Something is burning deep inside my soul.

di enemyarrives
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, prima parte. ***
Capitolo 2: *** Prologo, seconda parte. ***
Capitolo 3: *** The beginning or the end? ***
Capitolo 4: *** My understandings. ***
Capitolo 5: *** Moment of truth, moment to lie. ***
Capitolo 6: *** Leave it all behind. ***
Capitolo 7: *** Give 'em Hell, Kid. ***
Capitolo 8: *** Destruction is his game. ***
Capitolo 9: *** Lost in desperation. ***
Capitolo 10: *** Back to reality. ***
Capitolo 11: *** Your eyes are swallowing me. ***
Capitolo 12: *** Love ruined me. ***
Capitolo 13: *** I've got a war in my mind. ***
Capitolo 14: *** When you can't sleep at night. ***
Capitolo 15: *** Hold me close, don't let go. ***
Capitolo 16: *** We need to say goodbye. ***
Capitolo 17: *** I don't mind anything. ***
Capitolo 18: *** I will wait for you, even if I'll fall apart. ***
Capitolo 19: *** You're my cure. ***
Capitolo 20: *** Here we are at the start. ***
Capitolo 21: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo, prima parte. ***


Ed eccomi qui, con la prima long che scrivo. Inizialmente, ero un po' incerta e non sapevo se pubblicarla, per via degli argomenti delicati di cui, a volte, scrivo. Ma poi ho pensato che è una storia diversa dalle altre, scava nel passato dei Leto. Ovviamente nulla di quello che scrivo è successo davvero, ma, per alcune cose, mi sono basata sulle informazioni reali che avevo su di loro. Vi lascio alla lettura, spero con tutto il cuore che vi piacerà. Farò del mio meglio.
                                                                           Martina.
 
POV Constance.
Non credo ci sia nulla di più rilassante del mare in inverno. Non ci va quasi nessuno e, infatti, c’è un grande silenzio, è tutto calmo e tranquillo. Io amo andarci e, spesso, ci passo del tempo per leggere e pensare, è un ottimo posto per riflettere e stare soli.
Quel giorno arrivai nel mio solito pezzetto di spiaggia e mi sedetti sull’asciugamano verde. Sospirai guardando il mare; nonostante fosse un po’ agitato, mi trasmetteva tranquillità.
Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni, sentendo l’odore della salsedine penetrarmi nel naso e mi godetti la leggera brezza che mi accarezzava il viso. Dopo essermi rilassata abbastanza, riaprii gli occhi e presi il libro dalla borsa. Esitai, osservando il colore giallognolo della copertina, poi lo aprii, trovando scritte quelle parole che mi facevano stringere il cuore ogni volta che le leggevo:
“Alla mia amata lettrice.
Questo è il mio libro preferito, volevo che lo avessi tu. Leggilo, te ne prego, è molto importante per me.
Tuo, E.”*

Faceva male, era come se mi avessero conficcato un coltello nel petto e avessi una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Erano passati soltanto due mesi da quando era andato via e soffrivo, ogni giorno. Mi aveva lasciata improvvisamente, con un misero bigliettino in cui diceva di essersi innamorato di un’altra donna. Buffo, no? Dai tutto per una persona e poi questa ti lascia sola, per un motivo senza senso. Si era comportato come un vigliacco, era scappato alla prima difficoltà e non sarebbe più tornato.
Lacrime di dolore e delusione iniziarono a scorrermi sulle guance. Era così che mi sentivo, delusa e sola, a soli diciotto anni e con due bambini piccoli a cui badare. Mi portai una mano alla bocca per non singhiozzare e, quando sentii una mano sulla mia spalla, mi girai vedendo la mia migliore amica, che mi guardava dispiaciuta. Sospirai scuotendo il capo.
“Non ce la faccio, Mary, soffro troppo e non posso sopportarlo.”
“Invece devi farcela, per te, ma anche per Shannon e Jared, hanno bisogno della loro mamma.”
Mi sorrise rassicurante ed io esitai.
Soffrivo tanto, era vero, ma amavo i miei bambini più della mia stessa vita e non li avrei mai abbandonati.
Mi alzai in piedi, facendomi forza, e mi asciugai le lacrime.
“Hai ragione, loro hanno bisogno di me. Adesso andiamo.”
La presi sottobraccio e ci incamminammo verso casa.

Due anni dopo...
“Buongiorno, signora. Benvenuta al St. Patrick.”**
Una donna sulla trentina, con una divisa scura, venne ad accogliermi all’entrata. Doveva essere la direttrice dell’orfanotrofio. Mi sorrise cortesemente ed io mi guardai intorno.
Ero sempre più convinta di star facendo una pazzia, ma in fondo ero sicura che non me ne sarei pentita.
La donna mi guardò lievemente confusa, interrompendo i miei pensieri.
“Tutto a posto signora?”
“Sì, mi scusi.”
Le sorrisi sommessamente e lei ricambiò.
“Venga da questa parte.”
La seguii e mi portò in un cortile con un giardino, pieno di bambini che giocavano e ridevano.
“Questi bambini hanno tutti meno di cinque anni” mi spiegò la direttrice “molti hanno avuto dei gravi problemi, sono quelli che hanno maggiormente bisogno di aiuto.”
Li guardai uno ad uno, con il cuore in gola e mi sfuggì un sorriso triste. Chissà cosa avevano passato, i genitori li avevano abbandonati oppure erano morti. Mi vennero subito in mente Jared e Shannon, per fortuna con loro c’ero stata io, non li avevo lasciati soli e mai lo avrei fatto.
Li stavo ancora osservando, quando la mia attenzione venne attirata da una bambina molto piccola che se ne stava in disparte, da sola. Era rannicchiata in un angolo, con i boccoli castani che le ricadevano sul visino paffuto e gli occhioni scuri fissi nel vuoto. Dondolava sul posto e muoveva piano le labbra schiuse, come se stesse canticchiando.
La direttrice, che era accanto a me, fece un lieve sorriso, capendo chi stavo guardando.
“Lei si chiama Claire, è una bambina problematica, non parla molto e se ne sta sempre isolata. Non sappiamo da dove venga, né chi siano i suoi genitori. L’abbiamo trovata poco tempo fa fuori dalla porta dell’orfanotrofio, tutta sola e al freddo..ha soltanto due anni.”
Rabbrividii a quelle parole e guardai la piccola, aveva l’aria molto triste, anche se probabilmente non ricordava nemmeno chi fossero i suoi genitori.
“Ed io potrei..prenderla in affido?”
Domandai alla direttrice, guardandola speranzosa. Avevo deciso, volevo che Claire avesse una vera famiglia, che non si sentisse più sola. Sarebbe cresciuta bene con me ed i bambini, io avrei fatto del mio meglio.
“Sì, signora, ma ci sono varie pratiche da sbrigare e servono molti soldi..”
“Non importa” la interruppi “le darò tutti i soldi necessari, in quanto alle pratiche non deve preoccuparsi, una mia cara amica è un avvocato e potrei chiedere aiuto a lei.”
La donna mi guardò, stringendosi nelle spalle.
“Va bene, come vuole.”
Detto questo si allontanò ed io mi avvicinai lentamente alla bambina, inginocchiandomi poi di fronte a lei.
“Ciao, Claire..”
Le feci un lieve sorriso e lei mi guardò con gli occhioni spalancati, un po’ impauriti.
“Sta’ tranquilla, non voglio farti del male.”
Cercai di rassicurarla e vidi che si addolcì un poco.
“Perché sei qui tutta sola? Non ti piacciono gli altri bambini?”
Lei abbassò lo sguardo e scosse piano il capo, facendo un piccolo broncio.
Sorrisi dolcemente e le feci una leggera carezza sui capelli.
“Hai paura piccola, vero?”
La bambina si rannicchiò, non dicendo ancora nulla, ed io sospirai alzandomi.
“Va bene, allora ci vediamo un altro giorno. Ciao tesoro.”
Le diedi un ultimo sguardo, uscendo poi dall’edificio.
Non mi importava quanti soldi avrei dato e nemmeno quante pratiche avrei dovuto sbrigare. Volevo che quella bambina capisse cosa volesse dire avere una famiglia. 


*Non ci sono informazioni sul nome del padre di Jared e Shannon, quindi è l'iniziale di un nome inventato.
**Non c'è nessun orfanotrofio che si chiami St. Patrick a Bossier City, è inventato anche questo.

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Capitolo 2
*** Prologo, seconda parte. ***


POV Constance.
“Bentornata al St. Patrick, signora.”
La direttrice mi accolse all’entrata con un sorriso, come aveva fatto il giorno precedente.
Mi sembrava strano che mi chiamasse ‘signora’, avevo solo vent’anni.
Le sorrisi di rimando per poi cercare subito la bambina con lo sguardo.
“Se cerca Claire è nella sala principale con gli altri.”
“Posso vederla?” chiesi speranzosa.
“Certo, gliela chiamo subito.”
Sparì dietro una grande porta, io sbirciai attraverso questa. Ero impaziente di rivedere quella piccola. Dopo poco tornò e, dietro di lei, intravidi una testolina circondata da boccoli castani che si nascondeva timidamente dietro la sua gonna.
“Saluta la signora, Claire.”
Le intimò la direttrice, ma lei si fece piccola piccola, non rispondendo.
La donna sbuffò, con aria seccata, e fece per parlare di nuovo, ma io la bloccai con un cenno.
“Non si preoccupi, ci penso io.”
Le dissi, seria.
 Lei alzò lo sguardo, offesa, e se ne andò indignata.
Il suo atteggiamento mi dava abbastanza fastidio, il ruolo di direttrice era molto importante, ma avrebbe dovuto avere più pazienza con quei bambini e cercare di capirli, cosa che non faceva assolutamente.
Mi avvicinai piano a Claire e le sorrisi, inginocchiandomi per arrivare alla sua altezza.
“Ciao tesoro, ti ricordi di me? Sono venuta qui ieri.”
Le parlai con calma, sperando di riuscire a strapparle almeno una parola. Dai suoi occhi vedevo che non era spaventata come il giorno prima, questo mi confortava e mi dava speranza.
“Non mi dici proprio nulla, mh?”
Feci una faccia dispiaciuta e lei gonfiò le guance, dondolando piano sul posto con un’espressione timida. Mi sfuggì un sorriso per la sua tenerezza, era davvero tanto dolce.
“Va bene, non vuoi. Ma io ti ho portato una cosa.”
Presi il pacchetto dalla borsa e sorrisi porgendoglielo. Le avevo fatto un regalo, non era nulla di che, ma speravo di farla felice. Probabilmente non aveva mai ricevuto nulla da nessuno.
“Tieni piccola, è per te.”
Inizialmente guardò me con un’espressione curiosa, poi spostò lo sguardo sulla scatola e, appena vide la bambola, si illuminò. Vidi la felicità nei suoi occhi quando gliela porsi. Improvvisamente la strinse a se, come se fosse la cosa più preziosa che avesse.
Mi venne un groppo in gola vedendola così, mi stavo convincendo sempre di più che volevo assolutamente tenerla con me.
Sorrisi un’ultima volta, alzandomi poi. Dovevo andare a prendere Shannon e Jared dalla mia amica, altrimenti l’avrebbero fatta impazzire.
“Allora vado tesoro” mi avvicinai al suo orecchio piano e sussurrai “la bambola è tua, non darla a nessuno. Ciao Claire.”
Sorrisi e le diedi un buffetto affettuoso sui capelli, girandomi poi per andare via, quando sentii qualcosa aggrapparsi ai miei pantaloni. Mi voltai, lievemente sorpresa, vedendo la sua manina attaccata a me e i suoi occhioni che mi guardavano.
“Gr-grattie.”
Sussurrò con voce flebile. Non ci potevo credere, ero riuscita a farla parlare. Mi vennero gli occhi lucidi e mi sfuggii un sorriso, girandomi del tutto verso lei.
“Oh piccola..di nulla, è il minimo.”
La guardai emozionata e lei mi fece un sorriso vero, uno di quelli davvero felici, per poi correre in giardino, tenendosi stretta la bambola.
 
Era passata una settimana da quando Claire mi aveva detto quella parola. Ero andata a trovarla nei giorni seguenti, ma non spesso. Il lavoro, i miei figli e le varie pratiche per l’adozione mi avevano rubato parecchio tempo. Quelle volte in cui ero andata, però, mi aveva sempre detto qualcosa, anche solo un piccolo ‘ciao’ e mi aveva fatta sentire bene. Capivo che le serviva tempo ed ero felice che fosse riuscita ad aprirsi con me, in un certo senso.
Quel giorno ero a casa e stavo preparando il pranzo, i bambini erano al nido c’era un silenzio assoluto, quando sentii il telefono squillare. Mi asciugai le mani e corsi a rispondere.
“Sì, pronto?”
“Constance? Sono Mary, ho una bellissima notizia!” disse la mia amica, con voce squillante.
Sperai con tutto il cuore che fosse quello che pensavo.
“Dimmi, cosa succede?”
La sentii ridere, dall’altro capo del telefono.
“Ho parlato con un altro avvocato e mi ha detto che è tutto ok, puoi prendere la bambina.”
Sgranai gli occhi per la sorpresa e sorrisi felice, sentendo gli occhi lucidi.
“Oh, Mary..grazie mille, vado subito a prenderla.”
Riattaccai e andai in cucina a spegnere i fornelli, per poi precipitarmi fuori di casa. Corsi verso l’orfanotrofio con il cuore in gola. Non vedevo l’ora di prendere Claire e dirle che poteva venire a casa con me. Appena arrivata, entrai subito, cercando la direttrice e trovandola nel salone.
“Direttrice, dov’è Claire?”
Fece un lieve sorriso vedendomi.
“La stavamo aspettando, sapevo che sarebbe arrivata.”
Feci una faccia confusa guardandola.
“Mi hanno mandato i documenti via fax, so già tutto.”
Spiegò, chiarendomi le idee.
“Oh, va bene..ma la bambina dov’è?”
“E’ in giardino, le dia lei la notizia.”
Annuii e andai fuori. Claire era sull’altalena e dondolava piano con lo sguardo basso, mentre si teneva stretta la bambola che le avevo regalato.
Camminai verso lei e sorrisi.
“Ciao piccola.”
Appena sentì la mia voce alzò lo sguardo su di me e si illuminò.
“Oggi ho una bella notizia..puoi venire a casa con me.”
Le presi piano una manina e lei mi guardò curiosa.
“Ca-casa?”
Sorrisi emozionata e annuii.
“Sì piccola, casa..andiamo adesso.”
L’aiutai a scendere dall’altalena, dandole la mano, per poi entrare dentro a salutare la direttrice. Claire si attaccò alla mia gamba appena la vide, sicuramente quella donna le faceva paura.
“Noi andiamo, è stato un piacere.”
La guardai fredda per poi uscire con Claire sorridendo, senza darle il tempo di rispondere.
 
Aprii la porta di casa, entrando piano.
“Ecco qui.”
La bambina si guardò intorno curiosa e fece dei passettini entrando.
Le sorrisi e mi chiusi la porta alle spalle.
“Questa è la tua nuova casa, benvenuta tesoro.”
Mi guardava con gli occhioni ancora incuriositi, tenendo stretta quella bambola che non mollava mai, quando sentii un rumore e delle risate provenire dalle scale. Sorrisi e mi girai verso queste; Jared e Shannon erano lì che guardavano Claire confusi.
“Mamma, chi è?”
Chiese Shannon, avanzando verso di noi.
“Lei è Claire, da oggi vivrà qui con noi, comportatevi bene.”
Risposi, avvertendoli con lo sguardo.
Shannon sorrise e le porse una manina, che lei prese esitante.
Jared li guardò un attimo confuso, per poi camminare verso di loro.
“Andiamo a giocare!”
Risero e Claire gli fece un sorriso timido, seguendoli poi in camera.
Dopo di loro scese Mary e venne da me sorridendo.
“Hai visto? E’ andato tutto bene.”
Annuii  e la guardai felice.
“Tutto grazie a te.”
Da quel giorno sarebbe iniziata una nuova una nuova vita, sia per me, che per Claire.



Salve a tutti, questi due capitoli sono stati di 'introduzione', se vogliamo dire così. Dal prossimo inizierà la storia vera e propria. Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente e spero che vi piaccia davvero, ci tengo particolarmente.
                                                                                                A presto!

                                                                                                 Martina.

 

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Capitolo 3
*** The beginning or the end? ***


POV Claire.
“Claire, muoviti!”
Sentii la voce spazientita di Shannon che mi chiamava dalle scale.
“Arrivo!”
Gridai per farmi sentire e presi lo zaino, mettendomelo in spalla.
 Tutti i giorni era la stessa storia, da quando andavamo a scuola. Quando ero in ritardo, i miei fratelli, soprattutto Shannon, mi sgridavano, ma non capivo perché, scuola era vicina a casa.
Uscii dalla camera, con un sorrisino divertito, e scesi le scale.
“Finalmente! Sei sempre lenta, è il mio ultimo anno di liceo, non posso permettermi di fare tardi.”
Risi e gli diedi un leggero scappellotto sulla nuca.
“Ma smettila che spesso sei tu a far tardi.”
Mi fece il verso mentre andavamo in cucina.
Jared era seduto al tavolo e beveva il suo cappuccino. Era già lavato e vestito, mi chiedevo come facesse ad essere così preciso e puntuale ogni mattina.
Mamma sorrise vedendoci e ci porse due ciambelle.
“Buongiorno dormiglioni, ecco la colazione.”
Presi la ciambella e l’addentai con un sorriso, ringraziandola con la bocca piena.
Shannon mi guardava ridacchiando e mi pulì la bocca appiccicosa e sporca di zucchero con la mano.
Feci una smorfia, arricciando il naso, e mi scostai.
Ridemmo entrambi e Jared si alzò.
“Dai, la mangerete per strada. Andiamo che è già tardi.”
Salutammo mamma, uscendo poi.
Era Maggio, l’aria era già molto calda, ma non afosa come d’estate. A Bossier City iniziava a fare caldo molto presto.
Iniziammo ad incamminarci nel viale verso scuola, io in mezzo, Jared alla mia destra e Shannon alla mia sinistra.
 Il primo camminava in silenzio, con le mani in tasca. Era sempre parecchio silenzioso, non aveva molti amici. Con lui avevo un buonissimo rapporto. Ci fidavamo ciecamente l’uno dell’altra e ci confidavamo sempre le cose che ci succedevano, forse era dato dal fatto che avevamo la stessa età.
Con Shannon, invece, era diverso. Noi scherzavamo sempre, ci prendevamo continuamente in giro. Probabilmente dipendeva dal carattere diverso che avevano loro due.
Shannon, al contrario di Jared, era estroverso e trovava sempre il modo per scherzare e ridere, anche nei momenti difficili, era quel tipo di persona che metteva allegria.
Erano due opposti, diciamo che se fossero stati degli elementi, Shannon sarebbe stato il fuoco, mentre Jared il ghiaccio. Io ero una via di mezzo, scherzavo nei momenti opportuni ed ero abbastanza silenziosa, spesso un po’ nervosa. C’era qualcosa che mi era successa da piccola, ma non riuscivo a ricordare cosa fosse, nonostante mi sforzassi. Non avevo mai avuto il coraggio di chiederlo a mamma, pensavo che fosse solo una mia impressione.
Guardai i miei fratelli di sottecchi, non si somigliavano molto, quasi per niente, ma io ero completamente diversa. Avevo i capelli castani a boccoli, con dei riflessi ramati, gli occhi scuri e non ero molto alta. Non riuscivo a capire il perché di tanta differenza, soprattutto nei lineamenti.
Sospirai, guardando la strada, e Shannon mi schioccò le dita davanti agli occhi, distogliendomi dai pensieri e facendomi sobbalzare.
“A che pensi, bella addormentata?”
“A nulla, solo al fatto che tra poco saremo in vacanza.”
Sorrisi lievemente, cercando di essere convincente.
Fortunatamente eravamo arrivati a scuola, per una volta quell’edificio mi aveva salvata.
“Scappo, ho letteratura inglese e il professor Smith si arrabbierà se faccio tardi.”
Gli feci un cenno con la mano, andando in classe e preparandomi alla noia.
 
Sei ore di lezione erano veramente deleterie per la mia salute mentale, mancava solo un mese alla fine della scuola, ma non ce la facevo davvero più. Avevo perfino smesso di studiare, facendo solo il minimo indispensabile.
Uscii dall’aula di biologia e sospirai di sollievo, finalmente potevo andare a casa.
Scesi in cortile e aspettai i miei fratelli davanti al cancello.
Ovviamente, Jared fu il primo ad arrivare, era sempre così puntuale.
“Com’è andata?”
“Bene, come al solito.”
Annuì guardandomi intorno, in cerca di Shannon.
“Shan dov’è? Non l’ho visto a pranzo.”
Fece spallucce.
“Non lo so, prima l’ho visto sulle scale a fumare con i suoi amici.”
Sospirai e abbassai lo sguardo.
Gli amici di mio fratello non mi piacevano molto, in realtà non piacevano a nessuno. Erano i più “popolari” della scuola, se ne andavano in giro come se fossero i re del mondo e spesso maltrattavano i ragazzi, ma soprattutto le ragazze. Shannon non faceva come loro, ovviamente, ma non li fermava nemmeno quando era presente. Io avevo sempre paura che potesse succedergli qualcosa e anche Jared, ma lui non lo avrebbe mai ammesso.
Sentii pizzicarmi i fianchi e sobbalzai, girandomi di scatto. Shannon era lì, sorridente come al solito.
“Ah, eccoti. Adesso chi ha fatto tardi, eh?”
“Io sono maggiorenne, sorellina, posso fare come voglio.”
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
“Certo, andiamo.”
Iniziammo a camminare verso casa a passo lento. Shannon si stiracchiò, facendo un verso gutturale.
“E’ dura essere all’ultimo anno, sono stanco morto.”
“Ma finiscila che voi del quinto non fate praticamente niente, se non studiare per l’esame a fine anno.”
Dissi guardandolo sarcastica, ricevendo un’occhiataccia da lui e un cenno d’assenso da Jared. Era vero, spesso lo incontravo per i corridoi a ridere e scherzare, usciva parecchio e non lo avevo mai visto studiare seriamente.
“E vi pare poco? Siete solo al terzo anno, non potete capire.”
Continuammo a scherzare così, finché non arrivammo a casa.
Aprii la porta e salii subito le scale, andando in camera e buttandomi subito sul letto. Presi l’mp3 dal comodino e mi misi le cuffiette, chiudendo gli occhi e perdendomi nella musica, senza pensare al resto.
 
Sentivo un solletichio fastidioso sul naso, ma non avevo intenzione di aprire gli occhi per vedere cosa me lo provocasse. Feci un verso infastidito, ma continuava. Allora mi arresi e aprii gli occhi, vedendo una figura sfocata davanti a me. Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte per realizzare che era Shannon. Sbuffai piano guardandolo e mi stiracchiai.
“Ma stai sempre a rompere?”
Dissi con voce impastata, richiudendo gli occhi.
Lui rise dandomi una leggera spinta.
“Veramente volevo solo controllare che fossi ancora viva, hai dormito per cinque ore, sono le sette.”
 “Cinque ore?!”
Esclamai sorpresa, sbarrando gli occhi e guardandolo sconvolta.
Non me n’ero nemmeno resa conto, l’ultima cosa che ricordavo era stata la musica dei Guns N’ Roses nelle orecchie. Mi sedetti, togliendo le cuffiette che mi si erano attorcigliate attorno al collo nel sonno.
“Mamma è andata al lavoro, non ci ha lasciato nulla di pronto, quindi dovrò cucinare io.”
Mi informò, alzandosi dal letto.
“Oh no..io e Jay potremmo morire avvelenati. Perché non ordiniamo una pizza?”
“Ah-ah, spiritosa. Guarda che so cucinare.”
Alzai un sopracciglio.
“Ti ricordo che l’ultima volta che hai tentato di cucinare, abbiamo dovuto buttare tutto perché era a dir poco carbonizzato.”
Arricciò le labbra al ricordo e fece spallucce.
“Vada per la pizza.”
Sorrisi alzandomi.
“Vado a cercare il foglietto con il numero.”
Uscii dalla camera, entrando in quella di mamma e aprendo il cassetto del comodino, iniziando a cercare. C’erano un sacco di cartacce inutili, mi chiedevo cosa se ne facesse. Rovistai tra le cartoline e i documenti, quando mi cadde l’occhio su un pacco di fogli. Lo presi, confusa, e diedi uno sguardo.
“Documenti di adozione..”
Adozione? Ma di chi? Continuai a sfogliarli, ma non capivo di cosa si trattasse.
“Constance Leto dichiara di voler adottare Claire Carter.”
Claire Carter? No..non era possibile. Il mio cuore si fermò, iniziai a respirare male e avvertii un tremolio alle mani, lasciando cadere i documenti.



Eccoci qui. Questo è il primo capitolo, vero e proprio e beh..credo ci siano state molte sorprese. Ringrazio chi ancora la sta seguendo e chi ha recensito, siete stati tutti molto carini. Sì, mi sono commossa, lo ammetto :') Non vorrei divagare, quindi: al prossimo capitolo! 
                                                                                               Martina

 

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Capitolo 4
*** My understandings. ***


POV Claire.
Mi girava la testa, avevo un groppo in gola che rendeva difficile perfino respirare e gli occhi velati dalle lacrime, che non erano di tristezza, ma di delusione. Non potevo crederci. Avevo capito cos’era che non riuscivo a ricordare e cosa mi opprimeva da anni, ma avevo mille altri dubbi. Perché mamma non mi aveva mai detto nulla? Jared e Shannon lo sapevano? Chi erano i miei veri genitori? Dove si trovavano? Probabilmente non c’era risposta a tutte le mie domande. Non riuscivo a muovermi, sentivo un peso nel petto che mi bloccava. Ero così sconvolta che non mi ero nemmeno accorta di Shannon che era entrato in camera e mi guardava confuso.
“Claire? Tutto bene?”
Lo guardai con gli occhi pieni di lacrime ed esitai a parlare. Ero arrabbiata, delusa e probabilmente anche triste, quasi sicuramente gli avrei risposto male.
“No..non va bene per niente.”
Dissi con voce tremante.
Sbarrò gli occhi appena vide i documenti sparsi disordinatamente sul pavimento, per poi sospirare.
“Claire..” abbassò lo sguardo, dispiaciuto.
“Tu lo sapevi, vero?”
Lo guardai, cercando di controllare la voce e trattenere le lacrime.
Lui annuì piano con il capo, senza alzare lo sguardo.
“Lo sapevo. Tu e mamma..no, non è mia madre. Tu e lei” marcai la parola a denti stretti “me lo avete tenuto nascosto per tutti questi anni. Perché? Jared lo sa?”
“Non dire così, lei ti ha cresciuta, è tua madre in fondo..”
“Rispondi alle mie domande.”
Lo interruppi. Volevo sapere, dovevo sapere. Si trattava della mia vita, di me.
“Lo sappiamo solo io e mamma, Jared è all’oscuro di tutto. E lei non ha voluto dirtelo perché eri troppo piccola e non ha mai avuto il coraggio..queste cose dovrebbe spiegartele lei, non io.”
Aprii la bocca per ribattere, ma lui era già uscito dalla camera.
Abbassai lo sguardo sui documenti e mi chinai per prenderli e rimetterli nel cassetto. Non avrei mai voluto vederli, avrei preferito rimanere nel dubbio, ma quella era la verità e faceva male. Mi sentivo come se avessi mandato giù del veleno.
Guardai il cassetto un’ultima volta e poi andai in camera mia, chiudendomi a chiave.
 
“Claire? Claire, apri questa porta o la faccio buttare giù.”
Sobbalzai sentendo una voce e sbattei le palpebre, mi ero addormentata di nuovo. Mi stropicciai gli occhi, bruciavano. Dovevo aver pianto nel sonno.
“Claire, ho detto di aprire!”
Riconobbi la voce, era di mia madre. Non ero ancora pronta per affrontarla, ma dovevo.
Mi alzai e aprii la porta, sperando di non avere un aspetto poi così terribile.
Lei mi guardò sconvolta, aveva gli occhi lucidi. Che Shannon le avesse detto tutto?
“Che vuoi?”
Le dissi fredda, incrociando le braccia al petto.
“Claire, mi dispiace, perdonami..”
“Ah, allora lo sai.”
Mio fratello avrebbe dovuto imparare a tenere la bocca chiusa.
“Avrei dovuto nascondere quei documenti, non dovevi saperlo così..”
“Ma ormai il danno è fatto.”
Mi stava vedendo di nuovo quel maledetto groppo in gola, stavo facendo di tutto per trattenere le lacrime.
Lei, invece, iniziò a piangere.
“Claire, scusami..ti prego.”
Come potevo resistere, con lei che faceva così? Era la donna che mi aveva cresciuta, ma non avrei potuto perdonarle di avermi mentito. In quel momento considerarla come madre era difficile, se non impossibile.
“Io..preferisco stare da sola adesso. Mi serve tempo, cerca di capire.”
“No, io devo spiegarti perché l’ho fatto!”
Insisteva, con le lacrime che le rigavano le guance.
Deglutii per mandare giù il magone, quando vidi Shannon che veniva verso di noi sconvolto.
“Jared. E’ scomparso.”
Disse con un filo di voce.
Sentii il cuore spezzarsi e le braccia farsi molli. Non era possibile.
 
Avevo il fiatone, stavo correndo da un quarto d’ora, senza fermarmi un attimo. Ero talmente affannata che non riuscivo nemmeno più a chiamarlo. Mi sforzai un’altra volta, guardandomi intorno.
“Jared? Jared?”
Urlai ancora una volta, rimanendo completamente senza fiato.
Mi fermai, ansimando per la fatica, ma continuai a guardarmi intorno. Mio fratello era sparito e non riuscivamo a trovarlo. Forse aveva sentito tutto, oppure era stata soltanto una crisi adolescenziale. Ma era veramente strano, non era mai successa una cosa simile. Shannon aveva avuto qualcosa del genere, per lui queste reazioni erano normali, ma non per Jared.
Continuai a guardare in giro, ma vedevo sfocato a causa delle lacrime che mi avevano riempito gli occhi. Non sapevo più dove cercare, ormai era buio e poteva essergli successo qualcosa.  Sentii un peso nello stomaco, dovuto all’ansia. Pensai a tutti i posti in cui sarebbe potuto stare. Improvvisamente mi ricordai di cosa mi aveva detto tempo prima. Il terrazzo..ci andava sempre quando voleva stare solo. Senza pensarci due volte iniziai a correre velocemente, sperando che lui fosse lì. Arrivai davanti all’edificio e corsi su per le scale, aprendo poi dall’interno la porta che dava sulla terrazza. Lui era lì, disteso per terra, con le mani dietro la nuca e guardava il cielo scuro. Non c’era nemmeno una stella quella sera. Mi avvicinai, sospirando di sollievo.
“Jared?”
Sobbalzò, girandosi subito verso di me.
“Che ci fai qui? Come mi hai trovato?”
Mi sedetti accanto a lui, guardandolo.
“Mi sono ricordata di quando mi avevi detto che ti piace stare qui.”
Mi strinsi nelle spalle.
Era una semplice terrazza di un ufficio, abbastanza triste, e non capivo cosa ci trovasse di così interessante.
Lui sospirò e tornò a guardare il cielo.
Volevo chiedergli perché era andato lì, ma avevo paura della sua risposta.
Forse avrei dovuto chiamare casa e dire che lo avevo trovato, ma non sarebbe servito.
“Quindi..tu non sei mia sorella.”
Sentii una fitta allo stomaco a quelle parole ed abbassai lo sguardo.
“Ho sentito tutto, quando ne parlavi con Shannon.”
Spiegò, guardandomi serio, ma i suoi occhi celavano un velo di tristezza.
Sospirai e mi torturai le mani con le dita.
“Ce l’hai con me?” chiesi, a bassa voce.
“No, ma ci sono rimasto male per Shannon e mamma. Ci hanno nascosto una cosa troppo importante.”
Annuii portandomi le ginocchia al petto e mi rannicchiai.
“Lo so, questo però dovrei dirlo io, in fondo riguarda me.”
“Riguarda entrambi..non dovrebbe importarmene, secondo te?”
Esitai, guardando il cielo.
“Non ho detto questo..”
Jared sospirò, facendo spallucce.
“Prima o poi ci passerà.”
Si sedette e mi prese una mano, guardandomi sincero.
“Voglio solo che tu sappia..” disse, con leggero imbarazzo “che nonostante tutto sarai sempre mia sorella e..ti voglio bene.”
Sentii il cuore esplodermi, guardandolo sorpresa e vidi le sue guance colorarsi di rosso. Non me lo aveva mai detto così esplicitamente, non era un tipo a cui piaceva dimostrare affetto.
“Anch’io.”
Dissi stringendogli piano la mano.
Mi tirò a se, abbracciandomi forte, e rimanemmo così a guardare il cielo e parlare, per un tempo che sembrava infinito. 
 
Eccomi qui, puntuale come sempre (la verità è che ho iniziato a scrivere questa storia da mesi, quindi i capitoli ce li ho già pronti). Jared ha sfoggiato tutta la sua dolcezza, da adolescente me lo immagino proprio così, come l'ho descritto.
Fatemi sapere se la storia procede bene o se c'è qualche imprecisione. A presto!

                                                                                                                                Martina.

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Capitolo 5
*** Moment of truth, moment to lie. ***


POV Claire.
Il 12 Giugno: il giorno più aspettato dagli studenti di Bossier City.
Finalmente era finita la scuola, niente più compiti, interrogazioni e studio. Fortunatamente quell’anno era andata bene, non avevo avuto problemi e nemmeno Jared. Shannon si stava preparando per l’esame. Studiava tantissimo, era una conseguenza di non aver praticamente fatto nulla durante tutto l’anno. Non sapevo se fosse per lo stress dovuto allo studio, ma in quei giorni il suo atteggiamento nei miei confronti era cambiato. Era diventato freddo e scostante, non scherzava più e mi ignorava. Sospettavo che fosse per il fatto che avevo scoperto cosa mi avevano tenuto nascosto, ma in quel caso ero io che avrei dovuto essere arrabbiata, non lui. Eppure ero triste, faceva male sapere che non contavo niente per una delle persone a cui tenevo di più. Il rapporto con Jared, invece, era rimasto lo stesso, ci capivamo anche meglio, forse perché era l’unico che mi era stato vicino veramente. Al contrario, la situazione con mamma non era migliorata. Ci parlavamo e vedevamo pochissimo, spesso a cena non scendevo e andavo a mangiare quando erano già tutti a letto. Ancora non mi sentivo pronta per parlarle, anche se sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarla. Avevo anche mille domande da farle, ma non ero sicura che avrebbe risposto a tutte. L’unica cosa che mi aiutava a sfogarmi, oltre che parlare con Jared, era fare passeggiate, era un ottimo modo per schiarirsi le idee.
Proprio quel giorno decisi di andare al mare. Io e Jared, tempo prima, avevamo scoperto una spiaggia vicino casa, non la conosceva quasi nessuno e l’adoravo per questo, era tranquillissima. Appena arrivai chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni, perdendomi nel silenzio. In quel momento c’eravamo solo io ed il mare, niente e nessun altro, quando sentii un lieve fruscio accanto a me.
“Claire?”
Aprii subito gli occhi, vedendo mia madre di fronte a me. Scattai in piedi guardandola sorpresa e feci un passo indietro, sentendo il cuore balzarmi fuori dal petto.
“Che ci fai qui? Mi hai seguita?”
Mi guardò confusa, ma non si mosse.
“Seguirti? Non lo farei mai..”
Fece un passo verso di me ed io un altro indietro.
“E allora come hai fatto a trovarmi?”
Dissi guardandola con sospetto.
“Da giovane venivo spesso qui, quando ero triste” rispose con una nota malinconica mentre guardava il mare calmo “per un periodo ho smesso per gli impegni, ma adesso ne avevo davvero bisogno.”
L’osservai attentamente, per capire se stesse mentendo o no.
Si sedette sulla sabbia e continuò a guardare davanti a se.
Io esitai, ma poi mi sedetti accanto a lei, guardandola di sottecchi di tanto in tanto.
Nessuna delle due parlava e il silenzio iniziava a farsi alquanto imbarazzante. L’unica cosa che si sentiva era il rumore del mare.
Sospirai, incrociando le gambe. Avevo così tante cose da chiederle e dirle, eppure in quel momento non sapevo da dove cominciare.
“Io so che sei molto arrabbiata con me” disse mia madre, rompendo il silenzio “ma voglio spiegarti perché te l’ho tenuto nascosto. Questa volta vorrei che mi ascoltassi.”
Spostò lo sguardo su di me ed io annuii piano, facendole cenno di continuare, mentre sentivo il cuore battermi fortissimo.
“Non vi ho mai detto tutta la verità, riguardo la scomparsa del padre di Shannon e Jared” iniziò a spiegare con calma “vi ho sempre raccontato che è andato via, ma non sono mai scesa nei dettagli, probabilmente perché eravate troppo piccoli.” Si fermò un attimo, guardando il mare, e prese un bel respiro. “Lui mi ha lasciata subito dopo la nascita di Jared, dicendo di essersi innamorato di un’altra. Avevo solo diciotto anni e il lavoro che facevo mi dava una paga misera. Soffrii molto in quel periodo, ero sola e non sapevo come mandare avanti me, ma soprattutto i miei figli. Fortunatamente Mary mi diede una mano, senza di lei non so dove sarei adesso. Poi passarono due anni e durante questi avevo visto i miei figli crescere senza un padre, con una madre sempre impegnata a procurarsi soldi. Allora decisi di adottare un bambino, non volevo che altri soffrissero per la mancanza dei genitori..così ho preso te.”
Sentii un peso nel petto e gli occhi farsi lucidi per le sue parole. Non avrei mai immaginato una cosa simile, mi sentivo in colpa per averla trattata male.
“E..come mi hai trovata?”
Chiesi, cercando di mascherare la mia ansia.
“Ti vidi nell’orfanotrofio, sola in un angolo. Non parlavi molto, quasi per niente, ed eri così dolce.”
Sorrise, probabilmente per il ricordo, e mi guardò con gli occhi lucidi.
Sapevo che stava facendo di tutto per non piangere e non mostrarsi debole di fronte a me.
La maggior parte della fiducia che avevo in lei era scomparsa, ma sapevo che era sincera in quel momento, non avrebbe avuto motivo per mentirmi un’altra volta.
Vedendola così avrei solo voluto abbracciarla e dirle che non m’importava, ma ero come bloccata. Sentii le lacrime riempirmi gli occhi e li asciugai subito, abbassando lo sguardo. Avrei voluto chiarire i miei dubbi, ma non lo facevo perché probabilmente avevo paura delle risposte. Ma non sapevo se ci sarebbe stata un’altra occasione per parlarci, non avrei voluto prendere il discorso un’altra volta.
“Dove sono i miei veri genitori?”
Chiesi a bassa voce, guardando la sabbia.
“Non lo so..io non so nulla di loro. L’unica cosa che mi hanno detto all’orfanotrofio è che ti hanno trovata da sola, fuori dalla porta.”
Sospirai chiudendo gli occhi e mi abbracciai le ginocchia. Mi sentivo sola e abbandonata, ero cresciuta in una buona famiglia, ma il vuoto che mi avevano lasciato non lo avrebbe riempito nessuno. Dovevo saperne di più, ma non sapevo proprio dove cercare e a chi chiedere.
“Mi consideri ancora tua madre?”
Sentii la sua voce incerta dire quelle parole e alzai lo sguardo, trovando i suoi occhi malinconici e speranzosi che mi guardavano.
Rimasi sorpresa e, inizialmente, non sapevo cosa rispondere, mi aveva spiazzata. In quei giorni avevo dubitato molto di lei, mi ero sentita tradita, ma questo non voleva dire che non fosse mia madre, lei mi aveva cresciuta ed era stata tutti quegli anni con me, aveva impedito che rimanessi sola.
“Io..certo che ti considero mia madre, sei la donna che mi ha cresciuta.”
La guardai sincera e le presi una mano, vedendo un sorriso farsi spazio sulle sue labbra. Forse era il primo sorriso veramente felice, dopo tanto tempo.
 
“Pronto? E’ l’orfanotrofio di St. Patrick?”
“Sì, buongiorno..cosa desidera?”
Esitai, girandomi il filo del telefono nervosamente tra le dita. Avevo deciso di chiamare l’orfanotrofio da dove venivo, loro avrebbero sicuramente saputo qualcosa. Era l’unica speranza rimasta.
“Ecco, volevo sapere se Claire Carter è stata lì.”
“Claire Carter..” sentii un rumore di tasti digitati dall’altro capo del telefono “sì, è registrata. E’ stata qui parecchi anni fa. Cosa le serviva?”
“Potrebbe darmi qualche informazione sulla sua famiglia?”
“Scusi, lei chi è? Non possiamo fornire informazioni a degli estranei, sono affari personali.”
“Non sono un’estranea..sono io Claire Carter.”
“Ma chi vuole prendere in giro?”
“Non voglio prendere in giro nessuno, sto dicendo la verità.”
Stavo iniziando ad innervosirmi, non sapevo come convincerla. Doveva darmi quelle informazioni, dovevo sapere.
“E’ assurdo che lei mi chieda queste cose per via telefonica, come minimo deve venire qui personalmente e portarmi un documento.”
Strinsi i pugni e sospirai profondamente.
“Lo farò.”
Riattaccai, alzandomi dal letto, e presi la carta d’identità dal portafoglio, scendendo poi le scale con passo nervoso.
“Sto uscendo.”
Dissi fredda e non diedi il tempo a nessuno di rispondere, che già ero fuori casa, camminando verso l’orfanotrofio. Seguii le indicazioni e, appena arrivai, mi trovai davanti una porta di legno scuro, abbastanza antica, e l’aprii.
Mi guardai intorno, entrando incerta. Era un posto abbastanza triste, i muri erano scuri e i vetri delle finestre avevano delle fantasie strane, quasi inquietanti. Il pensiero che fossi stata lì mi fece venire i brividi.
“Desidera?”
Una signora abbastanza giovane, dalla voce familiare, mi venne incontro.
“Ho parlato con lei al telefono?”
Dissi, guardandola seria. Di certo non le avrei perdonato il fatto di avermi fatta andare fin lì.
“Beh non so..è lei la ragazzina insistente?”
Presi il documento dalla tasca e glielo porsi.
“Questo è abbastanza per farle capire che non sono una bugiarda?”
Guardò il documento e poi me indignata, andando al computer e stampò delle carte, porgendomele poi.
“Ecco qui.”
“La ringrazio.”
Presi i fogli ed uscì subito da quel posto orribile, promettendomi di non tornarci più.


Okay, questo era un capitolo di 'transizione', in un certo senso, quindi mi rendo conto che non sia il massimo. Vedrò di rifarmi con il prossimo, spero comunque che la storia vi stia piacendo. Al prossimo capitolo! 
                                                                         Martina. 

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Capitolo 6
*** Leave it all behind. ***


POV Claire.
Ero stesa sul letto, probabilmente da ore, con la musica dei Pink Floyd che rimbombava nello stereo. Fissavo le carte che mi avevano dato all’orfanotrofio, ma senza leggerle. Ora che finalmente avevo delle risposte, non trovavo il coraggio per guardarle e sapere. Quando ero rientrata a casa non avevo detto nulla a nessuno, ero sgattaiolata in camera mia in silenzio. In quel momento ero così abbattuta che non volevo parlare nemmeno con Jared. Perché ero così stupida e fifona da non saper nemmeno affrontare la realtà? Sarebbe solo bastato leggere quelle maledette carte, poi avrei saputo tutto. Mi feci coraggio, prendendo un bel respiro, e iniziai a leggere.
“Claire Carter, nata in Italia, a Volterra, il 14 Marzo del 1971. “
In Italia..i miei genitori quindi erano Italiani. Ma cosa ci facevo a Bossier City, se ero nata a Volterra? E perché avevo un cognome inglese?
“Si dichiara che la sig.na Claire Carter viene affidata alla sig.ra Constance Leto.”
Il resto erano tutte informazioni su mia madre, documenti e dichiarazioni varie.
Nell’ultimo foglio c’era la fotocopia della sua carta d’identità. Osservai la foto, era molto più giovane e diversa, ma bella ugualmente, gli occhi tristi e spenti ed i capelli troppo lisci le davano un’aria trascurata.
Rimisi le carte nell’ordine iniziale e le riposi nel mio cassetto. Alla fine avevo scoperto soltanto che venivo dall’Italia, quando invece mi sarei aspettata di trovare molte più informazioni sulla mia famiglia d’origine. Ma cosa pretendevo? A quelli dell’orfanotrofio non importava nulla di me o dei miei veri genitori, a loro non importava di nessuno.
Mi distesi sul letto a pancia in su e guardai il soffitto.
Tutto quello che volevo era saperne di più, ma a quanto pare, per quanto cercassi, non c’era modo. Anzi, una soluzione c’era, ma mamma non avrebbe mai accettato ed io, probabilmente, non avrei avuto nemmeno il coraggio e poi, chi mi avrebbe ospitata? 
“Andare in Italia.”
Scossi la testa, per cacciare via quell’idea, e sospirai. Non potevo farlo, era assurdo, eppure in quel momento mi sembrava l’unico modo per sapere la verità. Sentii le palpebre appesantirsi, pian piano, e non feci resistenza quando si chiusero del tutto. Era stata una giornata lunga e pensante, avevo avuto troppe cose a cui pensare ed ero stanchissima, dormire mi avrebbe fatto bene. Dopo poco mi abbandonai a Morfeo, sperando che mi portasse in un mondo diverso, più facile in cui vivere.  
 
Aprii gli occhi lentamente, sbattendo le palpebre per la luce che entrava dalla finestra e mi infastidiva. Guardai l’orologio sul comodino, segnava le 10:23. C’era un silenzio assoluto, possibile che dormissero ancora tutti? Mi alzai, stiracchiandomi, e mi affacciai alla finestra. La macchina di mamma non c’era, doveva essere andata al lavoro. Uscii dalla stanza e andai in salone, trovandolo deserto. Ero rimasta sola. La cosa non mi dispiaceva, ultimamente la compagnia di qualsiasi essere umano mi dava fastidio, soprattutto se si trattava di Shannon. Non si era risolto nulla, continuava ad essere freddo e ad ignorarmi. Io non avrei fatto il primo passo, doveva essere lui a scusarsi e spiegarmi il motivo per cui faceva così.
Mi sedetti sul divano e accesi la televisione, davano un servizio sull’Italia. Pensai subito ai documenti che avevo letto la sera prima e mi venne di nuovo in mente quell’assurda idea di partire. Era improponibile, eppure sentivo che avrei dovuto andarci. Ma mamma avrebbe accettato? Spettava a lei decidere, io ero ancora minorenne, ma si trattava della mia vera famiglia. Dovevo cercare informazioni, da chi andare e come prendere il biglietto dell’aereo, poi avrei pensato a come dirlo a loro. Jared l’avrebbe presa sicuramente male, ma mi avrebbe capita. Mi alzai dal divano, andando a prendere il computer, e iniziai a cercare.
 
Eravamo tutti insieme a cena, dopo giorni, se non mesi. Jared mangiava il suo sfornato di verdure, come al solito, mentre Shannon si abbuffava. Io non stavo mangiando quasi nulla, ero rimasta in silenzio per tutta la sera, pensando e ripensando a come avrei dovuto dirgli della mia partenza. Mi ero preparata un discorso per tutto il pomeriggio, ma non sapevo fino a che punto sarebbe stato convincente. Tutti erano in silenzio, era il momento perfetto per parlarne. Mi schiarii la voce, guardandoli poi.
“Io dovrei dirvi una cosa, è molto importante.”
Mamma e Jared smisero di mangiare e mi guardarono aspettando, invece Shannon se ne fregò altamente e prese un altro pezzo di lasagna.
“L’altro giorno sono andata all’orfanotrofio e mi hanno dato dei documenti, ho scoperto di essere nata in Italia.” Mi fermai e guardai le loro espressioni, non sembravano poi così sconvolti, almeno per il momento.
“E..?”
Mi incoraggiò mia madre.
Esitai, sospirando, mentre sentivo lo stomaco stringersi.
“E ho deciso..di partire. Voglio andare in Italia.”
A quel punto Shannon lasciò cadere la forchetta e mi guardò sconvolto. Jared si alzò in piedi, sgranando gli occhi, e mia madre si immobilizzò.
“In Italia? Ma che stai dicendo!”
Jared sbottò, alzando la voce, mentre continuava a guardarmi come se fossi pazza.
“Ho fatto qualche telefonata, ho scoperto di avere uno zio lì, mi ospiterebbe volentieri e il volo non costa poi così tanto..”
Avevo quasi paura a parlare, per le reazioni che avrebbero potuto avere.
“Per quanto tempo?”
Disse mia madre, sommessamente, con lo sguardo fisso nel vuoto. Sembrava quasi assente.
“Non lo so..potrebbero essere settimane, o mesi.”
“Settimane o mesi?”
Disse Shannon, alzandosi lentamente. Dopo un sacco di tempo mi stava parlando di nuovo, anche se non avrebbe portato niente di buono. Sembrava più arrabbiato del solito.
“E tu pensi di decidere così, tutto da sola? Sei un’egoista.”
Alzò la voce, prendendo un bicchiere, e lo buttò per terra con forza, facendolo rompere.
Sobbalzai, abbassando lo sguardo e non risposi. Mi sentivo uno schifo, forse era vero che mi stavo comportando da egoista.
Mamma si alzò improvvisamente, bloccando Shannon che stava per rompere un altro bicchiere.
Era diventato un casino assoluto.
Strinsi i pugni, alzandomi e urlai per farmi sentire.
“Finitela!”
Sentii i loro sguardi sconvolti addosso.
“Perché non mi capite? Voi siete degli egoisti, pensate solo a voi stessi. Soltanto Jared si è preoccupato quando stavo male, tu, Shannon, te ne sei sbattuto altamente! Io ho preso la mia decisione ormai.”
Cercai di controllare il respiro e li guardai male.
Mamma lasciò andare Shannon, che sembrava essersi calmato, e annuì.
“Ha ragione, è una scelta sua” disse, guardandomi dispiaciuta “non posso proibirti di sapere, vorrei solo evitare che tu rimanga ferita.”
“Non succederà, ma grazie.”
Chiusi il discorso e andai in camera mia, evitando di guardarli. Non mi sarei aspettata una reazione del genere da Shannon, non capivo il perché di tutto quel casino. Ma non importava, sarei partita e nessuno mi avrebbe impedito di sapere la verità.
 
Avevo sempre odiato gli aeroporti, ma in quell’occasione ancora di più. Stavo per partire per l’Italia e non sapevo quando sarei tornata.
Mamma si asciugava le lacrime con un fazzoletto, ormai sporco, e cercava in tutti i modi di non piangere ancora. Jared, invece, teneva lo sguardo basso. Non aveva detto una parola da quando eravamo usciti di casa, ma dopo il casino che era successo, avevamo parlato e mi aveva detto di capirmi, in un certo senso. Shannon non era nemmeno venuto all’aeroporto, non si era nemmeno alzato dal letto per salutarmi. Avrei dovuto aspettarmelo.
“Volo per Firenze, ultima chiamata.”
Sospirai a quelle parole e guardai mia madre e mio fratello con tristezza. Fino al giorno prima ero stata così convinta, invece in quel momento avrei solo voluto mandare tutto all’aria.
“E’ meglio che vada, è tardi.”
Dovevo sbrigarmi, altrimenti avrei cambiato idea. Mi avvicinai e abbracciai prima mamma, che mi strinse forte, come se non volesse più lasciarmi. Poi passai a Jared, dopo averlo guardato negli occhi. Sospirai un’altra volta, prima di staccarmi a malincuore.
“Ci vediamo presto.”
Quelle parole mi sembravano così banali in quel momento. Presi il borsone da terra e mi girai, dirigendomi verso il metal detector ad occhi lucidi, sapendo che mi stavo lasciando dietro le persone più importanti della mia vita. 


Mi rendo conto di essere stata un po' stronza a far finire il capitolo così e non posso nemmeno dire che le cose miglioreranno nei prossimi..okay, sto zitta. NIENTE SPOILER. 
Ringrazio, come sempre, chi ancora segue la storia. Ciao a tutti!
                                                                                                                               Martina. 

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Capitolo 7
*** Give 'em Hell, Kid. ***


If you were here I'd never have a fear,
so go on live your life, but I miss you more than I did yesterday.
You're so far away.”
 POV Jared.
Guardavo la strada, che sembrava sfrecciare via come un lampo, le persone strette nei loro cappotti per il freddo, il cielo scuro, come se stesse per arrivare una tempesta. Era da tanto che non si vedeva il sole, forse mesi, anche se a me erano parsi anni. Il tempo sembrava non scorrere più, avrei pensato che si fosse fermato, ma la gente continuava a muoversi e la canzone che stavo ascoltando andava avanti. Il tempo si era bloccato, sì, ma per me. Niente aveva più senso, ero diventato vuoto e solo, l’unica cosa che mi faceva compagnia ormai, era il mio mp3. Spesso mi chiedevo se anche i miei cantanti preferiti, qualche volta, si erano sentiti soli e la risposta mi arrivava attraverso i testi delle loro canzoni. Tutti si sentono abbandonati, almeno una volta. Ma per quanto tempo? La sofferenza quanto può durare? Mesi, anni? Era troppo da sopportare. La cosa che mi faceva più male di tutte era l’attesa, il non sapere quando sarebbe finito. Cercavo in tutti i modi di non pensare al motivo per il quale stavo così, ma non ci riuscivo. Per quanto mi sforzassi di cacciare via la sua immagine, mi tornava sempre in mente, lei era ovunque; nel banco accanto al mio in classe, nella mia camera, in casa. E ogni volta che ci pensavo, sentivo un dolore dentro, come se mi avessero strappato via una parte del corpo. Non poteva continuare.
“Ragazzo? Sogni ad occhi aperti?”
Sobbalzai, sentendo quella voce roca, che mi aveva distolto dai pensieri.
“Come, scusi?”
Dissi, confuso, togliendomi le cuffiette e mettendomi il lettore in tasca.
“Siamo al capolinea dell’autobus e sei rimasto solo tu, che hai deciso?”
Oh, merda.
Presi lo zaino dal sedile accanto al mio e mi precipitai fuori dal mezzo, iniziando a correre velocemente.
Sarei dovuto scendere quattro fermate prima per andare a scuola. Ma non mi stupivo, non era la prima volta che succedeva, ormai avevo la testa da tutt’altra parte.
Arrivai davanti al cancello della scuola, zuppo, per il temporale che era iniziato, e il fiatone.
Erano le 8 e 36, probabilmente non mi avrebbero fatto entrare e avrei dovuto aspettare fuori, sotto la pioggia, per un’ora. Fantastico. Sospirai sedendomi davanti ai gradini dell’entrata e tirai su il cappuccio della felpa, godendomi il rumore della pioggia a sguardo basso. In fondo ero contento di aver fatto tardi, in prima ora avrei avuto educazione fisica e l’odiavo, ero scoordinato e facevo sempre brutte figure, ma non c’entrava solo quello. La verità era che avevo sempre la testa tra le nuvole, in quel periodo. Improvvisamente sentii delle risate e delle voci, abbastanza fastidiose. Oh, no..sapevo perfettamente di chi fossero, le avrei riconosciute anche a miglia di distanza. Mi pentii immediatamente di aver fatto tardi, educazione fisica non era nulla in confronto a quello che stava per accadere.
“Ehi, sfigato.”
Alzai piano lo sguardo, trovandomelo davanti. Jim Davis, una delle meravigliose persone che frequentava mio fratello.
“Come mi hai chiamato, Davis?”
Lo guardai serio negli occhi, con aria di sfida.
“Ho detto..” si avvicinò, con un sorrisino beffardo sulle labbra “sfigato. Perché è quello che sei, Leto, uno sfigato senza padre.”
A quelle parole strinsi i pugni, alzandomi in piedi, e sentii una morsa allo stomaco, seguita da una forte scarica di adrenalina. Mi sentivo carico, come se dentro avessi una bomba, pronta ad esplodere a momenti. Improvvisamente avvertii un forte bisogno di picchiare qualcuno, mi prudevano le mani. Alzai un pugno e colpii Davis in pieno viso, con una forza che non avrei mai pensato di avere. Mi sentivo bene dopo averlo fatto, era come se avessi scaricato tutte le mie frustrazioni e proprio sulla persona che me le aveva provocate, ma il mio momento di gloria durò troppo poco. Jim si riprese e mi diede un pugno nello stomaco. Sentii mancarmi il respiro, non avevo mai provato un dolore simile, per un attimo ebbi paura di soffocare. Lo guardai in cagnesco, con l’intenzione di rovinarlo, ma sentii una botta alla schiena. Caddi per terra, mandando le mani in avanti e chiusi gli occhi, sentendo le forze mancarmi. Non potevo dargliela vinta così, dovevo reagire, alzarmi e fargli vedere di cosa ero capace. Quel bastardo non aveva avuto il coraggio di cavarsela da solo, era solo un vigliacco. Raccolsi tutte le mie forze, pensando alle parole che aveva detto, e mi alzai con i pugni stretti, gettandomi su di lui. Iniziai a colpirlo all’altezza dello stomaco, ma qualcuno mi bloccò le braccia.
“Che sta succedendo qui?”
Sentii urlare, ma non m’importava. Cercai di divincolarmi, respirando male per la rabbia.
“Leto, Davis! In presidenza, ora.”
Ecco, mi stavo pentendo sempre di più di aver saltato educazione fisica.
 
Un’ora e mezza di predica dal preside, era da suicidio. Non c’era modo di scappare, dovevo solo stare lì e subire il suo discorso senza fine, il cui unico scopo era farmi sentire un maleducato e delinquente, non rispettoso delle regole scolastiche. Se solo avesse saputo come mi aveva provocato quel bastardo..mi prudevano le mani solo al pensiero. Per tutta quell’ora e mezza di predica, avevo sperato che non dicesse quelle parole che mi avrebbero rovinato davvero. E invece..
“Siete sospesi, per due settimane.”
Era la fine, lo sapevo.
Mi alzai, affranto, ed uscii dallo studio. L’unica cosa che mi consolava era il fatto che anche Davis fosse stato sospeso, se lo meritava.
Andai subito via da lì e, all’uscita, trovai mio fratello.
 “Ah, allora sei vivo..sono tre giorni che sei via e non torni a casa.”
Dissi con sarcasmo, guardandolo serio. Ero frustrato.
“Ho avuto da fare.”
Lo osservai attentamente, senza rispondere. Aveva le occhiaie, i vestiti sporchi e l’aria stanca. Sapevo benissimo cos’era andato a fare in quei giorni.
 “Hai fatto a botte con Davis..sai che è mio amico, non avresti dovuto.”
“E tu come lo sai?”
Lo guardai male, avvicinandomi.
“Io..ero lì prima, vi ho visti.”
Sbarrai gli occhi, sentendomi ancora peggio. Non potevo crederci, aveva visto tutto e non lo aveva fermato, non aveva nemmeno cercato di aiutarmi.
“E perché hai lasciato che mi picchiasse, senza fare nulla?” sbottai, alzando la voce. “Io sono tuo fratello e quel bastardo..mi ha detto di essere uno sfigato, Shannon. Tu chiami amici persone del genere? Ha detto che sono uno sfigato senza padre..”
Avvertii dell’umido sulle guance e me l’asciugai. Mi sentivo uno stupido, io non piangevo mai, eppure in quel momento mi sembrava l’unica cosa che mi aiutasse a sfogare la rabbia.
Shannon non faceva né diceva nulla, non mi guardava nemmeno.
Mi avvicinai, prendendolo per le spalle, e lo scossi con forza.
“Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia? Tu non sei mio fratello, non ti riconosco più..”
Lo lasciai andare ed iniziai a correre via. Via da tutta quella merda, che volevo solo lasciarmi alle spalle. Volevo solo scacciare le mie paure, sentirmi bene per un attimo e far sparire tutto quel dolore che avevo accumulato. Volevo che lei tornasse e che mi dicesse di stare bene. Ma questo non sarebbe successo, avrei continuato ad avere paura, a stare male, il dolore mi avrebbe tormentato, ogni giorno ed io sarei rimasto solo, fino alla fine. 
 


Ammetto di aver pianto per scrivere questo capitolo e non è nemmeno il più triste. Aaah cwc 
Volevo prendere un attimo per ringraziare i My Chem, altra band che adoro, per avermi ispirato. Infatti ho deciso di chiamare il capitolo come una loro canzone, all'inizio c'è anche un pezzo di questa e mi sembrava adattissima alla storia. C'è qualche Killjoy che legge la storia? *è curiosa* okay, mi dileguo. Lascio a voi le recensioni (?).
                                                                                                                                                                                                                     Martina.

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Capitolo 8
*** Destruction is his game. ***


“Self destruction is such a pretty little thing.
I know that I should walk away,
but I can't bring myself to quit this game."

 
POV Shannon.
C’era troppo rumore. Uno di quelli fastidiosi e ripetitivi, che fanno male alle orecchie.
Avrei spaccato volentieri lo stereo e le casse, da cui proveniva musica tutta uguale, sembrava entrare nel cervello e non uscire più.
“Abbassate quel maledetto volume.”
Sibilai, mentre bevevo un sorso dell’ennesima birra di quella sera. Mi guardai intorno e sbuffai, c’era sempre la solita gente che ballava, si ubriacava e faceva porcherie sui divanetti del pub. Insopportabile. Scesi dallo sgabello, finendo di bere la birra, ed uscii. Mi poggiai al muro e respirai profondamente, dentro si soffocava.
Spesso, quando andavo in quei locali, mi sentivo come in gabbia, rinchiuso in un luogo dove non mi sentivo a mio agio. Eppure frequentavo quei posti da tempo, ma in fondo non mi erano mai piaciuti. In quel periodo mi sentivo oppresso, avevo un costante peso nel petto, a volte mi sembrava di soffocare. Volevo solo scappare da tutto quanto, da quella città a cui non appartenevo e sentirmi libero dai problemi, dai pensieri e da tutto ciò che mi faceva sentire uno schifo. In realtà, ogni cosa mi faceva sentire uno schifo.
Scivolai contro il muro e mi sedetti a terra, guardando il marciapiede pieno di persone.
E’ possibile sentirsi soli, in un posto pieno di gente? Credo proprio di sì, perché era così che mi sentivo costantemente. Non avevo più nessuno, nemmeno una famiglia. Avevo persino dimenticato cosa volesse dire averne una ed era tutta colpa mia, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Alzai lo sguardo verso le persone davanti a me e, in mezzo a queste, scorsi dei lunghi boccoli castani con dei riflessi ramati, illuminati dalla fioca luce della luna. Non era possibile, non poteva essere lei. Mi alzai, guardandola sorpreso e mi avvicinai lentamente, con gli occhi sgranati per la sorpresa. Appena fui abbastanza vicino, allungai una mano, esitando, ma lei svanì. Mi venne un groppo in gola e rimasi a fissare il posto dove l’avevo vista o, almeno, dove credevo di averla vista. Dovevo smettere di pensare a lei, continuavo a farmi solo del male, ma era inevitabile. Sentii un bisogno di farlo, anche se mi avrebbe rovinato, ma in quel momento non m’importava niente. Mi misi la mano in tasca e presi quella roba che mi avrebbe illuso di essere libero dai pensieri e dai problemi. L’accesi e feci un tiro generoso, sentendo il fumo entrarmi nei polmoni e l’eccitazione già salire al cervello. Dopo un po’ l’effetto si irradiò in tutto il mio corpo e mi sentii carico, in quel momento pensavo di poter fare di tutto. Improvvisamente mi arrivarono delle risate alle orecchie e alzai lo sguardo verso queste; erano due o tre ragazzini che uscivano dal pub. Feci un sorrisino e mi avvicinai, squadrandoli.
“Che ci fanno dei ragazzini come voi, in giro a quest’ora?”
Dissi, con aria di superiorità.
Si guardarono, avevano delle espressioni un po’ spaventate sul volto.
Ghignai e feci dei piccoli passi malfermi verso di loro, mentre li fissavo.
“Vi ho fatto una domanda, rispondete.”
“Ehi, mi sa che questo qui è drogato, guardate i suoi occhi!”
Bisbigliò uno di loro, che doveva essere il più grande. Gli altri due mi guardarono scettici e si misero a ridere.
Mi sentii ferito nell’orgoglio. Degli stupidi ragazzini stavano ridendo di me e non dovevo permetterglielo.
Strinsi i pugni e li guardai negli occhi, minaccioso, facendo qualche altro passo verso di loro.
“Adesso ve lo faccio sparire io quel sorrisino dalla faccia.”
Presi due per i capelli e feci sbattere le teste tra di loro, poi diedi un calcio forte nello stomaco del terzo, facendolo cadere di schiena.
Ero accecato dalla rabbia. Quei poveri ragazzini innocenti, in fondo, non mi avevano fatto nulla, ma non riuscivo ad accettare il fatto che gli altri potessero essere felici ed io no, quindi me la prendevo con i primi che avevo sotto tiro e, quella sera, erano capitati proprio loro. Ormai ero entrato in un brutto giro, pensavo solo alla droga, spesso mi trovavo a rubare solo per comprarla, era diventata quasi un’abitudine. Andavo in giro con i miei ‘amici’, ma non mi divertivo. Mi sentivo vuoto, come se non avessi sentimenti, come se facessi quelle cose solo per sentirmi vivo, ma quella sensazione durava un attimo. Poi mi trovavo sempre solo, con un peso nel petto che non andava via. Avevo abbandonato mia madre e mio fratello, ma lo avevo fatto solo per il loro bene. Io stavo cadendo in basso, avevo toccato il fondo e non volevo trascinarli giù con me, volevo evitare di dargli altri problemi, ne avevano già abbastanza.
Guardai quei tre ragazzini e decisi di lasciarli andare, ormai mi ero sfogato a sufficienza. Iniziai a camminare, non sapevo esattamente verso dove, ma quel senso di vuoto era tornato e mi sentivo peggio di prima. Mi abbandonai su una panchina, chiudendo gli occhi, e mi persi nella confusione che c’era nella mia testa.
 
“Shannon? Shannon?”
Mi sentii scuotere e feci un verso infastidito.
‘Chi è che rompe i coglioni?’
Pensai, aprendo gli occhi lentamente. Mi guardai attorno con una faccia confusa. I miei amici erano in piedi davanti a me, mentre io ero sdraiato su una panchina. Non ricordavo nulla della sera precedente, non sapevo come avevo fatto ad arrivare lì. Mi faceva male la testa, qualsiasi suono mi entrava nel cervello. Era fastidiosissimo.
“Dai, Shan, alzati che abbiamo preso della roba buona. Hanno detto che è potente, non l’abbiamo pagata nemmeno molto.”
Disse Jim, sventolandomi il sacchetto sotto il naso. Alzai lo sguardo verso di lui, ancora assonnato.
“Con questa notizia ti fai perdonare il fatto di avermi svegliato.”
Mi alzai e feci un sorrisino.
“Voglio essere il primo a provarla, andiamo dai.”
Ci dirigemmo al nostro solito posto. Era uno scantinato, nascosto sotto un edificio. Ci andavamo sempre, era un posto sicuro per farci, senza essere scoperti.
Sedemmo in circolo e Jim tirò fuori le pasticche, io presi la prima.
“Allora provo eh. Vediamo se è così potente, come si dice.”
Ridacchiai e la ingoiai, chiudendo gli occhi.
Aspettai, mentre tutti mi guardavano e, dopo un po’, feci spallucce.
“Io non sento nulla.”
Anche Jim ne prese una. Nemmeno a lui stava facendo effetto.
“Questi qui ci hanno preso per il culo!”
Esclamò uno dei ragazzi.
Sbuffai e ne presi un’altra.
“Dammi qua.”
Ingoiai anche la seconda e aspettai, per alcuni minuti. Non sentivo niente, ero lì che aspettavo di provare quelle sensazioni di estasi e, invece, quella volta pensai che non sarebbe davvero successo niente.
“Ma che ti hanno dato, caramelle?”
Sbottai, prendendo il sacchetto e ne tirai fuori due, mandando giù anche quelle.
Non ne potevo più, volevo solo provare qualcosa, ne avevo bisogno.
Improvvisamente avvertii una fitta allo stomaco, seguita da un senso d’ansia che si espanse in tutto il mio corpo. Mi toccai le gambe, era come se non le avessi più, le mani mi tremavano. Il cuore iniziò a pomparmi nel petto, come non aveva mai fatto e sentii l’aria mancarmi nei polmoni. Che stava succedendo? Non riuscivo più a muovermi e nemmeno a pensare. Ero come bloccato, volevo gridare, chiedere a qualcuno di far smettere quel dolore, ma non potevo. Poi non sentii più nulla, tutto diventò buio ed io venni risucchiato dall’oscurità. 


Non so come scusarmi per l'enorme ritardo, ma ho avuto un blocco (sì, il famoso blocco dello scrittore) e non sapevo come continuare.
Poi c'è stato il concerto dei Mars a Lucca e, capitemi, sono ancora depressa..ecco perché il capitolo è venuto  fuori così triste. Perdonatemi cwc
Anyway. TA-DAAAAN. Avete scoperto cosa faceva il nostro Shannon, vi ho tenuto un po' sulle spine, ma ora potete mandarmi tutti gli insulti di questo mondo. 
All'inizio ho voluto mettere un pezzo della canzone "To the stage" degli Asking Alexandria perché mi sembrava molto adatta per lo status di Shannon. 
Grazie ancora per tutte le recensioni! Al prossimo capitolo c':
                                                      Martina.

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Capitolo 9
*** Lost in desperation. ***


POV Claire.
Era buio, completamente. Non riuscivo a vedere nulla, mi guardavo intorno e sentivo un peso nello stomaco, probabilmente dovuto all’ansia. Avevo sempre odiato l’oscurità e i posti bui, mi davano come l’idea di qualcosa di segreto e nascosto, come le bugie.
Feci un passo avanti, incerta, come se avessi paura di cadere da un momento all’altro. Mi sembrava tutto così irreale e speravo che lo fosse, volevo uscire da lì, trovare la luce. Avevo paura che l’oscurità mi avrebbe sopraffatta e sarebbe stato per sempre. Improvvisamente di fronte a me comparve una grande piscina, illuminata da alcune luci che si trovavano sott’acqua. C’era solo quella, nient’altro, poteva essere la mia salvezza. Sentii chiamare il mio nome, non sapevo da dove, ma feci un altro passo avanti, poi due. Fissavo l’acqua cristallina che si muoveva lentamente in piccole onde azzurre e mi avvicinavo sempre di più, finché non chiusi gli occhi e caddi in questa. Mi trovai sul fondo, non riuscivo più a risalire.
“E’ la fine.”
Pensavo, mentre un peso molto più forte di me mi teneva giù, lontano dalla luce, mentre io non potevo reagire. Poi il buio tornò di nuovo ed io mi abbandonai, senza forze.
 
Aprii gli occhi e mi misi a sedere, ansimando per lo spavento, con una mano sul cuore. Era stato solo un sogno, anzi, un incubo terribile. Sospirai di sollievo e guardai l’orologio sul comodino. Segnava le dieci e mezza. Mi sentivo scombussolata per l’incubo e per il fatto di essermi svegliata così di scatto, anche se per me ormai era d’abitudine fare brutti sogni, capitava praticamente ogni notte ed erano tutti diversi, ma in ognuno sentivo quello stesso peso che mi teneva giù, in profondità e che era troppo grande da sopportare.
Mi alzai dal letto e scesi di sotto, vedendo che non c’era nessuno. Mio zio doveva essere andato a lavoro, era sempre così. Ogni mattina mi svegliavo da sola, mi preparavo la colazione, prendevo l’autobus per andare a scuola, le solite e monotone cose. Non amavo particolarmente quella routine, mi annoiava. Anche se alcune persone, soprattutto mio zio, avevano cercato di aiutarmi e di farmi inserire, ero sola, davvero sola. A scuola non ero riuscita a farmi amici, sembravano tutti così snob e avevo come l’impressione che nessuno mi capisse, probabilmente perché stavo ancora imparando bene l’italiano, era passato solo un anno da quando ero andata via. Ma non m’importava di essere sola, non m’importava di annoiarmi, l’unica cosa a cui pensavo costantemente era che li avevo abbandonati. Avevo lasciato la mia famiglia. Da quando ero partita non li avevo più sentiti, nessuno di loro e probabilmente era giusto così.
Diedi un’occhiata al calendario, appeso in cucina. Era Sabato, quindi non avevo scuola. Mi rilassai, mentre bevevo il caffè, ormai freddo, che era rimasto nella caffettiera. Presi il lettore mp3 dal davanzale e mi misi le cuffiette, schiacciando play e mi persi nella musica. Guardai fuori dalla finestra, era Autunno. Le foglie gialle erano sparse sui marciapiedi, deserti e bagnati per la pioggia, una lieve nebbia avvolgeva il paesaggio, come una coperta e l’umidità appannava il vetro, da cui stavo guardando. Amavo rimanere così e pensare per ore. Mi chiedevo sempre cosa stessero facendo loro, che si trovavano dall’altra parte del mondo, lontani da me. Dal primo momento che avevo messo piede in Italia, mi ero subito pentita di essere andata via. Pensavo che tutto sarebbe migliorato, invece non era così, mi sentivo sempre peggio.
Sospirai e mi alzai, prendendo la mia felpa blu dalla sedia e me la misi sopra il pigiama pesante. Volevo fare una passeggiata per schiarirmi le idee, stare tutto il giorno in casa non era una buona idea. Presi le chiavi ed uscii, sentendo un brivido di freddo. Chiusi la porta e iniziai a camminare verso il piccolo bosco davanti casa, stringendomi nella felpa. Le cortecce degli alberi erano coperte di muschio, i rami spogli ed intrecciati non lasciavano passare molta luce ed il sentiero su cui camminavo era pieno di foglie morte. Era tutto così triste, malinconico e silenzioso, come me. Amavo andare in quel bosco, mi sentivo a mio agio. Era come se, ormai, fossi diventata parte di esso.
Continuavo a camminare, non sapendo verso dove, ma non m’importava. Volevo allontanarmi da tutto, anche dai pensieri. Avrei voluto perdere la memoria e ricominciare d’accapo, oppure tornare indietro nel tempo, a quel giorno in cui avevo deciso di andare via. Ma non potevo e questo mi faceva soffrire. Ero piena di ripensamenti, avrei solo voluto chiamarli e dirgli di venirmi a prendere, perché volevo tornare a casa. Eppure non avevo il coraggio, c’era sempre qualcosa che mi fermava, sentivo una voce interiore che mi diceva “è meglio così, loro stanno bene senza di te”.
Camminai ancora per un po’ e scorsi una panchina di legno, tra due alberi. Mi avvicinai e mi sedetti, poggiandomi allo schienale. Alzai lo sguardo verso il cielo e vidi un aereo che passava in quel momento, proprio sopra di me.
“Portami via” sussurrai.
Sapevo che nessuno avrebbe mai sentito quelle parole, sarebbero soltanto volate via con il vento, non lasciando nessuna traccia, come se non fossero mai state dette.
Misi il cappuccio della felpa e chiusi gli occhi, rivedendo l’incubo di quella notte. Li riaprii immediatamente, sussultando, e sospirai. Ero spaventata da morire, volevo solo stare bene, ma non trovavo mai pace. Di giorno ero piena di pensieri, di notte erano gli incubi a tormentarmi. Non sapevo più cosa fare.
Guardai l’orologio, che segnava quasi l’una. Era passato così tanto tempo e non me ne ero nemmeno resa conto. Stava anche iniziando a piovere, quindi mi alzai e iniziai a camminare verso casa. Non mi ero accorta di aver fatto così tanta strada, sembrava non finisse mai. Appena arrivai davanti casa, vidi un taxi allontanarsi dal nostro viale e aggrottai le sopracciglia. Non aspettavamo nessuno, quindi non sapevo chi fosse. Salii i gradini, vedendo una persona sul portico e mi avvicinai. Era un ragazzo, girato di spalle, che suonava insistentemente al campanello.
“Sc-scusa, chi..”
Cercai di chiedere, parlando in italiano. Il ragazzo si girò verso di me e, appena vidi i suoi occhi di ghiaccio, mi paralizzai. Non era possibile, che ci faceva lì?
“Claire..” disse sorpreso, ma ansioso “devi venire con me, è successo qualcosa di terribile a Shannon.”


Okay, non odiatemi. Sono partita e non avevo un minimo di connessione per pubblicare il capitolo, scusatemi cwc
Lo so, sono cattiva che lo faccio finire in questo modo, ma devo lasciarvi un po' in sospeso, altrimenti non c'è gusto e poi voi non siete curiosi di leggere il prossimo capitolo.
Sì, sto divagando. Grazie a chi ancora segue la storia e a chi recensisce. Al prossimo capitolo c:
                                                                                                                                                   Martina.

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Capitolo 10
*** Back to reality. ***


POV Claire.
Stavo guardando disinteressatamente l’hostess che faceva dimostrazioni, già da dieci minuti, sulle varie modalità di salvataggio che avremmo dovuto usare, se fosse successo qualcosa. A parer mio, non servivano a nulla, era solo un modo come un altro per mettere più ansia ai passeggeri. L’aereo era decollato, eravamo già molto in alto, sopra le nuvole, ed io non riuscivo a smettere di pensare al fatto che avrei rivisto mia madre. Pensavo a tutto quello che avrei voluto dirle e a come scusarmi. Ero andata in Italia per uno scopo, per sapere di più sulla mia famiglia d’origine e, invece, non avevo scoperto un bel niente. Ero stata troppo timida o, probabilmente, impaurita per fare domande. Avevo saputo solo una cosa, che la mia vera madre si chiamava Elena e che era morta, subito dopo avermi messa al mondo. La cosa non mi aveva toccata più di tanto, perché ormai ci ero passata sopra, in un certo senso. In quel momento pensavo soltanto al fatto che non vedevo l’ora di riabbracciare mamma e Shannon.
“Eccomi, scusa, ma c’erano due persone prima di me al bagno.”
Jared, che si sedette accanto a me, mi distolse dai pensieri.
“Non fa niente, in fondo ci mancano ancora cinque ore di viaggio.”
Solo al pensiero mi sentivo male, ma non era solo quello a preoccuparmi.
‘E’ successo qualcosa di terribile a Shannon’, quelle parole mi rimbombavano nella testa da ore e mi agitavano. Jared non aveva voluto dirmi cosa fosse, diceva solo che era grave e che non sapevano se sarebbe andato tutto bene. Non mi tranquillizzava per niente.
“Ancora ci stai pensando, vero?”
Mi chiese ed io sospirai.
“Jay, è normale che io ci pensi, è mio fratello e sta male..”
“Avevi detto di non considerarlo più tuo fratello.”
Mi interruppe, guardandomi serio.
Esitai, prima di rispondere, e spostai lo sguardo fuori dal finestrino.
“E’ tutto cambiato, non so spiegarti cosa penso adesso. Sono confusa.”
Sembrò che la mia risposta fosse alquanto sufficiente, perché decise di non ribattere e si mise comodo sul sedile, ad occhi chiusi.
 
“L’atterraggio è previsto tra una ventina di minuti, si prega di rimanere seduti con le cinture allacciate.”
La voce metallica del pilota, proveniente dall’altoparlante, ci avvisò ed io sospirai di sollievo. Eravamo in viaggio da quasi sei ore e non ce la facevo più, considerando anche le altre sei sull’aereo precedente. Io e Jared, per il resto del volo, avevamo parlato poco. Lui si era addormentato ed io avevo letto un libro.
‘Mai più viaggi così lunghi’ pensai tra me e me. Ero sicura che non sarei più tornata in Italia.
Guardai fuori dal finestrino, ci stavamo avvicinando all’aeroporto. Era buio, la strada era piena di luci rosse e gialle, la città sembrava così piccola vista dall’alto.
Sentii uno strano senso di familiarità assalirmi, mi sentivo bene.
“Bentornata a casa, Claire.”
Mi sussurrò Jared all’orecchio ed io mi girai verso lui, con un lieve sorriso.
Quando l’aereo toccò il suolo sobbalzai e mi poggiai al sedile, sollevata.
“Siamo arrivati, finalmente.”
Io e Jared ci togliemmo la cintura e ci alzammo, prendendo i bagagli.
Quel piccolo momento di felicità era finito e fu sostituito dal senso d’ansia che mi opprimeva da ore.
Seguii Jared fuori dall’aereo e, quando ci trovammo l’uscita davanti, feci un respiro profondo. Le porte si aprirono e lei era lì. Aveva delle occhiaie tremende, probabilmente perché non dormiva da giorni, era dimagrita e aveva un’espressione triste sul viso, nonostante ci stesse facendo un sorriso lievissimo.
“Mamma.”
Sussurrai, con le lacrime agli occhi.
Lei non disse nulla, si limitò ad abbracciarci forte, mentre io iniziai a piangere tra le sue braccia, come una bambina.
“Claire, non lasciarci più, non farlo.”
Disse, con voce tremante.
Io scossi la testa e la strinsi forte a me.
 
L’auto sfrecciava lungo la strada, con mamma al volante. Jared le era seduto accanto ed io ero sul sedile posteriore.
Nessuno di noi aveva più detto nulla, da quando ci eravamo messi in macchina, la tensione nell’aria era palpabile. Volevo chiedere a mamma cosa fosse successo a Shannon e dov’era, ma non lo feci. Probabilmente nemmeno lei avrebbe risposto. Il silenzio si stava facendo imbarazzante, guardai fuori dal finestrino per distrarmi e le insegne familiari dei negozi e dei pub mi ricordarono che ero davvero tornata, che ero a casa.
“Vi dispiace se facciamo una deviazione in ospedale?”
Mamma interruppe il silenzio ed io la guardai subito.
“Ospedale? E’ lì che è Shannon? E’ davvero qualcosa di così grave?” guardai Jared, quasi sconvolta “dovevi dirmelo!”
Le parole mi sfuggirono di bocca, senza che io riuscissi a controllarle, mentre il senso d’ansia che avevo si espandeva sempre di più.
Lui sospirò e mamma continuò a guardare la strada.
“Claire..ho chiesto io a Jared di non dirti nulla, non volevo farti preoccupare troppo, ero già contraria al fatto che lui venisse lì, ma fermarlo è stato impossibile.”
“Ma io sono già preoccupata!” Sbottai, alzando la voce. Ero incredula, una cosa del genere avrebbero dovuto dirmela subito “ma cos’ha? Cosa gli è successo?”
“Adesso lo vedrai, con i tuoi occhi.”
Accostammo di fronte all’ospedale, dopo pochi minuti, ed io scesi di corsa, precipitandomi dentro. Jared mi corse dietro e mi fermò per un braccio.
“Aspetta, il numero della camera è 253, ma vai piano..lo dico per te.”
Annuii e mi feci forza, prendendogli la mano, camminando verso la stanza e cercandola con gli occhi.
Quando lessi ‘253’ l’aprii lentamente, sentendo il cuore in gola.
Jared entrò per primo ed io lo seguii subito dopo, troppo impaziente per aspettare ancora.
Appena lo vidi, mi si fermò il cuore.
Shannon era disteso ad occhi chiusi sul lettino, con una flebo nel braccio sinistro ed una mascherina d’ossigeno sul naso e sulla bocca. Era pallido, sembrava stesse dormendo.
Sentii mancarmi le forze e mi poggiai a Jared, per sorreggermi.
“Cosa gli è successo?”
Sussurrai, cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime.
“E’ in coma, da tre mesi ormai.”
Rispose la voce di mia madre, alle mie spalle.
“I-in coma?” avevo gli occhi fissi su di lui, ero sconvolta, preoccupata e confusa “come è successo?”
“Non lo sappiamo con sicurezza, non ha avuto un incidente, ma..” Mamma si bloccò e fece un sospiro.
“Ma dalle analisi, risulta che facesse uso di droghe. Pensano che sia andato in overdose.” Continuò Jared, come se ne fosse sicuro.
A quel punto non ci vidi più, mi sedetti su una sedia e fissai il vuoto.
Questo spiegava tutto, soprattutto il suo comportamento. Ma in quel momento non m’importava di come mi aveva trattata, volevo solo che stesse bene. Volevo che si svegliasse.
Mi alzai lentamente, dopo qualche minuto, e mi avvicinai a Shannon. Gli presi delicatamente una mano, era fredda, ma in qualche modo, mi trasmetteva un calore familiare.
“Devi svegliarti, ok?” sussurrai, anche se non mi avrebbe sentita “io sono qui, sono tornata. Ti prometto che non me ne andrò più.”
Sentii mamma e Jared che mi abbracciavano da dietro e mi poggiai a loro, tenendo stretta tra le mie la mano di mio fratello. 


Questo capitolo ha ucciso anche me, quindi capisco tutti quelli che mi staranno maledicendo, mentre consumano pacchi interi di fazzoletti. Ringrazio tantissimo chi ancora segue la storia, mi date la carica per continuare a scrivere. Grazie, davvero. E vorrei fare una piccola precisazione, dato che mi è arrivata una recensione che mi ci ha fatto pensare. Questa storia è ambientata negli anni '80/'90, per renderla ancora più reale, scusate per non averlo specificato prima. Al prossimo capitolo! c:
                                                                      Martina.

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Capitolo 11
*** Your eyes are swallowing me. ***


POV Claire.
“Claire? Claire?”
Sentivo chiamare il mio nome ripetutamente, ma pensavo di star sognando, dato che la voce mi sembrava lontana e confusa.
“Claire, svegliati.”
Questa si fece più nitida, finché non mi sembrò completamente reale.
Strizzai le palpebre, per poi aprire gli occhi e vedere mia madre, china su di me, che mi guardava con un lieve sorriso.
“Buongiorno, tesoro. Ieri ti sei addormentata qui, non volevo disturbarti.”
Feci una faccia confusa e mi misi dritta, realizzando dove fossi, dopo alcuni istanti. Ero seduta accanto al lettino, su cui era disteso Shannon. Mi faceva male il collo e mi ci volle un po’, prima di riprendermi. I ricordi della sera prima mi tornarono in mente. Gli avevo raccontato una storia, che avevo letto in un libro di fiabe, tempo prima. Parlava di un elfo che, dopo aver mangiato delle bacche selvatiche, si era addormentato per lunghissimi anni, ma alla fine una fata lo aveva trovato ed era riuscita a guarirlo e a farlo risvegliare. In qualche modo, quella storia mi ricordava proprio lui. Ero sicura che si fosse solo addormentato e che si sarebbe svegliato presto, come se tutto fosse stato solo un brutto sogno. Ma io ero tornata già da tre settimane e non c’erano stati segni, né buoni né cattivi.
“Io sto andando a lavoro. Mi raccomando, se dovessero esserci miglioramenti, notizie, qualsiasi cosa devi..”
“Sì, mamma, ti chiamerò.”
Le feci un lieve sorriso assonnato, che lei ricambiò, per poi uscire dalla stanza.
Io e Jared, a volte marinavamo la scuola, soltanto per rimanere con Shannon e, se mamma non ce lo permetteva, al ritorno correvamo subito da lui e gli raccontavamo le nostre giornate, sperando che, sentendo le nostre voci, si sarebbe svegliato al più presto. Lo speravamo tutti e tre, era il nostro unico desiderio.
Lo guardai, era pallido. Aveva delle occhiaie pazzesche e stava dimagrendo molto. Ero davvero preoccupata, pensavo a come avrei fatto, se non si fosse svegliato. A come avremmo fatto tutti, senza di lui. Gli presi una mano e ne baciai il dorso delicatamente.
“Ma che dico..tu ce la farai sicuramente. Sei forte, Shan, lo sei sempre stato.”
In quel momento, Jared entrò nella stanza con un lieve sorriso, sedendosi accanto a me.
“Ehi, allora? Ancora niente?”
Scossi il capo, tenendo la mano fredda di Shannon.
“Ancora no..ma prima o poi si sveglierà, Jay. Dobbiamo solo avere pazienza.”
Cercai di tranquillizzarlo, ma era difficile e lo capivo. Lui aveva aspettato da solo, spesso senza mamma, per tutto quel tempo.
“Sono mesi che aspetto, ma ancora non è successo nulla. Se permetti ci ho un po’ perso le speranze ormai.”
Sospirò e si poggiò allo schienale della sedia, con aria nervosa.
“Claire, noi dobbiamo parlare di una cosa importante, che non ti ho detto fino ad ora, ma credo sia arrivato il momento.”
Lo guardai annuendo e mi alzai dalla sedia.
“Bene, sospettavo ci fosse qualcosa. Andiamo fuori.”
 
Respirai a pieni polmoni l’aria, fuori dall’ospedale. Mi sentivo più libera, dopo essere stata ore dentro quella stanzetta troppo piccola e chiusa. Stare di nuovo all’aria aperta per un po’ mi avrebbe fatto bene.
Iniziai a camminare verso il parchetto lì vicino.
“Forza, allora, dimmi tutto.”
Jared guardava davanti a se, con le mani in tasca e il cappuccio della felpa alzato.
“Non voglio farti sentire in colpa e non devi assolutamente pensare che sia per te, ma vorrei solo raccontarti delle cose che sono successe mentre eri via.”
Annuii, spostando lo sguardo davanti a me.
“In realtà sono parecchi giorni che volevo chiedertelo, ma ultimamente sembra che non vogliate dirmi nulla.”
“E adesso, invece, credo che tu debba sapere.”
Si fermò, sedendosi su una panchina, ed io feci lo stesso.
“Vedi, Claire, quando te ne sei andata, mamma ha sofferto molto e questo puoi immaginarlo. Non ha mangiato per settimane, spesso piangeva durante la notte e non dormiva. Ma lei non è stata l’unica a star male..”
Annuii e continuai ad ascoltare, anche se faceva male sentire quelle cose.
“Non so se sia per questo motivo, ma credo di sapere perché Shannon ha iniziato a drogarsi.”
Sentii una stretta al cuore e lo guardai sconvolta.
“Jared, pensi davvero che lo abbia fatto perché sono andata via?”
“Non ne sono sicuro, ma credo che sia una delle cause..”
La sua voce era incerta, ma mi sembrava abbastanza convinto.
“Ti rendi conto che è assurdo? E come lo spieghi il suo comportamento, prima che me ne andassi? Era comunque strano.”
“Era solo un’ipotesi, ma lasciami finire.”
Mi zittii e incrociai le braccia, sospirando.
“Ho detto che lo penso, non che sia davvero così. Devi capire anche me, ho visto mio fratello rovinarsi. A volte non tornava a casa, se lo faceva era sempre di mattina presto e spesso lo trovavo con un labbro spaccato o un occhio nero. Mamma non sapeva cosa fare e nemmeno io, lui non voleva parlare con nessuno e, in quei giorni, noi non avevamo la forza per insistere. Se solo ci fossi stata tu..”
La sua voce si ridusse ad un sussurro, mentre diceva l’ultima frase.
“Non credo avrei potuto fare molto, Jared. Ma perché non mi hai scritto? Perché non mi hai chiamato?”
“Anch’io non stavo bene, mettiti nei miei panni. Mi sentivo abbandonato, non te lo nascondo. Io e te siamo sempre stati vicini, ci siamo sempre sostenuti e, quando sei partita, mi sono sentito vulnerabile e debole. Non avevo la forza per chiamarti, probabilmente sentire la tua voce mi avrebbe ricordato che eri lontana ed irraggiungibile.”
Sospirai e gli presi una mano delicatamente.
“Non pensare che io non sia stata male..pensavo che ce l’aveste tutti con me. Ma adesso sono qui, giusto? E sappi che non partirò mai più. Quasi un giorno di volo è insopportabile.”
Fece un sorriso e annuì, stringendomi la mano.
“Lo so, lo so. Adesso andiamo, voglio controllare come sta Shannon.”
Tornammo dentro l’ospedale, Jared camminava davanti a me.
Appena entrammo nella stanza, mi immobilizzai incredula.
Due occhi verdi e spenti, contornati da ombre viola, mi guardavano confusi e, una voce debole e familiare, disse queste parole:
“Perché sono in ospedale? E lei che cosa ci fa qui?”


Saaalve a tutti! Mi scuso, come al solito, per il tremendo ritardo, ma non avevo proprio ispirazione e questo, purtroppo, è un periodo abbastanza brutto per me. Sì, riverso tutta la tristezza sui capitoli della storia. PUAH. No, a parte gli scherzi..lo Shanimal si è deciso a svegliarsi, finalmente, ma i guai non finiscono qui. Direi che sono appena iniziati.. *ora mi uccidono* Bene, mi dileguo. Se volete lasciare una piccola recensione, mi farebbe davvero piacere. Bye c':
                                                                                                              Martina.

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Capitolo 12
*** Love ruined me. ***


POV Claire.
I miei occhi erano ancora fissi su mio fratello, che ci guardava con aria stanca e confusa.
“Allora? Vi ho fatto due domande. Perché sono in ospedale e cosa ci fa lei qui.”
Jared, che fino a quel momento era rimasto fermo ed in silenzio, fece un passo in avanti, assumendo un’espressione dura sul volto.
“Possibile che non ricordi nulla? Proprio niente?”
“Qualcosa ricordo, ma è molto confuso. Sembra che sia successo mille anni fa.”
Scosse la testa, come per scacciare via un pensiero, e Jared strinse i pugni.
“Sei andato in coma per overdose. Dio..vorrei uccidere te e i tuoi ‘amici’, se possono definirsi tali. Potevi morire!”
L’espressione di Shannon cambiò. Si fece serio, per poi abbassare lo sguardo e sussurrare.
“Forse sarebbe stato meglio..”
A quel punto Jared sbottò e batté una mano sul muro, con forza, puntandogli un dito contro e alzando di parecchio la voce.
“Ma ti rendi conto di quello che dici? Io spero che tu stia scherzando, perché non hai la minima idea di quello che abbiamo passato per te, non lo sai!”
Shannon sobbalzò, tenendo lo sguardo basso.
Io sono sapevo cosa fare o dire, me ne stavo zitta, come paralizzata, guardando di sottecchi la scena, non avendo il coraggio di reagire. Avrei voluto chiamare mamma per dirle tutto, arrabbiarmi con Shannon perché ci aveva fatti preoccupare, chiedergli tante cose, ma ero sconvolta, anche per il fatto che Jared si era infuriato così tanto. Non lo avevo mai visto così e, soprattutto, non lo avevo mai sentito urlare in quel modo verso qualcuno.
“Non sai quanto abbiamo sofferto, quanto mamma ha sofferto. Per te è stato tutto facile, no? Tanto tu eri in coma, non capivi niente, invece eravamo noi a dover sopportare tutto questo! Non te ne è mai fregato nulla, sei un egoista!”
Jared era diventato rosso di rabbia, gli si erano gonfiate le vene del collo, avevo l’impressione che stesse per esplodere. Shannon, invece, tremava. Era come impaurito, sembrava così fragile.
“Basta.”
Dissi con voce ferma, facendomi coraggio, e mi avvicinai a Shannon, mettendomi tra loro. Quella situazione mi stava facendo paura.
“Basta, Jared, stai esagerando. E’ vero che noi abbiamo sofferto, ma non deve essere stato piacevole rimanere in coma per mesi. E Shannon non voleva farsi del male..”
“Oh, invece sì” disse lui, alle mie spalle.
Mi voltai, sorpresa e confusa.
“Hai voluto farti del male?”
Lui sospirò e annuì.
“Ho iniziato a drogarmi anche per questo, perché mi disprezzo e volevo iniettarmi quella roba, sperando di danneggiarmi. E ci sono riuscito.”
La mia voce si fece un sussurro, mentre lo guardavo sconvolta.
“Che stai dicendo? Non puoi aver fatto qualcosa di simile..”
“Invece l’ho fatto. E, in parte, è anche a causa tua, Claire.”
Per la prima volta, da quando ero entrata in quella stanza, Shannon mi stava guardando negli occhi e aveva detto il mio nome. Sentii un brivido salirmi lungo la schiena. Ero sconvolta e mi sentivo anche un po’ in colpa. Erano stati male per me, ero stata io a causare tutto. Sentii gli occhi inumidirsi e cercai di ricacciare indietro le lacrime.
“Perché me ne sono andata..non è vero?”
“No, non è il motivo principale.”
Lo guardai confusa e, improvvisamente, Jared alzò la voce, intervenendo.
“Non voglio più sentire queste storie! Tu sei solo un ingrato, che ha voluto rovinarsi la vita.”
Non ci diede il tempo di rispondere, che era già uscito dalla stanza.
Sospirai e mi sedetti accanto a Shannon, che mi guardava sofferente.
“Voglio spiegarti tutto, adesso non posso più aspettare, devo dirti la verità. Mi ascolterai?”
Annuii e lo guardai, un po’ curiosa e un po’ incerta, quando iniziò a parlare.
“Vedi, io so che non sei davvero mia sorella da quando avevo dodici anni. Lo scoprii quando sentii mamma parlare al telefono con Mary, discutevano su quando avrebbe dovuto dirti la verità. Le chiesi spiegazioni e lei confessò. Da allora tutto è cambiato, ho iniziato a vederti sotto altri aspetti, ma facevo di tutto per non farlo notare a nessuno. Infatti ho sempre scherzato con te, ti prendevo in giro, facevo tutto quello che dovrebbe fare un fratello, ma non mi sono mai avvicinato più di tanto a te e c’è un motivo.”
Si fermò e deglutì, abbassando lo sguardo, per poi continuare. Io avevo il cuore che batteva a mille, mi stavo agitando.
“La verità è che sono innamorato di te, da due anni, credo. E mi sento così patetico..”
A quelle parole sentii il sangue defluirmi dal volto e tutto il mio corpo si immobilizzò.
Non era possibile. Avevo pensato a mille motivazioni, ma quella non mi era mai passata per la mente, mi sembrava così assurda ed improbabile. Avrei voluto fare o dire tante cose, in quel momento, ma ero come paralizzata e non riuscivo a muovermi o a parlare. Era come se il mondo intero mi fosse estraneo, tanto da perdere il contatto con la realtà.
Lui mi guardava dispiaciuto, quasi mortificato.
“Scusami, non volevo sconvolgerti” sospirò “ma era giusto che sapessi.”
Deglutii, cercando di mandare giù il groppo che avevo in gola, e schiusi le labbra per rispondere, ma non uscì alcun suono. Mi sentivo la testa vuota, ma pesante e mi sedetti, cercando di riprendermi.
“Perché?” dissi, finalmente “perché non me lo hai detto prima?”
“Cosa sarebbe cambiato? Non volevo che il nostro rapporto cambiasse, ma ormai è tutto rovinato ed è colpa mia. Solo colpa mia.”
Lo guardai, studiando il suo viso magro. La fronte aggrottata, gli occhi verdi, che sembravano spenti, la bocca curvata in una lieve smorfia.
Avrei voluto abbracciarlo e dirgli che mi dispiaceva di non poter ricambiare i suoi sentimenti, ma sarebbe stato inutile.
“So che non provi lo stesso per me” disse, come se mi avesse letto nel pensiero “ed è giusto così, non dire niente.”
Mi vennero gli occhi lucidi e abbassai lo sguardo.
“Mi dispiace, credimi..ma per me sei come un fratello, anche se non lo siamo realmente.”
Lo sentii sospirare, ma non disse niente. Neanche io sapevo cosa dire, tutte le parole del mondo mi sembravano inutili. Mi sentivo tremendamente in colpa, stavo facendo soffrire mio fratello, una delle persone a cui tenevo di più. Ma cosa avrei potuto fare? Mentire e dirgli che anch’io ero innamorata di lui? Non sarebbe stato giusto, nei suoi confronti. Tutte quelle cose che stavano succedendo, tutte quelle confessioni, mi creavano uno stato di ansia terribile, a cui non sapevo reagire.
“Un’ultima cosa..” disse, incerto “non dirlo a mamma o a Jared.”
Scossi lievemente la testa, come per dargli un segno di assenso.
“Stai tranquillo. Il tuo segreto è al sicuro con me.”
Si sforzò di sorridermi e, in quel momento, mamma fece capolino nella stanza.
“Shannon! Oh, finalmente!”
Lo abbracciò, con le lacrime agli occhi, facendolo sentire un po’ a disagio.
“Piano, mamma.”
Farfugliò, mentre ricambiava l’abbraccio.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, la vidi sorridere davvero. Questo mi diede un po’ di gioia, nonostante tutti i problemi, e mi resi conto che avere una famiglia unita e vera, è la cura contro ogni male del mondo.


Okaaay, lo so, forse l'ultima frase è un po' troppo sdolcinata, ma ci stava. E Shannon (finalmente, direi) si è dichiarato. Dite la verità..avevate capito che c'era qualcosa di simile sotto? Spero di no ewe 
Comunque, ringrazio tantissimo chi recensisce ogni volta, mi fate così felice. Ahw.
Alla prossima, echelon e non c:
                                                                     Martina.

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Capitolo 13
*** I've got a war in my mind. ***


POV Claire.
Camminavo per le viottole del parco principale di Bossier City, la cittadina dove abitavo da anni. Gli alberi erano ricoperti di foglie arancioni e gialle, a tratti marroni, segno che l’autunno era iniziato da un pezzo. Sembrava che un pittore fosse passato di lì e avesse ricoperto di tempera colorata le foglie verdi dell’estate, portando con sé un vento freddo che mi faceva rabbrividire. Mi strinsi nel cappotto, mettendo le mani in tasca per scaldarle. Adoravo quel paesaggio. Se avessi saputo disegnare, probabilmente avrei passato giornate intere tra colori a tempera, blocchi da disegno e matite, ma purtroppo ero proprio negata.
Era passato un mese, da quando Shannon si era svegliato dal coma. Dopo due settimane era uscito dall’ospedale ed era tornato a casa, ma doveva fare dei controlli ogni tre giorni. Ed era passato un mese anche da quanto mi aveva fatto quella confessione. Ci avevo pensato ogni giorno, ma ancora non riuscivo a trovare una risposta adatta da dargli, ma, per fortuna, lui non mi aveva chiesto nulla. Tra noi, però, c’era molto imbarazzo. Spesso, quando ci incontravamo per casa, lui abbassava lo sguardo e andava via di fretta. Credo stesse cercando di evitarmi ed era normale, ma era incredibile come il suo atteggiamento fosse cambiato, in poco più di un anno. Prima rideva e scherzava tranquillamente, poi era passato all’evitarmi e adesso era diventato chiuso e timido. Non sapevo quale fosse davvero il suo carattere, a volte pensavo di non conoscere affatto il vero Shannon o, forse, era lui che non voleva mostrarsi completamente.


Percorsi la via di casa ed aprii la porta, entrando. La prima cosa che sentii fu il suono della batteria di Shannon, al piano di sopra. Da quando mamma gliel’aveva regalata, due settimane prima, non faceva altro che suonare. Era stato una sorta di regalo di bentornato, averne una era sempre stato il suo sogno, fin da piccolo. Già a cinque anni batteva qualsiasi cosa che potesse fargli da bacchette su pentole, tavoli o per terra e mamma si infuriava, per il casino che faceva. Ma questo me lo avevano solo raccontato, io ancora non ero entrata a far parte della famiglia, quando succedeva.
Salii le scale e bussai esitante alla porta della camera di Shannon. Appena mi diede il permesso, entrai.
“Ehi..ti disturbo?”
Appena mi vide si accigliò e posò le bacchette, smettendo di suonare.
“N-no, figurati, non disturbi.”
Sembrava poco convinto, ma non ci feci molto caso e andai verso di lui.
“Mi fai sentire qualcosa?”
Sorrisi lievemente, cercando di sembrare più naturale e spontanea possibile. In realtà mi sentivo a disagio.
“Certo” disse, impacciato, e prese le bacchette concentrandosi, per poi batterle sui tamburi.
Vederlo suonare mi faceva sentire viva. Adoravo come le sue braccia si muovevano, colpendo con forza, ma delicatamente nello stesso tempo, i piatti della batteria, come la sua bocca si torceva in smorfie di concentrazione, come batteva il piede per tenere il tempo. Il mio cuore, in quel momento, andava allo stesso ritmo della musica che stava suonando. Sembrava che il mio battito cardiaco e il suono della batteria fossero diventati uniti, come, in fondo, avrei voluto essere io con Shannon.
Scossi la testa, appena quei pensieri mi pervasero la mente. Dopo la sua confessione, avevo pensato così tante volte a noi due, che ormai mi sembrava quasi naturale, ma il fatto che eravamo cresciuti insieme mi tormentava, tanto da farmi sembrare tutto sbagliato. Nemmeno io sapevo cosa volevo, ero davvero troppo confusa.
Appena smise di suonare, Shannon mi guardò incerto, come se avesse paura di parlarmi.
“Ecco..che te ne pare?”
“Sei bravissimo, davvero.”
Gli sorrisi lievemente, cercando di fargli capire che non ce l’avevo con lui e che poteva parlarmi tranquillamente. Non avevo il coraggio di dirglielo direttamente.
“Senti, a proposito di quella storia..”
Sentii il cuore fermarsi, per un attimo e deglutii.
“S-sì?”
“Beh, dimenticatene. In fondo è stata solo una stupidaggine, mi ero appena svegliato ed ero confuso, non sapevo quel che dicevo.”
‘E perché ti comporti così?’ pensai tra me e me.
Avrei voluto dirglielo, ma, l’unica cosa che feci, fu annuire.
“Tranquillo, me ne ero già dimenticata, comunque. Adesso..vado in camera. Ci vediamo dopo.”
Uscii dalla sua stanza ed entrai nella mia, chiudendomi la porta alle spalle.
Mi sentivo uno strano peso nel petto e una morsa allo stomaco, che mi faceva venire la nausea. Cosa mi stava succedendo? Ero confusa e stravolta, non capivo perché mi avesse detto quelle cose. Aveva mentito fin dall’inizio oppure lo aveva detto solo per non farmelo pesare più di tanto? Non avrei avuto il coraggio di chiederglielo, ormai credevo che quel discorso lo avesse chiuso proprio lui, che lo aveva iniziato.
“Claire?”
Sentii bussare alla porta e sobbalzai, riconoscendo la voce di Jared. A lui non avevo detto cosa era successo con Shannon, anche perché gli avevo promesso di tenere la bocca chiusa. Ma in quel momento aveva importanza? E se fosse stata tutta una bugia?
“Claire, sei lì?”
“Sì, Jay, entra.”
Mi scostai dalla porta e lui fece capolino, entrando.
“Sono tornato ora dal corso di chitarra, mi fanno male le mani. Tu che hai fatto, invece?”
Fece una smorfia, facendo apri e chiudi con una mano, mentre si sedeva per terra. Jared, in quelle settimane, aveva iniziato un corso di chitarra, che lo teneva impegnato due ore a settimana. Tutti loro avevano trovato qualcosa da fare, una passione da coltivare. Io ero l’unica che se ne stava praticamente tutto il giorno senza fare nulla. Loro amavano fare musica, io amavo ascoltarla.
“Mah, nulla, una passeggiata nel parco.”
“Mhh, Claire, Claire..tu mi nascondi qualcosa. Sei troppo strana, in questi giorni. Stai sempre con la testa tra le nuvole, pensi troppo. Non è che ti sei innamorata?”
Mi guardò, con aria sospettosa, ed io arricciai il naso.
“Innamorata? Ma che dici..quello è l’ultimo dei miei pensieri adesso.”
“Mh..tu ne sei proprio sicura?”
Annuii, cercando di essere convincente. Dentro di me non sapevo quale fosse la verità, mi sentivo troppo strana e confusa per capire cosa provavo davvero.
Sentii bussare alla porta di nuovo. Pensai subito che, forse, mamma era tornata dal lavoro.
“Dai, mamma, entra!”
Risi piano e, quando vidi Shannon sulla soglia, diventai seria improvvisamente.
“Devo dirvi una cosa importante.”
Disse.
Jared fece una faccia confusa e annuii.
“Cosa, Shan?”
“Io..ho deciso. Voglio andare in Inghilterra per fare uno stage per batteristi.”
A quelle parole sbiancai, sentendo il mondo crollare, intorno a me.



EHEH, sono crudele, lo so. Ma la storia, altrimenti, sarebbe noiosa, quindi devo farlo e voi dovete anche sopportare un po' di sofferenza. Stavolta sono stata abbastanza puntuale, avevo taaanta fantasia per il capitolo e bene, gioite. Ringrazio davvero chi recensisce ogni volta e chi ancora segue la storia, spero non sia noiosa cwc anyway, al prossimo capitolo! 
                                                                                             Martina.

 

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Capitolo 14
*** When you can't sleep at night. ***


POV Claire.
Ero stesa sul letto, da ore ormai, e fissavo il soffitto al buio. L’unica cosa che emanava un minimo di luce era la sveglia sul comodino. Le diedi un’occhiata; era l’una di notte ed io ancora non riuscivo a prendere sonno. Nonostante mi sforzassi di chiuderle, le mie palpebre rimanevano aperte e mi impedivano di dormire. Avevo troppi pensieri che mi si affollavano nella testa e, a causarli, erano state le parole di Shannon:
Voglio andare in Inghilterra per fare uno stage per batteristi.’
Perché voleva andare così lontano? Per allontanarsi da me e dimenticarmi? Al solo pensiero sentivo una morsa al cuore. O forse per farmi provare quel che avevano passato loro, dopo che me ne ero andata io. Una specie di vendetta? Era possibile, ormai da lui mi aspettavo di tutto.
Subito dopo averci confessato di voler partire, quel pomeriggio stesso, ci aveva pregati di non dire ancora nulla a mamma. Per lei sarebbe stato un colpo saperlo e, probabilmente, non sarebbe stata d’accordo, anche se non poteva trattenere Shannon, dato che ormai era maggiorenne. Non sarebbe nemmeno stato giusto. Dopo un po’ mi ero anche messa ad origliare fuori dalla loro camera e lo avevo sentito dire a Jared che ci teneva davvero a quest’esperienza, che suonare la batteria era l’unica cosa che lo faceva sentire bene, che voleva proseguire per quella strada e che sapeva di star facendo la cosa giusta. Ero contenta per lui, perché aveva finalmente trovato una passione, ma una piccola parte di me mi diceva di fermarlo e di non lasciarlo andare. La verità era che la distanza ormai mi spaventava, dato che sapevo cosa voleva dire e avevo paura che non sarebbe più tornato da noi..anzi, da me.
Mi sedetti, sospirando e lottai contro la voglia di andare in camera sua e parlargli. Probabilmente stava dormendo e poi non volevo svegliare tutti, ma non ce la facevo più a tenermi tutto dentro. Ormai non riuscivo a vederlo neanche più come un fratello, non dopo la sua dichiarazione e non in quel momento. Non sapevo nemmeno se volevo che fosse solo quello, come era sempre stato.
Dopo aver riflettuto per altri minuti, maledii mentalmente quella situazione e mi alzai dal letto abbassando con incertezza la maniglia della porta, uscendo e cercando di non fare rumore. Era la cosa più folle che avessi mai fatto nella mia vita, ma poco me ne importava. Percorsi il corridoio in punta di piedi, poggiandomi al muro con una mano per orientarmi nel buio. Appena raggiunsi la porta della loro camera, mi ci intrufolai, il più silenziosamente possibile.
Jared dormiva a pancia in giù, raggomitolato nelle coperte e silenzioso come sempre. Shannon, invece, aveva una mano sulla pancia e l’altra sotto la testa, mentre russava piano e dormiva profondamente.
Mi avvicinai lentamente, inginocchiandomi davanti al suo letto. Sorrisi, vedendo che una ciocca di capelli, ormai troppo lunghi, gli cadeva davanti agli occhi. Gliela scostai piano, facendo attenzione a non svegliarlo. Lo avevo visto dormire per mesi, quando era in coma, ma adesso era tutta un’altra situazione. Sembrava così innocente. Improvvisamente mi dimenticai del perché ero lì, del fatto che ero arrabbiata, dell’idea che volesse andare via. C’eravamo solo io e lui. I miei occhi che guardavano il suo viso rilassato, la mia mano che gli sfiorava i capelli..
“Claire? Ma che cazzo stai facendo?”
Sentii una voce roca alle mie spalle e sobbalzai, girandomi di scatto.
Jared mi stava guardando assonnato e confuso, con i capelli scompigliati.
“I-io..niente.” Balbettai, sottovoce e mi allontanai immediatamente da Shannon.
Mi sentivo le guance in fiamme, dovevo essere arrossita.
Quella era la situazione che avrei voluto evitare a tutti i costi.
 
La luce abbagliante del salone mi ferì gli occhi, mentre Jared l’accendeva e si sedeva sul divano.
“Mi spieghi cosa diavolo ci facevi in camera nostra, inginocchiata accanto al letto di Shannon, con la mano sui suoi capelli..non negare, ti ho vista benissimo.”
Feci una smorfia e abbassai lo sguardo. Non sapevo che scusa inventarmi.
“E’ una lunga storia.”
Cercai di evadere il più facilmente possibile, da quella situazione.
“Oh no, sorellina, non la scamperai così facilmente. E poi abbiamo tutto il tempo, ormai non ho più sonno.”
Si sedette davanti a me, guardandomi e aspettando che parlassi.
Lo fissai in silenzio, per qualche minuto, e scossi poi la testa.
“Non posso dirtelo.”
Sbuffò, roteando gli occhi.
“Cosa significa che non puoi? Hai fatto qualche scommessa con il diavolo?”
“Ma cosa..no! Te l’ho detto, è una lunga storia.”
“Claire, se non me la racconti, dico a Shannon che eri lì. E lui non deve saperlo, vero?”
Mi guardò con un sorrisino innocente. Odiavo quando faceva così.
Sapevo di aver promesso a Shannon di non dire nulla, ma di fronte a quel ricatto, non potevo farne a meno. Non potevo permettere che scoprisse tutto.
Sospirai, rassegnata, e annuii.
“E va bene, hai vinto. Quando si è svegliato dal coma, Shannon mi ha confessato..di essere innamorato di me” deglutii e abbassai lo sguardo, per non guardare l’espressione sconvolta di Jared “e, se ci hai fatto caso, da quel momento mi evita, perché gli ho detto di non poter ricambiare i suoi sentimenti. Ma in questi giorni mi sento strana, Jay..penso sempre a lui e non vorrei che io mi sia fatta condizionare da questa sua confessione. E quando ci ha detto di voler partire, mi è caduto il mondo addosso, forse perché sono sua sorella alla fine e gli voglio bene, ma non lo considero un fratello e..”
“Ehi, ehi, piano..”
Mi interruppe ed io sospirai, alzando lo sguardo.
“Io credo che tu sia molto confusa. Forse questa lontananza, potrebbe farvi bene, soprattutto a te, per capire cosa provi davvero. E, sinceramente, non me lo aspettavo che Shannon potesse essere innamorato di te..nonostante io sia suo fratello.”
Jared aveva ragione. La lontananza ci avrebbe fatto bene, non vederlo mi avrebbe aiutato a capire, anche se avrei sofferto.
“Già..e chi se lo aspettava.”
Dissi, con un filo di voce, più a me stessa che a lui.
 
La mattina dopo, mi svegliai a mezzogiorno. Quando mi alzai, dato il silenzio che regnava in casa, pensai di essere sola. Mi guardai allo specchio; avevo un aspetto orribile. Le occhiaie erano evidenti e i capelli tutti scompigliati. Avevo bisogno di una doccia, per riprendermi. Presi l’asciugamano dall’armadio ed entrai in bagno, ancora assonnata, quando sentii una voce urlare.
“Diavolo, Claire! Ma non si bussa?”
Alzai lo sguardo e trovai Shannon nella doccia, che cercava di coprirsi in tutti i modi. Sbarrai gli occhi, incapace di reagire, e arrossii violentemente.
“Scusami, scusami!”
Uscii immediatamente e mi poggiai alla porta del bagno. Fortunatamente non avevo visto quasi nulla, ma non era possibile che continuassi a trovarmelo davanti e in quel modo poi. Scacciai via tutte le fantasie nella mia mente e corsi in camera. Se prima c’era imbarazzo, adesso, probabilmente, non saremmo più riusciti a guardarci negli occhi. Insomma, non vedevo Shannon nudo da quando avevamo quattro anni. Sorrisi tra me e me, per quella strana situazione. Anche queste piccole cose mi sarebbero mancate, quando sarebbe andato via e mi chiesi quanto tempo sarei riuscita a stare senza di lui.



Okaaay, ho cercato di rendere più "comico" questo capitolo, sennò sempre depressione, poi vi stancate anche di leggere la storia. Ditelo che anche voi vorreste trovare uno Shannon nudo nel bagno, eh? Eheh, chi non lo vorrebbe. Bene, basta porcherie. Grazie ancora a chi legge la storia, fatemi sapere se vi sta piacendo c: a presto!
                                                       Martina.

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Capitolo 15
*** Hold me close, don't let go. ***


POV Claire.
Quel pomeriggio, quando tornai a casa, trovai Jared ad aspettarmi. Quel giorno non era venuto a scuola, aveva detto di avere una cosa importante da fare, ma non aveva voluto dirmi cosa fosse. Appena entrai in salone, balzò in piedi sorridendo e mi venne incontro.
“Claire, ho una cosa da proporti, ma voglio aspettare anche mamma e Shannon, almeno la dico a tutti e tre.”
Sorrise entusiasta ed io feci una faccia confusa e curiosa, sedendomi sul divano.
“E’ questo che dovevi fare oggi?”
“Beh sì, ho organizzato tutto.”
Sembrava davvero contento e questo non faceva altro che aumentare la mia curiosità.
“Oh, ti ho preparato anche il pranzo” mi porse un sacchetto con dentro un sandwich al prosciutto “scusa, ma non so cucinare.”
Fece una smorfia ed io sorrisi, iniziando a mangiare quel che mi aveva dato.
“Non preoccuparti, va bene. In realtà non ho molta fame.”
“Come mai?”
Si sedette accanto a me, facendosi un po’ preoccupato.
“Non so, forse i pensieri..”
Farfugliai, con la bocca piena.
In quel momento la porta dell’ingresso si aprì e Shannon entrò in casa. Era bellissimo; aveva alcune gocce di pioggia nei capelli, il giacchetto di pelle nera aperto sulla maglietta grigia, i jeans strappati sul ginocchio e gli anfibi neri slacciati. E poi quegli occhi profondi, quasi grigi e marroni per la pioggia, sembravano scavarti dentro, nel profondo, mettendoti completamente a nudo. Avvampai, sentendomi improvvisamente imbarazzata, e mi sbrigai a finire il panino.
“Sta piovendo tantissimo, nemmeno avevo l’ombrello” fece una smorfia di disappunto “vado a mettermi dei vestiti asciutti.”
Detto questo salì le scale e Jared sbuffò.
“Speriamo che domani faccia bel tempo allora, altrimenti non possiamo fare nulla.”
“Mi dici cosa? Mi stai facendo incuriosire.”
Chiesi, sempre più impaziente, ma lui scosse il capo.
“Tieniti la tua curiosità, non lo dirò prima dell’arrivo di mamma.”
Appena finì di dirlo, la porta d’ingresso si aprì nuovamente e mamma fece capolino nella stanza, sorridendo.
“Eccomi qui.”
“Oh, ora ci siamo tutti e posso dirvelo!”
Balzò in piedi e sorrise come un bambino, mettendosi davanti a noi. Shannon scese subito dopo e si poggiò al divano.
“Cos’è tutto questo entusiasmo, bro?”
“Allora. Dato che mancano solo tre giorni alla partenza di Shannon, avevo pensato che potevamo andare tutti insieme al parco divertimenti che hanno aperto da poco.” Si mise una mano in tasca e tirò fuori quattro biglietti, mostrandoceli. “Li ho avuti gratis da un mio conoscente. Ditemi se vi va.”
Mamma sorrise subito entusiasta.
“Mi sembra una bell’idea, bravo Jared. Tu che ne pensi, Shan?”
Shannon annuì, ma sembrava assente.
“Sarebbe carino.”
Lo guardai di sottecchi. A che stava pensando? Forse non vedeva l’ora di partire o l’idea di dover stare con me tutto il giorno non lo faceva felice più di tanto. Volevo solo capire perché lo infastidivo così tanto, dato che mi aveva detto di aver scherzato solamente, quindi non provava nulla per me. Era tutta una bugia? Non sapevo più a quale Shannon credere, a quello che scherzava sempre o a quello di adesso, freddo e schivo. Ma ormai non riconoscevo nemmeno più me stessa.
“Claire, tu che ne pensi? E’ una bell’idea, no?”
Mi chiese Jared, sorridendo.
Spostai lo sguardo su di lui e mi strinsi nelle spalle.
“Sì..è fantastica, Jared.”
Risposi, dopo un po’, senza troppo entusiasmo.
 
L’entrata del parco era stracolma di gente, dato che era Domenica. C’erano gruppi di ragazzi, famiglie con i bambini e coppiette. Noi eravamo in mezzo a tutta questa gente. Stavamo aspettando da mezz’ora e l’impazienza iniziava a farsi sentire. Jared sorrideva pimpante, mentre mamma si guardava intorno curiosa. Shannon era accanto a me, in silenzio. Lo guardai di sottecchi; avevo la stessa sensazione del giorno prima, come se sembrasse assente o lontano. Avrei voluto davvero sapere a cosa stava pensando.
“Finalmente, hanno aperto!”
Disse mamma, porgendo subito i biglietti all’uomo lì davanti.
Jared entrò per primo, seguito da tutti noi.
Il parco era nuovo ed enorme. Era pieno di giochi acquatici, montagne russe e trenini che portavano da una parte all’altra.
Mi precipitai immediatamente sotto le montagne russe.
“Proviamo queste!”
Jared rise raggiungendomi, seguito da Shannon, che mi guardò scettico.
“Claire, tu odi le montagne russe.”
“Ma non saranno così male, voglio solo divertirmi per oggi.”
Sorrisi e mi sedetti su un sedile. Jared si mise accanto a me, mamma e Shannon dietro.
Strinsi l’appoggio davanti a me, sentendomi agitata. Non ci ero mai salita, ma quel giorno volevo solo svagarmi e non pensare a nulla. Appena partì, sentii il vuoto sotto i piedi. Inizialmente stava andando piano, ma, all’improvviso, accelerò e fu come se mi avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Mi ressi più forte alla sbarra del sedile, ma il senso di vuoto e, nello stesso tempo, di oppressione non mi dava pace. Tutti urlavano, io chiusi gli occhi, avvertendo una morsa allo stomaco appena fece il primo giro, poi il secondo ed un altro ancora. A quel punto non sentii più nulla, mi abbandonai sul sedile, con la vertigini e i brividi in tutto il corpo, pregando che finisse presto.
 
“Claire, ehi?”
Sentivo schiaffeggiarmi il viso da una mano, ma mi sentivo debole, con le orecchie che fischiavano e un senso di nausea che mi pervadeva. Aprii gli occhi lentamente, trovando il viso di Shannon sopra di me. Aveva un’espressione preoccupata, che si tranquillizzò appena vide che avevo ripreso i sensi.
“Sono svenuta..vero?”
Sussurrai, stordita e mi misi una mano sulla fronte.
“Sì, sulle montagne russe.”
Si tirò su, sedendosi su una panchina dietro di me. Mi aiutò a mettermi vicino a lui, ma gli cadetti addosso di peso. Pensai che stesse per scansarmi, invece mi avvolse con le braccia.
“Ci hai fatti preoccupare, lo sai? Eri bianchissima.”
Sospirò, stringendomi forte a se.
Non m’importava nulla in quel momento, né di essere svenuta né del parco divertimenti. Volevo solo rimanere così, tra le sue braccia e poggiata al suo petto.
“Scusami.”
Sussurrai, nascondendo il viso tra la sua spalla ed il suo collo.
Lui non rispose, ma mi tirò di più contro di lui. Mi stringeva talmente forte che potevo sentire il battito del suo cuore. E rimanemmo così, stretti, finché Jared e mamma non arrivarono e lui mi prese in braccio, portandomi così fino a casa. Mi beai della sua stretta attorno a me, del calore che emanava e del suo profumo e mi addormentai, con un lieve sorriso sulle labbra.



Sì, stavolta ho voluto essere taaanto sdolcinata, perché ci vuole, dopo tutto quel che hanno passato. PERO' Shannon dovrà partire e ci sarà altro dolore. Lo so, sono crudele. Spero di aver reso bene l'idea con la descrizione dell'abbraccio di Shannon, perché l'ho provato proprio Sabato. E bene sì, ho abbracciato Shannon Leto ed è stata la cosa più bella della mia vita, già mi manca da morire cwc
Al prossimo capitolo e fatemi sapere cosa ne pensate della storia c:

                                                                                                                           Martina.

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Capitolo 16
*** We need to say goodbye. ***


POV Claire.
La prima cosa che avvertii quella mattina, quando mi svegliai, fu una morsa allo stomaco e un senso di tristezza che mi pervadeva completamente. Sapevo benissimo il motivo di quel malessere, ma non volevo ricordarlo nemmeno a me stessa. Ci avevo pensato così tanto nei giorni precedenti e, adesso che era arrivato il momento, mi sentivo più vuota e sola che mai. Quando scesi, per fare colazione, trovai già tutti vestiti, con le valigie di Shannon accanto alla porta. Appena mi videro, sui loro volti comparve uno sguardo colpevole. Li guardai incredula, capendo subito quali erano le loro intenzioni.
“Stavate andando all’aeroporto senza di me?”
Sbottai, aprendo le braccia di lato.
Shannon fece una smorfia, ma non rispose, mentre mamma veniva verso di me.
“Claire, volevamo farlo per te, già è difficile per noi..”
“E perché proprio per me? Dato che è difficile per tutti, allora potevate lasciare anche Jared a casa..”
“Sono stato io a volerlo.”
Mi interruppe Shannon, guardandomi serio, dritto negli occhi.
Non riuscivo a credere a quelle parole, non dopo quello che era successo nei giorni precedenti. Sembrava stesse andando tutto bene, si era dimostrato più dolce, soprattutto dopo quella volta al parco divertimenti e, invece, stava cambiando di nuovo atteggiamento. Non potevo più sopportare che si comportasse così con me, non lo meritavo.
Avanzai verso di lui a pugni stretti, con la rabbia che mi ribolliva dentro.
“Adesso mi sono stancata. Una volta per tutte, dimmi cosa diavolo ti ho fatto! Non ti riconosco più, sei cambiato troppo nei miei confronti e vorrei almeno sapere perché.”
Rimase impassibile, mentre sui volti di mamma e Jared compariva un’espressione stupita e confusa.
“Non devo spiegarti niente.”
Rispose distaccato e freddo, tanto da farmi salire un brivido lungo la schiena.
Fece per uscire, ma mi misi davanti alla porta, bloccandolo.
“No, non continuare a scappare. Ho tutto il diritto di sapere perché fai così con me. Dimmelo!”
Alzai la voce, sentendomi sempre più arrabbiata ed esausta di tutto, dei problemi e del suo comportamento. Lui continuava a non rispondere, sembrava fatto di ghiaccio in quel momento. Mamma si avvicinò, letteralmente sconvolta, e guardò Shannon.
“Cosa sta succedendo tra voi due?”
Dopo un attimo di silenzio, che sembrò infinito, Shannon distolse gli occhi da me e guardò lei, rispondendo in tono piatto.
“Niente, mamma. Assolutamente niente.”
A quel punto fu come se qualcosa, dentro di me, esplodesse. Non m’importava nulla se non l’avrei rivisto, tutto quel che volevo era che scomparisse. Corsi di sopra e sbattei la porta della mia camera, chiudendola. Mi inginocchiai davanti al letto ed iniziai a piangere. Piansi la partenza di Shannon. Piansi tutto quell’anno, che mi aveva portato solo problemi. Piansi per la rabbia, la frustrazione e la tristezza. Piansi dopo tanto tempo, finché non sentii più alcun rumore e non ebbi più lacrime da versare.
 
Il rumore della porta che si apriva, mi fece capire che qualcuno era rientrato in casa. Non sapevo quanto fosse passato, ma ero rimasta tutto il tempo rannicchiata per terra, con le lacrime che mi rigavano le guance. Avrei voluto salutare per bene Shannon, prima della sua partenza, ma non era stato possibile e mi sentivo come se avessi lasciato qualcosa in sospeso. Presi la collana dalla scrivania e me la rigirai tra le dita. Era una catenina d’argento con un ciondolo appeso, a forma di piccola batteria. L’avevo comprato pochi giorni prima in un negozio, mentre tornavo da scuola. Avevo subito pensando a Shannon, quando lo avevo visto esposto in vetrina e avrei voluto darglielo come portafortuna. Mille volte avevo immaginato la scena nella mia mente, di quanto glielo avrei dato. In quel momento, mi sembrava solo un’immagine lontana, distante e irraggiungibile. Come quella del suo viso. Fino a poche ore prima avevo desiderato che se ne andasse, invece adesso volevo soltanto che tornasse da me.
“Ehi, come stai?”
Jared si sedette accanto a me. Non mi ero nemmeno resa conto che fosse entrato in camera.
“Come vuoi che stia, Jay? Mi sento uno schifo per tutto.”
Annuì sospirando e mi poggiò una mano sulla spalla.
“Sembrava molto triste, comunque. Non credo volesse davvero andare via, alla fine. Sì, la musica è la sua passione, ma non dimenticarti che lui è innamorato di te, Claire.”
“Ma se ha detto che era tutto uno scherzo..io non ci credo. Non so più in cosa credere o sperare, tutto mi sembra così vuoto e senza senso.”
Sospirai affranta e Jared scosse la testa.
“E’ qui che ti sbagli, sai? Io l’ho capito. Lo conosco, è mio fratello e so che ha mentito. Ancora è innamorato di te e lo è sempre stato.”
A quelle parole, dentro me, si accese un barlume di speranza. Mi fidavo di Jared, sapevo che, se diceva una cosa, la pensava davvero. In quei giorni, grazie a quello che era successo, avevo avuto modo di riflettere e, finalmente, tutto era diventato chiaro. Avevo capito che senza di lui non ce l’avrei fatta, che mi sarebbe mancato più di prima e che non m’importava nulla se eravamo cresciuti insieme. Quel che provavo non potevo comandarlo.
“Anch’io ho capito una cosa importante..” dissi, abbassando lo sguardo sulla collana che ancora avevo in mano. “Sono innamorata di Shannon, Jay. E niente potrà cambiarlo.”
Mi sentii sollevata, come se mi avessero tolto un peso dal cuore.
Sentii Jared fare una lieve risatina, accanto a me.
“Avevo capito anche questo. Adesso l’unica cosa da fare è aspettare che torni, così potrai dirgli tutto.”
Ed era proprio questo il problema, il non sapere quando e se sarebbe tornato. Avrei fatto di tutto, lo sarei anche andato a prendere, se necessario.
“Già..dobbiamo solo aspettare.”


Eeeh, che rivelazione! A parte gli scherzi, era palese che ormai si amassero entrambi, lo so. Comunque, dato che ci sono, salto di gioia anche con voi per i Mars che hanno vinto la categoria degli EMA 'Best Alternative'. *feels like a proud mama* Okay, torniamo seri. Mi farebbe piacere se lasciaste qualche recensione, per farmi sapere se la storia continua a piacervi. Grazie a tutti!
                                                                                                                                               Martina.

 

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Capitolo 17
*** I don't mind anything. ***


POV Shannon.
Facevo avanti e indietro per il camerino, a causa del nervosismo che mi pervadeva completamente, dalle dita dei piedi alla punta dei capelli e mi impediva di stare fermo. Sentivo le esibizioni degli altri, nonostante avessi la porta chiusa, e questo non faceva altro che agitarmi di più. Strinsi le bacchette tra le mani, facendo un respiro profondo. Mi ero allenato per settimane per quel saggio e adesso non potevo assolutamente permettere che sbagliassi. Ci sarebbero stati dei giudici molto famosi e, se gli fossi piaciuto, mi avrebbero accettato in una scuola famosissima per batteristi. Era un’occasione che non potevo perdere, non mi si sarebbe più presentata una cosa simile. In quei mesi, non avevo fatto altro che suonare, comporre nuove cose e studiare gli spartiti. Sentivo che era quello lo scopo della mia vita, era la mia passione. Non avrei voluto fare nient’altro. Allenarmi così duramente, mi aveva aiutato a non pensare alla vita che mi ero lasciato alle spalle. Studiare non mi era servito a nulla, mia madre mi aveva solo costretto a farlo, la vedevo così. Ma ormai ero maggiorenne e nessuno avrebbe più potuto decidere per me.
Sentii bussare alla porta e sospirai, nervoso, dando il permesso di entrare.
Era Jane, una biondina che faceva parte dell’organizzazione.
“Shannon? Preparati, tra dieci minuti tocca a te.”
Mi sorrise lievemente, per poi andarsene.
Cercai di fare qualche respiro profondo, mentre mi sentivo ancora più ansioso. Avevo aspettato tanto e, a pochi minuti, ci sarebbe stata l’occasione che mi avrebbe permesso di diventare qualcuno.
Appena sentii chiamare il mio nome, guardai dritto di fronte a me, stringendo i pugni e camminando deciso verso il palco.
‘Sii coraggioso, Shannon, non puoi fallire proprio adesso.’
Mi incoraggiai mentalmente e sospirai, per poi salire sul palco e andare a sedermi dietro la batteria. Cercai di non fare caso a tutta la gente che mi guardava e mi concentrai, battendo il tempo con il piede. Iniziai a suonare energicamente, tenendo gli occhi fissi sulla batteria. Mi passarono per la mente mille cose, in quel momento. Io, a sei anni, che battevo due posate su dei piatti o per terra, fingendo di suonare davvero. Il primo giorno in cui mi ero trovato davanti una vera batteria. Mia madre, che me ne regalava una. Claire e Jared che mi sorridevano e noi tre che scherzavamo, andando a scuola. I boccoli ramati di Claire, che mi ricordavano l’Autunno e l’odore delle fragole. La sensazione di vuoto che avevo provato, quando era andata via. Tanti flashback che mi diedero ancora più carica, che mi aiutarono a credere che, dopo tanta sofferenza, forse anch’io avrei potuto fare successo ed essere davvero felice. Muovevo con forza le braccia, facendo battere le bacchette sui piatti ed i tamburi, tanto da produrre un suono scandito e pieno di amore per quel che stavo facendo, pieno della mia passione per la musica. Finii il pezzo, stanco e madido di sudore, mentre il pubblico mi applaudiva calorosamente e mi ripagava per tutta la fatica fatta. Mi sembrava un sogno così irreale, eppure così vero. Mi alzai, facendo un piccolo inchino, per poi sparire dietro le quinte.
“Sei stato magnifico, dico davvero!”
Mi disse Jane, entusiasta, porgendomi un asciugamano.
La ringraziai, mentre mi asciugavo il collo ed il viso.
“Che ne dici di bere qualcosa, più tardi?”
Sorrise, puntandomi lo sguardo addosso, come se esistessi solo io. Questo mi appagava, ma mi faceva sentire anche un po’ a disagio.
“Perché no.”
Annuii, stringendomi nelle spalle. In fondo non c’era niente di male nell’andare a bere qualcosa con una ragazza e poi non me lo impediva nessuno, dopo tutta la fatica che avevo fatto. Il problema era uno: Jane mi piaceva davvero?
“Allora ci vediamo alle undici, qui fuori.”
Mi sorrise di nuovo, per poi andarsene.
Alle undici in punto ero fuori dal teatro e l’aspettavo, un po’ impaziente ed un po’ ansioso. Ero impaziente perché non uscivo con una ragazza da tempo ed ansioso perché non sapevo come comportarmi. La vidi arrivare dopo poco e le sorrisi lievemente.
“Bene, andiamo.”
Mi incamminai subito dopo con lei nell’aria umida di Boston.
Ci sedemmo in uno di quei Caffè con le vetrate, oltre le quali si vedevano i marciapiedi pieni di persone. Non stavo facendo molto caso alla compagnia di Jane, avevo la testa altrove, anche se non avrei dovuto pensarci.
“Comunque sei stato davvero bravo, stasera.”
Mi disse, come per distogliermi dai pensieri.
La guardai, annuendo piano.
“Ti ringrazio, speriamo sia piaciuto anche ai giudici.”
“Sono sicura di sì.”
Continuammo a parlare della mia esibizione a lungo, ma era solo lei a blaterare su quanto fossi stato fantastico. Io mi limitavo ad annuire e a sorseggiare il mio caffè, non ero per niente interessato a quella conversazione. Mi maledii per aver accettato il suo invito, sarei dovuto andare a casa, farmi la doccia e andare a dormire. Invece no, eccomi lì in un bar deserto, con una ragazza che non m’interessava minimamente. Dopo minuti o, forse, ore, finalmente uscimmo dal locale.
“Grazie per la chiacchierata.”
Mi disse, sorridendo.
Feci spallucce, mentre lei si avvicinava a me. Appena mi fu davanti, mi mise le mani sulle spalle e mi baciò. Rimasi fermo, mentre le sue labbra premevano sulle mie. Non provavo nulla, il vuoto totale. Sapevo benissimo che non era lei quella che avrei voluto baciare. Chiusi gli occhi, cercando di pensare al volto di Claire, ma non funzionava. Non era lei, lo sentivo.
Quando Jane si staccò, delusa, feci un lieve sorriso di scuse.
“Ci vediamo.”
Le dissi, andandomene subito dopo. Camminai verso casa, con le mani in tasca, sentendomi vuoto. L’energia che avevo avuto durante il concerto era sparita, mi aveva lasciato una voragine nel petto. Non ero soddisfatto di nulla, ormai. Nonostante stessi andando incontro al sogno della mia vita, era come se avessi lasciato un pezzo di me stesso.
Mentre camminavo, mi parve di vedere in lontananza i capelli di Claire, ma non volevo illudermi ed era impossibile che fosse lì. Avevo immaginato tante volte di rivedere i suoi capelli da lontano, o il suo viso così fragile. Probabilmente lei mi aveva dimenticato o mi odiava, dopo che l’avevo trattata in quel modo. Ero stato uno stupido, ne ero consapevole, ma lo avevo fatto perché tutto quel che provavo per lei mi spaventava. Non mi era mai successo e non sapevo come comportarmi.
Appena arrivai a casa, mi buttai sul letto, fregandomene se fossi ancora vestito. Probabilmente, dopo pochi minuti, mi addormentai. Poi non ricordai più nulla.


Salve a tutti! Mi scuso per il ritardo immenso, ma non avevo ispirazione. Spero possiate perdonarmi cwc anyway, questo capitolo è per farvi capire cosa fa il nostro Shannon nel frattempo. Sì, ha sempre le allucinazioni, ma ha perso quel brutto vizio, sapete di cosa parlo. Mi farebbe piacere se lasciaste qualche recensione, alla prossima c:
                                                                Martina.

 

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Capitolo 18
*** I will wait for you, even if I'll fall apart. ***


POV Claire.
“Uffa, non riesco proprio a fotografare quest’albero.”
Sbuffai, spegnendo la macchina fotografica, quasi scarica. Jared, accanto a me, ridacchiò, distogliendo lo sguardo dal libro che stava leggendo, per posarlo su di me.
“Forse devi solo metterti in modo diverso o usare meno zoom.”
“Ci provo da mezz’ora, ma nulla. Non riesco a fotografare nemmeno una foglia, ultimamente.”
Misi il broncio, giocherellando con un filo d’erba, su cui eravamo seduti.
“Forse non ti concentri abbastanza o la tua testa è troppo piena di pensieri.”
Azzardò Jared, chiudendo il libro.
Sbuffai, scrollando le spalle e tenendo lo sguardo basso.
“Non lo so, non ho voglia di fare nulla, nemmeno la musica riesce a distrarmi.”
“Credo di sapere perché.”
A quelle parole non risposi, avvertii soltanto una stretta allo stomaco.
“Ti manca, vero?”
Continuò, abbassando la voce e avvicinandosi a me.
“Dobbiamo proprio parlarne?”
Sussurrai, con aria affranta.
Ultimamente, io, mamma e Jared non parlavamo più della partenza di Shannon. Avevamo smesso di farlo subito dopo. Probabilmente era perché, nessuno di noi, sopportava l’idea che ci avesse lasciati e, spesso, mi fermavo a pensare se si fossero sentiti così anche quando ero partita io, tempo prima. Mi sentivo ancora terribilmente in colpa per averlo fatto. Forse anche Shannon si sarebbe reso conto e avrebbe preso il primo aereo, tornando da noi. Lo ritenevo improbabile, se non impossibile.
“So che non ne parliamo da..beh, da quando è andato via, ma i tuoi sentimenti sono rimasti gli stessi?” chiese. Colsi una sfumatura di esitazione, nella sua voce. “Non devi rispondere, se non vuoi.” Si affrettò a dire.
Avevo pensato molto anche a quello, ma non mi ero più sfogata, nemmeno con Jared. Dare voce ai miei pensieri, era troppo doloroso. Ma ero sicura di ciò che provavo per Shannon? Ero confusa oppure era solo difficile riuscire ad ammettere, ancora una volta, che ero innamorata del mio “ex” fratellastro?
“Jay, io non lo so. E’ passato un po’ dalla sua partenza e dovrei rivederlo per capirlo. Ma lui non tornerà.”
Sospirai, abbassando lo sguardo.
Jared esitò.
“Sei proprio sicura che non tornerà? Non sai cosa prova, magari anche a lui manchiamo noi.”
“Non lo so..credo che ora mi odi, l’ho fatto soffrire. Ma quello che mi fa rabbia è che anche lui ha fatto soffrire me.”
Per un po’ non dicemmo nulla, poi rientrammo a casa.
Mamma era seduta con il telefono stretto tra le mani, sembrava triste.
“Cos’è successo?”
Le chiesi, sedendomi accanto a lei.
“E’ successo che mi ha telefonato Shannon. Non si fa sentire da mesi, poi mi chiama solo per dirmi che il corso è finito ma che lui rimane lì. Ci ha abbandonati, ha lasciato la sua famiglia..” singhiozzò, mentre io le tenevo una mano.
Quello che pensavo allora era vero, non voleva tornare, non voleva più vederci e tutto a causa mia.
Mi alzai, piena di rabbia e nervosismo.
“Ho deciso, andrò a prendere Shannon. Non importa se non vuole tornare, devo parlargli di persona e chiarire questa situazione.”
A quelle parole, mi guardarono sconvolti.
“Claire, sei proprio sicura?” mi chiese mamma, con gli occhi lucidi.
“Lo sono, si comporta così da più di un anno e devo capire il perché. E poi deve finirla di trattarci di merda, siamo la sua famiglia.” Sbottai, con i pugni stretti.
Quando mi sentii un po’ più calma, salii in camera e cercai il volo meno caro per Boston. Avrei voluto partire il giorno dopo, ma purtroppo costavano tutti troppo. Ne trovai uno a 75 dollari, era quello che potevo permettermi, sarei partita dopo tre giorni. A quel punto, io e Shannon avremmo risolto la cosa, una volta per tutte.
 
Tre giorni dopo.
“Edificio 4, edificio 4..” farfugliavo, guardandomi intorno, con una cartina in mano, la valigia nell’altra e in testa un cappello grigio con la visiera che mi riparava dal sole. Ero arrivata all’aeroporto due ore prima e mi ero subito messa a cercare il posto dove avrei dovuto trovare Shannon. Il problema era che non ero molto pratica con le cartine stradali e le persone a cui avevo chiesto informazioni, o erano straniere, oppure non sapevano indicarmi la strada. Quindi avevo deciso di cavarmela da sola, anche se mi sembrava impossibile. Mi trovavo in un grande viale e ai lati di questo, c’erano alberi ed edifici di mattoni. In quel momento, ero davanti al numero 156 e avrei dovuto camminare parecchio, prima di trovare quello giusto. Iniziavo ad essere stanca, il borsone pesava e faceva troppo caldo. Ma non volevo arrendermi, non ora che potevo finalmente affrontare Shannon e parlargli. Dovevo farlo per mamma e per Jared, per rimettere insieme la nostra famiglia. Questo pensiero mi diede forza e ricominciai a camminare lungo il viale. Davanti a me, vidi una ragazza con i capelli biondi a caschetto, mi dava tutta l’aria di frequentare un corso di musica, visto che aveva un plettro tra le labbra. Mi avvicinai, esitante.
“Scusami, potresti dirmi dove posso trovare l’edificio 4?”
La ragazza mi guardò con uno sguardo da civettuola.
“Certo, ci stavo andando, seguimi.”
Fece spallucce, incamminandosi ed io la seguii, sospirando di sollievo.
Dopo qualche minuto di silenzio e di occhiatine imbarazzate da parte mia, mi guardò curiosa.
“Sei nuova?”
“Ehm, veramente no, sto cercando una persona.”
“Chi? Magari lo conosco.”
“Shannon Leto, frequenta il corso per batteristi..”
Appena pronunciai il suo nome, mi iluminò.
“Oh, Shannon! Certo che lo conosco. Tu chi saresti?”
Il mio cuore fece un balzo, cercai di non arrossire, ma fu inevitabile. Finalmente qualcuno che conosceva Shannon, magari avrei potuto chiederle dove trovarlo. Tuttavia, il modo in cui si era interessata, appena aveva sentito il suo nome, mi sembrava davvero strano e sospetto.
“Sono..la sua ragazza.” Dissi, sperando che non si accorgesse della punta di esitazione nella mia voce.
La ragazza fece una risata, lanciandomi un’occhiata scettica, come se mi avesse presa per una stupida.
“La sua ragazza? Quindi non ti ha informata del fatto che abbiamo fatto sesso più di una volta? Povera illusa.”
Quelle parole, che fossero vere o false, facevano male. Era come se mi avessero pugnalato, dritto nel cuore. In quel momento, mi chiesi che senso avesse avuto arrivare fin lì e cercare di sistemare le cose, quando lui, lontano da noi, si comportava come un coglione.
Preferii non rispondere e continuai a camminare a sguardo basso, finché lei non si fermò davanti ad un edificio come gli altri, con il numero 4 accanto al citofono.
“Siamo arrivate, saluta Shannon da parte di Jess. Ciao!” mi strizzò l’occhio e se ne andò sculettando.
Non so cosa mi trattenne dal tirarle i capelli o picchiarla, avrei davvero voluto farlo. Improvvisamente, avevo voglia di scappare via, tornarmene a casa e cercare di dimenticarlo, una volta per tutte. Ma ne sarebbe valsa la pena? Scappare era da codardi e io mi ero stancata di sentirmi così, lo avevo evitato troppe volte, non lo avrei fatto di nuovo. Guardai la grande porta a vetri davanti a me, facendo un respiro profondo, poi entrai.
All’interno, l’edificio sembrava una scuola, c’erano corridoi con volantini appesi alle bacheche, aule con strumenti musicali ovunque, scale che portavano ad altri piani tutti uguali. Ero certa di essere nel posto giusto, finalmente, bastava solo che trovassi il dormitorio.
Fermai un ragazzo a caso, che usciva da una delle aule di musica.
“Scusami, sai dove posso trovare il dormitorio?”
“E’ al terzo piano. Cerchi qualcuno? Non ti ho mai vista qui, sono l’organizzatore dei corsi.”
“Beh in realtà sì, sto cercando Shannon Leto. Lo conosci?”
“Shannon? Sta nella camera accanto alla mia, posso accompagnarti!”
A quelle parole il mio cuore fece un balzo e mi uscì una vocina stridula per l’emozione.
“Sì, per favore.”
Il ragazzo sorrise e si incamminò su per le scale. Ad ogni passo, mi sentivo il cuore e la testa sempre più pesanti, non vedevo l’ora di arrivare.
Quando arrivammo al terzo piano, ci fermammo davanti ad una stanza con il numero 30.
“Questa è la sua camera, spero ci sia. Buona fortuna!”
Mi sorrise, per poi andare via.
Presa dall’emozione e dalla foga di vederlo, bussai alla porta con forza, ma nessuno aprì. Riprovai, confusa, ma non ottenni nessuna risposta.
Quando stavo per perdere le speranze, vidi la porta aprirsi e un viso assonnato che mi guardava sconvolto.
“Claire, che diavolo ci fai qui?”



Sì, lo so che mi odiate e che è vergognoso che io sia così in ritardo con l'aggiornare, ma ho avuto un brutto periodo e non ho pensato per niente a scrivere. Probabilmente vi sarete scordati tutti di questa ff, ma se qualcuno di voi ancora la legge e aspetta, sono veramente contenta e anche lusingata. Per farmi perdonare, ho fatto un capitolo un po' più lungo, sperando che questo faccia diminuire la vostra INCONTROLLABILE rabbia. Sappiate che mi dispiace moltissimo, spero di tornare a scrivere come prima. Vi ringrazio tanto tanto tanto, come sempre. Un bacio a tutti, a presto (spero). *fugge*
                                              Martina.

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Capitolo 19
*** You're my cure. ***


Lo so. So che è passato più di un anno e mi ripresento così, improvvisamente, con un nuovo capitolo. Ho avuto un periodo molto difficile, non mi andava più di scrivere, avevo abbandonato tutte le cose che amavo fare. Poi mi sono detta: perché? Io ci tengo a questa storia, voglio concluderla, voglio che i lettori sappiano come va a finire. Quindi mi sono rimessa a scrivere e, prometto, che stavolta la finisco, lo giuro. 
Mi dispiace molto per la mia assenza, spesso entravo solo per rileggere le vostre recensioni e, se qualcuno avesse aspettato o se ancora volesse leggere la storia, sarei la persona più felice del mondo. 
Mi siete mancati davvero, spero di non deludervi ancora. 

Mando un abbraccio enorme a tutti,
                                                 Martina.



POV Claire.
Guardai ancora una volta quella faccia assonnata che mi guardava sconvolta, dentro di me si agitava un misto di sensazioni indescrivibili. Erano mesi che non lo vedevo e, fino a quel momento, non avevo realizzato quanto mi fosse mancato vedere lui, i suoi occhi, sentire la sua voce, nonostante fossi ancora arrabbiata. Non capivo più niente quando me lo trovavo davanti. Non era la prima volta che eravamo rimasti lontani così a lungo, eppure sentivo ancora quell’uragano di emozioni che non si sarebbe calmato facilmente.
Ero completamente ammutolita, anche se avrei voluto dirgli tante di quelle cose, riempirlo anche di insulti, riversargli addosso tutta la frustrazione e la rabbia che avevo provato in quei mesi. Durante il viaggio, mi ero preparata mentalmente anche un discorso da fargli. Eppure, in quel momento, non riuscivo a dire nulla, stava diventando alquanto imbarazzante.
Non so se per la situazione, per il nervosismo, o per la felicità di vederlo, ma cominciai a ridere, provocandogli un’espressione ancora più stupita.
Finalmente, dopo aver smorzato l’imbarazzo, sorrisi sarcastica e lo guardai, dritto negli occhi.
“Che ci faccio qui, eh? Bella domanda…”
Scossi la testa e feci spallucce. Lui rimaneva immobile, non riuscivo a capire cosa provasse, era soltanto molto sorpreso.
“Che hai deciso? Mi fai entrare o rimaniamo tutto il giorno qui?”
Dissi, sbuffando lievemente. Pian piano mi stavo sbloccando, speravo solo di riuscire a dirgli tutto.
“S-sì, entra…”
Si scostò per lasciarmi passare, mentre entravo. Mi guardai intorno, era così strano stare lì, nell’ambiente dove aveva vissuto senza di noi. La camera non era nulla di particolare, era piccola, con un letto singolo e una scrivania e, tra l’altro, era tutto in disordine. Tipico di Shannon.
“Ancora non mi hai risposto.”
Disse improvvisamente, chiudendo la porta.
Mi girai per guardarlo, feci un bel respiro e mi sedetti sul letto, scostando i vestiti ammucchiati su di esso.
“Bene. Sinceramente non so da dove iniziare, vorrei chiederti tante cose, dirti quello che ho provato in questi mesi, mentre sei stato via. Ma tutto questo si può esprimere in un’unica domanda. Perché? Perché l’hai fatto? Perché non torni? Perché mi hai ignorata per tutto questo tempo?”
Le parole iniziarono a scorrere fuori senza che riuscissi a controllarle, mentre un’espressione colpevole si faceva spazio sul suo viso. Non si muoveva, era appoggiato con la schiena alla porta e teneva lo sguardo basso. Che mi stesse evitando di nuovo? Non lo sapevo. Mi avrebbe risposto stavolta? Non sapevo nemmeno questo. Volevo solo risolvere tutto, una volta per tutte.
“Perché non mi guardi e non rispondi?” chiesi, dopo un silenzio anche troppo lungo.
Shannon sospirò e alzò lievemente gli occhi verso di me.
“Non pensi che possa aver sofferto anch’io?” disse, con un filo di voce.
Appena disse questo, con quell’espressione sul viso, con un tono di voce così malinconico, tutta la rabbia che provavo iniziò a sparire. Più lo guardavo e meno riuscivo ad avercela con lui. Inoltre, il suo atteggiamento era cambiato. Se prima si comportava evitandomi, trattandomi male, adesso penso che si sentisse in colpa per essere sparito in quel modo. Anch’io avevo provato la stessa sensazione, non potevo colpevolizzarlo troppo.
“Non dubito del fatto che tu abbia sofferto, nemmeno mamma e Jared sono stati bene. E nemmeno io, Shannon.”
Mi alzai, avvicinandomi a lui e annullai la distanza che ci separava, prendendogli le mani.
Era la prima volta che lo toccavo dopo mesi. Era decisamente passato troppo tempo.
“Vorrei solo sapere perché. Vuoi starmi lontano?” continuai, guardandolo dritto negli occhi.
In risposta, sospirò lasciandomi le mani per poggiarmele sulle guance ed asciugarmi le lacrime. Nemmeno mi ero accorta di aver iniziato a piangere, ero troppo concentrata nel guardare il suo viso che mi era mancato più di qualunque altra cosa e, quel gesto, mi fece sobbalzare il cuore.
“No, Claire, non voglio starti lontano. Ma ho avuto paura. Quando sei andata via, hai lasciato un vuoto dentro di me, ho cercato di colmarlo con la droga, con una vita sbandata, andando con ragazze di cui non mi importava niente, ma è servito solo a peggiorare tutto. Avevo sempre te in mente, probabilmente mi sono anche lasciato trascinare per evitare di pensare ai problemi, a tutte le mancanze che ho avuto per anni..”
“Ma perché non torni? Perché non affrontare questi problemi? Io ti avrei ascoltato, se solo mi avessi detto tutte le cose che ti facevano star male. Lo avremmo fatto tutti, siamo la tua famiglia e tu per me sei..” Un fratello? No, non lo era. Non lo vedevo così da tempo, da quando mi ero resa conto di provare qualcosa di più, di provare dei sentimenti a me sconosciuti. Ma lui provava ancora lo stesso per me? Erano passati mesi da quando mi aveva confessato di essere innamorato di me, ma eravamo stati lontani, lui aveva intrapreso il percorso che aveva sempre sognato, di diventare un batterista, ormai era cambiato tutto. Di certo non il mio, di cuore.
“Sono cosa, Claire?”
Alzai lo sguardo e trovai i suoi occhi molto più vicini di prima. Avevo sempre adorato i suoi occhi, cambiavano colore a seconda del tempo. D’estate, se faceva molto caldo, potevano diventare di un verde talmente profondo da farti perdere completamente la testa. In quel momento, erano color nocciola, con qualche pagliuzza verde. Stavo decisamente perdendo la testa.
“Claire?” mi richiamò, distogliendomi dai miei pensieri.
Arrossii ed abbassai nuovamente gli occhi, non sapevo se fossi stata capace di reggere il suo sguardo e fare un discorso coerente nello stesso momento.
“Beh, da quando mi hai confessato i tuoi sentimenti, qualcosa dentro di me è cambiato” cominciai a parlare, decisa a confessargli tutto, anche se mi avrebbe respinta. “Ti ho sempre visto in un modo diverso, rispetto a Jared, ma non negativamente. Tu sei sempre stato qualcosa di più, so che ovviamente pensavo che fossimo fratelli, ma in cuor mio ho sempre saputo che c’era qualcosa che non andava. Forse speravo che non fossi mio fratello, perché, inconsciamente, ho sempre provato qualcosa di forte per te. E, quando finalmente tu mi hai detto di essere innamorato di me, tutto è diventato chiaro, ho iniziato a capire perché mi preoccupavo in un modo diverso per te, perché sentivo un fastidio costante, quando ti vedevo con altre ragazze e, soprattutto, perché mi batteva il cuore quando mi sfioravi soltanto. Ma, quando me ne sono resa conto, tu eri già troppo lontano, mi sentivo ferita e abbandonata. E anche adesso, non so se provi le stesse cose, se mi vuoi ancora…”
Mi fermai, avevo la voce incrinata per le lacrime che stavano per uscire di nuovo. Mi ero tenuta dentro quelle cose troppo a lungo e, in quel momento, quando stavo finalmente dando forma ai miei pensieri, mi sentii troppo fragile, non ero pronta ad un rifiuto. Ero spaventata.
Improvvisamente sentii due braccia attorno a me, che mi stringevano forte. Mi ritrovai a piangere con la guancia poggiata al petto di Shannon, mentre lui mi accarezzava i capelli per calmarmi. Mi aggrappai con le mani alla sua maglietta, come se non volessi più lasciarlo andare, come se avessi paura che potesse scappare di nuovo. Chiusi gli occhi, abbandonandomi in quelle braccia che mi facevano sentire al sicuro, ma che potrebbero aver avuto anche il potere di distruggermi.
“Quello che provo per te non è mai cambiato, Claire. Anzi, se è possibile, è ancora più forte di prima. Non so come mostrartelo, so di aver sbagliato, di essere scappato perché avevo paura. Un tuo rifiuto mi avrebbe distrutto completamente. Mi dispiace tantissimo di averti fatta soffrire, non avrei mai voluto che succedesse tutto questo. E non sai quanto sono felice di sentirti dire queste cose, l’ho sognato così tante volte che adesso mi sembra impossibile che sia reale.”
Sospirò sui miei capelli, stringendomi ancora di più.
In quel momento, dopo tanto, troppo tempo, mi sentii completa di nuovo, come se tutta l’angoscia e la tristezza che avevo provato in quei mesi fosse sparita. Le sue parole mi fecero battere ancora più forte il cuore, finalmente avevo la conferma che io amavo lui e che lui amava me. Ed ero certa che questo non sarebbe mai cambiato.
Alzai lo sguardo con gli occhi ancora lucidi, per guardarlo di nuovo. Sorrisi e lo abbracciai stretto, decisa a non lasciarlo andare.
“Adesso sei fregato, lo sai? Non mi allontanerò da te nemmeno per un secondo.”
Rise e mi strinse ancora più forte.
“E’ tutto quello che ho sempre voluto.”
Poggiò la fronte alla mia, sorridendo e, nei suoi occhi, scorsi tutto l’amore che provava per me. Per la prima volta, mi sentii davvero amata e sicura dei sentimenti che entrambi provavamo.
Mentre ci guardavamo negli occhi, Shannon si avvicinò lentamente, annullando ogni distanza tra noi e, quando poggiò le labbra sulle mie, sentii quasi le vertigini. All’inizio, il contatto tra le nostre labbra fu tenero, quasi incerto, ma, quando gli circondai il collo con le braccia, inclinò la testa e approfondì il bacio. Era la prima volta che baciavo qualcuno e mi sentii pienamente contenta di aver aspettato, perché era di quanto più bello ci fosse al mondo. Baciare Shannon mi provocò un mix di sensazioni, che partivano dalla bocca dello stomaco e si diffondevano in tutto il corpo. Il cuore mi batteva a mille, mi tremavano leggermente le mani e le labbra si scaldarono, al contatto con le sue. Fu un bacio atteso, disperato, perché entrambi lo avevamo sognato e voluto per tanto di quel tempo che neanche ci sembrava reale. Avrei voluto che tutto si fermasse in quel momento.
Non so per quanto ci baciammo, ma quando ci staccammo eravamo entrambi a corto di fiato e ci sorridevamo imbarazzati. Shannon mi prese in braccio come una bambina e si sedette sul letto, adagiandomi sulle sue gambe, poi mi strinse a se, poggiando il mento sull’incavo del mio collo. Passai le dita tra i suoi capelli lunghi e lo guardai attentamente. Aveva la barba leggermente ispida sul mento e sulle guance, gli occhi socchiusi, le labbra carnose, che avevo appena finito di baciare, erano arrossate. Era bellissimo.
“Perché mi fissi?”  rise, alzando lo sguardo su di me, facendomi arrossire.
“Scusami..è che mi sei mancato troppo.”
“Anche tu mi sei mancata.” rispose, accarezzandomi dolcemente i capelli.
“Mi prometti che smetterai di farti del male?” sussurrai, poggiando la fronte alla sua.
Sorrise e mi strinse ancora di più a se.
“Adesso che ho te, non ho più bisogno di farmi del male. Tu sei la mia cura.”

 

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Capitolo 20
*** Here we are at the start. ***


POV Claire.
“Sei pronta?”
Strinsi la mano che Shannon mi teneva e annuii, decisa. Eravamo davanti alla porta di casa nostra, a Bossier City. Ero rimasta a Boston per quattro giorni e noi due eravamo rimasti sempre appiccicati, non mi aveva lasciata sola nemmeno per un attimo. Dopo neanche un’ora dal mio arrivo, aveva deciso di tornare a casa per stare con me, con Jared e con mamma. Gli avevo chiesto cos’avesse intenzione di fare, con il corso per batteristi.
“Suonare è la mia passione” mi aveva risposto, “ma tu sei la mia vita. E non posso starti lontano ancora una volta.”
L’avevo spronato a non lasciare da parte la musica, sapevo che quella era la sua strada, doveva intraprenderla e percorrerla ad ogni costo e lui non aveva intenzione di abbandonarla.
“Allora andiamo.” mi disse e salimmo i gradini trovandoci davanti alla porta di casa. Con molto coraggio, tenendo stretta la mano alla sua, suonai il campanello.
Dopo alcuni istanti, venne ad aprire Jared. Nessuno sapeva che saremmo tornati, volevamo fargli una sorpresa, per questo, quando mi avevano chiamato, avevo mentito, dicendo che non ero riuscita ancora ad incontrarlo. Quando ci vide, fece una faccia più che sorpresa e, senza dire niente, abbracciò stretto Shannon.
“Non te ne andare più, mai più.” gli disse, sottovoce.
Shannon ricambiò la stretta con un braccio, sorridendo.
“Lo prometto.”
Nel frattempo, sentimmo una voce femminile, troppo familiare.
“Jared, chi è?”
Vedemmo mamma scendere le scale, legandosi i capelli.
Appena vide Shannon, restò senza fiato. Si immobilizzò incredula, non riuscendo a dire nulla.
“Ciao mamma.” le disse lui, sorridendo.
Dopo alcuni istanti, gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo ed iniziando a singhiozzare.
“Shan, sei tornato…”
Io e Jared ci guardammo sorridendo, mentre veniva ad abbracciarmi.
“Grazie per averlo riportato indietro.” mi sussurrò.
Quando mamma si staccò da Shannon, un occhio le cadde sulle nostre mani intrecciate.
“V-voi due…” balbettò incredula.
Era proprio per questo che eravamo così nervosi. Avremmo dovuto dire a mamma che ci eravamo messi insieme e non sapevamo davvero come l’avrebbe presa. In fondo, eravamo entrambi figli suoi e, anche se ero stata adottata, avevo sempre fatto parte della famiglia.
“Forse è meglio se ci sediamo.” disse Jared, chiudendo la porta e trascinandoci sul divano.
Io e Shannon ci sedemmo su una poltrona, con mamma e Jared davanti a noi. Lei ci guardava senza parole, con un’espressione che era un misto di emozione, sorpresa e non so cos’altro. Avevo come l’impressione che sarebbe svenuta o che ci avrebbe picchiato da un momento all’altro.
Io non sapevo cosa dire, da quando ero entrata in casa non avevo detto una parola. In realtà, ancora non riuscivo a mettere insieme e a realizzare tutto quello che stava succedendo. Così rimasi in silenzio, sperando che Shannon si facesse avanti. E così fu.
“Beh, mamma…io e Claire dobbiamo dirti una cosa.”
“Sei incinta?!” disse lei, guardandomi subito sconvolta.
“No mamma!” borbottai, diventando rossa in viso.
“In realtà ancora no…”
“Ancora no? Shannon ma che diavolo stai dicendo?” lo guardai in cagnesco, dandogli una gomitata sulle costole.
“Ahi. Intendevo che non si sa mai, in futuro...beh non importa” mi prese nuovamente la mano tra le sue “io e Claire stiamo insieme. Ci siamo innamorati. Lo siamo sempre stati, ma adesso ne siamo entrambi consapevoli e sappiamo i sentimenti che proviamo l’uno per l’altra. So che può sembrare strano, siamo cresciuti come due fratelli, ma tu sai anche che al cuor non si comanda, me l’hai sempre detto. E io non posso fuggire da quello che provo. Vogliamo andare a vivere insieme.”
“Shannon!” sbottai sconvolta, sentendo quell’ultima frase. Non avevamo fatto progetti prima, non aveva nemmeno accennato ad una cosa simile.
Mamma sbiancò e si aggrappò al braccio di Jared, che ridacchiava guardandoci. Probabilmente lui già sospettava tutto, anche se non gli avevamo ancora detto niente.
“Ma…siete impazziti o cosa?!” sbottò, faticando a respirare.
Sospirai, lasciando la mano a Shannon. Ero davvero preoccupata che non avrebbe accettato la situazione, ma non potevo biasimarla. Anch’io ero sconvolta dalla notizia che Shannon volesse andare a vivere con me, in fondo aveva solo vent’anni ed io diciotto. Come ce la saremmo cavata?
“Mamma, io so che tutto questo può sembrarti strano, innaturale ed assurdo” dissi, con coraggio “ma noi ci amiamo davvero. Tu non ci hai mai raccontato molto del padre di Shannon e Jared, ma, se tu sei rimasta così sconvolta da non volere altre relazioni dopo vent’anni, significa che lo amavi, non è così? Avevi la mia stessa età, quindi puoi capire cosa provo io per Shannon. Non posso immaginare di stare senza di lui, sai benissimo quanto ho sofferto in questi mesi, mentre era via. Quindi ti prego di capire.”
Sentendo le mie parole, rimase un po’ sorpresa. Una lacrima le scese lungo la guancia e, sospirando, venne ad abbracciare entrambi.
“Se è così, non posso e non voglio intromettermi e separarvi. Voglio solo il meglio per voi.”
Sorrisi, stringendola forte, mentre Jared si univa all’abbraccio. Presi nuovamente la mano a Shannon, consapevole che non l’avrei più lasciata.
 
“Era da un bel po’ che non stavamo tutti e tre qui.” Disse Jared, sorridendo, mentre guardava il cielo.
Eravamo stesi su una coperta, sulla terrazza che amavamo tanto. L’ultima volta che ci eravamo stati, avevo appena scoperto di essere stata adottata ed ero andata a cercare Jared, che si era nascosto lì. Avevamo parlato per ore, poi eravamo rientrati tardi a casa.
Ritrovarci ancora una volta, come ai vecchi tempi, nello stesso posto, mi fece sentire a casa. Finalmente sentivo di essere tornata davvero, con le persone che amavo di più al mondo.
“Ma, bro, cos’è questa storia che vuoi andare a vivere con Claire?” chiese Jared, sospettoso.
“Mi hai tolto le parole di bocca, Jay.”
Dissi, mettendomi seduta e guardai male Shannon.
Lui rise e mise entrambe le mani sotto la testa.
“E’ vero, dovrei spiegarvi tutto. Ho pensato che io non posso rinunciare alla musica, suonare la batteria è sempre stato il mio sogno, quello di Jared è suonare la chitarra, quindi perché non formare una band? Siamo fratelli, abbiamo un legame profondo e sono certo che funzionerebbe!”
“E cosa c’entra questo con l’andare a vivere con me?” dissi scettica.
“Beh, qui a Bossier City non c’è possibilità di fare successo. Perché non ci trasferiamo a Los Angeles? Potrebbe venire anche mamma, ma noi vivremmo in un altro appartamento, perché dovremmo avere i nostri spazi, per le prove e tutto il resto.”
Quella proposta, così su due piedi, mi sembrò assurda. Ma, in fondo, aveva ragione. Loro due dovevano continuare a fare musica, io non gli avrei impedito di coltivare le loro passioni, ero sempre stata la prima ad incoraggiarli. Era vero che trasferirmi così lontano mi spaventava un po’, ma non sarei stata sola, li avrei sempre avuti con me.
“Per me sarebbe stupendo!” disse subito Jared, entusiasta.
“E come facciamo con i soldi? Sapete quanto costa andare a vivere lì?”
Non volevo rovinare tutto e non unirmi al loro entusiasmo, ma dovevamo anche essere realisti e pensare che non sarebbe stato per niente facile.
Shannon sorrise, alla mia domanda, e mi prese la mano per tranquillizzarmi.
“Ho un po’ di soldi da parte. Mentre ero in Inghilterra, ho cercato di fare qualche lavoretto per mantenermi e ho guadagnato abbastanza.”
“E poi io ho dei risparmi, li tenevo per qualcosa di importante, come questa.” si aggiunse anche Jared, facendo spallucce.
A quel punto, non potevo più dire nulla. Shannon aveva già pensato a tutto, Jared era felicissimo dell’idea. Perché avrei dovuto rovinare tutto? Ci avremmo provato, in fondo la nostra vita, in quell’ultimo periodo, era stata così deprimente e incasinata che una svolta ci avrebbe sicuramente aiutato.
Sospirai, arrendendomi all’idea, poi sorrisi.
“Allora dobbiamo solo dirlo a mamma.”
 
8 mesi dopo.
Il rumore della batteria mi martellava nella testa da ore e, per quanto lo adorassi, non era il sottofondo giusto per quel momento.
Sbuffai, rumorosamente e salii le scale aprendo con forza la porta della sala musica, dove i ragazzi provavano.
“Shan! Per favore! Sto cercando di studiare da ore e non ci riesco, è la quarta volta che te lo dico!” sbottai esasperata, cercando di non lasciarmi distrarre dalla visione di lui, a petto nudo, tutto sudato, mentre suonava la batteria e ci metteva l’anima.
Si fermò immediatamente, sentendo le mie urla, e sorrise lievemente colpevole.
“Scusa, piccola. E’ che a breve avremo un’esibizione.”
“Ed io a breve avrò un esame! So che è importante anche il vostro concerto, ma io devo riuscire a studiare.” sbuffai lievemente.
“Hai ragione, mi dispiace.” fece una smorfia e si alzò, allontanandosi da Christine. E’ così che aveva deciso di chiamare la sua batteria, ma non ci volle mai spiegare il perché. Avevo paura che fosse una delle sue ex, ma non chiesi mai nulla, forse per paura della risposta. “Facciamo una pausa entrambi, va bene?” mi si parò davanti, sorridendo. Quando vedevo il suo sorriso, non riuscivo più a dire o fare nulla, mi sentivo completamente assuefatta.
Sospirai, sorridendo subito dopo a mia volta.
“Va bene. A proposito, dove sono Jared e Tomo?”
“Dovevano controllare un paio di cose per il concerto, ho approfittato dell’assenza di Jared per provare un po’, visto che ultimamente mi comanda a bacchetta.” disse esasperato, facendomi ridere.
Qualche mese prima, avevamo detto a mamma della nostra idea di trasferirci e lei, dopo averci pensato molto, aveva accettato, per il nostro futuro. Così ci eravamo trasferiti a Los Angeles, in due case differenti, come aveva progettato Shannon; io, lui e Jared vivevamo in una casa a due piani, con una sala musica per le loro prove, mentre mamma aveva preso un appartamento abbastanza grande e non troppo lontano da noi, così potevamo vederla spesso. I ragazzi si erano subito dati da fare, si erano messi a cercare un chitarrista per la band ed avevano trovato Tomo, un ragazzo poco più piccolo di loro, ma molto bravo a suonare. Avevano ascoltato tantissimi ragazzi, ma lui aveva quel tocco particolare, adatto per il tipo di musica che volevano fare loro. Jared aveva già iniziato a scrivere una canzone, Buddha for Mary, e, spesso, voleva che gli dessi consigli sui testi o sulla musica. Ogni tanto suonavano in qualche locale, per guadagnare qualcosa e già iniziavano ad avere qualche ammiratrice, cosa che mi disturbava parecchio, quando si trattava di Shannon. Ma, se fossero diventati famosi, avrei dovuto convivere anche con questo aspetto. Io avevo iniziato l’università, avevo scelto di fare giornalismo e già avevo passato un esame. Ci tenevo ai miei studi, al futuro che avrei potuto costruire con questi. E lì, a Los Angeles, mi trovavo benissimo, avevamo completamente cambiato vita.
“Dovresti asciugarti, comunque.” gli dissi, sarcastica e gli passai l’asciugamano che teneva sulla sedia.
“Non dirmi che la visione ti disturba.” rise, leggermente malizioso e si avvicinò pericolosamente.
“No,” dissi, sfuggendogli, “ma è anche vero che puzzi.”
“Cosa? Puzzo?!” mi guardò, sconvolto dalla mia affermazione.
Giurai di vederlo che tentava di annusarsi, mentre mi allontanavo.
“Bugiarda!” mi urlò dietro, facendomi ridere.
In quel momento, la porta di casa si aprì e Jared e Tomo fecero capolino, entrando entusiasti.
“Indovinate? Il concerto è confermato e suoneremo anche la prossima settimana, due volte!” quasi strillò Jared, tutto sorridente.
“Davvero? E’ fantastico!” sorrisi, andando ad abbracciarli.
“Lo è, ma quando ci chiedono qual è il nome della band, non sappiamo cosa rispondere.” sbuffò Tomo, lasciandosi cadere su una sedia.
“Io un’idea ce l’avrei” fece spallucce Shannon, scendendo in salone “ci ho pensato molto in questi giorni, in realtà. L’altro giorno stavo vedendo per caso un documentario sullo spazio…”
“Ma sentilo, lui che guarda documentari!” Jared rise, guardandolo scettico.
“Piantala” lo liquidò in due secondi “quindi, il documentario parlava soprattutto di Marte e, non so perché, ma mi ha affascinato, pensate che è il pianeta più simile alla Terra in tutto il sistema solare!”
Sembrava affascinato mentre ne parlava, gli brillavano gli occhi. Adoravo vederlo così, era come quando suonava la batteria; il resto non contava, c’erano solo lui e la musica.
“Okay, x-files, adesso vuoi dirci il nome?” Tomo gli diede un pizzico sul braccio.
“Va bene, va bene. Marte ha due satelliti, Fobos e Deimos, e si dice che siano due asteroidi catturati nel suo campo gravitazionale. Quindi ho pensato che noi, con la nostra musica, saremmo capaci di catturare milioni e milioni di persone, proprio come Marte. Allora perché non chiamarci 30 Seconds to Mars?”
In quel momento, restammo tutti a bocca aperta. Nessuno aveva mai visto quel lato di Shannon, era sempre stato riflessivo, aveva sempre ragionato sulle cose, ma mai così. Poteva aver fatto molte cavolate, era caduto, aveva sofferto. Ma era chiaro che quella era la strada che voleva percorrere, a tutti i costi, che lo avrebbe aiutato a star bene.
“Shan..è perfetto.” dissi, prendendogli la mano e gli sorrisi, lo guardai negli occhi, per fargli capire che l’avrei sempre appoggiato.
“E’ vero, amico. E’ stupendo.” concordò Tomo, poggiandogli una mano sulla spalla.
Tutti guardammo Jared, sapevamo che era lui la persona più testarda e difficile del gruppo, avevamo paura che avesse qualcosa da ridire.
Per due minuti buoni, regnò il silenzio.
Poi Jared alzò lo sguardo, puntò gli occhi in quelli di Shannon e, con un sorriso, disse “allora aspettateci, i 30 Seconds to Mars stanno arrivando.”



Ed eccomi qui con un nuovo capitolo. Mi duole annunciare che è l'ultimo, dopo di questo pubblicherò l'epilogo.
Vorrei fare qualche precisazione su questo capitolo. Allora, so bene che la formazione iniziale dei Mars era composta dai Leto, da Matt e da Solon, ma i Mars li ho conosciuti con Tomo, per me i Mars sono loro tre, quindi ho preferito modificare un po' la realtà, quindi far entrare subito Tomo nella band. Poi, non so come i Mars siano arrivati a scegliere il nome per la band, però quello che penso e sento io è quello che ho scritto nel capitolo, cioè che con la loro musica riescono a catturare molte persone, questa è l'interpretazione che ho dato al significato del loro nome.
Inoltre, non so a che età precisamente i Mars si siano trasferiti a Los Angeles e so che si sono formati nel 1998, ma visto l'andamento della storia, qui siamo negli anni 80, quindi anche qui ho fatto una piccola modifica. Scusate se vi ho causato confusione!
Al prossimo (ed ultimo) capitolo, un bacio enorme a tutti.
                               Martina.

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Capitolo 21
*** Epilogo. ***


POV Shannon.
Suonare è sempre stata la mia passione, sin da piccolo. Sono sempre stato affascinato dal suono della batteria, da quello strumento che, visto con gli occhi di un bambino, sembrava così imponente. Pensavo che, se avessi imparato a suonarlo, avrei potuto fare di tutto. E così è stato, sono diventato un batterista, ho sempre voluto suonare, concentrarmi su quello e su nient’altro, come se fosse il mio unico scopo, come se importasse solamente quello per me, come se non esistesse altro al mondo. Eppure, improvvisamente, qualcosa mi ha catapultato alla realtà. Qualcosa di forte, un sentimento che non sapevo nemmeno io di poter provare. Mi faceva battere il cuore, tremare le mani, vacillare le gambe, mi confondeva completamente. E lì ho capito, mi sono reso conto che suonare non era l’unica cosa importante, che era da egoista concentrarmi su qualcosa che faceva star bene me e me soltanto. Se mi fossi dedicato completamente alla batteria, chi si sarebbe occupato dell’altro sentimento che nasceva in me e che non potevo ignorare? Così ho fatto delle cavolate, sono scappato, avevo paura, non sapevo come gestire quella situazione. Avevo iniziato anche a pensare che uccidermi avrebbe fatto sparire il caos nella mia testa. Ma a che scopo? Se lo avessi fatto, sarei stato solo un vigliacco, un uomo che non riesce ad affrontare le situazioni, che prende la via più breve e facile per non soffrire. Sono arrivato alla conclusione che soffrire, anche se straziante, anche se toglie il respiro, fa parte della vita e non possiamo evitarlo. Serve per maturare, per crescere, per diventare forti più di prima. Ed io volevo esserlo, volevo diventare forte, volevo vivere la mia vita pienamente, non buttarla come stavo facendo. Era vero, suonare mi aveva aiutato a sfogarmi, a tirare fuori tutta la rabbia che avevo dentro, ma esisteva solo quello? Io volevo qualcuno che mi avrebbe fatto calmare con una carezza, che mi avrebbe stretto la mano quando ne avevo bisogno. Volevo una persona. E l’avevo sempre avuta, ma il mio stupido ego mi aveva allontanato da lei. Ma quell’ego adesso era scomparso, adesso ero io, Shannon. Completo, vero, vivo. E tutto grazie a lei, all’unica che mi ha fatto battere il cuore.
E adesso la sto guardando, è qui davanti a me, seduta sull’erba. I capelli ramati le sfiorano il viso, la fronte è leggermente corrucciata in un’espressione concentrata. Sta disegnando. Non riesco a vedere cosa, ma lei non si è ancora accorta di me, nonostante la stia osservando da almeno mezz’ora. E’ così presa da quello che sta facendo, che il mondo che la circonda sembra non esistere. Sorrido, continuando ad osservarla. Mi chiedo come io possa apparire dall’esterno, forse come un uomo ossessionato che non riesce a staccare gli occhi dall’oggetto del suo desiderio. E così è. Non posso non guardarla, stare lontano da lei mi fa mancare il respiro. Ma non voglio disturbarla, mentre sembra così presa in quel che sta facendo. Ad interromperla, è un’altra cosa. L’oggetto della distrazione le corre incontro e si avvinghia a lei, aggrappandosi come una scimmietta. Claire sorride, stringe a se quella creaturina, non facendo nemmeno caso al fatto che abbia interrotto il suo lavoro. Anzi, sembra ancora più felice di prima. Sorrido a mia volta, vedendo quella scena che, nonostante ormai mi sia così familiare, mi riempie il cuore di gioia ogni volta. Vedere la donna che amo, con nostra figlia. Sì, sono diventato padre, due anni fa. E’ vero, siamo giovani, Claire aveva solo 23 anni quando è nata Grace ed io ne avevo 25. Ma è stata la cosa più bella che potesse capitarci. Per questo l’abbiamo chiamata così. “Dono di Dio, dolcezza, bellezza”, è questo che è stata per noi, la sua nascita, un dono. Per la prima volta, sento di avere qualcosa di davvero mio, una persona, una piccola creatura che mi appartiene completamente, che è parte di me, che amerò per tutta la vita, nel bene e nel male. Nonostante mi fidi ciecamente di Claire e nonostante sia sicuro di quel che provavamo l’uno per l’altra, quello per mia figlia è un amore completamente diverso, non riesco ancora a credere di aver messo al mondo qualcuno di così dolce e bello, mi sento finalmente completo. Guardandole adesso, l’una accanto all’altra, mi accorgo per l’ennesima volta di quanto le somigli. Hanno gli stessi capelli ramati, un sorriso dolcissimo e le guance paffute. Ma Grace ha i miei stessi occhi. Cambiano colore, a seconda del tempo, in questo momento li ha verdi, mi chiedo se anch’io li abbia così adesso. Distolgo un attimo l’attenzione da loro e, per caso, l’occhio mi cade sulla fede che porto alla mano sinistra. Sorrido spontaneamente, pensando a quando feci a Claire la proposta di matrimonio.
 Non ci eravamo visti per una settimana, io ero stato impegnato con la band e i ragazzi, eravamo in tour quel periodo. Senza dirle niente, ero tornato a casa nel bel mezzo della notte e, quando si è svegliata, mi ha trovato in ginocchio davanti a lei, con l’anello in mano. E’ stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Ricorderò per sempre gli occhi di Claire, pieni di lacrime, mentre mi diceva quel “sì”, che tanto avevo sperato di sentire.
E poi, quando l’ho vista venire verso di me, all’altare. Non avevo mai pensato al matrimonio, ma chiederlo a lei mi è venuto spontaneamente. Fino ad un anno e mezzo prima, ero a pezzi, non sapevo cos’avrei dovuto fare della mia vita, avevo la musica, ma i demoni continuavano a tormentarmi. Ma con lei è cambiato tutto, da quando è venuta a cercarmi a Boston, ho capito che avrei potuto farcela ed è stato tutto per l’amore che provavamo, e proviamo ancora, l’uno nei confronti dell’altra.
E tutt’ora è così. Adesso non potrei desiderare altro. La band ha avuto successo, siamo sempre pieni di impegni e ricercati per suonare ovunque, abbiamo già moltissime persone che ci ammirano e ci seguono. Non volevo essere un cattivo esempio per la gente, sono cambiato anche per questo. Voglio che mi vedano come un punto di riferimento su cui contare, voglio che siano fieri di me.
“Papà…”
Una vocina familiare mi distoglie dai pensieri. Sorrido, alzando lo sguardo, e, davanti a me, vedo la mia bambina. Apro le braccia e lei ci si tuffa. Dice di adorare quando l’abbraccio, credo si senta protetta.
“Ciao, Gracie. Finalmente ti sei svegliata, dormigliona. Sai che ore sono?”
Le pizzico le guance, facendole arricciare il naso.
Scuote piano la testa, rispondendo alla mia domanda.
“Sono le dieci, principessa. Stavi sognando cose belle?”
“Sì!” si illumina rispondendomi e si alza in piedi, aprendo le braccia. “Ho sognato che lo zio Jared mi portava sulle giostre e mi cantava una canzone.”
Rido, guardandola così entusiasta. Lei adora Jared e lui adora lei. Quando è nata è quasi svenuto in ospedale per l’emozione. E’ diventato un uomo fantastico, mio fratello. Scrive canzoni, si occupa di tutto, è affettuoso con Grace. E’ cresciuto e sono fiero di lui.
Non avrei mai pensato che potessimo arrivare a questo punto o avere una vita “normale”, invece siamo qui. Sembra irreale, ma ce l’abbiamo fatta, insieme.
Alzo lo sguardo, puntando gli occhi in quelli di Claire, che mi osservava.
Ci sorridiamo, complici, sapendo di star pensando la stessa cosa.
Mi alzo, prendendo Grace in braccio e vado a sedermi vicino a Claire.
“Ti amo..” le sussurro all’orecchio, provocandole una risatina.
Mi guarda negli occhi, sorridendo.
“Ti amo anch’io.”
Essere circondato da persone che amo e che mi amano, adesso è questa la certezza della mia vita. E lo sarà sempre.



 
 
Eccoci qui, alla fine di questa storia. Ci ho messi anni a finirla, per le tante complicazioni che mi hanno occupato sia tempo che pensieri. Essere arrivata alla fine non mi sembra vero, mi mette tristezza, a dire il vero. Ci ho messo il cuore in questa storia, in ogni capitolo. Ho espresso i miei sentimenti attraverso i personaggi, le mie emozioni, i miei stati d’animo. Ho cercato di renderla più reale possibile, di farvi immedesimare in ogni parola. E voglio ringraziarvi, dal primo all’ultimo, per il sostegno che mi avete dato. Siete fantastici, grazie davvero. Grazie. Sicuramente scriverò altro, non posso smettere di farlo. E spero che continuerete a seguirmi.
Sappiate che vi voglio bene e che siete stati fondamentali per me e per la storia.
Grazie ancora.
Mando un abbraccio enorme a tutti, a presto.
                                        Martina

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