Burg der Lügen

di Nori Namow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lügen ***
Capitolo 2: *** Eigenartigkeit ***
Capitolo 3: *** Einsamkeit ***
Capitolo 4: *** Eis ***
Capitolo 5: *** Willkommen ***
Capitolo 6: *** Speicher ***
Capitolo 7: *** Familie ***
Capitolo 8: *** Vereinbarung ***



Capitolo 1
*** Lügen ***





"È più facile credere a una bugia ripetuta mille volte che a una verità sentita per la prima volta."




Lügen
 

La ragazza inclinò la testa su un lato, osservando la grande casa che emergeva fiera dall’altro lato della strada. Era seduta su un ramo spesso di un albero, abbastanza in altro da poter guardare l’oggetto del suo interesse.
Nonostante il buio e la nebbia fossero tanto opprimenti da impedirle di vedere a dieci centimetri dal proprio naso, lei riusciva a vedere tutto; ogni finestra, porta, filo d’erba che la circondava. Alzò appena la testa, giusto in tempo per scorgere la finestra che dava sulla sua stanza, illuminata da una flebile luce.
Strinse la presa sul ramo dell’albero mentre le pupille le si dilatavano a dismisura, quasi come se non fosse del tutto umana. Come i gatti pronti a lanciarsi sulla propria preda.
Dondolava le gambe avanti e indietro, comodamente seduta sull’albero secolare a cento metri dalla grande villa.
Le sue iridi, nere come quella notte senza stelle, si colorarono di un rosso cremisi: era pronta.
Come  un rito che aveva fatto tante volte, impaziente, si leccò il labbro sbavando appena il rossetto rosso, finché non pronunciò una parola a fior di labbra.
«Mentigli.» sussurrò a voce talmente bassa da non riuscire a sentirla nemmeno lei. Una breve e silenziosa folata di vento.
Poi, qualcuno all’interno della grande casa urlò disperato, le sue strilla che si disperdevano nell’aria fredda di ottobre.
La ragazza sorrise.
 
 
 
 
«Hey, Deike!»
Maledii per l’ennesima volta la passione di mia madre per i nomi tedeschi. Ma che razza di nome era Deike? Odiavo il mio nome in quanto tutti lo pronunciavano ‘Deike’, così come andava scritto. E invece no, accidenti, si pronunciava ‘Deikà’.
Mi voltai verso la voce che mi aveva appena chiamata, continuando a camminare all’indietro fin quando non mi scontrai con qualcuno. La mia schiena sbatté violentemente contro il petto del solito studente frettoloso, così mi girai verso di lui pronta ad utilizzare al meglio la mia acidità.
Un paio di occhi azzurri, abbastanza simili ai miei, mi gelarono sul posto.
«Se non hai i dannati occhi dietro la testa, cerca di evitare di camminare all’indietro.» Louis Tomlinson mi fece una smorfia, poi continuò a camminare come se nulla fosse successo.
Spalancai piano la bocca, inviperita da quel suo solito comportamento freddo e distaccato nei confronti dell’intero Universo. Tra l’altro, lui stava camminando in avanti e non era riuscito ad evitarmi. Segno che, come al solito, camminava guardando i suoi piedi.
«Deike, devi smetterla di scontrarti con Mister Strambo. Sei già pazza di tuo, non vorrei che lui ti mischiasse la sua pazzia tramite, non so, qualche parassita.» mi riprese Zayn, schioccandomi un bacio sulla guancia.
Feci una smorfia disgustata per provocarlo, e lui in tutta risposta pensò di scompigliarmi i capelli ondulati (si fa per dire) che erano già orrendi senza l'intervento delle sue mani "divine".
«Evans, sei la migliore amica più disgustosa che esista, lo sai?» mi fece notare per l’ennesima volta Malik, mentre si portava una sigaretta alle labbra.
Alzai gli occhi al cielo, dandogli uno schiaffetto sulla mano per fargli finire la sigaretta a terra.
Qualche studente distratto, frettoloso, e che probabilmente desiderava la sua morte dato l’amore di Zayn per le sigarette, la calpestò, continuando il suo percorso all’interno della Kennet School.
Per inciso, noi vivevamo in un paesino sperso dell’Inghilterra chiamato Tadley.
Undicimila abitanti, cani e gatti compresi, Tadley era quel tipo di paese dove nessuno avrebbe desiderato vivere per sempre. L’unica fortuna che avevamo era la distanza fra la nostra patetica cittadina e il posto in cui avrei desiderato vivere, anche sotto un ponte: Londra.
Ritornando al mio migliore amico che stava per scoppiare a piangere osservando il cadavere della sua Lucky Strike, gli diedi una pacca sulla spalla.
«Dobbiamo andare in classe, Zayn, quindi niente fumo.» dissi cercando di simulare il tono più affranto che conoscessi. Non fu un grande successo. Eppure a volte sapevo essere così dolce e tenera. Certo, capitava in rarissimi momenti dove le mie dimostrazioni d’affetto avevano un secondo fine, ma questi erano dettagli futili e sicuramente trascurabili. Avevo problemi a dimostrare il mio amore verso le persone, forse perché non volevo abituarmi, o forse perché il mio cinismo e il mio realismo mi portavano a vedere le persone per quello che erano: animali, egoisti, che sfruttavano i propri simili per non provare disagio ed, eventualmente, sbarazzarsene quando ormai non erano più utili.
«Ah, e so di essere disgustosa. Infatti sarò talmente disgustosa da proporti per l’interrogazione di matematica.» sbattei le palpebre e sorrisi amabilmente, mentre Malik m’implorava in una lingua a me sconosciuta.
 
La cosa che odiavo del giovedì, era la lezione di matematica che durava due ore di fila.
Centoventi minuti rinchiusa nella stessa stanza con Louis Tomlinson aka Mister Strambo, e Zayn Malik.
Non che quel tipo desse tanto fastidio, anzi, se ne stava sempre per i fatti suoi come se qualcuno gli tenesse puntata una pistola alla tempia, pronto a spararlo alla prima sillaba fuoriuscita dalle sue labbra sottili e rosee. Non era affatto brutto però, il signorino. Solo aveva quel nonsoché di tenebroso e mistico, come se attorno a lui aleggiasse un alone di mistero. Aveva capelli castani, sottili, che gettava all’indietro ogni qualvolta qualche ciuffo gli si posava sugli occhi. A volte, quando compieva quel gesto, aveva l’aria stanca di chi ha passato una notte terribile. Era snello, molto, e aveva qualche addominale appena accennato, e ciò lo avevo appurato durante le lezioni di educazione fisica quando toglieva la maglietta ed il suo torace era ben esposto al popolo femminile che, fra parentesi, aveva una collezione mentale di filmini porno con lui protagonista, nonostante nessuna di loro lo ammettesse pubblicamente. Louis non aveva amici, e di questo ne ero certa perché non usciva mai, non parlava mai con nessuno se non sotto interrogazione, e non sorrideva mai. 
Erano anni ormai che non lo faceva più.

«Evans, è pregata di tornare fra noi esseri umani, la ringrazio.» sbottò il professor Cox, squadrandomi come se rimpiangesse i tempi in cui era possibile picchiare gli studenti. Patetico idiota, accidenti a lui e alla sua matematica scadente. Mi rimisi seduta in modo accettabile, premurandomi però di far strusciare bene la sedia e di mostrare così tutto il mio astio verso di lui. Ci fu qualche risatina sommessa, quella sguaiata di Zayn ed il rumore evidente di una matita spezzata in due.
Da Louis Tomlinson.
Ah, dimenticavo, Mister Strambo era un fan accanito del silenzio, della buona educazione e dello studio.
Se avesse potuto farlo, probabilmente ci avrebbe privato tutti delle corde vocali.
Perché Mister Strambo era il classico secchione (anche se non aveva affatto l’aspetto dei secchioni dei film americani) che usciva per ultimo dall’edificio scolastico, che arrivava per primo al mattino, che in mensa si sedeva da solo e che ti rivolgeva la parola solo per rimproverarti.
Finsi di interessarmi alla lezione e di non aver notato il respiro affaticato a causa della rabbia di Louis, poi presi un foglio di carta scarabocchiando una cretinata qualsiasi. A differenza di Tomlinson, io ero educata ma a tratti ribelle. Accartocciai il foglietto sparandolo contro la tempia di Zayn, mentre il professore osservava la lavagna esponendo agli studenti il suo lato B che definire ‘scadente’ era un eufemismo. Pochi secondi dopo la pallina di carta passò sopra la testa di Louis, sfiorandola per un pelo, e poi cadde sul mio banco.
 
“Che palle Malik, mi sto annoiando.”
 
“E perché stai torturando me?”
 
Gli lanciai un'occhiataccia, scrivendo poi frettolosamente sul foglio con la mia grafia disordinata.
 
“Sei il mio migliore amico, quindi fottiti. Hey, hai visto Mister Strambo? Ha spezzato la matita in due HAHA”
 
La lanciai senza prendere la mira e infatti colpii lo zigomo di Louis, che mi guardò come si guarderebbe l’assassino di una famiglia di gattini.
Fu tentato di strappare il bigliettino, poi di aprirlo. Però si limitò a passarlo a Zayn, sibilando qualcosa.
Quando mi arrivò la risposta, la mia mascella toccò terra.
 
“Ma smettila Deike. Te lo stavi mangiando con lo sguardo.”
 
Scrissi in fretta la mia risposta:
                                                                 
“M’incuriosisce, e allora? Inoltre non è per niente male, una sveltina forse ci starebbe.”
 
Nuovamente, per evitare di essere scoperta dal professore, lanciai il foglietto nel posto sbagliato. Colpii Louis in testa, impallidendo. Se avesse aperto il bigliettino e avesse letto ciò che avevo scritto sul suo conto, avrei fatto meglio a confinarmi in casa mia per il resto dei miei giorni.
«Professore, la signorina Evans e il signor Malik si scambiano bigliettini.» disse con voce atona Mister Strambo al professor Cox.
Questo si voltò come un fulmine, squadrandomi e osservandomi con quello sguardo omicida.
«Evans! Fuori, adesso!» sbraitò come un cane con la rabbia, mentre io mi alzai offesa.
Mi voltai verso Tomlinson, i miei occhi azzurri puntati nei suoi, quasi come ad augurargli la peggiore delle torture.
«Non lo sai che non si fa la spia, altrimenti gli altri ti emarginano? Oh, aspetta, tu sei già sfigato!» urlai verso di lui, scatenando tutta la mia rabbia.
Odiavo le spie, i secchioni paladini della giustizia e quello sguardo accusatore e un po’ divertito di quel tipo.
«E tu se devi scambiarti messaggi compromettenti con il tuo ragazzo, prendi bene la mira prima di colpirmi in testa tremila volte!» urlò lui, fronteggiandomi a testa alta. Pensava davvero che io e Zayn stessimo insieme? Ok che era bello, e ok che eravamo sempre insieme.
E ok, ho dato a lui il mio primo bacio perché volevo imparare, a tredici anni. Ma non stavamo insieme, no, per nulla al mondo. Ma non potevo dirlo in quel momento.
«Che c’è secchione, hai perso il conto? Ti ho colpito solo due volte, come sei tragico!»
«Evans, fuori o la mando dal preside!»
«Per fortuna ci sono testimoni, altrimenti ti avrei preso a pugni e tu saresti corso a casa tua con la coda fra le gambe.» sibilai inviperita, spingendo poi Louis fino a farlo sedere nuovamente al suo posto. Raccolsi la borsa e il libro ancora chiuso, poi uscii dalla classe sbattendomi violentemente la porta alle spalle.


 Sapevo di essere stata totalmente infantile, ma quel ragazzo mi mandava in bestia. Era amante del silenzio, e allora perché apriva quella bella boccuccia proprio quando doveva tacere? Lo faceva apposta, ne ero sicurissima.
Trangugiai il mio pranzo così velocemente che mi meravigliai del fatto che il mio esofago non si fosse lacerato, bevvi un’intera bottiglietta d’acqua tanto che mi mancò il respiro e pensai di stare affogando. Il tutto, mentre i miei occhi azzurri come i lapislazzuli trafiggevano ogni parte del corpo di quell’emarginato sociale che sedeva a pochi metri da me, da solo, e con tranquillità mangiava il suo pranzo. Come aveva potuto fare la spia? Come aveva potuto pensare che io e Zayn…? Inorridii al solo pensiero.
«Evans, stai torturando Mister Strambo con lo sguardo.» mi fece notare Malik, ridendo sguaiatamente come suo solito.
«Lo odio. Mi ha fatta passare davanti a tutta la classe come la troia di Zayn Malik.» sputai arrabbiata, stringendo la bottiglietta di plastica ormai vuota.
Questa si contorse nello stesso modo in cui avrei voluto ridurre Mister Strambo.
«Non sei la mia troia, Deike. E poi nessuno dà retta a ciò che dice Tomlinson, lo sai.»
Mi alzai di scatto, ringraziando il cielo che quel giorno sarei tornata a casa prima. Misi la tracolla in spalla, camminando a grandi passi verso Louis per poi superarlo e dirigermi in auto. Quando lui alzò lo sguardo su di me, gli alzai il dito medio in risposta.


 Alcuni giorni dopo ero ancora stizzita dal comportamento del signorino Tomlinson, fortunamente non avrei avuto nulla a che farci per il resto della mia vita. Eppure le sue occhiatacce non mi sfuggivano, come se dopo giorni ci fosse ancora dell’astio fra noi. Non ricordavo di essere mai stata più nervosa, ero così tesa che nemmeno una molla avrebbe potuto eguagliarmi.
Avevo bisogno di una sigaretta, di rilassare i nervi grazie al silenzio e perdermi con lo sguardo nella natura.
Infatti, invece di dirigermi verso casa, andai dal lato opposto, nella periferia di Tadley. Lì le case erano rare, perciò non avrei avuto addosso gli occhi indiscreti degli altri abitanti. Ingranai la marcia, ma percepii chiaramente che qualcosa non andava nell’auto. Andai nel panico, avvertendo il veloce ridimensionamento di velocità. O meglio, l’auto sembrava sbandare appena e pendersi su un lato.
Mi accorsi troppo tardi che la gomma anteriore si era bucata, ma fortunatamente riuscii ad accostare al lato della strada.
Uscii fuori imprecando a mezza voce, finché non cominciò a piovere abbondantemente. Imprecai nuovamente, innervosendomi ancora di più. Presi il cellulare pronta a subire la collera dei miei genitori, quando notai con orrore che in quella parte del mondo, i cellulari non prendevano.
«Cazzo.» sibilai, dando poi un calcio alla ruota sgonfia. Mi girai intorno, fregandomene della pioggia che mi aveva inzuppata da capo a piedi. I miei occhi intercettarono l’unica casa presente e abitata nel raggio di tre chilometri. Strabuzzai appena gli occhi, emettendo un lamento disperato. Avrei preferito essere in qualsiasi altra parte del mondo, ma non lì.

L’unica casa nei dintorni era quella di Louis Tomlinson, il  Castello delle Bugie.


ok, eccola qui. Sempre la stessa fan fiction ma leggermente modificata.
Rileggendola avevo notato che c'erano cose che non mi piacevano. Il succo della
storia però non è cambiato. Essendo passati due anni dall'ultimo capitolo pubblicato,
mi sembrava stupido riprendere come se nulla fosse.

Per chi legge questa storia per la prima volta, invece, ciaoo!
Ok premetto che questo primo capitolo sembra stupido, o meglio, lo è.
Abbiamo a che fare con una Deike Evans (Kaya Scodelario) e un Louis Tomlinson depresso
fantastico still beautiful. Sì, c'è Zayn. No, non mi andava di sostituirlo. Nel 2013 c'era lui
e nel 2015 ci sarà ancora lui. Premetto che questa storia NON sarà un triangolo amoroso.
Lo so che è spoiler ma lo dico perché qualcuno potrebbe pensarlo e magari dire
"hell no".
Lasciatemi una recensione, desidero davvero sapere cosa ne pensate e se ne vale la pena leggerla/scriverla.

BYE.

@marvelastic on twitter (ah, a giorni dovrebbero cambiarmi il nickname su EFP quindi non abbiate pauraH)
E Sam, se mi leggi, scusa se ho aspettato due anni per continuare. :c


 

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Capitolo 2
*** Eigenartigkeit ***





"I nostri pensieri danno forma a ciò che noi supponiamo sia la realtà."

 

Eigenartigkeit

Quando realizzai che l’unico modo per non far preoccupare i miei né per far destare loro sospetti sul perché fossi nella periferia di Tadley, fosse andare a bussare a quella porta, rabbrividii. Pochi giorni prima avevo furiosamente litigato con quel tipo, non potevo semplicemente sorridere e bussare alla sua porta, chiedendogli di aiutarmi.
Per prima cosa, Mister Strambo non invitava mai nessuno in casa sua. Secondo, erano pochissime le persone che avevano avuto la fortuna di mettere piede in quel posto, quando tutto era più o meno… normale.
Quando i genitori di Louis erano vivi.
Perché dieci anni prima, i genitori di Louis furono trovati morti all’interno di quella casa. La cosa che spaventava di più, però, era che nessuno sapeva come erano morti. Li avevano semplicemente trovati stesi a terra nella loro cucina, privi di vita. Come se il loro assassino avesse tolto loro solo l’anima. Nessun avvelenamento, nessun colpo di pistola. Assolutamente nulla.
Louis stava giocando una partita di calcio, nei lontani tempi in cui aveva qualche amico.
Da quel giorno si barricò in casa, nella stessa casa dove i suoi erano morti e viveva con la nonna paterna, Susan. Anche lei era come un essere mitologico, visto che praticamente nessuno la vedeva mai in paese, proprio come il nipote. Qualcuno diceva di averla vista sul ciglio della porta mentre aspettava paziente che il nipote tornasse da scuola.
Louis veniva soprannominato Mister Strambo per vari motivi: troppo secchione, troppo silenzioso (quando gli conveniva), troppo timoroso, troppo diffidente. A volte sembrava così spaventato da farci pensare che lui vedesse mostri che noi non potevamo vedere.
Per non parlare del fatto che a volte cominciava a tremare e usciva fuori dalla classe come un fulmine. Marie, una ragazza del terzo anno, disse di averlo trovato nello sgabuzzino dei bidelli mentre si teneva la testa fra le mani.
 

Respirai profondamente, cominciando a muovermi in avanti. Non potevo sperare nel miracolo di un’auto che passava di lì, nessuno passava di lì se non i residenti.
E i residenti ormai erano tutti nelle loro case, al caldo, incuranti di una ragazzina ferma in mezzo alla strada.
Più camminavo, più casa Tomlinson si avvicinava, più avevo paura.
Quella casa era diversa dalle normali case inglesi, partendo dalla sua forma.
Sembrava proprio un castello formato da varie torri. Aveva un portico ampio e fatto di legno dipinto di un bianco ormai scrostato. Il portone era nero e lussuoso, mentre da ogni rilievo delle mura vi era una finestra grande e addobbata da una tenda di colore rigorosamente scuro. Quando il mio sguardo si posò su una finestra illuminata, vidi una piccola ombra che si apprestava a svanire dalla mia vista. Probabilmente era Susan, pensai.
Una cosa era certa, quella casa era grande, vecchia, ma perfetta e lussuosa proprio come la vita dei Tomlinson prima dell’incidente. Suo padre era un biologo ed insegnava anche all’Università, mentre sua madre era un’agente immobiliare.
Mi fermai con le gambe tremanti vicino al primo scalino bianco del portico, respirando piano.
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson dopo quel giorno, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Alcuni pensavano che i genitori morti di Louis vivessero ancora lì, spaventando chiunque si fosse avvicinato al figlio; pregai con tutta me stessa che quelle fossero solo dicerie.
Salii i tre scalini, poi mi avvicinai alla porta e bussai cautamente.
Pochi secondi dopo, un Louis Tomlinson circospetto e stralunato venne ad aprirmi. Quando mi vide, con il trucco colato a causa della pioggia e i capelli ridotti ad una vera cagata, inarcò un sopracciglio.
«E tu che vuoi?» sbottò infastidito, squadrandomi da capo a piedi. Ok, avevo una terza scarsa di seno, che per di più si vedeva a causa della maglietta bagnata, e quindi?
Gli schioccai le dita davanti al viso, convincendolo a guardare la mia orribile faccia.
Dovevo essere gentile, o mi avrebbe sbattuto la porta in faccia e sarei stata messa in punizione dai miei per il resto dei miei giorni. E la punizione comprendeva niente wifi, cellulare, netbook. Potevo morirne.
«Mi si è bucata la ruota dell’auto ed il mio cellulare in questo buco di posto non prende. Pertanto, visto che casa tua è l’unica nel raggio di tre chilometri, vorrei chiederti se gentilmente seppellissimo l’ascia di guerra. In poche parole, prestami il tuo cellulare e te ne sarò grata per sempre.» dissi tutto d’un fiato, aspettando una sua qualsiasi reazione. Louis sembrò in imbarazzo, spostando il suo peso da un piede all’altro come a pensare alle mie parole.
Ero stata formale e gentile, non mi avrebbe detto di no.
«Ehm scusa ma ho dei lavori in casa e…» sussurrò a mezza voce, grattandosi dietro la nuca.
Fui tentata di dargli un pugno in faccia, ma non potevo perdere quell’unica occasione.
«Senti, Louis. Devi solo farmi fare una chiamata, poi tornerò fuori, al freddo e al gelo, mentre la pioggia acida consumerà il mio povero corpo da diciottenne, ok?» sillabai, cercando di calmare la mia ira funesta. Invano.
«N-No, scusami ma n-non p-posso….» balbettò, osservando poi qualcosa dietro di sé. Forse era la nonna.
«Perché no?»
«Perché.. beh… cosa vuoi? Prima m’insulti e mi disprezzi, poi vieni a chiedermi aiuto?» si scaldò a quel punto, serrando i pugni.
«Oh, scusami se la mia macchina ha deciso di farsi bucare una ruota nei pressi di casa tua.»
Un rumore sordo, come una sedia che strusciava. Doveva essere sicuramente la nonna.
«Oh, salve signora Susan.» urlai verso l’interno della casa, sperando che mi sentisse. Magari lei sarebbe stata più gentile del nipote.
Louis si chiuse la porta dietro di sé, fronteggiandomi. I nostri petti quasi si toccavano, ma io non avrei fatto un passo indietro.
Mi serviva il suo aiuto, e lui me lo avrebbe dato, volente o nolente.
«Senti, è complicato, ok?»
«Cosa c’è di complicato? Devi solo darmi un telefono e farmi chiamare, mica ho detto che voglio fare sesso sul soffitto. Quello, è complicato.» ribattei, mentre il mio cervello contorto immaginava una scena del genere. Dannazione, quella casa aveva brutti effetti su di me.
«E poi sarei io quello strambo…» Louis scosse la testa, facendomi segno di aspettarlo. Fuori. Al freddo.
Tornò pochi secondi dopo con il cordless in mano, mentre ne osservava lo schermo. Me lo porse e io tentai invano di comporre il numero di mio padre, ché Louis me lo strappò di mano.
«Vedi di essere più gentile con me. Non ti chiedo di essere la mia migliore amica, ma almeno abbi la decenza di non sputtanarmi davanti a tutta la classe.»
Oh, da che pulpito.
«Tu mi hai fatta passare per una sgualdrina, lo sai?» gli puntai l’indice sul suo petto che sì, era anche muscoloso e caldo, mentre lui indietreggiava appena.
«Ero solo… arrabbiato.»
«Tu sei sempre arrabbiato.»
«No, non sempre.»
«Beh, quando non sei arrabbiato sei strano. E ora dammi il telefono o giuro che entrerò in casa tua.» lo minacciai, affilando lo sguardo.
Composi il numero di mio padre, lo chiamai dicendogli che avevo restituito degli appunti che Louis aveva dimenticato a scuola, poi attaccai in sua attesa. Louis inarcò un sopracciglio, indispettito.
«Mi hai portato degli appunti, certo.» convenne ironicamente, mentre io sorridevo sghemba.
«Beh, non potevo di certo dirgli: “Hey pà, volevo fumare una sigaretta.”. Quindi tu mi terrai il gioco, Tomlinson.»
«Altrimenti?» sorrise sincero, il primo sorriso che vedevo spuntare sulle sue labbra sottili. Quando sorrideva era ancora più bello, avrebbe dovuto farlo più spesso. Per un attimo ebbi l’istinto di portare gli indici delle mie mani ai contorni della sua bocca, e tenerli così. Facendolo sorridere ancora un po’, ancora di più.
«Posso entrare? Devo aspettare mio padre e qui si congela.» spiegai, facendolo imbarazzare nuovamente.
Forse aveva la casa in disordine, o c’era qualcosa che non voleva farmi vedere. Doveva esserci un motivo valido, se quella casa veniva chiamata ‘il Castello delle Bugie.’
«Ehm, no. Mia nonna non si sente molto bene e… e non può muoversi, è confinata a letto per qualche giorno. È molto debole.»
«Un’altra scusa, Tomlinson?» dissi con voce monotona, capendo il suo giochetto.
«La casa è in disordine, e non stavo mentendo su mia nonna. Lei davvero…»
«Oh, ma tu devi essere Deike Evans, la figlia di Luke!» una voce femminile e soave arrivò alle mie orecchie. Due secondi dopo una donna anziana, sui settantotto anni, comparve sulla soglia. Era vestita bene nonostante fosse in casa, e sembrava decisamente in ottima forma.
«Salve, signora Susan.» sfoggiai il mio sorrisetto innocente e da ragazzina, mentre il mio cuore desiderava porre fine alla vita di Louis.
Sua nonna stava più che bene, anzi, benissimo.
«Oh, ma cosa fai lì, tutta infreddolita? Falla entrare, Lou.» si aggiustò gli occhiali a mezza luna, poi mi rivolse un sorriso dolce e rientrò in casa.
«Confinata a letto, certo.» sibilai a denti stretti, tirando un pizzicotto all’avambraccio di Louis, che mi guardò indignato. Era improvvisamente impallidito.
Così imparava a mentirmi.
Il mio cuore perse un battito quando misi piede all’interno dell’abitazione. Era bellissima, l’arredamento era idilliaco e perfetto.
Non c’era un filo di polvere, e ciò mi fede capire che Louis spendeva abbastanza bene il suo tempo libero, in fondo.
Seguii un Louis offeso in cucina, mentre io cercavo con lo sguardo sua nonna. Stava bene però sembrava strana, quasi diversa.
Louis mi indicò una delle sei sedie che erano poste attorno al tavolo, e mi sedetti guardandomi intorno. Il mio sguardo poi si posò su un caminetto acceso che si trovava nel soggiorno, dentro al quale scoppiettava un fuoco anch’esso dall’aspetto tetro.
Mi chiesi dove fosse finita Susan. Per essere anziana, si muoveva davvero in fretta e me ne accorsi quando sentii un tonfo provenire sopra di me, nella stanza del piano superiore. Louis sobbalzò, osservando spaventato il punto in cui proveniva quel rumore.
Prese la pentolina con l’acqua bollente messa a riscaldare poco prima, poi la versò in due tazze uguali, dove già vi era il filtro per il the.
Un altro rumore, questa volta un po’ più forte e quasi arrabbiato. Louis strabuzzò gli occhi, deglutendo a fatica.
«Cosa sta combinando Susan?» sorrisi ingenuamente, cercando di sciogliere la tensione e il silenzio imbarazzante creatosi poco prima.
Louis scosse la testa, scacciando chissà quale pensiero, poi mi guardò. «Niente.»
Mi voltò le spalle, giocherellando con il liquido della sua tazza che pian piano diventava ambrato.
Fu allora, che decisi di compiere quell’azione che forse fu stupida e infantile. Non sappiamo mai per certo se un semplice gesto potrà stravolgere la nostra vita. Quell’azione idiota, semplice, calcolata, ebbe il potere di stravolgere la mia intera esistenza e questo l’avrei capito solo in futuro.

Pescai un quaderno qualsiasi dal mio zaino e lo misi sotto al tavolo cercando di non produrre alcun rumore.
Mi serviva una scusa per tornare lì e per rivedere Louis.
C’era un motivo, se quella casa veniva chiamata Castello delle Bugie, e io avrei scoperto perché.
Una porta al piano superiore sbatté furiosamente e Louis rovesciò il contenuto della sua tazza a causa dello spavento.
Perché si spaventava tanto nel avvertire quei rumori? Si comportava come se in casa ci fosse solo lui. Sua nonna era misteriosamente scomparsa e doveva essere lei, al piano superiore. Però non sembrava avere la forza di produrre tanto rumore, né sembrava il tipo.
«D-Devi andartene, ok? Mi dispiace Deike.» balbettò, toccandomi una spalla per invitarmi ad uscire. Quella sua paura, quel terrore che provava, mi convinsero della mia scelta.
Sarei tornata nel Castello delle Bugie con la scusa di riprendermi il quaderno. Salutai Louis e corsi sotto la pioggia, raggiungendo la mia auto e aspettando mio padre.
Mentre dal sedile anteriore osservavo casa Tomlinson, notai che la luce della cucina si spegneva e si accendeva ad intermittenza.
Come se qualcuno si stesse divertendo a premere l’interruttore.



Ciao. Ecco il secondo capitolo.
Diciamo che fino all'ottavo cercherò di procedere abbastanza spedita.
Dall'ottavo in poi credo aggiornerò una volta a settimana in quanto voglio
portarmi molto avanti con i capitoli u.u
parliamo del capitolo: deike piccola bastarda sfruttatrice ♥
La casa di Lou è quella nel banner, è da quella foto che ho preso spunto per
la "forma" da dare al castello. A proposito del banner, sto ancora decidendo se
lasciare questo o se farne un altro. Magari più in là, sì.
So, cosa ne pensate? Schifo/Brutto/Orribile/Accettabile?
TELL ME, mi sento così insicura.
E boh, vi lascio una gif di Deike e scompaio.
Ho gli appunti di zoologia da copiare e sono very sad
Bye.
@marvelastic

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Capitolo 3
*** Einsamkeit ***




"Nessun uccello vola troppo in alto, se vola con le proprie ali."



 

Einsamkeit


 

La mattina dopo, misi in atto il mio piano. Non sapevo da dove traessi il coraggio di ritornare in quella casa bella ma lugubre e decisamente da brividi, però c’era qualcosa, forse quella mia voglia di avventura, la stanchezza della monotonia di Tadley.
O forse era Louis, quel suo sguardo spaventato mentre udiva quei rumori. Louis non era sempre stato così, anzi, era stato un bambino normale e solare, più di tutti gli altri.
Avevo bisogno di sapere cosa nascondeva, di conoscere il suo segreto. A quanto pareva Louis aveva trovato il mio quaderno degli appunti, infatti appena arrivata a scuola aveva tentato invano di attirare la mia attenzione. Io l’avevo volutamente evitato, ringraziando il fatto che quel giorno non avessimo lezioni in comune.
Avrei finto di essere dispiaciuta e sarei ritornata a casa sua per riprenderlo, magari questa volta l’avrei bevuto sul serio, il the.
Poi gli avrei chiesto di sua nonna, l’avrei salutata e avrei tirato fuori un qualsiasi argomento pur di rimanere lì. Cercai di non offendermi troppo, pensando che mi aveva praticamente cacciata fuori da casa sua, e mi concentrai sugli avvenimenti del giorno precedente.
Rumori alquanto molesti e troppo forti per una vecchina che doveva, oltretutto, essere malata. Invece era in forma persino più di me.
Mister Strambo che in un primo momento aveva osservato la nonna come se avesse visto un fantasma. La vecchina che si teneva a debita distanza da noi, come se avesse paura di toccarci. E poi Louis che si divertiva ad accendere e spegnere la luce. Forse desiderava rendere la sua cucina una piccola discoteca, non avevo assolutamente altre spiegazioni logiche.
«Deike, perché Mister Strambo ti guarda?» sussurrò Zayn al mio orecchio, facendomi sobbalzare.
Mi voltai verso di lui, ma con la coda dell’occhio riconobbi il corpo di Louis che si avvicinava probabilmente per restituirmi il mio quaderno. Non in quel momento, pensai, perciò presi Zayn per la manica e lo trascinai con me a fatica.
«Ieri sono uscita fuori paese per fumare e mi si è bucata la ruota vicino casa sua.» spiegai velocemente, svoltando a destra.
«Wow, cazzo. Mi stai dicendo che.. che…» la sua voce tremò, e mi stupii di quanto fosse grande e grosso, ma fifone da fare schifo.
«Sì, sono entrata nel Castello delle Bugie. E fidati Zayn, c’è un motivo ben preciso se lo chiamano così.» tremai dalla paura al solo pensiero di ritrovarmi un fantasma di fronte, mentre Louis preparava del the. Quella casa sembrava avere una mente tutta sua.
«Wow, e ci sono le ragnatele? Aracnidi grandi quanto gli ippopotami? Cadaveri in decomposizione?» domandò Zayn, più emozionato.
Gli diedi uno schiaffo dietro la nuca, indignata. Non mi andava che pensasse quelle cose di Louis, era strambo ma non a tal punto.
«La casa è perfetta e bellissima. Solo che Louis mi nasconde qualcosa.» spiegai brevemente, svoltando questa volta a sinistra.
Stavamo girando attorno allo stesso corridoio, e tutto quello solo per non incrociare Louis.
«Louis?! Da quanto tempo chiami Mister Strambo “Louis”?!» Zayn fece una smorfia, e io gli diedi l’ennesimo schiaffo. Prima o poi avrebbe definitivamente perso qualche rotella a furia di essere colpito.
«Stai zitto, è una persona normale, più o meno.» lo difesi. Lo sguardo che il mio migliore amico mi rivolse mi fece arrossire.
Deike Evans non arrossisce mai, accidenti.
«Deike?»
«Sì?»
«Non è che hai una cotta per Mister Strambo?» chiese malizioso Zayn, dandomi una leggera spallata.
Se avessi bevuto del the, lo avrei sputato fuori come un lama. Non poteva pensare una cosa del genere, proprio no.
«Smettila, mi fa solo pena. In fondo gli sono morti i genitori, non è giusto trattarlo così.» cercai di difenderlo, ottenendo come risposta una risatina rassegnata. Zayn scosse il capo.
«Deike, gli vengono degli attacchi isterici. A volte piange da solo e parla da solo.» mi ricordò lui con tono di ovvietà.
«Stai zitto. Se è così è perché gli è successo qualcosa. E io voglio sapere cosa.» chiusi il discorso, entrando poi nell’aula di biologia.
Zayn alzò le spalle, poi mi diede un bacio sulla guancia e andò nell’aula di musica.
 

Masticai a fatica il croissant alla Nutella mentre , spaparanzata sul divano, cercavo un programma decente in tv.
Avrei passato un’altra ora in balìa della pigrizia, poi sarei andata al Castello delle Bugie per riprendermi il quaderno.
Naturalmente, e purtroppo, Louis non era stupido. Aveva capito che lo evitavo intenzionalmente e che avevo finto di non averlo sentito quando mi aveva chiamata a gran voce, uscita da scuola. Pazienza, l’importante era avere una scusa valida per ritornare lì.
Non era da me farmi in quattro per le persone e aiutarle, specialmente per quelle che non conoscevo affatto.
Però la curiosità di scoprire quel suo segreto che sembrava terrorizzarlo, andava oltre i miei standard di menefreghista. A Tadley non accadeva mai nulla, l’unica leggenda locale era appunto quella dei Tomlinson. E la mia vita era fin troppo monotona e noiosa, pertanto dovevo trovarmi qualcosa da fare, prima che mi assalisse la voglia di prostituirmi per rendere la mia vita più avventurosa.
Qualcuno suonò al campanello e pensai fosse Zayn, perciò non mi preoccupai di aggiustare la coda di cavallo sfatta, o di controllare che gli abiti casalinghi non fossero sporchi di nutella. Mi limitai ad aprire la porta, a strabuzzare gli occhi, ad urlare, e poi a richiudere la porta con un tonfo secco.
Già, non avevo preso in considerazione l’idea che Louis sapesse dove abitavo. Pensavo che, siccome non usciva mai, non sapeva nulla di me e delle stradine del paese. Respirai profondamente, non avrei potuto evitarlo per sempre. 
Riaprii la porta con nonchalance, mentre lui mi guardava stralunato, con la pioggia battente che lo inzuppava come un biscotto nel latte.
«Ciao Louis! Come mai sei qui?» sorrisi ingenuamente, aspettandomi che ricambiasse educatamente. Ma dimenticavo che Mister Strambo non era il massimo quando si parlava di rapporti umani. Mi porse il quaderno con rabbia, serrando la mascella.
«È tutto il giorno che mi eviti, e ieri hai dimenticato questo fottuto quaderno a casa mia. Perciò sono venuto a riportartelo.» sbottò, voltandosi senza neanche salutare.
Gli corsi dietro e lo tirai per una manica, facendolo voltare nella mia direzione. Non poteva andarsene, non poteva mandare il fumo il mio piano per rendere la mia vita meno noiosa.
«Grazie, che gentile. Vuoi un the? Non preoccuparti, saremo gli unici esseri umani, visto che odi così tanto la tua specie.»
Scosse amaramente la testa, sorridendo triste. Ok, forse dirgli che aveva sviluppato una specie di allergia al genere umano, non era il massimo.
«No, devo andare a casa.»
«Che ti frega? Tua nonna non morirà per un’ora di ritardo e poi casa tua è sempre lì, non si sposta.» gli feci notare, mentre lui cercava segretamente di sfuggire alla mia presa.
Strinsi la mia mano attorno al suo braccio.
«No senti, mia nonna… Le ho promesso che sarei tornato subito.» mi liquidò, poggiando una mano sulla mia per convincermi a mollare la presa.
Quel tocco fu così delicato e breve, nonostante mi sembrò che per un attimo avesse indugiato.
«Se continui ad isolarti, non devi lamentarti di ciò che pensa la gente di te.» sbottai acida, voltandogli le spalle.
Non lo sapeva che era un gesto da gentiluomini, accettare l’invito di una donzella? Ecco, lui non era affatto un gentiluomo.
«Ma io non mi lamento di ciò che pensa la gente di me!» mi urlò lui dietro, innervosito dal mio commento. Lo fronteggiai nuovamente, guardandolo negli occhi.
«A tutti  interessa sapere cosa la gente pensa. E potrai negarlo all’infinito, io non ti crederò mai.» sputai acida, aggiungendo poi alla litigata una spintarella sul petto che di scherzoso non aveva proprio nulla. Non solo volevo aiutarlo a farsi finalmente una vita, lui osava declinare anche i miei inviti.
Ipocrita, disgustoso, maledetto, fottuto rovina-divertimento. Stavo per raggiungere il portone di casa quando Louis mi sorpassò e mi si parò davanti.
Mi poggiò una mano sulla spalla, ma la tolse subito dopo. «Deike, tu non sai nulla di me, della mia vita, di ciò che passo. Quindi stanne fuori, ok?» Stranamente, pronunciò il mio nome in modo corretto.
La sua non era una minaccia, non l’aveva detto con tono cattivo o arrogante. Sembrava preoccupato e sinceramente spaventato.
La paura, ecco cosa mi colpiva di più di Louis. Quella paura di qualcosa che lo affliggeva.
«Non so niente della tua vita? Tu non ce l’hai una vita, Tomlinson.» lo guardai in cagnesco, poi entrai in casa e mi chiusi una porta dietro alle spalle.
Non avrebbe deciso lui, per me. Sarei stata io a decretare quando smettere.
E non avevo ancora intenzione di mollare la presa.
 


Il mattino dopo, Louis stava davvero da schifo. Non credevo di essere capace di provocare questa specie di reazione in lui. Infatti non lo credevo. Sapevo che il motivo era un altro, ed era qualcosa di più grave e misterioso. Non aveva affatto dormito, lo si capiva dalle occhiaie che gli contornavano gli occhi, la carnagione pallida e gli occhi lucidi. Aveva le spalle curve e guardava in basso, come se sperasse di essere risucchiato dagl’Inferi da un momento all’altro. Mi dispiaceva per lui, per il modo in cui l’avevo trattato il giorno prima. Ciò era strano perché io non ero solita dispiacermi per qualche azione compiuta in passato.
Prima che entrasse nell’edificio scolastico, mi osservai intorno per non farmi vedere dagli altri, poi presi Louis per la manica e lo trascinai sul retro della scuola dove nessuno ci avrebbe visti.
«Hey, stai bene?» chiesi preoccupata, scrutando il suo viso stanco e decisamente invecchiato. Lui si limitò ad osservarmi, come se per lui vedere una persona che si preoccupasse per lui fosse un evento più unico che raro.
«Deike, vai al diavolo.» sbottò sull’orlo delle lacrime, mentre si apprestava ad allontanarsi da me. Boccheggiai, incapace di credere alla sua stronzaggine. Gli corsi dietro e lo voltai verso di me, per poi prenderlo per il collo del maglione e agitandolo come uno shaker per cocktail.
«Prova a ripeterlo e ti do un pugno in faccia, hai capito?» sibilai.
Louis sembrò spaesato per un attimo, senza reagire alla mia minaccia. Si passò stancamente una mano fra i capelli, osservandomi poi come a chiedersi perché fossi ancora lì.
«Che giorno è oggi?» chiese semplicemente, spiazzandomi.
«Ehm, cinque ottobre. Perché?» gli risposi facendo mente locale, mentre il suo volto si rilassava appena.
«Oh, bene. Benissimo. Grazie. Andrà tutto bene, allora.» sussurrò come in stato confusionale, mentre i suoi occhi azzurri erano occupati ad avere uno sguardo vacuo. Poggiò le mani sulle mie per convincermi a lasciarlo andare, mentre la mia preoccupazione nei suoi confronti aumentava.
E capii che Louis oltre ad essere un ragazzo solo ed a volte scontroso, aveva davvero qualcosa che non andava, stava davvero male.
La risposta più facile sarebbe stata: “la solitudine lo sta uccidendo”. Ma io sapevo nel profondo del cuore, che non era la solitudine a fargli questo.
Per la prima volta in vita mia sentii emergere quel lato protettivo che pensavo di non possedere. Louis poteva sembrare minaccioso, pazzo, ma la verità era che era il più fragile di tutti, e io avrei scoperto perché a costo della vita.
Non era la solitudine, a fargli questo.
Era il Castello delle Bugie.



 


Here i am.
Ho deciso di aggiornare, per ora le cose sono statiche e noiose ma
prometto che miglioreranno. E se vi annoierò comunque, mi metterò ad uccidere
gente così le cose oltre ad essere noiose, saranno anche tristi.
Insomma sto guardando le mie vecchie storie/os e hHAHAHAHAH
mi viene da ridere e da piangere allo stesso tempo.
Davvero let me know cosa pensate u.u
bye
@marvelastic

p.s. Ero Emoon, finalmente efp mi ha cambiato nickname!

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Capitolo 4
*** Eis ***


"Le bugie più crudeli sono spesso dette in silenzio." - Robert Louis (manco a farlo apposta hahaha) Stevenson
 

Eis

Due giorni dopo, mi avvicinai con un sorriso sulle labbra ad un Louis che sembrava aver ripreso sembianze e comportamenti umani. 
«Ciao Louis.» lo salutai sbattendo le palpebre, mentre lui sobbalzò impaurito. Si poggiò una mano sul cuore, respirando a fondo. «Deike, perché vuoi che mi venga un infarto?» mugolò continuando a camminare verso la sua auto. Lo seguii con dei passetti; nonostante fossi alta quasi quanto lui, Louis aveva un’apertura delle gambe maggiore delle mie.
«Senti, dovrei fare una cosa e Zayn non può accompagnarmi. Verresti tu?» mentii spudoratamente, non intenzionata a mollare la presa.
Misi su il mio faccino con gli occhi lucidi e grandi, l’espressione capace di sciogliere anche l’iceberg del Titanic. Louis inarcò un sopracciglio con fare annoiato, poi scosse la testa e continuò a camminare.
«Scordatelo.» sbottò, disattivando con le chiavi dell’auto la serratura delle portiere. Aprii la bocca incredula, poi andai verso la portiera del passeggero ed entrai in auto, sfoggiando il mio miglior sorriso riconoscente.
«Grazie, come sei gentile.»
Louis entrò in auto e sembrò scioccato da quella mia spudoratezza e dal mio interesse per lui.
«Scendi dalla mia auto, Deike.»
«Ma tu hai detto che mi farai compagnia.»
«Ma anche no. Hai un sacco di amici, cosa te ne fai del pazzo di paese? Vuoi che comincino a parlare male anche di te?» mi fulminò con lo sguardo, mentre io mi mordevo furiosamente la lingua per non imprecare.
«Non m’interessa di ciò che pensa la gente.» ribattei incrociando le braccia al petto. Louis scoppiò a ridere, poggiando le braccia e la testa sul volante. Aveva riso e per un attimo risi anche io di riflesso.
«Deike, cosa mi hai detto tre giorni fa?» si picchiettò il dito sul mento, fingendo di concentrarsi.
«Ah, sì. A tutti  interessa sapere cosa la gente pensa. E potrai negarlo all’infinito, io non ti crederò mai.» disse, ricordando alla perfezione le parole che io gli avevo detto pochi giorni prima. Aveva ragione, mi ero praticamente tirata la zappa sui piedi.
«Non importa, tanto nel posto dove dobbiamo andare non ci sarà nessuno ad osservarci, va bene?» ringhiai, perforandolo con lo sguardo.
«Devo andare a casa, Deike.»
«Ma che palle, chi c’è ad aspettarti a casa tua? La tv? Una serie di dvd porno? La tua bambola gonfiabile? Beh, qualunque cosa sia, può aspettare.» sbottai con le mani strette a pugno. Louis abbassò lo sguardo, affranto.
«Non è così che funziona la mia vita, Deike. Ti prego, stanne fuori.» sussurrò a mezza voce, scrollandomi appena per le spalle come a chiedersi perché non riuscissi a notare una cosa così ovvia come quella che mi stava dicendo. Ma io non capivo, nessuno avrebbe potuto farlo.
«E come funziona la tua vita, Louis?» chiesi a quel punto, incantata per un attimo da quei suoi occhi azzurri come il cielo sereno. Erano belli, specialmente in quel momento, senza esser circondati dalle solite occhiaie e con una scintilla di vita che mai prima d’allora avevo notato. Ma del resto, era la prima volta che osservavo con attenzione i suoi occhi screziati di un blu leggermente più scuro.
«La mia vita è fatta di attese e di cose che è meglio non conoscere.» disse per poi abbassare lo sguardo, sentendosi sotto assedio.
Mi scaldai ancor di più, perché era la prima volta che incontravo qualcuno testardo quanto me, o persino di più.
«Ma cazzo Louis, hai ventuno anni, sei stato bocciato tre volte per motivi che nessuno conosce, visto che sei un secchione di dimensioni apocalittiche, stai sempre chiuso in casa tua. Non li vorresti degli amici, un hobby? Una persona che ti ami?» strillai sbattendomi i pugni sulle gambe, convincendomi che se li avessi indirizzati verso il suo viso non sarebbe servito a nulla. Louis si morse violentemente il labbro inferiore e mi aspettai che da un momento cominciasse a sanguinare.
«Quella puttanata, l’amore, non esiste! È solo una scusa di merda inventata dalle persone per giustificare il fatto che vogliono scopare! “Oh, voglio scoparmi quel tipo perché lo amo.”  “Ah, ma io l’amo, è per questo che me la scopo.” . Deike, tu non hai visto tutta l’ipocrisia e la cattiveria che io ho visto, seduto nell’angolino mentre tutti gli altri parlavano male di me. Tutte le persone che reputi tue amiche hanno sparlato di te almeno dieci volte all’anno. “Deike è simpatica, ma ha un nome orrendo”, “Deike è troppo magra” “Deike se la fa con il professore, è per questo che ha voti alti”. Tutte le persone che ti circondano solo gelose, invidiose, orrende, hanno l’anima marcia. Non puoi parlarmi d’amore, quando tu non ne hai nemmeno visto traccia.» sputò quelle parole a raffica, e ogni sillaba fuoriuscita da quelle labbra furono come tanti pugni nel petto, perché lui in fondo aveva ragione, io parlavo di amore quando ero circondata da persone subdole, che sparlavano anche dei morti. La sua concezione dell’amore però era sbagliata, doveva esserlo, perché nonostante io non fossi una romantica di prima categoria, ero convinta che esistessero persone al mondo che si amassero per altri motivi, non strettamente legati al sesso. L’eccezione che confermava la regola.
Louis dal suo piccolo angolo emarginato del mondo, aveva visto più cose di me che ci vivevo.
Mi morsi il labbro inferiore, sapendo che le parole mi sarebbero uscire spezzate e tremanti a causa del suo tono duro nei miei confronti.
Ma cosa me ne importava poi, di come mi trattava Louis? Lui era solo un ragazzo come gli altri, forse persino più idiota, e io avevo avuto la folle idea di aiutarlo a non sprecare la sua vita, senza magari pensare che lui non lo volesse il mio aiuto.
«Scommetto che le cose che dicono di me, le pensi anche tu. Non è vero?» sbottai con rabbia, mentre una lacrima nera a causa del trucco mi accarezzava lentamente la guancia come a marcare meglio il mio dolore. Uscii dall’auto e sbattei fortemente la portiera, avviandomi a grandi passi verso qualunque posto, purché non vi fosse nemmeno un’anima viva. Le persone che pensavo mi stimassero, che non fossero così ipocrite, erano le artefici di quel mio piccolo dolore interiore. Ero una ragazza poco romantica, un po’ maschiaccio, un po’ ribelle, e piangevo perché le mie amiche dicevano cose di me, quando alla diretta interessata avevano affermato tutt’altro.
“Wow, che bel nome che hai, Deike!”
“Sei magra al punto giusto, Deike.”
“Complimenti per il voto preso al test, te lo sei meritato, Deike.”
Tutte bugie, tutte menzogne nella quale vivevo ogni giorno. E realizzai perché in fondo m'importasse così tanto sapere cosa attanagliava il petto di Louis, tanto da spaventarlo e non farlo dormire.
Io, come lui, vivevo in un enorme Castello delle bugie.
Forse lui, però, era al sicuro da tutte le malignità della gente, almeno quando era in casa sua. Io ero immersa nell’ipocrisia fino al collo, perciò pensai di chiamare l’unica persona che sperai non mi avesse raggirata, tradita. Composi il suo numero mentre tiravo su con il naso, fermando i singhiozzi.
«Hey, Deike!»
«A scuola parlano male di me?» urlai infuriata, andando dritta al punto. Non mi andava di creare giri di parole, perché di quelle ce n’erano fin troppe. Zayn sembrò perplesso a giudicare dal suo interminabile silenzio, o forse stava solo decidendo se dirmi o no la verità.
«Parlano male di tutti, Deike. Non deve importartene, ok?» sussurrò dopo un minuto buono, mentre io stringevo furiosamente il mio labbro inferiore fra i denti.
Era il mio migliore amico, avevamo condiviso tutta una vita.
«Perché non me l’hai detto, stronzo?» sbottai mentre sulle mie guance, le lacrime tracciavano delle linee nere.
Zayn sospirò. «Perché, come ti ho appena detto, sparlano di tutti e non deve importartene.»
Fui tentata di lanciare furiosamente il mio cellulare sull’asfalto per poi calpestarlo, fino a ridurlo in pezzi talmente piccoli da confonderlo con la sabbia. Poi ricordai che in quel modo non avrei ferito nessuno, né sarebbe servito a scaricare la rabbia.
«E tu? Tu cosa ha detto di me, Zayn? Si criticano fra sorelle, cugine, migliori amiche. Perché tu non dovresti farlo?» lo accusai, pregando con tutta me stessa che le mie supposizioni fossero false e infondate. Zayn, fra tutti i miei amici, era la persona della quale mi fidavo di più. E scoprire che lui poteva essere fra le persone che mi sorridevano per poi pugnalarmi alle spalle... Non avrei retto, sarebbe stato troppo.
«Mi conosci, Deike, sai quanti litigi e quasi espulsioni mi sono preso per attaccare briga.» mi spiegò brevemente, capendo che ci sarei arrivata da sola, alla soluzione. Zayn era solito dire, anche con strafottenza, tutto ciò che pensava e nel peggior modo possibile. Tirai un sospiro di sollievo e il peso sul petto sembrò andare via.
«Chi ti ha detto queste cose?» la sua voce giunse alle mie orecchie più seria che mai. Lui in qualche modo sapeva  il nome del ragazzo che mi aveva fornito quelle piccole informazioni, anche se in un momento di rabbia. Deglutii faticosamente, mordendomi il labbro.
«Louis.»
Un mugolio esasperato lasciò le sue labbra, e capii che era arrabbiato.
«Deike, mi spieghi cosa diavolo ti succede? Smettila di frequentare quel tipo, non fa che metterti in testa strane idee, per giunta sbagliate, e ti sta allontanando dai tuoi amici, da me.» sbottò, pungendomi nel vivo. Ma lui non capiva  che Louis non faceva proprio nulla, anzi, tentava di evitarmi. Una parte del mio interesse si era spostata sulle sue reazioni, sui suoi comportamenti, a quel qualcosa di misterioso che aleggiava attorno a lui. Louis non mi stava allontanando da Zayn, o dai miei vecchi amici, erano loro che non riuscivano a starmi dietro, mentre io cercavo in qualche modo di guardare oltre l’apparenza, oltre quel silenzio che Louis sembrava conoscere bene. Cercavo, in mezzo a quel blu del mare polare, il vero lui, come se avessi smesso di vederlo solo come Mister Strambo ma cercassi i resti del Louis Tomlinson curioso e sorridente.
«Voi non lo conoscete, e non lo conosco nemmeno io. Non mi sta allontanando da nessuno, siete voi che rimanete fermi nello stesso punto.» sussurrai, prima di chiudere la telefonata con una calma che pensavo non mi appartenesse. C’era una sola persona che poteva rispondere alle mie domande confuse e quella persona potevo trovarla solo lì, a casa Tomlinson.
 

Quando bussai per la seconda volta a quella porta, mi sentii stranamente osservata. La casa continuava in qualche modo a farmi sentire a disagio, come se trovarmi lì fosse la cosa più sbagliata del mondo. Trattenni il respiro per qualche secondo, mentre la porta si apriva lentamente fino a rivelare la figura di Susan, in tutta la sua graziosità di nonnina.
«Ciao cara, cosa ti serve?» sorrise educatamente, come se non fosse poi così contenta della mia visita.
«Dovrei parlare con Louis, riguardo un progetto di… storia. Sì, storia.» mentii cercando di sembrare veritiera. Susan strinse appena gli occhi come a riflettere sulla veridicità delle mie parole, poi si scostò appena e quasi con riluttanza, invitandomi ad entrare. Avrei finto di cercare Louis, e poi avrei parlato con lei del nipote. Era un ottimo piano, in fondo.
Appena misi piede in casa sentii un freddo penetrarmi fin dentro le ossa, e mi sentii gelare sul posto.
Mi mossi in avanti, sperando che Susan si rendesse conto che io non avevo la più pallida idea di dove fosse la camera di Louis, quando il ragazzo mi apparve davanti in tutta la sua… bellezza. Indossava solo un asciugamano bianco stretto il vita, i capelli bagnati che però aveva già scompigliato per dare loro la solita forma. Sentii le gote arrossarsi, mentre cercavo di concentrarmi su qualunque soprammobile della casa, o sulle punte delle mie scarpe. Louis sembrò spaesato per un attimo, quasi spaventato dall’idea che io fossi lì. Guardò un punto oltre le mie spalle, per poi cercare la mia attenzione.
«Deike, chi ti ha fatta entrare in casa?» sussurrò agitato, mentre le mie sopracciglia si alzavano di scatto.
«Tua nonna, che domande fai?!»
Ed eccolo di nuovo lì, il panico nei suoi occhi ed il respiro accelerato, tipico di quando aveva paura. Mi voltai, cercando Susan con lo sguardo, e mi sorpresi quando non la vidi più. Se ne era andata così velocemente e silenziosamente, come se non fosse mai stata lì.
«Era proprio qui, un attimo fa. Signora Susan!» la chiamai, camminando verso la cucina. Ma come faceva quella vecchina a muoversi come un ninja?
Louis mi strattonò per il polso, guardandomi con occhi sgranati e facendomi perdere qualche battito. Cominciava a passarmi un po’ del suo terrore infondato e proprio non capii cosa gli stesse succedendo. Aveva forse paura della nonna? Lei era un killer armato fino ai denti? Mentre il mio cervello formulava domande insensate ed ai limiti del ridicolo, Louis si chinò piano verso di me, fin quando le sue labbra non furono a pochi millimetri dalle mie. Ok che era un bel ragazzo e non mi sarebbe dispiaciuto baciarlo, però lì, nella stessa casa dove c’era sua nonna, non mi sembrava il momento adatto.
«Deike, non fidarti di ciò che vedi.» sussurrò piano, come se temesse che le mura potessero sentirlo e rivoltarglisi contro.


 

Hey bitches
ma saaalve. Ecco il quarto capitolo.
Insomma Deike i fatti tuoi proprio HELL NO.
Btw stasera ho visto l'ultimo episodio di Jessica Jones
e lasciatemi dire MIO DIO CHE BELLO.
Se non l'avete visto, vi consiglio vivamente di farlo.
Comuuunque, what do ya think? teorie? cospirazioni?
GOMBLOTTI IN QUESTA FF? tell me
p.s. ho bevuto vino e quindi non so se ho corretto bene.
perdonatemi vi voglio bene
with love and hate,
@marvelastic

 

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Capitolo 5
*** Willkommen ***




Nel paese della bugia, la verità è una malattia. - G. Rodari




 

Willkommen


Metabolizzai per un attimo le parole pronunciate da Louis, poi mi riscossi dai miei pensieri. “Non fidarti di ciò che vedi.” Cosa accidenti voleva dirmi? E perché ci girava tanto intorno? Mi stava prendendo in giro, naturalmente. Offesa e ferita, mi voltai dandogli le spalle, poi incrociai le braccia al petto.
«Vai a vestirti, adesso.» sibilai affilando lo sguardo, mentre i miei occhi rimanevano fissi sul portone principale del Castello delle Bugie. Sentii Louis sospirare, poi dirigersi con passetti svelti verso il piano superiore. Mi sentii tremendamente sola in quel momento, perciò pensai di andare in cucina per cercare sua nonna e parlare una volta per tutte. Se suo nipote aveva dei problemi seri doveva curarlo, non tenerlo chiuso in casa.
M'incamminai verso la cucina dove ero stata pochi giorni prima, quando la curiosità e la paura avevano preso il pieno possesso del mio corpo.
«Ehm… Signora Susan?» la chiamai, notando che in cucina non c’era nessuno tranne me. Sbuffai, per poi voltarmi.
«Oh mio Dio!» sobbalzai impaurita, mentre la signora Susan mi sorrideva, apparsa dal nulla. Come faceva a muoversi così silenziosamente?
«Wow signora Susan, è peggio di un gatto.» sorrisi debolmente, mentre lei sfoggiava uno dei suoi sorrisi più calorosi. Anche lei era strana, come se non fosse davvero lei. Quando ero una bambina e lei veniva a Tadley per stare con il nipote e il figlio, ricordavo che attaccava briga con molte vecchiette. Non era una stronza, semplicemente era simpaticissima, chiacchierona e schietta. La donna che avevo davanti sembrava spenta, quasi irreale, e forse era dovuto alla perdita del figlio e della nuora, nonostante fossero morti molti anni prima. Ma si sa, ferite come quelle sono indelebili. Era stranamente pallida, gli occhietti già piccoli ridotti a due fessure e le rughe sul volto vennero accennate da un sorriso educato.
«Di cosa volevi parlarmi, Deike?» domandò togliendo gli occhiali da lettura, senza mai distogliere lo sguardo da me. Le mie sopracciglia si alzarono appena, perché io non avevo mai accennato a voler parlare con lei, non ad alta voce.
«Volevo parlare di.. di suo nipote.»
Susan alzò un angolo della bocca verso l’alto, e mai come in quel momento sembrò irreale, quasi un’altra persona.
«Lascia in pace Louis, cara. Sinceramente, non mi piace affatto l’effetto che hai su di lui. Oggi è persino tornato a casa dieci minuti più tardi.»
La mia bocca si spalancò dalla sorpresa, mentre Susan tamburellava con le unghie laccate di nero la superficie del tavolo. Osservai meglio le sue mani, e ricordai perfettamente che fino a pochi minuti prima non aveva lo smalto sulle unghie. Come aveva fatto a metterlo in quei pochi secondi di assenza?
«Quando ha messo lo smalto nero, signora Susan?» chiesi dunque guardandola dritta negli occhi, così simili a quelli del nipote.
«Lascia in pace mio nipote, tu non hai il diritto di portarlo via da me.» ringhiò, affilando lo sguardo come se sperasse di uccidermi. Indietreggiai appena con la schiena, facendola aderire allo schienale della sedia. Tutto nella casa sembrò perdere colore, come se i colori stessero pian piano diventando freddi. Susan cominciava a farmi paura e il mio terrore aumentò quando i suoi occhi azzurri e limpidi furono attraversati da un guizzo rosso fuoco. Gli occhi di un demone.
Mi chiesi dove fosse Louis, perché ci mettesse tanto a vestirsi. Avrei preferito vederlo ritornare con l’asciugamano, piuttosto che stare un altro minuto da sola con quella donna che mi odiava. Era completamente folle.
«Ma io sono solo sua amica, non voglio portarlo via da… da nessuno.» sussurrai a mezza voce, mentre i lineamenti facciali della donna sembravano quasi cambiare forma, diventando quelli di un animale aggressivo.
«Non riuscirai a mettermi i bastoni fra le ruote, piccola bastardella.»
Tentai di replicare e di risponderle a dovere, ma un tonfo improvviso proveniente dal salone mi fece sobbalzare. Voltai la testa verso la fonte di quel rumore, sembrava che qualcuno si stesse divertendo a sbattere la testa contro la porta. Fuori c’era un pallido sole, eppure l’interno della casa sembrava diventare sempre più freddo e nero. Un ombra grigia passò velocemente ad un palmo dal mio naso, emettendo un piccolo lamento. Cominciai a tremare.
Mi alzai immediatamente, cercando poi la signora Susan che era sparita all’improvviso. Così, pensai di chiamare l’unica persona che sembrava possedere un minimo di normalità, lì dentro.
«Louis!» urlai, sperando che mi sentisse e che si decidesse a scendere le scale.
«Forse è ora che tu te ne vada, Deike Evans.» fu più un sibilo, simile a quello di un serpente. Avvertii dei brividi di terrore attraversarmi la schiena, fin quando non mi trovai di nuovo la nonna di Louis, a pochi centimetri da me. Gli occhi avevano perso la forma umana, acquistando quella di un rettile con la pupilla a fessura.
Un vento misterioso che non proveniva dalle finestre, chiuse, mi scompigliò i capelli e sembrava spingermi fuori dalla cucina, da quella casa.
In qualche modo, spinta da qualche scarica di adrenalina, probabilmente, allungai una mano per toccare la spalla di Susan. E prima che lei riuscisse a capire il mio gesto, prima che riuscisse a ritrarsi, mi ritrovai a toccare, letteralmente, l’aria.
La mia mano non aveva afferrato la spalla di Susan, bensì vi era passata attraverso, proprio come se quella donna fosse un fantasma. In quel momento realizzai cosa fosse casa Tomlinson, mentre i battiti del cuore acceleravano a dismisura. Quella casa era infestata.
«Oh mio Dio.» sussurrai con le lacrime agli occhi, mentre la nonna di Louis mi osservava ora con fare annoiato.
«Oh che peccato, questo proprio non dovevi scoprirlo.» esclamò con tono melenso, mentre sentivo le gambe diventare molli.
«Che.. Che cosa è lei?» domandai con un filo di voce, tanto che faticai ad udirmi. Susan sorrise, facendo un passo indietro.
«Sono qualcosa che è meglio evitare, signorina Evans.» disse, diventando poi sabbia che venne portata via da un vento misterioso.
Fu a quel punto che urlai. La signora Susan si era letteralmente dissolta come se fosse stata un cumulo di sabbia, proprio davanti a me. Mi sforzai mi far muovere le gambe, ma il terrore era tanto e riuscii a fare solo un passo, arrivando nel grande soggiorno. Avvertii delle risate attorno a me, forse erano nella mia testa o semplicemente ogni mattone di quella casa stava ridendo di me. Respirai a fatica, come se qualcuno stesse togliendo tutto l’ossigeno presente nella stanza con l’intento di uccidermi e guardarmi agonizzare sul pavimento. Il rumore di un fiume, dell’acqua che scorre, mi fece guardare verso le scale.
Un’enorme quantitativo d’acqua stava attraversando le scale, come un fiume in piena. Feci due passi indietro, confusa, rassegnandomi al mio destino. Serrai gli occhi, aspettando di sentire l’onda infrangersi su di me fino a farmi sbattere contro la parete. Con un po’ di fortuna avrei sbattuto la testa e sarei morta sul colpo. Il rumore dell’acqua si fece sempre più vicino, fin quando non mi sentii afferrare per i polsi, venendo poi trascinata da qualche parte. Pochi secondi dopo sentii una ventata d’aria fresca, l’ossigeno tornare a riempirmi i polmoni, e il silenzio. Aprii piano gli occhi contornati di lacrime, trovandomi di fronte Louis che, vestito e tremendamente reale, mi osservava impaurito e respirava affannosamente. Mi aveva portato fuori dal Castello prima che l’acqua mi colpisse, eppure non sentivo più alcun rumore provenire dall’interno. Al contrario, sentii dei rumori di oggetti che venivano rotti sul pavimento, urla disumane e strilli che chiamavano Louis a gran voce. Fra le tante voci, mi sembrò addirittura di riconoscere la mia.
«Cosa succede?» trovai la forza di chiedergli, mentre una lacrima cominciò ad accarezzarmi la guancia. Louis non mi rispose, si limitò ad asciugarmi il viso con il pollice, stringendomi appena. Poi mi prese per mano e mi portò verso la mia auto, facendomi sedere al posto del passeggero. Lui entrò le lato opposto, mise in moto e cominciò a sfrecciare verso la periferia di Tadley.
 


Il sole stava scomparendo del tutto, il tramonto quel giorno era stranamente più bello del solito. Io non guardavo il tramonto, gli alberi, le nuvole. Io tremavo convulsamente, mentre la scena di pochi minuti prima mi azzannava letteralmente, facendomi trattenere il respiro.
Louis parcheggiò l’auto in un piccolo spazio al lato della strada, dopo il quale c’era il grande borsco di Tadley. Pose tutta la sua attenzione su di me, scostandomi con gentilezza una ciocca che mi offuscava la vista.
«Deike…»
«Cosa cazzo è successo in quella casa?» sbottai scostando la sua mano. Sarebbe dovuto scendere prima e tutto ciò non sarebbe accaduto. Sapeva che sua nonna era un fantasma pazzoide e mi aveva lasciata lì con lei.
Louis si mise stancamente le mani fra i capelli, appoggiando poi la fronte sul volante dell’auto.
«È complicato.»
«Complicato un cazzo. Tua nonna è morta e il suo fantasma vive a casa tua, e ha tentato di uccidermi!»
Incrociai i piedi come un indiano, fregandomene delle scarpe che sporcavano il sedile. Il guizzo rosso negli occhi di Susan fece capolino nella mia testa e tremai ancora di più.
«È questo il problema, Deike. Lei non è morta.» si morse un labbro inferiore, prima di continuare. «Lei non è… lei, ecco.»
Inarcai un sopracciglio, poi mi asciugai i residui di lacrime rimasti sulle guance.
«Spiegati meglio.» gli ordinai. Louis scatenò la sua rabbia contro il volante della mia auto, dandogli un pugno.
«Te l’avevo detto io di farti i cazzi tuoi! Te l’avevo detto di stare fuori dalla mia vita! Perché credevi che te lo dicessi, perché mi piace la mia vita asociale? È quella la mia realtà, Deike, è quello ciò che io vedo tutti i giorni!» strillò, e sembrò che l’abitacolo dell’auto non riuscisse più nemmeno a contenere quelle urla. A quel punto mi scaldai anche io, la rabbia aumentava e io avevo bisogno di sfogare tutto il panico e l’adrenalina accumulata.
«E allora spiegami cosa cazzo ci fai ancora lì! Perché non te ne sei andato, perché ti ostini a vivere lì?» gli urlai contro.
Louis fece per ribattere, poi abbassò lentamente lo sguardo. Cominciò a dire la “È”, quindi capii già la sua risposta. Mi lanciai contro di lui, aggrappandolo per il colletto della polo bianca e inchiodandolo con la schiena contro la portiera dell’auto. Sembrò terrorizzato dalla mia reazione, ma io ero un gattino indifeso in confronto al fantasma di sua nonna.
«Osa di nuovo rispondermi con la tua frase fatta, “È complicato.”, e giuro che ti spezzo le gambe. Tutte e tre.» dissi, alludendo poi al suo organo genitale. Louis arrossì vistosamente a causa del nostro contatto ravvicinato, ma i miei occhi (e le mie mani) non si azzardavano a mollare la presa. Io avevo avuto paura nonostante avessi passato in quel posto solo pochi minuti. Louis viveva tutto quello da dieci anni.
Il suo sgomento ogni qualvolta aveva visto la nonna, quei rumori quasi disumani, Louis che si rifiutava di farmi entrare in casa sua.
Pensavo fosse solo maleducazione o antipatia, invece cercava solo di proteggermi da quegl’incubi, nonostante non ci conoscessimo.
«Cosa succede a casa tua, Louis?» domandai in un sussurro, sperando che questa volta non rifiutasse il mio aiuto. Non lo conoscevo, potevo semplicemente fregarmene e dimenticare l’accaduto il prima possibile. Ma lui era lì, e sapevo che se non l’avessi aiutato io, non l’avrebbe fatto nessuno.
Lui sorrise tristemente, quasi sull’orlo delle lacrime.
«Benvenuta al Castello delle Bugie, Deike.»





 


Eccomi, dunque! Yay, finalmente accade qualcosa!
Diciamo che ho tante di quelle idee per gli ultimi capitoli della fanfiction,
che poi mi ricordo di quelli nel mezzo ed è un grande WTF.
Ciao Deike vedi che bella la nonna. Proprio affettuosa.
lololol se solo voi sapeste the truth.
E invece non la saprete mai perché sarò così sommersa dagli esami che morirò
e la storia non verrà mai conclusa. *coro di who cares*
Vi lascio, dunque! Al prossimo capitolo
@marvelastic

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Capitolo 6
*** Speicher ***




Il bugiardo deve avere buona memoria. - Marco Fabio Quintiliano




 

Speicher



Indietreggiai con una tale forza da sbattere la schiena contro la portiera del passeggero. Lui sapeva del nomignolo affibbiato a casa sua, e mentre gli altri ci scherzavano, lui ne soffriva perché era la verità. Louis si ricompose dal nostro breve contatto fisico, cominciando a torturarsi le mani.
«Non ho idea di cosa sia successo, quella notte.» cominciò con voce tremante, mentre i suoi occhi azzurri diventavano lucidi, pian piano.
«So soltanto che da quando i miei sono morti, la casa ha come… preso vita. Non so se c’è qualcuno che la controlla, né perché lo fa. So soltanto che mi tortura, mi impedisce di vivere serenamente, mi deride.» si passò una mano fra i capelli, evocando chissà quali ricordi spiacevoli.
«Ogni giorno, ogni singolo attimo, nella mia casa vedo cose che non sono vere. Allucinazioni, rumori, urla, stridii. E se oso tornare più tardi a casa, mi tortura ancor di più, come se mi punisse.»
Si accasciò contro la portiera dell’auto, e per un attimo credetti che fosse svenuto. Mi avvicinai a lui, accarezzandogli piano i capelli.
«Aspetta… Hai detto allucinazioni?» domandai con le sopracciglia corrugate, mentre i suoi occhi terrorizzati mi osservavano dallo spazio delle dita. Aveva le mani sul viso.
«Sì. Tutto ciò che hai visto e sentito, oltre me, era un’allucinazione. Mia nonna è a casa sua, non c’era un'onda che stava per investirti. Nulla, assolutamente nulla, eppure quelle robe riescono a penetrarti la mente con una tale forza.» Louis sussultò, e io gli accarezzai la spalla.
Quindi la nonna non pensava quelle cose di me, e non stavo per morire affogata. In qualche modo, era rassicurante.
«Il Castello quindi voleva che me ne andassi, vero? Perché ti stavi stancando, ribellando. Vero?» domandai con cautela, mentre lui riuscì a sorridere seppur per un breve istante.
«Gli hai dato del filo da torcere, sì.»
Mentre accarezzavo i suoi capelli per tranquillizzarlo, riuscii con l’altra mano a fargli togliere le sue dal viso. Era davvero bello, Louis, il suo problema non era la pazzia, ma gli incubi. E mi chiesi come facesse a non essere uscito completamente fuori di testa, con una casa che ti fa vivere dei film horror in 4D. I suoi occhi blu s’incantarono nei miei per qualche attimo, poi abbassò velocemente lo sguardo.
«I miei genitori sono morti e nessuno sa come, né perché. La gente di Tadley crede che io sia un pazzo squilibrato. Sono solo, Deike, solo con le mie paure.»
Lo disse con un tono talmente rammaricato e rassegnato, che non potei non controbattere, avvertendo un senso di protezione nei suoi confronti.
«Non sei solo, Lou. Condividi questo segreto con me. Non dovrai far altro che andartene via, trasferirti, far demolire la casa, se necessario.»
Louis scosse più volte la testa, chiedendomi di smettere.
«Io non me ne vado da lì, Deike. Non lo farò, ok?»
Quella sua risposta mi spiazzò completamente, perché nessuno desidererebbe vivere in una casa degli orrori, che raccontava bugie. Qualcosa mi fece capire che il Castello aveva un motivo ben preciso, per odiarmi, e quel motivo era un Louis che rischiava di andarsene. Ma se lui non sopportava quella situazione, eppure continuava a vivere in quella casa, allora voleva dire che alcune allucinazioni, forse, lui le desiderava.
Il Castello lo imprigionava, lo torturava. Ma gli offriva qualcosa che nessun altro avrebbe potuto dargli nel mondo reale.
«Cosa ti offre in cambio? Cosa ti spinge a vivere lì tanto da non andare nemmeno all’Università? Ti sei fatto bocciare tre volte nonostante i tuoi ottimi voti solo perché volevi rimanere lì, vero?»
Louis per tutta risposta, abbassò lo sguardo, palesemente dispiaciuto e colto nel segno.
«Te ne parlerò un’altra volta, ok? Ora non… non voglio parlare più di questo.»
Gli sorrisi appena, facendogli capire che per me andava bene, che non era costretto a raccontarmi tutto anche se io lo desideravo. Avrei aspettato tutto il tempo necessario.
«Te la farà pagare, quando arriverai a casa.»
Lui annuì, mordendosi il labbro inferiore e preparandosi a chissà quale tortura.
«Metti le cuffie nelle orecchie e chiudi gli occhi. Se sono allucinazioni, non ti faranno mai del male.»
«Cosa credi che abbia fatto in questi dieci anni, Deike?»
Sbattei le palpebre, sorpresa da quel suo tono quasi giocoso, come se la faccenda a volte non lo toccasse più di tanto. Mi sentii tremendamente stupida.
«Già, io sono l’ultima persona che può darti un consiglio.» storsi le labbra, facendolo sorridere ancora di più. Aveva una bellissima risata, contagiosa, coinvolgente, semplicemente unica. E quel suo ridere era così intonato alla sua persona, che non potei non odiare la situazione in cui era. A causa del Castello delle Bugie Louis non sorrideva, non rideva, non aveva amici. Non aveva nulla, se non le bugie che la casa gli rifilava.
«Sai che ti dico? Che stanotte vieni a dormire da me, e domani non andremo a scuola. Tornerai a casa tua in tempo, così la Casa non sospetterà nulla.» mi faceva uno strano effetto parlare di casa Tomlinson come se fosse una madre iperprotettiva, ma non sapevo come definirla.
Louis si spostò i capelli finiti sugli occhi, mostrandomi un certo imbarazzo e disagio. Sorrisi.
«Tranquillo, ci sono i miei in casa e quindi non posso abusare di te. Entrerai dalla finestra, e loro non sospetteranno nulla.» dissi con voce quasi suadente per poi fargli un occhiolino.
Il tutto per vedere le sue gote arrossate e ascoltare un’altra risatina.
«Non è per quello, è che più tempo sto fuori casa, più il Castello sarà spietato.» disse per poi schiarirsi la voce, tossicchiando. Mi sedetti in modo composto sul mio sedile, mentre Louis rimetteva in moto l’auto ed entrava in strada, diretto verso casa sua.
Quando arrivammo, notammo subito le luci del Castello che si spegnevano e riaccendevano ad intermittenza, come se fosse palesemente arrabbiato.
Louis si morse un labbro mentre la guardava, pensieroso, poi prese un forte respiro.
«Grazie, per non avermi riso in faccia. E per non essere fuggita.»
Gli sorrisi, scompigliandogli giocosamente i capelli. Lo vidi scendere e avviarsi verso casa, quando tornò indietro quasi correndo.
«E per domani, è ok. Sempre se non hai cambiato idea. Sai, la gente potrebbe par…»
Gli tappai la bocca con una mano, facendogli una linguaccia scherzosa. Mi misi al posto di guida e fissai Louis per qualche attimo.
«Non ho cambiato idea, vedrai, domani ti farò divertire. E per quanto riguarda la gente, sono delle merde, così come le loro opinioni.»
 
 

«Deike, tu pensi che io potrei piacere alla gente?»
Mi voltai incuriosita verso il ragazzo seduto accanto a me sulla panchina, mentre osservava distrattamente il cielo nuvoloso sopra di lui.
Mi chiesi il perché di quella domanda improvvisa, ma in fondo non ero poi così tanto sorpresa. Le persone sole si chiedono sempre perché lo sono, e nel caso di Louis, forse, dipendeva dal suo piacere alla gente. Scossi le spalle.
«Certo, perché no? Sembri simpatico, non sei inguardabile, sei intelligente. Alla gente potresti piacere, ma non a quella di Tadley.»
Sembrò dispiaciuto della mia affermazione, così mi affrettai a precisare: «Perché gli abitanti di Tadley sono vipere, non persone.»
Sorrise compiaciuto, come se la consapevolezza di vivere in mezzo alle serpi fosse una consolazione. Non era colpa sua, se veniva emarginato, ma colpa della gente bugiarda come il luogo maledetto nella quale viveva.
«Tu invece, alla gente piaci molto. Piacevi persino ai miei, quando…»
Quando erano ancora vivi. Invece, si limitò a sussurrare un flebile «quando eri piccola.» nonostante la tristezza galleggiasse sul suo viso.
Louis era molto fragile riguardo ai sentimenti, era una piccola fiala del cristallo più delicato, e io ero un terremoto arrivato nella sua vita.
L’osservai a lungo, chiedendomi quali terribili cose, seppur finte, aveva visto nel Castello.
La mattinata era trascorsa fra chiacchiere, risate, silenzi imbarazzanti, messaggi minatori da parte di Zayn, io che promettevo a me stessa che li avrei fatti conoscere, quei due. Ma la mia testa mi teneva impegnata sempre in un posto, quello che mi aveva indirettamente sfidata. Forse il Castello pensava (se mai ne fosse stato in grado, di pensare) che mi fossi arresa, spaventata, e che avesse vinto lui. E invece no, cazzo, perché io avrei trascinato Louis fuori da quella casa a costo di prenderlo a calci nel culo. Sì, l’idea di ricevere allucinazioni anche da film horror non mi allettava, ma era pur sempre tutta una finzione, no?
«Ricordo che una volta, quando avevo sei anni, eri al parco con tua nonna e mangiavi un gelato. Doveva essere luglio, credo. Io ero una stronzetta già allora, ed ero arrabbiata con i miei per qualche motivo assurdo. Insomma, volevo fregarti il gelato per metterlo nella borsa di mia madre e vendicarmi, così mi avvicinai a te di soppiatto, pronta a strapparti il cono dalle mani appena ne avessi avuto l’occasione. Quando fui abbastanza vicina, mi soffermai però ad osservare la tua voglia a forma di mezzaluna, quella che hai dietro al collo.» sorrisi della sua reazione sbigottita, mentre portava imbarazzato una mano dietro la nuca, nel punto in cui risiedeva la macchiolina più scura.
«E non me lo hai rubato più. E perché?» chiese con un sorrisetto, mentre io storcevo le labbra.
«Pensavo che fosse un segno, e che se ti avessi rubato il gelato sarebbero venuti gli alieni dalla Luna e mi avrebbero rapita.»
Ci guardammo per un secondo negli occhi, poi scoppiammo entrambi a ridere come stupidi, proprio come due bimbetti spensierati che non facevano altro che dormire e infastidire gli adulti. Era così bello ridere, liberare la mente anche solo per qualche secondo. E Louis, che da dieci anni a quella parte viveva con un peso nella testa che avrebbe ucciso chiunque, aveva bisogno di ridere come un pesce ha bisogno dell’acqua.
 Quando tornò a circolare l’aria nei polmoni, dopo tutte le risate, Louis si guardò intorno.
«E qual era la panchina?» chiese voltando la testa da un lato all’altro del parco, come se cercasse di ricordare il posto in cui, anni prima, le mie gote erano diventate rosse perché in realtà sua nonna mi aveva sgamata e pensava fossi cotta del nipote. Louis portò il suo sguardo blu su di me, per la prima volta sembrando un ventunenne qualsiasi, felice, quasi.
«Era proprio questa qui.» dissi, riferendomi alla panchina dove eravamo comodamente seduti da più di due ore.




Buongioooorno gente!
ok, sono passati diciassette giorni circa dall'ultimo capitolo, ma ho delle giustificazioni valide!
Esame di biochimica, che avevo il 22, quindi 0 internet e testaccia sui libri.
Poi le feste. Oggi ho trovato il tempo di aggiornare e quindi eccomi qui.
Dooohnque, le cose cominciano ad essere giusto un pizzico più chiare.
Per quanto riguarda Louis, è doloroso vedere che nella realtà ha 24 anni ma nella mia ff ne ha ancora 21.
Stay young, tommo!
Come sempre vi ringrazio per il supporto e perché dedicate quei due, tre minuti a questa fanfiction
psicopatica come me.
Spero abbiate passato un buon natale e un buon inizio anno.
With love,
@marvelastic (on twittaah)


 

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Capitolo 7
*** Familie ***


 L’anima è piena di stelle cadenti. - Victor Hugo




Familie



«Lou, qual è stata la prima allucinazione del Castello delle Bugie?»
Osservai dal mio posto il ragazzo che guidava tranquillamente per le strade di Tadley, pronto a tornare a casa sua. Sarei andata con lui, avrei preso la mia auto che era rimasta lì, a casa Tomlinson, e poi sarei entrata in quel maledetto posto che aveva tentato inutilmente di spaventarmi.
Louis si morse il labbro, come a chiedersi se valesse la pena ricordare.
«La… La mia prima allucinazione è avvenuta tre giorni dopo la morte dei miei genitori. Vedevo il sangue scorrere dalle pareti della mia camera, ma quando lo toccavo per osservarlo meglio sui miei polpastrelli, non c’era nulla. Avevo una paura fottuta, vedevo cose strane, a volte normali ed altre volte no, e per assicurarmi che fossero solo allucinazioni, ci andavo incontro. Non ero tranquillo finché non ero sicuro che quella cosa non potesse farmi del male. Ricordo che iniziarono quando mia nonna mi disse che mi sarei dovuto trasferire da lei, abbandonando casa mia.» sussurrò debolmente, mentre la mia testa creava una scena dove un bambino di dieci anni, spaventato e senza genitori, osservava del sangue scorrere sulle pareti. Io avrei pianto fino alla morte, e sarei impazzita dopo pochi giorni.
«Il Castello quindi ti regala allucinazioni in stile film horror, non è vero? Come hai fatto a sopravvivere, a non impazzire del tutto?»
Louis mi osservò solo per un istante, perché la strada richiedeva nuovamente tutta la sua completa attenzione. Sorrise tristemente, stringendo poi appena le mani sul volante.
«Finché c’è uno scambio equo, sei disposto a sopportare di tutto. E poi chi te lo dice, che non sono matto da legare?»
Mi fece un occhiolino per apparire più spensierato di quanto non fosse. In realtà aveva paura, terrore.
Terrore che scoprissi cosa fosse quello “scambio equo”.
 



Quando entrai per la terza volta all’interno del Castello delle Bugie, mi ero preparata a tutto: al sangue sulle pareti, a mostri ululanti, alla nonna dagli occhi rossi, ai cani con la rabbia. Mi ero preparata a tutto, ma non a quello.
Non al nulla.
Corrugai la fronte, guardandomi intorno indispettita. «Lou, perché è tutto così tranquillo?»
Lui sembrò rimanere leggermente spiazzato dal nomignolo, ma finse di non notarlo e, soprattutto, di non sorridere. Aveva appena trovato un’amica, una persona che conosceva il suo segreto e aveva accettato di affrontarlo e condividerlo con lui.
«Non saprei, a dire la verità. Ammetto che è molto strana questa tranquillità, visto che di solito sono sempre in ottima compagnia.» Louis fece una smorfia che lo rese buffo, e per un attimo mi sembrò di rivedere il bambino con il gelato fra le mani sporche del cioccolato sciolto, che era scorso per tutto il cono a causa del caldo. Non doveva essere così male, in fondo.
«Dài, facciamo un gioco stupido.» esclamai dopo aver osservato il suo viso per un secondo di troppo. Il fatto era che quel ragazzo m'incuriosiva, era così misterioso e poco conosciuto da tutti, e a Tadley era raro o impossibile non conoscere qualcuno. Mi guardai intorno, cercando qualcosa da fare o, meglio precisare, un'allucinazione. Vedere la casa improvvisamente calma mi spaventava ancor di più. Si comportava come un gatto acquattato nell'ombra, prima di gettarsi velocemente sulla preda e tramortirla.
Mi sembrò di vedere una lampadina accendersi sulla mia testa. Un gioco stupido che facevo spesso da bambina mi balzò nella testa come diapositive di un vecchio film.
«Stendiamoci a terra, al centro del salotto, e ci facciamo delle domande per conoscerci meglio.» trillai, senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare che già l'avevo preso per una manica e trascinato al centro del grande soggiorno, facendolo cadere poco delicatamente accanto a me. Mi stesi a pancia in su, proprio come facevo in passato, osservando il soffitto circolare. Louis mi imitò, un po' titubante. Cominciò a tamburellare le dita sottili sul suo ventre piatto, quasi come a domandarsi fra i due chi avrebbe dovuto essere il pazzo.
«Bene» dissi agitandomi appena nella mia posizione «dimmi qual è stata la tua prima cotta.»
Ovviamente, anni fa le domande erano ben diverse. Arrossii leggermente di fronte alla mia sfrontatezza.
«Ehm... Ma questa cosa è proprio necessaria?»
Roteai gli occhi al cielo. «No, ma noi la faremo lo stesso quindi sbrigati. La tua prima cotta?»
«Quarta elementare, Mary Fox. La tua?»
«Terza elementare, Zayn Malik. Fortuna che diventando amici mi è passata. Non riuscirei mai ad amare un tipo che si osserva in ogni superficie riflettente.» risi di me stessa, ricordando tutti i guai combinati assieme al mio migliore amico.
«Bene. A che età il primo bacio?» chiesi allora, mentre osservavo Louis con la coda dell'occhio diventare color porpora.
«Sedici anni, ad una tipa in discoteca.»
L'osservai con occhi strabuzzati e bocca spalancata. «Tu sei andato in discoteca?!» domandai scettica, ottenendo in cambio un'occhiataccia.
«A volte ci sono andato. Prendevo l'auto e arrivavo a Londra, passavo la serata a bere e qualche volta con delle ragazze, beh, sai... Hey, fino a prova contraria anche io sono un ragazzo, e ho le mie esigenze! » aggiunse in tono offeso, probabilmente imbarazzato dalla mia occhiata eloquente. «Sì, certo. Esigenze.» sibilai con voce talmente bassa da risultare inudibile.
Scoppiai a ridere. «Io non ho detto proprio nulla. E chi se lo immaginava, Louis Tomlinson andare in discoteca e divertirsi.»
«Ero solo, Deike. L’unica persona che potevo definire “amico” era il barman, Harry Styles. Alla fine non è che mi divertissi, o ballassi. Semplicemente prendevo qualcosa da bere e osservavo la vita e il divertimento scatenarsi attorno a me. Io non ho mai fatto parte, di quell’idillio.»
Provai a mettermi nei suoi panni, immaginando me stessa in una famosa discoteca londinese, piena di gente di ogni tipo. Immaginai che, invece di ballare, ero fra quelli che restavano seduti nell’angolino perché erano soli, perché gli mancava il coraggio di cambiare quella situazione.
No, non doveva essere divertente.
«Quindi la tua prima volta…» arrossii un po’ anche io, non ero abituata a fare discorsi seri sul sesso con un ragazzo. Louis deglutì rumorosamente.
«Io ero ubriaco, lei anche. Fine della storia.» Mi guardò con la coda dell’occhio, e il mio volto stava probabilmente rappresentando lo shock più puro, perché aggiunse ridacchiando: «No, non è stata l’unica volta. Finché non dovevo comunicare troppo con loro, andava bene. Wow Deike, Mister Strambo conquistava le ragazze. Che cosa strana per un disadattato, vero?» Annuii appena, mentre i miei miti crollavano.
«Sono un emarginato, disadattato, strano, pazzo, bullizzato. Ma solo qui a Tadley, Deike. Fuori da qui sono uno stronzo qualunque.» E pensandoci, capii che aveva ragione. Il suo disagio nella società aveva fine nel momento in cui si circondava di persone sconosciute. Così resistere era un po’ più facile. Teoricamente dovrebbe rallegrarci il pensiero di avere un posto in cui ci sentiamo a casa, accolti, riconosciuti. Per Louis, invece, il vero sollievo era diventare uno qualunque.
Mi morsi il labbro, imbarazzatissima, e riportai il mio sguardo al soffitto. Cercai di concentrarmi e di aguzzare la vista, perché ad un tratto il soffitto non era più color panna e perfetto, ma stava cambiando qualcosa. Vidi un puntino lucente, poi successivamente un altro, e altri ancora, fin quando la parete non diventò blu come la notte. Un cielo stellato, il Castello ci stava facendo vedere un cielo notturno e pieno di bellissime stelle.
Eppure sapevo che quello era solo un trucco, perché ad un tratto sentii la stanza girare come se fossimo stati all’interno di una lavatrice.
Io ero ferma, ma tutto intorno a me girava, comprese le migliaia di stelle sopra di me. Mi sembrava di essere sotto l’effetto di qualche sostanza, e per essere sicura di essere ancora nel mondo reale, respirai forte e presi la mano di Louis. Le orecchie mi fischiavano, sentivo solo il battito accelerato del mio cuore e il mio respiro affaticato. Incantata ancora da quell’allucinazione, intravidi alcuni puntini luminosi che diventavano sempre più grandi, e vicini. Altri si unirono, e in un attimo mi sembrò di trovarmi sotto una pioggia di meteoriti, tutti diretti contro di me. Alcuni esplodevano ed i loro detriti continuavano il loro percorso guidato dalla forza di gravità, mi sembrava di sentirli cadere attorno a me, producendo piccole scosse di terremoto. Continuarono a crescere in dimensioni finché uno di essi, una palla infuocata che emetteva una scia rossa, non divenne tanto grande da occupare tutta la grandezza del soffitto.
A quel punto urlai, alzando solo il busto. Il giramento di testa pian piano scomparve, così come i meteoriti, il cielo notturno, il rumore del fuoco che ardeva tutt’intorno a me. Avevo il respiro affannoso, e per di più stavo quasi stritolando la mano di Louis il quale, preoccupato dalla mia reazione, mi stava osservando il viso.
«Deike va tutto bene, non era vero, guardami.» disse accarezzandomi una guancia con pollice e indice. Come una medicina, sentii i nervi stendersi pian piano e il respiro tornare regolare.
«Sembrava ci fosse davvero una pioggia di meteoriti… Io… Io ho paura della morte, Lou, è una mia fobia. E vederla in faccia non è una delle cose migliori che possa capitarmi.»
Anche se dall’esterno potevo sembrare rude, arrogante e coraggiosa, la mia più grande paura era la morte. O meglio, la consapevolezza di stare per morire, e non poter far nulla per fermare quel processo naturale che da sempre colpisce questo mondo. Non avendo la possibilità di vivere in eterno, mi sarei accontentata di una morte veloce, indolore, soprattutto incosciente. Magari morire nel sonno, quando poche ore prima mi ero ripromessa di andare a fare una passeggiata al mattino, appena sveglia. Trovarmi di fronte ad una pioggia di meteoriti, dove la morte era certa e mi sorrideva, mi aveva spaventata come mai mi era capitato. Mi ero sentita come un dinosauro, solo più intelligente, che osserva l’Inferno sopra di sé capendo che per lui non c’era più scampo. Il Castello aveva sfruttato bene le sue carte e ora avrebbe messo il dito nella piaga, pur di allontanarmi.
Sì, erano solo allucinazioni, ma nel momento in cui le vivevi ti sembravano più reali che mai. E se le allucinazioni che causavano terrore erano così belle seppur terribili, non osavo immaginare cosa avrebbe potuto offrire di così prezioso, introvabile. Un premio per tutte le cose orribili viste.
Scrutai il viso di Louis, il quale sembrava prender coscienza del fatto che lo stavo deliberatamente studiando. Sembrava capire che cercavo il motivo che lo spingeva a vivere lì, lo scambio equo del quale mi parlava.
«Le allucinazioni del Castello, sono sempre terribili? O c’è dell’altro?»
Louis sembrò boccheggiare in difficoltà, voltando lo sguardo impaurito come se temesse di essere letto come un libro aperto. I miei occhi non lo mollavano un attimo, io volevo sapere la verità, meritavo di conoscerla perché desideravo aiutarlo. Ma se lui per primo preferiva il baratro senza fine ad una luce tenue e sicura, non potevo farci più nulla. Louis si alzò di scatto, andando verso il portone come se io non fossi mai stata lì, come se non mi dovesse una risposta. Lo seguii senza dire una parola, perché dovevo capire se era fuggito per non rispondermi o perché non poteva farlo all’interno del Castello delle Bugie, che sembrava avere occhi ed orecchie.
Facemmo una ventina di passi, una volta usciti da casa Tomlinson. Camminammo sulla ghiaia umida a causa della pioggerella di pochi minuti prima, e nessuno dei due proferì parola. Lui si fermò così all’improvviso, che gli sbattei contro. Si voltò di scatto, guardandomi negli occhi e soppesando, nella sua mente, le parole giuste da dirmi.
«Se per tutto questo tempo ho sopportato la tortura psicologica di casa mia, è perché mi dà qualcosa che desidero da tempo.»
«Cioè?»
I suoi occhi furono attraversati da una scintilla, o forse era solo una lacrima tenuta sotto controllo.
«La mia famiglia.»




ciauz gente!
che bello fare l'esame di zoologia. Però parliamo del capitolo dài.
E insomma ecco cosa nasconde Louis. Scambio equo, gggente.
Poi Louis che fuori da Tadley fa il idontgiveashit boy.
Era scontato farlo scemo e disadattato, ci volevo mettere la
doppia personalità, se così si può dire. 
Boh, credo vi lascerò con questa bella gif.
kizz, @ecdisopixie (ho cambiato nome anche su twitter, sono irrecuperabile)

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Capitolo 8
*** Vereinbarung ***




Ci sono bugie tanto commoventi da meritare di essere credute. - Alessandro Morandotti





Vereinbarung



Qualcosa, dentro di me, sapeva già la verità. Mi rifiutavo però di pensare che il Castello fosse come una gabbia aperta che riusciva comunque a tenere prigioniero il suo unico abitante. Abbassai lo sguardo, triste.
«Mi stai dicendo che il Castello…»
«È una specie di patto: io non me ne vado e in cambio, ogni cinque del mese, rivedo i miei genitori.» sospirò.
«Una giornata normale, con i miei genitori che scherzano, ridono, mi chiedono come sto. Come se fossero tornati da un viaggio di lavoro, pronti a passare una serata con il loro unico figlio. Come se non fossero mai morti.»
Improvvisamente, sentii il bisogno di stendermi. Senza pensarci un attimo, mi sedetti sull’erba umida per poi stendermi completamente, osservando il cielo azzurro e macchiato da qualche nuvola. Come un comando, Louis mi imitò, mettendosi accanto a me.
Ricordai la volta in cui mi chiese che giorno fosse e io, ricordandogli che era il cinque, l’osservai mentre sembrava tornare in vita.
“Andrà tutto bene” aveva ripetuto più a se stesso che a me, quel giorno.
Andrà tutto bene.
Se per lui era una cosa normale o quasi accettabile, per me era del tutto malata.
Subire per ventinove giorni una tortura psicologica, essere costretto ad allontanarsi dal mondo per vedere i propri genitori sotto forma di allucinazione, non era per nulla una cosa normale, né giustificabile.
«Ventinove giorni d’Inferno per riceverne uno in Paradiso, quindi?» domandai atona, mentre una nuvola sopra di noi si muoveva pigra, mossa dal vento. Allungai un braccio come a volerla toccare e spostare a mio piacimento.
«Non faccio altro che contare i giorni che mancano a quel momento.» sussurrò Louis, spiazzandomi ancora una volta.
Succube di una casa maledetta che si divertiva ad ucciderlo, giorno dopo giorno, con la consapevolezza che lui non sarebbe mai andato via. Un premio che valeva mille torture.
«E cosa fai, quando quel momento arriva?»
Chiusi gli occhi, udendo la sua risposta semplice e che a me incuteva terrore puro.
«Ricomincio daccapo. »
 Forse io non potevo capire il suo dolore, non del tutto. Lui aveva perso i genitori e nessuno sapeva come e perché, non aveva potuto dirgli addio, non se lo aspettava.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime ricordando mio nonno, venuto a mancare un anno prima. Mi mancava moltissimo e il mio non accettare la sua morte mi faceva capire quanto noi umani, nonostante siamo consapevoli della morte, non l’abbracciamo mai del tutto. Ci chiediamo perché fra tutte quelle persone sul pianeta tocchi proprio a noi dover dire addio a qualcuno d’importante. Per la prima volta mi domandai se il Castello delle Bugie avesse potuto donarmi una giornata con mio nonno, magari sentire la sua voce o la sua risata, fare una partita a carte con lui, sentirlo bisticciare con mia nonna per poi ridere. Chiunque vorrebbe un regalo del genere, tutti cerchiamo un modo per comunicare con i morti o comunque fargli sapere che non li dimentichiamo mai. Ricordai la durezza con la quale guardavo i miei parenti, e le lacrime che dopo un anno di distanza si presentavano quando meno me lo aspettavo, durante la notte. Non ero andata al suo funerale, dunque non gli avevo detto davvero addio. Mi mancava terribilmente e per la prima volta avvertii un peso sul cuore, simile a quello di Louis. Avrei sopportato mille torture per sentire mio nonno chiamarmi nuovamente “Nipotina mia”, ma lui avrebbe davvero voluto una cosa del genere per me? Se io morissi, non vorrei che le persone a me care si facessero del male per vedere una copia di me. Non ero io, avrebbero potuto mentire a loro stessi per tutto il tempo che volevano, ma quell’allucinazione non ero io.
«Cazzo Louis, quella casa ti tiene in pugno e tu non fai nulla per cambiare la situazione!» sbottai, alzandomi in piedi. Louis sembrò spiazzato dal mio improvviso scatto di rabbia, ma a me non importava. Louis era un ragazzo simpatico, che avrebbe potuto ottenere tanto dalla vita e la sprecava in una cazzo di casa solo perché una volta al mese vedeva i suoi genitori (falsi, perché erano solo delle fottutissime allucinazioni). Non sono loro, continuavo a ripetere a me stessa. Non sono davvero loro, e allora perché?
«Deike, non sai come mi sento tutti i giorni, ok? I miei sono morti quando avevo dieci anni, nessuno sa come, e io sono cresciuto da solo! Anche tu faresti di tutto per rivedere qualcuno che hai amato e che hai perso.»
L’ultima frase mi fece distogliere lo sguardo, costringendomi a puntarlo a terra come un animale che si sente in colpa. Perché io qualcuno che amavo l’avevo perso, e pensavo che la ferita si stesse cicatrizzando piano.
«Non lo sai Lou, non puoi saperlo. Tu non mi conosci.» una furia incontrollata mi costrinse a rialzare lo sguardo e puntarlo nei suoi occhi, più lucidi di prima.
«Il Castello ti inganna. Anche se i tuoi genitori sono morti, scommetto che non vorrebbero mai che tu vivessi tutto ciò. Loro vorrebbero che tu te ne andassi, che ti facessi una vita. Anche io desidererei profondamente rivedere una persona che ho amato e perduto, ma so che non sarebbe la stessa cosa, perché semplicemente è un inganno e gli inganni non possono abbracciarti.»
Stavo piangendo come una stupida, e mi sentivo un’idiota perché lo stavo facendo di fronte a Louis. Per quel giorno ne avevo avuto abbastanza, perciò mi incamminai verso la mia auto dopo aver salutato debolmente lui, e me ne tornai a casa con la vista offuscata dalle lacrime.
Essere amica di Louis comprendeva condividere il suo Inferno. Ma non glielo avrei più permesso.
Da quel momento in poi lo avrei costretto, anche con la forza, a vivere davvero.
 


Erano le quattro del mattino, quando mi svegliai a causa di un ticchettio insistente proveniente dalla finestra della mia camera.
Serrai gli occhi e mi voltai dall'altro lato, dando le spalle al rumore che sembrava non voler cessare. Cinque secondi dopo ringhiai infastidita e gettai le lenzuola all'aria, mentre il freddo mi investiva e mi rendeva ancor più suscettibile. Possibile che quel cazzo di albero in giardino doveva affacciare proprio alla mia finestra? Con passo felpato raggiunsi la finestra e la spalancai, pronta a strappare con violenza il ramo che batteva senza sosta contro il vetro.
«Muori, lurido ramo!» bisbigliai allungando le mani alla cieca, con scarsi risultati. Prima di realizzare che non c'era nessun ramo, un sassolino mi colpì la fronte, facendomi imprecare. Mi coprii la bocca, sperando di non essere stata sentita dai miei genitori e guardai in giù, vicino al tronco dell'albero, con sguardo omicida. Il lampione illuminò una figura bipede e con gli occhi azzurri, che rideva sommessamente e si scusava, nello stesso istante.
Louis era venuto alle quattro di notte e a casa mia, per parlarmi? Scesi in giardino facendo il minimo rumore, e lo fronteggiai in tutto il mio splendore, ovvero con pigiama antistupro e capelli inguardabili.
«Che c'è, Louis?» chiesi atona, fingendo di non essere incuriosita e addirittura lusingata da quel gesto. Lui si mise le mani nelle tasche della felpa, contemplando con interesse la punta delle sue Converse.
«Io voglio... Scusarmi con te. Per quello che ti ho detto oggi e... Per il sassolino in testa. Ma in particolare per quello che ti ho detto oggi!»
Non riuscii a trattenere un sorriso, e siccome un abbraccio mi sembrava troppo sdolcinato, gli diedi un pugno amichevole sulla spalla.
«Cosa ti dirà il Castello, quando tornerai a casa?» scherzai, immaginando la proiezione della nonna che lo insultava. Louis fece una smorfia buffa, poi alzò le spalle.
«Ultimamente le allucinazioni sono più cattive. Odia me, e odia anche te.»
«Be', l'odio è reciproco. Cosa ti fa vedere? In che senso, sono più cattive?»
«Oh, le solite cose che pensano tutti. Che sono uno sfigato, che non ho amici, che morirò da solo perché faccio schifo. Non ha tutti i torti, però...» Questa volta il pugno fu meno amichevole.
«Lo fa per demoralizzarti, Lou. Tu non sei così, sei simpatico, dopotutto.»
Ok, quello sì che mi metteva in imbarazzo.
«Deike, perché hai voluto diventare mia amica? Cosa hai visto, in me?»
Ci pensai un minuto buono, mentre osservavo il suo viso colorarsi di rosso ogni secondo di più.
«I tuoi occhi. Avevano una scintilla, all'interno, che sembrava stesse affogando nella sofferenza che loro trasmettevano. Bisogna salvarla, una scintilla così.» Gli sorrisi, e prima che me ne rendessi conto gli avevo stampato un bacio sulla guancia.
Se lui rimase interdetto, io rischiai il collasso e sette infarti.
«Buonanotte Louis. Domani fammi sapere cosa ti ha fatto vedere la tua tenera casina.»
 Dovevo cercare su Google un modo per sopprimere quella dolcezza che pian piano stava mettendo radici in me.
 

Quella mattina arrivai in classe giusto in tempo per non sentire la solita ramanzina del professor Morgan, che cominciava il suo sproloquio su quanto importante fosse la puntualità. Cercai con lo sguardo un posto libero, e ne trovai due: uno vicino a Zayn, quarta fila, l’altro vicino a Louis, sesta fila.
Cominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore, cercando di decidere bene e il prima possibile. Se mi fossi seduta vicino ad uno, l’altro si sarebbe sicuramente offeso. Passai lo sguardo da una sedia all’altra, Zayn che mi incitava a raggiungerlo e Louis che, dopo aver notato la mia indecisione, aveva abbassato lo sguardo sui libri.
Oh fanculo, Zayn sarebbe sopravvissuto per un giorno, non era mica la fine del mondo. Salutai il moro con un gesto della mano e andai a sedermi accanto a Louis così, come se nulla fosse, e gli sorrisi.
Lui ricambiò timidamente, poi prestò attenzione al professore ma pur sempre con quel bel sorriso stampato in faccia. Mi sentii tremendamente bene, solitamente io le persone le facevo incazzare. Finsi di non notare l’occhiataccia cupa di Zayn, i suoi borbottii seguiti dalle facce allibite della classe che solitamente lasciavano solo Louis e non lo degnavano di uno sguardo. Cominciavano a parlare, a utilizzare la loro linguaccia per fare supposizioni maligne e stupide. Ma a me non importava più, a loro non sarei andata bene comunque e con Louis condividevo un segreto che loro menti decomposte non potevano nemmeno immaginare.
 


«Mi scusi, signorina Evans.»
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso Zayn, che mi guardava indifferente e con le braccia conserte. Quando mi chiamava in quel modo, voleva dire che era arrabbiato. Louis si limitò a rimanere accanto a me, senza né salutarlo, né spiccicare parola. Be’, Zayn incuteva un po’ di timore a tutti a causa dei suoi tatuaggi e dei suoi bicipiti scolpiti. Il moro guardò di sbieco Louis, come se avesse voluto fulminarlo con lo sguardo.
«Tu vattene, questi non sono affari tuoi.»
Alzai un sopracciglio davanti alla sua sfrontataggine. Eravamo amici e gli volevo bene, ma la mia vita era affar mio.
«Louis è mio amico e può rimanere qui quanto gli pare.» ribattei con un sorrisetto soddisfatto. Alcuni studenti si erano fermati e ci osservavano curiosi.
«Deike, forse è meglio se io…» cominciò Louis. Prima che riuscisse a fare un passo indietro, lo avevo già preso per la manica della felpa e costretto a rimanere vicino a me.
«Rimani qui, Louis. Grazie.»
Fu quello che fece imbestialire Zayn, glielo leggevo negli occhi scuri e furiosi.
«Che c’è, adesso sei amica degli svitati?» sbraitò verso di me, cercando di mettermi a disagio. Il mio volto era la maschera dell’indifferenza.
«Smettila di sentirti sostituito Zayn, io ti voglio bene e tu per me sei come un fratello.»
«Fratello un cazzo! Da quando frequenti questo tipo non mi degni più nemmeno di una parola. Che c’è, non sono pazzo quanto lui? Dovrebbero rinchiuderlo in un istituto di igiene mentale, e invece non solo dobbiamo sopportare la sua presenza, ma devo anche vedere la mia migliore amica che lo segue a ruota nelle sue pazzie!»
Probabilmente avrebbe voluto aggiungere qualche altra cattiveria, ma io non gli diedi il tempo. Sentii tremare Louis accanto a me, e un secondo dopo la mia mano schiaffeggiò con una forza immane il volto di Zayn. Dallo shock, il corridoio era calato nel silenzio, si udiva solo l’eco di quel gesto che voleva dire chiaramente “smettila con queste stronzate”. Il moro a causa dell’urto aveva voltato la testa e ora guardava gli armadietti alla mia sinistra. Non proferiva parola, e aveva capito che era meglio non farlo.
«Louis non è pazzo, lui è migliore di tutti voi stupidi coglioni messi assieme. Preferisco lui alle centinaia di bocche maligne che mi circondano. Oh certo, voi siete i “normali”. Ma sai una cosa, Zayn? Quelli che tu definisci normali ti voltano le spalle e non desiderano altro che il tuo male. Quando tornerai a distinguere i veri amici, potremo tornare ad avere una conversazione civile.»
Sotto lo sguardo di tutti, presi Louis per mano e lo portai fuori, non per un’uscita teatrale o chissà cosa, ma perché per un attimo, guardando i suoi occhi, avevo visto una lacrima scivolare piano.




Hellooo girls
mi scuso per il ritardo, purtroppo è iniziata la sessione invernale ed ho pochissimo tempo
per scrivere ed aggiornare. Uso questo tempo a disposizione u.u
allora, cosa ve ne pare? wow segreti svelati e deike che diventa mamma orsa aw
ovviamente non finisce qui, ci sono tante cose che non sapete (e le saprete fra
moooolto tempo muhahha)
with all the love,
@ecdisopixie


 

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