La ragazza dai capelli rossi

di Mel_deluxe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ah, gli inglesi! ***
Capitolo 3: *** La sorpresa ***
Capitolo 4: *** Prime Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** Bellissima?! ***
Capitolo 6: *** Liste, biblioteche e fratelli ***
Capitolo 7: *** Lea in the sky with diamonds ***
Capitolo 8: *** La famiglia prima di tutto ***
Capitolo 9: *** Rossi e ricci ***
Capitolo 10: *** Sotto un cielo pieno di stelle ***
Capitolo 11: *** Progetto a coppie ***
Capitolo 12: *** Egoismo puro ***
Capitolo 13: *** Le Isole Aran - Parte 1 ***
Capitolo 14: *** Le Isole Aran - Parte 2 ***
Capitolo 15: *** Come in Titanic ***
Capitolo 16: *** Dannato Natale ***
Capitolo 17: *** Non è stato esattamente facile ***
Capitolo 18: *** Dieci ***
Capitolo 19: *** Il nono fratello ***
Capitolo 20: *** Bristol, Bristol ***
Capitolo 21: *** I ragazzi di Heather ***
Capitolo 22: *** Scambio di ruoli ***
Capitolo 23: *** L'ape regina ***
Capitolo 24: *** Giornata fradicia ***
Capitolo 25: *** Ultime Rivelazioni ***
Capitolo 26: *** 21 giugno - Parte 1 ***
Capitolo 27: *** 21 giugno - Parte 2 ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NOTA IMPORTANTE PRIMA CHE LEGGIATE (2022)
Se qualcuno sta ancora leggendo, ci tengo a dire che scrissi questa storia a 14-15 anni e che ora che sono cresciuta e maturata mi sono resa conto che che questa storia contiene molti momenti problematici che oggi condannerei assolutamente.
Mi imbarazza soprattutto il modo in cui avevo trattato i personaggi femminili, soprattutto Liza e Veronica, e mi scuso sinceramente per tutto lo slut-shaming e fat-phobia presenti nei capitoli più avanti.
Credo nell'imparare dai propri errori e non provare a nasconderli, perciò non cancellerò questa storia, vorrei poterla riscrivere da capo ma purtroppo non ho tempo.
Non penso che valga ancora la pena di leggere, anche perché la scrittura è decisamente di basso livello, ma dato che è la mia storia più popolare, sappiate che sono passati 8 anni e che quindi non rispecchia più chi sono come persona.
Grazie per aver letto
Mel.

 
Spesso sento la gente nella mia scuola, o anche altrove, dire: “Oh, che brutto essere figlio unico, vorrei tanto avere una sorella o un fratello”. Ma per fortuna io non sono di questo parere, perché di fratelli ne ho già fin troppi.Basta guardare le foto di casa mia, che si estendo su tutta la parete della scala: si parte con la foto dei miei genitori ancora liceali, di quando si sono conosciuti. Subito dopo c’è la foto del matrimonio, che precede un lungo susseguirsi di immagini incorniciate, che raccontano l’intera vita di ognuno di noi figli in ordine di nascita, per poi chiudersi definitivamente con una grande foto di tutta la famiglia fatta il Natale scorso, quando è nata Irene.
E poi vi posso assicurare che la mia vita è un inferno.
E quanti saranno mai questi poveri e dolci fratellini che odi tanto? Due, tre? Mi dispiace deludervi, ma io ho ben sette fratelli, e sono di tutto tranne che poveri e dolci.
Sette fratelli: le mie sette disgrazie.
Poi ci si mettono anche i miei genitori che mi dicono: “Ma Lea, tu dovresti esserne felice.”
Non so cosa intendano loro per “felice”, ma di certo io non lo sono.
Stranamente noi fratelli McEwitch siamo tutti uguali, nonostante le differenti età: tutti e otto abbiamo i capelli rossi, ricci e folti, e la carnagione chiara (presi da mio padre), e gli occhi azzurri (presi da mia madre).
Abitiamo in Irlanda, vicino a Galway, in un paese chiamato con il nome meno azzeccato della storia: Réimse Wonders*, un posto orribile dove arriva a malapena la connessione internet.
È un paese di mille abitanti scarsi e cioè uno di quei posti dove tutti conoscono tutti, così spesso i nostri compaesani ci identificano con orribili nomignoli quali teste rosse, o la famiglia capelli di fuoco, o ancora peggio, la famiglia Bradford all’irlandese. Una volta una signora ci ha chiesto se per caso eravamo usciti dai libri di Harry Potter
La famiglia da parte di mio padre è completamente irlandese da sei generazioni, per lui quindi è una cosa normale avere così tanti figli: in famiglia sono tutti così. Ho perso il conto di tutti i cugini che ho, poiché lui ha ben quattro fratelli.
Mia madre invece è tedesca, nata a Berlino e trasferita qui all’età di cinque anni: bionda e dagli occhi limpidi e azzurri. Aveva conosciuto mio padre ad una festa al liceo, perché trovava buffi i suoi capelli rossi.
Ora che ho parlato dei miei genitori è giunto il momento di parlare delle disgrazie:
Io sono Lea, e ho quindici anni perciò dei miei fratelli sono la più grande.
Non mi lamento di avere il peggior nome dell’universo. Sono stata chiamata così in onore di Lea Salonga, cioè la cantante preferita dei miei genitori. È stata la prima cosa in comune che hanno trovato, e dicono che è grazie a lei che si sono innamorati.
Credo che sia la storia romantica peggiore dell’universo.
Dopo di me c’è Andrew, che ha tredici anni.
Andy è l’unico dei miei fratelli con cui puoi parlare e discutere normalmente ed è l’unico a cui parlo dei miei problemi.
Io lo ritengo un po’ il mio migliore amico. L’unico suo difetto proviene dal suo protagonismo. Andy è il preferito dei miei genitori. Si vede troppo. E io non sopporto quando loro prestano più attenzione a lui invece che a me.
Dopo Andy viene Anna, di dodici anni.
Lei è la cosiddetta “reincarnazione di Satana”, poiché passa tutto il tempo a farmi dispetti e a intrufolarsi in camera mia a rubarmi di tutto. Immancabilmente, usa sempre la stessa scusa, cioè che io la tratto sempre male, e si mette ogni volta a fare delle finte scenate davanti a mia madre per farsi dare ragione.
Dopo ci sono i gemelli Richard e Michael che sono anche più pestiferi di Anna, ma almeno loro hanno nove anni. In realtà si comportano come se ne avessero due, perché Mike ha ancora paura del Mostro nell’Armadio, mentre Ricky passa tutto il giorno su un triciclo con cui gironzola per il salotto.
Il loro programma preferito è Il Trenino Thomas.
Secondo me hanno qualche problema, ma per i miei genitori sono normalissimi.
Dopo i gemelli c’è Laura, di sei anni, che è, con ogni probabilità, la più intelligente di tutti quelli elencati qui sopra. È anche la più dolce. E una spiona: ogni minima cosa sbagliata che faccio, anche se insignificante, lei corre subito a dire: “Mamma, papà, Lea ha fatto questo…”
Cavolo, quanto la odio.
Poi c’è mia sorella Hayden di quattro anni.
In realtà non ha molte caratteristiche principali: se ne sta tutto il giorno  a travestirsi urlando per la casa “Sono una fata! Sono una fata!” con una bacchetta in mano, sperando di trasformarci tutti in rane.
E ora la più piccola: Irene di soli ventidue mesi.
A malapena sa tenersi in piedi da sola e anche se tutti a quell’età tutti sappiamo ormai parlare lei non sa dire una parola. L’unica cosa che sa fare è sbrodolarsi e piangere.
In compenso… Lo so, ho una vita orribile. Costretta ogni giorno a sopportare quei piccoli sette diavoli. Mi chiedo come faccio a non essere ancora impazzita.
Per fortuna ho sempre avuto una mano in tutto ciò: Veronica e Julia, le mie migliori amiche! Le conosco dalla prima elementare e da allora siamo inseparabili.
Veronica è figlia unica, ma Julia ha un fratello minore, perciò quando ho bisogno di qualcuno che mi comprenda posso contare su di lei.
Che cosa abbiamo in comune? O beh, oltre alla passione per i ragazzi anche un grande odio verso una nostra compagna Elizabeth, che tutti chiamano Liza, anche se io preferisco chiamarla con il soprannome “Vipera”.
Da piccole io e Vipera eravamo insieme alla scuola materna.
A quell’epoca avevo dei capelli bellissimi e lunghissimi, anche più di adesso. Il primo giorno di scuola, però ho rubato le caramelle di Liza, e così lei per vendicarsi mi ha tagliato quasi tutti i capelli mentre dormivo.
Da quel giorno le ho giurato odio eterno.
Ho parlato della mia famiglia, delle mie amiche e perfino della mia nemica… Sembrerà strano, ma dopo tutto quello che è successo, sono le uniche persone che vorrei  davvero ringraziare.
 
*Nota: Réimse Wonders in gaelico irlandese significa “Campo delle meraviglie”.

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Capitolo 2
*** Ah, gli inglesi! ***


PRIMA PARTE
Settembre - Dicembre
 

 
 
Apro gli occhi lentamente, svegliata dall’odioso frastuono della sveglia.
La testa mi gira e ho uno strano senso di vomito.
Guardo l’orologio nella penombra: le otto e mezzo.
È vacanza maledizione! E per giunta è anche l’ultimo lunedì libero, prima dell’odioso inizio della scuola. Ma devo comunque alzarmi presto, perché oggi abbiamo ospiti.
Vengono a pranzare a casa nostra quei maledetti Richardson, gli amici di famiglia.
Quando mia madre si trasferì dalla Germania, prima di venire qui in Irlanda, visse a Bristol per un po’, quando aveva cinque anni. Lì è diventata grande amica di Jenny Wilson, che non è nientemeno che l’odierna signora Richardson, e sono amiche intime ancora oggi.
I Richardson sono inglesi, vivono a Bristol e sono schifosamente ricchi. Sono andata solo una volta nella loro casa in Inghilterra, e avevo sette anni, ma ricordo ancora che mi sentivo come una principessa in quella reggia immensa. Quasi mi ci perdevo dentro.
Sono quasi tre anni che progettiamo questo pranzo tra amici, ma loro erano così impegnati a fare i finti-benestanti, che hanno trovato solo oggi per venire a trovarci nella nostra umile dimora a Réimse Wonders.
Laurence Richardson fa di lavoro il giornalista di cronaca, e credendosi il migliore scrittore di sempre ha pubblicato anche un romanzo, che ho letto e ho trovato davvero atroce.
Lui e sua moglie sono le classiche persone che credono che i loro figli siano superiori a qualsiasi altro essere sulla Terra.
Laurence e Jenny hanno due figli: Marc, il più grande, ha più o meno la mia età.
Da piccoli giocavamo perfino insieme, ma da quando ha iniziato a pensare come suo padre, cioè credere di essere superiore a chiunque altro su questa Terra, ho smesso di provare simpatia per lui. Le nostre mamme devono aver organizzato più volte il nostro futuro matrimonio, ma sposarlo è l’ultima cosa che farei al mondo.
Il secondo, Jeremy, ha dodici anni, la stessa età di Anna. Sono nati anche lo stesso giorno, ma credo che mia sorella la pensi alla mia stessa maniera su di lui.
Non sopporto i Richardson, sia perché sono troppo perfetti sia perché fino a qualche anno fa ci seguivano dappertutto come delle maledette cozze, e in ogni vacanza o compleanno me li ritrovavo sempre attorno.
Quando mi alzo per scendere a fare colazione, mi accorgo che sono tutti già in giro e si sbrigano a prepararsi di tutta corsa.
«Lea!» mi urla mia madre, vedendomi uscire. «Ti sei svegliata troppo tardi!»
Indossa un vestito celeste, come i suoi occhi, decisamente troppo aderente e troppo corto, dato che ormai ha più di trent’anni. I suoi capelli ricci e biondi gli contornano perfettamente il viso, che è pesantemente coperto di trucco.
Mi guardo in giro e vedo che Laura indossa un vestitino giallo a maniche corte e i capelli sono legati in due trecce. Mio padre invece indossa lo smoking.
«C’era bisogno di mettersi così in ghingheri?» chiedo scioccata. «Insomma, sono solo i Richardson!».
«Non li vediamo da tre anni, quindi vestiti elegante e non fare storie!» dice con un tono secco mia madre e si avvia giù per le scale.
Io sono stupefatta.
Solo perché non li vediamo da tre anni non significa che dobbiamo accoglierli come se fossero il presidente.
Comunque non protesto ad alta voce e mi avvio verso il bagno di sotto.
Quando arrivo sulla soglia delle scale, mi soffermo un secondo ad osservare il ritratto di famiglia: i miei genitori sono in piedi dietro a un divano e sorreggono una Irene addormentata che indossa un cappello da Babbo Natale. Sul divano siamo seduti io, Anna e Andy. Io sono sul lato sinistro e tengo in braccio Laura, e in mezzo c’è Anna che ha un sorrisetto da figlia perfetta. Per terra ci sono poi Ricky e Mike che sono vestiti allo stesso modo, e Hayden col suo solito costume da fata.
Ci sarò passata davanti almeno un triliardo di volte quindi mi chiedo perché diavolo mi sono fermata a osservarlo.
Una volta distolta dai miei pensieri, arrivo al bagno di sotto, ma lì dentro ci trovo già Anna che si spazzola.
«Avanti, smorfiosa, esci.» le dico in tono abbastanza serio.
«Perché? Ci sono entrata prima io.» replica lei, spazzolandosi i suoi indomabili capelli .
«Abbiamo quattro bagni. Non puoi andare a quello di sopra?» le chiedo.
«Perché non ci vai tu, scusa?»
Mi guardo allo specchio per un attimo; i miei capelli sono messi peggio dei suoi.
«Non posso perché nel bagno di sotto non c’è la mia spazzola, che tu, oltretutto, stai usando in questo momento!»
Mi avvio verso di lei e le prendo con violenza la spazzola di mano.
Anna scaccia un piccolo urlo, e per un momento sembra mollare la presa, ma poi afferra saldamente il manico della spazzola.
Per circa un minuto rimaniamo a giocare a tiro alla fune.
Alla fine tiro uno strattone e riesco a conquistarmela. Ma proprio mentre sto per mettermi a esultare, Anna mi spinge fuori dal bagno e si chiude a chiave dentro.
Beh, almeno ho la spazzola.
Sento all’improvviso una nausea pazzesca, che dopo due minuti, per fortuna, passa all’improvviso.
Lascio perdere per il momento la nausea e mi avvio verso il bagno di sopra con il mio bel tesoro in mano.
Non mi trucco. Non ne vedo il bisogno.
Infine salgo in camera mia a vestirmi.
Indosso il vestito più bello che ho: quello nero, semplice ma sexy. È quello che avrei indossato se avessi avuto un incontro con il presidente. Ai piedi indosso le semplici ballerine di vernice e concludo tutto con la collana con il ciondolo verde e i capelli lunghi che mi ricadono sulle spalle.
Mentre mi guardo allo specchio e faccio un sorriso: una cosa che mi è sempre piaciuta di me è il mio aspetto: tutti quanti mi dicono che sono molto bella, e, per quanto li detesti devo dire una cosa: lo sono anche i miei fratelli.
Esco tutta sicura di me, e mentre mi sto avviando verso le scale, noto che la porta della stanza di Andy è aperta.
Lo osservo per un secondo mentre tenta inutilmente di allacciarsi la cravatta.
«Lascia, faccio io» dico entrando.
Appena mi sente fa un piccolo sorriso e mi lascia fare.
Mentre sto lì vicino a lui lo osservo attentamente.
Andy è piuttosto alto, circa dieci centimetri in più di me. È anche molto magro, in sottopeso per la sua altezza, ma questo non significa che non sia un bellissimo ragazzo.
È vestito alla stessa maniera di mio padre. Anche lui ha il gel nei capelli, e le poche lentiggini che ha sul naso si notano parecchio sotto questa luce.
Insomma, se non fosse per gli occhi, sarebbe la copia esatta di mio padre.
«Anche tu credi che sia una cazzata?» mi chiede a un certo punto. «Quella di vestirsi eleganti per i Richardson?».
Gli faccio un sorriso come risposta.
«Insomma… » continua Andy. «se proprio mamma ci tiene così tanto a loro allora perché non si è sposata Jenny invece di papà?»
Faccio un altro sorriso.
«Credo che sarebbe stato un problema se fosse andata così.» dico alzando le sopracciglia.
Lui sospira e ricomincia a parlare:
«E poi non sopporto proprio Marc. Con quell’aria da damerino cascamorto e quel suo dannato accento aristocratico. Che si può permettere tutte le attenzioni e tutte le ragazze del mondo mentre tu sei obbligato a stare nella sua ombra.»
«Non lo sopporti o sei solamente molto geloso?»
Riesco a comprenderlo perfettamente. Ogni tanto sono gelosa anch’io, e Andy che è sempre abituato a essere il protagonista della situazione non deve essere contento di farsi rubare i riflettori da Marc.
Mi lancia anche lui un sorriso a bocca chiusa, mentre con le ultime forze riesco finalmente ad allacciarli la cravatta. Non riesco tuttavia a continuare, poiché due secondi dopo sento che la nausea mi ritorna, ancora più forte di prima.
«Ehi, tutto okay?» Andy deve aver notato la mia faccia disturbata.
«Sì, sto bene. Su, andiamo, siamo in ritardo» dico sistemandogli i capelli.
Gli do un’ultima occhiata.
«Sei uno schianto.» E gli do una pacchetta sulla guancia.
Quando scendiamo, scopro che siamo gli ultimi: Anna è seduta su una poltrona, Laura è sulle spalle di papà, Mike sta litigando con Hayden, che ha ancora addosso le ali da fata, mentre la mamma sistema il papillon viola a Ricky. Irene invece è sola con i suoi pensieri nel seggiolone.
La nausea non mi è ancora passata, anzi diventa sempre più forte ad ogni momento che passa. Ho la certezza che da un momento all’altro vomiterò.
«Mamma, senti…» esclamo disperata.
«Non ora, tesoro. Sono proprio qui davanti.»
E infatti un secondo dopo suona il campanello e mia madre si precipita ad aprire.
I minuti sono contati. Sento che il mio stomaco sta impazzendo.
«Oh, ciao ragazzi! Quanto tempo!» sento dire mia madre quando apre la porta, ma non ho tempo di vederli entrare: il mio corpo cede e si accascia a terra. Poi sento il vomito che mi esce dalla bocca e dalle narici.
Lo stomaco mi brucia, continuo a sputare liquido giallognolo e la gola mi fa male.
Ma solo quando guardo a terra la pozza capisco che è successo veramente.
Non oso alzare lo sguardo per non vedere la faccia di mia madre.

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Capitolo 3
*** La sorpresa ***


Dopo quel disgustoso incidente, mia madre mi accompagna in bagno dove resto da sola per circa un quarto d’ora.
Evidentemente non avevo digerito la cena della sera prima, ma il guaio ormai è fatto.
In bagno mi vengono a trovare, oltre alla puzza di vomito, anche Laurence e Jenny, che mi consegnano il regalo di compleanno, facendo finta di ricordarsi che era tre mesi prima.
«Beh, Lea, credo che la tua accoglienza ci abbia sorpreso!» scherza Laurence. Dovrebbe essere una battuta, ma io la trovo davvero cattiva.
Quando finalmente esco dal bagno mi sento molto meglio. Mi cospargo di deodorante per spazzare via la puzza e cerco di sorridere a più non posso.
Dopo che la pozza di vomito è stata accuratamente pulita ci sediamo a tavola per il pranzo, facendo finta che non sia successo nulla, anche se a me viene servito riso in bianco invece del vero menù, cosa che mi conforta, dato che era ricco di piatti disgustosi come zuppa di vongole o fegato di maiale.
Io continuo a sorridere, non lascio trapassare alcun sentimento inconvenevole. Temo che i Richardson potrebbero accorgersi che li trovo, insomma... insopportabili, così, mentre Laurence continua a parlare di quanto trova insopportabile la regina Elisabetta, io non apro bocca se non per mangiare.
Intanto osservo Marc, seduto esattamente davanti a me, che non mi ha ancora rivolto la parola da quando è arrivato. L’ultima volta che l’ho visto aveva dodici anni ed era  già piuttosto carino, ma adesso che ne ha quasi sedici è davvero bellissimo: i  capelli biondi con qualche ciuffo di lato, gli occhi sono bellissimi, di un azzurro chiaro e intenso, come quelli di Jenny, e i suoi lineamenti sono davvero principeschi. Non assomiglia per niente a suo padre.
Forse Andy ha ragione: ha l’aria da damerino cascamorto, ma è questo che lo rende affascinante; e poi in giacca e cravatta è ancora più incantevole.
Jeremy invece in confronto a Marc sembra un topo di fogna: i capelli neri e a spazzola, e i denti davanti leggermente sporgenti e grossi. Direi che lui ha preso più l’aspetto grottesco del padre che quello attraente della madre.
Per un attimo incontro lo sguardo di Marc, ma un secondo dopo entrambi lo distogliamo.
Tra di noi non c’è conversazione: gli unici suoni che si sentono sono quelli degli adulti che discutono e dei bambini che fanno casino.
«Come va la scuola, Lea?» mi chiede lui a un certo punto. Il suo accento inglese è marcatissimo, ma non mi da troppo fastidio.
Io sono sorpresa che mi abbia rivolto la parola, ma rispondo comunque.
«Bene. Tu?»
«Non mi lamento.»
Silenzio.
So che ha cercato disperatamente di conversare, ma semplicemente non ci riusciamo.
Poco dopo l’arrivo del secondo, per fortuna gli adulti salvano la nostra quiete:
«Bene, Heidi. Direi che sei una cuoca fantastica!» esclama Laurence, battendo le mani. «Ma direi che è ora di fare un importante annuncio.»
«Di cosa si tratta?» chiede incuriosita mia madre.
Io mi metto composta sulla sedia, in attesa di sentire.
«Dai, Larry, dillo.» mormora Jenny emozionata.
«Bene…» fa un’altra piccola pausa e poi riparte:
«In questi ultimi tre anni le nostre due famiglie non si sono viste molto. Anzi non si sono visti affatto. Ma non credo che questo non si ripeterà più, cari miei McEwitch! Perché, sapete, mi hanno offerto un nuovo lavoro migliore in un'altra città e quindi abbiamo il piacere di annunciarvi che…»
Che…? Che… cosa?
«…ci trasferiamo nella casa di fronte!» urlano in coro Laurence e Jenny.
Cosa?
«Oh mio Dio! È magnifico!» esclama mia madre piena di gioia.
No, invece non lo è! È terribile!
Non è vero. Non è possibile. Oh, ecco perché quella casa non aveva più il cartello di vendita!
Non poteva esserci catastrofe peggiore! Dovrò vederli tutti i giorni in questo modo, e figuriamoci nelle festività!
Non sopporto i Richardson già a 300 km di distanza, figuriamoci nella casa di fronte!
«Scusa e quando pensavi di dircelo?» la voce seria di Marc irrompe il silenzio. «La scuola inizia tra una settimana e tu mi dici solo ora che ci trasferiamo? In Irlanda per giunta.»
Dunque Marc non lo sapeva. E a giudicare dalla faccia di Jeremy nemmeno sapeva niente.
«Tranquillo, Marc. Abbiamo pensato noi a tutto, già fatto noi le iscrizioni, e abbiamo organizzato anche tutto il resto.» esclama Laurence allegro.
«Ah ed è così che si risolve tutto?» la sua voce è davvero infuriata. «Avrei voluto essere avvisato prima!»
«Volevamo che fosse una sorpresa... per tutti quanti.» Il tono di Larry è decisamente meno allegro.
«E non ti è mai venuto in mente che io a Bristol abbia una ragazza, degli amici o una cavolo di vita sociale, vero?»
«Tesoro, non ti agitare. È solo per un anno. Poi ritorneremo a Bristol e…» cerca di intervenire Jenny, sebbene la sua voce tremi molto.
«Al diavolo.» dice sottovoce alzandosi infuriato. Dopodiché se ne va.
Marc scompare per un po’ e salta il dolce, anche se nessuno sembra preoccuparsi di dove sia finito. Anche i suoi genitori sembrano presi a parlare con i miei di chissà cosa.

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Capitolo 4
*** Prime Rivelazioni ***


 
Alla fine del pranzo esco fuori, sul giardino sul retro, per prendere una boccata d’aria.
Quando esco, mi accorgo che anche Marc è lì, intento a fumare una sigaretta.
Mi avvicino a lui e colgo che si è allentato la cravatta e che qualche bottone iniziale della camicia è slacciato.
Anche se si accorge di me sembra non considerarmi, e continua ad aspirare la sigaretta.
«Non ti biasimo, sai.» dico sedendomi su di una panca di pietra del giardinetto. «Anch’io sarei infuriata al posto tuo. Ti capisco.»
Guardo il cielo che tristemente si è annuvolato.
«Grazie.» dice senza guardarmi. Poi mi porge il pacchetto di sigarette. «Ne vuoi una?»
«Perché no?» E afferro una sigaretta.
I miei non sanno che fumo, ma credo che nemmeno quelli di Marc lo sappiano.
Lui mi passa l’accendino, e io comincio ad aspirare adorata nicotina.
«Non deve piacerti molto.» dico tra una tirata e l’altra, accennando un sorriso. «Insomma, dalla reggia di Bristol al paese sperduto di Galway.»
Marc si passa le mani tra i capelli, e sposta un ciuffo che gli ricadeva sulla fronte.
Un gesto ammaliante.
Ed è a quel punto che riconosco l’orrida verità: Marc non mi sta solo antipatico. Sono proprio come Andy, sono gelosa di lui.
Lui che è bello, ricco con la famiglia dei miei sogni, con un unico fratello, mentre io mi devo sorbire la piccola tribù. Sono sempre stata gelosa di mio fratello, ma sono mille volte più gelosa di Marc. Non ci siamo mai parlati molto, è vero, anzi forse non siamo stati mai amici. Ma, oh, cosa darei per essere come lui!
«No, non è questo il vero problema.» continua a parlare senza guardarmi.
«Allora è per la tua ragazza?»
Non mi risponde.
«Come si chiama?» chiedo dopo qualche secondo.
«Heather.» dice sorridendo. «Comunque non è nemmeno per lei.»
«Allora per cosa?»
Lui sospira e questa volta si gira verso di me, con sguardo incredibilmente serio:
«Prometti di non dirlo a nessuno.
«Prometto.»
«Giura di non dirlo ad anima viva, nemmeno ai tuoi genitori o ai tuoi amici.»
«Va bene, lo giuro. Di cosa si tratta?»
Fa un profondo respiro prima di parlare:
«I miei sono divorziati.»
«Cosa? Ma dai!»
«Lo giuro. E non da poco. Lo sono da cinque anni!»
Rimango senza parole.
«Ma due minuti fa…»
«Fa tutto parte del loro show. Non lo sa nessuno. In realtà nemmeno Jeremy ed io dovremmo saperlo. Sai, l’anno scorso frugando tra le cose di mio padre ho trovato l’attestato di divorzio, con tanto di data! Mi sono incuriosito, e sono andato a parlare con i miei nonni e sai che cosa mi hanno risposto? “Non sono cose che ti riguardano”. Credevo che non ce l’avessero detto solo perché avrebbero temuto la nostra reazione, e che prima o poi si sarebbero fatti avanti.»
«Dio, che storia…»
«Ma adesso comprano una casa insieme e si trasferiscono qui di fronte a voi. Di sicuro stanno tramando qualcosa, e io voglio scoprire di che si tratta.»
Sono totalmente scioccata da questa rivelazione. Guardando Laurence e Jenny non mi verrebbe mai in mente che in realtà sono divorziati.
Mi chiedo se anche i miei genitori lo siano in segreto.
«Beh, cambiamo discorso.» riprende Marc dopo qualche minuto. «A quanto pare passeremo molto tempo insieme.»
«Buona fortuna.»
Finisco la mia sigaretta, la butto a terra e la nascondo accuratamente nel prato, frugando tra l’erba con i piedi.
«Allora, come ti va? Ce l’hai il ragazzo?»
«Non per il momento.»
«Difficile da credere.» dopo che lo dice, mi lancia uno strano sorriso, e quasi non riesco a credere che mi viene un fremito quando lo fa.
Marc è talmente carino che non mi dispiacerebbe come ragazzo. Cioè, sì, anche se avesse un minimo di personalità particolare non sarebbe male.
«Stai bene vestito così…» dico la prima cosa che mi capita per cambiare discorso.
Finisce anche lui la sigaretta, ma la butta a terra senza schiacciarla.
«Sì, anche tu sei carina, Lea.»
Con quel suo accento suona ancora meglio.
Intanto il cielo si è scurito ancora di più, e delle gocce di pioggia iniziano a cadere.
«È stato bello chiacchierare.» dichiaro alzandomi per rientrare in casa.
«Ci vediamo tra una settimana.» dice Marc mentre mi segue.
Quando siamo dentro e per il resto della serata, però, continuo a pensare all’ultima parte della conversazione tra me e Marc.
Stavamo forse flirtando?
 
 

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Capitolo 5
*** Bellissima?! ***


 
 
La settimana passa fin troppo lentamente, con noi che dobbiamo aiutare i Richardson a mettere a posto i mobili nella loro nuova casa, che, stranamente, sembra anche più piccola della nostra.
«Che posto orribile.» sento sussurrare Marc un giorno, ma faccio finta di niente.
Mi dimentico completamente della conversazione con Marc dell’altra sera, e anche lui sembra fare lo stesso.
Tuttavia adesso, ogni volta che guardo Larry e Jenny non faccio altro che cogliere tutti i segnali per capire che in realtà quei due non sono più sposati da cinque anni, ma non ci riesco.
L’ultimo giorno di vacanza lo passo chiusa in casa, senza vedere i Richardson, e chattando con Veronica, per poi andare a letto circa all’una e mezza, inutile dire che il giorno dopo mi sento uno straccio.
Mi sveglio alle sette, ma riesco ad alzarmi solo mezz’ora dopo.
Così scendo, e lì ci sono già mia madre, mio padre e Andy, che ha tutta l’aria di essere anche lui un mezzo zombie. Cerco di mettere i cereali nella tazza, intanto passa Barry, il postino, e mio padre esce a prendere il giornale. Finito di fare colazione corro di sopra a prepararmi.
O almeno dovrei prepararmi, perché sono talmente stanca che sto per quasi dieci minuti a fissare l’acqua del lavandino che scorre, dimenticandomi perfino perché sono qui.
Dopo qualche sforzo immane, riesco a ritornare in me e mi preparo alla svelta.
Indosso la divisa della scuola, che consiste in una normalissima camicia bianca, con tanto di orribile cravatta grigia, orribile gonna grigia, e orribili scarpe grigie. Detto questo vi posso dare un’idea dello schifo di abiti che sono costretta a indossare ogni giorno. Credo che le divise siano solo uno spreco di soldi, un inutile pretesto per guardare e dire alle altre scuole: “Ehi, guardate, noi abbiamo i soldi per le divise e voi no. Ah - ah.”
Questo è il primo anno per Andy,  mentre per me è già il terzo.
Appena esco, sento che l’aria è piuttosto fresca e capisco, a mio rammarico, che l’estate è ormai finita per quest’anno.
Andy poco dopo mi raggiunge in giardino con la sua fantastica divisa nuova di zecca e un sorriso smagliante in faccia.
Poverino, non ha idea di quello che passerà.
Giro lo sguardo, che si posa sulla casa della signora O’Baker, la vicina. È un’anziana vedova di quelle che si odiano da subito e che detestano i bambini..
Ogni tanto la vediamo che ci spia dalla finestra, ma appena qualcuno vede lei, scosta le tende e fa finta di non essere in casa.
Sul vialetto invece vedo il cane che vive a Réimse Wonders. É un cane randagio che gironzola di casa in casa cercando di raccattare cibo. Non ha un vero nome, perché tutti lo chiamano come vogliono.
Il mio è Ammasso di Pulci.
Apro il cancello, e quando alzo lo sguardo scorgo da lontano Marc che mi saluta.
Oggi oltre a fare da mentore a Andy devo farlo anche a lui, dato che molto probabilmente sarà nella mia classe, e sono l’unica persona che conosce in tutta l’Irlanda.
Mentre si avvicina allarga le braccia ed esclama:
«Beh? Come sto?»
Stranamente la divisa gli dona.
«Sei orribile.» dico mentre apro la portiera della macchina.
«Lo sospettavo.» ammette lui.
 Mia madre carica l’auto, tutti e quattro saliamo su e partiamo.
 
 
Appena sono davanti alla scuola, capisco che quest’anno sarà ancora più mostruoso di quello prima.
Mia madre ci saluta con un bacio sulla fronte, compreso Marc, e riparte in macchina.
Io mi volto verso la scuola e comincio a camminare con Andy e Marc che mi seguono in silenzio.
«Dunque, ho il compito di avvisarvi.» comincio a parlare senza voltarmi verso di loro:
«Qui gli insegnanti sono piuttosto efficienti, quindi rimboccatevi le mani e non rimanete indietro con il programma. Marc, qui non siamo in Inghilterra, quindi scordati le ragazze belle, bionde e dall’accento comprensibile. Non andate mai in bagno durante la terza ora, perché è a quel punto che ci vanno tutti. Ah, e nei bagni i rubinetti sono difettosi, quindi dovete aspettare un po’ prima di lavarvi le mani. Non salite le scale troppo in fretta perché sono dannatamente scivolose, e non prendete mai del succo d’arancia alle macchinette, perché è disgustoso. Non lasciate mai oggetti nello spogliatoio perché quasi sicuramente non li ritroverete mai più. E ultimo ma non meno importante…»
Mi volto verso di loro, stoppandomi, costringendoli a fare lo stesso.
«Sopravvivete.»
 
 
Salgo velocemente le scale insieme a Marc, quasi fossi in pieno ritardo, senza Andy, dopo che è già andato verso la sua classe.
Appena davanti all’aula mi viene in mente un atroce dubbio.
Guardo Marc. Straniero, biondo, occhi azzurri, aspetto angelico.
Sì, è decisamente un soggetto pericoloso.
«Quando entri in classe cerca di non guardare né rivolgere la parola a  nessuna ragazza, okay?» gli dico voltandomi verso di lui.
«Cosa? E perché?»
«In Irlanda si fa così, abbiamo strane tradizioni. Non chiedermi altro»
Entro sperando che Marc segua il mio consiglio e…
«Eccola qui la mia Lea!» strilla Veronica appena entro in classe, dopodiché mi salta addosso abbracciandomi. D’altronde Veronica è sempre stata un po’ pazza.
Anche Julia mi viene incontro senza però saltarmi addosso.
«Oh, abbiamo così tante cose da dirti.» mi dice. «Sai non vedo l’ora di…»
Julia si blocca all’improvviso, e ha uno sguardo perso per qualcosa alle mie spalle.
Poi mi accorgo che anche Veronica fa lo stesso. Mi volto e vedo con orrore Marc che ricambia i loro sguardi e concede loro un sorriso fin troppo bello.
«Oh mio dio, che cosa ti avevo detto un secondo fa?» mormoro a bassissima voce mentre corro verso di lui.
«Scusami, ma non capisco perché...»
«Ascoltami bene: ti ho già detto che qui non siamo in Inghilterra, quindi le regole le faccio io. Questa classe brulica di ragazze, e tu sei decisamente troppo sexy per loro!»
«Beh, grazie. Ma allora…»
«E se per caso qualcuna di loro dovesse…»
«Oh, Lea. Direi che non sei molto gentile con il nostro nuovo acquisto.»
Liza. Maledetta.
Eccola lì con il suo corpo sexy e la sua quarta di reggiseno. Con i suoi capelli scuri e fluenti e i suoi occhi intimidatori che sprizzano malvagità.
Era proprio lei che volevo fare evitare a Marc.
Non so perché, ma Liza ha una certa passione per i ragazzi inglesi, e anche se Marc non mi sta molto simpatico, non lo odio a tal punto da vederlo mettersi con lei. E se quei due si mettessero insieme o addirittura si sposassero, lei diventerebbe una Richardson a tutti gli effetti e io sarei costretta a vederla tutti i minuti di ogni singolo giorno e a fingere di essergli amica.
Che inferno.
Sto per riprendere a parlare, ma Liza mi fissa con i suoi occhi ricchi di eye-liner: sembra trasmettermi il suo pensiero, che ovviamente non è molto gentile.
Pare che i suoi occhi mi stiano dicendo: “Spostati, cara. Non sei abbastanza per lui”
E stranamente sembra funzionare, perché mi sento molto più vulnerabile, adesso.
«No, me ne stavo andando comunque.» dico con un filo di voce, e mi dirigo verso Veronica e Julia senza girarmi.
«Oh, miseria. Allora lo conosci?» esclama Julia non appena arrivo da lei.
«Sì, lo conosco praticamente da quando è nato.» Quasi mi metto a ridere.
«E perché non ce lo hai mai presentato? E non ci hai mai parlato di lui?» dice infuriata Veronica.
«Come si chiama?!» domanda Julia in preda al panico.
«Ehm... Marc.» rispondo confusa.
«OH MARC!»
«Che bel nome!»
«È perfetto per lui!»
«Chiamerò i miei figli cosi!»
Un’orda di ragazze si è appena accalcata intorno a me, tutte completamente in subbuglio per il nuovo compagno di classe.
«È solo un ragazzo!» esclamo, totalmente scioccata.
«Sai raramente ricevo visite da un angelo.» dice una ragazza di fianco a me.
Io smetto di sorridere e abbasso un po’ la voce:
«Ragazze, va bene. Marc è carino, lo ammetto anch’io, ma non dobbiamo certo…»
«Carino? Sai, Lea, sono stata in così tanti posti, e raramente ne ho trovati di belli come lui.» Julia guarda Veronica, che sembra appoggiarla pienamente.
Quando le acque si sono un po’ calmate, le ragazze si sciolgono da me e si presentano subito a Marc. Io invece saluto tutti gli altri compagni che non vedevo da un anno, compreso Samuel.
Oh, Samuel.
Non volevo nemmeno più vederlo. Insomma, dai, è l’essere più appiccicoso della Terra!
Beh, forse perché ha una cotta morbosa per me da tipo tre ann,i ma io preferisco ancora tenerlo a giusta distanza.
Per un attimo scorgo Liza e Marc che parlano ancora, ma oramai non mi interessa più: che Marc faccia della sua vita quello che vuole, non mi importa.
«Ragazzi, ragazzi. Per favore, sedetevi!» dice entrando la prof Annette, una vecchia che invece di insegnare dovrebbe starsene sottoterra.
Io mi siedo vicino a Julia, mentre Veronica si mette dietro di noi, vicino a Katie Donald, una sua amica d’infanzia.
L’ora passa il più lentamente possibile, ma con Julia riesco a divertirmi comunque: ridiamo, scherziamo, parliamo e senza che la vecchia se ne accorga.
Ogni tanto mi giro a osservare Liza, che si è seduta vicino a Marc, e a volte li becco pure che stanno ridendo.
Appena suona la campanella dell’intervallo schizzo fuori dall’aula per evitare che Sam mi raggiunga. Vado verso il mio armadietto e cerco di mettere i miei libri dentro.
Quasi mi metto a urlare quando una mano mi tocca sulla spalla.
Ma quando mi giro scopro che è solo Marc.
«Ciao.» mi fa con un tono allegro.
«Ciao.» dico io, sospirando.
«Ti ho…spaventata?»
Io inizio ad avviarmi verso il bar. Lui mi segue.
«No, è solo che credevo fossi un’altra persona.»
C’è qualche minuto di silenzio dopodiché io ricomincio a parlare:
«Beh, come va la vita con la compagnia di Liza?»
«Oh, è fantastica.» Poi mi guarda negli occhi, e io riesco a vedere il mio riflesso nei suoi da quanto sono chiari.
«D’ altronde è… abbastanza simpatica.» Questa è stata ufficialmente la bugia più grande che abbia mai detto in tutta la mia vita.
«Siete amiche?»
Momento imbarazzante.
«Molto.» azzardo alla fine.
«Già, lo è davvero…» dice guardando da un’altra parte.
“Sì, certo. Come un pugno nello stomaco di prima mattina” penso.
«Oh, ma guarda chi si vede!»  strilla un’odiosa vocina.
Parli del diavolo…
Liza arriva tutta pimpante mentre i suoi lunghi capelli ondeggiano nell’aria.
Dio, sono stupendi!
«Ehi, ciao Bellissima.» dice dolcemente Marc.
Bellissima? BELLISSIMA?!
La conosce da un’ora scarsa e già la chiama Bellissima?
Per un attimo Liza mi fissa come se fossi un insetto schifoso, subito dopo inizia a parlare:
«E tu che vuoi, pel di carota?»
Non la sopporto più!
«Nel caso non l’avessi ancora notato, genio della lampada, i miei capelli sono rossi, e non arancioni. Comunque me ne stavo andando.»
Giro i tacchi ed esco di scena.
Mentre me ne sto andando Marc mi dice qualcosa, senza usare la voce ma solo muovendo le labbra, anche se capisco perfettamente:
«In effetti siete davvero molto amiche …» e poi mi fa l’occhiolino.
Io gli ricambio il sorriso, ma dopo essermi allontanata scoppio a ridere.
Mi domando davvero come faccia Marc a ritenere Liza simpatica. E la chiama Bellissima! Bah!
Beh, qualsiasi cosa ci sia tra quei due, l’ho già detto, non mi interessa.
Tanto è Marc quello che se la deve sorbire


ANGOLO AUTRICE
Eccovi, come promesso, un capitolo più lungo del solito, ma ancora nella media!
Siccome oggi ho preso un fantastico OTTO (!!!) in latino, ho voluto festeggiare regalarndovi un altro capitolo.
Anche se non siete in molti a recensire, ho notato che il numero di visualizzazioni è sempre costante e sono contenta di avere un buon numero di lettori, quindi vi ringrazio di cuore  <3
Mel.

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Capitolo 6
*** Liste, biblioteche e fratelli ***


«…e poi me li sono ritrovati nella casa di fronte!» concludo il mio discorso quando siamo alla mensa.
Da noi l’ora di pranzo è separata per gruppi (sì, un po’ come in Mean Girls): ogni gruppo ha il suo tavolo e il suo spazio. Ci sono i Secchioni, gli Atleti (dove c’è Sam, da sempre nella squadra di calcio), i Diplomanti, quelli Popolari, i Fattoni, quelli Strani, le Giovani Donne, più comunemente note come “Troiette” (dove c’è ovviamente Liza), e il tavolo vicino alla spazzatura dove stanno quelli che non sanno dove sedersi.
Di solito io, Julia e Veronica ci sediamo con gli Strani, perché sono i più simpatici e i più divertenti;
Sinceramente non capisco perche li abbiano chiamari “Strani”: è vero, ogni tanto si mettono a parlare ad alta voce e a organizzare cori, o vanno in giro a chiedere il cibo in elemosina. Mi hanno raccontato che due anni fa hanno acceso la musica e si sono messi a ballare sui tavoli come se fossero in discoteca, ma io non li chiamerei “strani”, piuttosto “allegri”, o “giocosi”, o “gente che non ha paura di divertirsi e di mostrare ciò che gli piace fare”.
«Dio santo, come vorrei che Aaron fosse la sua copia esatta.»
Aaron O’Kelly è un ragazzo di un anno più grande di noi con cui Julia ha uno strano rapporto amore-amicizia. In pratica si fidanzano, si mollano e si rimettono insieme continuamente.
Ma Julia deve essersene dimenticata, perché con la guancia appoggiata sulla mano osserva Marc che è in fila per il pranzo!
Direi che è giunto il momento di intervenire:
«Okay, torniamo alla realtà: che diavolo vi sta succedendo, ragazze? Non vi vedevo così prese da un ragazzo da quando abbiamo incontrato Ricky Martin per strada. E poi, dai, è fidanzato!»
Mi guardo in giro. Veronica fa la stessa cosa di Julia, così come tutte le altre ragazze del nostro tavolo, delle Troiette, e di tutti gli altri tavoli.
«Rassegnati, Lea. Sei l’unica immune al suo fascino.» dice Veronica sovrappensiero.
In effetti ha ragione. Sono l’unica.
«Ma ora basta parlare di bei ragazzi. È arrivato il momento della Lista dei propositi!» esclama Veronica tirando fuori dei fogli e delle penne.
La Lista dei propositi di Veronica è appunto una lista di propositi ideata da Veronica che facciamo sempre, all’inizio dell’anno, nell’ora di pranzo.
Consiste in cinque punti: quale voto verreste prendere quest’anno, chi desiderereste schiaffeggiare, quale ragazzo vorreste baciare, con chi vorreste fare amicizia e infine dire un proposito finale che vi impegnerete a fare per tutta la durata dell’anno. A fine anno poi, chi ha completato più punti di tutti organizza un pigiama party tra amiche come pare e piace lei.
«Punto numero uno.» inizia a scrivere Veronica. «Quale voto vorreste prendere quest’anno?»
«Di sicuro un sette in storia.» dice subito Julia. «Mia madre mi ucciderà se prendo di meno.» dopodiché lo scrive sul suo foglio.
Julia potrebbe prendere molto di più di sette, ma semplicemente non vuole. È una di quelle persone che vanno male a scuola solo perché va di moda.
E poi diciamocelo, quel look dark non gli dona affatto: il taglio orribile e i capelli tinti di nero. Per non parlare del piercing al naso. È carina ma non conciata così.
«Io direi un bel sei in matematica.» afferma Veronica annotandolo sul suo foglio.
Lei invece è solo stupida e basta. Guardandola bene potresti confonderla con una barbie. Veronica ha un bel visino dolce da bambina, dei capelli biondi lunghi e lisci, e anche i suoi occhi sono molto belli, ma se solo si regolasse con il cibo le sue cosce non sarebbero così grosse.
«Va bene dire “almeno sei in tutte le materie”?» azzardo io.
«No, deve essere solo una materia.»
«Allora…sei in chimica?»
«Perfetto.» dichiara Julia e io lo scrivo sul mio foglio.
«Punto due.» continua Veronica. «Chi vorreste prendere a schiaffi? Io dico Blair Murphy, non la sopporto proprio quella!»
«Io di sicuro Liza.» diciamo Julia ed io contemporaneamente.
In teoria il regolamento della Lista dice che due amiche non possono scegliere la stessa persona nello stesso punto. Così Julia ed io scendiamo a un accordo, e lei sceglie Dana O’Carter, la sua vicina di casa, nel suo punto.
«Punto numero tre: quale ragazzo vorreste baciare?»
«Credo davvero che sceglierò il mio Aaron » dice Julia con una voce stridula.
«Io credo di avere già in mente chi sceglierò» fa Veronica scrivendo il nome di Marc sul suo foglio.
Io non ho idea di chi scegliere, invece.
Per qualche motivo guardo dalla parte del tavolo degli Atleti, dove, stranamente, incrocio lo sguardo con un bellissimo ragazzo dai capelli neri.
«Io scelgo Brad Callaghan.» concludo alla fine, fiera della mia decisione.
«Brad Callaghan? Quel Brad Callaghan?» esclama Veronica a bocca spalancata. «Lee, tá tú dÚsachtach!»
Brad Callaghan è un ragazzo dell’ultimo anno, bello, alto, sexy e conteso tra tutte le ragazze.
Qual è il problema? Brad è il fratello maggiore di Sam.
In realtà non capisco proprio come facciano ad essere fratelli dato che non si assomigliano neanche un briciolo.
Ci siamo scambiati a malapena qualche parola, anche se lui è a conoscenza del fatto che suo fratello è innamorato cotto di me.
«Bene, continuiamo. Punto quattro: di chi vorreste diventare amiche.»
«Mi piacciono le sfide: scelgo Sam Callaghan.» affermo.
«Adesso spiegami come farai a diventare amica di Sam e nel frattempo baciare suo fratello?» mi chiede Julia ridacchiando.
«Devo diventare amica di Sam, Juls, non la sua amante.»
«Va bene, Lee. Dato che anche a me piacciono le sfide, io scelgo Dana O’Carter.»
«Adesso spiegami tu, Juls.» le dico io. «Come farai a diventare amica di Dana e nel frattempo prenderla a schiaffi.»
«Chi ha detto che devo per forza esserle nemica per prenderla a schiaffi?»
«Comunque, tu chi scegli, Viv?»
«Io dico Katie Donald.» afferma Veronica dopodiché tira fuori una barretta dietetica al cioccolato.
«Ma Viv, tu sei già amica di Katie.»
«Sì, ma non esageratamente.»
«No, non possiamo dartela buona.» dice Julia.
Ci riflette un attimo, poi esclama:
«Va bene, allora scelgo Andrew McEwitch.»
«Chi? Mio fratello?» chiedo stupita.
«Sì, che problema c’è?» dice dando un morso alla barretta.
«Perché mai vorresti diventare amica di mio fratello?»
«È carino.» e da un altro morso alla barretta.
Rimango sconcertata. Ma tutto quello che esce dalla mia bocca è:
«Ok, farò finta di non aver sentito...»
«Va bene, allora andiamo avanti.» continua Veronica. «Ora c’è il mio preferito: il proposito finale!»
«Cercare di non mollarmi di nuovo con Aaron.» dice Julia con tono pensieroso.
«Cercare di comportarmi bene con i miei fratelli» dichiaro io.
«Cercare di non sembrare troppo stupida di come già sono.»
«Oh, Viv. Ma tu non sei stupida.» cerca di consolarla Julia. «Chi è stato a dirtelo?»
«Liza.»
«Non devi ascoltare quella vipera!.» ribadisco io.
«Wow, McEwitch, oggi sei particolarmente di buon umore.» mi dice Clark subito dopo.
Clark Pattern è un po’ come il “capo” degli Strani. Ha diciotto anni ed è all’ultimo anno. Mi fa sempre ridere tantissimo ed è sempre gentile con tutti noi.
Anche i suoi capelli sono di un rossi, un po’ più chiari miei, e più tendenti all’arancione, per questo dice sempre di avere un debole per me.
«Finiscila Clark, o preferisci che anche oggi ti finisco il pranzo?»
«Is breá liom tú nuair a bhíonn tú feargach.»
Faccio un sorriso imbarazzata, dato che mi ha appena detto che mi adora quando sono arrabbiata.
«Comunque ho la strana impressione che vincerò io quest’anno.» affermo orgogliosa guardando la mia Lista.
Poi alzo lo sguardo e noto Andy che si sta avviando vicino ai cassonetti.
«E intendo iniziare da ora.»
Faccio segno a Andy di venire verso di noi. Lui esita un attimo, ma poi ci raggiunge.
Proprio come speravo, Andy si trova benissimo negli Strani, dopotutto è mio fratello. Ma non riesco a staccare lo sguardo da Veronica che continua, imperterrita a provarci con lui.
E alla fine Clark esclama:
«Un altro McEwitch. Non si può chiedere di meglio!»
E a quel punto suona la campanella.
 
 
 
 
Dopo qualche settimana dall’inizio della scuola, durante un’ora buca, decido di rifugiarmi in biblioteca.
La nostra biblioteca è davvero enorme, per questo la gente la usa più che altro per nasconderci la droga e pomiciare in segreto piuttosto che per i libri.
Io sto attaccata per quasi mezzora a uno scaffale fingendo di osservare libri, quando in realtà sto messaggiando con il cellulare.
Ad un certo punto sento una voce che proviene dalla reception:
«Come sarebbe a dire che non posso prendere questo libro? L’ho chiesto tre ore fa!»
Oh no.
È la voce di Sam.
Vengo subito colta dal panico mentre cerco di allontanarmi il più possibile dalla reception.
Mi nascondo dietro uno scaffale di libri di cucina, dove so che Sam non metterà mai piede.
La tensione mi sale alle stelle: se Sam mi vede mi chiederà di uscire all’infinito e cercherà perfino di baciarmi.
Non è che odio Sam, odio solo il fatto che sia così ossessionato da me.
Dei passi si avvicinano e il mio cuore batte a ritmo con loro.
Sono tentata a scappare dall’uscita di emergenza, ma appena sento che i passi si sono fermati mi fermo.
Non riesco nemmeno a respirare. Penso che potrei morire, ma non fa niente.
Tutto piuttosto di subire le molestie di Sam.
I passi riprendono a camminare, poi si allontanano.
Faccio un respiro sollevata e finalmente esco fuori dal mio nascondiglio.
Sono contenta di essere scampata a Sam! Almeno adesso posso…
All’improvviso qualcuno mi afferra per la spalla e mi volta. Mi sbatte violentemente conto uno scaffale, e qualche libro cade a terra.
Quando poi mi accorgo che è proprio Sam, quasi mi spavento.
«Credevi di esserti liberata di me, vero?» La sua voce ha quasi un tono da maniaco che mi fa parecchia paura.
«Senti, Sam…» non riesco nemmeno a parlare da quanto mi è vicino con la bocca. Sento il suo alito, cosa assolutamente disgustosa. Cerco in tutti i modi di allontanarmi e sfuggire da lui, ma le sue braccia troppo forti mi trattengono.
«Dimmi che uscirai con me.» mi dice esasperato. «Ti chiedo solo questo!»
«Me l’hai già chiesto ieri.»
«E l’altro ieri...»
«E l’altro ieri ancora.»
«Quindi?»
«Vedrò.»
Si avvicina per baciarmi, ma io distolgo subito lo sguardo e mi volto dalla parte opposta.
«Cosa c’è che non va in me?» mi chiede quasi in lacrime.
Adesso ho solo due possibilità: spezzargli il cuore o inventarsi una scusa. Scelgo la seconda.
«Oh, niente Sammy! È solo che…»
Mi guarda ansioso della risposta che io non riesco a inventarmi.
Poi mi viene in mente il terzo punto della Lista, Brad. Perfetto!
«…mi-mi interessa qualcun altro.»
«Diamine, io lo ammazzo!»
«Ed è tuo fratello.»
In questo modo mi accorgo che gli ho spezzato il cuore comunque. Gli ho dato un nemico, ma non la possibilità di prenderlo a pugni. Povero caro, vecchio Sam L.
«Dai non te la prendere! Sa a malapena che esisto.» dico dopo aver visto la sua faccia sconvolta e allo stesso tempo triste.
Sam se ne va senza dire nulla. So che da un momento all’altro scoppierà in lacrime.
Almeno per quest’ora me ne sono liberata. Anche se mi sento terribilmente in colpa.
Sbuffo, ma riprendo comunque il cellulare in mano.
Non si vede nessun altro per circa una mezz’oretta, poi compare un viso conosciuto.
«Ciao, Lea! È successo qualcosa con Sam? È appena corso via e ha minacciato di bucarmi tutte le magliette se mi vede ancora in giro...» mi domanda Brad avvicinandosi.
Io lo studio attentamente: ha gli occhi verdi, i capelli neri, alto circa in metro e novanta e con fin troppi muscoli. Potrebbe essere anche più bello di Marc, se non fosse per quella barba giovanile che gli da dieci anni in più.
«Senti Brad, so che non parliamo molto, ma se puoi passare in biblioteca dopo scuola mi faresti un favore. Sai la scuola è appena iniziata e l’anno scorso sono stata promossa per miracolo. Quindi se puoi…»
«Scusa, ma ho gli allenamenti dopo scuola.»
Il suo tono è davvero dispiaciuto, ma la mia faccia è più delusa.
«…ma farò il possibile, te lo prometto.»
Con un sorriso cordiale mi saluta ed esce dalla biblioteca.
Beh, che dire, è proprio bello!
Ma nessuno ti ripaga se stai troppo tempo a osservare il vuoto sognante, quindi è meglio tornare alla realtà.



ANGOLO AUTRICE
Nuovo capitolooooooooo!
Sì, sono ancora in ritardo. Ma tra scuola, greco, verifiche e una voglia matta di cantare i Beatles con l'ukulele (sì, suono l'ukulele mentre canto "Ob-la-di ob-la-da" a squarciagola...) ho trovato solo oggi per il nuovo super capitolo!
Spero che questa volta non sia narrato troppo sinteticamente, ma con la storia dei capitoli lunghi... Insomma, che volete!
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito, inserita tra le seguita ecc... VI VOGLIO UN GRAN BENE!
E uno speciale saluto a Franceschina che so che starà leggendo in questo momento.
Alla prossima settimana!!!!
Mel.

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Capitolo 7
*** Lea in the sky with diamonds ***


Tre settimane dopo l’inizio della scuola tutto va di male in peggio. Continuo a non studiare, e anche se Brad mi aiuta praticamente ogni giorno in biblioteca, i miei voti continuano a toccare temperature artiche. Ma per fortuna che in casa c’è Andy. I suoi voti sono perfetti, quindi riesce a distrarre un po’ i miei genitori che non pensano più ai miei.
Un giorno, ntre torno a casa da scuola senza mio fratello, che è rimasto a scuola, osservo come stia già iniziando a nevicare, nonostante sia ancora settembre.
Sento all’improvviso la voce di Marc mi chiama da dietro:
«Ehi, Lea!»
Cavolo, quasi mi ero dimenticata di lui.
Mi volto senza dire una parola né facendo una qualche espressione.
Voltandomi mi accorgo che sono arrivata di fronte alla mia casa, e a quella dei Richardson.
Marc mi chiede se posso dargli una mano a svuotare gli ultimi scatoloni in camera sua, ed io imperterrita rispondo:
«Vivi qui da tre settimane e non hai ancora traslocato del tutto?»
«Quando finiscono le vacanze di Natale,» dice con tono divertente. «quanto tempo passa prima che tu tolga tutte le decorazioni dalla casa?»
Di solito un mese. Okay, mi ha convinto.
Scoppio a ridere e lo seguo dentro la nuova casa senza avvisare nemmeno i miei genitori. Tanto poco importa, a loro farebbe solo piacere.
Quando però sono dentro, mi rendo conto che è la prima volta che metto piede in quella casa. La sua baile (come la chiamiamo in Irlanda) è completamente diversa dalla nostra: si apre con uno splendido salotto arredato magnificamente, e invece di avere il soppalco come la nostra, ha due piani interi. In salotto, sopra uno dei divani sono appesi i loro quattro ritratti. Sono così realistici che mi sembravano delle fotografie a prima vista. Poi ho pensato: “Certo, figurati se Jenny non si faceva fare dei ritratti ad ogni membro della sua adorata famiglia”.
Non mi ricordo bene come fosse la loro villa di Bristol, ma questa sembra una sua versione in miniatura.
«Cosa c’è di più orribile?» penso e senza accorgermene lo dico ad alta voce.
«Non so.» esclama Marc, che sfortunatamente mi ha sentito. «Forse non ti ricordi di quel giorno in cui appena entrati in casa, hai vomitato sul pavimento, davanti a noi.»
«Oh, piantala!» dico con tono abbastanza infuriato, ma solo perché so che effettivamente ha ragione.
La stanza di Marc è al secondo piano, e appena ci entro mi rendo conto che non è grande come mi aspettavo. Anzi è più piccola della mia. Anzi. apparentemente sembra la stanza di un ragazzo normale.
Forse è per questo... Non sono mai stata abituata a considerare Marc un ragazzo “normale”.
Sono rimasti solo tre scatoloni da svuotare, e sono pieni solo di libri, foto, souvenir e altri oggetti decorativi.
Inizio a svuotarne uno, e la prima cosa che tiro fuori è un pupazzo a forma di maiale. Me lo ricordo benissimo, perché da piccoli noi due litigavamo sempre a causa sua: io dicevo che era una femmina mentre lui sosteneva il contrario. Faccio un breve sorriso e lo ripongo sulla mensola sopra il letto.
Dopo qualche altro oggetto, tiro fuori una foto ben incorniciata, che ritrae lui con una ragazza bionda sulle spalle, con un bellissimo sorriso. Deve essere Heather.
«È carina…» dico mostrandogli la foto.
Lui la prende in mano e sorride.
«Heather? Altro che carina, è bellissima!»
Come Liza? Ma per fortuna questa volta non lo dico ad alta voce. Mi trattengo orribili commenti. Quel ragazzo mi fa così tenerezza mentre guarda la foto con i suoi bellissimi occhi che scintillano. Poverino, deve essere davvero innamorato, e invece di stare a Bristol con lei è qui con me a svuotare scatoloni in un orribile paesino irlandese.
Strano,  è la prima volta che Marc mi fa tenerezza. Che mi starà succedendo?
Metto la foto sul comodino vicino al letto, ma poi mi viene un atroce dubbio in testa:
«Marc, perché hai chiesto proprio a me di aiutarti? Insomma, c’è tuo fratello o i miei genitori… »
Marc alza lo sguardo e mi fissa attentamente. Io rimango in attesa di una risposta.
«Perché sei l’unica persona che conosco che sappia tenere un segreto.»
Questa cosa mi lusinga al massimo. Sono onorata!
«Aspetta…» dice Marc, guardandosi intorno. «Vieni un secondo, ti faccio vedere una cosa.» Marc sbircia tra i suoi libri e tira fuori un pacchetto di sigarette completamente nuove, accuratamente nascosto.
Se ne mette velocemente una in bocca, poi esce dalla sua stanza e mi fa segno di seguirlo.
Marc mi conduce giù per le scale e si dirige diritto nella camera dei suoi genitori.
Appena entriamo corre ad aprire le finestre, si accende la sigaretta e poi mi lancia letteralmente il pacchetto addosso, con tanto di accendino.
«Dove sono i tuoi?» gli chiedo, mentre cerco di raccogliere il pacchetto da terra.
«Al lavoro.» Marc va verso la parete e toglie un quadro enorme, scoprendo una cassaforte. «Tornano sempre verso le sei. E Jeremy è da un amico.»
Prima di fare qualsiasi altra cosa, Marc si accosta davanti a uno stereo, al lato della stanza.
«Vuoi un po’ di musica?» mi chiede, voltandosi.
Io faccio spallucce, mentre mi accendo finalmente la sigaretta.
Marc schiaccia il tasto del play, accontentandosi di qualsiasi canzone ci sia.
Ricordo bene che sia lui che i suoi genitori vanno matti per i Beatles, perciò non mi stupisco quando sento partire dallo stereo Lucy in the sky with diamonds.
Io mi siedo sul letto matrimoniale, mentre lui torna verso la cassaforte e digita un’infinità di numeri.
Picture yourself in a boat on a river, with tangerine trees and marmalade skies
La cassaforte si apre. Mi avvicino.
«Ecco qui.»
Marc tiene in mano un foglio, ma mi ci vuole un po’ per riconoscere di che si tratta: è un attestato di divorzio.
L’attestato che dimostra che Laurence e Jenny Richardson non sono più sposati.
Lo osservo meglio, leggendo tra le righe. In effetti non sembra esserci nulla di sbagliato.
Somebody calls you, you answer quite slowly, a girl with kaleidoscope eyes.
La voce di John Lennon continua ad aleggiare intorno a noi, così come il fumo delle nostre sigarette.
«Non lo so, Marc…» sbuffo, ritornando a sedermi sul letto. «Insomma, che senso avrebbe? Non so per certo come funzionino i divorzi, ma non dovrebbe essere un po’ più complicato? M’immaginavo tribunali, litigi per gli alimenti ed altro. O qualche storia che c’entri con l’affidamento dei figli.»
Marc butta fuori il fumo, e si accascia contro il muro.
«Per questo il mistero s’ infittisce.»
A quel punto non faccio a meno di sorridere. Rimaniamo un secondo in silenzio, ad ascoltare la musica.
Cellophane flowers of yellow and green, towering over your head.
Data la stranezza di quell’istante, scelgo di cambiare argomento all’istante.
«Una mia amica ha una cotta per te.» gli dico. Poi mi butto, come se fossi morta di stanchezza, sul letto, che è maledettamente comodo.
«Come tutte le ragazze della scuola, direi.» ridacchia tra il fumo che ormai ha invaso la stanza.
Sento improvvisamente che si alza e si siede sul letto di fianco a me.
«E chi delle due, sentiamo? La Barbie o la Punk Lady?»
Io mi rimetto a sedere, aspirando ancora una volta, e lo guardo direttamente in faccia senza battere ciglio.
Look for the girl with the sun in her eyes, and she's gone.
Marc sembra avvicinarsi a me, e mi sfila la sigaretta di bocca, spegnendola in un posacenere sul comodino. Dovrei gridare: “Ma che diavolo fai?”, ma non ci riesco. Non protesto. Rimango immobile con gli occhi fissi nei suoi.
Stranamente mi viene voglia di gettarmi addosso a lui e riempirlo di baci.
Lucy in the sky-y with diamonds!
«O forse si tratta di te, Bellissima.»
COME MI HA CHIAMATA?!
E incredibilmente torno alla realtà.
Mi alzo dal letto di scatto, allontanandomi da Marc il più possibile.
Ci stava provando con me? Certo, non mi stupisco di questo, piuttosto del fatto che per un secondo ho anche pensato di assecondarlo!
«Stammi bene a sentire, Biondo.» lo richiamo senza sentire il minimo rimorso. «Non sono quel genere di ragazza che si fa sedurre dal primo vicino di casa che incontra. E se fin’ora le tue smancerie hanno funzionato, direi con grande successo, con qualsiasi essere femminile sulla Terra, i tuoi occhi celesti e il tuo viso d’angelo non m’incantano, chiaro?»
Marc mi guarda. Io lo guardo.
Poi, dopo qualche secondo di silenzio, decide finalmente di ribattere:
«Si può sapere cosa ti ho fatto? È da quando sono arrivato qui, se non anche prima, che non fai altro che trattarmi come se ti odiassi. Sai che ti dico? Io non ti odio! Va bene, ammetto di averci appena provato con te, ma ammettilo: siamo in una situazione alquanto…intima
Lo guardo storto.
In effetti ha ragione. Due ragazzi in una camera matrimoniale, che fumano, ascoltano i Beatles e parlano di divorzi e di cotte. Suona molto intimo.
Marc mi continua a guardare con quegli occhi da cane bastonato, che pregano che lo perdoni.
«Oh, dai! Smettila di guardarmi in quel modo.» mi rimetto seduta di fianco a lui. «Hai ragione, mi dispiace, siamo partiti con il piede sbagliato. Facciamo così: se tu prometti di non pensare mai più a me in…quel modo, io ti prometto che cercherò di essere più gentile con te.»
I suoi occhi si illuminano di gioia.
«Quindi possiamo essere amici?»
Mi do’ un attimo di pausa, tanto per farlo stare in ansia.
«Sì.» rispondo secca.
Mi alzo dal letto e mi metto in piedi di fronte a lui.
«Magari invece di stare sempre qui a fumare, qualche sabato sera, vieni da me. Così mi aiuti a fare da babysitter alle sette pesti.»
Lucy in the sky with diamonds!
E, dato che la mia sigaretta è stata appena spenta, sfilo via quella tra le labbra di Marc e me la metto tra le mie. Lui rimane spiazzato.
Poi mi dirigo verso la porta di casa, sentendomi la regina del mondo.
Ah, ah...
 
 
La sera Patrick, il migliore amico di mio padre, e altro nostro vicino di casa, ci viene a trovare. Pat è un uomo sui trent’anni, fa il disegnatore per lavoro, senza moglie né figli. Mi sta abbastanza simpatico, perché è tutto l’opposto dei Richardson, e anche i miei fratelli sembrano apprezzarlo. Porta sempre dei giocattoli ai più piccoli, poiché Pat lavora per uno studio di animazione. Ogni tanto riesce a fare anche lui qualche cortometraggio per i piccoli. Il corto “Le sorelle McEwitch” ha avuto molto successo tra la nostra famiglia.
Quella stessa sera quindi i miei genitori decidono di invitare Pat a cena.
Pessima idea.
In questo periodo la mamma è nella cosiddetta “spinaci- mania”. Ce l’hanno tutte le mamme prima o poi, e per noi figli è un incubo. Tutto ciò che vostra madre cucinerà sarà sempre a base di spinaci: spinaci per contorno, spinaci sulla carne, spinaci e patate, zuppa di spinaci, riso agli spinaci, torta salata con spinaci, lasagne di spinaci e così via.
Già. Un vero inferno.
Ma Pat decide comunque di rimanere a cena da noi per assaggiare la mitica pizza agli spinaci. Sebbene sia atroce, però, Pat sembra apprezzarla.
Dopo la disgustosa cena, Pat mi si avvicina e mi consegna una scatolina nera con un nastro.
«È il tuo regalo di compleanno.» mi dice mentre me lo consegna.
Oh, ma perché tutti mi consegnano i regali di compleanno a settembre quando in realtà è a giugno?  Adesso però mi sono incuriosita.
Tolgo velocemente il nastro e apro la scatola.
È una collana. Una collana d’argento con la scritta “Lea” in mezzo in corsivo. È bellissima! Eppure mi ricordo che Pat mi ha già consegnato il suo regalo di compleanno. A giugno.
«Grazie, Pat. Ma credevo che il regalo me lo avessi già fatto…»
«Sì, beh ecco in realtà è da parte di mio fratello.»
Pat ha un fratello gemello, George, che abita in Waterside, dall’altra parte di Galway. Lavora all’azienta di impianti elettronici con mia madre da qualche anno, ma non l’ho mai conosciuto, né mi ha mai visto, quindi come faceva a sapere che l’avrei adorata? E soprattutto, per quale motivo George mi farebbe un regalo?
«Vedi, George ha insistito tanto per fartelo, e io l’ho solo recapitato.»
Strano. Ma non fa niente, la collana è stupenda, e ringrazio chiunque me l’abbia regalata.
Dopo aver detto grazie a Pat e George, lui mi chiede di andargli a prendere un bicchiere d’acqua e io obbedisco. Quando però ritorno con il bicchier d’acqua non c’è più, e cercandolo lo scovo nel giardino che parla con mio padre. Decido di non entrare subito e di sentire la conversazione tra i due per un po’, nascosta dietro alla portafinestra che da sul giardino.
«So che domani George e tua moglie partono per Bonn,  per il lavoro.»
«No, aspetta…» dice mio padre pensieroso. «Heidi mi ha detto che andavano a Francoforte, e che lei serviva da interprete.»
«Può darsi, magari sono due viaggi differenti.»
«Sì, ma è strano. Insomma è strano che un’azienda organizzi due viaggi differenti lo stesso giorno, due città così vicine. Non sarebbe uno spreco di soldi?. Evidentemente tuo fratello si sarà sbagliato.»
A quel punto il braccio che regge il bicchiere comincia a farmi male, quindi vado in giardino e consegno il bicchiere a Pat, ma ritorno comunque nel nascondiglio a origliare.
«Ho visto che i Richardson si sono trasferiti qui vicino.» dice Pat a un certo punto.
«Non sapevo che li conoscessi.»
«Beh, sono solo un vecchio amico di Jenny, tutto qui.»
Pat e Jenny sono amici? Ma che diavolo sta succedendo quest’anno? Tutte le più grandi stranezze e rivelazioni sono successe in questo mese.
I Richardson qui davanti, Jenny e Larry divorziati, mio fratello geloso, Marc che fa una strage di ragazze a scuola, Veronica che ci prova con Andy, io che sono riuscita finalmente a togliermi Sam di dosso, Marc che vuole essere mio amico, George che mi fa regali, Pat e Jenny amici…
Quante altre ne rimangono?
Spero solo che le prossime non siano così scioccanti.


ANGOLO AUTRICE
Perdonate il (più che) immenso ritardo. Ancora.
Ma sapete no, sono le ultime settimane di scuola. E per fortuna ho trovato il tempo per aggiornare.
In più chiedo scusa per il capitolo, che oltre a essere cortissimo, è, penso, anche uno dei miei peggiori: l'ho praticamente aggiunto al momento per intrigare un po' la storia.
Inoltre per il titolo... Non avevo assolutamente idea di come chiamarlo! E ovviamente, mentre ascoltavo i miei amati Beatles, mi è venuta in mente l'ideona di citare una loro canzone, anche se non centra quasi nulla con il capitolo, e in più storpiando (ahimè) il nome della povera Lucy.
Spero comunque che vi piaccia :)
 

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Capitolo 8
*** La famiglia prima di tutto ***


Esistono tre modi per svegliarsi al mattino: a malavoglia, tranquillamente e all’improvviso.
È il primo novembre, il giorno dopo Halloween.
Odio svegliarmi presto quando in realtà potrei starmene a dormire tutto il giorno.
Ma data la mia grande attenzione, la sera scorsa mi sono dimenticata di disattivare la sveglia e così è dalle sei che non riesco più ad addormentarmi.
E io che credevo che il sabato mattina fosse solo una leggenda… Invece per la prima volta in quindici anni sono sveglia prima delle undici. Incredibile!
Anche se sono certa che in realtà mi sarei svegliata prestissimo anche se la sveglia non mi avesse fracassato i timpani.
Oggi ho le ripetizioni con Brad, in biblioteca.
Trattengo un sorriso.
Non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno. Brad è talmente bello!
Cioè, non mi piace solo perché è bello. Sì, insomma, ha così tante altre qualità…
Ad esempio…
E va bene, mi piace solo perché è bello! Ma d’altronde non lo conosco ancora molto bene.
Cavolo devo essermi incantata a pensare… Che ore saranno? Le undici e mezza. Bene, considerando che devo essere da Brad in biblioteca tra dieci minuti e che devo essere a casa entro l’una…
Sì. Sono già in ritardo.
 
«Ma dove eri finita?» mi chiede Brad vedendomi fimalmente entrare nella biblioteca.
«Sssh!» ci fa la bibliotecaria.
Io mi siedo di fronte a lui, e sussurrando il più possibile mi giustifico:
«Scusa, ma c’era un traffico terribile!»
Lui sospira. Oh, com’è bello quando si arrabbia!
«Ho già preparato tutto il programma di questa settimana.» dice aprendo un libro immenso.
«Perfetto! Che cosa si studia oggi?»
«Geometria.»
Diamine.
Io odio la geometria.
 
«…e quindi moltiplicando per pi greco trovi il volume...» dice Brad sottolineando sul libro. «E moltiplicando il risultato per il raggio alla terza…»
Continua a parlare, ma io non lo ascolto. A cosa mi serve calcolare il volume di una sfera? Quando mai mi potrà servire una cosa del genere? Dovrò forse calcolare un giorno quanta aria mettere per gonfiare un pallone?
«Andiamo, Lea! Almeno mi stai ad ascoltare?» esclama Brad infuriato sbattendo le mani sul tavolo.
La bibliotecaria lo zittisce ancora.
«Scusami…» sospiro. «Ma mi ero dimenticata che il pi greco fosse un numero!»
Lui, in preda alla disperazione, si mette una mano sulle tempie e inizia a massaggiarle.
Poverino, lo sto facendo impazzire.
«Brad?» dico poggiandogli una mano sul braccio, ma lui non mi degna di uno sguardo.
«È che non ce la faccio a seguirti. Sai, mi piace troppo guardarti le labbra mentre parli.»
Lui mi lancia uno sguardo aggrottando le sopracciglia.
Mi chino in avanti e lo bacio. Lui non oppone resistenza e io mi diverto a muovere le labbra per conto mio. Dopo quasi dieci secondi, emette un piccolo gemito e mi spinge via.
«Lea... tu...»
Io continuo a guardarlo sorridente, ma lui abbassa lo sguardo e inizia a fissare i libri sospirando, con una mano sul mio petto per evitare che lo baci ancora.
Prendo l’iniziativa, e con una mano gli giro la testa verso di me in modo che mi guardi negli occhi. Lui non dice niente.
«È stato bello.» dico quasi sussurrando. «Facciamolo ancora.»
«No.» ribatte secco. «Piaci a mio fratello.»
“È proprio per questo che dobbiamo metterci insieme, Brad!”
Perché questo ragazzo è così stupido?
Sbuffo infastidita, e mi rimetto a sedere.
«Sai una cosa?» Brad butta giù la penna e si volta verso di me. «Al diavolo Sam.»
Lo guardo incuriosita.
Mantenendo il suo silenzio, Brad accenna un sorriso e si avvicina a me.
E senza che la bibliotecaria se ne accorga, riprendiamo a baciarci.
 
 
«Due cappuccini al tavolo numero sette!» mi urlano da dietro il bancone.
È giovedì, il che significa che oggi inizio a lavorare da Brie’s. Io e Veronica ci lavoriamo da un anno, il che è tutto legale. In teoria il Brie’s sarebbe il bar della scuola, ma che accoglie talmente tanti alunni che ha dovuto assumere dei camerieri per creare un minimo di ordine.
Ci lavoro solo per guadagnare qualcosina. La paga non è un granché, ma è l’unico posto dove delle quindicenni possono lavorare senza problemi.
Porto i cappuccini al tavolo sette, due ragazzi pieni di fogli che evidentemente preferiscono studiare nel bar invece che in biblioteca. Come dargli torto? Quella bibliotecaria è un vero demonio.
«Non sapevo nemmeno che la scuola avesse una biblioteca…» mi dice Veronica durante la nostra piccola sosta.
Suona il campanello alla porta, che segnala l’entrata di qualcuno. Mi volto per guardare, e riconosco all’istante il nuovo cliente.
Oh, Brad.
Brad?!
Cosa diavolo ci fa qui? È la prima volta che lo vedo al Brie’s di giovedì.
Entra notandomi, ma non mi saluta. Poi si siede tranquillamente a un tavolo in un angolino.
«Che diavolo ci fa qui il Callaghan?» sussurro a Veronica, osservandolo, ma facendo attenzione che lui non i noti.
«Aspetta, da quando ti interessa di Brad?» mi chiede Veronica fissandomi incuriosita.
Ah già. Non ho ancora detto a nessuno che mi limono Brad durante le ore di studio. Almeno una volta al giorno. Non necessariamente in biblioteca.
«D’accordo.» mi faccio coraggio. «C’è una cosettina che forse dovresti sapere. Intendo su Brad…»
«Lea…» Veronica riprende a parlare dopo quasi un minuto. «Cosa intendi? Che tu e lui…»
«No! Cioè sì… in un certo senso.»
Veronica lancia un urlo di gioia e io la zittisco dando abbastanza nell’occhio.
«Stai calma! Sono solo dei baci, nulla di che!» ribatto a bassissima voce.
«Lea! Hai completato il punto della Lista! Ma da quando va avanti?»
«Da una settimana circa… All’inizio pensavo fosse solo perché volevo togliermi Sam di dosso, poi però abbiamo iniziato a vederci anche all’intervallo e così via.»
E lì Veronica inizia a fissare Brad. Io le dico di smetterla, sperando che lui non ci abbia visto.
«Ti piace?»
Annuisco decisa.
«Credo proprio di sì.»
«Vai subito a prendere le sue ordinazioni allora!» mi incita Veronica spingendomi per un braccio.
«No! Non credo che lui voglia vedermi all’infuori della scuola. Ha diciotto anni e io quindici, sarebbe imbarazzante!»
«Smettila di fare la drammaturga. Chi vuoi che vi noti? Ora, muoviti!»
E mi spinge via.
Io mi faccio coraggio, prendo un lungo respiro e con carta e penna mi avvio verso il suo tavolo.
Appena mi poso davanti a lui il suo volto s’illumina. Io sorrido imbarazzata e tolgo il tappo alla penna.
«Allora… Che cosa ti porto?» chiedo, da brava cameriera.
«Un caffè macchiato, grazie.»
Segno sul foglio.
«Nient’altro?»
Lui si guarda per un attimo in giro e abbassa la voce.
«Che fai questo pomeriggio?»
Io lo guardo, con uno sguardo divertito e allo stesso tempo curioso.
«È un appuntamento?»
«Possiamo metterla così. Sì.»
Io faccio finta di pensarci su, ma ho già pronta la risposta da una vita.
«Finisco tra un’ora. Se hai voglia di aspettarmi sono tutta tua.»
«Fantastico! Intanto portami il mio caffè, però.»
Io mi volto ridendo. Sono così felice! Brad mi piace un sacco, e almeno la scusa per evitare Sam è stata veritiera. In un certo senso…
Mi avvio verso Veronica che mi attende e che ha seguito tutta la scena da lontano.
«Allora?» mi chiede dopo che ho consegnato l’ordine al barista.
«Mi ha chiesto un caffè… e un appuntamento!» dico esaltata.
Lei inizia a saltellare, e insieme urliamo per l’entusiasmo.
Ma la sua festa viene interrotta da un brusco ordine:
«Due cappuccini al tavolo sette!»
«Ancora?» dico annoiata. «Li ho già…»
Ma appena mi volto capisco che non ci sono più i due ragazzi di prima.
Oh, no.
Ora sono un'altra coppia.
Marc e Liza.
«Maledizione!» sussurro il più possibile, senza dare nell’occhio. «Mi tocca servire Casanova e Hitler!»
«Cosa?» Veronica si volta verso il tavolo sette. E poi capisce.
«L’accoppiata malefica. Non ho ancora capito se stanno insieme o no…» continuo a parlare a bassissima voce, fissandoli nel frattempo.
Non voglio servirli io. Ok, forse sembrerà strano ma mi sento abbastanza in imbarazzo davanti a loro due.
Liza è al mondo solo per ricordarmi quanto sia bassa, brutta e goffa in confronto a lei, mentre Marc è venuto dall’Inghilterra solo per sbattermi in faccia che, avendo già una ragazza se ne può trovare un’altra in meno di un mese in totale semplicità.
E non voglio parlare con lui. Sebbene gli abbia promesso che sarei stata gentile con lui, non mi è ancora andata giù la faccenda che è successa l’altro giorno a casa sua.
«Senti…» mi dice Veronica dopo qualche secondo. «Io penso a Fred e Ginger. Ma tu devi farmi un favore.»
«Qualsiasi cosa.» la supplico.
«Di’ a tuo fratello di smetterla di seguirmi dappertutto.»
«Andy? Che diavolo stai dicendo? Non ti segue dappertutto!»
«E allora come lo spieghi il ciuffo rosso al tavolo sedici?»
Mi volto verso il tavolo sedici. C’è un ragazzo con un giornale in faccia, ma la chioma rossa è irriconoscibile.
All’improvviso scoppio a ridere.
«Mi stai dicendo che Andy è in un certo senso, ossessionato da te?» dico piangendo dalle risate.
«Sì è dall’inizio della scuola. Da quando è venuto a pranzare al nostro tavolo che è diventato la mia ombra.»
«Non eri tu che lo avevi voluto nella Lista? E hai detto che era carino!»
«Due cappuccini al tavolo sette!»
Di scatto Veronica prende i cappuccini e se la svigna verso Marc e Liza.
Io mi dirigo lentamente verso mio fratello.
«Ciao, Andrew.»
Evidentemente mi ha sentito e mi ha riconosciuto, dato che se ne sta fermo con il giornale in faccia facendo finta di non sentirmi.
Afferro il giornale e lo sbatto dall’altra parte. Appare Andy imbarazzato.
«Vedo che ti piace pedinare le mie amiche! Da quando quest’hobby?» Ci scherzo su, mentre mi siedo di fronte a lui.
Lui manda giù la saliva ben due volte prima di parlare.
«Si nota tanto?» mi dice quasi in un sussurro.
Io non gli rispondo. Ma la mia faccia gli fa intuire la risposta all’istante.
Andy sbuffa e rotea gli occhi.
Io gli dico per calmarlo:
«Tranquillo. Se ti piace Veronica posso darti io buoni consigli… Il primo è “non pedinarla.” Non è romantico. È solo…molto inquietante.»
Andy mi guarda attentamente, e io mi ritrovo a fissare le sue lentiggini per due minuti interi.
«Vuoi davvero aiutarmi a conquistarla?»
Non l’avevo proprio pensata in questo modo. Ma ripensandoci bene… Sì! Aiutare mio fratello a diventare il ragazzo della mia migliore amica! Suona fantastico! Andy ha una cotta per Veronica e lei… Beh lei ha detto che era carino!
D’un tratto mi arriva un flash di io e Veronica adulte che ci chiamiamo “Cognatina”.
«Va bene…»
Ma così è troppo semplice.
«…Ma io che ci guadagno?»
Mio fratello mi guarda pensieroso. Poi, sempre a bassissima voce mi risponde:
«Ti faccio i compiti per una settimana.»
«Un mese.» ribatto.
«Va bene un mese! E ti coprirò con Mamma e Papà… e farò finta di niente ogni volta che ti vedrò assieme a quel bestione dai capelli neri.»
Mi sembra dolce il fatto che mio fratello voglia proteggermi da Brad e dai miei ragazzi… nonostante sia più piccolo di me e anche più fragile.
Ci stringiamo la mano come prova del nostro accordo.
Poi ritorno al lavoro, dicendo a Veronica di aver risolto la cosa.
Ma non sa che, in realtà, io non sono dalla sua parte…

 

ANGOLO AUTRICE
Dunque eccovi il nuovo capitolo fresco di scrittura!
Tutte promosse vero? Io sì, per fortuna XD
Spero che le vacanze siano iniziate bene per tutte, così vi ho regalato un bell'aggiornamento della mia fic.
Purtoppo con l'estate temo che starò via per molto tempo quindi non riuscirò più ad aggiornare molto spesso.
Ho cercato di scrivere il capitolo allungandolo il più possibile, così se non ci rivedremo, avrete tutto il tempo per rileggerlo!
Vi auguro ancora buone vacanze e buona fortuna per gli esami a chi li sta facendo!
Pace e amore,
Mel.
 

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Capitolo 9
*** Rossi e ricci ***


Sono le cinque e quindici del pomeriggio.
Anzi le cinque e sedici.
E io sto passeggiando al fianco di Brad Callaghan.
Sì, quel Brad Callaghan.
E ora come faccio a starmene calma?!
Dopo che ho finito il turno Brad mi ha preso a braccetto e ha esclamato: “Dove la porto, madame?”
Io sono scoppiata a ridere, Veronica poi mi ha salutata, cercando di non urlare.
E Andy ha mantenuto la promessa: non ha mosso un dito quando mi ha visto andarmene via con Brad.
«Allora...» inizia Brad avvicinandosi a me. «Non sapevo lavorassi al Brie’s.» Io cerco di non scoppiare in un sorriso da ebete.
È assurdo il fatto che, nonostante ci siamo già baciati un centinaio di volte, non riesco ancora a stare calma quando sono di fianco a lui.
«E allora come hai fatto a trovarmi?» gli chiedo con voce maliziosa.
Lui si ferma a guardarmi.
«Perché ti ho seguita…»
D’accordo, non ce la faccio! Mi butto!
«Mi piaci un sacco, Brad.»
Lui guarda dall’altra parte.
«Sì, sono un tipo che piace molto.»
Rimango in silenzio.
Che razza di risposta sarebbe?
Avrei voluto che mi rispondesse qualcosa del genere: “Oh Lea, mi piaci anche tu!”
Questa invece era la classica risposta alla Marc Richardson…
Ed è una cosa che detesto.
Brad nota la mia faccia sconvolta e si precipita a chiedere spiegazioni:
«Ehi, ho detto qualcosa di male?»
“Oh, no, Brad! A parte il fatto che mi sto rendendo conto quanto tu sia odioso in realtà!”
Brad mi prende la mano. Io lo guardo negli occhi.
Evidentemente non sembro più entusiasta di stare con lui come lo ero dieci secondi fa. Me ne rendo conto.
«Senti…» mi dice dolcemente. «Sabato prossimo c’è la partita di basket. Ti prenoto un posto in prima fila? Non vedo l’ora di vederti fare il tifo per me.»
Io annuisco senza dire nulla.
Brad mi da un bacio e riprendiamo a camminare, questa volta mano nella mano.
Cos’è successo? Perché sto ancora passeggiando con Brad? Perché faccio finta di niente?
Sono confusa. È successo adesso. Me ne sono resa conto.
Insomma, sono davvero convinta di conoscere Brad a tal punto di essere la sua ragazza? L’unica cosa che so di lui è il suo nome e che è nella squadra di basket della scuola.
E a me non piace nemmeno il basket!
E se Brad fosse l’esatta copia di Marc?
Forse non dovrei assolutamente starci insieme. Non sarebbe giusto nemmeno nei suoi confronti.
Mi piace? Certo che sì.
Mi piace a tal punto da starci effettivamente insieme?
Non ne ho idea.
Comincio seriamente a pensare che Brad sia stata davvero solo una scusa per evitare di stare con Sam. Il che è abbastanza vicino alla verità…
Oh insomma Lea, smettila di fare la ragazza complicata e guarda l’unico lato positivo: lui è Brad Callaghan, insomma, il ragazzo più conteso della scuola, l’unico per cui non ti deve importare se ne sei innamorata o no.
«Adoro passare del tempo con te.» mi dice Brad sorridendomi. «E voglio passare più tempo possibile con la mia ragazza
Oh, che cosa adorabile! Mi ha detto esplicitamente che mi considera la sua ragazza.
Eppure non sono così entusiasta come dovrei.
«A proposito.» dice Brad allungando il passo. «Da domani voglio che a pranzo tu ti sieda al tavolo con me. Quegli Strani non sono affatto simpatici»
Che?
«Scusa Brad…» mi fermo anche se evito di guardarlo negli occhi. «E perché mai dovrei farlo?»
«Perché ora che stiamo insieme…» si giustifica in tono convinto. «Vorrei che la smettessi di passare del tempo con quei pazzoidi.»
Ma chi si crede di essere? Mio padre?
«Stai scherzando, vero?»
«Certo che no! Voglio che Sam sappia adesso che io e te stiamo insieme. E voglio ricordarglielo ogni giorno della sua vita.»
«Cosa? È una cosa così cattiva!»
«E poi, dai, quel tipo dai capelli rossi sembra un vero idiota!»
«Cosa stai dicendo? Clark è una persona fantastica, mi fa sempre ridere e…»
«Dai, Lea, ma hai visto i suoi capelli?»
Mi blocco. Non posso credere che l’abbia detto veramente.
«Che cos’hanno i suoi capelli che non va?» chiedo, cercando di mantenere la calma.
E - da non crederci – Brad ha il coraggio di rispondere:
«Sono così rossi e… ricci!» fa una faccia disgustata.
«Brad, i miei capelli sono rossi e ricci!» la mia calma si è appena esaurita.
«Infatti non ho mai detto che mi piacciono i tuoi capelli.»
Non ci credo.
Questo è troppo!
«Va al diavolo Brad! Credevo fossi una persona carina e gentile, ma evidentemente non ti conoscevo abbastanza!» gli urlo contro. «Non intendo passare un secondo di più con qualcuno a cui non piacciono i miei amici… e i miei capelli!»
Lui mi guarda sconcertato:
«Vuoi dire che è già finita?» mi chiede tremando.
Io gli sorrido:
«Avevi dubbi?»
Faccio per andarmene, ma un secondo prima di iniziare a camminare mi volto verso di lui.
«E scordati la partita! A me nemmeno piace il basket!»
«E va bene!» mi urla lui da dietro. «I tuoi capelli comunque fanno schifo!»
«Vaffanculo!» ribatto senza voltarmi.
E poi inizio a camminare infuriata.
Forse sono stata un tantino esagerata?
No, in fondo sono contenta di essermi liberata di lui…
 
 
«Appena partiamo, ricordati di spegnere la luce del cortile. Non preparare troppa carne per i bambini, e il cibo per Irene lo trovi nel terzo scompartimento a destra del frigorifero. Lava i piatti e poi alle nove spedisci tutti i bambini a letto, ma prima ricordati di cambiare il pannolino a Irene. Non fare cose stupide, e non far guardare a Ricky e Mike troppa televisione. Mi raccomando, noi torneremo verso le tre e non voglio trovarti sveglia!»
«Mamma…» dico annoiata. «Non è la prima volta che mi lasciate da sola, so come funziona.»
È il sabato sera, cioè il giorno in cui i miei genitori si prendono una pausa e vanno a feste di amici.
Ormai lo fanno sempre, da quando sono diventata abbastanza grande da curare tutti i miei fratelli e ogni tanto devo rinunciare a uscire per stare qui a curarli.
Non glielo perdonerò mai.
Finalmente i miei genitori mi salutano (ma prima dobbiamo placare il pianto infernale di Hayden che vuole andare con loro) e aspettiamo tutti e otto a osservare la macchina parte.
Sto per spegnere la luce come mi è stato detto e rientrare in casa, ma qualcosa mi blocca: vedo una sagoma che si avvicina da lontano.
Non può essere. É…
«Marc?» esclamo appena lo riconosco.
Lui mi sorride spensierato.
«Ciao!»
«Perché sei qui?» chiedo immediatamente.
Marc mi guarda con uno sguardo deluso.
«Come… me lo hai detto tu!»
Io lo guardo a mia volta, confusa.
«Cosa? Quando?»
E poi mi ricordo improvvisamente.
Magari invece di stare sempre qui a fumare, qualche sabato sera, vieni da me. Così mi aiuti a fare da babysitter alle sette pesti…
Oh no. Quel giorno a casa sua…
Non posso credere di averlo fatto veramente! Ora non solo devo badare ai miei fratelli, ma devo farlo insieme a Marc!
Questa è in assoluto la peggior giornata della mia vita.
Prima Brad e ora…
«E va bene, entra!» aggiungo seccata.
Lui sembra essere contento, e con uno scatto entra in casa.
«Lea?»
«Marc, sto chiudendo la porta. Che c’è?»
«Niente, volevo sapere… È normale che tuo fratello voglia scendere le scale su un triciclo?»
«Cosa? Oh no! Ricky, scendi immediatamente da quel… No, no! E ora chi lo fa smettere di piangere?!»
Sarà una lunga serata.
 
 
«Lea?»
«Cosa c’è?!»
«Non penso sia normale che la carne sia…arancione.»
In effetti, è abbastanza disgustosa.
Eppure i miei l’hanno comprata appena ieri!
L’ho cucinata come sempre, e allora… Perché ha questo colore?
«No, Andy, va benissimo, su!»
Ma purtroppo Andy non è stupido. E, infatti, si rifiuta di mangiare, così come il resto dei miei fratelli.
Oh, va di male in peggio! E ora cosa faccio? Non c’è nient’altro da mangiare, tranne le disgustose pappette di Irene! E se anche ci fosse ormai è troppo tardi…io posso anche resistere, ma i miei fratelli piangeranno tutta la notte perché avranno fame!
Sono un impiastro, sapevo che prima o poi sarei impazzita.
La mia vita fa schifo, sono un disastro, non faccio mai niente di giusto, vorrei solo sedermi in un angolo e piangere e…
«Ehi Lea, stai calma.»
È Marc. Ha notato che stavo per scoppiare in lacrime e così si è preoccupato per me.
«Senti…» mi dice Marc con tono gentile. «Di là a casa mia ho un paio di piatti pronti, sai, quando mio padre torna tardi se li prepara e ci mette appena un minuto. Non so se basteranno per tutti, ma se vuoi posso andare a prenderli…»
«No, Marc, non ti preoccupare. Ci sarà qualcos’altro…»
«Guarda che non c’è problema. Vado e torno, te lo prometto.»
Annuisco, anche se vorrei abbracciarlo. Non so cosa avrei fatto senza di lui.
«Va bene.» dico asciugandomi gli occhi. «Ti accompagno alla porta.»
Insieme ci dirigiamo verso la porta di casa, e quando siamo finalmente soli e in silenzio decido di parlare:
«Senti Marc…» Smettila di balbettare! «Forse mi ucciderò da sola dopo avertelo detto, ma sono davvero contenta che tu sia qui. Insomma, non è stata una bella giornata e…»
«Perché?» chiede preoccupato. «Cos’è successo?»
Io guardo per terra per l’imbarazzo.
«Oh nulla di che! Sai, uscivo con un tizio, Brad e oggi mi ha detto che non gli piacevano i miei capelli…»
Inizio a ridere, poco convinta; ma Marc rimane serissimo e mi fissa.
«Che strano. Io adoro i tuoi capelli.»
Lo guardo storta.
«Davvero?»
«Assolutamente sì!» Marc mi sorride dolcemente. «Sono così rossi e ricci… Ora però scusami, vado a prendere le provviste.» Mi fa il solito occhiolino ed esce dalla porta.
«Marc?»
Si volta di scatto.
«Sì?»
«Grazie.»
 
 
Appena ritorno nella sala da pranzo i miei fratelli mi fissano in silenzio.
Strano, avrei giurato che stessero distruggendo la casa.
Laura è la prima a rompere il silenzio:
«Dov’è andato il tuo ragazzo?»
Rimango a bocca aperta.
«NON È IL MIO RAGAZZO! È solamente… Marc.»
«Beh, strano.» continua Laura ridacchiando. «Si vede che gli piaci.»
«Ma non è…»
«E a giudicare dal modo in cui sei arrossita, direi che piace anche a te.»
Mi siedo al tavolo senza dire nulla.
Io che piaccio a Marc? Certo come no!
Ma se ha la lista di ragazze e dovrebbe andare dietro a… me?
Non ho mai sentito nulla di più assurdo

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Capitolo 10
*** Sotto un cielo pieno di stelle ***


Sono passate quante…tre ore?
So solo che sono state le ore più lunghe della mia vita. L’intera serata più lunga della mia vita.
Sarò sempre grata a Marc per averci rifornito di cibo. Sebbene fosse cibo orribile…
Infatti far mangiare ai miei fratelli quelle sottospecie di verdure in minuscole scatolette di plastica… Beh, diciamo che sarebbe stato più facile con la carne arancione.
Ma alla fine tutto è finito in bene.
Quasi tutto.
Per il vostro bene vi risparmio cosa è stato ritrovato nel pannolino di Irene dopo quel “meraviglioso” pasto. Non so ancora come ho fatto a uscirne viva.
So solo che voglio dormire per il resto della mia vita.
Ora sono sul divano, riprendendomi dall’orribile serata, mentre Marc sta cercando di convincere Anna ad andare a dormire. E sembra che stiano facendo di tutto per non lasciarmi dormire.
«Anna, dai, è tardi!»
«No!»
«Ma se non dormi diventi brutta.»
«Fa niente.»
«Ma le principesse non possono essere brutte.»
Anna sbuffa.
Io mi alzo dal divano e vado verso di loro.
«Anna, non convincermi a chiamare Mamma e Papà! Stai zitta e vai a dormire!»
In tutta risposta lei mi fa una linguaccia e corre su per le scale.
«Tu, piccola smorfiosa!» faccio per rincorrerla, ma vengo bloccata da Marc.
Lo guardo nel peggiore dei modi.
«E ora cosa c’è?» sbraito infuriata.
«Lo vedi come fai?»
Strizzo gli occhi, come per capire a fondo quello che intende.
«Come faccio cosa?» il mio tono è più irritato del solito.
«Ti arrabbi per un nonnulla. Tra fratelli si fanno queste cose! Ma tu sei sempre così… irascibile, non ti va bene mai niente! Perché non ti scusi mai con nessuno? Perché non capisci di essere in torto? E poi io che mi chiedo come faccia Liza ad odiarti...»
La vecchia Lea si sarebbe di sicuro infuriata a questo punto.
Eppure non lo sto facendo. Anzi, capisco quello che intende; e mi odio per questo.
Sono un essere terribile, non mi va bene niente.
E perché me ne rendo conto solo ora? Che mi sta succedendo?
«Senti, scusami…» sospira Marc, afferrandomi un braccio. «Ora vai a riposarti sul divano, ci penso io ad Anna.» E scompare velocemente sulle scale, mentre io lo osservo immobile.
Silenzio.
Un silenzio che fa molto, molto male.
Lo so, è appena successo: mi sono resa conto di essere in torto. Di colpo ho messo da parte l’orgoglio e ho realizzato di non essermi mai comportata come dovevo, né con i miei fratelli, né con Marc, né con nessun altro.
Quindi è vero, sono cambiata. O meglio, sono cresciuta. Ma sono cresciuta in bene? Non ne ho idea.
Sono certa solo di una cosa.
È tutta colpa di Marc.
 
Marc, Marc, Marc, non sai pensare ad altro, e ancora hai il coraggio di dire che non ti piace?
Non penso sempre a lui. E NON MI PIACE!  Lui rimane sempre il solito idiota di sempre.
Ma le cose cambiano.
Le cose non cambiano mai in bene…
Non direi. Guardati un po’!
Cosa intendi?
Per la prima volta nella tua vita hai avuto un pensiero maturo!
Non penso che sia una grande tappa nella storia.
Ma ora ti senti molto meglio, vero?
Mi sento diversa… Diciamo di sì.
E a chi devi il merito?
Quale merito? Marc non ha fatto altro che insultarmi!
Non ti ha insultata, ti ha solo detto la verità. Ammettilo, ti piace perché è l’unica persona che riesce a tenerti testa!
Non è vero. Guarda com’è finita con Brad.
Brad non voleva tenerti testa, voleva solo schiavizzarti, usarti ed era diverso: lui ti piaceva solo perché si chiamava Brad Callaghan ed aveva una montagna di muscoli. E tu lo sai!
Certo che lo so! Io sono te!
Dunque dopo tutto questo pasticcio dovrai essere arrivata a una conclusione.
E cioè?
Marc è l’unica persona fatta apposta per te.
No.
Ma dai! Ha detto che si fida di te, ti conosce meglio di molte altre persone. È sempre gentile e responsabile, e dopo tutti gli anni in cui l’hai trattato come uno zerbino ti ha perfino confessato di voler essere tuo amico. Lui ci tiene davvero a te!
Ma non ho comunque speranze! Guarda Heather e Liza…
Al diavolo quelle due! Tu non conosci veramente Marc, lo hai solo stereotipato e ignorato, come fai con tutti! Se solo ti impegnassi più tempo a pensare con la tua testa, e meno a categorizzare le persone, allora capiresti che…
Ti odio, stupida coscienza!
Non puoi odiare te stessa per una cosa che sai benissimo.
E va bene, lo ammetto, mi piace Marc! Ma non metterti in testa strane idee!
Ricorda che io sono te…
E allora prometto di non arrabbiarmi mai più con me stessa. Quanto è vero che mi chiamo…
 
«Lea?»
Mi sveglio all’improvviso.
Ho fatto un sogno in cui litigavo con me stessa.
Ho fatto un sogno in cui litigavo con me stessa!
Sono ufficialmente fuori di testa.
«Lea, svegliati!»
Alzandomi di scatto, la mia testa si annebbia.
Riesco a scorgere solo Marc che mi agita il braccio destro.
Marc.
Ricordo solamente che il mio litigio con me stessa nel sogno riguardava lui. Il perché non me lo ricordo.
Eppure perché mi sembra tutto così diverso d’un tratto? Gli occhi di Marc sono così… azzurri e profondi.  Sono meravigliosi! Perché non me ne sono mai accorta prima?
«Stai bene?»
Con immensa fatica, riesco a tornare alla realtà e gli sorrido, cercando di risultare il più naturale possibile.
«Sì, perché?»
«Mi stai guardando come se mi volessi mangiare…»
«No! Io stavo solo…» Trova una scusa, trova una scusa! «Io... tu...»
Non capisco più nulla. Sono come in un altro mondo.
«Tu...»
Ci guardiamo per un secondo negli occhi.
Oh, Marc è così bello! Non mi stupisco affatto che tutte le ragazze siano innamorate di lui.
«Io?» domanda impaziente Marc. «Io cosa?»
Devo pensare a qualcosa! Dai, dì la prima cosa che ti viene in mente pensando a Marc, dai!
«Assomigli a Mark Hamill nel ’77, prima che gli rifacessero l’intera faccia.»
Sono un’idiota!
Marc mi guarda confuso.
«Ok... grazie. Credo...»
«Cioè insomma.» cerco di giustificarmi. «In realtà ho sempre pensato che Han Solo fosse molto più affascinante, però sai...»
«Sì, beh, hai ragione....» anche Marc non sa più cosa dire.
«Però Luke in effetti è molto più carino. Non... trovi?» Non ho la più pallida idea di cosa io stia dicendo.
«Oh, io in realtà ho sempre preferito la Principessa Leila, ma sai, sono gusti.»
Oh, che situazione imbarazzante! Devo cambiare argomento al più presto! Ora!
«E, a proposito!» esclamo, mettendomi a sedere sul divano. « Stavo facendo un sogno… Non si può dire che fosse bello, ma avrei voluto finirlo! Perché diamine mi hai svegliata?»
Lui finalmente mi lascia andare il braccio e si lascia cadere sul divano di fianco a me.
«Perché sono le due, e vorrei tornare a casa mia. Ma non posso se giochi alla Bella Addormentata.»
Le due? Ma per quanto ho dormito?
«Aspetta…» mi interrompo notando la mancanza di qualcuno. «E Anna?»
Marc si siede sul divano di fianco a me, distrutto dalla stanchezza.
«È a letto da un’ora. È stato difficile, ma alla fine è bastato prometterle che l’avrei baciata. Poi ho già messo a posto la cucina e…»
«Marc, hai baciato mia sorella di dodici anni?»
Lui scoppia a ridere.
«Guarda che scherzavo! Si è addormentata appena si è stancata di lamentarsi con me di quanto fossi insopportabile. Cosa c’è? Eri gelosa?»
Rimango a bocca aperta.
«Certo che no! E... io non sono insopportabile!»
Mi alzo dal divano e Marc fa lo stesso, sebbene molto, molto a malavoglia.
Mi avvio verso la porta per farlo uscire.
«Allora ci vediamo lunedì a scuola, Biondo.» cerco il più possibile di nascondere la mia tristezza nel vederlo andare via.
Siamo sul portico, fermi immobili, sotto un cielo pieno di stelle.
Marc prima di voltarsi mi dice:
«Lo sai, non penso che tu sia insopportabile.»
È un momento troppo perfetto. Il portico, le stelle… quella frase!
E sappiamo entrambi che deve succedere.
Lui sta fermo lì, con il suo solito sorriso, ad aspettare.
È stata una serata meravigliosa, lo so. E non voglio renderla uno schifo. So che domani, ripensandoci, mi pentirò di quello che sto per fare. O meglio, di quello che non sto per fare. Ma non voglio che finisca come con Brad. Voglio esserne prima sicura.
Anche se sono gli ultimi attimi di quella serata, ho deciso esattamente come dovrà finire.
E così mi avvicino a lui.
«Buonanotte, Marc.»             
E ci stringiamo la mano, come due perfetti sconosciuti.
Poi lui, con delusione nascosta da un sorriso, ritorna a casa sua, sotto lo sguardo di miliardi di stelle, altrettanto deluse come lui.



ANGOLO AUTRICE
Non trucidatemi!
Vi aspettavate qualcos'altro nel finale? Beh, non temete, arriverà il giorno... Ma non è questo il giorno! 
Ecco qualche avviso: tra una settimana partirò per Londra (sono così felice!) che poi seguirà con un lungo via vai di vacanze fino a settembre! Se riuscirò ad avere tempo, il prossimo capitolo arriverà ai primi di agosto, ma se non dovessi farcela, miei adorati seguaci ci rivedremo a settembre!
Ringrazio infinitamente tutti i nuovi recensori!!!
Ricordate: Mel loves ya all <3
Tanti bacini,
Mel.

 

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Capitolo 11
*** Progetto a coppie ***


È finalmente dicembre, anche se non è ancora apparso un briciolo di neve.
Come al solito qui a Galway sempre pioggia, pioggia e solo pioggia.
E io sono qui, bloccata in questa orrenda classe ad ascoltare la professoressa che parla a vanvera di inutili cose come la geografia e la storia dell’arte.
Che palle, potrei essere in altri miliardi di posti in questo momento: fuori con la pioggia, a fare shopping, a dormire…
A parlare con Marc.
È passata quasi una settimana dal quel fatidico sabato sera, e ancora non ci siamo rivolti la parola. Sembra che faccia di tutto per evitarmi.
È da quel sabato sera che mi appare…diverso. Lo trovo molto più simpatico, più cordiale, più gentile, e (ahimè) più attraente del solito.
Ma lui non mi considera, se ne sta sempre appiccicato a quell’oca di Liza.
E che mi aspettavo? In fondo io sono solo la sua capricciosa e incapace amica d’infanzia, mentre lui è praticamente perfetto.
«Lea! Smettila di dormire.»
È Julia che mi chiama; evidentemente la prof Annette si è accorta del mio grande entusiasmo nel sentirla parlare.
Ed eccola lì, infatti, in piedi che mi fissa, come il resto della classe.
«Va bene, McEwitch, non hai dormito stanotte?»
Io mi alzo dal banco, cercando di apparire più sveglia possibile.
«Scusi signora. Ma la sua lezione mi interessava a tal punto che non ho potuto fare a meno di testare un esperimento. Lo sapeva che il cervello assume più informazioni mentre si dorme?»
La prof alza gli occhi al cielo e sospira:
«Oh come vorrei che fossi come tuo fratello, McEwitch. Lui sì che è uno studente da imitare.»
Andy? Ma se è un imbecille colossale! Non sa neanche dire a una ragazza che gli piace. E io dovrei imparare a essere come lui? Bah!
«Comunque…» continua la prof. «Dato che hai appreso così tante informazioni nel dormire non ti dispiace se ti chiedo una ricerca approfondita su tutto quello che ho appena spiegato, vero?»
Merda!
«Anzi potrei chiederlo a tutta la classe già che ci sono…»
Urla e insulti squarciano il silenzio in classe. Tutti protestano, contro la prof e contro di me.
E il casino continua per qualche minuto.
«Silenzio!»
Cessano le proteste.
«Ho da proporvi un lavoro a coppie.» La prof Annette si siede sulla cattedra e di sistema gli occhiali. «Avrete tutto il tempo delle vacanze natalizie per pensarci, ma per fine gennaio deve essere consegnato. Dovrete fare una ricerca su uno dei luoghi o monumenti più famosi di Galway, non voglio due coppie con lo stesso posto. E la ricerca la voglio davvero enorme, con foto, scritte, progetti eccetera. Dovrete motivare la vostra decisione e spiegare perché è importantemente legato all’Irlanda. Sbizzarritevi! E le coppie devono essere formate da un ragazzo e una ragazza.»
«Cos’è? Sta cercando di farci fare una ricerca o di farci fidanzare?»
Temo che la cosa mi sia uscita di bocca all’improvviso, infatti ho addosso gli occhi della prof che mi fissano minacciosi ancora.
«McEwitch, se devi dire qualcosa, almeno alza la mano!»
Alzo la mano.
«Sentiamo…» sospira la prof indicandomi.
Io mi schiarisco la voce, e cerco di parlare il più educatamente che posso.
«Dunque… In primo luogo non ci sono poi così tanti “luoghi famosi” di Galway, quindi quasi sicuramente due coppie finiranno per fare lo stesso posto o monumento. E secondo: non ci sono abbastanza maschi in questa classe per far sì che tutte le coppie siano miste!»
«Allora facciamo così, potrete scegliere un qualsiasi luogo, purché sia legato in qualche modo al nostro paese. E potrete fare coppia con uno dei ragazzi del mio corso, così metterò dei crediti anche a loro!»
«Ed è obbligatorio?» chiede qualcuno dal fondo.
«Vi ricordo che a giugno avrete gli esami per il Junior Certificate, quindi è meglio non rifiutarvi di farlo, chiaro?»
«Sì.» urla in coro la classe.
 
 
«Hai visto? Liza si è finalmente scrollata da Marc!»
Siamo a mensa, Veronica ed io, al tavolo degli Strani, perché Julia ci ha in qualche modo scaricate per stare con Aaron.
«Ah sì? E perché?» fingo di essere poco interessata, ma in realtà non vedo l’ora i sentirne il motivo.
«Hai presente Martin Milfist? Il ciccione con i baffi? Ecco, Liza ha scoperto che ha origini inglesi e che suo nonno è parente di Tony Blair, e in men che non si dica ha cominciato a provarci con lui. Povero Marc. Deve essere proprio giù di morale adesso.»
Veronica si alza dal tavolo e si allontana senza dire nulla.
«Ehi, dove stai andando?» le urlo da dietro.
Lei si volta, mostrandomi il suo sorriso enorme.
«Da Marc! Voglio chiedergli se vuole fare coppia con me per il progetto di geografia.»
Ed è qui che quasi mi sale di traverso il cibo.
«No!» cerco di parlare tra la tosse. «Insomma non dovresti stare con Marc per il progetto!»
«E perché?» Veronica si avvicina e si risiede al tavolo, con aria confusa.
«Beh…» Ok, non avrei dovuto dire niente senza prima di avere una buona motivazione! «Perché conosco Marc e… È meglio lasciarlo in pace per ora. Di sicuro si è già trovato un’altra compagna per il progetto. Ma sinceramente non penso che voglia farlo con te.»
«Perché sono brutta? Hai ragione tu e Liza siete molto più carine di me.»
«No! Che c’entro io?! Fidati, non vale la pena di perdere la testa per lui, è un idiota. E poi tu non sei brutta!»
Veronica ci pensa un po’ in silenzio. Evidentemente è confusa.
«Ehi, perché non lo chiedi a Andy?» Mi accorgo di aver avuto la scelta più geniale di sempre. «È due anni indietro, ma la prof ha detto che andavano bene tutti i ragazzi del suo corso, e fidati, lui è intelligente e va bene a scuola, è molto meglio di Marc e di tanti altri!»
Veronica alza la testa poco convinta.
«E va bene, glielo chiedo dopo pranzo.» sussurra rassegnata.
È evidentemente tristissima. Forse pensa davvero che lo abbia detto perché non è abbastanza carina?
Non voglio che Veronica si senta così, però. Ma ho pur sempre promesso a mio fratello che lo avrei aiutato.
Ho appena fatto sentire la mia migliore amica brutta e inutile.
E tutto perché volevo stare io con Marc nel progetto.
Sono una persona orribile.
 
 
Devo trovare Marc al più presto.
Devo trovarlo prima che si trovi veramente un’altra compagna per il progetto.
Spingo la gente che esce da scuola cercando di scorgerlo.
Io devo fare il progetto con lui.
Non potrei mai sopportare di vederlo passare del tempo con un’altra ragazza.
Dove diamine si è cacciato?
Dopo quasi dieci minuti di intensa ricerca, lo scorgo finalmente, che si dirige verso la porta d’ingresso.
«Marc!» urlo facendomi strada per la folla. «Marc, aspetta!»
All’improvviso qualcuno che blocca la strada.
Oh no. È Sam! E io che credevo di essermene liberata!
Ma perché mi sta ancora addosso? Forse avrei dovuto tenermi Brad per un altro po’.
«Ciao Lea!» esclama con il suo faccino allegro. «Volevo chiederti se per il progetto…»
«Scusa Sam, non è il momento.»
Lo sposto da un lato e cerco di incamminarmi per l’uscita.
Non faccio nemmeno un passo che appare davanti a me l’ultima persona che avrei mai immaginato:
Brad.
Non gli parlo da quando l’ho lasciato.
E ora è qui davanti a me, che mi fissa. Sicuramente mi vuole uccidere.
Scappa, Lea! Scappa finché sei in tempo!
«Brad! Ma ciao!» fingo di essere allegra di vederlo. «Sai, stavo proprio parlando con tuo fratello, non è divertente che siamo tutti e tre qui?»
Brad e Sam si guardano, sorpresi nel vedersi.
È sicuramente la giornata peggiore di sempre.
«Sam, perché non vai a casa?» dice Brad con calma.
Sam, si avvicina a lui, minaccioso.
«Stavo parlando prima io con lei!»
Ora sono tutti e due di fronte a me, e mi bloccano l’uscita.
Oh, qualcuno mi salvi!
Brad si volta verso di me, ignorando completamente suo fratello.
«Lea, senti, volevo chiederti scusa per tutte le cose che…»
«Quali cose?» lo interrompe Sam.
Brad si volta verso di lui stringendo i pugni.
«Ti ho detto di andartene, marmocchio!»
«No, voglio sentire anch’io!»
«Ragazzi, vi prego! Ora devo proprio davvero andare, e…»
«No Lea, aspetta.»
«Devo dirti una cosa.»
«Anche io.»
«Sono sicuro che la mia è più importante, quindi levati.»
«Vi prego, lasciatemi andare!»
Sia Brad che Sam prendono fiato.
«Lea, io ti amo.» dicono in coro.
Io rimango a bocca aperta.
I due Callaghan di guardano con gli occhi spalancati.
«Tu cosa?» strilla Sam, con terrore nella voce.
«Ma io ti ammazzo!»
«Oh, vi prego.» sospiro portandomi una mano sugli occhi.
Intanto i due si prendono a insultate.
«Tanto lo sapevo!»
«Fidati che preferisce me.»
«E come fai a dirlo?»
«Perché a differenza tua, io ci sono stato con lei.»
«Ma ora non ci stai più, vero?»
«Almeno non mi ha subito rifiutato.»
«Guarda che usciva con te solo per farmi ingelosire!»
«Credi davvero che preferisca te?»
«Non so. Vogliamo chiederlo?»
«Sì, Lea, chi preferisci?»
Mi tolgo le mani dagli occhi, finalmente, e li scorgo entrambi davanti a me, ansiosi di una risposta sincera.
«Volete la verità?» dico mettendomi a testa alta.
Brad e Sam annuiscono.
«Non mi piace nessuno di voi due. E ora smettetela di litigare e comportatevi da bravi fratelli!»
E scappo verso l’uscita.
 
 
«Marc! Marc!»
Agito le braccia per farmi vedere. Per fortuna mi sente prima che salga sull’autobus.
«Che c’è?» dice confuso, mentre mi vede sbraitare.
Io arrivo davanti a lui, stremata. Cerco di riprendere fiato.
«Vuoi… io e te… il progetto?»
«Lea, perdo l’autobus se non ti sbrighi.»
E allora prendo il solo fiato che mi rimane e parlo.
«Vuoi fare il progetto di geografia con me?»
Stringo i denti. Ho il terrore che mi dica di no.
Ma insomma, Lea, mica gli hai chiesto di sposarti!
«Certo che sì!» esclama sorridente.
Marc sale sull’autobus, e prima che le porte si chiudano mi dice:
«Avrei voluto farlo con Liza, ma ora che ci penso tu sei mille volte meglio!»
Dopo che l’autobus è partito, non faccio a meno di buttarmi a terra e strillare di gioia.

 

ANGOLO AUTRICE
Perdonate l'abnorme lunghezza del capitolo, ma oggi ho avuto tanta voglia di scrivere. E sono tornata da Londra! E' stato fantastico, tanto che ieri ho passato tutto il tempo a piangere :(
Comunque ora che sono tornata starò via un altro mese, quindi ci rivediamo a fine agosto con il prossimo capitolo!
Spero che questo sia di vostro gradimento.
E ancora grazie a chi recensisce, segue, ricorda, e legge questa storia :)))
Mel.

 

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Capitolo 12
*** Egoismo puro ***


«È solo una festa di lavoro, ed è settimana prossima, ma gradirei che veniste tu e Andy, me lo fate questo piacere?»
È domenica mattina, sono seduta sul tavolo a fare colazione, e mia madre è intenta a farmi un invito per la sua stupida festa di lavoro in cui è “importante” che ci siano anche i figli.
«E perché è così importante?» chiedo dopo aver immerso il viso nella tazza di latte.
«Devo farvi conoscere una persona.»
Ovviamente avrei rifiutato, ma a quel punto sarei dovuta restare a casa di nuovo con i miei fratelli.
Quindi sì, meglio conoscere i noiosi colleghi di mia madre piuttosto che fare ancora da babysitter a quei diavoli.
«Dunque… ci vieni?» Mia madre inizia a sparecchiare velocemente, come in preda all’ansia.
Annuisco. Poi, per non imbattermi in altre raccomandazioni, o stupidi inviti corro in camera mia e mi chiudo a chiave.
Detesto la domenica, anche denominata “quando i miei mi costringono a rimanere chiusa in casa a studiare”. E così non posso vedere le mie amiche, né nessun altro essere vivente al di fuori della mia famiglia.
Ma c’è solo una persona che mi manca veramente in questo momento…
Ammetto che Marc non è mai stato una di quelle persone con cui vado d’amore e d’accordo, era un irritante e viziato ragazzino dall’accento inglese che faceva impazzire tutte le ragazze, ed era tutto l’opposto di me.
E, per carità, lo è ancora adesso. Ma a parte quegli unici difetti, è davvero meraviglioso.
E mi pento di essermene accorta solo ora, ma sono innamorata pazza di lui.
 
All’improvviso il telefono squilla, distruggendo i miei meravigliosi pensieri.
Corro all’impazzata verso il telefono.
Ti prego, fa che sia Marc, fa che sia Marc!
«Pronto?» alzo la cornetta trattenendo il fiato.
«Lee, devo assolutamente parlarti.»
Diamine. È solo Julia.
Rimango un secondo in silenzio per ascoltare meglio.
«Juls, ma stai piangendo?»
La sento singhiozzare dall’altra parte. È un pianto disperato, di quelli che non ti permettono  nemmeno di parlare.
«Cos’è successo?» chiedo preoccupata, mentre mi metto a sedere sulla scrivania.
«Aaron…» Julia cerca di parlare a fatica. «Ieri Aaron mi ha parlato, ha detto che era importante e… mi ha praticamente mollata, capisci? Ma non come quando ci lasciamo di solito e dopo dieci minuti facciamo pace, questa volta sul serio! Mi ha detto che si è stancato di me e cose così, ma la verità è che mi ha lasciato per un’altra, e sai chi? Nientemeno che quell’oca di Dana O’Carter, dannazione! Con tutte le persone che ci sono al mondo proprio quella che odio di più!»
Io rimango per un po’ in silenzio. Sono sconcertata.
Aaron e Julia sono stati insieme per tre anni, e sebbene non mi è mai stato molto simpatico, non avrei mai potuto immaginare che fosse capace di una cosa del genere.
«Beh, guarda il lato positivo» dico per farla tirare su di morale. «Almeno hai una buona scusa per prendere a schiaffi Dana.»
La sento ridacchiare.
Sono felice di aver fatto tornare su il morale a Julia, non sopporto di sentirla così.
«Ah non fa niente… al diavolo quello stronzo!» Julia ha finalmente smesso di piangere. «Tanto ho già fallito due punti della Lista, ormai siete solo tu e Viv in gara, e per ora sei in vantaggio tu, mia cara!»
«Certo, e sono ancora convinta che vincerò! Avrò sei in tutte le materie, fidati: ho il mio asso nella manica.»
«E cioè?» chiede Julia, curiosa.
«Andy mi ha promesso che se lo avessi aiutato a conquistare Veronica mi avrebbe fatto i compiti per un mese, poi vedrò di allungare la richiesta, e avrò tutti i bei voti che vorrò!»
«Oh, ecco perché Viv ha deciso di fare coppia con Andy per il progetto.»
«Merito mio!»
«Tu con chi lo fai?»
Oh no.
Se le dico che lo farò con Marc lei lo dirà a Veronica e io sarò ricordata come la stronza dell’anno.
Come faccio ad ammettere a Julia che sono in pratica innamorata del ragazzo che piace alla mia migliore amica e che fino a un mese fa trovavo insopportabile?
È come se la mia vita fosse diventata una soap opera!
«Ecco io…» balbetto in cerca di una scusa. «N-non ho ancora trovato nessuno…»
A quel punto Julia scoppia a ridere, e ci vogliono ben due minuti per farla smettere.
«Oh, Lea.» cerca di dire Julia tra le risate. «Sai, penso che tu abbia un problema. E quel problema è un bellissimo biondo di nome Marc Richardson.»
 Cosa? Come?! Come ha fatto a capirlo?
«Tu come…»
«Ti conosco da dodici anni, è difficile che mi sfugga qualcosa. Di’ la verità: non hai detto a Veronica di fare il progetto con Andy solo perché dovevi fare un favore a tuo fratello, vero?»
E l’ha capito solo perché mi conosce da tanto tempo?
Ma io conosco anche Veronica da tantissimo! E da ancora più tempo…Marc!
«Dici che si nota?» chiedo disperata.
«No, tranquilla, dubito che Veronica se ne sia accorta, per fortuna. Ma non puoi nasconderti per sempre; dovrai dirle alla fine che vi piace lo stesso ragazzo.»
«Sì.» affermo in arresa. «Ci penserò.»
«Figurati, voi vi contendete il ragazzo e io sono ancora senza compagno per il progetto.» sbuffa Julia.
«Beh, sai… Penso di avere un’idea…»
 
«Non ci posso credere! Te l’ha detto? Julia farà il progetto con Sam! E tu non dici niente?»
Alzo lo sguardo dal tavolo che sto sparecchiando per guardare male Veronica.
Non sa che in realtà sono stata io a consigliarle di farlo con Sam.
«Perché dovrei?» scoppio a ridere mentre mi avvio verso il bancone.
«Beh scusa, non ti da’ fastidio il fatto che lei faccia coppia con il tuo storico spasimante mentre noi due non abbiamo ancora nessuno?»
«Viv, è un progetto di scuola non il ballo scolastico. La prof ci ha fatto fare coppie miste solo perché sa che le femmine sono geneticamente più brave a scuola (io sono un caso a parte). Ne stai facendo drammi inutili. E poi tu non farai il progetto con Andy, scusa?»
Veronica guarda in basso, poi con fare furtivo si guarda intorno per vedere se siamo sole.
«Veramente…» sussurra, riabbassando lo sguardo. «Io non l’ho ancora chiesto a Andy. Io voglio ancora fare il progetto con Marc!»
No. Questa non ci voleva.
«Senti, smettila di fare così. È davvero così importante fare la ricerca con lui?» le dico visibilmente seccata.
«No, ecco, vorrei solo avere l’occasione di passare più tempo con lui. Ti prego Lee, non dirlo a nessuno, ma a me lui piace tantissimo, lo giuro! È così affascinante e poi è un tesoro! Io non ce la faccio a vederlo per un mese intero a lavorare a braccetto con un’altra. Non ci potresti parlare tu…»
«Perché io?»
«Perché lo conosci da tanto e lo sai che sono timida. Fallo per me!»
Mando giù la saliva a forza. Perché mi deve fare sentire così in colpa? Perché mi deve guardare con quegli occhi da cucciola innamorata?
«Lo capisco, Viv, ma…» cerco di continuare la frase senza riuscirci. Però devo dirglielo, devo per forza.
«Ti prego, ti prego!»
Non farlo, Lea. NON. FARLO.
«D’accordo, chiederò a Marc se è ancora disponibile per fare il progetto con te.»
Veronica sfoggia un sorriso di vittoria e poi mi dice:
«Puoi farlo anche ora, è qui fuori.»
 
Questa è assolutamente la cosa più insensata che abbia mai fatto.
Marc è nel giardino, su una panca appena fuori dal Brie’s, mentre fuma la sua solita sigaretta.
E io ho dovuto sospendere il lavoro per… Ah, lasciamo perdere!
«Marc?» dico con un tono talmente basso che temo non mi abbia sentito.
Marc alza lo sguardo dal quaderno su cui stava scrivendo. Appena mi nota sfoggia il suo sorriso perfetto.
«Ciao, McEwitch. Sei ancora arrabbiata con me perché ho detto di aver baciato tua sorella?»
Guardo verso il bar, e scorgo Veronica praticamente spiaccicata sul vetro che ci osserva.
Le faccio segno di andarsene e incredibilmente sparisce in un secondo.
«Ecco devo dirti una cosa…»
Ma la mia attenzione passa immediatamente al quaderno rosso che ha in mano e che fino a un secondo fa osservava intensamente.
«Posso vedere?» chiedo indicandolo.
Marc mi fa sedere a fianco a lui e mi passa il suo quaderno, che si rivela essere il suo album da disegno.
Sono tutti disegni di Marc fatti con il carboncino e sono tutti incredibilmente belli e realistici. Sono principalmente paesaggi, di montagna, di città, ma riconosco anche alcuni ritratti di Heather e di Jenny.
Sono una trentina e non ce n’è nemmeno uno che non mi piaccia.
Marc gira pagina, per farmi vedere il disegno che stava finendo, del nostro bar visto da fuori.
«Marc, sono stupendi! Non mi hai mai detto che eri un Rembrandt incompreso.» gli dico passandogli l’album. «Mi ricordano molto i disegni di Pat, il mio vicino di casa; o dovrei dire nostro… Dovresti conoscerlo sai, penso che andreste molto d’accordo.»
Dopo qualche secondo di silenzio Marc riparte a parlare:
«Allora, di cosa dovevi parlarmi?»
Ah già, Veronica, il vero motivo per cui sono venuta qui. Me n’ero già dimenticata.
«Beh ecco, per il progetto di geografia…»
Non posso continuare a esitare. Devo decidermi: pensare a Veronica o a me stessa.
Veronica o me stessa…
Veronica o me stessa.
«…su cosa lo potremmo fare?» chiudo alla fine.
Egoista!
Marc guarda davanti a sé, pensieroso.
«Non lo so. Sei tu quella che vive qui da una vita. Dovresti scegliere tu.»
Non ha tutti i torti in effetti.
Ci penso su un secondo. Galway fa schifo, è ovvio, e trovare un monumento che sia degno di una ricerca, è alquanto arduo al momento.
«Beh, ci sarebbe la St. Nicholas, o il Palazzetto dei Lynch. Oppure…» All’improvviso mi è venuta l’idea del secolo. A volte mi stupisco della mia perspicacia!
«Sei mai stato alle Isole Aran? Sono meravigliose! Non sono proprio a Galway nel senso di città, ma penso andranno bene. Ti ci devo portare assolutamente; e lì sì che potrai fare paesaggi stupendi!»
«Va bene, possiamo andarci sabato mattina; più ci sbrighiamo, meglio è.»
Senza pensarci l’abbraccio forte e me ne vado senza salutare, ma con un sorriso irremovibile in faccia. Penso di essere la persona più felice dell’universo in questo momento.
Insomma, andrò alle isole Aran con Marc, cosa si può volere di più dalla vita?
Ma ora devo anche pensare a quale scusa userò con Veronica per dirle che Marc non farà la ricerca con lei…
Egoista!


ANGOLO AUTRICE
Lo so che non è il capitolo dell'anno. Questo è quello che chiamo capitolo "d'apertura", poiché i prossimi capitoli saranno importanti, eh eh.
Spero che questa volta non ci siano errori... Si perchè rileggendo tutti i capitoli (cosa che non ho mai fatto), mi sono accorta di tantissimi errori che vorrei non aver mai fatto. Perdonatemi, vi prego.
Comunque ora che le vacanze sono quasi finite che altro dire? Spero che vi siate tutte divertite! 
Il prossimo capitolo arriverà probabilmente prima del fatidico inizio della scuola e poi si vedrà.
Godetevi queste ultime 3 settimane, mie lettrici.
Con tanta pace, ma con più amore,
Mel.



 

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Capitolo 13
*** Le Isole Aran - Parte 1 ***


Sabato mattina.
Di nuovo.
È la seconda volta in tutta la mia vita che sono sveglia il sabato mattina prima delle undici…
Penso che potrebbe essere tranquillamente considerata una cosa paranormale.
Ma paranormalità o meno, per Marc farei questo e altro.
Anzi a dire il vero lo farei per le Isole Aran, perché sì sono una meraviglia. Ci sono stata quante, venti volte? Non ne ho idea, potrebbero essere anche un centinaio, ma ogni volta che mi sento triste prendo il primo traghetto e vado lì; e inutile dire che torno subito felice.
È un po’ come con Marc: non ha nulla di speciale, ma mi piace da impazzire.
A proposito…Marc!
Eccolo lì, che mi aspetta, davanti a casa sua.
«Ehi, Biondo!» lo saluto da lontano.
«Buongiorno, McEwitch!»
Diamine, Marc! Smettila di essere così irresistibile!
Guardo il cielo. Completamente nuvoloso. Neanche un briciolo di luce.
E certo! Era troppo bello per essere vero. Scommetto tutti i miei risparmi che entro dieci minuti arriverà una burrasca, probabilmente una delle più forti del decennio, e tutti i traghetti saranno annullati. Maledetta Irlanda! Ma non potevi avere uno stramaledettissimo tempo normale?
«Allora?»
Mi giro verso Marc.
«Allora cosa?» gli rispondo senza capire a cosa si riferisce.
«Andiamo a queste famose Isole?» Marc inizia a camminare, invitandomi a seguirlo. «O preferisci rimanere lì a fissare il cielo un altro po’?»
Senza protestare, mi stacco dai miei pensieri e mi avvio insieme a lui.
 
«Traghetto?! Non mi avevi detto che avremmo dovuto prendere il traghetto!»
Arrivati da dieci minuti a Ros a’ Mhìl, mentre stavo per pagare i biglietti Marc mi ha afferrato il braccio, e ora sta strillando cose assolutamente insensate.
«E come pensavi di andarci a Inis Mór? A nuoto?» Mi libero dalla sua presa e pago il tizio della biglietteria.
«Non c’è qualche aereo? Una funivia, un treno sopraelevato?»
Lo guardo nel peggiore dei modi.
«Si può sapere qual è il problema? Non dirmi che soffri il mal di mare.» dico in tono sarcastico. Ma appena vedo la sua faccia dopo quello che ho appena detto, capisco di aver centrato in pieno il punto…
Adesso mi vien voglia di prendere li il suo bel visino a schiaffi.
«Perché non me l’hai detto prima? Almeno potevo risparmiare i biglietti!» urlo con un tono degno di Hitler.
«Non mi avevi detto che il programma comprendeva un traghetto!»
«È ovvio che lo comprende! Siamo su una grande isola in una città portuale, e dobbiamo raggiungere un’ altra isola, è difficile il concetto?»
Marc guarda in basso, e lo vedo davvero dispiaciuto. Comunque per fortuna il mio momento di nervosismo è finito. Cerco di fare la voce più calma e gentile che posso:
«Senti, c’è sempre un aereo che va a Inis Mór… Non l’ho mai preso, ma penso che dovrebbero bastarci i soldi…»
«No, no!» m’interrompe Marc all’improvviso. «Posso resistere. Quanto dura la traversata?»
Mi zittisco.
Sono completamente impreparata a questa risposta!
Non posso crederci… L’ha detto veramente?
Insomma sì, io sono cambiata in questi ultimi mesi, ma…Marc! Cosa gli è successo? È, a dir poco, irriconoscibile.
“Posso resistere”. Con quale razza di finto clone l’hanno sostituito?
«Ehmm… Sui quaranta minuti.»
Di sicuro ho detto qualcosa, ma non me lo ricordo già più.
“Posso resistere”… Da non crederci.
No, non è assolutamente possibile.
Okay, riflettiamo: le opzioni sono due: cambiamento di personalità o zampino degli alieni.
Io punto sugli alieni.
 
Siamo in mare da venti minuti ormai. E io sono seduta a un tavolo da sola, poiché Marc è uscito fuori per non sentirsi male.
La verità? Mi sento un po’ in colpa per lui, ho praticamente organizzato io tutto il progetto e ora siamo su un traghetto mentre lui sta passando le pene dell’inferno…
Cerco di alzarmi in piedi e di poco non cado in mare.
Ovviamente con il “bellissimo” tempo di oggi, non ci poteva essere mare più mosso.
Appena ti alzi in piedi sembri un ubriaco. E anche la sensazione è più o meno quella.
E quindi mi avvio, lungo il traghetto, cercando di non cadere addosso a quella decina di persone che mi guardano male, finalmente raggiungo la poppa della nave, dove ci trovo Marc completamente solo che fissa il mare.
Mi avvicino a lui e gli chiedo come sta.
«Potrebbe andare peggio.» risponde secco.
«Ti prometto che la prossima volta prendiamo l’aereo.» Gli passo una mano tra i capelli.
Gli sorrido per tiralo un po’ su, ma lui nemmeno alza lo sguardo.
Trascorrono alcuni secondi di silenzio in cui nessuno dei due ha la più pallida idea di cosa dire.
Sono intenzionata ad andarmene, ma un secondo dopo sento Marc mormorare:
«Scusami.»
Lo guardo cercando di non sembrare scandalizzata.
«E perché dovresti scusarti?»
Finalmente Marc alza lo sguardo e noto che la sua faccia è più verde di una bottiglia
«Perché non ti ho avvisato prima del mio mal di mare e ora ti sto rovinando la traversata.»
Sapete, devo ammetterlo, gli alieni hanno fatto davvero un buon lavoro.
«Dai, smettila!» esclamo una volta per tutte. «Non si può rovinare una traversata, per giunta se ci troviamo su un traghetto costruito probabilmente negli anni venti. Lo sai che faccio le altre volte? Dormo! Almeno questa volta un pizzico di dinamismo c’è. Stiamo andando alle Isole Aran, Marc, e tu sei lì a deprimerti. Insomma, le Isole Aran! Chissenefrega se poi la traversata è uno schifo. E ora ti prego tirati su, perché a guardare in mare ti senti solo peggio. E soprattutto, ti supplico, niente più scuse, perché altrimenti fai stare male anche me!»
Marc rimane in silenzio a fissarmi. Dopo qualche secondo fa come ho detto, e si tira su, guardandomi direttamente in faccia dice:
«Lo sai, sarai anche l’insopportabile e capricciosa ragazza dai capelli rossi che tutti conoscono. Ma sai come tirare su le persone.»
Sorrido tra me e me.
«Lo so.» mormoro guardando l’orizzonte. «Me lo dicono tutti.»
 
 
Un paesaggio meraviglioso ci si presenta davanti.
«Benvenuto a Inis Mór!»
Marc è letteralmente senza parole. Siamo a Cill Rónáin da un sacco di tempo, e lui continua a guardare l’isola a bocca aperta come un bambino davanti a un negozio di dolci.
E come biasimarlo? Certo, Cill Rónáin avrà anche dieci casette in totale, ma penso che chiunque vorrebbe viverci. Tira un’aria davvero rinfrescante e per completare il tutto, dal porto riesci a vedere l’Irlanda.
Marc, dopo dieci minuti di completa ipnosi, finalmente mi parla:
«Ti prego, visitiamola tutta! Ci riempirei album interi di questi paesaggi!»
Rido per la gioia.
«Tranquillo, ogni cosa al suo tempo. Diciamo che ho fame, e il cibo viene prima di tutto.»
Punto il dito contro il piccolo villaggio.
«A fare colazione!»
Insieme ci dirigiamo dentro le vie di Cill Rónáin, e senza pensarci inizio a scattare mille foto di ogni casa che vedo. A case, persone, cavalli; quando dico tutto intendo proprio tutto, qualsiasi cosa sia degna di essere fotografata.
Arriviamo nel primo bar aperto, in cui l’unica persona presente è il barista, basso e con una lunghissima barba bianca, che evidentemente parla solo gaelico:
«Dia duit*!» esclama il barista con un sorrisone. «Conas is féidir liom cabhrú leat?»
Marc spalanca gli occhi, mi guarda, in disperata ricerca di aiuto.
«Che ha detto?» sussurra senza farsi sentire.
Il barista smette di sorridere, e lo guarda preoccupato, cercando di capire se c’è qualcosa che non va.
«Ná bíodh imní ort.*» rispondo io divertita. Guardo Marc, poi ancora il barista. «Tá sé Sasanach.»
Il barista capisce, e mi scoppia a ridere.
Poi, gentilmente mi chiede cosa voglio ordinare, sempre in gaelico.
Io e Marc prendiamo solamente due brioche e salutiamo il barista con “Slán”, mentre lui saluta con un “Goodbye” per Marc.
Appena usciti da bar, Marc si siede sul marciapiede, e inizia a disegnare una casa bianca dall’altra parte della strada.
«Che cos’hai detto al barista?» mi chiede Marc mentre tira fuori le matite.
«Che eri un povero inglese…» dico, sedendomi accanto a lui.
«Parli bene il gaelico, dunque.»
«Scherzi? Mio padre ci caccerebbe tutti di casa se non sapessimo perfettamente la “lingua madre”!»
Come sempre, Marc mi offre una delle sue sigarette, ma questa volta decido di rifiutare.
«Fa niente.» dice mettendo via il pacchetto. «Neanche a me andava, sinceramente.»
Cosa?! Altro che alieni! Qui si toccano seriamente i confini della realta!
«Hai intenzione di metterci molto?» chiedo per cambiare discorso. Lo guardo mentre comincia il profilo della porta.
«Abbastanza. Perché?»
Do un morso alla mia brioche prima di parlare.
«Perché se ti va di disegnare, abbiamo ancora la bellissima Dún Aonghasa e molto altro da visitare.»
 
 
 
*traduzione da gaelico:
“Ciao!”
“Come posso aiutarla?”
 
*traduzione da gaelico:
“Non ti preoccupare.”
“È un inglese.”


ANGOLO AUTRICE
Allora, ho tante cose da dire. Innanzitutto mi scuso per i venti giorni di stacco, ma sono state delle settimane davvero impegnative.
La verità è che il tempo ce l'avevo, ma tornata dalle vacanze il mio cervello è andato in "sciopero" e non avevo più ispirazione, per questo ci ho messo così tanto ad aggiornare.
In più ho scoperto che le visualizzazioni sono diminuite drasticamente, il che ha accentuato il mio non-voler-far-nulla.
Alla fine mi sono messa d'impegno e questo è il mio risultato, non perfetto, ma abbastanza buono.
Ho deciso di mantenere i nomi irlandesi dei luoghi (quindi Inis Mor al posto di Inishmore e altri...) al fine di consolidare l'estremo patriottismo irlandese di Lea.
Per fortuna ci sarà anche una seconda parte delle Isole, e spero di tornare più carica di sempre!
Buona fortuna a chi ha iniziato la scuola e a chi deve ancora iniziarla!
Ringrazio chi ha ancora la voglia di seguire questa storia.
E grazie a Google Translate per le parti in gaelico, e alla mia personale esperienza per la descrizione del luogo xD
Vi lascio con una piccola galleria fotografica di Inis Mor e Cill Ronain :)
Mel.
 
 



 

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Capitolo 14
*** Le Isole Aran - Parte 2 ***


 
Dún Aonghasa è assolutamente la cosa più bella esistente al mondo. È una scogliera calcarea, alta un centinaio di metri, che dona diretta una vista sull’Oceano Atlantico.
Oltre a una vista mozzafiato, tira anche un’aria meravigliosa.
«Davvero, Lea.» Marc è seduto su una pietra del muro più interno, mentre ritrae l’orizzonte dell’oceano. «Non so come ho fatto a vivere tutto questo tempo senza vedere questi posti.»
Io sono a qualche metro da lui, che scatto fotografie al lungomare e al panorama interno.
«Lo so, è magnifico.»
Finisco di scattare un’altra decina di foto, poi mi avvicino a Marc che è concentratissimo sul suo disegno. Lo trovo veramente adorabile, con quello sguardo serio e il vento che gli scompiglia le ciocche bionde. È bellissimo, come al solito.
“Tu sei cento volte meglio di questo panorama” penso tra me e me. Direi che non è il caso di dirlo ad alta voce.
«Mi piace il tuo disegno!»
In realtà non gli ho degnato nemmeno uno sguardo.
Marc alza il foglio e lo osserva attentamente .
«Non so…» dice con aria poco convinta. «Ci manca qualcosa.»
Poi si volta verso di me.
All’inizio non capisco affatto cosa intende.
«Perché mi stai guardando?»
I suoi occhi chiarissimi continuano a fissarmi intensamente.
Marc mi sorride.
«Quello che manca al mio disegno è un soggetto.» mi dice Marc a bassa voce.
Cosa?
Oh no, non intenderà…
«Ti sembra di essere in Titanic, Biondo?! Assolutamente no!»
Ma Marc si è già allontanato e mi guarda sorridendo.
«Dai, Lea, per favore!»
Marc si avvicina a me, e dopo avermi spostato bruscamente da tutte le parti della scogliera, mi posiziona davanti al panorama.
«Perfetto!» Marc mi lascia immobile in mezzo al prato, poi si siede su un’altra pietra lontana di qualche metro. Tira fuori il disegno e comincia a tracciare con il carboncino.
«Marc, ho tutti i capelli in faccia!» Il vento è l’unica cosa insopportabile di quella scogliera.
Cerco di togliermi i riccioli rossi dal viso, ma Marc mi ammonisce immediatamente:
«Stai immobile!»
Io obbedisco sbuffando.
Passano due minuti, io resto immobile come mi dice Marc, ma dopo un po’ comincio a sentire la noia del momento.
Anche Marc deve annoiarsi, sebbene appare concentratissimo sul disegno, poiché inizia a parlarmi:
«Allora… Parlami di te.»
Lo guardo scandalizzata.
«Ci conosciamo da quindici anni! Cos’altro dovrei dirti su di me?»
«Oh, non lo so. Ci sono tantissime cose che non so di te, e tantissime che non sai su di me.»
Scoppio a ridere istericamente. Che gran cavolata! Non c’è praticamente nulla che io non sappia su Marc. Conosco i suoi genitori e suo fratello perfettamente, viviamo di fronte e so perfino i nomi di tutte le ragazze con cui è stato.
«Non direi, Marc. Non penso ci sia niente che io non sappia su di te…»
Lui si blocca per qualche secondo e alza lo sguardo dal foglio per osservarmi.
Strizza gli occhi.
«Ad esempio non sapevi che sono bravo a disegnare.»
Dopo un po’ ritorna al suo disegno e riprende a parlare:
«Lo sai qual è il mio secondo nome?»
Rimango spiazzata.
Non lo so!
Come faccio a non saperlo? Conosco Marc da così tanto e non so nemmeno quale sia il suo secondo nome?
Con un sospiro ammetto:
«Mi arrendo. Qual è?»
«Laurence.»
A quel punto non faccio a meno di sorridere. Avrei dovuto immaginarlo, dannazione! Com’è possibile per un uomo così imbecille e orgoglioso come Laurence Richardson dare al suo primo figlio il suo stesso nome?
Sono davvero una stupida.
«In realtà…» continua Marc preso dalla nostra conversazione. «…Laurence sarebbe dovuto essere il mio primo nome, così sarei stato un Laurence Richardson jr. Quando nacqui però i miei cambiarono improvvisamente idea: avevano capito che chiamare padre e figlio con lo stesso nome gli avrebbe causato moltissimi problemi con l’anagrafe, le tasse, lettere, eccetera. Perciò dovevano decidere in fretta un nuovo nome… Uno degli infermieri che assistette mia madre subito dopo il parto si chiamava Marcus Qualcosa. A loro il nome piaceva e così me lo hanno dato. Quindi sì, mi chiamo così in onore di un infermiere!»
Marc e io ci guardiamo in silenzio per qualche secondo.
Poi lui sorride e riprende a parlarmi.
«È il tuo turno ora… Qual è il tuo secondo nome?»
Io alzo le mani in segno di arresa e gli rispondo:
«Rosalie.»
«È un bel nome.»
«È il nome di mia zia, la sorella maggiore di mio padre. Loro due da piccoli erano davvero affezionati… E qualcosa mi dice che si vogliono un bene dell’anima ancora adesso.»
Mio padre e la zia Rosalie sono come due calamite: si chiamano ogni sera per parlare, non passano alcuna festività separati. Sono due migliori amici.
«È una cosa bella, no?» dice Marc, dando gli ultimi ritocchi al disegno. «Io e Jeremy non siamo così affezionati, ma gli voglio bene comunque.»
Abbasso lo sguardo, imbarazzata.
«Io invece non sono così,  sono sempre distaccata con i miei fratelli… Forse sono io che sbaglio, lo so. Ma non riesco proprio a vederli come dei miei alleati, perciò li tratto male. Ma alla fine penso sia solamente colpa loro se i miei genitori non mi dedicano più le attenzioni di una volta.»
Cala il silenzio tra noi due.
So di aver appena detto la cosa sbagliata. Qualcosa che non dovrei mai dire ad un appuntamento (sempre se questo sia un appuntamento).
Ho reso la situazione drammatica.
Stupida, stupida Lea!
«Comunque, se ci tieni a saperlo, ho finito il disegno.»
Oh, grazie al cielo che esisti Marc! Hai salvato la nostra conversazione.
Senza pensarci mi tolgo da quella scomodissima posizione e mi precipito a vedere com’è venuto il disegno.
«È bellissimo.» dico prendendolo tra le mani.
Il paesaggio dietro è quello di prima, dell’oceano. Ora però c’è il mio ritratto in primo piano.
E mi somiglia terribilmente.
Nel disegno ho praticamente la mia intera massa di capelli in faccia, ma nonostante ciò, Marc ha saputo rendermi bellissima comunque.
Sto per restituirgli il disegno, quando un vento dalla forza brutale fa volare via il foglio dalle mie mani.
«No!» strillo cercando di afferrare il disegno che intanto si allontana verso il cielo.
Marc di precipita all’inseguimento del disegno, che viene spazzato via in ogni dove.
Pian piano il vento porta il disegno sul margine della scogliera. Ormai è perduto.
E invece Marc si avvicina sempre di più allo strapiombo in modo allarmante. Vuole morire per caso?
Non posso guardare oltre. Il disegno vola all’infuori della scogliera e Marc si lancia per afferrarlo.
I miei occhi si chiudono a quel punto.
Silenzio.
Marc è morto?
Sono sicura di sì. Mi viene da piangere ora.
Che mondo sarà senza di lui?
Addio al mio bellissimo inglese dagli occhi celesti…
«Diamine, è davvero alto qui!»
Quella voce…Quell’accento bristoliano incomprensibile…
Grazie al cielo Marc è ancora vivo!
Riesco a trovare il coraggio di aprire gli occhi. Marc è in piedi, fermo sul margine che si sporge lievemente per guardare di sotto.
«Sei un idiota!» gli urlo dietro cercando di non mettermi a piangere. «Lo sai che ho seriamente pensato che fossi morto!? E tutto per prendere un disegno? Ma fai sul serio?!»
Sebbene sia contenta che Marc sia vivo, sono davvero scossa e infuriata in questo momento.
Sto per urlargli contro ancora, quando lui si precipita verso di me per impedirmi farlo un’altra volta.
E mi bacia.
È un bacio stupido, velocissimo, sulle labbra. Dura meno di un secondo.
Ma rimango paralizzata.
Appena un secondo dopo il bacio, Marc mi sorride e torna a guardare l’oceano.
«Direi che il disegno ci assomiglia abbastanza, no?»
Marc mi parla come se non fosse successo nulla.
Ma io non sono dello stesso parere…
«Marc, mi hai baciata?» cerco di non suonare troppo scioccata.
Lui si volta verso di me, e sempre con indifferenza risponde:
«Sì. Non ti è piaciuto?»
«No… cioè sì! Ma perché?»
Marc si rivolta dall’altra parte, per evitare di guardarmi.
«Oh beh, tu ci stavi mettendo decisamente troppo…»
Rimango immobile.
Cosa vuol dire quella frase?
Vuol dire che Marc sapeva che mi piaceva? O che addirittura io piacevo a lui?
Sono terribilmente confusa!
«Io…» cerco di parlare senza risultare una stupida. «Io volevo baciarti! Quel sabato sera, oh, era così perfetto! Ma poi ho pensato a Brad e a tutto quello che stava succedendo così in fretta, però…»
Marc è ancora voltato dall’altra parte, così che io non posso vedere la sua reazione.
Ho l’impulso di baciarlo ancora, questa volta più a lungo…
Trattieniti, per ora.
Ma non c’è bisogno che mi trattenga.
Marc si volta lentamente verso di me. La sua espressione è inspiegabilmente seria.
«Però?» Marc mi chiede di concludere la frase.
Io alzo lo sguardo, orgogliosamente.
«Però non sono venuta su quest’isola con te, fatto un viaggio intero cercando di farti passare la nausea e cinque chilometri in salita solo per ricevere quel misero bacio, dannazione!»
Marc finalmente mi sorride.
Si avvicina velocemente a me e mi bacia ancora.
Esattamente. Io, Lea Rosalie McEwitch sto baciando Marc Laurence Richardson sulla scogliera di Dún Aonghasa, dopo che per tutti questi anni lo trovavo un essere insopportabile.
Come cambiano le cose quando si cresce…
Dopo qualche minuto Marc si stacca dal bacio e sorridendomi mi sussurra:
«Sei fantastica.»
Io gli sorrido, mostrando tutta la mia felicità.
Poi, ironicamente rispondo:
«Lo so. Me lo dicono tutti.»

ANGOLO AUTRICE
Eccomi! Ho finalmente finito il capitolo che avevo in mente da fin troppo tempo. Ho cercato di fare del mio meglio, poi questo è ciò che è uscito dal mio talento(?)...
Direi che con questo capitolo siamo giunti alla conclusione della prima parte della storia. Per quanto riguarda la seconda... mmmh beh, diciamo che l'atmosfera sarà un po' diversa.

Ma niente panico, saprò rendervi felici lo stesso!!
Ora prendo un secondo per autospammarmi...
Queste sono altre due storie: la prima è una one-shot drammatica (ci metterete 1 minuto a leggerla) di cui vado abbastanza fiera:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2533297&i=1
Poi c'è quest'altra, che un'altra commedia. Sebbene non sia una meraviglia, spero di raccattare almeno qualche visualizzazione:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2570728&i=1
Non siete obbligati a leggerle, speravo di farmi solo un po' di pubblicità xD
E infine vi lascio con la scogliera più bella del mondo:

 
Grazie infinite a chi segue e recensisce <3
Mel.

 

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Capitolo 15
*** Come in Titanic ***


«Oh, dai rispondi!!!»
Sono quasi le quattro. Considerando che dovrei essere a casa tra mezz’ora, sono già in estremo ritardo; mia madre mi ucciderà.
Ma poco importa. Io devo assolutamente, vitalmente parlare con Julia.
Sono successe davvero troppe cose nelle ultime…ehm? Tre ore?
E appena Marc se n’è andato, io sono subito schizzata da Julia.
E ora eccomi qui, a suonare perennemente al suo citofono con un’insistenza degna di un venditore ambulante.
«Si può sapere chi è?!» strilla la sua voce dall’altoparlante.
«Juls, sono Lea! Ti prego fammi entrare, ci sono un paio di cose che devo dirti.»
La voce di Julia si fa subito più calma:
«Lee! Certo, sali immediatamente.»
Appena arrivata davanti alla sua porta, questa si apre improvvisamente. E lì c’è Julia che mi sorride in modo alquanto preoccupante.
«Allooooooora?» dice sbattendo gli occhi in modo davvero ridicolo.
«Mi fai almeno entrare?»
E con questo Julia si sposta e mi lascia passare dentro.
Dopo aver chiuso la porta mi invita insistente a sedermi sul divano in salotto.
Io l’assecondo.
Passa quasi un intero minuto prima che io inizi a parlare. Julia guarda insistente.
«Ok!» parto con un gran respiro. «Promettimi prima che se te lo dico non mi odierai, perché è una cosa orribile, ma è anche magnifica allo stesso tempo! Insomma, non è colpa mia! Però in un certo senso sì, lo è perché Veronica mi aveva chiesto quel favore e…»
«Lea!» Julia mi mette le mani sulle spalle e mi urla in faccia per calmarmi. «Fai con calma!»
E così riprendo fiato, e pian piano riacquisto la calma:
«D’accordo.» un altro respiro. «Marc mi ha…»
«Cosa?!»
«…Non ho nemmeno finito la frase!»
«Ma dici sul serio??!!»
Ecco, lo sapevo. Ora mi odierà.
E invece no, non va come pensavo.
Julia si porta le mani alla bocca e inizia a saltellare e a strillare. Esattamente la stessa reazione che ha avuto Veronica quando ha saputo di me e Brad.
«Lea, ma è fantastico!»
«No! Non lo è!» Ma perché Julia non capisce mai nulla? «Cosa mai dovrei dire a Veronica ora? Non posso nascondermi per sempre, soprattutto adesso. E prima che tu lo chieda: no, non gliel’ho ancora detto!»
Julia si zittisce, evidentemente non ha parole.
«E poi, dai, come pensi che si evolverà la cosa? Marc è una delle persone più complicate che io conosca, ci sono giorni in cui è carinissimo con me e altri in cui nemmeno mi rivolge la parola. Sai che ha detto oggi per salutarmi? “Ci vediamo a scuola”. E non mi ha nemmeno regalato il ritratto che mi ha fatto!»
«Aspetta!» Gli occhi di Julia si illuminano di meraviglia. «Ti ha fatto un ritratto? Ma dai, come in Titanic
Ecco.
«Ma è ovvio!» riprende Julia. «E poi guarda, lui è un artista biondo e bellissimo come Di Caprio! E tu… beh, hai i capelli rossi! Certo, tutto quadra! Anche se in questo caso è lui quello ricco e non tu, e poi siamo in Irlanda e non in mezzo all’Atlantico. Però, certo che è destino!»
Ma cos’ha in testa questa ragazza?
Prima di tutto io odio Titanic, quattro ore di eterna lagna; è già un miracolo che sia riuscita a finire di vederlo.
E poi, con tutti i pensieri che ho in questo istante, proprio di questo dovremmo parlare?
Quando mai dovrò preoccuparmi di quanto la mia vita assomigli ad un film?
Anche se sotto sotto Julia ha ragione, certi aspetti coincidono.
Spero solo che alla fine nessuno dei due muoia assiderato.
Mentre Julia continua a elencare tutto ciò che nella mia vita vagamente assomiglia a ciò che succede in Titanic, squilla il telefono.
Oh, per fortuna! La testa stava seriamente iniziando ad esplodermi!
Mentre Julia si alza per andare a rispondere, sento che qualcosa sul divano inizia a vibrare.
È il senz’altro suo cellulare, che deve essersi abilmente nascosto tra i cuscini.
Lo tiro fuori, dopo aver cercato arduamente da tutte le parti.
«Oh!» esclamo. «Eccoti q…»
 
Nuovo messaggio da: Sam<3
 
CHE?!
Che cosa vuol dire quel cuore messo lì, completamente a caso? L’unica persona che Julia abbia mai salvato con il “<3” era Aaron!    
Voglio sapere perché!
Vado veloce a controllare il messaggio che le ha mandato Sam:
 
Non vedo l’ora di risentirti <3
 
Un altro cuore.
E se…? No, non è possibile!
Sono sicura di sbagliarmi, ma…
Tutti questi cuori, da entrambi…
Non vedo l’ora di risentirti…
Il cuore per Aaron e ora per Sam…
A quanto pare non sono l’unica a nascondere un ragazzo alle sue amiche.
 
 
 
 
È strano come si evolvono le giornate.
A partire da stamattina, avrei detto che questa era la giornata più bella della mia vita.
Ma la ramanzina di mia madre quando sono rientrata con mezz’ora di ritardo, l’ha fatta calare di qualità.
E ancora di più questa serata.
Perché con tutto ciò che è successo, mi ero completamente dimenticata della terribile e noiosa festa dei colleghi di mia madre.
E cosa ancora peggiore, l’età media degli altri figli è di quattro anni.
Così io e Andy siamo costretti a rimanere tra noi due, rimpinzandoci di aperitivi e cercando di non impazzire per i pianti dei bambini.
«Allora…» dico ad Andy mentre riempio di nuovo il piatto di salatini. «Come va la ricerca con Veronica?»
Andy diventa immediatamente il solito peperone.
«Ehm… Bene credo, abbiamo scelto Eyre Square.»
Lo guardo in attesa di una continuazione.
«E…»
«E niente, ci andremo dopo Natale, così almeno ha detto lei. In realtà non mi ha proprio chiesto nulla, ma ha detto che dovrei iniziarla già a farla io da solo.»
Era quello che temevo. Veronica è la seconda più grande scansafatiche dell’universo (la prima sono io), e ovviamente non ha alcuna intenzione di fare la ricerca con Andy, ma lasciarlo fare tutto al posto suo.
«Andy, ascolta… Se non…»
Andy si volta verso di me, infuriato.
«Lo so cosa vuoi dirmi. Sì, lo so che non le piaccio per niente. Ma io non ho il coraggio di chiederle una penna, figurati dichiararmi a lei! L’unica cosa che so fare è scrivere i compiti degli altri!»
Lo ammetto: Andy mi fa pena. Più che altro perché voglio che lui si metta con Veronica solo per toglierle dalla mente Marc.
E in più gli ho commissionato un intero compito di storia per la prossima settimana.
Sono una sorella orribile. Ma d’altronde lo sono sempre stata.
«Ragazzi!» mia madre viene verso di noi, con un bicchiere di vino in mano e il suo abito da sera nero che la rende più elegante che mai. Andy ha solo una camicia azzurra e dei jeans mentre io il vestito nero che avevo messo al pranzo con i Richardson.
Mia madre si piazza davanti a noi. Ora noto che si sta portando qualcuno sottobraccio.
«Ragazzi…» inizia mia madre. «Questo è il famoso George, il fratello di Pat.»
Lo guardo bene. Il “famoso” George non è nient’altro che la copia riuscita bene di Marlon Brando da giovane.
Sorride a me e a Andy stringendoci la mano.
George è un uomo di una trentina d’anni, altissimo, dai capelli neri e incredibilmente affascinante.
E questo sarebbe il fratello gemello di Pat?
Perché non mi avete detto prima che mia madre lavorava con il sosia di Brando?
Se non avesse una ventina d’anni in più di me, lo sposerei all’istante!
«Piacere di conoscerti, Andy…E tu sei Lea, giusto? Vedo che il mio regalo ti è piaciuto, allora.»
Mi rendo conto che sta fissando la mia collana con la scritta “Lea”.
Mi ero totalmente scordata di chi me l’avesse regalata!
E non l’ho nemmeno ringraziato!
«Oh…ehm.» balbetto insicura su cosa dovrei dire. «Sì! Grazie infinite, l’adoro!»
George sorride compiaciuto, subito dopo si gira verso mia madre.
«Sapete, qualche mese fa a Parigi ho pensato di regalarne una uguale ad Heidi…»
Mia madre arrossisce di colpo. George continua a guardarla.
«…ma una donna così bella non è degna di una collana così semplice.»
Sono confusa da ciò.
Sbaglio o ha appena detto che mia madre è bellissima?
Oppure mi ha indirettamente voluto dire che a lui la collana fa schifo?
«Parigi?» Andy li guarda entrambi con stupore. «Ma non eravate andati a Francoforte?»
«Oh!» mia madre si gira di scatto indicando una signora con un vestito rosa. «George andiamo a salutare Eve!»
E trascinandolo per un braccio, scompaiono entrambi tra la folla di sconosciuti.
«Che strano…»
Andy sembra lasciare perdere lì la conversazione.
Ma io no. Io passo tutta la sera a pensarci su.
Quando George ha guardato mia madre…
Lui… Non so, mi è sembrato che lui…
Quello sguardo. È come Andy guarda Veronica.
Come Julia guardava Aaron.
Come io guardo Marc.
Era un autentico sguardo d’amore.

ANGOLO AUTRICE
Dunquah
Sono passati già venti giorni??? No, davvero qualcuno mi metta una sveglia!
Sono dispiaciutissima di averci messo così tanto, ma sono estremamente pigra  non ho mai tempo!
No, parlando seriamente, mi scuso moltissimo. E oggi che era una bellissima giornata (dal mio punto di vista) ho voluto aggiornare.
Yeeee!
So che il capitolo è cortissimo pero vi sia piaciuto lo stesso (A me sinceramente non piace molto). E lo so che è quello che dico 100 volte su 10...
Ma una malattia che non ho di sicuro è il narcisismo u.u
((Anche se è già sera)) Che possiate passare altrettanto una bellissima giornata!!
Mel.


 

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Capitolo 16
*** Dannato Natale ***


La seconda cosa che odio di più al mondo è la mia famiglia.
La prima è il Natale.
Per questo odio dicembre, perché immancabilmente me le ritrovo tutte e due insieme.
Il Natale non mi ha mai dato alcuna gioia, davvero.
Certo, magari a quei dieci ricchi bambini che a Natale ricevono cellulari e computer da fantamilioni di euro potrà anche piacere.
Ma io ricevo sempre calzini. O una spazzola, come per dire “Pettinati quei capelli, svergognata!”.
E in più quest’anno la cosa peggiora, perché oltre che alla mia numerosissima famiglia i miei hanno avuto la brillante idea di invitare i Richardson per il pranzo della vigilia.
Evviva.
Ultimamente io e Marc passiamo davvero troppo tempo insieme. La cosa non mi dispiace affatto, ovviamente. Però lui ogni volta si comporta come se non fosse assolutamente successo nulla tra di noi, non mi bacia, evita di toccarmi e di guardarmi negli occhi.
Ora siamo seduti sulla panca nel giardino di casa sua, intenti a non fare assolutamente nulla. Mia madre ha dichiaratamente detto di non volermi in giro durante la preparazione del pranzo di Natale, così le ho chiesto se potevo andare a casa di Marc per un po’. La risposta è stata ovviamente affermativa.
Io e Marc non ci parliamo da dieci minuti. Siamo entrambi troppo attenti a osservare dall’altro lato della strada, attraverso le finestre, mia madre che prepara il polpettone.
Finalmente Marc si gira a guardarmi e mi dice:
«Non vedo l’ora di conoscere la tua famiglia.»
«Buona fortuna.»
Silenzio tombale.
È stato un discorso talmente secco e inutile che quasi non riesco a crederci…
Che fine hanno fatto il Marc che mi faceva ritratti?
Che fine ha fatto la Lea che gli rubava le sigarette di bocca?
Che fine hanno fatto i due che si baciavano a Dún Aonghasa?!
Tutto qui? È già finita?
La nostra meravigliosa amicizia sfociata in relazione è finita dopo così poco tempo?
Fantastico, sapevo che innamorarmi di un inglese mi avrebbe fatto solo male.
Domani mattina lui andrà a Bristol e io passerò due intere settimane in sofferenza.
Devo sbrigarmi a dire qualcosa per migliorare la situazione:
«Marc, ho fatto qualcosa di male?»
Marc mi guarda sbigottito, senza capire.
«È passato quasi un mese.» cerco di spiegarmi meglio. «Eppure tu ti comporti esattamente come quando nemmeno ci parlavamo.»
«Io?» Marc si alza in piedi per guardarmi meglio in faccia «Come pretendi che mi comporti come se fossi la mia ragazza, quando sei tu quella che non mi considera?»
Questa volta sono io quella che non capisce minimamente ciò che intende.
«Eh?»
«Sai, una settimana fa mi hai accuratamente vietato di starti troppo vicino quando siamo a scuola.»
Oh, quello.
Beh, forse è vero, non avrei dovuto farlo. Però ho ancora troppa paura di Veronica. Ho paura che scopra tutto e che mi odi per l’eternità.
Certo, in questo modo dimostro di pensare più a me stessa che a Marc.
Egoista!
Mia madre mi chiama ad alta voce dal nostro giardino. Devo correre a prepararmi per la grande serata.
Un po’ mi dispiace lasciare Marc da solo dopo questa breve discussione, ma so che ci rivedremo tra non meno di un’ora.
Mentre apro il cancelletto per uscire dal suo giardino, mi volto verso di Marc e gli grido con tutta la mia forza di volontà:
«Marc, ti prometto che quando tornerai da Bristol avrò già detto tutto a Veronica.»
Lui non mi risponde. Non alza nemmeno lo sguardo.
 
Sono le nove e tutto va male.
La casa è piena di parenti. Sono dappertutto, letteralmente.
E per compensare i Richardson non sono ancora arrivati.
Vedo che Pat si avvicina e si siede di fianco a me sul divano; (già dimenticavo, la mamma ha invitato anche lui).
Offrendomi degli stuzzichini, cerca di iniziare a conversare con me:
«Bene, Lea. Hai conosciuto mio fratello?»
Certo. George,
Quel tesoro che mi ha praticamente fatto intendere di essere innamorato di mia madre.
Ok, forse starò fantasticando troppo. Però il fatto che né mio padre né Pat sapessero che quei due fossero andati a Parigi insieme, mi preoccupa abbastanza.
E so riconoscere quando una persona è innamorata.
George potrà anche essere il trentenne più bello e sexy che io abbia mai visto, ma nessuno può mettersi in mezzo nella mia famiglia.
Ho già sopportato a fatica la notizia del divorzio segreto tra Larry e Jenny, non potrei sopportare anche quello tra i miei.
Pat continua a parlarmi per altri venti minuti di quanto sia stata gentile mia madre ad averlo invitato e bla, bla, bla… Altro di cui non m’interessa nulla.
La mia attenzione si sposta improvvisamente alla porta d’ingresso, dove mia madre accorre ad aprire dopo che hanno suonato al campanello. E finalmente appaiono gli invitati mancanti: i Richardson.
Vedo Laurence che si toglie il cappotto appena entrato, e lo da’ a mia madre come se fosse la sua serva. Poi noto i capelli biondi di Jenny e il suo immancabile sorriso. La zazzera di capelli di Jeremy…
E poi c’è lui. Marc entra salutando mia madre, felice come non l’ho mai visto.
Lo sapevo! Mi ama! È felice di vedermi!
Mi getto letteralmente verso di loro. Non m’interessa assolutamente di salutare gli altri tre:
«Ciao, Marc!»
Marc si volta a guardarmi, con disinvoltura.
«Fantastico, questa volta sei riuscita a non vomitare.» mi dice con il tono più dispregiativo di sempre.
Merda.
Mi odia.
 
La serata procede meglio di quanto avessi creduto. Malgrado quel piccolo sfogo iniziale, Marc sembra non odiarmi più di tanto. In realtà non sembra nemmeno essere minimamente interessato a me. Gli ho presentato tutta la mia famiglia, incominciando da Zia Rosalie e i miei nonni, proseguendo con tutti i miei zii e cugini.
Ma è stato quando gli ho presentato Pat, che ha perso la testa…
Stiamo mangiando tutti il polpettone di mia madre; la testa mi scoppia poiché Pat e Marc continuano a parlare ininterrottamente di disegno:
“Ma hai provato con il carboncino?” “La tua tecnica è buona, dovresti farmi vedere altri tuoi disegni.” “Io ho solo dei problemi con le proporzioni, tutto qui.” “Di solito adoro i colori ma i tuoi lavori sono eccezionali!”
Vi prego, qualcuno li faccia stare zitti!
Non m’interessa, preferirei passare la vita ad ascoltare le lamentele dei miei fratelli, piuttosto che questi discorsi.
«Mamma, lo sapevi che Marc mi ha fatto un ritratto?» azzardo all’improvviso, per cambiare argomento.
La loro reazione è più strana di quello che mi aspettassi.
Sono tutti in silenzio, con sguardo fisso su me e Marc.
Manco avessi detto di essere incinta…
Evidentemente sono scioccati dal fatto che noi due potessimo essere così tanto amici, che sono rimasti senza parole.
Jenny, di fronte a me, mi sorride calorosamente.
«È fantastico.» poi, voltandosi un attimo verso Marc, riprende: «Hai visto i ritratti che ha fatto a me, Larry e Jeremy?»
«Oh, sì!» cerco di avviare la conversazione con Jenny. «Sono davvero…»
«Fai anche ritratti?!Ma dai! E dimmi, come usi la tecnica delle ombre nei…»
Perfetto. Pat ha ripreso a fare la groupie di Marc.
Complimenti, Lea. Ti sei fregata con la tua stessa arma.
Detto ciò, la serata è tutta  qui: Marc e Pat che parlano di disegno, io che vengo pesantemente ignorata, la mia famiglia fa rumore, festeggiamo il Natale a mezzanotte.
E poi apriamo tutti i regali. Questa volta sono stata fortunata: solo tre paia di calzini e una spazzola. Devo segnarmi il record!
Verso l’una i Richardson devono andarsene. La cosa mi rende estremamente giù di morale, poiché è l’ultima volta che vedrò Marc prima della fine delle vacanze.
Dopo che le nostre famiglie si sono salutate, che tutti sono lontani, rimaniamo io e Marc da soli in giardino, con il solo cancelletto che ci separa.
È il momento di salutarsi, quando nessuno ci può vedere o sentire.
«Marc, mi dispiace…» comincio io, cercando di non sprecare questi pochi minuti preziosi.
«E di cosa?» ribatte lui, sorridente. «Ho passato una serata fantastica, il tuo vicino di casa è davvero forte. Oh, e scusami per quello che ti ho detto quando sono arrivato. Ero solo arrabbiato per prima.»
Tutto qui? Tutte le paranoie che mi sono fatta per un’intera serata erano totalmente infondate? Marc non mi odia?
Oh, sono così felice che potrei urlare!
Marc riesce a contenermi l’urlo, baciandomi. Quando poi si stacca, capisco che saranno le due settimane peggiori della mia vita.
«Buon Natale, Marc.»
Marc mi sorride, poi dalla giacca tira fuori un regalo delle dimensioni  di una scatola di scarpe, perfettamente incartato.
«Buon Natale, Lea.»
Marc si allontana. Io apro il pacco in preda all’euforia. E dopo una selvaggia lotta contro la carta regalo e lo scotch, finalmente riesco a vedere ciò che mi ha regalato.
Rimango totalmente a bocca aperta.
È il mio ritratto.
Sto per tornare in camera mia e contemplare la bellezza di quel regalo, quando vedo che c’è qualcuno che mi fissa.
In preda al panico, mi avvicino sempre più: è Andy.
Non ci credo, ha visto tutto! Ora lo dirà a mia madre, a tutti. Ma soprattutto lo dirà a Veronica!
Fermati, Lea. Contratta!
Avvicinatami a mio fratello, dico con nonchalance:
«Beh? Che hai da guardare?»
Andy mi guarda come se fossi una perfetta sconosciuta.
«Ma che hai nel cervello?»
Contratta! Adesso lui ti ricatterà di sicuro. Vorrà in cambio l’indennità dal vostro vecchio patto, vorrà che tu  gli pulisca le scarpe, che sistemi i suoi vestiti divisi per qualità del tessuto, che tu fugga in Africa per portargli una felpa fatta di pelle d’orso bianco africano! Contratta, dico io! Lo sai quanti orsi bianchi africani esistono? Esatto! Meglio se trovi un accordo!
La stupida coscienza ha ragione. Meglio trovare un accordo che passare trent’anni in Africa a cercare inesistenti orsi bianchi africani.
Ma inspiegabilmente, gli dei accolgono le mie preghiere. Infatti Andy non minaccia di dire a tutti che io e Marc stiamo insieme. Però fa molto peggio:
«Non so se te ne sia resa conto. Ma quello a Bristol ce l’ha già una ragazza.»
Si arriva al silenzio.
Io lo guardo.
Lui mi guarda.
Ci guardiamo.
«Ma sta zitto, Andy!»
E rientro in casa.

ANGOLO AUTRICE   (questa volta è rosso perchè siamo nel Xmas season, yay!)

Prima che prendiate torce e rastrelli, lasciate che giustifichi i miei due mesi di assenza. 
Tutto accade nel lontano novembre, quando, passate le mie due solite settimane di stacco, decisi di aggiornare. E poi, bum! L'inferno: non va più il wi-fi. Ed è così che ho passato un'altra settimana senza internet, struggendomi al pensiero di non poter aggiornare. Ma il peggio arriva dopo. Infatti appena il wi-fi ritorna, scopro che il computer sarà nelle mani di mia sorella per fare robe da universitari... Altre due settimane nel cesso  andate perse!
Dunque, eccomi. Mi dispiace di averci messo troppo, davvero non ne avete idea, spero di non esservi mancata così tanto!
Il prossimo capitolo dovrebbe uscire alla fine delle vacanze, in questo modo saremo cronologicamente coincidenti con la storia :)
Tranquilli, non ci saranno più così tanti mesi di assenza d'ora in poi. Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)))))
Un felice Natale a tutti!
Mel.
 

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Capitolo 17
*** Non è stato esattamente facile ***


SECONDA PARTE
Gennaio - Giugno
«Lea…»
Odio quando le persone cercano di interrompere il mio sonno.
Facile a dirlo, è l’unica cosa che sai fare bene!
«Lea!»
È troppo! Potrà anche essere l’ora di pranzo, e quindi un orario non esattamente adatto per un pisolino… ma dannazione! Quando una persona ha appena passato una nottata in bianco, gradirebbe essere lasciata in pace!
Mi alzo dal tavolo e dalla mia posizione, ahimè, comodissima.
«Cosa c’è?» mi rivolgo a Julia, che ha passato i precedenti dieci minuti a cercare di svegliarmi.
«Hai già consegnato la ricerca all’ Annette?»
Di cosa sta parlando? Ricerca? Io non dovevo fare nessuna ricerca!
«Cos… Quale ricerca?!» chiedo in preda al panico.
«Ma quella di geografia! Quella che ci ha dato prima di Natale!»
«Oh…» Mi rilasso, tornando di nuovo alla mia posizione, con la faccia rivolta sul tavolo. «L’ho già finita.»
Io e Marc ci abbiamo lavorato per tutto gennaio. Non è un granché, ma penso che alla prof farà piacere darmi almeno un sei.
Julia, mi scuote, riprendendo a importunarmi.
«Sì, ma l’hai consegnata? La scadenza era oggi!»
Oggi?
Mi alzo all’improvviso, questa volta con un pallore da far paura.
«Come oggi? Era entro il 25!» Urlo talmente forte da attirare l’attenzione di quasi tutti i presenti nella sala.
«Ma oggi è il 25!»
Il 25? Oggi? Scadenza? Ma per quanto ho dormito?
Ok, forse la sera prima non avrei dovuto passare la serata a guardarmi tutti i documentari esistenti sugli U2 che non avevo ancora visto…
Ora non ci sto capendo più nulla!
E ancora peggio, non ricordo assolutamente dov’è la mia ricerca!
Ce l’ha Marc, idiota!
Oh, giusto.
Mi rilasso nuovamente, sospirando per il sollievo.
«Va tutto bene, ragazze.» dico, facendo un sorriso. «L’ho affidata al mio abilissimo compagno di studi. Suppongo che Marc l’abbia già consegnata. »
COSA HAI FATTO LEA!
L’ho detto davvero? Ho apertamente pronunciato il nome di Marc davanti a Veronica? La persona a cui non ho ancora detto che sto insieme al ragazzo che le piace?
È infatti, ecco che si volta verso di me, con gli occhi di una persona ignara di tutto.
«Cosa?» mi chiede con un filo di voce. «Hai fatto il progetto con Marc?»
Ora suona come se si stesse per mettere a piangere.
«Ehm… sì.» affermo, con un tono ancora più basso del suo. «È… è stato lui a chiedermelo. Scusami, Viv. Credevo che ti saresti arrabbiata. Lui ti piace ancora?»
Mi urlerà contro, mi odierà per sempre.
Avrei dovuto farlo prima. Sono così stupida ed egoista!
«N-non sei arrabbiata, vero?»
Inaspettatamente però, Veronica non inizia a urlarmi contro e a insultarmi. Anzi, sorride, e si dimostra più allegra del solito:
«Certo che no! In realtà lo immaginavo, ma non capisco perché tu non abbia voluto dirmelo.»
Questa è in assoluto la cosa più impossibile che mi sia mai successa.
Veronica non mi odia. E non mi sta insultando.
Forse sto ancora dormendo… Decisamente no.
E adesso, tutto quello che vorrei fare è alzarmi dal tavolo in piedi e urlare “Vittoria!” .
Beh, è stato facile.
È stato assolutamente, incredibilmente facile.
«Sì, insomma…» riprende a parlare Veronica. «Tra voi due non c’è niente, giusto?»
Rimango in silenzio.
Lo sapevo. Era troppo bello per essere vero.
Ora devo fare la cosa che mi riesce meglio: mentire spudoratamente:
«Ovviamente no.»
Non è stato esattamente facile.
 
Il pomeriggio del giorno dopo sono al Brie’s a lavorare con Veronica. Per quasi tutto il tempo non riusciamo a rivolgerci la parola. Siamo troppo impegnate a consegnare caffè a ogni tavolo.
Finalmente, nei nostri dieci minuti di pausa, prendiamo i nostri cappotti e usciamo a prenderci una boccata d’aria.
«Oggi escono i voti per la ricerca! Sono così nervosa, Lee!» dice Veronica con voce stridula, mentre cerca di mettersi i guanti.
La osservo, tutta tremante, finché non riesce a infilare l’ultimo dito nel guanto.
«Non mi hai detto come è andata con Andy.» attacco con svogliatezza «Com’è venuta la vostra ricerca?»
«Bene. Sapevo che tuo fratello era intelligente, per questo spero di ricevere un bel voto.»
Per un minuto intero passiamo a osservare la lieve nebbia che proviene dalle nostre bocche.
So perfettamente che Veronica vede Andy solo come un mezzo per prendere voti più alti.
E come biasimarla: è come lo vedo anch’io.
Ma per me la cosa è molto più complicata: per ricevere l’aiuto di mio fratello devo aiutarlo a mia volta, se quindi voglio che Andy continui a fare i compiti per me, devo incastrarlo in qualche modo con Veronica.
Per questo ho accordato con lui che esattamente tra cinque minuti lui dovrà arrivare e chiederle di andare a fare una passeggiata, per poi andare a vedere il loro voto insieme.
Sono così geniale…
«Senti io vado via un attimo. Torno subito.»
No! Non doveva andare così!
Oh, era tutto così perfetto! Perché questa Barbie da due soldi deve sempre rovinare tutto?
Fermala, dannazione!
 «Aspetta, Viv!» Le prendo un braccio, mentre cerca di allontanarsi.
Lei si volta confusa.
«Cosa c’è?»
«Resta qui, ti prego… Mi annoio da sola.» sparo la prima scusa che mi passa per la mente.
Le lascio andare il braccio, e lei si ferma.
«Ma devo comprare le sigarette!»
Sigarette? Sono molto sconvolta e confusa…
«EH? E tu da quanto fumi?»
Non faccio in tempo a ricevere una risposta perché Veronica s’incanta a guardare qualcuno che sta camminando verso di noi.
Oh, grazie al cielo. Sono sicura che Andy salverà la situazione…
«Chi si rivede. Buongiorno, McEwitch!»
Oh no. Non può essere lui. Non lui.
Sebbene non riesca ancora a distinguere il volto per via della nebbia, so esattamente di chi si tratta. Solo lui e Clark mi chiamano McEwitch… Però Clark non ha l’accento bristoliano.
«Marc!» Non so dire se il mio tono sia solamente sorpreso o allarmato. So solo che suona molto, molto strano.
Quando finalmente il suo viso è riconoscibile, e Veronica e al limite della gioia, si avvicina a me in modo allarmante.
Il fatto di aver promesso a Marc che avrei detto tutto a Veronica quando sarebbe tornato non è stata una grande idea. Mi conosco abbastanza bene da sapere che non sono assolutamente capace di mantenere una promessa. In questi giorni ho cercato di evitarlo il più possibile ma lui non se n’è mai lamentato. Oggi, per qualche ragione, è venuto a cercarmi, probabilmente per chiedermi di andare a vedere i voti insieme.
Marc si posiziona davanti a me, mi mette le mani sui fianchi e si avvicina per baciarmi.
«Eeeeehiii.» Con grande velocità giro il viso dall’altra parte e lo abbraccio amichevolmente. Le sue labbra sfiorano appena la mia guancia, ma nulla a che vedere con il casino che avrebbe suscitato un bacio vero.
Mi stacco da lui, e posso notare la faccia totalmente confusa di Marc e Veronica, dietro di lui, che non sembra poi così sconvolta dal nostro abbraccio.
«Perché sei così affettuoso oggi?» Cerco di sembrare il più naturale possibile. Ma il mio tono di voce risulta davvero ridicolo. Il sorriso che cerco di mantenere è un misto tra una paralisi e un ghigno spaventoso.
Marc mi guarda per qualche secondo negli occhi, cercando di capire cosa mi stia succedendo. Si gira e vede Veronica che gli sorride come un’oca innamorata.
Quando poi si rivolge verso di me e dal suo sguardo comprendo che ha capito tutto. E so che non ne sarà contento.
La situazione, già di per sé imbarazzante, è aggravata dall’arrivo di Andy, dopo qualche secondo.
Ci saluta con entusiasmo:
«Ragazze! Lea! Veronica! E…»
Appena si volta e nota Marc il suo sorriso scompare del tutto.
«Oh. Ciao, Marc.» proferisce questa volta con il tono più disprezzante possibile. «Sei venuto qui per mia sorella?»
Ma che idiota!
So che il suo odio per Marc sia principalmente derivato dal fatto che Veronica ne è totalmente innamorata, mentre Andy è uno dei pochi a sapere che in realtà preferisce me… Però, diamine quanto è idiota!
«No, No, Andy.» gli sussurro, per evitare di sbraitare. «Era solo venuto per salutarmi. Cioè… per salutarci. Me e Veronica, tutte e due.»
Dopo aver guardato tutti, riprendo a parlare con il mio finto tono allegro:
«Non è fantastico, ragazzi? Siamo tutti e quattro qui!»
Io, mio fratello, il mio ragazzo, la mia migliore amica che è innamorata del mio ragazzo e della quale mio fratello è innamorato!
Io l’avevo detto che tutto stava diventando troppo stile soap opera…
Prendo Andy per un braccio, e bisbiglio in modo che nessun altro mi senta:
«Invitala. Ora o mai più.»
Sarebbe andato tutto bene, se Veronica non avesse parlato proprio in quell’istante:
«Marc, vuoi fare una passeggiata con me?»
Dannazione!
A quel punto io, Marc e Andy siamo tutti profondamente sconvolti e sconfortati.
«Ehm…» Marc fa di tutto fuorché guardare Veronica.
Continua a guardare me, cercando di capire se accettare o meno.
«Perché no?» dico io, sempre sorridendo, nascondendo il mio odio per me stessa per aver pronunciato quella frase.
Ma non potevo di certo lasciare che Marc dicesse di no a Veronica, e che poi fosse Andy a invitarla un secondo dopo.
No. Sebbene sia sconfortante vedere Marc e Veronica allontanarsi insieme, so che è stata la scelta giusta.
Io e Andy rimaniamo immobili, mentre osserviamo le due persone che amiamo mentre spariscono nella nebbia.
«Ci stai mettendo decisamente troppo, Lea.» dice Andy all’improvviso.
Io non mi volto verso di lui.
«Sì, lo so.» rispondo secca.
«So che non è bello. Ma ho capito che togliere Marc dalla testa di Veronica sarà più complicato di quanto tu creda. E arriverà il giorno in cui dovrai scegliere tra loro due.»
Non sopporto quando Andy mi rinfaccia la verità. È come se qualcuno mi pugnalasse in pieno petto.
Come posso scegliere tra Marc e Veronica?
Di certo non posso continuare a fingere ogni volta che sono con Veronica, o a cercare di evitare Marc.
Semplicemente non posso.
Anche se tengo moltissimo a Veronica, non penso che riuscirei mai a rinunciare a Marc.
«Sì, Andy. Vedrò di decidermi.»
 


ANGOLO AUTRICE
Mi scuso per avervi fatto aspettare così a lungo, per giunta per un capitolo non esattamente entusiasmante.
Credo che la comicità sia un po' fiacca qui. Infatti questo capitolo sarebbe dovuto essere più lungo, ma ho deciso di dividerlo e di pubblicare la seconda parte la prossima volta. Non penso di avere altro da dire. E sì, perfino il mio Angolo Autrice è inutile in questo capitolo ahahahahahah.
Lasciatemi comunque tante recensioni e tanto amore :)
Baci e bacini,
Mel.

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Capitolo 18
*** Dieci ***


Sono nel corridoio della scuola, sono le quattro. Finalmente tra pochi minuti potrò sapere i voti che l’Annette ci ha dato per la ricerca.
Sono assolutamente in ansia, non tanto per la paura di ricevere un brutto voto, ma di riceverlo dopo che per la prima volta nella mia vita mi ero finalmente impegnata in qualcosa.
Continuo ad andare avanti e indietro. Nel corridoio non c’è nessuno oltre a me. Andy è rimasto al bar e non ho la più pallida idea di dove siano Marc e Veronica.
Avrei di certo cominciato ad annoiarmi se non fosse stato per dei passi sconosciuti.
Li sento arrivare dall’altra parte del corridoio. Veloci e rumorosi.
Sto per voltarmi per vedere di chi si tratta, quando sento qualcuno che mi afferra per le spalle. Per lo spavento lancio un urlo e mi volto, dando un violento strattone alle mani che mi hanno appena toccata.
«Ahi, Lea! Volevo solo salutarti!»
Guardo in faccia il mio assalitore. Non posso credere che sia ancora lui…
«Sam?»
Faccio un rumoroso sospiro.
Non posso credere che mi stia ancora appresso dopo tutto quello che ho passato.
Ho inventato la mia cotta per Brad, l’ho baciato, l’ho lasciato, e Sam ancora continua a essere il mio stalker?
Devo avere sbagliato qualcosa…
Inizio ad avviarmi lungo il corridoio, il più possibile lontano da Sam.
«Dove stai andando?» sento Sam che mi urla da dietro.
Poi sento i suoi passi che si avvicinano a me.
Ecco cos’ho sbagliato: sono sempre stata fin troppo gentile!
Disintegralo!
«Stammi a sentire, Samuel!» Mi volto di scatto verso di lui; Sam si blocca e mi guarda stupito, mentre io riprendo a parlare: «Non so come dirtelo in altro modo, ma questo tuo starmi sempre addosso mi sta dando davvero sui nervi! In poche parole mi sono seriamente stancata di te! Ho fatto di tutto per farti andare via, sono perfino uscita con tuo fratello, ed è stata una delle cose più disgustose che abbia mai fatto! Non è di per sé una bella giornata, quindi ora tu…»
«Aspetta, aspetta… Cosa?»
Sam mi fa segno con le mani di parlare più lentamente e la cosa mi irrita a tal punto che inizio a urlare:
«Devi smetterla di seguirmi!»
Sam spalanca gli occhi.
«Eh? Io mica ti ho seguita!»
«E allora cosa ci fai qui?»
«Te l’ho detto, volevo salutarti!»
«Non me la bevo neanche per sogno…»
Lo osservo per qualche istante con la testa leggermente piegata, per osservare ogni suo minimo movimento.
Abbassa le mani, prende fiato e apre la bocca per parlare:
«Lea, non mi piaci più ormai.»
Cosa ha detto?
Cioè, ho sentito male, vero?
Sto dormendo. Anzi, sono morta e sono in paradiso.
È l’unica spiegazione.
«Che hai detto? I-io non ti piaccio più?! Ho sentito bene?» chiedo in preda allo shock.
«Esatto.» risponde Sam con un sorriso.
Non ci credo.
L’ha detto veramente, non sto sognando!
Oggi, giovedì 26 gennaio, dopo tre anni, quattro mesi e ventisei giorni, Lea McEwitch si è finalmente tolta di dosso il peso più grande della sua vita!
Da domani tutti i libri di storia e calendari dovranno riportare questa data come “Festa Mondiale del rifiuto romantico.”
Amo la mia vita.
«Sam! È la cosa più bella che io abbia mai sentito dirti!»
Sono presa dall’impulso di abbracciarlo, ma mi rendo conto che la cosa mi riporterebbe al punto di partenza. Dopo aver conquistato questo traguardo devo stare attenta a non cadere in stupidi tranelli.
«Ecco, per la verità…» inizia a parlare Sam. «Devo chiederti una cosa.»
Nella mia testa tutti i miei neuroni stanno ancora ballando a suon di macarena per la felicità di questo momento. Io interrompo il loro balletto della vittoria per rivolgermi a Sam:
«Cosa?»
Sam si passa una mano tra i capelli, evidentemente in imbarazzo.
«È per Julia.»
Faccio un “Ah” prolungato, di quelli che si usano quando hai finalmente capito qualcosa.
Tuttavia, le mie supposizioni si sono finalmente confermate positivamente.
Il cuore nei messaggi ha finalmente una sua spiegazione.
«Lo sapevo che stavate insieme, tanto. Solo, non capisco perché non me l’abbiate detto…»
«Ehi, piano! Non stiamo insieme.»
La cosa mi stupisce. Ma d’altronde cosa mi aspettavo dalle due persone più disperate della terra? Julia si è appena lasciata con il suo storico ragazzo e Sam… beh, aveva me.
«Però lei ti piace?» chiedo incuriosita.
«Sì, ma non so cosa fare. Insomma, lei si è appena lasciata con Aaron e io…»
«Oh, Sammy!»
Scoppio a ridere, guardando in alto, mentre Sam guarda confuso la mia reazione.
«Se c’è una cosa che dovresti sapere – e sono sicura che ne sarai contento - » comincio a dire tra le ristate. «è che Julia ed io siamo due persone assolutamente diverse. E grazie al cielo, perché io non vorrei mai essere amica di una persona come me. Già sono insopportabile di mio… Quindi buttati, e vedrai che non te ne pentirai.»
Continuo a camminare lungo il corridoio, questa volta però Sam non mi segue.
«Grazie, Lea.» mi urla da dietro Sam, mentre io non mi fermo.
«È bello esserti finalmente amico.»
 
«Il quarto punto! Ce l’ho fatta!»
«Lea, hai detto qualcosa?»
Guardo Marc, rendendomi conto di aver pronunciato le parole ad alta voce.
Regola numero uno della Lista: mai parlare della Lista. Nemmeno se hai appena completato il punto “amicizie” e sei in vantaggio su tutti.
«Ehm, no niente.» chiudo, guardando dall’altra parte.
Marc mi lancia uno sguardo poco convinto, poi riprendiamo a camminare in silenzio.
Ci stiamo dirigendo finalmente a vedere quei maledetti voti.
La mia ansia sta salendo talmente tanto che ho paura di vomitare da un momento all’altro.
Marc ha fatto la sua passeggiata con Veronica che, fortunatamente, si è conclusa con il nulla. Poi è venuto a cercarmi, ed io, una volta realizzato che io e Sam siamo finalmente diventati amici, non ho saputo trattenermi dal sorridere ininterrottamente.
È da dieci minuti che Marc continua a fissarmi, cercando di capire perché sorrido.
Quando mi rendo conto che sta diventando lievemente imbarazzante, mi fermo e gli parlo finalmente:
«Cosa c’è?» chiedo, mentre anche Marc si ferma e si volta verso di me.
«Stai sorridendo come un’idiota da dieci minuti… Dovrei chiederti io cosa c’è!»
Non smetto di sorridere. Gli prendo le mani, generando un suo sguardo sorpreso.
«Perché» dico avvicinandomi a lui. «sono contenta di avere un ragazzo meraviglioso come te.»
Non so che mi stia succedendo. È come se fossi ubriaca.
Senza pensarci due volte do un bacio a  Marc, prendendogli il suo bellissimo viso tra le mani. Cerco di trattenere il bacio sempre di più, ma Marc si scosta all’improvviso.
«Anche se devo fingere che mi piaccia la tua amica perché tu non sei capace di dirle la verità?» dice, una volta che si è staccato dal bacio.
Mi rendo conto che era proprio questo argomento che volevo evitare.
Non so affrontare questa cosa, non voglio farlo. E Marc sta facendo tutto il possibile per farmi fare il contrario.
«Marc…»
Mi allontano da lui, consapevole di non avere nulla in mente da dirgli. Siamo ancora fermi immobili in mezzo al corridoio, senza anima viva che ci possa vedere.
«Mi dispiace, okay?» alzo la voce per sembrare più sicura. «Lo sai come sono, e non sono capace di mantenere le promesse. Non voglio parlarne in questo momento. Ora ti prego, andiamo a vedere questi maledetti voti!»
Sono riuscita a evitare l’argomento.
A volte, Lea Rosalie McEwitch, mi stupisco della tua genialità!
Con un modo di fare assolutamente violento prendo la mano di Marc e lo trascino lungo tutto il corridoio. Lui mi segue senza dire una parola.
Camminiamo fino alla nostra aula, dove tutti i miei compagni sono in piedi davanti al foglio dei voti.
Non trovo né Andy e Veronica né Julia e Sam, ma non me ne preoccupo; di certo arriveranno prima o poi.
La folla davanti ai voti è davvero impenetrabile, tanto che non riesco a vedere nulla.
Sto per buttarmi addosso alle persone stile giocatore di football, quando Marc mi afferra per un braccio e mi sussurra:
«Ho messo dei miei disegni nel progetto prima di consegnarlo.»
Lo guardo con l’odio negli occhi.
«Tu hai fatto cosa?!»
Fantastico. Il mio meraviglioso sei è andato perduto grazie al narcisismo di Marc.
Oh, ma perché deve succedere tutto a me?
«Dimmi perché l’hai fatto?» sussurro il più possibile. «Ci avevamo lavorato insieme. Era in nostro progetto, non l’accademia delle arti di Marc Richardson. Lo sai che ti dico? L’Annette li avrà odiati. Davvero, complimenti per aver contribuito alla mia bocciatura!»
Detto questo, lascio Marc alla suo senso di colpa e mi getto tra i miei compagni, come prevedeva il mio precedente piano.
Ed è difficile arrivare fino alla bacheca, perché le persone continuano a infiltrarsi da tutte le parti come ho fatto io. E sento gente che esulta, ma principalmente che piange dopo aver visto i suoi voti che non raggiungono nemmeno i gradi più alti del Polo Nord.
Dopo molte fatiche, raggiungo finalmente la lista dei voti. Mi ci vuole un po’ per scorgere il mio nome tra tutto quel lunghissimo elenco.
Alla fine lo trovo, dopo essere diventata strabica per riuscire a leggere la minuscola scrittura in cui è scritto.
 
McEwitch – Richardson: Isole Aran: Dieci.
 
Dieci?
Ma esiste veramente il numero dieci nella lista dei voti? Io credevo che fosse una leggenda metropolitana!
No, non può essere. L’Annette deve aver confuso due ricerche, deve aver preso quella di qualche secchione al posto della nostra…
Mi strofino gli occhi più volte per vedere se sto sognando.
La scritta rimane dov’è, con il “Dieci” al centro ben visibile.
Non ci posso credere!
Sento i fuochi d’artificio che esplodono dentro di me, mentre corro verso Marc.
«Allora?» mi chiede dopo aver notato la mia faccia pallida.
«Dieci.» dico respirando a malapena.
«Dieci?»
Nemmeno lui ci sta credendo.
Trovo il fiato per continuare a parlare.
«Sì!»
Senza nemmeno averci pensato, entrambi scoppiamo in stridule urla di gioia.
«Oh, Marc! Lo sapevo, i tuoi disegni erano magnifici!» dico, ignorando ciò che ho detto pochi minuti prima.
Dieci! Il numero del paradiso!
La mia media di geografia sarà salva per almeno altri vent’anni, ora.
Ed è tutto merito mio! Anche di Marc, ma lui ha contribuito di meno…
Inizio a saltellare e dalla felicità lo abbraccio, gettandogli le braccia al collo.
Poi qualcosa va storto.
Sono fin troppo euforica dal non rendermi conto di essermi avvicinata fin troppo a lui. Non riesco a contenere tutta questo entusiasmo e finisco per baciare Marc.
Lo bacio davanti a tutti e non mi rendo conto che c’è qualcuno che sta effettivamente guardando.
«Lea?!»
All’improvviso ritorno alla realtà. Stacco le mie labbra da quelle di Marc e mi volto a malavoglia per vedere il mio interlocutore.
Veronica è in piedi davanti a noi, immobile e pallida. Sulla sua faccia è stampata un’espressione sconcertata e inorridita allo stesso tempo.
Mi rendo conto che mi ha appena visto baciare Marc.
Ok, è la mia fine.
Scappa, Lea! Abbandona l’Irlanda e prendi il primo aereo diretto  per il  Messico!
Per una volta ignoro la stupida coscienza e decido di trovare una soluzione al più presto.
Ma la mia testa è a corto di scuse.
«Sai…» Non ho la più pallida idea di cosa dire!
Sono sconcertata, forse anche più di lei, dalla mia totale stupidità e mancanza di pudore. Non mi rendo nemmeno conto che ho ancora le braccia intorno al collo di Marc.
La mia coscienza aveva ragione: sono un’egoista.
«…è una lunga storia.»
Veronica si volta infuriata senza dire nulla e inizia ad allontanarsi sempre più velocemente lungo il corridoio.
«Veronica!» la chiamo a gran voce, ma lei mi ignora palesemente.
Sto per inseguirla per parlarle, quando mi rendo conto che sto abbandonando Marc senza dirgli nulla. Mi avvicino con calma a lui, che rimane immobile a osservarmi.
«Scusami se non sono la ragazza che speravi di avere.» gli dico malinconica.
«Stai zitta, sei perfetta. Ora vai.»
Marc mi incita con una mano ad andare a parlare con Veronica.
Gli sorrido smagliante e comincio a correre verso di lei, ma poco dopo mi blocco e ritorno verso Marc. Mi guarda senza capire.
Con un piccolo sorriso, gli accenno una breve frase:
«Ti amo.»
E riprendo a correre lungo il corridoio alla ricerca di Veronica.
 
La trovo in cortile, seduta su una panchina davanti a una fontanella con lo sguardo perso.
Non so se dovrei avvicinarmi o no.
Voglio scusarmi con lei, certamente; ma ho anche paura che possa essere infuriata con me a tal punto che non uscirò indenne da questa conversazione…
È sempre meglio rischiare.
«Viv?» inizio a parlarle mentre mi avvicino. Lei fa finta di non sentire, ma capisco benissimo che mi ha vista.
«Mi dispiace!» affermo con sincerità. «Hai ragione, avrei dovuto dirti che tra me e Marc c’era effettivamente qualcosa. Avevo solo paura della tua reazione.»
Ancora una volta, Veronica mi ignora.
Io continuo a parlare, sperando che mi risponda:
«Non ti biasimo se ora vorrai odiarmi. Sono stata un’egoista, ti ho mentito e me ne pento. Voglio solo che tu capisca che…»
«Non fa niente.»
Prego?
Veronica ha parlato sì, ha alzato lo sguardo e mi ha risposto. Con mio grande dispiacere ho notato che stava piangendo.
Ma, tralasciando tutto ciò… ho sentito male o ha detto che non fa niente?
«Come?» chiedo confusa.
«Non ti preoccupare, non fa niente. In un certo senso la colpa è mia non tua.»
Sento che ricomincia a piangere e io, presa dai sensi di colpa, mi siedo di fianco a lei sulla panchina.
«Oh, Viv. Non sai quanto mi dispiace.»
Senza che lei smetta di piangere, l’abbraccio più forte che posso e quasi mi metto a piangere anche io.
La sento parlare tra i singhiozzi:
«Perché tutti i ragazzi che voglio io non vogliono mai me?»
Io non oso risponderle. Ho un terribile groppo in gola e se solo dirò una parola le lacrime inizieranno a scendere anche dai miei occhi.
«Lo so che non sono esattamente carina.» riprende Veronica. «E come pretendo che qualcuno possa ricambiarmi? Qualcuno come Marc poi, che giustamente preferisce una persona fantastica come te…»
Mi stacco dal suo abbraccio. Prendendola per le spalle la guardo negli occhi.
«Non dirlo mai più!» la ammonisco con durezza. «Non so come tu possa pensare anche solo per un secondo di essere brutta, o che io sia una persona fantastica. Perché dai, nessuna delle due è vera!»
Noto che Veronica ha smesso di piangere, ma la sua faccia è ancora perennemente turbata.
«Vuoi sapere la verità?» riprendo il mio discorso, questa volta con più dolcezza. «Non ho la più pallida idea del perché Marc abbia scelto me! Insomma, sono una persona orribile con dei capelli altrettanto orribili. Sono egocentrica, invidiosa, insolente, capricciosa e anche stupida! Mentre lui è Mr. Perfezione! Com’è possibile che possa preferire me a te? È assolutamente inconcepibile! »
Veronica inizia finalmente a sorridere, rendendomi felice una volta per tutte.
«Sono disposta a lasciarlo perdere, se vuoi.» concludo. «Le amicizie prima di tutto, no?»
Veronica abbassa lo sguardo e io attendo con ansia lacerante la sua risposta.
Ci vogliono ben due minuti prima che riprenda a parlarmi di nuovo:
«No, non farlo. Mi sentirei solo in colpa. Un ragazzo come lui non capita ogni giorno.»
Sorrido a Veronica, contenta di quella risposta. Poi le porgo la mano:
«Amiche?»
Lei l’afferra e sorride.
«Amiche.»
Ci abbracciamo di nuovo; io sono al limite della gioia.
Sono contenta che finalmente si sia risolto tutto in bene.
Finalmente posso stare con Marc senza sensi di colpa e allo stesso tempo rimanere amica con Veronica.
Andy si sbagliava: non ho dovuto fare nessuna scelta, né rinunciare a nessuno dei due.
E questo perché Veronica è una persona meravigliosa, molto più di me.
Oh! Un pensiero maturo! Da quanto che non te ne sentivo fare, cara! 
Alla faccia tua, stupida coscienza!
Ecco di che stoffa è fatta una McEwitch…
Il tuo Messico può anche aspettare.


ANGOLO AUTRICE
Siamo tornati finalmente alle due settimane di stacco, in più con un capitolo più lungo del solito!
Applausi!!!
Dunque, con questo capitolo si conclude la story-line della specie di triangolo amoroso Lea-Marc-Veronica, per fortuna in modo positivo (circa).
Non voglio di certo fare spoiler, ma la storia è ancora lunga... Più o meno, perchè ho calcolato che mi mancano solo 10 capitoli alla fine D:
Non li ho ancora scritti tutti, ma ho già in mente come andrà a finire la storia ;)
Perdonatemi se trovate eventuali errori!
Ve amo <3
Mel.



 

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Capitolo 19
*** Il nono fratello ***


«LEEEAAAAA!!!! IL TUO RAGAZZO É QUAAAA!!!!!»
Mia sorella Hayden è davanti alla porta di camera mia, con il cerchietto e le antenne che le penzolano sulla testa, che mi indica il piano di sotto ripetutamente.
«Sì, Hayden. Adesso…»
«È QUAAAA GIÚÚÚ!!!»
«Sì, ho detto che ora…»
«QUAAAA!!!!»
Ormai succede così da mesi.
Marc è diventato, in maniera non del tutto ufficiale, “Il nono fratello McEwitch”.
Passa praticamente tutti i sabato sera qui da noi, se non ci sono i miei genitori.
Ogni volta che appare, i miei fratelli si riferiscono a lui come “Il ragazzo di Lea”, lo salutano strillandogli addosso e gettandosi per abbracciarlo, come delle stupide ragazzine davanti al loro idolo.
E ovviamente tutti loro stravedono per lui.
Anna, Laura e Hayden ne sono innamorate. Letteralmente.
Laura non fa altro che fare orridi disegni per lui, e quasi sempre Marc è rappresentato come un principe con una marea di cuoricini che aleggiano attorno a lui. In più continua a ripetermi, con fare arrogante, che quando diventerà grande e sarà diventata più carina di me, lei sposerà Marc.
Hayden invece è molto meno contenuta. Ogni volta che appare Marc impazzisce, come si è appena notato. Se non lo vede per un giorno intero si mette a piangere.
Per quanto riguarda Anna, lei è forse la sua fan numero uno.
Non posso dire niente su di lui: Marc è sacro e intoccabile, il suo unico amore.
Anche Mike e Ricky lo adorano, più che altro perché è l’unica persona più grande di loro che sono riusciti a battere nel calcio gaelico.
E sono sicura che se anche Irene sapesse parlare, in questo istante non farebbe altro che ripetermi quanto sia fantastico Marc.
Solo Andy è rimasto alla sua idea iniziale: non sopporta Marc e continuerà a farlo. Un po’ sono contenta che almeno lui non idoli Marc come un dio, perché sebbene mi faccia piacere che Marc sia così apprezzato dai miei fratelli, non capisco come lui, in meno di sei mesi, si sia guadagnato a pieno la loro fiducia mentre io ci sto tentando da tutta la mia vita.

«LEEEEAAA!!!» continua a strillare Hayden.
«Ho capito, ora scendo!»
Mi alzo dal letto scocciata, mentre Hayden si precipita giù per le scale.
Oggi è il compleanno di Marc. Poiché i miei genitori non sarebbero stati in casa stasera, i miei fratelli hanno insistito a tutti i costi per fargli passare la sera qui.
E, incredibile, quando ho spiegato la situazione a Marc lui ha accettato volentieri.
Insomma, chi mai passerebbe la sera del suo compleanno con i miei tremendi fratelli?
Nessuno, scommetto. Nessuno. Tranne Marc.
Mentre sono in procinto di uscire dalla mia stanza e dirigermi verso le scale, Anna appare davanti a me, con le braccia incrociate, sbarrandomi all’improvviso l’uscita.
«Cosa vuoi?» chiedo seccata, mentre cerco di uscire dalla mia stanza.
Anna mi blocca la strada.
«Perché non posso avere anch’io un ragazzo come Marc? Lui è TROPPO bello!»
La guardo male.
Anna alza la testa per sembrare intimidatoria, ma sfortunatamente è di almeno cinque centimetri più bassa di me, quindi finisco solo per scoppiare a ridere.
«Marc ha sedici anni, smorfiosa, e la ragazza ce l’ha già.» dico riferendomi ovviamente a me. «Tu puoi prendere Jeremy se vuoi.»
Finalmente riesco a scostarla ed esco a fatica dalla mia stanza.
Mentre sto per raggiungere le scale, sento Anna che mi urla da dietro:
«Jeremy ha un decimo della bellezza di Marc!»
«Arrangiati allora!»
Raggiungo la fine delle scale con  velocità.
Alla fine riesco ad arrivare al piano di sotto; vedo Marc in salotto che si sta ancora togliendo il cappotto.
Dei miei fratelli non c’è nessuna traccia; solo Mike e Ricky immobili sul divano mentre fissano come degli epilettici la televisione. Guardano il Trenino Thomas, quell’orrore di programma creato apposta per bambini estremamente stupidi, doppiato da ormai reietti dello show business come Ringo Starr e Pierce Brosnan.
Non posso credere che quei due abbiano i miei stessi geni…
Li ignoro e mi dirigo verso Marc che non mi ha ancora visto.
«Buon compleanno, Biondo!»
Lui mi nota e, facendo un sorriso smagliante, viene verso di me.
Spalanco le braccia come per festeggiare. Una volta vicino a lui lo abbraccio calorosamente.
Non faccio nemmeno in tempo  a dargli un bacio che sento le stridule grida di mia sorella:
«Marc!»
Anna si precipita velocemente da lui e lo abbraccia, mentre io vengo palesemente dimenticata.
Con le braccia incrociate e un’irremovibile espressione imbronciata, guardo Marc con severità.
«Non ti vergogni nemmeno un po’?» dico con leggero sarcasmo.
Lui fa un mezzo sorriso.
«Non è colpa mia se tutti mi amano incondizionatamente.»
È proprio questo il problema.
Tutti amano Marc: ragazze, ragazzi, bambini, adulti, anziani; sono tutti perennemente attratti da lui.
A volte mi chiedo come faccio a non detestarlo.
Pochi secondi dopo arriva anche Hayden, che si era nascosta in cucina per fargli una sorpresa.
Marc saluta anche lei, prendendola tra le braccia e facendola volare in aria, mentre Hayden strilla di gioia.
«Auguri, Marc!» urla Anna, ritornando a importunare Marc. «Ti voglio bene!»
Dio santo, sto per vomitare.
«Il Principe Azzurro!»
Eccone un’altra.                                                  
Mi volto per vedere che altra idea si è fatta venire in mente Laura questa volta.
Noto, con orrore, Laura posizionata alla fine delle scale, con un usatissimo costume da principessa che mettevo io quando avevo sei anni. Ha un diadema di plastica in testa, altrettanto malridotto, e due scarpe col tacco sicuramente rubate da mia madre, poiché sono il triplo del suo piede.
Con fare assolutamente ridicolo, Laura scende le scale atteggiandosi da signora. Sull’ultimo scalino perde apposta una scarpa. Marc si precipita lentamente a raccoglierla.
«Marc, per favore…» sussurro, tuttavia sorridendo.
Quel ragazzo mi farà impazzire, lo so.
Marc prende l’enorme scarpa che Laura ha finto di perdere. Rivolgendosi a lei, chiede:
«Mi scusi, bella signorina; è per caso sua questa scarpa?»
Laura non gli risponde, ma in compenso gli getta le braccia al collo e gli strilla nell’orecchio.
«Marc, sei il mio Principe Azzurro!»
A quel punto scoppio a ridere rumorosamente. Marc mi guarda e si mette a ridere anche lui.
Per i seguenti minuti, restiamo immobili e divertiti ad ascoltare le liti delle mie sorelle:
«Ehi, lui è il mio  principe!» s’intromette Anna all’improvviso.
«Non è vero!» urla squillante Laura, e abbraccia Marc ancora più forte.
«MIO MARC!» Hayden è di sicuro quella più convincente.
Tutte e tre si precipitano da Marc e continuano a fargli stupidissime domande:
«Marc, è vero che sono io la tua principessa?»
«NO, MIO!»
«Non è vero! Vero che lo sono io?»
«Stai zitta tu, sei troppo piccola!»
«Guarda che anche tu sei piccola!»
«MAAAARC!»
«Ragazze, siete tutte tre le mie principesse.» conclude Marc, sorridendo con dolcezza.
Io non faccio a meno di intromettermi.
«Ehm, ehm, scusatemi.»
Le mie sorelle e Marc si girano incuriositi, a guardarmi.
Andando lentamente verso di loro, inizio a parlare:
«Non vorrei rovinarvi l’atmosfera. Ma credo che qui l’unica principessa di Marc…»
Afferro, divertita, il finto diadema dalla testa di Laura e lo poso sulla mia.
«…sia io.»
Dopo aver concluso la frase, Laura lascia andare Marc e lui, totalmente felice , si avvicina velocemente a me.
Riesco finalmente a baciarlo, sebbene abbia come sottofondo il “Bleah” disgustato dei miei fratelli che ci stanno guardando.
«Ancora buon compleanno.» dico a Marc subito dopo il bacio.
Lui mi sorride, ma non dice altro. Ritorna a parlare dopo qualche secondo:
«Bene, Cenerentola.» Marc si allontana sempre di più da me e ritorna vicino alle mie sorelle. «Dato che non siamo ancora alla parte in cui tu perdi la scarpetta e diventi principessa… ora facci la cortesia di prepararci la cena, da brava servetta che sei.»
«Sì!» urlano in coro le tre bambine.
Anna, Laura e Hayden corrono verso il divano, vicino ai gemelli, mentre attendono tutti e cinque che Marc venga da loro per raccontare qualcuna delle sue meravigliose fiabe “da inglesi”.
«Davvero non ce la faccio ad odiarti.» affermo a Marc ridendo, una volta che siamo soli. «Anche se sei il peggior principe che abbia mai conosciuto.»
Mentre Marc si sta allontanando verso i miei fratelli, mi fa il suo ammaliante occhiolino.
«Ti amo anch’io, Cenerentola.»
Ci separiamo, entrambi con un sorriso stampato sulla faccia. Lui va dai miei fratelli, che sono ansiosi di continuare a stare con lui. Nel frattempo, io rivolgo tutte le mie attenzioni a pentole e fornelli.
 
Niente carne arancione questa volta. Per fortuna è andato tutto secondo i miei perfetti piani.
Dopo cena, le bambine hanno insistito tanto per far aprire i regali a Marc.
Sì, è ironico il fatto che da quando sono nati nessuno dei miei fratelli mi ha mai fatto un regalo di compleanno, e appena Marc è entrato nella loro vita abbiano rotto il loro maialino salvadanaio e sborsato i loro centesimi pur di regalargli qualcosa.
Come avevo previsto, hanno posizionato Marc sul divano, il più lontano possibile da me.
Anna è seduta di fianco a lui e alla sua sinistra invece ci sono i gemelli, stretti come non li ho mai visti.
Anna e Hayden sono sedute per terra. L’ultimo posto che è rimasto, cioè l’altro divano, è stato lasciato a me e a Andy.
La prima a portare il suo regalo è, indubbiamente, Laura. Si alza velocemente e si precipita in camera sua. Dopo qualche minuto è di nuovo tra di noi, con – sai che novità – un altro disegno per Marc.
«Questo è per te.» dice Laura, consegnando il suo disegno a Marc. «È più grande di quello dell’altra volta. E l’ho fatto con il carboncino come mi hai insegnato tu.»
Il disegno di Laura non è nient’altro che la sua ennesima rappresentazione di Marc come un principe, dentro un enorme cuore mostruosamente squadrato.
Il problema è che il suo è stato un disperato tentativo di ricopiare i disegni di Marc con il carboncino. È, per dirlo in poche parole, un orrido disegno in bianco e nero.
Marc ovviamente lo adora. Ringrazia Laura e le da un bacio sulla guancia, dopodiché la posiziona sulle sue ginocchia e riprende a riaprire i regali.
Laura mi fa la linguaccia. Smorfiosa.
Alzo gli occhi al cielo, e riprendo a guardare cosa i miei fratelli hanno regalato a Marc.
Anna gli ha dato una vastissima collezione di pennelli, mentre Hayden un piccolo lecca-lecca che deve aver trovato cinque minuti fa in uno scaffale della cucina.
Beh, è il pensiero che conta, dopotutto.
Dopo che tutti i miei fratelli hanno avuto il loro momento di gloria davanti a Marc, riesco finalmente a dire:
«Ora tocca al mio regalo!»
Marc mi guarda con gli occhi lucenti. Io gli passo la busta che tenevo nascosta da quasi venti minuti dietro la schiena.
Marc, senza pensarci due volte, strappa l’apertura della busta con calma.
Tira fuori due fogli, e li guarda senza capire di cosa si tratti.
«Cosa sono?» mi chiede Marc confuso.
«Biglietti aerei.» rispondo io, allegra. «Per le Isole Aran. E sono validi per tutto l’anno, in poche parole puoi usarli quando vuoi. Sono due, quindi se una mattina ti senti triste, vieni a chiamarmi e non ci penserò due volte a marinare la scuola e ad andare lì con te.»
Marc mi sorride calorosamente. Tutti i miei fratelli rimangono a bocca aperta.
«Grazie, Lea. È bellissimo.»
Vorrei alzarmi e andare vicino a lui. Vorrei baciarlo e dirgli quanto sia speciale per me.
Ma…ehi! Lui è Marc Richardson E se c’è una cosa che i miei fratelli sanno fare meglio di chiunque altro è portarmelo via all’improvviso.
«Marc, ora vieni a vedere i miei disegni?» piagnucola Laura trascinandolo per una manica della maglietta.
«No, no, no.» protesta Ricky. «Devi venire a vedere la medaglia che abbiamo vinto io e Mike a calcio settimana scorsa.»
Irene sceglie proprio quel momento per svegliarsi. Corro per andare a prenderla, mentre strilla a squarciagola.
I miei fratelli, dall’altra parte della sala, continuano a litigare su cosa debba vedere Marc in quel momento, tanto che non si accorgono che lui se l’è svignata per andare a parlare con me. Lo vedo mentre mi raggiunge in fretta.
«I tuoi fratelli sono fantastici. Ma terribilmente esasperanti.»
Faccio una risata divertita.
«Benvenuto tra i McEwitch.»
 
Un’ora dopo mi ritrovo seduta sul divano, mentre Marc è di sopra, a cercare di mettere a letto i più piccoli.
Niente più urla, niente più bambini, niente più fratelli. Solo io e il mio divano.
Credo di aver raggiunto il nirvana di cui parlava tanto Buddha.
Finalmente, dopo qualche minuto, sento qualcuno scendere le scale, e poco più tardi appare Marc che, al limite dello sfinimento, si siede di fianco a me sul divano.
«È dura la vita quando tutti ti amano.»
Lo guardo in modo cagnesco.
«È più dura quando tutti ti odiano. Fidati.» rispondo a mia volta.
Sto per alzarmi per andare a mettere a posto la cucina, ma improvvisamente Marc afferra la mia mano e mi ributta sul divano.
Un secondo prima che io inizi a protestare, Marc mi interrompe:
«Io non ti odio. Come la mettiamo adesso?»
Faccio finta di ignorarlo e mi dirigo nuovamente verso la cucina. Come mi aspettavo, Marc mi segue fin lì.
Per qualche secondo, non c’è altro rumore tra di noi, se non quello dell’acqua che scorre violenta.
«Vuoi venire a Bristol con me?» mi chiede a un certo punto.
Rimango senza parole.
«Oh, sì!» dico in preda all’entusiasmo. «Quando?»
«Tra una settimana. I miei mi ci portano per tre giorni dato che è il mio compleanno e hanno detto che posso andarci con chi voglio.»
Sono davvero felice ch me l’abbia chiesto. È da quando avevo sette anni che non vado in Inghilterra e ora sono veramente contenta di andarci con lui.
«Va bene!» rispondo contenta; e riprendo a pulire.
Marc continua a parlarmi, appoggiandosi al lavabo.
«Non vedo l’ora di farti conoscere i miei amici. E la mia famiglia. E poi c’è anche Heather…»
Mi blocco. Richiudo di scatto l’acqua e Marc mi guarda senza capire.
Non posso credere di essermi dimenticata di lei!
Heather… la bellissima e super sexy ragazza di Marc, nonché clone bionda e inglese di Vipera-Liza.
Non potrei odiarla di più, adesso.
«Heather?!» chiedo in preda allo shock.
«Ehm…Sì.» risponde lui, nuovamente confuso.
Lo guardo negli occhi per qualche istante. Poi capisco che non mi ha mai parlato di Heather da quando siamo andati alle Isole.
«Tu stai ancora con lei!» lo accuso, strillando. «Non ci posso credere! Tu…io…»
«Cosa? No, no! Assolutamente no!» si difende, urlando per farsi sentire sopra di me. «Ci siamo lasciati a novembre…cioè lei ha lasciato me.»
Rimango comunque ancora poco convinta, con lo sguardo indignato su di lui.
«Lei mi odia.»
«No, invece. Lea, tu non conosci Heather. Noi siamo davvero troppo amici. E lei è così dolce e simpatica, e…veramente fantastica! Non odierebbe mai nessuno.»
Resto ancora qualche secondo in silenzio, con le braccia conserte. Trovo il coraggio per fare una domanda a Marc.
«Marc,» quasi non riesco a respirare. «Sei ancora innamorato di lei?»
Lui sospira, e subito dopo mi risponde sicuro:
«No. Te lo giuro.»
Sebbene sia soddisfatta della sua risposta, riprendo a ignorarlo, come se fossi arrabbiata con lui. Gli credo, ma non sono comunque convinta che presentarmi alla sua ex ragazza sarà una buona idea.
«Verrò a Bristol con te.» concludo, mentre continuo a pulire. «Ma non sarò gentile con Heather solo perché TU sostieni che lei non mi odi!»


ANGOLO AUTRICE
Devo ammetterlo, mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo, soprattutto la prima parte. Volevo distaccarmi per un po' dalla trama, e fare un bel capitolo di passaggio.
E sono tornati i fratelli McEwitch! Ero stata così impegnata dal teen-drama che quasi mi dimenticavo dei miei personaggi preferiti... Per fortuna ho rimediato in fretta.
Per questo capitolo volevo mostrare il personaggio di Marc come "Il fratello maggiore amato da tutti", un po' ispirandomi a due libri francesi che adoro: "Il paradiso degli orchi" di Daniel Pennac, dove il protagonista Ben deve vivere con i suoi innumerevoli fratellini, ai quali ogni sera racconta storie pazzesche (ovviamente inventate) sulla sua giornata, per farsi vedere come un eroe da loro. E poi ovviamente "Oh, boy!" di Marie-Aude Murail, da dove ho preso l'ispirazione per il rapporto tra Marc e le sorelle di Lea - in particolare Laura - che corrisponde in pratica a quello che ha Bart con la sorellina Venise nel libro della Murail. Ho anche dato una piccola citazione: infatti, quando Anna dice "Lui è TROPPO bello", la battuta è identica a quella di Venise di "Oh boy!" quando afferma di voler sposare suo fratello da grande.
Se conoscete o avete letto questi libri, sappiate che vi adoro. Se invece non li avete letti... Che aspettate a farlo?!
I prossimi capitoli saranno ambientati a Bristol, dove purtroppo non sono mai stata... Quindi vedrò di arrangiarmi con ricerche su Wikipedia e di cavarmela da sola ;) Spero di riuscirci.
Sinceramente... sono conenta di come sia uscito il capitolo!
Fatemi sapere il vostro parere!
Mel.

   

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Capitolo 20
*** Bristol, Bristol ***


Devi stare calma, Lea. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Assolutamente nulla.
Sì, insomma, sei solo su un aereo che tra pochi secondi decollerà e tu ti troverai a tremila metri da terra, rinchiusa insieme ad altri centocinquanta sconosciuti che potrebbero benissimo essere dei famosi serial killer, senza alcuna possibilità di scappare e rassicurata solo dal fatto che ci sono due enormi eliche sotto le ali che ci tengono sospesi in aria…
Non c’è nulla di cui preoccuparsi. No?
Certo che c’è da preoccuparsi!
«Non ti ho mai vista così agitata.»
Marc è di fianco a me, che mi guarda divertito, mentre io tra poco impazzirò.
 «Ho solo una leggerissima ansia di volare! E ora smettila di sorridere.» lo ammonisco, mentre mi stringo sempre di più alla sedia. «Lea, non siamo neanche partiti.»
«Non posso avere un po’ di fobia di volare?!»
Dire che ho paura è davvero dire poco. Sono terrorizzata.
Avrò, sì e no, preso l’aereo due volte nella mia vita. E devo ammettere che è stato l’inferno.
Insomma, come si fa ad essere tranquilli, sapendo che sei su un veicolo volante al di là delle nuvole, che potrebbe precipitare con la più piccola tempesta?
Odio gli aerei, e odio l’Inghilterra. Non riesco ancora a credere di aver detto a Marc che sarei andata con lui a Bristol.
I suoi genitori hanno passato tutto il tempo in aeroporto facendo battute razziste sugli irlandesi, come “Lea, lo sai qual è la differenza tra un irlandese intelligente e un unicorno? Nessuna! Entrambi non esistono.”
Il peggio è stato quando si sono chiesti perché non ridevo.
E adesso mi ritrovo qui, su un aereo, nei primi posti della testa.
«Marc!» Non ci riesco proprio a stare calma. «Ti rendi conto che se l’aereo precipita, noi saremo i primi a morire?!»
Marc mi guarda come se avessi detto la più grande stronzata dell’anno.
Che c’è? Sono solo pronta a ogni eventualità.
«Rilassati, Bellissima.» dice, con lo stesso sorriso divertito di prima.
Non posso credere che l’abbia detto veramente.
«Non chiamarmi in quel modo.»
«Va bene, Bellissima
Vorrei ucciderlo in quell’istante, ma vengo purtroppo interrotta da una voce, direttamente dall’inferno:
«Buongiorno passeggeri, è il vostro comandante che vi parla. Vi informo che stiamo per iniziare il decollo in direzione di Bristol. Vi auguriamo un buon volo, e grazie per aver scelto Aer Lingus.»
No! Non può essere vero! Sta succedendo tutto troppo in fretta!
In uno scatto d’ansia e paura prendo la mano di Marc e la stringo forte. Almeno sono vicina a lui, pensa se avessi dovuto passare il volo in compagnia dei suoi genitori o di suo fratello, che per fortuna sono a qualche sedile di distanza.
I motori dell’aereo iniziano a fare rumore, mentre io sono al limite dell’esasperazione. L’unica cosa che riesce a darmi un po’ di calma è stringere la mano di Marc il più forte possibile.
«Mi stai facendo male.» commenta a un certo punto lui.
Totalmente imbarazzata, lascio andare la sua mano e gli chiedo scusa.
Subito dopo Marc riprende la mia mano e mi dice:
«Guarda che non mi stavo lamentando.»
Io, con un sorriso, riprendo a cercare di non avere un attacco d’ansia, tenendo ancora la mano a Marc.
Lui è forse l’unica cosa che mi permette di non impazzire in questo istante.
Sono davvero contenta per lui, so che non vede l’ora di tornare in Inghilterra.
L’ho capito qualche ora prima, in aeroporto, mentre facevamo colazione.
Io e Marc eravamo andati da Starbucks e, arrivati a ordinare il nostro caffè, avevo capito subito che la cameriera aveva qualche problema con l’inglese. Quasi stava impazzendo quando Marc, con il suo perfetto accento britannico le ha detto il nome da scrivere sul bicchiere:
«Marc. Con la c.»
La ragazza ha scritto in fretta. Marc mi ha subito detto a bassa voce:
«Detesto quando scrivono il mio nome con la k.»
I nostri caffè sono arrivati, e Marc, prendendo il suo, ha spalancato gli occhi, esclamando:
«Dev’essere uno scherzo.»
Quando finalmente ho letto la scritta e ho capito a cosa si stava riferendo, ho riso talmente tanto che quasi tutte le persone sedute ai tavoli si sono girate a guardarmi. Ho riso istericamente per qualche paio di minuti, mentre Marc era evidentemente irritato.
«Non vedo l’ora di tornare in Inghilterra.» ha borbottato, dopodiché siamo andati via, io cercando di trattenermi ancora dalle risate, e lui con il suo bellissimo bicchiere di caffè di Starbucks, con la scritta “Cark” sopra.
 
 
Una villa meravigliosa mi si presenta davanti.
«Benvenuta a casa Richardson!»
Sono letteralmente senza parole.
Mi ricordavo che fosse grande, ma non…così grande!
È come una di quelle ville inglesi ottocentesche che possiede la Regina. Anzi, una di quelle tipiche dei film horror da quattro soldi, quando la coppietta di turno è in macchina e finisce la benzina proprio in mezzo al bosco, e quindi va a chiedere di telefonare nella villa che farebbe piangere perfino Hannibal Lecter dalla paura.
Quasi quasi rimpiango la mia umile casetta a Réimse Wonders.
«Allora, Lea, cosa ne pensi?» mi chiede Laurence mentre sta scaricando i bagagli dalla macchina. «Non te la ricordavi, vero?»
«Insomma…»
Inizio ad avventurarmi al di là del cancello in ferro.
Tutti oltre a me si comportano normalmente; Marc e la sua famiglia si muovono velocemente nel cortile, diretti verso la porta principale, mentre io passo dieci minuti a osservare ogni singolo filo d’erba del giardino.
Il giardino della loro villa sarà grande quanto il piano terra di casa mia. Ha una decina di cespugli, un albero e perfino una piccola piscina.
«Lea?»
Alzo lo sguardo di scatto, per poi vedere Marc davanti alla porta principale che mi guarda impaziente.
«Cosa?» chiedo, senza comprendere.
«Vuoi entrare o no?»
Quanto sono stupida.
«Oh.» Con uno scatto di velocità mi lascio alle spalle il giardino stile Reggia di Versailles e corro velocemente dentro.
Manco a dirlo apposta, l’interno della casa è ancora più disgustosamente sfarzoso.
E non mi stupisco dei fregi alle porte o dell’enorme scalinata al centro della sala. Oh no, la cosa che mi colpisce di più è sicuramente il soffitto alto una decina di metri.
Guarda, guarda… sembra proprio una CAVOLO DI VILLA INGLESE!
Davvero, e io sono una che odia gli stereotipi… ma quando ci vuole, ci vuole: non avete proprio un minimo di originalità?
Credo che da un momento all’altro potrebbe tranquillamente sbucare fuori una signora con dei vestiti ottocenteschi e dai denti gialli che mi invita a prendere un tè e a discutere di gossip dell’ultimo minuto della tresca tra Enrico VIII e Anna Bolena.
Qualche secondo dopo in effetti sbuca fuori una donna (che per fortuna non ha vestiti ottocenteschi, né denti gialli), ma si tratta semplicemente di una vecchietta.
La donna sarà alta quanto un hobbit, ha dei perfetti capelli argentati e un sorriso smagliante.
Deduco che sia la nonna di Marc, Frances, che vive con loro a quanto mi ricordo, e che avrò visto l’ultima volta quando avevo ancora tutti i denti da latte…
Infatti, appena entriamo, saluta Jenny e Laurence, che la chiama “mammina”.
Quando poi saluta Marc, lui si volta verso di me e le dice:
«Nonna, ti ricordi di Lea, vero?»
La nonnina mi scruta attentamente con i suoi occhi chiari.
«Oh, sì!» dice dopo trentacinque anni di imbarazzo. «La ragazza dai capelli rossi, no?»
“La ragazza dai capelli rossi”? Che razza di soprannome sarebbe?! Come dire “la ragazza con due occhi.” Tutti hanno due occhi! E ci saranno altre due miliardi di ragazze che hanno i capelli rossi! Cos’è, dovrei sentirmi speciale ora, cara vecchietta-hobbit?!
Ovviamente non pronuncio nemmeno una di queste parole ad alta voce; anzi, le stringo la mano e dico:
«È un piacere rivederla dopo tutti questi anni…»
Frances mi guarda spalancando gli occhi, come se avesse appena visto un fantasma.
Che ho fatto adesso?
«Marc, la tua amica parla in un modo molto strano…»
Ci mancava pure questa.
«Signora,» cerco di spiegarmi meglio. «è solo il mio…»
«MARC, DI COSA STA PARLANDO? PERCHÉ LA TUA AMICA CONTINUA A SIBILARE*, NON AVRÁ QUALCHE RARA MALATTIA TRASMISSIBILE, VERO?!»
 …accento.
Poiché Marc capisce subito che la situazione sta degenerando, fa in fretta a prendermi per le spalle e a voltarmi verso la scalinata.
«Lea, vieni, ti faccio vedere la mia camera.» mi sussurra, trascinandomi via.
Guardando indietro, noto sua nonna che parla con Laurence, che cerca di calmarla dopo questo stupido inconveniente.
Maledetti inglesi.
 
La scala principale è più lunga di quanto pensassi. Infatti ho tutto il tempo di lamentarmi con Marc di quello che è appena successo.
Non posso credere che ci siano persone che ancora non riescono a capire gli irlandesi… l’epoca del terrorismo è passata, cari confratelli britannici, fatevene una ragione!
E la nonna di Marc sembra proprio quel tipo di persona che crede che l’Irlanda sia ancora una regione sottomessa al Regno Unito.
Arrivati alla fine della scalinata, seguo Marc nel corridoio a destra, per poi entrare in una porta doppia, ornata con gli stessi fregi che avevo visto all’entrata.
«Wow, è proprio come l’avevo lasciata…»
Appena entro rimango a bocca aperta. La stanza di Marc è quasi il doppio – che dico, è il quadruplo! – della sua mini-versione a Réimse Wonders.
C’è un magnifico letto matrimoniale in centro, più altri due letti ai lati, una scrivania di conchiglie vere, e perfino una parete dedicata interamente ai suoi disegni. Una portafinestra dà su un piccolo balcone che si affaccia sul giardino.
«È fantastica!» dico, esaltata. E lo penso davvero. Anche se ritengo che sia un tantino esagerata.
Ricordate quando avevo detto che la stanza di Marc in Irlanda mi era sembrata strana perché era fin troppo normale per uno come lui?
Ecco, qui è tutto il contrario. È fin troppo sfarzosa perfino per lui.
«Bella, eh?» Marc si avvicina alla parete, contemplando i suoi vecchi disegni. Avvicinandomi, mi accorgo che sono davvero magnifici, ancora più belli di quelli che ho visto fin’ora. Insomma, su quella parete c’è davvero il meglio del meglio di Marc Richardson.
«A proposito…» dice Marc all’improvviso, andando a cercare tra i suoi cassetti. «La nonna mi ha preso questa per il mio compleanno.»
Tira fuori una bellissima cornice, gigantesca e dall’aria molto cara.
«Forte…» commento. In realtà trovo che una cornice sia il peggior regalo che si possa fare a un adolescente.
«Aspetta. Deve ancora arrivare il pezzo forte» Marc appoggia la cornice sulla scrivania e, con un enorme sforzo la volta completamente.
Con sorpresa noto che c’è già un disegno nella cornice, uno di quei soliti di Marc, con la matita e il carboncino.
Riconosco subito i due soggetti. Siamo noi due. Io e Marc, in quello stesso giardino di casa sua, quando avevamo quattro o cinque anni. E c’è anche il nostro maialino-ermafrodita con noi.
Dico immediatamente a Marc che lo trovo meraviglioso.
Lui mi sorride dolcemente.
«Avevo pensato di metterlo al centro della parete.» afferma, provando a posizionarlo.
«Davvero? Ma occuperebbe metà dello spazio.»
«E allora? Ne vale la pena, no?»
Sono ancora fin troppo felice per provare a ribattere.
Dopo che entrambi abbiamo svuotato le nostre valigie, ci ritroviamo noi due insieme ad armeggiare con chiodo, martello, e un’enorme cornice dorata che ci ritrae.
Quando finalmente finiamo di attaccare il quadro alla parete, mi rendo conto che è stata davvero una pessima idea.
Già non sono pratica nel fai-da-te, ma inchiodare una cornice delle dimensioni di un t-rex a una parete già di per sé piena di cornici, è stata l’impresa più ardua della mia vita.
E infatti il risultato è un quadro incredibilmente storto e decentrato rispetto a tutti gli altri sulla parete.
«Fa schifo.» dichiaro.
«No, dai.» cerca di consolarmi Marc, anche se capisco benissimo che la pensa anche lui come me. «Dobbiamo solo rimetterlo a posto.»
Facciamo per staccare la cornice, quando sentiamo la voce di Jeremy dal piano di sotto che chiama Marc a gran voce.
«Marc! Terrie è qui!» urla Jeremy in continuazione.
Terrie? E adesso chi diamine è Terrie?
Senza dire una parola, Marc lascia andare improvvisamente il quadro, che per poco non cadeva a terra se non fosse stato per la mia incredibile presa scattante (tanto alla fine lo lascio cadere comunque. Provateci voi a reggere cinquemila chili di cornice da soli!)
Marc si precipita in fretta giù per le scale, io lo seguo incuriosita.
Quando finalmente raggiungiamo l’atrio, alla porta d’ingresso noto una ragazza. Non riesco bene a distinguerla, anche se posso vedere i suoi vestiti.
Indossa una gonna blu e porta un basco dello stesso colore sui capelli biondi tagliati a caschetto.
«Markie!» strilla la biondina, anche lei con un pesantissimo accento inglese, e abbraccia Marc. «Chuck me l’aveva detto che eri tornato! Ma quando sei arrivato?»
«Venti minuti fa.»
Marc lascia andare la ragazza, e io posso finalmente osservarla.
Bionda, corpo assolutamente invidiabile, sorriso bianchissimo, occhi grandi e azzurri che subito si rivolgono a me.
«Tu sei Lea, vero?» chiede, sorridente.
La ragazza si avvicina a me. Non mi domando nemmeno come faccia a sapere chi sono. Poiché io so benissimo chi è lei.
«Piacere.» Mi stringe la mano. «Sono Heather, anche se tutti qui preferiscono chiamarmi Terrie.»
 
 

*la “s” pronunciata “sh”, come se appunto sibilasse, è tipica degli accenti irlandesi.

 

ANGOLO AUTRICE
Sì, sì, sono passati due mesi e bla, bla, bla.
Lo so benissimo e mi scuso. Se avete dato un’ occhiata al mio account avevo lascito un avviso riguardante la mia assenza.
Ecco, sono stata un tantino depressa in questi giorni, perciò niente voglia di scrivere e/o fare altre cose. Spero che comunque questo capitolo vi sia piaciuto. Il prossimo arriverà tra due settimane, promesso :)
Grazie della vostra pazienza!
A proposito… tra quattro giorni è il mio compleanno!
Mel.

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Capitolo 21
*** I ragazzi di Heather ***


Uccidila, forza! Tirale un pugno, pugnalala a sangue, fa qualcosa, insomma! Ce l’hai lì davanti, è praticamente già morta, e tu stai ancora lì a fare quel tuo orrendo finto sorriso?! Hai a portata di mano una cornice grande quanto Godzilla, usala, maledizione! Puoi spaccarle i denti e poi usarli per farti una bellissima collana; pensa quanto ti invidieranno a scuola!
Se c’è una cosa di cui sono certa in questo istante è che dare retta ai propri istinti omicidi non è affatto una buona idea. E se proprio ce n’è bisogno, posso elencare anche i motivi:
  1. Se uccido Heather in questo momento, c’è un’alta probabilità che qualche testimone mi possa denunciare.
  2. Dovrei uccidere anche i testimoni a quel punto.
  3. Sono quasi del tutto certa che in Inghilterra sia ancora in vigore la pena di morte.
  4. Il sangue non va via dai vestiti
E poi d’altra parte Heather non sembra poi così male. Se ne sta lì a stringermi la mano e sorridere affettuosamente. Sì, forse un po’ troppo affettuosamente…
Quella ha in mente qualcosa, sicuro! Sei più stupida dei personaggi di Dawson’s Creek!
Ho detto che sembra gentile. Non che mi fido di lei.
Una volta che mi ha lasciato andare la mano, inizia ad attaccare discorso con me:
«Beh, alla fine ci conosciamo. Marc non fa altro che parlare di te!»
«Ma davvero?»
Dio, quanto vorrei tirarle un pugno in faccia!
«Oh, sì! E infatti mi chiedevo come sarebbe stato vederti dal vivo.» aggiunge allegra.
Ah sì? O forse quello che intendevi era: “Volevo solo vedere se eri più carina di me, per poi sbatterti in faccia in miei angelici capelli di granturco e i miei occhi color ghiaccio turchese.”?
Abbozzo un sorriso tirato:
«Beh, eccomi qui.»
Non faccio neanche in tempo a sentire la sua risposta, perché veniamo interrotte dal rumore della porta principale, che si spalanca.
All’inizio penso che Marc, in un orrendo atto di sadismo nei miei confronti, mi abbia lasciata da sola con Heather. Per fortuna, quando alzo lo sguardo, lui è ancora lì. In compenso però è apparso dalla porta un altro ragazzo.
Entra spalancando le braccia e urlando:
«Dunque Richardson è tornato!»
È anche lui – ovviamente – biondo, dovrà avere diciassette anni ed è parecchio più alto di Marc. La cosa viene fuori evidentemente quando i due si salutano abbracciandosi.
Dopo poco il ragazzone biondo saluta anche Heather con altrettanto affetto.
Poi si rivolge a me.
«Oh.» dice maliziosamente. «È la ragazza dai capelli rossi.»
Non commento nemmeno.
«Lea…» lo corregge Marc (grazie al cielo che esisti!). «E… Lea, lui è Chuck. Vive proprio qui accanto»
“Chuck” mi stringe forse fin troppo forte la mano. Io cerco di sorridere, sebbene in questo istante vorrei solo sprofondare sotto terra.
Mi sembra di essere in una di quelle feste di Natale con i parenti, dove gente che non hai mai visto in vita tua ti saluta con: “L’ultima volta che ti ho vista eri alta così!” e tu devi, a tuo malgrado, fingere di sapere chi sono.
«È davvero un grande piacere.» mi dice Chuck, che non mi lascia ancora andare la mano.
Oh, ma quanti ne devono arrivare ancora? Spero non…
«Chuck, hai visto Tony, per caso?» chiede Heather con la sua vocina allegra.
Ho parlato fin troppo presto.
Insomma, non mi darebbero fastidio conoscere gli amici di Marc, se solo fossero un po’ meno espansivi. Mi stanno praticamente trattando come se fossi un pezzo d’avorio.
Dopo qualche secondo, sento nuovamente la porta aprirsi.
No, ma dico, qui la gente non bussa mai?
Mi volto, e guarda caso, pare essere proprio quel Tony di cui parlava Heather poco fa.
Che ci crediate o no, è biondo anche lui.
 
Questa situazione è altamente al limite del normale.
Sono seduta in salotto, sono le cinque del pomeriggio e siamo in Inghilterra; questo significa solo un cosa: tè.
Premetto che già prima trovavo il tè disgustoso, ma adesso penso che lo odierò proprio a vita.  Su un tavolino al centro della stanza, si trovano i dolci più grassi e i biscotti più zuccherati che abbia mai visto, che Frances ha portato poco fa. Il tè è ancora in cucina in preparazione, almeno per adesso la mia salute è salva.
Io, Marc, Heather, Chuck e Tony siamo seduti tutti intorno al tavolo. Quei quattro stanno parlando ininterrottamente da un’ora. Nessuno, nemmeno Marc, sembra accorgersi che esisto. Continuano a parlare. E a parlare, ancora, ancora…
Da quanto ho capito dalle loro conversazioni, sebbene faccia parecchia fatica a seguire quattro persone che parlano con un accento inglese, conoscono tutti Marc da non meno di dieci anni. Chuck vive qui accanto, e lui e Tony sono fratelli.
Heather invece è ancora un mistero per me. È sicuramente quella che parla di meno, non mi ha ancora raccontato come ha conosciuto Marc, e sinceramente… non capisco nemmeno cosa ci faccia qui. Insomma, non sembra avere nulla in comune con il resto del gruppo. Chuck e Tony sono incredibilmente simili a Marc, mentre lei… è solo una dannatissima Mary Sue! Non fa altro che sorridermi, fare commenti sdolcinati o parlare del principe Henry e dei suoi cuccioli di cane.
Se il suo intento era farmi sentire una schifezza in confronto alla bellissima persona che è lei, non l’avrà di certo vinta.
La detesto ufficialmente, anche più di Liza.
Chuck in compenso è quello che mi sta più simpatico dei tre. È l’unico che cerca di inglobarmi un po’ nelle conversazioni, anche se poi si stanca di sforzarsi per capire quello che dico e riprende a ignorarmi. Oltretutto ho scoperto che il suo vero nome è Charles. Sì, Marc e i suoi amici hanno questi diminutivi che si danno esclusivamente tra di loro. Marc è Markie, Heather è Terrie, Charles è diventato Chuck, mentre Anthony, semplicemente Tony.
Tony è invece molto più timido di suo fratello, poiché parla esclusivamente con i suoi tre migliori amici, mentre io mi chiedo perché ci sto anche provando.
Niente, io semplicemente non c’entro niente con loro. Loro sono tutti e quattro inglesi, biondi, ricchi e bellissimi, mentre io sono quella che spinge la porta anche se c’è il cartello “tirare”.
«Allora, Lea…» sento Chuck rivolgersi a me.
Fa che non mi chieda se mi piace l’Inghilterra. Fa che non mi chieda…
«…ti piace l’Inghilterra?»
Ho parlato decisamente troppo presto.
«Ecco… qui è un po’ diverso da Galway.» concludo senza enfasi.
Chuck, incredibilmente soddisfatto della mia risposta, si rigira dall’altra parte e riprende a parlare con Marc.
Fantastico, il suo tentativo di inglobarmi un po’ nella conversazione è fallito miseramente.
«Ragazzi, vado a controllare il tè.» Heather si alza, ma invece di andare direttamente in cucina, si volta verso di me.
«Lea, vieni ad aiutarmi?»
Io la guardo male.
Cos’ha in mente adesso? Vuole uccidermi di là, in cucina, senza testimoni d’intralcio? Vuole inscenare un incidente con l’acqua bollente per togliermi di mezzo e avere Marc tutto per lei?
«Uhm… ok.» Mi alzo senza protestare, e la seguo in cucina. Marc e gli altri non sembrano nemmeno accorgersi di noi due.
Uomini.
Arrivate in cucina, Heather si mette subito a spegnere il fuoco e mi ordina di prendere le bustine di tè in un ripiano. Magicamente, sa alla perfezione dove si trova tutto l’occorrente. Mi chiedo quante volte sia stata qui.
Me la immagino ad andare a trovare Marc tutti i giorni e a passare serate con la sua famiglia, che ovviamente l’adorano.
Passo le bustine a Heather, che ne sceglie una accuratamente e la inzuppa nella teiera.
«Adoro l’Earl Grey.» mi dice spensierata, prendendo un’altra bustina. «Anche se il Queen Anne è proprio buono, lo ammetto. Ma l’Earl è sinceramente il più tradizionale.»
Non ho la più pallida idea di che cosa stia parlando. Fatto sta che siamo finalmente noi due da sole, e dato che ci sta mettendo decisamente troppo a uccidermi, è la mia occasione per parlarle.
«D’accordo, qual è il trucco?» le chiedo, estremamente seria.
Heather mi guarda senza capire.
«Di che cosa stai parlando?» domanda, confusa.
«Sei fin troppo carina e gentile con me, considerando che non hai nessun motivo per esserlo. Credi sia stupida? Che cos’hai in mente? Hai avvelenato il mio Dorian Gray, o come diavolo si chiama? Dimmi qual è il trucco.»
Heather per una volta mi guarda come rassegnata.
Adesso confesserà. Ho centrato in pieno.
«Io…» balbetta, in preda al panico. «…volevo solo esserti amica.»
Mi fa un sorriso sincero, che però non ha alcun effetto su di me:
«Ah! Non me la bevo neanche per sogno!»
«No, dico davvero! Non ho mai avuto tante amiche, almeno non ragazze. E siccome c’eri tu pensavo di avere finalmente un’occasione.»
«Perché mai vorresti essere mia amica?»
«Oh, perché sei così simpatica e bella. Inoltre non parli quasi mai. Sai, anche io sono molto timida a volte…»
Simpatica e bella? Ok, qui c’è sicuramente qualcosa sotto.
«E poi, sai,» continua Heather. «Anche il fatto che tu piaci così tanto a mio cugino…»
Un momento. Cos’ha detto?!
«Aspetta, aspetta.» la interrompo nel bel mezzo del discorso. «Tuo cugino?»
«Sì.» mi risponde decisa. «Marc è mio cugino.»
EH?
«Ma io credevo che tu… sì, insomma, che tu e Marc…» lascio la frase in sospeso. Heather mi fissa in attesa. Dopo qualche secondo di atroce silenzio, finalmente mi chiede:
«Che io e Marc cosa?»
Decido di non trascinare la conversazione oltre.
«No, niente.» concludo, anche se le cose che vorrei chiederle sono fin troppe.
Forse mi sono sbagliata io. Forse la Heather di cui parlava Marc e questa sono due persone diverse.
Ripenso alla foto in camera sua e ai ritratti… No, è decisamente lei.
Mentre mi sto per figurare un disgustoso incesto tra loro due, non reggo alla curiosità, e  le chiedo:
«Scusa, ma cugini in che senso?»
Heather, che stava portando di là la teiera, si volta.
«Nel senso che mio padre e suo padre sono fratelli.» risponde con ovvietà.
«Oh, quindi cugini cugini, non è solo in senso affettivo.»
«Oh, beh.» Poggia sul tavolo la teiera, dato che ha capito che la nostra conversazione sta andando avanti. «Siamo comunque molto legati. Io vivo a Londra, ma da qualche anno vengo qui molto spesso, mi piace Bristol. E Marc è come il mio migliore amico, adoro stare con lui.»
Sebbene non sia ancora riuscita del tutto a riprendermi dallo shock, riesco ad abbozzare un sorriso.
«Sì.» le dico in conclusione «Penso davvero che dovremmo essere amiche.» le dico.
Lei, ricambiando il sorriso con una gioia mai vista, mi invita a tornare in salotto.
D’altro canto, io non riesco proprio a pensare ad altro oltre a quello che ho appena scoperto da Heather.
Com’è possibile che siano cugini? Sì, si assomigliano, ma non l’avrei davvero mai sospettato.
Va  bene Lea, visualizza tutte le probabili opzioni:
      1. Incesto
  1. Heather mi ha mentito, solo per non farsi odiare da me perché vuole davvero essermi amica.
  2. Marc mi ha mentito per qualche strano motivo.
 
Sebbene quella di Heather sia molto più probabile, sono comunque dell’idea che sia stato Marc a mentirmi.
 
 
«Non capisco come fate a mangiare questa roba.» dico, prendendo un’altra patatina dall’involucro di carta. «È disgustoso.»
Il Fish & Chips potrà anche essere una specialità inglese, ma devono ammettere di non essersi nemmeno impegnati. Quattro patatine e un po’ di pesce impanato. Che gran fantasia.
«Ha parlato quella tutta Salmone & Birra.» commenta Marc.
«Beh, almeno siamo famosi per fare qualcosa di buono. Non solo per David Beckham, Mr Bean o i Beatles. »
Continuo a mangiare il pesce mentre osservo il tramonto. Sono seduta sul bordo del Bristol Bridge, il ponte sul fiume Avon, mentre Marc è davanti a me, che continua ad andare avanti e indietro per il ponte, mentre cerca di cogliere il tramonto in uno dei suoi disegni.
«Cos’hai da dire sui Beatles?» chiede indignato. «Sono la più grande band della storia.»
«Oh ma per favore! Un mucchio di canzoni su ragazzine in calore e sui loro trip di LSD. Gli U2 sono molto meglio.»
«Lo dici solo perché sono irlandesi.»
«No, lo dico solo perché almeno loro scrivono canzoni con un senso e con un inglese corretto.» Appena concludo la frase, affetto un altro pezzo di pesce. Mentre mi stava facendo vedere Bristol, Marc ha insistito per farmi assaggiare del Fish & Chips alle sette di sera, per poi bloccarmi sul ponte, perché era un occasione troppo bella per farsi sfuggire un paesaggio.
Ma d’altronde non mi dispiace stare qui seduta, mentre la gente mi passa davanti ignara, e osservo Marc disegnare.
Mi ricorda un po’ quando siamo andati alle Isole Aran.
Ah, dolci Isole. Sono a Bristol da quattro giorni e già mi manca l’Irlanda. Sarà anche un paese pieno di gabbiani, scogliere e clima terribile… ma è pur sempre Casa.
«Potrai anche odiare i Beatles.» continua Marc, tracciando il suo foglio. «Ma di certo non puoi odiare la loro Love me do
Credo di avere già in mente quello che sta per fare.
«Oh, no, ti prego…»
Un attimo dopo Marc si volta verso di me e inizia a cantare.
 
Love, love me do.
You know I love you.
 
Canta ad altissima voce e cerca di atteggiarsi da Beatles, facendo anche finta di suonare il suo disegno incompleto con il pezzo di carboncino come plettro.
È assolutamente ridicolo in questo momento, non riesco a smettere di ridere.
Tutti i passanti ci guardano male, soprattutto me, che ho lasciato cadere per sbaglio il mio Fish & Chips nel fiume dalle risate.
Marc comunque sembra non voler smettere.
 
I’ll always be true
So ple-e-e-aaase
 
«Non ti azzardare…» cerco di dire tra le risate. Ma è comunque troppo tardi: Marc conclude la strofa cantando il “Love me do” finale un’ottava sotto, esattamente come Paul McCartney.
A quel punto penso di morire dal ridere.
Marc, estremamente soddisfatto, ritorna a darmi le spalle e continua il suo disegno.
Io nel frattempo cerco di smettere di ridere a fatica. Quando finalmente  sono riuscita a calmarmi, riprendo a osservare il tramonto sul fiume.
Bristol è sicuramente una città fantastica, ma sinceramente sono felice di andarmene domani. Anche se c’è ancora una cosa che ho bisogno di sapere…
«Marc?» lo chiamo, mentre mi dà le spalle.
«Dimmi, McEwitch.» mi dice lui, senza voltarsi.
«Perché mi hai mentito su Heather?»
Cala un silenzio molto, molto, imbarazzante.
Marc si gira finalmente, senza mostrarsi troppo stupito.
«Di cosa stai parlando?»
«Del fatto che è tua cugina.»
Marc mi guarda scioccato. Sembra comunque essersi arreso all’idea di dirmi la verità, sebbene non abbia ancora parlato.
«Non è mai stata la tua ragazza… vero?» lo istigo ancora un po’.
«E va bene!» esclama Marc, rassegnato. «Ti ho mentito.»
«Fin lì ci ero arrivata anch’io. Voglio sapere perché.»
«Senti, è una lunga storia.»
«Dato che abbiamo così tanto tempo, che ne dici di raccontarmela?»
Marc sbuffa, ma comunque non parla.
«Guarda che non me ne vado da qui finché non me lo dici.» lo minaccio, mettendomi a braccia conserte.
«D’accordo!» risponde di nuovo. Dopo aver temporeggiato un altro po’, finalmente confessa:
«L’ho fatto per te.»
Questo davvero non me l’aspettavo.
«Per me?» chiedo, incredula.
«Speravo di farti ingelosire, almeno un po’. Per questo ti ho detto che Heather era la mia ragazza, volevo vedere se saresti stata gelosa. Non credevo che vi sareste incontrate davvero.»
Tutto quadra in effetti. Ma perché…
«Ma perché volevi farmi ingelosire?»
Marc prende un gran fiato prima di rispondermi.
«Perchmipcevi.»
 Lo guardo confusa.
«Eh?»
«Perché mi piacevi!»
Questa conversazione sta diventando sempre più inverosimile, man mano che si procede.
«Oh. Da quanto più o meno?»
«Non so. Sei anni.»
È decisamente inverosimile.
«Ma… Liza allora?» chiedo, nuovamente. Sono davvero decisa a scoprire tutto.
«Stessa storia. Sapevo che la trovavi insopportabile, e come darti torto, in effetti lo è.»
Non ci sto capendo più niente.
Tutte queste rivelazioni sono state così sconcertanti per me, che non so nemmeno cosa dire. Resto solo a fissare Marc a bocca aperta, cercando di assimilare il tutto in una volta.
«Allora, mettiamola così:» riassume Marc, vedendo la mia espressione sconvolta. «Mi piaci da quel tuo compleanno dei dieci anni, quando invece di spegnere semplicemente le candeline, poi ti lanciasti a peso morto sulla torta. Poi ti mangiasti tutta la panna che trovavi sulla faccia. Eri stata esilarante. Pensai che eri davvero fantastica. E ogni volta che ci vedevamo, finivo sempre per pensare la stessa cosa. Poi passammo tre anni senza vederci. Mi ero rassegnato all’idea di non poterti incontrare per un po’, quindi ho iniziato a uscire con altre ragazze, sperando di riuscire a dimenticarti. E invece sei mesi fa ci siamo rivisti e tu hai vomitato davanti a noi. È stato disgustoso, dico davvero, ma non riuscivo a smettere di guardarti comunque. Ti trovavo nuovamente meravigliosa. Così ho passato tre mesi cercando di farti ingelosire, ma tu sembravi comunque odiarmi. Hai anche iniziato a uscire con quel Brad Callaghan e allora credevo davvero di dovermi rassegnare, fino a quell’inaspettato sabato sera, che ci ha portati… beh a ora.»
Prendo fiato, anche se non ho detto una parola. Tutto questo parlare di me e queste rivelazioni sono fin troppe.
Cerco di parlare a Marc, che nel frattempo attende una mia risposta.
«Beh…» Mi alzo dalla mia postazione sul bordo del ponte e mi avvicino a lui. «è stata la cosa più dolce che mi abbiano mai detto, davvero. Penso sia per il fatto che mi trovo insopportabile da sola, che non credo di poter piacere a qualcuno così tanto. Ma grazie di avermelo detto.»
Gli do un bacio velocemente, poi gli prendo una mano, e insieme attraversiamo finalmente il ponte, godendoci la nostra ultima vista di Bristol.
«Solo una cosa.» intervengo dopo un po’. «Quelle ragazze con cui sei stato mentre io non c’ero… Scommetto che erano bellissime, bionde, alte e magre, e stravedevano tutte per te.»
«Oh, certamente.» risponde Marc. «Solo che loro…»
Passa qualche secondo prima che concluda la frase. Nel frattempo siamo arrivati alla fine del ponte.
«…non erano te.»
 


ANGOLO AUTRICE

SI ERA ROTTO IL COMPUTER!
Quindi prima di lamentarvi del mio ritardo, considerate anche questo fatto. In più ho dovuto rinunciare a due ore di studio per scrivere questo capitolo, poichè mi sentivo troppo in colpa.
Questo vi insegnerà a non fidarvi mai di me.
Comunque il computer ora è a riparare, intanto sto usando quello di mia madre, quindi spero di riuscire a pubblicare senza grande stacco. In più si sa che maggio per lo Studente Medio è l'Inferno, quindi abbiate pietà della mia povera anima.
Mel.

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Capitolo 22
*** Scambio di ruoli ***


Il 16 marzo è assolutamente un giorno da ricordare.
Perché? Semplicemente per il fatto che il giorno dopo è San Patrizio… e tutti sanno cosa vuol dire vivere il giorno di San Patrizio in una città irlandese.
Per questo il 16 marzo è così importante: perché è il giorno in cui dobbiamo prepararci psicologicamente a quello che affronteremo. Nazionalisti, ubriaconi, gente travestita da leprecauni, insomma, il peggio della feccia umana.
Per fortuna i miei genitori hanno rinunciato anni fa a obbligarmi ad andare alla sfilata dei carri in centro, mentre i miei fratelli più piccoli non sono ancora riusciti a scampare questa tortura.
Ma quest’anno il pericolo maggiore è un altro.
La nostra scuola ha da sempre questa orrenda abitudine di darci libertà nella settimana di San Patrizio. Spiegandomi meglio, per una settimana intera non siamo costretti a indossare  le divise e possiamo vestirci come ci piace.
Io sono anni che indosso jeans e felpe prese a caso dal mio armadio la mattina stessa, mentre ciò che mi diverte di più sono le ragazze che si vestono e si truccano come prostitute e pop star fallite, per poi ritornare una settimana dopo con le loro luride divise.
Quest’anno San Patrizio capita di domenica, perciò questo significa che la settimana dei vestiti liberi sarà incredibilmente lunga. Devo assolutamente prepararmi.
Non oso pensare alla mia scuola per una settimana come a un bordello di Chicago.
Alla fine dell’orario infatti mi precipito nel bagno delle ragazze per darmi una sciacquata alla faccia e prepararmi in anticipo alla mia successiva settimana da incubo.
Per mia immensa sfortuna sono arrivo nel momento più sbagliato per entrare in bagno, cioè mentre Liza e il suo gruppo di amiche stanno davanti allo specchio a sistemarsi i capelli e a ridere come delle oche.
Appena apro la porta e le vedo, sbuffo rumorosamente e mi dirigo verso un lavandino, sperando che liberino gli specchi al più presto. Sembrano non accorgersi nemmeno di me, poiché continuano a parlare senza problemi.
«Oddio, Liz!» sento strillare Blair Murphy, quell’odiosa della migliore amica di Liza. «Stephen Fury non riusciva a staccarti gli occhi di dosso oggi!»
«Blair, calmati.» dice Liza maliziosa. «Stephen è già fidanzato.»
«Beh, non penso che la sua ragazza sia bella quanto te.» ridacchia Blair di rimando.
Poi vedo Ellen Doramon, l’altra migliore amica, voltarsi verso di me, e parlare facendo finta di non accorgersi di me:
«Sapete chi altro è uno strafigo? Brad Callaghan!»               
Smetto di fingere di essere impegnata a lavarmi le mani e la guardo con sfida.
«Oh, Ellen, hai proprio ragione!» afferma Kaylee Pollock, l’ultima componente di quell’odioso gruppetto.
«Beh, ma sapete…» Liza fa una lunga pausa, dopodiché mi fissa nel riflesso sullo specchio. «…c’è chi è così stupido da farselo scappare alla prima occasione.»
Questo è davvero troppo!
«Se stai parlando di me, Vipera, potresti almeno girarti e dirmelo in faccia!» sbotto arrabbiata, avvicinandomi a lei.
«Oh.» Liza finge di essere sorpresa, dopodiché fa svolazzare la sua meravigliosa chioma scura voltandosi. «Scusa, non ti avevo visto.»
Certo come no…
«Comunque Liz ha ragione.» dice questa volta Ellen. «Perché diavolo non ti sei messa con lui? Sei forse cieca? Lui era pazzo di te!»
«Oh, lo so io perché l’ha fatto.» interviene Blair. «Ha solo aspettato che qualcuno di più bello, più ricco e più biondo come Richardson le facesse la corte solo per poi vantarsene con gli altri.»
«Questa è una grandissima stronzata!» urlo, questa volta davvero infuriata, mentre il gruppo di oche se la ridacchia. Liza interviene subito:
«Calmati, Pel di Carota. Nessuno sta insinuando che stai con Marc solo per farci invidia…»
«…ma se Liza non l’avesse lasciato perdere, tu di certo staresti ancora da sola in un angolo a piangere.» conclude Blair.
«Se proprio ci tieni a saperlo, Marc ti ha sempre trovata insopportabile!» dichiaro urlando in faccia a Liza. «Chiediglielo se vuoi.»
«Non credo che mi trovasse così insopportabile.» ridacchia lei con un sorriso malvagio. «Lo sai che mi diceva a volte? Diceva che tu eri l’unica ragione per cui odiava stare qui, e che ti avrebbe cancellato dalla sua vita se solo avesse potuto. Chiediglielo se vuoi.»
So che probabilmente sono bugie che mi sta raccontando solo per ferirmi, ma non riesco davvero a pensarla in questo modo. Perché mai Marc avrebbe dovuto dire quelle cose su di me? Se lo scopo era usare Liza per farmi ingelosire, perché parlarmi alle spalle in quel modo?
«Sei solo una grandissima stronza.» rispondo con disprezzo, per poi uscire senza dire nient’altro.
 
 
Ho già fatto qualche metro, quando sento dei passi raggiungermi.
«Lea! Dai, aspetta!
Mi fermo e mi volto a malavoglia. Quando finalmente vedo Liza raggiungermi, inizio a parlare scocciata:
«Cosa c’è ora?!»
Lei mi guarda come se fosse sorpresa di vedermi irritata.
«Senti, scusa, non volevo farti arrabbiare. Io e le ragazze scherziamo, lo sai.» mi dice calma.
Non ho capito… Liza mi ha appena chiesto scusa?
Prendo fiato e ribatto:
«Sai, Liza, un ragazzo che ammette di amare i musical e dice di essere eterosessuale è più credibile di te in questo momento.»
«Dai, parlo sul serio!»
Non credevo sarebbe mai successo…
Per una volta nella vita la mia più grande nemica ha avuto un comportamento umano? Cosa diamine le è capitato?!
«Ok, fammi capire… Mi stai chiedendo scusa?»
Spero vivamente che da un momento all’altro appaiano dei cameraman nascosti che urlino “Sei su Candid Camera!”.
Lo spero vivamente.
«Senti…» Liza fa un lungo sospiro prima di andare avanti. «Non è facile essere me, ok? Nemmeno a me piace fare la stronza a volte, però è questo il ruolo che devo avere. Ho anch’ io una reputazione e poi…»
«Non è facile essere te? Non è facile essere TE?!» la interrompo scandalizzata.
Liza mi guarda stupita, senza capire di cosa parlo.
Io prendo fiato e riprendo il mio sproloquio:
«Cosa diamine vuol dire che non è facile essere te? Cos’hai da lamentarti nella vita? Sei bellissima, popolare e potresti avere tutti i ragazzi che vorresti! Liza Fitzwilliam: la triste storia di una ragazza che ha tutto, ecco come dovresti chiamare la tua autobiografia! Hai assolutamente una vita perfetta, eppure te la prendi ogni singolo giorno con me. Che cosa dovrei dire io, allora?! Credi sia facile essere insultata per i miei capelli, o vivere con sette fratelli che non fanno altro che strillare e trattarmi male? Ma che problemi hai?!»
Io rimango con pochissimo fiato dopo aver gridato a sproposito.
Liza sembra essere calmissima invece.
D’accordo, la cosa sta leggermente diventando preoccupante.
«Ho una scommessa da proporti…» mi dice sorridendo.
«E cioè?» sbotto, sempre più infuriata.
Liza incrocia le braccia in segno di sfida e mi spiega:
«È la settimana di San Patrizio, no? Possiamo quindi vestirci come ci pare e piace?»
Io annuisco senza capire.
«Dunque questa è la mia sfida:» riprende Liza. «per una settimana intera ci scambieremo i ruoli, voglio dire che a scuola io farò finta di essere te e tu farai finta di essere me. Ci scambieremo i vestiti che dovremo indossare quella settimana e passeremo del tempo con i rispettivi gruppi di amici. Così vedremo chi ha la vita più difficile.»
La guardo strizzando gli occhi.
Ha in mente qualcosa, Ne sono certa. Vuole distruggermi dall’interno, vuole mettere le mie amiche contro di me o rubarmi l’identità.
Oh, ma insomma Lea! La storia con Heather non ti ha insegnato nulla? È sempre meglio fidarsi delle persone.
E poi ricordati che se lei volesse distruggerti dall’interno, puoi benissimo farlo anche tu. Tieniti stretti gli amici, e i nemici…
Ok, mi hai convinto.
«Che cosa si vince?» chiedo, adesso molto incuriosita.
«L’onore.»
«Passo.»
«Va bene!» sbuffa Liza. Poi abbassa la voce come per dare più enfasi alla sua proposta. «Allora la mia offerta sarà molto più succosa…»
Attendo con ansia la sua risposta.
«Chi resiste di più nei panni dell’altro avrà diritto a vincere un intero pacchetto di caramelle a forma di anguria.» termina lei.
Oh mio dio. Le angurie sono le caramelle che le rubai alla materna. La causa dei miei capelli tagliati. Il motivo del nostro odio.
Devo assolutamente averle!
Con convinzione le stringo la mano e accetto la scommessa.
«Un’ultima condizione…» dico senza lasciarle andare la mano. «Per un pomeriggio intero dovrai fare da babysitter ai miei fratelli. Ed io potrei…ehm…»
«…Curare il mio cane.» propone Liza.
«Prefetto.»
Finalmente sciogliamo la nostra stretta.
Povera, povera Liza. Non ha la più pallida idea di cosa le succederà.
Un giorno con i miei fratelli e finirà in manicomio.
Sorrido tra me e me.
Oggi inizia ufficialmente la caduta sociale di Elizabeth Fitzwilliam.
 
 
Mi dirigo a passo deciso lungo il corridoio.
Ho passato l’intero giorno di San Patrizio chiusa in casa a guardarmi film trash e a pensare a cosa avesse avuto in mente Liza nel propormi questa scommessa. Dopodiché il mio cervello non ha più retto e sono tornata a dormire.
Stava andando tutto bene. Fino a questo momento.
Non mi sono sentita così imbarazzata in tutta la mia vita. Tutti mi stanno guardando sconvolti. Chi mi conosce non riesce a credere ai suoi occhi. Mentre ogni singolo ragazzo mi sta fissando con la bava alla bocca.
Vorrei solo scomparire in questo momento.
Tu sei Liza. Ricordati che sei lei.
Giusto, devo essere Liza.
Prendendo fiato metto una mano sul fianco e riprendo a camminare, questa volta a testa alta, come se mi credessi la regina del mondo, appunto, come farebbe Liza.
I miei tacchi fanno un rumore pazzesco mentre continuo la mia sfilata lungo i corridoi.
Wow, non avrei mai immaginato che indossare dei tacchi, un top nero e una minigonna, e far sbavare metà della popolazione mondiale maschile potesse essere così divertente!
«Lea?!»
Mi appoggio sui tacchi, cercando di non cadere, e mi volto verso la voce che mi ha chiamato. Nel girarmi faccio svolazzare i miei capelli all’aria in modo assolutamente ridicolo. Appunto, come farebbe Liza.
Marc è davanti a me, che mi fissa come se fossi un orrendo alieno.
«Ciao!» lo saluto, più allegra che mai.
«Cosa…» balbetta confuso, senza togliermi gli occhi di dosso. «Cosa diamine ti sei messa?»
Io mi guardo i vestiti e la borsa firmata, le mie gambe quasi totalmente scoperte, e il top che mi copre a malapena l’ombelico.
Dio, sembro una prostituta.
«Oh, questo?» Fingo di essere stupita dalla domanda. «Beh… è una lunga storia.»
Quasi non riesco a parlare con tutti questi capelli in faccia.
Per sembrare più simile a Liza la mattina stessa mi sono dovuta lisciare i capelli con la piastra di mia madre. Sì, ci è voluta più di un’ora per lisciarli tutti, ed è stato molto, molto faticoso.
Il risultato sono dei capelli lunghi fino ai fianchi e così perfetti che non riescono a stare fermi un secondo. In pratica tutto l’opposto a cui ero abituata con i miei capelli.
Se devo essere del tutto sincera, questo look non mi dispiace. Sì, sembro la versione porno di Lindsay Lohan, ma dopotutto mi sento abbastanza a mio agio. Mi sento più carina, e avere le attenzioni di tutta la scuola è molto realizzante. Marc invece continua a fissarmi con gli occhi sbarrati.
Proprio mentre sto per spiegargli la scommessa che ho fatto con Liza, appare lei all’improvviso.
Appena la vedo non faccio a meno di trattenere una risata. Indossa la mia maglietta nera degli U2, i miei jeans a zampa di elefante (che con quelle gambe che si ritrova le stanno estremamente corti),  le converse più trasandate che sono riuscita a trovare.
Oltretutto non è truccata, il che mi fa rendere conto di quanto poco carina sia in realtà.
Ma la cosa che mi fa ridere più di tutti sono i suoi capelli.
Io ci ho messo qualche oretta per sistemare i miei, ma per lei deve essere stato una vero incubo. I suoi capelli sempre perfetti e lisci come spaghetti ora sono una massa inconsistente di ricci crespi e trasandati.
Sto per farci una battuta sopra (come farebbe Liza!), quando inaspettatamente la vedo rivolgersi esclusivamente a Marc:
«Ciao, Marc.» squittisce tutta allegra. «Ti siedi vicino a me oggi a pranzo?»
COSA?
Non so davvero chi sia più sconvolto tra me e Marc in questo momento. Lui mi fissa in cerca di spiegazioni, mentre io sono impegnata a fulminare Vipera con lo sguardo.
«Aspetta, Liza…» dico avvicinandomi a lei. «Questo non era nel patto.»
«Ok, si può sapere che diavolo sta succedendo qui?!» Marc passa velocemente lo sguardo da me a Liza, sperando in una risposta. Entrambe lo ignoriamo.
«Oh, sì invece.» ribatte Liza con indifferenza. «Io sono te in questo momento, ricordi? Devo passare del tempo con chi stai di solito, il che comprende il tuo ragazzo. Mi sembra logico, no?»
Quella lurida… AAAHRG!
Avrei dovuto immaginarlo! Vuole rubarmi il ragazzo? Perfetto! La mia vendetta sarà molto più crudele di quanto avessi programmato! Cara Vipera, la tua fine è assai vicina.
«Liza, posso parlare in privato con Marc un secondo?» le chiedo con un finto sorriso.
Non attendo neanche la sua risposta, e afferro Marc per un braccio trascinandolo via.
«Ora ti degneresti di spiegarmi qualcosa? Perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?» Marc è fin troppo irritato in questo istante per rivelargli che l’ho praticamente barattato per un pacchetto di caramelle.
Devo stare molto attenta.
«Senti…» inizio con calma, prendendogli le mani. «Devi farmi un favore, devi sopportare Liza per un po’. Ho fatto una scommessa. Non ti rivelo il premio, ma ti assicuro che è molto, molto alto. In pratica per una settimana…»
«Una settimana?» urla scandalizzato. «Io devo stare con lei tutto il tempo per una settimana?»
«Oh, dai. L’hai sopportata per un mese, puoi benissimo farlo ancora!»
Marc mi guarda poco convinto. In effetti anche io non sono per niente sicura di quello che sto facendo. Sono stata un’idiota ad accettare quella scommessa. Conoscendo Liza, avrei dovuto aspettarmi il peggio.
Ormai però questa barca è salpata con me all’interno e non c’è modo di farla tornare indietro.
«Ti prego, ti prego, ti prego!» dico con una vocina disperata.
«Va bene.» risponde Marc secco.
Gli faccio un sorriso smagliante e gli do un veloce bacio sulla guancia.
Mentre mi sto allontanando, mi volto di nuovo verso di lui, essendomi dimenticata di dirgli una cosa:
«Ah, e se Liza ti fa delle avance, tu hai tutto il diritto di rifiutarle.» faccio ironica.
Marc non sembra apprezzare la battuta, perché fa un sorrisetto abbozzato e mi saluta.
Dopodiché si volta e cammina lentamente verso Liza che lo aspetta sorridente.

 
 

ANGOLO AUTRICE
Gooooooooooodmorning Vientam!
Dunque ormai l'avete capito che in meno di un mese non riesco a pubblicare. Diciamo che ho la sfiga più grande del mondo: non ho un computer che va, nè voglia di scrivere o fantasia in questo periodo... In più ho una bruttissima malattia di nome "vita sociale" che mi affligge le giornate da anni.
Quindi sì, queste sono le mie scuse per la 24245566565476543 volta. Ormai vi sarete anche stancati, deduco.
Comunque oggi ho scoperto che sono stata promossa senza debiti, e per questo ho deciso di festeggiare pubblicando!
Purtroppo avrò delle vacanze molto impegnative. Tra una settimana andrò dai miei nonni in Puglia, dove l'esistenza del wi-fi è ancora da scoprire. E subito dopo parto per Oxford dove dubito potrò portare il computer.
Quindi sì, mi dispiace ma dovrete aspettare ancora un po' per scoprire il seguito di questo "avvincente" capitolo.
Vedrò di scrivere in fretta nel frattempo.
In ogni caso vi auguro delle bellissime vacanze e tante giornate di sonno!
Che la pigrizia sia con voi,
Mel.

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Capitolo 23
*** L'ape regina ***


Blair Murphy continua a fissarmi con odio mentre mi siedo davanti a lei. Ellen e Kaylee invece semplicemente si guardano imbarazzate. Io faccio del mio meglio per sorridere.
«Ehilà…» dico, salutandole indecisa.
Le tre ragazze mi fissano, senza sapere cosa dire.
Finalmente mi posiziono, cercando assiduamente di mettermi a posto la gonna, e intanto mi guardo intorno.
Mi trovo al tavolo con le tre migliori amiche di Liza, mentre lei se la sta spassando al tavolo degli strani, insieme a Clark, mio fratello, Veronica e Julia, e (diaminequantoladetesto!) Marc. Non poteva esserci giornata peggiore.
Mi siedo il più composta possibile, dopodiché, sistemandomi nuovamente i capelli e sorridendo, mi rivolgo alle mie tre amiche temporanee.
«Allora…» faccio, fin troppo allegra. «Come va?»
Data la banalità della domanda, Kaylee e Ellen si guardano con aria interrogativa. Blair invece, vedendo che le altre due si trovano in stato confusionale, decide di rivolgersi esclusivamente a me.
Si appoggia sui gomiti e si avvicina ulteriormente a me.
«Non per essere scortese…» comincia, sussurrando. «Ma perché sei qui?»
Io la guardo stupita. Certo, Liza non le ha detto nulla della scommessa. Ma d'altronde neanche io ne ho parlato con Julia e Veronica. Inizio a immaginarmi come deve essere stato per loro due trovarsi al tavolo insieme a lei all’improvviso.
Probabilmente si devono essere sentite esattamente come quando quelle ignare persone nella sala del loro cinema scoprirono che Dart Fener era il padre di Luke Skywalker…
«Oh, beh…» cerco di rispondere a Blair, senza fare troppi giri di parole.
Le spiego della scommessa velocemente, e anche Ellen e Kaylee sembrano ascoltarmi, totalmente prese dalle mie parole.
Una volta finito il mio breve discorso, vedo che Ellen si guarda fugacemente intorno, come ad accertare che non ci sia nessun altro in giro.
Poi, rivolgendosi a me, sempre sussurrando come Blair, mi chiede:
«Ho capito bene? Tu per una settimana prenderai il posto di Liza?»
Io annuisco decisa.
«Oh, finalmente! Non la sopportavo più ormai!» esclama subito dopo.
Io rimango attonita da quella reazione. La migliore amica di Liza non la sopporta? Ma allora non sono io che sono anormale!
«In che senso, scusa?» chiedo, cercando di sorride.
«Beh, sai.» Questa volta è Blair a parlare. «Liza è un tantino… egocentrica. Vuole che parliamo sempre di lei, cose così…»
«E poi l’hai vista?» riprende Ellen. «Insomma, non riesce a stare quarantotto ore senza flirtare con qualcuno…»
«E poi è così antipatica, non le va mai bene nulla!» interviene subito dopo Kaylee.
Io rimango ad ascoltarle, cercando di non risultare troppo sconvolta.
«È ossessionata da sé stessa…» continua Kaylee.
«È convinta di essere la regina del mondo…» risponde Ellen.
«Ed è una grandissima stronza.» conclude Blair con enfasi.
Io non faccio a meno di sorridere a quel punto. Questa giornata non è poi così orribile come credevo fino a un minuto fa.
«Te lo voglio dire:» riprende a parlare Blair, con un sorriso onesto. «Sono davvero contenta che ci sia tu a questo tavolo e non lei.»
Mi sento tremendamente lusingata a quel punto della conversazione.
«E poi?» cerco di informarmi di più, senza risultare troppo impaziente. «Che altro fa Liza?»
Blair sorride maligna e riprende:
«Si imbottisce così tanto il reggiseno con la carta igienica del bagno, che una volta le è caduto un pezzo sotto gli occhi di tutti, e per non destare sospetti ha fatto finta di soffiarsi il naso.»
A quel punto scoppiamo tutte e quattro a ridere.
Sto per chiedere ancora, per sapere altri segreti imbarazzanti su di lei, quando Kaylee mi interrompe:
«E tu cosa ci dici, ad esempio, di Veronica?»
Io rimango a bocca chiusa. Dove vuole arrivare?
«Lei… è ok.»
«Oh, andiamo!» esclama Ellen ridendo. «Ci deve essere qualcosa che proprio non sopporti di lei!»
«Beh ecco…»
«Insomma, ma cosa si mangia per avere quelle gambe?» ridacchia Kaylee.
«Scommetto che non le entra nemmeno una XXL»
«Per non parlare dei suoi voti. Deve avere il cervello di un piccione.»
Certo Blair, come se i tuoi voti fossero migliori dei suoi.
Le tre ragazze mi guardano impazienti.
Vogliono che dica qualcosa di imbarazzante su Veronica, come loro hanno fatto con Liza.
Questo pugnalarsi alle spalle tra migliori amiche sta risultando un tantino cattivo. Ma d’altronde un piccolo segreto per il solo gusto di farsi una risata non farà tanto male, no?
«Ecco, lei…» incomincio, sentendomi sempre più infame. «Veronica una volta è dovuta andare al negozio per taglie forti, perché non le andava un vestito.»
Loro scoppiano a ridere all’istante. Io invece ci metto un po’ prima di lasciarmi alle spalle l’estremo tradimento che ho appena fatto nei confronti di Veronica.
In questo istante Giuda e Bruto staranno già registrando i miei dati per il pass d’entrata al Club dei Traditori di Serie A…
Mentre cerco di ridere a bassa voce, sposto lo sguardo proprio su Veronica, a due tavoli di distanza. Mi sorride e mi saluta con una mano.
Io faccio finta di niente e riprendo a ridere, distogliendo lo sguardo.
«E ora…» dice Ellen, dopo aver finito di ridere. «Che cosa sai su Julia?»
 
 
Dopo solo cinque giorni nei panni di Liza, penso di essermi conquistata a pieno il titolo di “ape regina” della scuola.
Certo, ho parlato sì e no due volte con Marc in tutta la settimana, e ora sarà molto imbarazzante spiegare a Julia e Veronica come facciano le tre migliori amiche di Liza a sapere tutte quelle cose imbarazzanti su di loro…
Forse mi sono lasciata un po’ prendere la mano, lo so. Ma non riesco a odiarmi, davvero.
Anzi, non penso di essermi mai divertita tanto quanto in questi giorni. Per un po’ mi sono liberata della mia vecchia vita, ho rifiutato tre inviti al cinema e sei al bar da nove ragazzi diversi nello stesso giorno, ho scoperto che lo shopping non è poi così terribile, che Blair, Ellen e Kaylee, sono sì stupide, ma anche molto divertenti, e che fare la stronza, senza fingere di essere una brava persona, è il passatempo più bello di sempre…
Se avessi saputo prima che Malefica, Crudelia DeMon e Ursula si divertissero tanto, da piccola non avrei sprecato soldi a comprare costumi di quelle maledette principesse hippy.
È venerdì, e questo significa che da domani ritornerò a essere la solita e vecchia Lea.
Mi chiedo come se la sia passata Liza in questi giorni. Da quanto mi ha raccontato Marc, è stata quasi sempre appiccicata a lui, il che non mi stupisce molto.
Non penso che Marc sia stato molto contento di questa settimana. Mi sta osservando da dieci minuti, con quello sguardo da “sei una persona orribile” che ho sempre odiato.
Chiudo il mio specchietto e gli sorrido smagliante, fingendo di non notare il suo sguardo di rimprovero.
«Marc, hai degli occhi bellissimi, e sai che li adoro. Ma se continui a fissarmi mi farai sentire in imbarazzo.» dico, con tono sdolcinato.
Marc si guarda prima intorno, osservando per un attimo tutte le persone nel corridoio che ci passano davanti.
«Ti prego, dimmi che da lunedì ritornerà tutto normale.» dice, quasi sussurrando.
Io sospiro, e cerco di tranquillizzarlo:
«Ovviamente. Io tornerò al mio posto e Liza al suo, e tutto sarà come prima…» Pronuncio quelle parole con una finzione degna di nota. «Quasi tutto.»
Marc sembra turbato.
«In che senso “quasi”?»
Io gli sorrido ancora di più.
«Oh, beh, sai Blair mi ha fatto notare quanto io stia bene con i capelli lisci, così ieri sono corsa a comprarmi una piastra, almeno non dovrò più usare quella di mia madre, poiché mi ha detto che usare le piastre in comune rovina i capelli… E Ellie mi ha detto che trova che il mio corpo sia fantastico e mi ha consigliato di vestirmi così più spesso!»
Continuo per un altro po’ il mio discorso, malgrado lo sguardo duro di Marc non cambi per niente. Quando noto finalmente che non sta ascoltando una parola di quello che sto dicendo, gli chiedo, con tono più serio:
«Puoi spiegarmi qual è il problema adesso?»
«Ti ascolti almeno quando parli? Sembri una persona diversa!»
Io alzo lo sguardo in segno di sfida.
«In che senso scusa?»
Marc prende fiato e si prepara a farmi un lungo discorso:
«Una settimana fa non ti saresti mai preoccupata della cura dei tuoi capelli!» inizia, alzando sempre di più la voce. «Non saresti mai corsa a fare shopping di cose inutili. E, per l’amor di dio, chi diamine è Ellie?!»
Io lo guardo scandalizzata, come se mi avesse chiesto la domanda più stupida di sempre.
«Ellie, è Ellen!» rispondo con ovvietà. «Ci diamo questi soprannomi, tra noi BFF, ho anche il braccialetto con le loro iniziali!»
Alzo il braccio destro per mostrarglielo.
A quel punto Marc sembra fuori di sé.
«Lo vedi? Ti sei trasformata in un clone di Liza!» mi urla in faccia, sconvolto. «BFF? Braccialetti con le iniziali? Erano cose che andavano di moda in seconda elementare!»
Io inizio a irritarmi sempre di più. Sto per ribattere, ma Marc mi interrompe prima che io possa aprire bocca:
«Lo sai che ieri sera Liza mi ha chiamato per invitarmi al concerto di Billy Idol?»
Io rimango a bocca aperta, scioccata e infuriata.
«Che cosa?!»
Come ha osato! Maledetta, maledetta Vipera! Non fa niente per anni e poi si permette anche di provare ad avvicinarsi all’amore della mia vita! Lei non lo conosce come lo conosco io, e di sicuro non lo ama quanto lo amo io!
«E come diavolo ha fatto quella stronza ad trovare i biglietti per il concerto di Billy Idol?!» esclamo, in preda alla rabbia.
Sto per scagliarmi alla ricerca di Liza, per urlarle contro come ha osato comprare ben due biglietti per vedere Billy Idol, mentre io, che aspiro ad andare a un suo concerto da anni, ho trovato tutto esaurito dopo un minuto.
Sento però che Marc sta ricominciando a infuriarsi contro di me, e mi blocco.
«Oh, mio dio! Ma almeno te ne importa ancora qualcosa di me? O di Veronica, o Julia?» Continua a puntare i suoi occhi arrabbiati su di me, mentre io cerco in tutti i modi di filarmela al più preso.
«Certo che me ne importa!» dico, cercando di addolcirmi un po’ di più. «Se non me ne importasse nulla di te non avrei rifiutato tutti quei ragazzi che mi hanno chiesto di uscire! E m’importa anche di Veronica e Julia, lo giuro!»
Marc non sembra comunque essersi calmato.
«E allora come spieghi quello che è successo a Veronica ieri all’intervallo?»
Io lo guardo confusa.
Ok, ammetto di non parlare con Veronica da un po’, e di non averle chiesto nulla su cosa le sia successo ieri.
Chiedo a Marc spiegazioni, con sincera preoccupazione.
«Le tue care BFF, Blair e Kaylee, dopo aver visto Veronica uscire dal bagno, le hanno urlato “Dovresti fare più in fretta la prossima volta, i negozi per taglie forti non aprono fino a tardi”.»
Io rimango in silenzio. Marc mi guarda come se si aspettasse una specie di confessione da parte mia, ma notando che non apro bocca, conclude il suo discorso:
«Ha pianto tutto il giorno.»
A questo punto mi sento totalmente accusata ingiustamente.
«E allora? Perché io dovrei c’entrare qualcosa?» strillo a squarciagola, attirando le attenzioni di tutti gli studenti che si prostrano ad uscire dalla scuola. «Non è mica colpa mia se Veronica è grassa!»
Marc mi guarda a bocca aperta, completamente sconcertato.
«Lea, non posso credere che l’hai…»
«E invece l’ho detto!» lo interrompo, sempre urlando. Adesso sono io quella arrabbiata. «Sono stanca di dover sempre essere carina e gentile con tutti. Per una volta posso fare come mi pare, ed è una sensazione fantastica! Non mi dispiace essere al centro dell’attenzione ogni volta che passo per i corridoi, non mi dispiace parlare male delle mie amiche a mensa, e non mi dispiace nemmeno che tutti quei ragazzi volessero uscire con me!»
«Perché non l’hai detto subito allora?» Marc alza di nuovo la voce. Penso che sia la discussione più terribile che abbiamo mai avuto da quando ci siamo conosciuti. «Lo sai, mi ero innamorato della Lea che si gettava sulle torte di compleanno, che ha passato i quaranta minuti peggiori della sua vita su un traghetto con me, solo per farmi stare meglio. Quella Lea che si faceva apprezzare per quello che era, senza risultare falsa!»
«Scusa, stiamo parlando di me o di te? Perché credo che tu stia andando un tantino fuori tema!»
Marc si zittisce, senza sapere cosa ribattere. Io così ho tutto il tempo di calmarmi e di ribattere.
«Oh, ho capito qual è il problema adesso!» riprendo il discorso, con un tono più meschino di prima. «Se una cosa non va bene a te allora non può andare bene per nessuno, è così? Certo, perché tu sei Marc Richardson, Mr. Perfezione: quello che prende sempre bei voti a scuola, che ha l’accento aristocratico, che si può permettere ogni ragazza esistente sulla terra, e vive in una villa di quattro piani! E credi che tutto giri intorno a te, perché assomigli a Leonardo di Caprio e perché tutti ti ripetono ogni singolo giorno quanto tu sia fantastico, mentre noi altri comuni mortali dobbiamo essere sempre al tuo servizio, vero?»
Lui rimane a guardarmi in silenzio. Sembra ferito, eppure mi invita con lo sguardo a finire.
Io riprendo subito dopo:
«Ti dico la verità, Biondo: il mondo non gira intorno a te, le cose non vanno sempre a modo tuo. E la mia vita continuerebbe certamente senza problemi anche senza di te.»
Una volta concluso, mi volto velocemente senza dire nient’altro, e mi dirigo velocemente verso l’uscita.
Per la prima volta però, riesco ad odiarmi per quello che ho appena fatto.
 
 
Una volta uscita da scuola, non riesco a guardare in faccia nessuno. Mi dirigo velocemente verso la fermata dell’autobus, fermandomi un secondo alla fontana appena fuori dal cancello d’entrata.
Non riesco a credere di sentirmi uno schifo proprio adesso. Ho passato cinque giorni interi a  spettegolare su persone che nemmeno conoscevo e a parlare male delle mie migliori amiche senza il minimo rimorso. Ma appena dico qualcosa di cattivo a Marc, vorrei solo prendermi a schiaffi da sola?
Forse è davvero più importante per me di quanto credessi.
Adesso non sono del tutto certa che la mia vita continuerebbe tranquillamente senza di lui.
Osservo il mio riflesso nell’acqua della fontana.
Aveva ragione. In che diavolo mi sono trasformata?
Sospiro, raccolgo la mia borsa da terra e faccio per allontanarmi dalla fontana.
Non faccio in tempo a fare un passo, perché sento la voce di Stephen Fury, uno degli amici di Liza, urlarmi:
«Attenta a non cadere nell’acqua, McEwitch!»
Vedo Stephen e un altro ragazzo che vengono verso di me, e mi spingono violentemente verso la fontana.
Dopodiché, non capisco più nulla.
Cerco di alzarmi in piedi, con la fatica di una tartaruga che si muove dopo sette mesi di letargo.
Mi ritrovo fradicia, dalla testa ai piedi. Appena mi alzo in piedi, e mi ritrovo con le gambe immerse nell’acqua e i vestiti bagnati, capisco che è successo veramente.
Mi hanno appena buttata nella fontana.
Ho tutto il trucco sbavato, i capelli totalmente fradici e i vestiti che continuano ad appiccicarsi alla pelle. Siamo a marzo, e non fa molto caldo, ma il freddo è l’ultima cosa di cui mi preoccupo.
Ci sono una ventina di persone che mi osservano e che mi hanno vista cadere nell’acqua. Nessuno sembra essere preoccupato per me, o sembra volermi aiutare. Nessuno.
Stanno tutti ridendo, partendo da Stephen Fury e l’altro ragazzo che mi hanno appena spinta dentro, Ellen, Blair e Kaylee che si stanno quasi uccidendo dalle risate, e poi c’è Liza che sta proprio davanti a me, e mi osserva divertita.
Io riesco lentamente a uscire dalla fontana senza l’aiuto di nessuno. Non mi sono mai sentita peggio in tutta la mia vita.
Appena ci troviamo faccia a faccia, Liza mi dice, con tono beffardo:
«Oh, Lea, credevi davvero di essere diventata la nuova ape regina della scuola?»







ANGOLO AUTRICE
I'M BACK, BITCHES!
Ebbene sì sono tornata, finalmente. Dopotutto l'avevo detto che sarei mancata per un po'.
Adesso, non so come sia venuto questo capitolo. L'ho ricontrollato velocissimamente, perchè mia madre voleva che andassi a fare una versione al più presto e non mi ha dato il tempo di fare nulla, quindi se trovate qualche errore non odiatemi pls.
Ci metto tanto a scrivere lo so, perfino ora che non ho praticamente nulla da fare. Diciamo che ci tengo molto alle mie storie: scrivo solo su computer (mi rifiuto altamente di scrivere sul mio cellulare), non pubblico capitoli più corti di un tot di pagine e non ho nessuno che rilegge i miei testi, ma faccio tutto da sola (e badate che rileggere è una delle cose che odio di più al mondo)!
Eccovi, per farmi perdonare di tutto, una foto di me direttamente dal padiglione dell'Irlanda all'Expo, only for u:


Love, love, love.
Mel.
 

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Capitolo 24
*** Giornata fradicia ***


Guardo Liza confusa. Che cosa intende dire?
«Di cosa stai parlando?» riesco a balbettare, cercando di strizzarmi i capelli fradici. Mi sento terribilmente osservata.
Liza, e tutti i suoi amici dietro di lei, ridacchiano maligni.
«Sei davvero più stupida di quanto credessi. Era tutta finzione, lo capisci?» continua Liza, cercando di trattenersi dalle risate. «La scommessa, lo scambio, le storielle che le mie amiche ti hanno raccontato, gli inviti dei ragazzi… Faceva tutto parte del mio piano. Ero io che manovravo tutto.»
La fisso incredula.
Quindi non c’era niente di vero? Tutte le cose imbarazzanti che mi hanno raccontato le sue amiche su di lei, tutte le persone che credevo mi adulassero…
Nulla. Non c’era nulla di reale. Era tutta una trappola di Liza, nella quale io sono finita in pieno.
«Cosa?» chiedo ancora, implorando per delle spiegazioni. «Perché l’hai fatto?»
Liza si avvicina a me, e abbassa la voce per risultare più minacciosa:
«Per rovinarti la vita, ovvio. Nessuno si mette contro di me, e quando lo fa, la paga molto cara. »
Poi sorride un secondo, e riprende, nascondendo le risate, la spiegazione del suo diabolico piano:
«Ho fatto in modo che parlassi male delle tue amiche, e poi Blair e Kaylee hanno pensato a farglielo notare. E ho mandato da te tutti quei ragazzi per farti litigare con Marc. Quello non ha funzionato, ma tranquilla, ci hai pensato tu da sola…»
A quel punto vorrei strapparle gli occhi dalla quella sua maledettissima faccia.
Non ci posso credere! Come ho potuto essere così stupida?
Liza Fitzwilliam è una schifosa ed enorme stronza, non so neanche come ho fatto a pensare che anche solo una volta sarebbe stata carina come me.
Sto per urlarle contro i peggio insulti che mi vengono in mente, ma Liza e il pubblico che ci stava a guardare, se ne sta già andando.
Se ne vanno tutti, comprese Blair, Ellen e Kaylee che mi salutano ridendo di me.
«Vaffanculo, Liza!» urlo a squarciagola. «Non so nemmeno come ho fatto a credere che fossi diventata una brava persona!»
Ma non c’è nessuno ad ascoltarmi. Se ne sono andati tutti, lasciandomi da sola davanti alla fontana, con i vestiti che ancora gocciolano.
 
 
Mi dirigo infuriata verso la scuola, ignorando chiunque mi passi davanti, o che mi chieda spiegazioni per il mio aspetto fradicio.
Devo trovare Liza, a tutti i costi. Devo trovarla, romperle la faccia, ucciderla e mangiarmela per cena. Non penso che esista essere che odi di più al mondo. Dopo questi avvenimenti, è salita al primo posto nella mia lista nera, scalando di gran lunga Paris Hilton e Madonna.
Arrivo fino a davanti alla scuola durante la mia ricerca. Ci sono un sacco di ragazzi che stanno ancora uscendo, o che si sono fermati a chiacchierare.
Io parto con lo sguardo alla ricerca di Liza o di uno dei componenti di quel suo odioso gruppetto.
Dopo che per qualche interminabile minuto, non sono ancora riuscita a trovarla, faccio per andarmene, quando una voce familiare mi blocca:
«Eccola, la grande ape regina! Cosa ti è successo? I tuoi nuovi amici ti hanno spruzzato con l’acqua?»
Voltando lo sguardo verso di lei, trovo Julia e Veronica con le loro cartelle in spalla, che mi fissano con uno sguardo freddo di rimprovero, senza mostrarsi minimamente preoccupate per me.
Non ho neanche voglia di parlare con loro. Sono troppo arrabbiata, e discutere con Veronica e Julia mi farebbe solo infuriare ancora di più.
«Sentite ragazze, ne parliamo dopo. Ora…»
Cerco di passare tra loro due, ma mi bloccano la strada.
Capisco che sono davvero arrabbiate con me, e che non ho alcuna  via di scampo.
Sono finita.
Cerco di sorridere a malapena, ma entrambe non mutano il loro sguardo furibondo.
«Hai detto alle amiche di Liza del negozio di taglie forti, vero?» mi accusa Julia, incrociando le braccia per risultare più intimidatoria. «E hai anche detto loro di quando non ho lavato i miei jeans per un mese, e di quando Veronica e io ci siamo perse dentro la scuola?»
Io mando giù la saliva a fatica.
Sì, l’ho fatto, ma solo ora mi rendo conto di quanto infame sia stata. Dopotutto quel bagno nella fontana mi ha come risvegliata all’improvviso.
Adesso però chi ce la fa ad affrontare le conseguenze?
«Mi dispiace.» sussurro, con sincero pentimento. «Davvero, all’inizio era solo per divertimento…»
«Divertimento?» Julia pare quasi scandalizzata. «Tutta la scuola ci sta prendendo in giro adesso, Lea! Il divertimento per te è parlare male delle tue migliori amiche?»
A quel punto la mia calma si esaurisce, un po’ per tutto quello che è appena successo, un po’ per come mi sta trattando Julia. Inizio a urlare anche io contro di lei:
«Migliori amiche?! Non so voi, ma se la mia migliore amica fosse stata appena stata  spinta in una fontana e presa in giro per una settimana intera, non starei qua ad accusarla e a urlarle contro!»
Julia non si fa intimidire da me, e ribatte con eguale entusiasmo:
«No, ma di certo tu non ti puoi definire un’amica dopo tutto quello che ci hai fatto, no?»
Io sposto lo sguardo velocemente da Julia a Veronica. Lei se ne sta in silenzio, con lo sguardo basso, senza dire una parola, lasciandosi difendere da Julia.
E poi non so cosa mi succeda in quel momento. All’improvviso tutto esce, la mia rabbia, il mio risentimento, tutte le peggiori cose di me stessa, tutte in una sola volta:
«Lasciate che vi dica una cosa, in tutta sincerità: io mi sono davvero stancata di voi due! Siete in assoluto le peggiori persone dell’universo! Senza di me voi non siete nulla!» comincio il discorso, strillando.
Julia mi guarda con gli occhi spalancati, per la risposta inaspettata, mentre Veronica sembra sul punto di scoppiare a piangere.
«Iniziamo con te.» dico, indicando Julia. «Tu sei assolutamente la persona più idiota che abbia mai conosciuto. Credi di fare la ribelle con i capelli tinti e il piercing al naso, e fingendo di andare male a scuola, ma ciò non può coprire ciò che sei realmente, cara Juls, e cioè una codarda, che non è nemmeno capace di trovarsi un ragazzo da sola, ma deve accontentarsi dei miei scarti!»
Poi volto lo sguardo con violenza, e mi rivolgo a Veronica, che evita ancora di guardarmi:
«E tu! Oh, Veronica, tu sei un vero disastro! Lo so che ti piace ancora Marc, e non provare a negarlo, le capisco certe cose. Ma la verità è questa: a lui non piaci, né gli piacerai mai. Perché sei stupida, sei insopportabile, e sei grassa come…»
«Ehi!»
Julia mi richiama ad alta voce, ed io incredibilmente mi blocco.
«Saremo anche stupide e codarde, ma almeno non siamo delle stronze come te.» conclude Julia, prima di andarsene infuriata.
Io la guardo allontanarsi in silenzio.
Poi Julia richiama Veronica, e lei la segue velocemente. La sento sussurrare mentre mi passa accanto, e da quello che dice, non ho dubbi che si stia riferendo a me:
«La prossima volta ci penserò due volte prima di darti un’altra occasione.»
Con queste parole, Veronica si allontana insieme a Julia.
Resto a fissarle immobile finché non voltano l’angolo, e scompaiono dalla mia vista.
A quel punto vorrei urlare, buttarmi a terra, e imprecare contro il mondo intero, semplicemente.
In mezzo al mio silenzio solitario, sento un tuono arrivare dall’alto, e prima ancora che possa solo alzare lo sguardo, sento già delle gocce d’acqua arrivarmi sul naso.
Perfetto, prima la fontana e adesso anche la pioggia!
Non poteva esserci giornata più fradicia.
 
 
Mi avvio verso la fermata dell’autobus, mentre tutte le persone corrono a ripararsi dal temporale sotto il primo portico che trovano.
Io continuo a camminare sotto la pioggia, che pian piano diventa sempre più violenta, senza curarmi di quanti raffreddori mi sarò presa entro domani.
Cammino qualche metro ancora, quando a metà strada vedo Marc davanti a me.
È immobile sotto la pioggia, con lo sguardo fisso su di me, anche se non capisco se è arrabbiato o solo dispiaciuto.
«Beh?» lo incito a parlare. «Cosa c’è? Sei venuto a dirmi quanto patetica sembro in questo momento, o quanto sia miserabile la mia vita?»
Marc non dice una parola, ma continua a guardarmi, impassibile.
Io sbuffo e lo supero, concludendo la mia frase:
«Sei arrivato tardi allora.»
Una volta che ho superato Marc, sento che mi afferra il braccio, e mi costringe a voltarmi verso di lui.
«Che cos’è che ti ho fatto?» mi chiede, quasi urlando. «Dimmelo. Perché continui a trattarmi male? Non ti ho fatto nulla.»
«Nulla?» rispondo, a tono ugualmente alto. «È tutto il giorno che te la prendi con me! Prima mi dici che mi odi per come mi comporto, poi non ti fai più vedere per il resto della giornata, non mi vieni neanche ad aiutare dopo che sono finita in una fontana, e ora hai anche il coraggio di chiedermi che cosa mi hai fatto?!»
Do uno strattone al braccio, liberandomi dalla sua presa, senza però muovermi da quella posizione.
«Sei tu quella che appena dieci minuti fa ha fatto un discorso in cui evidenziavi ogni mio  singolo difetto!» mi accusa Marc, adesso veramente arrabbiato.
«E tu hai detto che sono l’unica ragione perché odi stare qui, e che mi avresti cancellato dalla tua vita! Dovrei essere io quella arrabbiata!» dico, rammentando ciò che mi aveva riferito Liza in bagno.
Marc mi guarda confuso.
«Cosa? Chi te l’ha detto?» domanda.
«Liza.»
Marc rimane in silenzio. A quel punto sembra cambiare totalmente atteggiamento nei miei confronti. Prima era visibilmente arrabbiato, adesso non so neanche che cosa abbia in mente.
«Oh, capisco.» dice quasi sussurrando. «Quindi ti fidi più di Liza che di me?»
Vorrei morire in quell’istante.
«Marc…»
Come una stupida mi sono fidata di quello che mi ha detto Liza. Sì, la persona che mi ha appena reso la vita un inferno.
E Marc ha tutto il diritto di essere arrabbiato con me, solo adesso me ne rendo conto.
Vorrei solo scomparire e che tutti si dimenticassero della mia esistenza.
Finalmente Marc sposta il suo sguardo, e sembra quasi calmarsi:
«No, invece avevi ragione tu, sai…»
Io rimango lì ferma, in attesa che concluda la sua frase.
«Non sei assolutamente la ragazza che speravo di avere.» finisce con freddezza.
Se ne va, spazientito, con una velocità impressionante.
Dovremmo fare la stessa strada insieme in teoria, ma credo che dopo quello che è appena successo passare venti minuti in autobus con lui sia la cosa peggiore da fare.
«E va bene!» urlo infuriata, mentre lui si allontana sempre di più dalla mia vista. «Vuoi lasciarmi? Fantastico! Tanto ti trovavo insopportabile anche prima!»
Poi, vedendo che non sembra nemmeno ascoltarmi, decido di concludere, con tutta la rabbia che riesco a trovare:
«Ti odio!»
Ma Marc ormai è talmente lontano che non riesco più a scorgerlo.
Ed è in quel momento che non capisco più se a bagnarmi il viso è la pioggia o le mie stesse lacrime.
 
 
«Lea, che cosa ti è successo?»
Mia madre si è giustamente preoccupata dopo che mi ha vista varcare la porta principale bagnata dalla testa ai piedi.
Si trova in cucina, dalla quale è riuscita a vedermi, insieme a Laura e Anna, che probabilmente la stavano aiutando a preparare la cena.
Io non dico una parola, le ignoro totalmente, e vado diritta al piano di sopra, senza dare importanza a tutta l’acqua che sto lasciando in giro.
Entro nella mia stanza, ringraziando il cielo di averne una singola, e dopo aver sbattuto con violenza la porta, mi getto sul letto come se fossi morta di stanchezza.
Dopo qualche secondo di silenzio, afferro il cuscino e buttandomelo in faccia, urlo il più forte possibile.
Mi odio, mi detesto, odio tutto della mia vita! Non ho più le mie amiche, non ho più Marc, non ho nemmeno più la popolarità che credevo di aver conquistato. Non ho nulla, in poche parole.
Fa tutto così schifo.
Perché sono così stupida? Non potevo essere un genio, la reincarnazione di Gandhi, o una di quelle maledette protagoniste delle fanfiction sui One Direction sempre perfette in ogni momento?
No, dovevo essere questo schifo di Lea McEwitch, la ragazza dai capelli rossi, l’idiota che non ne fa mai una giusta.
Mi odio, mi odio, mi odio!
Sento bussare alla porta.
«Non sono dell’umore giusto!» sbotto infuriata, lanciando un cuscino verso la porta, dalla quale subito esce mia madre, che riesce ad afferrare il cuscino che le ho tirato, e mi guarda comprensiva.
«Ne vuoi parlare?» chiede dolcemente.
«No!» E rigetto il viso tra i cuscini.
Sebbene le abbia urlato contro fin troppe volte, sento che mia madre si avvicina al mio letto e si siede di fianco a me.
«Cosa è andato male stavolta?» domanda, sospirando.
«Tutto!» mugugno, sempre con la faccia contro i cuscini.
Decido finalmente di alzare il viso, e mettermi seduta sul letto, di fronte a mia madre. Lei mi passa dei fazzoletti per asciugare il trucco, oramai talmente rovinato che potrei vivere per mesi in una colonia di procioni senza essere mai scoperta.
«Mi odio.» sussurro a un certo punto, dopo essermi pulita gli occhi a dovere. «Mi odiano tutti.»
«Non essere sciocca!» Mia madre sorride e mi passa un altro fazzoletto. «Qui ti adoriamo tutti. Dovevi sentire com’era preoccupata Laura quando ti ha visto entrare conciata così!»
«Wow, adesso sì che mi sento meglio!» dico scherzando, sebbene il mio tono risulti alquanto irritato.
Mia madre si pone le mani sulle ginocchia, e dopo aver fatto un bel respiro, inizia a parlare:
«Allora…» comincia, sempre con un sorriso stampato sulla bocca. «Vogliamo parlarne?»
Io scuoto la testa, in segno di no. Mia madre chiude gli occhi, e sorride tristemente.
«Va bene.» dice, sollevando le mani in segno di resa. «Allora me ne vado.»
Si sta per alzare dal letto, ma io la fermo, chiamandola:
«Mamma?»
Mia madre si volta verso di me e si risiede sul letto.
«Cosa c’è?»
«Tu come hai fatto a capire di essere davvero innamorata di Papà?»
Lei apre leggermente di più gli occhi, mostrandosi sorpresa dalla mia domanda.
Non riesce a trovare subito una risposta, ma si guarda intorno indecisa. Io nel frattempo attendo abbracciando un cuscino.
Finalmente mia madre mi guarda direttamente negli occhi e si decide a darmi una risposta:
«Ecco… È difficile da spiegare. Quando t’innamori semplicemente capita e basta. Ti innamori anche delle persone più improbabili, e di punto in bianco la tua vita cambia da così a così. Mettiamola così: ho capito di essere innamorata di tuo padre quando mi sono accorta di quanto fosse importante per me, e che non avrei mai sopportato di non passare il resto della vita con lui.»
Io la guardo smagliante, soddisfatta della risposta, ma decido di dire comunque la mia:
«L’amore fa schifo.»
Mia madre ridacchia allegra.
«Ogni tanto fa schifo.» risponde tra le risate. «Ma è proprio quello il bello dell’amore, sapere apprezzarlo anche dopo tutto il dolore che ti ha causato, e capire che non c’è niente di più bello al mondo dell’essere innamorati di qualcuno.»
Si alza, e va verso l’uscita, mentre io la seguo con lo sguardo in silenzio.
Quando mia madre è sul punto di andarsene, proprio davanti alla porta, decido di azzardare una domanda che mi turba da troppo tempo ormai, e le chiedo, tutto d’un fiato:
«Sei ancora innamorata di Papà, vero?»
Lei si gira e mi guarda stupita, quasi chiedendosi il perché di quella assurda domanda.
«Certo!» risponde con ovvietà. «Che domande sono?»
Finalmente mia madre esce dalla stanza, e si chiude la porta alle spalle.
Io resto qualche secondo immobile, a osservare la porta chiusa, e a gustarmi il silenzio.
Poi, rompendo questa tranquillità, mi getto sul letto a faccia in su, osservando per minuti interi il soffitto bianco e vuoto.
La mia mente, al contrario, non è poi così tanto vuota.
Inizio a pensare a tutto quello che è successo, e anche a mia madre. E anche a George, dopotutto, e a quella maledetta serata di lavoro.
Mia madre non sembrava tranquilla mentre parlava di mio padre. Però ha detto che è ancora innamorata di lui, e io dovrei fidarmi. Giusto?
Mi giro dall’altra parte, sdraiandomi di fianco.
Non ho voglia di pensare ai miei genitori. L’ipotesi del divorzio è troppo triste da considerare in questo istante.
I miei unici pensieri invece riescono a dirigersi solo verso un’unica persona.
“Non c’è niente di più bello al mondo dell’essere innamorati di qualcuno.”, eh?
Beh, mamma, credo che tu debba riconsiderare meglio le tue filosofie, perché l’essere innamorata di Marc Richardson mi ha appena rovinato la vita.




ANGOLO AUTRICE
Sono tornata giusto ieri dal mare, e ho già pubblicato un nuovo capitolo. AMATEMI.
Lo so che in questo capitolo mi sono allontanata un po' dalla sezione "commedia" ma oh, mi serviva per la trama.
Comunque vi devo avvisare che siamo quasi alla fine della storia, *piangiamo*, (mancano giusto 3 capitoli)
Non allarmatevi, non la farò finire in modo deprimente (o non sarebbe più una commedia), quindi preparatevi psicologicamente per il Big Finale!
Arrivederci, bimbi ;)
Mel.


 

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Capitolo 25
*** Ultime Rivelazioni ***


È così che passano gli ultimi mesi di scuola, tra solitudine e tristezza incredibile.
Passo le giornate intere da sola, senza rivolgere la parola a nessuno, e nessuno sembra anche solo fare finta che esisto. Veronica e Julia non mi parlano, e ogni volta che mi avvicino a loro schizzano via senza alcun commento. Marc invece non mi degna neanche di uno sguardo.
Aprile passa talmente velocemente che quasi non mi accorgo che sia arrivato.
A maggio le cose non cambiano comunque.
Sono sempre senza amici, e la cosa mi dispiace più di quanto lasci vedere.
Dopotutto questa situazione non ha solo i suoi lati negativi: ho talmente tanto tempo per me stessa che passo intere giornate a studiare, e i miei voti aumentano di gran lunga. Tra poco avremo gli esami del Junior Circle, quindi è un bene che mi stia impegnando così tanto ultimamente. Sono anche riuscita a prendere il 6+ in chimica della Lista dei propositi, ma dubito che valga ancora.
Ma questo è, a dire il vero, l’unico lato positivo della situazione…
A mensa mi siedo sempre vicino ai cassonetti, insieme agli altri anonimi come me, che non hanno un posto dove sedersi. La maggior parte delle volte fisso il tavolo degli Strani, dall’altra parte della mensa, dove Marc, Veronica e Julia se la stanno ridendo, felici che finalmente io non sia più parte della loro vita.
Non ci tento nemmeno a chiedergli scusa. Sento quasi che il nostro rapporto sia come irrecuperabile ormai.
È forse la cosa peggiore da ammettere, ma credo che questa sia la fine ufficiale di Lea McEwitch, un’egocentrica e ingrata ragazzina che ha mandato totalmente all’aria la sua vita, ed è morta nell’eterna solitudine.
FINE.
 
 
No, no, no, no! Come sarebbe a dire “FINE”?! Sei forse impazzita?!
Oh, ma guarda chi si risente! Eri da un po’ che non ti facevi vedere, maledetta stupida coscienza…
Per forza che non mi facevo sentire! Eri diventata perfino più insopportabile di quanto non fossi già!
E deduco che anche tu sia tornata apposta per ripetermi quanto faccia schifo.
Che fai schifo lo sai già. Questa volta però ti stai comportando da vera stupida.
Perché, cos’è che ho fatto?
E lo chiedi pure? Sono due mesi che stai lì a far nulla, sperando in qualche miracolo.  Ormai quello che hai fatto, è fatto, non puoi più ritornare indietro. Il problema è che non ci stai nemmeno provando a reagire!
Come faccio a chiedere scusa a loro dopo tutte le orribili cose che ho detto? Mi rideranno in faccia!
Sei proprio diventata una checca. Questa non è la Lea che conosco! Che fine ha fatto quella ragazza che non si arrendeva mai, qualsiasi cosa accadeva?
Non penso che quella ragazza sia mai esistita. Sono sempre stata una codarda, solo che non mi conoscevo abbastanza bene.
No, invece! Tu non sei una codarda, e per quanto intollerabile tu sia, devo ammettere che sei sempre stata capace di fare  felici gli altri.
No, Julia ha ragione. Sono solo una stronza.
E invece non lo sei! Liza è una stronza, Blair, Ellen e Kaylee lo sono. Tu sei solo tosta, ma non sei cattiva.
Vuoi sapere la verità? Va bene, forse non sono cattiva, ma non ho la più pallida idea di che cosa dire loro per farmi perdonare. “Scusa per tutte le cose orribili che ti ho detto, anche se ora sai che le penso davvero”?
Devi reagire, Lea. Rimetti a posto la tua vita, con Julia e Veronica, con Marc, e anche con Liza. So che puoi farcela!
Tu… pensi che dovrei?
Certo che sì! Stammi a sentire: ora tu ti alzerai da quel tavolo di sfigati, ti sistemerai come si vede, e camminerai a testa alta e farai vedere al mondo intero di che stoffa è fatta Lea McEwitch!
Beh, forse hai ragione… Forse dovrei davvero rimettere a posto la mia vita…
E lo devi fare immediatamente!
E… lo devo fare immediatamente! Sì!
Questa è la Lea che mi piace! Sei bella, intelligente, e tra poco la tua vita sarà di nuovo meravigliosa, puoi contarci!
Lo sai, stupida coscienza, sei forse la miglior mentore che abbia mai avuto.
Ci conosciamo da quindici anni, e difficile che non sappia fare il mio lavoro. Ora dimmi, che cos’è che io e te andremo a fare adesso?
Rimetteremo a posto la mia vita!
E quando lo faremo?
Immediatamente.
 
 
Chiudo di scatto l’armadietto di Liza, mentre lei si sta specchiando. Sussulta, non appena sente il frastuono del metallo sbattere.
«Ma dico, sei impazzita?!» mi urla addosso, non appena mi vede.
«Io e te dobbiamo parlare.» esclamo, senza nemmeno darle il tempo di realizzare il tutto.
Ho deciso di partire da Liza. È lei la causa di tutto questo, e io ho in mente il piano perfetto per fargliela pagare.
«Ah sì?» chiede lei, osservandomi. «Credevo di essere stata chiara quando ti ho fatta buttare in una fontana.»
Liza ride, io rimango impassibile tutto il tempo.
«Allora…» ricomincia. «Di cosa vuoi parlarmi?»
Io alzo lo sguardo, sicura di me. Ormai non ho più nulla da perdere.
«Mi sembra che io e te avessimo una scommessa in sospeso…»
Liza mi guarda incredula. Io non dico una parola, finché lei non scoppia a ridere con quel suo tono insopportabile da gallina.
E ride, e ride, e ride…
Dio, questa ragazza esprime davvero suicidio.
«Di cosa stai parlando?» strilla tra le risate. «Io e te non avevamo fatto nessuna scommessa, te l’ho spiegato mesi fa!»
A quel punto sono davvero infuriata. Lei cerca di superarmi, ma io mi blocco davanti a lei e non la faccio passare.
«Che tu la prendessi sul serio o no, non è affar mio. Io quella scommessa l’ho fatta, e ora voglio mantenerla.» dico, mettendomi a braccia incrociate.
Liza mi guarda con odio, strizzando gli occhi.
Magari le è caduta una ciglia nell’occhio. Oppure mi vuole uccidere, dipende da quale punto di vista lo guardi.
Finalmente Liza, dopo avermi osservata a dovere, dice:
«Cos’è? Vuoi suicidarti?»
Considerando che ti ho sentita ridere per quasi dieci minuti, sì.
«Parliamone seriamente.» inizio, dopo essermi addolcita un po’. «Mi ricordo che l’ultima parte della scommessa comprendeva fare da babysitter o dogsitter. Va bene, forse non avrò vinto la prima parte, ma c’è ancora il secondo round, tesoro.»
Liza sbuffa rumorosamente, roteando gli occhi. Poi domanda, con voce seccata.
«Vuoi dire che un pomeriggio io dovrò fare da babysitter ai tuoi fratelli, e tu curerai il mio cane?»
«Esattamente.»
«Va bene, ci sto.» dice, dopo averci pensato un po’ su. «Ma sarò io a scegliere il giorno…»
Io non ci penso due volte. Ho finalmente di nuovo l’occasione per farla pagare a Liza dopotutto.
Le stringo la mano decisa.
«Il giorno della scommessa è fissato per l’ultimo giorno degli esami.» Liza mi sorride fugacemente, e si volta per andarsene.
Fantastico! Ho la vittoria in pugno. Finalmente avrò la mia vendetta.
L’ultimo giorno degli esami, eh? Va bene, vediamo, l’ultimo giorno è fissato per il…
Aspetta un secondo!
«Liza!» le urlo da dietro, e lei si blocca, senza però voltarsi. «L’ultimo giorno degli esami è il 21 giugno!»
«Sì, e quindi?»
«Ecco…» balbetto, sperando che nel frattempo cambi idea sulla data. «Il 21 giugno è il mio compleanno…»
Liza finalmente si volta verso di me. Io noto la sua faccia divertita.
«Allora avresti dovuto pensarci prima.» E si allontana sghignazzando
 
 
Come se non bastasse, il giorno dopo scopro che il mio esame orale è fissato per… Esatto, il 21 giugno.
Ma che ho fatto di male, si può sapere?!
Quindi ricapitolando, il 21 giugno dovrò finire gli esami, poi correre a casa di Liza a fare da dogsitter, e poi tornare a casa mia, appena in tempo per festeggiare il mio compleanno.
Ed è proprio in questi momenti che ti accorgi che avresti bisogno di una clonazione.
Un pomeriggio dopo scuola, sto camminando verso casa mia, appena scesa dall’autobus. Finalmente è arrivato giugno, e con lui il tanto odiato caldo insopportabile.
Mentre proseguo la mia strada, pensando a nient’altro se non a come cercare di non morire bruciata, senza accorgermene vado a sbattere contro qualcuno che si sta dirigendo dalla stessa parte.
«Mi dispiace…» mi scuso immediatamente, ma quando alzo lo sguardo mi zittisco senza dire altro.
La persona che ho scontrato è Marc.
E questa è stata appena ufficialmente dichiarata “giornata più imbarazzante della mia vita”!
Marc intanto mi fissa, senza sapere cosa dire.
Non ci parliamo da quell’orribile volta sotto la pioggia.
Sebbene ci vediamo praticamente tutti i giorni a scuola, fa un sincero effetto rivederlo dopo tutti questi mesi in cui non ci siamo parlati.
«Ehm… ciao.» dico, con tono imbarazzato.
Marc non dice niente. Temo che sia ancora arrabbiato con me, e che se ne vada anche adesso senza dire una parola.
Invece, dopo qualche secondo, mi rivolge un breve:
«Ehi.»
Non è un granché come conversazione, considerando che non ci parliamo da due mesi, ma comunque mi accontento.
«Ti… ti dispiace se facciamo la strada insieme?» azzardo, a bassa voce.
Mi sorride.
Cosa? Mi ha sorriso! Non è più tanto arrabbiato con me, dopotutto!
Sei grande, ragazza!
«Certo.» mi risponde, e con mia grande gioia, iniziamo a camminare a fianco a fianco.
Io nel frattempo sono più felice che mai.
Anche se percorriamo qualche metro insieme, è ancora parecchio imbarazzante per noi rivolgerci la parola. Devo fare al più presto qualcosa.
Forza Lea, è il tuo momento! Metti a posto le cose!
«Senti Marc…» inizio a parlare, mentre continuiamo a camminare. «Ci sono un paio di cose che vorrei dirti…»
Marc continua a rimanere in silenzio, ma io riprendo comunque:
«So di averci messo un po’, ma voglio chiederti scusa, sai… Per quelle cose che ti ho detto. Io non le pensavo davvero, era tutto frutto del lavaggio al cervello che mi aveva fatto Liza. E solo ora mi rendo conto che avevi ragione tu dopotutto, ero diventata più stronza di Perez Hilton!»
Cerco di ridere alla mia stessa battuta, sembrando un’idiota, ma Marc rimane impassibile. Nel frattempo siamo arrivati davanti alle nostre case, così ci blocchiamo, ritrovandoci a faccia a faccia.
Marc aspetta che io finisca il mio discorso, quindi io prendo fiato e riprendo immediatamente:
«Capisco che non tornerà tutto immediatamente come prima. Volevo solo farti sapere che mi dispiace.»
Rimango immobile, giocando con le mie mani, mentre attendo sulle spine anche un suo misero commento. Non ricevendo alcuna risposta, decido di concludere:
«Tu mi piaci ancora, Marc. E mi piaceva anche quando eravamo amici, mi piaceva parlare con te, chiacchierare di cose stupide come divorzi improbabili o cibi in scatola precotti. Mi mancano quei giorni. Non pretendo, ovviamente, che mi perdoni subito, ma spero che un giorno riuscirai a farlo.»
Silenzio. Io attendo ancora in ansia, mentre Marc continua a fissarmi.
Poi mi sorride (un’altra volta? Wow!), e inaspettatamente, risponde:
«Okay, ti perdono.»
Io rimango a dir poco a bocca aperta. È stato tutto così facile! Come mai non ci ho pensato prima a farlo?
Perché non mi avevi al tuo fianco, ovvio!
 Sono così felice che potrei buttarmi a terra da un momento all’altro e urlare al mondo “Beccati questo, Vipera!”.
«Ma…» Marc interrompe i miei pensieri di gloria. «Ci vorrà un po’ prima che le cose si rimettano completamente a posto.»
Non potrei essere più felice comunque.
«Certo! Io a dire il vero nemmeno ci speravo! Io…» Sono talmente euforica che non riesco più a trattenermi. «Posso abbracciarti?»
Marc, sebbene rimanga inizialmente spiazzato dalla mia richiesta, acconsente, e prima che se ne renda nemmeno conto si ritrova le mie braccia intorno al collo.
Rimaniamo abbracciati per qualche secondo, e io riesco a godermi quella sensazione favolosa che non provavo da mesi.
«Vuoi venire un attimo da me?» mi chiede inaspettatamente, mentre siamo ancora abbracciati. «Così possiamo parlare, ehm… Com’era? Di “divorzi improbabili e cibi in scatola precotti”.»
Entrambi scoppiamo a ridere, e sciogliamo l’abbraccio. È davvero fantastico aver fatto pace con lui.
Io e Marc entriamo quindi in casa sua, chiacchierando come due vecchi amici.
Inaspettatamente, quando apriamo la porta principale, troviamo i suoi genitori, seduti in sala. Stanno discutendo ad alta voce, ma non capisco di cosa, perché appena ci vedono arrivare, si bloccano e ci guardano quasi sconvolti.
«Beh, cosa c’è?» chiede Marc, cercando di capire il perché dei loro sguardi.
Non riceviamo subito una risposta.
Jenny poi si alza in piedi, e si rivolge esclusivamente a suo figlio:
«Marc, cosa ci fai qui? Non avevi detto che saresti restato fuori questo pomeriggio?»
«Ho cambiato programmi. Ora mi dite cosa succede?»
Io mi sento totalmente tagliata fuori dalla conversazione. Perché i suoi genitori non mi considerano, non mi chiedono come sto dopo che non mi hanno vista per tutto questo tempo?
Magari non sono interessati alla mia vita. O magari sono io il problema…
«Forse è meglio che me ne vada…» annuncio, imbarazzata, allontanandomi verso la porta d’entrata, quando all’improvviso la vedo spalancarsi, ed entra l’unica persona che non avrei immaginato di vedere: mia madre.
Entra euforica, ma appena vede me e Marc si blocca.
«Cosa ci fate voi due qui?» chiede anche lei, scioccata.
A questo punto non ci capisco più niente. Perché non vogliono che io e Marc siamo presenti? Di cosa devono parlare di così tanto segreto?
Marc sembra avere i miei stessi pensieri, perché subito dopo domanda irritato:
«Ci spiegate cosa diavolo sta succedendo qui?»
Nessuna risposta. Mia madre guarda Jenny e Larry, e entrambi sembrano volerle dire “non una parola.”.
Invece è Jenny che si rivolge a noi, con tono fin troppo gentile:
«Ragazzi, perché non andate da Lea a parlare? Qui abbiamo da fare, e…»
Marc la interrompe, con un tono di voce così alto e arrabbiato che mi fa sobbalzare.
«Che cos’è che dovete nascondermi ancora?» urla, quasi disperato. «Mi sono stancato delle vostre bugie, e delle vostre finizioni! Ditemi che cosa nascondete, una volta per tutte!»
Jenny rimane a dir poco paralizzata. Sta per dire qualcosa, ma all’improvviso un altro bussare alla porta ribalta la situazione.
Mia madre si precipita ad aprire, mentre noi rimaniamo in silenzio. Aperta la porta ne esce… George? Eh?
«Ciao, Heidi.» saluta mia madre, baciandola sulla guance. Poi nota la mia presenza e le chiede: «Perché c’è anche tua figlia?»
Okay, cosa ci fa il fratello di Pat, aka collega di mia madre, aka possibile amante di mia madre, aka trentenne più sexy di questo secolo, in questa casa?
Qualcuno mi spieghi che cosa sta accadendo!
«Che cosa?» urlo anche io infuriata, contro mia madre. «Che cosa ci fa lui qui?!»
«Lea, ti prego…» sussurra mia madre, mentre George prende posto nella sala, totalmente imbarazzato dalla situazione.
«Ora vi degnereste di spiegarci qualcosa?» Marc ora è più impaziente che mai.
Questa volta è Laurence che si rivolge a lui, ancora più tranquillo di Jenny:
«Marc, devi capire che…»
«Piantatela!» lo interrompe Marc, con tono più alto di prima. «Smettetela di mentirmi, vi prego!»
Questa volta ci sono secondi di attesta, in cui Jenny lo guarda allarmata. La tensione in questa stanza sta salendo sempre di più, man mano che la conversazione procede.
«Di cosa stai parlando, tesoro?» chiede lei, palesemente confusa.
«Lo so che voi due siete divorziati, ho visto l’attestato, non provate a negarlo!» dice, indicando minacciosamente i suoi genitori.
La frase suscita sgomento tra tutti i presenti. In particolare Jenny e Larry lo guardano senza sapere più cosa ribattere.
«Oddio…» sento sussurrare Larry a un certo punto, cosa che afferma l’accusa.
Dunque è vero, sono divorziati, Marc aveva ragione! Non rimane che scoprire TUTTA la verità adesso.
«Ora voglio sapere perché mi avete mentito, e soprattutto perché ci siamo trasferiti qui.» riprende Marc, questa volta più calmo.
Larry non ha evidentemente il coraggio di rispondergli, così Jenny prende fiato, e risponde con tranquillità:
«Per farti conoscere tuo padre…»
«Cosa significa?» fa lui, ancora più confuso di prima. «Mio padre è qui, davanti a me!»
«Il tuo vero padre, Marc.»
 
 
Quelle parole causano un silenzio imbarazzante, anche se le uniche persone che sembrano rimaste sconvolte in tutta la stanza risultiamo io e Marc.
Mia madre e George rimangono impassibili, come se conoscessero già il fatto. Jenny nel frattempo è scoppiata a piangere, e ora i suoi singhiozzi riempiono interamente silenzio.
«Che cosa?» domando io, dato che Marc non sembra avere la forza di ribattere. «Vuoi dire che Larry non è il padre di Marc?»
«Esatto, Lea.» risponde Jenny, a testa bassa.
Cosa? Non ci posso credere! Di tutte le cose che avrei immaginato, questa è di sicuro la più improbabile. Larry Richardson, la persona che conosco da una vita, che ho considerato a lungo come la persona più simile a Marc di tutto l’universo, e in realtà tutt’altro di ciò che credevo.
«Marc…» Laurence sembra sul punto di scoppiare in lacrime. «Mi dispiace che tu sia venuto a saperlo così, sappi solo che ti voglio bene più di qualsiasi altra cosa al mondo.»
Marc non sembra alleviarsi alle sue parole. È pallido come un cadavere, e temo che da un momento all’altro possa svenire. Invece, pare tirare fuori il coraggio, e chiede:
«Chi… chi è mio padre allora?»
Jenny, risponde immediatamente, come se volesse dire proprio tutto adesso:
«Abita qua vicino, e tu lo conosci già.» cerca di parlare Jenny tra i singhiozzi. «Oh, Marc, non volevamo dirtelo così…»
Un momento. Abita qui vicino, Marc lo conosce già…
Oh no, non può essere vero. Non può trattarsi di lui. Anche se lo fosse, ciò spiegherebbe la presenza di mia madre e di George qui.
È… è  possibile che suo padre sia anche mio padre? E questo tecnicamente porterebbe al fatto che io e Marc siamo…
OH MIO DIO!
«No, non è vero!» strillo, rifiutandomi di crederci.
Lo sapevo, anni e anni a prendere in giro le soap opera dove i due protagonisti scoprivano di essere fratelli a metà serie, e mai e poi mai avrei immaginato che celassero così tanta verità!
«Esatto.» riprende Jenny. «Tuo padre è Pat.»
Ah.
Vabbé, c’ero quasi, dai.
Comunque… PAT?!?
E poi è come una visione davanti a me. All’improvviso risento tutto, come nei film, pezzi di conversazioni avute in quell’anno, voci, informazioni mai colte, e capisco che tutto conduceva a un’unica soluzione:
«Ma adesso comprano una casa insieme e si trasferiscono qui vicino a voi. Di sicuro stanno tramando qualcosa, e io voglio scoprire di che si tratta.»
«Beh, sono solo un vecchio amico di Jenny, tutto qui.»
«Mi ricordano molto i disegni di Pat, il mio vicino di casa; o dovrei dire nostro… Dovresti conoscerlo sai, penso che andreste molto d’accordo.»
Ma è stato quando gli ho presentato Pat, che ha perso la testa…
Rimango a bocca aperta. È vero, come abbiamo fatto a essere così stupidi?
Marc nel frattempo non ha nemmeno la forza di dire niente, e me lo immagino, poverino. Quindi decido di aiutarlo io, e faccio le domande al posto suo:
«Come mai non ce l’avete mai detto?» chiedo, rivolgendomi a Jenny e Larry.
Ancora una volta è Jenny a rispondermi:
«Non lo sapevamo nemmeno noi, per la verità.» dice, cercando di smettere di piangere. «Vedi, Pat era stato il mio ragazzo, e subito dopo essermi lasciata con lui ho iniziato a uscire con Larry, mai avremmo immaginato una cosa del genere. Poi sei anni fa abbiamo avuto un dubbio, e litigavamo molto su questo fatto.  Era per questo motivo che abbiamo divorziato, ma subito dopo abbiamo capito che si trattava di uno sbaglio immenso, e siamo tornati insieme, anche se non ci siamo più risposati.  Però dopo qualche anno  il dubbio riaffiorava, e volevamo sapere la verità una volta per tutto. Solo che ci serviva un test di paternità per averne la certezza…»
«Ma non capisco…» continuo, insaziabile di risposte. «Che cosa c’entrate voi due in tutto questo?» E indico mia madre e George.
Questa volta risponde mia madre:
«Io e George lo sapevamo. Jenny me l’ha detto, e volevo aiutarla nella situazione, così ho chiesto aiuto a George. Ci serviva qualcuno imparentato con Pat per il test, e poi il fidanzato di George è…»
«Aspetta!» la interrompo, sconvolta. «FidanzatO?»
Mia madre mi guada confusa.
«Sì, il fidanzato di George è un medico, lavora a Parigi. È lui che ha eseguito il test.»
Che cosa?! Quindi in tutto questo tempo in cui ho temuto potesse essere innamorato di mia madre, o che ci avesse addirittura una relazione insieme, George era… Oh.
Beh, questo rende tutto più semplice!
«Dunque era questo che eravate andati a fare voi due a Parigi!» affermo, una volta capito, e mia madre annuisce in silenzio.
Nessuna vacanza romantica, nessun amante segreto… Che idiota che sono stata!
«Ma perché non l’hai detto a Papà?» chiedo nuovamente.
«Era meglio tenere il segreto con più persone possibili, prima di averne la certezza. Tuo padre non avrebbe di certo tenuto la bocca chiusa facilmente con Pat.»
«Vuoi dire che Pat non lo sa?»
«No.» risponde Jenny, una volta calmata. «Ma prima o poi dovremo dirglielo.»
Io ho finalmente concluso, e non ho più domande da chiedere. Ho capito tutto alla fine, e anche se queste rivelazioni siano state a dir poco sconcertanti, ora è tutto più chiaro.
Ovviamente, tutti ci giriamo verso Marc, sperando che dica qualcosa. Lui è ancora pallido e su suo viso è stampata la stessa espressione sconvolta.
Di certo non lo biasimo, non deve essere una bella sensazione scoprire, dopo sedici anni, che quello che credevi essere tuo padre, non lo è veramente.
Infatti Marc non dice una parola, esce semplicemente dalla casa, lasciandoci tutti amareggiati. Jenny subito dopo scoppia a piangere nuovamente.
Io mi dissocio altamente da quella situazione ed esco in giardino a cercare Marc. Non so se abbia voglia di parlare con me, ma almeno voglio fare qualcosa per aiutarlo.
«Marc?» lo chiamo, non appena lo vedo che si dirige al di fuori del cancelletto.
Lui si blocca e si volta.
Noto, con grande tristezza, che ha gli occhi lucidi dalle lacrime.
«Cosa c’è?» chiede, evidentemente sforzandosi di non scoppiare a piangere davanti a me.
«Io…» cerco di dire, ma il dispiacere che provo per lui quasi mi fa dimenticare le parole. «Volevo solo dirti che non ne sapevo niente, lo giuro.»
Marc non mi dice nulla, semplicemente sorride malinconico, e una volta uscito dal cancello, si allontana velocemente, scoppiando a piangere rumorosamente. 





ANGOLO AUTRICE
Credo che sia uno dei capitoli più lunghi di tutta storia, ma anche uno dei più importanti, dopotutto. Spero di aver saziato tutte le vostre domande sui "mistery" della storia. Se non vi ricordate dei genitori di Marc o di chi fosse Pat, andatevi a rillegervi i primi capitoli, CAPRE!
No, in realtà lo sapete che vi adoro, anche se purtroppo la nostra avventura sta per finire. Eh, sì, purtroppo mancano solo due capitoli, più un piccolo epilogo finale, ma tranquilli, saprò riservarvi delle sorprese.
Comunque so che questo capitolo non spicca di realismo, ma è una commedia, chi ha detto che deve esserci realismo :p
Grazie a tutti per le vostre bellissime recensioni, e spero che il capitolo sia uscito bene come speravo!
Adieu,
Mel.


 

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Capitolo 26
*** 21 giugno - Parte 1 ***


ANGOLO AUTRICE che questa volta è all'inizio perchè sì.
Vorrei innanzitutto scusarmi con voi per tutti questi mesi di assenza. Penso che tutti sappiate capire la struggente vita di una studentessa di liceo classico, che non può permettersi un computer decente su cui scrivere. Chiedo apertamente scusa a tutti voi, se vi ho fatto aspettare così tanto. In effetti lo voglio dire, anche se è un po’ triste: mi sono un po’ stancata di questa storia. Nel senso che così com’è ora non mi piace per niente, ma non ho il tempo di riscriverla tutta da capo. Ma questo non significa che non debba concluderla.
La buona notizia però è che ho finito definitivamente di scriverla, quindi gli ultimi due capitoli arriveranno a breve (e con breve intendo nel giro di una settimana.).
Nel frattempo, spero non rimaniate delusi da questo capitolo, che purtroppo ho ricontrollato un po’ in fretta.
A presto!
Mel.
 
 
 
Apro gli occhi lentamente, svegliata dall’odioso frastuono della sveglia. La testa mi gira e ho uno strano senso di vomito.
Guardo l’orologio nella penombra: le otto e mezza.
Sospiro portandomi una mano al viso.
Oggi è il 21 giugno, il famigerato giorno.
Il mio compleanno.
Cercando di non urlare mi rigiro nel letto. Dopo lunghi, atroci secondi, mi alzo finalmente, a gran fatica.
Coraggio, Lea. Ce la puoi fare. E magari ci crederei anche, se non odiassi così tanto questo giorno.
Scendo in cucina a fare colazione, ancora in pigiama e nel mio basilare aspetto da ragazza-zombie.
Solo i miei genitori si sono degnati di svegliarsi presto, mentre i miei fratelli dormono ancora beatamente nei loro lettini. Non sanno quanto li invidio.
Mio padre, appena mi vede arrivare, sebbene abbia l’aspetto di un reduce di guerra, mi sorride ed esclama:
«Ecco la star del giorno!»
Mi da velocemente un bacio sulla guancia, mentre mia madre mi mette i pancake nel piatto e mi guarda sorridente.
Non potrebbe esserci giornata peggiore di questa per compiere gli anni: tra meno di un’ora dovrò essere a scuola a sostenere il mio fatidico esame orale, questo pomeriggio poi, mi aspettano delle bellissime ore in compagnia del cane di Liza. Per non parlare del fatto che i Richardson se ne vanno oggi.
Esatto, con tutto il casino che è successo qualche settimana fa, Larry e Jenny hanno pensato di tornare in anticipo a Bristol. Non rivedrò più le loro facce sorridenti e, sebbene siano insopportabili, devo dire che mi ci ero affezionata dopotutto.
E non rivedrò più Marc.
Sono triste per questo, certo, ma credo di esserlo meno di quanto dovrei. Marc non si presenta quasi mai a scuola, e noi due parliamo nettamente di meno, dopo la fatidica rivelazione dell’altra volta. Quindi non so, mi mancherà di certo, ma forse è meglio così. Almeno non vederlo più mi lascerà la testa libera dai pensieri.
«Dunque…» inizia mia madre, sedendosi con noi a tavola. «So che dovremmo aspettare a stasera, ma io e tuo padre non riusciamo ad aspettare a dartelo.»
Lentamente tira fuori un piccolo pacchetto, incartato con una carta con su delle piccole renne, avanzata da questo Natale, da sotto il tavolo.
Io, sorpresa, mando velocemente giù il boccone di pancake che avevo in bocca e li ringrazio. Entrambi mi guardano impazienti mentre scarto con calma il regalo.
Infine, tolta la carta natalizia, mi si rileva davanti il regalo. Lo afferro e lo alzo verso la luce per vederlo meglio.
Sorrido felice.
«Grazie!» dico, sinceramente. «È bellissimo.»
È un vestito celeste a maniche corte, molto semplice, ma molto carino.
«È del colore dei tuoi occhi.» m’informa mia madre entusiasta.
«E trovo che sia molto nel tuo stile.» conclude mio padre.
Lo osservo meglio. È vero, è proprio nel mio stile: non è esagerato, ma comunque elegante.
«Sapete, siete sempre indaffarati e a volte mi ignorate palesemente, e ogni volta pretendete che io curi i miei fratelli mentre voi ve la spassate in giro…» dico, senza togliere lo sguardo dal mio nuovo vestito. «Ma non avrei mai desiderato dei genitori migliori di voi.»
I miei si scambiano sguardi, senza sapere se essere stupiti o lusingati.
Senza dire nient’altro, do un bacio ad entrambi, estremamente riconoscente, poi corro su in camera mia per provare il nuovo vestito.
Qualche minuto dopo sto scendendo le scale con un nuovissimo vestito celeste addosso, i capelli legati in una coda alta e delle scarpe da tennis bianche, pronta per affrontare, una volta per tutte, il mio esame orale.
 
 
Attraverso di nuovo il corridoio, al limite dell’ansia. Ormai sto andando avanti così da mezz’ora circa, cioè da quando Aileen Magaston è entrata in aula per il suo esame.
Dopo Magaston viene McEwitch.
Non ce la posso fare.
Sebbene abbia studiato per questo esame praticamente per un mese intero, non riesco a stare ferma un secondo.
La mia routine continua così per circa dieci minuti: avanti e indietro per il corridoio, avanti e indietro per il corridoio, avanti e indietro per…
Mi blocco all’improvviso. A qualche metro di distanza c’è Julia, vestita in modo stranamente sobrio che chiacchiera allegramente con un gruppo di persone, senza nemmeno avermi notata.
Giusto, dimenticavo che Julia Miller viene appena dopo Lea McEwitch.
Continuo a osservarla, con una punta di nostalgia. Non parlo con lei da circa tre mesi, e anche se non sono molti, è cambiata notoriamente: il suo look dark è sparito quasi del tutto, ad eccezione dei capelli, che sono ancora neri.
Mi avvicino lentamente, cercando di non dare nell’occhio. Mi accorgo, con grande stupore, di essermi sbagliata: quando pensavo che Julia stesse chiacchierando pacificamente con un gruppo di persone, in realtà si trattava di una conversazione ben poco pacifica. Solo ora mi rendo conto che in realtà Julia è veramente infuriata, e sta litigando con qualcuno di fronte a sé che non riesco a scorgere.
Mi avvicino sempre di più.
«Non ci posso credere!» urla Julia, al limite della rabbia. «Non ti voglio più vedere!»
Julia si volta e noto con stupore che il suo viso è arrossato dal pianto. Lei corre velocemente verso il bagno, senza notarmi. La mia attenzione però è rivolta a qualcun altro: mi accorgo che la persona con cui Julia stava litigando è Sam.
Oh, Sam. Sono mesi che non gli rivolgo la parola. Probabilmente si sarà dimenticato anche della mia esistenza.
«Sam!» lo chiamo e mi avvicino a lui. Per fortuna mi nota e rivolge lo sguardo verso di me. «Cosa è successo?»
Sam mi guarda per un secondo. Poi, constatato che non sono morta in qualche incidente stradale un mese fa, mi risponde:
«Non lo so!» dice alzando le spalle. «Ero venuto per il suo esame orale e all’improvviso si è messa a urlare contro di me, dicendo che non tenevo a lei e cose del genere. Ha iniziato ad arrabbiarsi e a dire che preferivo…»
Sam si blocca a fissarmi.
«Me?» chiedo sconvolta.
Lui annuisce.
Sospiro e mi volto a guardare verso il bagno dove Julia è appena entrata.
Sì, Lea. È il momento.
«Senti, Sam.» gli dico, non appena ho attirato la sua attenzione. «Ci penso io, tu resta qui. Riuscirò a sistemare tutto.»
«Ma sei sicura?» mi richiama, mentre mi sto dirigendo verso il bagno.
Io mi volto e gli sorrido con sicurezza.
«Mai stata più sicura.» E mi richiudo la porta del bagno dietro.
Nel bagno regna una calma indecente. Passo da tutte le porte, alla ricerca di Julia, ma mi sembrano tutti vuoti al momento. Così prendo coraggio e la chiamo, a bassa voce.
«Juls?»
«Vattene via!»
Beh, almeno ha risposto.
Mi avvicino alla porta del bagno dalla quale proviene la sua voce, ma mi accorgo che è chiusa a chiave.
«Dai, Juls, almeno fammi entrare!»
Nessuna risposta.
«Guarda che se sei ancora arrabbiata con me possiamo parlarne!»
Ancora nessuna risposta. Ormai mi sono rassegnata. Julia non mi farà entrare, ma ciò non mi impedisce di chiederle comunque scusa.
«Senti… mi dispiace per tutte le cose che ho detto a te e Veronica! Io non le pensavo veramente, ero solo arrabbiata per tutto quello che mi era successo con Liza! E se questo non ti convince allora non so davvero cosa fare per…»
A questo punto la porta del bagno di fianco a me si apre e ne esce Julia, che mi fissa intensamente.
«Perché stai parlando a quella porta?»
Mi allontano immediatamente. Accidenti, porta sbagliata!
Julia fa comunque finta che io non ci sia, e si avvicina al lavandino. Mentre Julia si lava la faccia io la osservo accigliata.
«Ne vuoi parlare?» chiedo indecisa. «Sono molto brava a consolare le persone, sai.»
Julia chiude improvvisamente l’acqua del lavandino con rabbia, e si volta verso di me, minacciosa.
«Perché devi sempre fare così?» mi domanda con tono aggressivo.
Non capisco a che cosa si stia riferendo.
«Io non…» rispondo confusa.
«Perché devi sempre fingere di criticarti mentre in realtà non perdi un attimo a ricordare al mondo quanto sei perfetta e magnifica?»
Rimango bloccata e senza parole. Ancora non riesco a trovare un significato nelle sue parole.
«Io…» finalmente apro bocca, anche se non ho idea di cosa dire. «Non lo so… Non credo di farlo apposta.»
Julia, che sembra essersi calmata, riapre l’acqua del rubinetto, solo che stavolta, invece di utilizzarla, la fissa senza vitalità.
«Sono così gelosa di te, lo sai…» sussurra all’improvviso. Io rimango sorpresa, ma non oso interromperla. «Tu sei piena di difetti, eppure riesci ad avere tutto: bellezza, amici, una famiglia perfetta e un ragazzo che ti ama. Mentre io non ho nulla di tutto ciò, nonostante mi impegni.»
«Piano.» la interrompo, portando lo sguardo da lei al mio riflesso nello specchio. «La bellezza e gli amici puoi anche toglierli dalla lista. “Famiglia perfetta” poi, credo che sia una questione di punti di vista…»
Mi blocco un secondo, sospirando nel frattempo.
«… e non ho più neanche il ragazzo.»
Julia mi fissa sorpresa. Posso capire che sia dispiaciuta per me, sebbene la sua pietà duri solo un secondo.
«Beh,» riprendo subito dopo. «non siamo poi così diverse dopotutto.»
Julia abbassa lo sguardo non appena rivolgo il mio viso verso di lei. Noto comunque che ha abbozzato un sorriso. Ah se solo avessi avuto questa conversazione con lei tre mesi fa…
«Avevo paura che Sam fosse ancora innamorato di te.» confessa infine.
Io scoppio a ridere.
«No, non lo è, te lo giuro!» dico, appoggiandomi a uno dei lavandini. «Anche io in realtà non ci credevo quando me l’ha detto. Ma ti posso assicurare, Julia, che quel ragazzo è totalmente cotto di te… e sono quasi del tutto convinta che anche tu lo sei.»
Julia fa un sorriso timido. Finalmente alza lo sguardo e mi guarda sorridente. Non sono mai stata così felice di vederla sorridere come in questo istante.
«Sai, avevo dimenticato che fossi un’amica straordinaria.» Le sorrido sinceramente. «Buon compleanno, comunque.»
Con uno sguardo ci intendiamo e ci abbracciamo immediatamente. Entrambe poi scoppiamo a ridere. Non credo mi sia mai sentita meglio in tutta la mia vita.
«Lea?»
Una voce proveniente dalla porta principale richiama la mia attenzione. Mi stacco dall’abbraccio di Julia
Aileen Magaston è davanti a me, che mi guarda impaziente.
Dannazione! L’esame orale!
«Lea, se non ti sbrighi, quelli ti mettono quattro direttamente…»
«No, no!» urlo, scappando fuori dal bagno. «Sono pronta, prontissima!»
Mi dirigo velocemente verso l’aula dove i professori attendono impazienti.
Coraggio, Lea, è giunto il momento. Ora fai vedere a quei maledetti insegnanti con che cervellona hanno a che fare!
 
La professoressa Annette è china sulla sua cattedra, e scrive imperterrita su un foglio davanti a sé.
Io busso timidamente.
All’improvviso tutti gli sguardi dei professori si rivolgono unicamente a me.
«Oh, McEwitch!» dice l’Annette, contenta di vedermi finalmente. «Entra pure.»
Io mi dirigo tremando dentro l’aula, dove al centro c’è una sedia che mi aspetta, molto stile condannato a morte, cioè come mi sto sentendo in questo momento.
«Bene, McEwitch.» continua l’Annette sfogliando alcuni fogli. Io intanto mi sistemo sulla sedia. «Vedo che i tuoi voti e le altre prove d’esame sono assai soddisfacenti. Ora, puoi dirci su che argomento sarà la tesina del tuo esame orale?»
«Sull’Irlanda.» rispondo immediatamente.
«Argomento originale.» l’Annette pare positivamente sorpresa. «E posso chiederti il perché di questa scelta?»
«Beh, signora…» rispondo con un sorriso. «Perché io amo l’Irlanda.»
 
 
È fatta! Se ci fosse una classifica dei migliori esami orali fatti nell’intera storia questo occuperebbe di certo il primo posto!
«Sei stata fantastica!» si congratula Julia, che è rimasta a guardare per tutta la durata del mio esame. «Davvero, non sapevo fossi così intelligente, Lea!»
Non so se considerarlo un complimento o no. Comunque, per come stanno andando le cose fino adesso, credo di poter considerare questo giorno il miglior compleanno della mia vita.
«Senti, Lea.» Sam appare alle spalle di Julia, anche lui al limite dell’entusiasmo. «Io, Julia e altri amici andiamo a festeggiare al bar qua di fronte. Vuoi venire?»
«Mi piacerebbe molto, ragazzi.» rispondo con malinconia. «Ma purtroppo ho da fare.»
Loro rimangono delusi, ma comunque rassegnati. Li saluto, e poco prima che se ne vadano faccio un occhiolino a Julia, che si dirige fianco a fianco insieme a Sam.
Nel giardino della scuola non rimane nessun altro oltre a me.
La suoneria del mio telefono squilla all’improvviso, rompendo il silenzio generale del moemento.
«Pronto?» rispondo immediatamente.
«Mi dicono che il tuo esame è finito.» sento la voce di Liza provenire dal telefono. Non capisco davvero come faccia a sapere tutto subito. Dove le mette tutte quelle microspie?
«Già.» ribatto freddamente.
«Quindi ora si inizia. Hai tutto l’occorrente?»
Liza si riferisce al fatto che ieri ci siamo scambiate le nostre chiavi di casa, per fare in modo che le nostre sfide iniziassero tutte due allo stesso momento. Non ci siamo però scambiate consigli o indicazioni su dove si trovassero le cose occorrenti. Niente di niente: siamo lasciate alla pura sopravvivenza da questo momento in poi.
«Sì.»
«Allora è come abbiamo deciso: chi resiste prima in casa dell’altro fino alle quattro vince. Il vincitore, ricordiamo, avrà la predominanza del bagno delle ragazze al primo piano per tutto l’anno seguente.»
«E le caramelle all’anguria.» le ricordo.
«Sì, e le caramelle all’anguria.»
«Che vinca il migliore.»
«Che vinca il migliore.»
«Buona fortuna, Liza.»
Liza mette giù il telefono senza dire nient’altro.
 
 
«Dai, Principessa, mangia i croccantini, su!» È incredibile quanto sia stupido questo cane. «Mamma si arrabbierà se scoprirà che non hai mangiato i croccantini!»
Principessa, il carlino di Liza, osserva la sua ciotola ripiena di cibo, senza però osare avvicinarsi. Fa un piccolo passo, ma subito dopo si ritira.
«Oh, ti prego, mangiali! Non voglio avere la vita di un cane morto di fame sulla mia coscienza!»
Finalmente Principessa sembra ascoltarmi: si avvicina pian piano alla sua ciotola. Annusa i croccantini, li guarda attentamente e… Fantastico. Se n’è andata.
A quel punto mi butto a terra, cercando di non imprecare contro quel maledetto cane. Io, che l’unico cane con cui ho avuto a che fare in sedici anni è Ammasso di Pulci, il fastidioso cane del quartiere che mangia solo carne avariata, non avrei mai creduto che curarne uno fosse così arduo.
Principessa poi è un vero demonio, mi domando se Liza l’abbia scelto apposta perché rispecchiava a pieno la sua personalità. Sono qui da qualche ora circa, e quel cane ha rischiato di distruggere la casa più volte di quanto facciano i miei fratelli durante i sabati sera. Chi lo sa quanti vasi preziosi e cuscini io abbia salvato durante questo pomeriggio.
L’unica cosa che mi tira su di morale è il pensiero che Liza, molto probabilmente, se la sta passando peggio di me. Già me la vedo, a urlare contro i miei fratelli di non buttarsi dalle scale e a pregarli piangendo di mangiare il loro pranzo.
Ah, non sa quanto darei per vederla in questo momento.
Ma le regole sono chiare: non possiamo chiamare l’altra al telefono, perché una di noi due, per pietà o stupidità. potrebbe rivelare informazioni riguardanti la nostra sopravvivenza, e ciò non può accadere: dobbiamo essere lasciate puramente a noi stesse.
Certo, in questo modo io e Liza potremmo filarcela in qualsiasi momento, ma non ho altra scelta che fidarmi.
Dopotutto Liza sarà anche una pessima persona, ma so che mantiene sempre le promesse.
All’improvviso sento la porta principale aprirsi.
Cosa? Impossibile! I genitori di Liza dovrebbero essere fuori fino a stasera, me l’ha assicurato. Corro velocemente verso la porta e la trovo socchiusa.
Mi guardo intorno. Non vedo segni di un ladro.
Vado tranquillamente verso la porta e la spalanco. Proprio come sospettavo, è solo Principessa che ha deciso di uscire. Tutto sarebbe normale, se quel cane non fosse in mezzo al prato e alle aiuole, in posizione accovacciata, a fare ciò che non dovrebbe. Temo subito il peggio.
«No, no, no, no!» sussurro tra me e me, correndo verso Principessa in mezzo al panico.
La cagnetta si alza e fila via dal luogo dove era seduta un attimo prima. Al suo posto ha lasciato i suoi piccoli ricordini.
Fantastico! Non solo ho dovuto curare il cane della persona che odio di più al mondo, ora dovrò ripulire il suo bel giardinetto dagli escrementi che quella specie di topo gigante ha lasciato!
«Stupido cane!» urlo voltandomi verso Principessa, che è seduta davanti alla porta con la lingua di fuori, a guastarsi sadicamente il momento.
Senza dire nulla, ma comunque seccata, rientro in casa e prendo un sacchetto di plastica. Per fortuna riesco a cavarmela in appena venti minuti e risolvo quel disgustoso incidente.
Mentre sto ritornando dal cassonetto della spazzatura, sento sbattere la porta. Mi volto allarmata.
Noto con puro orrore che Principessa è sparita, evidentemente rientrata in casa. Nel farlo però mi ha chiusa fuori casa.
Corro velocemente verso la porta, cercando di non entrare nel panico. Provo ad abbassare la maniglia. Niente. É bloccata.
Provo due, tre volte, ma ancora niente.
Sono bloccata fuori.
E tutto per colpa di uno stupido carlino.
Sbatto ripetutamente i pugni contro la porta, sperando in chissà cosa. Poi mi sposto verso la finestra. Provo ad aprirla, ma è chiusa dall’interno. Dall’altra parte del vetro sbuca fuori Principessa che mi fissa.
Odio quel cane.
Non c’è niente da fare, sono bloccata qui. Devo restare calma.
Molto bene, ora le opzioni sono tre:
1: torno a casa mia, abbandonando qui per sempre Principessa. In questo caso, però, perderei la sfida con Liza.
2: aspetto qui fuori in giardino fino alle quattro, senza cibo, acqua, cellulare, e soprattutto senza aria condizionata.
Oppure trovo un modo per rientrare in casa. Questa mi sembra decisamente l’opzione migliore. Non lascerò che Liza mi batta solo perché il suo cane è più intelligente di me. Questo mai.
Mi guardo intorno. Deve pur esserci un modo per entrare. Forse potrei staccare un pezzo della staccionata e forzare la porta… Oppure potrei rompere il vetro della finestra ed entrare da lì. Mi rendo conto, però che entrambe le opzioni comporterebbero costi aggiuntivi che non posso permettermi. No, devo trovare un'altra idea.
All’improvviso sposto il mio sguardo in basso. L’occhio mi cade proprio sulla porticina per cani installata nella porta, per consentire a Principessa di uscire ed entrare.
In testa, all’improvviso, mi si insinua una malsanissima e allo stesso tempo geniale idea.
So a cosa stai pensando, Lea. NON. FARLO.
Lo so, è pura follia. Ma non vedo altra scelta.
Mi abbasso in ginocchio e prendo approssimante le misure per vedere se ci potrei passare. Forse sono un po’ troppo larga, ma spingendo un po’ sono sicura che potrei passarci.
Così mi avvio. Infilo le braccia e poi la testa nella piccola apertura e ci passo tranquillamente.
Una volta che mi sono tolta i capelli dal viso, spunta davanti a me la visione del salotto di Liza. Mi spingo ancora di più attraverso la porticina, e anche il mio busto riesce a passare. Bene, sono già dentro per metà.
Quando sono ormai convinta di essere riuscita ad entrare, il mio bacino si blocca in mezzo alla porticina. Provo a spingere in tutti i modi, usando tutte le mie forze, ma niente: non riesco ad andare più avanti di così.
«Oh, ma andiamo!» urlo spazientita.
Non può essere. Devo passarci, devo assolutamente! O l’altra metà del mio corpo rimarrà per sempre fuori da questa casa.
Provo ancora qualche volta, ma non riesco comunque a passare.
Cerco allora di tornare indietro in giardino, in modo da trovare un altro modo per rientrare.
Ma anche quando cerco di uscire fuori, i miei sforzi risultano inutili, e rimango comunque immobile. Spingo con tutte le mie forze, provo a rigirarmi in vari modi, ad aggrapparmi a qualcosa per tirarmi fuori. Non succede niente.
Il mio bacino è definitivamente bloccato tra i lati della porticina.
Proprio mentre sto per gettare un urlo disperato, spunta Principessa davanti a me. Mi corre incontro, e poiché ora sono alla sua altezza, inizia a rimpinzarmi la faccia di disgustose leccate.
Odio questo cane.
 
 
Se qualche anno fa mi avessero detto che il giorno del mio sedicesimo compleanno sarei rimasta incastrata mentre cercavo di entrare in casa di Liza da una porticina per cani, non penso che gli avrei mai creduto.
Ho ormai perso la concezione del tempo. Non so se sono qui da un minuto, un ora o un anno. Chissà se mi tireranno mai fuori da questo posto. Forse dovrò arrangiarmi e vivere qui per sempre. Divisa in due da una porta. Che brutta fine.
Inizio a urlare e ad agitare le braccia qua e là. Non ce la faccio più! Ho provato di tutto, ma non riesco a liberarmi! Le mie gambe stanno collassando sotto il sole là fuori, mentre Principessa sta trasformando la mia faccia nell’Oceano Pacifico.
Se solo trovassi un modo per uscire di qui…
Sento improvvisamente dei passi provenire da fuori. Forse una speranza ancora c’è.
«Ehm… tutto bene?» chiede una voce maschile gentile, sebbene molto confusa, proveniente dal giardino.
Sebbene non riesca a vedere il mio interlocutore, che si trova al di là della porta, la sua voce mi sembra quasi familiare.
«Sì!» rispondo, al limite della felicità per quell’incontro. «Cioè… no! No, non va affatto bene! Sono bloccata in una porticina per cani!»
«Beh, questo l’avevo capito. E come saresti finita in questa situazione?»
«È una lunga storia.»
«Non stavi cercando di rubare, vero?»
«Credi davvero che se avessi voluto rubare sarei entrata da una cavolo di porticina per cani?!»
Non sento risposta. La persona fuori dalla porta si zittisce un secondo.
«Aspetta…» lo sento dire. «Ma io ti conosco!»
Alzo gli occhi al cielo.
«Se magari mi dicessi chi sei, allora forse potrei darti una risposta!» rispondo spazientita.
«Lea?» dice improvvisamente. «Sono io, Brad!»
Rimango sorpresa per un secondo.
Brad? Spero non si tratti di quel Brad che mi dava ripetizioni all’inizio dell’anno, che odiava i miei capelli e che è stato il mio ragazzo per circa due minuti e mezzo.
«Brad? Vuoi dire Brad Callaghan?» chiedo.
«Sì!»
Ok, questa è in assoluto la situazione più assurda e imbarazzante di tutta la mia vita. Ma sebbene io sia al limite della vergogna, lui sembra contentissimo di incontrarmi.
«È da così tanto tempo che non ci vediamo!» esclama al limite della gioia. «Devo raccontarti un sacco di cose! A proposito, come sono andati gli esami? Sai, anche io quest’anno li avevo… Lo so, sono terribili, soprattutto quelli del terzo anno, poi…»
«Brad!» lo interrompo. «Sono contenta anche io di incontrarti, ma potremmo, per logica priorità, tirarmi fuori da questa porticina e poi parlare dei fatti nostri?!»
«Oh, giusto. Me n’ero quasi dimenticato.»
«Allora: o entro in casa definitivamente, oppure esco. Cosa ti sembra più logico?»
«Forse potrei prenderti per le gambe e provare a tirarti fuori.»
«Ottima idea, se solo il mio bacino non fosse incastrato e io non riesca a muovermi di un centimetro!»
«Aspetta.» Lo sento abbassarsi vicino a me. «Ce la fai a girarti di lato?»
Provo a fare come dice. Non succede niente.
«Forza, un po’ più di sforzo.» mi incita ancora Brad.
Ci provo ancora, e ancora, finché dopo qualche minuto, riesco a girarmi leggermente.
«Ora lascia fare a me.» dice Brad e subito io mi spavento.
Sento che le sue mani afferrano entrambe le mie gambe.
«Ok, se dovessi staccarmi le gambe, sappi che non esiterò a denunciarti!» strillo allarmata.
Brad dà uno strattone alle gambe e io urlo sorpresa. Continua a tirarmele, e dopo un po’ iniziano a farmi male. Non mi sono ancora liberata. Sebbene i miei insulti e le mie proteste, Brad non si ferma, e continua a provare a tirarmi fuori di lì.
Decido di aiutarlo: appoggio le mie mani a terra e cerco di spingermi dall’altra parte. Entrambi tiriamo con tutte le nostre forze.
Dopo un po’ di sforzi vari, finalmente il mio bacino si libera e riesco ad uscire da quella scomoda situazione.
Libera finalmente! Oh, quanto mi mancavano la luce del sole e i canti degli uccellini! Ormai avevo dimenticato quanto fossero belli!
Appena riesco a uscire e a spostarmi i capelli indietro, vedo finalmente Brad con i miei occhi. Non è molto cambiato dall’ultima volta che l’ho visto: mi sembra solo leggermente più alto, e la sua ispida barba ora è stata sostituita da una ben più folta.
Entrambi siamo a terra e affanniamo dopo questa incredibile impresa.
«Grazie.» riesco a dirgli tra i sospiri. «Non ce l’avrei mai fatta senza di te.»
«Di nulla.» risponde lui, sorridendomi.
«Senti, sai dirmi che ore sono?»
Brad alza il braccio e guarda di sfuggita l’orologio.
«Le quattro e dieci.» risponde.
Bene.
Un momento! Le quattro e dieci? Ma questo significa che è finita! La sfida è finita, ho vinto! Ora posso andarmene, finalmente posso tornare a casa mia! Posso festeggiare il mio compleanno in santa pace!
Mi alzo di scatto, come se avessi riacquistato d’un tratto tutte le mie forze. Brad mi guarda incredulo.
«Scusa, ora devo proprio scappare.» gli dico velocemente.
Senza che lui possa dirmi niente, mi dirigo velocemente verso il cancello. Quando sono sul punto di uscire, mi ricordo di una cosa che ho da chiedergli:
«Un’ultima cosa: come mai passavi di qui?»
Brad ridacchia divertito.
«Io?» dice, guardandomi. «Abito qui a fianco, avevo solo sentito delle urla ed ero venuto a controllare.»
«Aspetta…» faccio, incredula. «Vuoi dire che tu e Liza siete vicini di casa?»
«Beh, sì.»
Lo guardo senza dire niente. Un’altra idea è appena apparsa nella mia testa.
«Non è che sei inglese, per caso?»
Brad mi lancia un’occhiata confusa.
«No. Perché?» mi risponde.
«No, niente.» Finalmente chiudo il cancello dietro di me. «Ci vediamo, Brad!»
Scappo e corro velocemente lungo il marciapiede deserto. Sorrido tra me e me.
Non sono mai stata così felice.

 

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Capitolo 27
*** 21 giugno - Parte 2 ***


Mi fermo improvvisamente, riprendendo fiato. La casa davanti a me e piccola ma accogliente, esattamente come me la ricordavo. Mi dirigo velocemente verso il campanello e, dopo averlo suonato, il suo suono rimbombare si sente all’interno della casa.
La porta si apre lentamente.
«Ciao!» esclamo allegra non appena la vedo la sua figura apparire.
Veronica è davanti a me che mi guarda straniata.
«Cosa ci fai qui?» mi chiede, evidentemente sorpresa.
«Beh, io…»
In effetti è un po’ strano presentarmi qui, a casa sua, dopo tre mesi, a presentare le mie scuse. Forse dovrei andarmene…
Oh, suvvia, Lea! Se è andata bene con Julia andrà bene anche adesso!
Prendo un lungo sospiro e infine proclamo:
«Mi dispiace.»
Resto in silenzio. Veronica mi guarda impassibile.
«Tutto qui?» mi chiede quasi annoiata.
A quel punto alzo gli occhi al cielo e sospiro infastidita.
«Senti, se fossi brava con le parole magari sarei anche più convincente!» continuo. «Ma purtroppo non è un talento che ho. Quindi non ho idea di come esprimere quanto io sia dispiaciuta di averti detto tutte quelle cose… e aver detto agli altri tutte quelle cose su di te. In ogni caso non starò qui a supplicarti in ginocchio di ritornare mia amica. Solo… mi dispiace, ok?»
Ho urlato fino ad adesso, ma Veronica non sembra né convinta né soddisfatta. Continua a fissarmi per qualche secondo. Poi, con tono quasi arrabbiato, dice:
«Wow, Lea, davvero, non credevo che fossi tanto insensibile. Hai idea che cosa significhi non sentirsi abbastanza carina, o non sentirsi all’altezza di nessun’altra ragazza, comprese le tue amiche?»
«No, non lo so!» la interrompo. «E forse è questo il nostro problema: pretendiamo che capirci a vicenda e metterci nei panni di qualcun altro sia una cosa scontata, ma non lo è! Io non sono te, come tu non sei me. Io sono Lea e tu sei Veronica, siamo persone diverse, io non posso pretendere che tu sappia come ci si senta ad essere me e io non posso sapere come si sente a essere te!»
«Quindi stai dando la colpa a me di tutto, è così?»
«No, sto solo dicendo che dovremmo smetterla di attaccare gli altri per qualcosa che noi non abbiamo. Va bene, non sei bella come me, e allora? La gente apprezza anche altre qualità, sai? Io non sono buona e gentile come te, ma non m’importa. So di non esserlo, e mi vado bene così come sono. Ma ti stai dimenticando una cosa che entrambe sappiamo essere: amiche. Io ti voglio bene, davvero e anche cercando nel più insignificante spazio del tuo cuore, io spero che tu riuscirai a perdonarmi un giorno.»
Faccio una piccola pausa. Veronica ora sembra prestarmi più attenzioni.
«Detto questo.» continuo dopo aver preso fiato. «Voglio solo dirti che io ti trovo fantastica, esattamente così come sei. Sei una ragazza brillante, e la migliore amica che avrei mai potuto desiderare. L’unico difetto che hai è l’ignorare tutto ciò.»
Veronica mi sorride finalmente, e si asciuga una lacrima che le sta scendendo dall’occhio.
«Grazie.» dice solamente, ma capisco che, se ne avesse la forza, mi direbbe molto di più. Le sorrido e corro ad abbracciarla velocemente.
Finalmente mi sono liberata di questo peso, non resistevo più.
Ora che io e Veronica abbiamo fatto pace posso finalmente aiutare Andy a conquistarla. Davvero, capisco perfettamente perché si sia innamorato di Veronica. Mio fratello d’altronde è un ragazzo così…
Aspetta, un attimo… Andy… fratelli… casa… compleanno….
Oddio!
I miei fratelli sono ancora a casa con Liza! Oh, lo sapevo che non avrei mai dovuto deviare a casa di Veronica, a quest’ora la casa sarà il centro di una guerra nucleare!
Mi stacco velocemente dall’abbraccio.
«Viv, sono felicissima che tu mi abbia perdonato, ma mi sono ricordata che devo ancora fare una cosa!»
«Eh?» risponde lei, stupita. «Ma speravo di chiamare Julia e vederci un film stupido tutte tre insieme!»
«Mi piacerebbe un sacco, ma devo proprio andare! Possiamo fare domani?»
Veronica mi dice di sì e le prometto di richiamarla il giorno dopo.
Poi corro verso la prima fermata dell’autobus, mentre la voce di Veronica, da lontano mi saluta sorridente.
 

Suono ripetutamente il campanello di casa mia. Come mai nessuno viene ad aprirmi? Cos’è successo, i miei fratelli hanno fatto fuori Liza direttamente?
Finalmente la porta si apre leggermente.
Abbasso lo sguardo. Mi ha aperto Hayden, che ha le mani e il volto completamente sporchi di sugo.
«LEEEEAAA!» strilla non appena mi vede, allungando le braccia per farsi prendere.
Io le sorrido e la predo in braccio, facendo attenzione a non sporcarmi i vestiti di sugo. Faccio un bel respiro ed entro in casa.
Dire che c’è rumore è dire poco. Qui è in corso l’apocalisse.
Laura e Ricky saltellano sul divano, cercando di buttarsi giù a vicenda. Irene è in cucina sul tavolo, che strilla in lacrime, mentre Mike le disegna dei baffi sulla faccia con il sugo che, deduco, è lo stesso che ha addosso Hayden.
Inoltre per terra è pieno di vestiti, di latte rovesciato e di giocattoli rotti.
Non c’è traccia di Andy e Anna, né di Liza.
All’improvviso sento la sua voce provenire dal piano di sopra. Strilla qualcosa, ma non riesco a capire nulla. Sulla sua voce, però, riesco a sentire anche quella di Anna.
Appaiono improvvisamente entrambe, dietro la ringhiera del soppalco.
«Tornatene dentro, idiota!» strilla Liza infuriata. Nessuna delle due mi ha notata.
«Non ci penso nemmeno! Solo perché hai convinto mio fratello a chiudersi in camera non significa che debba farlo anche io!» ribatte Anna, correndo su per le scale.
Io metto giù Hayden con cautela, che corre subito ad aiutare Mike ad imbrattare la faccia di Irene.
«Stammi a sentire, razza di clone di Lea!» dice Liza, seguendola giù. «Non voglio che te lo ripeta un’altra volta! Ora tu…»
Entrambe si bloccano, avendomi notata. Anna non dice nulla, ma Liza si fa strada e si accanisce subito su di me:
«Tu!» urla minacciosa. Si avvicina velocemente, mentre io non mi muovo di un passo. «Lo sai che ore sono, vero? Mi hai lasciata qui un’ora più del dovuto a curare i tuoi maledetti fratelli!»
Subito si fa silenzio intorno a lei. I miei fratelli iniziano a radunarsi intorno. Perfino Andy, che deve aver sentito le urla di Liza dalla sua stanza, esce e si unisce al nostro gruppo, lì alla base delle scale.
«È stato terribile!» continua Liza, mettendosi le mani nei capelli. «Hanno quasi distrutto la casa, saltavano su ogni cosa, si buttavano giù dalle scale per divertimento, mi trascinavano da ogni parte, lanciavano cibo ovunque!»
Io la guardo senza nessuna pietà. Non ho detto nulla fino ad ora, ma quando vedo Liza che prende Hayden per un braccio e la strattona, mi sento in dovere di ribattere. La bambina inizia subito a piangere, ovviamente, ma a Liza non importa. Mi indica ripetutamente le sue mani, dicendo:
«E lo vedi questo? Volevano disegnare sui muri con il sugo! Sapevo che eri problematica, ma non sapevo che tutta la tua famiglia lo fosse!»
Mentre parla, Liza guarda uno ad uno i miei fratelli, che si sentono subito minacciati e iniziano in massa a nascondersi dietro di me, come per proteggersi.
«Ora basta.» le dico, decisa. «La scommessa è finita, puoi anche risparmiarci i commenti.»
«Oh no, non ho finito!» mi risponde Liza, a voce ancora più alta. «I tuoi fratelli sono dei mostri! Sono rumorosi, pazzi, stupidi e anche brutti! Non credo ci siano dei bambini peggiori di loro. Sono da manicomio, non c’è che dire.»
«Ehi!» ribatte Anna, in un impeto di coraggio. «Non siamo da manicomio!»
«Ma sta zitta!» Liza risponde immediatamente. «Sei davvero una cretina. Tu e i tuoi fratelli siete solo degli indomabili galline che non sanno nemmeno…»
Improvvisamente il rumore di uno schiaffo risuona per tutta la casa.
Poi il silenzio più totale.
Mi guardo la mano incredula. Poi alzo lo sguardo e vedo Liza che si copre la guancia, guardandomi a bocca aperta.
L’ho fatto veramente. Ho appena tirato uno schiaffo a Liza. Non mi sentivo così realizzata da anni.
«Loro sono i miei fratelli.» l’ammonisco, guardandola negli occhi. Nella mia voce c’è grande sicurezza. «E tu non permetterti mai più di parlar loro in questo modo.»
Liza mi guarda sorpresa, come se d’un tratto vedesse una Lea completamente diversa. Beh, forse sono diversa. Per la prima volta nella mia vita, ho difeso i miei fratelli. E nel farlo, sono perfino riuscita a intimidire la mia più grande nemesi.
Liza continua a osservarmi. Il silenzio regna nella stanza. I miei fratelli sono ancora impauriti dietro di me, a differenza di Andy, che dal soppalco mi guarda compiaciuto.
Dopodiché, senza aggiungere una parola, Liza se ne va, ricolma di vergogna.
Appena si richiude la porta principale si chiude dietro di lei, i miei fratelli vincono la paura e scoppiano in urla di gioia.
Tutti corrono ad abbracciarmi, volano nell’aria strilla, e quasi tutti si congratulano con me.
«Sei stata fichissima Lea!» mi dice Ricky.
«Sei la mia sorella preferita!» è invece ciò che dice Anna.
«LEEEEAAAA BRAAAVAAA!»
Come al solito Hayden si fa riconoscere.
Mi abbracciano tutti, senza aspettare il loro turno, ovviamente. In men che non si dica, mi ritrovo con cinque bambini attaccati a me. Ridiamo e festeggiamo tutti insieme. Però non m’importa se non posso muovermi. Sono così felice in questo momento.
«Anche io vi voglio bene, ragazzi.» dico, con totale sincerità.
«Dunque è bene quel che finisce bene.» Sento la voce di Andy dietro di me. «E i McEwitch sono di nuovo una famiglia.»
 

 
«Liza! Ehi, Liza, aspetta!»
Lei si volta lentamente verso di me.
«Congratulazioni.» mi dice, mentre io la raggiungo sulla strada. «Devo dire che io non avrei mai trovato il coraggio di tirarti uno schiaffo così forte.»
Una volta arrivata di fronte a lei, sospiro e le dico:
«Mi dispiace. Lo so che non siamo mai state molto amiche. Ma negli ultimi tempi ho imparato parecchie cose, tra cui il fatto che non ha senso odiarci per qualcosa che è successo più di dieci anni fa.»
Lei sbuffa.
«Beh, sì, forse…» Fa finta di non essere convinta.
Io mi avvicino a lei e le metto affettuosamente una mano sulla spalla. Lei non ribatte.
«Senti, ho qualcosa da proporti.» dico. «Che ne dici di una tregua?»
Liza mi guarda indecisa.
«Che genere di tregua?»
«Smettiamola di odiarci, proviamo una volta tanto ad andare d’accordo o almeno a… non sabotarci a vicenda, ecco!»
Dopo qualche altra parola, riesco a convincerla finalmente.
«Beh, forse hai ragione.» dice infine Liza. «Non ha senso continuare così, soprattutto se litighiamo per un pacchetto di caramelle. Ti concedo la tregua, Lea, ma voglio un’ultima condizione.»
«Cioè?»
«Posso tirarti uno schiaffo. Adesso. Poi ti prometto che ti lascerò in pace.»
Inizialmente sono titubante ad accettare: non voglio ricevere uno schiaffo da Liza. Però poi ci penso su: uno schiaffo, dopotutto, quanto mai potrebbe far male?
Così acconsento.
Chiudo gli occhi, in attesa che la sua mano colpisca la mia guancia. Aspetto qualche secondo, intanto Liza mi tiene sulle spine.
Poi arriva, un colpo così forte che per poco non mi fa cadere a terra. Il dolore segue subito dopo. Nonostante ciò, cerco di nasconderlo.
«Bene. ora siamo pari.» esclamo, portandomi una mano alla guancia colpita.
«In effetti abbiamo vinto entrambe la scommessa.» dichiara invece Liza. «Entrambe siamo resistite a casa dell’altra fino alle quattro. È un pareggio dunque.»
Ci zittiamo. Nessuna delle due sa cosa dire.
«Allora?» chiedo io, infine. «Cosa facciamo?»
«Non lo so.»
Ci guardiamo in silenzio.
«Siamo davvero state così prese dallo sconfiggerci a vicenda che non abbiamo minimamente considerato la probabilità di un pareggio?» domando, accennando un sorriso.
«Già.»
«Quindi? Come concludiamo questa storia?»
«Direi esattamente come è iniziata: con una stretta di mano.»
Allunga la sua mano, io gliela stringo senza pensarci.
«È una tregua, quindi?» chiedo speranzosa.
«Per adesso sì.» risponde Liza. «Ma se provi a tirarmi di nuovo uno schiaffo non esiterò a lasciarti di nuovo a casa a curare Principessa.»
Le sorrido. Lei se ne va senza dire nient’altro.
Poi la guardo, mentre si allontana a piedi lungo la strada.
E così io e Liza ci siamo date una pausa. Certo, non posso certo definirci amiche, ma spero che un giorno riusciremo a esserlo. E se anche mi dispiace di aver perso per sempre quelle caramelle all’anguria, sono felicissima che la scommessa si sia conclusa in questo modo.
Prendo una boccata d’aria.
Ah, che giornata. Non credevo che in un solo giorno avrei potuto fare tante cose. Ho fatto pace con Julia e Veronica, ho finito i miei esami, ho curato il cane di Liza e ci siamo perfino date una tregua.
Eppure mi sento come se mancasse ancora qualcosa.
Mi volto e vedo la casa dei Richardson, esattamente di fronte a me. Davanti alla casa c’è già la loro macchina pronta per l’aeroporto che li porterà per sempre a Bristol.
Certo, c’è ancora una cosa che devo sistemare, dopotutto…
Mi avvicino sempre di più alla macchina, finché, dietro di questa appare Jenny, che carica un borsone nel bagagliaio.
«Oh, Lea, ciao!» mi saluta, evidentemente felice di vedermi. «Buon compleanno, cara.»
Incredibile, si è ricordata del mio compleanno.
Beh, per quanto odiassi il suo atteggiamento, devo dire che mi mancherà. Sia lei che Larry.
«Volevo salutarvi.» dico sorridendole. «Siete stati dei vicini di casa meravigliosi.»
Jenny mi sorride e mi abbraccia. Poi sospira di malinconia.
«E dire che ci trovavamo così bene qui…» ammette, sciogliendo l’abbraccio. «Mi dispiace dover partire così in fretta, dopotutto.»
Prendo fiato. Devo chiederglielo. Coraggio, Lea. Devo assolutamente.
«Jenny?» la chiamo e lei si volta subito. «Ecco… Marc è in casa?»
Lei mi sorride dolcemente.
«Mi dispiace, Lea. È andato via un’ora fa.»
«Cosa? E dove?» chiedo incredula.
«Oh, non me l’ha voluto dire. Ha detto che doveva semplicemente andare in un posto, ha preso dei biglietti in camera sua, non so se ti è d’aiuto. Comunque ha promesso di essere qui tra mezz’ora circa. Insomma, in tempo per la partenza.»
«Aspetta.» la interrompo. «State partendo ora?»
«Sì, non ti ha avvisato nessuno? Abbiamo deciso di partire tra poco.»
Non ci credo. Se ne stanno andando di già.  E io non ho ancora salutato Marc.
Beh, non posso di certo rimanere qui ad aspettarlo. Non avrei nemmeno il tempo di dirgli tutto ciò che devo dirgli.
Devo raggiungerlo.
E anche se Jenny non ha saputo darmi indicazioni, so esattamente dove si trova in questo momento.
«Jenny, posso entrare un secondo?» le chiedo, cercando di non sembrare troppo agitata, indicando la casa.
«Certo, cara.» mi risponde. Dal suo tono di voce comprendo che ha notato che mi sono di colpo allarmata. «Guarda però che Marc…»
«Grazie mille!» Non le do il tempo di dire altro che già sono a correre dentro casa sua.
Attraverso il salotto e salgo velocemente le scale, il più in fretta possibile.
Arrivo finalmente alla camera di Marc. È completamente deserta, tutte le sue cose sono scomparse, fatta eccezione per qualche ultimo mobile: un armadio e una scrivania. Una busta di carta è appoggiata su quest’ultima. Esattamente ciò che stavo cercando.
Mi avvicino e l’afferro. Proprio come sospettavo, all’interno c’è solo uno dei due biglietti che avevo regalato a Marc al suo compleanno.
È andato alle Isole Aran. Per dire loro addio, suppongo.
Osservo attentamente il biglietto aereo rimasto.
Non posso aspettare oltre. Il traghetto è troppo lento, potrei perdere per sempre l’occasione di parlare con lui. Devo raggiungere le Isole, nel modo più veloce possibile.
Mando giù la saliva a forza, mentre guardo quel biglietto come se fosse il mio peggior nemico.
Forza, Lea. Devi fare questo piccolissimo sforzo. È solo un volo di venti minuti dopotutto. Sì, insomma, quanto mai potrà essere spaventoso…
 
 
OH MIO DIO NON PRENDERÒ MAI PIÙ UN AEREO NEL RESTO DELLA MIA VITA.
Non so nemmeno come faccio ad essere ancora viva. Quel maledetto aereo traballava così tanto che credevo sarebbe crollato da un momento all’altro.
Basta, ho chiuso con questa storia. Io e gli aerei semplicemente non siamo fatti l’uno per l’altro.
Dal lato positivo, però, sono alle Isole Aran finalmente. Ora devo solo trovare Marc, anche se so esattamente dove si trova. C’è solo un posto alle Isole Aran dove potrebbe essere andato.
Sono seduta alla fermata dell’autobus che porta a Dún Aonghasa da quasi mezz’ora. Di questo passo non arriverò mai in tempo. Chi lo sa poi, magari se n’è anche già andato…
No. Devo raggiungerlo subito, devo rimediare a tutto.
Mi guardo intorno velocemente. La strada è deserta e non c’è nessun’altro nei paraggi oltre a me.
Alzo lo sguardo verso la scogliera.
Va bene, Dún Aonghasa, a noi due.
Mi alzo le maniche del vestito e faccio un lungo respiro. Inizio a correre con determinazione lungo la strada che porta alla scogliera.
Mi fermo a prendere fiato dopo circa trenta secondi.
Okay, data la mia costituzione da mollusco atrofizzato, direi che non posso continuare così. Quindi, con determinazione e calma inizio a scalare l’alta scogliera, ovviamente camminando con calma.
Non incontro quasi nessuno, a parte qualche gruppo silenzioso di turisti. Sono quasi le due ormai, il sole batte forte e io non ho mangiato una sola briciola da stamattina.
Diamine, avrei potuto fermarmi in qualche bar a Cill Rónáin, magari da quel barista simpatico che parlava gaelico. Mi rendo conto, però, che in questo momento è Marc che ha la priorità. Sì, anche sul cibo.
Wow. Lo ami DAVVERO allora!
Cammino per circa quaranta minuti. Ogni tanto mi fermo per riprendere fiato, mi metto seduta e osservo tranquillamente il mare. I gabbiani sopra di me e le onde del mare che si scontrano contro gli scoglio sono un sottofondo musicale perfetto a mio parere.
Beh, non credo esista posto più bello di questo. Dopotutto, questo è forse il miglior compleanno della mia vita.
Mi rialzo e riprendo la mia lunga camminata, solitaria e silenziosa. Spero solo che Marc sia in cima alla scogliera quando arriverò. In caso contrario, vedrò di ucciderlo non appena lo rincontrerò di nuovo.
Quando arrivo in cima alla salita sono ormai al limite della stanchezza.
Mi piego per riprendere fiato. Se solo avessi dell’acqua qui con me il mondo sarebbe un posto più bello.
Appena mi rialzo di scatto, mi blocco: davanti a me, a una trentina di metri di distanza c’è un ragazzo biondo, di spalle, in piedi che osserva il mare. Rimango a fissarlo per qualche secondo. Non c’è nessun altro oltre a noi due.
La stanchezza di colpo mi scompare e subito inizio ad avvicinarmi velocemente.
«Marc!» lo chiamo, quando sono ormai nella sua visuale.
Lui si volta di scatto. E di colpo è lì davanti a me, uguale a come era l’ultima volta che l’ho visto.
Mi mancava quel suo sguardo intenso, e il suo viso raggiante e guardargli i capelli che svolazzano nel vento. Diamine, quanto mi è mancato.
Marc mi ha finalmente riconosciuto. Mi guarda confuso, come se non si aspettasse che fossi lì. Io intanto mi sono piazzata perfettamente di fronte a lui.
Rimaniamo in silenzio a fissarci, ma solo per un attimo.
«Lea?» dice, mostrandosi sorpreso di vedermi. «Cosa…»
Gli tiro uno schiaffo sul braccio. Lui rimane visibilmente sconvolto.
«Ahia!» urla, fissandomi scandalizzato.
Io non aspetto altro. Gli tiro un altro schiaffo, e un altro ancora, finché lui non è costretto ad allontanarsi per non ricevere altre dei miei ripetuti ceffoni.
«Sei un idiota!» urlo, colpendolo sempre di più. «Volevi andartene senza salutarmi, eh? Oh, va bene, d’altronde abbiamo così poco da dirci noi due!»
«Eh?» Marc cerca di allontanarsi da me e rivolgermi la parola allo stesso tempo. «Ma di cosa stai parlando?»
Gli tiro un ultima manata, prima di fermarmi per fissarlo infuriata. Lui è davanti a me, troppo sconvolto e spaventato per dire qualcosa.
Non resisto più. Gli prendo con forza il viso tra le mani e gli stampo un bacio sulle labbra.
Marc rimane ancora più sconvolto di prima.
«Okay, ora sono confuso.» ammette, guardandomi male.
Io non gli do il tempo di aggiungere altro.
«Lascia che ti dica un’ultima cosa, Biondo, prima che tu te ne vada per sempre a Bristol…» gli dico, puntandogli un dito contro minacciosa. «Tu sei in assoluto la persona più insopportabile di questo mondo. Sei egocentrico, narcisista, orgoglioso, irritante, fin troppo sicuro di te, credi di avere sempre ragione, e inoltre non accetti che ogni essere non sia incondizionatamente attratto da te!»
Faccio una piccola pausa. Ormai mi sono avvicinata talmente a lui da permettergli di fissarmi direttamente negli occhi. Mi guarda, ma non dice nulla.
Io abbasso lo sguardo, evitando i suoi occhi.
«Ma sei gentile.» continuo, a voce molto più bassa. «E premuroso, hai sempre la cosa giusta da dire, sei affidabile e cordiale, e tremendamente affascinante. E sono venuta qui solo per dirti che avrei adorato essere di nuovo la tua ragazza.»
Non aggiungo altro. Marc è fermo a guardarmi, decisamente più rilassato di prima. Spero che dica qualcosa, che ricambi il discorso. Ma il suo unico commento è un secco:
«Beh, grazie.»
Lo guardo delusa.
«Tutto qui?»
«Cos’altro vuoi che ti dica?»
Sono scioccata. Mi guardo intorno, come a cercare un aiuto.
«Non lo so!» dico, alzando le spalle. «Non ci vedremo per chissà quanto tempo e tutto quello che mi sai dire è “grazie”?»
Marc sorride, alzando lo sguardo.
«In realtà no.» mi risponde. «Solo la mia famiglia parte per Bristol. Io resto qui.»
Rimango a bocca aperta. Sto sognando o l’ha detto veramente?
«Cosa?» chiedo confusa.
«Sì, era quello che stavo cercando di dirti quando sei arrivata, ma tu hai subito iniziato ad accanirti su di me. I miei hanno pensato che forse avrei dovuto passare un po’ più tempo con Pat, dato che ho scoperto, sai… che è il mio vero padre. Insomma, loro tornano a Bristol e io resto qui e vivrò a casa sua. Ero venuto qui solo per prendere questi.»
Dalla sua tasca tira fuori una busta bianca. Allunga il braccio per consegnarmela. Io l’afferro incuriosita.
È una normalissima busta bianca, a parte il fatto che su uno dei due fronti c’è scritto in penna “Buon compleanno, Lea!”.
La apro senza fretta. Dentro ci sono tre fogli.
«Biglietti per le Isole Aran…» dico, guardando meglio il contenuto.
«Sì, per il traghetto.» aggiunge lui.
Non so davvero cosa dire. È un regalo fantastico, non ho nient’altro da aggiungere. Noto però che c’è ancora un ultimo foglio dentro.
«Cos’è?» chiedo incuriosita.
«Oh, quella…» risponde Marc, quasi imbarazzato. «Non è niente…»
Tiro fuori il foglio e lo osservo. È scritto interamente a mano, da una calligrafia che riconosco come la sua.
Leggo in silenzio, dato che deduco che ne conosca già il contenuto.
 
Cara Lea,
lo so, forse ti sembrerà strano che io ti dica tutte queste cose tramite una lettera, ma se te le dicessi a voce probabilmente finirei per balbettare ogni parola e non capiresti più nulla.
Innanzitutto buon compleanno, hai finalmente sedici anni, e spero che quest’anno sia ancora migliore del precedente.
In secondo luogo spero che il tuo regalo ti piaccia. Purtroppo ho dovuto sacrificare il tuo regalo per il mio compleanno per venire qui e comprare il tuo. Ho realizzato troppo tardi che avrei potuto anche comprare i biglietti direttamente da terra.
Sì, sono un idiota.
Comunque, ti prometto che ogni volta che vorrai venire qui alle Isole, io ti comprerò tutti i biglietti che vorrai, ti permetterò di non guardarmi mentre vomito per il mal di mare e che imparerò il gaelico per non farti fare brutta figura con gli abitanti.
Devo dirtelo, adoro le Isole Aran, e ancora di più Dún Aonghasa. E non perché è lì che ci siamo baciati la prima volta (cioè, sì, anche per quello ovviamente) ma perché questo posto mi ricorda te. Non posso più pensare a questo posto senza che l’immagine di te con i capelli sul viso mi appaia davanti.
Ora, dato che resto qui a Réimse Wonders… Ti ricordi di quando dicesti che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che tutto tornasse come prima? Ecco, direi che quel tempo è passato a sufficienza. Quindi, se tu sei d’accordo, potremmo anche far tornare le cose come prima… Se tu sei d’accordo.
Ancora buon compleanno,
Marc.
 
Alzo lo sguardo dalla lettera.
«Aspetta!» esclamo, cercando di non urlare. «T-tu resti qui?»
«Sì.»
«Per quanto?»
«Per adesso è solo un anno. Poi si vedrà.»
Non so se avrei mai potuto sentire notizia più bella di questa. Probabilmente era questo che voleva dirmi Jenny prima. Oh, se solo l’avessi ascoltata, a quel punto mi sarei risparmiata tutto questo!
Comunque, Marc non se ne andrà a Bristol, resterà qui a Galway, e vivrà da Pat, esattamente di fianco a me. Sono sicura che se ci fosse un paradiso, sarebbe identico a questo momento.
L’entusiasmo mi prende all’improvviso. Urlo di gioia e mi getto tra le sue braccia. Marc scoppia a ridere e mi stringe ancora di più.
Per un attimo ci guardiamo negli occhi.
«Quindi tornerà tutto come prima?» gli chiedo speranzosa.
«Esatto.»
«Intendi davvero tutto?»
Marc non risponde subito. Mi passa una mano tra i capelli e mi guarda negli occhi sorridendo.
«Sai…» riprende dopo pochi secondi. «Adorerei anche io che tu sia di nuovo la mia ragazza.»
Le mie labbra si aprono in un sorriso. È probabile che io sia la persona più felice della Terra in questo momento.
Decido di riempire quei pochi centimetri che ci separano. Quando le nostre labbra s’incontrano vengo travolta da sensazioni così forti che non ricordavo nemmeno di provare.
Io e Marc stiamo di nuovo insieme.
Oh, sono così felice, felice, felice!
Ci stacchiamo dal bacio, ma rimaniamo comunque vicini.
«Penso di essermi appena innamorata di te. Di nuovo.» annuncio ad alta voce.
Marc scoppia a ridere.
«Dico su serio!» ribatto, trattenendomi anche io dal ridere. «E non parlo di quell’amore che capita agli adolescenti, di cui parlano quei post osceni delle ragazzine su facebook. In realtà… io nemmeno so niente dell’amore, nessuno me l’ha mai spiegato! Alcuni ti dicono che sai di essere innamorato quando capisci che vuoi passare il resto della vita con quella determinata persona.»
Riprendo fiato. Non sono mai risultata così decisa in tutta la mia vita.
«Beh, sai una cosa?» continuo, con un sorriso smagliante. «Dovessimo anche vivere solo dieci secondi insieme prima di separarci per sempre, e io farei di tutto pur di sfruttare ogni millesimo di quei secondi, al fine di renderli un’eternità.»
Mio dio, se non ti conoscessi bene, in questo momento avrei già vomitato quindici volte!
Grazie, stupida coscienza. Le prossime volte vedrò di regolarmi prima di farti morire di diabete.
Marc invece non dice nulla. Mi guarda solamente, senza far trasparire alcuna emozione.
Si avvicina e mi da un leggero bacio sulla punta del naso.
«E io provo per te le stesse cose, Lea McEwitch, Ragazza dai capelli rossi.» risponde infine.
Io lo guardo storto.
«A questo punto preferivo “Bellissima”.» Alla mia risposta Marc scoppia nuovamente a ridere.
«Si può sapere perché odi così tanto i tuoi capelli?» chiede tra le risate.
«Beh, perché sono così… rossi e ricci!»
«Sì, ma ti rappresentano. Sono pazzi, incontrollabili, appariscenti. Ma li adoro. Esattamente così come sono.»
Faccio una piccola smorfia.
«Lea McEwitch, la Ragazza dai capelli rossi.» faccio, per provare. «Suona male, suona malissimo. Ma siccome sei stato tu a sceglierlo, allora ti permetterò eccezionalmente di chiamarmi così.»
«E allora sia, Ragazza dai capelli rossi.»
Ricambio il suo sorriso. Il sole è ancora in alto in cielo. Mi guardo intorno. Ho ancora l’intera giornata da passare con Marc, abbiamo un sacco di cose da dirci. Forse dovremmo tornare in paese, ma anche restare qui è piacevole.
Nella mia testa continua a risuonare quel soprannome.
Ragazza dai capelli rossi.
Forse è vero, forse ha ragione Marc: sono terribili, ma sono del tutto identici a me.
Un po’ mi dispiace di aver compiuto sedici anni. È comunque un’altra parte della tua vita che se ne va.
È stato un anno davvero fantastico. Amo la mia vita, amo i miei genitori, i miei fratelli, le mie amiche e amo Marc.
E sì, amo anche te, maledetta stupida coscienza.
È vero, sono egocentrica, invidiosa, insolente, capricciosa e anche un po’ stupida. Ma dopotutto sarò sempre lei, quella Ragazza dai capelli rossi.
 
 
 
«Un’ultima cosa, Lea…» mi chiede Marc, mentre ci allontaniamo dalla scogliera insieme. «Come facevi a sapere che mi avresti trovato qui?»
«Oh, Marc.» Faccio un leggero sorriso. «È una lunga storia»

 
 
 
 
 
 
And if there's going to be a life hereafter, and something tells me sure there's going to be, I will ask my God to let me make my Heaven in the dear old land across the Irish Sea.”
                   
- “Galway Bay”, Arthur Colhan  
 



 
 
ANGOLO AUTRICE
E così si conclude la nostra avventura! Piangete!
No, in realtà mi risparmio il pippone drammatico per il prossimo capitolo, che sarà l’epilogo, e quindi il capitolo finale. Preparatevi, bimbi miei, perché sarà davvero lungo (il pippone, non il capitolo).
Beh, ci ho messo più di una settimana, ma infine eccolo qui. È un capitolo che non è uscito esattamente come avrei voluto, ma fa niente. Spero che lo apprezziate comunque, anche se non sono proprio Oscar Wilde, ecco.
Se notate ho usato come frase finale “è una lunga storia” che è una frase spesso ripetuta da Lea… e niente! Era da una vita che volevo farlo.
Ci vediamo al prossimo/ultimo capitolo, che, spero, arriverà a breve.
Baci!
Mel.
 

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


È effettivamente strano il fatto che, fino a dieci mesi fa avrei perfino detto di detestare la mia vita. Beh, non è che ora sia perfetta, chiariamoci bene, ma devo dire che il mio punto di vista è leggermente cambiato da quello che poteva essere un anno fa. Sì, insomma, se lo scorso settembre mi avessero detto “Oh, Lea, lo sai che tra un anno finirai per fare pace con la tua acerrima nemica, quell’idiota che non sopporti da quando aveva sette anni diventerà il tuo ragazzo e finirai addirittura per apprezzare i tuoi fratelli!”, diciamo che avrei riso a lungo, tutto qui.
Però ora lo posso finalmente dire: ho fatto pace con la mia acerrima nemica, quell’idiota che non sopporto da quando aveva sette anni è diventato il mio ragazzo e ho finito davvero per apprezzare i miei fratelli.
Ho rivisto Veronica e Julia, il week end appena dopo il mio compleanno. È stata la prima volta in due mesi che ci vedevamo. Siamo passate tutte tre con nove agli esami ed è stata una soddisfazione incredibile, credetemi.
Poi ci siamo improvvisamente ricordate delle Liste.
“Ah, la Lista!” ho esclamato io. Tirando un foglio mal conciato fuori dallo zaino, ho mostrato loro la mia Lista dei propositi, che mi ero quasi del tutto dimenticata:
 
Voto da prendere: 6+ in chimica √                  
Prendere a schiaffi: Liza Fitzwilliam
Fare amicizia con: Sam Callaghan
Baciare: Brad Callaghan
Proposito finale: comportarmi bene con i miei fratelli
 
Ho guardato per un secondo la Lista. Con un sorriso ho tracciato altre due tic, sul secondo e sull’ultimo punto, entrambi completati, direi.
Julia e Veronica mi hanno guardato incredule e sorprese.
“Beh.” ha pronunciato quasi subito Julia. “Direi che abbiamo infine una vincitrice”.
E così per la prima volta in dodici anni, la nostra sfida con le Liste ha effettivamente avuto una vincitrice.
Ho quindi dovuto organizzare un pigiama party, che ho voluto considerare come un “risarcimento” della mia festa di compleanno mancata.
Lo storico gruppo Lee-Viv-Juls era stato dunque finalmente ristabilito.
Per il resto la vita di Lea McEwitch prosegue bene. Adesso faccio da babysitter ai miei fratelli molto più volentieri di prima, il sabato sera. Andy ha perfino chiesto a Veronica di uscire, anche se non so ancora come la cosa si evolverà.
I miei fratelli hanno iniziato ad apprezzarmi molto di più dopo che li ho difesi da Liza, anche se Marc resta comunque il loro preferito.
A proposito di Marc, le cose non potrebbero andare meglio di così. Con il fatto che abitiamo praticamente attaccati e che adesso abbiamo molto più tempo a disposizione, riusciamo a vederci anche tutti i giorni. Lui e Pat vanno d’accordo, qualche volta mi invitano pure a cena da loro e io non potrei esserne più felice. Ad agosto tornerà a Bristol per le vacanze, e gli ho fatto promettere di salutare i suoi amici da parte mia. Vorrei addirittura venire con lui ora come ora, anche se ciò comporterebbe altre due ore su uno di quegli odiati aerei. Mi piacerebbe rivedere Heather, la finta ex-ragazza di Marc, con la quale, come avevo previsto, ho iniziato a sviluppare un’amicizia a distanza.
Ci scriviamo lettere o ci parliamo per telefono. Mi piace molto, sebbene le mie prime impressioni su di lei fossero diverse. Le ho scritto una lettera pochi giorni fa, che Marc dovrebbe darle:
 
Cara Heather,
è così tanto tempo che non ci sentiamo, che quasi mi chiedo se tu mi abbia già dimenticata. Non l’hai fatto, vero? Vero?
Bene, ho dato questa lettera a Marc, sperando che non combini qualche casino.
Ho ricevuto la tua scorsa lettera, grazie, è stato bellissimo da parte tua, anche se mi piacerebbe riceverne molte di più!
Per rispondere alla tua domanda: sì, sto bene, sto benissimo!
Sai, a volte mi chiedo se c’è ancora qualcosa in me della vecchia Lea. Cioè sì, sono sempre io, ma talmente tante cose sono cambiate che quasi più non mi ricordo la mia vita di prima. Direi che visiono la vita in modo diverso, non so. Apprezzo di più tutto, ogni singola parte. E mi ritengo fortunata, oh, se mi ritengo fortunata!
Credo che se potessi tornare indietro di qualche mese prenderei a schiaffi quell’insopportabile ragazza che giudicava e si lamentava di tutto e di tutti.
Non è mai troppo tardi per imparare, no?
Anche se, l’unica cosa che mi dispiace della mia vita ora è probabilmente il fatto di averti così lontana da me.
Perdonami se ho trasformato questa lettera in uno sfogo personale.
Tu invece, che mi racconti di nuovo?
Aspetto con ansia tue notizie!
Con immenso affetto,
Lea.
 
Vi rivelo una cosa: ad essere perfetto non è capace nessuno. Tutti abbiamo qualcosa che non va, che sia più o meno evidente. Però non lasciate che quei vostri piccoli difetti rendano la vita degli altri, e soprattutto la vostra, impossibile.
Spero che la Ragazza dai capelli rossi vi abbia insegnato qualcosa dopotutto.
Tante cose sono cambiate, e c’è tanto da dire. Ma non credo sia necessario dire ciò che è diverso da prima. Il passato è passato, non ha più senso parlarne. E non dovremmo neanche parlare del presente come se fosse una semplice modifica di ciò che è già successo.
No, noi non ritorniamo sui nostri passi.  Anzi, puntiamo sempre più avanti, verso la prossima, pazzesca avventura che potrebbe attenderci, sotto i cieli piovosi di Galway.

 
 
 
 
 

THE LAST ANGOLO AUTRICE VERDE :C
 
E così, dopo quasi due anni, Mel_deluxe è riuscita finalmente a concludere questa storia. Ora, però ho molto da dire: innanzitutto questa è in assoluto la prima storia che concludo. E so che è brutto da dire, ma se non avessi saputo che questa storia interessasse davvero a qualcuno, difficilmente l’avrei finita.
Quindi sì, vi dico un profondissimo e immenso GRAZIE. Grazie a voi che avete seguito la storia dall’inizio o da più tardi. Grazie a chi ha recensito costantemente e chi lo ha fatto solo una volta. Grazie anche ai lettori silenziosi, che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite o che semplicemente hanno letto e apprezzato.
Ci ho messo molto, ma con pazienza ci sono arrivata.
Mi dispiace un po’ finirla in effetti, sapendo che d’ora in poi non avrò più l’ansia di aggiornare o la gioia di ricevere una nuova recensione.
Ma, udite, udite, ho una sorpres(ina) per voi! In realtà questa dovrebbe essere la prima parte di una trilogia che avrei già in mente. Quindi un seguito sarebbe assai probabile, ma ultimamente sto un po’ accantonando l’idea. Con tutti gli impegni che ho finirei per aggiornare ancora una volta al mese, e la cosa mi dispiacerebbe se c’è qualcuno a cui interessa davvero…
Facciamo così: per chi vuole lasciarmi una recensione, mi dica anche cosa ne pensa a riguardo, e se ci sarà effettivamente qualcuno che brama di sapere cosa accadrà dopo (ne dubito, ma potrebbe esserci) me lo dica e infine deciderò cosa fare. Nel caso potrei anche iniziare a scrivere il seguito e poi vedere che farne. Se mai lo pubblicherò, arriverà tra un po’ di tempo questo è certo.
Insomma, che dire d’altro, mi mancherà un po’ tutto questo! Anche se è una storia che ho scritto un po’ in fretta e furia, senza particolare attenzione, devo dire che ci tengo, ci tengo parecchio.
E tengo soprattutto a Lea, un personaggio in parte ispirato a me, in parte a persone che conosco, che però rimarrà sempre uno dei miei preferiti, sebbene i suoi innumerevoli difetti.
E così saluto (forse) per sempre i fratelli McEwitch, Julia, Veronica, Sam, Brad, Liza, Marc, la stupida coscienza, e la sempre apprezzata Ragazza dai capelli rossi.
 
Ringrazio inoltre:
backyRrJ1999
Bella_klaus01
Black_Tulips
happyhippie
InvisibleDemon
Lil01
Lisa jacopaxl
littlepsycho
che hanno inserito la storia tra le preferite.
 
BlackSocks
Chaotic Alaska
chinasuarez
DarkViolet92
emily132
hellophotograph
jan_
Lady Windermere (special thanks per tutte le tue bellissime e costanti recensioni!)
Momo98
Momoko21
mosca26  (still love you, franceschina)
Sam27
SempliceComeUnaGoccia
speranza_illusione
Zeke38
che l’hanno inserita tra le seguite.
 
E se ho dimenticato qualcuno, mi dispiace, ma non era mia intenzione.
Ancora grazie e ancora speciali saluti a tutti voi.
Spero con tutto il cuore che questa prima nostra avventura non sia ancora finita ;).
Sì, ora potete piangere.
Mel.

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