Cuore d'oceano

di Lilith_Luna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scogliera ***
Capitolo 2: *** Ragazzi spezzati ***
Capitolo 3: *** Underground ***



Capitolo 1
*** La scogliera ***


 
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La scogliera




     La luna era nascosta da una nuvola nera che sembrava non volersene andare. Tutto era immobile come in un dipinto dai toni scuri, tenebrosi; il mare così calmo da non fare quasi rumore infrangendosi sulla riva della baia.
    Quella tranquillità così innaturale metteva Eileen in agitazione, come se stesse per succedere qualcosa. E qualcosa stava per succedere. Il cuore di Eileen batteva così forte da sembrare rumoroso in quella quiete. Cosa ci faceva lì alla scogliera? A quell’ora doveva essere a casa, nel suo letto. I suoi occhi, che sembravano scuri come le profondità marine che stava scrutando, si muovevano lentamente sulla superficie nera, cercando qualcosa, aspettando.
     E poi il vento soffiò nell’oscurità. Lentamente, la nuvola nera che impediva alla luce della luna di illuminare il mare, iniziò a spostarsi, rivelando una sfera argentata. Una macchia di luce si formò sulla superficie dell’acqua, allungandosi verso Eileen come per rincorrerla, man mano che la nuvola si confondeva col cielo nero privo di stelle. Quel raggio di luna si arrampicò sugli scogli, giunse fino a lei e le baciò una guancia.
    Il suo viso illuminato per metà rivelò il vero colore dei suoi occhi: un azzurro cupo, intenso, tormentato. Era così che si sentiva. A metà. Era la sua metà oscura a preoccuparla ultimamente, quel lato che non riusciva, o forse non voleva, più trattenere.
   Qualcosa nell’acqua si mosse. Eileen strinse gli occhi per cercare di vedere meglio, ma non scorse nulla. Un tonfo alla sua destra, come se qualcuno avesse gettato un sasso, la fece girare di scatto. Il cuore riprese a martellarle nel petto e di nuovo si ritrovò a chiedersi cosa diavolo ci facesse lì di notte, da sola. Nonostante la voglia di scappare via, non riusciva a muoversi.
   Un altro tonfo, questa volta più vicino, la costrinse a provare ad alzarsi. Malferma sulle gambe indolenzite, scese di un paio di metri verso la fonte del rumore. La curiosità è sempre stata più forte di lei, più forte della paura. Se doveva scappare da qualcosa, almeno voleva sapere cos’era.  Magari dietro a quel gruppo di scogli c’era qualcuno. Quell’angolo non era facilmente raggiungibile, specialmente di notte, e per questo era il nascondiglio perfetto per molti giovani ragazzi che volevano appartarsi per fare sesso in riva al mare, o per drogarsi.
    Si infilò tra la parete rocciosa e uno scoglio piuttosto alto, superato quell’ostacolo simile ad una porta, racchiusa fra le braccia di un piccolo monte, c’era una spiaggetta ricoperta di sassi e frammenti di conchiglie. Quel posto era considerato pericoloso, non solo per via di quello che si poteva trovare tra i sassi, come cocci di bottiglie rotte e siringhe usate, ma anche perché se entravi in acqua da quel lato del monte, non riuscivi più a uscire. La corrente in quel punto era forte, appena fuori della baia si creava un vortice che mandava il mare a infrangersi violentemente sulle rocce. Il mare e tutto ciò che vi finiva dentro. Qualcuno ci andava per suicidarsi.
    Sapeva come chiamavano quel posto in paese: il Letto dei Peccatori. O Punta della Morte.
  

    Vieni da me…


     Un brivido gelido le scivolò sulle spalle nude. Aveva davvero sentito una voce? O si era fatta suggestionare dalla paura?
    La spiaggetta era deserta, in ombra. Il fascio intermittente del faro dietro al monte permetteva di vedere tra gli scogli solo a tratti. L’acqua in quel punto ribolliva nera come il caffè.
 

     Vieni da me…
 

    Un sussurro spaventato le sfuggì dalle labbra segnate per la pressione dei denti, si era torturata il labbro inferiore per tutta la sera. Nonostante il nodo che le si era formato all’imboccatura dello stomaco, avanzò di qualche passo verso il bordo della spiaggia, dove rocce piatte e di diverse dimensioni formavano una sorta di scalinata che portava in mare. Il cuore, a quel punto, batteva così forte da farle male.
    Eileen si inginocchiò sul primo scoglio; in quel punto l’acqua era appena sfiorata dalla luce del faro, ma sufficiente per vedere sotto la superficie scura. Posò le mani sulla roccia fredda e bagnata e si sporse leggermente in avanti, guardando giù.
     Quando il fascio di luce sfiorò nuovamente l’acqua sotto di lei, Eileen si trovò a fissare due occhi glaciali contornati da un viso pallido. Un urlo le morì in gola, mandandole un sapore amaro in bocca. Cadde all’indietro sui sassi, ferendosi ad una mano con un fondo di bottiglia. Dopo un breve momento di paralisi, si alzò e corse via, inciampò tra gli scogli, si graffiò un braccio contro la parete rocciosa, incespicò sulle scale che portavano fuori dalla spiaggia. Corse fino a perdere fiato, corse fino a casa.
 
 
 
      ‹‹Cosa hai fatto alla mano?››
    Eileen non ascoltava, fissava la tazza di caffè che teneva in mano, gli occhi vacui. Sua nonna allora si alzò dalla sedia della cucina e le si avvicinò. ‹‹Ellie?››
     ‹‹Cosa?›› La ragazza sbattè le palpebre e notò lo sguardo preoccupato di sua nonna. ‹‹Oh, nulla, mi sono tagliata con un vetro per sbaglio››.
     L’anziana signora la scrutò con quello sguardo che solo le nonne hanno, quando capiscono che c’è qualcosa di serio che preoccupa i nipoti.
     ‹‹Senti nonna… come si chiamava quella creatura di cui sentivo parlare spesso qui quando ero piccola?››
    ‹‹Parli del mostro della baia?››
    ‹‹Sì, lui. Quando appare?››
   ‹‹Non si sa esattamente che tipo di creatura sia, le leggende sono molte. C’è chi lo chiama il Principe delle sirene, chi lo definisce un Kelpie marino che invece di trasformarsi in cavallo si trasforma in uomo; solo su una cosa le leggende e le voci sono d’accordo: uccide le donne. É attirato dalle lacrime delle donne che soffrono, le chiama a sé e poi le affoga››. La nonna abbassò lo sguardo, voltandosi poi verso la finestrella coperta da una tendina bianca. ‹‹Molti dei suicidi avvenuti alla scogliera sono opera sua››.
     ‹‹Tu ci credi?››
     ‹‹Sono una vecchia signora, Ellie. Io stessa sono una delle leggende di questo posto››.
     Eileen tornò a fissare la sua tazza di caffè, pensierosa, fino a che il liquido caldo iniziò a vorticare lentamente, come girato da un cucchiaio invisibile. Due occhi di ghiaccio apparvero sotto quella superficie scura.
 

     Vieni da me…


    Eileen cacciò un urlo e lasciò la tazza, che andò a frantumarsi sul pavimento. Sua nonna si girò di scatto e le fu subito affianco, la portò a sedersi e le posò le mani sulle spalle tremanti.
    ‹‹Lo hai visto››. Non era una domanda. Eileen, ancora scossa per quella seconda visione, non le rispose; allora la nonna la costrinse a guardarla negli occhi alzandole il mento con un gesto deciso della mano ossuta. ‹‹Lo hai visto, Ellie? Lo hai guardato negli occhi?››
     ‹‹Io… io credo di sì…››
     La signora si allontanò da lei e andò a raccogliere i cocci della tazza dal pavimento, pulendo il caffè con un panno. Eileen rimase immobile con le mani in grembo, non volendo ancora credere a quello che era appena successo.
     ‹‹Stai lontano dall’acqua, Eileen. Da qualsiasi pozza d’acqua››.

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Capitolo 2
*** Ragazzi spezzati ***


 

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Ragazzi spezzati

 


     Il magnifico cielo d'Irlanda non riusciva a metterle pace, non quel giorno. Un cielo di un azzurro così limpido, e così simile agli occhi di Eileen, da farli sembrare due schegge di specchio luccicanti.
     La ragazza avrebbe voluto lasciarsi alle spalle la nottata alla scogliera, e ci sarebbe riuscita, non fosse stato per l'incidente con la tazza di caffè avvenuto quella mattina.
     "Stai lontano dalle pozze d'acqua, Eileen. Da qualsiasi pozza d'acqua." La voce di sua nonna le risuonava continuamente in testa mentre stava seduta sul muretto di pietra guardando il mare, aspettando i suoi amici.
     Eileen era a Waterfall Castle da poco più di una settimana e nonostante la sua indole un po' fredda non le era stato difficile farsi degli amici. La prima sera era andata alla Lighthouse, il bar sul lungomare più frequentato del paese, e aveva fatto amicizia con Lisanna, la cameriera che l'aveva servita e che successivamente le aveva presentato i suoi amici. Una chioma biondo rame fece capolino dal una delle vetrate del bar e le fece cenno di aspettare altri cinque minuti: Lisanna aveva il pomeriggio libero e le aveva chiesto di raggiungerla per andare in spiaggia.
     Questo non era esattamente il modo migliore di stare lontano dall'acqua, ma quel giorno la temperatura era piuttosto bassa per via del forte vento che aveva spazzato via ogni batuffolo di nuvola dal cielo. Non che il freddo l'avesse mai fermata, comunque: Eileen, da vera dublinese, aveva il sangue freddo come le acque irlandesi e faceva il bagno nel gelido Mare del Nord anche a febbraio. Si rattristò pensando che solo il giorno prima aveva fatto una gara di nuoto con Lisanna e i suoi amici, dalla riva fino al faro. Si voltò a guardarlo stagliarsi bianco come le ali di un gabbiano contro il blu del cielo.
     Davanti ad esso, una linea di schiuma candida come panna montata solcava il mare perdendosi nell'infinito. Era un fenomeno raro: l'incontro di acque di densità e temperatura diverse che non potendo mischiarsi creano una barriera naturale sormontata da una cresta di schiuma. Da un lato il blu oceano della Baia delle Sirene, dall'altro il verde mare della Baia delle Favole. Ma non è l'unico fenomeno strano di quelle acque, difatti un'innaturale corrente calda accarezzava la costa in alcuni punti, facendo di Waterfall Castle una meta balneare nei mesi estivi, per i turisti non troppo impavidi da buttarsi nelle fredde acque irlandesi.
     Eileen amava il mare, ma si fidava di sua nonna e sapeva che l'esperienza avuta la notte prima con quella creatura, per quanto volesse fingere, era reale. Ma poteva parlarne ai suoi nuovi amici? Erano del posto in fondo, potevano saperne qualcosa.
     ‹‹Ellie!›› La voce di Lisanna le squillò nell'orecchio, Eileen si portò una mano al petto nel tentativo di calmare il cuore. ‹‹Scusami, non volevo spaventarti››.
     ‹‹Mi ero persa nei miei pensieri››. Le sorrise cercando di scacciare la preoccupazione per potersi godere la giornata tiepida ma ventosa.
     ‹‹Andiamo, gli altri sono già in spiaggia››. Eileen seguì Lisanna giù per le scale che conducevano alla grande spiaggia – non troppo affollata quel giorno. Il sole splendeva indisturbato nella volta celeste, facendo brillare la Baia delle Favole come un gioiello. Il faro si trovava su un promontorio che divideva le due baie e sotto di esso, in mezzo alla scogliera, la Punta della Morte.
     Appena raggiunta la spiaggia, Lisanna tolse le scarpe da ginnastica bianche che usava per lavorare e corse verso i suoi amici, i capelli al vento che catturavano i raggi del sole mandando riflessi d’oro.
     ‹‹Ellie, sdraiati vicino a me, aiutami a fare le parole crociate››, la chiamò Amanda, anche lei bionda, i capelli boccolosi tenuti fermi da una fascia rossa in stile pin-up, abbinata al suo costume a pois. Eileen si chiese come facesse a non sentire freddo, ma Amy era così, sempre mezza nuda; infatti discuteva spesso con Alice, la sua ragazza, che invece aveva persino il cappuccio della felpa scura tirato su. Alice non sopportava il sole. Mentre cercava di accendersi una sigaretta un pallone da calcio la colpì alla nuca e lei si tirò giù il cappuccio imprecando.
    ‹‹Bastardi, è la terza volta che mi colpite, adesso vi faccio vedere io come si gioca!›› Tolse la felpa, restando in maglietta e corse dai ragazzi che giocavano più in là, sollevando nuvole di sabbia fine.
     ‹‹Almeno adesso ha qualcosa da fare, invece di continuare a lamentarsi››, commentò Amy.
     ‹‹Dai, lasciala stare, lo sai che viene in spiaggia solo per te››, la rimproverò Liz.
     ‹‹Per controllare che non mi metta in topless, vorrai dire››.
     Eileen era felice di aver trovato degli amici, ma non si sentiva ancora abbastanza in confidenza per poter fare battute sulla loro vita privata, così stette sulle sue. Amy notò il suo silenzio e si voltò a guardarla, sollevando gli occhiali da sole a forma di cuore.
     ‹‹Che faccia, non hai dormito? Ancora incubi?›› Eileen si limitò ad annuire con un sorriso triste. Liz smise di cercare di pettinarsi i capelli con le dita e le passò un braccio attorno alle spalle.
     ‹‹Ellie lasciatelo dire, hai le occhiaie più evidenti del solito. Con noi puoi parlare, magari possiamo aiutarti in qualche modo››. Non volendosi arrendere al suo silenzio, cercò di strapparle un sorriso. ‹‹La prima volta che ti ho vista stavi annacquando di lacrime un whiskey invecchiato vent’anni. Non può essere peggio di allora››. Ad Eileen scappò una risatina. ‹‹Vuoi raccontarci la tua storia, adesso? Non sei qui per una semplice vacanza››.
     Eileen chiuse gli occhi, sospirando. No, non era a Waterfall Castle per una vacanza. Era scappata di casa. Era una “ragazza spezzata” come loro. Tutti loro che avevano avuto, o avevano tuttora, dei problemi. Alla fine era diventato il nome del loro gruppo, una specie di gang: i Broken Boys.
     Amy era scappata di casa all’età di quindici anni ed era finita a prostituirsi. Alice era stata violentata dal patrigno quando ne aveva solo tredici e da quel momento non si era più fatta toccare da un uomo, anzi aveva rifiutato di sentirsi una donna, scegliendo di farsi chiamare da tutti “Ace”. Si imbestialiva quando veniva chiamata Alice, cosa che permetteva raramente soltanto ad Amy. Il padre di Brad, una sera in cui era più ubriaco del solito, lo aveva marchiato a fuoco sul viso con un ferro ricurvo, da allora aveva una cicatrice a forma di mezzaluna che partiva dalla tempia sinistra fino a curvarsi sullo zigomo; per questo si faceva chiamare Lunarossa.
    Tutti loro avevano storie e soprannomi: Ash “King” Jensen, Joey “Lion” Everett, Liam “Gold” MacCallister, Brad “Lunarossa” Westlake, Alice “Ace” McClaren, Amy “Devine” Morgan e Lisanna “Sugar” Kerr. Amy aveva mantenuto il suo nome da lap dancer, mentre a Liz era stato affibbiato il nome Sugar perché era la più innocente del gruppo. In effetti tante volte Eileen si era chiesta come ci fosse finita con loro, non che fossero ragazzi cattivi, ma un po’ folli, quello sì.
     Forse era destino che Eileen li incontrasse, una sorta di “richiamo karmico”, dal momento che lei stessa non era proprio ciò che si definiva una brava ragazza. Sulle ali di questo pensiero, iniziò ad aprirsi.
     ‹‹Il mio migliore amico si è suicidato per colpa mia››.
     ‹‹Oddio!›› Esclamarono all’unisono le ragazze.
     ‹‹Aveva molti problemi. Era caduto in depressione, prendeva delle medicine… e io non mi sono accorta di niente. Io… gli ho dato il colpo di grazia››. Le si spezzò la voce e dovette interrompersi.
    ‹‹Che cosa vuoi dire?›› Anche Amy le si era fatta più vicina. Eileen prese un bel respiro e alzò gli occhi al cielo cercando di trattenere le lacrime. Detestava piangere.
     ‹‹Lui non mi raccontava tutto. Era evidente che non mi raccontava tutto, nonostante fossi la sua migliore amica. Io non sapevo fosse depresso, Mark ha sempre fatto quello forte, quello che proteggeva tutti… era una sorta di fratellone per me e il mio gruppo di amici››. Si prese i capelli tra le mani, tirandoli indietro. ‹‹Eravamo cresciuti insieme. Per un periodo ho avuto una cotta per lui, ma mi vedeva come una sorellina, come la ragazzina da proteggere dai maschiacci di turno. Poi siamo cresciuti, io mi sono fidanzata con Luke, il suo migliore amico, e le cose hanno iniziato a cambiare, lui ha iniziato a cambiare. Si è allontanato dal gruppo, non so in che giri sia finito. Una sera…››, la voce le si spezzò di nuovo e le prime lacrime iniziarono a solcarle le guance, lacrime che aveva trattenuto troppo e che erano diventate grosse e pesanti come sassolini. ‹‹Una sera… una sera mi ha chiamata, dopo un sacco che non si faceva più sentire e mi ha detto “Babyblue - è così che mi chiamava – ho bisogno di te”, ma non voleva dirmi di cosa si trattava, era… era strano, paranoico… ha detto di amarmi. E il mio stupido orgoglio ha avuto la meglio. Gli ho detto che era tardi, che poteva andare da una delle sue put-tanelle… e ho riat-riattaccato››. Il pianto ormai era diventato incontrollabile e dovette fermarsi per un po’. Le sue amiche la strinsero forte, aspettando che si calmasse. Quando i singhiozzi cessarono, Eileen sembrò un’altra persona: ogni traccia di dolore era scomparsa, come lavata via da un colpo di spugna. ‹‹Quella notte Mark si è tolto la vita. Il giorno dopo il mio ragazzo mi ha mollata, sapevo già che mi tradiva. Me ne sono andata. Sono letteralmente scappata››.
     ‹‹Oh, Ellie…›› Liz la abbracciò più stretta. ‹‹Posso solo immaginare come ti senti, ma ti stai prendendo più colpe di quelle che hai realmente››. Amy le passò un fazzoletto preso dalla sua borsa rossa ed Eileen ci affondò il viso. Entrambe le amiche le accarezzarono i capelli.
     ‹‹Scusatemi, è la prima volta che piango realmente, da quando è successo››. La sua voce non aveva più il minimo tremolio, era semplicemente atona.
     ‹‹Eri sotto shock, è normale. E credo tu lo sia ancora. Stasera ti portiamo al Borderline, che ne dici, Amy?››
     ‹‹Sì, è un’ottima idea! Stasera c’è una sfida tra band, ci saranno sicuramente un sacco di bei ragazzi che potrebbero tirarti su il morale››, nel dire l’ultima frase Amy sollevò allusivamente le sopracciglia, facendo ridere Eileen.
     ‹‹Amy! Ti sembra il caso? Non sono tutte ninfomani come te!››
     ‹‹Tesoro, io so divertirmi, a differenza tua››.
     Vedere le due bionde bisticciare amichevolmente per tirarle su il morale le fece superare il crollo momentaneo che aveva avuto. Eileen si era sentita in imbarazzo, non era da lei mostrare una tale debolezza davanti agli altri, di solito aspettava di essere da sola per lasciar fluire il dolore. Soffiò il naso e sperò di non avere tutto il nero del trucco colato sotto gli occhi. Al resto ci pensarono il vento e il sole: le asciugarono le lacrime, le scaldarono nuovamente le guance e un raggio caloroso riuscì persino ad infiltrarsi sottopelle, raggiungendo il cuore ed accendendo una piccola luce di speranza in fondo al tunnel.
     ‹‹Oh no››, la voce di Amy cambiò improvvisamente tono, perdendo la giocosità di poco prima. Eileen e Lisanna si voltarono per capire a cosa si riferisse.
     ‹‹Merda, non doveva venire adesso››. Liz si alzò e andò incontro al ragazzo che stava scendendo in spiaggia.
     ‹‹Chi è? Mi sembra di averlo già visto alla Lighthouse››, chiese Eileen.
     ‹‹È Shane, il ragazzo di Liz››. Non sembrava affatto contenta della cosa.
     Eileen aggrottò le sopracciglia. ‹‹Credevo che tra lei e Ash…››
     ‹‹Sì, infatti. Tra loro due c’è sempre stato una specie di tira e molla non ufficiale. E poi la storia con Shane durerà ancora poco, vedrai››. Amy si sdraiò di nuovo e riprese il suo cruciverba, calandosi gli occhiali da sole a forma di cuore sugli occhi.
     Eileen si voltò a cercare Ash tra i ragazzi che giocavano a pallone e lo vide: magro, capelli neri, tatuaggi che spuntavano dalla maglia a maniche corte e gli occhi puntati sulla coppia che stava parlando in fondo alle scalette. Qualcosa dentro di lei si accese di nuovo, ma stavolta non era una luce, no.
     Si accese una fiammella nera.
 
 
♦♦♦
 
 
     Eileen aveva già sentito parlare del Borderline, un pub in centro che occasionalmente organizzava serate a tema ed esibizioni live nella sala interrata. Lisanna le aveva raccontato che Ace non ci andava mai volentieri perché Amy aveva avuto un flirt con Leila, la barista, anche se era storia vecchia, di quando aveva lavorato lì come lap dancer. Sui trascorsi sentimentali, o meglio sessuali, della sua ragazza, Ace preferiva sorvolare dal momento che era una persona molto possessiva e non voleva rovinare il loro rapporto per le sue gelosie, immotivate o meno; ed Amy faceva di tutto per non fargliele pesare. Eileen le ammirava molto per questo. Uno dei suoi ex ragazzi era talmente geloso da aver messo le mani addosso a Mark, una volta.
     Mark…
     Ancora si chiedeva come fosse potuto succedere. Se avesse potuto fare qualcosa.
     Certo che avrebbe potuto, ma aveva preferito chiudere gli occhi.
    Strinse le mani sul bordo del lavandino e chiuse le palpebre per non guardarsi allo specchio. Si faceva schifo. Nonostante la perdita del suo migliore amico era a Jason che pensava. A lui e la sua nuova ragazza. Le si strinse il cuore in una morsa.
     Quando riaprì gli occhi il dolore era passato, il suo viso più risoluto, gli zigomi tirati in un’espressione decisa. Spostò le ciocche che le ricadevano sul viso, continuando a fissarsi allo specchio. Con precisione, mise il rossetto scuro, il suo preferito. Era quasi pronta. Mancava soltanto un tocco di rosso.
     Tirò fuori dall’astuccio dei trucchi il portacipria e lo aprì, estraendone la lametta di un rasoio.
     Solo uno in più e poi basta.
     Passò la lametta all’interno del polso, lentamente. Lo voleva sentire. Doveva sentirlo.
    Goccioline piccole come granelli di sabbia apparvero una a una, in fila. Eileen restò a guardarle gonfiarsi e farsi pesanti, alcune si confusero tra loro in una linea. Premette con un dito poco sotto il taglio e osservò il sangue scivolare fuori e gocciolare nel lavandino bianco.
     Due grosse gocce, cosa sarà mai.
     Si guardò di nuovo allo specchio, visibilmente calma e soddisfatta.
     Sono una di voi. Sono una ragazza spezzata.

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Capitolo 3
*** Underground ***


 
 
Underground
 
 
  
 
     Quella sera aveva iniziato a piovere e in poco tempo le stradine lastricate e irregolari del paese si erano riempite qua e là di pozzanghere, rendendo il percorso verso il locale una sorta di campo minato. Le ragazze, tutte con stivali alti col tacco (tranne Ace, ovviamente) si tenevano a braccetto per cercare di rendersi più stabili a vicenda.
     ‹‹Maledizione!››, imprecò Amy alla terza volta che rischiò di prendersi una storta sul tratto di strada acciottolato, avendo calcolato male la profondità di una pozza, ‹‹lo sapevo che avrei dovuto mettere gli stivali bassi››.
     ‹‹Lo dici ogni volta ma non lo fai mai. Secondo me nemmeno ce li hai degli stivali senza tacco››, la punzecchiò Lisanna.
    ‹‹Certo che ce li ho, solo che non ho mai avuto il tempo di cercarli››. Così dicendo pestò il piede in una grossa pozza che non aveva visto, schizzando acqua sulle gambe scoperte delle amiche. Poi drizzò le orecchie come un segugio in direzione del resto del gruppo che camminava davanti, intuendo che stavano parlando di loro ed esortandoli ad alzare la voce.
     Ace si girò, cogliendo la provocazione. ‹‹Le solite cose, amore, ci stiamo lamentando di quanto siete lente sui tacchi››. Soffiò un bacio ad Amy ed iniziò ad entrare nel pub, Liam e Brad al seguito. Ash stava fumando, quindi le ragazze si fermarono con lui.
    I lampioni a lanterna che illuminavano le strade davano un tocco fiabesco alle vie semivuote: il maltempo aveva dissuaso gran parte della gente dall’uscire di casa e i pochi impavidi, noncuranti del vento che sferzava i loro visi, andavano a rifugiarsi nei locali.
    Il Borderline era quasi sempre pieno. Nemmeno una tempesta avrebbe potuto tener lontani i suoi frequentatori fedeli. Eileen alzò lo sguardo verso l’insegna al neon scarlatta debolmente illuminata, una linea a sbarrare il nome scritto in maiuscolo.
      ‹‹È la prima volta che ci vieni?››, le domandò Ash buttando a terra la sigaretta che si spense in un rivolo d’acqua.
     ‹‹Sì. Ne avevo sentito parlare a Dublino perché dei miei amici si sono esibiti qui una volta››. Non sapeva per quale motivo, ma Eileen si sentiva un po’ in soggezione davanti ad Ash. Forse perché aveva capito che lui non sarebbe stato uno di quelli facilmente ammaliabili con cui aveva sempre avuto a che a fare.
     ‹‹Ti piacerà. I live sono sempre molto coinvolgenti››, affermò sorridendo. Fece per aprire la porta, ma si fermò per chiedere qualcosa a Liz, che gli rispose con una spinta scherzosa. Ash entrò con stampato in faccia un sorriso furbo e le ragazze rimasero da sole sotto la tettoia.
   ‹‹Ti ha chiesto di Shane?››, volle sapere Amy. Adorava sapere tutto di tutti, non aveva paura di porre domande scomode o sfacciate. Nonostante l’apparenza era una persona che sapeva cosa tenere per sé e cosa poter dare in pasto ai pettegolezzi; per questo nessuno temeva di confidarsi con lei.
     ‹‹Sì, voleva sapere se verrà. Oggi abbiamo discusso di nuovo, quindi immagino di no››, si strinse nelle spalle, visibilmente dispiaciuta.
    ‹‹Vorrà dire che potrai fare liberamente la zoccoletta con Ash››, Amy le diede di gomito allusivamente, cercando di strapparle un sorriso, ottenendo invece un’alzata d’occhi di Liz. ‹‹E tu Ellie? Ti dai da fare stasera?››
    Lei allargò le braccia con fare permissivo. ‹‹Sono single, perché no!››
    Entrarono nel locale con Lisanna che scuoteva la testa ed Amy che ancheggiava in modo vistoso, elettrizzata. L’interno era caldo e accogliente, con i muri dipinti di rosso – dove riuscivi a scorgerli, perché le pareti erano tappezzate di foto e ritagli di band e dischi autografati. Sopra il lungo bancone scuro erano appesi un basso a cinque corde e delle chitarre elettriche mozzafiato; di una c’era solamente il manico. Un piano superiore correva lungo parte del perimetro del locale come una balconata protetta da una ringhiera in ferro battuto, decorata con lucine come se fosse Natale.
     Eileen si tolse la leggera giacca rossa di pelle, rimanendo con una maglietta che lasciava le spalle scoperte. ‹‹Wow, sono tutte foto di gruppi?››, chiese sistemando le calze a rete che erano scese un po’ nel tragitto. Fu Liz a rispondere.
     ‹‹Sì! Figo, vero? Non è rimasto quasi un buco libero. Sulle colonne invece sono appese le foto dei clienti e delle band che si esibiscono qui. Ce ne sono alcune nostre che fanno ridere, se vuoi vederle››.
     Eileen promise che le avrebbe raggiunte di sotto dopo aver fatto un giro, così Liz si lasciò trascinare via per mano da Amy e sparirono lungo una rampa di scale di fianco al bancone. La ragazza, rimasta sola, si fece strada tra la folla per avvicinarsi alla colonna più vicina. Era ricoperta dalla cima fino alla base da scatti di gente ubriaca e che si divertiva: un gruppo di amici che giocava a beer pong, una ragazza bionda sdraiata sul bancone con una fila di chupiti sulla pancia… Eileen si avvicinò per guardarla meglio e non si stupì nel riconoscere Amy. Spostando lo sguardo sulla foto subito sottò però, il cuore fece una piccola capriola. Ritraeva tre amici sorridenti, abbracciati, uno di loro aveva il viso arrossato per via dell’alcol. Era Shane, il ragazzo di Lisanna. Ed era ancora più bello visto da vicino.
     La fiammella nera dentro di lei iniziò a sfrigolare, le palpebre si socchiusero languidamente osservando quel viso rosso e quei lucidi occhi azzurri. Una voce sconosciuta interruppe i suoi pensieri prima che si facessero più spinti.
     ‹‹Quella sera tornai a casa sui gomiti››. Eileen si voltò e si trovò a guardare gli stessi occhi della foto, con la differenza che questa volta erano limpidi, e molto vicini. ‹‹Io sono…››
     ‹‹Shane. Lo so››. Gli tese la mano per presentarsi. ‹‹Io sono Eileen››.
     ‹‹Lo so››, ribatté lui stringendola. Eileen sentì il sangue pulsarle contro il polsino di cuoio, dove si era tagliata prima di uscire. Ritirò la mano chiudendo il pugno lungo la coscia. ‹‹Hai visto Lisanna?››, glielo chiese con occhi tristi, come se immaginasse già la risposta.
     Eileen si schiarì la gola, non sapendo cosa dire. ‹‹È andata giù con gli altri. Tra poco inizieranno a suonare, credo››.
    Shane spostò lo sguardo, a disagio, un angolo della bocca si sollevò in un sorriso forzato. Preferì cambiare discorso. ‹‹Suonano anche loro stasera››, disse indicando la foto che stava guardando lei poco prima, ‹‹sono i miei migliori amici: Robin e Adam››, indicò prima il ragazzo biondo alla sua destra, poi quello con i lunghissimi capelli neri a sinistra. Erano oggettivamente più belli di Shane, di una bellezza più raffinata, dai tratti decisi. Shane era una bellezza comune, al contrario, semplice, di quelle a cui solitamente Ellie non faceva molto caso.
     ‹‹Tu non suoni?››, gli chiese inclinando la testa con fare civettuolo, appoggiandosi alla colonna. Eccola la sua metà oscura, quella egoista e lussuriosa. Quel lato di Eileen che voleva aver il controllo su tutto si risvegliava al minimo ostacolo: in questo caso un ragazzo impegnato. Desiderava essere desiderata. Voleva che la scelta fosse solo sua.
     ‹‹Pizzico le corde di una chitarra ogni tanto, non so se si può definire suonare››. Un sorriso sghembo gli fece spuntare una fossetta ed Eileen ne rimase affascinata all’istante.
    ‹‹Potrei giudicarlo io. Mi piacerebbe sentirti››, gli propose con un ampio sorriso che aveva sempre conquistato tutti. Per un attimo sembrò funzionare anche su Shane, poi qualcosa alle spalle della ragazza lo scosse e lui cambiò atteggiamento. Si dileguò con un frettoloso ‹‹Ci becchiamo dopo il concerto, magari››. Ed Eileen rimase di nuovo da sola.
     Si guardò attorno e notò che gran parte delle persone che prima affollavano il pub ormai dovevano essere scese per il live; così si diresse anche lei verso le scale. Una ringhiera in ferro battuto decorata di lucine color miele come quella della balconata portava ad un piano interrato, anch’esso tappezzato di foto di gruppi e ritagli di giornale, pagine del Rolling Stones, principalmente, e altre riviste di musica. Eileen si trovò su uno spoglio pianerottolo occupato soltanto da un alto tavolino tondo già pieno di bicchieri vuoti e da un cartello che indicava la via per il bagno. Una pesante tenda rossa di velluto separava il locale dei live da quell’intermezzo freddo e triste, attutendo il chiasso che proveniva dall’altra parte. Una scritta luminosa appesa sopra di essa recitava “Underground”. Scese nel sottosuolo e ne fu inghiottita.
     Il locale sotterraneo era gremito di gente che ballava, si agitava e alzava i pugni al cielo in direzione della band che stava suonando.
Immaginando che le sue amiche sarebbero andate sottopalco, iniziò a farsi strada tra la folla. Un ragazzo le rovesciò addosso un po’ della sua birra senza neanche accorgersene, preso dalla musica. Ed eccole lì, in seconda fila: due bionde che applaudivano e si scatenavano al ritmo di un rock dai tratti glam.
     ‹‹Eccoti! Dove eri finita?››, le domandò Lisanna, tirandola per mano per farle superare l’ultimo ostacolo formato da una coppia avvinghiata.
    ‹‹Stavo facendo un giro del locale››, spiegò lei passandosi una mano sul collo. Aveva già caldo. Non disse di aver parlato con Shane, voleva tenerlo per sé.
     ‹‹Il prossimo gruppo è quello degli amici di Shane››, la informò, come se avesse letto negli occhi di Ellie il suo piccolo segreto.
Il cantante presentò i membri della sua band e annunciò che quella sarebbe stata l’ultima canzone prima di cedere il palco agli Isarcourt. Per mantenere l’interessamento del pubblico conclusero con una cover dei Guns ‘n’ Roses, Sweet child o’ mine. E tutti cantarono. Tutti tranne Eileen, che si ritrovò pietrificata, le suole degli stivali inchiodate al pavimento e una stretta al cuore. Era la canzone che Mark le cantava in quelle sere in cui stavano nel suo appartamento ammuffito a fumare erba e bere birra economica guardando vecchi film quasi sconosciuti.
     L’intro di quella canzone era come una pugnalata per lei, ma furono le parole della seconda strofa a spezzarla all’altezza dell’addome come una matita.
 
 
 
She's got eyes of the bluest skies
As if they thought of rain
I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
 
 
 
    L’incantesimo che la teneva ancorata all’appiccicoso pavimento dell’Underground si ruppe quando il cantante, spostandosi il ciuffo verde con un gesto soddisfatto, lasciò che a proseguire a cantare fosse il pubblico. Eileen si sentì soffocare, i polmoni pieni di aria calda e il fumo artificiale dal profumo dolciastro che l’avvolgeva come una trappola a gas. Iniziò a muoversi tra le persone alla cieca, cercando la via d’uscita, urtando corpi e bicchieri; prendendosi insulti e spintoni per via del suo indelicato modo di farsi strada, presa dal panico. La copia dell’insegna luminosa che aveva visto all’esterno era la sua meta, lontana e ondeggiante come un miraggio mentre sentiva di essere lì lì per svenire.
    Raggiunto il fondo del locale poté respirare una boccata d’aria a pieni polmoni, benché non fresca. Le girava la testa e si sentiva instabile sulle gambe. Con lo sguardo basso per vedere dove metteva i piedi, i lunghi capelli sul viso, cercò il muro affianco alla tenda di velluto per appoggiarsi un attimo, ma ciò che le sue mani incontrarono furono un petto solido e due braccia sicure che la sorressero. Eileen incrociò gli occhi cupi di Shane che con decisione la scortò oltre i drappeggi e fino al bagno delle donne. Il ragazzo attese fuori dalla porta come un bodyguard mentre Eileen si bagnava il collo e la scollatura, aspettando che il suo respiro affannoso si calmasse. Quando il tremolio delle mani cessò si guardò allo specchio, incontrando un paio di occhi che le restituì uno sguardo disperato. Non le era mai capitato di avere un attacco di panico. Ora poteva capire come si sentivano quelle persone che dicevano di non avere più il controllo di sé e di sentirsi quasi morire; la voglia di lottare mista a quella di abbandonarsi lì, sul pavimento.
     Cercò di darsi una sistemata prima di uscire: tolse l’eccesso di nero che si era allargato sotto gli occhi, spinse indietro le ciocche di capelli che le si erano appiccicate alle guance e al collo e infine, per darsi una “scossa” premette con il pollice lo spesso bracciale che copriva i tagli sul polso. La scarica di dolore che ne seguì le rianimò gli occhi annebbiati.
     Shane la stava aspettando appoggiato al muro scuro di fronte alla porta, risvoltandosi le maniche della camicia aperta, mostrando una maglietta nera con il logo di una band che lei non riconobbe. ‹‹Ti senti meglio?››, la interrogò preoccupato.
     Eileen si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli restituì un timido sorriso. ‹‹Sì, è stato solo un attacco di panico. Lì in mezzo non si respira››.
    ‹‹Sicura che sia solo questo? Ti ho vista piangere oggi, alla spiaggia››. Lo disse come un bambino che è stato beccato a spiare i genitori, aspettandosi da lei una reazione brusca, che non venne.
    ‹‹Problemi di cuore, diciamo. Nulla di nuovo per gli umani, no?›› Eileen riuscì a ridere, si sentiva molto meglio ora che c’era Shane ad interessarsi a lei.  Il ragazzo aggrottò le sopracciglia alla sua risposta sarcastica.
    Forse poteva evitare di nominare i problemi di cuore visto che le cose con Liz non andavano bene, ma non se ne pentì, in fondo. Eileen sapeva come giocare le sue carte, era sempre stata brava nell’ammaliare i ragazzi, fosse per scroccare da bere in un pub o per farsi perdonare qualcosa dalle persone che frequentava e poi mollava, dopo aver finito di usarle.
     ‹‹Mi accompagni fuori a prendere aria?››, gli propose stringendosi nelle spalle con fare innocente.
     ‹‹Certo››, la rassicurò lui, ‹‹per stasera sei sotto la mia responsabilità. E poi non voglio stare qui››.
 
 
 
 
 
     Quando furono sotto la tettoia del pub, al riparo dalla pioggia, Eileen scroccò una sigaretta da una coppia ed estrasse dalla tasca dei pantaloni uno zippo per accenderla. ‹‹Non fumo spesso››, mentì, temendo che a Shane desse fastidio. Lui scrollò le spalle, indifferente.
     ‹‹Come mai hai un accendino del genere, allora?››, indagò incuriosito dall’oggetto.
    Eileen si rigirò tra le mani lo zippo decorato in madreperla e glielo passò per mostrarglielo. ‹‹È del 1968. Era di mio nonno››. Shane non osò chiederle della sua famiglia ed Ellie gliene fu grata. ‹‹Come mai non vuoi stare qui stasera?››, gli chiese tirando una lunga boccata.
     ‹‹Problemi di cuore, diciamo››, le fece il verso, poi più serio: ‹‹ho promesso al mio amico Robin, il batterista, che non mi sarei perso questo live››.
     ‹‹Però te lo stai perdendo››, gli fece notare l’ovvio, dispiaciuta.
     ‹‹Si potrebbe dire che ci siamo salvati a vicenda, stasera››. Le sorrise in modo amichevole, ma Eileen trasformò quella gentilezza in un gesto malizioso, perché così voleva che fosse.
     La pioggia aumentò all’improvviso, costringendo i ragazzi ancora fuori dal locale ad affrettarsi ad entrare per ripararsi dalle folate di vento bagnate. Un lampo illuminò l’acciottolato pieno di pozzanghere, seguito poco dopo dal rombo di un tuono.
    Aspettarono che tutti furono entrati, poi Shane la precedette dandole le spalle mentre Eileen buttava a terra la sigaretta fumata a metà, quando un secondo lampo di luce illuminò la grande pozzanghera ai suoi piedi. Due occhi glaciali brillarono sotto la superficie sottile, contornati da un volto cadaverico.
Eileen strillò inciampando all’indietro nei suoi stessi stivali; l’accendino che aveva ancora in mano cadde a terra. Una mano bianca come la luna le afferrò una caviglia e la strattonò, facendola cadere in ginocchio. Spaventosa fu la sorpresa quando, aspettandosi di pestare le ginocchia contro le pietre, si sentì sprofondare fino al bacino. Agendo d’istinto si aggrappò con le unghie ai ciottoli, terrorizzata; scalciò con le gambe nell’acqua fredda, riuscendo a portare un ginocchio in superficie, ma una seconda mano sbucò dall’acqua per tirarla giù, strappandole le calze e facendola sprofondare ancora.
     Qualcosa si accese alle sue spalle illuminando la strada di arancione. Un sibilo acuto riverberò nella pioggia poi, qualunque cosa fosse a tirarla nella pozzanghera, smise. Due braccia ormai conosciute l’aiutarono a rialzarsi, stringendola.
      ‹‹Lo hai visto anche tu!››, lo aggredì Eileen aggrappandosi a Shane.
     ‹‹Sì, sì, è andato via adesso, tranquilla››. La presa forte sulle braccia di Ellie la calmarono leggermente, abbastanza da permetterle di notare che Shane non aveva più la camicia, ma che era rimasto in maglietta. ‹‹L’ho tolta per darle fuoco››, le spiegò rispondendo alla sua domanda inespressa.
      ‹‹Cosa?›› Eileen non riusciva a capire, era ancora scioccata.
     ‹‹Ho dato fuoco alla camicia per lanciarla su di lui. Le creature dell’acqua hanno paura del fuoco››.
     Eileen sgranò gli occhi incredula e si separò dall’abbraccio di Shane, riconquistando l’instabilità. Si accasciò a terra contro il muro e si strinse le ginocchia cercando di contenerne il tremito. Shane si sedette accanto a lei. Entrambi erano zuppi ormai, quindi non fecero caso agli scrosci obliqui di pioggia che li investivano. Eileen strinse gli occhi e i denti, tentando di scacciare dalla mente l’immagine di quella faccia sotto il pelo dell’acqua. Quando li riaprì cercò conforto nello sguardo del suo salvatore, pronta ad affrontare l’argomento.
     ‹‹Quando lo hai visto la prima volta?››, le chiese Shane, serio.
    ‹‹Ieri… ieri sera››. Le sembrava tutto incredibile, anche il fatto che fosse successo soltanto la sera prima. ‹‹Shane, come…››, non sapeva come continuare, ‹‹esiste››, finì per dire, in un tono misto fra il rassegnato e il meravigliato.
     Lui le restituì lo zippo con cui aveva dato fuoco alla camicia, ma lei respinse la sua mano. ‹‹Tienilo pure. È la seconda volta che mi salvi, stasera››, poi tornò ad abbracciarsi le gambe.

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