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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. Your touch is what I'm missin' *** Capitolo 2: *** 2. Touch me now *** Capitolo 3: *** 3. Our Secret Garden *** Capitolo 4: *** Come cercare un ago in un pagliaio *** Capitolo 5: *** 5. Principe azzurro all'improvviso (cosa non si fa per amore?) *** Capitolo 6: *** 6. Ti dono il mio cuore ***
Capitolo 1 *** 1. Your touch is what I'm missin' ***
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Éraseunavez
Your touch is what
I'm missin'
(Jiraya x Tsunade)
Stringe il labbro inferiore con forza
ignorando il dolore; le lacrime cadono a terra, diventando un tutt’uno con
l’asfalto.
Una mano posata sul cuore, lo sente battere
all’impazzata, al ritmo di una sofferenza incalcolabile.
E di nuovo il suono di quelle parole che le
rimbombano nella testa.
«Jiraya è morto»
E crolla a terra, piangendo come una bambina piccola, con tanto di
moccio al naso e sguardi disgustati della gente che le passa accanto, fingendo
di non riconoscere il grande Hokage che li rappresenta.
Sente la sua risata
echeggiarle nelle orecchie, che sovrasta i singhiozzi rumorosi che le scappano
dalla bocca; quella voce roca che le promette di tornare e che nasconde un
desiderio, una promessa, una richiesta.
Quanto avrebbe voluto udire quelle parole.
Sente bruciare laddove lui l’ha sfiorata per l’ultima volta, prima
di salutarla con il solito sorriso straffottente – prima di lasciarla per sempre.
Caccia un gemito rauco, prima di ricominciare a singhiozzare,
mentre sottovoce ripete quello che gli ha sempre detto con un affetto
malcelato: «Jiraya sei un cretino, Jiraya sei un cretino»
Probabilmente, se lui fosse stato lì accanto, gli avrebbe
perdonato anche quel lato pervertito che più volte gli aveva criticato.
[196 parole]
Auguroni Mimi-chan.
Piccolo pensierino esageratamente triste per questo giorno
speciale.
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Touchmenow
Auguroni Ale!!
Ovviamente
in super ritardo,
ma
un piccolo pensierino scritto con il cuore.
Per
te, che sei una persona ed un’amica
davvero
speciale.
Con
tanto affetto
Aveva sfiorato il suo cuore
con un dito, leggera ed incerta come non lo era mai stata, quasi stesse
toccando un fragilissimo cristallo pregiato, di quelli che venivano accuratamente
disposti dietro le bacheche.
Le sue gemme verdi erano
spalancate dallo stupore, sentiva la gola secca ed arida, quasi non bevesse da giorni – invece era solamente a causa
sua.
Lui, che la scrutava con i
suoi occhi vacui e indifferenti, quell’oro nero che la lasciava sempre senza
fiato e le toglieva ogni possibilità di ragione.
Gli toccò una guancia con
la mano libera, rabbrividendo quando il suo indice si avvicinò al lungo taglio
incrostato di sangue che gli sfregiava la guancia solitamente candida e
perfetta.
«Sei...tornato?», domandò
con la sua voce incerta e leggermente graffiante, mentre sentiva gli occhi
pizzicarle dispettosi, quasi a volerla mostrare debole di fronte a lui.
Sasuke inarcò un
sopracciglio, l’ombra di un ghigno a deformargli il volto ferito.
Sollevò una mano, lasciando
il manico della katana, andando a sfiorare una ciocca di capelli di Sakura,
bagnata dalla leggera pioggerella che aveva iniziato a cadere e a confondere le
lacrime della giovane.
«Andiamo a trovare Naruto»,
sussurrò roco, aggrappandosi a lei e, per una volta, lasciando perdere
l’orgoglio.
Sentì la nuca di Sakura
muoversi su e giù accanto alla sua spalla e, per la prima volta dopo quattro
anni, gli venne da sorridere.
Bentornato a casa.
N/a
Tanti auguri Aleeeeeeeeeeeeeeeeeeee! *_*
Ovviamente non c’è paragone
con il regalo splendido che tu mi
hai scritto, ma cerca di capirmi: la mia ispirazione è ancora in vacanza alle Bahamas.
Non che questi due qui
sopra mi aiutino a ritrovarla, eh.
Bhè, che dire della Fic? È
un possibile (...) ritorno di Sas’ke.
Ovviamente chi mi conosce sa come
dovrebbe finire questa flash. ù_ù
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Alla mia serpe,
che ha una lingua forcuta,
ma con cui rido di cuore,
parlo di tutto senza vergogna,
passo notti intere a fare
scemenze.
A lei che è la sola a capirmi
(siamo incomprese ç_ç).
Al mio colore, animale e pure
fiore preferito.
A Lee.
OurSecret Garden
C’era
qualcosa di magico che alleggiava su quella terrazza.
Non
era il sole che picchiava forte e che ci imponeva di chiudere gli occhi per il
fastidio, che illuminava tutto, facendo splendere ancora di più il tuo sorriso.
Non
era nemmeno il vento che, dispettoso, faceva sollevare le nostre divise e
spettinava i capelli mai perfetti che tu ti divertivi sempre ad arruffare.
Forse
era semplicemente il fatto di essere lì, con te, insieme.
Per
la prima volta ero me stessa, senza maschere o costumi, semplicemente io nelle
mie imperfezioni, che tu accarezzavi sempre e perdonavi, guardandomi in un modo
che ancora ora mi fa rabbrividire di piacere.
Quella
terrazza era magica.
Era
magica perché era un posto che solo noi conoscevamo, che solo noi apprezzavamo
appieno.
Un
posto in cui tu mi prendevi la mano e, imbarazzato, balbettavi qualche frase
senza senso, facendomi sorridere.
Un
posto magico.
Nostro.
Quando spalancai la porta che dava sulla
terrazza scolastica fui costretta a chiudere gli occhi a causa del sole, che
batteva luminoso ed incurante delle nuvole intorno a sé, rischiarando quel
luogo solitamente in ombra.
Un venticello fresco frusciava tra le
fronde degli alberi, facendo salire il loro profumo fino al cielo, facendomi
inebriare di quell’aria di primavera appena nata.
Avanzai con passo svelto, ben attenta a
non essere vista da nessuno, le mani tremanti mentre stringevano un bento di
troppo, quel pomeriggio.
Mi lasciai cadere lungo la rete
d’acciaio, graffiandomi la schiena e non curandomene, pensando che fosse il mio
cuore, in quel momento, ad avere necessità di aiuto.
Si dice che la primavera sia la stagione
degli amori e che solo una piccola parte delle ragazze che dichiarano il
proprio amore all’amato venga rifiutata.
Ovviamente io, Sakura Haruno, diciassette
anni, irrimediabilmente single e presidentessa del club della biblioteca, ero
stata malamente scaricata dal ragazzo più appetibile della scuola, Sasuke
Uchiha.
Non avrei mai saputo dire da cosa io sia stata attratta: Sasuke-kun
era un bel ragazzo, di quelli che ti volti sempre a guardare quando passano per
la strada e che, con tutta probabilità, sono destinati ad avere carriera nel
campo sportivo o cinematografico.
Era affascinante e misterioso con la sua
solita aria crucciata, sposata perfettamente ai capelli neri come la notte e la
pelle pallida come le nuvole.
Amavo osservarlo studiare, nelle ore del
club; sempre solitario e silenzioso prendeva un libro dallo scaffale e stava anche
un intero pomeriggio su di esso, incurante dei mie sguardi e delle moine di
qualsiasi ragazzina gli passasse accanto.
Avevo sognato per mesi la nostra storia, in ogni minimo dettaglio: già progettavo la
nostra prima volta, in una stanza d’albergo a cinque stelle sul mare ed il nome
del nostro bambino.
Sembrava tutto perfetto, bisognava solo
metterlo in pratica. Come constatai, però, la realtà faceva schifo.
Quella mattina era stato chiaro. Senza
troppi giri di parole mi aveva fatto intendere che non aveva tempo da perdere
dietro ad una donna, che aveva ben
altro per la testa.
Troppo orgogliosa per piangere di fronte
a lui, mi ero rifugiata su questa terrazza, sempre vuota e mai caotica come i
corridoi o il giardino scolastico.
La quiete regnava sovrana in quel luogo,
pensai sollevando il capo verso il sole, lasciando che una piacevolissima
arietta mi spettinasse i capelli di un atipico colore rosato.
Fu in quel momento, come se qualcosa mi
fosse entrato in un occhio, che scoppiai a piangere.
Solitamente ero una ragazza composta, che
non si lasciava andare facilmente alle emozioni, ma quel giorno lasciai cadere
tutte le lacrime, singhiozzando e tirando su con il nasocome una bambina piccola, sentendo un dolore
lancinante alla gola per la mancanza di fiato.
«Sai, piangendo in quel modo ricordi
tanto mia cugina. Ha sei anni e mezzo, ovviamente»
Sollevai gli occhi arrossati dal pianto e
per poco non gridai di spavento e meraviglia, trovandomi di fronte il cielo più
azzurro che avessi mai visto in tutta la mia vita.
La mia bocca era aperta in una piccola
“o” di stupore, mentre osservavo rapita i tratti leggermente rudi di quel
volto, non particolarmente bello od attraente.
Il suo sorriso, canzonatorio ma sincero,
fece sì che il mio cuore si esibisse in una doppia capriola, saltandomi quasi
in gola.
Ammirai quella fila di denti perfetti e
bianchissimi, in contrasto con la carnagione abbronzata dal sole.
«Lasciami in pace», sussurrai senza
convinzione, asciugandomi una lacrima e poi un’altra ancora, cercando senza
successo di distogliere gli occhi dai suoi, ignorando il calore che aveva preso
possesso delle mie gote.
Non obbedì al mio ordine, anzi, si
sedette accanto a me, sfiorando accidentalmente il mio ginocchio ossuto e
facendo entrare in contatto le nostre braccia.
Guardandolo di sottecchi, capii che
quella vicinanza non lo turbava per nulla, mentre il mio cuore si era lanciato
in una danza improvvisata e rumorosa, probabilmente udibile perfino dall’altro
lato del Giappone.
«Dato che ti trovo decisamente carina con
i segni del pianto addosso potrei provarci con te, era un consiglio d’amico»
Proclamò con tono di voce divertito,
aggiungendovi poi una risata particolare, viva e sincera, che lo fece
illuminare.
Rimasi estasiata da quel particolare familiare e, senza motivo, desideravo
udirla ancora.
Ignorando il mio silenzio ed il mio
stupore, continuò a parlare, e mi venne da pensare che, sebbene fossi
semplicemente una sconosciuta, volesse consolarmi come meglio riusciva.
«Il ragazzo che ti ha rifiutata è un
idiota», disse dopo un po’ ed io arrossii imbarazzata per quella che decretai
una figuraccia.
Sicuramente, dentro di sé, quel ragazzo aveva
solamente una gran voglia di prendermi in giro e non di consolarmi.
«Lui è...troppo per una come me»
A dire il vero, non seppi perché
pronunciai quelle parole, ne tantomeno perché mi voltai per poterlo vedere
(ancora) negli occhi.
Come previsto, caddi nell’abisso di quel
mare profondo, chiudendo fuori i rumori primaverili e le urla dei compagni di
scuola provenienti dal giardino sotto di noi.
«Sasuke è solo un idiota, come ho già detto,
e tu sei decisamente carina, Sakura-chan»
Non ebbi il tempo che di aprire la bocca
stupita dal fatto che mi conoscesse, perché come se una mano l’avesse spinto,
Naruto si sporse verso di me, sfiorandomi le labbra con le proprie, in un bacio
velato ed inaspettato.
Rimasi pietrificata sul posto, non
reagendo come avrei fatto in quelle situazioni, lasciando che il gusto di un
ramen appena mangiato invadesse la mia bocca, mentre il mio stomaco gorgogliava
compiaciuto e appagato, stringendosi in una morsa per nulla dolorosa.
Ti
staccasti da me di scatto, come se una tarantola ti avesse punto.
Con
un borbottio indistinto di scusa, scappasti via, lasciandomi sola su quella
terrazza, con le dita che sfioravano le labbra appena violate.
In
quel momento, il ricordo del rifiuto di Sasuke-kun si offuscò come se fosse
stato coperto dalle nuvole, per sparire in un cassetto del mio cervello che non
avrei mai più riaperto.
Sfogliai distrattamente le pagine di una
vecchia e consunta copia di Alice nel paese delle meraviglie, lasciando le
gambe nude sotto la luce solare, nella speranza che prendessero un po’ di
colore.
Accarezzai con delicatezza le pagine
dall’aria fragile, pensando che quella era la sesta volta in quattro giorni che
sparivo sulla terrazza, senza motivazioni o scuse campate per aria.
Inutile nascondere il desiderio nascosto
dietro quelle visite. Avrei tanto voluto rivedere quel ragazzo senza un nome,
che era riuscito con la forza di mille uragani a far scivolare via la
sofferenza dovuta ad una delusione.
Ridacchiai tra me, dandomi della stupida
per la superficialità che stavo mostrando, poggiando poi il capo sul libro e
chiudendo gli occhi.
Il canto degli uccellini scomparve,
mentre urla rauche e rumorose mi giunsero all’orecchio, strappandomi con
violenza dal mio stato di pace e tranquillità.
Mi sporsi verso la rete stizzita ma
curiosa, intravedendo le divise verdi e gialle della squadra di rugby della
scuola, stupendomi piacevolmente dall’intensità e dall’impegno che dimostravano
in un semplice allenamento e sotto il sole particolarmente caldo di quel giorno.
Aggrappandomi alla recinzione di metallo
spalancai gli occhi allibita, riconoscendo tra le tante chiome scure una
bionda, che correva perdifiato e, decisa, placcava l’avversario, buttandolo a
terra con un’unica, cruciale mossa.
Senza aspettare un minuto di più corsi
via, veloce come non mai, seppur fossi una frana in educazione fisica e non
riuscissi mai a battere i 50 metri in meno di dieci secondi.
Il libro cadde a terra, con un tonfo
sordo, accompagnando i tacchi delle mie scarpe che battevano sul pavimento.
Quando arrivai affaticata e senza fiato
al campo, con il sudore che colava dal mento e la divisa più appiccicata che
mai al mio corpo mi sentii orribile, gli sguardi dei giocatori che si erano
bloccati di colpo, probabilmente non essendo abituati ad un pubblico.
Con il cuore che ballava un cha-cha-cha,
avanzai veloce, dirigendomi decisa e con volto scuro verso l’unica testa bionda
della squadra, che teneva stretta la palla tra le sue mani. Dall’espressione,
capii che era indeciso se scappare oppure rimanere.
Fui io, quel giorno, a non dargli il
tempo di reagire o di fare qualsiasi cosa.
Sollevando la mano verso l’alto, la
chiusi a pugno, indirizzandola poi sullo zigomo destro del ladro del mio primo
bacio.
A
distanza di anni, avrei voluto baciarti a mia volta e non picchiarti.
Ma
ero Sakura Haruno, non una qualsiasi ragazzina civetta, e dovevo farti capire che
genere di persona fossi.
Ti
scusasti con un panno bagnato sulla guancia, seduto nello spogliatoio del club
di rugby, la voce impastata dal dolore ed un espressione di puro terrore sul
viso, mentre mi tendevi la mano e ti presentavi come “Naruto Uzumaki”.
Ero
compiaciuta mentre constavo il danno della ferita, perché sotto le mie dita
sentivo fremere il tuo corpo, non per paura, per qualcosa che ancora non
riuscivo a credere.
Seppi
solo che da quel momento, con una semplicità quasi assurda, entrasti nella mia
vita, a piccoli passi, iniziando da quella terrazza solitaria.
Bisognava scalare ventitré gradini prima
di poter raggiungere la terrazza, e solo una volta in cima avresti potuto
riprendere fiato, perché sulle scale non vi era alcuna interruzione.
La mia testa fece capolino dalla porta e
sorrisi in segno di saluto quando vidi Naruto sdraiato a terra, le braccia
spalancate all’esterno ed un sorriso totale appagamento sul volto.
M’inginocchiai di fianco a lui, poggiando
a terra i due bento accuratamente preparati, ripensando alle domandine
maliziose che Ino, la mia migliore amica,
mi aveva rivolto quella mattina: per chi
è, è un ragazzo, l’hai già baciato, ti è piaciuto, com’è a letto, è simpatico,
lo conosco, ha la ragazza.
Naruto osservò la mia espressione
divertita e, con un gesto cauto, scostò una ciocca di capelli che mi era
scivolata dal nastro per capelli rosso.
Sussultai sotto il suo tocco, sentendo
bruciare vivacemente la parte di nuca da lui sfiorata, e ritrovandomi a sperare
che lo facesse ancora, cosa che, ovviamente, non avvenne.
A ben vedere, Naruto cercava sempre di
non sfiorarmi più del dovuto, e se lo faceva era sempre per un buon motivo.
Le sue domande e i complimenti che mi
rivolgeva, però, erano sempre schietti e sinceri, intrisi di un’innocenza quasi
sciocca e fastidiosa, per una come me, abituata alle azioni dirette.
«Ti ho preparato il bento»
Lui mi sorrise con gratitudine,
flettendosi verso di me. Intravidi la pelle abbronzata del collo, netto
contrasto con la camicia bianca della divisa, coperta da una leggera peluria
bionda. Avrei voluto sfiorarla, scoprire se scottava come la mia nuca, provare
se era liscia o ruvida, sentire il suo sapore sulle mie labbra.
Mi affrettai ad abbassare lo sguardo,
turbata da quei pensieri, mentre Naruto ridacchiava per una qualche gaffe
compiuta quella mattina.
Lo ascoltai solo parzialmente, mentre
decine di domande si facevano largo nella mia mente.
Non
eri il mio tipo, inutile nascondere l’evidenza.
Non
eri intelligente, non eri bello, né tantomeno intraprendente.
Sembravi
un bambino con le tue risate, i tuoi sorrisi, i gesti innocenti e poco
calcolati.
Forse,
ripensandoci ora, fu proprio quello ed attrarmi.
Io
così abituata ad amare la perfezione mi stavo crogiolando nel piacere dei
momenti passati con te, fatti di battute e silenzi mai imbarazzanti, che
riempivo guardandoti con curiosità e studiando ogni tuo piccolo gesto.
Catalogai
quell’interesse come amicizia.
Fui
una sciocca superficiale.
«Queste cose sono incomprensibili», mi
disse settimane dopo, il libro di matematica aperto sulle ginocchia ed una
cannuccia stretta tra i denti, l’espressione più crucciata che avessi mai
visto.
Ridacchiai divertita, avvicinandomi a lui
e sporgendomi verso la pagina incriminata, lasciando che una ciocca dei miei
capelli cadesse a sfiorare il suo volto, quasi volutamente.
Lo sentii trattenere il respiro, mentre
il mio cuore accelerava i battiti e il mio stomaco faceva le fusa come un gatto
particolarmente soddisfatto.
«Sakura-chan, oggi sei particolarmente
bella», disse con il suo solito tono innocente, facendomi imporporare le guance
e lasciando che il mio respiro si mozzasse per lo stupore.
Mi appoggiai alla recinzione di ferro,
sorreggendo il peso del mio corpo che sarebbe inevitabilmente caduto a terra
per l’emozione provata, mentre Naruto mi osservava con gli occhi blu
spalancati, quasi non capisse cosa i suoi complimenti comportassero per il mio
cuore.
A dire il vero, nemmeno io sapevo nulla
di preciso, ero una testarda che non riusciva a capacitarsi del fatto che
Sasuke fosse sparito con estrema facilità dal cuore.
Quando sollevai lo sguardo dalle sue
scarpe, incrociai le labbra sottili e leggermente screpolate che mi avevano
baciato solamente una volta.
Da quel giorno, non erano mai state così
vicino alle mie, né tantomeno così invitanti.
Scossa da quel pensiero che (ancora) mi
intrappolò, mi alzai di scatto, facendolo cadere a terra e, senza alcuna
parola, scappai via.
Mi sentii quasi una stupida, mentre il
suo sguardo mi seguiva con stupore, prima che scomparissi oltre la porta
d’entrata.
Saltai i gradini a due a due, andando a
sbattere contro svariati studenti e non preoccupandomi mai di chiedere perdono.
Solamente quando una mano piccola ma
forte mi afferrò il polso con decisione bloccai la mia folle corsa, proprio
nell’entrata scolastica di fronte a milioni di armadietti.
Girandomi, trovai Ino Yamanaka con la
coda sfatta e i primi bottoni della maglietta scolastica slacciati. Non mi
preoccupai di chiederle come si fosse ridotta in quello stato, perché iniziai a
parlare senza sosta, imperterrita ed incurante degli sguardi altrui.
Le parole scorrevano via come un fiume in
piena, lasciandomi finalmente un piacevolissimo vuoto all’altezza dello
stomaco, mentre sul viso particolarmente bello di Ino si apriva un sorriso
carico di malizia e divertimento, gli occhi azzurri che brillavano per
l’eccitazione.
«Ti sei innamorata, fronte spaziosa?»,
chiese sarcastica, rifacendosi la coda ed ammiccando in direzione di uno
studente del nostro anno, che ci passò accanto con l’aria più seccata del
mondo, l’aria di uno che non aveva voglia di fare nulla se non di dormire.
Salutai frettolosamente Shikamaru Nara ed
arrossendo quando compresi il motivo dell’aspetto scarmigliato di Ino.
«Tu dai i numeri, Ino-pig», sussurrai
scossa dalle sue parole, voltando lo sguardo da un’altra parte.
Il cuore si bloccò di colpo quando
incontrai lo sguardo carico di preoccupazione che Naruto mi rivolgeva, sulla
soglia della porta d’uscita, accanto ad una ragazza dai capelli neri.
Il
cuore andò in mille pezzi, cadde a terra rumoroso e patetico, lasciandomi con
gli occhi spalancati dal terrore.
Ino,
accanto a me, sussurrò qualcosa di incomprensibile, mentre nella mia mente
danzavano le parole stupida ed idiota in sequenza, come una cantilena
particolarmente brutta che non vorresti mai ascoltare, ma purtroppo sei
costretto.
Fu
vedendo quella scena che mi convinsi a partecipare alla prima partita di rugby
della stagione, pur non conoscendo nessuna regola, nessuno ruolo e solamente un
giocatore.
Non avrei mai pensato di essere un tipo
geloso.
Sasuke-kun era sempre circondato da
ragazzine adoranti, ma nessun mostro verde si era impossessato del mio corpo,
tanto da farmi tremare le mani dall’irritazione.
«Te l’ho detto che sei innamorata»,
sibilò Ino maliziosa, attorcigliandosi una ciocca di capelli biondi intorno
all’indice e gonfiando un palloncino con la gomma da masticare.
Schioccai la lingua sul palato stizzita e
imbarazzata, inchiodando gli occhi su Naruto, che teneva la palla stretta tra
le mani e correva verso la meta.
Più volte cercai di individuare tra le
tribune la figura femminile che avevo intravisto con lui quella mattina,
alternando la ricerca alla partita (a Naruto).
Mi ritrovai a stringere la mano di Ino
per l’apprensione quando, con una spinta secca, fu buttato malamente a terra e
sepolto da una serie infinita di corpi.
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, vedendo
che nessuno si rialzava, che nessuno rideva o scherzava. Vedendo che non stava
succedendo proprio niente.
Dopo una manciata di secondi, si svolse
tutto con estrema lentezza; uno ad uno i giocatori si alzarono dalla massa,
dandosi sonore pacche sulle spalle seguite da risate sguaiate.
Per ultimo, con un sorriso smagliante di
divertimento, Naruto balzò in piedi, abbracciando goffamente Kiba Inuzuka, e
dando una botta sul sedere ad un altro ragazzo della squadra, per nulla
scalfito ed in perfetta salute.
Sospirai di sollievo, lasciando che
l’occhiata allusiva di Ino mi trafiggesse, senza mai distogliere lo sguardo
dalla figura muscolosa di Naruto.
Fu con gioia che accolsi la fine della
partita e mi lascia trascinare senza alcuna replica da Ino verso il campo, con
il capo chino e le gote rosse per l’imbarazzo.
Tuttavia, dovevo capire chi diavolo fosse
quella maledetta ragazzina e, cosa più importante, ciò che davvero sentivo per
Naruto.
Quei batticuori non potevano definirsi
amicizia, quelle emozioni non erano da compagni di fughe o quant’altro.
Me lo ritrovai di fronte non con il
solito sorriso, ma con uno sguardo guardingo, mentre scrutava il mio viso in
cerca di qualcosa che non compresi.
Tentai di sorridere, ma mi uscì solamente
una brutta smorfia, e mi diedi della stupida.
«Bella partita», cinguettò Ino con fare
ammiccante, non a Naruto in particolare: poteva sembrare una ragazza facile, ma
i suoi occhi stavano osservando verso le tribune, un ragazzo dal codino spinoso
e disordinato.
Naruto le sorrise grato, pur non
spostando gli occhi da me: mi sentii improvvisamente riscaldata da tutte quelle
attenzioni.
Quando qualcuno propose di improvvisare
una festa, Naruto approfittò del caos per afferrarmi la mano e trascinarmi via,
senza dire nulla o chiedermi se mi andasse di scappare con lui.
Perché quella era una fuga, no?
Entrando nella scuola, capii subito dove
volesse portarmi e mi lasciai trascinare come una bambola verso la (nostra)
terrazza, incespicando qualche volta nei gradini ed aggrappandomi alla sua
maglietta.
Si scusò un paio di volte per non aver
fatto la doccia, ma non dissi nulla, perché la mia mente stava pensando ad
altro, inebriata dal profumo mascolino che il suo corpo emanava: sarei riuscita
a non perdere il controllo della situazione?
Permisi a Naruto di spingermi contro il
muro, di fronte alla porta su cui dava la terrazza, deglutendo rumorosamente un
paio di volte, una volta terminate le scale.
«Perché sei scappata, Sakura-chan?»,
domandò con occhi colmi di preoccupazione, tanto che quasi mi commossi.
Allungai una mano verso il suo volto, sentendo sotto i miei polpastrelli la
ruvidità di una barba che stava per crescere.
Con il cuore che batteva a mille, gli
chiesi quello che da tempo mi premeva, ma che non avevo mai osato sfiorare per
ciò che stava nascendo (era nato) tra di noi.
«E tu perché mi hai baciata, quel
giorno?»
Capii di averlo preso in contropiede
quando spalancò gli occhi per lo stupore, forse non aspettandosi nulla di così
diretto.
Balbettò qualche scusa insignificante,
per guardarmi rosso in volto, leggermente sudato.
Poi, con uno scatto felino ed un lampo di
decisione negli occhi blu, mi baciò. Premette le labbra sulle mie con passione,
stringendomi la vita e facendo aderire i nostri corpi alla perfezione.
Sentii la sua eccitazione crescere,
mentre gli accarezzavo i capelli biondi, giocherellando stupita da quella
travolgente emozione con il colletto della sua maglietta.
Quando ci staccammo presi un’enorme
boccata d’aria, passandomi poi la lingua sulle labbra, sentendo ancora il suo
sapore nella mia bocca, il suo profumo su di me.
La cosa mi piacque.
«Mi hai fatto...eccitare», sussurrò
qualche secondo dopo, abbassando le palpebre colpevole, lasciandomi e cercando
di non picchiarsi per la sua stupidità.
All’inizio non compresi quella frase, ma
poi la mia bocca si chiuse e si riaprì come grazie ad un comando a distanza e,
prima che potessi dire qualsiasi cosa, mollai una sberla sulla guancia di
Naruto, sentendomi più umiliata che mai, seppur i sentimenti provati fossero
gli stessi.
«Brutto porco!», sbottai con le lacrime
agli occhi, allontanandomi da lui con veloci falcate e spalancando
violentemente la porta.
Arrivando in terrazza, il vento mi
spettinò i capelli e mi fece chiudere gli occhi, mentre Naruto dietro di me
parlava con voce imbarazzata ma decisa, cercando di scusarsi.
«Sakura-chan, io avrei...io ti guardo da
sempre, Sakura-chan», mormorò ad un tratto, prendendomi per mano.
La accarezzò con un dito, disegnando dei
cerchi sul dorso, facendomi venire la pelle d’oca.
Mi morsi il labbro per non interromperlo,
dimenticandomi per un momento della sua confessione poco pulita. Infondo, era
solo un sano ragazzo di terza superiore.
«Mi piaci sin da quando ti ho vista
studiare per la prima volta in biblioteca, Sakura-chan, ma tu non ti sei mai
accorta di me. Tu amavi Sasuke, Sakura-chan», continuò con le gote sempre più
rosse, e io lo trovai particolarmente carino in quel momento, con i capelli più
spettinati del solito e il volto sporco di fango.
Come un fulmine a ciel sereno la verità
mi colse, e mi pentii di non essermi resa conto prima di lui, perché avevo
capito tutto, dalla prima all’ultima. Ed era così ovvio, che avrei voluto
picchiarmi di fronte a lui.
Naruto, il grande amico di Sasuke, come
avevo fatto a non riconoscerlo? Era la sua ombra, il suo compagno, il braccio
destro. Quello che nei corridoi si beccava sempre una sberla da Sasuke, che era
amico di tutti e che, anche senza conoscerti, non riusciva a non aiutarti.
Come avevo fatto a non ricordarmi di lui?
Dei suoi saluti rumorosi, dei suoi sorrisi sfuggenti e delle sue battute di
incoraggiamento?
Chiusi gli occhi ed una lacrima mi cadde
giù per la guancia, solitaria e colpevole.
Naruto la raccolse subito, portandosela
alle labbra, senza mai staccare gli occhi azzurri dai miei.
«Posso baciarti, Sakura?»
Fui io a baciarlo. Balzai in avanti,
colta di sorpresa da me stessa, gettandogli le braccia al collo e facendolo
cadere a terra.
Rise nel bacio, accarezzandomi la schiena
e giocherellando con i bottoni della camicia, passando le mani callose sulle
mie gambe, percorrendole in tutta la loro lunghezza.
Si fermò dopo qualche secondo, il fiato
mozzo, guardandomi ancora, implorante, le mani saldamente incorate ai mie
fianchi.
«Posso, Sakura-chan?», chiese con
innocenza, prima di levarmi la camicia con scioltezza, baciandomi poi il petto,
stringendomi a sé e cullandomi con una dolcezza quasi inumana.
Il quel momento capii che non importava
il luogo, né che lui non fosse il classico principe delle fiabe. Non
importavano i voti di Naruto, o chi fosse quella ragazzina. Importavamo solo
noi, in quella realtà perfetta, in cui
Naruto baciava ogni centimetro della mia pelle, sfiorandomi con amore e
desiderio, mai troppo insistente.
Stringendo le sue spalle e flettendomi
verso la luna, guardai al di là di quella terrazza, augurando a chiunque di
vivere quella favola.
Delucidazioni
(?):
A dire la verità
non ho niente da dire.
Una NaruSaku AU.
Sakura è leggermente OOC? Chissene frega. Perché questa Sakura ci sta, perché
infondo il cuore di una donna è volubilissimo e nessuno di noi sa che castelli
mentali si fa. U_U
È lunga. Questo
ve lo concedo.
Ma è un regalo
per una persona speciale, quindi non mi posso (e non vi potete) lamentare. (L)
Personalmente, vi
consiglio di far leggere la vostra prossima FanFic a Hilly89,
così state sicuri che le risate sono assicurate.
Capitolo 4 *** Come cercare un ago in un pagliaio ***
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Come cercare un
ago in un pagliaio– o la bella
Cenerentola.
L’aveva
vista di sfuggita: una pochette azzurra che sbatacchiava contro il fianco al
ritmo della camminata da ballerina.
L’aveva
colpito particolarmente quella borsa così fuori moda, poco vista alle ragazze
di quei tempi.
L’aveva
incuriosito.
Ma,
quando si era allontanato dal bar per poter vedere meglio quella ragazza, lei
era sparita in mezzo alla folla, come per magia. Quasi fosse uno scherzo, una
sfida.
Una
sfida a ritrovare quella fanciulla.
Una
sfida che lui, ovviamente, aveva accettato.
«Allora fammi capire meglio», borbottò Naruto Uzumaki grattandosi il
mento pensieroso, mentre strizzava gli occhi azzurri in un evidente tentativo
di capire qualcosa. Sas’ke
Uchiha, in piedi di fronte a lui, sbuffò contrariato, già abbastanza in
imbarazzo per la situazione venutasi a creare.
«Per la millesima volta, usuratonkachi...ho visto una ragazza »,
sbottò il moro, in un tono poco colloquiale, che si adattava benissimo
all’espressione funerea del viso pallido.
Naruto annuì con un'espressione mista tra il perplesso e lo stupito:
Sasuke Uchiha, suo migliore amico/nemico dalla seconda elementare, asso nello
sport e nello studio, popolare, ma disinteressato alle donne...colpito da una di loro?
«Si può sapere a che stai pensando?», domandò Sasuke, infine,
arrendendosi di fronte all’ignoranza dell’amico biondo, arricciando poi le
labbra quando l’altro gli espose i suoi pensieri.
«Non capisco come uno con la testa sulle spalle come te possa essersi
infatuato – alla parola, la tempia di Sasuke pulsò – di una ragazzina mai
vista...magari è pure brutta!», decretò l’Uzumaki, spalancando le braccia in
segno enfatico, sputando le ultime parole come se fossero la questione
principale di tutta quell’assurda faccenda.
«Ti ho già detto sette volte il perché, Uzumaki.», Sasuke si sforzò
alla bell’e meglio per non saltare al collo di Naruto e prenderlo a pugni, «Non
è lei ad avermi colpito, ma la sua borsa!»
Il biondo inarcò un sopracciglio alla risposta – già sentita –
dell’altro.
«Per caso la vuoi per te?»
Il rimbombo della sberla che Sasuke gli diede sul capo fece spaventare
una coppia d’innamorati, intenti a baciarsi pochi metri più in là: se ne
andarono seccati, mentre la ragazza dai quattro codini biondi gettava occhiate
assassine in direzione dei due colpevoli.
«Senti lascia perdere, ok?», borbottò Sasuke girando i tacchi,
dirigendosi verso l’uscita del parco.
Naruto si puntellò sui talloni, spostando per una manciata di secondi
il peso del corpo da una gamba all’altra. Poi, preso dal nervosismo, lanciò un
urlo che fece fermare Sasuke.
«Voglio dieci porzioni di ramen, teme!»
* *** *
«Hinata, è da un’ora che non spiccichi parola. Che diavolo hai?», una
ragazza intenta ad osservare con criticità lo stato dello smalto con cui aveva
leccato le unghie il giorno prima pose quella domanda con una gentilezza
inesistente ad una ragazzina dai capelli corvini seduta accanto a lei.
Quest’ultima sussultò spaventata, portando gli occhi di un grigio
quasi bianco sull’amica.
«S-scusa, Ino-chan», sussurrò pentita facendo assottigliare gli occhi
azzurri della bionda.
«Non c’è nulla di cui ti devi scusare. Dio, Hinata, quando avrai un
uomo ti farai trattare come uno zerbino?», domandò Ino sollevando gli occhi al
cielo e poggiando un braccio alla panchina, sfiorando le spalle di Hinata.
La ragazza dai lunghi capelli corvini sospirò, accarezzando con un
gesto distratto la pochette azzurrina che teneva appoggiata alle gambe magre,
coperte da una leggera gonna di seta.
Quella pochette era un regalo fattole da sua madre, Hanako, appena
prima che questa spirasse l’ultimo respiro.
Era un po’ scucita, dall’aria trasandata e vecchia, ma era
perfettamente adatta a lei, nella sua semplicità, poco appariscente com’era.
«Non è ora che ti procuri una borsa un po’ più alla moda?», chiese Ino
captando il gesto dell’amica, con un tono disinteressato: sapeva bene che a
Hinata la moda non importava granché; finché si trattava di magliette o jeans
lasciava fare tutto ad Ino, ma la biondina non aveva mai avuto il permesso di
toccare quella pochette. Per Hinata era quasi un gioiello.
«No, direi di no, Ino-chan», disse con voce sicura la ragazza dagli
occhi più particolari che Ino avesse mai visto, sorridendo leggera ed educata
in direzione dell’amica.
La bionda non ribatté nulla, portandosi un’unghia smaltata di nero
alla bocca, iniziando poi a mangiucchiarla distrattamente. Il nasino dritto era
distorto in una brutta smorfia, mentre sembrava concentrata su qualcosa.
«Mah. Sicuramente a questo mondo ci sarà un uomo disposto ad accettare
questo tuo lato anti-estetico, Hinata-chan», proclamò infine la Yamanaka con un
bel sorriso sul volto da barbie, stringendo l’amica in un veloce abbraccio: non
era una tipa granché affettuosa, lei.
* *** *
«La borsa è come quella?», domandò per quella che poteva essere la
settantaquattresima volta Naruto, indicando maleducato una borsetta di
pailettes blu scuro appartenente ad una donna a braccetto con quello che,
probabilmente, doveva essere suo marito.
Sasuke storse le labbra alla vista dei capelli sparati in aria
dell’uomo, scuotendo il capo in segno di diniego per l’ennesima volta.
Era quasi un’ora e mezza che i due ragazzi passavano in rassegna ogni
singola ragazza con borsette azzurre o simili; Naruto aveva già fatto due
figuracce: la prima con una giovane dai capelli color cioccolato in compagnia
del Presidente dell’associazione studentesca della loro scuola, Neji Hyuuga.
Aveva afferrato la borsetta [rosa!] della ragazza, mostrandola con un espressione
di trionfo verso l’Uchiha.
Si era meritato un pugno dall’accompagnatrice del presidente che,
ovviamente, non aveva mancato di fulminarlo con occhi glaciali.
«Sembrate due maniaci», aveva sibilato quando i due avevano spiegato
l’intera storia, facendo intendere a Sasuke quanto fosse caduto in basso:
quello era un comportamento da Uzumaki, non suo.
«Uzumaki, è azzurra e di stoffa. Credo, almeno», borbottò Sasuke non
facendo caso all’occhiataccia che la donna indicata dal biondo lanciò loro: si
era quasi abituato.
«Non ce la faccio piùùùùù!», strillò allora
Naruto portandosi le mani fra i capelli spettinati e alzandosi in piedi. Fletté
le ginocchia piegate per più minuti, gemendo per il leggero dolore, per poi
guardare il moro dritto negli occhi.
«Io vado a mangiare qualcosa. Chiamo Shikamaru e gli altri, così dopo
ci daranno una mano», sbottò senza entusiasmo e voltando le spalle a Sasuke,
che annuì distrattamente.
Non che gli importasse granché, ma non era propriamente contento che
Naruto sbandierasse ai quattro venti di quella sua improvvisa pazzia; già
sentiva la chiara voce di Kiba Inuzuka additarlo come il maniaco delle
ragazzine con pochette.
Sbuffò spazientito e chiuse gli occhi color pece, massaggiandosi la
testa che pulsava fin troppo forte per i suoi gusti.
Non sapeva esattamente perché si stesse dando così da fare. Di ragazze
ne poteva avere quante voleva, dalla più frivola a quella innamorata pazza. Non
gli erano e non sarebbero mai mancate ai suoi piedi. Era inutile negare che
Sasuke Uchiha possedesse una bellezza quasi femminile, di quelle che ti
colpiscono alla prima occhiata.
Ma a lui quelle oche non piacevano: fissate per il vestiario, il cui
unico problema era l’abbinare la maglietta ai pantaloni e con unghie da strega
[aveva un'avversione per gli artigli].
Gli sembrava quasi assurdo
che, finalmente, qualcuna non avesse quel pensiero al primo posto nella mente:
per quello la pochette di stoffa l’aveva colpito; non per la bellezza o per
altro, ma per il fatto che fosse fuori moda.
Era pura curiosità, la sua; voleva semplicemente scoprire chi fosse
quella ragazza. Non amarla, sposarla ed averci dei figli, come pensava Naruto.
Magari non c’avrebbe nemmeno parlato, visto il suo non saperci fare con le
donne.
Fu con un lampo che, quando riaprì gli occhi sul mondo, vide la
borsetta incriminata passare di fronte a lui. Senza pensarci, le andò dietro, afferrando
per un braccio la proprietaria.
* *** *
Kiba Inuzuka scoppiò in una risata sguaiata quando Naruto ebbe finito
di esporre l’avventura vissuta qualche mezz’ora prima in compagnia di Sasuke.
S’imbronciò per un secondo, sentendosi colpevole: in fondo, Sasuke non
aveva mai confidato a nessuno i suoi intimi segreti, se non quando alle
elementari Naruto aveva bagnato il letto, o quando aveva baciato in terza media
due ragazze alla stessa festa, o quando...bhè, no,
non si pentiva affatto di aver fatto passare il suo amico per un pazzo.
«Non vedo cosa ci sia da ridere», borbottò una ragazza dai capelli
color pesco fissando i ragazzi in cagnesco; Naruto sorrise addolcito, cingendole
poi le spalle con un braccio.
«Sakura-chan, lo stiamo solo prendendo un po’ in giro», esclamò con
allegria, mentre la fanciulla in questione storceva il nasino coperto di lentiggini
stizzita: Sasuke era il suo migliore amico e primo amore, nonostante ora avesse
una storia felice con Naruto; non le andava di sentire quelle battutacce su di
lui!
«Con quell’espressione la tua fronte sembra ancora più grande,
Sakura», proclamò con un ghigno la voce perfida di Ino Yamanaka, appena entrata
nel bar dopo la chiamata di Choji.
La bionda s’accomodò come se nulla fosse accanto a Kiba – che la
osservava manco fosse una Dea – e lasciò cadere a terra la grande borsa violacea,
che subito catturò l’attenzione di Naruto.
Questi, resosi conto del colore, sospirò rassegnato, lasciandosi andare
sulla sedia ed appoggiando la nuca contro la spalla di Sakura.
«Porcellino, tappati quella boccaccia», sibilò la rosa assottigliando
gli occhi verso la bionda che, come se nulla fosse, fece un cenno di muoversi
verso qualcuno alle spalle dei ragazzi.
Tutti si voltarono incuriositi, notando poi la figura minuta di una
ragazzina dai capelli corvini che si torturava in un chiaro segno di nervosismo
gli indici delle mani
Sakura sorrise intenerita, dimenticando completamente l’arrabbiatura
verso Ino.
«Hinata-chan!», esclamò con allegria facendole posto fra sé ed Ino,
dandole poi un leggero bacio sulla gota arrossata.
I ragazzi inarcarono un sopracciglio perplesso ed Ino la presentò
velocemente, addentando poi una delle pizzette ordinate da Shikamaru, seduto di
fronte a lei, che borbottò un impercettibile mendokuse
che la fece sorridere.
«Di che si parlava?», domandò una volta deglutito, inchiodando gli
occhi in quelli così simili ai suoi di Naruto. Hinata, lì accanto, aveva appena
pensato ad una possibile parentela fra quei due ragazzi somiglianti, se non
fosse stato per la pelle di diversa tonalità.
«Sasuke Uchiha sta cercando Cenerentola», la informò Kiba con un
sorriso accattivante che Ino ignorò; Shikamaru, di fronte a loro, spense la
sigaretta nel posacenere, ghignando sotto i baffi.
«Sta cercando una ragazza con una pochette azzurrina», spiegò con più
chiarezza Choji mentre finiva le patatine fritte ordinate in precedenza.
Ino inarcò un sopracciglio albino perplessa, per poi afferrare la
borsetta poggiata sulle gambe di Hinata.
«Una pochette tipo questa?», chiese curiosa, mentre le bocche dei
ragazzi si spalancavano e Naruto afferrava Hinata per le spalle, stupefatto.
* *** *
Gli occhi di Sasuke furono coperti per l’ennesima volta dalla sua
mano, mentre imprecava sottovoce.
Era stato ad un passo così dallo scovare Cenerentola, ed invece si era trovato faccia a faccia con una
bionda dal viso scontroso e quattro ispidi codini sulla nuca. Bella sì, ma con
lo sguardo più seccato del mondo.
Ovviamente si era scusato con un borbottio confuso, decretando che
quella non era esattamente la ragazza con la pochette azzurra che aveva
intravisto fuori dal bar, data la mancanza della camminata da ballerina.
Quasi quasi rinunciava. Insomma, era ad un
passo dal pensare che si fosse immaginato tutto, pochette, camminata, gambe
snelle e ragazza.
Era un po’ come un sogno ad occhi aperti, forse; o una proiezione del
suo desiderio di trovarsi una ragazza terra, terra.
Sbuffò di nuovo, mandando a quel paese il cellulare che aveva iniziato
a suonare con insistenza.
Lo estrasse dalla tasca, e strizzò gli occhi quando lesse il nome di
Naruto sul display lampeggiante.
«Che diavolo vuoi?», sbottò scontroso pigiando il tasto con la
cornetta verde.
Naruto urlò qualcosa, dall’altra parte, che gli fece spalancare gli
occhi.
Boccheggiò per un secondo, per poi sorridere soddisfatto e calmarsi,
appoggiando un braccio sulla panchina.
«Naruto?», il silenzio dall’altro capo lo fece proseguire
imperterrito, «Come cammina?»
«Che
ne so io?!», sbottò Naruto facendo sussultare Hinata, a pochi passi da lui.
Ino,
che aveva udito tutta la conversazione, la esortò a camminare, certa che Sasuke
Uchiha avesse trovato la sua Cenerentola, dopo anni ed anni da vita da single –
sprecato, a detta sua.
Naruto
spalancò le labbra rosse, urlando poi un “SEMBRA UNA BALLERINA, ‘TEBAYOOO!”.
Sasuke fissò la giovane di fronte a lui con un sopracciglio inarcato:
si era aspettato di tutto, ma non una fanciulla come Hinata Hyuuga.
Con le dita che giocherellavano nervose con la cinghia della borsetta,
gli occhi che saettavano a destra e sinistra senza mai soffermarsi in quelli di
Naruto e la frase balbettata con cui si era presentata gli avevano tolto ogni
capacità di esporre parola.
Ma non era solo per quello: la borsetta era lì, bella in vista,
stretta da un pollice bianchissimo e piccolo come quello di una bambina di
dieci anni, con le sue scuciture e la sua imperfezione, dall’aria vecchia e
usata. Gli piaceva.
Con uno sbuffo portò una mano a scostarsi un ciuffo di capelli
corvini, per poi chinarsi sulla giovane e porgerle una mano.
«Piacere di conoscerti, Hyuuga-san», le
aveva detto con fare scontroso, facendo arricciare le labbra perfette e
macchiate di lucidalabbra di Sakura, dietro di sé.
Hinata afferrò con titubanza la mano che Sasuke le porgeva, sentendo
contro la sua schiena gli sguardi di fuoco di Ino, probabilmente segni di
incoraggiamento.
«P-piacere...Uchiha-kun», balbettò arrossendo.
Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte prima di parlare di
nuovo.
«Non male la tua borsa.»
«C-cos’è questa, Sasuke-kun?», domandò Hinata accennando ad
una pochette color pesco che il ragazzo le stava porgendo.
Lui
scrollò le spalle indifferente, mentre con le dita accarezzava la mano fredda
di Hinata, appoggiata sul legno umido della panchina.
«Una
pochette. Quella che hai è un po’ consumata», borbottò accarezzandosi una
guancia, osservandola di sottecchi.
Lei
sbatté per un secondo le palpebre, indecisa. Ma poi le labbra le si piegarono
in un sorriso, e girò il viso verso il ragazzo che mantenne lo sguardo sotto
l’intensità di quegli occhi.
«Grazie
mille, Sasuke-kun. La terrò con cura»
Baciarla,
in quel momento, sarebbe stato facile per lui; tuttavia si limitò ad un
buffetto sulla guancia, mentre il cuore di lei iniziava a battere forte.
«Cambierò questa pochette
solamente quando un’altra persona importante sarà in grado di eguagliare
l’affetto che provo per mia madre, Ino-chan»
Note finali poco serie e poco
chiare:
Ho
trovato questa Fic per caso nella mia cartella, l’ho riletta e mi è piaciuta. È
frivola, leggera, quella che molti definirebbero leggermente infantile. Lo è? Chissenefrega. A me piace.
Mesi
fa questa OneShot si classificò terza al contest His/Her bag indetto da Straycateyes.
Ne fui contentissima, ma non saprei dire perché, mi scordai di postarla.
Ringrazio
le persone che hanno recensito la precedente OneShot,
ossia: Hicchan, Lee, Hika_chan, Hachi92, Fallen Star, Terrastoria (Ale!**),
Ale (**), Lalani, Zoe chan e Kaho.
Fatemi
sapere che ne pensate di questa...se ne avete voglia.
Capitolo 5 *** 5. Principe azzurro all'improvviso (cosa non si fa per amore?) ***
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Éraseunavez
A
tutti i ragazzi che non sanno di essere dei principi azzurri.
E
ad Ale. La dolce, adorabile Ale.
Principe
azzurro all’improvviso – cosa non si fa per amore?
Ino Yamanaka lasciò cadere il pesante e
pregiato vaso di porcellana che teneva stretto tra le dita magre ed affusolate
che si ruppe con un rumore sordo e fastidio; da qualche parte, nelle stanze
superiori, Inoichi Yamanaka strillava spaventato, completamente ignorato dalla
figlia.
Quest’ultima, la bocca spalancata in
un’espressione di stupore, osservava la figura impacciata del ragazzo di fronte
a lei, non curandosi minimamente del valore appena perduto, come se non potesse
credere ai suoi occhi.
Quando si era svegliata quella mattina il
cielo era nuvoloso e preannunciava pioggia. Aveva buttato malamente a terra la
figura dormiente di Shikamaru Nara con un calcio ben piazzato, che stringeva un
cuscino e brontolava nel sonno con frase sconnesse, ma che lei riconobbe come “mendokuse, donne arpie e dormire”; aveva imprecato quasi
un’ora contro di lui, per nulla di veramente importante, come per esempio la
sua pigrizia, i suoi sbadigli, il suo essere in disordine e così dicendo, fino
a che Shikamaru non ebbe la geniale di idea di indossare il classico giubbino
da Chuunin verde e scappare a gambe levate dalla finestra.
Insomma, Ino Yamanaka non avrebbe mai
potuto immaginare che il 18 giugno di quell’anno bisestile avrebbe potuto
assistere alla scena che le si parava di fronte e, guarda caso, la rendeva
niente popo’ di meno che l’aiutante dell’affascinante principe
azzurro protagonista che le stava di fronte.
Shino Aburame – quello Shino Aburame, con il capo incassato tra le spalle ampie, le
gote leggermente arrossate ed il giubbotto perennemente allacciato sbottonato,
in modo da lasciar intravedere un fisico asciutto per nulla da buttare,
attraverso la spessa maglia di rete grigia che, sogghignò Ino, più volte si era
impegnata a togliere, quando Shikamaru andava a trovarla.
Il solito sguardo imperscrutabile oltre
le spesse lenti nere non aiutava la giovane donna a comprendere la sua
espressione, ma non se ne curò troppo: sorrise sadicamente, pregustando l’idea
di assurdo divertimento nell’aria calda di quel lunedì mattina, giorno noioso
di per sé.
«Non è che potresti ripetere, vero?»,
domandò eccitata a quel punto, dopo quasi due minuti di imbarazzante – almeno
per Shino – silenzio, oltrepassando con un’ampia falcata i cocci del vaso
sparsi a terra e correndo a chiudere il negozio, borbottando concitata tra sé e
sé.
Voltò per un secondo le spalle al
ragazzo, che si guardò intorno leggermente preoccupato del fatto di rimanere
solo con la Yamanaka. Non aveva mai avuto realmente avuto a che fare con lei,
se non per una vecchia missione di cui non ricordava nemmeno l’obbiettivo.
La conosceva solo per sentito dire da
Nara e Akimichi, in squadra con lei, ed aveva la fama di essere un’intenditrice
di uomini e donne – non che Shino avesse capito quest’ultimo punto, ma pensava
che Ino fosse la persona giusta per il suo piccolo
problema.
Come attirata dal suo sguardo indagatore,
Ino si voltò a guardarlo in attesa, i denti bianchi che mordevano la carne
morbida e rossa delle labbra, chiaro segno di impazienza. Impazienza che
contraddistingueva ogni donna, gli avrebbe detto Kiba.
La giovane si sistemò il grembiule giallo
alla bell’e meglio, strizzando leggermente il naso sottile alla vista di una
macchia di terra su di esso, scotendo poi il capo con noncuranza.
Con le mani sui fianchi, pensò Shino, Ino
metteva davvero timore. Solo in quel momento comprese appieno le lamentele di
Shikamaru e Choji e, occasionalmente, di Naruto sul suo carattere vagamente
tirannico.
«Allora? Parla!», lo intimò con una nota
minacciosa nella voce, avanzando d’un passo verso di lui.
Il Chuunin, prontamente, indietreggiò,
andando a sbattere accidentalmente contro una pianta grassa e pungendosi.
In quel momento, Aburame, comprese che
qualcuno lassù doveva per forza di cose stare dalla parte della giovane,
altrimenti sarebbe sicuramente riuscito ad evitare ulteriore imbarazzo ed a
fuggire come un pazzo fuori da quel maledetto negozio.
«Uhm», abbozzò un sorriso stiracchiato e
fasullo, facendo saettare lo sguardo alla porta del negozio, prendendo in seria
considerazione l’ultimo pensiero balenatogli in mente: la fuga.
Ma Ino fu lesta; con una forza inumana
per un corpicino così esile e minuto, lo sbatté con forza contro il bancone,
facendolo gemere di dolore e sorpresa.
Si issò a cavalcioni sopra di lui,
bloccandolo in una posizione alquanto equivoca agli spettatori che, attirati
dal fracasso, si erano fermati a fissare sconvolti la vetrina del negozio di
fiori, domandandosi se quella furia bionda fosse la stessa che, qualche volta,
incrociavano per strada insieme al ragazzo del QI pari a 200.
Ino non ci fece caso, mentre le gote
solitamente bianche di Shino si tingevano di uno spassoso color purpureo.
«Y-Yamanaka...non
credo sia il caso di...», tentò il ragazzo, che non si era mai sentito più
imbarazzo in vita sua. A dire il vero, non aveva provato tanta vergogna da
quando Kiba, il secondo anno di accademia, aveva mostrato all’intera classe il
futon sporco di pipì che Shino aveva bagnato la notte, durante un incubo
particolarmente tremendo.
Il giovane si chiese se in
quell’occasione non avesse sognato Ino Yamanaka in persona, mentre appoggiava i
gomiti al bancone in un disperato tentativo di non averla troppo addosso:
Shikamaru, per quanto pigro potesse essere, non amava chi toccasse la sua
donna.
La bionda scosse la chioma chilometrica,
sbattendola poi in faccia a Shino. Con gli occhi cerulei ridotti a due fessure,
diede un colpo di bacino, spingendolo maggiormente contro il bancone.
«Se non vuoi che ti stupri di fronte a
tutti, Aburame, ripeti ciò che hai detto.»
Deglutì, Shino, ed ebbe una grandissima
voglia di bere. Oltre che di prendersi a schiaffi. Come gli era saltato in
mente di chiederle aiuto?
Solo per una stupida frase sentita da
quello stupido di Kiba, quello stupido giorno, dopo uno stupido allenamento.
«Ino
mi ha aiutato parecchio con Hanabi. Probabilmente andrei ancora dietro a
Hinata, se lei non mi avesse aperto gli occhi a suon di sberle!»
Per la prima volta in tutta la sua vita,
Shino si diede del deficiente.
«...vorrei che tu, Yamanaka», scandì bene
le parole, cercando di non guardare nell’abbondante scollatura che la ragazza
metteva in bella mostra, maledicendosi al contempo ed arrendendosi «mi aiutassi
con...Shiho»
Il ninja capì di aver commesso un errore
nel dire quel nome dal sorriso compiaciuto e a dire poco sadico che Ino gli
rivolse e, soprattutto, allo sfarfallio comparso nel suo povero stomaco in
subbuglio. E no, non era colpa dei suoi insetti, questa volta.
Guardando la sua interlocutrice, gli
passò per la mente un’immagine della ragazza a cavallo di una scopa, che rideva
sguaiatamente. Oh, sì. La Yamanaka era proprio una strega.
Ino abbandonò il corpo di Shino con un
gesto tranquillo, per nulla imbarazzata dalla loro vicinanza.
Si sistemò la gonna viola leggermente
sollevata, passando poi ai capelli ed infine di nuovo al grembiule. Tutto con
una lentezza estenuante, quasi si divertisse a farlo soffrire nell’attesa di
una risposta.
Quando con un colpo di frusta dei suoi
capelli, Ino si voltò a guardarlo, Shino si sentì morire. Di imbarazzo, ovvio.
«E sia, Aburame, ti aiuterò con
questa...questa Shiho o come si
chiama. Ma dovrai fare ciò che ti dirò, chiaro?»
Forse fu per il tono eloquente che Ino
aveva utilizzato, o forse perché, infondo,
quell’aiuto lo desiderava davvero, ma si ritrovò ad annuire convinto,
stringendo la mano sottile che lei gli porgeva.
«Bene», sussurrò Ino assottigliando gli
occhi azzurri soddisfatta, scoppiando poi in una risata a dir poco
terrificante, che gli fece venire i brividi lungo la schiena.
Due domande balenarono nella mente di
Shino in quel momento, mentre si allontanava da lei con circospezione.
In che guaio si era cacciato? E
soprattutto, chi diavolo gliel’aveva fatto fare?
∞
Shino maledì mentalmente Ino Yamanaka,
sistemandosi al meglio che poté i capelli che profumavano sinistramente di
cocco e menta. Non voleva ricordare come fosse capitato, voleva semplicemente
rimuovere ogni ricordo di quel lunedì mattina.
Lanciò un’occhiata fulminante alla
giovane, che sorrideva innocentemente seduta nel suo angolino come una
angioletto, facendo però scorrere gli occhi sulla figura rimessa a nuovo dell’erede del Clan Aburame ed annuendo soddisfatta.
Con quel giubbino in pelle ed i jeans scuri
slabbrati, gli occhiali da sole e la solita fascia per capelli in testa, non
era niente male.
Si complimentò con sé stessa, nonostante
avesse dovuto lottare per apportare quei vistosissimi cambiamenti.
A suon di shintenshin
no jutsu, shinranshin no jutsu ed un aiuto
involontario da parte di Sakura, che era arrivata in casa Yamanaka per caso ed
aveva scoperto del piano, era riuscita nel suo sinistro intento.
Era stata proprio Haruno a tramortire
Shino con un bel pugno, in modo che la bionda amica potesse prendere possesso
del suo corpo e mettersi all’opera.
Le ci erano volute ore, ma il risultato la soddisfava appieno.
Ino Yamanaka era pur sempre un genio.
Molto più del suo ragazzo, sicuramente.
«Shino, smettila di toccare i capelli!
Sono perfetti così!», strillò con voce acuta e fastidiosa la biondina, dando
una sberla sulla mano dell’amico, che la fulminò.
«Quando ti ho chiesto aiuto», sibilò
criptico, «non intendevo che avresti dovuto trasformarmi in un sosia di Sid
Vicious»
La ragazza inarcò un sopracciglio albino,
scettica, non chiedendosi nemmeno come il ragazzo conoscesse Sid Vicious. Quel
gesto bastò per far zittire il ragazzo, che si accucciò meglio dietro il
cespuglio di roselline, infestato da qualche coccinella.
«Forse dovrei prenderne una», sussurrò
più a sé stesso che all’altra, che udì comunque e, leggermente addolcita dallo
sguardo disperato di lui, annuì.
Allungando un ditino verso un piccolo
insetto a pois, lo porse poi a Shino, con un sorriso di incoraggiamento.
«Cadrà ai tuoi piedi», assicurò e per
poco il ragazzo ci credette davvero.
Un rumore di porta sbattuta li fece
sussultare entrambi.
Dopo aver gettato un’occhiata preoccupata
alle proprie spalle, Shino si alzò da terra, sbattendo dai jeans gli steli
d’erba che dispettosi gli si erano appiccicati addosso, camminando come un
manichino verso la giovane dai capelli rosso acceso che era appena uscita dal
palazzo dell’Hokage, una pila di carte e fascicoli stretti tra le mani,
sostenuti a malapena e dall’aria molto, molto
instabile.
Ino udì chiaramente un «chi me l’ha fatto
fare?», prima di incrociare le dita e pregare per l’amico.
«Ricordati di fare il gentleman come ti ho spiegato!»,
supplicò gridando a bassa voce per non farsi udire, e nascondendosi meglio
dietro al cespuglio, una visuale perfetta dell’intera scena.
Shino
guardò la figura di Ino Yamanaka di fronte a sé, preoccupato ed allo stesso
tempo curioso.
Gli
stava asciugando frettolosamente i capelli bruni con un phon trovato per caso
in casa Aburame, ciarlando di come avrebbe dovuto comportarsi in presenza di
Shiho.
«Sii
sempre gentile. Falle capire che sei disponibile, che sei generoso, che vuoi
aiutarla. Tutte baggianate da principe azzurro, no?»
Non
attese nemmeno che lui rispondesse, mentre trafficava con una spazzola nel tentativo
di appiattirgli la massa informe di capelli ricci.
Con
uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo ed armandosi di tanta pazienza, Ino
strattonò più forte, vincendo finalmente con un nodo particolarmente ostile.
Finse
di non aver udito il gemito di Shino, mentre continuava il suo discorso
imperterrita.
«Mi
raccomando, Shino. Non rimanere zitto a fissarla, o farai la figura
dell’idiota.»
Tossicchiò udibile, attirando così
l’attenzione della giovane, che si voltò di scatto.
Nell’osservare il volto sudato di Shiho,
seppure in modo difficoltoso vista la pila di roba che la giovane teneva
stretta, il ragazzo sentì i battiti del cuore accelerare.
Osservò tutto di lei per la prima volta
davvero, dagli spettinati capelli rossi legati in una coda bassa, agli occhiali
rotondi e fuori moda, che le conferivano un’aria particolarmente intelligente.
Non che non lo fosse, si corresse mentalmente Shino, il cervello quasi
completamente spento.
«Aburame?», domandò Shiho con una voce
incerta, un sopracciglio inarcato mentre osservava il nuovo look del ragazzo.
In particolare, si fermò sul giacchino di
pelle, apprezzandolo in modo evidente. Probabilmente, l’immagine che lei aveva
di quel ragazzo era quella di un maniaco degli insetti, taciturno e fuori moda.
Shino ringraziò mentalmente la Yamanaka,
che sorrise come se avesse davvero recepito il messaggio.
«Già», disse solo il ragazzo, facendo sì
che Ino dal suo nascondiglio si sbattesse una mano sulla fronte.
La immaginò mordersi la lingua per non
bestemmiare contro di lui in turco.
Tuttavia, Shino non si sentì poi così
idiota.
Insomma, sì, con quella faccia poteva
assomigliare ad un pesce lesso: la bocca semiaperta, gli occhi vacui che lei
non poteva vedere e le mani che giocavano con una cintura trovata
miracolosamente da Sakura.
Però...si sentì anche soddisfatto, perché
lei gli aveva sorriso. Un sorriso che gli aveva scaldato il cuore, così caldo e
gentile da far venire i brividi di piacere lungo le braccia.
«Volevi qualcosa?», gli domandò Shiho con
pazienza, sentendo il peso di fogli e fascicoli farle male alle braccia,
strizzando gli occhi dietro le lenti degli occhiali.
Il ragazzo sbatté le palpebre preso in
contropiede: già, perché l’aveva fermata?
Cercò alla rinfusa nel cervello una
probabile risposta, quando qualcosa di invisibile lo bloccò.
Una forza incontrastabile gli fece
sollevare le braccia, mentre d’un passo si avvicinava alla giovane e afferrava
metà dei fascicoli che portava.
Inarcò un sopracciglio, unico gesto
concessogli, prima di sentirsi libero.
Nara, pensò immediatamente,
prima di perdersi ancora una volta nel sorriso di Shiho.
«Uh, grazie mille! Sei gentile, Aburame-san», chiosò la ragazza deliziata da tanta
galanteria, incominciando ad avviarsi lungo le scale che avrebbero portato al
suo laboratorio.
Shino annuì soddisfatto, seguendola senza
nessun aiuto esterno, ed ammirando la figura snella e minuta della giovane, finalmente accanto a lui.
«Tu fai parte del gruppo otto, vero?»
Annuì silenzioso, osservando una
gocciolina di sudore cadere dalla tempia della giovane.
«Sei in squadra con Hinata, allora! È una
ragazza davvero graziosa!»
Shino avrebbe voluto leccarla via, quella
goccia. E poi, magari, baciare le labbra di Shiho, come da qualche tempo
capitava nei suoi sogni più intimi.
«Ti sto forse annoiando, Aburame-san?»
«Vuoi uscire con me, sta sera?», chiese a
bruciapelo, senza nemmeno udire l’ultima domanda della ragazza.
Questa trattenne il fiato colta di
sorpresa, mentre Ino da dietro il muro spalancava gli occhi in un’espressione
di assoluta compiacenza, fiera del suo pupillo.
La rossa dovette prendere più di una
boccata d’aria, prima di riuscire a tornare a respirare regolarmente; Shikamaru
capì che di appuntamenti non doveva averne avuti molti.
«I-io...non saprei. Non sono...ciò che un
uomo desidera, insomma...»
Mentre Shiho guardava da tutte le parti,
fuorché verso di lui, Shino sentì la voce di Ino premergli nella testa.
«Falle
dei complimenti. Sii cortese ed un po’ galante, alle donne piace. Però
effettivamente alle donne piacciono anche i taciturni. O meglio, a me e Sakura
piacciono i taciturni. Ed anche a Hinata, visto la sua storia con Sas’ke.»
Ino
sproloquiò quasi mezz’ora per conto suo, senza rendersi conto che Shino era
preso da tutt’altro.
Ciarlò
di cose assurde, come mazzi di rose, diamanti, cioccolatini e peluche, facendo
inarcare le sopracciglia del povero ragazzo.
C’era
però una frase che l’aveva colpito, in mezzo a quel trambusto.
«Insomma,
Shino, sii romantico! E con romantico non intendo di prenderla e baciarla, eh!»
Romantico. Quella parola gli rimbombò
nella mente per una manciata di secondi; non riuscì ad affibbiarla a nessun
gesto od azione, mentre il nervosismo iniziava a coglierlo.
Cosa diavolo significava essere
romantici?
«Tu...sei...graziosa?», chiese incerto,
tirando il colletto della maglia nera per prendere aria, mentre le gote di
entrambi prendevano fuoco.
Romantico. Romanticismo. Corrente
letteraria...no, non era sicuramente quello. O sì?
«Mi piace...il tuo modo di essere»,
azzardò ancora, guardandosi intorno in cerca di aiuto.
Avrebbe volentieri accettato un mazzo di
fiori da regalarle, in quel momento.
«Sei diversa dalle altre»
Oppure un diamante, sicuramente più
efficace di quelle parole stupide che avrebbe potuto dirle chiunque.
«Non ti curi del tuo aspetto esteriore,
ma sei comunque bella»
Anche dei cioccolatini, per addolcire un
po’ l’atmosfera. Atmosfera bella tesa, grazie soprattutto alla calura afosa.
A pensarci bene, i cioccolatini si
sarebbero sciolti.
«Sei un po’...come una mosca. Bianca.»
Shiho sbarrò gli occhi, lasciando cadere
i fascicoli a terra.
Si sentì vagamente commossa di fronte a
quell’inaspettata dichiarazione. Portò le sue mani alla bocca, coprendola e
fissando ancora la figura imbarazzata di Shino.
«Io ti ho osservato spesso, Shiho.», la
chiamò per nome per la prima volta, e un formicolio piacevole scosse il corpo
della ragazza.
Nemmeno di fronte ad un sorriso di
Shikamaru si era mai sentita così felice.
«Sei rara e bella, nella tua diversità ed
unicità», borbottò Shino, mentre cercava ancora un significato alla parola
“romantico”.
Quando sollevò gli occhi ed incrociò
quelli lucidi di lacrime della ragazza quasi gli caddero gli occhiali dal naso.
«C-che succede?», domandò preso in
contropiede e mettendo le mani sulle spalle di Shiho e lasciando cadere i fascicoli
a sua volta.
Quest’ultima singhiozzò, buttandogli le
braccia al collo in un gesto intraprendente.
«è...è perché non sono sufficientemente
romantico?», chiese il ragazzo imbarazzato, mentre le dava pacchette sulla
schiena, pianissimo e delicato come non mai.
Shiho scosse la testa da destra a
sinistra contro la sua spalla, fissandolo poi oltre la lente scura degli
occhiali.
«Eri...eri perfetto, Aburame-kun»
«Che
diavolo gli hai fatto, strega?», domandò Shikamaru una volta buttatosi di peso
sul letto della fidanzata.
Quest’ultima
scosse il capo con indifferenza, slacciandosi il nastro che teneva legato i
capelli e sbottonando con lentezza il top viola.
«Ho
solo tirato fuori il lato romantico di Shino.»
«Qualcuno
mi ha detto che hai cercato di stuprarlo», borbottò leggermente seccato Nara,
prendendola per i fianchi e baciandole il ventre piatto.
La
bionda rabbrividì, inarcando la schiena.
«Shikamaru,
mi ami vero?», domandò con un luccichio malizioso negli occhi la giovane,
guardandolo dritto negli occhi.
«Che
domanda stupida, seccatura»
Ino
rise di gioia, gettandogli le braccia al collo ed obbligandolo a sdraiarsi
supino sul letto.
I
due non potevano immaginare che, a distanza di due isolati, Shino stesse
regalando ad una Shiho meravigliosa un mazzo di girasoli ed un bacio.
Delucidazioni:
Allora. Essenzialmente, la
scena romantica, o l’essere romantico di Shino, viene fuori alla fine e lui
nemmeno se ne rende conto. Ciò che fa per Shiho, però, è chiedere aiuto proprio
a Ino. Lui, che è sempre silenzioso e criptico, che si arrangia da sé e trova
persino faticoso parlare con Kiba.
Ecco, il suo gesto d’amore è
proprio quello.
Detto ciò...seconda a pari merito con ballerina classica!*W*
Ringrazio di cuore i giudici e mi congratulo con tutte le altre
partecipanti.
Ringrazio anche le persone che hanno recensito la SasuHina! **
Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino
Yamanaka
Ti dono il
mio cuore
Con
un sorriso malizioso lo guardò da lontano, circondata dalla solita cerchia di
amiche canterine.
Giocavano
alla “Signora Cathrine beve il tè”, tra urla di divertimento e risate sguaiate.
Era
la prima volta che la vedeva, anche perché non era mai stato nel parco
dell’ospedale prima di allora.
Indossava
un pigiama arancione, che risaltava maggiormente il colore dei suoi occhi.
Un
blu così intenso che riusciva a distinguerlo facilmente, seppur si trovasse a
metri e metri di distanza.
Trovò
abbastanza noioso il fatto che un formicolio gli invase lo stomaco, quando lei
lo chiamò.
Il treno continuava la sua corsa veloce,
imperterrito e noncurante dei due giovani nascosti ai due sedili dell’ultima
carrozza, che si tenevano per mano senza guardarsi negli occhi.
Il ragazzo fissava il paesaggio al di là
del finestrino, sentendosi leggermente in colpa per quello che stava facendo.
Erano scappati, fuggiti via da quella
stanza claustrofobica dalle pareti bianche, in cui l’unico colore vivo erano gli
occhi ancora splendenti della ragazza seduta al suo fianco.
Di sottecchi la guardava, un po’ seccato
da quella situazione, chiedendosi se stessero facendo la cosa giusta.
A soli diciotto anni non sai mai cosa
dovresti o non dovresti fare.
Shikamaru Nara era sempre stato piuttosto
maturo per la sua età, un gradino sopra di lei per lo meno, così scalmanata e
mai tranquilla, nonostante i mille problemi che la vita le aveva messo contro.
Sussultò quando l’indice di Ino Yamanaka,
sua amica e qualcosa di più da tempo immemore, accarezzò piano il dorso della
sua mano.
Shikamaru interpretò quel gesto distratto
come un “Ehi, sono qui, ti ricordi?”.
Cercò di sorridere, ma l’unica cosa che
le sue labbra riuscirono a mostrare fu un ghigno amaro, per nulla piacevole
alla vista, tanto che la bionda arricciò la bocca in una brutta smorfia.
«C’è qualcosa che non va?», gli domandò
leggermente piccata, leggermente nervosa, leggermente tutto.
Non le piaceva l’idea di essere scappata
dai suoi genitori, senza lasciare biglietti o post-it. Erano sicuramente
preoccupati.
Però, in un remoto – ma non più di molto
– angolo del suo cuore sentiva il sangue sprizzare gioia.
Egoista, si disse, ma innamorata.
Si strinse maggiormente al suo corpo,
posando un bacio casto ed innocuo sulla spalla del giovane, che sbuffò
sonoramente.
«Qualcuno potrebbe prenderti per una
maniaca, seccatura»
Ino ridacchiò, picchiandolo con poca
forza su un braccio. Una volta ne avrebbe avuta di più..
«Baka, so che in realtà vorresti
chiudermi nel bagno e farmi tua. Credi che non abbia capito il tuo scopo?», chiosò
con un sorriso mefistofelico sul volto particolarmente etereo, facendo
arrossire d’un botto il giovane Nara.
Quest’ultimo si premurò di coprire le sue
gote, sbirciando tra le fessura delle dita Ino ridere con gusto.
«Seccante, ecco cos’è questo viaggio»,
borbottò prima di chinarsi su di lei e far cozzare le loro labbra in un bacio
non del tutto casuale, non del tutto innocente, non del tutto romantico.
Un bacio che sapeva un po’ di amarezza,
un po’ di rabbia e un po’ d’amore.
Ino si aggrappò a lui con forza, come se
non fosse in grado di reggersi di fronte a tutto ciò.
«Sposarci?»
Ino
annuì con vigore, mentre intrecciava margherite e violette nel tentativo di
comporre una ghirlanda floreale.
Shikamaru
dovette ammettere che non se la cavava male, ma il suo pensiero era del tutto
rivolto all’assurda domanda che lei gli aveva appena posto, con il solito
sorriso sulle labbra di chi sa già che otterrà ciò che vuole.
«Abbiamo
dieci anni, Ino!»
«Dico
tra una decina di anni, Shika-chan, quanto sei sciocco!»
Tra
dieci anni, pensò lei con amarezza, quando forse non ci sarò più e non potrò
più rimproverarti per la tua pigrizia.
«Tuo
padre mi staccherebbe la testa, Ino. Sai che seccatura?»
Con
un cipiglio offeso, la ragazzina mollò a terra la ghirlanda, avvicinandosi
all’amico con passo pesante.
«Non
ti piaccio, Shikamaru?!», strillò con voce leggermente isterica e offesa,
mettendosi le mani sui fianchi.
Shikamaru
deglutì, ritrovando in lei la perfetta coppia della madre.
«Non
ho detto questo», sussurrò completamente in imbarazzo, cercando di non fissarla
negli occhi.
Sapeva
che quei due pozzi blu l’avrebbe fatto cedere come nulla.
Amava
– anche se non le avrebbe mai detto nulla – quella sua peculiarità.
«Bene»,
disse Ino in quel momento, soddisfatta dalla risposta, «allora possiamo
sposarci!» e ritornò alla sua ghirlanda, canticchiando sottovoce una canzone
stonata ma piacevole, che gli fece battere il cuore.
Un
cuore che, se avesse potuto, avrebbe donato solo ad Ino, per poter rimanere con
lei in eterno.
Seppur avesse un’espressione seccata e di
noia stampata sul viso, Shikamaru accettò senza fare storie la mano che Ino gli
porgeva, stringendola nella sua, molto più grande e calda.
«Sai, quando fai così», Ino sollevò le
mani intrecciate, «il mio cuore inizia a battere come un pazzo. Sembra che non
sia mai stato così vivo»
Solo lui avrebbe potuto capire la gravità
di quelle parole, gettate al vento come pane per gli uccellini, che
canticchiavano allegri sopra le loro teste in quell’istante, mentre lei lo
fissava con un sorriso felice ed appagato.
«Il tuo cuore è sempre stato vivo,
stupida»
Le scappò una risatina leggera, che lo
fece infuriare.
«Smettila, o ti riporto indietro. Sai
meglio di me che non dovremmo essere qui, ogni passo è un gesto di fatica per
te», per il tuo cuore di cristallo.
La bionda spalancò gli occhioni blu,
sollevandosi sulle punte e facendo svolazzare leggermente la minigonna viola
che indossava.
Poggiò le labbra sulla guancia di
Shikamaru, veloce, prima di improvvisare una giravolta e buttarsi letteralmente
tra le sue braccia.
«Ehi, che diavolo fai? Mendokuse», si lamentò il giovane colto
alla sprovvista e barcollando, mentre lei rideva gioiosa contro il suo collo,
facendolo rabbrividire di piacere.
Chiuse gli occhi, Shikamaru, alla ricerca
della calma.
«Non dovresti azzardare questi bruschi
movimenti, Ino», s’innervosì senza motivo, mentre lei giocherellava con i suoi
capelli raccolti in quella buffa coda, fissandolo negli occhi.
«Mi dai un bacio?»
«Cos...? Ma tu mi ascolti quando parlo?»
Il suo cuore, capì Ino in quel preciso
istante, era davvero vivo solo quando si trovava accanto a Shikamaru.
Shikamaru
guardò suo padre dritto negli occhi, mentre un senso di vuoto lo coglieva.
Tredici
anni, seppur portati con maturità invidiabile, erano troppo pochi per
assimilare una notizia del genere.
«Ino
ha un cuore di cristallo, Shikamaru. Non potrà stare sempre con noi»
Non
illuminerà per sempre le sue giornate, non lo sveglierà dal suo sonnellino
pomeridiano con grida arrabbiate, non gli sorriderà sempre maliziosa, non gli
ruberà baci prima di scappare via.
«Probabilmente,
Ino non arriverà nemmeno ai vent’anni, sai?», suo padre piangeva, mentre lui se
ne stava immobile in mezzo a quel salotto troppo grande per loro due, indeciso
sul da farsi: non riusciva a credere che quell’essere seccante di Ino non
avrebbe passato l’intera vita a rompergli l’anima.
«Perché?»
«Siamo al mareeeeee!»,
strillò Ino con enfasi, buttando le braccia verso l’alto e liberando i corti
capelli biondi dall’elastico che li teneva legati.
In ospedale non era permesso tenerli
lunghi, come piacevano a lei.
«Ino, stai attirando l’attenzione
dell’intera spiaggia», borbottò Shikamaru stringendosi nel cappotto verde
militare, leggermente infreddolito a causa del vento marino che sferzava il cielo.
Ino non sembrava avere i suoi stessi
problemi, nonostante fosse vestita la metà di lui.
Continuava ad urlare imperterrita,
nonostante ci fosse una coppia di sposi probabilmente in luna di miele che la
guardava sorridendo divertita, trovandola particolarmente graziosa in quel
momento di estasi totale.
Nei suoi diciotto anni di vita Ino non si
era mai recata al mare, e questo Shikamaru lo sapeva benissimo: si era sempre
limitata a sognare quei posti grazie alle riviste che lui ogni mercoledì le
portava, durante le sue visite pomeridiane dopo la scuola elementare, che Ino
non aveva mai potuto frequentare.
Rimanevano sdraiati ore ed ore su quel
letto scomodo e duro, sotto gli occhi vigili delle infermiere che non avevano
mai la forza né la voglia di separarli, anche quando l’orario delle visite era
ormai scaduto da un pezzo.
A volte capitava che Shikamaru si
addormentasse, ed Ino rimaneva a guardarlo incantata, magari canticchiando
sottovoce una ninna nanna improvvisata, che lo cullava nei sogni che sempre la
riguardavano.
«Shika, facciamo il bagno?», gli domandò
Ino andandogli incontro senza correre, ben conscia che sarebbe stato un gesto
da pazza inconsiderata, come la loro fuga.
Il moro sbarrò gli occhi, incerto di aver
capito bene la domanda.
«Starai scherzando, spero. Siamo in pieno
inverno!», esalò allargando il cappotto ed attirandola a sé, in un gesto che
voleva scaldarla e allo stesso tempo averla vicina.
Ino ridacchiò, abbracciandogli la vita
con le braccia esili, fin troppo per i gusti di Nara.
«Coccolone», cinguettò alla sua voce,
baciandolo di tanto in tanto sulle labbra sottili e screpolate, rabbrividendo
sotto le carezze leggere ma decise delle mani del ragazzo.
Sussultò quando lui, piegando il volto
contro il suo collo, le sfiorò un seno.
Mai, pensò Ino udendo il suo cuore
battere, aveva sentito rumore più potente dei sentimenti che in quel momento
implosero all’interno del suo corpo.
«Se ti dicessi ti amo mi prenderesti come
la solita romantica, vero?»
Lui le sorrise, stringendola
maggiormente.
«No, come la solita seccatura»
Shikamaru
la trovò bellissima con indosso la divisa delle scuole superiori, seppur la
gonna lasciasse scoperto più del dovuto.
Avevano
deciso di recarsi insieme a scuola, quel primo giorno, ed Ino non aveva esitato
nemmeno per un attimo: l’aveva preso per mano, di fronte ai loro genitori e gli
studenti, ridacchiando per l’imbarazzo di Shikamaru, così impacciato.
Li
osservavano curiosi: una bellezza così differente dalle solite giapponesi e un
ragazzo del tutto anonimo, con un codino a forma di ananas sulla testa.
La
loro storia non sarebbe durata di certo.
Eppure,
quando alla cerimonia di inizio anno, quando Ino lo attirò dietro una colonna e
lo baciò per la prima volta avrebbero dovuto capire che nessuno avrebbe mai
potuto mettersi in mezzo a quell’amore amaro e sincero, nonostante la giovane
età.
L’acqua termale si diceva facesse
particolarmente bene alla salute.
Tuttavia, in quel momento Shikamaru
sentiva che sarebbe potuto morire da un momento all’altro.
Completamente nuda se non per un
asciugamano legato al corpo esile, un sorriso mefistofelico sul viso, Ino stava
entrando in acqua, per nulla imbarazzata.
«Adoro le terme, papà mi ci ha portato
solo una volta, anni fa», disse con allegria, non resasi conto dello stato del suo
ragazzo, seppur le guance fossero ormai del tutto simili ad un pomodoro
particolarmente maturo.
Gli sorrise, nuotando nella sua
direzione.
«C’è qualcosa che non va?», gli domandò,
sfiorando accidentalmente con il suo seno il gomito del giovane, per nulla
felice che lei l’avesse raggiunto.
Dopotutto, era pur sempre un sano ragazzo
di diciotto anni che non aveva mai toccato la sua fidanzata all’infuori di
qualche carezza, no?
Ino sbatté gli occhioni da cerbiatta,
guardandosi poi intorno circospetta.
Appurato che non ci fosse nessuno,
allungò una mano, andando a circondare poi con il braccio il collo di
Shikamaru.
Si issò a cavalcioni sul suo corpo,
sfiorandolo volutamente.
«Ino», la sua voce apparì miracolosamente
ferma, mentre dentro di lui stava infuriando una battaglia sul da farsi, «non
penso sia una buona idea saltarmi addosso, soprattutto viste le tue precarie
condizioni»
Lei assottigliò gli occhi, impadronendosi
delle sue labbra con un bacio famelico e vorace, in cui ci mise tutta la
passione di cui era capace.
Sorrise soddisfatta quando la lingua di
Shikamaru sfiorò la sua con un gemito d’urgenza, circondandole la vita con le
braccia e facendo cozzare maggiormente i loro corpi.
Mille farfalle spiccarono il volo nello
stomaco di Ino, mentre l’asciugamano scivola via, lasciandola completamente
nuda.
«Ino, non so se...», cercò di dire
Shikamaru, osservandola con bramosia vergognosa, cercando di non farla sentire
troppo in imbarazzo o di non sembrare troppo invadente.
Lei lo bloccò con un bacio, aggrappandosi
ai suoi capelli.
«Voglio farlo, Shikamaru. Potrebbe non
esserci più un’altra volta, lo capisci questo?», sussurrò con occhi velati di
lacrime, disperata e totalmente sua, innamorata e appassionata.
Lui capiva bene. Quella sarebbe stata
l’ultima volta per loro, loro che si amavano più di chiunque altro al mondo e
che sarebbero stati costretti a separarsi.
Shikamaru
correva, incurante che quel gesto fosse totalmente seccante e avesse rovinato
il suo riposino.
Nei
corridoio dell’ospedale era vietato correre, ma a lui non importava granché.
Un’infermiera
gli urlò contro, e la scansò malamente, continuando imperterrito per la sua
strada.
Si
fermò con il fiatone di fronte alla stanza 2322 dell’ospedale di Tokyo,
inspirando per prendere coraggio.
Quando
aprì la porta scorrevole per poco non svenne.
«Shikamaru!»,
strillò Ino balzando giù dal letto e buttandosi tra le sue braccia.
Il
ragazzo poté sentire chiaramente le lacrime bagnargli il maglione che lei
stessa gi aveva regalato, un anno prima.
«Tuo
padre mi ha detto che ti hanno ricoverato d’urgenza, che diavolo è successo?»,
domandò scostandosi da lei e facendola sedere in malo modo sul letto.
Ino
singhiozzò per un attimo, afferrando la mano di Shikamaru.
«Qualcosa
non va in me, Shikamaru. Ormai ho diciotto anni, la mia vita è giunta agli
sgoccioli», esalò contro le sue labbra, il fiato caldo e piacevole.
«Non
dire sciocchezze, Ino»
«Vorrei
tanto avere un cuore forte come quello di Temari, ed avere il coraggio come lei
di lottare per il tuo amore»
Shikamaru
inarcò un sopracciglio incerto, stava forse blaterando?
«Sai
che di Temari non m’importa nulla, no? Sarebbe una seccatura troppo semplice da
gestire per un masochista come me», lei ridacchiò, annuendo.
«Lo
so. So che ami questa stupida ragazza con un cuore maledetto, Shikamaru. Anche
lei ti ama, sai?»
Ino chiuse gli occhi, lasciando che la
mano di Shikamaru sfiorasse il suo corpo nudo.
Il buio celava il momento e nessuno dei
due voleva sollevarsi da quel futon ed andare ad accendere le luci.
Quell’oscurità sembrava aver dato la
forza ad entrambi.
Inarcò la schiena contro la bocca del
giovane quando lui la baciò sul collo, scendendo e creando una scia infuocata
che la fece gemere.
Agganciò le sue gambe contro di lui,
chiamandolo a gran voce.
Ogni bacio che la sfiorava era come una
medicina per alleviare il dolore, amaro e al tempo stesso piacevole.
Le sue mani che l’accarezzavano con
infinita delicatezza sembravano come parole dei medici, che l’avvertivano di un
lieve peggioramento, un sorriso d’incoraggiamento sulle labbra, seppur gli
occhi dicessero che ormai tutto era già stato fatto.
La sua voce, così roca e inebriata di
piacere, le faceva chiudere gli occhi e ricordare quel ragazzino che
l’osservava da lontano, seduto su un’altalena e con il braccio rotto.
Gli si era avvicinata con il solito
sorriso ed aveva iniziato a spingerlo, certo che lui avrebbe saputo
ringraziarla e non di certo urlarle contro che era la più grande seccatura
dell’universo, dopo Yoshino Nara.
Ricordò con un gemito quando lui la
nascose dietro gli armadietti, solamente tre mesi prima, per poterla baciare in
pace, lontano dagli occhi bramosi di Kiba Inuzuka, che di Ino sapeva poco o
nulla.
La sua mente disegnò con cura il disegno
di Shikamaru, così che non ebbe bisogno della luce per immaginare l’espressioni
sul suo volto in quel momento, limitandosi ad assecondarlo e ad amarlo senza
condizioni.
Con quelle leggere carezze, lui,
inconsapevolmente, le aveva donato il suo cuore, facendola veramente vivere per
la prima volta.
Quel cuore che, volente o nolente,
l’avrebbe ricordata in eterno e sarebbe stato per sempre solamente suo.
«Ti amo»
Ino
non lo guardò entrare, se ne stava con un braccio appoggiato sugli occhi,
nascondendo il volto scarno e dimagrito.
Era
quasi un mese mezzo che era stata ricoverata in quel maledetto ospedale.
L’avrebbe
sicuramente trovata brutta, così poco curata e con i capelli ormai ridotti a
flosci e spenti fili.
«Mi
hanno detto che oggi ti sottoporranno a degli esami pesanti, seccatura», le
disse sedendosi accanto a lei, mentre il cuore bruciava: voleva guardarla negli
occhi.
«Sarai
la solita seccatura: urlerai come un’oca isterica, tirando calci e pugni, così
che dovranno legarti al letto»
Avrebbe
voluto prenderla e baciarla, alleviare quel dolore ingiusto che la stava pian
piano dilaniando.
«Magari
poi ti ricompenseranno con una brioche, per farti star buona»
Deglutì,
quando lei mostrò un occhio vacuo e per nulla felice.
«Sono
buone, sai?»
«Shikamaru?»
«Dimmi,
Ino»
«Portami
via da qui»
N/a:
Niente da dire, se non che sono
felicissima.
In questo momento ho trentanove e mezzo
di febbre, indi per cui capirete che non mi va di stare qui a digitare
informazioni e varie.
Spero semplicemente che vi piaccia, io a
questa Fic ci tengo particolarmente. I banner sono stati fatti da Hika_chan, che ringrazio di cuore: ha scelto due immagini
perfette, cogliendo appieno lo spirito della Fic.