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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 -parte 1- ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 -parte 2- ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Era
una splendida mattinata di marzo, e il cielo mostrava in tutto il suo
splendore
un azzurro magnifico, che ti apriva il sorriso solo ad osservarlo.
La
sala d’attesa della clinica era accaldata e resa fastidiosa
dall’umidità che
regnava sovrana all’interno. Le seggiole celesti poggiate
alle pareti erano
tutte vuote, eccetto che per l’ultima della fila di sinistra.
Una
ragazza era seduta lì, tenendo lo sguardo basso, e sembrava
perduta e
concentrata nell’osservare le mattonelle del pavimento come
se fossero la più
bella delle opere d’arte.
Teneva
un gomito poggiato sul ginocchio, e nella mano aveva raccolto il mento,
pensosa.
Di
tanto in tanto, come in preda ad un tic nervoso, si mordicchiava il
labbro
inferiore.
Aveva
i capelli biondo scuro spartiti in due dalla riga, e una frangia le
cadeva
ordinatamente sulla fronte senza mai sfiorarle gli occhi.
La
maglietta che indossava aderiva benissimo al suo corpo, le spalle
piccole e la
statura non da giocatore dell’NBA. Alla mano destra, le cui
dita tamburellavano
frenetiche sulla guancia, era infilato un anello argentato.
Passato
un quarto d’ora a rigirarsi ansiosa nella stessa posizione,
Francesca si alzò
con un sospiro seccato, poi cercò nella tasca dei jeans
scuri un po’ di monete
e si diresse al distributore.
Comprò
una barretta al cioccolato, scartata e divorata in brevissimo tempo,
poi la
porta che stava guardando prima finalmente si aprì.
Ne
uscì fuori un dottore vestito con un camice sbottonato, con
degli occhiali sul
naso e un sorriso sulle labbra.
Francesca
sapeva già cosa voleva dirgli.
Un
ragazzo con un cappello ben calato in testa stava scrivendo sul muro
con una
bomboletta. La agitò velocemente, impaziente di scrivere,
masticando una
chewing-gum.
Poi
incominciò a tracciare delle parole sul muro.
Francesca,
seduta sul muretto di fronte a lui, abbassò lo sguardo per
vedere cosa stava
facendo.
Compiaciuta
che quelle parole fossero per lei.
-Visto
come sono bravo?-
Lei
sorrise e scese giù con un salto, portandosi accanto a lui.
Guardò
la scritta dedicata a lei, colorata e rotonda, saltava subito
all’occhio ed era
impossibile che passando non si notasse. I colori che lui aveva scelto
per
scrivere quel ‘Francesca ti amo’, erano vividi
impressi nel muro, come la prima
pennellata su un quadro, e luccicavano.
La
ragazza si morse un labbro, contenta e col cuore che le andava a mille,
poi lo
abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia,
che ben presto si trasformò in
qualcosa di più avventato.
Francesca
si staccò, e guardandolo bene negli occhi col sorriso sulle
labbra, disse
-Non
possiamo più stare insieme-
Quello
forse pensò che fosse uno scherzo, perché rise e
le diede un bacio sulla testa
bionda.
-E
perché mai?- chiese, sempre ironico, credendo che facesse
finta, che fosse un
gioco.
Lei
non cambiò il tono, né la voce.
Continuò a fissarlo.
-Sono
incinta di due mesi-
Davide
indossò velocemente il suo grembiule bianco sul quale era
stampato a grandi
caratteri il nome di una birra, se lo allacciò in vita e
cominciò a lavare i
bicchieri sporchi lasciati sul bancone.
Erano
le undici meno dieci e la clientela non accennava a diminuire. Un uomo
vicino a
lui continuava a chiacchierare con quello che stava seduto sullo
sgabello dalla
parte opposta, un uomo molto mogio e triste.
E
quegli uomini, aveva imparato, erano la maggiore fonte di guadagno.
Finiti
di sciacquare i boccali, prese subito un taccuino, una penna e
oltrepassò il
banco per dirigersi ai tavoli.
C’era
una coppietta nella zona che doveva servire, e si preoccupò
di prendere subito
le ordinazioni.
Una
ragazza mora gli passò accanto, trascinandolo per un braccio
via dal suo
tavolo.
-Che
fai? Non avevo finito!- domandò.
Lei
lo prese per la maglietta e lo tirò nel retro.
Quando
furono soli la ragazza, vestita da cameriera, si fermò a
parlare.
-Potrei
anche pensare male, sai?- commentò lui, ma si era fatto
rosso.
Quella
alzò un sopracciglio come a dire ‘Ma che diavolo
dici?’ e lui smise subito
l’espressione che aveva assunto.
-Non
posso fare il mio giro di ordinazioni stasera!-
-Perché?-
-Perché
la mia zona è presidiata da un sacco di maniaci ubriaconi!
Non sono abituata a certi
commenti, io!- disse lei, gonfiando il petto con aria di
superiorità –sai, sono
una ragazza per bene!-
Fu
Davide ad alzare il sopracciglio stavolta, ma badò bene di
non farsi vedere da
lei.
La
cameriera sfoderò gli occhi dolci che disponeva per
convincerlo.
Lui
sbuffò seccato. Poi si rassegnò; non era capace a
dire di no alle persone.
-E
va bene, va bene…-
Non
finì nemmeno di dirlo che lei strillò di gioia e
gli saltò al collo dandogli un
bacio sulla guancia.
Un
uomo alto e muscoloso comparve sulla soglia del retro.
-Niente
tresche sul lavoro!- tuonò e prendendo il ragazzo per la
maglia lo ributtò
fuori a lavorare.
Quella
sera sembravano averlo preso tutti per un sacco di patate.
Davide
si incamminò verso l’altra parte del locale, dove
effettivamente vide un tavolo
piano di ragazzi grandi che probabilmente erano i consumatori delle
varie
bottiglie vuote che giacevano sul legno.
Ignorando
i loro volgari commenti, sorrise fra sé. Forse una di quelle
sere sarebbe
riuscito a convincere Silvia ad uscire con lui; la bella cameriera
aveva delle
gambe perfette invidiate dalle clienti e generosamente apprezzate dalla
fauna
maschile che si rifugiava a passare il tempo in quel bar.
Davide
sospettava, ma non si azzardava a formulare ipotesi concrete, che anche
Bruto
si fermasse qualche minuto ad osservare come svolazzava la ragazza fra
i
tavoli. E il motivo non erano i cocktail che stava servendo.
Bruto
era un po’ come un secondo padre per lui: da quando lavorava
nel suo locale,
ovvero da un anno e mezzo, gli aveva insegnato tutti i segreti per
avere
successo con quel lavoro. E a lui piaceva molto, si divertiva a farsi
trascinare nella mischia eccitata di ragazzi, uomini e donne che si
fermavano
volentieri a passare la serata nel pub.
Ormai
conosceva tutti gli abituali clienti.
Una
signora anziana, piccola e composta, che veniva solo la mattina e
ordinava
abitualmente la colazione; un paio di studenti del liceo a pochi metri,
che
quando marinavano la scuola portavano lì con loro anche
alcune amiche carine.
Un
barbone che si faceva vedere solo tardi, e veniva lì a
spendere i soldi
elemosinati in birre che lo rendevano molto sbronzo.
Non
si poteva dire che le cose andassero male.
D’altra
parte, aveva già il suo piccolo appartamento ed era certo
che Bruto gli avrebbe
lasciato continuare il lavoro. Era certo che si fosse affezionato a lui.
E
quale cosa migliore se fosse riuscito a mettersi insieme a Silvia?
A
dir la verità, era già riuscito ad ottenere un
“appuntamento” ben mascherato.
Era
una sera, dopo un pomeriggio trascorso all’ospedale per un
presunto caso di
meningite nella zona e relativo vaccino preventivo.
-Che
cavolo di
pervertiti! Non mi hanno mica solo vaccinato, il mio dottore mi aveva
preso per
una bambola vodoo!- Silvia esclamò stizzita massaggiandosi
il braccio e
infilandosi il suo grembiule.
Davide
scoppiò a
ridere, ma si interruppe quando vide Bruto comparire sulla soglia del
retro, le
braccia grandi e muscolose incrociate.
-Ancora
qua voi
due?-
-Beh
mica le birre
si servono sole- rispose rapido il ragazzo, facendo spallucce.
L’uomo
li guardò
mentre si preparavano.
Emise
un brontolio
disinteressato, poi disse con quella voce grossa
-Oh
andatevene via!
Stasera non ho voglia di vedere le vostre facce tutto il tempo!-
Silvia
lo guardò a
bocca spalancata. Davide si accigliò.
-Non
avete capito?-
Li
prese per il
colletto delle maglie e li portò all’uscio del
locale.
-Fuori!-
disse e li
spinse.
La
ragazza si voltò
sorpresa, poi si mise a ridere.
-Ma
che culo!
Abbiamo la sera libera!-
Ma
Davide era certo
di aver visto un sorriso spuntare sotto i baffi dell’uomo,
poco prima che li
gettasse via.
Le
parole poi gli
erano uscite quasi senza che se ne accorgesse.
-Ti
va di andare a
ballare?-
Qualche
minuto dopo
si trovavano chissà come in una discoteca affollata e
caotica.
Lui
si era seduto
impacciato ad uno sgabello, guardando la bella cameriera servire altri
ragazzi
tutti ammucchiati per sbirciare la sua scollatura. Ma sapeva che faceva
tutto
parte del gioco.
Silvia
lo aveva
trascinato a ballare, e non che lui fosse riluttante,
tutt’altro, ma non era
affatto preparato a quello.
Cercò
di non fare
la figura dello stupido, ma era comunque difficile trovarsi a stretto
contatto
con quella ragazza e non essere in imbarazzo.
Ricordava
anche di
aver visto poi entrare un gruppo di ragazzini nel locale, probabilmente
alle
prime volte in una discoteca, tutti eccitati ed esaltati.
Poi
c’erano stati
vari bicchieri vuoti che scorrevano sulla sua parte di banco, e la
vista che
mano a mano si annebbiava e tutto diventava più confuso.
Gli
sembrava di aver visto una chioma bionda ballare vicino a lui,ma di
quella sera
non ricordava null’altro se non che si era svegliato la
mattina nella sua
macchina, con i muscoli indolenziti e la schiena che minacciava di
spezzarsi a
metà.
Oltre
ovviamente ad un bel mal di testa. Probabilmente, aveva ricostruito, si
era
ubriacato. Ma non gli sembrava di aver provocato chissà
quali danni, e non
aveva nessun segno rosso sul collo, o livido, che testimoniasse una
notte
brava. Dedusse che aveva fatto, anche nell’inconscio, il
bravo ragazzo.
Francesca
stava appollaiata sulla sedia accanto al telefono fisso, picchiettando
con le
dita smaltate col lucido sulla tastiera numerata. Aveva
nell’altra mano un
foglietto con su scritto un numero di telefono, ma non si azzardava a
comporlo.
Il
telefonino in tasca le vibrò, era certamente un altro
messaggio di quel ragazzo
carino, quello di un paio di giorni fa che aveva mollato con quella
spiacevole
quanto inevitabile verità.
Erano
esattamente due giorni che la martellava di sms, domande e parolacce.
Lei aveva
provato a spiegarsi, a cancellare il suo numero, ma niente. Non ne
voleva
sapere di sparire. E per lei le persone, quando si mettevano contro di
lei,
dovevano solo scomparire dalla sua vita per sempre.
Anche
con le maniere forti.
Lesse
più volte il numero che aveva fra le mani e
ricontrollò l’orario. Erano le
quattro, e le sembrava abbastanza decente; né troppo presto,
né troppo tardi.
Respirò
per calmarsi, ripassando a mente tutto il discorso che si era preparata.
Se
lo ricordava. L’importante era apparire sicura e non farsi
sbattere il telefono
in faccia.
Abbassò
il copri tasti e iniziò a digitare, le dita che le tremavano
per il nervoso.
Finalmente
iniziò a squillare.
La
porta della stanza era chiusa a chiave, nel caso di ospiti indiscreti.
Il
respiro pesante contro la cornetta testimoniava quanto era agitata.
Davide
salì sbadigliando le scale fino ad arrivare al suo
appartamento.
Aprì
la porta gettando con un colpo secco il mazzo di chiavi sul mobiletto,
e appena
si tolse la giacca sentì il trillo del telefono.
Scavalcò
velocemente il divano con un balzo e allungò una mano per
prendere la cornetta.
La alzò e la portò all’orecchio.
-Pronto?-
La
ragazza sobbalzò sentendolo rispondere con voce
più grande. Ebbe un attimo di
panico e rapidamente chiuse il telefono.
Era
diventata tutta rossa e agitata. Riguardò il numero che
aveva composto, e lesse
il nome sopra scarabocchiato.
“Davide
Ferri”.
Provò
a farsi nuovamente coraggio.
Riprese
in mano la cornetta e fece daccapo il numero. Squillò di
nuovo e dopo
pochissimo la voce maschile di prima rispose.
-Pronto?-
Lei
trasse un respiro.
-Parlo
con Davide Ferri?-
Davide,
dall’altro capo, ascoltando il tono di voce femminile e il
modo formale con cui
lo aveva chiamato, si accigliò e si drizzò a
sedere.
-Sì,
sono io. Cosa è successo?-
Già
temeva qualche incidente a persone care.
Francesca
mancò la risposta pronta, perché il nervosismo la
impallava come un virus col
computer.
-Forse
tu non ti ricordi di me- esordì mordendosi un labbro
preoccupata.
Ma
ormai doveva andare avanti.
A
questa uscita il ragazzo pensò ad uno scherzo. Cosa
significava tutto quello?
-Scusi
ma chi parla?- domandò alzando un sopracciglio.
Lei
arrossì di più.
-Mi
chiamo Francesca Daniele. Io… anzi noi ci siamo
già conosciuti-
Le
sembrò un pessimo discorso da fare ad uno sconosciuto e
pregò che non la
prendesse per matta.
Davide,
perplesso, scavò nella memoria per trovare un qualcosa che
gli ricordasse quel
nome. Ma non gli suggeriva nulla.
-Mi
spiace, forse ha sbagliato persona- rispose più cortese.
Francesca
si animò.
-No
no!- si affrettò a dire –ecco… non ho
sbagliato persona!-
Sbuffò,
capendo che così non avrebbe ottenuto nulla.
-Ascolta,
Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non
ti ricordi di me. Sai, io sono
incinta-
Davide
inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma
cosa voleva quella da lui?”.
-Beh,
tanti auguri, mi fa
piacere…- stava già
per chiudere la conversazione.
Lei
intuendo ciò che voleva fare si affrettò a
vuotare il sacco.
-Sono
incinta di te-
-Cosa?-
Francesca
intuì dal suo tono che non
le credeva.
Incespicò sulle parole.
-Senti…
possiamo vederci? Avrei bisogno di parlarti di persona-
Il
ragazzo scosse la testa.
-Scusa
io non so chi sei, né so di cosa tu stia
parlando… perciò…-
Ma
la bionda parlò sulle sue parole.
-Sto
parlando della sera in discoteca!-
In
discoteca?
Davide
rifletté lentamente su quella parola. Di quale discoteca
stava parlando quella
ragazza? Forse di quella serata… no, era impossibile.
Così impossibile che
poteva essere vero?
Decise
di ascoltarla.
-Possiamo
vederci?- ripeté quasi con tono di supplica.
La
situazione era strana fino all’inverosimile, ma al ragazzo
non sembrava tanto
una cosa da riderci.
Esitò
un momento prima di rispondere e fece un sospiro.
-Mi
assicuri che non è uno scherzo? Non è uno stupido
scherzo telefonico? Guarda che
se è così, rintraccio il numero e ti vengo a
cercare-
Non
gli piaceva essere preso in giro, e quella gli sembrava una balla bella
e
buona.
-Sì,
ti prometto, giuro, ti faccio un patto col sangue se vuoi-
-Cosa
vuoi da me? Seriamente- domandò, stavolta più
tranquillo.
Francesca
si portò una ciocca bionda dietro l’orecchio.
-Voglio
parlare con te, a quattr’occhi. Ti prego- aggiunse.
Se
prima lo sembrava, ora ne era certo.
Quella
storia era una pazzia.
Ma
com’è che aveva letto da qualche parte?
È sempre meglio assecondare i pazzi.
-D’accordo,
d’accordo…- assentì.
La
ragazza sospirò di sollievo.
-Possiamo
vederci… che ne dici al bar? Quello dietro il classico-
Che
poi sarebbe quello dove lavoro io, aggiunse mentalmente lui.
-Ehm…
d’accordo. Domani?-
-Domani
all’una e mezza-
-D’accordo-
-Grazie-
-Ma
figurati-
Appoggiò
la cornetta, chiudendo la conversazione.
Stette
un momento sul divano riflettendo. Poi ripensò alle parole
della ragazza.
“Sono
incinta di te”.
Gli
scappò un sorriso che si trasformò in una breve
risata.
Ma
che stupido scherzo idiota. Si alzò dal divano e
andò a farsi una doccia.
Quella
sera aveva intenzione di uscire con Silvia.
Francesca
poggiò il telefono mentre il battito del suo cuore si
placava lentamente; non
credeva di avere il coraggio di fare una cosa del genere, ma
evidentemente si
era sottovalutata.
Come
era diventata sua abitudine, si strofinò il palmo della mano
sulla pancia e la
osservò.
Piatta
come sempre, o quasi a parte qualche piccola onda che la increspava.
La
causa di tutto era stata quella sera.
Il
ragazzo dai
capelli castani infilò le mani sotto la sua maglia,
alzandogliela un po’.
Francesca sospirò mentre sentiva la sua lingua accarezzarle
il collo. Cercò
nuovamente la sua bocca e desiderò di sentirlo con un
contatto più intimo.
Quella
era la sua
sera; sapeva che le sue amiche la stavano guardando ballare e baciarsi
con quel
bel ragazzo; sapeva che la invidiavano.
Voleva
sentirsi
grande.
Così
si staccò e
prese una mano al ragazzo, cercando di uscire dalla calca che impazzita
affollava la pista.
Uscirono
fuori e
una volta lì, non aveva idea di cosa fare. Ma il ragazzo non
sembrava pensarla
allo stesso modo. La attirò a sé e prese possesso
delle sue labbra, mentre
avanzava verso una macchina.
Si
staccò per
aprire lo sportello posteriore e la fece sdraiare con malagrazia, quasi
di
forza.
Francesca
cercò di
adattarsi ai suoi movimenti, e tutto sommato, a parte il fatto che
probabilmente lui non aveva idea di chi lei fosse e di cosa stesse
facendo, poteva
accontentarsi.
-Silvia…-
lo sentì
dire mentre scivolava dentro di lei.
Ma
nemmeno lo
ascoltava più, anche lei in preda al delirio.
Dopodiché
fu intenso,
rapido e al sapore di alcol.
Ricordava
le sue mani affannate e impazienti che le scorrevano sulla pelle e il
sapore
forte di alcol che impastava la sua bocca. Ripensò al suo
volto, ai tratti di
un paio di mesi fa che riusciva a ricordare, per dare un volto alla
voce che
aveva appena sentito.
E
se lo ricordava bene, eccome. Certo la prima volta poteva andare
meglio, ma se
la ricordava molto bene.
Quel
viso magro, i capelli castani e gli occhi grandi. Grandi, verdi e
intensi.
Non
provava alcuna attrazione per lui, semplicemente aveva creduto che
fosse un bel
ragazzo, e una volta che si era spinto troppo in là aveva
tanta voglia di
crescere che non aveva badato a sciocchezze come il posto, la persona,
e se lui
fosse realmente cosciente e padrone delle sue azioni.
Aveva
parlato con voce adulta. Chissà quanti anni poteva avere?
Più
di venti all’incirca. La sua voce era sicura e gentile, mai
offensiva.
Aveva
avuto la sua prima volta con un ragazzo che non conosceva nemmeno.
E
quel ragazzo, alla prima occasione, aveva fatto centro.
Il
bar era gremito di gente, quella sera alle otto. Tanta gente che non si
riuscivano a distinguere fra loro e sembravano formare
un’unica macchia variopinta
e ciarliera. Davide reggendo in alto un vassoio piatto si fece largo
sgomitando
fra la calca e raggiunse una zona. Aveva da consegnare due birre: una
ad un
ragazzo seduto con i suoi amici, ed un’altra alla ragazza
bionda al tavolo
all’angolo.
Stava
seduta mogia mogia, con una mano che sorreggeva il mento e girava il
cucchiaino
nel suo frappé.
Il
ragazzo arrivò davanti a lei e le posò la birra
sul tavolo di legno.
Notando
che non aveva cambiato espressione, e cioè che rimaneva
scura in volto, fece un
gran sorriso.
-Ehi,
sorridi!- le disse.
La
ragazza alzò lo sguardo incontrando i suoi occhi e
automaticamente stirò le
labbra. Ma un secondo dopo sgranò gli occhi, riconoscendo il
suo volto.
Lui
se n’era già andato.
Francesca
era certa di non sbagliarsi. Era il ragazzo con cui aveva parlato al
telefono
qualche ora prima. Seguì con lo sguardo la sua sagoma che
tornava al banco.
Doveva
assolutamente parlargli; faccia a faccia gli avrebbe creduto di
più.
Intanto
lui, tornato dietro il banco, stava riempiendo un boccale con un
cocktail
ordinato dal signore davanti a lui.
Bruto
lo superò reggendo una bottiglia.
-Vai
a cercare Silvia- ordinò burbero.
-Aspetta
che…-
-Vai
a cercarla- scavalcò la sua opposizione con tono fermo e che non ammetteva repliche.
Allora
il ragazzo, servito il cocktail, sgusciò fuori da quella
ressa. Probabilmente
stava telefonando ad una sua amica o si stava facendo una sigaretta di
nascosto
da Bruto.
Ma
quello che vide quando uscì fuori gli fece più
male di uno schiaffo.
Silvia
era aggrappata con tutto il suo impegno al maglione di un tizio alto
che la
sosteneva, ed era impegnata ad allietarlo con la sua bocca. Fu come se
gli
fosse caduto un mattone sullo stomaco. Davanti a quella scena non
poteva fare
nulla, e gli sarebbe sembrato da scemi interromperli. Così
tornò dentro,
rattristato.
Bruto
lo vide rientrare, solitario, e lo stette a fissare mentre si impegnava
a
servire un altro signore. Gli sembrò che fosse successo
qualcosa che lo aveva
reso triste, e non gli era difficile immaginare cosa.
Pensò
di rilanciargli una battuta sarcastica, ma poi la folla di persone che
si
affannava per ordinare lo fece desistere.
Francesca
si alzò dal tavolo e si diresse decisa verso il banco. Prese
posto su uno
sgabello, e decisa aspettò che le rivolgesse attenzione.
Davide
osservò rientrare, con un sorriso compiaciuto sul viso,
Silvia e prendere
servizio; non potendo digerire così presto la scenetta a cui
aveva assistito
prima, si spostò verso l’altra parte della folla
che attendeva.
Così
facendo si trovò di fronte a lei. E lei lo riconobbe subito.
Era
strano, pensò Francesca, vederlo così tutto preso
dalle sue bibite, e
ricordarlo mentre sudato ed eccitato provvedeva a farle provare quella
che in
teoria doveva essere la sensazione più bella di tutte. Lei
ancora non conosceva
abbastanza quel mondo e le mani del ragazzo erano state la sua guida
impacciata.
-Che
prendi?- domandò spiccio lui, seccato da qualcosa.
-Non
voglio ordinare- rispose la bionda.
-Beh
allora libera il posto ad altri che devono consumare-
ribatté il ragazzo.
Non
c’era dubbio. La voce profonda era quella, non poteva
sbagliarsi; la stessa che
aveva udito quel pomeriggio attraverso la cornetta. Anche a Davide
parve
familiare quel tono, ma aveva altro per la testa e non poteva
preoccuparsene.
-Voglio
parlare con te-
Quella
frase gli suonò stranamente familiare, come se
l’avesse già sentita. E una
volta che ebbe collegato i due momenti, alzò un sopracciglio.
-Tu
sei quella di oggi pomeriggio?-
La
ragazza annuì.
-Ma
cosa cavolo vuoi da me?- domandò stufo.
-Tu
mi hai messo incinta, cavolo! Voglio almeno che tu lo sappia!-
ribatté irritata
lei.
Il
ragazzo iniziò a stufarsi davvero di quella storia.
Bruto
aveva osservato lo scambio di battute che c’era stato fra i
due, e intervenne.
-Se
mi permettessi di spiegarmi forse…- insisteva lei.
Bruto
afferrò Davide per il laccio del grembiule e lo spinse fuori
dal banco a
parlare con lei.
-Basta,
hai finito stasera. Facciamo lavorare un po’ la ragazzina-
borbottò.
Lui
si ritrovò scaraventato di lato, e subito dopo una bionda
gli si parò contro
minacciosa.
Lo
afferrò da un polso e se lo trascinò fuori.
-D’accordo,
è una pazzia. Ora mi dici chi sei- incrociò le
braccia, immusonito, con ancora
la tenuta di lavoro addosso.
-Te
l’ho detto! Mi chiamo Francesca, a proposito…
piacere-
Davide
non rispose ma la invitò a proseguire.
-Noi
ci siamo incontrati due mesi fa, una sera in discoteca-
-In
discoteca? E quale?-
-Quella
in via Aldo Moro- rispose pronta la ragazza.
Il
ragazzo rifletté. Era la stessa, se non sbagliava, dove era
andato quella sera
con Silvia.
-E
che avrei fatto? Io non ricordo nulla-
-Ci
credo, eri ubriaco fradicio- commentò lei.
-Abbiamo
ballato… tu avevi una maglietta nera, a righe, e un
giubbotto pure nero-
Lui
ci pensò su, e scavando fra i ricordi ammise a se stesso che
le versioni
collimavano.
Una
stanza illuminata ad intermittenza, tante grida esaltate e una ragazza
bionda
che lo accompagnava sulla pista. Che avesse ragione lei?
-Sai
che forse…? Ma come fai a ricordarti tutte queste cose?-
chiese curioso.
Francesca
si morse un labbro e arrossì; spostò a terra lo
sguardo prima di rispondere con
voce flebile e timida.
-Me
lo ricordo perché abbiamo fatto l’amore-
Questa
risposta fece avvampare anche lui.
-Sei
sicura?- chiese esitante
-Sì.
Era la mia prima volta- confidò tornando a guardarlo.
A
questa uscita Davide si sentì quanto mai imbarazzato; non
era certo da lui fare
cose del genere, andare a farsi una ragazzina per un rapporto che
sarebbe
durato solo una notte.
Come
se un peso gli gravasse improvvisamente sullo stomaco, aggiunto a
quello di
prima.
Fu
preso dai sensi di colpa.
-Mi
dispiace- disse serio.
La
guardò, cercando di incrociare i suoi occhi.
Era
notevolmente più piccola di lui, e si notava.
-Non
devi scusarti, e non è questo il problema-
proseguì la ragazza, con tono più
deciso.
Prese
fiato e si decise a vuotare il sacco.
-Il
problema è che sono incinta di due mesi-
Un
terzo mattone piombò sul suo stomaco. Fu tentato di ridere,
e di scuotere la
testa. Credeva fosse tutto un terribile scherzo.
-Non
è possibile-
-Oh
sì che lo è- confermò Francesca.
-Non
può essere-
-è
da due mesi che non ho più le mestruazioni, e ho fatto pure
il test. L’unico
ragazzo che può avermi… cioè,
l’unico con cui può essere successo sei tu-
D’improvviso
Davide ebbe bisogno di sedersi perché la testa gli girava e
le gambe
minacciavano di cedere.
Così
fece, appoggiandosi alla panchina dietro di loro. Subito Francesca si
sedette
affianco a lui.
-Allora?-
domandò.
-Allora
che?-
-Allora
che ne pensi?-
-Cosa
ne penso?- ripeté il ragazzo; sorrise ironico.
-Penso
che sia tutta una pazzia. È una cosa troppo impossibile. Io
non ci credo se non
vedo-
Rispose
continuando a tenerla sott’occhio.
Se
anche fosse successo come diceva quella, come poteva essere che lui
avesse scordato
tutto? Che non ricordasse nemmeno un particolare che potesse confermare
le sue
parole?
Caspita,
e poi possibile che nell’unica serata che aveva deciso di
divertirsi un po’
dovesse capitargli quell’intoppo di dimensioni gigantesche?
Se
fosse stato così, ne era certo. Era pura sfiga.
Si
azzardò a fare una domanda dopo che erano rimasti in
silenzio a riflettere
ognuno sui suoi pensieri.
-Ma
sei sicura che sono proprio io? Che sono io che ti ho messa incinta?-
Forse
un po’ spudorato ma che cavolo, meglio essere sicuri, no?
Francesca
si mise a giocherellare con un orecchino argentato che aveva attaccato
al lobo.
-Non
sono mica una che la dà a tutti-
A
lui venne voglia di sorridere.
-Scusa
eh… ma fartela con uno che manco conosci?- disse come se
dovesse spiegare una
cosa molto semplice ad un bimbo testardo.
-Ricordo
che è stata anche colpa tua. E devi farti un esame-
-Cosa?-
Due
erano le cose, a quel punto: o era tutto un enorme scherzo sciocco,
oppure
quella ragazzina aveva seri problemi al cervello.
-Senti
io non ho tempo da perdere con queste sciocchezze….- la
liquidò alzandosi.
La
bionda saltò su immediatamente mentre il ragazzo si stava
allontanando.
Sentì
i nervi saltargli e ogni buonsenso andare al diavolo.
Si
fece rossa e gli gridò dietro
-E
se invece fosse tuo figlio non te ne importerebbe niente? Mi lasceresti
così?
Rifiuteresti il tuo bambino?-
Davide
si voltò di scatto. Quella pazza stava urlando troppo per i
suoi gusti, e a
quell’ora ne passava ancora di gente, che sentendola si era
voltata curiosa
nella loro direzione. Tornò da lei, premendole una mano
sulle labbra.
-Scema,
che cavolo ti urli?- la sgridò. Lei si scrollò la
sua mano di dosso e
accigliata riprese
-Tu
sei solo un egoista. Non ti importa nulla di me, bastardo! Prima ti
diverti e
poi non accetti le conseguenze! Ma cresci un po’!-
-Ma
che cosa stai dicendo?-
-Perché
non mi vuoi credere?- all’improvviso lei cambiò
tono e passò da carnefice a
vittima.
Lui
la guardò un po’intimorito.
Forse
faceva davvero sul serio.
La
ragazza attese una sua risposta con apprensione, evidentemente ci
teneva.
Il
ragazzo tentennò un po’ sotto il suo sguardo
fiducioso. Gli occhi tremendamente
azzurri lo fissavano carichi di fiducia e supplica.
Indeciso
sbuffò.
-E
va bene. Andrò a fare l’esame, se questo
può tranquillizzarti- acconsentì
stringendosi nelle spalle larghe.
Francesca
emise un sospiro di sollievo.
-Ti
ringrazio. Che ne dici se andiamo domani? Tanto dopo la scuola io vengo
sempre
a mangiare qui-
-Non
ho il turno all’ora di pranzo- disse lui.
Ecco
perché non l’aveva mai vista, pensò fra
sé.
Però
qualcosa, forse la sua espressione mista alla tenerezza che gli faceva
a
vederla così bisognosa di una sua risposta, lo indusse ad
accontentarla.
-Domani,
all’uscita di scuola. Va bene?-
-Va
bene-
-Se
non fossi io il padre del bambino?- domandò quando stavano
per separarsi.
-Mi
scuserei tanto per il disturbo- ribatté svelta, e poi si
allontanò lungo la via
illuminata dalle vetrine e rumorosa per i gruppi di persone che ci
passeggiavano.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
L’ora
di arte non era mai stata tanto noiosa quanto quella di quel giorno.
Francesca
si guardava attenta e scrupolosa nello specchietto ben nascosto dietro
l’astuccio, aggiustandosi i capelli con cura e infilandosi un
piccolo fermaglio
per fare stare ferma quella frangia bionda che non voleva saperne di
lasciarla
in pace.
La
ragazza dai capelli neri accanto a lei, sviando lo sguardo della
professoressa,
si protese verso di lei.
-Per
chi ti fai bella?- domandò curiosa, senza mancare di darsi
lei stessa un’occhiata
nello specchio.
-Devo
andare a fare una cosa con uno, dopo scuola-
-Hai
trovato quel ragazzo?-
-Sì-
L’altra
scattò su.
-E
non mi dici niente? Cosa ti ha detto?-
Francesca
era concentrata per rendere carina quella capigliatura dritta e liscia
che si
trovava in testa. Come invidiava i bei riccioli scuri
dell’amica.
-Non
voleva crederci, ma alla fine mi ha ascoltato-
-Gli
hai già detto cosa vuoi fare?-
A
questa battuta lei si irritò, come le succedeva facilmente.
-No,
e non ne ho l’intenzione. Tanto i maschi sono tutti
così stupidi che farà il
mio gioco senza accorgersene-
La
sua amica non fu così stupida da replicare.
-Come
va?- disse alludendo alla pancia della bionda.
-Ho
vomitato solo una volta questa settimana. E per sfortuna, ca**o,
proprio quando
c’era lui. Mi ha chiesto cosa avevo e gli ho risposto che era
solo mal di
pancia. Così ora mi tocca pure mangiare in bianco, quando
invece ho una fame…-
Un
ultimo filo biondo finì imprigionato nella morsa di
quell’unico fermaglio, e
Francesca sorrise per questo soddisfatta.
Suonata
la campanella e scesa rapidamente nel cortile, avvistò
quello stesso ragazzo
col cappello calato che un paio di settimane prima aveva il potere di
farle
battere fortissimo il cuore. Non era proprio il momento di mettersi ad
urlare
(perché lo avrebbe fatto di sicuro) contro di lui perdendo
tempo prezioso, così
svicolò infilandosi fra la calca che affollava il cancello.
Sgusciò
via inosservata e si incamminò a passo veloce verso il bar.
Chissà
se quel ragazzo sarebbe venuto.
Davide
per l’appunto stava seduto a braccia incrociate sulla panca
fuori dal locale,
imbronciato si domandava che esito avrebbe avuto quella strana
giornata. Già la
sua notte era stata tormentata da una bionda di sua conoscenza, ed era
abbastanza sicuro che anche il giorno avrebbe risentito della sua
presenza.
La
stava aspettando, controllando di tanto in tanto l’orologio
al polso, avvolto
nel giubbotto verde scuro.
Se
non altro, sarebbe stato puntuale.
Erano
l’una e venti: tra poco sarebbe arrivata.
Era
immerso nei pensieri più strani, procurati da quella
ragazzina la sera prima, e
quasi non si accorse che un’altra ragazza lo stava chiamando.
-Davide?-
Silvia
lo fissava dalla soglia della porta. Lui alzò lo sguardo per
incontrare quello
della mora, e il suo stomaco sprofondò.
Non
aveva proprio voglia di parlare con lei.
Ma
la ragazza gli si sedette accanto, incurante del suo stato
d’animo.
-Cosa
fai qui? Non sei a casa?- chiese.
-Sto
aspettando una persona-
Poi
preso dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, aggiunse
-Una
ragazza-
Silvia
lo osservò incuriosita.
-Quella
ragazza bionda con cui ti ho visto parlare ieri? È la tua
ragazza?-
Quelle
parole lo nauseavano peggio dell’odore di vino della cantina.
Scosse la testa.
-Ma
che dici? È solo un’amica-
-Quanti
anni ha?-
Lui
scattò infastidito da tutta quella invadenza, si strinse
nelle spalle e
borbottò
-Uno
ora non può nemmeno farsi i fatti suoi?-
La
mora rimase stupita da quel suo atteggiamento restio e poco socievole.
Inarcò
un sopracciglio.
-Va
bene, scusa… non volevo dire nulla. Ci vediamo stasera-
E
si allontanò indispettita, sotto lo sguardo imbronciato di
lui.
-Str***a-
le sibilò senza farsi udire.
Come
se non bastassero i suoi pensieri doveva complicarsi pure la sua vita
sentimentale.
Francesca
lo osservò per un po’, incerta se chiamarlo o
meno. Lo aveva visto scambiarsi
qualche parola con quella cameriera, e poi lei se n’era
andata via; lui pareva
arrabbiato.
-Davide?-
Un
tono di voce diverso, più limpido attirò la sua
attenzione.
Fissò
la biondina che stava in piedi davanti a lui, con lo zaino piccolo
sulle
spalle, il giubbotto bianco aperto.
Subito
si alzò, superandola in altezza. Cambiò
l’espressione che aveva da arrabbiata
ad incerta.
-Andiamo?-
Lei
annuì e incominciò a camminare.
Dopo
un po’ che procedevano in silenzio, lei commentò
-Non
credevo saresti stato puntuale. Pensavo mi avresti piantato in asso-
Davide
scrollò le spalle, finto indifferente.
La
verità era che quella storia lo aveva fatto stare in
pensiero e ora voleva
vederci chiaro; dopodiché avrebbe deciso il da farsi.
-Non
sono così bastardo sai?-
Lei
alzò velocemente gli occhi al cielo senza farsi vedere.
La
clinica era a pochi passi dalla scuola; era piccola e vi lavoravano
pochi
medici, ma non aveva pensato ad altro posto dove poter chiedere aiuto.
Entrarono
dentro, avvicinandosi alla dispensatrice di informazioni.
-Cosa
posso fare per voi?-
La
bionda parlò, alzandosi leggermente sulle punte.
-Mi
chiamo Francesca Daniele. Ho un appuntamento col dottor Martino- disse
facendosi rossa.
L’assistente
controllò le carte che aveva nascoste sul bancone, poi si
alzò.
-Ora
ve lo chiamo-
E
si allontanò di corsa.
Davide
la guardò perplesso.
-Scusa
ma i tuoi? Non si preoccuperanno se non torni a casa a mangiare?-
chiese.
-Fatti
miei- rispose lei, poi si sedette su una seggiola, aspettando il
dottore.
Lui
la imitò, osservandola. Perché doveva essere
così?
Notò
che sbuffava spesso, e batteva il piede contro il pavimento.
Si
mordicchiava morbosamente il labbro inferiore e continuava a gettare
occhiate
alla porta di una stanza.
-Cos’hai?
C’è qualche problema?- domandò stavolta
con più gentilezza.
-Nessun
problema-
Fece
un lungo e rumoroso sospiro, poi si abbandonò al piccolo
schienale,
raggomitolandosi e mettendo le gambe sul sedile.
-Mi
prendi qualcosa da mangiare per favore?- domandò porgendogli
delle monete.
-Cosa
vuoi?- fece il ragazzo alzandosi.
-Tutto
va bene, sto morendo di fame-
Dopodiché
appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.
Davide
le comprò una merendina qualsiasi, poi tornò al
suo posto.
Nel
frattempo la porta che stava osservando prima lei si aprì, e
ne uscì un uomo
alto, dai capelli lunghi e col camice sbottonato.
-Ciao
Francesca- sorrise nella sua direzione.
La
bionda si rizzò immediatamente e si mise composta.
-Buongiorno-
mormorò.
-Come
va? Tutto bene?- porse la mano prima a lei e poi a Davide, che la
strinse
sospettoso.
-Abbastanza-
-Allora,
c’era qualcosa che volevi dirmi?-
-Veramente
sì, una ci sarebbe-
-Andiamo
nel mio studio, vieni….- sorrise lui, e la condusse verso la
porta da cui era
uscito.
Francesca
si voltò a guardare Davide che era rimasto zitto, bellamente
ignorato da
entrambi.
-Aspetta
qui- gli disse piano per poi sparire dietro la porta insieme al dottore.
Ci
mettevano un po’ troppo tempo quei due, a suo avviso,
pensò mentre stava seduto
silenzioso su quelle seggiole. E quel dottore gli aveva fatto una
pessima
impressione.
Finalmente
poi uscirono, e non mancò di notare che la bionda aveva il
viso tutto rosso,
come quando ieri sera si era arrabbiata con lui.
Il
dottore rivolse un sorriso anche a lui, che si alzò.
-Allora,
dobbiamo solo farti un esame. Niente di preoccupante, se vuoi seguirmi-
Lui
lo fece, e mentre la superava cercò di incontrare lo sguardo
di lei, ma la
ragazza teneva lo sguardo basso e andò a sedersi senza
dirgli nulla.
Chiusasi
la porta, perduto nei suoi pensieri non si accorse di quello che stava
dicendo
il dottore.
-………abbiamo
bisogno di un campione dei tuoi spermatozoi per controllare che tutto
vada
bene. Potresti essere portatore di qualche malattia e potresti
avergliela
trasmessa. Ora, niente di cui preoccuparsi- ripeté,
trafficando con degli
strumenti sul ripiano.
Gli
consegnò una provetta e gli spiegò brevemente
cosa doveva fare.
Davide
arrossì vistosamente.
Ma
in che razza di situazione si era cacciato?
Fece
un gesto con la testa per dire ‘va bene, se proprio si deve
fare…’.
Il
dottore gli indicò il bagno e lo fece entrare.
Davide,
perplesso, non si mosse. Poi fece scattare la serratura.
Lo
specchio che aveva davanti gli rimandava l’immagine
sconcertata che aveva.
Negli
ultimi giorni gli stavano capitando cose davvero strane.
Guardò
la provetta che aveva in mano. Ma guarda tu…
Ma
guarda tu cosa gli toccava fare.
Sbuffò
seccato. Prima si inizia e prima si finisce.
Enormemente
imbarazzato, si calò i pantaloni.
Aprì
la porta del bagno e la richiuse, tornando nello studio. Con grande
sorpresa
c’era Francesca seduta ad una delle sedie. Quando lo vide il
suo sguardo si
posò immediatamente sulla fiala riempita che reggeva, e
sorrise maliziosa.
-Ci
hai messo poco tempo, Davi- commentò sfacciata.
Davi?
Da quando in qua erano passati a così tanta confidenza?
Ma
non poteva farla vincere stavolta.
-Come
ben sai, i miei spermatozoi non sono affatto pigri-
Lei
non ribatté perché in quel momento il dottor
Martino entrò nella stanza.
Sorrise quando vide il ragazzo porgergli la provetta.
-Molto
bene, datemi giusto il tempo di controllare, cinque minuti…-
I
ragazzi uscirono, Davide con la pancia che brontolava e Francesca
togliendosi
il giubbino bianco.
Si
sedettero alle sedie nella sala, uno affianco all’altro.
-Senti…-
cominciò il ragazzo.
-…qualunque
cosa succeda dopo di questo… avrei una cosa da dirti-
-Spara-
fece lei, mentre accaldata appoggiava il capo contro il muro e
socchiudeva gli
occhi, stanca.
-Penso
che dovresti cambiare dottore- sussurrò lui.
-E
perché?- lei voltò di un poco il volto verso il
ragazzo.
-Non
mi piace questo qua- abbassava la voce in modo da non farsi sentire.
-Che,
ora sei pure frocio?- domandò lei strafottente.
-Non
mi piace come ti guarda-
Francesca
sbarrò gli occhi, voltandosi stavolta del tutto a guardarlo.
Arrossì un po’,
poi schiuse le labbra.
-Sei
geloso?-
Davide
si imbronciò e infilò le mani in tasca.
-Guarda
che lo dicevo per te, sai?-
La
bionda sorrise.
-Ma
è successo qualcosa fra di voi?- domandò lui,
sicuro di ciò che diceva.
La
ragazza non rispose, mordendosi un labbro e continuando a tenere
ostinata lo
sguardo davanti a sé.
Forse
lui si era spinto troppo in là, e magari non aveva voglia di
rispondere; forse
era troppo personale.
-Tieni-
disse allungandole la merendina che le aveva preso prima.
Lei
la afferrò mormorando un ‘grazie’.
L’aveva
già finita quando il dottor Martino uscì dalla
stanza, un gran sorriso stampato
sul volto.
Quello
stupido sorriso non faceva presagire nulla di buono, pensò
il ragazzo.
Si
mise davanti ai due, esitando a parlare.
-Allora?-
lo incalzò Francesca.
-Complimenti,
ragazzi- disse euforico –è sano come un pesce.
Aspettate un bambino-
Il
peso della notizia fece colare a picco la mascella del ragazzo che
stette per
un po’ così, con sguardo ebete.
-Ne
è sicuro?- balbettò riprendendosi.
Quello
annuì.
-Porca
miseria…- imprecò.
Detto
da lei era una cosa, ma sentirlo pronunciare dal dottore che lo aveva
esaminato,
era tutta un’altra cosa.
Fece
scivolare una mano fra i capelli, per sostenersi la testa; sconsolato
fissava
il pavimento.
Francesca
non sembrava particolarmente turbata dalla notizia, perché
si infilò il
giubbino e salutò molto fredda il dottore, alzandosi.
Sarebbe
diventato papà.
-Andiamo
a mangiare qualcosa?- chiese lei.
Qualche
minuto dopo erano seduti al tavolino esterno di un bar, l’una
che mangiava
vorace il suo panino, e l’altro che aveva la testa fra le
mani. Davide non
aveva toccato cibo.
Non
poteva levarsi dalla testa i pensieri che lo affliggevano.
Sarebbe
diventato papà.
-Non
lo mangi?- chiese la bionda, già pronta a rimediare.
Ma
non le rispose.
-Davi?-
Stavolta
alzò lo sguardo quando sentì il buffo modo con
cui l’aveva chiamato.
Spinse
da parte il panino, porgendoglielo.
Era
tutto così assurdo.
-Ma
non dici nulla?- incalzò Francesca mentre addentava anche
l’altro panino.
-Cosa
dovrei dire?-
-Stai
per diventare papà- fece lei con un piccolo sorriso.
-Lo
so- la voce si perse in un sospiro rassegnato, come di quelli che fanno
i
condannati a morte.
La
ragazza lo fissava attenta, in attesa della sua reazione.
-Non
posso crederci-
-Ora
cosa pensi di fare?-
Lasciò
andare il panino che stava mangiando per concentrarsi sulla sua
risposta,
ansiosa.
Lui
ci rifletté sopra.
Era
da un giorno che quella ragazzina lo stava preparando a quella notizia
e lui
l’aveva bellamente ignorata. Si sentì un
po’in colpa per questo. E poi… la cosa
strana era che non l’aveva affatto premeditato.
Guardò
Francesca, seduta davanti a lui.
Non
sapeva nulla di lei. Non sapeva quanti anni aveva, non sapeva se andava
a
scuola, se era brava. Non sapeva cosa ne pensava lei di quel suo
bambino, non
conosceva i suoi genitori. Non ricordava né la sua faccia,
né alcun particolare
di quella serata lussuriosa trascorsa con lei mesi addietro.
Non
conosceva il suo mondo, e ora era stato catapultato al suo interno
senza
preavviso.
Aveva
detto che era stata la sua prima volta.
Chissà
come era stata; chissà se si era comportato bene;
chissà se l’aveva fatta stare
bene.
Ne
dubitava un po’, perché a quanto gli aveva detto
era ubriaco fradicio.
Ma
stranamente non gli aveva rinfacciato nulla, si era solo e
semplicemente
preoccupata di fargli avere quella notizia.
Era
una cosa da apprezzare.
-Beh,
niente… dovrai andare a farti i controlli… ma non
da quello lì-
-Ma
perché no?- domandò la ragazza, riprendendo a
masticare il suo pranzo.
-Te
l’ho già detto.
Tu……… lo hai detto a qualcuno?-
Francesca
assottigliò le palpebre. La conversazione scivolava verso un
argomento che non
aveva voglia di trattare e si allontanava da ciò per cui lo
aveva cercato.
-Sì.
Ma tu, cosa hai intenzione di fare?-
Puntò
gli occhi celesti nei suoi verdi, impedendogli di sfuggire il suo
sguardo.
Era
quella la risposta che le premeva di conoscere.
Davide
ricambiò in silenzio l’occhiata che gli stava
dando.
-I
tuoi genitori cosa dicono?-
-Niente-
-Come
niente?-
-Niente-
Non
sembrava che avesse voglia di approfondire la questione,
così lui lasciò
perdere.
-Non
posso tornare a casa, se continuo così. Se andiamo avanti
tutti cominceranno a
fare strane domande…- disse finalmente.
-Non
gliel’hai detto?-
Lei
scattò arrossendo a questa domanda.
-E
che gli dico? Che sono incinta di uno che nemmeno conosco? Ma fammi il
piacere-
Continuò
a rimanere rossa in viso anche dopo, e subito per smorzare il suo
imbarazzo afferrò
la lattina di Coca-cola sul tavolo, la stappò e bevve un
sorso lungo.
-Cosa
vorresti fare? Prima o poi lo noteranno i tuoi genitori…
insomma, quando…-
Francesca
non rispose a quella affermazione. Giocherellò con una
carta, poi lo guardò
negli occhi.
-Non
vuoi tornare a casa?-
-No-
Quella
sillaba troncò la conversazione, e fece fermare entrambi a
riflettere.
Poi
dopo averci pensato su un bel po’, disse
-Se
vuoi, io ti rispetterò. Puoi venire a stare da me per un
po’, tanto io sono
sempre fuori il giorno. Poi decideremo il da farsi-
La
bionda alzò il capo, vittoriosa e il suo sguardo splendeva
di soddisfazione.
Era la risposta inaspettata che però arrivava molto gradita.
-Sul
serio?- chiese per averne la conferma, un sorriso che già le
spuntava sul
volto.
-Beh……
dopotutto ce l’ho anche io delle responsabilità da
prendermi in questa storia-
Pazzesca,
aggiunse mentalmente.
-Puoi
venire a dormire da me, se non vuoi tornare dai tuoi. Però
non mi devi
impicciare in nessuna faccenda. Trovati una scusa o quello che ti pare,
ma non
mi mettere nei casini, che già…-
-D’accordo,
d’accordo, non c’è problema- fece lei,
sovrappensiero.
-Devo
andare a casa a prendere le mie cose, però. Tu hai una
macchina? Tanto quello
che mi porto è solo una valigia-
Lui
annuì.
Francesca
stava racimolando tutte le sue cose in uno zaino consumato che aveva
trovato da
qualche parte; ci gettò dentro una fotografia, facendo
attenzione a non farla
piegare. Poi qualche reggiseno che non entrava in valigia, una felpa
con la
cerniera, e lo chiuse.
La
valigia era già pronta, sistemata vicino la porta, e lui era
sotto con l’auto
che l’aspettava.
Si
fermò sulla soglia a guardare la casa.
Chissà
come sarebbe stato, si domandò, se avesse avuto davvero dei
genitori a cui
confidare quel piccolo segreto che cresceva nella sua pancia.
Purtroppo,
si ricordò malinconicamente, lei genitori non ne aveva.
Anche
se avesse voluto, non avrebbe potuto dirlo a nessuno. A meno che non si
considerasse qualcuno quell’uomo alto, bello ed aitante che
l’aveva adottata.
Ma
lei non era sua figlia, né lo era mai stata.
Tutte
le sue amiche la invidiavano.
-Che
bell’uomo che è tuo padre!- dicevano.
A
lei veniva da piangere a volte, sentendo quelle false parole.
Eppure
lui non era un patrigno tanto male, aveva cercato di convincersene
più volte,
che non le aveva
mai fatto mancare
nulla, che era pronto ad ascoltarla e ad aiutarla con la scuola.
Ma
qualcosa di più potente, nel suo animo, nella sua testa,
rifiutava di provare
affetto per quell’uomo, arrivando a farla disgustare della
sua presenza.
Certe
volte odiava il suo sorriso gentile e le sue mani che accarezzavano i
suoi
capelli, come farebbe qualsiasi padre con sua figlia.
Ma
lui non faceva parte della sua vita.
E
andare via di casa era l’unico modo per farlo sparire.
Perché
per lei, le persone che non le andavano a genio, dovevano sparire dalla
sua
vita.
E
quale occasione migliore?
Scrisse
due righe formali e con la richiesta di non cercarla, che
l’avrebbe vista a
scuola. Gli disse che andava a stare da una sua amica, tanto per
infoltire la
scusa.
Non
aveva intenzione di farsi comandare ancora.
Staccò
le chiavi di quella casa dal suo portachiavi e chiuse sbattendo il
portone
dell’appartamento.
La
casa di Davide si trovava al terzo piano di un bel palazzo, e quando
Francesca
entrò pensò che le rassomigliava tanto ad un
ristorante esotico.
Subito,
appena entrati, si trovava il salotto.
Mobili
di legno scuro, che poi erano solo una libreria e il mobiletto posto a
reggere
la televisione.
Un
divano in pelle scura si trovava davanti a questa, ai suoi piedi un
tappeto
rosso.
Un
lampadario in stile moderno si trovava all’angolo, acceso
dato che si era fatta
sera. Tutta la parete frontale era occupata da lunghe tende, rosse
anche
quelle.
-Eccoci
qua- disse il ragazzo, vergognandosi un po’ per le
cianfrusaglie sparse che non
gli facevano fare certo una bella figura.
Avanzò
portando la sua valigia in camera da letto. Francesca si
guardò attorno
sbalordita. Era proprio bella quella casa.
Guardò
interessata il soprammobile di legno scuro posto sul mobiletto nero
basso, una
specie di corallo in legno, inciso da piccoli solchi. Che bello, si
trovò a
pensare.
Il
tutto creava una certa atmosfera.
Girò
la testa a destra e vide l’entrata per una camera.
Il
letto era basso, con un lenzuolo bianco steso sopra. A parte un armadio
e un
comodino non c’erano altri mobili in quella stanza. Alla
parete che dava sulla
strada erano attaccate ancora quelle tende rosse.
Davide
osservò la bionda per capire se le andava bene quella
sistemazione.
-Come
ti sembra?- chiese.
-Che
bella- commentò lei guardando attenta la stanza.
-Dormirai
tu qua, io mi metto sul divano- disse subito lui.
La
ragazza non ribatté, ma si sedette di colpo sul letto. Era
morbido, pensò.
Accarezzò con una mano il lenzuolo perfettamente liscio,
increspandolo come
un’onda nel mare.
-Questo
letto è abbastanza grande per tutti e due- disse, immersa
nei suoi pensieri.
-Dici?
Pensavo ti facesse schifo dormire con me-
-Tanto
non mi toccherai-
-Non
oserei mai farlo- precisò il ragazzo.
-Perché
ti prenderei a pugni- proseguì la ragazza, senza ascoltarlo.
Poi
si alzò, annuendo per confermare la sua approvazione.
-Okay,
mi piace. È pure vicina alla scuola-
La
luce della cucina era accesa e due ragazzi, seduti ad un tavolo
spigoloso,
mangiavano in silenzio il cibo che Davide aveva trovato in frigo.
Ovvero,
due pacchi di wurstel insaporiti dal ketchup, un’insalata
scondita.
Francesca
mangiava in silenzio, senza lamentarsi.
Lui
smise di mangiare e la osservò.
-Quanti
anni hai?- domandò.
Lei
alzò lo sguardo.
-Diciassette
ad ottobre- disse, pulendosi il muso con un tovagliolo.
-E
che scuola frequenti?-
-Lo
scientifico. È vicino qui, non so se lo conosci-
-Sì,
lo conosco-
Era
tutto così strano.
Così
inverosimile. Una pazzia, per farla breve. Solo l’altro
giorno lui era uno
scapolo che viveva nel suo bell’appartamento da solo, andava
a lavoro e
aspirava ad uscire con la bella cameriera che faceva impazzire i
clienti del
bar.
Il
giorno dopo si era trovato una ragazzina in casa, estremamente
determinata e
poco propensa ad essere amichevole. E la cosa più grave era
che questa
ragazzina portava in grembo quello che probabilmente era suo figlio.
Era
molto strano.
Dopo
che ebbero finito tutto, il ragazzo gettò i piatti di
plastica che aveva usato
e infilò le posate in lavastoviglie.
Francesca
si era seduta, quasi sdraiata sul divano, e stava giocando con quello
che c’era
nel suo zaino. Invitò il ragazzo a raggiungerla accanto a
lei.
Lui
lo fece, ma stette zitto.
Non
aveva idea di cosa dirle.
Non
sapeva se doveva scherzare, se doveva fare domande o di che accidenti
dovesse
parlare.
Non
gli era mai capitato di trovarsi in una situazione simile.
Si
schiarì la voce per spezzare il silenzio.
La
ragazza sbadigliò e si appoggiò contro lo
schienale, chiudendo gli occhi.
-Se
hai la fidanzata diglielo che tu questo figlio non lo vuoi e che io non
sono
qui per entrare nel tuo letto. Non intendo farmi dare della pu**ana e
se non
vuoi che le rompa qualcosa a pugni prendi le precauzioni-
-Tanto
non ce l’ho la donna-
-Lo
immaginavo- commentò lei.
A
questa frase lui si accigliò.
-E
perché mai?-
-Uno
che in discoteca va con una di sedici anni non deve avere molte risorse-
Teneva
sempre gli occhi chiusi e aveva un’insopportabile aria di
superiorità che fece
andare fuori dai gangheri Davide. Dopotutto era lui il maggiore fra di
loro.
-Ti
ricordo che ero ubriaco. Molto ubriaco- marcò bene la parola.
Lei
non accolse la provocazione, limitandosi a fare un sospiro stanco.
Ci
fu una pausa di silenzio, poi la bionda disse
-Dicevi
sempre Silvia-
Il
ragazzo non afferrò subito il senso della frase.
-Come?-
-Dicevi
sempre il suo nome, mentre facevamo l’amore-
Lui
arrossì distogliendo lo sguardo da lei.
-Chi
è, la ragazza che ti piace?- domandò con una
punta di sarcasmo Francesca.
-No-
-E
allora perché dicevi il suo nome?-
-E
che ne so io- fece lui, sempre più imbarazzato.
Maledetta
Silvia che rompeva le scatole anche quando non c’era.
Poi
ripensò alle parole che aveva detto lei. Ciò
significava che aveva consumato un
rapporto con lei pensando ad un’altra. E questo era terribile
per qualsiasi
persona.
Voleva
scusarsi, ma non sapeva cosa dirle. D’altronde, non sembrava
avere molta
importanza per lei, così lasciò perdere.
Grazie a chi ha recensito il primo capitolo, i vostri commenti mi hanno fatto molto piacere.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Quando
la mattina dopo si svegliò, era appoggiato con la schiena al
divano. Si
stropicciò un occhio assonnato e si alzò. Aveva
tutti i muscoli tesi e
indolenziti per la scomoda posizione.
Lo
zaino che la sera prima era sul divano accanto a lui, non
c’era più.
Probabilmente Francesca era andata a scuola.
Che
strana ragazza, pensò.
Non
sembrava intimorita da quello che doveva affrontare. Va bene che non si
erano
mai spinti a parlare “a cuore aperto”,
però non si era mai mostrata fragile.
O
almeno, questa era l’impressione che dava.
Il
professore stava scrivendo alla lavagna il testo del problema che i
ragazzi
avrebbero dovuto risolvere. Il pennarello blu scorreva veloce sulla
superficie
bianca, tracciando parole e lettere. Infine un triangolo rettangolo in
basso a
sinistra, bello grande e preciso.
Il
professore si allontanò dalla lavagna, chiudendo il tappo
del pennarello e
sedendosi alla cattedra.
I
ragazzi stavano ricopiando la traccia e quando tutti ebbero finito,
calò il
silenzio, segno che tutti erano concentrati per risolverlo.
Francesca
guardò il suo problema, un triangolo rettangolo disegnato
accanto al testo. Per
prima cosa segnò gli angoli ai vertici, indicandone
l’ampiezza.
Diede
un’occhiata alla figura e scrisse le incognite che doveva
trovarsi.
Poi,
infilata la matita fra i denti e sollevatala in aria come se fosse una
sigaretta, rifletté cercando di ricordarsi le formule.
La
sua amica, Paola, alla sua destra, scarabocchiava figure ai margini e
sembrava
avere già intuito cosa bisognava fare.
Francesca
sapeva risolvere quel problema, credeva di aver trovato la soluzione.
Iniziò,
presa dall’eccitazione e dall’entusiasmo di
ottenere un bel voto, e scrisse la
formula principale.
Poi
cominciò a calcolarsi il primo cateto con i dati che aveva e
poi…
Si
bloccò improvvisamente.
Un
senso di nausea, fortissimo, le salì lungo lo stomaco, fino
all’esofago per poi
arrivare alla bocca. O cavolo.
Si
scostò bruscamente dal banco, chiuse gli occhi tentando di
non farsi prendere
dall’agitazione; provò a dimenticarsi della nausea
che l’aveva assaltata senza
preavviso. Guardò di nuovo il suo triangolo rettangolo.
Ma
non ci riusciva, sentiva che non avrebbe resistito.
Cercò
lo sguardo della sua compagna, ma lei era tutta presa dal risolvere
quell’esercizio.
Lentamente
alzò la mano.
-Professore?-
lo chiamò, pregando che facesse in fretta.
L’uomo
dietro la cattedra, sorpreso, alzò lo sguardo fissandola
ragazzina.
-Professore,
non mi sento molto bene, potrei andare al bagno?-
A
quella battuta tutta la classe si voltò a guardarla. Ma
nessuno, eccetto Paola
che le rivolse uno sguardo più preoccupato del solito,
sembrava veramente in
pensiero; la bionda la tranquillizzò con un veloce sguardo,
si alzò e percorse
a passo svelto il tragitto dal suo posto alla porta.
Una
volta fuori, si precipitò al bagno, si infilò in
un cubicolo e chiuse forte la
porta.
Le
scritte ricoprivano tutto il muro, alcune marcavano persino la
superficie del
gabinetto.
Francesca
si inginocchiò e aggrappò le mani alla tavoletta.
Deglutì
a vuoto, incominciando a sudare e protendendosi in avanti.
Fece
dei piccoli respiri per calmarsi, pregando che succedesse tutto in
fretta.
Sentiva
il voltastomaco crescere e arrivare quasi alla bocca, ma era come se si
fermasse proprio alla fine.
Stette
in attesa, respirando forte per un paio di minuti. Ma niente.
Quanto
detestava quando succedeva così.
Quando
non si voleva decidere, e intanto lei rimaneva sempre con quel suo
senso di
nausea che la faceva sentire uno schifo.
Mentre
pensava questo, tutto d’un colpo il rigetto le
arrivò in bocca, e lei sputò
fuori il vomito.
Il
conato fu abbastanza normale, anzi meno dell’altra volta. Una
volta finito il primo,
ebbe qualche attimo per riprendersi, e poi arrivò puntuale
il secondo.
Stavolta
vomitò molto di più.
Quando
anche quello terminò, disgustata di vedere il colorito
verde, arancione e
giallo che aveva gettato, schiacciò con una mano il pulsante
dello scarico.
Tremava
tutta, e aveva ancora in bocca quel sapore vomitevole. Respirando
forte, a
scatti, si alzò in piedi. Le gambe facevano Giacomo-Giacomo,
e per non cadere
dovette reggersi al muro.
Raccolse
i capelli dietro le orecchie e sputò ancora un po’
di rigetto. Sentì bussare
alla porta, disse
-Occupato-
-Scema
sono io-
Riconosciuta
la voce aprì subito la porta.
Paola
la guardò preoccupata mentre andava verso i lavandini.
-Fatto?-
-Fatto-
Francesca
aprì il getto dell’acqua e si sciacquò
la bocca come meglio poteva; prese un
fazzoletto e si asciugò la fronte bagnata di sudore, ed era
pronta a tornare in
classe.
-Sei
tutta bianca- commentò l’amica, sempre
osservandola a distanza.
-Tanto
non si nota- decretò sicura la bionda, sistemandosi i
capelli.
-Comunque
il problema se vuoi te lo faccio io. Perché non ti fai
venire a prendere? Dici
a tuo padre che ti sei sentita male- suggerì Paola.
L’altra
si irritò.
-So
farlo benissimo il problema, è solo che
all’improvviso mi ha preso il vomito. E
poi da mio padre non voglio farmi venire a prendere-
Uscirono
dal bagno e tornarono in classe. Disse che si sentiva meglio, anche se
quello
non era affatto vero; aveva tanta voglia di andare a dormire.
Però
si sedette composta al suo posto e riprese il problema da dove
l’aveva
lasciato.
La
verità era che, avendo lasciato casa, era andata a vivere da
quel ragazzo lì.
Non voleva l’aiuto né di colui che si professava
suo padre, né di quell’altro.
Poteva farcela benissimo da sola.
E
non le importava se era una stupida testarda. Era fiera di esserlo.
Quando
la campanella suonò la ressa di studenti si
precipitò fuori. Paola si affiancò
all’amica e le domandò
-Se
ti va puoi venire a mangiare a casa mia oggi-
La
bionda scosse la testa.
-Non
posso, oggi torno a casa-
-Casa
quale?-
-Casa
mia. Mi sono scordata una cosa-
Nemmeno
quella era la verità. Ma ormai era diventata così
abile nel dire bugie, dato
che le raccontava spesso, che risultava molto credibile.
In
realtà andava a casa sua per dire la verità al
suo, diciamo così, tutore. Ci
aveva pensato tutta la sera e la mattina, e aveva deciso che per una
volta dire
la verità sarebbe stata la cosa migliore.
In
brevissimo tempo fu sotto al portone; lui doveva essere in casa,
perché
riconobbe la macchina parcheggiata sotto. Sbuffò, scocciata
per doverlo
affrontare ancora. Poi premette il campanello.
-Sono
io- disse, e il portone si aprì. Ripassò
mentalmente il discorso che si era
preparata mentre saliva le scale.
Trovò
la porta già spalancata e un uomo che la aspettava.
Damiano
si precipitò immediatamente sulla soglia, osservandola.
-Cosa
significava quel biglietto di ieri?- chiese subito.
-Posso
entrare a mangiare?-
-Certo-
Così
dicendo, si spostò e la ragazza entrò
nell’appartamento, superandolo
impassibile.
Damiano
richiuse il portone e si voltò ad osservarla.
Francesca
lo guardò.
Gli
occhi, azzurri come i suoi, saettavano preoccupati sul suo viso,
cercando di
capire cosa le fosse successo.
-Damiano,
devo dirti una cosa-
Lui
si sedette al tavolo e la bionda fece lo stesso. Iniziarono a mangiare
il
pranzo che aveva preparato l’uomo.
Lui
non ci riusciva, però. La fissava incantato come se non
credesse di vederla lì
di fronte a sé.
-Non
puoi sparire così e non tornare a casa. Mi hai fatto
preoccupare-
Sai
quanto mi importa, aggiunse lei mentalmente, ma non rispose.
-Dove
sei stata a dormire?-
-A
casa di un’amica, te l’ho detto-
-Potevi
dirmelo-
Lei
ingoiò i maccheroni e li masticò lentamente,
guardandolo negli occhi. Sembrava
preoccupato e sollevato al tempo stesso.
Preoccupato
per esser tornato dal lavoro e non averla vista, e sollevato
perché era tornata
a casa. D’altronde non era la prima volta che lo faceva;
ricordò con un sorriso
forse illegittimo, che a dodici anni si era rifiutata di stare a casa
da lui
perché l’aveva vista baciarsi col suo primo
fidanzatino; Damiano aveva fatto il
diavolo a quattro come qualsiasi padre e cominciato a dire che doveva
lasciarlo
perdere.
Lei
orgogliosa come sempre, preso zaino e pigiama, era andata per davvero a
dormire
dalla sua amica. Credeva di sfidare il mondo e che quella fosse una
cosa
importante.
Forse
ora sì che lo era.
-Cosa
c’è, è un altro fidanzato?-
domandò con un sorriso tirato.
-Non
proprio-
Tenne
ostinatamente lo sguardo fisso sul piatto.
-è
che… è successa una cosa importante e volevo che
la sapessi. Perché dopo non
possiamo più continuare così-
Quelle
parole resero pallido Damiano.
-Ma
insomma che è successo?-
La
sua voce aumentò di tono, facendosi più severa.
Lei temeva che si mettesse ad
urlare. Ma tanto non sarebbe mai tornata indietro.
-Ho
conosciuto un ragazzo, sai…-
Doveva
dirglielo.
-…e?-
incalzò lui.
Francesca
alzò finalmente i suoi occhi in quelli dell’uomo,
teoricamente suo padre.
-Io
aspetto un bambino-
Ecco,
gliel’aveva detto.
Damiano
schiuse lentamente le labbra, guardandola perplesso.
-Cosa?-
fu tutto quello che riuscì a dire dopo un attimo di
smarrimento.
Lei
non disse altro, ma tornò a mangiare il suo pranzo.
-Cosa
significa che aspetti un bambino?- l’uomo smise di mangiare e
alzò davvero la
voce.
La
bionda si fermò, imitandolo. Ora iniziava sul serio a
rompere.
-Cosa
significa? Significa che ho scopato con uno, i suoi spermatozoi hanno
fecondato
il mio ovulo e ora ho un bimbo nella pancia! Sei sconvolto? Ti ha
bloccato la
crescita? Non le sapevi queste cose?- gli gridò contro.
-E
ti sembra una cosa normale? Vieni a dirmelo ora?-
Damiano
parve accorgersi solo ora che stava urlando; si calmò,
deglutendo.
Poi
chiese di nuovo, quasi in un sibilo
-Chi
è questo ragazzo?-
-Uno-
-Smettila
di fare l’arrogante con me-
Francesca
alzò lentamente lo sguardo su di lui, stringendo gli occhi;
quella non era mai
una buona cosa, aveva imparato Damiano.
Lasciò
perdere il cibo e si alzò in piedi.
-Altrimenti
cosa mi fai?- disse, scandendo bene le parole e pronunciandolo con
strafottenza.
Anche
l’altro si alzò, superandola di molto e
incrociando le braccia.
Gli
tremavano le labbra.
-Basta.
Non puoi dirmi una cosa del genere così. Da
quant’è che lo sai?-
-Due
settimane. Sono al secondo mese-
-E
quand’è che pensavi di dirmelo? Sono tuo padre!-
Questo
era troppo, per i suoi nervi pronti a scattare. Le fiammeggiarono gli
occhi
quando pronunciò con tutto il disprezzo che riusciva a
mettere insieme
-Tu
non sei mio padre-
Damiano
si immobilizzò.
Poi
uno schiaffo volò in faccia alla ragazza, che
però non indietreggiò.
-Come
ti permetti di dire questo? Dopo tutto quello che ho fatto per te! Io
ti voglio
bene come se fossi mia figlia!-
-Ma
io no. Forse è meglio se te ne cerchi un’altra,
che ti voglia bene magari-
La
situazione era degenerata.
-Lasciami
in pace, Damiano-
Lo
superò, ignorando tutto quello che le diceva, e
uscì da quella casa. Era
l’ultima volta che vi avrebbe messo piede. Quante volte aveva
desiderato che un
bel giorno, venisse all’orfanotrofio una coppia di signori.
L’una
sarebbe stata bionda come lei, e avrebbe avuto un gran sorriso.
L’uomo sarebbe
stato alto, con i suoi occhi azzurri, e molto bello.
Che
fantasia sciocca da bambina, pensò dandosi della stupida.
Subito
dopo però, inspiegabilmente, le pungevano gli occhi, come se
volesse piangere.
Davide
aveva finito il suo turno al bar. Lei ancora non si era vista;
incominciava a
chiedersi che fine avesse fatto. Gli aveva detto che dopo la scuola
andava al
bar dove lavorava.
Ma
quella mattina non si era fatta vedere. Che fosse nuovamente tutto un
ridicolo
scherzo?
Stava
salendo le scale del suo condominio, e arrivato al suo piano, si
bloccò.
-Era
ora. Dove sei stato?-
Francesca
stava lì, seduta a terra, col broncio sul viso e ora lo
guardava.
-Potrei
farti la stessa domanda- rispose lui, mentre infilava la chiave nella
toppa.
La
ragazza lo seguì entrando dentro.
-Hai
già mangiato?-
-Sì,
sì……- lei agitò una mano
con fare annoiato, poi si fermò mentre andava di
là.
-Posso
andare di là?-
Davide
fu sorpreso dalla richiesta formulata con tanta gentilezza, tanto che
si
accigliò.
-Ah
sì, certo!- si affrettò ad aggiungere.
La
guardò andare di là, e sparire nella stanza da
letto.
Chissà
cosa le era successo; di certo non avrebbe osato domandarglielo.
Si
cucinò qualcosa di veloce, tanto non aveva molta fame.
Quella
mattina, prima di andare a compiere il suo turno al bar, era passato
con la
macchina all’ospedale. Se non ricordava male, un suo amico
gli aveva detto che
si era trovato particolarmente bene con un certo ginecologo che aveva
assistito
la moglie. “Un tipo molto professionale, serio e
disponibile”. Gli sembrava
adatto.
Così,
giusto per farsi un’idea, aveva domandato un appuntamento,
fissato per la
prossima settimana.
Ora
restava un problema non meno grave, cioè dirlo a Francesca e
convincerla a
farsi visitare.
Pensò
che fosse meglio farlo prima.
Quasi
un’ora dopo, si sentiva così in pace, in quel
silenzio che regnava sovrano, che
si era dimenticato di avere un’ospite in casa.
Sentendola
così silenziosa si insospettì e andò
verso la stanza da letto.
La
scena che gli si presentò lo fece leggermente stupire.
La
bionda stava sdraiata sul letto girata su un fianco, gli occhi chiusi e
un
braccio messo sotto la testa. Che strano spettacolo, pensò
lui.
Temendo
di svegliarla, si ritirò di là chiudendo la luce
e la porta.
Un’altra
ora dopo, fatta la doccia e indossando i suoi jeans nuovissimi, stava
seduto
sul divano a leggere il giornale. Nemmeno si accorse che la ragazza gli
era
arrivata alle spalle, finché non sbadigliò e si
sedette accanto a lui.
Francesca
afferrò il suo zaino, e ne estrasse un libro con aria stanca.
-Buongiorno-
disse lui –avevi sonno?-
-Veramente
ce l’ho anche ora il sonno… è solo che
dovevo farmi i compiti…-
Così
dicendo aprì una pagina e iniziò a leggerla,
appoggiandosi allo schienale.
Davide
controllò l’orologio.
-Senti,
io fra un po’ dovrei andare al bar-
-Posso
stare con te? Non voglio rimanere da sola- chiese.
Aveva
i capelli un po’ arruffati e le palpebre stanche; non aveva
la solita aria
distaccata.
-Sicura?
Guarda che poi ti annoi- l’avvertì.
-Tanto
poi esco con le mie amiche-
Qualche
minuto dopo camminavano affiancati lungo la strada. Il ragazzo
pensò fosse il
momento buono per dirglielo.
-Sai,
ho fissato un appuntamento per te la prossima settimana-
-Che
appuntamento?- domandò lei brusca.
-Dal
ginecologo-
-Tu
hai fatto cosa?-
Ebbe
l’impressione di non aver fatto esattamente la cosa a lei
gradita.
-Quindi……
tu vuoi andare in fondo a questa storia? Ma sei sicuro?-
-Sicuro
di cosa?-
-Be’-
iniziò la bionda, spostando lo sguardo altrove –un
bambino ti complicherebbe le
cose, immagino-
-E
che devo fare? Mica possiamo gettarlo in mezzo alla strada- sorrise
lui, un
sorriso ironico ma teso.
Cosa
voleva significare quel discorso?
-Sei
stato gentile ad ospitarmi- disse –ma io non voglio mica
farti problemi. Se tu
questo non lo accetti non c’è problema
sai….-
-Ah,
senti una cosa eh…- la fermò mettendole una mano
sul giubbino.
-Forse
ci siamo capiti male. Io non voglio farti abortire-
Francesca
lo guardò strana.
Troppo
strana. Quasi quasi avrebbe potuto dire stupita. Era certo che il suo
cervello,
sotto quella testa bionda, stesse lavorando parecchio.
-Veramente?-
chiese infine.
-Veramente-
ripeté.
Ricominciarono
a camminare. Lui di tanto in tanto la guardava curioso; non aveva
ribattuto
nulla ma quella risposta sembrava l’avesse turbata.
Lei
intanto rifletteva rapida. Una risposta del genere non se
l’aspettava proprio.
Si
morse la lingua, imprecando mentalmente.
Possibile
che proprio a lei dovesse capitare uno gentile e premuroso?
Porca
miseria.
Francesca
scriveva veloce sul suo piccolo quaderno con la penna blu, seduta sullo
sgabello appoggiata al bancone alto, di legno. La superficie era
liscia, e un
bicchiere mezzo pieno di acqua era poggiato accanto al quaderno.
Nel
frattempo, nel retro una ragazza si stava guardando in uno specchietto.
Per
essere le sei del pomeriggio il locale era già pieno di
gente; occasione per
farsi dare un bel po’ di mance.
Silvia
aveva già adocchiato un paio di uomini, da soli, seduti ai
tavoli, e possibili
dispensatori di soldi se avessero trovato una donna disponibile e
sorridente.
Quella donna era lei.
Si
stampò sul viso un sorriso, gonfiò il piccolo
petto ed entrò nel locale.
Aveva
in mano un blocchetto e una penna. Volse uno sguardo alla biondina che
stava
scrivendo al bancone. La riconobbe come l’amichetta di Davide.
Troppa
carne sui fianchi, si disse e compiaciuta di non avere quel problema,
avanzò
sicura nella sala.
-Ciao
Davi- cinguettò allegra mentre gli passava davanti e gli
diede un bacio sulla guancia.
Lui arrossì impacciato e balbettò qualcosa. Lei
oltrepassò il banco e si
diresse ai tavoli.
Involontariamente
(e come si poteva fare altrimenti?) Davide le fissò
incantato il perfetto
fondoschiena di cui era provvista e le belle gambe scoperte dalla gonna.
-Patetico-
sibilò una voce.
-Come?-
-Sei
patetico- Francesca alzò lo sguardo e lo fulminò
strafottente –le hai guardato
il culo tutto il tempo-
Il
ragazzo arrossì e rispose qualcosa come ‘ma che ti
impicci tu?’.
Lei
scosse la testa e riprese a scrivere.
-E
dovresti essere il padre di mio figlio- aggiunse sarcastica.
-Pensa
la madre…- disse lui sottovoce.
-Cosa?-
-No
niente-
Non
convinta, continuò a fissarlo indispettita.
-Come
si scrive ‘soprattutto’? Con tre o quattro ti?-
domandò succhiandosi il
cappuccio.
Davide
ci pensò su.
-Quattro-
-Sicuro?-
-Boh,
non lo so…- fece, perplesso; poi cercò con lo
sguardo la bella cameriera che
svolazzava per il locale.
-Silvia!-
la chiamò –Con quante ti si scrive soprattutto?-
Lei
lo guardò con un’espressione sorpresa.
-Tre-
gli gridò di rimando, sorridendo.
-Che
scema. Si può dire in tutti e due i modi, ignorante-
commentò altezzosa la
bionda.
-E
allora se lo sai che cavolo chiedi a fare?- disse lui imbronciandosi e
stringendosi nelle spalle, offeso per aver fatto la figura
dell’ignorante. Ma
che poteva farci?
Lui
non era andato oltre i cinque anni della ragioneria, e se aveva
ottenuto il
diploma era già gran cosa.
-D’un
tratto Francesca si illuminò e alzò la testa, con
un sorriso poco promettente.
-è
lei Silvia? Quella che chiamavi mentre…-
Ma
non finì la frase perché il ragazzo le mise una
mano sulla bocca.
-Non
dirlo!-
-Avevo
ragione! È quella che ti piace…-
commentò sorridendo maliziosa e soddisfatta.
-Stai
zitta! Va bene, lo ammetto…- si incurvò verso di
lei, sussurrando per non farsi
sentire –lei mi piace-
La
bionda per tutta risposta avanzò col viso fino a toccargli
la punta del naso
col proprio.
Si
morse un labbro.
-Ciao
Davi- disse imitando la voce un po’ più bassa
della mora.
-Smettila-
ma intanto era arrossito.
Lei
continuò ad ostentare quel sorrisetto compiaciuto che lo
mandava in bestia.
Ad
un certo punto chiuse il quaderno con uno scatto e balzò
giù dallo sgabello.
-Esco
un po’. Tanto dopo torno, quindi aspettami prima di andare a
casa. Non voglio
rimanere chiusa fuori di nuovo-
-D’accordo.
Desidera altro, sua altezza?- domandò imbronciato lui,
ancora irritato perché
l’aveva preso in giro.
-No
grazie. Ciao Davi-
Disse
così, poi mentre stava andandosene si voltò
sorridendogli maliziosa, sorriso
che il ragazzo ricambiò triste. Che razza di seccatura.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
La
bionda stava ascoltando il motivetto intonato dalla radio mentre la
macchina si
parcheggiava nel grande spiazzo fuori l’ospedale.
Francesca
sbuffò scocciata.
Davide
spense il motore e la guardò, cosa che lei non fece,
continuando testarda a
guardare fuori.
-Senti
è inutile che fai così, capito?- provò
a mostrarsi deciso.
-Io
non vado da nessuna parte- ribatté lei imperterrita.
Il
ragazzo chiuse gli occhi; gli stava facendo perdere un sacco di tempo.
Ormai
era una settimana che si era trovato suo malgrado a convivere con la
ragazza.
Tuffato controvoglia in un mondo che non gli apparteneva, e ora era
costretto a
sopportare quel suo carattere impossibile.
Inutile
dire che ci aveva provato, sul serio. Ci aveva provato a capirla.
Poteva
capire che fosse turbata da tutto quello che le stava accadendo, quel
bimbo che
le cresceva nella pancia e la tempesta che le si era abbattuta addosso.
Ma
non capiva assolutamente perché dovesse essere sempre
così scontrosa.
Sempre;
non l’aveva mai vista ridere.
Quando
l’aveva trovata piegata in ginocchio nel bagno, tutta bianca
e sporca di vomito
ai lati della bocca, si era preso davvero un bello spavento.
-Ma
cosa credevi di
fare? Perché non me l’hai detto?-
-Io
non devo dirti
proprio nulla! Non provare ad impicciarti, capito? Sono solo fatti
miei!-
I
due continuarono
ad urlarsi addosso finché lei non si sedette stanca sul
divano, chiudendo gli
occhi.
-Lasciami
in pace-
Davide
allora non sapeva se mandarla al diavolo oppure aiutarla.
Così,
indeciso sul da farsi, l’aveva lasciata per davvero in pace.
La sera poi,
tornato dal bar e trovandola davanti alla televisione, le aveva chiesto
scusa.
Ma
senza ottenere risposta.
Aveva
notato che il cibo che mangiavano era sempre molto scarso; ci aveva
riflettuto
molto, su questo. Chissà se a casa sua era abituata
così. Lei non si era mai
lamentata di nulla.
Non
che per il resto parlassero molto, solo la sera, qualche battuta su
come era
andata la giornata.
Quella
sera, per farsi perdonare di averla potuta offendere in qualche
maniera, si era
messo d’impegno e aveva preparato una bella cenetta
sostanziosa, con tanto di
bistecca.
Certo,
un po’asciutta.
Sorrise
al ricordo della sua faccia stupita, quando aveva trovato quella
piccola
sorpresa. Non aveva detto nulla, naturalmente, ma lui aveva colto il
momento
d’imbarazzo sul suo viso e di meraviglia.
Non
era riuscito a capirla.
Aveva
provato a sfondare la sua resistenza chiusa in tantissimi modi. Con le
gentilezze, con le attenzioni, con delle parole, con le urla, ma niente.
Non
aveva intenzione di stabilire un qualsiasi legame con lui.
Stava
pensando di gettare la spugna.
Certo
non era possibile convivere con una persona per nove mesi e non
parlarsi mai. O
quantomeno diventare amici.
Davide
sbatteva ripetutamente la testa contro il suo muro di freddezza che lo
lasciava
confuso.
Ma
quella volta, oltre che del suo bene, ne andava di quello del bambino.
Sospirò,
e anche la ragazza lo sentì.
-Dai
Francesca, per favore- la supplicò.
-No,
non ci voglio andare-
-Questo
dottore è bravissimo. Sono sicuro che ti piacerà-
la invogliò.
-Non
mi importa, io non mi muovo-
Lui
si fece più vicino al suo viso, scavalcando il cambio.
-Ascolta,
facciamo un patto-
La
ragazza si voltò verso di lui, a braccia incrociate.
-Sentiamo-
-Tu
vai a farti la visita. Se non ti trovi bene, ti prometto che torniamo
dal
dottore Martino. Ma per favore, provaci almeno, eh?-
Lo
disse con tono incoraggiante e premuroso. Se non altro, non voleva
mostrarsi
cattivo, perché con lei non si otteneva nulla.
Francesca
guardò l’ospedale davanti a sé. Fece un
piccolo sospiro rassegnato.
-Ho
la tua parola?-
-Promesso-
-E
va bene-
Così
dicendo la bionda aprì lo sportello e scese fuori,
abbottonandosi il giubbino
bianco.
Davide
si infilò il suo verde e la condusse all’entrata.
Dentro sé, era soddisfatto;
almeno qualcosa aveva ottenuto con quella testa dura.
La
ragazza, infilandosi le mani nelle tasche, camminava con aria annoiata.
Non
era del tutto convinta di aver fatto bene, d’altra parte
però, essendo quello
un ospedale più grande e con molte più
possibilità rispetto alla piccola
clinica, c’era probabilità che trovasse quello che
cercava.
E
avrebbe tenuto buono quel buffo ragazzo.
Insieme
si infilarono nell’ascensore, lei dondolandosi avanti e
indietro, lui con le
mani in tasca.
La
osservava triste, con la testa piegata di lato.
Desiderava
tanto riuscire a capirla, a saperla prendere per il verso giusto. Ma
non ne era
capace, e lei non lo aiutava di certo.
L’ascensore
si fermò al piano dove erano situati gli ambulatori di
ginecologia, fisiologia,
neonatologia e ortopedia.
Passarono
il reparto di ortopedia e seguendo le indicazioni arrivarono a quello
che
cercavano.
La
saletta d’attesa prima dello studio del dottore era occupata
da una donna,
un’anziana e infine una ragazza con un prominente pancione.
Incuriosita
da quella visione, Francesca la guardò un po’
meglio. Non poteva avere che due
anni in più di lei. Mordicchiandosi il labbro,
continuò a fissarla.
-Allora?-
La
voce del ragazzo la richiamò al presente. Subito distolse lo
sguardo e gli
disse, con tono totalmente diverso da quello che aveva prima
-Senti,
ho un po’ di fame. Mi compri qualcosa da mangiare?-
-Ancora?
Hai ancora fame?-
-Per
favore, Davi- strinse un po’ gli occhi e alzò le
spalle.
Lui
sbuffò ma acconsentì a prenderle qualcosa al
distributore, allontanandosi dal
reparto.
Soddisfatta,
la bionda si sedette accanto alla ragazza col pancione.
Lei,
annoiata e distaccata, masticava una chewing-gum alla fragola, a
giudicare
dall’odore.
-Ciao-
esordì la più piccola, tentando di attaccare
bottone.
-Ciao-
rispose quella, senza guardarla.
Francesca
osservò la porta dove probabilmente era lo studio del
dottore.
-Conosci
questo dottore?-
-è
la quinta volta che vengo qui-
-Cioè?
Sei al quinto mese?-
-Ottavo.
Ad aprile dovrei partorire-
Lei
le osservò il prominente pancione, quasi disgustata. Anche
lei avrebbe avuto
tutta quella ciccia fra qualche mese?
E
pensare che aveva sempre avuto un bel fisichetto magro.
Spalle
piccole, statura non molto alta e fianchi ben ondulati.
L’altra
ragazza parve capire cosa pensava la bionda e disse, sorridendo ironica
-Non
ti preoccupare. Dopo un po’ ti abitui a vederti
così allo specchio-
-Non
credo che ci riuscirò mai- commentò lei.
L’altra,
che sfoggiava una bella capigliatura corta e mora, ghignò e
chiese
-A
che mese sei?-
-Quasi
al terzo e già non ne posso più. Vomito
dappertutto, e mi scassa le pa**e
andare ogni mese a farmi prendere il sangue. Mi sento tutta
rincog*****ta-
La
mora rise.
-Con
chi è successo?- domandò.
-Con
quel ragazzo lì- rispose indicando col capo il corridoio dal
quale era sparito
Davide.
-Quello
alto che ti ha accompagnato?-
-Sì-
-Carino-
commentò con un sorrisetto.
-è
uno stupido sfigato- decretò sicura e acida la bionda.
-A
me non sembra male. Se vedessi il mio…-
-Non
è peggio del mio, credimi-
La
mora alzò la testa verso un uomo panciuto che stava
discutendo dall’altro capo
della stanza con una dottoressa.
Francesca
lo guardò e storse il naso.
-Il
tuo almeno è giovane, carino e gentile. Il mio è
vecchio e rozzo-
-Forse
hai ragione tu…- acconsentì la ragazza.
In
effetti, si disse, se le fosse capitato un tipo come quello a far da
padre a
quella “cosa” che teneva nella pancia, ci sarebbe
stato da suicidarsi.
-Come
resisti?- domandò alla mora.
Lei
alzò le spalle.
-Il
bimbo è tutto quello che mi interessa. Non vedo
l’ora che nasca, così lo lascio
davvero quello lì-
-E
allora perché non lo lasci adesso, scusa?-
domandò curiosa.
-Per
il tuo stesso motivo- rispose la mora, sorridendo perfida.
La
bionda sorrise a sua volta, complice dell’altra.
-Comunque
se non ti interessa proprio, posso farci un pensierino?-
-Non
ti conviene, se non vuoi avere il bis. Pare che i suoi spermatozoi
siano
parecchio scattanti-
La
mora ridacchiò, infilandosi la cicca fra i denti e
gonfiandola formando un
palloncino che poi scoppiò.
-Ti
trovi bene con questo dottore?- chiese.
-A
dir la verità questa è la prima vista che faccio-
confessò l’altra.
-è
il ginecologo più bravo della città. Per farmi
portare qui ho combattuto un
sacco di tempo-
-A
me andava benissimo quello di prima. È lui che ha voluto
cambiarlo-
La
ragazza dai capelli bruni fece un sorriso.
-Dovresti
essere contenta allora. Non è che costi proprio poco qui,
eh?-
-Fatti
suoi- ribatté aspra Francesca –Io non ci volevo
venire-
-Sei
fortunata, tu- commentò con un velo di malinconia ben celata
l’altra.
Allo
sguardo interrogativo che le rivolse la bionda proseguì,
sicura delle sue
parole.
-Almeno
lui ci prova, a fare il buon papà-
Su
questa affermazione cadde un silenzio, scandito solo dal rumore della
gomma che
stava masticando al ragazza mora. Francesca rifletté su
quello che le aveva
appena detto.
Ricordò,
fra le altre cose, una bella cenetta preparata con cura, forse per
scusarsi.
Poi
lo vide ritornare, a testa bassa che contava le monete, col giubbino
verde
sbottonato.
Gli
angoli delle labbra le si incurvarono di un millimetro.
Davide
si gettò, stanco, sulla sedia affianco alla bionda.
-Salve,
uomo dagli spermatozoi scattanti- lo salutò con un ghigno la
ragazza.
Lui
si limitò a gettarle sulla pancia la merendina che le aveva
preso, mormorando
-Zitta
e mangia-
Poi
appoggiò il capo contro il muro, chiudendo gli occhi,
assonnato.
Nel
frattempo era arrivato il turno della ragazza mora col pancione.
-Muoviti,
tocca a te-
Lei
e l’uomo adulto con una pancia quasi più
prominente della ragazza sparirono
dietro la porta.
Erano
da soli nella saletta. Lei avvertiva un minuscolo senso di rimorso
farsi strada
dentro di sé.
Il
ragazzo stava dormendo alla tesa, o quasi, perché la bionda
sentiva il suo
respiro ancora abbastanza presente.
Con
un dito gli spinse il torace per farlo svegliare.
Lui
aprì un occhio.
-Non
dirmi che non ti piace, sai? Vattela a prendere tu una- disse,
chiudendo
nuovamente la palpebra.
Lei
voleva farsi perdonare, sul serio, ma naturalmente alla sua maniera.
-Sto
morendo di fame. Speriamo che si sbrighi- commentò lui.
La
ragazza fissò la merendina fra le sue mani.
Poi
guardò lui.
-Se
vuoi ti do la mia-
Davide
aprì nuovamente un occhio.
-Dov’è
la fregatura?- domandò.
-Devi
guadagnartela, la mia merendina- continuò la bionda con un
ghigno stampato
sulla faccia.
Lui
alzò un sopracciglio, perplesso e sorpreso.
Cos’era ora tutta quella
confidenza?
Però
aveva davvero fame, e magari quella sarebbe stata
un’occasione per avanzare di
un punto nella scaletta che indicava il loro grado di amicizia.
-Cosa
devo fare?-
-Se
mi tieni la mano per più di venti secondi, hai vinto-
Sempre
più meravigliato del fatto che avesse preso in mano la
conversazione, non per
urlargli contro, il ragazzo pensò che non sarebbe stato
gentile rifiutare
quello strano tentativo di comunicazione.
Così
stendette la mano a palmo aperto verso di lei.
Francesca
fece scorrere la sua sul suo avambraccio fino ad intrecciare le dita
fra le
sue.
Ha
le mani sudate, pensò lui.
Passarono
circa tre secondi prima che si rendesse conto delle vere intenzioni
della
ragazzina.
La
bionda infatti lo guardò innocente negli occhi, e mentre le
spuntava un
sorrisetto sul volto, strinse forte la mano attorno alla sua.
Dannazione,
imprecò lui.
Davide
ricambiò la stretta forte, deciso a non farla vincere
così facilmente.
Ma
lei inarcò le dita e grattò sulla sua pelle con
le unghie.
Ora
aveva capito il trucco.
-Str***a-
sibilò divertito lui.
Lei
invece di irritarsi, contro ogni sua aspettativa gli sorrise, un
sorriso di
sfida che lui ricambiò.
Il
ragazzo sfregò forte il suo pollice privo di unghie contro
il dorso morbido e
piccolo della mano di lei, facendo pressione per indurla ad allentare
la
stretta.
Cercava
di divincolarsi con le altre dita, ma la bionda lo teneva imprigionato.
Il
medio e l’indice della ragazza lo graffiarono talmente forte
che alcuni tratti
si fecero rossi, togliendosi la pelle.
-Così
non vale però- mormorò lui.
La
ragazza si morse un labbro, la bocca stesa in un mezzo sorriso.
Continuarono
così per circa venti secondi.
Davide,
ormai preso da quel gioco e non intenzionato a smettere il contatto,
invece di
fare forza contro la sua pelle chiara, prese a muoversi contro la sua
mano in
maniera dolce.
Lei
sobbalzò e per tutta risposta strinse ancora con
più veemenza le unghie, ma non
era sufficiente per farlo smettere.
Ad
un tratto lui sciolse le loro dita intrecciate, scivolando via.
-Ho
vinto, testa dura-
Francesca
rise un po’, facendosi rossa in viso. Quando accadde quello,
Davide smise il
sorriso e la guardò stranito, incredulo.
-Hai
riso- commentò.
La
bionda distolse lo sguardo per non dargli la soddisfazione, ma
spezzò a metà la
sua merenda.
Lui
l’accettò in silenzio, compiaciuto di quel momento
passato in maniera rilassata
e complice. Era soddisfatto di aver compiuto un passo avanti, e non
aveva
intenzione di rovinare tutto parlando troppo e rischiando di tornare al
punto
di prima.
Nel
frattempo si guardò la mano, tutta piena di graffi sul dorso
e dalla quale
colava una strisciolina di sangue.
Sorrise
mentre lo faceva e mangiava la sua parte, pensando a cosa significasse
davvero
quella mano graffiata.
Francesca
si affiancò al lettino, vestita solo di una camicia da notte
bianca. Tremava di
freddo sotto l’indumento e certo il corpo piccolino che aveva
non l’aiutava.
Il
dottore aveva chiamato l’infermiera, pregandola di accendere
la macchina che si
trovava accanto a lui.
Sorridendole
incoraggiante, le disse di sdraiarsi.
La
ragazza si issò sopra il letto, per poi sdraiarsi
più comoda che poteva.
Incrociò lo sguardo del dottore, e riluttante
aprì un poco le gambe.
Sentì
uno sbuffo divertito, e intuendone la provenienza alzò lo
sguardo rabbiosa
verso il ragazzo che stava in disparte, appoggiato al muro della stanza.
L’occhiata
omicida che gli lanciò bastò a farlo zittire.
Davide
la osservò.
Mentre
il dottore e l’infermiera azionavano la macchina lei li
osservava imbronciata.
Sapeva che non voleva sottoporsi all’esame.
D’un
tratto i loro occhi si incrociarono e lui fece un piccolo sorriso che
voleva
essere d’incoraggiamento.
Lei
lo interpretò male e scosse la testa.
Aveva
pagato a caro prezzo il fatto di averla battuta prima.
-Allora,
Francesca- cominciò il dottore avvicinandosi a lei con la
sedia –è la prima
volta che fai questo esame?-
La
bionda annuì, stavolta meno sicura.
-Non
c’è assolutamente nulla di cui aver paura,
tranquilla. Non ti farò niente-
-Io
non ho paura- si affrettò a precisare la ragazzina.
Davide
alzò gli occhi al cielo, rassegnato.
-Bene,
ne ero convinto. Ora, sdraiati……-
Titubante,
la ragazza si stese sullo scomodo materasso mentre il dottore le alzava
la
maglietta dal ventre.
-Sentirai
solo un po’ di freddo- la rassicurò.
Francesca
si morse un labbro. Il cuore le batteva forte mentre il dottore le
scopriva la
pancia, ancora piatta.
Si
impose di non tremare, perché avrebbe rivelato la sua
agitazione, e fece un bel
respiro, rilassando i muscoli.
Il
dottore intinse la mano in un barattolo e le spalmò sulla
pancia un liquido
denso. Sobbalzò un po’ per il freddo, ma diede uno
sguardo al dottore per
fargli capire che poteva continuare.
Lui
le stese il gel su tutta la superficie della pancia, ma lentamente per
non
farla preoccupare.
Quando
ebbe finito, l’infermiera gli porse uno strumento provvisto
di una estremità
lunga.
Davide,
curioso, si avvicinò di più alla scena.
-Non
provare a guardarmi- sibilò piano la ragazza al suo
indirizzo.
Fu
costretto a tornare alla sua postazione, ma era curioso di vedere cosa
sarebbe
comparso sullo schermo.
La
sonda si impuntò sulla pancia della ragazza, per poi
spostarsi a destra e a
sinistra; lei irrigidì il ventre al contatto con lo
strumento.
-No,
no, devi stare rilassata- disse il dottore, gettando uno sguardo allo
schermo.
Come
cavolo faceva, con un coso che le si ficcava nella pancia?
Pensò rabbiosa lei.
Lo
schermo lampeggiò e comparve una figura. Davide
scavalcò il limite che la
ragazza aveva imposto, disinteressandosi di lei e guardando lo schermo.
-Ecco,
ora si vede- il dottore indicò col dito lo schermo.
Francesca
non si girò nemmeno per vedere; invece sembrava molto
più presa dalla faccia
che aveva il ragazzo.
-Ah
sì, si vede!- fece ad un tratto lui.
-Esatto,
vedi? Questa è la pancia, e questo nero… nel
mezzo, è il bambino. Cioè, ora è
ancora in stato embrionale, però…-
-Guarda-
la invogliò il ragazzo, ma la bionda annoiata disse
-Ho
già visto-
Anche
se non era vero.
Finita
la visita, i due camminavano verso la macchina fianco a fianco. Notando
la sua
espressione un po’ triste, le domandò
-Cos’hai?
Non sei contenta? Il bimbo cresce normalmente, ha detto il dottore-
Lei
alzò le spalle.
-Immagino
di sì. Comunque voglio tornarci, da questo dottore-
Lui
la osservò alzando stupito un sopracciglio; era la seconda
volta che lo
ascoltava, in quella giornata.
-Davvero?-
-Sì-
Alzò
la testa verso la macchina alla quale erano arrivati.
-Beh,
che aspetti?-
Il
ragazzo aprì gli sportelli e vi si infilò dentro.
Non
riusciva a crederci, ma, come aveva imparato, era meglio stare zitto e
incassare la vittoria in silenzio.
Grazie a tutti i coloro
che hanno messo la storia nei preferiti, e ringrazio Nells che ha
recensito. Mi fa piacere che trovi la mia storia 'interessante e
coinvolgente' e che apprezzi il mio modo di scrivere.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Quella
sera, piuttosto calda per essere in aprile, la tv dava un programma,
una specie
di reality show, e la bionda stava sdraiata sul lungo divano nero
guardando più
o meno interessata lo schermo.
D’improvviso
storse il naso, voltandosi su un fianco e mugugnando qualcosa. Aveva
avuto
un’improvvisa fitta alla pancia.
Era
sola in casa, perché Davide aveva il turno al bar, ed erano
due ora che passava
il tempo guardando la televisione.
Si
lasciò andare sui sedili, prendendo a giocare con un
orecchino; cosa che presto
la stancò.
Andò
in cucina, cercando qualcosa che soddisfacesse la sua fame. Davide le
aveva
espressamente detto di non toccare nulla che fosse nel frigo. Ma quei
cioccolatini fondenti che aveva appena trovato non erano nel frigo, si
disse.
Teoricamente non faceva nulla di male.
Era
sera ormai quando l’ultimo cioccolatino sparì
giù per l’esofago della ragazza,
che tornò a sdraiarsi con aria annoiata sul divano.
D’un
tratto sentì suonare il campanello.
Perplessa,
si alzò dalla sua rilassata postazione; non poteva essere
lui perché si era
portato le chiavi.
Aspettò
per vedere se avessero suonato ancora. Così accadde, e un
nuovo suono secco e
penetrante invase l’aria apatica dell’appartamento.
Si
alzò lentamente in piedi, e accigliata andò verso
la porta. Sentì dall’altra
parte il respiro e la presenza di una persona, e guardando nello
spioncino
riconobbe la sagoma di una donna.
Oh
la miseria. Sobbalzò e rimase lì dietro, in
attesa che se ne andasse.
Continuava di tanto in tanto a osservarne i movimenti finché
la donna fuori
dalla porta non estrasse dalla borsa un cellulare e fece un numero.
La
tasca di Davide vibrò facendolo trasalire. Dopo aver servito
ai ragazzi davanti
al bancone quello che avevano ordinato, si appartò nel retro
ed estrasse il
vecchio cellulare.
Leggendo
il numero imprecò fra i denti.
Poi
incerto, rispose.
-Perché
non apri la porta?-
-Non
sono a casa, ma’-
-Sicuro?-
-Certo,
sto al bar-
-Ah
giusto! Che testa, cominciavo a preoccuparmi! Tanto da qualche parte
qui dovrei
avere le chiavi. Allora non ti dispiace se ti faccio trovare la cena
pronta?-
-No,
no… ci vediamo fra poco-
Chiuse
la conversazione. Poi fu un lampo, un’intuizione. Ma non
aveva molto tempo.
Fece
velocissimo il suo numero e pregò che rispondesse in fretta.
Francesca
sentì il rumore delle cose che sbattevano nella borsa della
donna,
probabilmente alla ricerca delle chiavi. Si preoccupò: chi
era, e soprattutto
che voleva?
Dannazione,
proprio quando lui non era in casa!
La
suoneria iniziò a squillare e spaventata che potesse
sentirsi anche fuori dalla
porta, afferrò subito il telefono e schiacciò
tasti a caso, pur di farlo
smettere. Nel frattempo un rumore metallico dall’altra parte
e una mano che si
appoggiava alla porta.
Chiunque
fosse quella, stava per entrare.
Non
si accorse che aveva risposto alla chiamata finché non le
arrivò una voce
stizzita e profonda dall’altro capo.
Subito
indietreggiò verso il salotto, rispondendo.
-Qualunque
cosa tu stia facendo, nasconditi, ti prego-
La
bionda non fece domande, ma si limitò a dire
-Guarda
che qui fuori c’è una donna!-
La
porta, mentre diceva questo, si aprì con uno scatto.
-Ca**o
e sta entrando!- sussurrò con veemenza.
-Nasconditi,
se ti fai trovare ti ammazzo!-
Francesca
chiuse il cellulare e subito, cercando di non far pesare il suo passo
sul
pavimento liscio, saltò il divanetto e si
precipitò nella stanza da letto.
La
donna entrata avanzò nell’ingresso e dal rumore
frusciante che sentì, la
ragazza pensò che avesse delle buste di plastica con
sé.
Si
mise dietro la porta della stanza, in ascolto, finché il
rumore di passi che si
avvicinavano non la fecero sobbalzare.
L’avrebbe trovata sicuramente in
quella posizione.
Rotolò velocemente sul letto, scostando le coperte fino a
gettarsi dall’altra
parte del letto. E proprio in quel momento, la donna entrò
nella stanza. La
prima cosa che fece vedendo il letto che la ragazza aveva appena
disfatto, fu
di congiungere le mani e farle oscillare, esasperata.
-Mio
figlio non ha proprio il senso dell’ordine-
sospirò, e incominciò a stendere le
pieghe che aveva fatto con le mani esperte.
Francesca,
nascosta dall’altra parte, si rannicchiò e intanto
elaborò nuovamente quella
frase in mente.
“Mio
figlio”. Non appena comprese il senso di quella parole, ebbe
una tremenda e
incontrollabile voglia di ridere.
Quella
era sua madre.
Si
morse il labbro per non farsi sfuggire un risolino.
Aspettò
paziente che la donna finisse di sistemare il copriletto, poi quando
uscì dalla
stanza, probabilmente diretta in cucina, si alzò.
Sbirciò
dalla porta, e constatando che non c’era nessuno in salotto,
piano piano arrivò
al portone e altrettanto cauta lo aprì.
Quando
poi fu fuori, nelle scale, si premurò di non farlo sbattere.
Si
sedette a terra, giocando col telefono, finché dei passi
affrettati che
risuonavano nell’ingresso e provenivano dalle scale del
palazzo la informarono
dell’arrivo di Davide.
Preparandosi
le battute, si alzò e si mostrò sorridente quando
lo vide comparire dall’ultima
rampa, senza fiato.
Lui
si appoggiò sulle ginocchia, riprendendo fiato.
La
bionda, con un sorrisetto, gli si avvicinò.
-Hai
fatto presto- commentò.
-Ti
ha visto?-
-No.
Che tragedia per la mammina scoprire che il caro figliolo ha le
ragazzine in
casa-
Dopodiché
non si trattenne e si mise a ridere, gettando la testa bionda un
po’
all’indietro.
-E
io che pensavo fosse chissà chi!- rise, indicandolo con un
dito divertita
–Pensavo fosse la tua ex, o la tua amante, e… e
invece è tua madre!-
Davide
si strinse corrucciato nelle spalle.
-Beh
e allora?- fece.
Lei
sorrise, un sorriso che non gli aveva mai visto addosso, e si
avvicinò al suo
viso.
Con
due dita gli pizzicò la guancia, scherzosa.
-Cocco
di mamma!- disse, tirandogliela.
Il
ragazzo si allontanò, respingendola.
-Ascolta,
ci sta preparando la cena. Promettimi una cosa- disse, facendosi serio.
-Dimmi
pure-
Si
affiancarono davanti al nero portone.
-Prometti
che ti comporterai bene e da persona educata. Capito?-
Lei
alzò un sopracciglio.
-Vuoi
fare bella figura?-
-Guarda
che non scherzo. Niente parolacce e niente musi da bambina-
-Io
non faccio nessun muso da bambina- ribatté alzando un
po’ la voce.
-Prometti?-
-Uff,
sì, prometto! Che sarà mai….?-
-Sarà
mia madre, e io le voglio bene. Tu alla tua non gliene vuoi?-
Francesca
perse di colpo tutta la strafottenza e l’aria compiaciuta che
aveva prima,
rabbuiandosi.
-Sì,
certo- mormorò, distogliendo lo sguardo.
Davide
se ne accorse, ma preferì non insistere. Avendo ormai
imparato che la ragazzina
era peggio di una fiammella in una tanica di benzina, estremamente
litigiosa e
pronta subito ad infiammarsi, non era saggio farla infervorare quando
subito
dopo avrebbe dovuto presentarla a sua madre.
Trasse
un gran respiro e infilò la chiave nella toppa.
La
porta si aprì, e prima che cambiasse idea, lui
afferrò il polso della bionda e
se la tirò dietro.
-Ciao
ma’- esordì.
A
Francesca scappò un sorrisetto, ma fu demolito
dall’occhiata truce del ragazzo.
La
donna spuntò fuori dalla cucina con un bel sorriso.
-Appena
in tempo, è quasi pronto!- disse, poi i suoi occhi andarono
a posarsi
interrogativi sulla ragazzina che stava alle spalle del figlio.
-Lei
è una mia amica, e stasera ho pensato che poteva mangiare
qui. I suoi sono
fuori casa-
La
madre del ragazzo rimediò subito alla sorpresa, rivolgendole
un sorriso
gentile.
-Certo,
come no! Meno male che avevo comprato più pasta, allora!-
Poi
tornò in cucina.
Lui
sospirò, infilandosi le mani in tasca e sedendosi sul
divano. Lei si avvicinò,
incerta e gli rivolse uno sguardo.
Davide
la guardò compiaciuto, e con il capo le indicò la
cucina.
-Vai-
le sussurrò.
Gli
occhi celesti della bionda si strinsero e scosse il capo.
-Muoviti,
dai- ripeté indifferente al suo disagio.
-Come
preferite la pasta? Corta o lunga?-
La
ragazzina scosse più forte il capo e lui fu costretto ad
alzarsi e darle una
spintarella.
Una
volte comparsa sulla soglia, non poteva tirarsi indietro.
Il
ragazzo tornò a sedersi soddisfatto. In un modo o
nell’altro, doveva pur
prendersi una rivincita.
Francesca
sentì su di sé lo sguardo attento della donna, e
impacciata balbettò
-è
la stessa cosa, per me va bene tutto-
Sospirò
e fu costretta a sedersi ad uno sgabello, simile a quelli che
c’erano nel bar
dove lavorava Davide, sotto gli occhi verde-nocciola della donna.
Non
aveva idea di cosa dire e non sopportava quel silenzio che regnava,
rotto dal
rumore delle pentole e del vapore.
D’un
tratto la signora aprì un barattolo di vetro contenente del
sugo, e il profumo
di questo si irradiò inevitabilmente nelle narici della
ragazza.
Si
dirizzò a sedere composta, osservando il sugo colare nella
pentola.
-Cos’è
che fa un odore così buono?- domandò senza
accorgersene.
-è
il sugo di peperoni con insieme melanzane tagliate a quadretti e
prezzemolo-
spiegò la donna, finendo di versarlo tutto.
-Sembra
buonissimo- commentò, ispirando ancora una volta quel
buonissimo odore che
proveniva dal barattolo.
-Ti
ringrazio- la donna accese il fuoco –l’ho fatto io-
Stupita
e incuriosita sinceramente, la bionda si sporse per osservare tutte le
fasi di
cottura di quel pranzo fantastico, coordinato dalle esperte mani della
donna.
Chissà quante volte l’aveva fatto.
Aveva
sempre desiderato imparare a cucinare qualcosa. Ma purtroppo, chi
poteva farle
da insegnante? Damiano?
Anche
se ne avesse avuto la voglia non ci sarebbe stato certo il tempo, e poi
lei non
avrebbe mai accettato di farsi aiutare da chi si spacciava per suo
padre.
Con
la sua amica avevano solo provato a fare una torta, e fra risate e dosi
sbagliate quello che ne era uscito fuori non era proprio meritevole di
un
premio alla cucina.
-Mi
passi la pasta per favore?- domandò gentile la signora,
indicando le buste
posate sul tavolo.
La
ragazzina scivolò giù dallo sgabello e
andò a cercare fra le buste. Prese in
mano le scatole contenenti gli spaghetti e li porse alla signora. La
sua
attenzione fu poi catturata da un busta lucida e piccola poggiata sul
tavolo.
Sbirciò
senza farsi notare il titolo e senza volerlo, come se ne fosse attirata
da una
calamita, lo sfilò via dalla busta.
Sbalordita,
guardò il libro, lo girò e ne lesse la citazione
sul retro.
Era
un libro di medicina, più precisamente trattava un unico e
ampio argomento.
La
gravidanza.
La
donna si accorse che lo stava fissando interessata e disse
-Quel
libro me l’ha chiesto una mia amica-
Francesca
sobbalzò e divenne tutta rossa d’un colpo.
Allontanò la mano dal libro come se
avesse preso la scossa.
-Che
poi, chissà a che gli servirà mai…-
proseguì lei.
La
bionda tossicchiò un poco, per schiarirsi la gola.
-Puoi
leggerlo, se vuoi-
Aveva
colto nel segno.
La
ragazzina abbassò lo sguardo imbarazzata, balbettando
-No,
è che…… mi sembrava che ce
l’avesse anche mia madre quel libro-
-Non
mi stupirebbe. Ma avevo intenzione di lasciarlo qui-
Lei
alzò gli occhi azzurri sulla donna che la guardava come se
avesse perfettamente
intuito il suo pensiero.
-Puoi
prendertelo, tanto a me non serve più- concluse.
-Davvero?-
domandò incredula la bionda.
-Davvero.
Alla mia amica ne darò un altro, anzi è meglio
comprarglielo nuovo. Avrebbe
dovuto essere un regalo, ma con questa crisi è meglio
risparmiare su tutto. In
ogni caso, puoi prenderlo se ti va-
Francesca
fece scivolare le mani attorno alla copertina rossa del libro,
studiandolo.
-Grazie-
Davide
era comparso sulla soglia, incredulo dopo aver ascoltato quello scambio
di
battute.
Due
ore dopo la signora oltrepassò il portone salutando il
figlio e la ragazza
bionda. In quelle due ore Francesca aveva imparato che Davide quando
era
piccolo voleva fare il poliziotto, che la sua sorellina aveva la stessa
età di
lei, che non bisognava esagerare con il prezzemolo e che era un vero
peccato
che lui lavorasse in un bar dopo cinque anni di studio.
Era
stata infilata a forza nei pettegolezzi di famiglia per poi scoprire
che un
loro lontano parente abitava in Australia, che l’appartamento
posseduto dal
ragazzo era stato lasciato in eredità dallo zio, e che per
scegliere
l’arredamento si erano fatti aiutare dalla sorella.
-Tua
sorella ha davvero molto buon gusto- commentò lei, andando
verso la camera da
letto.
Lui
non rispose, ma la seguì; arrivato davanti alla porta si
arrestò e la chiuse,
dato che probabilmente si stava cambiando.
Gli
venne in mente una cosa.
-Ti
è piaciuta mia madre?-
-Sì,
tantissimo- rispose lei, la voce soffocata dalla porta che era chiusa.
-E
la tua, quando me la fai conoscere?-
Non
ottenne nessuna risposta; chiedendo il permesso, e ottenendolo,
entrò nella
stanza con già il pigiama addosso.
La
ragazza si sedette sul bordo del letto a fianco delle tende, senza
dargli lo
sguardo.
Davide
si infilò sotto le coperte.
-Allora?-
-Allora
che?-
-Me
la farai conoscere tua madre?- incalzò.
Francesca
non voleva guardarlo negli occhi perché era certa che se lo
avesse fatto si
sarebbe in qualche modo tradita. Ed era l’ultima cosa che
voleva.
-Non
fare domande cretine- disse, girandosi sotto le coperte dalla sua parte.
Incrociò
il suo sguardo perplesso.
-Tua
madre non sa nemmeno chi è il padre del suo nipotino?-
provò a sorridere.
Ma
fu un errore, un grossissimo errore.
La
bionda inarcò entrambe le sopracciglia e sibilò
-Tu
non devi provare ad entrare nella mia vita. Non sono affari che ti
riguardano-
Detto
questo si voltò dall’altra parte, scontrosa.
Serrò le palpebre, determinata a
prendere sonno.
Un’ultima
cosa le rimase sulla lingua e non tardò a gettarla fuori.
-E
poi non sarebbe felice del padre. Uno sfigato che si fa preparare la
cena dalla
madre- sogghignò perfida, certa di avergli fatto male.
Così
fu, perché il ragazzo si rabbuiò; anche lui si
girò dall’altra parte,
imbronciato e chiuse gli occhi.
-Stro**a-
disse al nulla, quando ormai lei si era addormentata.
Francesca
seguiva senza interesse l’interrogazione noiosa del suo
compagno di classe,
ignara di quello che stava avvenendo alle sue spalle.
Arianna
era alta, coi capelli scuri e abbastanza grossa, come corporatura, ed
in quel
momento aveva in mano un foglietto.
La
sua penna, a righe verdi e bianche, scorreva sulla carta con una
scrittura
rotonda e pulita.
Appena
ebbe finito, attenta a non farsi vedere, lanciò la carta sul
banco che aveva
davanti.
La
bionda, con la testa rintronata e posata inerte sulle braccia, sdraiata
sul
banco come se con la forza dell’immaginazione quello si
potesse trasformare in
un letto, non colse subito che era destinata a lei.
In
realtà vide la cartuccia che era piovuta sul suo banco, ma
non si diede pena di
aprirla.
La
ragazza del banco dietro, notandolo, le diede una pizzicata al fianco
che la
fece star dritta.
-Che
c’è?- bisbigliò assonnata.
L’altra
indicò la carta.
Francesca
tornò alla sua posizione pigra e prese fra le mani la carta,
dispiegandola sul
banco.
Lesse
le parole che erano impresse sul biglietto.
“è
vero che aspetti un bambino?”.
Non
appena l’ebbe letto, si accigliò preoccupata e
l’ansia iniziò a farsi sentire.
Cosa
ne sapeva lei di quello? Chi gliel’aveva detto?
Subito
lo sguardo le andò verso la sua compagna, Paola, che stava
scarabocchiando sul
diario; era l’unica alla quale avesse confidato quel suo
segreto intimo e
personale.
Socchiuse
gli occhi, come quando era arrabbiata, ma preferì esserne
sicura.
Scrisse
la risposta.
“Non
dire cavolate” e rimandò indietro il biglietto.
In
attesa di una risposta che le rivelasse chi era la traditrice,
spostò lo
sguardo a destra. La fila di banchi era occupata da quattro ragazzi che
annoiati giocavano ai cellulari o guardavano filmati compromettenti di
nascosto
dai professori, e due ragazze che chiacchieravano sottovoce.
D’un
tratto una di loro ricambiò il suo sguardo e le fece un gran
sorriso. Il che
non era un buon auspicio, no, per niente.
Il
bigliettino tornò alla bionda con la risposta di Arianna.
“Guarda
che non c’è niente di cui vergognarsi”.
La
storia era ormai chiara; se lei si azzardava a fare queste
considerazioni, non
era semplicemente un pettegolezzo detto per parlare male, ma era
qualcosa che
avevano potuto confermare. Ma brave, sparlate di me, eh?,
pensò, infiammandosi.
“Ma
chi ti ha detto una sciocchezza simile?”.
Lo
rimandò, facendolo passare sotto il banco, alla bruna.
Era
preoccupata della risposta; l’unica che poteva confermare che
aspettasse un bimbo
era solo ed esclusivamente Paola, ma Francesca non voleva credere che
dopo
tutti quegli anni di amicizia lei avrebbe potuto diffamarla
così.
La
risposta non si fece attendere.
“Elena
giura che ti ha visto con un ragazzo più grande, che vivi a
casa sua, e che ci
stai perché aspetti un bambino!”. La bionda
impallidì, anzi, si fece rossa di
rabbia.
Come
giustamente aveva pensato, non poteva esser stata Paola. No, era lei,
la
stupida pettegola.
Si
voltò a destra a guardare la ragazza che prima le aveva
fatto un gran sorriso;
quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente lei rifece lo stesso
sorriso
finto che le aveva rivolto l’altra prima.
Gliel’avrebbe
fatta pagare, oh sì.
In
quel momento, a metà della sesta ora, il cellulare le
vibrò. Lo estrasse e
nascondendolo sotto il banco lesse il messaggio che le era arrivato.
“Non
posso tornare a casa a pranzo. Ti ho lasciato la copia delle chiavi
sotto lo
zerbino, e anche se non ci vai prendile lo stesso”.
Bene,
grazie sfigato, si disse in mente.
“Ok”
digitò, e lo infilò nuovamente in tasca.
Stette
a riflettere mentre la professoressa spiegava qualcosa di non definito,
ma
certamente con delle proprietà soporifere incredibili.
Certa
che non avrebbe passato guai, si sporse a destra.
-Ele?-
la chiamò.
La
ragazza si voltò, sorpresa.
-Che?-
-Ti
va di venire a mangiare a casa mia dopo?-
L’altra
fece una faccia incredula, ma annuì convinta.
-Magari
ci trovo quel figo di tuo padre- sorrise.
-No,
lui non c’è. Non c’è nessuno-
Ritornò
alla sua posizione appena in tempo per non venire sgridata, e congiunse
le
mani.
Sul
volto le scappò un ghigno cattivo, e soddisfatta si morse il
labbro.
Un’ora
dopo, le due ragazze, zaino in spalla e aria affamata, salirono le
scale del
palazzo. Francesca sperò tanto che il ragazzo non avesse
deciso all’ultimo
momento di tornare, perché anche se era sua intenzione farle
un piacere,
l’avrebbe solo intralciata.
Arrivate
all’ultimo piano, dove c’erano solo due
appartamenti, la bionda si chinò a
terra, scostando lo zerbino, e trovò il mazzo di chiavi di
riserva.
Lo
prese, facendolo tintinnare, e nel frattempo inviò un
messaggio.
“Ho
trovato le chiavi”.
Nel
frattempo aprì la porta, spalancando alla vista
dell’altra quel
bell’appartamento.
Veronica
avanzò a bocca aperta, guardandosi intorno beandosi dei bei
colori esotici che
aveva la casa.
-Bellissima!
Ma sul serio vivi qua?-
La
bionda chiuse forte il portone, e sentì la tasca vibrare.
Si
tolse il giubbino, gettandolo sul divano e lo lesse.
“Se
hai fame c’è l’insalata di
riso”.
Stupita,
si precipitò in cucina e vide davvero una ciotola grande
ricoperta da una
pellicola. Però… conveniva vivere con uno
sfigato, si disse.
Veronica
la seguì nella cucina, e insieme si mangiarono
più che una bella metà di quella
insalata. Francesca continuava a fissare l’altra, come se
volesse coglierla in
flagrante.
Parlarono
del più e del meno, finché non si fecero le
quattro ed Elena non si rese conto
che era ora di andarsene. Mentre si abbottonava il giubbino, Francesca
strinse
gli occhi e si decise.
-Cosa
andrai a raccontare ora?-
-Come
scusa?- domandò l’altra, perplessa.
-Oltre
al fatto che sono incinta, dirai che vivo in casa da sola e che pago
l’affitto
prostituendomi?-
Elena
la fissò stranita, e tentò un sorriso per
sdrammatizzare, ma non rispose. Come
per Davide la notte scorsa, quello fu un errore anche per lei
perché la bionda
andò fuori dai gangheri.
-Perché
hai detto ad Arianna che aspetto un bambino?-
-Io?
Ma che dici?-
-Dico,
dico! E che sarebbe questa storia che mi hai visto con un ragazzo
più grande?-
Elena
incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio.
-Non
so di che tu stia parlando e se è uno scherzo è
di pessimo gusto-
Questo
funse da demolitore per l’ultima briciola di calma che aveva
la bionda. Subito
le afferrò un polso e lo tirò in alto.
-Lo
so che ti fai il mio ex, cosa credi?- disse rabbiosa.
-E
allora? Che, è vietato?-
-No,
non è vietato. Ma non mi va che tu vada a dire in giro
ca**ate su di me,
capito?-
L’altra
cercò di divincolarsi ma la presa della bionda era troppo
forte.
-E
poi non sono manco bugie! Me l’ha detto Bruno che vi siete
lasciati perché
aspetti un bambino!-
D’un
colpo lei le lasciò il polso. Ecco da dove proveniva tutto.
Era stato quella
sottospecie di animale a cominciare il giro.
Rifletté
rapida, e poi sorrise cattiva.
-Se
tu vai in giro a dire tutto questo, io dirò a Manuela che
sei stata tu a farla
lasciare col suo ragazzo-
-Manuela
è la mia migliore amica, non ti crederà mai!-
-Ma
io ho le prove, ho la foto tua e di Daniele che vi baciate. Ma ce
l’hai di
vizio, di farti i ragazzi delle altre?-
Stettero
a squadrarsi per un po’, in silenzio, poi si sentì
la serratura scattare.
Davide
comparve sulla soglia e si fermò a metà strada,
notando le due ragazze.
-Ciao-
disse la bionda per rompere il silenzio.
Il
ragazzo spostò interrogativo lo sguardo
sull’altra, che fissatolo per un attimo
lo superò.
-Sei
proprio una pu**na- sibilò all’indirizzo della
bionda, sibilo che venne
ricambiato a voce molto più amplificata.
-Ti
ho avvisato, io! Poi non piangere!- le gridò dietro.
Così
dicendo chiuse la porta e vi si appoggiò.
Davide
la guardò, agitando una mano come a dire ‘ma che
fai?’.
-Scusa,
mi spieghi?-
-No,
fatti miei-
-Chi
era quella?-
-Una
mia amica-
-Non
dirmi bugie, ho sentito come vi siete salutate- lui incrociò
le braccia e si
mise davanti a lei.
-D’accordo,
è una str***a-
Siccome
stava per aggiungere altro, Francesca lo scansò con una mano
e andò verso il
salotto.
-Oh,
senti non ti impicciare!-
Il
ragazzo la guardò andare via senza una spiegazione, poi
scosse la testa, stufo.
-Tu
sei
tutta matta, io ci rinuncio- disse, facendosi sentire.
Grazie alle persone che
leggono, che hanno inserito la storia nei preferiti e a tutti quelli
che hanno recensito: Jiuliet, Devilgirl89, vero15star, FeFeRoNZa,
OOgloOO. Grazie.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Quei
pomeriggi passarono a velocità esasperante. Le ore e i
minuti, persino i
secondi parevano protrarsi all’infinito. Quel noiosissimo
giorno della quasi
metà di aprile, in particolare, Francesca finì di
scrivere il risultato
dell’equazione, e soddisfatta chiuse il quaderno degli
esercizi.
Notò
che le serviva il computer per fare una stupida ricerca per una stupida
professoressa riguardante uno stupido argomento di storia.
Sbuffò,
scocciata. Detestava dover chiedere aiuto a qualcuno.
-Davide!-
lo chiamò forte.
Lui
comparve sulla soglia della cucina, luogo che lei aveva scelto per
farsi i
compiti in santa pace, con una maglietta bagnata e i capelli che
colavano
acqua.
-Che
è successo?- domandò preoccupato, frizionandosi
la testa con un asciugamano.
-Mi
serve un computer. Tu ce l’hai?-
Il
ragazzo, insospettito, strinse gli occhi.
-A
che ti serve?-
-Ricerca
di scuola-
-Alla
tua età fai ancora ricerche?-
-La
mia prof ha voglia di rompere le pa**e- concluse la bionda, in attesa
di una
risposta.
Non
del tutto convinto, lui entrò nella cucina e si diresse
verso un mobile che la
ragazzina non aveva mai notato.
In
alto a questo, il ragazzo aveva messo una borsa blu scuro, una
cartella, e
alzandosi sulle punte la afferrò per portarla
giù, sul tavolo.
La
ripulì dalla polvere e fece scorrere la cerniera.
Una
volta aperta, un portatile nero fece la sua comparsa. Davide
tirò fuori mouse,
alimentatore e lo accese. Francesca si fiondò subito sulla
sedia accanto alla
sua.
-E
questo da dove salta fuori?- chiese, guardandolo ammirata.
-Fatti
miei- borbottò lui mentre collegava i fili, alzava lo
schermo e lo accendeva.
Si
sedette accanto alla ragazza, tenendola d’occhio.
-Girati,
che devo mettere la password-
Lei
esitò, ma poi cedette al suo sguardo perentorio; sbuffando
seccata girò il capo
dall’altra parte.
Osservò
involontariamente i capelli bagnati di lui che si appiccicavano alla
nuca,
grondanti di acqua. Così sembravano molto più
lunghi. Poi intercettò con lo
sguardo una gocciolina solitaria che cadde a picco dentro il colletto
della sua
maglietta, sulla schiena. Essendo anche quella bagnata, la pelle
aderiva
precisamente al tessuto.
Osservò
con un filo di raccapriccio la sua colonna vertebrale spuntare di tanto
in
tanto. Le faceva impressione e così si voltò
dritta.
-Cosa
devi cercare?-
-Mmm?-
domandò, dimentica dello scopo per cui aveva chiesto un
computer.
-Hai
detto che dovevi fare una ricerca- spiegò il ragazzo
accigliandosi.
Vedendo
che non reagiva si spazientì un po’.
-Dai
muoviti che tra mezz’ora devo andare a lavoro-
-E
vacci, guarda che lo so usare un computer- ribatté risentita
lei.
-Non
mi fido a lasciarti col mio-
Entrambi
strinsero gli occhi, scrutandosi attenti come fanno due lottatori prima
del
match, ognuno deciso a trovare i punti deboli
dell’avversario. Infine parvero
stabilire una tregua.
Francesca
gli dettò il testo dell’argomento e insieme
decisero quale era la pagina più
adatta da salvare; dopo molti dibattiti conclusero che avrebbero
provato un
altro motore di ricerca.
-è
proprio tuo stò computer?- chiese lei curiosa.
-Sì-
rispose atono il ragazzo.
-Come
fai a pagartelo in rate se lo stipendio che guadagni è una
miseria?-
Davide
si indispettì.
-Ma
cosa ne sai tu? Stai zitta…-
Riprese
a cliccare con il mouse.
Ma
Francesca non si diede per vinta. Osservò la marca, il tipo
di processore, e
ricordò quello che aveva spiegato il suo professore a scuola.
-Deve
costare veramente tanto però- si azzardò a dire.
A
quel punto lui sospirò seccato e smise di guardare lo
schermo per concentrarsi
sulla bionda alla sua sinistra.
-Se
proprio vuoi saperlo, l’ho vinto con una borsa di studio-
disse un po’
imbronciato.
-L’hai
vinto?-
-Sì.
E ora vorrei sapere una cosa però-
Si
girò completamente dalla sua parte con tutto il busto,
trovandosi vicinissimo a
lei.
La
quale non si fece intimorire affatto, ma sostenne il suo sguardo serio.
-Tu
dici sempre che io non mi devo impicciare della tua vita. E allora
perché tu
vai curiosando nella mia?-
-Sai
a me quanto me ne frega di te- ribatté acida la ragazza.
-Che
ne sai tu che io guadagno una miseria? E poi che ti impicci dei miei
soldi,
eh?-
Forse
l’aveva fatto arrabbiare.
-Ma
cosa dici? A me non m’importa proprio nulla dei tuoi
problemi, che già sto per
cavoli miei, quindi…-
-E
perché allora……-
D’improvviso
lui tirò fuori dalla tasca una busta bianca, stracciata
nella parte superiore e
accartocciata.
-…questa,
che in teoria dovrebbe essere roba mia, l’hai presa tu, e
nascosta?-
-Frughi
nelle mie cose?-
-Quando
nelle tue cose c’è roba mia sì-
Francesca
arrossì sia di rabbia, sia d’imbarazzo
perché l’aveva scoperta.
Giorni
fa aveva suonato alla porta, una mattina che non era andata a scuola,
il
postino per consegnare delle lettere. Aveva trovato lei e si era fatto
dare una
firma.
La
ragazza si era trovata fra le mani una scatola impacchettata e avvolta
da nastro
adesivo robusto, tenuta insieme anche dallo spago.
Non
aveva osato aprirlo, cedendo alla curiosità,
perché lui certamente se ne
sarebbe accorto, ma quella lettera l’aveva così
dannatamente incuriosita che
non aveva resistito.
Aperta
col vapore, richiusa abilmente o almeno così credeva, e
aveva curiosato nella
sua vita; intendiamoci, non che la ragazza volesse far la
spia… era
semplicemente curiosa di lui.
Letta
la bolletta, non troppo eccessiva a dir la verità, aveva
fatto due calcoli per
capire a quanto ammontasse il suo stipendio. Ed era una cifra che non
gli
permetteva certo il lusso di avere tante cose sfiziose.
-Perché
l’hai aperta?- domandò lui.
La
bionda sbuffò e non rispose, ma quando lui ripeté
la domanda più forte si
irritò e le saltarono i nervi.
-Che
ne so! Credevo che non avessi abbastanza soldi- sparò a
caso, per coprire la
mancanza di una motivazione valida.
Davide
distolse lo sguardo da lei, scuotendo la testa con vigore e disappunto,
mangiandosi le risposte fra i denti.
Scelse
la pagina che gli sembrava migliore, gliela salvò su un
floppy disk e le disse
di sbrigarsela da sola.
Lei
rimase così, col dischetto in mano, mentre lui riponeva il
portatile e se ne
andava di là a prepararsi.
Non
andava bene così, però. C’era
un’atmosfera troppo tesa fra di loro. Sentì il
portone sbattere forte quando il ragazzo uscì per scendere
al bar, e ancora un
po’ arrabbiata per prima, si infilò il giubbino,
prese il cellulare e uscì
anche lei. Almeno avrebbe potuto parlare con la sua amica di questi
piccoli
problemi di convivenza.
Davide
continuava a maledire, nella sua mente, quella serata in discoteca e a
darsi
dello stupido per essersi preso in carico quella strana ragazzina.
Era
tutta matta, quella.
Gli
piombava nella vita, in mezzo ai piedi dicendo di essere incinta. Lo
faceva
commuovere, gli procurava sensi di colpa e lo costringeva
implicitamente a
darle in qualche modo un aiuto.
Ma
non era normale, dopo tutte quelle gentilezze, dopo tutto quello che
faceva per
lei, esser trattato come un imbecille.
Oltre
che si faceva carico delle spese economiche che comportava, del fattore
psicologico di diventare di lì a pochi mesi padre di un
bambino, doveva
sopportare il suo carattere irascibile.
Non
riusciva a capirla proprio.
Lo
aveva cercato lei, lei si era preoccupata che sapesse del bambino, che
ne fosse
informato e non aveva esitato ad accettare il suo aiuto. Poi,
d’un tratto,
diventava fredda, irritabile e menefreghista.
Non
gli permetteva di domandare come andasse col bambino, con la scuola;
non
parlavano mai di quel piccolo segreto custodito nella sua pancia.
Non
cercava un contatto con lui, un dialogo che fosse basato sui loro
problemi, anche
se ce ne sarebbero stati molti da discutere.
Va
bene che non erano una coppia, che fra loro intercorrevano quattro anni
di
differenza, che non erano amici ma solo estranei accumunati da una cosa.
Ma
quella cosa a Davide pareva troppo importante per escluderlo da tutto;
dopotutto, pensò, se quel bambino era, così
diciamo, nato, era anche merito
suo. Magari non era stato proprio voluto, non era nei loro piani
perché a
malapena conoscevano il nome dell’altro, ma in quei giorni
aveva più volte
pensato a cosa sarebbe successo dopo.
Dopo
tutto, dopo quei nove mesi.
Si
era trovato una ragazzina in casa, e secondo i suoi calcoli, ad
ottobre,
sarebbe nato il bimbo.
E
dopo?
Francesca
sarebbe rimasta a vivere con lui? Purtroppo tutte le domande che la
implicavano
non potevano avere una risposta.
Sarebbe
forse tornata a vivere con i suoi? E poi cosa ne sarebbe stato di lui?
Del
papà?
Dimenticato,
relegato in un angolo?
Eppure
lui aveva il diritto di dire la sua; non è che non lo
volesse, quel bambino;
visto che ormai c’era, non si poteva mica buttare. Anzi,
anche lui aveva
diritto ad avere dei genitori.
E
come si sentirà quando gli rimarrà solo la mamma?
Non si chiederà mai da chi ha
preso quel naso, quel colore dei capelli e quel carattere?
Forse
non avrebbe mai avuto una risposta a quelle domande, si disse
malinconico
mentre spingeva la porta.
Quella
non si aprì; provò ancora, e ancora, ma niente,
rimaneva ferma dov’era.
Fece
mente locale, deviando dai pensieri filosofici che gli erano balzati in
mente.
Poi
si ricordò: non era giorno di lavoro, né orario
di apertura. Ma come aveva
fatto a scordarselo?
Forse
davvero, aveva troppi pensieri per la testa.
Tornò
a casa, ma non trovò la bionda ragazzina.
“Per
fortuna” pensò malignamente per poi contraddirsi.
Esausto
anche se era solo pomeriggio, si gettò sul letto e chiuse
gli occhi.
Rotolò
verso sinistra, nella parte dove dormiva lei, e afferrò con
una mano il
cuscino.
Il
suo ventre toccò qualcosa di duro; storse il naso,
infastidito, e si sporse per
vedere cos’era l’artefice del suo disagio.
Lo
zaino della bionda.
“Rompe
anche quando non c’è”. Si
voltò a pancia in su, e lo prese distrattamente fra
le mani.
Poi
vide che era aperto.
Esitò,
con la mano a mezz’aria. Tanto lei non c’era, si
disse, e infilò le lunghe dita
dentro la cerniera.
La
prima cosa che toccò, tastando, fu una felpa. La estrasse e
la lanciò sul
letto, di lato.
Tornò
dentro lo zaino, spingendosi più in fondo. Trovò
un diario scolastico e lo
esaminò.
Sdraiato,
se lo poggiò sul petto.
Era
bianco, griffato dalla marca di qualche catena di abbigliamento, ma
annerito
dalle cadute e dalle matite che ci avevano scritto sopra. Era enorme e
quasi
non stava in una mano, perché era imbottito di carte.
Francesca
aveva provato a tener insieme la copertina col nastro adesivo, ma non
ci era
riuscita.
Il
dorso si sfaldava, gettando ovunque pezzetti minuscoli di carta. La
copertina
era consumata agli angoli, e distrutta sul retro, come se ci avesse
giocato a
calcio.
Davide
girò fra le mani il piccolo diario bianco.
Chi
sei, Francesca?
Appoggiandosi
meglio alla testata del letto, iniziò ad aprire cauto la
prima pagina.
Non
ci aveva scritto nulla, e così iniziò a cercare
altrove.
Fu
come se si fosse aperta una finestra, un video in tempo reale su quello
che era
il suo mondo. Sfogliando quelle piccole pagine quadrettate aveva
accesso alla
sua vita, entrava dentro i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Rapito
dalla scoperta di quel segreto, come ipnotizzato iniziò a
girare le pagine,
cercando curioso qualunque cosa la riguardasse.
La
prima cosa che gli scivolò in grembo fu una foto 13x15.
Dimentico
del diario, la prese e la osservò.
I
banchi della classe erano stati spostati per far posto ai ragazzi.
Ventidue
bocche digrignavano sorridendo i denti, più o meno puliti.
Erano undici ragazzi
e altrettante ragazze.
Francesca
si riconosceva subito per via dei suoi capelli biondi e di quel broncio
che
imperterrita teneva sul viso. Ma stavolta non era quel broncio rabbioso
e
testardo che le aveva sempre visto, era una smorfia quasi di
rassegnazione,
come ‘che ci sto a fare io con questi?’.
Accanto
a lei si ergeva un’alta ragazza dai capelli neri, lisci e
freschi di
trattamento con la piastra forse, che sorrideva tranquilla, con un
braccio
attorno alla vita della bionda.
Poi
riconobbe la ragazza che si era trovato un giorno a casa, seduta dietro
su un
banco e anche lei avvinghiata ad un’altra.
Voltò
dall’altra parte la foto e ne osservò il retro.
Era
tutto cosparso di firme; chi con la penna nera, rossa, blu e anche
verde aveva
lasciato il suo segno indelebile su quella fotografia.
‘Francesca
Daniele’ era scritto proprio al centro
dell’immagine, circondato da altri. La
sua scrittura era non troppo rotonda e non proprio ordinatissima.
Spaziosa e
larga.
Davide
ripose la foto nel diario e cominciò a leggere.
Sembrò
quasi di essersi ritrovato cinque anni più giovane, ancora
fra i banchi della
ragioneria, insieme a tutte quelle voci, quell’allegria,
quegli scherzi,
parolacce e risate che rendevano così tanto bello
l’andare a scuola.
Tante
scritte colorate, evidenziatori e pennarelli per scrivere dediche su
quel
diario e lasciarle per sempre alla ragazzina.
Anche
ragazzi vi avevano scritto sopra.
‘Ti
amoo… dai scherzo! By Nazario’. ‘Ma
questa non muore mai? Tvttttb Francy!!’.
Poi
disegni, compiti scritti frettolosamente, e piccole filosofie
sull’amore,
scopiazzate da chissà quale pagina web.
Poi
qualche canzoncina sconcia, una battuta.
Ma
ciò che colpì Davide fu una pagina scritta in
stampatello maiuscolo fitto
fitto, ripiena di parole che davano all’occhio per quanto
erano perfettamente
della stessa grandezza.
Incominciò
a leggere.
‘…aiuto,
fra due ore ho l’interrogazione e non ho studiato. Potrei
studiare adesso, ma
proprio non ce la faccio. È che ho la testa piena di lui,
lui, lui, lui… uff. è
proprio bello, anzi, bellissimissimo, col superlativo assolutissimo.
Il
fatto è che è così strano dopo quella
sera lì, in discoteca con quel tipo. Ma
sono grande adesso, e lui lo sa. Almeno sarà per una giusta
causa che non ho
studiato!!!’.
Continuava
ancora ma lui si fermò lì. Lesse ancora altre
dediche, altre parole, altre
firme.
Allora
non era sempre così… difficile, con gli altri.
Chiuse
il diario e stette un po’ a pensare.
Forse
era lui che stava sbagliando atteggiamento? Forse aveva scelto il modo
sbagliato di iniziare?
Continuava,
per ogni direzione che scegliesse, a sbattere la testa contro un muro
che
sembrava invalicabile dalla sua parte.
Magari
doveva solo aggirarlo, il muro. E magari cercare di farla parlare un
po’ di sé.
Rimise
a posto il diario, ma mentre lo faceva la sua mano sfiorò il
bordo
accartocciato di qualcosa. Nuovamente catturato dalla
curiosità, tirò fuori
quello che aveva urtato.
Le
sue dita estrassero un’altra fotografia, molto diversa dalla
prima.
Raffigurava
tanti bambinetti, tutti dritti in fila disposti su più piani.
Indossavano
tutti quanti un grembiule grigio chiaro, sia i maschi che le femmine, e
affianco alla fila c’erano due signore, probabilmente le
maestre, che
sorridevano.
Davide
pensò che fosse una foto risalente alla scuola materna, ma
poi girò la carta e
lesse sul retro.
‘Orfanotrofio,
1995’.
Questa
parola gli diede molto da pensare; orfanotrofio?
Tornò
a guardare i bambini, e inevitabilmente riconobbe fra di loro la
ragazzina. Ma
quella era un’associazione che non avrebbe mai voluto fare.
Si drizzò a sedere,
guardando ora la bambina, ora la foto che stava prima nel diario.
La
bambina era tutta seria e composta, indossava il suo grembiule e
guardava fisso
l’obiettivo della macchina fotografica. La Francesca
sedicenne aveva una
smorfia e si faceva tirare dalle compagne.
Il
ragazzo non volle assolutamente credere che quelle due bambine, fossero
le
stesse. Eppure gli occhi azzurri come il cielo, i capelli biondi, erano
gli
stessi. La terribile verità lo schiacciò con la
forza di un macigno.
D’un
colpo capì perché non voleva fargli conoscere la
sua famiglia. Perché i suoi
non avessero saputo niente del bambino. Perché
l’altro giorno, quando sulla
porta di casa le aveva domandato se volesse bene a sua madre, si era
leggermente incupita.
Non
è che non volesse dire del bambino ai suoi genitori.
È
che non c’era nessuno a cui dirlo.
Anche
lui si sentì come un mostro che pentito desidera rigurgitare
tutto ciò che si è
mangiato.
Posò
con cura le due foto sul fondo dello zaino, e lo chiuse, ancora scosso
e perso
nei pensieri; tutte quelle malignità che aveva pensato sul
suo conto gli
ritornarono su come vomito, e pentendosi di quello che le aveva detto
era
deciso a rimediare.
Non
poteva credere che le avesse detto tutte quelle cose, e che quando
avrebbe
potuto benissimo rinfacciargli tutto mostrandogli quella orribile
verità, di
quanto la vita fosse stata ingiusta con lei, fosse stata invece zitta.
Si
sentì umiliato dalle sue stesse azioni.
Ma
era deciso a rimediare. O almeno, ci avrebbe provato.
Il
campanello suonò, e dietro la porta si rivelò la
ragazza bionda, che senza
guardarlo in faccia oltrepassò la soglia e andò a
posare il giubbino bianco sul
divano.
Lui
la guardò attento mentre andava di là, forse in
cerca delle sue cose.
Chiuse
la porta, preparandosi a dar battaglia. Perché sapeva che
qualunque cosa avesse
intenzione di dire, non sarebbe stato affatto semplice.
Si
grattò la testa, incerto su cosa dire, e come primo passo la
raggiunse in
camera da letto.
Francesca,
come aveva immaginato, stava rovistando nel suo zaino alla ricerca di
cose sue
e non gli prestò granché attenzione. Davide si
sdraiò sul letto a pancia in su,
arrivando fino a lei.
La
ragazza, stupita da questo, girò la testa verso di lui
interrogativa, ma poi
subito la riportò al suo zaino.
Lui
non aveva idea di come iniziare. Si sentiva nervoso, molto nervoso,
come quando
i primi tempi doveva parlare con Silvia e invece i suoi occhi cadevano
inevitabilmente più in basso.
Imbarazzato
e con la paura di essere umiliato, ecco come si sentiva.
-Dove
sei stata?- domandò piano, guardandola da sotto in su.
Che
sciocca domanda, si ammonì mentalmente, ma ormai era fatta.
La
bionda non lo guardò neanche per un attimo, ma estrasse il
suo diario dallo
zaino, e prese a guardarlo.
-In
giro- rispose fredda.
Bum.
Aveva sbattuto per la prima volta in quella serata contro il suo muro.
Riprovò
ancora a farla parlare un po’.
-Cosa
ti va di mangiare stasera?-
La
ragazza scrollò le spalle.
-Quello
che vuoi-
Riprese
a sfogliare il diario, noncurante del ragazzo sdraiato accanto a lei.
D’un
tratto un foglietto scivolò via dalle pagine quadrettate,
posandosi fra le
pieghe del lenzuolo.
Davide
lo afferrò immediatamente, portandoselo davanti agli occhi.
Vi era disegnato
uno stemma ovale a strisce bianche e nere.
Alzò
un sopracciglio.
-Non
mi dire che tifi Juve- commentò stavolta con tono sarcastico.
-Si
perché, hai qualche problema?- ribatté dura lei,
per poi riprendersi dalle sue
mani, stizzita, il foglietto e infilarlo daccapo nel diario.
-Certo
che ce l’ho, ma dai, non ti facevo juventina a te-
Ma
non ottenne risposta, andando un’altra volta a sbattere
contro il muro.
C’era
bisogno di un’azione diretta, con lei; di una testata
più forte, visto che le
precedenti, più leggere e contenute, non avevano scalfito di
un millimetro la
sua resistenza.
Allungò
un braccio verso di lei, in un gesto apparentemente casuale, e strinse
fra le
dita la foto di classe, sfilandola via.
Francesca
scattò su e alzò la voce.
-Che
fai? Dammela!-
E
immediatamente si sporse verso di lui con l’intenzione di
afferrare la
fotografia.
Lui
la tenne lontana, impedendole di prenderla, e domandò
tranquillo
-Questa
è la ragazza che è venuta l’altro
giorno?-
Col
pollice indicò il volto di Elena.
-Non
sono fatti tuoi, e ridammela, non mi fare incavolare!-
Provò
varie volte a riprendersela con la forza, ma visto che non sembrava
avere
chance di vittoria, si mise in ginocchio, imbronciata seria, con gli
occhi
ridotti a fessure e la mano tesa.
-Dammela
immediatamente- sibilò.
Il
ragazzo se la portò davanti agli occhi, noncurante della sua
rabbia, e la
osservò di nuovo.
-E
questa con un sorriso storto sei te- commentò calmo.
-Ti
ho detto di ridarmela- disse fra i denti lei, con le labbra contratte
dalla
rabbia.
Senza
scomporsi, lui gliela restituì e si appoggiò al
cuscino con le mano dietro la
nuca, guardando il soffitto.
-Tanto
l’avevo già vista- disse.
-Cosa?-
chiese lei, temendo di non aver capito bene.
-L’avevo
già vista quella foto- ripeté con lo stesso tono
di prima.
-Hai
frugato anche tu nelle mie cose?-
La
bionda alzò la voce e siccome non ottenne alcuna risposta,
lo interpretò come
un sì.
Gli
tirò un pugno sul ventre.
-Brutto
idiota! Chi ti ha dato il permesso di impicciarti?-
Stava
per tirargliene un altro, ma d’un tratto la mano ferma e
decisa del ragazzo le
bloccò il polso.
Stretta
nella sua morsa non poteva muoversi, e cercò di divincolarsi
senza successo.
Davide
si drizzò a sedere, guardandola bene dritta negli occhi, e
prese lo zaino.
Ora
o mai più.
Cercò
la fotografia ignorando le domande e le proteste di lei, e gliela
sbatté in
faccia.
Di
colpo la lasciò andare.
Francesca
sbuffò e si portò le ciocche bionde dietro le
orecchie prima di guardare la
foto. Quando poi la riconobbe, divenne silenziosa e
impallidì. Spostava veloce
lo sguardo ora da lui ora alla foto, come terrorizzata.
Non
era nei suoi piani. Non era quello che voleva. Aveva faticato tanto per
custodire quel segreto, e ora le era sbattuto in faccia.
Visto
che non diceva nulla, Davide si avvicinò di più a
lei.
-Perché
non me l’hai detto?-
La
bionda deglutì, incapace di fissarlo negli occhi, e invece
si concentrò sulla
foto. La bimba bionda di ben tredici anni fa la guardava triste.
-Da
quanto tempo lo sai?- chiese, cambiando totalmente tono di voce. Se
prima era
arrabbiata e furiosa, ora tutta la sua grinta era svanita per lasciare
il posto
alla paura, all’imbarazzo e alla vergogna.
-Da
oggi. Perché non me l’hai detto?-
ripeté imperterrito lui, ma con calma.
La
ragazza afferrò la fotografia e saltò in piedi;
respirando forte fece qualche
passo verso la porta e poi stracciò in quattro pezzi la foto.
-No!
Ma che fai?-
Anche
Davide saltò in piedi, preso in contropiede dal suo gesto, e
la raggiunse nel
salotto. Le prese una mano e la costrinse a voltarsi.
-Lasciami!-
-E
tu parlami! Parlami, dimmi qualcosa!-
Francesca
si sedette, cadendo a peso morto sul divano e rannicchiò le
gambe contro il
petto. Rifletteva rapida.
Aveva
scoperto il suo segreto, lui era la prima persona che ne veniva a
conoscenza, e
ora le cose si complicavano. Non aveva mai detto a nessuno la sua
storia vera,
aveva sempre tenuto in piedi quella messinscena, all’insaputa
di Damiano e di
tutti gli altri. Nemmeno Paola sapeva che la sua migliore amica non
aveva mai
potuto chiamare ‘mamma’ qualcuno.
E
ora il suo brillante castello era crollato, crollato miseramente come
fosse di
carta, spazzato dal soffio del vento. Ora lui conosceva il suo segreto.
E
questo la metteva in agitazione, a disagio.
Non
aveva mai rivelato a nessuno la verità, perché
non voleva che la trattassero
con compassione. Desiderava essere messa al pari degli altri, e non
considerata
come una poveretta bisognosa di aiuto.
Magari
era proprio da qui che nasceva il suo carattere scontroso e difficile,
dal
desiderio di non essere da meno degli altri, e di fare tutto da sola.
Non
aveva mai potuto contare su di nessuno, e le scocciava domandare aiuto
alle
persone. Non era altro che una ragazzina testarda, che teneva la sua
vita sulle
proprie spalle, e a cui ora si aggiungeva quella del piccolo essere che
dormicchiava placido nella sua pancia.
-Cosa
devo dirti?-chiese retorica, guardando altrove.
Stufo
di vedere il suo sguardo fuggire, il ragazzo si sedette accanto a lei,
bloccandole una spalla con un braccio.
-Tua
madre è morta. E anche tuo padre- disse.
Ci
stava provando, in tutti i modi doveva riuscire a distruggere quel suo
muro.
-Lasciami
in pace- mormorò poco convinta dalle sue parole.
-Non
ce l‘hai una mamma, e nemmeno il papà-
-Smettila,
stai zitto!- si sbatté forte le mani sulle orecchie, ben
decisa a non ascoltare
nient’altro.
Si
era nascosta lei stessa a quella verità per tanto tempo.
Quasi quasi si stava convincendo
anche lei di averceli ancora, entrambi i genitori. E ora, con quelle
sue parole
pronunciate con voce calma, ma dure per il significato, stava crollando
tutto.
Tutto il suo mondo, tutto il suo segreto, la sua sicurezza.
Si
stava sgretolando piano piano su se stessa, schiacciata dalla bugia che
si era
inventata per sopravvivere.
Scosse
pianissimo la testa, cercando di sfuggire dal ragazzo.
Lui
fece forza con la mano e la tenne ferma per non farla andare via; di
forza le
tolse le mani dalle orecchie.
-Perché
dici bugie?-
Quella
domanda la fece tremare; era una sensazione nuova per lei, era raro che
si
trovasse così scoperta, così indifesa, senza
riserve. Era solo lei adesso, non
lei e quel suo dannato muro di superiorità e menefreghismo.
Davide,
capendo che forse l’aveva messa a disagio, lasciò
la presa ma non si allontanò.
Invece poggiò un gomito sulla schiena del divano,
avvicinandosi di più alla
ragazza.
-Sei
scappata dall’orfanotrofio?- domandò.
La
bionda scosse la testa, lo sguardo rivolto al basso.
-Allora
da dove?-
-Devo
essere per forza scappata?-
La
sua voce era traballante, ma non si stava incrinando come quella di chi
sta per
piangere. Non voleva piangere, era solo scossa.
Lui
stette in una fiduciosa attesa, certo di aver sbloccato qualcosa in
lei, di
aver toccato qualcosa dentro che la ragazzina bionda non poteva
più ignorare.
-Mi
hanno adottato. Anzi, mi ha- decretò.
-Perché
sei scappata se ce l’avevi una casa?-
-Perché……-
lei stava per rispondere sì, ma quelle parole le
rimbombarono nella testa come
un eco.
Una
casa… lei non aveva mai avuto una casa. Almeno, si era
convinta di questo.
Un
signore alto, di
bell’aspetto, stava discutendo con una signora in un ufficio.
Una bambina
bionda, dai capelli sciolti e lunghi, e gli occhi azzurri, stava non
vista
dietro la porta, osservando i due adulti.
Ricordava
il volto
di quell’uomo. Era lo stesso signore che l’aveva
fatta giocare nei giorni
precedenti, e che l’aveva portata a fare un giro fuori. E
ora, come capì molti
anni dopo, era venuto per portarsela via, a casa sua.
D’altronde
ci era
cascata, che poteva saperne? Aveva solo tre anni.
La
porta si aprì, e
il signore alto ne uscì con un sorriso sfavillante sulle
labbra; l’aveva alzata
e presa in braccio, facendola ridere. D’altronde, che poteva
saperne lui?
Era
solo un uomo di
ventisette anni che voleva tanto bene a quella piccola bimba.
-Ma
poi, a te cosa importa?- domandò più convinta,
più forte, temprata da quel
flashback.
Davide
la guardò intenso, triste, e per la prima volta in quella
serata difficile i
loro occhi si incontrarono, gli uni tristi e pensosi, gli altri deboli
ma che
volevano mostrarsi forti.
-Sto
provando a capirti, testa bionda- disse con tono triste, senza
abbandonare il
suo sguardo.
Francesca
lo ricambiò, ma non disse nulla.
-è
difficile se non mi aiuti- concluse.
La
guardò da sotto in su. La bionda incrociò
inevitabilmente le iridi verde scuro
di lui, cariche di fiducia e non di scherno, di comprensione e non di
rimprovero.
Per
la prima volta si rese conto che lui non era qualcuno che voleva
qualcosa da
lei, che voleva usarla oppure distruggerla. Desiderava solo aiutarla,
per
quanto gli era possibile, e cosa più importante e nuova per
lei, senza che la
forzasse troppo o la costringesse.
Cedette
sotto il peso del suo sguardo. La sua mente, senza averlo premeditato,
elaborò
la risposta al perché avesse ceduto.
Le
dava sicurezza.
Sospirò,
e scosse un poco la testa.
-No,
non… tanto che ti importa?- balbettò, ormai persa
la sicurezza abituale.
Lui,
paziente, allargò il palmo di una mano.
-Allora
fai finta che non sono io. Fa finta che sono quel dottore che ti piace
tanto-
sorrise.
In
altri tempi, forse in altra situazione, Francesca si sarebbe inalberata
a quel
sorriso;stavolta riuscì a contagiarla, e anche i suoi lati
della bocca si
alzarono.
Sciolse
le gambe dalla presa rigida e scivolò a terra, senza tremare
o essere
arrabbiata.
Il
suo prezioso zaino giaceva a terra, lo raccolse e da dentro estrasse
una
fotografia, un’altra ancora e tornò a sedersi
accanto a lui.
Davide
la prese in mano, senza dire nulla e fare commenti;
l’immagine raffigurava un
uomo dai capelli castani e occhi molto azzurri tenere in braccio una
bambina di
circa sette anni, dai capelli biondi, come se fosse un trofeo da
mostrare. Un
qualcosa di cui andare orgogliosi.
-Questo
è tuo padre- disse.
-No.
Lui è solo Damiano- spiegò lei, riprendendosi la
foto –e in teoria dovrebbe
esserlo-
L’altro
non ribatté nulla, preoccupato della reazione che poteva
avere, e di essersi
spinto troppo oltre, tanto da non poter più tornare indietro
ormai.
-Io
non ce l’ho un papà- decretò alla fine,
alzando la testa, orgogliosa della sua
affermazione.
-Allora
sei scappata da casa sua?-
-Non
sono scappata, me ne sono solo andata- precisò la bionda.
-E
lui lo sa del bambino?-
-Sì
che lo sa, sono andata a diglielo-
Il
ragazzo avrebbe voluto rispondere immediatamente qualcosa, ma temeva
che questo
l’avrebbe fatta nuovamente perdere le staffe, e non lo voleva
di certo.
Cercò
in mente un modo di formulare il pensiero che suonasse più
delicato, meno
brusco.
-Non
pensi che sia preoccupato per te?-
Francesca
incrociò le gambe e si appoggiò il mento sulla
mano, pensosa.
Alzò
le spalle, insaccando la testa e guardandolo.
-Boh.
Che mi importa? Non sono fatti suoi-
Certo
che quella ragazzina era proprio strana, pensò lui. Voleva
tutto e allo stesso
tempo niente. Davide era sicuro che anche quell’uomo che
sorrideva nella foto,
come lui in queste settimane, avesse dovuto inevitabilmente scontrarsi
col suo
carattere impossibile e da come ne parlava lei, non era riuscito a
capirla.
-Ma
tu dici sempre così? Cioè, non conosci altre
parole? Non sono fatti tuoi, non
ti impicciare…- sbottò un po’ scocciato.
-Beh
io non mi spreco a parlarne con te- fece per alzarsi.
Il
ragazzo la guardò sicuro mentre si allontanava e le disse
-Però
prima ti sei sprecata a parlare-
Francesca
si voltò e avanzò lentamente, stringendo gli
occhi (e non era un buon segno)
verso di lui, fino ad arrivare allo schienale del divano.
Sorridendo
mormorò piano, strafottente
-Cosa
ca**o te ne fo**e? Ti piace di più così?-
Non
voleva essere provocante, ma inevitabilmente lo risultò, con
quel tono basso e
il sopracciglio alzato.
-Ma
quanto sei stro**a- le sibilò in faccia, arrabbiato,
scuotendo la testa.
-Io?
Lo str***o qui sei tu!- ribatté infervorata, le mani sui
fianchi.
Lui
si alzò con un rapido scatto, per fronteggiarla meglio.
-Ma
la smetti? La smetti di comportarti così? Guarda che io
cerco di aiutarti!-
A
quella affermazione la ragazza bionda non rispose se non con
un’occhiata
storta; in realtà non era stupida, affatto, e sapeva che era
lui ad avere
ragione. Ma era troppo orgogliosa per domandargli scusa.
Più
tardi, in seguito a quella turbolenta conversazione, entrambi stavano
ai capi
opposti del tavolo a rimuginare sulle novità emerse.
D’un tratto lei alzò lo
sguardo e domandò
-Mi
fai mettere su msn?-
-Come?-
fece lui, più che sorpreso per la richiesta.
-Su
msn. Mi. Fai. Mettere?- scandì bene come se dovesse
spiegarlo a qualcuno duro
d’orecchi.
-No-
-Dai-
-No-
-Perfavore-
-Chiedi
scusa per prima-
Francesca
sbuffò, abbandonandosi contro lo schienale e incrociando le
braccia al petto.
Non
disse null’altro, ben decisa a non dargliela vinta.
Finito
di mangiare i due ragazzi si separarono. In seguito alla discussione di
prima,
Davide aveva fatto notevoli passi avanti per quanto riguardava
conoscere la
ragazzina. In quasi un mese di convivenza, questa era stata la massima
apertura
che avevano raggiunto. Il che era tutto dire, perché non era
stata certo la
ragazza ad iniziare la conversazione, ma il tutto era nato dalla sua
indiscreta
curiosità.
Comunque
in un modo o nell’altro, almeno si parlavano di nuovo.
Stava
seduto sul letto a leggere un libro, con la schiena appoggiata alla
testata,
quando sentì il materasso inclinarsi sulla destra.
Un
fruscio di lenzuola e il piccolo respiro lo informarono, senza che
dovesse
alzare gli occhi dalla pagina, che la ragazzina si era seduta sul letto.
Francesca
lasciò che la frangia bionda le calasse davanti agli occhi,
nascondendola alla
vista di lui.
Appoggiò
il mento sul ginocchio, incurvando la schiena, e lo fissò
per una buona
manciata di tempo.
Era
indecisa se cedere alla sua volontà o continuare a mantenere
l’atteggiamento
distaccato.
Dopotutto,
ragionò fra sé, non poteva ignorare questa sua
intromissione nella vita; non
ora che lui era l’unico ad avere scoperto il suo segreto. Ma
come aveva fatto
ad essere così sciocca?
Aveva
lasciata incustodita sia quella foto, sia lo zaino. Che poi continuava
a
chiedersi perché l’avesse conservata, quella
dell’orfanotrofio e quella di
Damiano. Avrebbe dovuto distruggerle entrambe, però
l’aveva sempre rimandato
quel momento, chissà perché.
Indecisa
prese a mordersi il labbro, che recava i segni dei suoi incisivi, per
quante
volte ripeteva quel gesto come fosse un tranquillante alla sua ansia.
Lo
guardava di tanto in tanto, da sotto il suo ciuffo, come fa un
predatore che
adocchia la sua cena e non attende altro che un movimento sbagliato.
-Scusa-
D’improvviso
quel bisillabo le salì alle labbra e non poté
reprimerlo. Come se avesse
pronunciato chissà quale bestemmia, non lo
guardò, imbarazzata, e tenne
ostinatamente gli occhi fissi su una piega del lenzuolo che in quel
momento
sembrava più interessante di ogni altra cosa.
Davide
alzò gli occhi, soddisfatto del risultato ottenuto; scelse
un segnalibro e
segnò la pagina alla quale era arrivato, poi chiuse il libro
e lo porse alla
ragazza.
Lei
alzò gli occhi celesti e incontrò perplessa il
suo sorriso.
-Tieni
un attimo-
Dopo
che lo ebbe afferrato, lui si alzò e uscì dalla
camera.
Francesca
non poté evitare di leggere il titolo, e ne fu sbalordita.
Era
lo stesso libro sulla gravidanza che aveva portato la madre del ragazzo
molti
giorni prima; siccome non era certo scema, si domandò se lui
lo stesse leggendo
sul serio, prima. Era una cosa di cui dubitava grandemente, ma non
disse nulla.
Il
libro era aperto all’indice degli argomenti, e la ragazza non
poté evitare di
buttarci l’occhio. Lesse il primo titolo, il secondo e poi
arrivò al terzo. Lì
si fermò e immediatamente afferrò i lembi della
pagine portandoli vicino agli
occhi.
Sentì
i passi del ragazzo tornare verso la camera e lo chiuse di scatto,
riposandolo
sul letto e facendo finta di nulla.
Davide
tornò con il portatile sottobraccio, si sedette e lo accese.
-Vieni
qua-
Lei
si avvicinò, osservandolo mentre digitava sui tasti veloce e
cliccava col
mouse.
-Tieni,
fai tu- glielo porse e spense la luce. Francesca se lo mise sulle
gambe, mentre
lui si infilava sotto le coperte e chiudeva gli occhi.
La
ragazza stette per mezz’ora su Internet, finché
non fu certa dal suo respiro
che si fosse addormentato; dopodiché afferrò il
libro e lo sfogliò febbrilmente
fino al capitolo che le interessava, e trionfante lo lesse per un
po’ alla luce
del monitor.
Ad
ogni riga il suo sorriso si ingrandiva, certa di aver finalmente
trovato una
svolta in quella che considerava una situazione senza speranza.
Anche
se aveva sonno, ebbe il tempo di digitare le ultime parole su msn.
“Forse
ci siamo, finalmente ho trovato quello che cercavo”.
Grazie a chi continua a
leggere e recensire la mia storia.
olimpia93:
grazie per la recensione, son felice che ti incuriosisca.
Devilgirl89:
grazie dei complimenti. Beh direi che una situazione del genere deve
per forza trovare uno sbocco, in qualsiasi modo. Poi che questo sia
positivo o negativo è n'altra cosa. E hai ragione, forse
Damiano è il personaggio più 'buono' che abbia
mai creato.
wanda
nessie: oh...caspita. La storia ed io ti ringraziamo molto. Povera
Francesca, pensi davvero sia tanto cattiva?
00glo00:
idem come sopra, Povera Francesca. Non è tanto semplice
essere nei suoi panni, direi. Non so se quei due andranno d'amore e
d'accordo...o meglio, lo so ma penso che tu preferisca continuare a
leggere per vedere che succede, no?
Aletta92: grazie per la
recensione e per i complimenti.
MissQueen: O...Dio. Sai che farò? Credo che
stamperò la tua recensione, me l'appenderò sopra
al letto, in camera mia, e ogni volta che la mia autostima
avrà bisogno di essere risollevata (e questo accade spesso)
la leggerò.
Tu esageri, esageri, eccome se esageri. Mi sopravvaluti. Efp
è tanto grande e son sicuro che ci sono un sacco di storie
molto più belle della mia. D'altra parte un commento del
genere non può che farmi piacere. Ergo, grazie.
E n'altra volta, povera Francesca. Come vedi, per farla aprire, Davide
ha dovuto prima sfondare il suo muro di strafottenza.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Qualche
giorno dopo, erano nuovamente in macchina, lui che guidava tranquillo e
lei che
era agitatissima. Fece un respiro pesante, ripetendosi il discorsetto
che si
era preparata.
Lo
ricordava tutto e le sembrava abbastanza dignitoso.
Davide,
piacevolmente sorpreso dal fatto che fosse stata lei ad insistere per
quella
visita extra parcheggiò nel piazzale dell’ospedale
e la guardò.
-Andiamo?-
-No-
fece lei, appoggiandosi allo schienale.
Aveva
abbandonato il giubbino, essendo ormai aprile inoltrato, e la maglietta
aderente ne risaltava le piccole forme da ragazza.
Non
poteva fermarsi ora, non adesso che aveva quasi raggiunto il suo
obiettivo.
Ma
si vergognava terribilmente.
Del
tutto ignaro dei pensieri che passavano per la testa della bionda, il
ragazzo
aprì lo sportello e scese giù, aspettandola.
Poco
dopo anche lei si decise a scendere e a percorrere assieme a lui il
viale e il
corridoio dell’ospedale fino ad arrivare al reparto. Come
l’altra volta, la
sala d’attesa era semi vuota eccezion fatta per una sola
signora. I due ragazzi
si sedettero e aspettarono pazientemente che arrivasse il loro turno.
Quando
arrivò il momento Francesca si affrettò verso la
porta e sulla soglia si girò.
-Senti…-
iniziò incerta guardandolo e tentando di apparire
convincente –non c’è bisogno
che vieni anche tu… aspetta qua-
-Sicura?-
-Sicurissima-
confermò fiduciosa lei, annuendo.
Un
po’ stupito e preso in contropiede, Davide
accettò, tornando a sedersi.
Una
volta che lei fu scomparsa dietro la porta, poi, iniziò a
rimuginare su quello
strano comportamento. Perché l’aveva lasciato
fuori questa volta?
Cosa
aveva da nascondergli? Non l’avrebbe mai scoperto.
Passò
circa mezz’ora, e ancora lei non si faceva vedere.
Il
ragazzo si insospettì parecchio e si domandò se
non fosse stato il caso di
controllare; quel dottore gli era stato raccomandato per
professionalità,
perché era uno dei migliori, e non costava nemmeno poco. Ma
che cavolo stavano
facendo quei due là dentro?
A
dir la verità un mezzo sospetto, il più
terribile, ce l’aveva ma desiderò che
non si avverasse.
Oltre
a tutti i problemi che gli creava la ragazzina, ci si aggiungeva pure
un
dottore maniaco, come quello di prima.
E
va bene, non aveva potuto fare a meno di constatare, in quel mese, che
la ragazza
bionda con la quale si era trovato a convivere non era affatto brutta.
Anzi,
era l’esatto contrario della bruttezza.
A
parte quando faceva quei bronci o si faceva rossa per la rabbia, in
tutti gli
altri momenti della giornata era estremamente carina per la sua
età.
I
bei capelli biondi, lisci e luminosi, erano tenuti in una riga laterale
in modo
che si formasse una frangia verso sinistra. Si sapeva tenere bene,
diciamo,
vestiva né troppo appariscente né trasandata, ma
la osservava spesso quando si
preparava per la scuola. E chissà se aveva il suo
fidanzatino per cui farsi
bella, comunque ci teneva quanto bastava.
E
che begli occhi che aveva; non avrebbe mai osato dirglielo
naturalmente, ma
aveva veramente dei bellissimi occhi azzurri. Insomma, a farla breve
era una
bella ragazza e il fatto che fosse in una situazione così
difficile induceva di
pensare che qualcuno avrebbe potuto approfittarsene.
Se
quel suo dottore di prima non l’aveva già fatto,
si disse mentalmente.
La
sua carrellata di pensieri venne interrotta dalla porta, che si
aprì facendo
uscire la ragazza bionda, che pareva soddisfatta, e il dottore, un
po’
crucciato. Quando questo incontrò lo sguardo interrogativo
del ragazzo, gli
sorrise.
-Tutto
a posto- lo rassicurò.
Perplesso,
molto perplesso e sospettoso, Davide guardò la bionda.
Francesca
fece un respiro sollevato, dopodiché sorrise, cosa rarissima.
-Dove
vai ora?-
-Al
bar-
-Vengo
con te-
Dopo
che furono passati a prenderle i libri per farle fare i compiti, i due
oltrepassarono la soglia del locale, spingendo la pesante porta munita
di una
vetrata.
Davide
andò nel retro a cambiarsi, mentre la ragazza si
issò su uno sgabello, stese
sul lungo e liscio banco i suoi quaderni e prese una penna.
Bruto,
un omaccione alto e provvisto di bei muscoli evidenti, da far
concorrenza ad un
culturista, la guardò male.
Aspettò
un po’ per vedere cosa avesse fatto, e poi le si
avvicinò.
-Cosa
ordini?- domandò.
-Niente,
non ho soldi-
Francesca
alzò gli occhi e si trovò davanti il muso duro
dell’uomo, che teneva gli occhi
neri fissi su lei.
-Se
non mangi, niente posto- proferì burbero, senza staccarle
gli occhi da dosso.
La
bionda aveva tutt’altri pensieri per la testa,
così non si scompose né si
arrabbiò.
-Davide
ha detto che posso restare qui- disse calma.
Bruto
sembrò spiazzato dalla notizia, e stringendo sospettoso gli
occhi si allontanò.
Il
ragazzo, ignaro di tutto ciò, chiacchierava amichevolmente
con Silvia riguardo
un qualcosa che era successo la sera prima.
-Quello
stupido continuava a spogliarsi…-
-E
ballava anche da schifo tra l’altro… certa gente
non sa cosa inventarsi pur di
farsi notare…- rise la ragazza.
Stava
riponendo in un vassoio tanti bicchieri alti e griffati dalle marche di
birre.
Anche
lei era molto bella.
I
capelli scuri, lisci e quel giorno aggiustati con una schiuma che li
rendeva
mossi, la scivolavano con grazia sulle spalle. La sua maglietta era
provvista
di una scollatura, e mancavano sempre alcuni centimetri alla sua gonna
perché
potesse rientrare nella norma della decenza.
Davide
non si era reso conto che era rimasto a fissarle ebete il fondoschiena
ben
tornito finché due dita gli afferrarono la nuca,
sollevandolo leggermente in
alto.
Gridò
di sorpresa e girandosi si trovò il mento del suo capo,
crucciato e arrabbiato.
-Perché
c’è una ragazzina che sta seduta senza mangiare
nulla?-
Ancora
inebetito dall’esame delle curve della mora, lui non comprese
subito il senso
della frase. Poi allargò gli occhi, comprendendo.
-Oh
andiamo!- esclamò, liberandosi della sua presa
–Può stare lì, lei è con me!-
-Chi
non mangia non occupa i posti!-
-Sì
però al suo ragazzo l’hai fatto stare quanto
voleva!- ribatté imbronciandosi
lui.
Quel
che è giusto è giusto.
Bruto
gettò un rapido sguardo a Silvia, che gli sorrise.
Non
seppe ribattere nulla, poi quando la ragazza gli si avvicinò
e gli poggiò una
mano sulla spalla, la sua espressione si sciolse.
-Dai,
non è gentile trattare così la fidanzatina di
Davide!- sorrise raggiante lei.
-Ecco
appunto, e poi non è la mia fidanzata!- precisò
rapido lui.
-Certo,
certo…- commentò sarcastica la mora, prima di
sparire dietro la tenda.
Bruto
guardò Davide, decidendo il da farsi.
Non
disse nulla ma tornò di là, e lui, rimasto senza
risposta, lo interpretò come
un assenso.
Anche
lui tornò nel locale, e si sedette davanti alla bionda.
-Complimenti,
a momenti mi facevi licenziare. Meno male che c’era Silvia-
le disse sottovoce.
La
ragazzina alzò lo sguardo dal libro e osservò la
cameriera dirigersi verso un
tavolo.
-Ma
chi, quella?- chiese scrutandola accigliata.
Che
razza di poco di buono, pensò immediatamente osservando i
suoi movimenti.
-Secondo
me…- cominciò con tono saputo mentre il ragazzo
dietro al banco alzava gli
occhi, esasperato. Notandolo, lei si interruppe e lo fissò
accigliata, ma lui
rispose con un gran sorriso.
-Dicevo-
continuò, tenendolo d’occhio –che mi
sembra proprio una di quelle cameriere dei
film, quelle bionde americane tutte tette e niente cervello-
A
questa affermazione Davide arrossì un po’ sulle
guance, e sbuffò scettico.
-Perché
scusa, mi vorresti dire che oltre a servire bicchieri, sventolare le
braccia,
alzare la gonna e aprire le gambe quella sa fare altro?-
ribatté acida.
-Sei
un po’ troppo dura nel giudicare chi non conosci, non credi?-
-Ah
e saresti tu quello che la conosce? Quello che mentre fa
l’amore dice il suo
nome?- sogghignò la ragazzina, sicura di aver vinto.
Lui
si fece ancora più rosso e sibilò in fretta,
stizzito
-Zitta
e fai i compiti-
Lei
riprese a guardare il libro, ma con aria soddisfatta e sorridendo.
Lui
la fissò imbronciato perché aveva perso, e nel
frattempo aprì una busta di
arachidi e le versò in un contenitore di vetro che
posò sul banco.
Francesca
lo notò e subito ne afferrò una manciata con la
mano, ficcandosele in bocca.
-Ehi
quelle non sono per te!- la rimproverò.
-Beh,
scusa, ho le voglie da incinta!- sorrise lei, masticando.
Mentre
ingoiava le venne in mente un pensiero furbo.
-Ciao
Davi- sorrise provocante, per stuzzicarlo.
Lui
tolse il porta arachidi dalla portata della sua mano, che
già stava per
afferrarne altre, e la fissò scocciato.
-Ti
diverti a prendermi in giro?- domandò.
-Tantissimo-
e eludendo la sua buona guardia, fece scorta di altre arachidi che si
mise
subito in bocca.
Alla
sua occhiata di rimprovero alzò le spalle.
-Tanto
offri tu, vero?-
Sorpreso
e incuriosito, lui la guardò appoggiare una mano sulla
tempia e leggere il rigo
del paragrafo.
-Mi
sbaglio oppure oggi sei contenta?- domandò cauto.
Lei
alzò gli occhi e annuì.
-E…
si può sapere perché?-
La
ragazza bionda alzò un sopracciglio, apposta maliziosa e
accattivante e scosse
la testa.
-Mi
spiace, no-
Davide
sospirò, scuotendo la testa ma sorrise, felice che fosse
meno propensa alla
lotta quel giorno.
Il
tempo passò scandito da commenti poco educati a proposito
dei suoi compiti, di
una bevanda rovesciata a terra nel tentativo di sbirciare meglio la
scollatura
di Silvia, e del conseguente quarto d’ora passato a ripulire
il pavimento con
lo straccio.
-Sei
patetico, lo sai?-
-Taci,
ragazzina- sbuffò imbronciato il ragazzo chino a terra.
-Cioè,
ti rendi conto, vero, che quella non ti filerà mai?-
continuò imperterrita e
spietata lei, girandosi verso il centro del locale, dove Davide era
chinato a
terra, intento a ripulire.
-Ma
tu non ti fai mai i fatti tuoi?- chiese, ma era una domanda retorica,
stizzita.
Raccolse
con cura un vetro da terra e lo gettò in un secchio prima di
domandare
-E
poi scusa, tu cosa ne sai? Non si può mai sapere-
-Caspita,
sei proprio cotto. Sei così rincitrullito che le permetti di
non lavorare,
coprendola con quello lì-
Con
“quello lì” la bionda si riferiva a
Bruto che si era momentaneamente assentato.
Il bar era chiuso, avrebbero aperto fra mezz’ora, e
lì dentro c’erano soltanto
lei, lui, e la bella cameriera.
Stufo
delle sue provocazioni, Davide lanciò lo straccio nel
secchio con un rumore
secco, e la guardò accigliato, una mano sul ginocchio.
-Senti
saputella, non ti permetto di parlarmi così. Sono
più grande e devi portarmi
rispetto-
Francesca
non si scompose a quella battuta, anzi lo rimbeccò con
rinnovato entusiasmo,
ormai presa dalla voglia di giocare a stuzzicarlo.
-Pensa
un po’ se lei sapesse che ti piace…- si
mordicchiò un labbro, maliziosa e del
tutto dimentica dei compiti.
-Non
oseresti-
Davide
si alzò a fronteggiarla, stringendo gli occhi sospettoso.
La
bionda avanzò con la sedia in modo da trovarsi vicina a lui.
Abbandonò l’aria
strafottente e si fece seria d’un tratto.
Sorrise
piano, senza derisione, malizia o null’altro.
-Sicuro,
Davi?- mormorò piano, guardandolo negli occhi.
Sconcertato
dal suo cambio di posizione, prese un po’ di colore sulle
guance per
l’imbarazzo in cui si trovò. Era tanto vicina a
lui, come non era mai successo
prima d’allora.
-Ehi
Davi, mica sai dove sono…?-
La
voce di Silvia e il rumore delle sue scarpe che tamburellavano sul
pavimento
riscossero i due dall’ambigua posizione.
La
mora li guardò con aria divertita.
-Ops,
scusate… ho interrotto qualcosa?-
-Non
hai interrotto nulla- si affrettò a precisare il ragazzo che
subito afferrò il
secchio e andò nel retro del negozio.
Francesca
scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalla cameriera, che invece le
si
avvicinò.
-Piacere,
Silvia-
-Francesca-
le sorrise giusto per ricambiare forzatamente al suo sorriso cordiale.
Le
due si guardarono fintamente gentili per un po’, poi chiesero
all’unisono
-Tu
e Davide state insieme?-
La
bionda fu sorpresa dalla domanda che le rivolse; non aveva nemmeno
lontanamente
sfiorato l’idea di poter essere considerata in qualche modo
la sua ragazza,
tanto che per un momento ebbe la tentazione di scoppiare a ridere. Ma
anche solo
il fatto che gliel’avesse domandato significava che ad un
occhio esterno
potevano veramente sembrare fidanzati. Il che la spaventò.
-Senti,
io e Davide non siamo fidanzati. Lui è…
diciamo… un mio amico- la buttò lì per
troncare ogni sospetto.
-Amico?-
chiese con una punta di ironia calcolata.
-Amico-
ribatté sicura e un po’ accigliata la ragazzina,
tornando a chinarsi sul suo
libro.
Dopodiché,
mentre Silvia si allontanava, lasciandola in pace, Davide
tornò da lei.
Si
sedette accanto a lei, stavolta, guardando spasmodico la cameriera.
-Cosa
ti ha detto?-
-Ha
detto che sei proprio bono, non vede l’ora di sbatterti su
questo bancone… dice
che sei proprio bello quando ti metti la divisa…-
Mordendosi
il labbro, compiaciuta del rossore provocato sulle sue guance, un
secondo dopo
scoppiò a ridere di gusto, facendo ondeggiare la chioma
bionda.
Lui
appoggiò i gomiti sul banco e si rivolse al pavimento.
-Te
l’hanno mai detto che sei incredibilmente sadica e perversa?-
-Caspita,
un complimento del genere non me lo perdo- commentò,
sorridendo e guardandolo.
Francesca
non l’aveva mai considerato nulla più che uno
sfigato senza speranze, ma forse
perché quel giorno era molto allegra, forse
perché si erano sbloccati e
iniziavano a scoprire più cose l’uno
dell’altro, notò per la prima volta
qualcosa di carino in lui.
Il
broncio triste che aveva assunto ora; sorrise semplice, un sorriso
largo e gli
si avvicinò.
-Secondo
me non dovresti perderci tempo addietro-
-Perché
no? Non sono alla sua altezza? Grazie mille lo so
già…- fece depresso.
-Secondo
me lei si fa il tuo capo- decretò convinta.
-Ma
che dici?- disse il ragazzo dopo un attimo di smarrimento per
l’assurdità
dell’informazione.
-Ti
dico di sì-
-Ma
che vai dicendo? Bruto non si farebbe mai Silvia, e lei non andrebbe
mai a
letto con lui! Ma figurati-
Francesca
sospirò teatralmente, guardandolo persa nei suoi pensieri.
-Tu
ti fidi troppo delle persone-
Davide
ricambiò arrabbiato lo sguardo.
-Beh,
e tu ti fidi troppo poco-
Rimasero
a guardarsi, l’uno depresso e corrucciato, e
l’altra tranquilla e sorridente.
Poi
ad un certo punto la bionda spinse il suo libro in grembo a lui.
-Che
fai?-
-E
ora renditi utile, ascoltami mentre ti ripeto la lezione-
Così
fece, e quella sera oltre al fatto che c’era un modo di far
sciogliere quella
ragazzina e renderla più spontanea nei gesti, nelle parole e
nei sorrisi, imparò
che Carlo Magno era francese e che, ahimè, era stato lui a
favorire la
diffusione della scuola.
Purtroppo
il ragazzo pagò a carissimo prezzo quell’allegra e
più rilassata giornata
passata con lei. Infatti al sorriso scherzoso e a quella
complicità
strafottente, che dopotutto non era malaccio e anzi li avvicinava, si
sostituì,
già dalla mattina dopo, un broncio cupo e nuvoloso
accompagnato da risposte
sgarbate.
Davide
aveva potuto conoscere il motivo del suo comportamento lunatico come il
tempo a
marzo solo la sera, quando più che mai arrabbiata lei aveva
gettato stizzita la
forchetta nel piatto.
-Che,
non ti piace?- domandò lui cauto.
-Mi
fa schifo. Mi fa schifo tutto. Vai al diavolo e non rompere!-
esclamò
gettandosi contro lo schienale a peso morto, come se volesse romperlo,
lei.
Lui
sbuffò impercettibilmente quando udì
l’ultima di una lunga serie di
rispostacce.
-Scusa…-
disse alzando le mani verso l’alto e levandole il piatto da
davanti.
Francesca
attaccò a mordersi il labbro freneticamente, come fosse un
sacco da pugile
contro cui sfogarsi.
-Stupido…
stupido idiota…- diceva mentre con le sopracciglia sottili,
unite, si
mangiucchiava le mani.
Lui
sentì quello che diceva ma non fu tanto stupido da
arrischiarsi a domandare
informazioni ulteriori.
Ma
non ce ne fu bisogno, perché un attimo dopo, come se non
potesse reprimere la
sua rabbia, iniziò a parlare fra sé, ma ad alta
voce.
-Che
idiota! Che stupido! Ma sai quanto ca**o me ne fo**e se lui si
è messo con
quella… str***o…-
Il
ragazzo roteò gli occhi mentre sciacquava le stoviglie,
curandosi di non farsi
vedere.
La
bionda continuò la sua arringa, aggiungendovi epiteti poco
cortesi, finché non
arrivò il capolinea del suo sfogo.
Allorché
alzò lo sguardo lentamente, intensa sulla sua schiena dalle
spalle larghe e
forti.
-Pensi
che sia una stupida, vero?- domandò, con la voglia da
attaccabrighe.
Davide,
riposte le posate e i piatti sul ripiano, si voltò a
guardarla.
Non
era, come aveva sospettato lei, insofferente o ironico, sarcastico
divertito
dal suo essere ancora troppo bambina per lui.
Era
semplicemente serio, a braccia incrociate e soppesava la ragazzina con
lo
sguardo mezzo preoccupato, mezzo concentrato e pensoso.
-No-
disse con un sospiro che non voleva significare noia, poi si
grattò il mento
coperto da un piccolo strato di barba.
-Non
penso che sei stupida- aggiunse, sempre guardandola dritto negli occhi
azzurri,
pensieroso –penso che un ragazzo ti ha fatto qualcosa di male-
La
bionda si dondolò nervosa contro il tavolo, ballando sulle
gambe della sedia,
ondeggiando pericolosamente sospesa fra la caduta e la salvezza.
-Puoi
dirlo forte- commentò, la faccia indurita e corrucciata.
Erano
così diversi, anche negli atteggiamenti, nelle reazioni e
nel tono che
assumevano. Davide era molto calmo, come persona e carattere, non
esternava
facilmente le sue sensazioni più intime, ma a differenza di
Francesca, che non
lo faceva per principio, era forse perché aveva paura del
giudizio altrui.
Quando
doveva rapportarsi con gli altri, lo faceva con timore, forse un
po’ timido.
Non
perdeva mai la calma messa certamente a dura prova dalla ragazzina, e
risultava
sempre paziente, disposto a perdonarle tutti quegli scatti
d’umore che la
rendevano quasi odiosa.
Francesca
era simile in questo, ma tutta diversa in altro.
Anche
lei, timida e insicura con le nuove persone, aveva bisogno di tempo per
svelare
qualcosa di più riguardo se stessa ad una persona; per
questo le sue amicizie,
quelle vere e sincere, erano pochissime.
Arrossiva
a complimenti esterni, non era certo una che andava a mettersi in
mostra con
gli altri, benché ne avesse molte, di qualità da
mostrare.
Bellezza,
intelligenza, un po’ di buonsenso e seduzione, quando voleva
erano armi non
indifferenti per farsi apprezzare dai ragazzi e invidiare dalle ragazze.
Ma
non era tipo a cui interessava questo, ed era da ammirare.
D’altra
parte, quello in cui erano opposti, proprio agli antipodi, bianco e
nero, era
il carattere.
Se
uno era calmo e tranquillo, lento ad arrabbiarsi e a scatti impulsivi,
l’altra
era fuoco sulla benzina.
Nel
senso che bastava un nonnulla per farla accendere e scatenare la sua
furia,
dirompente peggio di un uragano. Sapeva distruggere con le parole, e
menava
forte come un maschio pur di difendersi e fare male nel vero senso
della
parola.
Quando
qualcuno non le andava affatto a genio, o l'aveva ferita in qualche
modo, non
aveva speranze di ottenere il suo perdono, e non aveva altra scelta che
sparire
per sempre dalla sua vita.
Jiuliet: grazie della
recensione. Si beh, certo Davide non getta la spugna, anche se non so
quanti, di fronte al carattere di Francesca, avrebbero fatto
altrettanto. Continua a leggere
00glo00: sia chiaro, anche se tu attaccassi Francesca, credo che lei
saprebbe bene come difendersi! Saprai cosa ha letto Francesca... beh se
continui a seguire la storia. Grazie d'aver recensito.
Devilgirl89: che bella domanda. Cosa sta cercando Francesca? In
effetti, credo che le persone dall'animo buono siano in genere quelle
che vengono più maltrattate da tutti. Però si
può sempre cambiare atteggiamento (riferito a chi
maltratta).
wanda nessie: d'accordo, proverò a rispondere... 1 e 2: cosa
sta pianificando Francesca? beh...................viva l'intuito, ma
non ti dirò nulla. 3: fatto. 4: spiacente di doverti
correggere, ma sono un ragazzo.
Mary____02: (spero d'averci messo i giusti trattini) grazie. Temo che
per sapere qualcosa in più di Davide la situazione si debba
prima risolvere un po'...
MissQueen: dannazione, ti devo una brioche allora... Grazie per i nuovi
complimenti, mi lusinga molto che tu pensi queste cose. Ma se continui
mi monterò la testa. Grazie d'aver recensito.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Era
un giorno della prima settimana di maggio, quando comincia a far caldo
e il
sole ti illude che sia veramente arrivato il tempo di sbizzarrirsi
divertendosi, oppure ti rende schiavo da dietro una finestra facendoti
arrabbiare perché te ne stai rinchiuso, costretto a lavorare
ancora. Era
probabilmente questo lo spirito che indusse Francesca a guardare
ripetutamente
dalla finestra, sperando di cogliere chissà quale sollievo
ad una giornata
passata nei banchi.
Disegnava
distratta con la matita, stretta fra le dita sottili e che lasciava con
la
grafite segni imprecisi sul foglio.
Paola
la osservò attenta, poi abbassò lo sguardo.
-Non
si vede per niente- sussurrò.
La
bionda la guardò quasi malinconica, sospirando.
-Il
dottore ha detto che dovrebbe crescere piano piano a cominciare da
adesso…- poi
detto questo tracciò un’abbondante linea curva sul
foglio bianco.
-Ti
capita mai di avere le voglie?- domandò curiosa Paola, del
tutto dimentica
della lezione.
Francesca
alzò le spalle, stringendosi in esse pensierosa e mordendo
l’estremità della
matita.
-Una
volta, un pomeriggio all’improvviso aveva una voglia pazzesca
di fragole, ma
Davide non me le ha date. Forse perché non
c’erano…- sorrise.
-Poi
un’altra volta mi sono fatta un bel po’ di
caffè, tutto in un pomeriggio, e gli
ho consumato un sacchetto che stava a metà-
-Caspita,
chissà se al bambino gli spunterà una voglia
marrone!- disse concitata l’amica.
La
bionda cambiò il suo sguardo da tranquillo a cupo,
accigliandosi e guardando
altrove.
Paola
capì subito dove aveva sbagliato.
-Scusa
scusa, scusami non l’ho detto apposta!....... senti
perché non vieni a mangiare
a casa mia oggi?- chiese per sviare l’argomento.
-No...
– sospirò la bionda, tornando a voltarsi verso di
lei con la testa poggiata in
una mano -voglio
vedere come fa Davide
il pranzo che gli ho comprato, così semmai posso
sfotterlo…-
Paola
assunse un cipiglio invitante.
-è
carino questo fantomatico ‘papà’?-
domandò.
-Boh-
-Come
boh? Se non lo sai tu che ci vivi!-
-Pare
che io lo guardo in quel modo? Ma nemmeno per sogno!- sorrise come se
fosse
ovvio la ragazza.
-Secondo
me…… un pensiero ce l’hai
fatto…- la stuzzicò l’amica.
-Manco
sotto tortura- rise la bionda.
Paola
tornò nella sua parte di banco, prese un foglio a righe e lo
dispose sul banco orizzontalmente.
L’ora
di storia era molto proficua per coloro che amavano il fanca**ismo,
perché la
professoressa si perdeva solitamente in lunghe digressioni e aneddoti
inutili
ma efficaci per far passare l’ora senza fare molto.
Così Paola fece scorrere la
cerniera dell’astuccio e prese vari colori, a matita e a
spirito.
Incominciò
con la matita a tracciare linee ben definite e non vaghe come quelle
che faceva
prima la sua compagna di banco.
Francesca
appunto, curiosa, si sporse.
-Che
disegni?-
Ma
l’altra ritirò il foglio per non farle vedere.
-Mo
aspetti- le disse, furba.
Dopo
circa dieci minuti, mentre stava passando il pennarello nero sui
contorni, la
bionda si rese conto che era una scritta a mo’ di graffito.
-Me
lo fai vedere allora?-
-Un
attimo… che ho quasi finito…- diceva mentre
terminava di ripassare.
Così,
soddisfatta, si allontanò e lo porse all’amica.
-Tieni,
te lo regalo-
Francesca
lo prese in mano e lo guardò, meravigliata da come la
ragazza sapesse scegliere
le giuste combinazioni e dosi di colori per rendere molto
più bello l’insieme.
-Che
artista- commentò alzando un sopracciglio.
-Ti
piace?-
Lei
sorrise e annuì, ridendo piano dopo.
Sul
foglio a righe erano tracciate linee nere, verde evidenziatore e
arancione
elettrico, che si univano per formare il seguente testo:
Davide&Francesca=love4ever.
L’insieme
era davvero carino e alla bionda dispiacque di buttarlo e rovinare
l’impegno
che ci aveva messo la sua amica.
Così
scosse la testa, ma invece di strapparlo lo ripiegò e lo
infilò con una graffetta
fra le pagine del suo diario imbottito.
Quella
sera tornata a casa, assaggiato uno dei migliori cocktail preparati con
cura da
Davide, giusto per provare a sentirsi grande, la testa le girava un
pochettino.
Erano
seduti l’uno di fronte all’altro, persi ognuno nei
propri pensieri, quando
d’improvviso lei ruppe il ghiaccio.
-Oh
ma oggi è il sette maggio!- esclamò come
riscuotendosi da un torpore.
-Benvenuta
sulla Terra- commentò lui senza alzare gli occhi dal suo
giornale.
-Allora
stasera…- proseguì ignorandolo
-…stasera c’è quel
programma…-
Di
scatto si alzò, diretta verso il salotto, quando anche
Davide saltò in piedi.
-Eh
no, eh! Ferma dove sei, la tv è mia!-
Lei
si voltò a metà strada, le sopracciglia
aggrottate.
-Cosa?-
-La
tv è mia. C’è una partita importante
stasera-
-Nemmeno
per sogno! C’è un bellissimo programma e io devo
guardarmi un bellissimo
ballerino!-
I
due si sfidarono con un’occhiata intimidatoria, nessuno
deciso a perdere.
La
bionda si avvicinò al ragazzo, fronteggiandolo a testa alta
e con cipiglio
altezzoso.
-Non
si discute, la tv è mia-
Anche
lui la guardò allo stesso modo, incrociando le braccia.
-Non
se ne parla. È mia-
Entrambi
persistevano nel loro intento, senza demordere.
-D’accordo…
c’è solo un modo per risolverla…-
cominciò lei, ghignando in una maniera per
nulla promettente.
-Sarebbe?-
-Braccio
di ferro-
A
questa affermazione lui rise di gusto, tenendosi il fianco.
-Cosa
c’è, che ti ridi?- lo aggredì la
ragazza, sedendosi al tavolo e alzando il
braccio –Muoviti e vieni-
-Ma
fai sul serio?-
-Muoviti,
stupido- sibilò a denti stretti.
Un
po’ intimorito, un po’ divertito Davide
accettò di sedersi davanti a lei e di
far intrecciare le dita delle loro mani. La bionda lo fissava dritta
negli
occhi, e li strinse sorridendo perfida quando lui rafforzò
la presa nella sua
mano.
-Preparati
a perdere- lo minacciò.
Dopodiché,
all’improvviso senza avvertire strinse la presa e
iniziò a spingere verso
destra con decisione. Lui, che non era preparato, lasciò che
la mano cadesse,
ma appena in tempo prima che toccasse il tavolo irrigidì il
muscolo e riuscì a
farla restare sospesa.
-Sei
morto- ansimò la ragazza, stringendo gli occhi e mettendoci
più forza.
Sentendo
la sua pressione abbastanza forte lui si preoccupò.
-Non
posso farmi battere da una femmina, dannazione!- fece il ragazzo.
Così
con uno sforzo che sembrava immane, sollevò nuovamente le
due mani,
riportandole in situazione di parità.
Ma
Francesca non gettò la spugna, anzi riprese a spingere con
maggiore intensità.
-Ti
ammazzo Davide!- boccheggiò ridendo, e aggiunse un altro
braccio per spingere.
-Fallo,
fallo! Arbitro, espulsa!- rise lui, e dovette metterci anche lui il suo
sinistro per compensare la forza dall’altra parte ed evitare
di cadere
sconfitto.
La
lotta non voleva cessare ed entrambi non volevano perdere.
-Dio……
ma quanta forza c’hai?- esclamò lui, fra il
divertito e il sorpreso, perché la
ragazzina non accennava a desistere e non sembrava essere stanca.
-Sono
brava, vero?-
Era
tutta rossa e con i capelli scompigliati dalla fatica, ma resisteva
ancora,
quella testa dura!
Ad
un tratto, presa dall’ispirazione, Francesca
digrignò in denti in una smorfia e
calciò forte sullo stinco del ragazzo, sotto il tavolo.
Lui
sobbalzò per il dolore e ovviamente smise di opporre
resistenza; il suo braccio
scivolò a massaggiarsi la parte colpita e la sfida fu vinta
da lei.
-Ahio!-fece
il ragazzo, mentre si alzavano e lei trionfante accendeva la
televisione.
-Hai
imbrogliato!- la rimproverò, sedendosi accanto a lei.
-Avevamo
forse deciso regole?- domandò saputa.
-No…
però…- si difese lui.
-E
allora zitto e basta. Ho vinto io-
Sbuffò,
si appoggiò allo schienale del divano e premette il pulsante
del telecomando.
Davide
gemette e arrovesciò la testa all’indietro.
-Per
favore, dai me la fai vedere la partita?- chiese ad occhi chiusi.
-No,
devo vedere il mio ballerino- rispose netta la ragazzina, gli occhi
fissi sullo
schermo.
-Ma
che te ne frega? Tanto pare che ci finisci a scopare…-
commentò l’altro.
A
questa affermazione la bionda non rispose subito, impegnata a seguire
con le
iridi azzurre i movimenti del ragazzo sullo schermo.
-Tanto
anche in quel caso… - ribatté piccata
–non avrei potuto, mi fa male-
-Cosa
ti fa male?- domandò lui, rialzando la testa e fissandola
perplesso.
-Secondo
te? La fi*a- rispose senza imbarazzo.
Lui
arrossì, e gli scappò un sorriso, poi ci
pensò su.
-Beh…
ed è normale?- domandò preoccupato.
-Che
ne so… è normale?- gli rigirò la
domanda, ancora presa dallo schermo della
televisione.
-E
che ne so io! Insomma…… è roba tua,
no?-
Dopo
quelle parole cadde un silenzio imbarazzato. Francesca si
voltò lentamente a
guardarlo, mordendosi un labbro, incerta se ridere.
-Oddio
non posso credere che l’ho detto…-
mormorò lui senza guardarla.
La
ragazza non riuscì a reprimere una risata, che
soffocò il momento dopo fra i
denti, mordendosi forte le labbra.
Rosso
in volto, il ragazzo si reggeva il mento con una mano e guardava da
tutt’altra
parte.
-Okay,
dimentica l’ultima cosa che ho detto….-
-Sì,
certo- disse senza trattenere il tono divertito.
-Eh
non l’ho fatto apposta! Volevo dire un’altra
cosa…-
-Sì
sì- assentì la ragazzina, prima di scuotere la
testa.
Dovette
riconoscere che aveva fatto di notevoli passi avanti con lei, e ora
erano
arrivati ad uno strano rapporto di convivenza, non più tanto
forzata ma nemmeno
gradita. C’erano giorni in cui, soprattutto a lei, la luna
girava storta e non
le si poteva dire nulla senza incappare nella sua ira. Altri giorni,
come
quella sera della partita e dello spettacolo, la conversazione si
manteneva su
un tono strafottente, mai gentile, eppure più rilassato e
complice.
Lui
ormai ci aveva fatto l’abitudine, a quella furia bionda che
vedeva ogni
mattina, girata verso la finestra nel suo letto.
E
ogni mattina, dopo che era stato seduto per dieci buoni minuti a
svegliarsi, la
guardava dormire beata, silenziosa e raggomitolata fra le lenzuola.
Finché il
ragazzo non guardava l’orologio e la svegliava.
-Francesca…?-
la
chiamò, scuotendole la spalla.
Ma
non ottenne
risposta se non un brontolio confuso.
-Francesca?-
richiese paziente.
Stavolta
gli sembrò
che avesse aperto un occhio pianissimo, come se temesse di farsi vedere
dal
nemico.
-Guarda
che è
tardi- la informò senza tanto entusiasmo lui.
A
questa uscita
ottenne un gemito represso nel cuscino morbido. Ripeté i
soliti incitamenti che
faceva ormai spessissimo, fino a che lei alzò la testolina
bionda.
Lo
guardò
assonnata, con la vista annebbiata e gli occhi semichiusi,
girò la testa
dall’altro lato e sprofondò di nuovo nel letto.
-Devi
andare a
scuola. Non posso firmarti il permesso di entrare alla seconda ora-
spiegò,
togliendole ogni prospettiva di scamparla.
Francesca
mugugnò
qualcosa di insensato, si rivoltò a pancia in su e disse
-Ti
odio...
str***o-
-Ah
be’, non è
colpa mia se sono le otto e un quarto- proseguì incurante
dei suoi insulti.
La
bionda d’un
tratto si rizzò a sedere. Il lenzuolo non le copriva che il
petto, mentre
lasciava fuori le spalle e le gambe. Subito saltò
giù, come presa da una
scossa.
-Cavolo,
cavolo…
accidenti a te!- esclamò andando alla ricerca dei suoi
vestiti, frenetica.
-Ah
certo… è sempre
colpa mia tanto…- esalò lui in un lungo sospiro,
sdraiandosi di nuovo fra le
lenzuola.
-E
non provare a
guardarmi, sai?- lo informò aggressiva.
-Non
ci tengo a
morire- rispose senza pensare, e forse fu un grosso errore.
Infatti
subito
dopo, rabbiosa, la ragazzina bionda gli lanciò contro il suo
paio di jeans,
colpendolo quasi in viso.
-Ahio
ma sei scema?
Potevi cecarmi!- le gridò contro, tornando di scatto a
sedersi.
-E
ringrazia che ho
una mira del ca**o altrimenti stavi già all’altro
mondo!- ribatté acida,
avvicinandosi per riprendere l’indumento.
Se
lo fece scorrere
su per le gambe lunghe e giuste, allacciandoselo davanti ai suoi occhi.
-Dai
lo so che sei
bella- mormorò con voce roca stendendosi un’altra
volta sul materasso lui, e
affondando la testa nel cuscino.
-...certo-
commentò
lei sarcastica.
-Sei
più bella di
Miss Italia... davvero, soprattutto con quei brufoli sulla faccia, i
fianchi
rotondi, i capelli in disordine...- ridacchiò divertito,
parandosi il viso con
una mano per sicurezza.
Francesca
infilò le
scarpe ai piedi e prese il suo zaino.
-Giuro
che quando
torno da scuola ti uccido-
A
quella furia bionda che guai a contraddirla o a intralciarla.
-Come
sarebbe che
vuoi andare ancora dal ginecologo?- chiese Davide.
-Sarebbe
che ci
voglio andare. Oh senti, il problema è mio!-
ribatté Francesca ostinata.
-Ma
ci sei stata
appena una settimana fa!- obiettò il ragazzo.
-Embé?
Fatti miei e
del dottore se ho dei problemi!-
Si
mise la mani sui
fianchi e gli tenne testa, orgogliosa.
Lui
si grattò il
capo, perplesso e non del tutto convinto.
-Senti...ma
mi
spieghi come mai questo cambiamento? Prima non ci volevi andare manco
costretta
e ora sembra che ti manchi!-
La
bionda scosse la
testa.
-è
che mi piace
questo dottore, idiota- sibilò cattiva –e poi ho
bisogno di visite regolari,
no?-
-E
come mai d’un
tratto sei così esperta?- domandò sospettoso il
ragazzo.
-L’ho
letto nel
libro che mi ha dato tua madre- ribatté ostinata,
mostrandoglielo.
-Tu
leggi troppo
quel libro, mi sa...- fece rabbuiato, ma la accontentò.
A
quella furia bionda che, alla fine dei conti, era provvista di molto,
molto
buonsenso e non era proprio cattiva.
Silvia
passeggiava
per il locale, reggendo vassoi ora pieni di dolci, ora di cornetti e
cappuccini
e così via.
Davide
la osservava
incerto, timoroso.
-Allora,
mi
raccomando...- gli disse la bionda seduta di fronte, con un sorrisetto
che le
scappava dalle labbra.
-...non
devo
rivolgerle la parola- continuò, non convinto il ragazzo.
-Esatto-
Francesca
se la rideva, sforzandosi di trattenere la risata.
-Ma
così non è
peggio per me?- chiese preoccupato.
-No,
ma che
dici...-
Poi
scoppiò a
ridere, incapace di trattenersi; lui si imbronciò.
-Smettila
di
prendermi in giro!- le intimò.
La
ragazzina si
ricompose e gettò uno sguardo divertito, mordendosi il
labbro, alla cameriera.
-Tu
fai quello che
fai normalmente, sii gentile come sempre e andrà tutto bene-
lo rassicurò.
-Non
ce la farò
mai- scosse la testa lui.
A
quella furia bionda che sapeva essere sincera e diretta.
-Com’è
andata?-
Francesca si rizzò sul divano, osservando attenta il ragazzo
appena entrato
dalla porta.
-Uno
schifo-
commentò lui appoggiando l’ombrello a terra, zuppo.
-Che
è successo?-
Davide
si sedette
accanto a lei, guardando il televisore spento con le sopracciglia
aggrottate.
-Stavo
lì per
chiederle di andare a farsi un giro al nuovo centro commerciale che
hanno
aperto, vado per parlare e le squilla il telefono. Lei risponde e...-
-Ed
era il suo ragazzo-
terminò la bionda, appoggiandosi allo schienale.
-Esatto-
proseguì
rabbioso lui –e se ne esce con ‘scusa, ma devo
andare col mio ragazzo. Conosci
il centro commerciale nuovo, che hanno aperto da mo? Magari qualche
volta ci
andiamo...’- scimmiottò la sua voce femminile e si
lasciò andare anche lui
contro lo schienale.
-Povero
Davi...- la
ragazzina gli batté una mano sulla spalla, comprensiva ma
strafottente.
Oltre
al fatto che avevano avuto modo di conoscersi, dopo la scoperta che
aveva fatto
lui, il bambino cresceva.
Davide
era abbastanza contento di come stavano andando le cose. La scuola le
era quasi
finita, mancavano più o meno due settimane, e poi durante
l’estate, nel periodo
critico che avrebbe dovuto attraversare con la gravidanza, sarebbe
stata più
tranquilla senza l’imbarazzo di dover andare a scuola col
pancione.
Era
contento anche di lei, iniziava a crederci davvero in quella storia di
avere un
bambino. E la cosa straordinaria era che non dovevano impegnarsi in una
relazione, ma solo essere dei buoni conviventi legati da un patto, come
un
segreto che solo loro sapevano.
Davide
aveva riflettuto anche su questo, se dirlo o meno a sua madre. Tante
volta
aveva pensato di domandare a Francesca cosa ne pensasse, cosa avesse
deciso di
fare una volta che fosse nato il bambino. Ma non osava domandarglielo,
perché
notava che ogni volta che si toccava l’argomento lei non
rispondeva e cercava
di sviare.
Probabilmente
non voleva parlarne e basta, e il ragazzo non si affaticò a
cercare di capire
il perché.
Ma
affianco a queste piccole conquiste, rimaneva sempre un chiodo fisso
nella sua
mente, e cioè il motivo per cui la ragazzina volesse spesso
andare dal
ginecologo.
Era
sicuro che avesse letto il libro di sua madre, e poteva capire che
volesse
accertarsi che andasse tutto bene, ma cinque visite in tre settimane
gli
sembravano un po’ tante.
Dapprima
non se ne era preoccupato anzi ne era felice, convinto che avesse
cominciato a
mostrare maggiore interesse per il bambino, ma ora il pensiero lo
tormentava.
Non
gli permetteva di accompagnarlo dentro la sala, e anche se dopo ogni
visita
parlava col ginecologo che lo rassicurava, aveva la netta impressione
che quei
due gli stessero tenendo nascosto qualcosa.
Purtroppo
per lui e non solo, scoprì in un modo del tutto brutale cosa
stava succedendo.
Davide
tornò dal lavoro alle otto e quarantacinque, piuttosto in
anticipo a dir la
verità, la sera del diciassette maggio, con addosso solo la
giacca nera. Aprì
la porta, poi gettò con un colpo secco il mazzo di chiavi
sul divano, e chiuse
il portone alle sue spalle. Avvertì subito, dal primo
momento, che c’era
qualcosa che non andava.
Senza
chiamarla, cercò Francesca con lo sguardo nel salotto, nella
cucina e nella
camera da letto, ma non c’era.
Poi
gli venne in mente di controllare nel bagno, e senza far rumore si
avvicinò
alla porta, che era accostata e dalla quale proveniva una luce.
Che
diamine stava facendo lì dentro?
Insospettito,
spinse con due dita la porta per vedere all’interno cosa
succedeva: Francesca
era seduta sul lavandino e teneva in mano qualcosa,
nell’altra un bicchiere
d’acqua.
Inevitabilmente
si accorse della sua presenza, e quando lo fece alzò gli
occhi azzurri
piantandoli quasi terrorizzata nei suoi verdi.
-Che
stai facendo?- chiese lui accigliato.
-Niente-
la ragazzina saltò subito giù dal lavandino e
posò una scatola bianca su di
esso, sperando di non essere vista; a Davide invece quel gesto non
sfuggì
affatto.
Sempre
più insospettito dalla strana situazione, e credendo che gli
stesse nascondendo
qualcosa, la guardò negli occhi.
Era
preoccupata lei e molto. L’attimo dopo, con uno scatto agile
afferrò con la
sinistra la scatoletta che lei aveva cercato di nascondere dietro di
sé, e la
bionda cercò di fermarlo senza successo.
Davide
la mise fuori dalla sua portata e prima di guardarla si
concentrò su di lei.
-Cos’è
questo?-
-Pillole
per il mal di testa- disse subito lei, componendo
un’espressione noncurante e
indifferente –avevo un po’ di male... e
così ho visto se ne avevi...-
Ma
il ragazzo, per qualche strano sesto senso, avvertiva che in tutta
quella
situazione c’era qualcosa che non andava. Forse
perché i suoi occhi azzurri
saettavano ansiosi dalla scatola a lui, forse perché aveva
preso a mangiarsi il
labbro come faceva quando era nervosa o incavolata, forse
perché non gli
sembrava che per prendersi una pillola per il mal di testa bisognasse
stare
rinchiusi in bagno con aria cospiratrice.
-Come
mai sei già a casa?- domandò la ragazza, per
spezzare il silenzio teso.
-Ho
finito prima-
Non
si aspettava che tornasse così presto.
Qui
c’era sotto qualcosa, e qualcosa di brutto, pensò
Davide.
-Ridammi
la scatola- ordinò lei, tendendo il palmo.
-No-
ribatté deciso il ragazzo.
-Davide,
ridammela- la bionda si avvicinò, ora con l’ansia
in viso.
Lui
si decise a guardare la scatola, e mentre lo faceva la bionda
sospirò e
gemette.
Il
cuore le batteva forte e rapido nel petto come se dovesse sfondarlo,
mentre
guardava spasmodica Davide che leggeva le scritte della medicina. Si
spaventò,
si spaventò tanto e di colpo impallidì. Ora non
restava che da vedere la sua
reazione, ma era certa che non sarebbe stata nulla di buono.
Davide
lesse le scritte veloce, e si irrigidì. Fu come se uno
schiaffo gli fosse
piovuto addosso, paralizzandolo lì. Non riusciva nemmeno a
parlare.
Poi,
lentamente, alzò la testa.
-Queste
non sono pillole per il mal di testa- mormorò.
Francesca
incontrò i suoi occhi verdi nei propri azzurri, e lo
guardò gettare nel secchio
la scatola.
Si
fissarono per un lungo attimo, che parve
un’eternità, fino a che lei non poté
più reggere il peso di quegli occhi che ora sapevano,
sapevano tutto.
-Cosa
volevi fare?- domandò, ma il suo tono non era curioso, o
ignorante. Era serio,
carico di ansia e gravoso, quasi duro.
Lei
respirava forte, tenendo gli occhi fissi sullo stipite della porta,
tormentandosi le mani.
D’un
tratto lo superò, andando nel salotto.
Davide
subito le fu dietro, e richiese più forte, con voce
più autoritaria
-Cosa
volevi fare?-
Nemmeno
stavolta lei rispose, ma tirò dritta per il piccolo
corridoio.
Al
che lui perse la pazienza, le afferrò un polso e la
sbatté forte al muro.
La
ragazzina gridò di sorpresa, ma il suo lamento fu zittito
quando vide lo
sguardo che aveva assunto lui. Continuava a stringerle il polso destro.
-Ti
ho fatto una domanda- le sibilò, rabbioso.
Lei
ebbe un momento di smarrimento e fu incapace di replicare quando vide
l’espressione furiosa sul suo viso; per una volta,
l’aveva sopraffatta.
Diavolo,
l’aveva fatto arrabbiare sul serio.
E
quando gli altri si arrabbiavano, non poteva soccombere, ma reagiva
sempre.
-Non
l’hai capito? Sei stupido?- gli ringhiò in faccia,
iniziando a farsi rossa.
-Volevi
uccidere il bambino?- domandò a voce alta il ragazzo, ormai
incavolato.
Francesca
non rispose a questo, ma tenne alto lo sguardo.
I
loro respiri sbattevano, caldi, ma non di passione.
-Non
avrei ucciso nessuno, io- soffiò a pochi centimetri dalla
bocca dell’altro.
-Volevi
uccidere il bambino? Non ti importa nulla di lui? E allora cosa sei
andata a
fare dal ginecologo?-
-Mi
sono fatta consigliare per abortire!- ribatté la ragazza.
-Volevi
davvero uccidere? Uccidere il bambino?- lui sgranò gli
occhi, disgustato e al
tempo stesso avido di saperne di più.
Fu
come se alla ragazza crollasse il mondo addosso; sentirlo uscire dalla
sua bocca
accentuava all’ennesima potenza il significato. Ma la rabbia
le salì su per lo
stomaco, le invase le arterie e anche le guance si fecero rosse; un
brutto,
bruttissimo segno.
Esplose
come una bomba.
Scosse
il braccio stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu
sei uguale a tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te
importa solo
di quello stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide
ascoltò quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza
di un mattone.
-Cosa?-
mormorò sconcertato.
Francesca
lo guardò orgogliosa.
-Ancora
non l’hai capito? Io un figlio non lo faccio-
Rimasero
in silenzio, l’uno davanti all’altro, la ragazzina
schiacciata contro la parete
e lui che le teneva il polso; nel frattempo si guardavano,
l’una rabbiosa e
ferita, l’altro incredulo.
-Lasciami,
mi fai male- disse lei piano.
La
mano di Davide scivolò lenta sul suo braccio, lasciandola
andare e
allontanandosi.
-Da
quanto tempo è che...?- chiese, le braccia stese sui
fianchi, guardandola
serio.
-Da
sempre. Da quando ti ho cercato-
-E
tu già pensavi di abortire?- domandò
accigliandosi.
Lei
annuì, incrociando le braccia.
Davide
la fissava, passando dal meravigliato al disgustato. Sentì
la delusione farsi
strada dentro di lui, inesorabile.
Boccheggiò
tentando di trovare qualcosa da dire.
-E
io allora? A che ti servivo?- riuscì a dire alla fine.
La
bionda non gli rispose, ma guardò un punto indefinito del
pavimento; lui
interpretò la mancanza di risposta come la mancanza di una
ragione, di un
motivo valido. E questo bastò a fargli capire.
-Mi
hai solo usato- concluse a voce atona, ma fissandola stringendo gli
occhi in un
modo che non indicava certo gioia.
Incapace
di guardarla negli occhi, anche lui incrociò le braccia al
petto, offeso e tremendamente...deluso.
Aveva
speso un mese, tutte le sue energie, per dedicarsi a quella ragazza.
Ci
aveva dato il sangue, l’appartamento e una cospicua parte di
soldi.
Aveva
cercato di aiutarla.
E
lei, così testarda, all’apparenza
un’ingrata, che nascondeva una storia
terribile, ora lo aveva ingannato. Lui si era dedicato a lei,
l’aveva
conosciuta meglio, ci aveva giocato e rarissime volte scherzato,
parlato,
urlato, litigato e scambiato sguardi per nulla amichevoli, ma ci aveva,
nel
bene o nel male, vissuto insieme. Aveva creduto che le importasse del
bimbo,
che il suo interesse per il ginecologo fosse dovuto al bambino, e
invece no.
Si
sentiva umiliato, deluso, devastato da quella spiacevole
novità.
Vedendo
che non apriva bocca Francesca disse
-Ti
sei arrabbiato?- ma il suo tono non era preoccupato, anzi irritabile
come
prima, già pronta ad una nuova lotta.
Lui
alzò lo sguardo, la fissò dritto negli occhi
azzurri, e prima di parlare le
scoccò un’occhiata arrabbiata, con le sopracciglia
aggrottate.
-Non
sono arrabbiato- fece una pausa, poi prese fiato e proseguì
–sono molto deluso-
Avanzò
di qualche passo.
-Pensavo
che fossi diversa. Che avessi la forza di affrontare i problemi. E
invece cosa
fai? Scappi, scappi pur di non sentire-
La
bionda ascoltò in silenzio, guardandolo astiosa.
-Credevo
tu fossi una donna coraggiosa-
Davide
fece un’altra pausa e le rivolse un’occhiata
sostenuta, scuotendo la testa.
-Sei
solo una ragazzina-
Cadde
il silenzio, il più lungo che ci fosse mai stato fra loro e
non per la durata,
ma per quello che lasciava in sospeso, per le parole che si trascinava
dietro,
per le occhiate che si scambiavano. Rumoroso come il fulmine che
strazia il
cielo, divideva come un confine i due.
La
ragazzina non rispose a questa frase, finché lui non
andò di là, e tornò subito
dopo con le sue cose in mano.
Le
poggiò a terra.
-Cosa
hai intenzione di fare?-
-Vattene-
indicò con un dito e un tono autoritario, severo che non
ammetteva repliche il
portone.
-Vattene,
non ci voglio avere niente a che fare con questa storia-
Francesca
si imbufalì, facendosi rossa.
-E
a me che diavolo me ne frega? Sai quanto mi importa di te? Anzi,
anzi...- prese
le sue cose e andò verso la porta.
-...me
ne vado io. Ma va******lo!-
Prima
che sparisse definitivamente, il ragazzo la inseguì, per
così dire, e le gridò
dietro
-Spero
tanto che un giorno sentirai il rimorso! Sentirai il rimorso di aver
ucciso una
creatura!-
Ma
lei, forse o almeno così pensò lui, non lo
sentì, troppo impegnata a sbattere
forte la porta d’ingresso.
E
adesso mi odierai.
Grazie a tutti quelli che
seguono la storia e mi lasciano recensioni, molto apprezzate.
Marty
McGonagall: ho girato sul tuo account e ho scoperto che sei una
betareader. Questo ovviamente non può che farmi piacere e mi
sento onorato, grazie mille per la tua recensione. Grazie,
grazie veramente anche se non posso fare a meno di dire che forse mi
sopravvaluti.
Devilgirl89:
credo che con questo capitolo sia tutto più chiaro. Ma ti
prego di non smettere di leggere, visto che sei una persona dalla mente
libera dai pregiudizi, e dai una possibilità a Francesca.
Grazie per la recensione.
Miss Queen:
okay d'accordo, ci accorderemo per la brioche. Mi fa piacere che la
storia ti incuriosisca e ti invogli a continuare. Credo che questo
capitolo, che è un po' lo snodo della storia, contenga le
risposte alle tue domande. Ma forse ne scatena altre.
Jiuliet: oh, viva una che apprezza Francesca! Ma sai, certe volte si hanno come dei paraocchi che ti impediscono di vedere davvero quello che più ti sta vicino.
Emily Doyle: il nuovo capitolo è arrivato. E abbiamo scoperto che combinava Francesca. Grazie per la recensione.
OOgloOO: ecco, mi sa che questo capitolo ti ha chiarito le idee, vero?
wanda
nessie: ahahaha non ti preoccupare, ma ti pare, cose che
capitano...grazie d'aver recensito.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Stette
immobile, a fissare la porta, come se quel legno scuro potesse in
qualche modo
cancellare quanto accaduto. A Davide non piaceva litigare con le
persone, e non
era certo un tipo da attaccabrighe, infatti quanto successo gli cadde
addosso
come pioggia, gelida, pesante, paralizzante.
L’aveva
cacciata di casa; diamine, l’aveva fatto per davvero. Ora non
c’era più, se
n’era andata. Non gli piaceva affatto il mattone che teneva
sullo stomaco, ma
non sapeva come liberarsene.
Provò
a convincersi che ora aveva un problema in meno, che non doveva
più
preoccuparsi di quell’assurda storia. Ma non era un
insensibile, e purtroppo
per lui, il rimorso anche se non era proprio in errore, lo sentiva. Lo
sentiva
eccome.
La
ragazzina bionda camminava a passo veloce per la strada, e sapeva che
era
semplicemente ridicola con quello zaino e il borsone, contenente tutte
le sue
cose, appresso. Ancora arrabbiata per prima, incapace di sbollire se
non
sfogandosi contro qualcosa, ad un certo punto gettò a terra
il borsone, accanto
una panchina, e si sedette.
Strinse
forte le mani e piantandosi le unghie nei palmi sbatté i
piedi a terra. Si
fissava le scarpe accigliata, la fronte corrucciata. Sapeva che sarebbe
stata
incapace di pensare a qualsiasi cosa se prima non avesse sfogato la sua
rabbia.
Così
si mangiò letteralmente il labbro inferiore
finché non le fece male, poi
incrociò le braccia, imbronciata, e borbottò fra
sé insulti.
Quando
credette di essersi sfogata abbastanza, pensò al da farsi.
Era
sola, in mezzo alla strada, sbattuta fuori di casa. E per giunta
iniziava a
farle male la testa.
Quello
non era proprio il momento di mettersi a fare i capricci.
Il
problema principale era, in quel momento della giornata, trovare un
posto dove
dormire, anche perché l’indomani aveva scuola.
Dove
sarebbe potuta andare?
La
prima ipotesi che formulò aveva il nome di Damiano, ma
questa venne
immediatamente scartata dalla sua mente, ben decisa a chiuderla con lui.
Però
ne aveva bisogno in fretta, di una casa.
Ma
per quanto provasse a pensare a chi potesse aiutarla, le tornava in
mente
sempre lo sguardo che il ragazzo le aveva rivolto poco meno di
un’ora fa.
Al
che, ricordandoselo, ebbe un momento in cui vacillò.
Tentennò e non si sentì
più così tanto sicura. Ma l’attimo
dopo, avvertendo che era vulnerabile, subito
provvide a scacciare quel pensiero che le stava scomodo.
Voleva
farlo sparire. Sparire, ridurlo in cenere.
Ma
prima aveva altre faccende più urgenti da sistemare.
Prese
dalla tasca del giubbino bianco il suo telefonino e fece il numero.
-Ciao
Pa’- incominciò, la voce incerta.
Dopo
un rapido scambio di convenevoli educati, le domandò
-Senti
ho un problema. Un grosso problema. Posso dormire da te stanotte?-
La
voce dell’amica che le dava il consenso funse meglio di un
ricostituente per i
suoi nervi.
Almeno,
se non altro, aveva un posto dove dormire.
Qualche
ora dopo, consumato un buon pasto caldo, era infilata tranquilla sotto
le
coperte di un letto a castello, nel materasso inferiore.
-Cosa
è successo?- domandò Paola, quando la guardia
della madre si fu abbassata,
sporgendosi verso sotto.
-Ho
litigato con Davide- rispose la bionda, girandosi nel materasso.
-Come
mai?-
-Ha
scoperto che volevo abortire- confessò senza mezzi termini.
Paola
si girò a pancia in giù per guardare
l’amica negli occhi, per osservarne la
reazione.
Francesca
non era arrabbiata come prima, non era triste. Era tranquillamente
infilata
sotto le coperte e sbadigliava piano.
-E
ora?- si azzardò a domandare la ragazza dai capelli neri.
-Ora
niente. L’ho lasciato perdere-
Stettero
entrambe in silenzio, l’una troppo timorosa per parlare,
l’altra decisa a
eliminare quel nome per sempre.
-Tanto
non mi serviva più, oramai... sai che penso di fare?-
-Cosa?-
-Rimettermi
con Bruno-
-Ma
sta con Elena-
-No
che non ci sta. Lo so che si sono lasciati. Devo solo far finta che in
questo
mese non sia successo nulla- spiegò la bionda.
-Insomma,
non è che non sia successo nulla...-
-Sì,
ma non ha importanza- ribatté subito e aggressiva Francesca,
rivolta al
materasso superiore –Domani parlerò con Bruno e
vedrai. Tanto i suoi gli hanno
regalato un appartamento per i diciannove anni, vero?-
-E
ci credo, sono ricchi quelli...-commentò Paola, che
già cominciava ad
addormentarsi -comunque davvero farai finta che non sia successo
nulla?- chiese
ancora.
La
risposta arrivò, come prima, fredda e secca.
-Certo.
Non ha significato nulla per me-
Paola
si rassegnò e si limitò a chiudere gli occhi.
Ormai aveva imparato a sue spese
che, quando l’amica rispondeva così, o era troppo
incavolata per ragionare,
oppure non voleva ammettere una cosa.
Ma
era anche lei troppo stanca per decidere quale fosse la
verità nascosta dietro
quel suo tono.
Erano
le otto e cinque, e lei era già lì, seduta sul
muretto di pietra, appoggiata al
cancello, a guardare due sue amiche fumarsi una sigaretta prima di
scuola.
Si
controllava costantemente in un piccolo specchio, aggiustandosi i
ciuffi biondi
per acconciarli meglio.
Francesca,
al sentire il motore di una macchina parcheggiarsi, e riconoscendo il
profilo
che tante volte si era sognata ad occhi aperti, fissò lo
sguardo sul ragazzo
che stava scendendo.
Lui
e la sua auto, lui e la sua giacca nera, lui e il suo viso bello.
Quante
volte aveva desiderato potergli anche solo parlare, quando era
più piccola. Ma
lui era solo uno studente del quinto. E poi, il miracolo.
Quella
serata finita per caso con un bacio. E poi un altro, e un altro ancora.
E
come era bello sentirsi dire quelle cose, in un sussurro o poco
più, capaci di
scaldarti il cuore. Come era bello sentirlo abbracciato, sentirsi
invidiata
dalle sue amiche.
Quei
due mesi passati insieme a lui, ora dimenticati, le tornavano utili.
Francesca
non voleva assolutamente rimettersi insieme a lui, né
provava ancora qualcosa
per quel ragazzo che ora le gettava uno sguardo.
Ma
aveva imparato a mentire benissimo, e a rigirare le cose, quando
serviva, a suo
vantaggio. Perché non bastava avere le
potenzialità per ottenerle, bisognava
anche saperle chiedere.
Decisa
a compiere quel passo, saltò giù dal muro e si
avvicinò a lui.
Bruno
si liberò dei suoi amici quando lei gli domandò
se potevano parlare.
-Cosa
c’è?-
La
bionda lo fissò negli occhi marrone scuro, vedendoli
fiduciosi e per nulla
arrabbiati o sospettosi.
-Sai,
ho pensato tanto in questi giorni-
Bruno
non ribatté, ma si sedette e la ragazza si
avvicinò.
-Forse...-
Se
una delle sue qualità era l’intelligenza, la
caparbietà e l’essere testarda e
tenace, possiamo aggiungere all’elenco che la ragazzina
sapeva dire bugie.
-...volevo
parlare un po’ con te. Sai, ho fatto un po’ di
scemenze in questo mese-
-No,
ma dai...- sorrise il ragazzo.
-...tra
cui trattarti malissimo- proseguì astuta e finta dispiaciuta
lei. Lo guardò
negli occhi; sapeva qual era l’espressione che lo faceva
sciogliere.
E
Bruno si sciolse.
Inclinò
la schiena avanti in modo da esserle più vicino.
-Dici
che posso provare ancora?- mormorò, facendosi sempre
più vicino.
-Credo
di sì- rispose piano la ragazza.
Dopodiché
Bruno congiunse le loro labbra.
Francesca
tentennò al suo gesto, incerta se ricambiare o meno. Poi,
pensando che sarebbe
sembrato sospetto il contrario, protese anche lei le labbra per
baciarlo.
Ma
era un bacio acquoso, impacciato, come di chi non sa bene dove mettere
le mani.
La bionda non voleva davvero baciarlo, ma ci fu costretta. Impacciata
fra le
sue mani forti che la tenevano ferma, cercò di staccarsi. In
quel momento le
tornò in mente l’ultima frase di Davide.
‘Sono
solo deluso’.
E
d’improvviso si sentì falsa, ipocrita e sporca.
Quella sensazione non le
piaceva affatto, e immediatamente fece pressione sul torace del ragazzo
per
spingerlo via. Lui si staccò e le sorrise, ricambiato.
Almeno
sapeva fingere.
Davide
si svegliò di soprassalto, quando erano ancora le otto della
mattina; guardò
l’orologio e subito disse
-Oh
mi sa che fai tardi se non ti muovi-
Non
ottenne alcuna risposta, e perciò ancora rintontito dal
sonno si voltò a
destra. Ma non c’era nessuna ragazzina addormentata che gli
avrebbe risposto
male. Meditò per un po’ sulla situazione
finché non ricordò come stavano le
cose.
Di
prima mattina non era certo molto sveglio, ancora intorpidito dalla
dormita.
In
un’altra parte, in un’altra casa, in un altro letto
ma alla stessa ora, una
chioma bionda scapigliata si rigirò nel cuscino.
Incontrò
col braccio un corpo accanto a sé, e prima di potersi
rendere conto di chi
fosse, venne avviluppata da un braccio.
-Buongiorno-
le mormorò qualcuno all’orecchio, incominciando a
baciarla sul collo.
Francesca
si contorse leggermente sotto la sua pseudo tortura.
Non
era abituata a ricevere attenzioni che entrassero nel contatto intimo,
in fondo
era un mese che non baciava un ragazzo e dovette ammettere che
l’intrusione sul
suo collo le dava fastidio.
Davide
non aveva mai osato toccarla, rispettando fedelmente i suoi spazi.
Si
rannicchiò contro la propria spalla, mugugnando versi senza
senso.
Bruno
rise e la lasciò stare, mettendosi su un fianco. Quando la
ragazza riemerse dal
cuscino vide che lui la fissava sornione, col petto scoperto.
-Che
ore sono?- domandò per prima cosa.
Lui
si chinò su di lei, dandole un bacio e staccandosi con uno
schiocco leggero.
-Ora
di baci- rispose.
Ma
prima che ricominciasse, Francesca lo spinse su e si sedette. La
maglietta
larga del pigiama le calò giù per le spalle.
Assonnata,
si passò una mano fra i ciuffi biondi sbadigliando, poi
guardò l’orologio.
Bruno,
eccitato dalla vista della pelle delle sue spalle scoperte, si
precipitò a
baciarla anche lì.
La
bionda lo lasciò fare, ma poi si accorse che era tardi.
Terribilmente tardi.
-Oddio!-
esclamò, spingendolo via e scivolando giù dal
letto.
-Dove
vai?-
-A
scuola- rispose, affrettandosi a vestirsi. Ma perché diamine
la mattina doveva
fare sempre così tardi?
Anzi,
era molto tardi, più delle altre volte.
-Che
pa**e, eddai...- Bruno cercò di tirarla nuovamente sul
letto, ma lei si oppose.
Vedendo che lui persisteva, iniziarono a saltarle i nervi.
Si
girò verso di lui, rabbiosa.
-Senti
se tu non ci vuoi andare fatti tuoi, ma io ci tengo e ci vado!- rispose
stizzita, liberandosi dalla sua presa e afferrando le scarpe.
Il
ragazzo si ritirò fra le lenzuola.
-Scusa,
scusa... calmati...- fece insaccando la testa nelle spalle.
Lei
detestava che le dicessero di calmarsi. Anzi, era peggio
perché si incavolava
ancora di più. Le salì alla lingua una brutta
risposta, che però trattenne
mordendosi a sangue il suo labbro inferiore ormai provato.
Non
era lo scenario più adatto per litigare con il ragazzo che
la ospitava.
Infondo,
tutto quello che doveva fare, era liberarsi del bambino e far finta che
fosse
innamorata di lui.
Gli
ultimi giorni di un maggio caldo scivolavano via, assieme con le
fatiche che
comportava quell’ultimo sforzo prima del traguardo. La scuola
ed i professori
esigevano sempre più attenzione in vista delle valutazioni
finali. Francesca
era preoccupata anche di questo, poiché temeva che Damiano
potesse venire a
scuola a controllare i suoi voti. Inoltre il caldo la rendeva isterica
e
spossata, e andava a letto sempre più tardi nel tentativo di
finire i compiti.
Prendeva
sempre buoni voti, ma il crollo fisico fu evidente.
Come
le fece notare Paola una mattina, la sua pancia stava lentamente
iniziando ad
arrotondarsi, cosa che la spaventò tantissimo. Non ci teneva
affatto che il
mondo sapesse il suo segreto.
Bruno
le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto pur di far finire quella
storia il
prima possibile, e per ora la bionda sapeva soltanto che era andato a
parlare
con un dottore.
Dopodiché,
nessuna notizia incoraggiante per lei.
Affianco
alla minima crescita della pancia, come per un rapporto inversamente
proporzionale, si andava sempre più sciupando.
Il
caldo, i troppi pensieri forse, le facevano passare
l’appetito con un
conseguente deperimento; perse ben cinque chili in una sola settimana,
e per
lei che era stata sempre di piccola costituzione, non era una bella
notizia.
Bruno
cercava di non farle mancare nulla, ma molte volte era costretto a
rimediare
una cena scarsa, o un pranzo alla buona. Non era un gran cuoco.
Lei
stringeva i denti e teneva duro, era certa che con lo scomparire del
bambino,
sarebbero scomparse anche tutte le sue fatiche.
Ma
non sapeva fin quando avrebbe potuto reggere.
Capitò
che un giorno si sentisse all’improvviso mancare la forza, la
testa le girava
tantissimo senza un perché. Il vomito meno frequente aveva
lasciato il posto a
piccole perdite, che non miglioravano il suo morale.
Mano
a mano che andava avanti, scaricava tutte le colpe di quel suo stato
debole,
fragile, stanco e improduttivo che assumeva.
Come
se già non bastassero questi suoi problemi,
iniziò a sentirsi un po’ sola e
incompresa.
Paola
la rassicurava, la sosteneva e passava molte tempo con lei capendo il
suo
momento di disagio e sofferenza.
Ma
non poteva certamente capire come ci si sentiva, con quel peso nella
pancia. Il
bambino le sottraeva energie fisiche e mentali, rendendola ancora
più debole.
Anche
se non lo dava a vedere, e non voleva ammetterlo, Francesca sarebbe
presto
crollata.
Aveva
bisogno d’aiuto.
Era
seduta al tavolo a farsi i compiti, quando sentì la porta
aprirsi. Bruno le si
avvicinò alle spalle.
-Usciamo
stasera?- domandò allegro.
Ma
la bionda scosse la testa, tornando a guardare il suo libro.
-Devo
studiare-
Il
ragazzo sbuffò sonoramente, e le circondò le
spalle con un braccio,
schioccandole affettuoso un bacio sul collo.
-Ma
stai sempre a studiare, secchiona?- le domandò con un
sorriso.
La
ragazza si lasciò abbracciare e baciare, ma non vi
partecipò con tanto
entusiasmo. Poi si sciolse dal suo abbraccio.
-Sono
stanca. Sono stanchissima, non ce la faccio più-
Bruno
si fece serio e la guardò negli occhi.
-Ho
parlato col dottore. Ha detto che fra una settimana ci fa sapere-
Francesca
si lasciò andare con la schiena contro il suo torace,
delusa. La faccenda era
troppo lunga.
-Non
può sbrigarsi, pure lui?- chiese seccata.
-Non
dipende da me. Ancora una settimana, bimba-
Lei
chiuse gli occhi al nomignolo, imponendosi di non rispondere.
Lasciò che le
mani di lui vagassero alla ricerca delle sue forme, provando a
scacciare la
malinconia e la stanchezza che la attanagliava.
Quella
sera si trovò sdraiata nel letto, avvolta dalle lenzuola e
dalle mani del
ragazzo. Lo stava baciando, o per meglio dire cercava di farselo
piacere. Le
sue mani si infilarono sotto la maglietta larga del pigiama, alla
ricerca della
pelle.
Bruno
provò ad osare di più, infilandole la lingua fra
le labbra.
Francesca
si staccò, girandosi dall’altra parte.
-Ho
sonno...- mormorò chiudendo gli occhi.
Lui
brontolò seccato, cosa che la innervosì tanto da
farle rispondere.
-Senti
te l’ho detto! Non mi va di farlo!-
-E
ma scusa che ca**o, non ti posso baciare, non vuoi essere toccata, cosa
sto a
fare io qua?- domandò lui.
La
ragazza bionda avrebbe potuto rispondergli la verità, ma non
ritenne proficuo
farlo perché poi non avrebbe più avuto un posto
dove andare.
Contro
ogni suo principio aveva provato a chiamare Damiano, ma non ottenendo
risposta.
Il tutto stava, per lei, nel far scomparire il problema principale. E
farlo il
più presto possibile.
-Vacci
tu!-
-No
vacci tu, mi vergogno!-
-E
va bene, ci andrò io!-
Una
ragazza si alzò dal tavolo del bar, quasi vuoto di prima
mattina, e avanzò
verso il bancone. Arrivata lì ordinò, con voce
incerta e arrossendo, tre frappé
al cioccolato.
Davide,
senza nemmeno alzare lo sguardo, afferrò tre bicchieri e
incominciò a preparare
l’ordinazione.
La
ragazza, più che il frappé, guardava lui.
Quando
finì e gliene porse due, si offrì di portare il
terzo al tavolo.
-Grazie,
sei molto gentile- gli sorrise la ragazza.
Davide
alzò un sopracciglio, perplesso. A lui tutto ciò
non interessava.
La
maglietta nera si stava appiccicando al suo torace, e da una tempia
colava un
rivolo di sudore.
Fatto
il suo lavoro, si allontanò aggiungendo un sorriso extra.
Quel che non sapeva
era che le tre ragazze continuavano a guardarlo anche se se
n’era andato.
Lo
specchio grande e lucido posto dietro il banco gli restituì
la sua immagine.
Era serio e scocciato, del tutto preso dal lavoro di riporre con ordine
le
bevande sullo scaffale alle sue spalle.
Al
posto del mento rasato e pulito si faceva vedere un filo di barba che
non
guastava affatto, almeno secondo le tre ragazze. Non era un tipo
mingherlino,
anzi aveva due spalle larghe e un torace non magro ma ben tornito.
Se
non altro, non era da buttare.
Tornò
ad occuparsi del suo bancone in attesa che Bruto portasse le nuove
scorte.
Nemmeno un attimo dopo Silvia si sedette ad uno sgabello e mantenendosi
la
testa con una mano sorrise
-Hai
fatto colpo, a quanto vedo-
Il
ragazzo, meno che mai stupito e meravigliato in primis di tutta
quell’attenzione rivolta a lui, la osservò
sospettoso.
-Ma
che dici?- commentò imbronciato, certo che lo stesse
prendendo in giro.
-Peccato
che non sappiano che sei fidanzato con quella ragazzina, Francesca-
A
quella uscita lui fissò con sguardo serio e penetrante la
ragazza di fronte a
sé. Gli venne quasi da ridere.
-Io
e Francesca non siamo mai stati insieme- decretò deciso e
sicuro.
Fidanzati?
Ma come le veniva in mente? Per quelle poche volte che erano stati
insieme al
bar, non gli sembrava che avessero dato in atteggiamenti che facessero
sembrare
il tutto equivoco. Non facevano mica la coppietta felice. Anzi,
sottolineò in
mente, era tutto il contrario, perché di solito era il luogo
dove lei si
divertiva a sfotterlo e prenderlo in giro più spesso.
Per
quanto Silvia non fosse un genio, non credeva che quei loro
comportamenti
facessero pensare che stessero insieme.
Ma
la frase che lei disse dopo lo meravigliò ancora di
più.
-Allora
se non è così lei non si arrabbia se ti invito a
cena fuori una di queste
sere?-
E
quello cos’era? Un invito a cena? Un appuntamento? Il mondo
era per caso
impazzito?
Lei
era Silvia. Silvia, la ragazza perfetta, con i fianchi ondulati, le
forme
pronunciate, ammirata da tutti i clienti; la stessa ragazza che un mese
fa
aveva visto baciarsi appassionatamente con un tipo.
-Scusa
ma tu non hai il ragazzo?- domandò sospettoso.
-Sì,
ma mica lui deve saperlo per forza-
Davide
non rispose nulla, sbigottito. Stette zitto finché Silvia,
vedendo che non
accennava a risponderle, si alzò dallo sgabello dicendo
-Beh
non devi rispondermi subito. Pensaci, tanto io sto qua-
Così
si allontanò.
Il
vecchio Davide si sarebbe preso a cazzotti per non aver approfittato di
una
simile occasione. Era quello che aspettava da quando l’aveva
conosciuta, era
quello per cui aveva tanto faticato, il momento che aspettava da mesi e
mesi.
E
non era nemmeno stato lui a domandare, ma l’aveva cercato lei.
Attendeva
quel momento da una vita.
Ma
stranamente, per una strana legge del fenomeno fisico chiamato amore,
che non
segue né formule, né regole o misure, Davide
scoprì, con grande delusione, che
non gliene importava nulla.
Ciò
che un mese addietro gli avrebbe provocato le guance rosse, ora lo
lasciava
totalmente indifferente. Ciò che avrebbe dovuto dargli alla
testa peggio di un
vodka, lo rendeva sobrio e anzi gli scivolava addosso come acqua.
Quelle
forme che gli facevano perdere la testa, ora le guardava come troppo
oscene e
grossolane. Meglio qualcosa di più umano, no?
Si
stupì di quel suo pensiero, e per non pensarci
più continuò con più impegno a
lavorare.
Una
ragazza era seduta al tavolo, e mangiava con gusto il suo piatto.
-Davide
ti giuro... sei più bravo di mamma a cucinare!-
Il
ragazzo sorrise, osservandola mangiare il suo piatto soddisfatto e
contento,
seduto sul mobile della cucina.
-Visto
che quell’estate con zio è servita a qualcosa?-
-E
pensare che ti ho sempre preso in giro, scusami!-
Miriam
si pulì il muso con un tovagliolo.
-Non
dimenticherò mai che sono stato il primo capace di farti
mangiare gli spinaci!-
-Vero-
concesse la ragazza con un sorriso –quelli di mamma erano
immangiabili-
-Grazie-
Davide
osservò la sorellina versarsi da bere, poi domandò
-Come
va a casa?-
Miriam
finì di bere, poi non sorrise.
-A
dir la verità, mamma non sta tanto bene- confessò.
-Come
mai?- chiese preoccupato il fratello.
Lei
alzò le spalle.
-Sai,
penso che si senta sola. Rosario è andato
all’università, tu qui da solo,
papà...- lasciò cadere la frase nel nulla con
un’espressione malinconica.
Una
foto di un uomo sorridente campeggiava sul mobile della cucina,
infilata fra i
vetri.
Loro
padre era deceduto qualche anno fa per una malattia al fegato,
lasciando tre
figli ormai grandicelli e la moglie.
Davide
era il primo della famiglia, poi veniva Rosario e infine la femmina
più
piccola, di sedici anni, Miriam.
Ciò
che accomunava i tre fratelli erano gli occhi, verdi, anche se il
maggiore,
Davide, era quello che li aveva più vivi e belli.
Gli
altri due si limitavano a degli occhi chiari, mischiati con il marrone.
Rosario
era il secondo fratello; aveva frequentato il liceo classico ed era
stato
ammesso alla Cattolica di Roma, facoltà di medicina.
Lui
si differenziava dagli altri due per i capelli ricci.
Miriam
infine era l’unica femmina, con gli occhi più
scuri e i capelli lisci. Lei e
Davide erano molto legati, forse proprio grazie alla differenza di
età che li separava.
Era
stata sempre la piccolina di casa, ma non per questo non si era
meritata le
attenzioni particolari che le rivolgevano. Otteneva sempre buoni
risultati a
scuola.
-Sai,
mi ha raccontato che hai una ragazza- sorrise.
Davide
inevitabilmente arrossì, accigliandosi.
-Chi,
io?-
-Sì
sì, tu fratellone- proseguì scherzandolo
–dice che ha la mia stessa età-
In
un primo momento smarrito, poi riuscì a trovare il filo del
discorso e il
senso, e allora capì.
-Ah...-
disse –no, ma che dice, non è la mia ragazza...-
-Mamma
dice che avete mangiato insieme tutti e tre-
-Sì...
che imbarazzo...- si mise una mano sugli occhi, sospirando.
-Ti
capisco. Ora che sa che ho il fidanzato non fa altro che starmi
addosso...-
Davide
scosse la testa, complice della sorellina.
-Ma
perché non si preoccupa di Rosario, che non ce
l’ha mai avuta una ragazza?-
-Ottimo
argomento- assentì convinto il ragazzo.
-Mi
dispiace per mamma- aggiunse poi, dopo un attimo di silenzio.
-Beh,
ovviamente è contenta che Rosario va a Roma,
perché...- Miriam si interruppe a
metà frase, guardando preoccupata il fratello e temendo di
aver detto troppo.
Ma
Davide completò la frase, malinconico.
-Perché
io non sono stato capace di farlo-
Cadde
un imbarazzato silenzio.
Quel
fatto gli aveva sempre pesato sulla coscienza come una colpa; ogni
volta che
guardava suo padre negli occhi era come se vi leggesse un dispiacere,
un
rammarico. D’altra parte, avevano di che consolarsi con il
secondo fratello:
sempre ottimi voti, una personalità del tutto diversa.
Se
Davide era un tipo tranquillo, buono e calmo, Rosario era ambizioso e
competitivo.
Sapeva
che quando era morto suo padre, per lui era stata una grande
consolazione il
fatto di essere riuscito a dargli soddisfazione. Mentre invece lui, il
maggiore, lo aveva solo deluso.
D’un
tratto, riscuotendosi dai suoi pensieri, disse
-Mi
piacerebbe fare qualcosa per mamma. Lo so che è anche colpa
mia-
Miriam
si sedette sul mobile affianco a lui con un salto.
-No,
ma che dici?-
-Sì
invece. Lei è dispiaciuta perché invece di fare
come Rosario che è andato
all’università, io ho solo un misero lavoro con un
misero stipendio e in più
vivo da solo-
Di
nuovo silenzio. Quelle erano cose, antichi dispiaceri, per cui non
bastava una
risata o una parola buona per scacciarli, e Miriam sentiva che erano
questioni
troppo grandi, cose che il fratello doveva risolvere da solo. Si
limitò ad
osservare
-Guarda
che mamma ti vuole bene. Davvero, te ne vuole tanto ed è
sempre preoccupata di
te. Sai, era molto contenta l’altra volta, quando
è tornata a casa, che avevi
una ragazza-
-Davvero?-
-Sì.
Ha detto che finalmente le facevi capire qualcosa di più
della tua vita, che
eri un po’... scomparso...-.
-Mi
dispiace che si sia illusa. Ma vorrei davvero fare qualcosa-
Stettero
in silenzio, poi Miriam scese dal mobile.
-Torno
a casa, devo studiare. Domani ho l’ultima interrogazione-
Davide
salutò la sorellina, ancora perso nel discorso di prima, e
anche quando la
porta si fu chiuse dietro la ragazza restò a rimuginarci su.
Ma che poteva
fare?
Grazie mille a chi ha
messo la storia nei preferiti e anche a chi la legge solamente.
MissQueen: mi dispiace
per il nodo allo stomaco. è vero, Francesca è
solo una ragazzina, e cosa dovrebbe fare? E cosa tante altre ragazze
fanno? Insomma, il succo è che questa è la
soluzione che a volte prendono un po' tutte. Francesca però
è confusa, non ha le idee tanto chiare, soprattutto ora.
"Tanto forte fuori, e tanto fragile dentro". Ottima sintesi.
Emily Doyle: Non voglio
anticipare nulla, perciò continua a leggere.
Marty McGonagall: Hai
ragione anche tu, ci si trova ad un bivio ma Francesca, anche se fuori
sembra tanto sicura, non ha ancora ben deciso quale delle due strade
vuole imboccare. E tra parentesi, certo che mi sopravvaluti.
wanda nessie:
è la seconda volta che mi fai morir di risate.
Bé, per ora la situazione si mantiene in stallo, ma per
sapere che succede devi continuare a leggere. Grazie per i complimenti.
Jiuliet: come altre
volte, riesci sempre a capire quello che voglio comunicare scrivendo.
"Come fai a capire così bene cosa può sentire una
donna da riuscire a scriverlo?": non lo so come faccio. Guardo.
Osservo. E ascolto, tanto. Sono felice che ti sia piaciuto in
particolare questo capitolo, è un momento importante della
storia.
Devilgirl89: no, ma dai.
Ripeto, anche se Francesca ha deciso così (e per fortuna che
stava Davide altrimenti addio bimbo) ora si trova da sola. Confusa. Ma
tu continua a leggere per sapere come finisce.
FeFeRoNZa: grazie mille,
ma di sicuro io non farò mai lo scrittore. Grazie comunque.
Francesca-testa-dura? Leggiti il capitolo.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 -parte 1- ***
Ho deciso di spaccare questo
capitolo in due parti, perchè altrimenti succedevano troppe
cose tutte ad una volta.
Durante
quei giorni si erano presentate novità anche al bar. Bruto
aveva comunicato ai
due che intendeva aprire un nuovo locale, ma in un’altra
parte della città, e
così decideva di lasciare questo a uno dei due ragazzi. Al
che Davide, con un
minimo di orgoglio umano, aveva pensato che sarebbe spettato a lui: era
un
maschio, più grande di Silvia e teneva già
l’inventario, ogni mese, delle merci
che vendevano. Insieme all’uomo decidevano i prezzi
più giusti, e avendo molta
dimestichezza con la matematica, aziendale e non, lo aiutava a far
quadrare i
conti. Silvia invece era solo una cameriera, certo molto abile con i
clienti,
attrazione non indifferente, ma il ragazzo credeva che si potesse fare
a meno
di lei.
In
realtà, ad essere un po’ più maligni,
queste sue considerazioni erano dettate
dal fatto che ormai da un po’ si era accorto che non provava
più nulla per lei,
e iniziava a vederla sotto una nuova luce.
In
quei giorni, entrambi si davano da fare come non mai, tentando di
conquistare
l’ammirazione e la fiducia di Bruto, sempre impassibile e
imperscrutabile come
al solito. I due insomma, si giocavano le proprie carte nella speranza
di avere
riservato un lavoro.
Se
da un lato Davide insisteva nell’aiutare Bruto a tenere il
bilancio, a fare i
conti e a scaricare le casse di rifornimenti che arrivavano, Silvia,
che non
era mai stata una lavoratrice né assidua ma nemmeno
svogliata, si presentava a
lavoro con mezz’ora d’anticipo e insisteva nel
servire immediatamente tutti.
Se
fosse solo un trucco psicologico per aumentare le vendite, non lo
sapremo mai,
ma quelle salirono, eccome.
La
“gara” procedeva senza passi falsi o colpi bassi; o
almeno, così sembrava.
Un
giorno infatti, Davide notò una cosa non indifferente.
Facendo un po’ di
calcoli e curiosando impropriamente fra le carte di Bruto, aveva
trovato
fatture di debiti da saldare; e anche senza sapere a quanto ammontasse
la sua
fortuna, era certo che non se li potesse permettere. Insospettito e
domandandosi se non ci fosse qualcosa sotto, prese in mano quelle carte
con le
prove per chiedere spiegazioni.
Stava
percorrendo il retro, per arrivare dove si trovava l’uomo,
quando da dentro la
porta avvertì dei rumori.
Accigliato,
la spinse leggermente in avanti, e la poca luce ch filtrò al
suo interno bastò
a fargli distinguere due figure.
La
prima teneva saldamente ancorata al suo bacino una ragazza,
l’altra era in
grembo all’uomo e lo stava baciando, senza apparente voglia
di smettere.
Inorridito,
Davide la richiuse immediatamente e si tenne a distanza.
Solo
dopo che ebbe messo un po’ di distanza fra quella visione e
se stesso,
ripresosi dalla sorpresa elaborò quello che aveva visto.
Alla
faccia della competizione pulita e onesta.
E
così, pensò rabbioso, Silvia aveva trovato la
maniera di farsi dare il lavoro;
semplice, senza fatica e se visto da un certo lato pure piacevole.
Limonava
col capo. Ma che brava. Beh, almeno sapeva usare bene le
capacità che madre
natura le aveva dato, e che capacità!
Il
tutto gli suonò così sporco, disonesto e cattivo
che non riuscì nemmeno a trovare
le parole per definirlo. Praticamente lo stavano prendendo in giro,
tutti e
due; quando ormai già sapevano a chi spettava il lavoro, e
non certo per
merito. E non certo perché ci teneva. E non certo
perché aveva lavorato duro.
Era
semplicemente impotente.
Impotente
davanti a quella tresca, a quell’imbroglio, e non poteva
farci nulla. In un
primo momento fu preso dalla rabbia ed ebbe voglia di vendetta, giusta
ed
appagante.
Tornò
carico di astio nel locale, non curandosi di servire la gente presente,
e aprì
la cassa.
Perché
non poteva semplicemente prendersi i suoi soldi, quello che gli
spettava di
diritto? Bruto non se ne sarebbe mai accorto, troppo preso dalla sua
nuova...
compagna.
Solo
il pensiero lo faceva andare in bestia. E pensare che l’uomo
sapeva della sua
passione per Silvia, confidata tanto tempo fa davanti ad una serie di
cocktail.
E nonostante tutto, se la faceva senza problemi.
Dopo
il primo momento di impulsività, la ragione gli
suggerì la via migliore.
Ne
sarebbe uscito da vincitore, in un modo o nell’altro.
Francesca
uscì dal bagno asciugandosi le mani ancora bagnate; quel
giorno era fastidiosa,
come sempre le succedeva in quel periodo, ma in particolare sentiva la
testa
girarle peggio di una centrifuga.
Quando
era così, non riusciva a fare nulla, e questo la deprimeva
ancora di più.
Si
sdraiò lentamente sul divano, stringendo i pugni ed
esclamando con rabbia
-è
tutta colpa tua, stupido idiota!- rivolta chiaramente a Davide.
Bruno
era uscito come di solito faceva il pomeriggio e così era da
sola nel piccolo
appartamento. Mancavano due giorni alla fine della scuola, e lei non
vedeva
l’ora. Primo perché non avrebbe più
dovuto alzarsi la mattina presto, e per
secondo perché il dottore aveva detto che in quel periodo le
avrebbe fatto sapere
quando si poteva fare l’intervento.
-E
tu...- ringhiò alla sua pancia, leggermente più
tonda del solito, ma non
evidente se non ad un puntiglioso esame.
-...è
anche colpa tua! Tutta colpa tua-
Afferrò
il suo zaino, ormai diventato il centro di tutto il suo mondo, in
quanto vi era
contenuto tutto ciò che le era più caro.
Dal
diario scivolò via un foglio ripiegato. Lei lo
aprì.
Davide&Francesca=love4ever.
Quelle
parole la fecero arrossire, non si sa se di rabbia o di imbarazzo.
Fatto
sta che lo gettò ammucchiato nello zaino, incrociando le
braccia al petto.
-Io
non ho bisogno di te! Io non ho bisogno di nessuno!-
Ci
sono certi momenti, certi attimi nella vita che cambiano il corso degli
eventi.
Una
parola, una frase, un’immagine, un pensiero, può
determinare un cambiamento.
Può farti sentire meglio, o peggio. Può indicarti
la via d’uscita da un tunnel,
o indurti ad entrarvi.
Francesca
non aveva mai davvero considerato la creatura che stava dentro di lei,
che
silenziosa le dormiva nella pancia. E lui, il bambino che fosse, non si
era mai
fatto sentire, forse spaventato giustamente dal carattere infuocato
della sua
mamma naturale.
Quella
mamma che non lo voleva. Quella mamma che lo considerava un impiccio.
Quella
mamma che voleva ucciderlo.
Ma
all’improvviso, come una forza che arriva piano piano per poi
esplodere con
tanta energia, quel bambino si svegliò dal suo sonno.
Forse
la mamma era troppo testarda per capire. Era troppo spaventata.
Forse
quel bambino aveva capito che la sua mamma era troppo sola.
Un
sussulto nella pancia la fece arrestare nella posizione dove stava.
La
bionda rimase immobile, del tutto nuova a quella sensazione. Si
appoggiò piano
allo schienale, d’improvviso turbata.
Guardò
la sua pancia, ancora piatta.
Era
certa che il colpo fosse venuto da lì. Ma ciò che
la fece impaurire, era che
quel colpo non proveniva dall’esterno. Veniva da dentro.
Respirò
forte, in silenzio come se volesse cogliere altri rumori.
Era
spaventata. Quel bambino non si era mai fatto sentire.
Lei
spesso nella sua mente si riferiva a lui, ma era più un
concetto astratto, non
reale.
Come
se in realtà non esistesse, come se non fosse nel suo corpo
ma in quello di
un’altra.
Invece
ora le aveva dato uno scossone.
Non
lo aveva mai sentito così vivo.
E
d’un tratto ricordò le parole che le aveva detto
Davide:
‘Spero
che un giorno sentirai il rimorso di aver ucciso una
creatura!’.
Molto
turbata, si chiese per la prima volta se stesse veramente facendo la
cosa
giusta. In quei mesi, troppo infastidita da tutto ciò che le
girava intorno ed
impaziente di liberarsi di quel peso, aveva dato per scontato che
avrebbe
abortito. Ed ecco che ora faceva capolino quel dubbio che avrebbe
dovuto
insinuarsi in lei molte tempo addietro, ma meglio tardi che mai,
dopotutto.
Mentre
era ancora tutta presa dal turbine di domande e dubbi che
l’avevano
accerchiata, Bruno rientrò a casa.
Aveva
un largo sorriso sulle labbra.
-Ho
una bellissima notizia-
-Eh?-
lei a malapena si accorse che era rientrato.
-Il
dottore ha detto che va bene per domani-
-Domani
cosa?-
-Domani
l’intervento-
Vedendo
che la sua reazione era stata scarsa, Bruno si sedette accanto a lei,
abbracciandole una spalla.
-Allora?
Non sei contenta?-
-Sì...-
Ma
in realtà, l’unica cosa che aveva capito era che
doveva decidere in fretta.
Anzi, subito.
La
mattina, a scuola, il tempo voleva passare in fretta, incitato dai
tanti
ragazzi che attendevano il suono della campanella; esso infatti avrebbe
sancito
l’inizio delle vacanze estive.
Francesca
non voleva assolutamente che finisse quella giornata. O meglio,
spieghiamoci
bene, lei non voleva affrontare quello che sarebbe successo nel
pomeriggio.
Per
la prima volta forse, era agitata. Quella notte aveva avuto fastidi di
vario
genere e aveva dormito poco. Era molto agitata, e non sapeva
assolutamente che
fare.
Paola
notò che spesso si fissava tormentata le mani e la pancia, e
approfittando di
un’ora di supplenza, la prese in disparte, sedendosi sul
davanzale di una
finestra e iniziò a domandarle.
-Che
hai? Non sei felice che fra due ore siamo in vacanza?-
L’altra
scosse la testa, poi sospirò e si poggiò gemendo
la testa sulle ginocchia.
Siccome era molto raro che accadesse, si preoccupò.
-Che
succede?-
La
bionda riemerse sconsolata, ma non per scherzo. Era veramente disperata
e in
difficoltà. In breve le raccontò del bambino,
della sera con Davide, del
dottore e dell’intervento che doveva fare quel pomeriggio. E
poi che non ce la
faceva più, che era stanca e che le faceva di continuo male
la testa.
-Non
ce la faccio più, non vedo l’ora che finisca
tutto- gemette, quasi con le
lacrime agli occhi.
Quello
era un segno inequivocabile che era una cosa seria.
Paola
osservò l’amica rimettersi in ordine i capelli, il
viso magro e gli occhi
stanchi. Si dispiacque molto.
-Cosa
hai pensato di fare?-
-Boh.
Non lo so. È la prima volta che mi succede. È la
prima volta che sento il
bambino- disse, e all’ultima frase abbassò di
colpo la voce, temendo di essere
sentita.
-E
l’intervento?-
-è
per oggi pomeriggio...ma non so...- di nuovo sospirò
infelice –non sono più
tanto sicura-
Guardò
con occhi imploranti la sua amica, come se in qualche modo potesse
tirarla
fuori da quella situazione.
Paola
ci pensò su; non le piaceva vedere la sua amica ridotta in
quello stato, anche
se era più unico che raro vederla così, chiedere
aiuto.
-Cosa
devo fare?- la domanda arrivò disperata, ma sentirla
pronunciare dalle labbra
della ragazza era sintomo che la situazione era sfuggita di mano e che
veramente aveva bisogno d’aiuto.
-Devi
farlo per forza l’intervento?- domandò
l’amica, in cerca di qualcosa che la
facesse stare meglio.
-Altrimenti
Bruno non mi vuole-
La
domanda successiva suscitò un senso di trionfo nella ragazza
dai capelli neri,
perché aveva indovinato il corridoio giusto.
-Tu
lo vuoi Bruno?-
Francesca
non ebbe dubbi nel rispondere a quella domanda, e scosse la testa.
Paola
sorrise piano.
-Coraggio-
si avvicinò a lei, circondandole la spalla col braccio e
facendole forza –sai
già cosa devi fare-
-Sì
ma dopo?- chiese la bionda, triste.
-Sai,
certe volte le persone che ci vogliono più bene sono quelle
che ci fanno stare
più male-
A
questa uscita filosofica la ragazza non colse subito il senso della
frase.
-E
allora perché lo fanno?-
-Perché
sono le uniche che ci dicono le cose per come stanno-
Lei
allora capì cosa intendeva, e si tirò su con la
schiena, guardando l’amica
malinconica.
-Non
posso. Cosa gli dico?-
-Non
importa, basta che lo fai-
Ma
era ancora indecisa. Paola lo notò e si spazientì.
-Non
importa cosa dici, vedrai che sul momento ti verrà in mente.
L’importante è che
sei convinta di quello che devi fare-
-Io
voglio fare solo la cosa giusta-
Quella
frase le procurò un abbraccio vero, sincero e caldo. E in
quell’ultimo giorno
di scuola, una ragazza temeva come il giorno del giudizio il suono
della
campanella.
Davide
si infilò la giacca nera, raccattando le chiavi dal mobile e
preparandosi a
scendere le scale del palazzo. Ormai aveva preso la sua decisione, e
non era
disposto a tornare indietro per nulla.
Non
era né semplice, né complicato. Il tutto stava
nel decidersi a farlo, a
compiere il passo per andare oltre; non che ci volesse
chissà quale grande
sforzo o forza di volontà, ma semplicemente bisognava essere
convinti. E lui,
dopo circa un anno, aveva preso la decisione che avrebbe segnato una
svolta.
Che poi questa fosse positiva o negativa, non poteva determinarlo.
Almeno
poteva dire di averci provato.
E
al posto di continuare a tenersi un inutile motorino in ricordo dei
begli anni
dell’adolescenza, un mazzetto di soldi non guastava. Il
meccanico era stato ben
felice di comprarlo a un prezzo onesto, anche perché era
stato tenuto in
condizioni buone.
Con
quei soldi, Davide avrebbe potuto pagarsi le lezioni. C’era
bisogno di una
scossa, ebbene, quella era arrivata; e se non era il generatore a
procurarla,
bisognava assolutamente provvedere.
Con
quello spirito determinato, il ragazzo percorse il marciapiede largo
che
costeggiava la strada, e sul quale erano situati vari negozi.
All’angolo poi
c’era la porta vetrata del bar.
Lui
entrò spingendo la porta quando era già aperto.
Non andò nel retro, come
avrebbe fatto in altri casi, ma tirò dritto fino al bancone.
-Ehi!-
attirò così l’attenzione di Bruto, che
lo fissò interrogativo.
-Che
fai ancora lì? Perché non vai a cambiarti?-
-Tieni-
Davide
gli porse un po’ di banconote.
L’altro
lo guardava sempre più perplesso, finché il
ragazzo non aggiunse
-I
soldi per quella cassa di birre. Ho saldato il debito-
Disse
così e stavolta andò a cambiarsi. Era il giorno
che ritirava lo stipendio, per
cui, ragionamento furbesco ma intelligente, perché
comportarsi da fesso pur
facendo la cosa giusta?
Grazie a tutti quelli che
leggono, hanno messo la storia tra i preferiti e che recensiscono.
Jiuliet: oh
sì, è straordinariamente vero che sapete bene
come complicarvi la vita. E povera Francesca, che come vedi alla fine
è crollata. Spero di aver reso bene i suoi pensieri.
Marty
McGonagall: Buonasera a te. Credo che in questo capitolo Francesca si
sia rivelata più umana del solito, ed è
comprensibile credo, dopo tutto quello che le è capitato...
come vedi "l'effetto Silvia" si è ritorto contro di lui.
Senti che vale la pena continuare a seguirmi? Ne sono onorato e ti
ringrazio.
Emily Doyle:
grazie per i complimenti sul mio modo di scrivere, molto
graditi........e sì, ho una sorella e dieci cugine femmine
di primo grado più o meno tutte nell'età
adolescenziale. Uno spasso... scherzi a parte, sono molto felice che
riteniate che descriva bene il mondo femminile, forse sto incominciando
a capirlo... grazie per la recensione.
Miss Queen:
sesto senso? Boh forse era scontato. Sono contento che parteggi per
Damiano, nonostante non sia il personaggio principale.
(Risposta che non c'entra
niente: mi fa molto onore che "la macchina del capo ha un buco
nel...motore" ti sia piaciuta tanto ma non credo assolutamente che
continuerò "Vernice fresca". Non è riuscita la
storia che avevo in mente io).
Devilgirl89:
ma quale perfezione...? Non so cosa è peggio, far cambiare
idea a Francesca o ricevere la tua mail piena di parolacce? ... mmm...
dovrò accontentarvi tutte e due.
Evviva i fan di Damiano!
Grazie d'aver recensito.
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 -parte 2- ***
-Andiamo
allora?-
Bruno
prese le chiavi dal mobiletto, in attesa che la ragazza si presentasse
alla
porta.
La
bionda era nella camera da letto, in contemplazione della sua immagine
riflessa
nello specchio. Come rigenerata, aveva il viso duro ma forte. Di chi sa
che
deve far la guerra, ma sa anche che sta per giocarsi tutte le sue carte
migliori. Di chi sa già che soffrirà, ma le
farà bene.
Spostò
l’ultimo capello biondo verso destra, le tracce di
smarrimento e disperazione
di quella mattina del tutto scomparse, o forse abilmente nascoste.
Nascoste in
attesa di rivelarle sì, ma a chi meritava davvero di
conoscerle.
Soddisfatta
del suo operato, si mise in spalla lo zaino e il borsone.
Vedendola
tornare così agghindata, Bruno si meravigliò.
-Dove
stai andando?-
-Via-
decretò lei andando verso la porta.
-Come
via? Dobbiamo andare in ospedale-
La
ragazza sospirò e lo guardò bene negli occhi; era
duramente provata, ma i suoi
principi rimanevano gli stessi: le persone che non le andavano a genio,
dovevano sparire dalla sua vita. Per sempre.
‘Scappi,
scappi pur di non sentire’.
Non
più ora.
-Non
può funzionare-
-Non
può funzionare cosa? L’intervento? Ma se ci ho
passato una settimana ad
assicurarmi che...- Bruno lasciò la frase
nell’ovvio, allargando stupito le
lunghe braccia, stupito.
-Non
l’intervento. Non può funzionare. Tra di noi,
intendo.-
Il
ragazzo accolse quelle parole come un qualcosa di ridicolo.
Sbuffò sconcertato
e incredulo, fissandola come alla ricerca di un particolare che
rivelasse lo
scherzo.
-Cosa?-
-è
finita. Anzi, per dir la verità non è manco
iniziata. Ciao-
Lo
disse come se stesse dando le previsioni del tempo, senza emozione,
rimorso o
dispiacere; così era la vera Francesca menefreghista e tosta
che in
quell’ultimo mese aveva vacillato.
E
mentre si subiva le grida da lontano del ragazzo, questa Francesca
aveva
compiuto l’ultimo sforzo. Forse ora aveva davvero esaurito
tutta la sua carica
esplosiva; ora aveva smesso di condurre il gioco e non sapeva cosa
fare. Come
da copione non doveva mostrarlo, anche se il tutto si faceva molto
difficile
adesso. Era il momento decisivo; o dentro o fuori; bianco o nero;
vittoria o
sconfitta.
Se
avesse fallito anche quella occasione, non avrebbe saputo
più che fare.
La
pressione di tutta quella storia, la responsabilità, le
colpe che avrebbero
dovuto gravare su di lei fin da subito, le sentì sulla sua
pelle in quel
momento.
Ne
fu schiacciata.
Forse
in precedenza aveva sempre avuto qualcuno su cui scaricare queste cose,
in modo
da non fregarsene e mantenere il suo carattere orgoglioso. Ora
però non c’era
nessuno a farle da scudo, a sostenerla e ad aiutarla. Nessun Damiano,
nessun
Davide. Era più sola che mai, e sotto il peso di questa
verità i suoi occhi
brillarono come per piangere.
Quando
il ragazzo uscì per portar fuori una busta di spazzatura,
scoprì che non era
l’unico a starsene fuori, seduto a beccarsi l’afa
di giugno.
Silvia
era seduta a terra, proprio sul marciapiede, e stava con la testa
poggiata fra
le mani. Stupito, lui si avvicinò.
-Silvia?-
la chiamò.
La
ragazza alzò la testa, e lui scoprì che aveva gli
occhi rossi, forse e
probabilmente reduci di lacrime.
-Ciao-
mormorò lei, tirando su col naso.
-Che
hai?-
Davide
cercò nella tasca del grembiule un fazzoletto e glielo
porse. Poi stette in
attesa della storia.
Silvia
si soffiò il naso, per poi iniziare a parlare con voce
tremante.
-Il
mio ragazzo mi ha lasciata-
Terminò
la sua frase con un altro singhiozzo e poi guardò
tristemente il marciapiede,
poggiandosi la testa su una mano.
Il
ragazzo non fu granché stupito della notizia: una che si
faceva un uomo di
quarant’anni e passa, e invitava ad uscire il suo collega
cameriere (e barman),
non si poteva definire l’esempio di donna fedele.
Quasi
poteva concordare con lo sconosciuto che aveva lasciato Silvia, che era
stato
preso in giro e imbrogliato ingiustamente. Lo stesso sconosciuto che,
per
ironia della sorte, aveva tante volte odiato e maledetto, ora lo capiva
e lo
appoggiava silenziosamente nella sua decisione.
-Mi
dispiace- disse atono, giusto per non parere insensibile.
Lei
si alzò in piedi, ancora vestita di quella minigonna che
tanto piaceva ai
clienti, e a quanto pareva, anche a Bruto.
Tornandogli
alla mente quel particolare, al ragazzo venne voglia di smascherarla,
ma non lo
fece. Se Francesca era un tipo molto impulsivo, vendicativo e cattivo
quando
voleva far del male ad una persona, Davide era diverso.
Dopo
il primo, logico impulso di vendetta, aveva riflettuto molto; ne
sarebbe uscito
a testa alta e con dignità, prendendosi le sue piccole
vittorie. Una, l’aveva
già avuta con Bruto, pagandogli il debito e dimostrando che
sapeva mantenere le
sue promesse. Un’altra, doveva vincerla con Silvia.
Doveva
ammettere che tutta quella storia di Francesca e del bambino qualcosa
gli aveva
insegnato: non era mai stato un ragazzo ambizioso, frenato anche da
quel suo
carattere un po’ timido, e le sue esperienze nel mondo non
erano andate a buon
fine tanto che lo avevano convinto di non essere abbastanza in gamba da
potercela fare.
Inconsciamente,
e solo dopo che la ragazzina se n’era andata, si era reso
conto che stava
scappando, proprio come l’aveva incolpata di fare, da tutte
quelle che erano
responsabilità.
Gli
ci era voluto un po’ di tempo, forse troppo per capirlo, ma
la storia della
bionda l’aveva come riscosso dal suo stato passivo.
Il
mondo non si cambia da solo, e non puoi lamentarti di una vita da
schifo, se
non hai mai provato a cambiarla.
È
vero, il mondo è cattivo, ma nessuno ti compatirà
per non aver ottenuto nulla,
se non cerchi di stare al passo con gli altri. Magari potrai anche
cadere. Ti
prenderanno in giro, ti schiacceranno, ti insulteranno.
Ma
se sarai onesto e tenterai con tutte le tue forze, avrai vinto
l’unica
battaglia in cui vale la pena di combattere.
Quella
con te stesso.
E
una volta che l’avrai dimostrato a te stesso, anche gli altri
se ne
accorgeranno.
E
sarai un uomo.
-Grazie
Davide. Sei sempre così gentile-
La
ragazza gli rivolse un sorriso acquoso, triste, ma sincero.
Forse
per la prima volta era riuscito ad ottenere un complimento sincero,
grato. Era
troppo tardi perché potesse suscitare qualche emozione in
lui. Così come quella
mattina, scoprì che il suo complimento e
l’occhiata gentile che in altri tempi
l’avrebbe fatto squagliare, lo lasciava totalmente
indifferente.
Invece
quella minigonna e il segno che vide con un guizzo spuntare sul suo
collo, lo
accesero di rabbia a tal punto che anticipò tutte le sue
mosse.
D’un
tratto posò, o per meglio dire gettò a terra il
sacco, senza portarlo a
destinazione.
-Beh
allora ciao- disse.
Silvia
si accigliò.
-Come
ciao? Dove vai?-
-Me
ne vado- disse lui risoluto, incominciando a slacciarsi il grembiule.
-Dove
vai? Non è finito il tuo turno!-
-Me
ne vado. Me ne vado per sempre-
Gettò
il grembiule nero in grembo a lei, iniziando ad allontanarsi.
Silvia
lo osservò stupita e sconcertata, e fu con lo stesso tono
che un attimo dopo
disse
-Ma
non puoi andartene! Che farai?-
Davide,
che già aveva cominciato ad allontanarsi, si
voltò camminando all’indietro.
Ci
pensò su un momento, poi rispose, allargando le braccia.
-Forse
comprerò una barca, e me ne andrò a pescare.
Forse mi metterò a costruire modellini
in scala. Oppure farò quel corso per ragionieri che non ho
mai fatto-
I
due ragazzi si guardarono, e prima che lei dicesse altro lui le sorrise.
-Ci
vediamo Silvia-
Si
voltò di nuovo verso la strada, e le mani in tasca si
allontanò dal bar, dalla
ragazza che per un anno aveva tormentato i suoi sogni,
all’uomo che aveva
creduto suo amico e che invece l’aveva pugnalato
indirettamente alle spalle.
D’altronde, com’è che si dice?
Se
uno vuole cambiare la sua vita, è meglio farlo alla grande.
Non
si voltò indietro per darle un ultimo sguardo, completando
così la sua vittoria
su tutta la linea.
Aveva
vinto senza dargli la soddisfazione di averlo battuto.
Francesca
era seduta a terra, accanto allo zerbino, a braccia incrociate e gambe
rannicchiate contro il petto.
Stava
lì, in silenzio ad aspettare, senza sapere nemmeno lei cosa
avrebbe detto o
fatto; non aveva più nulla a cui appigliarsi, e come un
allenatore che vede
scivolare le speranze della sua squadra, buttava dentro il campo tutti
i suoi
attaccanti nella convinzione che non aveva nulla da perdere. Ed era
così; non
aveva più niente da perdere e quella era la sua ultima
possibilità. Il palazzo
era stato silenzioso, ostile ad offrirle qualsiasi aiuto, e lei stava
zitta in
quel silenzio assordante.
Mordeva
il suo labbro inferiore come da copione, tentando di calmarsi.
Ma
non ci riuscì; d’un tratto il rumore del portone,
tre piani più sotto, e dei
piedi che sbattevano sugli scalini le annunciarono l’arrivo
di Davide. Si
riscosse, si drizzò con la schiena e si preparò
al discorso. Prima che lui
arrivasse al secondo piano lei se lo ripassò ben bene.
Quando
però incominciò a sentire i passi avvicinarsi,
arrossì e agitata si scordò
tutto, andando in panne. Inizialmente aveva pensato di andargli
incontro, ma
non riuscì a tenere fede al suo proposito. Si rese conto,
con grande
agitazione, che non era in grado nemmeno di guardarlo negli occhi.
Così
non appena sentì che stava camminando su quel piano
gettò immediatamente lo
sguardo a terra, tesa.
Davide
ritornava a casa da un giro fatto per il corso, a rilassarsi un
po’ e a pensare
al da farsi. Aveva una giacca nera aperta dalla quale tasca risuonavano
le
chiavi del portone. Camminò lungo il pianerottolo illuminato
con le mani in
tasca, sfilandole solo per afferrare il mazzo e farlo tintinnare.
Arrivò nei
pressi della sua porta.
Fu
inevitabile non vederla. Il suo primo istinto fu quello di salutarla,
parlarle.
Ma in un secondo momento prese una rapida decisione.
Tirò
dritto, tenendo la testa alta e fissa contro la porta. Troppo fissa per
non far
capire che cercava di ignorarla. La ragazza sentiva i suoi passi farsi
vicinissimi e le guance avvamparle, e continuò a non
guardarlo, osservando la
pianta nel vaso dall’altra parte della porta.
Davide
arrivò davanti al portone, e fece scivolare la chiave verso
la serratura.
Francesca
ascoltò il rumore senza alzare gli occhi, e capendo che la
stava ignorando
deliberatamente, strinse le palpebre; si decise a voltare di poco la
testa,
mandandola a cozzare contro una sua gamba. Dentro di sé,
pregava tanto che la
guardasse almeno.
Proprio
quando stava per infilarla dentro, lui fermò il braccio.
Stette
un po’ in silenzio a riflettere, chiedendosi quale fosse la
cosa giusta da
fare.
Se
l’orgoglio maschile ferito gli suggeriva di mandarla al
diavolo, la sua indole
buona e paziente gli diede l’impulso di cedere.
E
cedette.
Appese
la chiave alla maniglia, poi lentamente, con molta calma, si
abbassò.
Si
chinò sulle ginocchia, scendendo scendendo fino a che non
arrivò alla sua
altezza. Voleva fare in modo che i loro occhi si incontrassero.
Il
ragazzo appoggiò i gomiti sui ginocchi, lasciando penzolare
le braccia. Poi le
rivolse uno sguardo serio, da sotto in su.
Lei
alzò finalmente il suo, unendo i loro occhi verdi e azzurri;
timorosa e incerta
sulla mossa da fare, aspettò che fosse lui a parlare.
Davide,
sempre con molta calma, piegò la testa da un lato.
D’un
tratto aveva tante cose da dirle, ma non gliene veniva alle labbra
nemmeno una.
-Ciao-
disse con voce calda e bassa.
Come
se fossero solo due amici che si salutavano dopo tempo.
Francesca
tenne gli occhi nei suoi, si drizzò di più
avvicinandosi.
-Ciao-
Pronunciata
quella parola, stette zitta, incapace di dire altro, dimenticandosi
completamente di tutto ciò che aveva pensato. Teneva come un
grosso magone,
proprio all’altezza della gola, e sentiva che sarebbe
scoppiato in poco tempo.
Continuarono
a guardarsi. Davide pensò che la situazione rasentava il
ridicolo. Dopotutto
non erano mica due bambini.
Se
era tornata, evidentemente aveva qualcosa da dirgli, e dalla faccia
seria e
preoccupata che aveva, non era una scemenza.
Un
ciuffo biondo cadde sulla sua fronte, ostacolando il loro contatto
visivo; lui
glielo riportò a posto, reggendolo col pollice. Francesca
era incapace di
staccarsi dai suoi occhi.
Cercò
di farla parlare.
-Ti
sono mancato?- disse piano, continuando a tenere la mano poggiata sul
capello
che non voleva stare al suo posto.
Lei
avvertì che il groppo saliva sempre più e gli
occhi iniziavano a pungerle. Come
quando si ha qualcosa di importante da dire, e non si riesce a parlare
se prima
non ci si è sfogati. E lei, che si era tenuta tutto dentro e
non ne aveva
parlato con nessuno, ora che aveva deciso di aprirsi e cercare aiuto,
vedeva
sovrapporsi tutte le cose, tutti i problemi convergere e confonderla.
Quando
parlò, fece un grosso respiro per non incrinare la voce.
-Non
è per te-
Orgogliosa
fino alla fine, non voleva parlare di quello continuando a fissarlo,
perciò
spostò gli occhi sul pavimento grigio.
-è
il bambino- disse in poco più che un sussurro, quando ormai
non riusciva più a
trattenersi.
Strinse
gli occhi, respirando forte, e dalle palpebre serrate iniziarono a
colare
alcune gocce.
Il
ragazzo, sentendo quelle parole e osservando la sua strana quanto
inattesa reazione,
andò subito a pensare ad una disgrazia.
-Il
bambino? Perché, cos’ha?-
Francesca
incrociò le braccia, stringendole forte, e lo
guardò di nuovo. Ma il suo
sguardo non era duro, forte e battagliero, strafottente e superiore
come
l’aveva conosciuto lui. Ora era acquoso, tremulo e debole.
Stava per piangere.
Il
che lo rendeva nervoso e agitato.
Lei
alzò lo sguardo su di lui, senza nemmeno provare a
nascondere le lacrime ormai
evidenti.
-Gli
mancavi- disse, facendo una smorfia e facendosi colare due lacrime
lungo le
guance.
Detto
questo, iniziò a piangere.
La
mano che il ragazzo aveva tenuto sulla testa si bagnò piano
piano e questo lo
fece scuotere. Incerto sul da farsi, turbato dalla sua reazione
improvvisa,
perché non si aspettava certo che si mettesse a piangere, si
allontanò.
La
guardò singhiozzare del tutto impotente, e si
alzò lentamente; stupito,
incredulo, spiazzato.
La
ragazzina bionda piangeva, ma silenziosa, lasciando che le lacrime le
colassero
giù, non strillò, né urlò.
Era
scossa da fremiti che a tratti, improvvisi, la colpivano e per quanto
tentasse
di trattenersi, le sfuggì solamente un singhiozzo
più forte.
Davide
non aveva la benché minima idea di cosa fare. Ma sapeva che
non gli piaceva
quella situazione.
Non
gli erano mai piaciute le persone che piangevano, e non
perché le considerasse
pappamolli o robe del genere; semplicemente perché quando si
trovava appunto,
in una situazione del genere, non sapeva assolutamente che fare. Non
sapeva se
una persona voleva essere lasciata in pace, se voleva essere
abbracciata, detta
parole di conforto.
Trovandosi
a disagio, desiderò che la smettesse.
-D’accordo,
basta- disse deciso, le mani in tasca.
Ma
lei non smise, e continuò a versare lacrime in silenzio.
-Basta,
smettila di piangere- riprovò lui.
Ma
non ci riusciva. Ricordò allora che le volte che non sapeva
mai come prendere
la ragazza, la prendeva a muso duro, per farla scuotere e riflettere.
Pensò
quindi di usare lo
stesso metodo in
quella situazione.
-Smetti
di piangere-
Questa
volta lo disse quasi scocciato, arrabbiato, alzando di più
la voce. La bionda
lo guardò, interrompendosi e alzando la testa. Schiuse la
bocca, impaurita d’un
tratto che lui la cacciasse.
Aspettò
che parlasse.
-Alzati,
forza- proseguì lui, tendendole la mano.
Lei
afferrò il palmo e si tirò su, ancora debole e
tremante, mettendosi di fronte a
lui.
Come
se in quel momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via
veloce,
irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò
ancora. Stavolta non
fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi,
riempiendoli di
lacrime.
Un
fremito la travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté
contro il torace del
ragazzo per reggersi in piedi e ricominciò a piangere.
Davide non la fermò o la
accolse o la respinse. Metabolizzò lentamente le lacrime che
ora gli bagnavano
la maglietta, e la ragazzina che gli piangeva addosso.
Francesca
aveva trattenuto per un mese e oltre tutte le emozioni che le
suscitavano i
fatti. Il bambino, Damiano, la serata in discoteca, la paura che gli
altri
scoprissero il suo segreto, i dolori, il vomito, la testa che le
girava.
Nessuno, nessuno l’aveva aiutata a parte lui.
Nessuno
si era preoccupato di sapere come stesse, cosa ne pensasse.
E
poi quella fatica, la sensazione di impotenza e debolezza che le
impediva di
fare tutto.
Bruno
che faceva di tutto per sbrigarsi a far morire il bambino. E poi quella
parole
che gli aveva gridato:
‘Scappi,
scappi pur di non sentire’, ‘Credevo tu fossi una
donna coraggiosa’, ‘Sei solo
una ragazzina’.
Sembrava
che non le importasse, ma al contrario ci aveva tanto pensato. Tanto
tanto. E
mentre avveniva dentro di lei quella devastante tempesta di emozioni,
fuori era
sempre la stessa, o almeno provava ad esserlo, per non mostrarsi debole
e
vulnerabile.
Quella
era una cosa che poteva controllare, avendo una straordinaria
testardaggine e
forza di volontà. Ma piano piano, dai lati del muro, le
tante crepe avevano
incominciato ad allargarsi. Allargarsi sempre più fino a che
il muro stesso non
aveva cominciato a scricchiolare.
Poi
il bambino aveva dato il suo personale segnale, facendosi sentire da
dentro la
pancia dalla mamma. E lei, la ragazzina, era rimasta totalmente confusa
e in
balia di se stessa.
Incapace
di prendere una decisione, aveva bisogno di qualcuno a cui importasse
veramente; di qualcuno che la sostenesse; o magari semplicemente di uno
che la
ascoltasse e consolasse.
Perché
dopo le tante crepe, il suo muro si andava lentamente sgretolando, e
Francesca
aveva paura a scendere in campo senza il suo scudo.
Davide
non la abbracciò, come forse avrebbe dovuto fare, ma
guardava dritto la porta
di casa, ascoltando il suo pianto impercettibile; quel pianto lo faceva
stare
male.
Sentiva
che, in qualche modo, ne era lui la causa e non poteva sopportarlo.
Forse
aveva capito la sua muta richiesta.
Lasciò
che si sfogasse per un altro poco, finché non
sentì il suo pianto scemare e le
lacrime diminuire. Il respiro affannato e spezzato che batteva contro
il suo
petto divenne mano a mano più regolare, segno che stava un
po’ meglio.
Quando
la sentì calma, pensò al da farsi.
Lentamente
poggiò una mano, la sinistra, sul suo fianco, e la destra la
fece scorrere
piano fra i suoi capelli fino ad arrivare al collo.
Fece
pressione per spingerla via, e la allontanò di poco.
Lo
guardò intensa, aspettando la sua mossa, ma poi Francesca
abbassò lo sguardo,
pronta ad un rifiuto.
Ma
Davide si abbassò, continuando a tenere la mano sul suo
collo, in modo da
vedere i suoi occhi. Incontrandoli la fissò per un lungo
momento.
Poi,
come se avesse preso la più difficile e sofferta delle
decisioni, disse piano,
con la stessa voce calda e bassa che aveva usato prima
-Non
farlo più-
Ecco, siamo arrivati a
metà storia. Grazie a chi legge, chi commenta e chi ha
inserito la storia nei preferiti.
MissQueen: D'accordo,
analisi logica:
1)"Sei un genio":
....macchè.... 2) "apetto che Francesca e Davide
tornino insieme": come direbbe Davide 'io e Francesca non siamo
fidanzati!'. Ma questo è quel che crede lui. 3)"Non sai
quanto mi è dispiaciuto x quella storia di Silvia e Bruto...
povero Davide...": ebbene sì, che infami che sono stati.
4)"Ke dire, amo qst FF!":
beh, ti ringrazio molto. Grazie d'aver recensito.
P.S.: mi dispiace per
'Vernice fresca', avevo anche pensato di cancellarla però...
Jiuliet: Credo che
risponderò in modo molto diplomatico, e cioè che
l'uomo non sarebbe niente senza una donna, è vero, ma anche
le donne hanno bisogno degli uomini. Come vedi si sono ritrovati ed
è andata anche abbastanza bene, direi...
FeFeRoNZa: grazie per i
complimenti. Visto? Ogni giorno s'impara qualcosa... non so se
è merito delle mie cugine se riesco a descrivere il mondo
femminile abbastnza bene, ma sono molto contento di esserci riuscito.
wanda nessie: ma no, dai,
che vuoi che sia? Non mi sono mica offeso! Ok, anche io
risponderò con sette parole per non fare figuracce: grazie
d'aver recensito. Continua a leggere.
Devilgril89: Damiano non
è ispirato ad una persona reale come i due protagonisti.
Sono contento che abbia i suoi fans perchè facendolo nascere
nella mia mente volevo creare un 'papà', un po' diverso.
Insomma, in tante storie i genitori che adottano i bambini sono persone
orribili, ma non sempre è così, anzi, a volte
sono i 'figli' ad essere cattivi con loro. Credo che da questo momento
Francesca non potrà fare altro che migliorare,
perchè il fondo l'ha già toccato, no?
[ma quale MR.Perfezione....?]
Emily Doyle: beato fra le
donne non è corretto, perchè ho un fratello e
altri undici cugini maschi di primo grado, quindi siamo pari...
allora... evviva Davide!
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Erano
seduti sul divano, un’ora dopo, e parlavano animatamente,
senza smettere mai di
guardarsi. La ragazza gli aveva raccontato tutto quello che era
successo in
quelle due settimane circa. Di Bruno, della scuola, del bambino che
aveva
sentito muoversi nella sua pancia.
-...quando
ho sentito il bambino ho avuto... paura- spiegò,
stringendosi nelle spalle –non
ero più tanto sicura di volerlo fare-
-Questo
glielo hai detto?- domandò serio e attento lui.
-No-
scosse la testa –me ne sono solo andata. Ma in caso non avrei
saputo davvero
cosa dirgli. Non lo so... è che- sospirò e fece
una smorfia –...non ci capisco più
niente. Non so più cosa devo fare-
Davide
finì di ascoltare paziente le sue parole e quando vide che
era in attesa di una
sua risposta o di un parere, si passò una mano sul mento,
riflettendo.
Non
era una cosa semplice da dire.
-Che
ne pensi?- domandò ansiosa.
Lui
sorrise per sdrammatizzare.
-è...è
un po’ difficile-
Allora
anche lei sorrise, un sorriso breve.
-Tu
dimmi tutto quello che pensi-
Si
guardarono un attimo. Lui non voleva deluderla, metterla a disagio
più di
quanto non lo fosse già; si vedeva che non sapeva
più dove sbattere la testa.
Però
era anche convinto che prima o poi quel problema avrebbe dovuto
affrontarlo, e
anzi, era già un po’ tardi.
Si
passò la lingua sulle labbra brevemente.
-Io...
penso che non devi uccidere il bambino- disse.
Francesca
aggrottò un po’ le sopracciglia.
-è
facile a dirlo per te. Non sei tu che lo devi far nascere-
-Ma
di che hai paura?-
-E
me lo chiedi?-
La
bionda deglutì un attimo, prima di rispondere convinta.
-Di
tutto. Non c’ho più una casa. Non ho una famiglia.
Non ho i soldi. Non ho
niente. Ho solo questo bambino. Io... io ho paura di che
succederà dopo-
Si
interruppe per vedere se lui volesse interromperla, ma Davide stette
zitto ad
osservarla. Era stato, per tutto il tempo del suo racconto da quando
l’aveva fatta
sedere lì, a guardarla e ascoltarla attento. Di tanto in
tanto interveniva, ma
per la maggior parte era silenzioso e attento, interessato.
-...ho
paura di quello che diranno le persone- confessò triste.
Davide
non poté biasimarla per questo.
-Capisco-
-No,
non capisci-
-Sì
invece-
Lei
abbassò lo sguardo, triste.
-No,
non credo che tu capisca. Tu... non sai. Io ho sempre nascosto
tantissime cose
agli altri, come per esempio- e qui gli rivolse un’occhiata
rapida –che sono
orfana, che mi hanno adottato...-
Fece
una pausa, poi riprese.
-Se
mi va a pu**ane anche una sola di queste bugie, non so che fare. Non so
che
penseranno gli altri di me. Anzi...- aggiunse con un sorriso
malinconico –una
ragazza già voleva dire tutto ai miei amici. Non so dove, ma
mi ha visto che
stavo con te, e sa che sono incinta-
-Se
gli altri le avessero creduto... sicuramente avrebbero pensato male di
me, e da
cosa nasce cosa...-
Concluse
il suo discorso appoggiandosi alla poltrona, incrociando le braccia al
petto,
triste.
Sentiva
di essere arrivata al capolinea, da dove non si poteva più
scappare.
Davide
la osservò triste anche lui; gli dispiaceva veramente.
-Dimmi
allora, cosa vuoi fare?-
-Boh-
alzò le spalle lei.
Lui
si avvicinò col corpo.
-Se...
se tu non mi dici qual è il problema, come faccio ad
aiutarti?-
Francesca
alzò lo sguardo, voltandosi a destra e lo guardò.
-Tu
non vuoi davvero aiutarmi-
-Perché
dici questo?-
-Perché
non hai motivo di preoccuparti di me-
-Allora
che sei venuta a fare qua?-
Lui
le sorrise quando la ragazza si imbronciò, sentendosi ferita
nell’orgoglio.
-Non
ti scaldare... volevo solo dire che se sei venuta qui, almeno un
po’ credi che
io ti aiuterei-
Prima
di rispondere la bionda sorrise accigliata.
-Dovevo
aver preso una botta di sole-
-Io
ti voglio aiutare, sul serio. Tu- sorrise –non so
perché, ma pensi sempre che
il mondo vada contro di te e che a nessuno importi nulla. Ma non
è vero...-
-...è
vero che ci sono quelli che se ne sbattono degli altri, ma tu sei solo
una
ragazzina. Non puoi pensare di combattere contro tutti da sola-
proseguì, più
serio.
-In
fondo quel bambino è anche colpa mia, no? Sempre se tu vuoi,
io sono pronto a
prendermi le mie responsabilità e a provarci. Non
è mai facile-
-Ma
a volte è troppo difficile- disse lei, continuando a
guardarlo e ascoltandolo.
Stettero
in silenzio per qualche minuto, poi lui si decise a parlare, a dire una
cosa
che lo imbarazzava un po’.
-Sai...
le prime volte che parlavamo, appena ci siamo conosciuti... pensavo che
fossi... forte-
Quando
lei lo fissò interrogativa, lui spiegò
-Nel
senso... sai, sapevi sempre cosa fare. Avevi già programmato
tutto. Questo...
mi piaceva, perché mi aspettavo che tu dovessi piangere e
cadere in una crisi-
Si
sorrisero, poi Francesca disse
-Beh,
allora meno male che la crisi mi è venuta dopo-
-Ma
poi...-
-...ho
rovinato tutto. Mi dispiace, non volevo deluderti-
Davide
a quelle parola alzò la testa sorpreso. Arrossì
anche un po’, imbarazzato: non
credeva che lei avesse preso in considerazione le sue parole, ma a
quanto
pareva si era sbagliato. Ci aveva pensato eccome, e forse le avevano
fatto
male, il che gli dispiacque.
La
guardò a lungo e disse
-Be’,
magari potremmo ricominciare daccapo-
-Mi
piaceva stare in questa casa- confidò la ragazza con un
sorriso, guardandosi
intorno –tu cucini meglio di Bruno-
Davide
rise di gusto, assaporando la ritrovata atmosfera rilassata.
Francesca
ci pensò su molto, incerta se dirglielo o meno, e poi alla
fine optò per la
prima ipotesi.
-Sai,
ho deciso- disse, alzandosi in piedi.
-Terrò
il bambino, ma non lo faccio per lui-
Arrossì
e spostò lo sguardo a terra.
-Lo
faccio soltanto per te-
Lui
la guardò, e arrossì a sua volta. Forse quella
bionda testarda era cambiata
davvero.
Lei
sospirò e si allontanò per andare di
là, poi a metà strada si voltò.
-Se
dici a qualcuno che ho pianto, ti uccido-
Davide
scosse la testa.
Non
era cambiata affatto. Ma forse era meglio così.
Due
ragazzi correvano veloci per il corridoio semideserto della scuola,
l’una
avanti, che cercava freneticamente la bacheca, e l’altro che
le arrancava
dietro.
Francesca
arrivò nell’atrio e si precipitò al
muro.
C’erano
parecchie file di schedari, recanti il nome di classi, sezioni, alunni
e
materie. Lei cercò il corso F, nella seconda classe,
scorrendo col dito.
Accanto a lei c’erano altri ragazzi, chi accompagnato dai
genitori, chi da solo;
chi esultava strillando, chi sbuffava triste a testa bassa.
Era
l’undici giugno, giorno dei quadri.
La
bionda cercava febbrilmente senza successo il suo nome in mezzo a quel
marasma
di ragazzi. Davide le arrivò alle spalle, e subito
individuò il nome.
Seconda
F, lettera D.
Daniele
Francesca.
-Eccoti-
Piantò
il dito indice contro la casella che la racchiudeva, indicandola. Lei
lo notò e
chiuse gli occhi, sospirando.
-Non
ce la faccio, dimmi tu quanto ho preso-
Nel
frattempo incrociò le dita e stette in attesa, voltandosi.
Lui
strinse gli occhi e per vedere meglio si avvicinò,
sovrastandola. Fece scorrere
l’indice verso destra finché non
incappò nei primi voti.
Sbalordito,
schiuse la bocca. Portò lo sguardo attonito dai numeri alla
testolina bionda
che sotto il suo braccio alzato, poggiata al suo torace, stava ad occhi
chiusi.
-Allora?-
lo incalzò impaziente, tenendo serrate le palpebre.
Riscotendosi
dalla sorpresa, il ragazzo lesse la materia.
-Italiano...-
-Sette-
disse lei, già pronta.
-Otto-
mormorò lui, in estasi.
-Otto?-
Francesca
aprì gli occhi e lo spostò, maldestra, di lato
per vedere. Quando confermò con
la vista le parole udite, sorrise e gridò felice.
-Sì!
Ca**o... leggi ancora!- disse mettendosi una mano sulle labbra.
Davide
spostò l’indice ancora verso destra.
-Matematica...
nove- e qui lei strinse i pugni e allargò il suo sorriso.
-...Scienze
naturali otto, Arte otto, Fisica sette, Storia otto, Inglese sette, Ed.
fisica
sette...-
Il
ragazzo qui si mise a ridere.
-Com’è,
di tutta la carica che hai non la usi in palestra?-
-Macché,
mi ha abbassato il voto perché sto sempre in giro-
precisò la bionda, ma senza
perdere il sorriso –dai, vai avanti- lo incitò.
-...Latino
otto-
Lui
fece scivolare l’indice giù, alla fine della fila,
e la guardò ammirato.
Francesca
rilesse i suoi voti e ogni volta si convinceva che erano veri. Sorrise
e poi
sbirciò anche quelli dei suoi compagni, così per
curiosità.
-Ehi,
genietta- le sorrise il ragazzo –ma allora...-
Le
afferrò scherzoso la testa con una mano e le
frizionò i capelli biondi,
impendendole di divincolarsi.
-...allora
questa testa dura la usi, ogni tanto-
-Ah
ah ah- fece lei, liberandosi e sgusciando via dallo spazio creato dal
corpo del
ragazzo e la bacheca nel quale prima era stata rinchiusa.
Davide
infilò le mani in tasca e guardò nuovamente i
voti della ragazzina. Caspita,
era vero che certe materie non le aveva mai studiate, però
era certo che quei
voti non fossero affatto pessimi.
A
parte matematica, nella quale era sempre stato molto bravo, gli altri
voti non
riusciva assolutamente ad eguagliarli, se si voleva fare un paragone
con i
propri del liceo.
E
considerando i problemi e le difficoltà che aveva avuto, si
sentì, diciamo,
orgoglioso della ragazza; fiero che nonostante tutto avesse ottenuto
buoni
risultati: evidentemente ci teneva alla scuola.
Le
diede un buffetto sulla spalla, e lei si girò, radiosa come
poche volte l’aveva
vista.
-Brava-
le disse con sincero trasporto.
-Grazie-
rispose la bionda, compiaciuta del suo complimento.
Arrossì
un po’, poi disse
-Aspetta,
vado a cercare dei miei amici. Aspettami in macchina-
Così
fece, allontanandosi con le mani in tasca e uscendo
dall’edificio. Il cortile
era pieno di ragazzi e lui si infilò nella sua macchina,
abbracciandosi le
maniche della sua t-shirt e aspettando la ragazza.
Nei
giorni passati avevano provato a ricominciare tutto daccapo, tenendo il
bambino, e fortunatamente per entrambi, il carattere della bionda era
migliorato. Forse perché ora non aveva più nulla
da nascondergli, il loro
rapporto si manteneva stabile o quasi su un livello civile, senza
più musi
imbronciati o silenzi cupi, scherzando, prendendo tutto alla leggera
forse
contagiati dall’atmosfera estiva ormai alle porte.
Se
con l’inverno e la primavera sembrava che tutto andasse male
e non vi fosse
alcuna soluzione, dopo che entrambi si erano messi in chiaro senza
nascondere
all’altro più nulla, l’estate frivola,
fresca e spensierata li aveva
contagiati.
Se
era vero che il bambino c’era sempre, e cresceva rapido nella
sua pancia, ora
questo non sembrava avere tanta importanza da impedirle di trascorrere
una vita
normale.
Certo
c’erano sempre i brutti momenti in agguato.
Francesca
chiacchierava assieme alla sua amica Paola col suo professore di
matematica,
fiero di entrambe e carico di complimenti, quando videro passare vicini
due
delle disgrazie peggiori che le fossero capitate in quei mesi.
Bruno,
riappropriatosi del suo cappello di tela e della giacca nera, ed Elena,
che al
contrario del ragazzo, che tirò dritto, le rivolse
un’occhiata velenosa.
Alla
bionda non piacque affatto, e appena poté liberarsi del
professore inseguì i
due; aveva un po’ di conti da regolare.
Mentre
passava accanto ad un bagno, sentì la pancia sussultarle e
si fermò un attimo,
per controllare che andasse tutto bene. Questo le costò
caro: mentre usciva
incontrò davanti a sé la ragazza tanto odiata.
Elena
si avvicinò con l’intenzione di attaccare
battaglia.
-Tutto
bene i quadri?- domandò falsa gentile.
-Fa****o-
rispose dura lei, facendo per sorpassarla.
-Come
va il bambino?- chiese, impedendole di passare.
-Che
bambino?-
-Il
tuo bambino. Cosa credi, che siamo tutti cretini? Che non ce ne siamo
accorti?-
disse con un’espressione cattiva.
Francesca
preferì fare l’ignorante, tanto, pensò
fra sé, era nell’ambiente giusto.
-Io
non so di che tu stia parlando...- alzò le spalle e
uscì dalla porta.
Sfortunatamente
però, alzando lo sguardo riconobbe la giacca nera che nei
mesi addietro tanto
le era piaciuta.
Bruno
la aspettava alla fine del corridoio, e per non parere codarda, fu
costretta a
passargli davanti.
Non
lo salutò, e mentre lo oltrepassava sperò che non
facesse nulla.
Purtroppo
il ragazzo, colto da uno scatto vendicativo, le afferrò un
braccio e la tirò a
sé.
-Cos’è
questa ca**ata del bambino? M’hai raccontato una bugia!- le
sibilò arrabbiato.
-Ahio!-
si divincolò lei, storcendo il braccio –Lasciami,
ma che sei stupido?-
-Perché
mi hai raccontato una bugia?-
-Ma
che bugia?- ringhiò la ragazzina, affrontandolo a muso duro.
-M’hai
detto che avevi un bambino. E ora ti sento che vai a dire che non
è vero. A che
gioco stai giocando, eh?-
Lei
non poteva rispondere, perché accanto a loro sapeva che
c’era quella pettegola
che avrebbe spifferato tutto. Non poteva dire sì, altrimenti
Elena avrebbe
sentito, e non poteva dire no, perché a Bruno aveva
raccontato del bambino. Non
c’era via di scampo.
Ma
per sua immensa fortuna il suo professore, attirato forse dal suo grido
precedente, si precipitò lì.
-Tutto
a posto?- domandò inquisitore.
Bruno
non poté fare altro che lasciarla andare e borbottare un
‘sì’. Lei sorrise
grata al professore e se ne andò.
Tornata
in macchina, si massaggiava il polso e Davide lo notò.
-Che
hai?-
-Niente-
disse, osservandolo farsi rosso –uno str***o. Cose che
capitano-
-Se
lo dici tu...- fece lui, prima di accendere il motore.
Giugno
era ormai inoltrato e l’estate col caldo, l’aria di
vacanza e di ca**eggiamenti
vari sempre presente a regnare sovrana, i vestiti corti, le maniche
sbracciate
e tutte le sere ad uscire stando fuori fino a tardi era arrivata, dopo
essersi
fatta attendere parecchio.
Lui
e Francesca, quando lei non voleva uscire a passeggio con le sue
amiche, andavano
a bere una birra, una coca cola, un tè o qualunque cosa
fosse fresca e in
lattina seduti su un muretto al parco. Un posto come un altro per
passare la
sera insieme, divertirsi a guardare le coppiette, seduti o stravaccati
sulle
panchine di pietra.
Tutto
era nato dal suo desiderio espresso una delle prime sere del mese.
Davide
stava per
uscire, quando un lamento simile ad un vagito si alzò dal
divano.
-Dove
vai?-
-Esco-
rispose il
ragazzo, prendendo chiavi e portafoglio. Una chioma bionda emerse dal
divano,
tutta scompigliata.
-Aspetta,
posso
venire anche io? Non mi porti mai insieme a te...-
Lui
piegò di lato
la testa.
-Oh
andiamo...devi
proprio?-
-E
dai!- la ragazza
si alzò, andando verso di lui –Dai, io qua mi
annoio a morte, non ho niente da
fare!-
Il
ragazzo sospirò
e ci pensò su.
-E
va bene-
concesse –ma promettimi che farai la brava, eh?-
Mezz’ora
dopo, la
bionda era seduta intorno ad un tavolo di plastica. Un uomo di
quarant’anni
stava mischiando le carte.
-Allora...
–
iniziò, scrutando gli altri.
Davide
e Francesca
erano seduti vicini, l’una che osservava gli altri ragazzi e
lui che annoiato
beveva una birra.
C’era
un ragazzo
abbronzatissimo, molto carino a detta di lei, che impaziente sfogliava
delle
banconote.
-Dai
andiamo, che
Debora mi aspetta-
-E
aspetta, che tanto
aspetta in buona compagnia- fece un altro, sogghignando e seguito da
altre
risate.
-Oh
chiudi quella
ca**o di bocca!-
Poi
guardò
scocciato quello che teneva in mano il mazzo.
-Zio
muoviti!-
-E
n’attimo,
Marcolì, me lo vuoi dà il tempo?-
L’uomo
spartì le
carte fra i giocatori.
-Allora,
facciamo
io con Marco, Giuseppe e Gigi, la signorina gioca?- domandò
gentile.
-Lei
gioca con me-
Davide si batté una mano sul petto.
Quando
ognuno prese
in mano le proprie carte, Francesca si chinò verso il
ragazzo.
-A
che giochiamo?-
-Scopa.
Sai
giocare?-
-Più
o meno- alzò
le spalle lei.
-Bene,
e ora fuori
i soldi della posta- ricordò il ragazzo abbronzato chiamato
Marco.
Poco
tempo dopo,
Davide raccoglieva estasiato un bel po’ di soldi, sorridendo
alla ragazza.
-Brava
biondina-
-E
sì ma non vale,
eh! Se lo sapevo mi ci mettevo io con lei!- commentò un
ragazzo scontento,
guardando i suoi soldi andare via.
-Eh
no, troppo
facile. Lei sta con me- sorrise furbo l’altro.
Poi
invitò la
bionda ad alzarsi e a seguirlo fino ad una panchina senza schienale,
accanto ad
un muretto.
-E
ora?- domandò
lei, sedendosi.
-E
ora niente. Ci
si fa una birra-
Da
quella sera, scoperto l’incredibile talento per le carte di
lei, se la portava
sempre a giocare con quel piccolo circolo di amici; ogni sera poi,
quando
vincevano, si spartivano il ricavato e compravano birre, gelati,
caramelle e
stavano per tutto il tempo a campare seduti sulla panchina, in santa
pace.
Parlavano,
giocavano a carte, e qualche volta invitavano anche gli amici di lei.
Francesca
si accostò la bottiglia alla bocca, inclinandola e ingoiando
la birra; poteva
apparire un gesto apposta provocante rivolto a qualche bel ragazzo, ma
in
realtà era solo una scommessa contro Davide.
Quando
finì di bere, tre ragazzi più grandi che erano
con lei, e una ragazza le fecero
un coro d’approvazione. La bionda guardò
mordendosi un labbro il ragazzo seduto
davanti a lei, con indosso una maglietta scura e un mazzo di carte in
mano.
Gli
rese la bottiglia che lui afferrò e terminò di
bere, per poi poggiarla con
cautela e precisione sul muretto. Subito un ragazzo dai capelli
all’aria, tutti
spettinati, saltò giù.
-Scommetti
che la prendo al primo colpo?- propose alla compagnia.
-See...-
gli fecero eco tutti, scettici.
Lui
controllò con la suola un pallone vecchio e consumato, poi
lo calciò malamente,
mandandolo fuori traiettoria.
-Che
mira!- lo scherzò Paola, seduta sulla panchina accanto
all’amica. Dopo che i
ragazzi ebbero sfottuto lo spettinato, si alzarono.
-Noi
andiamo. Vieni?- domandò la ragazza all’amica
bionda.
-No,
rimango qua-
-Ok
ciao-
Davide
guardò Francesca avvicinarsi a lui e sorrise, iniziando a
dare le carte.
-Uffa
ho voglia di un’altra birra...- disse piano lei, sorridendo
al ragazzo,
invitante.
Lui
scosse la testa, senza abboccare.
-No
basta. Ti fanno male poi-
-Ma
che dici? Eddai, per favore-
Afferrò
le sue tre carte con una mano e non smise di guardarlo.
-No,
e gioca, tocca a te per prima-
Francesca
lo batteva in ogni singolo gioco a cui si sfidassero, carte, scacchi,
dama;
l’unica cosa che non avevano provato era la briscola, e lui,
deciso a batterla,
ci si stava mettendo d’impegno.
La
bionda stava seduta di fronte a lui, concentrata sulle carte che aveva
in mano,
e ne buttò in campo una. Era un sette di bastoni.
Davide
gettò un due di denari, concedendole quelle due prime carte.
Ma
non furono le ultime che le concedette. Costretto a darle
l’asso di spade e il
tre di denari, prese la sua rivincita giocando l’asso di
coppe, la briscola, e
guadagnando un tre di bastoni.
-Dai,
me la compri una birra?- chiese ancora supplichevole.
-No,
ti fa male-
-Perché?-
Lei
giocava carte apparentemente senza pensare, mentre lui era
concentratissimo.
-Fa
male al bambino- rispose senza troppo entusiasmo, calando un'altra
carta.
La
bionda sbuffò, ma si consolò giocando
perfettamente l’ultima mano.
Davide
lasciò andare le carte che aveva vinto, rinunciando a
contare i punti, sapendo
già che aveva vinto la ragazzina.
Questa
non fu soddisfatta finché non ottenne il punteggio preciso e
schiacciante.
-Un’altra,
Davi-
-Oh
e non rompere...- mugugnò lui, sdraiandosi e chiudendo gli
occhi.
-Strip
poker?- propose maliziosa, avvicinandosi.
-E
fammi dormire- brontolò seccato, mettendosi un braccio sugli
occhi.
-Paura,
eh?- sogghignò, mischiando le carte e avvicinandosi.
Lui
storse il naso ma non rispose.
A
Francesca piaceva stare lì, seduti fino a tardi, senza dire
niente o fare
niente, ad aspettare che arrivasse la mezzanotte per ritirarsi. Il
parco era
frequentato da coppiette che insieme si divertivano a sfottere, di
ragazzi
simpatici che giocavano a carte con loro, e che venivano puntualmente
battuti,
e da anziani, bambini, tutti gettati nel parco a cercare un
po’ di riparo dal
caldo.
Davide
era capace di dormire per tutto il tempo, stando seduto su quella
panchina a
sonnecchiare e di tanto in tanto a partecipare pigro alle partite.
Stava
attaccato a quella birra per un po’, poi la offriva alla
ragazzina e se la
riprendeva. Passavano così le loro serate.
Aveva
conosciuto un po’ dei suoi amici, tutti maschi eccetto Paola,
e qualche volta,
come quella sera, si fermavano a giocare con loro. Francesca aveva
spiegato,
mentendo, che lei e Davide erano amici da tanto tempo, e loro lo
avevano
accettato senza troppe domande.
Agli
amici del giro delle carte, Davide aveva detto che era un po’
come una
sorellina, che si portava dietro a giocare per non farla annoiare.
Insieme alle
carte, le avevano insegnato a bere le marche di birra migliori, ed era
diventata l’unica femmina del gruppo, rispettata dai maschi.
Anche
perché a carte era imbattibile.
Francesca
non era l’unica ad aver cambiato qualcosa. Anche Davide si
era messo d’impegno
per mettere una svolta nella sua vita, e combinare qualcosa di buono.
Aveva
lasciato il lavoro al bar, e da un paio di settimane andava ogni due
giorni a
frequentare un corso per ragionieri.
La
ragazza bionda stava guardando la tv, quando sentì rumore di
chiavi e dei passi
verso l’ingresso. Era troppo tardi perché lui
stesse andando al bar, ed era
troppo presto perché stesse per uscire fuori, al parco
solito. Anche perché in
quel caso avrebbe portato anche lei. Si coprì la pancia in
eccesso che usciva
fuori dalla maglietta e si tirò su a sedere.
-Dove
stai andando?- domandò.
Davide
si strinse nelle spalle, nascondendo le chiavi.
-Da
nessuna parte-
-Ma
chi vuoi fregare? Dai, dove vai?- lei sorrise furba e si
alzò in piedi, andando
verso di lui. Il ragazzo non voleva dirle del corso, perché
aveva paura di
essere preso in giro.
-Da
nessuna parte, vado a comprare un po’ di cose- disse svelto.
-Mmm-
lei si morse un labbro e scosse la testa.
-Allora
perché hai lasciato il portafoglio sul mobile?-
domandò trionfante e
strafottente, indicandolo.
Lui
arrossì, ma si riprese subito.
-Eh,
che sbadato! Grazie- lo prese e le sorrise, andando verso la maniglia.
Ma
Francesca non era intenzionata a smetterla e soprattutto una bugia
così
evidente non l’avrebbe mai bevuta.
-Io
lo so che succede...- sentenziò, sapendo che lui si sarebbe
fermato.
Così
fu infatti e Davide impallidì osservando la ragazzina.
-Davvero?-
domandò, chiaro ed inequivocabile segno che nascondeva
qualcosa.
-Sì
sì-
Lei
lo guardò bene dritto negli occhi, sapendo che lo metteva in
imbarazzo.
Indossava una larga maglietta azzurra, adatta a coprire la
rotondità che si
andava formando sul suo ventre.
-Hai
una fidanzata!- salì sulle punte per dargli un pizzico lungo
sulla guancia.
-No...-
il ragazzo sorrise di sollievo e la spinse via piano.
-Com’è,
com’è? Ci sei già andato a letto? Me la
fai conoscere?- cominciò a sparare
domande a destra e a manca, e lui, per eluderle, uscì di
casa.
Ma
perché doveva essere tanto testarda? Se poi anche avesse
avuto una ragazza,
sorrise fra sé, non le avrebbe mai fatto conoscere lei.
Lei... beh, sarebbe
stata sicuramente un impiccio alla relazione. Non credeva che ad una
ragazza
piacesse sapere che il fidanzato viveva con una che era incinta di lui.
Non
parlavano mai del bambino nemmeno ora che si erano riappacificati, e
Davide
supponeva che la bionda ancora facesse fatica ad accettarlo.
Le
stava cominciando a crescere la pancia. E come per reazione, lei si
ostinava a
nasconderla; mentre prima indossava indumenti che le aderivano
perfettamente al
corpo, ora a volte prendeva in prestito sue magliette. Davide non era
stupido e
poteva capire perfettamente il suo disagio, provocato
dall’improvviso
cambiamento nel suo fisico, ma non riteneva che si dovesse sentire per
questo
inferiore ad altre ragazze. Anzi, pensò arrossendo
leggermente, era il
contrario.
Quando
dopo un bel po’ tornò a casa, scoprì
che la su curiosità non si era placata.
Dal momento in cui varcò la porta d’ingresso a
quello in cui si gettò morto sul
letto, non smise di bombardarlo di domande.
-Allora
com’è andata? È carina? L’hai
portata a mangiare fuori? Hai già conosciuto la
sua famiglia? Da quanto tempo state insieme? L’avete fatto?
È mora, vero?-
-...Smettila-
mormorò con la voce ovattata dal materasso, girandosi verso
destra.
Francesca
gli strisciò vicino come fa un gatto, sdraiandosi di fianco
in modo da
guardarlo negli occhi.
-Dai
me lo dici come si chiama?- chiese piano, con voce invitante.
Lui
avrebbe anche potuto reggersi il gioco solo per il gusto di vedere
quanto si
sarebbe spinta in là e cosa veramente volesse sapere, ma non
ci riuscì.
-Non
si chiama perché non esiste- mugugnò stanco,
desideroso di levarsela dai piedi.
-Non
ci credo-
-E
non ci credere- esalò il ragazzo stanco, girandosi a pancia
in su.
La
bionda stette a contemplarlo per un po’, riflettendo sulla
situazione. Era convinta
che avesse una fidanzata anche da prima che lo sorprendesse ad uscire.
E aveva
anche le prove.
-Sì
che ce l’hai una fidanzata. Si nota- insistette.
Davide
sbuffò seccato, e decise che se non le avesse risposto in
modo esauriente, non
avrebbe mai smesso.
Si
voltò dalla sua parte, di fianco e senza entusiasmo.
-E
perché si nota, sentiamo?-
-Be’,
tanto per cominciare ti vesti molto meglio- disse con tono saputo lei,
appoggiando la testa al braccio.
-Poi
ti fai la barba poche volte, perché finalmente hai capito
che con un po’ di
quella sei molto più bello- proseguì noncurante
del suo imbarazzo: infatti a
queste sue ultime uscite lui si era fatto rosso, sorpreso. Significava
forse
che lo guardava?
Notando
il suo rossore lei si avvicinò di più, facendo
apposta un po’ di scena.
-Perché,
non è vero? Scommetto che preferiresti che ci fosse lei al
mio posto, vero?
Così le daresti un bacio- disse guardandolo provocante e con
quanta più
strafottenza riusciva a mettere insieme nelle sguardo.
Davide
arrossì di più, ma non era affatto
perché lei aveva scoperto il suo segreto,
dato che non ne aveva. Erano forse quelle parole a farlo imbarazzare,
pronunciate poi con quello sguardo e quel tono saccente. Forse non era
la bella
ragazza della porta accanto a farlo arrossire, ma la ragazzina incinta
che ora
lo stava guardando negli occhi in quel momento. Il ragazzo
capì in tempo che
doveva tirarsi fuori da quella situazione in fretta se voleva
conservare un po’
di dignità.
-Ma
io non ce l’ho la ragazza- ripeté per
l’ennesima volta, scivolando via dalla
situazione scomoda. Francesca non si arrese.
Rimase
nella posizione di prima, e guardandosi le unghie smaltate disse
-Mica
sarà ancora quella Silvia? E a proposito, non mi porti
più al bar?-
Davide
sorrise spostandole la testa bionda con una mano, buffamente.
-Silvia
è solo una gran pu**ana-
-L’hai
capito finalmente- commentò svelta lei, guardandolo da sotto
in su bene dritto
negli occhi.
Lui
la guardò che si sdraiava, e nel farlo vide la maglietta che
indossava alzarsi,
e da sotto comparire una pancia rigonfia e rotonda, non di molto ma
certamente
non normale. Ad un’occhiata si sarebbe capito subito che non
era grasso quello.
Si
ricordò che gliel’aveva detto, un po’ di
tempo fa, che Silvia se la faceva con
Bruto. Ma lui non le aveva creduto.
-Vuoi
capirlo o no che non ce l’ho la ragazza?- domandò,
sperando di farla smettere.
-Bugiardo-
-Ma
è vero-
-E
allora dove sei andato stasera?- tornò alla carica
guardandolo scettica.
Che
seccatura, pensò fra sé il ragazzo. Decise, per
evitare altri interrogatori da
sfinimento, di dirle la verità.
-A
scuola-
-Se-
commentò sarcastica, facendo schioccare la lingua.
-Veramente.
Guarda-
Davide
si alzò, scese dal letto e prese un quaderno posato sul
comodino,
porgendoglielo.
Francesca,
prima dubbiosa, lo prese in mano e lo aprì; poi subito dopo
lo guardò
perplessa.
-Che
sarebbe stà roba?-
-Matematica,
non si vede?-
Lei
stupita sfogliò le pagine. Erano tutte scarabocchiate da una
penna nera, in
alcuno punti da frasi scritte con grafia piccola e lunga, nella maggior
parte
invece da equazioni, funzioni, grafici e bilanci. Che ne occupavano
almeno i
due terzi. Lei si fermò su una semplice equazione di
matematica finanziaria,
osservandola. Guardava corrucciata i numeri, le x, il delta complicato.
–Hai
sbagliato- disse sicura, dopo averci riflettuto un po’.
-Sì?
E tu che ne sai?-
-Stupido
guarda...- gli sbatté il quaderno sotto il naso
così vicino che non riuscì a
leggere e dovette allontanarlo
-Cretino,
guarda qua-
Adorava
essere nel giusto sugli altri e non esitava a primeggiare quando poteva
permetterselo. Lui si strinse nelle spalle larghe e prese una penna,
correggendo l’errore e scherzandola con finto tono sprezzante
-Ah
adesso è arrivata la genietta-
Per
tutta risposta si beccò un pugno sulla spalla.
-Non
chiamarmi così-
Aspettò
un po’ prima di dirlo, ma si decise, senza guardarlo in
faccia.
-Allora
non ce l’hai la fidanzata?-
-L’hai
capito finalmente- sorrise lui, restituendole la battuta di prima.
Aveva
un’altra cosa da dirle, e gli sembrò che fosse il
momento adatto.
-Devo
dirti una cosa importante- confessò guardandola.
Lei
alzò la testa dal quaderno e ricambiò
l’occhiata; dal modo in cui piantò le
iridi azzurre nelle sue verdi si intuiva che aspettava qualcosa di
veramente
importante. Lo era, ma forse non era quello che si aspettava lei.
-Come
sta tuo padre?-
La
ragazza fu così delusa che piegò d’un
tratto la testa da un lato, chiudendo gli
occhi e sorridendo.
-Boh.
Chi se ne frega?-
Ma
la domanda la mise a disagio, perché chiuse il quaderno e
scivolò giù dal
letto.
Davide
aveva capito e sapeva che in fondo, anche se con le persone che non le
piacevano voleva mostrarsi così, non era cattiva e
menefreghista. Anche lei
aveva i rimorsi e la coscienza, perciò il ragazzo
pensò di far leva su quello
per convincerla di fare la cosa giusta, così come aveva
fatto col bambino.
Infondo
avrebbe fatto bene sia a lei, che a suo padre.
-Sì
sì. E allora perché hai la sua foto?-
cominciò, sorridendo sornione e
guardandola curioso della reazione.
Come
prevedibile quella fu violenta.
-Oh
senti! Ce l’ho perché mi scoccia a togliermela!-
-Sì
certo, come no- proseguì strafottente.
L’avrebbe
fatta esplodere, e lo sapeva. Era quello che voleva. Francesca era un
concentrato di emozioni e pensieri e sensazioni che venivano trattenute
a forza
in una morsa. Quando per un qualche motivo queste venivano liberate, la
reazione era certamente, nel bene o nel male, esplosiva. Che si
trattasse dei
sentimenti che provava per un ragazzo o di una tirata contro qualcuno,
c’era da
star sicuri che sarebbe esplosa.
Infatti,
come previsto, lei si avvicinò rabbiosa, facendo una smorfia.
-Senti
non cominciare, eh? Non iniziare a rompere i co*****i-
Davide
sorrise storto guardandola negli occhi per nulla preoccupato, anzi
piuttosto
tranquillo.
-Non
essere volgare. Lo sai che non mi piace sentirti dire queste cose-
-Ah
perché ora sei te che mi dici cosa devo e non devo fare?-
sbottò, infiammandosi
nel vero senso della parola, perché diventò rossa.
-E
sennò chi te lo dice?-
-Nessuno.
Io faccio quello che mi pare-
Lui
sapeva che ciò che stava dicendo era dettato solo
dall’irruenza e dall’orgoglio
del momento. La bionda, se stuzzicata in temi che non le piacevano,
poteva
benissimo rispondere male e ferire le persone. Ma lui aveva imparato
che quello
che diceva durante le sue incavolature era limitato al momento. Ovvero,
una
volta sbollita la rabbia spesso si rimangiava le parole ed era
costretta a chiedere
scusa. Non che quello che dicesse fosse una balla tanto per ribattere.
Ma
quando l’istinto prendeva il sopravvento, diceva cose
ingigantite che al 70%
non pensava.
-Ti
manca. Ti manca tanto-
Francesca
adottò la tattica dell’indifferenza e
provò a cambiare discorso.
-Allora
vai ad un corso per ragionieri? Quanto dura?- domandò.
-Due
mesi. E comunque dai, ascoltami per una buona volta! Sempre di testa
tua devi
fare, permalosa- la derise sperando in una reazione.
Okay,
aveva lanciato la bomba.
Tre.
Francesca
alzò la testa finora rimasta fissa sul lenzuolo verso di lui.
Due.
Lo
guardò con i suoi occhi azzurri stringendo le palpebre.
Uno.
Prese
fiato respirando lentamente.
Boom.
-Tu,
brutto idiota!- si lanciò (non in senso figurato) contro il
povero malcapitato,
tirandogli colpi dove riusciva ad arrivare. Poi si fermò per
proseguire il suo
discorso.
-Imbecille,
deficiente, sfigato. Ma vai a quel paese, vacci e muori!-
Davide
osservò incredulo la sua reazione.
-Non
ti permettere di dirmi così capito? Che a me non mi comanda
nessuno. E
tantomeno tu, cretino stupido! Ma vai affan...-
Non
poté finire la parolaccia perché lui le
tappò la bocca con una mano; sotto le
sue mute proteste le si avvicinò.
-Shh,
zitta...- anche la sua voce si spense prima di finire la parola.
Francesca
non si era resa conto di aver alzato di parecchio la voce durante il
suo
monologo. Ora come se d’improvviso quella tempesta si fosse
placata, il
silenzio calò nella stanza. Erano inginocchiati sul letto
l’uno di fronte
all’altro, la mano di lui che ancora le copriva le labbra.
Lentamente
la tolse guardandola divertito negli occhi.
-Cosa
urli? Io sto qua, mica dall’altra parte del mondo- disse, e
il suo tono basso e
ridente contrastava con l’espressione imbronciata della
ragazzina.
-Parliamo
come due persone civili, d’accordo? Stai buona-
Lei
lo guardò dritto negli occhi verdi, e fece scivolare le sue
braccia prima giù,
poi incrociate al petto.
-E
poi, ti pare il caso di insegnare queste parole al bambino?- aggiunse
con un
principio di sorriso lui. La bionda non avrebbe voluto ricambiare,
perché
orgogliosa voleva averla vinta e litigare, ma vedendo la sua faccia un
angolo
della bocca le si arricciò in su, sciogliendo
l’espressione dura che aveva.
Davide
sorrise, e anche lei lo fece, incapace di continuare a tenergli il muso.
-Finito
l’uragano?- domandò piano.
Francesca
non badò più al fatto che si era arrabbiata con
lui; le piaceva il modo in cui
la stava guardando.
-Sì
ma se non stai attento torna-
Siccome
prima erano inginocchiati, si sedettero a gambe incrociate, sempre
l’uno
davanti all’altra.
-Perché
non vai a parlare con tuo padre?- cercò di invogliarla.
-E
perché devo scusa? Poi lui non è mio padre-
Prima
di continuare lui la osservò con un minimo di rimprovero
scherzoso negli occhi.
Poi la buttò sullo sfottò.
-Anche
se vuoi fare tanto la figa...- sorrise sornione -...io lo so che ti
manca. E ti
manca pure tanto. Io ti posso fare da amico, da chef, da fratellone, ma
il
papà... tu ce l’hai ed è lui-
-Ah
perché, tu m’avresti fatto da fratello?-
deviò l’argomento scherzando la
bionda.
Il
sopracciglio alzato di lui la fece sbuffare seccata.
-Uffa
ma che ti devo dire? Lui a me non è mai piaciuto-
Davide
roteò gli occhi in un gesto esasperato.
-Allora,
lo so che non sei sciocca. Lo sai che alcuni bambini adottati finiscono
fra le
mani di uomini orribili? Che non gli vogliono affatto bene? Tu sei
fortunata-
-Non
mi pare-
-Tuo
padre ti ha sempre fatta contenta- proseguì sicuro di
ciò che diceva –non ha
manco fatto resistenza quando te ne sei andata di casa-
Lei
ricordò uno schiaffo, il primo che le avesse mai dato, e una
frase lapidaria
pronunciata con cattiveria.
Tu
non sei mio
padre.
Caspita,
ci voleva un bel coraggio a dirglielo in faccia, pensò fra
sé, del tutto
dimentica del ragazzo che stava davanti a lei. Sorrise come
un’ebete,
ricordandosi la mattina del suo sedicesimo compleanno.
-Non
voglio
alzarmi!- protestò una testa bionda, rinfilandosi sotto le
coperte calde e
morbide, al riparo dal freddo.
-Dai
andiamo. Hai
sedici anni e ti comporti come se ne avessi sei!-
-Esatto.
Ancora non
vado all’asilo io!-
Damiano
sorrise e
d’un tratto scoprì il letto, privandolo delle
coperte, e alzando la serranda
lasciò che i raggi del sole ormai sorto penetrassero nella
stanza e sbattessero
sul volto di lei.
Francesca
borbottò
proteste vane, che non vennero ascoltate.
L’uomo
si sedette
sul materasso, vestito di tutto punto e pronto per l’ufficio,
e le spinse un
qualcosa sotto il cuscino.
Francesca
sbatté il
naso, arricciandolo, contro qualcosa di duro e questo la convinse ad
alzare il
capo. Damiano sorrideva e lei andò alla ricerca di
ciò che le aveva dato
fastidio. Era una scatola impacchettata.
-Tanti
auguri a te,
tanti auguri a te, tanti auguri Francesca...- canticchiò
piano lui, dandole un
bacio sulla testa. Lei si rizzò a sedere, e vergognandosi
ormai delle sue
forme, si nascose sotto il pigiama.
-Per
me? Grazie-
sorrise scartandolo. Un cellulare nuovo, ultima generazione.
-Ti
piace? Ho
scelto il più leggero, il migliore-
-Grazie
Damiano-
disse contenta, abbracciandolo sciogliendosi in un sorriso raro ma
grato e
sincero.
Francesca
si toccò la tasca e ne fece scivolare fuori un cellulare un
po’ ammaccato. Lo
guardò a lungo. Davide in tutto quel tempo che aveva
riflettuto era stato
zitto, osservandola incantato mentre guardava l’oggetto. Ma
chissà a che stava
pensando, quella testa bionda.
Sorrise
quando la vide in qualche modo combattuta.
Se
una parte di lei rivendicava l’orgoglio, i presupposti
egoisti e i principi che
si era imposta, l’altra, ormai provata da tante cose,
scaldata dalle parole che
aveva detto il ragazzo prima, non riuscì a trattenere la
nostalgia, e
l’improvviso dispiacere. Triste guardò Davide, che
sembrò capirla.
-Decidi
tu- disse.
Ma
sapeva che almeno qualcosa aveva smosso. Com’era difficile
quella ragazzina,
così testarda!
-Non
lo so- disse, guardandolo incerta e facendo una smorfia.
Se
aveva detto così significava che ci stava pensando,
rifletté Davide compiaciuto
che quella discussione fosse andata a buon fine. Anche se avevano delle
discussioni ogni tanto e in quelle l’indole arrabbiata di lei
usciva sempre
fuori, il ragazzo aveva imparato come prenderla, come riuscire a
calmarla. Non
era poi così difficile, una volta capito il trucco.
Le
diceva di star buona, e lei ci stava, dopo aver sfogato la rabbia
iniziale.
-Allora
dov’è che sbagliavo?- domandò,
porgendole il quaderno.
Un enorme grazie a chi
segue la storia, l'ha messa nei preferiti, e a chi l'ha recensita.
GinTB: "Testarda di una
ragazza..". Una sintesi perfetta della personailtà di
Francesca, pronunciata con un sibilo di disapprovazione.
Dunque, rigraziamo la tua
curiosità che ti ha trattenuta dal cliccare sulla x rossa a
destra. Ho letto il tuo profilo e credo che tu e lei siate piuttosto
simili, se non di più. Grazie per i complimenti, non ti sei
dilungata troppo, anzi, m'ha fatto molto piacere la tua recensione.
FeFeRoNZa: dunque,
facciamo due rapidi calcoli... tu adori Davide, che è molto
(se non di più, con i diritti e i copyright) ispirato al
sottoscritto, perciò... Cos'è, una proposta di
matrimonio?
...e ora chi lo dice a
mia madre? Ma soprattutto... chi lo dirà a Francesca? Mi
ucciderà. Ah, che seccatura...
Scherzi a parte, sono
felice che ti sia piaciuto il capitolo e il modo in cui si è
comportata Francesca.
Rebellious_Angel: ti
ringrazio molto per i complimenti. In effetti anche la mia prof
d'italiano dice che ho un grande "potere di sintesi" e sono molto
"ermetico, ma scorrevole". Lei pensa di farmi rodere di rabbia ma non
sa che ne vado molto fiero, alla faccia sua. Grazie ancora, complimenti
molto graditi.
vero15star: Cosa
intendeva Davide con 'Non farlo più'? "Piangere,scappare
via,aver intenzione di uccidere il bambino". Ti sei risposta da sola.
Jiuliet: dannazione, no.
è banale? è banale, dimmi la verità.
Io detesto essere banale e scontato. E non ti preoccupare se ti sembra
di essere ripetitiva, mi hai già detto tutto quello che mi
basta. Grazie.
MissQueen: Salve
fanciulla! Certo, hai ragione, è proprio quello che serviva
a Francesca, e anche lei lo sapeva. Un bacio? Un abbraccio? Ovvio,
sì che stai sognando... Non ti prendo affatto per
un'insensibile, se hai ritenuto giusto farlo tanto basta. Dopotutto mi
pare che l'insensibile sia stato lui. O sbaglio?
Marty McGonagall: mi
spiace, mi sa che devi riporre il kit da ultras della Curva Nord, ma ti
prometto che potrai usarlo in tempi migliori. Buonasera a te, Martina!
Che bello, mi sono
proprio "scialato" a leggere la descrizione del comportamento di
Francesca, perchè è corretta, ed è
gratificante quando qualcuno sa cogliere quello che vuoi comunicare.
Grazie per gli auguri, spero tu abbia passato una buona Pasqua.
bribry85: grazie per la
recensione, grazie dei complimenti, se poi ti va di dirmi
perchè ti piace tanto, ne sarei anche più felice.
Ma va bene così.
Devilgirl89: sesto senso
oppure era così scontato? Spero per la prima. Sono contento
che Francesca inizi a piacerti. "Sì, perchè tu
sai la verità!". Sembrava tanto una minaccia... scherzo.
Grazie. Mr X fa tanto fighetto con gli occhiali da sole, ma preferisco
il mio vero nome. Io e il camposcuola familiare (a cui tra l'altro sta
per aggiungersi un nuovo pargolo) ti ringraziamo per gli auguri.
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
g
Giugno
era scivolato via liscio, veloce e rapido senza inconvenienti, anzi
alternando
piacevoli momenti ad importanti svolte. Luglio fu anche meglio, a parte
il
caldo che implacabile iniziava a farsi sentire.
La
loro vita di convivenza si manteneva su un rapporto stabile, dettato da
regole
ben precise: ognuno dei due conosceva la vita dell’altro, ma
non vi si
intrometteva, non si impicciava e non faceva domande strane. Davide di
tanto in
tanto la stuzzicava un po’ su suo padre, ma perché
pensava che fosse l’unico
modo per convincerla a farci pace. I primi mesi non aveva detto nulla
perché
non erano proprio amiconi, anzi, ma ora che iniziavano ad affiatarsi di
più,
doveva dirglielo. Non stava bene che non parlasse con suo padre, e che
addirittura non lo considerasse tale.
-Ma
a te cosa importa?- domandò nervosa.
-è
giusto così, per te. Lui è tuo padre, e gli vuoi
bene-
-Ti
sbagli, a me non importa nulla di lui- ribatté ostinata,
incrociando le braccia
e guardandolo torva.
-Sì
che ti importa- insistette lui.
Francesca
lo guardò per un attimo lungo, facendo incrociare i loro
occhi. Preparava una
discreta contromossa, a quanto pareva.
-E
tuo padre?-
-Cosa?-
domandò il ragazzo distratto, chiamato in causa.
-Sì,
tuo padre. Non mi parli mai di lui- disse osservando la strana reazione
che
aveva avuto.
Davide
distolse lo sguardo, portandolo a terra; si appoggiò allo
schienale del divano,
incrociando le braccia e facendosi cupo.
-Non
ne voglio parlare- disse.
La
bionda notò il suo turbamento improvviso, ma questo,
nonostante fosse insolito
per Davide, non le impedì di rinunciare al suo vero scopo.
-Allora
se non me lo dici io non faccio proprio un bel niente-
-Cosa
dovrei dirti?-
-Di
tuo padre-
-Non
ho alcuna intenzione di parlarne con te- ribatté scorbutico.
-E
allora io non vedo perché dovrei fare una cosa solo
perché me la dici tu-
replicò la ragazza.
Entrambi
si guardarono male, poi distolsero lo sguardo, irritati ognuno nel suo
modo.
Lui perché lei gli aveva risvegliato brutti ricordi, lei
perché lui non aveva
ceduto e si era arrabbiato.
Per
il bene del quieto vivere, tralasciarono l’argomento,
promettendosi di
riprenderlo in tempi migliori.
Una
fotografia annerita con delle macchie bianche era sospesa a
mezz’aria,
reggendosi solo alle due dita del dottore.
Questo
stava mostrando a Francesca, stesa come ogni mese sul lettino, la prima
fotografia del suo bambino.
-Volete
sapere se è un maschio o una femmina?-
Davide
stava per rispondere di sì, ma la bionda scosse subito la
testa.
-No
grazie. Non mi interessa- disse –allora va tutto bene?-
-Perfetto.
Sta così comodo che un altro po’ ci può
mettere la tv e il divano là dentro-
Questa
voleva essere una battuta mirata a sdrammatizzare, ma nessuno colse
l’ironia.
La
bionda si sedette, il camice che non riusciva a coprirle le gambe
lisce. I
capelli biondi le cadevano scomposti sulle spalle, alcuni ciuffi sul
volto
anche, e le due braccia che si poggiavano sul lettino erano
anch’esse scoperte.
Alcuni bottoni della camicia erano aperti, solo quelli sulla pancia per
permettere l’ecografia.
Davide
non voleva davvero guardarla, ma gli fu impossibile.
Osservò
come se non avesse mai visto nulla del genere le gambe nude di lei che
parlava
interessata col dottore; risalì lentamente, come se la
vedesse in un filmato,
con la musica pure, fino ad arrivare a quei bottoni aperti.
Da
sotto faceva la sua bella mostra un piccolo pancione rigonfio; era
perfetto:
rotondo, liscio, morbido almeno all’apparenza. Ormai non
potendolo nascondere,
era stata costretta ad accettarlo. Forse ci aveva provato, ma la
ragazzina non
ci era certo riuscita.
Ma
i suoi occhi proseguirono la tournée salendo ancora
più su.
Non
era mai stato un maniaco, uno di quelli che si dilettano su Red Tube,
con i
giornaletti e i filmati. Certo non era mica un ingenuo ignorante,
qualcuno se
l’era pure visto, ma non era tipo da certe cose.
Ma
ora il suo assopito istinto si riaccese come un fuoco, e dalle ceneri
si
infiammò più potente di prima. Erano cambiate le
situazioni, e le cause.
Prima
lo faceva perché era quasi naturale, ora perché
semplicemente se n’era accorto.
Prima
la causa erano splendide modelle bionde, more, rosse; assolutamente
perfette,
ritoccate magari, ma che avevano il chissà quale potere
nello sguardo che ti
rimbambiva totalmente il cervello, e ti accendeva stimoli mai provati
prima.
Ora
la causa era una ragazzina. Una ragazzina bionda, testarda, scorbutica,
acida.
Ma Dio, che belle gambe che aveva.
Non
voleva pensare affatto male quando lo sguardo gli salì
più su della pancia.
Quest’ultima, chissà perché, invece di
fargli ribrezzo, lo eccitava parecchio.
Le guance gli si tinsero di rosso, e si riprese in tempo per notare che
lei gli
stava mostrando la fotografia.
Subito,
ma rimanendo rosso in viso, si sedette sul lettino per guardare.
Caspita, era
suo figlio quello!
Beh,
per il momento era un piccolo fagotto che dormiva, pensò
lui. Piccolo, bianco,
raggomitolato. Ma chissà se era comoda, la pancia.
Chissà se lui poteva
sentirlo.
In
quel momento, se avesse potuto parlargli, gli avrebbe detto
‘ehi, caspita che
bella mamma che hai’.
Francesca
purtroppo, furba e maliziosa, notò il rossore sulle sue
guance.
Non
disse nulla però.
Davide
nel frattempo, spostatosi di nuovo di fronte al lettino, riprese il
viaggio di
prima. Era arrivato a sopra la pancia. Preferì non
immaginare cosa ci fosse e
andò più su. Lei stava silenziosa, con una
smorfia concentrata e attenta sul
viso, e guardava il dottore, che le stava gesticolando e sorridendo. I
capelli,
come aveva visto prima, le stavano sciolti sulle spalle. Lui si
incantò e come
un flash arrivato all’improvviso, desiderò
trovarsi da solo, con lei e su quel
letto. Ma non per farle un qualsiasi caspita di esame, no. Il desiderio
tutto
nuovo di toccarla e di sentire da vicino il suo respiro, ma non
arrabbiato
invece ansante, lo investì in pieno.
Si
riprese ma non del tutto quando la vide alzarsi e recuperare le sue
cose,
dirigendosi verso la porta. La bionda si voltò accigliata,
tirandolo per una
manica.
-Ehi,
ci sei? Andiamo?- domandò.
-Eh?-
fece distratto, ma poi strinse la mano al dottore e la seguì
fuori.
Mentre
tornavano alla macchina, lei lo osservava sospettosa, notando che era
distratto
e assente.
Il
ragazzo cercava di scacciare quella imbarazzante fantasia di poco
prima; non
erano pensieri da farsi e totalmente inopportuni. Non provava nessuna
attrazione per lei, la considerava un’amica, ma allora che
significavano quei
pensieri?
-Davide
è tutto a posto?-
Si
sedettero nell’abitacolo, con lei che lo guardava strana.
-Eh?-
si accorse che lo stava fissando e arrossì.
-No
niente... pensavo...- liquidò l’argomento con
indifferenza simulata.
-Come
mai sei tutto rosso?-
-Boh.
Eh forse...faceva troppo caldo là dentro-
Il
che era vero, sotto alcuni punti di vista.
La
bionda non fece altre domande, ma continuò a tenerlo
d’occhio. Intanto aveva
altro a cui pensare: teneva fra le mani la piccola foto, la prova
concreta che
il bambino esisteva, come le ricordava ogni mattina lo specchio nel
quale si
guardava. E questo, implacabile, le restituiva un corpo ingrassato,
rotondo,
morbido e non più esile, aggraziato e piccolo.
Non
si piaceva più.
Prima,
quando usciva, camminava a testa alta sapendo che era bella, ma non per
vanità.
Si sentiva sicura di sé per quei mezzi, anzi doni, che la
natura le aveva
fatto. Ma ora, con quell’ingombrante peso che le gravava
sulla pancia, non si
sentiva a suo agio.
Aveva
iniziato a vestirsi più larga in modo da nascondere la
pancia anomala, ma ora
era così grande e sporgente che si vedeva lo stesso. Si
vedeva. Così anche se
aveva ripreso ad indossare gli abiti suoi consoni, si vergognava. Si
vergognava
terribilmente quando era costretta ad uscire e infatti cercava scuse su
scuse
per rimanere in casa. Sapeva che chiunque l’avesse vista con
quel pancione
l’avrebbe additata come una di quelle ragazze madri,
disprezzata e non le
piaceva.
Loro
non sapevano tutta la storia. Loro non sapevano nulla.
Eppure
si permettevano di giudicare.
Era
ormai una mamma da sei mesi inoltrati, e si avvicinava il momento. Da
quando
aveva deciso di tenersi il bambino si era un po’
più rilassata, ripetendosi che
ci voleva tempo. Un mese e più dopo, non la pensava allo
stesso modo. Il
momento si stava avvicinando, e lei aveva una paura matta.
Ma
non l’avrebbe ammesso per nulla al mondo.
Faceva
caldo, molto caldo e loro due erano nel letto. L’uno, vestito
solo di maglietta
e pantaloncini, dormiva sdraiato a destra, poggiato su un braccio, e
respirava
strano.
Francesca
era a sinistra, avvolta nel pigiama cortissimo e largo, e stretta fra
le
lenzuola. Guardava il soffitto, buio tranne per la luce soffusa e bassa
che lo
rischiarava. Si girò dalla parte del ragazzo, osservandolo
dormire. Aveva la
bocca schiusa e perciò ne usciva il respiro, pesante. Lo
invidiava da morire in
quel momento, lui addormentato beato fra le braccia di Morfeo, lei
infelice
insonne. Come detestava non dormire. Tutto era immobile e silenzioso e
per
quanto guardasse l’orologio quello non ne voleva sapere di
avanzare con le
lancette. Sbuffò, girandosi dall’altro lato. Non
poteva manco mettersi a pancia
in giù, e questo, anche se sembrava una sciocchezza, era un
sacrificio pesante.
Si
tormentò un poco i biondi ciuffi che aveva sulle spalle.
Ricordava
che una volta un ragazzo le aveva affibbiato un buffo soprannome per
via dei
suoi perenni fermagli. Ma che poteva farci? Quei dannati capelli la
tormentavano in qualsiasi modo se li aggiustasse.
Rassegnata,
li lasciò andare e la sua mano scivolò lenta fra
le lenzuola. D’un tratto
avvertì un piccolo crampo alla pancia.
Sorrise
divertita, poi si toccò la pancia con le mani.
-Manco
tu riesci a dormire?-
Scosse
la testa, sorpresa dall’assurdità della sua
azione, e si sdraiò meglio. Sarebbe
molto meglio, almeno per me, se non ci fossi bambino, pensava.
Di
pensiero in pensiero, andò stranamente a ricordare la dedica
che Paola le aveva
fatto su un foglio.
Davide&Francesca=love4ever.
Non
seppe mai come, ma in qualche modo chiuse gli occhi e senza pensarci si
addormentò.
Sognò
un sogno strano. Sognò Bruno, sognò Elena, e
anche il suo professore di
matematica. Sognò una sala d’ospedale buia, e un
medico che le apriva le gambe
con forza. Sognò Damiano che le urlava contro, e un
corridoio lunghissimo che
non era altro che lo stesso del suo orfanotrofio. Lei correva e ad un
certo
punto, aperta la porta vide...
Non
ricordò cosa avesse visto, ma si spaventò tanto
da svegliarsi di soprassalto.
Si
drizzò a sedere, sudata e ansimante, con un scatto
così veloce che sorprese
anche il silenzio. Non urlò né gridò,
ma il movimento fu così brusco e il suo
respiro così forte e spaventato nel buio della stanza che
anche Davide si
svegliò.
-Oddio...-
mormorò, capacitandosi che era stato un sogno, lei.
-Che
c’è?- mugugnò assonnato lui,
rivoltandosi. Si protese in avanti, i capelli
tutti arruffati e gli occhi pesanti.
-Che
hai, Fra?- domandò mezzo addormentato guardandola.
-Un
brutto sogno- disse piano la ragazza, riprendendo un respiro regolare.
Poi
lo guardò, tutto assonnato e con gli occhi chiusi come se
fossero pesti
continuava ad osservarla, a metà fra la preoccupazione e
irritazione di essere
stato svegliato.
-Dai
dormi...- fece, rituffandosi fra i cuscini, affondandoci la faccia. La
sua mano
si poggiò sulla sua spalla, tirandola giù, e
scivolò giù verso la mano. La tirò
a sdraiarsi senza mollare la presa, e prima che se ne rendesse conto si
era già
riaddormentato.
Francesca
si ristese, appoggiandosi stanca e con la fronte sudata contro il
cuscino. La
sua mano era chissà come tenuta distrattamente fra quella di
lui.
Si
addormentò subito.
Francesca
aprì gli occhi poche ore dopo, stanca e seccata
perché non aveva dormito molto
quella notte. Guardò l’orologio ed erano le sette
e mezza. Abbastanza tardi per
potersi finalmente alzare da quel letto. Mosse la mano che stava
poggiata su
quella di lui, che ancora dormiva, e la sfregò sul suo
palmo. Lo guardò
dormire, aveva gli occhi chiusi e il corpo gli si abbassava
ritmicamente
scandito dal respiro.
Lei
si mise su un fianco, verso di lui, e gli prese la mano nella sua,
intrecciando
le loro dita. Ancora assonnata, si sdraiò sul cuscino
bagnato e chiuse gli
occhi. Come faceva a dirgli che Damiano le mancava, le mancava tanto e
che
aveva ragione lui? E soprattutto che non aveva la minima idea di che
cosa fare?
Lo
guardò a lungo senza paura di essere scoperta.
Lui
faceva sembrare tutto così facile e tranquillo; da quando lo
aveva conosciuto,
senza forse rendersene conto, le aveva risolto moltissimi problemi che
altrimenti
sarebbero rimasti perennemente irrisolvibili. E si fidava a confidargli
le sue
emozioni, i suoi pensieri, perché sapeva che avrebbe saputo
dargli buoni
consigli. Ciò che le piaceva di lui era il fatto che la
sapesse ascoltare e poi
dopo non abbandonarla lì così, indifferente.
Tutti gli altri, conoscendo la sua
indole facilmente infiammabile, la assecondavano nella maggior parte
delle
cose, quelle difficili e complicate, facendole credere che aveva
ragione per
non incappare nella sua ira. Davide non si era fatto problemi a dirle
veramente
cosa doveva fare, a consigliarla nel modo giusto. Lei, testarda, i
primi tempi
non gli voleva dar retta per niente, ferma nella convinzione di avere
ragione.
Ma poi, da quando avevano litigato e se n’era andata, si era
accorta che
seguendo quello che le diceva le cose andavano meglio, per lei e per
gli altri.
Sapeva
consigliarla bene, e lei si fidava di lui.
In
realtà non glielo diceva espressamente perché si
vergognava e poi aveva il suo
orgoglio, ma lo ascoltava molto.
Le
dava sicurezza.
Davide
non ricordò cosa avesse sognato quella notte, come spesso
gli succedeva, ma
sapeva solo, quando riprese coscienza, che era sudato e rotolato nel
letto.
Detestava quel caldo soffocante che regnava in città e
opprimeva il cielo come
una cappa. Alzò una palpebra, svogliato, e la richiuse. Poi
la riaprì, e anche
l’altra, stando per qualche minuto in stato di coma. Vedeva
solo le lenzuola
aggrovigliate e spostate, e poi la tenda che copriva la finestra. La
ragazzina
si era alzata. Lui si girò lentamente sull’altro
fianco, e poi la vide.
La
bionda era in piedi, vestita solo col pigiama davanti allo specchio, e
si
guardava attenta e seria. Il ragazzo aprì meglio gli occhi,
strizzando più
volte le palpebre, per distinguere meglio le figure.
C’era
un lungo specchio, attaccato alla parete, proprio affianco al letto, e
lì
Francesca si stava esaminando.
Sollevò
la maglietta del pigiama, scoprendo la pancia gonfia. Lei
sbuffò, girandosi a
destra e a sinistra per trovare un profilo che le andasse bene; ma a
quanto
pareva, non ne esistevano. Seccata e delusa, lasciò cadere
la maglietta sulla
pelle. Poi si guardò di lato per vedere di quanto sporgeva
la pancia. Si
notava.
Lei
scosse la testa, tastandosela infastidita di non poter fare nulla.
-Ma
cosa fai?-
La
voce arrochita e divertita di Davide le arrivò alle orecchie.
Arrossì
e lo guardò, smettendo di fissare il suo riflesso.
-Niente-
Lui
fece un gran sorriso divertito, e capendo che avrebbe iniziato a
sfotterla lei
aggiunse, tornando a guardarsi
-Sono
grassa-
Si
morse il labbro prima di sedersi sul pizzo del letto, lasciando cadere
le
speranze. Triste teneva piegata la testa di lato, fissandosi le gambe
che,
almeno, erano dritte e tornite come erano sempre state.
Si
sdraiò di schiena, mettendosi le braccia dietro la nuca.
-Non
sei grassa. Sarebbe strano il contrario- disse lui, alzandosi sui
gomiti per
guardarla.
-Parli
bene tu che sei uno stecco- ribatté lei.
Ma
il ragazzo non si scompose, tirandole scherzoso il cuscino. La ragazza
lo
afferrò e ci si nascose dentro.
-Stanotte
non hai dormito per niente. Ma a che pensavi?-
-A
niente- disse con voce ovattata.
-Sì
certo-
Francesca
si tirò a sedere e gattonò lenta fino ad arrivare
a lui, poi si appoggiò alla
testata del letto e lo guardò. Aveva le gambe rannicchiate
contro la pancia e
le mani a sorreggersi. Lui invece stava giù, sdraiato e
tirato su dai gomiti.
-Allora
stavo pensando a tutto- disse.
-A
tutto?- il ragazzo la guardò scettico.
Poi
si fece serio.
-E
raccontamelo questo tutto, dai-
Lo
aveva detto con quel tono di voce profondo, serio, maturo che tanto le
piaceva
e sembrava capace di sciogliere un iceberg.
-Mi
chiamo Francesca. E sono orfana di mamma e papà-
cominciò per scherzo lei
sorridendo.
Davide
si stese sul materasso, con le mani dietro la testa, in attesa di una
lunga
storia.
-Mi
ha adottato uno che si chiama Damiano- proseguì, poi
guardò lui, furba –ora tu-
-Io?
E che devo dire?-
-Tu
sai quasi tutto di me. Parlami di te-
Si
girò verso di lui, stando sempre seduta.
Si
guardarono negli occhi, ma non aprirono bocca; Francesca non voleva
perdere
l’occasione e insistette
-Tua
madre ha detto che hai una sorella-
-Sì.
Si chiama Miriam- rispose lui.
Quando
la vide sorridere capì che aveva fatto il suo gioco e allora
si rassegnò.
Cominciò a raccontare.
-Nella
mia famiglia siamo tre figli. Io, mio fratello e Miriam. Lei ha la tua
stessa
età, mentre mio fratello ne ha circa ventuno, mi sa-
elencò, contandoli sulle
dita.
-Si
chiama Rosario. Fa l’università adesso, a Roma-
-La
Sapienza?- domandò lei.
-No,
alla Cattolica. È una specie di genio. La mamma è
molto contenta di lui-
-E
tuo papà? Com’è?-
Davide
deglutì, lasciando in sospeso la frase. Poi si
ricordò che lei, la ragazzina,
era l’ultima persona a cui poteva dire di avere una vita
migliore. Mosso a
compassione, sorrise, ma un sorriso triste, e rispose.
-Mio
padre faceva il medico. Ha sempre pensato che uno di noi dovesse
seguire le sue
orme. Lui voleva che io andassi al liceo, ma di latino e greco io non
volevo
capirne nulla. La matematica era l’unica cosa che mi piaceva-
-Così
poi ho fatto la ragioneria. Papà non la prese bene, ma stava
attento a non
farsi vedere da me. Io ero bravino, a scuola. Poi però...-
-Però?-
incalzò Francesca.
-...poi
mio fratello andò al liceo. E allora iniziò a
prendere ottimi voti. I miei
scomparivano a confronto dei suoi. D’un tratto, andare a
scuola non mi piaceva
più. Anche se prendevo buoni voti, lui se ne arrivava sempre
con altri
migliori. E papà era più contento di lui-
-Poi
un giorno, io e papà litigammo. Litigammo di brutto. Io non
volevo andare all’università
a prendere medicina. Io volevo diventare un perito informatico o un
ragioniere,
come mio zio. Ma lui non voleva. Allora litigammo. Ci siamo detti tante
di
quelle cose, mia madre che ci diceva di stare zitti, mio fratello
studiava in
camera sua e mia sorella piccola ci guardava. Alla fine io me ne andai
in
camera mia, volevo andarmene via-
Davide
sorrise furbo d’un tratto prima di riprendere a parlare.
-Mia
sorella preferiva me. Dopo la litigata venne in camera mia; stava
seduta sul
letto e mi guardava mentre tutto incavolato cercavo le mie cose-
-Aveva
solo undici anni. Mi ha guardato e mi ha detto: “Non te ne
andare, altrimenti
mamma si mette a piangere”. Lo aveva detto così
convinta, così seria che le ho
creduto. Chiesi scusa a mio padre-
Il
ragazzo si interruppe, arricciando le labbra in una smorfia.
-Scusa-
sorrise alla ragazza bionda che aveva ascoltato in silenzio senza
battere
ciglio –ti sto annoiando-
-No
no- si affrettò a rispondere Francesca –continua-
gli sorrise.
Davide
arrossì un po’, poi guardò le lenzuola
che lo coprivano e parlò a loro
-Finita
la scuola non ce la facevo più a stare a casa. Mio padre mi
guardava e vedevo
che era deluso. Non volevo essere il suo fallimento, ma
l’avevo deluso. Così
sono andato a dormire per una settimana da un mio amico. Tornavo a casa
quando
lui aveva il turno in ospedale-
-Poi
un giorno ho provato a cercar lavoro. Ho trovato quel bar. Io non
sapevo fare
nulla, ma Bruto mi prese lo stesso a lavorare. Diceva che lui mi
avrebbe
insegnato tutto, e in effetti per me era tutto, quel lavoro. Me ne
andai di
casa a diciannove anni compiuti da poco, in questa casa. Era di mio
zio, quello
che faceva il perito informatico-
-E
poi... tre anni fa, quando mio fratello è stato ammesso
all’università, mio
padre ebbe un attacco-
-In
che senso?- chiese lei.
-Aveva
un problema al fegato. Ma lui non ci badava, diceva che era solo una
sciocchezza per tranquillizzare mia madre. Ma quella volta fu grave. Fu
così
grave che lo ricoverarono con urgenza-
-Sono
ormai tre anni che è morto-
-Tu
sei andato a parlarci, dopo che te ne sei andato di casa?-
-Sì.
Ma anche se mi ha abbracciato si vedeva che non era proprio felice che
io
lavorassi solo in un misero bar, con una misera paga-
-Il
mio rimpianto è quello di non essere riuscito a renderlo
fiero di me- concluse
malinconico, abbassando lo sguardo.
Francesca
stava in silenzio ad assimilare quella triste storia, e guardava lui,
sdraiato
accanto a lei ma così distante e scoraggiato.
Pensò che ci volesse qualcosa per
tirarlo su.
-Sai
Davide... quando ti ho conosciuto, pensavo fossi solo uno sciocco
ragazzo, uno
stupido che va in discoteca con le ragazzine solo per divertimento e
non
combina nulla nella vita-
-Ma
non è vero- si affrettò ad aggiungere
–non solo non sei uno stupido ragazzino,
ma non è vero nemmeno che non hai combinato nulla nella
vita. Guarda me. Senza
di te chissà come avrei fatto. Sei così buono-
sorrise.
Visto
che lui non sorrideva, ma era sempre triste, fece scorrere piano una
mano fra i
suoi capelli, costringendolo così a guardarla negli occhi.
-Anche
io vorrei essere buona come te- disse sorridendogli affettuosa.
Stavolta
Davide sorrise.
-Tu
non sei cattiva- disse, tirandosi su, accanto a lei.
-Ma
non sono buona- replicò con un sorriso la bionda, facendo
tornare la mano al
suo posto.
Ora
toccava a lei, che fece un bel respiro prima di cominciare.
-Mi
ricordo soltanto poche cose dell’orfanotrofio. Mi ricordo che
una volta la
suora mi disse che ero una bambina davvero bellissima, e che ero la
più brava
delle femmine. Ma non era vero- sorrise –io non sorridevo
mai, e spesso facevo
i dispetti ad un bambino. Gli tiravo i capelli- rise.
-Perché?-
-Boh.
Lui un giorno mi aveva rotto una scatola di colori. Erano belli, sai,
erano
tutti miei perché ero stata la più brava a fare
un qualcosa... boh. Comunque
lui me li aveva rotti, e non gliel’ho mai perdonato.
Così gli facevo i
dispetti-
Francesca
scivolò più giù, immergendosi nei suoi
ricordi.
-Poi
un giorno arrivò Damiano. Era gentile con me, e mi portava
con lui. Sai, noi
non potevamo uscire fuori, ma lui mi portava in giro. Mi piaceva stare
con lui
molto più che con le suore, perché ascoltava
tutto quello che dicevo. E mi
faceva mangiare tante cose buone, che noi alla mensa nemmeno ce le
sognavamo.
Avevo quattro anni, o forse cinque...-
-Un
giorno arrivò e disse, entrando in camera mia:
“Oggi ti faccio conoscere la mia
casa”. Mi portò a casa sua, e a me piacque
tantissimo. Stetti a dormire lì per
una notte, e non volevo andarmene, perché sai...
all’orfanotrofio quelle suore
dovevano ascoltare a milioni di bambini. Invece lui era mio, era venuto
solo
per me. E le cose che mi diceva, che mi faceva vedere, erano solo per
me e non
per gli altri bambini-
-Mi
sentivo, per la prima volta... non so...-
-...a
casa- completò Davide con un sorriso gentile.
Lei
arrossì, e precisò
-Lo
so che sembra una storia strappalacrime, ma è la
verità!- sorrise.
-Eh
ma io non ho detto nulla. Continua dai- si voltò su un
fianco e stette in
attesa del resto.
-Comunque...-
sospirò prima di riprendere.
Non
era triste, ma ricordava tutto con un certo divertimento, compiaciuta
di aver
vissuto quelle esperienze. Non era in cerca di compatimento, cercava
solo
qualcuno che la ascoltasse.
-Sai,
siccome anche Damiano ha gli occhi azzurri, per un periodo avevo
veramente creduto
che lui fosse mio padre- sorrise imbarazzata. Com’era
più bella quando
sorrideva e quando arrossiva, presa alla sprovvista, pensò
Davide, incantandosi
per un attimo.
-Ci
rimasi malissimo quando scoprii che non era lui il mio papà.
Ci avevo sperato sul
serio- qui piegò la testa da un lato, intristendosi un
attimo.
-Avevo
sempre pensato che mia madre avrebbe dovuto avere dei capelli biondi
come i
miei, ma nessuna signora bionda veniva a cercarmi, così ci
persi le speranze.
Damiano non mi ha proprio adottato. Lui si conosceva con la direttrice
e
siccome gli stava simpatico lei lasciò che mi prendesse
così, fidandosi di lui-
-Da
quando, circa ad otto anni, scoprii che non era mio padre, smisi di
considerarlo tale. Prima lo chiamavo Damiano, forse per rispetto...
boh... ma
non l’ ho mai chiamato papà-
-Il
resto direi che più o meno lo sai-
Davide
restò in silenzio a guardarla.
-Hai
mai pensato a come potessero essere i tuoi genitori veri?-
Francesca
ricambiò il suo sguardo.
-No,
e sinceramente non mi importa nulla- rispose decisa –una
mamma non l’ho mai
cercata. Gli amici li ho e li ho avuti. Un papà...-
lasciò cadere la frase nel
nulla.
Era
un argomento un po’ personale, forse troppo e il ragazzo
preferì deviarlo.
-Ti
invidio molto, lo sai Francesca?-
-Perché?-
-Non
è vero che non sei una donna coraggiosa. Tu sei
più coraggiosa di tutte le
altre donne messe insieme che io abbia mai conosciuto. Anche se hai una
storia
difficile, non ti lamenti mai. Non vuoi essere commiserata-
-Perciò
non voglio che i miei amici e nessuno sappia che sono orfana. Non
voglio che
siano miei amici solo perché gli faccio pena. Come credi che
mi sentirei?-
-Questo
l’avevo capito- le sorrise.
-Avrei
voluto avere il tuo stesso coraggio mentre parlavo a mio padre, testa
bionda-
le disse.
Cadde
il silenzio fra loro due. La mattina sembrava secoli fa, quando ormai
si erano
inoltrati l’uno nei pensieri più intimi
dell’altra. Si erano detti tutto,
davvero tutto.
-Sei
la prima persona a cui dico tutto questo. Nemmeno i miei fidanzati
sapevano
tante cose di me- confessò arrossendo la ragazza.
-Anche
tu. Non avevo mai raccontato questo a nessuno- anche lui
diventò rosso.
E
imbarazzati stettero in silenzio.
Davide
fece un respiro.
-Allora
andiamo da tuo padre?- domandò rivolgendosi a lei.
Francesca
si spostò una ciocca bionda che come sempre la tormentava. I
suoi occhi azzurri
incontrarono quelli verdi del ragazzo.
Si
fidava di lui. Non le avrebbe mai fatto nulla di male.
-Sì-
Come avete notato, ora la
storia è un po' meno...intensa per
quanto riguarda le situazioni, il che è legato anche al
cambio
di stagione. Io credo sia anche un po' così,
perchè
l'estate ti fa vedere tutto in modo più rilassato, no?
Dunque ringraziamo tutti
i lettori, i preferiti, e le recensitrici.
Jiuliet: ti ringrazio.
No, non sei sconclusionata, mi fa piacere che
Davide e Francesca siano espressi in maniera così viva da
farteli immaginare quasi "reali". Grazie, per gli auguri di Pasqua che
ovviamente ti rimando, anche se in ritardo. Grande, allora siamo due
sudisti...e sì, da bravo meridionale ho anche io una
famiglia
numerosissima.
wanda nessie:
sì vero, Francesca si è un attimo rilassata... il
finale ti ha sorpreso? In che senso?
GinTB: ecco Francesca 2
-la vendetta-... Scherzo. Buonasera.
Cos'è che intravedi? Perchè non si può
mai sapere.
Ma cercherò di intravedere anche io quello che intravedi tu,
non
vorrei mai causare uno scatto omicida. Felice anche io che tu sia
felice. Ah ma tu avvertimi sempre, se combino guai.
Marty McGonagall: ti
perdono, ti perdono e non hai di che scusarti, perchè non
sei l'unica ad essere smielosa (ora posso usare anche io questa parola
neonata?).
Sì, l'estate
sta arrivando ma considera che io scrivevo questa parte a
metà febbraio, quindi immagina quanto mi sentivo
frustrato...
marghepepe: "Questa ff
tocca l'anima!". Allora, commento molto esagerato ma
graditissimo...credo proprio che alla fine il mio ego ne
uscirà incredibilmente (e ingiustamente) ingigantito. "Una
storia del tutto originale e non scontata, ed, in certi punti,
ironica". Ti ringrazio tanto di questa analisi.
vero15star: ti prego
dimmelo se non riesco ad esprimere bene le situazioni. Sarebbe una
pecca enorme e io desidererei tanto correggerla. Grazie per la
recensione.
FeFeRoNZa: Ci ho pensato, ci ho pensato e...caspita, devo ammettere che
è davvero un bel piano, soprattutto considerando che io non
finisco tra le grinfie di Francesca (perchè credimi,
è
pericoloso e sconsigliabile). Però non hai calcolato una
cosa: io
soffro di vertigini! Ho una paura terribile dell'altezza quindi non
credo sosterrei il volo... Va bè, mi fa piacere che apprezzi
così tanto Davide, anche se non sono proprio uguale a lui, e
come vedi in questo capitolo la situazione
Damiano si è sbloccata...
Emily Doyle: temo che dovrai aspettare un poco...";">
MissQueen: la pratica
Damiano comincia ad avviarsi, come puoi leggere. E grazie nuovamente
per la recensione. Davide non è proprio uguale a me...
è un ritratto uscito molto più bello. Cavoli,
credo di essermi immischiato in una brutta situazione...
com'è? All'inizio avevo solo una fidanzata. Ora ho una
fidanzata, una moglie e pure l'amante?
E il bello è
che io non ho fatto assolutamente nulla... ma dov'erano questi
superpoteri quando mi servivano?
(wow non credevo di poter
ricevere complimenti anche per come rispondo alle recensioni......)
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
14
La
macchina si parcheggiò accanto al marciapiede, e Davide
spense il motore. Era
una mattina di luglio tardo, e loro due stavano sfidando il caldo, il
sudore,
l’afa e l’umidità, vestiti lui con un
jeans tutto appiccicato alle gambe e una
maglietta, e lei di un pantalone corto, nero e una maglietta aderente,
anch’essa appiccicata al suo petto.
-Non
ce la posso fare. Cosa gli dico?- domandò mordendosi il
labbro la ragazza.
-Ma
sì che ce la fai-
-Che
devo dirgli?-
Il
ragazzo sbuffò, lasciando andare il braccio fuori dal
finestrino a bruciarsi sul
metallo rovente.
-Mi
hai fatto questa domanda una ventina di volte e la mia risposta
sarà sempre la
stessa. E ora andiamo-
Scesero
giù, e per fortuna il portone del palazzo era già
aperto, così non dovettero
suonare al citofono.
-Sicura
che è in casa?- domandò lui salendo le scale.
-Sì
che è a casa. C’è la macchina-
Francesca gli faceva strada, quasi
arrampicandosi sui gradini, stanca.
Il
cuore le batteva molto forte ed era tutto un tremito. Era agitata,
agitatissima. E oltretutto si vergognava da morire. Aveva paura di
quello che
avrebbe potuto dire Damiano, dopo due mesi che non si faceva vedere;
poteva
trattarla male e non ci era abituata, da parte sua.
Salirono
le scale finché non arrivarono al secondo pianerottolo;
lì c’era un solo
appartamento, e il corridoio era buio, con una sola finestra rotta che
chiusa
impediva alla luce di entrare.
Il
palazzo era vecchio e in rovina; da fuori, le mura presentavano crepe e
all’interno l’umidità avanzava tanto da
coprire più di mezza parete. In più,
l’elettricità sembrava non esistere
nell’atrio.
Davide
si guardò intorno critico.
-Caspita
che bel palazzo- commentò ironico.
-Non
fare lo snob, questo c’è e di questo ci si
accontenta- ribatté nervosa la
ragazzina.
Lei
temporeggiava davanti alla porta, senza il coraggio di suonare al
citofono.
-Non
ce la faccio- disse sbuffando.
-Sì
che ce la fai- ripeté paziente lui.
Sembrò
che per un attimo lei si fosse decisa ad andare, ma si fermò
nell’atto di
premere il campanello, lasciando cadere a terra il braccio.
-Perché
non vieni anche tu con me?- domandò rivolta al ragazzo che
stava seduto sul
davanzale della finestra, al buio, e la osservava.
Francesca
gli si avvicinò.
-Perché
no. è una cosa che devi fare da sola- rispose serio e
irremovibile lui.
La
bionda sbuffò e fece una serie di buffe facce che volevano
convincerlo; ma
nemmeno la più strana di esse lo commosse e infatti Davide
restò seduto sul
davanzale, nel buio del pianerottolo. Allora lei sospirò e
rassegnata si voltò
a guardare la porta. Stette indecisa per almeno dieci minuti,
finché il ragazzo
non perse la pazienza.
-Ancora
a zero stai? Eh no, eh!- scivolò giù e la
afferrò di peso.
-No,
no fermo!- si oppose, ma invano.
L’indice
di lui era già saettato verso il campanello e un attimo dopo
un trillo suonò
all’interno dell’appartamento.
I
due ragazzi rimasero in silenzio religioso, in attesa di una risposta
dall’altra parte, Francesca imprigionata e spinta in avanti
da lui.
-Chi
è?- una voce adulta chiese da dietro la porta.
I
due si guardarono, l’una terrorizzata e incapace di dire
nulla.
Davide
le scoccò uno sguardo irritato, ma visto che non accennava
ad una reazione, le
pizzicò un braccio.
-Ahio!-
gridò lei ad alta voce, fissandolo furente. Poi capendo che
ormai si era
tradita, prese fiato e disse tutto ad un tratto
-Damiano
apri!-
Sentirono
la serratura che scattava e la porta aprirsi, così lui
lasciò andare la
ragazzina e si ritirò nell’ombra, lasciandola sola
con suo padre.
Un
uomo alto, dalla barba fatta e gli occhi azzurri che spiccavano,
guardò la
ragazza dalla soglia.
Lei
fece altrettanto, fissandolo senza spiccicare parola.
Al
ragazzo venne voglia di batterle un colpetto per farla scuotere; ma per
fortuna
non ce ne fu bisogno, dato che lei balbettò, con lo sguardo
a terra
-Ciao-
Damiano
la osservava chiaramente sbalordito, ma la prima cosa che
notò,
inevitabilmente, fu il pancione ormai prominente che le sbucava da
sotto la
maglia.
-Che
hai fatto?- chiese indicandolo.
-Te
l’avevo detto- rispose la bionda, nervosa perché
lui non sembrava proprio
accogliente.
L’uomo
la guardò negli occhi, e cercò di parlare. Non ci
riuscì e indicò la porta.
-Entra
dai-
Francesca
lo seguì impacciata e non del tutto sicura di ciò
che stava facendo.
Prima
di farlo volse uno sguardo al ragazzo che stava seduto sul davanzale, e
questo
le rivolse uno sguardo di incoraggiamento, come a dirle ‘dai,
puoi farcela’.
Poi
chiusero la porta e Davide si ritrovò solo. Caspita,
pensò, se lei non aveva la
minima idea di cosa dire, e quelle tre parole erano le uniche cosa che
era
riuscito a dirle suo padre, si prospettava un dialogo misero.
Chissà se
avrebbero concluso qualcosa.
Nel
frattempo, all’interno del’appartamento, una volta
che Francesca fu entrata e
la porta si fu chiusa, calò il silenzio totale.
Lei
capì che doveva fare la prima mossa, ma temeva di dire la
cosa sbagliata e
farlo arrabbiare.
Si
decise a fissarlo negli occhi.
-Ti
devo domandare scusa- cominciò con voce sottomessa.
-Per
cosa?- domandò lui.
-Mi
dispiace di essermene andata di casa senza dire nulla-
continuò, sempre tenendo
gli occhi bassi.
Damiano
la osservava e le labbra gli tremavano, come se avesse tutto da dire ma
in quel
momento niente che riuscisse a mettere insieme in una frase di senso
compiuto.
Le
si avvicinò, ma nei suoi occhi non c’era
rimprovero, cattiveria, ma al
contrario una gioia celata ben bene.
Allungò
una mano e a metà la fece cadere come aveva fatto prima lei.
Francesca
notò il suo gesto, e si sentì sollevata: non
voleva né picchiarla, né dirle
male parole.
-Damiano,
mi dispiace, sul serio- disse con voce pentita, alzando per la prima
volta gli
occhi.
Ma
lui non diceva nulla, perciò triste fece per girarsi.
Damiano
le prese gentilmente un braccio, facendola voltare verso di lui.
-...come
stai?- domandò con una voce leggera e preoccupata che non
gli aveva mai
sentito.
La
ragazza alzò le spalle.
-Bene-
disse, più interessata alla sua reazione.
-Ma...
questo?- indicò il pancione.
-Aspetta,
sediamoci, che ti racconto-
Così
fecero, si sedettero su un divano e lei cominciò a
raccontare per l’ennesima
volta quella storia così impossibile, così strana
e inverosimile da essere
vera. Damiano la ascoltava, la ascoltava attento e mentre lei parlava
incominciava a capire molte cose. Francesca con lui era sempre stata
scontrosa,
cattiva a volte, ma lui credeva fosse comprensibile visto che infondo
lui era
solo un surrogato mal riuscito dei genitori che non aveva mai potuto
avere.
Verso
aprile però questa reticenza iniziò a
trasformarsi in qualcosa di più. A volte,
parlandoci, la sentiva così distante che pensava che avesse
incominciato ad
odiarlo.
Invece
capì tante cose, cose a cui non avrebbe mai potuto arrivarci
con la sola
immaginazione. Poverina, pensò triste. Lei era
così, aveva questo problema e
lui non se n’era né accorto, né
l’aveva aiutata. Non aveva provato a capirla, a
domandarle cosa c’era che non andava per paura delle sue
risposte cattive.
Si
sentì talmente colpevole, talmente spregevole, che gli venne
voglia di
interromperla per chiederle scusa, scusa di tutto, scusa per non essere
riuscito a fare il genitore.
Ma
visto che per la primissima volta era lei, lei a parlare e a
raccontargli cosa
veramente provava in quella testolina bionda che tante volte aveva
baciato e
accarezzato, ciò lo rese incapace di prendere
l’iniziativa, restando come
imbambolato ad ascoltarla.
Quando
ebbe finito, lei alzò lo sguardo triste su di lui. Damiano
in un primo momento
si controllò, poi la strinse forte, forte in un abbraccio. E
mentre
l’abbracciava lei poteva sentire mormorate al suo orecchio
tante parole, tante
scuse.
Francesca
sentì per la prima volta come un soffio nel centro del petto
mentre lui la
abbracciava, e si rese conto di cos’era.
Ricambiò
l’abbraccio, grata.
-Ti
voglio bene, papà- disse piano.
Anche
se aveva fatto forza per non piangere, sentì distintamente
una lacrima colarle
sulla guancia, proveniente dalla testa. Ma non era sua.
Francesca
lo prese per mano, conducendolo verso il portone.
-Voglio
farti conoscere Davide-
Aprì
il portone.
Davide
era ancora seduto sul davanzale, a guardare tutto perso il poco cielo
che si
vedeva dalla finestra quasi chiusa. Se quei due ci mettevano
così tanto,
significava che stavano parlando, in un modo o nell’altro. A
lui non restava
che aspettare, aspettare e aspettare. Quando sentì la
serratura scattare,
scoprì che non vedeva l’ora che quella biondina
tornasse con lui. Non seppe mai
se era gelosia o cosa, perché non ebbe il tempo di pensarci.
Comunque,
dalla porta uscì lei che tirava per mano Damiano.
Il
ragazzo saltò giù dal davanzale, aggiustandosi i
jeans e osservando i due.
-Lui
è Davide- sorrise Francesca, complice al ragazzo.
Damiano
lo guardò bene per un attimo. Lui era il ragazzo che
l’aveva messa incinta; ma
come gli aveva spiegato la ragazza, non era solo questo: lui era quello
che
l’aveva aiutata, che l’aveva capita e
l’aveva convinta a non abortire. L’aveva
ascoltata e non le aveva voltato le spalle, ma al contrario si era
fatto carico
delle sue paure. In sostanza Damiano aveva capito che era stato quel
ragazzo la
causa del cambiamento di lei.
Francesca
domandò ad un tratto
-Senti
mi fai scendere un attimo in macchina? Devo prendere una cosa-
Davide,
preoccupato dallo sguardo del padre, non comprese subito il senso, ma
poi
impacciato le diede le chiavi.
-E
attenta di non rompere nulla- le raccomandò.
Lei
scese scoccandogli un’occhiata furba, e lui comprese troppo
tardi cosa
significava.
Deglutì
perciò e osservò nuovamente l’uomo
davanti a sé.
-Salve-
disse, e pensò che sarebbe stato educato tendere la mano.
Damiano
la strinse, ma non sorrise.
-Piacere.
Io sono Damiano. Sono il padre di Francesca. Ma penso che tu lo sappia
già-
Lui
era preoccupato: infondo era stato lui a togliere, in una notte di
ubriachezza,
la verginità alla figlia. E come se non bastasse,
l’aveva pure messa incinta.
Se non altro, non avrebbe potuto, nemmeno a farlo apposta, dargli
un’immagine
peggiore.
Quindi
non disse nulla, pronto alle parole e forse alle botte.
-Io
devo ringraziarti-
Questa
frase fu così inattesa che lui stupito e incredulo
domandò
-Ah
sì?- con tono scettico. Poi però si corresse in
tempo aggiungendo –perché?-
-Francesca
ha un carattere difficile. Non parla mica delle sue cose con tutti.
Prima di
oggi, non ne parlava nemmeno a me-
-Sì,
lo so- commentò il ragazzo.
Damiano
sorrise e lui si sentì sollevato.
-Ti
devo ringraziare perché lei è cambiata.
è cambiata ed è tutto merito tuo-
-Mio?-
Forse
lui pensava che le avesse fatto chissà quali discorsi e
prediche morali. Ma
Francesca non era affatto cambiata. Si incavolava ancora, eccome.
Soltanto, si
fidava di lui e perciò si sentiva di potergli confidare
tutto.
-Francesca
non è cambiata. E io non ho fatto nulla. Io l’ho
solo ascoltata- disse,
chiarendo bene.
-E
ti pare poco?- domandò l’uomo.
Ci
fu una pausa e i due, il ragazzo e l’uomo si guardarono.
-Devi
essere una persona speciale, tu. Se Francesca si fida di te, devi
essere
speciale. Non un ragazzo qualunque-
A
questi insoliti e inaspettati complimenti lui arrossì
parecchio, non disse
niente ma sorrise timido a Damiano.
Per
fortuna arrivò la ragazza bionda a spezzare la tensione
creatasi.
Francesca
salì le scale che la separavano dai due e si rivolse al
ragazzo.
-Dai
andiamo!-
Lui
la guardò, enormemente sollevato che fosse tornata a
portarlo via da quella
situazione. Lo prese per mano e lo tirò verso le scale.
-Ci
vediamo qualcuno di questi giorni- disse a Damiano.
-Salve-
salutò imbarazzato lui, avviandosi sotto.
-Se
vuoi io sto sempre qua-
Quando
tornarono in macchina, la bionda sorrise a Davide.
-Grazie.
Grazie. Grazie-
-Oh
pure te? Mi basta tuo padre che mi ringrazia- commentò
scherzoso.
-Se
non fosse stato per te non ci sarei mai venuta qui. E non sai quanto mi
sento
meglio- disse, avvicinandosi e facendogli una faccia invitante.
-E
cos’è ora quella faccia?-
-Niente.
Volevo vedere se diventavi rosso-
-Ma
smettila- borbottò lui, che rosso ci era diventato comunque.
Da
quella prima ecografia, quella piccola foto nera che testimoniava il
loro
bambino, se n’era aggiunta un’altra. Agosto, il
caldo torrido e soprattutto la
città che si svuotava erano giunti prima che i due se ne
rendessero conto.
Francesca
ascoltava i suoi compagni raccontare di vacanze, mare, sole,
abbronzature e
divertimenti. Lei, col suo pancione di quasi otto mesi, era costretta a
stare
in casa. Ora non usciva più, perché si vergognava
troppo del bambino. Davide
non aveva ribattuto su questo punto, ma per lei era un grande
sacrificio: ora
non poteva nemmeno andare a giocare a carte la sera, con gli amici di
Davide, e
rimanere su quella panchina a dormire fino a mezzanotte. Le mancava, ma
soprattutto ora lui usciva molto spesso. Quel suo corso per ragionieri
lo
impegnava parecchio.
Spendeva
buona parte della mattinata lì, per poi tornare a casa e
studiare sui libri
formule e cifre di matematica aziendale.
Francesca
di tanto in tanto si sedeva in cucina, dove lui studiava, e stava in
silenzio,
semplicemente guardandolo studiare. Di tanto in tanto poi, seduto a
torso nudo
per il troppo caldo, lo vedeva scrollare la testa e abbandonarsi
all’indietro;
ciò era quando non capiva qualcosa. E lei era contenta,
perché si poteva
permettere di disturbarlo, provando lei stessa a risolvere quel
concetto. Al
30% ci riusciva, mentre al 70% ci ridevano sopra e bevevano una coca
cola, un
tè, una birra o qualunque cosa uscisse dal frigo, ghiacciata.
La
sera, alle otto, puntuale come un orologio svizzero, lui si vestiva e
usciva
per andare a giocare a carte, lasciandola sola almeno fino a
mezzanotte. E la
stragrande maggioranza delle volte, quando lui tornava lei
già dormiva.
Stavano
insieme solo il pomeriggio, e le sembrava troppo poco. Prima non poteva
vederlo
e odiava la sua presenza, ora non riusciva a farne a meno.
Il
caldo la deprimeva particolarmente, e per tutta la mattina non aveva la
minima
idea di cosa fare. Di uscire non se ne parlava, con quel pancione.
I
suoi amici ad agosto andavano in vacanza, così addio
compagnia. Perciò era
contenta e stava bene quando c’era lui.
Sentiva
sempre più vicino, come una scadenza da rispettare,
l’avvicinarsi del temuto
nono mese. E lei, per quella scadenza, non aveva preparato alcun
progetto.
Non
voleva ammetterlo né a se stessa, né tantomeno a
Davide, ma aveva una paura
matta; una paura così grande che a volte si sorprendeva a
sperare che il
bambino morisse così, di punto in bianco. Era solo per
Davide, solo per lui che
aveva deciso di tenerlo. Perché altrimenti la sua posizione
non mutava.
A
volte la mattina, quando non sapeva proprio cosa fare, osservava il suo
ventre
rotondo e gonfio. Guardava le fotografie del bambino, un fagotto
raggomitolato,
come diceva il ragazzo. Ma non era contenta, o fiera; lei voleva che
quel
momento del parto non arrivasse mai. Avrebbe desiderato che quei nove
mesi non
finissero mai.
Davide
tornò presto, una di quelle calde mattine, e la prima cosa
che fece fu togliersi
la maglietta sudata, così da rimanere solo con i pantaloni.
Andò
in camera da letto per cambiarsi, quando trovò una sorpresa.
Francesca stava
seduta sul letto, respirando ansante come quando si arrabbiava, e
osservava il
comodino della sua parte. Lui fece lo stesso, e si accorse con stupore
che là
dove avrebbe dovuto trovarsi un vaso di terracotta, non c’era
nulla.
Preoccupato, guardò a fianco del letto, e vide infranti sul
pavimento tanti
pezzi marroncini. Il vaso si era rotto.
Perplesso,
spostò lo sguardo sulla bionda.
-Ma
che...?- non finì manco di pronunciare la domanda, che
subito lei scattò.
-Non
lo so! Non lo so, va bene?- sbottò, infiammata
–Non lo so che è successo! Stavo
lì, e ho tirato la tenda e quello stupido vaso si
è rotto!-
Si
alzò in piedi e avanzò minacciosa verso il
ragazzo che la osservò preoccupato e
incredulo.
-Ma
sai che ti dico? Sai non me ne frega niente! Non me ne fo**e un ca**o
se si è
rotto!-
E
mentre lo diceva gli tirava del piccoli colpi contro il braccio.
Davide
capì che era una giornata storta, e non disse nulla;
cercò di attutire i suoi
colpi con le mani. Me lei, a maggior ragione e spinta da
chissà quale forza,
continuava a dargliene. Si calmò solo quando lui le
afferrò piano le mani,
togliendole.
La
guardò negli occhi, e lei sbuffando sfuggì lo
sguardo e tornò a sedersi sul
letto.
Cauto
e sospettoso, Davide si infilò una maglietta a caso fra
quelle che erano nel
tiretto, e le si avvicinò piano.
Si
chinò a raccogliere un coccio spezzato, esaminandolo, e poi
tornò a sedersi
accanto a lei.
-Non
importa se si è rotto. A me manco piaceva- disse
sorridendole.
-Se
se- commentò ironica e rabbiosa. Non si capiva se era
arrabbiata con lui, o con
se stessa perché l’aveva rotto.
Lui
pensò che forse non erano questi i motivi per cui era
arrabbiata.
-Guarda
che davvero, non mi importa. Non valeva nulla- cercò di
calmarla.
Ma
la ragazzina gli mollò un altro colpo, seguito da un altro,
e da un altro pugno
ancora. Il ragazzo si riparò con le mani, ma lentamente,
come un allenatore di
pugili contrasta i guantoni che gli piovono addosso.
-Che
hai?- domandò con la voce bassa e calda che aveva quando
dovevano parlare di
cose importanti.
-Non
ho niente! E non sono fuori di testa!- gli tirò un pugno
più forte che gli fece
male, stavolta.
Riuscì
a prenderle gentilmente i polsi e a poggiarli giù.
Francesca
sbuffò seccata, respirando forte come se avesse corso.
-Cos’hai?-
ripeté.
Lei
chiuse gli occhi, abbandonando le mani strette a pugno nelle sue. Poi
lo guardò
triste.
-Non
lo so. Non sapevo che fare, mi annoiavo-
-Scusa-
sciolse le loro mani e si chinò per raccogliere i pezzi del
vaso, ma il ragazzo
la tenne su.
-T’ho
detto che non importa. Dimmi che hai-
-Mi
annoiavo e non sapevo che fare- ripeté lei –okay,
pensa che sono pazza-
aggiunse.
Lui
sorrise gentile, e con una mano le spostò i capelli che le
cadevano davanti
agli occhi.
La
sua destra sfiorò la fronte della ragazza, permettendogli
così di guardarla
bene.
-Tu
devi essere una specie di santo- disse con un sorriso malinconico la
bionda,
ricambiando il suo sguardo –o forse un angelo-
Davide
di nuovo le spostò i capelli dalla fronte, in un gesto
affettuoso, poi la fissò
serio.
-Eh
no- disse –troppo facile a dire così. Io non sono
un santo. Io ti conosco. Lo
so come sei-
-Una
che si inca**a un secondo sì e l’altro pure-
Davide
sorrise divertito e continuò a tenere gli occhi verdi nei
suoi azzurri.
-Sei
tu- disse, soppesandola scherzoso –e anche se volessi non
credo che riuscirei a
cambiarti-
Francesca
lo osservò intensa per un attimo, poi sciolse le labbra in
una smorfia
divertita che lo contagiò.
-E
poi sai, a me avevano detto che gli angeli avevano i capelli biondi e
gli occhi
azzurri-
-E
chi te l’ha detto?- chiese ormai calmata lei, sorridendogli.
-Beh
tu hai mai visto un angelo coi capelli scuri?-
-E
poi- aggiunse la bionda –gli angeli non fanno pensieri sconci
sulle cameriere-
Davide
rise di gusto, poi si fece finto offeso.
-Perché
io faccio pensieri sconci sulle cameriere?-
-Certo
e anche sulle infermiere-
E
anche su di te, pensò improvvisamente eccitato lui. Aveva
negli occhi
quell’espressione seria, intensa, liquida.
-E
comunque quando sei qua non c’è pericolo. Io sono
bruttissima. E pensa te, pure
grassa come una balena- disse alzandosi.
Davide
la guardò camminare in silenzio, troppo preso dai suoi
pensieri, poi senza
riflettere mormorò, stavolta con voce calda per
l’eccitazione
-Non
sai quanto ti sbagli-
Per
fortuna lei non lo udì, perché
continuò ad andare di là senza fermarsi.
Il
ragazzo si riprese dal momento di deviazione e iniziò a
raccogliere i cocci del
vaso. Si era annoiata. Caspita.
La
prima settimana del mese era passata così, senza eventi
particolarmente
emozionanti, ma da quella mattina Davide si era messo in pensiero. Si
annoiava.
Poverina, pensò, in effetti stare da soli, senza nessuno a
casa, e senza poter
uscire non doveva essere il massimo. Poi lei era una ragazzina, quasi
diciassette anni. Insomma, era come se stesse in prigione. Qualche
volta la
accompagnava dal padre, ma sapeva che anche lì non si
divertiva tantissimo.
Dopotutto, le sarebbe piaciuto avere i suoi amici con cui passare il
tempo, ma
purtroppo erano tutti in posti troppo lontani da raggiungere, e per
giunta con
le famiglie. Il problema principale
era
però che lei non voleva uscire con quel pancione. Siccome
quello non sarebbe
sparito prima di ottobre, non c’erano molte altre soluzioni.
Impegnato
fra i bilanci delle aziende, il cibo da preparare, e la ragazza a cui
stare
attento, gli venne un’idea.
Sotto
casa sua c’erano dei box; lui non ne era il proprietario,
però aveva ottenuto
uno spazio chiuso, una specie di garage, dove teneva alcune cose che
non
servivano. Per lo più erano mobili, e di tanto in tanto roba
che a sua madre
non serviva più.
Un
giorno, senza farsi vedere, scese giù per cercare
ciò che gli serviva. Passò
più di un’ora a rovistare fra la polvere e il
sudore, i ragni e l’odore di
chiuso, ma alla fine, proprio quando aveva incominciato a pensare che
sua madre
l’avesse buttato, un lungo palo, e il suo corrispondente
pezzo di sopra saltarono
fuori.
Lo
tirò fuori, e poi lo caricò nel bagagliaio,
nascondendolo bene e stando attento
che il portellone si chiudesse.
Tornò
sopra, eludendo le sue domande con un abile dribbling e facendosi
perdonare
cucinando un bel pranzo.
Trovò
il resto in casa, senza faticare troppo, ma ora arrivava la parte
difficile.
Si
era risparmiato un po’ di soldi e ora aveva intenzione di
usarli.
Pregò
intensamente che quel negozio non avesse deciso di andare in ferie,
perché
altrimenti sarebbe stata la tragedia.
Per
sua immensa fortuna era aperto. Imbarazzatissimo come poche volte gli
era
capitato, entrò nel negozio. Domandò,
esaminò e scelse, alla fine. Non era
proprio sicurissimo di ciò che aveva fatto, ma ormai... era
fatto.
Tornò
in macchina sentendo ancora lo sguardo divertito della commessa.
Arrivò
sotto casa.
Ora
era la parte più difficile. Stette per dieci minuti in
macchina a decidere il
suo discorso, ma quando arrivò alla porta se l’era
già scordato.
Entrò
in casa, e trovò la bionda sdraiata sul divano scuro, la
testa arrovesciata
all’indietro e una mano che annoiata le tormentava la pancia.
-Ciao-
lo salutò.
Davide
le si avvicinò, tenendo una mano in tasca del bermuda.
Mandando
il buonsenso e la timidezza a quel maledetto paese, le
lanciò un sacchetto.
Francesca
se lo vide arrivare accanto al viso, si tirò su e lo
esaminò.
Lui
si avvicinò al divano, osservando la sua reazione. Lei
cercò dentro,
guardandolo nel frattempo stupita.
Quando
poi ne estrasse un reggiseno nero e il suo corrispondente pezzo di
sotto, anch’esso
nero, prima arrossì e poi spostò lo sguardo su di
lui.
-è
per te- spiegò, anche il ragazzo rosso in faccia.
-Per
me?-
Lei
arrossì, facendo una buffa espressione e schiudendo la
bocca. All’improvviso
sentì il cuore sbatterle sul petto, come se avesse deciso,
in pieno agosto, di
farsi una corsa.
-Ti
servirà- aggiunse il ragazzo, desideroso di chiarire
l’equivoca situazione.
-Perché?-
domandò la biondina, facendosi scorrere il tessuto morbido
fra le dita.
-Oggi
andiamo a mare-
Quando,
dopo qualche secondo, capì la sua affermazione, il suo volto
si illuminò ad un
tratto.
-Davvero?-
esclamò, alzandosi di colpo.
-Sì-
-Ma
quando?-
-Adesso.
Dai vedi come ti va e poi scendiamo- le sorrise, compiaciuto della sua
allegria.
Lei
non se lo fece ripetere due volte, e si fiondò in camera da
letto a provarlo.
Lui
la aspettò dietro la porta, caricandosi la borsa col
mangiare e quella con gli
asciugamani in
spalla.
-Fatto-
La
ragazza uscì dalla stanza e improvvisamente gli si
seccò la gola. Francesca
uscì senza nulla addosso, se non il costume; il quale non
poteva evitare di
mostrare la pancia rigonfia, ma nemmeno le belle gambe lisce e dritte
che
aveva, o le spalle piccole. O i capelli biondi che le cadevano sul
corpo e
sulla schiena. O il pezzo di sopra che non riusciva a celare del tutto
le due
rotondità che da sotto facevano capolino.
Non
seppe dire quanto tempo rimase a fissarla estasiato, ma senza dire
nulla,
finché purtroppo una gonna corta e bianca, e una maglietta
chiara le coprirono
il corpo.
-Aspettami,
ho quasi fatto!- gli disse, temendo che se ne stesse andando. Ma lui
era
imbambolato lì, ancora troppo stordito e sorpreso dalla
visione precedente.
Quando
poi si riprese, lei era ormai pronta, e soprattutto vestita.
Insieme
scesero le scale, e anche se la ragazzina tutta contenta voleva
aiutarlo a
portare le borse, lui non glielo permise.
-Mi
piace il costume. L’hai scelto tu?- chiese riparandosi gli
occhi con una mano
dal sole, mentre lui infilava le cose dietro.
-Sì-
-E
perché proprio nero? Non c’erano altri colori?-
Davide
arrossì a questa domanda e preferì rispondere con
la verità.
-Mi
piace come ti sta il nero- alzò le spalle.
Si
fece molto rosso, ma per fortuna il sole cocente delle undici e mezza
diede
l’impressione che fosse solo colpa del caldo.
Poi
si sedettero in macchina e partirono.
Davide
era già un po’ colorito, in quanto passava le sue
giornate al 50% fuori, e
spesso con canottiere o addirittura senza maglietta, per il troppo
caldo
opprimente. Anche in viso era leggermente abbronzato, grazie alla sua
abitudine
di sedersi sempre accanto alla finestra durante le lezioni del suo
professore.
Francesca
invece, stando sempre in casa, all’ombra a causa del caldo,
aveva la pelle
bianca, chiara. Non certo aiutata dal fatto che, essendo bionda con gli
occhi
azzurri, la sua pelle più che abbronzarsi si scottava, non
poteva permettersi
di passare tanto tempo al sole.
I
due finestrini anteriori, aperti, lasciavano scorrere sui loro volti
sudati
l’aria violenta, che se non era proprio fresca, almeno dava
loro un minimo di
respiro.
Davide
teneva lo sguardo sulla strada, e un braccio fuori dal finestrino,
annoiato.
Che seccatura, organizzare tutto quello; cercare tutto il necessario,
scegliere
il giorno adatto, non farle capire nulla per cosa poi? Per una giornata
a mare,
estremamente spossante per lui che avrebbe voluto volentieri stare a
dormire
tutta la mattina nel letto, senza fare nulla.
Francesca,
contenta di non dover passare la mattina a casa, ad annoiarsi fino al
suicidio,
lo guardò, poi disse
-Ma
tu non odiavi viaggiare?-
Lui
sorrise, sarcastico, senza smettere di fissare la strada.
-Io
non odiavo. Io odio viaggiare- precisò.
-E
allora come mai hai deciso che oggi dobbiamo andare a mare?-
domandò con una
punta di malizia nella voce, conoscendo già la risposta ma
desiderando
umiliarlo.
Lui
infatti arrossì e arricciò il naso, facendo una
smorfia altezzosa.
-Oh
quante cose che vuoi sapere...-
Lei
rinunciò ad ottenere quella confessione, ma dentro di
sé gli fu enormemente
grata. Distrattamente, come un tic a cui non ci si può
opporre, con la mano
sinistra si accarezzò la pancia.
Grazie a tutti quelli che
leggono, recensiscono, e hanno messo la storia nei preferiti.
Ergo, vediamo un po'...
vero15star: Caspita, che
bel commento,
grazie davvero. "è come se ci credessi sul serio in quello
che
scrivi" come se tutto questo fosse realtà... ecco, devo dire
che
questa frase mi ha veramente fatto piacere, mi hai fatto dei
complimenti che farò fatica a scordare. Grazie per averla
condivisa con voi? Oh no, sono io che vi devo ringraziare.
FeFeRoNZa:
eh bé, che
vuoi farci, è la vita... se la scena di prima è
stata
romantica? ah boh, non saprei, tu puoi vederci quello che ti pare... Io
credo che tu abbia un'idea parecchio "positiva" di Davide, parecchio
parecchissimo... bè giudica tu come s'è
comportata
Francesca.
Devilgirl89: ciao Domizia. Mi vorresti abbracciare forte-forte?
Stà attenta di non stritolarmi... "il rapporto tra Fra e
Davi?"
Davi? Come sarebbe a dire Davi?
Come puoi leggere Damiano
ha perdonato
largamente Francesca... e sì, lei era pentita di averci
litigato. Grazie dei tuoi complimenti, e no, gli amici delle carte non
sono i miei veri amici. Come ti ho detto solo i due protagonisti sono
ispirati...
marghepepe: quando aggiorno tu fai "tarzan sulle tende"? ahahaha che
forza, ma tua madre sarà d'accordo? io quand'ero piccolino
ci
provavo ma lei non era un granchè contenta...
Inizi ad adorare
Francesca? Oh che
bello, e pensare che lei vi aveva tutte contro all'inizio. Non so se i
capitoli sono l'uno più bello dell'altro. Anzi, sicuramente
non
lo sono, ma mi piace credere a quello che hai detto.
Marty McGonagall: sua massima bontà mi concederà
anche di
conoscere il suo parere per questo capitolo? Lo spero tanto e spero che
non ecceda nell'essere smielosa...
"Il caro e innocente
Davidino"? Come
sarebbe a dire Davidino? Andiamo, non lo trovi......
orribile? Credo che Davide non sarebbe un uomo se non
iniziasse a
fare questi pensieri...no? Wow, tu accendi il pc due volte al giorno
per controllare? Mi sento onorato. Ah certo, tieni pronte le trombette,
gli striscioni e i fumogeni...
wanda nessie: da cani e gatti ad angeli? Beh... non saprei se sono
proprio angeli... eh già, c'è voluta una bella
fatica per
convincere quella testa bionda, ma ce l'ha fatta ed è un bel
traguardo non credi? Ehm... io? Bambini? La prossima volta che
metterò queste due parole vicino sarà tra molto
molto
molto molto molto molto tempo...
Miss Queen: Buongiorno fanciulla. Visto che alla fine Francesca non
è così cattiva? Beh magari solo un poco... Grazie
d'aver
recensito.
Jiuliet: che bello che tu abbia apprezzato quella frase, ed
è
molto profondo quello che dici. "Ora deve perdonare se stesso per un
peccato che non ha commesso e essere un padre per suo figlio ed un
compagno per la sua Francesca." Wow, neanche io che l'ho scritto sarei
stato capace di trovare questa sintesi. Brava, e grazie. Sono felice
che ti piaccia come loro si 'trovano'.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
14
-Qui
va bene?-
-No,
troppo lontano-
Davide
arrancava nella sabbia, sentendo i granelli che si infilavano
fastidiosamente
nelle scarpe, con in spalla due borse, e infilato fra la spalla e il
gomito
l’ombrellone che avrebbe dovuto montare.
Francesca,
qualche metro più avanti, decideva il posto dove montarlo.
-Qui-
decretò, indicando un punto nella sabbia.
Il
sole delle dodici e mezza sbatteva pericoloso e cocente sulle spalle
dei due,
invogliandoli a sbrigarsi.
Lui
lasciò cadere a terra tutto, poi piantò nella
sabbia il palo.
Qualche
minuto dopo, Davide era steso beatamente in santa pace su un
asciugamano lungo,
col petto scoperto, un cappello messo a caso sul volto. Gli occhi verdi
chiusi,
al riparo dai raggi invadenti e le braccia dietro la nuca. Il petto si
alzava e
si abbassava regolare, e dal respiro tranquillo che si percepiva sotto
il
cappello, si poteva presumere che stesse dormendo.
La
ragazzina bionda lo osservava attenta, spalmandosi quintali di crema
sulle
spalle e sulle braccia.
Si
alzò in piedi e gli si avvicinò. Il cappello
venne sollevato e la luce intensa
del sole penetrò le sue palpebre chiuse, inducendolo a
lamentarsi.
Un
gemito debole seguì questa azione.
-Cappello-
riuscì a dire, riparandosi con gli occhi.
-Tu
niente crema?- domandò lei.
-No.
Dammi il cappello- mugugnò, allungando la mano per
riprenderselo.
Lei
glielo concesse, poi si sedette su un asciugamano accanto, finendo di
mettersi
la crema. Davide voltò leggermente il capo a destra, nella
sua direzione, e
schiuse un occhio, senza farsi notare. Le sue mani, piccole da ragazza,
si
incrociavano e scorrevano sulla sua pelle; era ancora più
liscia e morbida di
quanto non lo fosse già prima.
-Non
sarà troppa?- domandò con voce roca.
-Non
voglio bruciarmi. Che non sai quante estati è successo.
Stavolta non mi faccio
fregare- rispose mentre seria e tutta concentrata procedeva a
proteggersi anche
il petto e la pancia.
Lui
la osservò. Senza vestiti, solo col costume, quel pancione
si metteva in bella
mostra e già qualche persona lì vicino la
osservava curiosa.
Il
ragazzo non gradì che la guardassero tutti, anche
perché sapeva che era di
questo che lei si vergognava.
Era
molto buffa però, con quelle spalle piccole, il corpo esile
e le belle gambe
lisce, e poi a stonare quel pancione enorme che non c’entrava
nulla col resto.
Finì
di spalmarsi la crema e gettò il tubetto verso
l’ombrellone.
-Hai
intenzione di rimanere qui a dormire?-
-Sì-
-Pigro-
-Lasciami
in pace-
-Se
volevi dormire potevamo restare a casa- disse, cercando di invogliarlo
ad
alzarsi.
-Vai
a farti un bagno- replicò mezzo stizzito, mezzo divertito.
La
bionda si alzò sulle ginocchia, sovrastandolo.
-Non
so in che senso l’hai detto, comunque...-
Si
alzò in piedi e camminò verso la riva.
Lui
alzò il cappello solo per assicurarsi che se ne fosse
andata, poi lo calò di
nuovo e riprese a dormire.
Francesca
marciava, mezz’ora o forse più tardi dopo, verso
l’ombrellone saltellando di
tanto in tanto per via della sabbia ardente. Quando arrivò a
destinazione si
inginocchiò sull’asciugamano accanto a quello del
ragazzo. Quello non si era
mosso di un millimetro, pensò rassegnata lei, scuotendo la
testa. Si scostò i
capelli biondi tutti bagnati dalla spalla, portandoli
sull’altra, e provò a
pettinarseli. Vedendo che ne ricavava solamente le mani bagnate e
capelli che se
ne venivano via, decise di sfruttare questo effetto. Raccolse con le
mani
l’acqua che stillava dalle ciocche e che le colava sulle
spalle. Poi, prima che
evaporasse, provò a svegliare il ragazzo.
Con
la mano destra bene aperta risalì sul torace di lui.
Al
contatto con la mano fredda, e soprattutto inaspettata, il ragazzo
sobbalzò,
ritirando la pancia, ma non riuscì a fermarla.
Sedendosi
più comoda sull’asciugamano accanto, e sorridendo
furba, compiaciuta di averlo
infastidito, salì più su. Percorreva veloce e
allo stesso tempo indugiando sui
lineamenti tutto il torace. Ma non le bastò: la mano
salì anche sul viso,
privandolo del cappello e spalmandogli l’acqua salata
dappertutto, sul naso,
sulla fronte, sulle labbra.
Finito
il suo lavoro in poco più che tre secondi, lei
ritirò la mano, mordendosi un
labbro curiosa della sua reazione.
Davide
aprì gli occhi e stupito, meravigliato di quel gesto si
tirò lento a sedere.
Osservò schiudendo la bocca la ragazzina.
Lei
però riprese a pettinarsi i capelli.
-Perché
guardi me? È stato un cane- si difese. Ma si
tradì allo stesso tempo con un
sorriso furbo che le spuntò sulle labbra l’attimo
dopo.
-Ah
un cane?- commentò scettico lui, iniziando ad alzarsi,
rinunciando ormai al
sole.
-Sì
un cane- rispose lei, ma nello stesso tempo si alzò,
divertita e fintamente
spaventata.
-Non
dovevi farlo- fece il ragazzo, prima di inseguirla sulla sabbia,
ignorando le
sue proteste.
Correvano
come pazzi sulla sabbia cocente, incuranti delle pietre che trovavano.
Davide
la costrinse a scappare sulla riva, dove l’acqua bagnava le
caviglie. La
rincorse per mezza spiaggia, ma lei non accennava a fermarsi.
-Fermati!-
le gridò dietro, divertito, accelerando per afferrarla.
-Mai!
A costo di buttarmi in acqua!- gli rimandò la ragazza, ma
ormai stava per
essere raggiunta.
Il
ragazzo la spinse a rifugiarsi dove cominciavano gli scogli, dove era
pericoloso tuffarsi.
Ad
un certo punto con uno scatto improvviso riuscì a fasciarle
con una mano la
vita. Era difficile tenerla ferma, così usò anche
l’altra mano, imprigionandole
le spalle e sollevandola da terra.
-Lasciami!-
gridò protestando la ragazza.
Ma
non aveva speranze contro la presa ferrea delle braccia forti del
ragazzo.
Davide
la sollevò di più centimetri, facendola oscillare.
-Vuoi
farti un bagno?- le domandò, accennando al mare sotto gli
scogli.
-No
Davide!- gridò preoccupata –Non buttarmi!-
Lui
scherzò, facendo finta di lanciarla e facendola aggrappare
per questo ancora di
più a sé.
-No!
Non fare lo stupido! Non mi lasciare!-
Davide
rise al suo orecchio, tenendola più forte.
-Non
ti lascio. E chi ti lascia?- domandò divertito ma con voce
bassa.
-Se
mi fai cadere...- minacciò la bionda.
-Oh
tranquilla...- disse parlando al suo orecchio, ansimando per la corsa
-...non
ti faccio cadere-
-Non
farmi cadere- lo pregò stavolta con voce più
calma.
-Non
ti faccio cadere- ripeté paziente.
Ora
entrambi riprendevano fiato, stanchi per la corsa di prima, ansimando
l’una
stretta all’altro.
Davide
la fece scendere piano piano giù, permettendole di poggiare
i piedi a terra, ma
non si allontanò.
-Perché
non esci un po’, quando sei a casa?- le domandò
piano all’orecchio.
Francesca
sospirò, voltandosi di poco per cercare i suoi occhi.
-Mi
vergogno- confessò.
-Qui
non ti vergogni?-
-Qui
non c’è nessuno di importante. Nessuno che
conosco- rispose sincera.
-Sei
contenta?- le domandò, ancora abbracciato alla sua schiena.
Lei
sorrise e ci pensò su prima di rispondere.
-Nemmeno
a sognarlo avrei immaginato che mi portavi qua-
Rimasero
in silenzio.
Davide
non voleva sciogliersi dall’abbraccio, aveva il corpo bagnato
dall’acqua che si
appiccicava al suo come incollato. Poi aveva una grandissima voglia di
accarezzarla, ma doveva trattenersi. Doveva.
Francesca
era appoggiata al suo torace e sentiva che, al contrario del suo, era
liscio,
magro e forte; inoltre era caldo, lui.
-Come
sei caldo...- disse, chiudendo un attimo gli occhi.
Il
ragazzo arrossì, poi la bionda aggiunse
-Ma
quanto tempo sei stato come una lucertola?-
Per
non cadere sconfitto dovette ribattere.
-E
tu in acqua? Sembri una tartaruga...-
Un
colpo all’altezza del ventre lo fece piegare in due, ma non
la lasciò andare.
Rise
divertito e aggiunse
-Sei
tutta bagnata...-
Lui
non aveva intenzione di lanciarle il doppio senso, ma non essendo
sciocca e
ingenua lei lo colse benissimo. Colse sia il doppio senso, sia un
rossore
eccitato che le salì dal ventre fino alle guance, facendole
arrossare.
Di
conseguenza, sorpresa da quella nuova sensazione, si sciolse dalla sua
stretta
e lo guardò. Il lanciatore della battuta si era reso conto
troppo tardi della
situazione estremamente equivoca che aveva creato, ma non gli era
rimasta
indifferente. Anzi, il familiare calore e l’eccitazione
improvvisa che lo
coglieva alle spalle da un po’ di tempo lo assalirono
scorretti.
Se
nella ragazza si erano tradotti nel rossore delle sue guance,
evidentissimo
peraltro, in lui si manifestavano in modo un po’meno
giustificabile.
Infatti
per non essere colto sul luogo del delitto, le sorrise e si
tuffò dallo scoglio
in acqua.
Il
mare freddo e congelato, per lui che era riscaldato e arrostito anche,
furono
uno shock tremendo. Infatti riemerse annaspando e scrollandosi i
capelli dal
volto mentre brividi violentissimi lo scuotevano, e stavolta non erano
causati
dall’eccitazione purtroppo.
Francesca
lo osservò stupita nuotare, immergersi e tornare su e poi
guardarla divertito.
-Sei
pazzo!- gli gridò dallo scoglio, e tornò
all’ombrellone.
Quando
Davide la raggiunse, più tardi, i suoi spiriti bollenti e
traditori erano ormai
sepolti. Afferrò un asciugamano e iniziò a
strofinarsi il petto e i capelli per
asciugarsi. La ragazza si spostò all’ombra e
iniziò a cercare nelle borse
-Ho
fame. Ma fame non di cracker, ho fame proprio di brutto-
Lui
posò l’asciugamano e ancora grondante acqua si
infilò all’ombra.
-Lo
so, lo so che sei ingorda, perciò...- schivò un
pugno che lo stava per centrare
ed estrasse una grande ciotola. L’insalata di riso venne
girata e versata in
due piatti.
-Buon
appetito-
Francesca
addentò il suo pasto affamata, manifestando il suo
apprezzamento.
-Se
io fossi una donna ti sposerei solo perché cucini come un
dio- disse,
continuando a ingoiare cucchiaiate di riso e sottaceti.
-Perché,
te non sei una donna?- chiese il ragazzo, con la bocca impastata di
cibo.
-No,
io sono una ragazzina. E non ci tengo ad essere donna-
Doveva
sempre averla vinta, pensò rassegnandosi lui, e non
replicò.
Qualche
minuto, secondo o forse ora dopo, la ciotola di riso si era estinta per
i suoi
tre quarti, e la bionda ragazzina stava seduta, appoggiata alle borse
per
crearsi uno schienale, e con una penna si cimentava a risolvere un
gioco di
qualche rivista.
Davide
avrebbe potuto essere morto, per quanto il suo respiro era fioco. Era
tornato a
sdraiarsi sull’asciugamano come una lucertola, beandosi dei
raggi del sole che
picchiavano e infastidivano gli altri bagnanti. Stavolta
però era messo a
pancia in giù, sempre però col cappello a
coprirgli la nuca, e teneva gli occhi
chiusi. Francesca gli lanciò un rapido sguardo, preoccupata.
-Davide?-
lo chiamò.
-Eh?-
ribatté lui, senza muoversi.
-Ma
sicuro che non ti fa male tutto stò sole?-
domandò lei, avvicinandosi.
-No-
rispose atono.
-è
da quando siamo arrivati che te ne stai al sole. Vieni un po’
all’ombra-
-Sembri
mia madre- le disse sperando di farla arrabbiare e desistere.
Ma
non successe, perché lei invece cercò la crema
solare e gliela lanciò vicino,
sollevando sabbia.
-Mettiti
la crema, che poi ti scotti-
Al
che lui, irritato perché stava interrompendo il suo sonno,
alzò la testa.
Il
cappello gli cadde involontariamente sulla testa, come se
l’avesse infilato.
-Io
non mi scotto, mi abbronzo! Non come te, che hai la pelle
più bianca del latte-
disse, stavolta esagerando per farla arrabbiare; il sonno era il
momento in cui
non voleva essere disturbato e se non riusciva a dormire diventava
irritabile.
La
bionda si indispettì seriamente a quelle parole, e gli
scoccò uno sguardo
irritato.
-Vaf******o-
gli rispose, scontrosa, riprendendo a leggere.
Soddisfatto
di aver ottenuto la pace, lui sorrise, si sistemò il
cappello e chinò la testa.
Appoggiò la guancia contro l’asciugamano e chiuse
gli occhi. Chissà se avrebbe
potuto dormire un po’.
Secondo
il suo telefonino ben custodito nella borsa, erano le cinque passate.
Francesca
decise che era troppo anche per lui e che infondo non poteva essere
così
perfida da lasciarlo cuocere al sole. Perché in effetti,
secondo lei, a mettere
un po’ di carne sulla sua schiena si poteva fare una bella
grigliata.
Così
gattonò sulla sabbia finché non arrivò
a lui, poi lo scosse leggermente. Ritrasse
la mano per quanto era caldo.
-Svegliati!-
gridò.
Lui
storse il naso e si mosse un poco. Poi si girò sul fianco,
stropicciandosi un
occhio.
-Che
ore sono?- domandò assonnato.
-Le
cinque. Tu devi essere matto, e ora vieni all’ombra- lo
tirò di peso a sedersi
sulla sabbia fresca. Il ragazzo contrariato osservò il mare,
col vento che gli
scompigliava i capelli. La bionda gli guardò la schiena, e
scosse la testa.
-Che
hai fatto fin mo?-
-Mi
sono rotta- rispose, ancora arrabbiata per prima.
Davide
se ne accorse e sorrise, cercando di abbracciarle la testa.
-E
dai, sei ancora arrabbiata?-
-Puoi
tenertele le tue scuse. E vaf******o- si scansò, indossando
la maglietta.
Ancora
inebetito dal sonno, non calcolò bene la misura della
strafottenza inserita
nella sua affermazione.
-Perché
ti metti la maglietta? Ti vergogni? E chi ti deve guardare?-
Normalmente
non era così con lei, ma quel pomeriggio sembrava aver
scordato quanto poteva
diventare pericolosa la bionda se ci si metteva. Lei lo
fulminò con lo sguardo,
assottigliando le palpebre.
-Aspetta
e vedrai, lucertola del ca**o- gli sibilò.
Vedendo
che non c’era possibilità di perdono, lui si
alzò e si infilò la sua, di
maglietta. Poi raccolse le cose.
-Dai
andiamo, che si fa troppo tardi poi-
La
porta si aprì, lasciando entrare una ragazzina irritata e
con il broncio. Lei
andò in camera da letto, si spogliò dei vestiti e
subito prese possesso del
bagno, gridando
-Prima
io la doccia!-
Davide
entrò molto dopo, trascinando le borse, tutto carico. Le
lasciò cadere brutalmente
a terra e chiuse la porta. Sentendo lo scroscio dell’acqua
immaginò che ci
fosse lei sotto la doccia. Anche lui si spogliò della maglia
e delle scarpe
tutte insabbiate.
Dio
ma che schifo, pensò guardando la casa, devastata come da un
tornado. Ora gli
toccava pure farci venire sua madre a pulire.
Che
seccatura.
Avvertiva
un certo pizzicore alle spalle, ma preferì non badarvi e
dedicarsi invece a
rimettere a posto abiti e borse.
Dannato
me e il giorno che mi è venuta in mente st’idea,
pensò.
Francesca
uscì poco dopo dal bagno, avvolta in un accappatoio bianco;
frizionandosi i
capelli avanzò nella camera alla ricerca dei vestiti, quando
la testa del
ragazzo sbucò da dietro la porta.
-Posso
fare io?- domandò col tono più gentile possibile.
-Suppongo
di sì- rispose lei, che era tutta impegnata ad esaminare la
biancheria intima a
sua disposizione; poi gli gettò un’occhiata e
alzò un sopracciglio.
Che
bella tonalità, pensò. Rosa e sfumato rosso,
sorrise celando il movimento delle
labbra.
Sentì
scendere il getto della doccia, e sorrise, pronta alla prossima scena.
Per
un po’ procedette tutto normalmente, finché il
getto non terminò. Davide
indossò i jeans, e poi fece per infilarsi la maglia.
Un
grido di dolore echeggiò per la casa. La bionda, ormai
vestita, si precipitò di
là, ma non era preoccupata; aveva invece un bel sorriso
sulle labbra.
Davide
uscì dal bagno lentamente, con solo i jeans addosso.
Camminava
rigido, con passo buffo.
Vedendolo
lei scoppiò a ridere forte, appoggiandosi al divano.
-Non
ridere- le sibilò lui, irritato e rosso anche in faccia,
oltre che sulle
spalle.
Dopo
che si fu sfogata, lei, totalmente dimentica della rabbia, gli fece il
verso.
-Io
non mi scotto, mi abbronzo. Io ho la pelle mediterranea, mica come te
che ce
l’hai più bianca del latte- lo canzonò
facendo smorfie.
-Ben
ti sta, cretino!- rise ancora.
Umiliato
e con, peggio ancora, le spalle bruciate e doloranti, il ragazzo fu
costretto a
supplicare.
-Francesca
ti prego...- disse, con sguardo invitante.
Ma
lei scuoteva la testa, sorridendo e mordendosi il labbro, godendosi la
vendetta.
-...per
favore. Ti prego dai...- inclinò il capo a destra, le spalle
alzate per non
procurarsi dolore.
-Ripetilo-
disse la bionda, scendendo dal divano e avvicinandosi.
-Ti
prego. Sono un co*****e. Ti prego-
Questo
parve bastarle, e preferì non umiliarlo oltre;
andò di là a prendere un qualche
cosa che potesse andar bene contro le scottature, pensando che
però
gliel’avrebbe fatta pagare per quella frecciatina. Dopotutto,
non poteva
lasciarlo andare così.
Tornò
in camera con la crema, e lo trovò sul letto, seduto al
bordo.
Si
teneva le mani sulle ginocchia e la aspettava facendo smorfie.
Lei
chiuse la porta e avanzò verso di lui.
-Che
roba è?- domandò il ragazzo.
-Boh.
L’ho trovata nello scaffale- rispose, poi voltò il
tubetto e lesse l’etichetta.
Salì
anche lei sul letto, inginocchiata e continuando a leggere si mise alle
sue
spalle.
Constatando
che almeno gli avrebbe dato un minimo sollievo, stappò il
flacone.
Maliziosa,
gli poggiò le mani sulle spalle.
-Mi
dica dove ha male- disse, apposta provocante.
-Smettila-
disse lui -e muoviti, ho male sul serio-
-Ah
come sei impaziente- sorrise, reggendosi la commedia.
Sospirò
e si versò un po’ del gel sulle mani.
Ma
ora doveva vendicarsi. Fece comparire sul volto un ghigno che non
preannunciava
nulla di buono.
-Allora,
qui ti fa male?-
Gli
sbatté una manata fortissima fra le scapole, proprio nel
mezzo, e Davide si
ficcò una mano fra i denti per non imprecare pesantemente.
Sobbalzò,
scansandosi e sentendola ridere si voltò.
-Ma
sei matta?- alzò la voce, dolorante. Lei lo
guardò negli occhi.
-Ah
scusa, era qui- sempre fissandolo gli batté una mano sulla
spalla destra.
Lui
stavolta non si trattenne e disse una parolaccia ad alta voce,
allontanandola o
almeno provandoci.
-Str***a-
le sibilò, massaggiandosi la spalla, ora ancora
più rossa.
Francesca
si portò vicinissima al suo viso.
-Che
hai detto?-
E
mentre lo diceva, gli prese un lembo di pelle fra pollice e indice,
storcendolo. Lui gemette di dolore, ma lei non smise.
-Che
hai detto? Ripetilo!-
-Scusa
scusa scusa!- si affrettò a dire, sfuggendo la sua presa.
Quando
lo lasciò andare la osservò imbronciato.
-A
questo punto faccio da solo. Non mi serve un’assassina-
commentò. Lei di nuovo
gli afferrò una spalla, e sempre rimanendo dietro di lui gli
parlò vicina alla
sua bocca.
-Non
è colpa mia, cretino. Io te l’avevo detto che ti
bruciavi- disse infastidita prima
di allontanarsi del tutto e scendere giù dal letto.
Notando
che non voleva aiutarlo, lui accettò di supplicarla.
-Francesca
ti prego...- disse. Poi colto da un improvviso lampo di ispirazione,
aggiunse
-Ho
bisogno di te-
La
bionda si voltò a metà strada, le mani ancora
sporche di crema. Sogghignò e si
morse un labbro, seria.
-Cretino-
disse, ma risalì sul letto.
Stavolta
accettò di spalmargli la crema sulle spalle e sulla schiena,
anch’essa
abbondantemente rossa.
Le
sue piccole mani si sfregavano contro la pelle arrossata, appoggiandoci
sopra
la crema.
-Ti
faccio male così?- domandò con tono totalmente
diverso da prima.
-No-
rispose inespressivo il ragazzo.
Davide
in realtà aveva notato il cambiamento del tono, e lo si
poteva notare anche nei
gesti.
Se
prima i suoi schiaffi gli avevano fatto una male infernale, ora le sue
carezze,
anche se non dettate dall’affetto, lo rilassavano.
E
di nuovo, a tradimento, quella sensazione lo assalì; lui,
senza difese, si
lasciò conquistare.
Non
era proprio il momento adatto di eccitarsi, pensò. Non con
lei così vicina e
con le mani che lo accarezzavano... Dio.
L’aveva
pensato ormai.
Sentì
l’adrenalina crescere e salire più su, eccitata
dalle sue carezze. Che poi in
realtà non erano carezze, ricordò a se stesso,
gli stava solo spalmando la
crema. Solo una maledetta stupidissima crema, e Dio, lo stava facendo
impazzire.
Francesca
percorreva diligente tutta la linea della spalla, dei muscoli, dei
lombi.
Caspita, pensò arrossendo. Aveva delle spalle larghe e
forti; non voleva far la
provocante, ma mentre faceva lentamente salire la mano da sotto verso
sopra non
poté evitare di arrossire per quanto stava facendo e
perché le piaceva, in
fondo. Certo non poteva sapere che il ragazzo, dall’altra
parte, si mordeva un
labbro a sangue per non lasciarsi sfuggire il minimo fiato.
Perché se avesse
avuto la libertà di parola, i suoi gemiti sarebbero stati
estremamente
convinti.
Cavoli,
non poteva più nascondersi ormai, anche lui
l’aveva capito. Quella bionda
testarda gli piaceva; e gli piaceva da morire.
Ma
non poteva, non doveva azzardarsi a sfiorarla, per via di quel bambino,
del
loro rapporto stabile, della sua situazione, di quello che aveva fatto
per lei
e non voleva venisse frainteso. Chiuse gli occhi, si inclinò
leggermente all’indietro
poggiandosi al materasso con le mani.
-Francesca?-
la chiamò con voce roca.
-Sì?-
rispose lei.
-Sei
ancora arrabbiata?- domandò.
Lei
sorrise e lui poté benissimo intuire, nel silenzio, il
movimento delle sue
labbra che si stiravano e si sentì più rilassato.
Non gli piaceva litigare con
lei, e come se non bastasse farlo era estremamente stancante.
-Diciamo
che ho avuto la mia vendetta- replicò, mordendosi un labbro
e non dandogliela
vinta.
Finì
di massaggiare le spalle, mettendoci su altra crema, e poi si
lasciò andare,
sedendosi sul letto.
Era
finito troppo presto, pensò Davide, ma comunque si
alzò in piedi.
-Grazie-
-Figurati.
Ora- si alzò e lo stese, letteralmente, sul materasso a
pancia in giù –tu stai
fermo. Te lo faccio io il mangiare-
Era
inutile ribattere, perciò il ragazzo si accomodò
sul materasso, tirando a sé il
cuscino e chiudendo gli occhi. Gli sembrava una cosa gentile da parte
sua,
forse un modo per farsi perdonare. O forse, ipotizzò
l’attimo dopo, un
tentativo di omicidio.
Nel
tempo che lei stette in cucina a preparare la cena, lui
rifletté su quella
strana attrazione sbocciata repentina e prorompente negli ultimi mesi.
Perché?
Ci
pensò sopra.
All’inizio
lei era scontrosa con lui, lo considerava uno sfigato; non voleva che
entrasse
nella sua vita, e ricordò come, quasi ingiustamente, lui
avesse sbirciato e
cercato per forza di capirne qualcosa. Voleva solo capirla. Lei era
forte,
coraggiosa e non si faceva spaventare. Con le persone nuove era timida
e
rispettosa, ma se stuzzicata si accendeva all’istante, con
risultati
disastrosi.
Molto
volubile, negli ultimi tempi assieme al suo comportamento
più rilassato e
gentile c’erano sempre quegli sbalzi d’umore. Forse
erano solo tipici della sua
età, dopotutto aveva solo sedici anni.
Sedici
anni... quasi diciassette. Caspita, cinque in meno di lui.
Forse
erano troppi. Però non gli era mai capitato di essere legato
ad una donna...
pardon, ad una ragazza, in quel modo. Loro due, uniti da quel segreto
che ormai
era cresciuto nella sua pancia, accettato a fatica ma portato avanti
col suo
aiuto. Poi suo padre, quel nodo della sua vita che non voleva
sciogliere, e
adesso manteneva anche con lui un rapporto migliore di prima. Prima,
all’inizio, l’aiutava perché si sentiva
responsabile di quel bambino e della
sua situazione. Da un po’ di tempo, forse da quando aveva
scoperto la sua
situazione familiare, perché sentiva un certo affetto verso
di lei. Insomma, le
voleva bene.
Nel
frattempo della sua riflessione, forse si era anche addormentato un
po’, ma
venne prontamente risvegliato da uno scrollone.
-Buon
appetito-
Davide
si alzò sui gomiti e si sedette sul letto; la bionda gli
aveva portato un
piatto di quella che voleva essere della semplice pasta al sugo.
Ma
l’odore non lo convinceva.
-Sono
quattro mesi che ti guardo cucinare ogni giorno. Qualcosa
avrò imparato- disse,
in attesa di un suo giudizio.
Esitante
non voleva assaggiare, ma notando la sua espressione fiduciosa e
ansiosa
preferì tentare. Nel peggiore dei casi, sarebbe morto
avvelenato.
Così
infilò la pasta fra i denti della forchetta, bagnandola col
sugo, e se la
infilò in bocca.
La
prima cosa che notò furono i suoi denti che cozzarono contro
le penne. La pasta
non era cotta bene.
Per
secondo, quel sugo era...grumoso, bruciato (e il sapore ne risentiva
parecchio)
e i pomodori, forse acidi, coronavano il tutto.
Masticò
lentamente e ingoiò.
-Com’è?-
domandò curiosa la ragazzina.
-Beh...-
immaginò che la espressione forzata facesse dedurre che non
era un piatto da
cinque stelle, così disse la verità.
-Forse
i pomodori non erano buoni...- cominciò, evasivo.
-Cioè?
Fa schifo?-
-No!
beh...- alzò un sopracciglio ma si impose di non rispondere.
-Insomma
ti piace sì o no?- domandò lei incrociando le
braccia al petto.
Davide
non rispose, perché non voleva litigare ancora; infondo
avevano appena fatto
pace e non ci teneva a vederla ancora col muso.
La
bionda iniziava a scaldarsi, e per evitare l’esplosione lui
le imboccò un po’ del
suo piatto.
-Assaggia
tu-
Francesca
masticò la pasta, aggredendola a morsi, ma svanito
l’entusiasmo iniziale la sua
espressione mutò da furiosa a disgustata. Ingoiò
anche lei a forza la
forchettata.
Poi
non disse nulla, sapendo di essere in torto, e non lo guardò.
-Forse
c’è rimasta un po’ di insalata di riso-
propose.
-E
speriamo- commentò lui.
Grazie ai preferiti, a
chi legge soltanto, e a chi recensisce. Oh certo, e anche a chi "segue"
la storia.
thatsamore: temo che per
la nascita bisognerà attendere un altro po'. E... ti
ringrazio ma sono un ragazzo.
FeFeRoNza: dunque...
ebbene sì,
Davide l'ha portata a mare, ma sarà stato forse per evitare
la
distruzione del suo appartamento in caso che Francesca si fosse
annoiata di nuovo? Beh, a noi piace pensare che lui l'abbia fatto per
lei, no?
Il Davide Fan Club non
è cosa
fattibile, e ti dico subito perchè: non credo che Francesca
sarebbe molto entusiasta di avere delle rivali... e sai, potrebbe
"annoiarsi" di nuovo e io non garantisco alcuna incolumità...
Jiuliet: Salve. ....ma
come fai? Guarda, è incredibile. Io sospetto che tu sappia
leggere il pensiero.
Come fai a capire ogni
santa volta
quello che voglio esprimere? Francesca contemporaneamente ragazzina e
donna. O meglio, una ragazzina che non vuole essere una donna ma
è costretta a diventarlo troppo in fretta. Sì,
credo che
loro siano una famigliola, come dici tu, ma non se ne rendono conto. O
forse, lo sanno ma non vogliono ammetterlo. Ma certo che li meriti i
complimenti.
vero15star: che bella
recensione.
Sai...non c'è alcun bisogno che tu mi faccia una statua (e
non
me la merito affatto) perchè mi basta già tutto
quello
che mi hai detto. è vero, anche io spesso leggendo trovo
come
dici tu "finali scritti in fretta,conclusioni banali,capitoli futili" e
io credevo di non esserne immune. Sapere che la mia storia ti prende
così tanto da cambiare piega al tuo pomeriggio
è...
bello. Ho cercato di metterci il meglio di me, e sapere questo che mi
scrivi mi gratifica molto.
Cercherò di
scrivere ancora capitoli veri anche solo per ringraziarti.
MissQueen: ciao
Valentina! Mi spiace
se t'ho fatto attendere troppo. Per la verità, ho cercato di
far
del mio meglio con tutta la storia e se questo traspare leggendo i
capitoli è un bel traguardo. Felice d'averti fatto felice.
Naturalmente anche Davide spera che l'attrazione prima si concretizzi,
e poi diventi altro...ma ci sono un bel po' di cose da risolvere
ancora! "E poi te hai questa capacità di fare vedere le
scene al
lettore"... oh dannazione, tu vieni da Firenze?
Beh, se non altro,
facendoti 'vedere'
le scene, ti risparmio i soldi per il cinema... sto sicuro che tu dica
la verità, tranquilla. Non m'hai annoiato.
Marty McGonagall: ciao
Martina! Io
imploring di non chiamarlo mai 'Davidino' per piacere... trovane un
altro ma non questo... L'incontro con Damiano è stato strano?
No, tu dimmelo sempre se
sbaglio
qualcosa... sei o non sei una betareader? Se sbaglio fammelo notare,
altrimenti come imparo campando solo di complimenti?
Eh... se 'Fra' l'avesse
sentito...
mmm, difficile immaginare che sarebbe successo. No, certo che non
è male essere smielosi, credo... basta non eccedere. E poi,
tu
che hai inventato la parola, devi essere orgogliosa degli
smielosi. Grande la curva Nord... se segue il tuo fiuto stiamo certi
che tra un po' fanno la ola...
Devilgirl89: va
bè, Davi te lo
puoi permettere, sempre meglio di 'Davidino'... visto che hai fatto
bene? Ma io sospetto che tu lo sapessi già. Ah che bello,
sei
stata nel Salento, nella mia seconda regione... beh, se dici che rendo
bene il clima della mia terra, spero di aver fatto una buona
pubblicità. Sì è vero, Francesca non
ha ancora
accettato il suo bambino, ma non si può pretendere un
cambiamento così radicale. Ci vuole tanta pazienza per
quello.
EmilyDoyle: beh, non
importa tu abbia
saltato due capitoli. Son felice che tu abbia apprezzato il gesto di
Francesca. Starà forse cambiando?
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Davide
si era faticosamente steso a pancia in su, spogliato del pantalone e
vestito di
maglietta e pantaloncini, e ora fissava stanco il soffitto, con le
palpebre che
si chiudevano a tratti. Era così stanco da non avere nemmeno
la forza di tenere
aperti gli occhi.
Sfregò
il naso e il volto contro il cuscino, provando a dormire.
Francesca
rientrò a casa con un gran fracasso; reggeva fra le mani due
buste, e facendo
dondolare le chiavi si precipitò in camera, sul letto. Ci si
sdraiò sopra,
arrivando al viso del ragazzo. Lui ormai dormiva già.
Prendendo
una birra dalla busta che aveva portato in casa, Francesca si sedette
contro la
testata del letto e iniziò a berne un sorso.
Era
troppo fredda e così dopo un po’ si
stancò e la poggiò sul comodino. Si
passò
una mano fra i capelli biondi sudati, chiudendo gli occhi e accostando
la testa
al muro.
Sentiva
che quella notte non sarebbe riuscita a dormire e ciò la
infastidiva. Se non
dormiva, la mattina seguente si sarebbe alzata nervosa e irritata, e a
farne le
spese sarebbe stato lui.
Stanca
ma seria, con un broncio sensuale sulla faccia, lo guardò
dormire e passò una
mano fra i suoi capelli, accarezzandoglieli. Doveva dormire, a tutti i
costi.
Lentamente,
non sapendo bene perché lo stesse facendo, si
sfilò il pantalone che indossava,
restando in maglietta; poi scivolò sul materasso,
avvicinandosi a lui.
Sbadigliò
e passò un braccio attorno alla sua vita.
Poi
chiuse gli occhi e infilò il naso sotto la sua guancia,
sfregandosi sul suo
collo. Davide si mosse leggermente, e aprì un occhio.
Forse
ancora addormentato, non distinse bene quello che succedeva,
però sentì un
respiro accanto al suo. Non ci badò più di tanto
e tornò a dormire.
Francesca
notando che non si era accorto di nulla, si intrecciò ancora
di più a lui,
incrociando le loro gambe.
L’unico
problema era quella maledetta pancia che si ritrovava, che le impediva
di
dormirgli abbracciata.
Dannazione
al bambino. Pure in quelle situazioni doveva intromettersi, maledizione.
Un
rumore di ruote che sfrecciavano sull’asfalto
annunciò l’arrivo di un’ora
presentabile per alzarsi. Davide riacquistò lentamente la
percezione dei propri
sensi.
Non
appena lo fece, sentì subito che accanto a lui stava
dormendo la bionda
ragazzina. Ma non stava dormendo dall’altro lato, come sempre
aggrovigliata fra
le coperte che sembrava ci avesse fatto la guerra. Stava dormendo
attaccata,
no, abbracciata a lui.
Essendo
ancora mezzo intontito dalla dormita, non ebbe il tempo di reagire alla
situazione e non se ne preoccupò. Tornò ad
appoggiare la testa sul cuscino, ma
così facendo sbatté piano il naso e la fronte
contro le sue.
Francesca
si svegliò giusto in quel momento, aprendo le iridi azzurre
e alzando la testa.
Le palpebre strette e cispose non focalizzarono immediatamente chi le
stava
accanto, ma una volta che lo riconobbe emise un gemito assonnato e
lamentoso e
si rituffò giù.
Lei
si trovava con la testa contro il materasso, in modo da essere
più sotto di
lui, e da potergli sfregare il collo col volto.
Quando
però lui, ripresosi dal sonno, capì che era lei
che si stava addormentando di
nuovo contro di lui, inizialmente ebbe un tuffo al cuore, trasformato
poi nella
solita sensazione.
E
come si faceva ad ignorarla in quel momento?
Si
sentì all’improvviso più caldo e aveva
una voglia tremenda.
Senza
bisogno di specificare di cosa avesse voglia, Davide mosse il braccio
sinistro
che era abbandonato inerte sul corpo della ragazza, avvicinandoselo di
più in
modo da avvertire il contatto fra le loro gambe, il torace e quella
pancia
enorme.
Al
pensiero sorrise e Francesca notandolo si allontanò dal
collo per guardarlo in
faccia.
-‘ché
ridi?- domandò rintronata dal sonno.
-No,
così- rispose evasivo.
Le
spostò i capelli che le stavano tutti appiccicati
sull’orecchio, guardandola
negli occhi.
Cosa
gli costava, in quel momento perfetto, intimo, dove nessuno poteva
vederli,
sentirli o sarebbe venuto a cercarli, darle un bacio?
Uno
solo, non chiedeva tanto; lei lo guardò con
un’espressione che non era né
arrabbiata, né maliziosa, né triste, allegra o
altro. Lo stava fissando
intensa, come se con il solo sguardo volesse fargli una richiesta.
Era
facile dopotutto, non era complicato. Semplicemente prendere il
coraggio a due
mani e annullare la peraltro poca distanza fra le loro bocche.
Ma
non ci riuscì.
Sul
più bello, quando stava per farlo, gli venne in mente
l’ipotesi che lei non
volesse. Allora ebbe paura e si allontanò da quel pericoloso
contatto.
-Oggi
dove andiamo?- domandò la bionda, apparentemente ignara dei
pensieri che
avevano affollato poco prima la mente del ragazzo.
-Ho
l’esame del corso-
-Oggi?-
-Sì-
Era
vero, e se l’era anche scordato. Per di più non
aveva studiato molto.
Poi
gli venne in mente che aveva ancora qualche esercizio da fare, e
qualche
definizione teorica da ripassare.
Si
allungò fuori dal letto con un braccio, afferrando il
quaderno che stava sul
comodino.
Lo
prese e iniziò a sfogliarlo.
Francesca
curiosa si issò sulle braccia per guardare, poi
fermò ad una pagina.
-Dai
ti interrogo- disse, cercando una domanda.
-Tanto
non ti rispondo- sorrise lui.
-Paura?-
fece provocante.
-No,
è un mio metodo personale-
-Sarebbe?-
domandò improvvisamente interessata lei, afferrando il
quaderno dalle sue mani.
-Studio
fino ad un certo punto il giorno prima, e poi basta. La mattina dopo
niente
ripetere-
-Io
quando ho compito ripeto anche mentre il prof distribuisce i fogli...-
disse la
ragazzina, sdraiata a pancia in su, girando le pagine del quaderno.
-Genietta-
disse pianissimo il ragazzo, quasi in un gemito, tuffandosi con la
testa contro
il suo collo.
-T’ho
sentito sai?- fece la bionda con tono sgarbato, ma poi sorrise e
ricominciò a
sfogliare le pagine.
Davide
stette in silenzio, senza voglia di alzarsi. Si stava così
bene in quel letto,
impacciati sotto le lenzuola che più che coprirli davano
fastidio con quel
caldo, con il sole che iniziava ad alzarsi alle otto della mattina, ma
soprattutto sentire il suo corpo caldo, morbido e rotondo contro il suo.
Gli
piaceva il contatto fisico con la ragazzina, lo faceva sentire bene e
da tanto
tempo non gli capitava di trovarsi a letto con una donna. Questo
pensiero, il
fatto di considerare quei momenti alla pari dello svegliarsi dopo una
notte
passata a fare l’amore con una, lo fece sentire strano.
Anche
Francesca aveva interpretato nel modo giusto quel bisogno di contatto
con lui
che l’aveva spinta a dormirci assieme. Probabilmente quello
che voleva da lui
era più una semplice amicizia. E mentre il ragazzo le stava
abbracciato anche
lei si sentiva bene.
Ma
si stava facendo tardi, piuttosto tardi e anche se nessuno dei due
voleva
interrompere quel momento intimo il ragazzo doveva alzarsi.
Quella
strana situazione in cui si erano trovati quella mattina era buffa,
perché non
si erano mai permessi un contatto più intimo fra di loro, ma
lo stare insieme
senza obiettare significava che entrambi lo avevano sempre desiderato,
senza il
coraggio di ammetterlo.
Davide
si mosse un poco, allontanandosi.
Non
avvertendo più quel contatto caldo contro il corpo del
ragazzo, lei si
infastidì e si girò.
-Dove
vai?- domandò, leggermente delusa.
-Te
l’ho detto, stamattina ho l’esame-
Francesca
gli restituì il quaderno e lo osservò vestirsi.
Che illusa, pensò fra sé. Lui
era più grande di lei e certamente la sua prima scelta,
qualunque fosse, non
sarebbe stata certo una ragazzina bionda, dagli occhi azzurri e grassa.
Pensando
questo, triste, lo guardò mentre prendeva il suo zaino e si
avvicinava al
letto.
Davide,
incerto su cosa dire, optò per un qualcosa che fosse
abbastanza ambiguo da
garantirgli una certa copertura. Si chinò sul letto e le
diede un bacio sulla
testa bionda.
-Spero
che mi porti fortuna, genietta- le disse sorridendo.
-Spero
anche io- ricambiò il sorriso.
Quando
uscì dalla stanza, la sensazione delle farfalle nello
stomaco non si era ancora
esaurita. Avrebbe tanto voluto che quel bacio fosse stato centimetri
più giù.
L’esame,
come previsto, andò bene, anzi molto bene. Non sapeva ancora
i risultati ma
confrontandosi con gli altri Davide era certo di aver fatto un buon
lavoro. Per
questo, tornato a casa di ottimo umore, aveva preparato un bel pranzo.
-Dove
stai andando?- domandò Francesca più tardi,
notando che lui aveva preso le
chiavi dal mobile.
-Vado
a casa di mia madre. Vuoi venire con me?-
-No,
assolutamente- disse categorica.
-Sicura?
Non so a che ora torno- l’avvertì con la mano
già pronta sulla maniglia.
-Non
credo che riuscirei a nascondere questo- si indicò con le
mani il pancione –e
relative domande-
Davide
si girò un momento verso di lei, che ne
approfittò per chiedere
-Hai
intenzione di dirlo a tua madre?-
-Non
so. Pensavo, ma solo se tu vuoi...-
La
ragazzina ci pensò un momento su e considerò che
prima o poi, in un modo o
nell’altro, avrebbe dovuto dirlo almeno alla famiglia, che
stava per diventare
papà.
Meglio
poi che prima, aggiunse.
Decise
che se proprio doveva farlo, sarebbe stato lui a dirlo, senza
immischiarla. O
quantomeno, non direttamente.
Non
le andava di essere guardata male dalla madre, dalla sorella che aveva
la sua
stessa età, e poi di essere scocciata con tutte quelle
attenzioni. Questo mai,
si disse. Già non sopportava l’idea, figuriamoci
con tanta gente che le ronzava
attorno fastidiosa. Lei voleva che il bambino nascesse (almeno questo
Davide
era riuscito a ottenerlo) e che tutto succedesse in privato. Che a
saperlo
fossero solo lei e lui, e basta.
Così
alzò le spalle.
-Se
proprio devi, ma io non ci vengo a casa di tua madre-
-Quindi
posso dirglielo?-
La
bionda di nuovo alzò le spalle, in un gesto indifferente, e
andò ad attaccarsi
al computer.
Davide
le gettò un ultimo sguardo, non ricambiato, e chiuse la
porta.
Francesca
stava su Internet, legata da un timer che le stabiliva un massimo
orario, e
chattava con alcuni suoi compagni.
“Beati
voi che siete in vacanza” scriveva triste e mogia,
preparandosi a trascorrere
un altro pomeriggio in completa noia, afa e calma piatta. Era
così deprimente,
passare le giornate in quel modo e mangiare tanto per ingannare il
tempo.
Come
se non fossi già abbastanza grassa, si rimproverò
mentre ingoiava un altro
cucchiaio di gelato. Delusa del fatto che non sapesse resistere a
quella
tentazione, ormai incapace di guardarsi ad uno specchio e trovarsi
carina come
prima, aveva rinunciato anche alla vita sentimentale.
Non
che avesse possibilità di impegnarsi in un relazione; no,
non era proprio il
momento. Intanto seguiva più o meno interessata le
chiacchiere della sua amica
che le raccontava la tormentata storiella estiva che stava vivendo. La
invidiò
tantissimo perché non solo aveva la possibilità
di essere notata da un ragazzo,
ma lo otteneva pure. Lei non aveva la possibilità,
né credeva di interessare a
lui.
Perché
lui era molto serio, maturo e responsabile, ma soprattutto totalmente
diverso
da lei. Per quanto la ragazzina era irascibile, lui era paziente.
Tanto
lei era volgare, lui educato. Tanto piccola e complicata, lui grande e
con un
atteggiamento piuttosto semplice.
Francesca
si era domandata un’infinità di volte riguardo la
sua vita sentimentale passata
e attuale. Lei non lo sapeva, ma chissà se si vedeva con una
donna. Non
gliel’avrebbe mai ammesso, ma avrebbe pagato per sapere cosa
combinava di sera.
Prima era diversa, pensava solo a divertirsi e quando usciva con lui
non le
interessava se guardava le donne. Gli ultimi tempi, quando il ragazzo
usciva la
sera e lei restava a casa, troppo timida per farsi vedere in giro con
quell’immenso pancione diventato il suo incubo, provava
grande rimorso per non
poter essere lì con lui.
Chissà
con chi giocava a carte; anche se le portava spesso la birra, o un
tè o
qualcosa di fresco la sera tardi, se la trovava ancora sveglia, e le
raccontava
che i ragazzi sentivano la sua mancanza e lui soprattutto
(perché non vinceva
più) non poteva invidiare tutte quelle ragazze come lei che
la sera si
trovavano al parco. E in quella città c’e
n’erano parecchie, di belle ragazze.
Lui
era il suo esatto opposto, e come per la solita legge fisica
più infallibile di
una formula matematica, gli opposti si attraggono.
Che
tristezza, pensò fra sé mentre chiudeva la
finestra di Internet e si
disconnetteva.
Poi
un piccolo ma improvviso lampo la attraversò.
Aveva
a disposizione il suo computer, perché non approfittarne?
Subito,
incuriosita ma allo stesso tempo con un certo rimorso,
indugiò sul desktop.
Poi
mandò all’aria le esitazioni e iniziò
ad aprire cartelle.
C’erano
film, un sacco di musica, nemmeno una canzone che conoscesse. Poche
foto.
Qualche
ragazza, e chissà se erano le sue ex. Tutte dai capelli
scuri, notò, ed era un
altro punto a suo sfavore.
Erano
belle ragazze, si disse, e certo nessuna di loro aveva tra il petto il
basso
ventre una montagna curva e tonda. Inoltre osservò che il
loro reggiseno era
decisamente più pieno del suo. Guardò un attimo
in basso. Okay, non che
possedesse proprio le misure da velina, ma non era tanto male. Poi a
dir la
verità, con la gravidanza e l’aumento degli ormoni
e tutta quella roba lì, un
vantaggio era che almeno rimediava un po’ di sostanza
lì.
Più
le guardava e più si deprimeva, così irritata
spense il computer. Tutto le
ricordava che era grassa, tutto; o almeno così le sembrava.
Nel
frattempo Davide aveva trascorso un pomeriggio in compagnia della
sorella e di
sua madre.
Questa
aveva cercato di convincerlo in tutti i modi di venire qualche sera a
cenare da
lei; lui aveva rifiutato più e più volte. Come
avrebbe fatto a presentarle
Francesca? Non poteva mica lasciarla sola.
Anche
se si era prefissato di raccontare la verità, al momento di
rivelarla si sentì
impacciato ed ebbe paura delle conseguenze, così stette
zitto.
Il
pensiero di aver avuto paura di dire la verità lo
tormentò in silenzio per
tutta la sera. Ora capiva come si doveva essere sentita la bionda
ragazzina,
con tutti quei segreti.
Compensò
questo suo tormento interiore ottenendo sguardi contenti e parole
compiaciute
per il corso che stava seguendo. Sua madre fu felicissima che
finalmente il
figlio avesse deciso di sfruttare quegli anni di studio in qualche
modo, e
anche se non lo disse Davide immaginò che avesse pensato
“Se ci fosse stato tuo
padre...”.
Purtroppo,
e a questo non c’era alcun rimedio, suo padre non avrebbe mai
saputo né del
corso, né del bambino.
Davide
tornò a casa molto più tardi, quando le nove e
mezza erano passate e la
lancetta lunga del quadrante dell’orologio si apprestava a
superare il numero
tre.
Silenzioso,
perché sospettava che Francesca stesse dormendo,
poggiò le chiavi, un pacco di
dolci regalati dalla mamma, e iniziò a spogliarsi sedendosi
sul letto.
Si
era appena tolto scarpe, maglia e cintura che una sagoma emerse da
dietro le
tende.
Francesca
era anche lei svestita, con indosso il solo pigiama: una maglietta
larga e dei
pantaloncini molto corti. I capelli biondi sudati le cadevano sulle
spalle in
due parti perfettamente uguali, spartiti dalla riga, eccetto che per
quel
ciuffo ribelle sul davanti che tanto la faceva dannare.
Lei
dopo tutto quel pomeriggio passato a rimuginare sull’aspetto
fisico e quelle
ragazze trovate nel suo computer, sorrise delusa e nello stesso tempo
incapace
di staccare gli occhi dal suo corpo. Avrebbe tanto desiderato,
pensò avvertendo
una certa conosciuta sensazione in basso, che il ragazzo la prendesse e
la
facesse sedere su di lui. Poi l’avrebbe baciata. Ma che
sciocchezza, si ammonì
un secondo dopo.
Lui
la guardò per un po’ sorpreso di trovarla sveglia,
poi parlò per spezzare il
silenzio.
-Mi
dispiace se ti ho lasciata sola tutta la giornata-
-Non
fa nulla- fece lei con un sorriso triste, sedendosi incrociando le
gambe sul
letto.
-No,
sul serio. Devi esserti annoiata a morte- il ragazzo
strisciò sul letto per
avvicinarsi alla bionda –Cos’hai fatto?-
Lei
fu sorpresa da tutto quell’interesse: non
gliel’aveva mai domandato e forse
significava che era veramente dispiaciuto.
-Beh,
ho guardato la tv. Sono stata su Internet. Ho provato anche a cucinare
la cena,
ma non ci sono riuscita e allora ho mangiato quello che avevi preparato
tu-
-Sei
proprio negata- commentò scuotendo la testa lui.
-Stupido!-
la ragazza provò a tirargli un pugno ma lo mancò.
Allora
finta offesa si girò dall’altra parte, dandogli le
spalle. Davide sorrise
divertito e fece per avvicinarsi, per chiederle scusa, quando lei
parlò.
-Ah
e poi tanto c’era il bambino che mi faceva compagnia-
Lui
allargò il sorriso a quella frase, ma si fece serio,
arrossendo a quella
successiva.
-Vuoi
sentire?-
-Cosa?-
domandò perplesso, parlando alle sue spalle.
-Il
bambino-
Stupito
in un primo momento ma poi lusingato dalla richiesta, si
incuriosì di quelle
sue parole e decise di vedere fin dove voleva arrivare.
-E
come si fa?- chiese.
Francesca
rise un poco, poi tornò seria e voltò la testa
per guardarlo, senza girare il
busto.
-Vieni-
Aveva
sul volto un broncio sensuale, invitante e dannatamente eccitante.
Ormai
incatenato e preso dallo sguardo che gli aveva lanciato, Davide si
inginocchiò
dietro di lei.
La
ragazza bionda gli prese le mani e le portò piano sulla sua
pancia rigonfia,
tenendole ferme.
-Se
sei fortunato lo senti pure calciare- disse.
Come
erano piccole le sue mani rispetto a quelle del ragazzo, si disse.
Quelle di
lui potevano contenerle senza sforzo.
Davide
si avvicinò di più a lei, abbracciandola da
dietro.
-Soffri
il solletico?- disse poggiando davvero le mani sul pancione.
-Ti
piacerebbe vero?- lo schernì la ragazzina, però
divertita dalla situazione. In
realtà lei non credeva davvero che lui avrebbe accettato di
sentire il bambino,
ma visto che aveva acconsentito tanto valeva approfittarne.
Chissà che in quel
momento il bambino che tante volte la tormentava, di notte soprattutto,
non
decidesse di sferrare un bel calcio sulle mani del papà.
Questo per sua
sfortuna non accadde, ma più di tanto non le importava.
Davide
prima si vergognava anche solo di toccarlo, quel pancione e non
perché gli
facesse schifo, ma perché lo considerava come un qualcosa di
sacro, inviolabile
e delicato. Ma adesso che ci aveva preso confidenza, lentamente
iniziò ad
accarezzare la pelle.
Francesca
smise di sorridere e si fece seria quando sentì che le mani
di lui non si
stavano limitando solo a sentire. Era una sensazione veramente
piacevole, stare
lì in silenzio, senza nessun rumore che non fosse il loro
respiro, e sentire le
mani del ragazzo massaggiarle quel suo incubo.
Veramente
piacevole.
E
nella stanza piccola, buia eccetto la luce bassa che veniva dalla
lampada e
dava al tutto un’atmosfera più intima, la tensione
si stava trasformando lenta,
come un vino a riposo che lievita, in eccitazione.
Francesca
arrossì e non per vergogna quando sentì le sue
dita sfiorarle, seppur da sopra
la maglietta l’ombelico. Chiuse gli occhi e
inclinò leggermente la testa indietro,
godendosi appieno la sensazione.
Anche
per il ragazzo, i movimenti ora non erano più dettati dalla
semplice e pura
affettuosità, ma dall’eccitazione di percorrere
finalmente con le proprie mani
quel corpo che tantissime volte si era trovato ad osservare languido.
La
bionda ad un tratto girò la testa verso di lui. Non aveva
gli occhi aperti, ma
socchiusi e il suo respiro stavolta non caldo per la rabbia sbatteva
contro le
labbra di lui.
Davide
rimase stupito.
Francesca
cercava la sua bocca.
Il
primo bacio fu quasi timido, come se entrambi avessero paura di farlo.
Poi lei
gli bloccò le mani sul ventre e appoggiò le
labbra alle sue. Davide non fu così
bravo come prima a reprimere l’eccitazione e la voglia che si
sentiva addosso
da un sacco di tempo.
Più
convinto, più voglioso ed eccitato le mise gentilmente una
mano fra i biondi
capelli, facendoseli scorrere fra le dita lenti, e congiunse le loro
bocche in
un bacio vero.
Sembrava
che quel momento fosse stato programmato da tanto tempo e che
finalmente fosse
venuto il momento di metterlo in scena.
Quanto
tempo era che Davide non provava l’ebbrezza di sentirsi unico
insieme a una
donna, insieme a lei, ma era deciso a recuperare tutto il tempo perso.
Si
staccarono lentamente, con i respiri che ansanti si sovrapponevano.
Come se
entrambi non ci credessero, stettero fermi, in attesa di qualcuno che
gridasse
‘no, fermi!’. Ma nessuno sarebbe venuto a fermarli.
Davide
non riuscì a stare buono per molto tempo; non ora, non
adesso, non con lei.
Come
era buona la sua bocca, pensò distrattamente eccitato
ricominciando a baciarla.
Francesca
ricambiava di buon grado le sue attenzioni, girandosi di più
e lasciandosi
toccare. Nemmeno lei sapeva cosa esattamente stesse succedendo e come
fosse
successo, ma di certo le piaceva e non voleva smettere.
Non
seppero come, ma poco dopo lei era sdraiata fra le lenzuola del letto e
lui le
stava sopra.
Davide
non sapeva bene come muoversi con quel pancione ingombrante;
così stava, un po’
scomodo, piegato sulle ginocchia e la sovrastava.
Per
la prima volta si guardarono negli occhi e il suo era liquido, intenso
mentre
quello della ragazza quasi indecifrabile. Ad un tratto lei si
alzò per
prendergli il viso fra le mani, baciandolo veloce sulla bocca
più volte,
tirandolo giù, su di sé.
Il
ragazzo era costretto ad incurvarsi per non pesarle, il che procurava
fastidio.
Francesca sorrise e sempre tenendogli le mani sul viso
iniziò a mordere e
succhiare il suo labbro inferiore.
Tutta
l’eccitazione, le emozioni, gli sguardi, i pensieri che aveva
provato in quei
mesi, esplosero in Davide con la stessa forza di un fiume in piena, che
rotti
gli argini non trova più ostacoli e investe la ragione senza
darle possibilità
di appello.
-Sei
bellissima- le ripeteva in un sussurro roco, come un mantra e la
spogliava
lentamente, senza fretta ma godendosela tutta.
Lei
sospirò di piacere mentre lo sentiva scendere giù
a coprire di attenzioni i
suoi seni, resi più turgidi e rossi come le guance della
ragazza che lui tanto
si divertiva a schernire.
Il
ragazzo ebbe un’idea improvvisa e si tirò
leggermente indietro col corpo. Poi
incominciò a ricoprirle di baci semplici, leggeri il basso
ventre, salendo
sulla pancia. Piano piano poi scese, percorrendone tutta la curva. Di
nuovo la
ragazzina sospirò arrossendo di piacere. Faceva
terribilmente caldo ora in
quella stanza, ma aveva l’impressione che ciò non
fosse determinato dalla
temperatura esterna.
Lui
risalì lento, soffermandosi a lungo, sentendola gemere
soddisfatta e ansimare
vogliosa e impaziente. Arrivò in cima, baciandole il collo e
sdraiandosi
accanto a lei.
Francesca
si girò per quanto poteva, attirandolo a sé e
baciandolo sulla bocca.
Lui
le accarezzò i ciuffi biondi, lasciandola fare. E forse per
una notte, entrambi
desideravano non addormentarsi mai.
La
mattina dopo erano ancora nella stessa posizione, ancora impegnati a
baciarsi
appassionatamente come se volessero recuperare tutto il tempo perso,
per paura
che stesse per finire.
-Non
ho detto nulla a mamma- disse all’improvviso lui.
-Cosa?-
fece la ragazza, ancora impegnata a baciarlo.
-Non
le ho detto nulla- ripeté.
Francesca
si staccò e lo fissò perplessa, aggrottando le
sopracciglia. Le ci volle
qualche attimo di più per capire di cosa stesse parlando il
ragazzo, tutta
presa dalla nuova situazione.
Quando
capì a che si riferiva, rimase un poco delusa.
-Perché
non gliel’hai detto?- domandò.
Davide
evitò accuratamente di guardarla mentre diceva
-Mi
sono vergognato-
Lei
alzò un sopracciglio.
-‘A**o-
incominciò facendo ruotare in cerchio la mano, come a dire
‘caspita’ in senso
ironico –a me mi fai tutta la morale, le prediche e poi non
sei nemmeno capace
di mettere in pratica quello che dici-
Improvvisamente
irritata si allontanò da lui e si sedette, riaggiustandosi i
capelli.
Davide
si rese conto tardi di aver procurato un guaio.
-Oh
senti non è così facile! Che penserà
di me sapendo cos’è successo?- aggiunse,
raggiungendola.
-Ah
certo. Però quando ho dovuto dirla io la verità,
era tutto facile vero?-
Non
gli piaceva affatto il discorso che stavano incominciando, e conoscendo
la sua
indole facilmente irritabile doveva affrettarsi a mettere a posto le
cose prima
che lei si incavolasse.
-Va
be’ dai... glielo dirò...-
-Quando?- la bionda lo
guardò seria e scettica.
Maledicendo
il suo carattere scontroso e volubile, fu costretto però ad
acconsentire.
-Presto-
disse.
-Davvero?-
lei era sarcastica e non credeva affatto che lui volesse farlo.
-Promesso.
Davvero-
Lei
scivolò giù dal letto con uno sbuffo ironico e si
alzò in piedi.
Davide
si accigliò, irritato dalla sua aria di
superiorità.
-Senti
tu ce l’hai fatta, e sei stata bravissima, ma per me
è più difficile-
Francesca
alzò un sopracciglio, guardandolo.
-Per
te è difficile? E per me che non vedevo Damiano da
tre-quattro mesi?-
Totalmente
sconfitto, vedendo che non voleva ragionare o incoraggiarlo, lui
alzò le mani e
scese dal letto senza guardarla, con un broncio irritato sul volto.
La
ragazza notò il suo atteggiamento e perplessa ci
pensò su, quando il ragazzo
uscì dalla stanza.
Aveva
forse esagerato? In fondo era solo quello che pensava.
L’aveva mica offeso?
Non
era proprio nei suoi principi, ma forse sarebbe stato carino chiedergli
scusa;
non voleva litigare, non adesso.
Vestitasi
lo cercò, trovandolo seduto davanti al computer.
Mordicchiandosi
il labbro si avvicinò e si schiarì la voce.
Davide
alzò lo sguardo e rapido lo abbassò, tornando a
guardare lo schermo.
-La
colazione sta sul tavolo- la informò.
Caspita,
se l’era presa sul serio. E poi era lei quella suscettibile e
permalosa.
Gli
scivolò in grembo, costringendolo a fissarla.
-Dai
scusa, forse ho esagerato un po’- cominciò.
Lui
alzò un sopracciglio, quasi incredulo, sentendo le sue scuse.
Vedendo
che non rispondeva, lei riprovò.
-Mi
spiace se ti ho detto così, dai... non volevo-
aspettò un po’ e lo fissò di
sottecchi –ti sei arrabbiato?-
A
quella domanda prima il ragazzo si mostrò indifferente, ma
poi non riuscì a
trattenere un sorriso.
-Non
mi sono arrabbiato. Non crederai che sia così facile farmi
arrabbiare?- la
stuzzicò, ma ormai non era più offeso.
Francesca
fece un gran sorriso, sollevata, e gli scoccò un bacio
sonoro sulla guancia.
-Ti
alzeresti per favore?- domandò Davide.
-Perché?
Che, ti vai a vedere qualcosa di porno?-
-No
è che sai, pesi-
Questo
non doveva dirlo perché anche se lei si alzò, gli
mollò un pizzico sulla spalla
che ancora un po’ gli bruciava.
Questa
fu la prima di una lunga serie di piccoli litigi, seguiti
però puntualmente da
una pace, anche se temporanea. Non avevano alcuna intenzione di
arrabbiarsi
l’uno con l’altra, tutt’altro, invece
passavano un sacco di tempo nel letto. Ma
era come un gioco, una sfida fra i due, per vedere chi cedeva prima.
Chi
lasciava vincere chi.
A
volte Davide perdeva apposta, umiliandosi, solo per il gusto di vederla
smettere quel broncio dalla faccia. Le dava quasi sempre la vittoria
anche
perché una volta iniziata la sfida, era estremamente
faticoso sostenere il
confronto con lei. E Davide si domandava cosa sarebbe successo allora
quando
non avrebbe avuto più quel pancione a farle da ostacolo.
Francesca
sfogava tutta l’ansia per il bambino, per il giorno che
sempre più si
avvicinava, stuzzicando il ragazzo, sia fisicamente che a parole, e
passandoci
tutto il tempo insieme.
Settembre
sembrò volare, tanto che arrivò il giorno di
tornare a scuola.
Damiano
venne a trovare i due ragazzi un giorno, e insieme decisero che lei
avrebbe
continuato la scuola.
Il
ginecologo, nell’ultima visita mensile, aveva predetto che il
bambino sarebbe
nato i primi di ottobre, come la mamma d’altronde.
Per
un paio di giorni la ragazzina era andata a dormire a casa di Damiano,
era
andata a scuola, non senza polemiche e vergogna, solo per il primo
giorno.
L’uomo parlò con il preside, i suoi insegnanti e
spiegata la situazione la
bionda prese tre presenze e per il resto del mese si decise che sarebbe
stata a
casa.
Proprio
una sera di settembre si trovavano a casa tutti e due. Davide era
incollato
allo schermo per seguire una partita di calcio.
Francesca
diceva che lui era un tifoso atipico. Mentre lei, giusto per passare il
tempo,
si piazzava insieme a lui davanti allo schermo, sceglieva sul momento
la
squadra per cui tifare (di solito l’avversaria di quella di
Davide) e si
esaltava, infuriava e scattava per quello che accadeva, lui no.
Davide
stava in silenzio, concentrato sullo schermo e senza dire una parola.
Che
segnassero gli avversari o la sua squadra non faceva una piega.
-Ma
che stupido quel portiere oh, non ne piglia una ca**o!-
esclamò irritata.
Quella
volta tifavano entrambi per la stessa squadra, evento raro, e lei era
seduta
sulle sue gambe abbracciata da lui.
Davide
la trovava molto fastidiosa perché lei che gli si strusciava
addosso e i suoi
commenti poco educati e pronunciati a voce alta, gli impedivano di
seguire il
gioco.
-Oh
ma che significa? Perché l’arbitro va alla
panchina?- domandò perplessa
indicando la maglia giallo fosforescente.
Il
ragazzo la abbracciò e si appoggiò sulla sua
spalla, spiegando paziente
-Ha
espulso l’allenatore-
-Ah
sì? E che mi rappresenta? Cioè... mica gioca!-
-Ha
protestato troppo-
-Eh
va bè...-
Lui
sorrise sornione.
-Tu
non potresti fare mai l’allenatrice. Ti espellerebbero ad
ogni partita e
saresti tu ad infortunare i giocatori negli allenamenti-
-Però
vincerebbero- precisò sorridendo anche lei.
Poi
iniziò a prendere di mira i giocatori e l’arbitro,
aggiungendo insulti su
insulti. Davide faceva fatica a tenerla buona, e l’unica
maniera di farla star
ferma era dedicarle il maggior numero di attenzioni.
Il
problema era che una volta offerta la mano, lei si prendeva tutto il
braccio.
Ovvero da piccoli e affettuosi baci sul collo si arrivò a
stare sdraiati sul
divano, dimentichi della partita.
Il
ragazzo cercò di divincolarsi ma invano, tirato
giù maliziosamente e con forza
soprattutto.
-Lasciami
guardar la partita- protestò debolmente lui, tutto succube
della bionda.
Non
lo ascoltò, tornando a seviziarlo più per
dispetto che per voglia, con un
piccolo ghigno sulle labbra.
-Ma
come si fa a liberarsi di te?-
Inavvertitamente
schiacciò col gomito un tasto del telecomando, girando dal
campo verde di gioco
sul quale si disputava la partita ad un canale locale. Sul quale si
stava per
l’appunto trasmettendo una chat erotica, con tanto di numeri
in sovraimpressione.
Francesca
alzò la testa da lui, puntandola sullo schermo. Sorrise
maliziosa e guardò il
ragazzo.
-Cos’è,
non ti basto più? Vuoi le conigliette?-
-Ma
che dici...- borbottò Davide imbronciato, affrettandosi a
cambiare.
A
metà strada lo fermò.
Stupito
e accigliato la osservò sederglisi in braccio per coprirgli
la visuale, poi
prendergli il viso fra le mani e baciarlo lenta. Questo, aveva
imparato, come
quando le si stringevano gli occhi era un segno. Aveva voglia di
qualcosa.
Si
sfregò contro il suo naso e mormorò
-Facciamo
l’amore?-
Davide
arrossì e interdetto dal calore, dall’innocenza
con cui l’aveva chiesto non
rispose subito.
Si
staccò lento dal suo bacio e anche controvoglia, poi sorrise.
-Ma
cosa dici?-
La
bionda lo guardò piegando la testa da un lato.
-Cosa
vuoi dire?-
-Che
voglio guardare la partita-
Con
un
rapido scatto afferrò il telecomando e riportò
sul campo da gioco. Scoprirono
entusiasti che la squadra per cui tenevano era in vantaggio e si
precipitarono
a seguire il match. Davide la abbracciò e le diede un bacio fra
i capelli sudati. Come gli piaceva essere preso in giro da lei.
Ah, la Curva Nord
sarà felice ora... grazie a tutti quelli che seguono e
commentano la storia.
FeFeRoNzA: bene,
accontentata, il loro rapporto si è evoluto. O
è rimasto tutto come prima infondo?
Marty McGonagall: mmm...
credo di aver capito cosa vuoi dire, Martina.
Significa che magari ci sono passaggi che 'trascinano' la scena, che
sembrano messi lì solo per occupare le righe?
In effetti il precedente
capitolo era, forse, il più inutile di
tutti; non aggiungeva molto alla trama. Ecco, mi preoccupa che la
storia e i personaggi siano coerenti e che non risultino troppo
"finti". Ehm... Non so se mi sono espresso bene.
Mi fa tanto piacere che
apprezzi il modo in cui descrivo, e pensare che
era una delle cose che mi erano più difficili. Questo fatto
di
descrivere 'a mo' di film' beh, non sei l'unica che lo ha
detto,
quindi forse sarà vero? Ora però devi farmi la
ola...eh...
GinTB: certo che mi
mancava la tua opinione. E hai ragione, meglio tardi che mai. Grazie
d'aver recensito.
Jiuliet: d'accordo,
farò tesoro di questo segreto, e sono felice
che tu riesca a capire Francesca meglio che Davide (poi mi insegnerai
come si fa?) perchè significa che l'ho descritta bene, in
modo
soddisfacente e reale. Credo.
Devilgirl89: e mi sa che
a metà dobbiamo fare, sì. C'ho
pensato, ho riflettuto, e posso concludere che Davi è sempre
meglio di Davidino. Ergo sì, puoi usarlo. Bene,
spero che
il ricordo che ti ho risvegliato sia un ricordo felice. Grazie dei
complimenti.
MissQueen: Valentina...
non puoi dirmi che odi la matematica. No.
Perchè tutti odiano la matematica? (Ecco la mia, di domanda
esistenziale). Se potesse aiutarti sono certo che Davide sarebbe ben
felice di farti ripetizioni, a meno che nelle ripetizioni tu non
nasconda un secondo fine... uhm... Sai credo che Francesca non sia come
Davide, cioè come puoi leggere i suoi sentimenti 'esplodono'
tutti ad una volta. Immagino che se stessero insieme... giudica tu come
si comportano
Emily Doyle: 'Crescono
insieme'. Questa sì che è una bella frase e sono
felice che i personaggi si ''evolvano'' piano piano.
Urdi: Tu. Dio.
Dannazione.
Tu hai commentato un
sacco di capitoli, anche se potevi recensire soltanto l'ultimo. Innanzi
tutto ti ringrazio per i complimenti (forse esageri, eh, ma fa piacere
lo stesso ovviamente). Mi sono letto con molta attenzione tutte le tue
recensioni, e vedrò di riassumere le frasi che mi sono
piaciute di più.
"Non finisci mai in
sbrodolature sentimentali patetiche e scrivi senza tanti fronzoli di
cose anche spinose." Questo è ciò che dice anche
la mia professoressa d'italiano, che non mi perdo in chiacchiere (ma
lei lo fa con tono dispregiativo). Ricevere tante recensioni
è bello anche perchè ognuna di voi riesce a
cogliere sfumature diverse di un capitolo. Mi fa piacere che tu abbia
apprezzato come ho descritto la parte in cui Francesca vomita.
"francesca vede o tutto bianco o tutto nero," ed è anche
questo esatto.
La mia paura era che
Francesca non risultasse 'reale'. "Di sicuro se una ragazza legge
quello che scrivi rimane con gli occhi sgranati, perché
è qualcosa che prende allo stomaco, da quanto è
ben raccontato."
Forse è
insolito, ma rende l'idea. Grazie.
"quasi brilla di luce
propria!" Che bella frase. Ma come ho detto anche a lei, tu esageri
dicendo che è la migliore storia di Efp, perchè
non è assolutamente vero, andiamo. Per scrivere il pezzo che
ti ha colpito nel capitolo 10 -parte 2-, mi sono un poco ispirato a "
Se", di Rudyard Kipling, a dir la verità.
"Francesca piano piano
è cambiata e si sta rivelando una vera donna. Mi
è piaciuto molto il fatto che sia "cresciuta" tanto rispetto
all'inizio della storia " ecco brava, hai colto nel segno. Francesca
cresce e si trova donna prima ancora che sia il momento giusto.
Contento che ti piaccia anche Davide, e per amor suo, non
fare la bastarda come Francesca col tuo ragazzo. Un'ultima frase mi ha
colpito. "hai descritto lei così bene che mi è
venuta voglia di disegnarla!". Wow ma ora, ti prego, devi farlo... per
favore. Se l'hai detto...
Dunque, mi hai lasciato 7
recensioni. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
17
-Non
ho capito perché si semplifica questo con questo-
Francesca
indicò un pezzo della disequazione scritta sul quaderno.
Paola
sbuffò scocciata.
-Ancora?
È la terza volta che te la spiego- disse, guardandola.
La
supplicò con lo sguardo di lasciarla andare. La bionda
aggrottò le
sopracciglia, tutta concentrata sui numeri.
-Cioè...
ho capito che si fa così e si sommano questi- con la matita
segnò due parentesi
–e poi?-
-E
poi niente, moltiplichi- spiegò semplicemente
l’altra.
-Non
era dividi?- chiese perplessa.
-Scema,
moltiplichi per l’inverso-
Ad
un momento di perplessità seguì
l’illuminazione e l’imbarazzo.
-Ma
vedi tu se ti devo ancora spiegare ste’ cose- disse Paola
semiseria.
-Si
sì scusa... ero un po’...- gesticolò
sorridendo imbarazzata per aver sbagliato.
-Distratta,
sì, e so anche da chi-
Sorrise
furba e gettò uno sguardo alle sue spalle.
Le
due si trovavano nel salotto, sul divano e chine sul suo quaderno di
matematica.
Paola
veniva ogni due-tre giorni per spiegare all’amica le
novità di scuola. Anche se
poche perché erano solo all’inizio, le era
comunque utile per stare al passo. E
ovviamente insieme le raccontava tutto quello che succedeva.
Davide
invece quando loro studiavano si chiudeva in cucina e anche lui faceva
i suoi
“compiti”. Il suo corso era finito e per entrare
nell’azienda doveva soltanto
passare qualche altro esame. La prospettiva di un lavoro non era
più così
irraggiungibile, però.
-Si
va bè- Francesca cambiò al volo discorso e
afferrò un nuovo libro –facciamo
biologia-
-Cambi
discorso?- la stuzzicò.
-E
dai!- fece arrossendo la bionda. Non le andava molto di parlare di
Davide, ogni
volta che la sua amica le faceva domande arrossiva e si rifiutava di
rispondere.
-Lo
sai, a parte gli scherzi sono contenta. Mi piace, mi sembra un tipo...-
-Un
tipo come?- domandò curiosa lei.
-Non
so...- Paola si curò che non la sentisse -...uno precisino,
intellettuale...-
-Ma
chi, Davide?-
Francesca
rise di gusto, appoggiando le mani sul pancione.
-Macché,
ma se è un pigrone... una testa di rapa...-
In
quel momento lui entrò nel salotto ed entrambe si fecero
rosse, tossendo per
dissimulare il discorso precedente.
-Che
croce- disse rivolto a Paola –è una testa
così dura che non so come fai-
La
bionda fece una smorfia ironica.
-Ah ah ah, co****ne. Torna
da Silvia,
vai-
Rinunciando
a combattere Davide si allontanò verso la porta
d’ingresso, afferrando la
giacca.
-Dove
vai?-
Francesca
mutò totalmente il tono e si rizzò seduta, in
attesa ansiosa della risposta.
-Esco.
Vado da Silvia- le sorrise gentile lui e fece per uscire fuori.
Lei
si morse un labbro e strinse gli occhi.
-St****o-
disse seria, con un sorriso cattivo sulle labbra, prima di tornare a
fissare il
libro.
Paola
la osservò e sembrava stupita.
-Meno
male che state insieme- commentò.
-Ah
e questo è niente-
Francesca
sorrise compiaciuta e stette a pensarci per un attimo.
-Diciamo
che io e lui siamo proprio diversi. Io mi arrabbio molto spesso, lui
mai-
-Ma
è per questo che mi piace tanto- aggiunse dopo con un
sorriso, né malizioso, né
cattivo o strafottente.
Semplicemente
emozionata e felice.
Francesca
rotolò sul fianco, lasciandosi abbracciare dal ragazzo. Il
letto era troppo
ampio a loro giudizio, e quindi avevano preso l’abitudine di
dormire sempre su
una parte, insieme.
Davide
le sistemò i capelli, divertendosi ad accarezzarle la fronte
e la testa.
-Sono
contenta che sono tornata- disse lei, chiudendo gli occhi e lasciando
che lui
facesse quello che voleva.
-Com’è
andata ‘sti due giorni?- domandò lui.
La
bionda ragazzina alzò le spalle; aprì gli occhi
azzurri e intrecciò una mano
con la sua, sfregandogli il dorso.
-Insomma...
sai, va bene che ora abbiamo fatto pace e tutto... però...-
-Però
cosa?-
-Lui...
beh proprio non mi capisce. Anche se ci prova, non mi capisce. Sembra
che
viviamo su due pianeti diversi- spiegò seria tenendo gli
occhi sulle loro mani.
-Ma
tu, almeno, ci hai provato?- domandò cauto il ragazzo.
Davide
continuava come incantato a far scorrere le sue dita fra i capelli
biondi di
lei; poi si chinò di più per guardarla negli
occhi.
-Certo
che ci ho provato! Ma se uno è negato, niente!-
precisò immediatamente la
bionda con fervore.
Davide
sorrise scuotendo la testa. Francesca era stata per tre giorni a
dormire da
Damiano, e ora si stavano raccontando come era andata, dopo tre giorni
che si
erano visti poco o nulla.
-Mi
scoccia dormire lì-
-Oh
dai! Nemmeno un mese avete fatto pace e già rovini tutto?-
fece il ragazzo.
-Senti
mi hai rotto!-
La
ragazza afferrò un lembo delle lenzuola e ci si avvolse.
Davide
la osservò immobile. Per tre giorni era stato senza sentire
una parolaccia,
senza grida o biondine per casa. Per quanto volesse provare a negarlo,
erano
stati i tre giorni più lunghi di sempre.
-Ma
almeno ti sono un po’ mancata? O mi hai già
tradito?- chiese voltandosi poco
con la testa lei.
Capendo
che aveva il permesso di avvicinarsi Davide si infilò sotto
le lenzuola,
accanto a lei e si intrecciò al suo corpo.
-Magari
con una senza pancia...- proseguì la bionda in attesa di una
sua risposta.
-Perché
proprio con una senza pancia?-
-Beh
sai, io non sono certo uno stecco. Sono piuttosto una balena, come mi
ricorda
lo specchio- disse con una punta di tristezza.
Davide
cominciò a baciarla, poi la guardò serissimo
negli occhi.
-Non
ascoltarlo-
Quella
voce calda, seria e roca a Francesca piaceva da morire e la faceva
sciogliere
come ghiaccioli nel deserto.
-Non
sa quanto si sbaglia-
Stettero
a giocare sfregandosi fronte contro fronte e naso contro naso; Davide
era
capace non solo di farla sentire desiderata e amata come ragazza, ma di
capirla, consigliarla e ascoltarla come amico.
E
anche di farla piangere, consolarla e aiutarla sempre come un angelo,
si diceva
sempre.
Davide
chiuse gli occhi, infilando la testa sotto il cuscino, stringendolo e
deformandolo come voleva per consentire alla sua testa di poggiarsi
bene.
Scalciò
leggermente per tirarsi le lenzuola, era settembre inoltrato e iniziava
a far
fresco. Accanto a lui, dall’altra parte del letto una figura
si girava
puntualmente ogni due minuti, inquieta. Francesca si tormentava i
capelli
sudati, ansimando per il caldo che sentiva e cercando un po’
d’aria. La pancia
le faceva male a tratti, impedendole di dormire tranquilla, e
perciò, ora che l’orologio
segnava le tre di notte, si prospettava un’altra notte
insonne.
Dal
giorno prima la pancia le doleva sistematicamente e questo, oltre al
dolore
fisico, aggiungeva un’ansia mentale pazzesca. Il tanto temuto
giorno si
avvicinava, ottobre stava arrivando e il bambino avrebbe potuto nascere
anche
prima. Dall’ultima ecografia era ormai totalmente formato e
difatti lei si
sentiva più debole che mai. Il dottore diceva che questo era
normale, perché
ora che era più grande il bimbo necessitava di
più cibo. Le aveva consigliato
di mangiare regolarmente e di non reprimere le voglie che le venivano,
ma la
ragazzina testarda, ferma nella sua convinzione di essere grassa e non
volendo
aggravare la situazione si rifiutava.
Ma
ora la pancia le faceva male, non per la fame, e avrebbe potuto
piangere di
disperazione.
Non
voleva, si rifiutava e impotente si agitava, ma non c’era
nulla da fare. Il
momento di partorire si avvicinava a gran velocità.
Davide
non diceva mai nulla su questo, pensando che dovesse sbrigarsela da
sola, e lei
non voleva succedesse.
Di
tanto in tanto tornava a leggere il libro sulla gravidanza. Faceva
male, faceva
male e avrebbe sofferto tantissimo.
Tutte
dicono che fa male, ma poi la gioia del bambino compensa tutti gli
sforzi.
-Ca**i-
gemette lei tra i denti, nascondendo la faccia nel cuscino.
Non
era vero nulla, a lei non fregava niente del bambino, le importava solo
della
sofferenza che avrebbe provato.
Tentava
di convincersi che mancava un secolo, un’eternità;
questo suo ragionamento
aveva vacillato il giorno prima quando aveva cominciato a farle male la
pancia,
e la paura si era fatta strada facile in lei.
Ansimava
sia per il caldo che per l’agitazione, e non riusciva a
prendere sonno.
Ad
un tratto si voltò di fianco per ghermire con le braccia il
corpo dormiente di
lui.
Davide
sussultò e mezzo assonnato balbettò frasi senza
senso.
-Che?-
chiese al buio, riconosciuta la provenienza del fastidio.
-Non
voglio farlo, non voglio farlo!-
Si
lamentava piagnucolosa come un’anima in pena che non trova
pace ed è a un passo
dalla morte.
Il
ragazzo gemette stanco, gettando la testa all’indietro.
-Sono
le tre di notte ca**o..... cosa c’è?-
domandò un po’ irritato.
-Mi
vuoi bene Davide?- fece lei, abbracciandosi al suo braccio.
-Certo-
-E
allora uccidimi!-
Con
un vagito si nascose contro il suo corpo, scossa da un singhiozzo finto.
Lui
intorpidito, assonnato, intontito, in una parola rinco*******o la
guardò.
Francesca
si girava, si toccava la pancia, prima rannicchiava le gambe e poi le
stendeva,
senza fermarsi.
La
avvolse con un braccio e poggiò la testa contro la sua.
-Ti
fa male la pancia?-
-Sì-
Sbadigliando
in silenzio ma spalancando la bocca come un leone, Davide la
abbracciò tutta e
cominciò a massaggiarle il ventre gonfio e morbido.
La
bionda smise di contorcersi e provò a calmarsi sotto le sue
carezze; sembrò
quasi che dopo una decina di minuti non provasse più dolore
(Davide dormiva di
certo), ma all’improvviso tornò ad ansimare
preoccupata.
Gemette
sconsolata, sedendosi sul letto per vedere se le dava più
sollievo.
Stranamente
il ragazzo notò il suo movimento, e per quanto non fosse al
top della
reattività capì che stava davvero male.
-Fra?-
La
chiamò, allungando un braccio per toccarla.
-Francè?-
ripeté.
La
trovò e scivolò con le mani sulla sua schiena.
-Vuoi
che chiamo il dottore?- domandò premuroso e un po’
preoccupato.
-No,
il dottore no!-
Se
avessero chiamato lui certamente avrebbe proposto di andare in
ospedale, di
ricoverarsi o peggio ancora avrebbe sentenziato che il bambino stava
per nascere.
-Vieni
qua dai...-
Anche
lui si sedette e le mani che prima stavano immobili sulle sue spalle
scivolarono giù, accarezzandole la schiena. A questo si
aggiunsero baci
distratti sulla nuca e sul collo. Davide aspettò il suo
consenso per
continuare, come facevano sempre, e quando lei spostò i
capelli dall’altra
parte del collo, lasciandogli più spazio, capì
che poteva continuare.
Dopo
che si fu divertito un po’ sulla sua pelle calda e morbida,
arrossandola,
mordicchiando piano e senza farle troppo male il collo, sorrise.
La
ragazza intercettò nel buio il suo sorriso e
stirò le labbra a sua volta.
-Io
ti uccido biondina... sono le tre di notte!-
Risero
piano, in silenzio e lei acconsentì a sdraiarsi sul
materasso.
Forse
la pancia le faceva ancora male, ma chissà perché
ora, stretta abbracciata al
suo torace, si addormentò come se fosse la sedicenne
più felice del mondo.
Ormai
di notte era una consuetudine svegliarsi, guardarla agitarsi e tornare
a
dormire per Davide. Quasi quasi, sapendo dalla sera prima che non
avrebbe
dormito perché la bionda si sarebbe svegliata nel cuore
della notte, andava a
dormire molto presto per compensare le ore passate da sveglio a
calmarla.
Quella
era la parte divertente. Farla star buona e calmare la sua agitazione,
di
solito abbracciandola, baciandola e dedicandole il maggior numero di
attenzioni
gli piaceva ed era uno dei rari momenti in cui sembrava veramente che
stessero
insieme. A Davide non piaceva star tutto il tempo a pomiciare,
preferiva
dormire, e Francesca riteneva che lui dovesse sudarseli, i suoi baci.
Ma
infondo lei era pur sempre una ragazza, e ogni tanto, anche se non lo
ammetteva
e cercava di nascondere questo suo lato affettuoso, le piaceva sentirsi
dire
quelle sciocchezze che si dicono gli innamorati.
-Sei
bellissima...mi fai stare così bene...- le diceva il ragazzo
baciandola e nello
stesso tempo facendole il solletico.
La
ragazzina rise, cercando di sfuggirgli, ma si faceva prendere apposta.
-Quante
ca**ate che dici...- disse con un sorriso ben nascosto.
-Però
ti piacciono le ca**ate- osservò furbo lui.
Francesca
esitò un attimo, poi lo guardò.
-Dimmelo
di nuovo- si morse un labbro, poi rise assieme a lui.
Il
giorno 27 settembre arrivò molto presto, troppo presto, ma
nessuno dei due
ragazzi avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo.
Davide,
la sera del ventisei, tornò a casa tutto stanco per le
compere che aveva fatto
dall’altra parte della città e Francesca era molto
nervosa perché la pancia
aveva ricominciato a farle male, male forte ad intervalli regolari.
-Senti
secondo me dovremmo chiamare il dottore- disse lui mentre poggiava le
buste
pesanti sul tavolo.
-E
invece no! Non ho bisogno del dottore, sto benissimo e posso fare da
sola!-
La
biondina era particolarmente agitata, e perciò tendeva a
scattare alla minima
cosa; il ragazzo non fu così stupido da replicare e quindi
lei non ebbe
occasione di sfogare la sua rabbia. La serata sembrava tranquillissima,
a parte
l’umore focoso e incavolato della ragazza.
Faceva
smorfie ad intervalli regolari, quasi avesse incorporato un timer, e
ogni ora
un lamento molto più forte.
Mangiarono
in silenzio la cena, poi Davide andò presto a dormire.
Invece Francesca, sia
per il dolore che per il nervosismo, non riuscì a dormire
come ormai accadeva
sempre da una settimana. Il che le procurava altro stress, come se non
ne
avesse già abbastanza.
Non
riusciva a stare tranquilla, e per quanto cercasse di convincersi, in
base alle
precedenti esperienze, che Davide l’avrebbe fatta star calma,
sentiva che
questa volta era diverso.
Non
sapeva dire da dove le venisse tale sicurezza, ma aveva la sensazione
che ci
fosse qualcosa che non andava. E
questo la metteva ancora più in ansia.
Andò
in camera da letto e si stese, giusto per provare ad addormentarsi.
Stranamente,
qualche minuto dopo il suo respiro era regolare e il dolore alla pancia
era
solo un lontano ricordo, oscurato dal sogno che stava facendo.
Mille grazie ai preferiti, a chi segue la storia e chi la legge solo.
Marty McGonagall: ma quale modesto parere? I tuoi modesti pareri mi
aiutano molto, invece. Oh certo, i battibecchi fra loro due temo che
rimarranno sempre. Ecco bene, forse hai ragione tu, avrei dovuto
parlare un po' di più del ritorno a scuola. Mhm... mmm...
beh,
ormai è un po' tardino per inserire altro, visto che si
profila
all'orizzonte un nuovo evento... Mea culpa, allora. Caspita, dopo una
ola del genere ti dovrebbero dare il premio per la miglior tifoseria...
complimenti la Curva Nord sì che è un esempio di
tifo
intelligente.
wanda nessie: dannazione,
non so cosa risponderti... sono anche io senza parole. Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto.
bribry85: bene, in primis ti ringrazio dei complimenti, e in secundis
sì, ti dò ragione, Francesca e Davide stanno
diventando
più complici.
GinTB: bene, e io sono
ufficialmente orgoglioso di averti reso felice.
Beh, non so se la mia storia ha effetti collaterali allucinogeni...
dovrò controllare.
FeFeRoNzA: sono molto
onorato che questa sia la tua prima recensione
lunga... "tu sai descrivere la dolcezza che il bisogno di un abbraccio
o di un bacio sa trasmettere a chi ama e a chi, come me, adora questi
momenti." Caspita spero di essere all'altezza dei complimenti. Ahahaha
sì, esattamente, hai colto nel segno, Francesca ci ha
proprio
preso gusto...
Urdi: Eh sai, non lo
capisco manco io, e altro che bannarla, io la
manderei direttamente a... beh, insomma... grazie dei rinnovati
complimenti, sei molto gentile. Per il disegno: ma figurati, io non
intendevo che devi farlo seriamente, è solo che è
un
commento che mi ha colpito molto. Deve piacerti tanto disegnare,
allora. Ti auguro un buon proseguimento di settimana.
Nor: dunque... tu dici
che è troppo presto perchè loro
due si scoprano innamorati? Dovevo aspettare ancora un poco? Bene,
vedrò di farti vedere un Davide così nei prossimi
capitoli. E hai detto una cosa giusta... il parto si avvicina...
MissQueen: Buonasera a
te. Oh che bello, grazie, ora so la radice
quadrata di 166679044,8871, il che è molto utile. Va bene,
d'accordo, non posso pretendere che tu -essendo una letterata- adori la
matematica, come me. Va bé.
Ahaha sei un po' gelosa di Davide? Attenta che non ti senta
Francesca... sì sì, ho capito che vuoi dire, beh
grazie.
Anche se ancora non hanno fatto nulla. Beh, come mi ha detto giusto
stamattina una certa persona, "se qualcuno dedica anche solo
un'ora della sua giornata, sicuramente ha molto tempo da perdere...".
Dunque, secondo ciò, perderesti il tuo tempo. Ma fa piacere
sentir dire certe cose.
_diable_: bene, meglio
tardi che mai, e grazie tante dei complimenti.
Non so se proprio da quei tempi del bar quei due erano innamorati...
forse era troppo presto, almeno per Francesca.
Emily Doyle: dannazione,
lo so, lo so che il Napoli ha vinto...
purtroppo lo so... argh. Beh, dopo il fuori programma calcistico, eh,
manca solo la nascita del bambino. Hai detto niente...
Jiuliet: Ciao. "Cresce ad
ogni capitolo, come il pancione di Francy".
Che bel paragone. E comunque, c'è sempre da imparare nella
vita.
Devilgirl89: ma certo che San Marco è sempre
lì... ci mancherebbe...dunque, bentornata. Ma quale
scrittore nato... cosa c'è di me nel capitolo precedente?
ambris: grazie mille, spero di meritare questi complimenti...
Anomis: mamma mia che onore, quanti complimenti... onerosi e spero di
non deludere le aspettative adesso. Caspita, grazie, grazie
mille. "questa storia con ogni capitolo che scrivi mi lascia
dentro qualcosa, emozioni spesso anche contrastanti, mi lascia
amarezza,simpatia,dolcezza...". Caspita, non ho parole. grazie.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Passò
qualche ora, e il 27 settembre era cominciato.
Francesca
dormiva silenziosa e tranquilla accanto a Davide, ormai immerso nel
mondo dei
sogni da tanto tempo.
La
scenetta era insolita per le loro abitudini, eppure entrambi si erano
addormentati subito.
Arrivò
un evento inaspettato a rovinarla.
Francesca
storse il naso nel sonno, infastidita da qualcosa. Mosse le palpebre,
segno che
aveva ripreso coscienza, e aprì gli occhi azzurri.
Sulle
prime sentì solo una fitta dolorante e stavolta ben marcata
alla pancia, che la
fece gemere.
Però
si sentiva strana, e dopo poco si accorse che era bagnata fra le gambe.
Sussultò e sorpresa, messasi a sedere sul materasso,
guardò giù.
Il
lenzuolo era ornato ora da una macchia ben grande, fresca. Lei si
spaventò e il
secondo dopo capì cosa stava succedendo.
Il
bambino stava arrivando.
Le
si erano rotte le acque.
-Oddio!-
esclamò a voce alta, e quel suo spavento suonò
fortissimo nel silenzio
notturno.
Subito,
agitata ma lucida, scosse forte il corpo che stava accanto a lei.
-Davide?
Davide?-
Frenetica
e ansiosa lo rivoltò a pancia in su.
Il
ragazzo gemette nel sonno, borbottando qualcosa.
-Davide
il bambino!-
Lui
non rispose subito, ma prima sbadigliò; non aprì
nemmeno gli occhi ma si limitò
a dire con una voce bassissima e stanca
-Sì
arrivo...-
-Davide!-
Notando
che non aveva alcuna intenzione di alzarsi, Francesca si
innervosì e come sempre,
fece la prima cosa che le passò per la mente con
l’intenzione di fargli male.
Afferrò
la bottiglia d’acqua che stava sul suo comodino, veloce
svitò il tappo e la
rovesciò tutta sul ragazzo.
Davide,
al sentire quella cascata gelida sulla schiena, colto alla sprovvista e
tutto
caldo per la dormita, gridò di sorpresa e si alzò
immediatamente sui gomiti.
-Ma
sei pazza? Che ca**o ti prende?- le urlò, senza badare ad
abbassare la voce.
-Idiota,
il bambino!-
-Il
bambino che?-
-Sta
arrivando ca**o!-
I
due non si erano accorti di aver urlato tutto il tempo come se si
trovassero
agli estremi di un campo, per giunta nel bel mezzo della notte.
Davide
non realizzò subito il senso della frase, troppo infastidito
perché era stato
svegliato di soprassalto. Quando però collegò le
informazioni, impallidì.
-Oh
ca**o! Oh porca pu**ana!- imprecò e nella foga di sbrigarsi
scivolò giù dal
letto.
Francesca
sentiva il dolore farsi strada dentro di lei, e anche
qualcos’altro, ma per
fortuna, si disse, era riuscita a svegliarsi subito.
Il
ragazzo si vestì a casaccio con le prime cose che gli
capitarono sottomano, poi
fra le proteste di lei impazzì letteralmente per trovare le
chiavi della
macchina e di casa.
Stavano
facendo un tale casino che lui fu certo che i vicini avrebbero chiamato
la
polizia se non se ne fossero andati subito.
Francesca
gemette molto più forte e fece una smorfia sofferente,
ancora sdraiata sul
letto, reggendosi il pancione.
-Dai
forza...-
Vedendo
che non ce la faceva a stare in piedi, Davide le avvolse con un braccio
la
schiena e con l’altro le prese le gambe, reggendola in
braccio.
-Sbrigati!-
lo incitò la ragazzina, sentendo il dolore acuirsi sempre di
più.
-Ma
perché diavolo ci sono tre piani di scale?-
domandò lui al nulla, sforzandosi
di essere veloce e di non farla cadere nello stesso tempo. Gli fu un
po’
difficile anche perché la bionda continuava a contorcersi e
agitata, e quelle
dannate scale volevano a tutti i costi buttarlo giù.
Inoltre,
dettaglio non trascurabile, lei non era certo una piuma.
Questo
però, saggiamente, pensò di non dirglielo.
La
bionda respirò forte per non gridare, chiudendo gli occhi e
stringendo forte la
maglietta di lui.
Finalmente
scesero le scale e non senza imbarazzo uscirono fuori dal palazzo.
Il
sole non era sorto e non sapevano che ora fosse, ma di certo era notte
inoltrata. Il buio era avvolgente e non servivano i lampioni sparsi qua
e là a
farlo scomparire. La strada deserta non era invitante, ma per fortuna
la
macchina del ragazzo era parcheggiata sotto casa. Veloce lui
aprì con una mano
lo sportello e premuroso si assicurò che si sedesse comoda.
Poi
corse dall’altro lato, salì e mise in moto.
Il
rumore delle ruote che sgommavano per far retromarcia
risuonò per tutto il
quartiere, ma non se ne curarono.
Francesca
chiuse d’istinto le gambe, sapendo che doveva trattenersi, ma
gridò molto più
forte delle altre volte.
Questo
mise in agitazione, oltre che lei, anche Davide che premette di
più
sull’acceleratore.
-Se
mi fai partorire in macchina giuro che è la volta buona che
ti uccido!- rantolò
sudata e tremante lei, ma ottenne comunque l’effetto minaccia.
-Più
di così non posso! Vuoi morire per caso?- replicò
irritato lui.
-Non
me ne fo**e di quello che fai, basta che fai in fretta ca**o!-
-Ecco,
abbiamo il premio Nobel all’educazione...-
commentò il ragazzo.
-Stai
zitto ti prego...-
Poteva
sembrare quasi un’invocazione eccitante e oscena, ma il tono
ansimante e
supplichevole non era dovuto agli ormoni in subbuglio purtroppo. Lei si
abbandonò respirando sempre più veloce allo
schienale, chiudendo gli occhi.
Davide
rinunciò a rispondere, vedendo che stava male sul serio e
cercò di sbrigarsi.
L’ora
anomala garantiva che per le strade non c’era anima viva. Era
anche bello
vedere la città così, dormiente e silenziosa, ed
essere l’unico padrone delle
strade; purtroppo non era possibile in quella situazione.
La
macchina sfrecciò indisturbata fra le vie, dirigendosi in
periferia dove si
trovava l’ospedale.
Mentre
oltrepassavano la rotatoria e imboccavano il viale fuori
città, la bionda gridò
di nuovo di dolore, mordendosi contemporaneamente il labbro. La grande
costruzione bianca già si vedeva da lontano.
-Dai
che siamo arrivati... dai forza...- le gettò un rapido
sguardo molto
preoccupato.
La
macchina attraversò il casello con la sbarra e subito
trovarono un posteggio
vicino all’entrata, proprio davanti.
Davide
spense la macchina e come prima fece il giro.
Anche
se le mani gli tremavano ed era forse più agitato di lei,
non poteva farsi
vedere in difficoltà altrimenti per la ragazzina sarebbe
stato peggio. Così
anche se non aveva idea di dove mettere le mani la riprese in braccio.
La
biondina indossava solo il pigiama, ovvero una maglietta a maniche
corte
slargata, e il pantaloncino arancione, ora tutto bagnato e umido.
Ciò
la imbarazzava un poco, ma non le sembrava il momento più
adatto per replicare
e far capricci.
Davide
entrò nell’atrio dove una donna sedeva dietro un
banco; questa non appena li
vide immediatamente si alzò in piedi.
Giusto
in quel momento Francesca ebbe una nuova contrazione, più
forte e dolorosa. La
donna senza far domande capì subito la situazione e il
ragazzo gliene fu molto
grato.
Afferrò
senza scomporsi il telefono che aveva sul banco.
-Dottor
Sorrentino, in sala travaglio, c’è una ragazza che
è appena arrivata-
Dopo
qualche attimo una triade di infermiere li attorniarono e una di loro
spingeva
un letto.
Fecero
sdraiare la ragazza sul letto, e parlando fra loro in termini che il
ragazzo
nemmeno ascoltò, chiamarono a gran voce un’altra
donna.
Questa
aveva i capelli racchiusi in un cappello bianco e indossava un camice.
Davide
non appena la vide sperò fosse una ginecologa, ma quella
disse solo
-Presto
dai, veloce!-
Francesca,
da sopra il letto voltò il capo e guardò il
ragazzo. Il suo sguardo era quasi
implorante di non lasciarla sola con loro, di seguirla, di starle
vicino e
dagli occhi lucidi probabilmente presto le sarebbe colata qualche
lacrima.
Ma
lui, del tutto impotente e spaesato, non disse una parola mentre le
infermiere
cominciavano a trasportarla per il corridoio.
Però
ricambiò il suo sguardo, seguendola finché
poteva, finché non scomparve dietro
un corridoio. Ebbe l’impressione che proprio alla fine lei
avesse avuto un
nuovo spasmo di dolore.
Si
ritrovò improvvisamente solo, solo nel corridoio illuminato
e senza la minima
idea di cosa fare.
Un
rumore di passi affrettati lo fece voltare, e vide un uomo,
probabilmente un
dottore perché aveva il camice, correre affannato per il
corridoio,
superandolo.
Quando
gli passò accanto sentì una parolaccia
accompagnata dalla frase
-Sala
travaglio... dall’altra parte dell’ospedale-
Detto
questo scomparve anche lui dietro lo spigolo del corridoio.
Davide
non poté fare altro che sedersi su una delle tante sedie
vuote laterali, e
mettere un po’ d’ordine fra i pensieri.
Immaginò ciò che stava succedendo.
Francesca
era in sala travaglio; le infermiere l’avevano fatta sedere
sul letto, dandole
acqua e se voleva regolandole lo schienale del lettino;
l’ostetrica la faceva
aprire le gambe e il ginecologo controllava la situazione.
Poi
rivide come in un flash il suo sguardo supplicante, lucido, sofferente.
Poverina, si disse.
Era
come se l’avesse abbandonata.
Abbandonata
e lei testarda non l’avrebbe mai ammesso. Ma come per le cose
importanti, ad un
certo punto doveva riconoscere che non ce la poteva fare da sola e si
aggrappava a lui come ultima salvezza.
Ebbe
un momento di smarrimento.
Francesca
l’aveva guardato. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Aveva
bisogno di lui.
E
lui l’aveva lasciata sola.
E
sarai per me tutto.
Fu
come se uno schiaffo lo avesse colpito in faccia e scosse la testa per
riprendere coscienza.
Poi
si alzò immediatamente, sfregandosi i palmi sul jeans.
Si
diresse verso la donna dietro il banco.
-Mi
scusi sa dirmi dove...-
-La
mappa è lì- fece quella annoiata, indicandogli
una pianta a lato dell’ingresso.
Lì dove c’erano le macchinette delle merendine e
delle bibite, Davide lesse
veloce, scorrendo sul dito i nomi degli ambulatori, sala parto. Era
all’opposto
di dove si trovava lui.
Continuando
a guardare il punto per non scordarselo indietreggiò verso
lo spigolo da cui
erano spariti il dottore e le tre infermiere.
Superato
quello, prima andava a passo veloce. Poi dopo un po’
cominciò a correre.
I
passi delle sue scarpe sbattevano forte contro il pavimento
dell’ospedale.
Tutte le stanze che sorpassava erano chiuse, alcune a chiave, altre che
lasciavano intravedere l’interno. Ebbe
l’impressione che una o due volte alcuni
infermieri si fossero girati dalla sua parte, attirati dal rumore che
faceva
percorrendo a passo di corsa l’ospedale, e gli avessero
rimproverato qualcosa.
Lui
però non si fermò ad ascoltarli, proseguendo a
correre.
Arrivò
nel reparto.
Corse
per tutte le sale finché non trovò quella chiusa.
Poi
all’improvviso gli balenò in mente
un’idea.
Afferrò
il cellulare e premette veloce, quasi alla cieca, i tasti.
-Pronto?-
Una
voce sonnacchiosa e grande gli rispose.
-Mi
scusi se la disturbo a quest’ora, dottore. Sono... il ragazzo
di Francesca,
Francesca Daniele- spiegò in fretta, battendo il piede a
terra per
l’agitazione.
-No,
non importa- subito la voce del dottore si accese d’interesse
–che succede?-
-Ecco,
le si sono rotte le acque-
-Che
aspettate? Portala in ospedale-
-Siamo
già qui. E adesso è in sala parto-
-Arrivo
subito-
Il
dottore troncò la conversazione. Il ragazzo non poteva
capacitarsi di come uno,
a quell’ora della notte, potesse essere così
sveglio e pronto. Lui, per
esempio, non ci sarebbe mai riuscito.
Probabilmente,
si disse, quel dottore ci era abituato, a queste chiamate. Non sapeva
se aveva
fatto bene a chiamarlo, ma credeva che fosse importante per la ragazza
avere
accanto, soprattutto ora che non sapeva a chi rivolgersi, una persona
di cui
fidarsi.
Guardò
la porta.
Non
poteva entrare forse, ma da fuori si sentivano lamenti e voci concitate.
Riconoscendo
come la sua voce un grido di dolore più forte degli altri,
Davide ruppe gli
indugi e aprì di slancio la porta.
La
sala era piccola, e un letto era posto al centro. Lì era
sdraiata Francesca,
con la testa poggiata contro un cuscino; le gambe aperte e una coperta
sopra.
Era attorniata da una donna, probabilmente l’ostetrica, che
le parlava e
provvedeva ad eseguire gli ordini del medico. Lui, quel dottore che
aveva visto
prima corrergli affianco, aveva le mani sotto il lenzuolo e parlottava
concitato
con l’ostetrica.
-Forza
dai, spingi adesso- la invogliò la donna con sguardo
fiducioso.
La
bionda sul letto strinse gli occhi, lasciandosi cadere due lacrime
sulle guance
già bagnate, poi contrasse il viso e diede la spinta,
gridando forte per il dolore.
Davide
subito aggirò il letto e si precipitò accanto
alla ragazzina.
-Ehi-
le prese una mano e la strinse nella sua –sto qua-
Lei
lo guardò e grata provò a sorridere.
Però una nuova contrazione le fece fare
una smorfia. Strinse forte la mano di lui aggrappandovisi come se ne
dipendesse
la sua vita.
-Scusi
non si può stare qui- un’infermiere
provò a spostarlo, ma il ragazzo, già
provato dal sonno e da tutti quegli avvenimenti successi troppo in
fretta,
vedendo la ragazzina bionda così sofferente e con le lacrime
agli occhi, si
alterò.
-Oh
non mi rompere eh!-
-Lascialo,
lascialo...- si affrettò a dire il dottore, togliendo di
mezzo l’infermiere.
Il
bambino doveva essere ormai infiltrato per l’uscita, si disse
Francesca; quel
dolore era inumano, insostenibile e lei non vedeva l’ora che
tutto finisse. Ma
per quanto provava a spingere, a far forza sui muscoli e pregasse
dentro di sé
che quel maledetto bambino uscisse fuori in un modo o
nell’altro, sembrava che
la cosa non fosse tanto semplice. Aveva visto il dottore (uno
sconosciuto che
non sapeva manco chi fosse) scoccare sguardi preoccupati
all’ostetrica. La
donna, per quanto la invogliasse fiduciosa, non pareva molto convinta.
Ebbe
la conferma alla sua teoria quando il dottore disse
-Non
ce la farà mai. Non ce la fa a passare-
Davide
guardò prima il dottore e poi vide il volto della biondina
diventare bianco e
la sua mano tremare. Si arrabbiò non poco.
Insomma,
lei stava partorendo ed era così in confusione, e quel
medico le dava il colpo
di grazia dicendole che non ce l’avrebbe mai fatta?
Si
chinò di più su di lei.
-Dai
Francesca... dai...- l’ostetrica le rivolse un sorriso
–respira-
La
bionda non sapeva se piangere o gridare; sentiva un groppo
all’altezza della
gola che non voleva sgonfiarsi, e tutte quelle parole, quelle
sensazioni, quel
dolore erano insostenibili.
Provò
a chiudere gli occhi per respirare, ma di calma non esisteva la minima
traccia.
-Ha
i fianchi troppo piccoli- sentenziò il dottore, abbandonando
l’esplorazione
della vagina – il bambino non ce la fa-
Poi
ci pensò e disse
-Possiamo
provare con l’episiotomia-
I
due ragazzi erano sempre più spaesati e impotenti davanti
all’operato del
medico. Lui stava trafficando con arnesi, siringhe, aiutato dagli
infermieri.
Francesca ebbe una nuova contrazione e sentì distintamente
che il bambino
voleva uscire, con la testa. Forse ce l’avevano fatta.
Un
attimo dopo, prima che potessero scoprire cosa fosse
l’episiotomia, la porta si
aprì.
Il
ginecologo che aveva visitato la ragazza nei mesi precedenti
osservò la
situazione, e senza perdere tempo spiegò al collega
-Me
ne occupo io, è una mia paziente-
Lui
fu ben felice di lavarsene le mani, e mentre se ne andava Davide gli
scoccò uno
sguardo truce, rabbioso.
-Allora
tutto a posto?-
-Mi
fa malissimo- gemette fra le lacrime la biondina.
Il
dottore si chinò per controllare la situazione, e il ragazzo
ne approfittò per
parlare con lei.
-Dai,
puoi farcela. Dai amore. Forza- le spostò i capelli sudati
dalla fronte.
Francesca
lo guardò con gli occhi rossi, lacrimanti e con
un’espressione sofferente in
viso. Strinse forte il suo braccio.
-Non
mi lasciare- disse.
Forse
per la prima volta, oltre al sentimento passionale che provava per lei,
si fece
largo in lui un qualcosa di più profondo. Un qualcosa di
più. E quando ascoltò
le sue parole capì che forse era più
dell’attrazione fisica, più del bambino
stesso a legarli. Per questo pensiero profondo, per quello che vedeva,
poco ci
mancò che anche a lui colasse una lacrima sul viso.
Le
prese la mano nelle sue e ne baciò il dorso.
-E
chi ti lascia?-
Si
scambiarono uno sguardo, un’occhiata velocissima, ma
così intensa e intima che
lei fece un piccolo sorriso e l’attimo dopo spinse con
più vigore di prima.
Il
dottore la incoraggiava a spingere, diceva che mancava poco.
L’ostetrica
la rassicurava e intanto osservava il bambino che premeva per uscire.
Davide
era solo uno spettatore impotente ed emozionato, che non faceva nulla
ma
desiderava sentirsi partecipe del suo dolore.
Francesca
sentì il bambino uscire con la testa e convinta di essere
arrivata alla fine,
pensando che più doloroso non poteva essere,
desiderò nient’altro che spingere
e assecondò l’istinto. Ma fu doloroso. Si sentiva
spaccata in due, voleva
finisse tutto subito e infatti gridò di dolore, forse il
più forte che avesse
fatto finora. Non ce la faceva più, voleva che fermassero
tutto.
-Dai
dai... eccolo!-
-L’ultima
spinta!-
Chiuse
gli occhi e prese fiato, ormai tutta un tremito per gli spasmi, le
contrazioni.
Spinse fortissimo, reggendosi alla sbarra del letto e alla mano di
Davide, il
quale gemette per la presa ferrea.
-Eccolo
eccolo!-
L’ostetrica,
con le mani abili e allenate dall’esperienza,
aiutò il piccolo bimbo a farsi
strada fuori. Tutto ad un tratto lo tirò via.
Per
la bionda fu come liberarsi tutto ad una volta dell’ansia,
della pressione, del
dolore e si tutto. Esalò un respiro e si appoggiò
contro il cuscino, chiudendo
gli occhi.
Il
pianto del bambino suonò come musica dolcissima nella
stanza. Tutti gli
infermieri applaudirono forte e l’ostetrica portò
immediatamente il bimbo al
primo bagnetto.
Davide
si alzò, curioso di vedere il bimbo e sgomitando fra la
gente.
Lasciò
la mano di lei.
Poi
a metà strada si ricordò.
Scosse
il braccio
stretto nella sua presa e cominciò a gridare.
-Tu
sei uguale a
tutti gli altri! A te non importa nulla di me! A te importa solo di
quello
stupido bambino! E sai cosa ti dico? Io lo odio!-
Davide
ascoltò
quelle parole, e lo colpirono in viso con la forza di un mattone.
-Cosa?-
mormorò
sconcertato.
Francesca
lo guardò
orgogliosa.
-Ancora
non l’hai
capito? Io un figlio non lo faccio-
Quei
medici che ora esultavano per la riuscita del parto, che
l’avevano incoraggiata
durante le doglie, non sapevano quanto le era costato. Non sapevano
cosa si
celava dietro quel bambino, quel pancione. Non sapevano quanto le era
costato
farlo.
Si
girò e la osservò seduta sul lettino. Aveva le
gambe aperte e non voleva
nemmeno immaginare quanto martoriata fosse là sotto. Aveva
gli occhi gonfi di
pianto, rossi e le guance bagnate. Ma soprattutto sul viso aveva
un’espressione
stanca, sofferta di chi ha dato tutto ed è arrivato al
traguardo.
Immaginò
fosse distrutta.
Gli
occhi fissi nei suoi lasciò perdere il bimbo neonato e le si
avvicinò.
Si
sedette sul letto e aspettò la sua mossa.
Francesca
si gettò letteralmente contro di lui, la fronte schiacciata
sulla sua spalla e
le braccia che gli stringevano la maglia.
Respirava
forte, ansimante e presto Davide sentì la maglietta bagnarsi
di lacrime.
-Alzati,
forza-
proseguì lui, tendendole la mano.
Lei
afferrò il
palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di
fronte a lui.
Come
se in quel
momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce,
irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò
ancora. Stavolta non
fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi,
riempiendoli di
lacrime.
Un
fremito la
travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il
torace del ragazzo per
reggersi in piedi e ricominciò a piangere.
Stavolta
non ebbe esitazioni e la abbracciò con forza, sfregandosi
contro la sua maglia
sudata. Francesca pianse tutte le lacrime che si era trattenuta, tutto
il
dolore e l’agitazione che aveva provato, ben nascosta dal
ragazzo.
Lui
le accarezzò i capelli, baciandola sulla tempia e
sussurrandole parole
all’orecchio.
-Sei
stata bravissima amore...-
Sentendo
che la ragazza si stringeva di più e respirava
più forte, anche lui la
abbracciò di più. Quasi quasi poteva sentire il
suo cuore battere agitato come
lei, che piangeva silenziosa.
-è
finita. È finita, ce l’hai fatta...-
Lei
ebbe un singulto maggiore e Davide chiuse gli occhi; la sentiva, la
sentiva
sua.
-Il
bambino è nato. Ce l’hai fatta-
Aspettò
un altro bel po’ prima di lasciarla andare, assicurandosi che
fosse tranquilla,
e poi si sciolse dalla sua presa. Lei si asciugò con una
mano le lacrime e
respirò per calmarsi, scossa dai singhiozzi. Alzò
gli occhi sulla scena alle
loro spalle.
L’ostetrica
reggeva fra le mani una coperta calda, e dentro quella era rannicchiato
un
piccolo fagotto gonfio. Stava aspettando il momento giusto per metterlo
fra le
braccia della mamma.
Davide
si allontanò da lei, osservando curioso e in soggezione la
coperta, rendendosi
conto che era una scena sacra e inviolabile.
Francesca
si mise più dritta e anche lei incapace di dire nulla
guardò il piccolo bimbo
che le veniva messo fra le mani.
Non
ritrasse le mani quando la donna glielo porse, ma lo prese senza quel
tipico
sorriso delle madri che appena partorienti non vedono l’ora
di stringere il
loro bambino fra le braccia.
Lei
era esitante, non sapeva come fare, ma accolse il peso che le passava
la donna.
Davide
osservò col respiro trattenuto la ragazza e il bambino.
-È
una femmina- disse con un sorriso l’ostetrica.
Errata
corrige, ergo.
Davide
osservò col respiro trattenuto la ragazza e la bambina.
Improvvisamente
gli venne la tremenda paura che lei la rifiutasse. Dopotutto
l’aveva sempre
detto che il bambino non lo voleva. Cosa avrebbe fatto ora?
Sembrò
che tutta la stanza si fosse fermata in attesa di una sua reazione.
Francesca
fissò le iridi azzurre sulla bambina che teneva fra le mani.
La
bimba era avvolta da quella coperta ma l’effetto di non farle
sentire freddo
non avveniva, perché cominciava ad avere le labbra violette.
La pelle aveva
ancora qualche residuo del liquido embrionale in cui era stata
rinchiusa, e la
testa era cosparsa di capelli scuri, sparati in tutte le direzioni,
appiccicati
alla cute.
Teneva
gli occhi chiusi, la piccola bocca schiusa che dava i primissimi
respiri, e le
braccine abbandonate sul petto, i pugni stretti.
Quel
momento in cui la bionda ragazzina fissò la bimba
sembrò infinito, come
imperscrutabile era il suo viso. Non si riusciva a capire cosa stesse
pensando,
se fosse contenta o desiderasse solo liberarsene al più
presto. Lui immaginò
che nemmeno lei riuscisse a capacitarsi di cosa teneva in braccio.
Ad
un certo punto sollevò il braccio sinistro, su cui era
poggiata la testa, per
veder meglio il corpicino. Chissà cosa le
passava per la testa, si domandò Davide, ma ancora non si
poteva dire che fosse
finita.
Finalmente
la lunga attesa finì, e con quale finale migliore, quando
Francesca alzò la
testa verso la sala e poi guardò lui, sulle labbra un gran
sorriso
-È
bellissima, assomiglia tutta a me!-
L’intera
sala ed equipe di infermieri, il dottore e l’ostetrica
cominciarono a battere
le mani, e Davide e Francesca si guardarono.
Lui
scosse la testa divertito, ma lei ostentò
un’espressione strafottente, delle
sue solite. Nemmeno ora osò avvicinarsi, temendo di rovinare
quel momento che sembrava
così perfetto, naturale.
La
biondina guardò nuovamente la bimba, tornando a mettere
sulle labbra quel
sorriso dolcissimo che il ragazzo, anche se non lo diede a vedere,
invidiò un
po’.
Invidiò
perché non era lui la causa di esso, e perché un
sorriso così non gliel’aveva
mai visto addosso. Nei successivi confusionari minuti lei non lo
degnò di un
solo sguardo, troppo impegnata ad occuparsi della bambina.
Un
infermiere domandò come si chiamasse.
Entrambi
si guardarono, un po’ sorpresi.
-Come?-
-Il
nome della bambina- spiegò l’infermiere.
Francesca
guardò Davide e Davide guardò Francesca.
Poco
ci mancò che non si mettessero a ridere.
Possibile
che non ci avessero minimamente pensato, al suo nome?
Non si erano mai posti questo problema. La bionda arrossì
molto, imbarazzata.
-Ehm...-
cominciò lui, facendosi scappare un sorriso da sotto le
labbra.
Un
nome gli era venuto alla mente, immediato come se esistesse da tempo,
ma
incerto fissò la ragazzina. Voleva dirlo, ma al momento di
pronunciarlo stette
zitto.
Sorrise.
Credeva
che spettasse, dopo tutta la fatica fatta, decidere a lei.
Provò a farle capire
con lo sguardo che aveva carta bianca. Lei intercettò i suoi
occhi verdi.
Poi
stette un attimo in riflessione.
-Emanuela-
decretò.
Davide
non udì che il suono della sua voce, senza realmente capire
subito il nome che
aveva deciso. Fu solo felice e fece un gran sorriso.
Felice
di avergliela data vinta per quella volta. E aveva intenzione di farla
vincere
ancora, e ancora.
Dunque, ringraziamo i
preferiti, i recensori, quelli che leggono soltanto e chi segue la
storia.
Per scrivere al meglio
questo capitolo mi sono avvalso di un tomo di medicina.
Emily Doyle:
non è che non sono tifoso del Napoli, anzi essendo una
squadra del sud la prendo in simpatia, il fatto è che
giocava contro l'Inter, capisci? Va be', chiuso argomento fuorviante.
Esattamente, il povero Davide è stato costretto a svegliarsi
nel cuore della notte.
Devilgirl89:
una statua alta 30 metri? Ahahaha scusa se rido ma se ci penso... per
quanto è alta basterebbero un metro e cinquanta. Ecco il
nuovo personaggio, e io... non so, continua a leggere e poi dimmi tu a
chi assomiglia.
Marty
McGonagall: grazie mille, Martina. Be', vedi un po' tu com'è
andata col bambino... anzi, bambina.
MissQueen: dunque, ho letto un libro al riguardo... roba di mia madre,
e ne sono rimasto talmente schifato (perdonami la parola) che ho
immaginato come si dovesse sentire Francesca (secondo il mio punto di
vista, naturalmente). Beh, per una "letterata" come te mi pare che
sette non sia un cattivo voto in matematica. Sei una genietta... (dove
l'ho già sentita sta frase?)
Urdi: felice di averti rallegrato la giornata, grande artista! Davide e
Francesca? te li puoi prendere quando vuoi, la smetteranno di rompermi
almeno. E se vuoi ti regalo anche la bambina. Grazie di aver recensito.
FeFeRoNzA: Buonasera a te. "Povera Francesca che doloooreee"
è esattamente ciò che penso io. Ora dimmi che ne
pensi del 'fatidico' capitolo.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Un
braccio giaceva abbandonato sul materasso di un lettino
d’ospedale, illuminato
solo dalla luce della lampada.
Al
polso del braccio era legato un piccolo braccialetto color carne,
recante una
targhetta numerata e con un nome.
Francesca
Daniele.
Al
di là del letto, addormentata placida nella culla, una
bambina aveva lo stesso
bracciale.
Emanuela
Ferri.
Quella
stanza era la più silenziosa del reparto. Il sole era
probabilmente già sorto e
alto nel cielo, ma la biondina stesa sul letto non sembrava avere
l’intenzione
di volersi alzare. Anzi, persisteva a dormire, stanca come se avesse
corso la
maratona, distrutta come se avesse combattuto una battaglia. E in
effetti, una
battaglia con se stessa l’aveva combattuta, e vinta.
Ora
da bravo soldato si concedeva il meritato riposo.
Le
coperte erano avvolte attorno al corpo della ragazza e le serrande
erano
abbassate. Emanuela era nata tra le due e le tre della notte, e la sua
mamma
dormiva dalle quattro e mezza senza interruzioni. Sul comodino
c’era il suo
cellulare, una bottiglia d’acqua e un bicchiere, fazzoletti.
Poi
un pigiama pulito. Davide aveva fatto l’andirivieni per tutta
la notte fra casa
e ospedale, e possiamo immaginare che anche lui stesse dormendo
indisturbato.
L’orologio
segnava le dieci passate da un po’.
Due
colpi alla porta, e nessuno rispose da dentro, ovviamente.
Allora
la porta si aprì. Il contrasto fra la stanza e il corridoio
era lampante,
infatti da fuori entrò una luce violentissima che
investì la ragazzina in pieno
volto.
Davide,
non volendo svegliarla, la richiuse in fretta e si infilò
dentro. Poggiò una
busta che teneva in mano sulla sedia, poi si avvicinò lento
al letto.
Sotto
gli occhi due occhiaie testimoniavano quanto poco aveva dormito; ma
anche se a
casa ci aveva provato, non era comunque riuscito ad addormentarsi,
troppo
eccitato e preso dai pensieri. E non sopportava di dover essere
lì da solo
mentre le sue due ragazze stavano in ospedale. A quel pensiero
arrossì e si
diede dello stupido da solo.
Non
era opportuno.
Così
si sedette al pizzo del letto e posò una mano sulla gamba di
lei.
Lento
la fece salire più su, con un andamento così
leggero da non svegliarla.
Quel
giorno non voleva finire mai, ed era appena cominciato.
Guardò
la culla a fianco del letto. Chissà se dormiva, la bambina.
Lui
forse era l’unico, fra i tanti che avevano assistito al
parto, a non aver visto
per bene la bimba. La figlia, per meglio dire.
Ancora
non riusciva a capacitarsi che sul serio, era diventato
papà. Poi un pensiero
malinconico, triste e guastafeste si impadronì di lui.
E
se Francesca avesse deciso di andare a vivere con la bambina da Damiano?
Aveva
visto il suo sguardo mentre teneva in braccio la bambina. Forse non
l’aveva mai
vista tanto felice.
E
ora che la bimba era nata, lui non gli serviva più.
Francesca
aprì gli occhi lenta e assonnata, girando la testa dalla
parte opposta.
Si
tolse un ciuffo biondo che le ostruiva la vista e sorrise al ragazzo.
-Ciao-
Lui
ricambiò il sorriso e si spostò fino a
raggiungere il suo viso, stando seduto.
Con una mano la aiutò a risistemarsi i capelli.
-Come
stai?- domandò gentile.
-Ho
tanto sonno- rispose incrociando le braccia dietro la testa.
La
bionda allungò una mano per toccargli il viso; lui la
lasciò fare e disse
-Ti
ho portato qualcosa da mangiare-
-Ma
tu non hai dormito per niente- osservò lei.
Poi
girò la testa verso l’orologio e si
alzò a sedere bruscamente.
-Ehi
ma è tardissimo!-
Scivolò
giù dal lettino e si avvicinò alla culla.
Emanuela
aveva aperto gli occhi e impotente osservava tutto ciò che
le stava intorno.
Muoveva lenta le piccole braccia e quando la ragazza la prese in
braccio spalancò
gli occhi.
Occhi
che non avevano colore, occhi indaco, che ancora non sapevano vedere.
Francesca
si sedette sul letto con in braccio la bambina, poi si
slacciò i bottoni della
camicia da notte.
-Sicura
che sai come si fa?- la scherzò lui, in realtà
con la gola secca e incantato
per lo spettacolo che gli veniva offerto.
-Certo,
mica sono scema-
Lei
prima di scoprirsi il seno gli rivolse un’occhiata
sospettosa, poi gli permise
di guardarla mentre allattava la bambina.
Emanuela
sembrava sapesse perfettamente come muoversi, perché dopo un
paio di tentativi
andati a vuoto, cominciò a bere.
La
ragazzina la osservava sorridente e con un’espressione dolce,
affettuosa che
Davide non le aveva mai visto. Lui stette in silenzio a contemplare la
scenetta
finché lei non ruppe il silenzio.
-Stanotte
dopo che te ne sei andato l’hanno fatta stare
nell’incubatrice; aveva troppo
freddo-
Non
si guardavano, come se entrambi fossero imbarazzati e non trovassero
nulla da
dire. Quella notte erano successe così tante cose, ne erano
cambiate tante che
ancora non avevano metabolizzato le novità. Non sapevano
quasi cosa dirsi,
eppure il ragazzo ne aveva tante, di cose da chiederle.
Come
stai? Cosa vuoi fare? Perché Emanuela? Cosa hai provato?
Cosa provi per me? Mi
ami ancora?
Ecco,
forse l’ultima era la più inquietante e al tempo
stesso quella che voleva farle
per prima.
-Non
dici niente...- commentò lei, alzando gli occhi su di lui
mentre con una mano
aiutava la bambina a bere meglio.
-Cosa
devo dire?- replicò alzando le spalle. Era un po’
triste, un po’ felice. Felice
ovviamente per la bambina, per la gioia che provava Francesca. Triste
perché
non sapeva cosa sarebbe successo dopo. Aveva visto sia i suoi occhi
piangere e chiudersi
per il troppo dolore, sia brillare di felicità quando aveva
preso in braccio la
bimba.
-Beh
non so... da quando è nata lei non hai detto nulla...- qui
si fece seria e
smise di sorridere –cosa stai pensando?-
Anche
la biondina aveva paura della sua risposta, ma fece comunque la
domanda.
Sentiva che qualcosa in lui non andava, che si stava tenendo dentro un
dubbio.
O forse una verità.
Improvvisamente
si guardarono l’uno spaventato dell’altra.
Sembrava
che da un momento all’altro si dovessero dare una brutta
notizia. Francesca
come al solito fu la prima a parlare e a dire quello che le passava per
la
testa.
-Cosa
pensi? Cosa pensi della bambina?-
Davide
abbassò lo sguardo su Emanuela che stava ancora bevendo dal
seno della mamma.
-È
molto bella- disse.
Francesca
la staccò, riprendendola in braccio e lasciando che tornasse
a dormire. Tremava
tutta perché era certa che lui non stesse dicendo la
verità. Credeva che
volesse abbandonarle entrambe. Il solo pensiero riusciva a renderla
agitata.
Poi
ebbe un’idea.
-Tieni-
Gli
allungò la bimba che aveva chiuso di nuovo gli occhi.
-A
me?- chiese stupito, indicandosi.
-E
a chi? Ma che, hai paura?- gli fece un ghigno strafottente che celava
la paura
che improvvisamente si era impossessata di lei.
-Macchè...-
In
realtà, se doveva dir la verità, un po’
di paura l’aveva; non aveva mai tenuto
in braccio un neonato prima di allora. E se l’avesse fatta
cadere?
Non
voleva mostrarsi insicuro, specie davanti a lei, così
allungò le mani per
prenderla in braccio.
Esitante
lasciò che la ragazza la poggiasse sulle sue mani.
Impacciato perché non sapeva
come fare, Francesca se ne accorse
-Non
ti preoccupare lo so che non sai nemmeno prenderla in braccio. Ma tanto
non
cade, sta’ tranquillo-
Davide
si fece rosso per l’imbarazzo e si imbronciò, ma
sistemò meglio la bimba fra le
mani, un po’ più sicuro.
Emanuela
si era pacificamente riaddormentata, gli occhi chiusi e il piccolo
respiro che
fuoriusciva dalla bocca. Aveva della pelle screpolata sulla fronte,
così lui
pensò di toglierla. Il suo dito, rispetto alla fronte e al
naso e alla bocca e
a tutto pareva enorme. Le spostò anche un ciuffo di capelli
scuri dalla fronte,
mandandolo di lato. Sorrise involontariamente quando la vide fare una
smorfia.
Francesca
non aveva perso una sola mossa ed era più tranquilla ora;
forse si era
semplicemente sbagliata e lui non voleva lasciarle sole. No, si disse,
lui non
era così e ormai l’aveva imparato.
-Mettila
nella culla prima che quei ca**o di medici la sveglino- disse,
sbadigliando
forte.
Il
ragazzo fece come gli aveva detto, non senza difficoltà. Una
volta che l’ebbe
stesa sul piccolo materasso la guardò dormire
dall’alto. Era così piccola e
indifesa, gli venne da pensare spontaneamente. Ora erano soli.
Non
voleva voltarsi, non voleva parlarle perché già
sapeva che gli avrebbe detto: “Voglio
tornare a vivere da mio padre”. Non sarebbe stata la stessa
cosa, e già lo
sapeva. Lui non voleva essere solo il suo amico, no, lui voleva
qualcosa di
più. Ormai non era pronto a rinunciare a lei.
Per
cui non si girò, ma fece finta di osservare la bimba
finché non lo chiamò.
-Davide?-
Anche
Francesca aveva paura che si voltasse e le dicesse: “Non
posso tenere la
bambina”. Allora che avrebbe fatto?
Il
ragazzo si girò, fissandola dritto negli occhi.
Ti
prego non dirlo.
Ti
prego non farlo.
Entrambi
non volevano sentire uscire dalla bocca dell’altro quelle
parole, ma entrambi
volevano affrettare quel momento.
-Mi
vuoi lasciare?-
Davide
si avvicinò al letto.
Francesca
schiuse le labbra sorpresa; di certo non si aspettava quella domanda.
-Io
no. Tu?- ansiosa stette in attesa della risposta.
Anche
il ragazzo fu stupito della richiesta.
-Io
no!-
Si
fissarono per un attimo, sorpresi dalle risposte e dalle domande. Poi
la bionda
sorrise e lo tirò a sedersi accanto a lei.
-Credevo
che tu mi avresti lasciata in mezzo alla strada- confessò
arrossendo.
-Ma
che dici? No! Io credevo che tu volessi lasciarmi e andare a vivere da
tuo
padre!-
Tutti
e due capirono di aver frainteso le intenzioni dell’altro e
sorrisero, un po’
stupiti.
-Non
voglio andare a vivere da mio padre!-
-Oh
ma che stupido... scusa, non volevo dire questo... cioè io
credevo che...-
aveva paura che lei si arrabbiasse per la mancata fiducia che le aveva
dato.
-Scusami...non
volevo dubitare di te...- sorrise storto e incerto, poi la
guardò con
espressione esitante.
-Mi
perdoni?- domandò.
Francesca
non voleva perdonarlo, perché non aveva nulla di cui
scusarsi: anche lei aveva
dubitato di lui. Non voleva perdonarlo, ma solo ringraziarlo. Non aveva
scordato le parole che le aveva detto mentre sofferente minacciava di
mollare
tutto, e come invece di precipitarsi dalla bambina si era preoccupato
di come
stesse lei appena dopo partorito. E non solo, l’aveva
consolata e pure fatta
innamorare.
Credeva
che non servisse altro per giustificarlo.
Senza
ascoltare quello che stava dicendo, gli infilò le mani fra i
capelli e lo
baciò. Aveva così voglia di sentirlo, di farlo
suo che per poco non lo
travolse, facendolo cadere per l’impeto.
Davide
si trovò impreparato al suo assalto, ma fu ben felice di
rispondere
adeguatamente.
Aveva
così voglia di lei da non calcolare la forza messa nel
trasporto.
La
stese sul letto, riprendendo a baciarla più piano,
più dolce, più eccitato o
forse tutto insieme.
Come
si era innamorato di lei non lo sapeva.
Erano
due cose totalmente diverse, due entità separate, opposte,
che forse proprio
per quello erano perfette insieme.
Semplicemente
perfette.
C’era
sempre stata, nella sua vita qualcosa di più importante di
una ragazza.
La
famiglia, il lavoro, gli studi.
Forse
adesso, davvero, non esisteva nulla più importante di lei.
Niente.
Francesca
non desiderava altro che essere tutta sua; voleva essere
l’unica, la sola
capace di farlo sciogliere così. E sentirsi importante,
sentirsi amata.
La
faceva stare così bene, finalmente al sicuro da ogni paura,
preoccupazione
tanto da poter essere felice.
Quello
che Davide era stato per lei, nessuno; nessuno era stato capace di
capirla, di
ascoltarla come faceva lui. Con la stessa semplicità che
aveva lui. Con lo
stesso sguardo, e la stessa voce che aveva lui.
Questo
pensiero molto profondo, e intimo, e irrazionale e detto con
sincerità, la fece
tremare e gli occhi cominciarono a pungerle.
Non
sapeva perché, ma mentre lo stava baciando alcune lacrime
scivolarono dagli
occhi alle guance, per poi disperdersi in mezzo alle loro labbra.
Quando
Davide avvertì il sapore salato inequivocabile si
staccò di poco. Aspettò che
lei dicesse qualcosa. Francesca schiuse le palpebre, rivelando due
occhi
azzurri e umidi.
-Vedi?-
domandò facendo in modo di guardarlo negli occhi.
Imbarazzata cercò di
asciugarsi e di far cessare le lacrime. Il ragazzo le spostò
quella frangia
bionda che le cadeva sul davanti.
La
bionda sorrise e di nuovo due lacrime bagnarono il suo viso.
-Sei
l’unico capace di farmi piangere- disse in poco
più che un sussurro.
Perdonate il capitolo
corto. Grazie a tutti quelli che leggono questa storia e la
recensiscono.
GinTB: già,
penso anche io che sia una cosa insita in ogni ragazza... anche nella
più orgogliosa del mondo. Grazie della recensione.
FeFeRoNzA: beh, grazie
tante. Non volevo che il parto fosse tutto rose e fiori, e tutti felici
e contenti. Volevo descrivere come anche se sia doloroso lei abbia
avuto il coraggio di farlo. E quante mamme partoriscono col cesario
(non voglio nemmeno pensarci). Insomma, non è facile.
però ne vale la pena, no?
Nells: ciao a te! Ti ringrazio molto dei complimenti che mi fai, sei
molto gentile e spero di meritarmeli. L'essere riuscito a trasmettere
bene le emozioni è un gran risultato. E grazie a voi, per
aver letto.
Marty McGonagall: Buonasera, Martina. Oddio, non ho vissuto
un'esperienza del genere, e non la vivrò mai. Mentre leggevo
il libro di medicina immaginavo quanto dolore si potesse provare. E non
volevo che partorire fosse una cosa facile per Francesca.
P.s: sì,
Davide aveva un altro nome in mente. Dunque, lui avrebbe preferito
chiamarla... Miriana. Sì, credo proprio che sia
così.
Nor: emanuela? Boh non so, m'è venuto sul momento, ero molto
indeciso. La storia è autobiografica solo e unicamente per
il carattere di Davide. Non ho mai vissuto una situazione
così incasinata.
vero15star: sono certo che non hai affatto bisogno del mio aiuto per
trovare un ragazzo del genere. Ecco, ti cito una parte di una
recensione che mi hai lasciato:
"Francesca non
è la semplice ragazzina quasi 17enne che si ritrova incinta
e allora scoppia la tragedia. Francesca è una ragazza che sa
essere forte e fragile allo stesso momento come tante persone in questo
mondo. In questo forse mi assomiglia. A lei non piace sentirsi
debole,non le piace cadere e non sapere rialzarsi,non le piace chiedere
aiuto.E in questo credo di assomigliarle troppo,forse è
anche per questo che all'inizio non mi piaceva. Avevi in un certo senso
descritto la parte del mio carattere che io detesto,e non lo
sopportavo. Ora invece questa nuova Francesca mi piace molto.
Perchè adesso non ci sono solo "difetti"ma ci sono anche
pregi."
Esattamente, è
così. Ed è bello che tu l'abbia capito. Grazie
dei bei complimenti che mi fai ogni volta.
Oasis: grazie per la recensione, felice che ti piaccia.
Jiuliet: eh sì, era ora, credo che si fosse stancata di star
sempre chiusa nella pancia di Francesca. Grazie mille.
Emily Doyle: ahahah beh mi dispiace che non ti piaccia il nome
Emanuela. Tu come l'avresti chiamata? No, però non mi puoi
dire che ti ho fatto passare la voglia di avere figli. Ce l'avrei sulla
coscienza.
wanda nessie: viva la vita sì. Era d'obbligo farla nascere
femmina. Certo che continuerò, che faccio, la lascio proprio
ora che è quasi finita?
Devilgirl89: sua "Altezza" ti ringrazia dall'alto del suo broncio
orgoglioso. Una donna già mamma? Caspita, non so se
è un complimento questo... beh sai, ho raccolto informazioni
da film, da libri, dai racconti (estenuanti) di mia madre, mia nonna e
le mie zie... e poi sai quante volte ho fatto la veglia in sala parto?
Argh, una cena tutti
insieme... che bello... non so se sarà realizzabile
MissQueen: beh, fortunata tua madre, e brava tu che hai fatto presto ad
uscire. Forse bisognava anche farla soffrire a Francesca.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
-Eccola-
Francesca
mostrò con un gran sorriso la camera da letto a Paola,
camera dove era stata
aggiunta una culla adesso. L’amica subito si
precipitò a guardare.
-Mio
Dio che bella!- esclamò sorridendo entusiasta.
-Vero?
Vero che mi assomiglia?-
-Caspita...-
Il
suo era un sussurro quasi di venerazione, incredula di quello che stava
ammirando. Emanuela, rinchiusa con sapiente gusto in un vestitino
bianco, era
ficcata sotto le coperte rimboccate e, come suo consueto, dormiva.
-Un
po’ ti assomiglia, direi...- commentò.
-Il
dottore ha detto che gli occhi ancora non sono del colore giusto. I
capelli si
vedrà dopo, quando questi le cadranno...-
Con
un gesto affettuoso si sporse e le aggiustò un lembo del
colletto.
-A
lui? A Davide non ci assomiglia?-
-Sì,
l’unica cosa che ha preso da lui è che dorme
sempre- sorrise strafottente la
bionda.
Paola
rise e poi tornò a guardare estasiata la bimba.
-Non
ci posso credere... non ci posso credere che hai una bimba!- disse.
-Per
dir la verità manco io-
L’altra
osservò prima il viso, poi la pancia dell’amica.
-Sbaglio
o sei dimagrita?-
-Seee...-
fece la ragazzina bionda, scettica. Neanche osava guardarsi allo
specchio.
Però
una cosa doveva ammetterla.
-Una
cosa è vera... sto mangiando di meno. Sai, le uniche cose
che mi fanno bene
sono i broccoli... il dottore ha detto che fanno bene alla bambina.
Vietato
mangiare cetrioli...- ricordò –e poi io e Davide
ci siamo organizzati-
Sorrise
al ricordo.
-Io
dormo all’incirca alle otto e mezza, subito dopo che lei ha
mangiato. Davide va
a letto più tardi. Poi la notte, di solito alle quattro, sua
maestà- scoccò uno
sguardo di rimprovero alla culla –si sveglia, e piange... Io
mi sveglio e la
faccio calmare, poi torniamo a dormire tutte e due-
-E
come fai a rimanere sveglia a scuola?- domandò con
curiosità.
Beh,
una volta si era addormentata sul banco, durante la spiegazione del
professore
di fisica, ma a parte quello non dava segni di cedimento. Il che era
sbalorditivo, secondo Paola.
-Boh.
Poi prima di andarmene a scuola mangia di nuovo. E la tiene Davide
tutta la
mattina-
-Caspita.
Certo che siete bravi, eh...-
La
culla dove dormiva Emanuela aveva le sbarre in legno, colorate di un
verde
chiaro. Dentro erano ammucchiati vari sonagli, carillon e pupazzi
portati da
Damiano. Erano appartenuti a Francesca una volta, quando era
più piccola. La
culla era stata un gentile regalo della mamma di Davide, che una volta
saputo
il fatto fu ovviamente entusiasta. A Francesca scappò un
sorriso divertito
ricordando come erano andate le cose.
Davide
esitava
sulla soglia della cucina e Francesca gli scoccava ripetute occhiate
eloquenti
e minacciose, seduta sulla poltrona. La signora era tutta felice e
stava
preparando un vassoio di biscotti da abbinare al tè. Miriam,
la sorella di
Davide, osservava divertita la ragazzina bionda, della sua stessa
età, dare
ordini al fratello.
-Se
non glielo dici
ti ammazzo stasera- sibilò al suo indirizzo, a denti stretti
per non farsi
sentire.
Il
povero ragazzo
aveva detto alla madre che loro due stavano insieme. Per quanto la
differenza
d’età fosse ampia, lei non aveva detto nulla e si
era precipitata in cucina a
far da mangiare, dopo aver obbligato la figlia a rimanere nel salotto.
Ma c’era
un’altra cosa, non proprio indifferente, che non le aveva
detto, e cioè di
Emanuela.
Ora
erano seduti
l’uno di fronte all’altra, e Miriam accanto al
fratello.
-Scusa
la mamma. È
che non le capita spesso che i miei fratelli portino a casa ragazze-
disse lei,
rivolta a Francesca, per spezzare la tensione.
La
bionda sorrise e
spostò gli occhi su Davide.
-Beh,
non posso
biasimarla...-
Che
faccia
d’angelo, si disse lui in senso ironico, arrossendo
imbarazzato.
-Beh
scusa, non mi
risulta che tu abbia mai portato fidanzati- ribatté.
-Il
fatto che non
li ho presentati a mamma non significa che non ne ho- concluse sua
sorella,
sorridendogli.
-Rassegnati
Davide...- iniziò Francesca.
-...non
sei un playboy-
completò Miriam.
Lui
spostò lo
sguardo incredulo dall’una all’altra. Ma che
avevano contro di lui quelle due?
Sua
madre tornò nel
salotto, carica di un vassoio e del tè.
-Scusate
il
ritardo... ma il gas non si accendeva... –
incominciò, interrotta a metà dalla
figlia.
Miriam
scambiò
un’occhiata complice con Francesca e disse
-Vabbé
ma’, non
credo che gli interessi. Piuttosto, Davide deve dirti una cosa... una
cosa
molto importante-
Il
ragazzo sbiancò.
Come faceva sua sorella a sapere?
Guardò
con gli
occhi stretti la biondina, che si curò di non incontrare il
suo sguardo,
servendosi il tè. Poi quando vide la faccia che aveva fatto,
poco ci mancò che
scoppiasse a ridere.
Quelle
due
l’avevano fregato.
-Ehm... – fece,
imbarazzato e soprattutto senza avere
la minima idea di come iniziare.
Francesca
posò la
tazza sul tavolo e lo fissò con sguardo penetrante.
-Cosa
devi dirmi?-
incalzò sua madre.
Dannazione,
si
disse, gettando una rapida occhiata alla sorella. Non c’era
via di scampo.
-Muoviti-
gli disse
a denti stretti la bionda, irritata.
-Ecco...-
I
suoi occhi
azzurri accesi di cattiveria e minaccia erano decisamente
più spaventosi di
qualunque cosa avesse potuto dire sua madre.
-...ecco...
io e
Francesca...ehm...-
-Abbiamo
una
bambina-
Oddio,
l’aveva
detto. Abbassò gli occhi, e imbarazzato
all’ennesima potenza arrossì. Ora
arrivava il peggio.
Francesca
guardò
con apprensione sua madre. Miriam lo sapeva già, ed era
anche venuta a
trovarla. Ma ora, che diamine avrebbe detto sua madre?
-E
che aspettavate
a dirmelo?- saltò fuori, dando un’occhiata
ammonitrice al figlio.
Lentamente
Davide
alzò il capo e Miriam lo salvò.
-Sai,
voleva farti
una sorpresa. Anche perché è una bimba
bellissima!-
-Tu
lo sapevi?-
domandò sconcertata alla ragazzina.
-Beh...-
-E
non mi hai detto
nulla?- tuonò la signora.
Davide
e Miriam si
strinsero nel divano, indietreggiando impauriti dallo sguardo della
madre. A
Francesca veniva da ridere, ma pensò di trattenersi
perché non era il caso, e
perché non voleva perdersi la scena.
-Davide...
come
puoi pensare di venirtene qui e dirmi una cosa del genere?- si
alzò in piedi e
i due fratelli indietreggiarono contro lo schienale.
-Volevo
dirtelo...
ma non sapevo come fare!- si giustificò.
Sua
madre si era
avvicinata e lui chiuse gli occhi, pronto ad uno scappellotto. Era
cresciuto,
ma non aveva scordato quanto potevano essere pesanti le mani di sua
madre. Fra
i tre, lui era quello che si era preso più botte di tutti,
perciò non dubitava
della forza della donna. Inoltre uno schiaffo preso da una mamma fa
sempre una
certa impressione.
Invece
l’attimo
dopo se la ritrovò abbracciata, che lo stringeva.
-Sono
felicissima!
E ora dov’è?- disse, sorridendo.
-Ce
l’ha suo padre-
disse, indicando la bionda.
Francesca
si
mordeva un labbro convulsamente, per trattenere le risate. Doveva
farcela, si
impose. Non poteva ridere davanti a sua madre.
Qualche
manciata
abbondante di minuti dopo, il ragazzo stava caricando nel bagagliaio
della
macchina i pezzi sfusi della culla. Tornato in macchina la biondina gli
sorrise
maliziosa.
-Cocco
di mamma-
gli pizzicò una guancia.
Davide
arrossì e
divenne imbronciato, afferrando il volante.
-Oh,
smettila!- la
rimbeccò.
Vedendo
che
sembrava irritato più del normale gli disse
-Bravo.
Sei stato
bravo sai?-
-Perché
con tuo
padre è stato tutto così facile?-
domandò.
-Perché
mio padre è
mio padre, e tua madre è tua madre- rispose semplicemente,
accendendo il
cellulare.
Lui
era un po’
seccato e non rispose, mangiandosi la replica acida.
-Amore-
lo chiamò
scherzosa, allegra e contenta.
-Eh
sì... quando ti
fa comodo, amore, sennò idiota, co****ne...-
Francesca
era abbastanza contenta di come stavano andando le cose. Emanuela
dormiva e
mangiava, ma questo non le impediva di svolgere una normale vita da
diciassettenne. Il suo compleanno era passato e Davide aveva portato a mangiare fuori tutte e
due. Era stata una
bella serata.
Davide
era seduto
al tavolo, indossando una camicia nera che gli conferiva
un’aria diversa dal
solito. Il tavolo era adornato da una tovaglia bianca, lucida e da una
candela
accesa. Oltre ovviamente a fiori, posate, piatti e il sale e il pepe.
Francesca
indossava
un bel vestito nero, con le ballerine e una borsa verniciata. Sorrideva
imbarazzata; aveva i capelli biondi resi mossi dalla spuma, un nuovo
paio di
orecchini e un filo di trucco sul viso. Era veramente bellissima.
Emanuela
stava accanto al suo posto, nella carrozzina e osservava la mamma con
gli occhi
aperti. Questi saettavano curiosi, beandosi di quei giochi di luce che
creavano
i lampadari di cristallo, delle voci concitate dei presenti e delle
risate del
papà.
-Caspita
è
bellissimo questo ristorante!- sussurrò ammirata, osservando
il bel panorama a
lato.
-Lo
so-
-Deve
costare
molto- osservò poi, mordendosi un labbro.
Davide
sorrise
gentile e si appoggiò allo schienale.
-So
anche questo-
-Non
dovevi
portarmi a mangiare qui- disse poi lei, tormentando la borsetta.
-Sì
che dovevo.
Mica si compiono tutti i giorni diciassette anni- sorrise sornione.
-Anche
questo è
molto bello-
Francesca
allungò
la mano sul tavolo: all’anulare ora era infilato un piccolo
cerchietto d’oro
bianco.
-Eh
beh... volevo
farti un bel regalo-
-Grazie-
si fece
strafottente e aggiunse –stupido. Non hai i soldi per pagare-
-Anche
se fosse? Ce
ne andiamo via prima- le fece l’occhiolino, mettendo le mani
dietro la nuca.
Francesca
si arrese
e spostò gli occhi azzurri sulla bambina.
-Buona
sera- le
sorrise aggiustandole le coperte. Lui la osservò; era
bellissima quella sera ed
era bellissima con quel sorriso dolce addosso. Ma era bellissima anche
con il
suo sorriso strafottente sulle labbra.
Un
cameriere passò
oltre il loro tavolo e gli occhi di Emanuela subito scattarono a
catturare il
movimento. La biondina abbassò la voce e disse
-Caspita,
già ti
piace quello lì?- si girò per guardarlo
–Mah... non mi ispira. Meglio l’altro-
La
prese in
braccio, permettendole di guardare il ragazzo.
Davide
chinò la
testa da un lato e la guardò attento.
-Amore-
disse con
un gran sorriso.
-Che?-
domandò
Francesca guardandolo.
-No,
mica a te
dicevo... dicevo alla bimba. Altrimenti avrei detto ragazzina-
-Ah
sì? Bello
st****o!- fece.
L’attimo
dopo però
si fece scappare un sorriso che la tradì.
Andava
a scuola regolarmente, un po’ più stanca forse, ma
Davide era sempre pronto ad
aiutarla se qualcosa non andava. Poi lei era bravissima, non aveva
problemi con
lo studio. E trovava anche il tempo di uscire con le sue amiche.
Davide
invece aveva terminato il corso; aveva fatto domanda per essere preso a
lavorare in un’azienda, ma ancora non aveva ottenuto
risposta. Nel frattempo si
era trovato un lavoretto part-time. Anche se non era il massimo non
poteva
continuare a vivere di rendita. Damiano pagava di tanto in tanto
qualche spesa,
ma non gli piaceva dovere essere dipendente da lui.
Francesca
non lo capiva, diceva che non doveva preoccuparsi, che ci avrebbe
pensato
Damiano. Ma a Davide non piaceva l’idea di fare da parassita;
soprattutto con
lui poi.
Francesca
ormai diciassettenne aveva smaltito il 50% della pancia accumulata
durante la
gravidanza. La biondina non era mai stata una dal fisico robusto, anzi
il suo
corpo era sempre stato esile, e non esitò a ritornare
più o meno alla forma
originaria. Così aveva ricominciato a guardarsi allo
specchio, non più a
disagio nell’incontrare le persone, e ad indossare quegli
abiti attraenti che
indossano le ragazzine.
Stupita
e imbarazzata aveva ricevuto tantissimi complimenti, più o
meno educati e
graditi, da molti ragazzi del liceo. Lei non si era mai considerata
come bella,
semplicemente passabile e modesta non sfoggiava gli attributi; essi,
aveva
imparato però, potevano essere una notevole e utile arma, a
volte.
Non
aveva più rivisto Bruno, e non le importava nulla. Elena non
esisteva ormai:
surclassata in tutto, a scuola come nell’amore, questo la
faceva stare bene,
sentire al sicuro e serena.
Cresceva,
e stava diventando una donna fantastica.
Soltanto
che aveva ancora una cosa da prendersi, una cosa che desiderava
tantissimo. Una
cosa per cui sarebbe valsa la pena faticare molto. E aspettare con
pazienza. Ma
sapeva che una volta arrivata, sarebbe stata la sensazione
più bella di tutte.
Le
mancava ancora qualcosa per essere felice.
Davide
era seduto apprensivo sul divano, le braccia abbandonate fra le gambe
allargate, gli occhi fissi sullo schermo. La sua squadra stava
perdendo, (tanto
per cambiare, si disse) ma lui non aveva per questo abbandonato le
speranze.
Francesca lo osservava mentre teneva in braccio Emanuela, da lontano.
Non si
capacitava di come si potesse seguire una partita di calcio sapendo
già il
risultato. Insomma, la sua squadra perdeva sempre, ad ogni
stramaledetta
partita, e non capiva perché lui si ostinasse a soffrire.
Si
avvicinò al divano, sempre tenendo in braccio la bambina.
-Ti
va di uscire stasera?- domandò.
-No-
Non
aveva nemmeno staccato gli occhi dallo schermo, tutto concentrato.
-Allora
la mantieni tu Emanuela mentre io esco?-
-Sì-
Non
desiderava altro che essere lasciato in pace e guardare la partita.
Il
commentatore parlò con voce esaltata quando un avversario
cadde proprio nel
mezzo dell’area di rigore.
-Intervento
al limite dell’area... attenzione, l’arbitro si
avvicina... e indica il
dischetto! Calcio di rigore a mezz’ora dalla fine!-
Davide
alzò un braccio, dicendo una parolaccia grossa. Per nulla
sbalordita, Francesca
si avvicinò di più. Il replay
dell’azione parlava chiaro.
-Non
per dire, eh... ma quello era rigore sacrosanto- commentò.
-Ma
che vuoi capirne tu?- ribatté irritato.
Un
attimo dopo il portiere mancò la parata e
l’avversario segnò il rigore. Seguito
da un’altra parolaccia.
-Capirai,
con un portiere come quello...- disse strafottente.
-Senti,
okay, la tengo io Emanuela, basta che ti levi dalle scatole!-
Allungò
le braccia per prendere la bimba e imbronciato si risedette sul divano.
La
partita era così deprimente, che a guardarla veniva la
disperazione. La
biondina tirò uno schiaffo sulla nuca al ragazzo.
-Imbecille!
Invece di perdere tempo così perché non prepari
la cena?-
Una
nuova parolaccia gli morì in gola e sorrise forzatamente.
-Vai
amore, esci...-
Irritata
per essere stata presa in giro lei gli menò un nuovo pugno
sulla schiena e poi
uscì a testa alta, orgogliosa.
Davide
scosse la testa, massaggiandosi la spalla colpita. Prese in braccio la
bambina,
tornando a guardare la partita. Lei fissava impotente il
papà, che a sua volta
era tutto concentrato sullo schermo. Una delle mani di Davide cadeva
proprio
accanto a quelle di Emanuela. Lei attirata dal movimento delle dita
allungò le
piccole braccia. Afferrò un dito nel pugno e lo strinse
più forte che poteva.
Il ragazzo si distrasse per un attimo e osservò la bambina
che si dilettava a
stringere il suo dito; le sorrise e lei di riflesso stirò le
labbra in un
sorriso stranissimo. Allora il ragazzo rise.
Ma
guarda tu. Riusciva perfino a farle dimenticare che la sua squadra
stava
perdendo.
Francesca
ritornò molto più tardi, e silenziosa
avanzò nell’appartamento. Trovò i due
nel
letto.
Davide
dormiva da parecchio probabilmente, ed Emanuela era messa accanto a
lui, sul
materasso in mezzo al suo corpo e ad un cuscino rovesciato. Lei era
sveglia,
con gli occhi aperti osservava il papà che dormiva e agitava
le mani troppo piccole.
Intenerita,
la bionda dimenticò che era arrabbiata con lui e ancora
vestita, si sdraiò sul
letto. Precisamente dietro al ragazzo, abbracciandolo.
Cominciò a baciarlo per
farlo svegliare.
Questo
non accadde, stranamente e solo dopo vari tentativi, dopo che si fu
strusciava
lasciva sul suo corpo, dopo che l’ebbe chiamato in tutti i
vari modi possibili,
si rassegnò.
O
non voleva parlarle ed era ancora arrabbiato per la storia della
partita,
oppure sul serio era così stanco da non volersi svegliare.
Preferì
pensare che fosse la seconda opzione, così si
spogliò e si addormentò accanto a
lui.
La
mattina dopo il ragazzo aprì gli occhi. Si trovò
intrappolato da dietro, dalle
braccia di Francesca, e sul davanti aveva la bambina addormentata.
L’avevano
fregato.
Si
mosse per far svegliare la ragazzina.
La
bionda aprì gli occhi assonnata.
-Svegliati-
le disse lui.
Era
ancora un po’ irritato per la storia dell’altra
sera. Dopotutto, non bastava
che la sua squadra perdesse da sola, ci si metteva anche lei a sfottere!
La
ragazzina nascose il viso contro la sua schiena, mormorando parole
stanche.
-Ti
sposti? Ho caldo- fece Davide, cercando di divincolarsi.
Lei
per tutta risposta si allacciò di più a lui,
baciandogli un punto sotto
l’orecchio
-Sei
ancora arrabbiato?- domandò strafottente, ma si
curò di mascherare quel tono
sotto uno languido.
-Sì.
Non dovevi dirlo-
Non
era veramente così arrabbiato, in fondo era una sciocchezza,
ma ci teneva ad
essere un po’ orgoglioso, visto che la ragazzina aveva sempre
la meglio fra
loro due.
Eppure
anche lui sapeva che sfidandola, sarebbe stato certamente umiliato.
-Tanto
non ce la farai mai a rimanere arrabbiato- lo stuzzicò,
conoscendo bene le sue
debolezze. Con un gomito si alzò in modo da arrivare a
sovrastarlo. Per risposta
il ragazzo si voltò su un fianco.
-Chi
te lo dice? Invece sì-
Nemmeno
lui era troppo convinto di ciò che aveva detto.
Francesca
sorrise, accettando la sfida e proseguì
-Invece
no. So benissimo che non ce la farai mai-
-E
come farai?- in realtà non vedeva l’ora di essere
sottomesso e comandato. Per
quanto ci tenesse al suo orgoglio, desiderava ancora di più
essere umiliato, purché
a farlo fosse lei.
La
ragazzina intrecciò le loro gambe e soffiò al suo
orecchio
-Forse
dicendoti che sono nuda-
Davide
arrossì. Ecco, porca miseria, non era durato nemmeno cinque
minuti. Si impose
di non cedere, di resistere e di allontanare quei pensieri che al
momento meno
opportuno lo assalivano.
Come
se ciò non bastasse, a conferma delle sue parole Francesca
infilò una mano
sotto la sua maglietta. Gliela alzò scherzosa, maliziosa e
desiderosa di
vincere. Poi afferrò la sua mano e la portò sul
suo corpo. A quel punto stette
in attesa della sua reazione, totalmente padrona del gioco.
Davide
deglutì. Non se n’era mica accorto, ma era davvero
nuda. La sua mano era stata
sapientemente poggiata su una sua gamba, e invitata ad accarezzarla.
Non
voleva cedere, ma non voleva che smettesse. Era tra due fuochi.
-Amore...-
L’
unico scopo della ragazza era quello di umiliarlo, perciò
non esitò a sfoderare
tutte le armi a sua disposizione. Pronunciò quella parola al
suo orecchio con
artificiosa voce languida, ansimante ed eccitata.
Lui
capì che non aveva via di scampo e che stava per cedere da
un momento
all’altro. I suoi baci traditori sulla nuca gli impedivano di
trovare una via
d’uscita. Fortunatamente all’ultimo
l’occhio gli cadde sull’orologio.
-Guarda
che è tardi- iniziò, trionfante per non aver
ceduto –farai tardi a scuola se
non ti muovi-
Francesca
si stupì che lui fosse riuscito a trovare un minimo di
lucidità, e lo sentì
distintamente ghignare di soddisfazione. Ma non l’avrebbe mai
battuta.
-Ma
oggi è domenica...-
Sconfitto.
Era stato battuto su tutta la linea.
Irritato
si imbronciò mentre lei rideva di gusto.
-‘Fa****o,
sei una fo******ima st****a!-
Aveva
vinto lei, un’altra volta.
Il prossimo capitolo
sarà il penultimo; ne mancano solo due, insomma.
Grazie mille a chi legge,
ai preferiti, a chi segue la storia e recensisce.
FeFeRoNzA: caspita che
analisi profonda che ci hai trovato. Mille grazie per i complimenti.
Valentina78: che brava in
tre righi mi hai detto tutto senza esagerare o perderti in digressioni.
Grazie.
Nells: Buonasera a te.
Ovvio che una recensione in più mi fa piacere, anche
perchè come ho già detto ricevere varie
recensioni è bello perchè ognuna di voi
interpreta le situazioni a suo modo, ci vede cose diverse, e mi fa
piacere sentire tanti pareri diversi. Eh beh, non può mica
durare per sempre 'sta storia.
vero15star: l'essere
sincera sempre e comunque ti fa molto onore ed è una buona
qualità, direi. Sono molto, molto felice che Francesca
all'inizio ti fosse antipatica ma poi col passare del tempo tu abbia
cominciato ad apprezzare anche i pregi della sua
personalità. In effetti penso che sia lei la vera
protagonista della storia. Sono contento anche del fatto che Francesca
ti sembri una persona reale. è importante che i personaggi
non risultino troppo finti e costruiti. Se tu sei più o meno
uguale a Francesca, stà sicura che lo trovi il tuo Davide.
Forse non subito, però...
Emily Doyle: mi sto
scervellando su come possa essere un diminuitivo di Cassiopea. Beh, tua
figlia avrà un nome che certamente non si dimentica! Grazie
per la recensione, e beh, potresti farti pagare come baby-sitter, no?
Marty McGonagall:
Buonasera, Martina. Oh sì, lo so che sei estremamente
'smielosa'. A dir la verità, Juno non l'ho visto, ma ne ho
letto parecchi articoli sul giornale e mi sono fatto un'idea della
trama. No, non ho mai pensato che Francesca avrebbe 'venduto'
Emanuela, per lei era o aborto o parto. senza mezzi termini...
Grazie dei complimenti.
Maghetta25: ciao a te.
Grazie dei complimenti e apprezzo particolarmente che tu dica che
l'intreccio è verosimile. Ti ringrazio.
Devilgirl89: abbiamo
già appurato che entro cinque anni diventerai mamma di due
gemelli... ma a condizione che tu partorisca a San Giovanni.
Così almeno ti posso venire a trovare! Vabbè...
Fiero di aver interpretato bene lo strano e complicato universo
femminile. Ps: ehm, no, non credo sia ancora assolutamente tempo per
'Emanuela'...
GinTB: grazie dei
complimenti, non so se l'ho scritto meglio degli altri, ma se lo dici
tu sarà vero.
bribry85: il parto lungo
e doloroso ci voleva per Francesca. Insomma, non può mica
essere tutto così facile?
Jiuliet: eh
già, sono testoni. Okay, su due nomi non ne ho azzeccato
manco uno.. e va bé, la figlia è di Francesca.
Figurati non ti preoccupare del ritardo anzi, grazie mille.
_Laura_: ciao Laura. In
effetti è così complicata ed è
difficile descriverla. spero di esserci riuscito bene, è
importante per me. Grazie per la recensione.
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
21
Il
libro sulla gravidanza era aperto e poggiato sul lavandino, in modo che
ci si
potesse leggere sopra. Francesca era seduta sul bordo della vasca,
indossando
solo un misero accappatoio bianco e morbido. Le gambe tornite e ora
liscissime
facevano bella mostra, scoperte fino al fianco. Era trascorso
più di un mese
dalla nascita di Emanuela, era novembre. Lei si trovava nel bagno,
rinchiusa lì
dentro da più di un’ora. I punti di sutura
applicateli dopo l’intervento erano
ormai chiusi e, si sperava, riparati. Per la prima volta da sei mesi,
la
biondina si alzò in piedi e si guardò nello
specchio del bagno, a lungo e con
attenzione.
Sorrise
compiaciuta.
Sotto
l’accappatoio troppo largo le sue forme facevano mostra,
catturando l’occhio
con voluttà. I capelli biondi, dopo un pomeriggio passato
dal parrucchiere,
erano belli, lucenti e non più stepposi, pieni di doppie
punte. Lentamente si
azzardò a sciogliere la cintura dell’accappatoio.
Le prime volte le faceva
quasi impressione guardarsi, non riconoscersi in una taglia non sua,
con quei
fianchi enormi, la pancia rigonfia e dalla quale pendevano brandelli di
pelle.
Ma ora, sottoposta ad una ferrea dieta, e al suo metabolismo abituale,
la curva
morbida dell’anca saliva più su senza vergogna, in
perfetta armonia con la
pancia. Il ventre non era piattissimo, naturalmente, ma non
più gonfio e
sproporzionato al resto del corpo. Un paio di onde lo increspavano, ma
onde
normali e non anomale, irreparabili.
Aveva
un fisico normale, né magro né grasso.
I
suoi occhi azzurrissimi si posarono più su. Ecco, quella era
la parte di sé che
le piaceva di più in quel momento, insieme agli occhi. Il
suo seno era alto,
pieno e turgido, aiutato dalla bambina e dall’allattamento e
da tutta quella
roba lì. Ciò che le importava era che era
desiderabile, finalmente.
Essendo
magra, piuttosto snella, non aveva mai avuto un seno prosperoso. Ed
ecco che
miracolosamente, assieme al grasso accumulato sui fianchi, ora ben
torniti e
ampi, faceva capolino un petto più florido e consistente.
Allora tanto valeva
prenderlo, qualche chilo, se poi quelli erano i risultati.
Sapeva
che era una sciocca a pensare quello, così
arrossì e si coprì, come se si
vergognasse di quei pensieri così poco da lei. Si
avvicinò al lavandino con
l’intento di sfoltirsi le bionde sopracciglia, e nel
frattempo gettò l’occhio
sulle pagine del libro.
In
particolare un paragrafo catturò il suo interesse.
Metodi
naturali.
Lesse
qualche riga, tanto per vedere. La loro vita, diciamo, di coppia non
era certo
il top dell’entusiasmo. Francesca ci aveva pensato tanto,
tantissimo, ma non
aveva osato dirgli nulla. A parte quella timida proposta avanzata la
sera, su
un divano mentre lui guardava la partita, non si era spinta oltre.
Incominciava
a credere che il ragazzo non volesse affatto spingersi oltre, per
nulla; il che
era deprimente. Dopotutto, che facevano se non uscire la sera, mangiare
a casa,
andare lei a scuola e lui al suo corso e al lavoretto part-time? Non
era il
massimo.
L’apice
lo raggiungevano la sera, quando a volte, rarissime e brevi, si
concedevano una
mezz’ora a stare nel letto. E non era nemmeno questo il
massimo.
D’altra
parte non è che avessero tutto quel tempo libero: la scuola,
la bimba, i
compiti, uscire con le amiche non davano spazio ad altro.
Però
lei, da quando si era scoperta attratta da lui, non vedeva
l’ora di farci
l’amore.
C’erano
varie ed eventuali complicazioni che si aggiungevano a quelle elencate
sopra.
In
primis il sospetto che Davide non avesse l’intenzione di fare
quel passo
avanti; la cosa un po’ la innervosiva, ma non osava farglielo
presente. La
innervosiva perché se pensava alla facilità con
cui l’aveva fatto da ubriaco,
senza conoscerla, non si capacitava di che ci trovasse di difficile ora
che era
la sua ragazza.
Per
secondo forse era inibito dal fatto che lei era stata fisicamente
provata.
Preferiva pensare che stesse aspettando il momento adatto.
Ecco,
magari ci voleva una situazione un po’ più
eccitante. Cosa che certamente non
sarebbe mai avvenuta.
Il
libro era interessante, pensò Francesca, afferrandolo e
sfogliandone le pagine,
e quell’argomento sembrava fatto apposta per lei.
Stette
per una buona mezz’ora a leggere, capire e riflettere. Alla
fine era
soddisfatta. Ghignò maliziosa, poi chiuse il libro. Le era
venuta in mente
un’idea ed eccitata scivolò giù dal
bordo della vasca.
Davide
si trovava con enorme disappunto a casa di sua madre, che aveva
insistito per
fargli carico di una marea di vestiti per Emanuela. Così
calzini, magliette,
scarpe che non sarebbero bastate nemmeno a vestire due dita del
ragazzo, body,
cappellini, giubbotti.
Miriam,
del tutto dimentica dei compiti, si era affacciata alla porta e
controllava la
selezione degli abiti.
-Ma
sei pazza? Pensi veramente che Francesca lascerà che si
metta questo?- chiese
con tono scandalizzato la ragazza, prendendo tra le mani un vestito che
la
mamma aveva infilato nella cassa da far portare al figlio.
Lo
girò fra le dita, esaminandolo alla luce del lampadario.
-Beh
perché? Cos’ha che non va?- domandò sua
madre.
-Allora...
per prima cosa è un vestito da maschio-
-Non
è vero!-
-Ma
sì! C’è ricamato Rosario sul lato...-
E
le mostrò il lembo del vestito celeste.
-Ah
è vero! Che scema, scusami, scusami Davide!- sua madre
imbarazzata lo ripiegò e
lo mise a posto nell’armadio.
Davide
stava appoggiato allo stipite della porta, con aria seccata e annoiata,
sbadigliando di tanto in tanto. Che noia, si ripeteva.
Per
lui un vestito valeva l’altro, tanto poi era sempre Francesca
che vestiva la bambina.
Paola le aveva regalato un bel vestito, tutto bianco e sapientemente
ornato,
nuovissimo ed era certo che la bionda preferisse quello.
Il
ragazzo non si capacitava invece di come la madre potesse conservare
ancora
vestiti di vent’anni fa, tutti in perfetto ordine e come
nuovi.
-Questo
no, ti prego!-
-Perché
no? Era tuo e c’è una foto che sei un amore-
ribatté la donna, dispiegando il
tessuto.
-Lo
so benissimo- arrossì Miriam -infatti è per
questo che ti dico di no. è osceno
per gli occhi!-
Le
due discutevano su un vestito estivo. Il fondo era bianco, con dei pois
rossi
belli grandi.
A
lui non faceva né caldo né freddo,
così si limitò a osservarle indifferente,
pregando che la tortura finisse.
-Facciamo
decidere a lui!- disse ad un certo punto sua madre.
Davide
alzò all’improvviso lo sguardo, confuso e
spiazzato, chiamato in causa.
-Che
ne dici di questo? Non è bello?-
Lui
guardò il vestito a pois rossi, del tutto incerto su cosa
dire. Poi intercettò
da dietro sua sorella che scuoteva la testa e si infilava per finta due
dita in
bocca, simulando vomito.
Fidandosi
molto di più di Miriam, del suo buon gusto che si
rispecchiava anche
nell’arredamento di casa sua, lui fece una smorfia.
-Veramente
a me non è che tanto piace, ma’...- si
limitò a dire evasivo, alzando le
spalle.
-Ecco
vedi che nemmeno a lui piace?-
Miriam
lo strappò dalle mani della madre e lo gettò
nell’armadio.
-Quella
fotografia sarà sempre il mio incubo! Come quella dove siamo
io e Rosario nudi
come vermi!-
-Tu
avevi un anno e lui quattro! Eravate bellissimi!- obiettò la
donna.
Davide
sbuffò lentamente, chiudendo gli occhi e abbandonando il
capo contro lo
stipite; quelle due non avrebbero smesso tanto presto, evidentemente.
Pensò con
nostalgia al divano di casa sua, alla sua bella bambina e al programma
per
quella sera.
Sarebbero
usciti tutti e tre a farsi un giro, col passeggino e tutto, come se
fossero una
vera famiglia.
Lui
sorrise a quel pensiero e desiderò trovarsi già a
casa.
Dopo
molti abiti, scartati o approvati caldamente, dopo che mamma e figlia
si furono
messe d’accordo, dopo che erano passate le otto di sera, dopo
che Davide si era
stufato di starle a sentire parlare di sciocchi vestiti per bambini, il
ragazzo
si trovava a salire le scale del suo palazzo, aggravato dal peso di uno
scatolone
stracolmo.
Arrivato
finalmente al terzo piano e aperta non con poche difficoltà
la porta, posò lo
scatolone sul divano.
Esausto
chiuse la porta e si tolse il giubbino.
Marciò
peggio di uno zombie verso la camera da letto e si gettò a
peso morto sul
materasso, che sobbalzò per il colpo.
Non
gli andava più di uscire, e pregò tanto di
trovare Francesca in stato di
grazia. Chissà, magari le era andata particolarmente bene
qualche
interrogazione, o aveva perso uno o due chili, insomma sperò
in qualcosa che la
tenesse di umore abbastanza felice.
-Fra?-
la chiamò, stupito di non averla vista.
-Qua
sto- gli rispose una voce dalla cucina, e un rumore di passi attutito
dal
pavimento suggerì al ragazzo che si stava avvicinando,
scalza però.
Emanuela
piangeva, ma evidentemente la ragazzina era riuscita a placare i suoi
singhiozzi perché non erano molto forti, come un pianto
convulso.
-Perché
piange?- domandò totalmente apatico lui.
Lei
fece una piccola risata.
-Perché
stavo facendo il caffè, e me lo sono dimenticato. Allora ha
iniziato a
fischiare, lei stava in cucina e si è spaventata. Non sai
che ci è voluto per
farla smettere di piangere-
Sentì
il rumore di un bacio che veniva dato sulla testa della bambina, e di
sbieco la
vide poggiarla dentro la culla.
Ottimo,
si disse, sembrava di umore abbastanza allegro.
Francesca,
una volta messa la bimba a dormire, ormai tranquilla, si
voltò verso di lui.
Si
morse un labbro e arrivò al bordo del letto.
-Stasera
non mi va di uscire, Davi-
Quello
fu meglio di un tonificante per il ragazzo, che sollevato
confessò
-Nemmeno
a me. Stavo per dirtelo io-
La
bionda sorrise, poi giocherellò incerta con la cintura
bianca dell’accappatoio
candido che indossava ancora.
Non
sapeva come cominciare.
Scosse
i capelli biondi e si mostrò sicura.
-Cosa
sono io?-
Sorrise
e gli tirò su con una mano la testa, in modo da poterlo
guardare in faccia.
Davide sorrise di rimando e si sedette sul letto, mezzo confuso.
Portandosi una
mano a scompigliare i capelli rispose
-Una
ragazzina- con un sorriso furbo.
Era
stato al gioco.
Con
artificiosa espressione innocente, in modo che si fidasse, Francesca
lentamente
gli si sedette in braccio. Gli diede un bacio leggero prima sulla
fronte, poi
sulle labbra.
-Cos’è
che ti piace di questa ragazzina?- sussurrò, apposta ingenua.
La
sua bocca sulla sua pelle era piacevole, si disse lui, e
lasciò che gli
baciasse il collo quanto voleva.
-Dai
rispondi- lo incitò ridendo un poco lei, riemergendo dalla
sua occupazione.
Non
volendo mutare il suo umore, lui ci pensò un momento,
leggermente confuso dal
lavoro della sua bocca.
-Beh,
non lo so...- cominciò incerto, chiudendo gli occhi quando
la ragazzina baciò
avidamente un punto preciso sotto il mento, succhiando.
-Per
esempio... i tuoi capelli...- sparò la prima cosa che gli
venne in mente,
accarezzandoglieli affettuoso.
Non
le bastava e lo morse scherzosa per farlo continuare.
-Ahio!
Ok, ok, d’accordo... allora ehm...- rise il ragazzo
–mi piace come ti imbronci-
Lei
si mangiò il sorriso e la battuta conseguente,
concentrandosi sulla sua guancia
che stava risalendo lenta. Smise di baciarlo, soffiandogli il suo
respiro caldo
sulla pelle. Le mani della ragazzina si infilarono sotto la maglia di
lui.
Salirono
su, curiose e non più tanto innocenti. Davide non pareva
essersi reso conto
delle sue attenzioni esplicite fino ad allora.
Pensò
che volesse semplicemente giocare, e le permise così di
spogliarlo della
maglietta.
Francesca
si allontanò dal suo volto, ma non prima di avergli
mormorato all’orecchio con
voce calda
-Continua-
I
baci della bionda si fecero più invitanti, più
studiati, più convinti così come
il tocco delle sue mani.
Davide
arrossì involontariamente, sentendosi sfiorare sulla schiena.
Quelli
non erano semplici baci. E non era la solita Francesca innocente.
-Mi
piace come sei- stavolta il ragazzo si lasciò trascinare ed
emise un sospiro
roco, caldo, eccitato.
Capendo
che poteva bastare lei si staccò di botto. Lo
invitò a guardarla negli occhi
azzurri, poi lo baciò sulla bocca.
Nel
frattempo le dita scorrevano nei suoi capelli castani, e lenta lei gli
si
allacciava di più. Non era la prima volta che assumeva
quella posa, ricordò
lui. Voleva qualcosa.
Francesca
si staccò per poggiarsi contro la sua fronte. Poteva sentire
il suo respiro
sufficientemente eccitato contro le proprie labbra; con mani che le
tremavano
andò a slacciarsi la cintura che teneva legato
l’accappatoio.
Davide
teneva gli occhi bassi, non ben consapevole di quello che stava
accadendo. Poi
ad un tratto la vide mentre si apriva quel semplice tessuto di spugna,
bianco,
rivelando cosa c’era sotto.
Gli
si seccò la gola e improvvisamente sentì
più caldo che mai. Ed erano a
novembre.
Involontariamente
la aiutò a spogliarsi con le proprie mani, facendo scivolare
l’accappatoio sul
lenzuolo.
Ed
ora le sue mani, curiose come lo erano state quelle della ragazza
prima, la
toccavano lungo la linea della colonna vertebrale, sulle spalle, sulla
schiena
e sulle gambe lisce.
Francesca
arrossì, mezza per vergogna, mezza per eccitazione. Ora non
solo si sentiva
insicura e impacciata, ma ebbe paura di non essere così
attraente come aveva
creduto. Niente di peggio se lui ora l’avesse spostata e
lasciata così.
Ma
Davide era di tutt’altro avviso: se la voglia che aveva di
lei era così grande
in quel momento, si stupì di come fosse riuscito a
trattenerla in quei mesi. Ma
ora, forse nel trovarsi quel corpo sbattuto davanti, corpo sul quale
aveva
dormito, sul quale si era divertito a fantasticare spesso, gli spiriti
bollenti
repressi erano resuscitati, più forti di prima.
L’accappatoio
finì per terra, e la bionda si trovò
completamente nuda, nuda sotto i suoi
occhi attenti e avidi. Lei tremava sia per il freddo che per i brividi
causati dalle
sue mani.
Davide
smise di pensare e ruppe gli indugi. La abbracciò dalla
vita, attirandola a sé,
e prese a baciarla sulla bocca. Lei sospirò, inarcandosi con
la schiena.
Che
bello finalmente sentirlo sulla sua pelle, senza più alcun
vincolo a frenarli,
liberi di amarsi nella maniera più naturale, pura e profonda.
Le
lenzuola furono avvolte attorno ai loro corpi rovesciati sul letto.
Lui
si inginocchiò, stando sopra a sovrastarla;
allungò una mano verso
l’interruttore, spegnendo la luce, facendo calare il buio
nella stanza, e pregò
che Emanuela non decidesse di svegliarsi proprio in quel momento.
Istintivamente,
timida e inesperta, lei chiuse le gambe.
Davide
si chinò e iniziò a baciarle il ginocchio, e
lentamente, con movimenti leggeri
per non forzarla insinuò una mano nel mezzo. Ubbidiente,
facendosi per una
volta comandare da lui la ragazzina le schiuse. I suoi baci scivolarono
mano a
mano più giù, coraggiosi, e lei incerta lo
lasciava fare. Sentì arrossarsi di
più le guance e il desiderio crescere, crescere ancora, e
non ce la faceva più
ad aspettare, così gli prese con una mano la testa per
guardarlo negli occhi, prima
di dire
-Prendimi.
Adesso-
Nudo
anche Davide tornò su, sorreggendosi sulle braccia forti, e
scambiandosi uno
sguardo carico di eccitazione con lei la baciò.
Un
gemito non represso uscì dalle labbra di lei, accompagnato
dalle palpebre
serrate e il corpo irrigidito. Tremò insicura, sentendosi
spaccata e respirò
veloce.
Era
tesa, agitata e lui lo notò. Con quanta più
dolcezza poteva tentò di
tranquillizzarla, ricominciando a baciarla.
La
testa gli si riempiva di sensazioni nuove, emozioni da far spaccare
l’anima, e
non voleva far altro che assecondarle. Le domandò se andava
tutto bene.
Francesca
chiuse gli occhi, poi si strinse più forte al suo corpo,
avvolgendosi a lui.
Era dentro di lei ed era la cosa più bella del mondo.
Stava
vivendo l’emozione più bella della sua vita, e
l’unico con cui volesse
condividerla era lui.
Non
sapeva tanto bene come fare, ma tutto le sembrò
così naturale, come se avesse
sempre saputo farlo. Ed era bellissimo.
Davide
le insegnava a muoversi, facendolo piano e stando attento che non si
facesse
male.
-Ah...-
Il
sospiro voluttuoso di Francesca fece eco ad un gemito convinto del
ragazzo, e
le sue unghie graffiarono senza cattiveria le sue spalle.
Arrivò
un punto che entrambi non capirono più né dove
fossero, né chi fossero, né
perché lo stessero facendo, tale era il trasporto che li
animava.
Il
delirio annebbiava le loro menti, impedendogli di formulare qualsiasi
sciocco
pensiero, impegnati solo a volerne ancora, ancora e ancora, ingordi e a
non
volersi fermare più.
Lei
arrovesciò la testa all’indietro, stringendo le
mani attorno alle lenzuola,
ansimando.
Ecco,
era così che doveva essere; senza pensare, senza sapere,
senza domandare. Stava
davvero facendo l’amore.
Davide
si muoveva dentro di lei, la sentiva, si sentiva una sola cosa con lei.
Non
sapeva dove finisse l’uno e iniziasse l’altra.
Quando
tutto il turbine di sensazioni divenne talmente forte e travolgente da
non
poterlo sostenere, era ormai tardi per provare dolore o rimorsi.
Davide
era Francesca e Francesca era Davide.
Non
c’era nient’altro intorno a loro.
Una
mano attraversò sicura le lenzuola, andando a raggiungerne
un’altra. Con garbo
si allacciò a questa. La mano era piccola, chiara, con le
unghie ben curate,
rivestite dallo smalto trasparente, perlaceo.
L’altra
era più grande, la ricopriva e senza sforzo, le lunghe dita
affusolate
intrecciate con quelle più femminili, forte nella presa e al
tempo stesso
gentile.
Davide
era steso a pancia in giù, il corpo aggrovigliato con le
lenzuola, e gli occhi
che minacciavano di chiudersi definitivamente da un momento
all’altro.
Francesca si era voltata verso di lui, anche lei stanca, assonnata.
Nell’aria
aleggiava uno strano silenzio, stanco, intimo.
Il
silenzio di chi non ha nulla da dirsi e si capisce con
un’occhiata; il silenzio
timido di chi non vuole disturbare l’altro, per paura di
seccarlo e perdere
quella complicità tanto faticosamente costruita.
La
biondina sorrise dolcissima, abbracciando il ragazzo e gli diede un
bacio sulla
testa.
-Credo
che ti sei meritato di dormire, stavolta- disse cingendogli il corpo
con le
braccia, sul viso un’espressione che lui paragonò
a quella che aveva mostrato
la prima volta che aveva visto Emanuela.
E
forse quella volta era nei suoi pensieri al primo posto, il che gli
procurò un
certo compiacimento. Stavolta fu lei ad addormentarsi
all’istante.
Guardarla
dormire dava una sensazione di tranquillità, di affetto, di
intimità; Davide
non sapeva come spiegarlo, ma era come se ora il loro rapporto si
basasse
veramente su un legame intimo, profondo, oltre il sesso.
Era
così spossato, stanco come se avesse corso chilometri e
chilometri, o
combattuto strenuamente fino a che non si fosse consumata
l’ultima goccia di
sangue. Era quella stanchezza piacevole, che ti induce a dormire
all’istante,
dormire però beato e felice per aver compiuto il tuo dovere.
In questo caso era
felice, felice di quell’amore che aveva diviso con lei.
Quel
momento non poteva essere meglio di così: era perfetto,
entrambi in silenzio,
addormentati insieme, nudi, stanchi e senza bisogno di dir nulla si
capivano
perfettamente.
Lui
si svegliò ad un certo punto della notte, imprecisato ma era
abbastanza sicuro
che fosse ancora molto presto.
Gli
venne un’improvvisa voglia e si alzò in piedi.
Emanuela dormiva ancora nella
culla.
Forse
Francesca aveva ragione a dire che quella bimba dormiva troppo.
Chissà da chi
aveva preso?
In
ogni caso lui, stando bene attento di non farla svegliare,
perché dormiva così
bella e gli sembrava un peccato, se la caricò sulle braccia.
Lei
storse un poco il naso, ma non si svegliò. Davide si
infilò di nuovo sotto le
lenzuola, riscaldate dai loro corpi e nascondiglio perfetto dove si
erano amati,
poggiando la bambina sul materasso.
Così
Emanuela aveva a destra la mamma, che dormiva tranquilla e
indisturbata, e a
sinistra il papà, sveglio che si era incantato di guardarla.
Davide
ricoprì i loro corpi con le lenzuola, per non farle sentire
freddo, e poggiato
su un gomito si chinò sulla bambina.
Poverina,
sorrise; magari era stata spettatrice imbarazzata della loro
performance di
prima. Anche se così fosse stato, era da apprezzare che non
avesse fiatato per
nulla. Affettuoso le diede un bacio leggerissimo, non come quelli che
dava a
Francesca, che nemmeno si sentiva. Era davvero una bambina bellissima.
Ora che
erano passate un po’ di settimane, un paio di mesi quasi, due
occhi azzurri
come zaffiri avevano fatto mostra di sé. Era tutta paffuta,
rotonda a
cominciare dal pancino e le braccia, i pugni ora stretti e abbandonati
ai lati
della testa. Non sapeva che quel pomeriggio era stata causa di uno
scontro fra
madre e figlia e della seccatura del padre.
Lui
non seppe mai per quanto tempo stette così, a guardarla
dormire in silenzio, ma
ad un certo punto lei schiuse piano un occhio.
Poi
l’altro e Davide sorrise.
-Ciao
amore- disse, piano per non svegliare Francesca.
Diede
un altro bacio sulla fronte di Emanuela, e uno sulla guancia. Sorrise e
le prese
in bocca, fra le labbra, le dita della mano per farla ridere.
Lei
vedendo il papà sorridere allegro, contagiata fece un
sorriso senza denti.
Bellissimo peraltro.
Ore,
minuti e secondi dopo, quando la luce del sole cominciava ad entrare
dalla
serranda della camera, Francesca mosse un braccio.
Rischiò
di andare a colpire la bambina ma per fortuna Davide le prese la mano,
conducendola fuori portata. Dopo un sonoro sbadiglio si
stiracchiò e voltò il
capo verso sinistra. Con gli occhi chiusi sorrise al ragazzo.
Si
protese oltre la bambina per baciarlo sulla bocca,
i capelli che arruffati dalla dormita le
stavano cespugliosi in disordine.
-Ti
amo- disse staccandosi.
Il
ragazzo si affrettò a ricambiare il bacio.
-Anche
io se è per questo-
Trasformò
il semplice bacio sulle labbra in qualcosa di più,
scompigliandole i capelli
biondi più di quanto non lo fossero già.
Soddisfatta lei si allontanò,
sdraiandosi nuovamente sul materasso e abbracciando Emanuela. La bimba
probabilmente aveva fame, e per evitare che scoppiasse a piangere e
rovinasse
la quiete che sonnacchiosa si era stanziata nella stanza, la ragazzina
provvide
subito a farla mangiare.
Poteva
occuparsene sola, pensò lui e si stese a pancia in
giù, il volto contro il
cuscino ma girato per poterla osservare.
-Stanotte
è stato bellissimo- confessò ad un certo punto
lei, arrossendo e precipitandosi
a fissare la bambina.
Davide
sorrise scettico.
-Per
la cronaca era ieri sera. E poi lo so che non è vero...-
-Cosa
non è vero?-
-Che
veramente ti è piaciuto-
La
bionda si accigliò perplessa.
-E
perché non dovrebbe essermi piaciuto?-
Lui
riemerse stanco dal cuscino.
-Beh
non lo so... magari... magari eri abituata meglio- qui le rivolse un
sorriso
furbo e la ragazzina si allungò bruscamente per tirargli uno
schiaffo.
-Non
devi dirle nemmeno per scherzo queste cose...- disse seria, tornando ad
occuparsi della bambina.
Più
gentile e intenerito il ragazzo si avvicinò in modo da
poggiarle la testa sulla
spalla.
-Allora
veramente dicevi?- domandò modesto, sorridendo timido.
-Certo-
confermò lei senza guardarlo –quando ti dico una
cosa buona, è vera-
-Allora
per questo non me ne dici mai cose belle...- si schernì
sorridendo e baciandole
il collo.
Francesca
sorrise e quando Emanuela finì di bere la fece star seduta
sul materasso.
Davide
si rannicchiò contro di lei.
-Io
non mi alzo prima delle undici- decretò, chiudendo gli occhi.
Francesca,
tenendo ferma Emanuela che voleva girarsi, la tirò a
sé e pure si appoggiò a
lui.
-Io
sono fuori servizio fino all’anno prossimo-
A
quel punto la bimba aprì la piccola bocca in uno sbadiglio
colossale e sonoro.
La
bionda e il ragazzo, sentendola, risero.
-Beh-
commentò Davide –almeno siamo una famiglia unita-
Quelle
parole fecero sorridere Francesca in modo bellissimo.
-Sì
è vero-
Il prossimo sarà sicuramente l'ultimo capitolo, senza
dubbio.
Grazie ai preferiti, a quelli che seguono la storia e la recensiscono.
Urdi: dannazione, no. Mi
sono scordato di risponderti! Scusami tanto,
starò diventando cieco... sappi che non è stato
assolutamente un gesto intenzionale, anzi mi era piaciuta la tua scorsa
recensione. Caspita, mi sento un emerito
st****o. Mi dispiace, sul serio.
Dunque, ecco, riguardo la
recensione
precedente volevo dirti che sei stata brava a trovarmi una pecca, e
cioè che la scena non è molto originale
(ahimè) ma
che l'ho saputa descrivere. Grazie mille. Eh beh, abbiamo scoperto a
cosa pensava quella matta di Francesca. Argh, scusami ancora per
favore...
Devilgirl89: come
già detto,
non c'è alcun messaggio subliminale. Esattamente, se la tiro
troppo immagino che poi diventa noiosa.
vero15star: Francesca lo
prende in
giro semplicemente perchè... è Francesca! Non ti
devi
scusare se mi racconti qualcosa di te, niente affatto,
perchè se
lo fai probabilmente è perchè ti rivedi nella
storia,
credo... non è un male, perchè è
importante che la
storia risulti 'vera, reale' e non troppo costruita. Insomma, a farla
breve, ti ringrazio. Ancora una volta.
Emily Doyle: forse ora
sì, sono
diventati una vera famiglia, eh? Beh, era ora. Ma sai, secondo me se la
faccio andare avanti ancora poi è noiosa.
Vale 728: non
è mai troppo
tardi, Valentina. O Valeria? Il fatto che tu dica che la mia storia
sembra essere vera è per me motivo d'orgoglio.
Ciò che
volevo comunicare, insomma, come dire, il messaggio, è che
bisogna appunto prendersi le proprie responsabilità. Anche
se
è difficile. E loro due, Davide e Francesca, credo siano
cambiati mano a mano che la situazione cambiava.
"da tutta questa storia
hanno saputo maturare e anche migliorare il loro comportamento".
Esattamente, brava.
GinTB: oh, non vorrei mai
privarti di un'uscita per recensire la mia storia. Grazie.
lilly95lilly:
ti ha incuriosito
dal titolo? Caspita, il titolo sono le cose (e non dico di essere bravo
nel resto) in cui faccio pena. Grazie per avermi detto che è
una
storia scritta bene, ma ce ne sono tante altre molto migliori. Grazie
dei tuoi complimenti, molto graditi.
Nells: aha, che bella
l'espressione 'tra le sue due donne'. Grazie, ma forse non sono
così brillante.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
22
Due
anni dopo
Una
mano spostò dei capelli biondi da una fronte.
Francesca
era seduta su una sedia bassissima, tutta concentrata, e sulle gambe
teneva una
bambina. Emanuela teneva le mani della mamma fra le sue piccole, seduta
obbediente e si lasciava sistemare. Indossava un vestito che le
arrivava alle
ginocchia, con un motivo scozzese e una maglietta bianca sotto. Lo
scamiciato
lasciava scoperte le gambe, infilate in due collant blu e le scarpe,
nere.
La
ragazza stava sistemando, con un sorriso gentile, i capelli della bimba.
Quella
invano tentava di afferrarle le mani, ridendo sola dei suoi mancati
tentativi.
Emanuela
aveva sul capo tanti bei riccioli biondi, ora sapientemente pettinati
dalla
mamma, e di tanto in tanto diceva
-Mamma...-
-Che?-
domandava allora la ragazza.
-Papà-
-Ora
arriva-
Davide
era stato per due giorni fuori, assieme ai colleghi
dell’azienda che l’aveva
assunto, ad un congresso importante, a quanto pareva. Nei due giorni la
bambina
non aveva fatto altro che chiamarlo per casa, come se sperasse che si
fosse
solamente nascosto.
Lei
la stava preparando perché di lì a poco sarebbe
tornato, e voleva che la
trovasse bellissima. Più cresceva, più
assomigliava a lei e di questo Francesca
era tanto contenta. Guardando la bambina vedeva lei, anche se i capelli
ricciolini provenivano dalla famiglia del ragazzo.
Ad
un certo punto la serratura del portone scattò e si
sentì il rumore di un mazzo
di chiavi.
Subito
Emanuela se ne accorse e scivolò giù dalle gambe
della mamma.
-Papà!-
esclamò storpiando un po’ le parole.
Corse,
tutta contenta, verso il salotto ridendo e si precipitò
contro il ragazzo.
Lui,
di spalle perché stava chiudendo la porta non si accorse del
suo arrivo.
La
bimba si catapultò ridendo buffamente in mezzo alle sue
gambe.
Francesca
si affacciò sulla soglia della cucina sorridendo e
osservando la scena.
-Aiuto!
Attentato!- sorrise lui, girandosi e chinandosi per prenderla in
braccio.
Mentre
lei rideva contenta il ragazzo le diede un bacio sulla guancia,
sollevandola in
alto sulle braccia.
-Ciao
Manu!- le disse abbracciandola e dandole un sonoro bacio sulla testa.
Poi
la poggiò a terra e lei scappò via, con un gran
sorriso sulle piccole labbra.
Davide
prese in mano le valigie ma prima di poter arrivare a posarle in camera
da
letto venne placcato dall’altra bionda.
Francesca
si aggrappò al suo collo, baciandolo sulla bocca con impeto.
Lui nella fretta
di rispondere lasciò cadere per terra quello che aveva in
mano, per abbracciare
anche lei, e si affogò pur di non interrompere il contatto.
Poi si staccarono
ansimanti, e lei sorrise sulle sue labbra.
-Ti
sei tenuto in allenamento eh?-
Il
ragazzo sorrise a sua volta.
-Sì
ma pensavo lo stesso a te-
-Che
bugiardo-
Stavolta
si baciarono più dolcemente. Staccati solo da Emanuela che
fece forza fra le
loro gambe, minacciando di piangere.
-In
b’accio!- protestò e Francesca la
accontentò.
-Lo
sai... oggi le ho messo i calzini blu... allora lei si è
guardata i piedi, c’ha
pensato un momento e si è messa a piangere- sorrise baciando
la tempia della
bimba.
-Tutta
matta come la mamma- commentò lui, aprendo una valigia.
Francesca
poggiò sul letto la bambina, guardando attenta il ragazzo
che cercava qualcosa.
Emanuela disobbediente scivolò giù veloce e
uscì dalla stanza.
Quando
furono soli lei disse
-Allora?
Com’è Roma?-
Davide
si voltò, sorridendole furbo e complice stette al gioco.
-Bellissima.
Ma sai, per tutti e tre i giorni io non ho capito un cavolo di quello
che
dicevano-
-Questo
non mi sorprende- sorrise la bionda e si sedette in braccio a lui come
prima
aveva fatto Emanuela su di lei.
-Tipo,
loro dicevano ‘il bilancio è in rosso e dobbiamo
trovare nuovi
finanziamenti...’ e io sì, sì...-
mimò il gesto di assenso con la testa –oppure
‘Bisogna attuare una nuova strategia di marketing, sfruttando
il feedback
ottimo della campagna...’ e io sì, sì.
O anche ‘Stanotte non posso uscire a
cena con voi, devo andare a trovare la mia amante’ , e io
sì, sì-
La
bionda rise di gusto, tirandogli un pizzico.
-Che
cretino che sei. Razza di leccapiedi!-
-Però
sull’ultima ho dato la mia personale consulenza- disse lui,
sornione e apposta
provocante.
-Sarebbe?-
-Ho
consigliato il prodotto. C’era la segretaria
dell’hotel che era una cosa...
madonna...-
-A
letto com’era?- domandò apparentemente non turbata
lei.
-Eh
beh, fantastica. Ci siamo fatti una ripassata tutti quanti-
-Non
sembri propriamente soddisfatto-
-Si
bé, sai era una bionda. Io ne avrei preferito una mora-
Voleva
farla arrabbiare anche se sapeva che le conseguenze sarebbero state
devastanti.
-E
perché io come sono?- si indicò una ciocca di
capelli.
-Tu
non sei bionda. Tu sei castano scolorito, oppure biondo sporco-
Questo
parve offenderla più di qualsiasi altra cosa. Gli
tirò brusca uno schiaffo,
alzandosi immediatamente.
-Ma
vaf******o, va’! Vattene dalla segretaria!-
Indispettita
si alzò da lui, curandosi di tirargli un calcio e si
allontanò verso la cucina.
Sul viso aveva messo quel broncio seccato e incavolato di sempre.
Emanuela,
sentendo gridare la mamma, fece la sua comparsa sulla porta; Davide le
sorrise
colpevole e la invitò a venirle in braccio.
Lei
mormorò qualcosa di incomprensibile, tutta concentrata a
guardare la valigia
aperta sul letto.
-Cosa
hai detto?- domandò con una finta vociona il ragazzo,
alzandosi in piedi e
facendola rovesciare per metà a testa in giù.
Emanuela lanciò una risata
argentina, proprio da bimba e gridò di sorpresa.
Poi
Davide la mise diritta sul letto, inginocchiandosi in modo che fossero
alla
stessa altezza.
Notò
che ai piedi non aveva più le scarpe, così le
domandò, avvicinandosi al suo
viso
-E
le scarpe?-
-Non
c’è le scarpe- pronunciò tutta
contenta, sorridendo dello sguardo furbo del
papà.
Lui
si allontanò di botto, tenendola sempre
sott’occhio per farla ridere, e si
slacciò giacca e camicia.
Una
volta vestito più comodo, infilatesi le scarpe da tennis se
la issò sulle
spalle, tenendola per non farla cadere all’indietro.
Emanuela
rideva e diceva parole incomprensibili, valide solo per lei che le
pronunciava
e con le mani tentava di toccare gli architravi delle porte, senza
riuscirci.
-Manu
mi sa che l’abbiamo fatta arrabbiare alla mamma-
sussurrò sbirciando la cucina.
Francesca
tutta indaffarata armeggiava con pentole, barattoli e sacchi di pasta.
-Ha
deciso di cucinare. Aiuto- scambiò un’occhiata con
la bimba, rovesciandola e
mettendola giù. Lei subito corse dalla mamma e
tirò il jeans che indossava.
-Colori-
comandò, tirando più forte per convincerla.
La
bionda si alzò le maniche della maglietta e stanca la fece
sedere su una sedia.
-Sono
qui i colori amore- le indicò una serie di pastelli e matite
che erano sparse
sul tavolo, in aggiunta a vari fogli scarabocchiati.
-Evviva!-
esclamò con tale enfasi da far sorridere anche la ragazza,
che datole un bacio
sulla testa tornò ad occuparsi del pranzo.
Davide
la osservava con un mezzo sorriso sul volto, appoggiato allo stipite
della
porta, chiedendosi quale fosse il modo migliore per iniziare.
Avanzò
nella cucina, apparentemente ignorato da lei, che proseguì
nel fare da mangiare
come se nulla fosse.
Incerto
si sporse sul tavolo, per osservare la bambina prendere in mano un
pastello
tutto storto; poi concentrata come non mai Emanuela premette sul foglio
e
disegnò uno scarabocchio rosso, una linea discontinua che
svoltava bruscamente,
senza forma. Poi afferrò con la manina il ciuccio e se lo
mise in bocca
tenendolo fra i denti.
-I’
sole!- sorrise al papà, che girando il foglio non poteva
nemmeno con la più
fervida fantasia immaginare che quello fosse un sole. Comunque sorrise
alla
bambina, ridendo per la buffa faccia che aveva fatto.
Gettò
un’occhiata di sbieco a Francesca che non aveva detto una
parola, sperando di
cogliere almeno un abbozzo di sorriso. Se c’era, questo era
ben nascosto.
Francesca
non era più solo una bionda ragazzina. In quei due anni
erano cresciuti tutti,
ma lei ormai era una donna. Non tanto alta di statura, con un viso
bellissimo
in quel momento stanco, più affettuosa ed equilibrata in
quello che faceva, ma
sempre con quel ciuffo biondo che a volte le ricadeva sul davanti,
oscurandole
i bellissimi occhi azzurri.
Emanuela
doveva essere molto legata alla mamma; era sempre la ragazza che la
calmava se
piangeva, o che la vestiva. E quello, anche se ad un occhio esterno
poteva
sembrare una cosa indifferente e senza importanza, univa molto la mamma
con la
figlia.
Francesca
sceglieva con molta attenzione cosa far indossare alla bimba, e le
faceva
provare tanti vestiti; le domandava quale le piacesse di
più. Inoltre, a
differenza di Davide conosceva molto bene il suo linguaggio. Sapeva
così che
quei mezzi suoni pronunciati a bassa voce significavano qualcosa di ben
preciso.
Davide
faceva in genere mangiare la bambina, la portava a passeggio quando la
bionda
doveva studiare, la faceva ridere giocando con lei.
Lui
non sopportava di non parlarle, soprattutto dopo quei giorni in cui gli
era
mancata tantissimo.
-Fra?-
chiamò.
La
ragazza non si girò, indifferente.
-Francé?-
riprovò. Rinunciò all’orgoglio,
accettando di umiliarsi purché lei gli
concedesse un sorriso.
-Francesca?-
Si
alzò in piedi e le si avvicinò da dietro.
La
bionda non si voltò, imperterrita voleva vedere fin dove si
sarebbe spinto.
Voleva, come sempre, vincere lei.
-Amore?-
provò divertito, lasciandosi scappare una risata.
A
quel nome lei si girò di poco.
-Che
ca** vuoi?- domandò, irritata ma con un sorriso che tradiva
tutta la
messinscena.
Due
braccia forti la abbracciarono, senza stringerla ma avvolgendola e un
mento si
poggiò sulla sua testa.
Davide
cercò le sue mani per accarezzarle.
-Come
sei bella...-
Francesca
voltò la testa per impedirgli di darle un bacio, e
scansandosi sbuffò
scocciata.
-Lasciami-
intimò.
-Sei
arrabbiata?- domandò divertito lui.
-Sì,
e tanto-
Anche
se il suo tono era minaccioso e sembrava che non volesse essere
seccata, gli
permise di abbracciarla. Il ragazzo chiuse gli occhi e
lasciò che il suo
profumo lo inebriasse e che il proprio corpo godesse delle sue forme
armoniose.
-Quanto ti ha messo
matematica?- domandò,
ancora in estasi.
-Otto
e mezzo. Che poi tra l’altro non avevo sbagliato tutta
l’ultima, ho solo
sbagliato a fare l’ultimo passaggio- precisò
orgogliosa, impegnata a versare il
barattolo del sugo nella pentola.
-Genietta-
le disse all’orecchio, sorridendo.
-Smettila
cretino. Così non riesco a cucinare- ribatté
scontrosa.
Ma
invece di lasciarla Davide si aggrappò ancora di
più al suo corpo.
-Io
ti amo anche se sei testarda come un mulo- e le diede un bacio sulla
tempia.
Francesca
inclinò il capo in modo da guardarlo negli occhi e sorrise
sarcastica.
-Embé?
Io ti amo anche se sei un perfetto imbecille-
Non
c’era nulla da fare.
-Sai
Davide pensavo... magari un giorno di questi potevamo andarcene a mare,
tutti e
tre insieme-
Lei
non sarebbe mai cambiata.
-Da
soli? Ho capito che tu vali per due, amore, ma io non reggo sia te che
Emanuela. Due bionde insieme...-
Così
testarda.
-Rompipa**e
che non sei altro! Invece ho deciso, ho pure scelto i giorni di scuola
che
posso perdere e noi andremo a mare!-
Così
orgogliosa.
-Non
vuoi andare a trovare la tua famiglia? Avevi detto che Damiano si era
trovato
una fidanzata-
Ma
anche tanto ragazzina.
-Sei
tu la mia famiglia-
Quel
che Davide amava di lei non era il corpo, i capelli biondi o gli
stupefacenti
occhi azzurri, no. Quel che l’aveva fatto innamorare era lei.
Lei e i suoi
sbalzi d’umore, lei e quel suo caratteraccio volubile.
Francesca
e il suo orgoglio; Francesca così forte da non piangere mai;
Francesca così
coraggiosa da affrontare a muso duro i problemi; Francesca
così ragazzina da
aver bisogno di qualcuno che la aiutasse; Francesca e il suo sorriso
grato e le
sue lacrime calde e quelle mani piccole che potevano stare comodamente
in una
delle sue.
Semplicemente
Francesca.
Per
questo a Davide non importava di vincere, o perdere, o di mostrarsi un
imbecille con lei.
Tutti
quei problemi passati, tutte quelle litigate, quelle serate buie e i
silenzi
che non finivano mai. Tutte quelle lacrime, quelle confessioni tenute
dentro
per troppo, quel suo essere fragile solo con chi si fidava.
Tutta
la sua forza nel dimostrare al mondo intero che poteva farcela da sola.
Il
coraggio di tenere con sé Emanuela. La gioia mai provata di
avere una mamma.
Tutto
ciò ora aveva un senso, un risultato ottenuto faticosamente
che ora più
sfavillante che mai faceva morir d’invidia gli altri.
Lei,
timida e modesta, arrossiva e negava di esser stata lei a fare tutto
quello.
Sosteneva che una buona parte fosse di Davide.
Ma
Davide sapeva, perché la conosceva meglio degli altri, che
in quel corpicino
esile e dietro quegli occhi azzurri si nascondeva una donna bellissima
e forte,
una mamma bella e affettuosa, una ragazzina carina e testarda.
Lei
era così.
E
non c’era nient’altro da dire.
Suppongo che, arrivato alla fine, sarebbe educato fare un po' di
ringraziamenti.
Dunque, grazie mille ai 71 che hanno messo la storia nei preferiti,
ai 35 che la seguono
e anche ai lettori di cui non conosco il nome.
Grazie anche alle lettrici che mi hanno recensito solo per un capitolo,
clodina
85, fruminella89, olimpia93, Aletta92, Mary___02, Rebellious_Angel,
thatsamore, _diable_, Anomis, ambris, Oasis, Maghetta25, _Laura_.
(e perdonatemi se ho scordato qualcuno).
A OOgloOO,
bribry85, marghepepe, che m'hanno lasciato a
metà strada e ringrazio lo stesso tanto, e a MissQueen
(ovvero Valentina) che anche se non mi ha più recensito
volevo
ringraziare perchè mi ha fatto uno dei complimenti
più
belli che io abbia mai ricevuto "Scrivi incredibilmente bene, per tutto
il tempo ho creduto di star leggendo un libro"; per cui grazie pure a
lei.
Poi dunque, andiamo avanti, grazie ...
A Valentina78,
che ringrazio dei complimenti per il precedente capitolo.
A Nor, cui
ho procurato una notte di sonno tranquillo (ne sono felice)
e che ha sovrapposto i caratteri di Davide e Francesca a sue due
conoscenze .
A FeFeRoNzA,
che ha tentato di sposarmi e purtroppo a causa della mia
paura del volo non ha realizzato il suo desiderio (peccato
pechè
un matrimonio a Las Vegas sarebbe stato forte). Grazie per i
complimenti sulla scena nel letto del capitolo precedente, e sono
contento che non la trovi volgare.
A Marty McGonagall,
ovvero Martina, che ha inventato una nuova parola e
mi ha dato il permesso di usarla, e a cui tra l'altro volevo chiedere
di 'betare' un'altra mia storia(ma non so se leggi anche storie
omosessuali). In realtà mi è mancato il tuo
parere sul
capitolo 20, ma non importa. Grazie di dirmi che sono cresciuto
'letteriamente parlando', mi fa molto piacere. Spero che il tuo
silenzio sulla scena di sesso sia un silenzio... come dire, non
indignato, insomma. Un saluto grande grande anche a te.
A wanda nessie,
a cui devo dire di non essere assolutamente uno
scrittore, nè piccolo nè grande. E che mi
ringrazia di
questo regalo, ma non sa che sono io a dovervi ringraziare.
A vero15star,
che si ritrova nel carattere di Francesca (o sbaglio?), e
che non deve preoccuparsi di avermi scritto un'autobiografia. Non la
userei mai a scopi malvagi. Ti ringrazio di ogni singolo commento che
mi hai lasciato.
A Vale728,
ovvero Valentina, che può star sicura che
scriverò ancora, (indole seccata e accidiosa permettendo) e
spero che la fine ti abbia soddisfatto.
A Urdi, con
cui mi scuso ancora
per non averle risposto nel precedente capitolo, che ringrazio di tutte
le recensioni che mi ha lasciato. E meno male, sono felice di essere il
tuo antidoto allo stress.
A Devilgirl89,
ovvero Domizia,
che fra cinque anni incontrò in ospedale, nella sala parto.
Beh,
forse è esagerato dire che è il capitolo
più bello
ed emozionante che tu abbia mai letto. Mhm, mi fa piacere che i tuoi
genitori si amino ancora tanto, ma io per scrivere questo non mi sono
affatto ispirato ai miei. Argh, che pensieri orrendi che mi vengono in
mente, non dovevi dirlo...
A lilly95lilly,
che ringrazio dei complimenti anche sul titolo, e spero che il capitolo
finale ti sia piaciuto.
A Emily Doyle,
caspita, spero di non aver deluso le tue aspettative sull'ultimo.
A Jiuliet,
che capisce sempre ciò che voglio comunicare.
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