Lo sbaglio e la meraviglia

di Spettrodanima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi presento ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV ***



Capitolo 1
*** Mi presento ***


''Ho un ricordo sbiadito della persona che ero prima, prima di conoscere lui. E credo che questo valga più di tutti i ''ti amo'' che non ho mai avuto il coraggio di dirgli. Lui, la mia salvezza.''

 

''Driiiiiin driiiiin", la sveglia delle 9.30 sta suonando ed è il 12 novembre 2012. Questa mattina aprendo le finestre, come è mio solito fare, ho fiutato nell'aria nonostante fosse gelida, un profumo di primavera con tanto calore sul viso. Da quel raggio di sole, che stava per riscaldare l'intero paese e dare il via ad una bella giornata. «Vera, la colazione è pronta!», sentì urlare mia madre in lontananza dalla cucina. Mi dirigo verso la cucina sapendo già di trovare la mia solita colazione, che sa di ''buon risveglio, buona mattina, buona vita''. La mattina, io, mi sveglio con l'idea di voler guarire, guarire dalle piccole ferite che mi provoco da sola la notte stessa. Tutti abbiamo qualcosa di dannato addosso, ed io voglio trovarlo. Abbiamo una ''malattia'', che non ammala niente, ma che ci rende tremendamente instabili. Così, questa mattina mi son svegliata con l'idea di voler guarire, di voler sorridere, per non doverci cadere dentro, di nuovo. Tutti abbiamo bisogno di una giornata perfetta, e credo che dovrebbe esserci un sorriso, appena svegli, neanche fuori dalle coperte, che già sorridi. Poi una passeggiata, un caffè al bar, qualche carezza, qualche scherzo. A metà mattina, quando ti guardi intorno e scopri che non hai niente da fare, e ti metti a gironzolare per la stanza, felice. Con la voglia di fare cambiamenti, di appendere un quadro nuovo o di spostare anche solo un mobile e osservare la camera con aria soddisfatta e pensare «Ora si che va meglio!». A pranzo, sguardi cari, nessun rimorso, nessun rancore. Il pomeriggio ci si veste bene e si va in giro, a zonzo, per ore, senza disturbare il mondo, senza disturbare neanche sé stessi. Poi si arriva alla sera, a orario di cena e qualche titubanza sul ''cosa mangiamo?'' così dopo aver messo a dormire chiunque ne abbia bisogno ancora, prendersi tra le braccia la persona che ami, sorridergli e dirgli che è stata una bella giornata. Fa bene dirselo, ogni tanto. Passare anche un solo giorno così, che se ce la faccio almeno una volta nella vita, magari mi considererei fortunata. Un giorno così, anche uno solo, mi basterebbe. La sera poi, non pretendo così tanto, se mi va bene esco e prendo un caffè al solito bar, altrimenti un libro davanti al camino, una tazza di thè, e va bene così. D'altronde, non sono mai stata il tipo di ragazza da far festa ad ogni occasione, ma non mi sono mai dispiaciute, lo ammetto. Per qualche anno consecutivo, il fine settimana le mie amiche non facevano che dirmi «Vera, stasera ci sono ospiti speciali, non puoi assolutamente mancare alla serata.», così come tutti gli altri giorni, per convincermi ad andarci. Andando di questo passo, non sono mai mancata neanche ad un evento in discoteca, organizzate da quelle persone, quelle che poi incontri anche al bar e saluti giusto perché la sera prima li hai visti ballare a ritmo di musica hip-hop ma coi passetti dei Chipmunks. Che alla fine neanche sai come si chiamano e ti limiti a dirgli «Ehi bella serata ieri››, con tanto di pollice all'insù. Con il passare del tempo ho iniziato a sentirmi totalmente estranea a questo mondo, da questa generazione. Iniziavo man mano a distaccarmi dalle persone, le stesse che si definivano amici e che non facevano altro che deludermi, parlarmi alle spalle e giudicarmi. Per motivi validi, voi penserete. Il motivo ero io, che non assumevo il loro stesso comportamento, che non ragionavo come loro, e che già dopo un'ora desideravo soltanto starmene a casa, nella mia stanza, stesa nel mio letto, con le mie tranquille abitudini. Ma al mondo intero, non va per niente giù la questione che tu non sia uguale a loro, e per questo giusto motivo, secondo i loro ragionamenti, tu sei costretta a rimanere sola, in disparte con le tue "strane" abitudini, così definite dai campioni del mondo. Ormai siamo la generazione interrotta, quella che non arriva più al finale, ma va di replay in replay pur di non sentirsi ripetere che devi andare avanti. La generazione interrotta, dei precariati, dei sovversivi, dei disarmati, dei disobbedienti e dei treni in ritardo. Abbiamo avuto il futuro in mano e ce lo hanno strappato, dicendoci «Non sai come si usa, posalo subito››, l'hanno usato per noi e stiamo ancora qui, a chiedere quale prezzo sia quello giusto per non pagare colpe altrui. La generazione interrotta, ma ogni film interrotto ha più finali e allora siamo vivi, ed io appartengo alla generazione dei vivi, che nei film di fantascienza non credono più, mettendo su una commedia delirante, ma reale. Oggi invece, posso dire che solo l'odore dei drink mi fa arricciare il naso e voltare lo sguardo dall'altro lato, scuotendo la testa pensando ''no, non fa proprio per me'', e a dire la verità non li ho mai buttati giù con tanto piacere, parliamoci chiaro, gli alcolici hanno tutti un gran sapore di schifo, anche quelli alla frutta. Per non parlare del genere musicale che ormai è diventata una specie di moda ascoltarla, uno dei motivi che mi porta a distinguermi dalla massa. Perché le persone di oggi stanno diventando la rovina della semplicità che un tempo esisteva in ogni gesto, di qualsiasi ragazzo o ragazza di una volta, trasformando qualsiasi forma di esistenza dal vestirsi all'ascoltare musica, in una moda esclusivamente firmata ''la famosa generazione del film interrotto''. La realtà è che viviamo in un mondo dove siamo patetici dittatori della nostra vita, che vogliamo perfetta e mai lo è. Siamo perfettamente capaci di odiare qualcuno in eterno, ma se si tratta di amarlo c'è la crisi del settimo anno. Tentiamo di sognare anche ad occhi aperti, ma è il cervello chiuso che ci frega. Tradiamo con estrema facilità, salvo poi aggredire e disonorare altri che tradiscono. Non abbiamo più tempo per fare l'amore, ma tempo per la guerra lo troviamo sempre. Continuo, imperterrita tra me e me pensando «dannata generazione!››. Direi di averci proprio perso l'abitudine, o forse non è mai stata parte di me questo stile di vita da ribelle del venerdì e sabato sera. Ma ora sembra tutto così diverso, nuovo ed inaspettato, mentre penso di aver vissuto una vita che non è mai stata mia. Adesso mi sembra di tornare indietro nel tempo, percorrendo la stessa e identica strada, solo con un finale diverso. Fin da bambina, non ero mai stata ''popolare'', mi hanno sempre guardata con sospetto, ero quella coi sogni dentro gli occhi grandi. Il mio professore d'italiano, ricordo, conservò un mio compito in classe, e mi disse «tu farai grandi cose nella vita››. Ma i bambini s'avvicinavano poco, se non quando io ''cambiavo'' atteggiamento, smettevo di aver gli occhi bassi e iniziavo a far cose che facevano anche loro. Non amavo particolarmente stare lì a giocare con loro, a volte ero in un mondo totalmente mio, dove c'erano principesse e draghi, io ero sempre quella che andava salvata. E lì, caso strano, mi salvava sempre un principe. Da bambina, come ora, era raro che qualcuno capisse, fino in fondo, ciò che provavo. Sembravo solare ed aperta, ma avevo un mondo addosso che nessuno scopriva mai. Gli bastava ciò che dicevo. Sorridevo, ero contenta. Piangevo, era un capriccio. Allora da lì, ho imparato a tradirmi spesso, a far capire poco, a rendermi conto che, se qualcuno volesse o avesse voluto conoscermi, sarebbe bastato poco, ma nessuno se n'è mai accorto. E sin da bambina ho giocato con la mente a testa o croce. E non ho mai voluto la rivincita. Infondo sono sempre stata la tipa solitaria, quella che se ne sta in disparte, che odia stare tra la folla e che cammina a suon di spallate e sguardi pieni di noia. Io sono la ragazza che evita gli sguardi della gente, ma le osserva non appena nessuno la sta guardando. Quella che non si è seduta mai in fondo al pullman, solo per far casino insieme agli altri, sentendosi una massa di supereroi della Marvel, che poi chi ci si sente davvero non può esser altro che una fotocopia stampata male e stropicciata lasciata in un cestino. Quella, quella che, ai buffet, non s'avvicina mai, si vergogna e rimane senza mangiare, in silenzio. Quella che non dice mai niente, eppure ha un mondo dentro. Quella che ascolta, ascolta, ascolta, parla poco ma c'è, sai che c'è, è lì. Quella che ha paura, ma va avanti, come un carro armato. Quella che ha tesori nascosti negli occhi, ma li ha chiusi a chiave. Quella che si emoziona, piange e poi sembra che nulla sia successo. Sono quella che ha pensato di andarsene, di tornare, di capire, di scoprire. Quella che è tante cose, quella che sogna tanto e non dice mai cosa sogna, anche se quel che è successo nella notte è importante. Quella che ha avuto pochi amici e si è fidata di loro, quella innamorata persa, quella che sembra sempre più piccolina d'aspetto, quella che aspetta. Che poi aspetta non si sa cosa, ma si aspetta qualcosa. Quella che prende appuntamenti con se stessa, e non si presenta mai. Quella che, chissà cosa. Quella che. Non sono per niente una persona facile, io cambio idea, mobili, pensieri, io cambio rotte. Io non sono per niente una persona coerente, tengo stretto chi amo, tengo a me vicini i fantasmi sotto il letto. Io non sono per niente forte, mi si spezza l'universo con un inflessione di voce, mi tremano le mani, quando sento tempesta. Io non sono chissà che, ma qualcosa di buono ce l'ho, è solo che lo nascondo tra le parole che nessuno legge. Io son così, creo tragedie immani, mi maschero da asociale e tiro dritta. Ma tutto mi spezza, ogni cosa mi illude, qualsiasi parola mi fa rimanere a bocca aperta. Io non ci credo, dico. Poi credo a tutto, o almeno ci spero. Io creo storie, che poi rendo vere ed invento sogni, che sarebbe meglio non mantenere. Sono una favola, di quelle che non finiscono. E sono una storiella, di quelle che racconti davanti al camino, per far sorridere un po' chi ti sta a sentire. Volevo fare la principessa, un tempo, ma mi hanno detto d'esser guerriera.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***


Non ho mai avuto un gran talento nel riuscire a parlare di me stessa, con nessuno. Non mi sono mai raccontata neanche ad un'amica, neanche ai miei genitori, non l'ho proprio mai saputo fare. «Sarà perché sono così estremamente complicata?», mi chiedo tra me e me, stando seduta sul letto riflettendomi allo specchio. E pure, so per certo che se ci provassi ci riuscirei perfettamente, ma forse la verità è che io non voglio assolutamente parlar di me, perché se proprio dovessi farlo uscirebbe una storia tipo così: " Mi presento, sono Vera. Ho ventun'anni e son cresciuta tra asfalto e palazzoni, tra quei mostri grigi che chiamano città. Con una vecchia ferrovia vicino al mare, che se ci entravi era un museo di treni antichi. Son cresciuta anche tra villette a schiera di fronte ad una terra abbandonata, dove spesso andavo a giocare con i miei cani, quand'ero ancora una bambina che giocava a far la guerra con uno scudo ed una spada, fatti di cartone. Mura di casa dalle quali a volte uscivano voci ed urla. Non amo la gente, o almeno non più, eppure ne scrivo poesie. Li guardo, quelli che vanno, dal mio balcone. Ne scrivo poesie, giuro. Non hanno rime, non hanno metriche. Sono ferme, hanno solo emozioni. Ci sono persone che riescono a farmi dare il peggio di me, riescono perché io so essere cattiva solo davanti ad altri cattivi. Ci sono quelle determinate persone che rendono la mia vita un inferno solo perché hanno il potere di farmi essere nervosa in loro presenza. E' da loro che si fugge, è da loro che si sta lontani. Perché altrimenti si cade, e si cade forte. Poi ci sono persone che non sanno fare altro che farmi sorridere, ed io, per sbaglio fuggo anche da loro. Per paura, per codardia, per salvarmi dalla felicità. «Io diventerò una scrittrice.››, mi dicevo. Me l'hanno anche detto in molti, ma io non ci ho creduto mai. Io scopro l'amore attraverso le parole, e ne racconto pezzi. «So scrivere, ma non so parlare, ne' capace di stupire con uno sguardo, non riesco a tener discorsi, non sarò mai una leader.››, io dico. So scrivere, e pratico l'arte in silenzio, combattendo a parole. Io, se scrivo, giuro che divento un'altra persona e so parlar di me. Ne parlo scrivendomi poesie, e mi dico ciò che vorrei sentirmi dire. Capita, ogni tanto, che mi dedico parole che sanno un po', anche solo a malapena d'amore. Io sono un misto di sentimenti forti e lacrime leggere, un misto tra dolcezza ed esplosione di colori. Sono un idea geniale e banalità a vagonate. Sono mille cose, sono un sacco di trappole per me stessa, e mi fido del buio, anche quando mi fa terribilmente paura. Non è vero che io son così, io sono cambiata. Non è mica vero che lo sono sempre stata, è solo che non mi ricordo più cosa facevo prima. Non è vero che ho sempre lottato, c'è stato anche un tempo in cui cercavo la pace e sono arrivati armati fino ai denti. Armati di parole, bugie, pensieri. Pur sempre armati. Non dimentico mai niente, perché le parole rimangono attaccate alle ossa. Io ho paura, ho coraggio, e altre volte proprio no. Ho paura del buio e della luce del giorno, ho paura del vento, della pioggia, delle tempeste, dei rumori, e del caldo, del sole, dell'aria di primavera. Mi spaventa quasi tutto. Ma ho anche coraggio da vendere, perché ce ne vuole per vivere una vita come la mia. Tra grida, pianti, rabbia, botte, dolori, rumori, cicatrici, gioie interrotte, felicità nascoste, delusioni, mura rotte fredde e buie. Di tutte le notti passate a corrompermi l'anima, le notti insonni, i passi della notte, il ticchettio dell'orologio, e caffè infiniti. Di tutti i giorni andati, dei discorsi amletici svenduti per niente. Dei diari segreti, delle paure prese, delle parole perse. Del tetto spiovente, della pioggia, della mia età, delle mie cose, dei miei sogni, dei miei segni, delle cicatrici, del sole, delle valigie, di tutto quello che ho aspettato, di tutto quello che ho temuto, di ciò per cui ho tremato. Di tutto questo io sono stufa, ho avuto la voce stanca, come quella di chi aspetta sempre d'esser ascoltata. Ho sempre lasciato un pezzo di me ovunque andassi, fossero scarponi, fossero poesie. Non ho mai avuto rispetto per nessuna delle mie emozioni, ma mi son tenuta strette nel tempo le lacrime di ciò che non poteva tornare. Io ho due sogni: uno è andarmene, l'altro rimanere. Sono in bilico e non so che fare, prendere e partire è sempre un problema, rimanere è sempre una sfida. Ma io non mi sono mai posta troppi problemi, ho fatto sempre il saltimbanco tra le facce stupide della gente ed i sorrisi finti. Io non saprei dove andare, perché mi son persa troppe volte e non saprei come tornare. Faccio come i gatti io, tento le fusa, per dar graffi. Non amo il mio nome, ne' il timbro della mia voce, ho ventun'anni e non credo più in niente. Lascio appassire le rose per raccoglierne i petali ed attaccarli nei miei diari segreti, perché io ho troppi diari segreti. Nei miei disegni lascio correre gli errori, perché «nessuno vive senza errori», mi son sempre detta. Ho imparato che le ferite non si guariscono mai, ma ora so che posso andare. Perché so che le ferite non sono altro che trofei." Ecco, ne verrebbe fuori una cosa tipo così, ed io non vorrei mai annoiare nessuno con la storia della ragazza che con la scusa di far la guerra con se stessa, fa la guerra anche con il mondo. Io sono una di quelle strane persone che non ama spiegare le cose, ma vorrebbe che gli altri le capissero. E quella volta che capita, mi stupisco come non mai e sento i brividi assalire la mia schiena, quasi come quando vedi un numero di magia e ne rimani incantata. Mi viene facile malcomprendere le persone, e sono una difficile comprensione. Mi vesto spesso di malinconia, come oggi. La notte, guardo la pioggia andare e mi sono accorta che guardo le cose, immaginandone altre, e realizzando tutt'altro ancora. So parlare di tutte quelle emozioni che non riesco mai a dire, e sono un vulcano di parole, che non servono a niente. Perché quelle come me hanno la vita piena di se', e come arma, hanno un fucile pieno di parole. Che non sanno d'amore mai specificamente, ma ci somigliano tanto. La cosa che più mi stupisce di me è il modo con cui abito me stessa da una vita e mi sento l'ospite indesiderata. Da sempre. Un giorno, magari, mi darò lo sfratto. O mi dirò "benvenuta". Io sono l'appuntamento con me stessa, a cui non mi presento mai.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***


È il 1 gennaio del 2013. Oggi mi sento particolarmente bene, mi sento libera da tutto quel malessere che mi ha perseguitata fino a ieri. È stata un'esperienza alquanto terribile quella di due mesi fa. Ebbene sì, anche io sono stata lasciata per un'altra. L'altra si chiama vita, quella che non poteva avere stando con me. Avete presente quando esci di casa ed hai la sensazione di aver dimenticato qualcosa, eppure sembra che tu abbia tutto lì con te? Ecco, diciamo che la mia esperienza è stata un qualcosa del genere, paragonabile a questo banale esempio. Sono stata illusa e presa in giro, sono stata usata come una bambina gioca con Barbie e Ken a farli innamorare. Sono stata convinta del fatto che se avessi cambiato città, sarebbe cambiato tutto. Certo, qualcosa è cambiato, solo nel peggiore dei modi. Non sapevo esattamente cosa significasse cambiare di punto in bianco la propria vita, fino a quel giorno. Ho lasciato la mia famiglia, gli amici, la mia città, il mio posto di sempre, le mie abitudini, tutto. Certo è che i ricordi che ho di quel posto, non li dimenticherò mai. Non dimenticherò mai le amicizie nate con il prendersi in giro del fatto che sono del Sud, forti legami che si son creati con il passare dei mesi, l'unico ricordo positivo che ho di questa esperienza, sono solo gli amici. E che dire, sono stata ricambiata con un bel calcio nel sedere, con tanto di valigie enormi, quasi più alte e più pesanti di me, in un treno, in un altro, e poi un altro ancora, da sola. Mi son persa, non trovavo il binario e stavo per perdere la partenza. «Hai bisogno di una mano?», mi chiese con tanta premura una ragazza sconosciuta. Avvicinandosi a me e sollevando una delle mie enormi valigie, mi accompagna giù alle scale, mi sorride e se ne va senza neanche darmi il tempo di ringraziarla. D'altronde di tempo non ne avevo per niente, dato che dovevo correre, correre e correre per cercare ancora il binario del treno che mi avrebbe poi riportata a casa. Mi ricordo ancora che sapore aveva quell'aria che respirai, appena scesi da quell'ultimo treno, finalmente ero nel mio posto, dopo un lungo viaggio più che straziante. Ero a casa e potevo piangere, potevo sfogarmi, potevo urlare, dopo aver trattenuto le lacrime per dieci ore di viaggio. E pure qualche lacrima scappava giù dagli occhi, ma era davvero fastidioso essere osservata dalle persone sedute di fronte a me, con sguardi ed espressioni del loro viso più o meno dispiaciuti. Una volta tornata a casa, c'erano i miei cagnolini lì ad accogliermi con una grande festa, ed i miei genitori sorpresi, felici e preoccupati allo stesso tempo, di vedermi. Eh gia' non li avevo per niente avvisati del mio ritorno, per non farli appunto preoccupare. Non ho mai voluto fargli avere ulteriori pensieri di quanti non ne avessero già per conto loro. Ma ho comunque tutto il tempo a disposizione per spiegargli cos'è successo e come. In realtà non c'era molto da dire, si sa, le convivenze la maggior parte delle volte, non vanno mai a buon fine, soprattutto se non conosci perfettamente la persona che ti è accanto. Cinque mesi son stati pochi e son stati tanti, ed ho capito che se non stalkeri l'altra persona non potrai mai fidarti di lui. Ovviamente, sono ironica, è solo che ho capito che per fidarsi almeno un po' bisogna osservare a fondo ogni aspetto, comportamento, frase, parola dell'altra persona. Non è vero che dipende tutto dal fatto che bisogna dargli spazio, libertà o quel che sia, perché per farlo io mi son beccata un bel fermaglio per i capelli con tanto di corna da renna di natale. Non so se mi spiego. Dunque ritornando ad oggi, credo di non aver mai avuto una lezione di vita come questa. Non ho bisogno d'esser triste o in lacrime, piuttosto d'esser tremendamente felice e fortunata. Perchè io ho bisogno di parlare, di far bolle di sapone e di ridere da persone serie. Ho bisogno di parlare e di dire cose che ripeterò cento volte, ma di sentirmi ascoltata. Ho bisogno di non esser lasciata da parte, di avere un piede a terra e l'altro sulle nuvole. Io vorrei parlare così, alla come viene. Io ho bisogno di parlare. Non esiste una persona che non ne abbia bisogno, la gente ha fame di ascolto, e rimane digiuna, perché nessuno lo fa mai. E allora scrivo per parlare e la voce, quella che mi fa battere poi i tasti, diventa l'interlocutore principale. La gente ha bisogno di parlare, ma la lasciano sempre lì, ad aspettare. Abbiamo tutti un occhio nero, chi perché non ha dormito, chi perché ha fatto a botte con qualcuno o con se stesso, e chi perché si è innamorato. Ma nessuno mai ne racconterà la provenienza, di quell'occhio dolorante. Nessuno. A qualcuno è passata la botta, a qualcun'altro invece è visibile ancora, e lo nasconde sotto un paio di occhiali da sole. Noto che il via vai quotidiano è fatto di passi rumorosi di gente arrabbiata. Ho letto scritte sui muri di chi era arrabbiato, innamorato, triste o felice. Ho visto bandiere alzarsi ed altre calarsi all'arresa. Ma la gente arrabbiata è sempre piena di qualcosa simile all'amore, le persone che lottano sono innamorate e per quell'amore li vedi scrivere sui muri o sulla sabbia. La gente arrabbiata sa amare.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV ***


Non ho mai amato la mia vita, ma non ho neanche mai invidiato quella degli altri. Ho sempre saputo accettare quel che mi è stato donato, fosse stato qualcosa di marcio o qualcosa di buono, ho sempre preso il tutto a due mani, come quando si raccoglie l'acqua da un ruscello e la si beve comunque con dolcezza, perché sai che è vitale. Crescendo, mi sono abituata. Mi sono abituata a conoscermi, a parlarmi, a guardarmi, a farmi male e a farmi bene. Mi son fatta strada nel mondo, con la mia corazza ed una faccia tosta che mai avrei immaginato di poter avere, quasi come dire: ''Fate spazio, io esisto!" . C'è solo un problema, penso. È solo che io non mi ricordo più, non mi ricordo più cosa significa ridere veramente, ridere a crepapelle, con la pancia in mano, il fiato che ti manca e le mascelle che ti fanno male. Uso tutti giorni delle scarpe antinfortunistiche per non farmi caplestare i piedi, un giubbotto antiproiettile per non farmi colpire mai di faccia e mai alle spalle, ed infine una maschera sorridente per non farmi dare il colpo critico, quello finale, guardandomi negli occhi e scoprire che nel volto, in realtà c'è la stanchezza e la tristezza di qualcuno che non ricorda più cosa significa esser felice. È da ventun'anni che gioco a mettere insieme un puzzle, cercando di far coincidere al meglio i pezzi mancanti, quelli giusti. Ma spesso ho tentato di far combaciare quelli sbagliati, rischiando di rovinarli o addirittura romperli. A volte ci sono riuscita ed altre no, forse un giorno completerò tutto questo, nel migliore dei modi o nel peggiore, ma so che quando accadrà, sarò comunque fiera di come avrò passato il tempo mettendoci tutta me stessa, per costruire quel quadro che guarderò poi con soddisfazione, appeso al chiodo dorato che a me piace chiamare ''trofeo della vita''. A volte ho rischiato di affogare, arrendendomi. Mi son sorpresa per tutto ciò che non ero capace di fare, di dire, di pensare, perché non lo facevo da troppo tempo. Ero in balia di qualcosa che sembrava felicità. Ho chiesto un risarcimento alla fortuna, che non è mai arrivato, vedo che c'è il sole, ancora in alto, e mi son accorta che scrivevo in maiuscolo tutto ciò che per me era importante, poi ho strappato i fogli. Torno ad affogare, ma non m'arrendo, perché me l'ha detto qualcuno che chi si ferma è perduto. E sono stanca di perdermi, anche se non mi sono mai fermata. Ed è un bluff, in grande stile, ma pur sempre un bluff. Tutto torna ed io continuo ad andare, a volte torno ad affogare, come se non ci fosse null'altro. Sfodero il miglior sorriso, perché so che c'è chi ne ha bisogno. Sono un che parla poco, che non parla quasi mai, che ripete le stesse cose, che aspetta un ''parlami di te''. Sono una che torna ad affogare, ogni tanto, ma ne esco viva. Ne esco con i capelli bagnati, facendo fatica anche a respirare, ma ne esco viva, alla fine. Non mi piacciono le sconfitte, e credo d'esser nata guerriera proprio per questo. Lotto e vado controcorrente, controvento, contromano e contro le nuvole. Navigo da sola pur avendo paura della solitudine, ma è così che ti fai forza nella vita, altrimenti ad appoggiarsi sempre sulle spalle altrui, si rischia di cadere e farsi male. Io non credo nella rinuncia, cammino veloce e so perfettamente cosa non dire, ma poi mi fermo, distratta, a guardarmi intorno, specchiandomi nel riflesso di una macchina o di una vetrina. E ce ne sono tante di donne guerriere, le vedo ovunque. Le vedo dietro al bancone di un bar, sedute al tavolino a prendere un caffè, sorridono e negli occhi riesco a vedere il combattimento che c'è dentro di loro. Le vedo in giro per il paese, per le strade, sulla riva del mare, le vedo quelle che fanno la lotta con se stesse, con un'armatura invisibile, ma che le aiutano a difendersi alla grande. Alla fine se ci penso, sono forte io. Sono forte, perché ce l'ho fatta. Respiro, più o meno, diciamo che faccio un po' fatica per colpa delle sigarette. Vivo, alla come viene, ma vivo. Sono forte, perché ho paura e tiro dritta, sempre. Sono forte, perché mi hanno detto di andare a fare la guerra e ho avuto il coraggio di urlare ''non in mio nome''. Sono forte, perché mi son lasciata travolgere, ma mai affondare, se non per colpa mia. Sono forte, quando una lacrima mi scorre sulle labbra e voglio sapere se è salata. Sono forte, perché, anche se mi hanno presa e appesa al muro, li ho guardati sorridendo, alla fine. Sono forte, anche ora, che scrivo dannandomi di continuo, chiedendomi scusa, ritornando ad esser viva. "In ogni donna v'è tempesta e naufragio", penso io. Le donne, crescono nello stesso modo in cui lo fanno i fiori. Si accorgono di esser donne e vorrebbero fiorire, il cemento tiene strette le scarpe sulla terra. Donne con gli occhi che guardano al primo amore, senza scomporsi per il tempo che arriva veloce, e cadono, tremendamente, guardando uomini indifferenti. E si fanno chiamare "tesoro" da uomini che non le ascoltano e che di tesoro non ci trovano proprio niente in loro. Donne di casa, di vita, di strada, di ufficio, di niente. Donne stufe di esser solo femmine. Donne, donna io, che cammino invidiando il vento. Ora non tratterrò il respiro, di nuovo. Credo nella coerenza del pensiero, nel mio sentirmi stabile e instabile, credo nei miei malesseri passeggeri che diventano stazionari. Credo nelle lotte che raggiungono quelli che prima erano in silenzio e credo nelle parole strozzate, quelle che stanno in gola e non escono più. Credo nei doppi sensi, quando non hai altro da dire. E mi ritengo una persona che ha avuto la sfortuna di non saper correr dietro la fortuna. Ed ora ho un livido sul viso che sembra un sorriso.

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