senza perdere il sorriso.

-No- mi rispose secco lui, con più foga.

Io attivai con la mano libera gli occhiali, che per fortuna si erano aggiustati bene, e cercai di scrivere parole sui coltelli per renderli inoffensivi, impresa non da poco.

C’è da dire che anche Joseph era parecchio occupato, quindi non si accorse di niente, per mia fortuna.

[Almeno finché uno dei coltelli da me modificati beccò un punto sulla mia spalla che io non ero riuscita a coprire, piegandosi come fosse fatto di gomma.

A qual punto tutti i coltelli caddero a terra, mentre Joseph si prendeva la testa tra le mani, così seccato che tutte le altre stoviglie iniziarono a tremare, fossero in ebollizione.]

Iniziammo a girare intorno, e senza neanche accorgersene io mi ritrovai alle spalle dell’arco.

-E’ troppo tardi, Joseph. Tre, due, uno…- nel momento stesso in cui indicai dietro di me, un urlo si sentì dal salotto.

-Joseph!! Joseph! Non respira più! Non sento il battito- la voce soffocata dalle lacrime e dai singhiozzi di Jasmine fece impallidire Joseph, che mi guardò con espressione talmente ferita, che non ce la feci a trattenere il sorriso.

Poi Joseph mi lanciò contro tutti i coltelli, alcuni dei quali non ero ancora riuscita a modificare.

Io riuscii a spostarmi, ma loro colpirono una persona che in quel momento mi stava raggiungendo per aiutare il fratello.

-JASMINE!- urlò lui, mentre la ragazzina si accasciava a terra, prendendosi il petto, dove due coltelli erano conficcati.

Gli altri tre erano rimbalzati dato che li avevo trasformati in gomma e giacevano al suolo, inutili.

Lui mi superò per accertarsi delle condizioni della sorella, ma era troppo tardi.

Mi sembrò di rivedere nuovamente la me dodicenne china sul corpo senza vita di Sam, e rimasi totalmente senza parole, non avevo idea di cosa dire, di cosa fare.

-Cosa ti ho fatto di male?- mi chiese lui, piano, dopo aver posato delicatamente la sorella al suolo ed essersi rialzato, pronto a vendicarsi, e ritornando in cucina.

Io abbassai lo sguardo. Non sapevo come rispondere, a dire il vero.

Il pulsante di reset era proprio sul suo cuore. Avrei dovuto gettarmi contro di lui, porre fine a tutto, ma esitai.

Meritava una risposta, e non una risposta raggirata, una vera risposta.

-Tu sei il protagonista- gli rivelai, alzando le spalle, e avvicinandomi a lui, che iniziò ad indietreggiare.

-Ma di che stai parlando, Riley? La vita non è un libro- obiettò lui, sbattendo la schiena contro il muro.

-No, non lo è, ma la tua si- avrei voluto dirgli altro, ma una parola sospetta che si stava dirigendo verso i suoi polmoni mi fermò.

Pochi secondi dopo, Joseph tossì copiosamente.

-Joseph!- ero talmente sorpresa che non ragionai, e lasciai andare il coltello per non farlo cadere a terra.

Mi serviva vivo. 

Lui cercò di dimenarsi, continuando a tossire.

Quando si era gettato verso Julie per fermarla aveva inalato un po’ del veleno, e se non mi sbrigavano sarebbe morto dopo un minuto.

Mi serviva un coltello per premere il pulsante, quindi, dopo aver adagiato con cura il ragazzo sul pavimento, mi sporsi e ne presi uno di gomma che era caduto poco lontano, che modificai facendolo tornare come prima.

Ero pronta a mettere fine alle sue sofferenze, e soprattutto alle mie.

-Lasciami andare!- provò a dimenarsi Joseph, ma io gli misi una mano sulla bocca, per farlo tacere.

-Più ti dimeni più si espande in fretta. Tranquillo, finirà tutto presto- lo rassicurai, ma, prima che potessi continuare con il mio piano iniziale, sentii un dolore lancinante alla base della schiena.

Joseph mi aveva colpito con il coltello che avevo stupidamente lasciato cadere, e la lama era entrata a fondo.

Avevo provato molti dolori nella mia vita, quindi non sbattei ciglio, e gli diedi la stessa attenzione che a una puntura d’insetti.

-Ahi- commentai senza espressione -Non è molto carino da parte tua- 

Valutai velocemente i danni, il punto che aveva colpito non era poi così grave, se estraevo il coltello sarei morta dissanguata in fretta, ma così mi rimaneva più tempo.

Il tempo sufficiente, e di certo più tempo che a Joseph.

Misi il mio coltello sul suo petto, e lui mi prese la mano, cercando di spostarmela, e disarmandomi

-Non rendere le cose più complicate- gli chiesi, estraendo allora il coltello dalla mia schiena, decisa a concludere il tutto, ma lui mi tirò una gomitata, e mi disarmò dei miei occhiali.

Poco male, avevo memorizzato il punto, e gli feci pressione con il coltello, aprendogli una piccola ferita, mentre lui cercava di ritirarsi.

Il dolore alla schiena, d’altronde, stava anche diventando forte, ed ero sicura di stare perdendo molto sangue.

Però feci l’errore di guardarlo negli occhi, e vidi una cosa che mi sorprese parecchio, e che mi fermò, ancora.

Infatti i suoi occhi, pieni di dolore, vivi ancora per poco, erano asciutti.

Aveva visto una delle sue sorelle morire avvelenata, l’altra era stata accoltellata per errore da lui stesso, stava per morire ucciso da una ragazza che probabilmente gli era pure piaciuta, che era la causa di tutto e che lui aveva fatto entrare nelle loro vite… eppure non uscivano lacrime dai suoi occhi.

E in quel momento, io mi vidi in lui.

Gli tolsi gli occhiali, per osservare meglio la sua anima, lui non aveva più la forza per opporsi.

Eravamo due facce della stessa medaglia, e i nostri occhi lo dimostravano.

Se io ero il nero, il male, la cattiva, lui era il grigio chiaro, il bene, il protagonista, destinati a combatterci, eppure eravamo così simili.

Per sconfiggere qualcuno si deve prima imparare a conoscerlo, e forse la nostra lotta di sguardi, di pensieri e di fatti era stata così pari perché eravamo uguali, in un certo modo. 

Chissà quali eventi della sua breve vita gli avevano insegnato a non piangere, neanche nella situazione più disperata.

Sospirai, sapevo che gli mancava qualche secondo di vita, ed io dovevo sbrigarmi, ma comunque mi avvicinai, e gli diedi un lieve bacio a fior di labbra, che lui non poteva evitare.

Poi mi spostai al suo orecchio, e gli sussurrai:

-Avrei tanto voluto avere la possibilità di amarti- prima di premere, finalmente, il tasto di reset, infilandogli con violenza il coltello dritto nel cuore.

Lui non aveva più la forza neanche di urlare.

Per qualche secondo credetti che fosse troppo tardi, poi il dolore alla schiena si fece piano piano più debole, e la stanza più sfocata, finché non mi ritrovai a volteggiare in mezzo a centinaia di parole, che mi vorticavano intorno così in fretta che mi sembrò di essere spinta da un vento incessante come nel quinto canto della Divina Commedia.

La lussuria, peccato azzeccato, in un certo modo, anche se mi sarei vista di più come traditrice, o violenta. L’inferno mi reclamava in più gironi.

Poi, quando iniziai a temere di impazzire, le parole scomparvero in un botto, ed io mi ritrovai in classe, con la matita in mano, e il mio blocco di disegni nell’altra.

Neanche il tempo di riprendermi, che entrò il preside, seguito da un ragazzo composto e dall’espressione incredibilmente seria.

Ma non era Joseph.

O meglio, era senz’altro lui, ma la sua espressione, il suo tic, i suoi modi, non erano quelli che conoscevo.

Il codice era sempre Morse, ma i messaggi erano diversi, e il tasto di reset imponeva una situazione iniziale identica a quella precedente.

Mi chiesi se ricordasse i suoi ultimi momenti, anche se non avrebbe dovuto.

-Ragazzi, voglio presentarvi un nuovo alunno…- subito iniziai a decifrare il codice, sperando di non trovare messaggi problematici.

“Bah, che classe orribile, niente a che vedere con l’Inghilterra, e guarda che sguardi fessi e idioti. Gente di cui di certo non ci si può fidare. Bah, spero che mia zia venga ritrovata presto, non ci sopravvivo qui per più di due settimane”

Attivai gli occhiali senza badare molto alle apparenze, e vidi che parte della sua essenza era cambiata, anche se non ricordava nulla.

I nostri sguardi si incrociarono per un secondo, ma erano entrambi coperti dai nostri occhiali, e nessuno riuscì a vedere niente.

Una cosa sola era certa: questa volta non sarei stata l’unica ad evitarlo, poiché lui sarebbe stato il primo a stare lontano da me.

Perché io conoscevo i ragazzi come Joseph, dato che sono i ragazzi come me, e loro non perdonano, diffidano della gente, e la loro intelligenza li farà sempre vincere.

 

Ora, riflettendoci a mente fredda, inizio davvero a capire cosa mi avvicinasse così tanto a Joseph da rivelare a lui tutto ciò che mi rendeva una ragazza speciale.

Per la prima volta in tutta la mia vita, avevo conosciuto qualcuno speciale quanto me.

Come dissi all’inizio della storia, tutti gli uomini hanno le stesse abilità, e lui, lui no.

Lui era diverso da tutti, e forse fu questo mettermi sulla sua stessa lunghezza d’onda.

Lui era tutto ciò che io avevo sempre cercato.

Ma purtroppo, era un protagonista, ed io ero la cattiva.

Due mondi che non dovevano incontrarsi…

…E che non si incontrarono più.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3378613