Love on the Ground

di RiverWood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Chapter 6. ***
Capitolo 7: *** Chapter 7. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


 

L'amore, sulla terra, non è sempre delicato; non è sempre gentile.  A volte, l'amore è una mano attorno al collo e una lama alla gola.

A volte, l'amore attira il sangue.

L'amore, sulla terra, è indomabile. È selvaggio e inflessibile, ti sta attaccato alle calcagna. Quando lo si evita, l'amore s'impone, e quando si ha bisogno di esso, l'amore, beh... l'amore può scivolare tra le dita.

L'amore, sulla terra, persevera. Le bombe hanno distrutto tutto, lasciando l'ombra delle creature e la dannazione dietro, a testimoniare ciò che è stato fatto. Ma l'amore non può essere irradiato. L'amore non può essere rigirato e piegato per mano dell'uomo, le sue molecole non possono essere deformate, la sua essenza non può essere contaminata.

L'amore è amore è amore.

È l'unica cosa per cui vale la pena lottare. Anche qui.

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Clarke non riesce ad incontrare gli occhi di Lexa quando pressa il pugnale alla sua gola.

Lei non è chi Clarke vuole ferire e lo sa, nel profondo, sotto i pezzi di lei che sono stati fatti a brandelli, che non potranno mai essere ricuciti insieme.

Due respiri dopo lei si acciglia perché il coltello è ancora nella sua mano, perché il potente comandante – l'Heda – non sta nemmeno provando a disarmarla. È ancora peggio quando Lexa si sporge verso la lama, offrendosi alla minaccia vuota.

Clarke afferra il manico e la spinge all'indietro, e odia se stessa per sperare che non abbia ferito la sua pelle.

"Reagisci." dice, esile e disperata.

"Lo sto facendo."

Lexa la fissa, il mento alto e la sua voce è ruvida a causa della forza esercitata sulla sua trachea.

Un'altra parte nascosta di Clarke viene strappata via a quel suono, alla realizzazione che dovunque lei vada il dolore segua le sue tracce.

"No, non lo stai facendo."

Lei sposta il suo peso, indietreggiando di un centimetro, pregando Lexa di intervenire, di forzare la lama dalle sue mani e di spazzare le sue gambe dal terreno. Che sollievo sarebbe essere scaraventata sul pavimento freddo e duro.

"Non tutte le armi possono essere viste, Clarke."

La speranza divampa nel suo petto per un istante, al pensiero che forse c'è stato un coltello puntato tra le sue costole per tutto questo tempo. Ma quando finalmente incontra gli occhi di Lexa, nota che sono bagnati – praticamente colmi – e la colpisce il fatto che stanno combattendo due battaglie del tutto distinte.

Le sue ginocchia cedono e lei cade a terra, il pugnale rumoroso sui mattoni. C'è un singhiozzo asciutto che si forma nel suo petto, e lei lo tiene lì, godendo della sua stessa debolezza.

Lexa s'inginocchia accanto a lei, le mani coperte dai guanti posate sulle sue cosce. Ne solleva una di un centimetro, prima di piegare le sue dita in un pugno e riportarla indietro. Restano in quella posizione per alcuni momenti – Clarke piegata in due in agonia mentre la causa del suo tormento è una silenziosa presenza al suo fianco.

Inizia orrendamente a diventare confortante.

"Ho bisogno di odiarti," sussurraClarke, mantenendo lo sguardo sulle mani di Lexa. "Tutto ciò che ho fatto, dev'essere colpa tua." La sua voce si spezza e le nocche di Lexa sbiancano. "Altrimenti, come posso vivere con me stessa?"

Fuori dal suo perimetro, Clarke vede Lexa abbassare la testa in un debole cenno. Poi Lexa rilassa le sue dita e pressa il palmo sul pavimento, a qualche centimetro di distanza dal ginocchio di Clarke.

Ci sono tracce di sporco sotto le sue unghie e alcune cuticole sanguinano, proprio come le sue.

Clarke non vuole farlo, ma la sua mano sinistra scivola in avanti e atterra con un morbido tonfo sui mattoni. I loro mignoli quasi si toccano.

Lexa emette un respiro tremante.

"Mi odio abbastanza per entrambe."

 

 

 

 

 

 

 

Note conclusive:  "Ma questa tizia non ha nient'altro da fare che pubblicare fanfictions?" so che l'avete pensato. Ammettetelo. 

Ad ogni modo, la prima cosa da dire su questa ff è che non è mia, si tratta di una traduzione. 

Ho, ovviamente, chiesto il permesso dell'autrice e lei mi ha detto che sarebbe stata felicissima della cosa :') 

Per chi volesse trovare la storia originale, basta andare su "ao3" (Archive Of Our Own) e cercarla, il titolo è appunto "Love on the Ground" e il nome dell'autrice è "thebaddestwolf".

Non so se effettivamente i link su efp funzionano (non ho mai provato ad inserirne uno) ma intanto ve lo lascio: http://archiveofourown.org/works/5641144/chapters/12991297

Ho deciso di tradurla perché l'ho trovata meravigliosa, ma per chi non fosse fluente in inglese ho pensato che valesse la pena averla anche in italiano. Non cambierò assolutamente nulla dalla storia originale, a parte qualche parola per poter rendere meglio il concetto in italiano, ma immagino sia normale. 

La storia originale è divisa in soli 3 capitoli, come se fossero diversi mini episodi di ciò che succede. Io ho deciso di spezzettarla ulteriormente in modo da facilitarmi la traduzione e di conseguenza non far passare troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro :') 

Detto ciò, non sembra che ci sia dell'altro, se non che la storia prende viva dal momento in cui Clarke arriva a Polis, quindi potrebbe considerarsi spoiler per chi non ha ancora terminato di vedere The 100. 

Per chi invece segue la programmazione originale sa bene che le cose non sono andate così, ma fingiamo che lo siano per il bene di questa splendida ff :')

See you!  

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Clarke rimane a Polis.

È il percorso di minor resistenza, o almeno questo è quello che si dice. Inoltre, lei è stanca di scappare.

Lexa fa in modo che lei abbia una stanza nell'ala opposta alla sua del palazzo di stato. Dietro la sala cavernosa dove i capi dei clan si riuniscono. La prima cosa che Clarke fa è nascondere la sua pistola sotto un'asse del pavimento sotto il suo letto.

Lexa le assegna un'assistente che si chiama Dinah – una donna gentile con delle rughe accanto agli occhi che le pettina i capelli e si assicura che lei mangi almeno un po', anche nei giorni negativi.

Ogni tanto, quando la donna controlla prima di andare a letto, menziona novità che ha sentito sulla Skaikru e Camp Jaha. Le dice che loro stanno essiccando carne per l'inverno; stanno costruendo baracche che li terranno al caldo durante i mesi freddi.

Clarke sa che queste sono parole di Lexa pronunciate da un'altra bocca, ma lei riesce a trovarvi comunque conforto.

Per il resto, il comandante la lascia stare.

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Il tempo è una cosa divertente.

Prima delle bombe, erano soliti dire che il tempo guarisce. Ma si sbagliavano – il tempo è come una crosta, si stratifica s'una ferita fino a quando azzera il dolore.

Queste croste diventano più spesse nel corso del tempo, ma la pelle nuova non cresce mai. La ferita è sempre aperta anche dopo anni.

Clarke non è sicura di quanto tempo sia passato quando per la prima volta si avventura fuori dal palazzo di stato. Inizialmente, non va più lontano di qualche isolato prima di ritirarsi nella sua stanza, ma presto non riesce più a sedare l'irrequietezza delle sua gambe a lungo e passa intere giornate camminando per la città.

Polis vibra in un modo che non credeva possibile esistere. È come se la città stessa fosse viva, e non solo le persone in essa. I mercanti cantano, i bambini ridono e lei capisce perché i guerrieri della Trikru sono disposti a morire per difendere questo posto.

Clarke impara ad evitare le strade affollate, dove le persone chinano il capo quando lei passa e mormorano parole gentili e ringraziamenti.

Si domanda che cosa Lexa abbia detto loro. Questo fa strappare la crosta di netto.

- - - - - - - - - - - - -

È ridicolo, perché vivono tecnicamente nello stesso palazzo, ma non s'imbatte mai in Lexa.

C'è una parte debole di Clarke che si aspetta di trovarla dietro ogni angolo ed è delusa quando, volta dopo volta, lei non è lì. Inizia a vagare per il palazzo di stato allo stesso modo di come vaga per la città, dicendo a se stessa che vuole soltanto esplorare le librerie che c'erano prima della guerra e le sale da riunione decorate. Le creazioni del passato sono una compagnia migliore dei fantasmi del suo presente.

A volte, quando si sente avventata, scivola nell'altra ala residenziale e cammina lentamente lungo i corridoi, trascinando le dita lungo le pareti scheggiate. I suoi movimenti non sono silenziosi o furtivi ma, in qualche modo, non vede mai anima viva.

Una notte, Clarke chiede a Dinah se l'Heda sia in città.

"Oh sì." lei risponde con un piccolo sorriso.

Non dice nulla di più.

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La mattina seguente, Clarke gira un angolo e Lexa è lì.

È in piedi nel corridoio che conduce alle cucine, dove Clarke si ferma sempre alle prime luci dell'alba per prendere della frutta prima d'iniziare la giornata. Anche se lei deve essersi aspettata il suo arrivo – deve averla aspettata – la bocca di Lexa si spalanca, e ci vogliono alcuni secondi prima che i suoi lineamenti ritornino nella loro morsa d'acciaio.

L'accenno di vulnerabilità rilassa i nervi di Clarke e lei vacilla solo un po', prima di riprendere il suo passo rapido. Si obbliga a mantenere gli occhi fissi su Lexa mentre si avvicina, ma non si fida abbastanza di se stessa tanto da guardarla in viso.

Invece, lascia che i suoi occhi scivolino verso il basso, osservando gli abiti informali del comandante e il piccolo fagotto sotto un braccio. Quando è circa ad un passo di distanza, Clarke si ferma e, mentre fa risalire il suo sguardo, Lexa si sposta sui piedi.

I suoi occhi sono impassibili come sempre quando alla fine Clarke li incontra, ma la sua mascella è serrata. Deglutisce prima di parlare.

"Clarke." la sua voce si spezza e lei si schiarisce la gola "Sembri stare bene."

"Davvero?" Clarke prorompe in una risata asciutta e getta uno sguardo lungo il suo corpo; ai suoi jeans che fasciano allentati i suoi fianchi e le macchie sulla sua maglietta che non vengono via, non importa quanto Dinah strofini forte. "Se questo è ciò che s'intende per 'bene' devo proprio aver avuto un aspetto terribile prima."

Gli occhi di Lexa seguono il suo sguardo, poi scattano di lato.

"Ti ho portato dei vestiti più caldi," dice, porgendole il fagotto. "Non hai portato molto con te, e i nostri inverni sono rigidi."

"Grazie." Clarke lo prende e passa le dita sopra il tessuto e la pelliccia morbida.

Aspetta per qualsiasi cosa sia in procinto di avvenire, perché la consegna degli indumenti stagionali chiaramente non è uno dei doveri del comandante. Forse sta per dirle che ha abusato della sua ospitalità, o che dovrà pagare il prezzo per aver minacciato la vita della leader della Trikru.

Ma Lexa annuisce soltanto e torna sui suoi passi, camminando via velocemente. La vista fa stringere lo stomaco di Clarke e lei chiude gli occhi, allontanando i dolori acuti del tradimento.

"Lexa," chiama, quasi senza realizzarlo.

Quando riapre gli occhi, Lexa è ferma alla fine del corridoio, che la guarda con le sopracciglia sollevate. Clarke espira con il sollievo di aver avuto un altro momento.

"Clarke?"

Non sa come spezzare questo silenzio, questa distanza. Ci sono delle scuse che ha bisogno di sentire e quelle che ha bisogno di dire. Ci sono rabbia e risentimento che ancora si agitano in lei, e pensa che se urla a voce alta e abbastanza a lungo potrebbe forzarle a venire fuori. Poi c'è l'ala spezzata di un'anima che vuole essere guarita fino a quando potrà continuare ad andare avanti.

E, da qualche parte tra tutto questo, c'è una ragazza alla fine del corridoio che pronuncia il suo nome come se significasse qualcosa di diverso.

"Io--" inizia, poi scuote la testa.

Le sopracciglia di Lexa si aggrottano quando comprende l'angoscia che dev'essere scritta sul volto di Clarke. Chiude gli occhi il tempo di due battiti, quando li riapre annuisce semplicemente.

"Non è necessario dirlo."

Dopo un ultimo sguardo lei sparisce, lasciando solo il rumore dei suoi passi a rimbalzare tra le mura. Clarke si sente tanto vuota quanto lo spazio fra gli echi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Clarke non riesce a credere alla sua fortuna quando lo trova.

Una serie di gallerie fortificate che passano al di sotto di Polis e che i Grounders usano per vari scopi, da armerie ad essiccatoi a celle di prigione. Clarke sa che esistono da prima delle bombe perché hanno scalini di cemento e pareti piastrellate. Ma non riesce a ricordare quale fosse il loro scopo originario.

Prima lo sapeva, ne è sicura -"Abilità Terrestri" era il suo corso preferito, insieme ad arte – ma la sua mente è troppo torbida adesso. Questi ultimi mesi hanno sollevato così tanta polvere nelle sue funzioni cognitive che lei non è sicura se smetterà mai.

Ma quando lo trova – un tratto non utilizzato dal tunnel nella periferia della città – crede che potrebbe esserle d'aiuto. Perché c'è tranquillità sottoterra, con le delicate lame di luce del sole che filtrano attraverso le crepe del soffitto.

Qui può essere veramente da sola. È un posto libero dagli sguardi di gratitudine degli sconosciuti, un posto senza un'anima per trasmettere le sue azioni indietro a Lexa.

Forse qui – seduta contro un muro coperto di fuliggine e con i suoi stivali appoggiati su una barra di metallo – può ritrovare la ragazza che era.

- - - - - - - - - - - - -

Lexa, improvvisamente, continua a farsi vedere.

Clarke la vede nelle strade, fuori dalla sala del consiglio, nel percorso che conduce alle terme.

Il più delle volte, Lexa incontra i suoi occhi e annuisce. A volte, se è occupata, Clarke passa non riconosciuta, tuttavia non sente mai la sua presenza non registrata.

Presto, si ritrova a cercare Lexa ogni volta che lascia la sua stanza, anche se si rifiuta di dare un nome alla sensazione che sente crescere nel suo petto quando trascorre un giorno senza che l'abbia vista.

(Non è delusione.)

(Decisamente no.)

- - - - - - - - - - - - -

E non è nemmeno entusiasmo, quando la trova nella biblioteca.

Lexa sembra quasi colpevole quando Clarke inciampa su di lei in un angolo soleggiato della stanza, seduta tra due alti scaffali con un libro aperto poggiato sulle ginocchia. Se non l'avesse conosciuta meglio avrebbe pensato di averla fatta trasalire – poiché Lexa era così presa dalla storia da essere ignara dei suoi pesanti passi da Sky People.

"Oh, scusami, non avevo idea che tu fossi qui." Clarke esita mentre Lexa chiude il libro e lo poggia a terra prima che lei abbia occasione di cogliere il titolo. "Vado."

Le sue gambe, tuttavia, sono inchiodate sul posto, e l'angolo delle labbra di Lexa si solleva.

"No, resta," dice "C'è qualcosa di cui dobbiamo discutere."

"Okay." Clarke si siede di fronte a lei, poggiando la schiena contro lo scaffale opposto. Essere così vicina a Lexa per la prima volta in settimane la rende ansiosa, così prende il libro più vicino da raggiungere e sfoglia le pagine per soddisfare l'irrequietezza delle sue mani. "Dimmi pure."

Lexa cerca il suo volto. "Cosa speri di ottenere dal tuo tempo qui?"

"Uh, non ne sono sicura." Lei alza una spalla. "Onestamente, non ho davvero pensato a lungo termine da quando sono arrivata qui. O da quando sono andata via da Camp Jaha, in realtà." Clarke deglutisce, spingendo via quei pensieri. "Perché lo chiedi?"

Lexa allunga le gambe di fronte a lei e muove la sua mano sinistra fino al fianco, come se cercasse l'impugnatura della sua spada. Quando non la trova, poggia le mani in grembo.

"Ci sono alcuni che mettono in discussione le tue motivazioni," dice. "Molti sono grati del tuo ruolo nella liberazione della nostra gente dalla Montagna, ma altri si fanno delle domande. Ti vedono percorrere un sentiero diverso ogni giorno e temono che tu stia perlustrando la città. Che io abbia lasciato entrare una spia dentro le nostre mura."

A Clarke sfugge una risata prima che possa fermarsi, perché la maggior parte dei giorni sente come se riuscisse difficilmente mettere un piede davanti all'altro. Che spia che sarebbe.

"Tu sai che non è vero, giusto?"

"Lo so." Lexa annuisce. "Ma ho bisogno di un'alternativa credibile da riferire agli oppositori – una che tu non smentirai."

Clarke ghigna. "Dì loro che sto disertando."

"Non è divertente," dice Lexa, e qualcosa nel modo in cui la guarda fa dissolvere il sorriso di Clarke.

"Va bene." Clarke si concentra sul suono che fa la carta quando il suo pollice esamina le pagine. "Dì... dì che mi sto riprendendo. Ho una ferita che non guarirà – una che non possono vedere."

Il comandante sembra considerare ciò che ha detto, poi prende il suo libro, la questione apparentemente risolta.

"Quello ti piacerà," dice, annuendo in direzione del libro tra le mani di Clarke. "Parla di un guaritore che riporta un uomo in vita dalla morte utilizzando un fulmine. Tuttavia, gli altri credono che la persona sbagliata sia il mostro."

Clarke pensa all'alleanza che è iniziata quando sua madre ha fatto tornare un mietitore in un uomo utilizzando un altro tipo di fulmine, e le sue dita si stringono sul dorso del libro.

"E il tuo? Di cosa parla?"

"Questo fa parte di una serie," lei dice. "Dei ragazzi che vengono lasciati in un'arena e costretti a combattere fino alla morte."

Clarke ridacchia e scuote la testa. "Ma certo che leggi quello."

Lexa sporge il mento. "Ci sono anche momenti di tenerezza."

"Ci scommetto." ripone il libro al suo posto nello scaffale e inizia ad alzarsi. "Non mi sento ancora pronta per questo."

"Aspetta." Lexa si siede diritta come se stesse per bloccarla dall'andarsene, ma poi si ferma. Clarke la osserva mentre si mette in ginocchio e scruta la mensola di fronte a lei fino a quando sceglie un altro libro. "Prova questo. È il primo di una serie."

Clarke lo prende e si sistema nuovamente a terra. "Di cosa si tratta?"

"Un giovane orfano che impara ad utilizzare la magia," dice, spostandosi a sedere accanto a Clarke. "Viene mandato in una scuola con altri bambini come lui. È alquanto fantasioso ma aiuta a... distrarre la mente."

"Alcuni dei bambini si uccidono a vicenda?"

Lexa scuote la testa. "Non nei primi libri, comunque."

Clarke pressa le labbra per nascondere un sorriso e si sposta per sedersi con le gambe incrociate. S'immobilizza quando il suo ginocchio preme su un lato della coscia di Lexa, ma il comandante semplicemente apre il suo libro, come se non l'avesse notato, così Clarke resta ferma.

Leggono fianco a fianco fino a quando la luce è troppo debole per continuare.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Clarke non si è mai avventurata così a lungo nel tunnel.

Normalmente resta vicina all'entrata perché, anche se la Montagna è stata distrutta, la paura dei mietitori in agguato è difficile da cancellare. Fortunatamente questa parte del tunnel è luminosa, a causa della grande quantità di crepe nel soffitto – che sono probabilmente la causa per cui i Grounders non lo utilizzano.

C'è una cassa di legno girata da un lato che sembra un posto più confortevole del pavimento per sedersi. Ma quando inizia a tirarla all'indietro verso l'entrata, il suo contenuto si riversa fuori, e Clarke ansima con incredulità.

Lo ha visto accadere nei film – ragazzi delinquenti le utilizzavano prima delle bombe per scrivere parolacce sugli edifici vuoti. Bombolette alte e sottili, che spruzzano fuori la pittura.

Non possono essere ancora funzionanti, ma Clarke non riesce a fermarsi dal raggiungerne una con un tappo arancione. Fa come ha visto nei film – la scuote, la punta verso il muro e preme il dito sull'erogatore.

La bomboletta emette un rumore sibilante e lei la lascia cadere, saltando all'indietro. Ma poi lo vede – un punto arancione gocciolante sul muro di cemento.

Per la prima volta in chissà quanto tempo praticamente grida per la gioia.

Sorridendo, riprende la bomboletta e la scuote di nuovo, avvicinandosi al muro. Una parte di lei vuole dipingere qualcosa, ma la bomboletta sembra così diversa dal pennello, e comunque non sa cosa vorrebbe creare.

Così, come i vandali nei film, inizia a scrivere.

La prima parola scritta su quel muro in 100 anni è un tremolante, arancione, "MI DISPIACE."

- - - - - - - - - - - - -

Inizialmente, Clarke torna alla biblioteca sperando di trovare Lexa.

Il più delle volte, lei non è lì. Durante quei giorni, Clarke si siede sul pavimento tra i due scaffali vicini alla finestra e, con la testa tra le mani, si rimprovera per cercare conforto nella persona che è stata il catalizzatore del suo dolore.

Dopo essersi inflitta abbastanza sferzate emotive, prende il suo libro e legge di streghe e maghi che potrebbero sistemare tutti i suoi problemi con un colpo di bacchetta. Quando s'imbatte in un incantesimo, le piace sussurrarlo, far rotolare fuori dalla lingua le strane lettere, giusto in caso.

Presto, i suoi viaggi in biblioteca hanno meno a che fare con il comandante e più riguardo al perdersi in un altro mondo – uno dove il bene vince sempre, sempre; uno dove lei non esiste.

Nell'occasione in cui Lexa è lì, nulla è significativamente diverso. È così, Clarke resta seduta nel suo posto, accanto a Lexa, e riprende la lettura da dove l'ha lasciata.

Ma, in un certo senso, la sua presenza cambia tutto. C'è qualcosa nello stare vicina a lei che fa rilassare le spalle di Clarke e fa allentare il nodo sempre presente nel suo stomaco.

Lexa sa di assoluzione – il tipo che non è sua da concedere. Clarke permette a se stessa di scivolare in questi piccoli anfratti di tempo, perché il fantasma del perdono è la cosa migliore che potrà mai ottenere.

Durante i giorni negativi, la vicinanza non è sufficiente. Durante quei giorni, Clarke pressa la punta del suo stivale contro la caviglia di Lexa, o piega il gomito così da toccare il suo fianco.

Presto, Lexa lo comprende. Durante i giorni negativi, si sporge fino a quando le loro spalle si toccano, fino a quando i loro fianchi e le loro gambe sono in linea. E Clarke è così grata per queste cose – quei piccoli doni di debolezza concessi liberamente da qualcuno che valuta così tanto la forza.

Non passa molto tempo prima che i giorni negativi siano indistinguibili da quelli positivi.

Non appena Clarke si siede a terra, si appoggiano l'una all'altra, i loro respiri entrano in sincronia. Lexa potrebbe anche poggiare la caviglia sulla tibia di Clarke, o la mano calda sulla sua coscia.

Un giorno, quando il mondo sembra particolarmente cupo, Clarke lascia che la sua testa cada sulla spalla di Lexa. È facile fingere che la pace di questo momento sia tutto ciò che esiste, e i suoi occhi si chiudono. Continua a sfogliare le pagine del suo libro così da far sembrare che stia ancora leggendo, ma durante la terza volta la mano di Lexa copre la sua e la spinge verso il basso.

Il calore sale sulle guance di Clarke ed è sul punto di balbettare una spiegazione, quando sente un libro chiudersi di scatto e, dopo, la testa di Lexa poggiarsi delicatamente sulla sua.

Nonostante tutta l'armatura e la durezza, il corpo di Lexa è così morbido. Clarke si scioglie contro di lei, premendo di più verso la sua esile figura rispetto alla pila di libri dietro di loro. Si sente un po' in colpa mentre si appropria della forza di Lexa. Poi ode Lexa sospirare e si chiede se anche lei potrebbe essere fortificata da questi tocchi.

Alcune ciocche di capelli castani scivolano sulla fronte di Clarke proprio quando inspira. Lexa profuma come uno dei primi fiori che lei ha visto sulla Terra – di quel tipo che cresce in delicati mazzi, gruppi di petali viola che si arricciano verso il sole.

Clarke posa il libro sul pavimento e muove la mano fino a poggiare il palmo sulla coscia di Lexa. Un istante dopo, cinque dita sottili s'intrecciano con le sue.

C'è un incantesimo per conservare i ricordi affinché tu possa riviverli ancora e ancora e ancora. Clarke lo ripete silenziosamente a se stessa.

(Funziona.)

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Clarke tira la giacca di pelle in modo che sia stretta attorno a lei mentre cammina dentro il tunnel, che offre un po' di sollievo dai venti invernali. Ma lei non bada al freddo – lo sente come una penitenza.

E così viene qui la maggior parte dei giorni per aggiungere qualcosa al suo muro delle confessioni.

Ce ne sono così tante che difficilmente lo spazio riesce a contenerle – parole scritte insieme che si sovrappongono, i colori mischiati l'uno all'altro. Sembra quasi che il muro stia cadendo a pezzi – come se non potesse sopportare il peso di tutti i suoi peccati.

Oggi, scuote l'ultima bomboletta – rossa – e dipinge quattro lettere che si estendono dal pavimento al soffitto, che percorrono l'ampiezza dei suoi rimpianti.

"STOP"

Traccia le lettere rosse più e più volte, fino a quando la pittura – e le sue lacrime – diventano asciutte.

(Non funziona.)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Lexa non chiede mai riguardo alle macchie di colore sulla sua pelle.

Gira le mani di Clarke tra le sue e traccia le sagome nere, blu e verdi con le dita, ma non fa mai domande riguardo alla loro origine. Clarke si chiede se sappia che cosa lei abbia fatto fino a quel momento – se abbia qualcuno che la segue quando lascia il palazzo di stato. In tutto il suo tormento, non si è mai curata di controllare.

Ma quando Clarke passa davanti a Lexa nella via di ritorno per la sua stanza con le mani coperte di rosso, subito sente dei passi seguirla alle spalle. Fa baluginare un guizzo di calore sotto il suo sterno e aumenta il passo così da poter aumentare la preoccupazione del comandante.

"Non è sangue," dice Clarke una volta che Lexa ha chiuso la porta della sua stanza dietro di loro.

"Lo so che non è sangue." Lexa quasi sputa fuori le parole e Clarke sussulta. "Ma ci sono alcuni che non hanno un occhio così attento, Clarke. Voci false sono iniziate anche per molto meno."

"Di che cosa stai parlando?" si acciglia Clarke, scossa dalla rabbia di Lexa. "Qualcuno che va in giro con del sangue sulle sue mani non può essere un evento raro qui, senza offesa. Inoltre, la tua gente rispetta l'essere spietati. In che modo una voce del genere potrebbe essere dannosa?"

Le mani di Lexa si stringono in due pugni e guarda il soffitto, prendendo un respiro profondo.

"Credimi, coloro che sostengono che tu sia una spia potrebbero trasformare delle dita sporche in un omicidio entro il calar della notte."

Lexa fa un passo verso di lei e Clarke indietreggia, sbattendo contro il letto. I suoi occhi vagano per il volto di Clarke e tutto ciò che trova fa ammorbidire i suoi stessi lineamenti. Lexa rilassa le dita e fa un altro passo avanti.

"Sto facendo tutto ciò che posso per convincere i miei oppositori che tu sei qui solo per riposare," dice a bassa voce, spostandosi ancora più vicina. "Ma una disattenzione come questa," afferra una delle mani di Clarke coperta di pittura tra le sue, "potrebbe essere la miccia che usano per accendere la polveriera. Una volta che accade, come sai, ho le mani legate."

Clarke incontra gli occhi di Lexa e realizza che sono stati colmi di paura, non rabbia, per tutto il tempo.

"Jus drein, jus daun," sussurra. Lexa stringe le sue dita e annuisce. "Mi dispiace – Io non stavo pensando. Sarò più attenta."

"Sarebbe meglio se tu restassi nei dintorni per qualche giorno," dice Lexa. "Così potremo essere sicuri che non vi sia alcuna minaccia."

Lexa stringe la mano di Clarke di nuovo e si volta per andarsene. Clarke la chiama a voce alta proprio quando lei raggiunge la maniglia della porta e si ferma, ma non si volta.

"La mia presenza qui... ti sto mettendo in pericolo, Lexa?"

Lexa lascia uscire una risata silenziosa. "Non più del solito, Clarke."

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Ci vogliono quattro giorni affinché Dinah strofini via tutta la pittura rossa dalla pelle di Clarke.

Lei le dice che può lavarsi le mani da sola ma la donna insiste, e ormai ha imparato a non discutere. Tre volte al giorno Dinah immerge le mani di Clarke in un lavabo fatto di legno riempito con acqua e sapone e le strofina con forza con un panno ruvido.

A volte siedono in un lieto silenzio, ma molto spesso Dinah mormora delle voci che sente in giro in un tono così basso e rassicurante che Clarke si ritrova ad ascoltare più la cadenza della sua voce che il contenuto delle storie. Le ci vogliono due giorni per realizzare che alcune delle informazioni che Dinah condivide non sono affatto pettegolezzi che ha sentito alla fonte – sono informazioni privilegiate che qualcuno al di fuori della ristretta cerchia del comandante non saprebbe.

Clarke presta maggiore attenzione dopo quello. Non vuole più essere una leader, ma quegli scorci di realtà l'aiutano a restare ancorata al terreno. Ed è bello sentire le parole di Lexa, anche se pronunciate da un'altra bocca.

Non appena la sua pelle è pulita, va al mercato e baratta un paio di calze foderate di pelliccia per una scala, un pennello e un secchio di calce. Entro il calar della notte, il suo muro delle confessioni è sparito.

Sebbene non sia sparito davvero – anche se nessuno può vederle, lei sa che esistono ancora sotto un sottile strato di pittura, come un altro tipo di crosta.

Clarke siede sulla cassa rovesciata e fissa il muro mentre l'oscurità cade attorno a lei. Poi realizza che non vuole dipingere sopra il passato, nemmeno sulle atrocità che ha commesso. Deve lasciare un segno duraturo – deve significare qualcosa, deve aver contato qualcosa.

Qualcosa di buono deve derivare da esso. Clarke si alza e calcia la cassa con frustrazione perché non ha nessuna fottuta idea di dove cominciare.

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La prima nevicata della stagione li colpisce qualche giorno dopo.

Clarke passa la mattinata avvolta nelle coperte con la faccia pressata contro la finestra accanto al suo letto, incapace di distogliere lo sguardo dai fiocchi bianchi che vorticano verso il suolo. Non è affatto come sembrava nei film.

Si chiede che sapore avrebbe la neve sulla sua lingua.

Bussano alla porta.

"Entra, Dinah," dice, mentre ancora guarda fuori dalla finestra e la porta si apre. "Non c'è bisogno di bussare, lo sai."

"Clarke, sono io."

Si volta trovando Lexa in piedi sull'uscio che regge un paio di goffi stivali ricoperti di pelliccia. Clarke solleva la mano in un vano tentativo di nascondere il sorriso che si distende sul suo viso. Lexa sorride anche, per un secondo, prima di premere le labbra insieme e fissare il pavimento.

"Sembri tutta infagottata," dice Clarke, prendendo nota del suo del suo cappotto e cappello di pelliccia. "Dove stai andando?"

"Beh," Lexa si schiarisce la gola." la neve è per lo più un fastidio per noi, ma ho sentito che coloro che non sono abituati la trovano... incantevole."

Clarke non prova nemmeno a nascondere il suo sorriso questa volta. "Mi stai invitando ad uscire nella neve?"

Lexa annuisce. "Se lo desideri."

"Assolutamente! Lasciami solo vestire molto velocemente."

Clarke sposta le coperte e scende dal letto, rabbrividendo nel momento in cui l'aria fredda colpisce la sua pelle. Ha continuato a vestirsi con ciò che Lexa le ha dato per settimane, ma non ha mai capito quali vestiti, se ce n'erano alcuni, fungessero da pigiama, così ha continuato a dormire in una maglietta oversize dell'Arca.

Mentre si china a raccogliere i pantaloni del giorno prima dal pavimento, sente cadere sui mattoni con un tonfo gli stivali che Lexa stava tenendo in mano. Clarke solleva lo sguardo fino a vedere Lexa che fissa con determinazione qualche parte a sinistra.

"Non mi sono resa conto che tu non fossi vestita," il comandante dice verso il muro. "Ti aspetto fuori."

 

Mentre si gira per andarsene, Clarke intravede due guance arrossate.  

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Capitolo 6
*** Chapter 6. ***


Tutto ciò che Clarke pensava di sapere sulla neve si rivela essere sbagliato.

Una volta entrate nei giardini, lei spalanca le braccia e gira la faccia verso il cielo, guardando i fiocchi danzare nella brezza. È sorpresa di scoprire che si sciolgono nell'istante in cui toccano la sua pelle e alcuni si raccolgono sulle sue ciglia fino a quando lei non le sbatte.

La Terra è più silenziosa e calma di come lei l'abbia mai vista. La sensazione è quella di trovarsi in una palla di neve – come se ci fosse un'invisibile cupola a circondarle, a tenerle al sicuro. Si gira per chiedere a Lexa se anche lei si senta allo stesso modo, ma la trova ad osservarla con un sopracciglio lievemente sollevato.

"È vero che nessuno è uguale all'altro?" chiede invece Clarke, lasciando cadere le braccia. "Una volta l'ho letto in un libro."

"L'ho sentito dire anche io." Lexa le sorride, poi volge lo sguardo al paesaggio bianco. "Anche se non so come qualcuno potrebbe saperlo con certezza. Ce ne sono così tanti."

"Questo è vero." Clarke esamina alcuni fiocchi che sono ancora ghiacciati sulla manica del suo cappotto, cristalli bianchi poggiati sul tessuto nero. Lei indica il suo preferito – un cerchio perfetto con cinque punte acuminate. "Per quello che so, questa stessa forma potrebbe essere caduta dal cielo in Svezia mille anni fa."

Lexa ride, una nuvola di condensa esce fuori dalla sua bocca. Calcia un cumulo di neve con il suo stivale. "La reincarnazione del fiocco di neve."

"Beh, non sto dicendo che ha lo stesso spirito del primo fiocco di neve," dice Clarke, dando una gomitata al braccio di Lexa. "Solo che sono geneticamente identici."

Lexa alza gli occhi al cielo e scuote la testa. Quando incontra di nuovo lo sguardo di Clarke, è sconcertante il calore che vi trova. I suoi occhi sembrano più grigi che verdi, qui fuori – come se stessero cercando di mescolarsi con le nuvole. Un fiocco di neve cade nell'angolo delle sue ciglia e Clarke combatte il desiderio di spazzarlo via.

"No, non credo," dice Lexa dopo un momento. "Credo sia stata la prima e l'ultima volta che la neve abbia mai preso quella forma, e noi siamo le uniche due ad averlo mai visto."

Le sue parole fanno riscaldare le guance di Clarke ed è costretta a distogliere lo sguardo. Nonostante tutto il tempo che hanno trascorso insieme ultimamente, questi piccoli teneri scambia ancora la colgono alla sprovvista.

Solo Lexa può prendere una conversazione sulle precipitazioni e darle un significato profondo. Clarke si meraviglia nella forza della sua fiducia per l'ordine delle cose. Spera di poter essere di più come lei – qualcuno che davvero crede che ci vuole il tempo che ci vuole, qualcuno che si sporge in avanti contro la lama del coltello.

Lexa è incrollabile, e Clarke si chiede come l'heda possa riporre la sua fiducia in qualcuno così rotto come lei.

"Sì, probabilmente hai ragione." dice Clarke, voltandosi verso di lei.

Lexa si sposta più vicina, troppo, e i suoi occhi vagano sul viso di Clarke, posandosi sulle sue labbra. Prima di potersi fermare, Clarke fa la stessa cosa, e improvvisamente sta guardando gli incisivi di Lexa affondare nella morbida, rosea carne.

È un momento pesante, e c'è qualcosa simile alla gravità che attrae Clarke. Si lascia prendere, per un momento, protendendosi in avanti allo stesso ritmo di Lexa fino a quando gli sbuffi fumosi dei loro respiri s'incontrano.

"Clarke." Lexa sussurra, e c'è così tanto avvolto in quella parola. È una domanda, è un comando, è un'affermazione; è così tante cose, e Clarke non vale la pena di nessuna di esse.

Scatta all'indietro, il suo ultimo scudo di difesa ritorna a posto. "Uh, scusa io--" Clarke scuote la testa con impotenza e Lexa semplicemente annuisce, raddrizzando la schiena.

Lexa fa qualche passo avanti – allungando il vuoto tra di loro – e prende una manciata di neve, che poi lancia in aria. Clarke guarda, le braccia abbandonate lungo i fianchi, come il vento spazza via la neve.

"Sei fortunata," dice Lexa. "È troppo asciutta."

Clarke fa un passo verso di lei. "Troppo asciutta per cosa?"

"Per le palle di neve." Lexa le lancia un'occhiata e c'è un pizzico di malizia nel suo viso che fa sospirare Clarke di sollievo.

"Era una minaccia quella, comandante?" Clarke si curva e raccoglie della neve tra le sue mani, ma quando prova a darle la forma di una sfera si sbriciola tra le sue dita.

"Non minaccerei qualcuno così inesperto nella guerra." Lexa fa un sorrisetto, gli occhi puntati sul broncio di Clarke.

"Davvero?" Clarke lancia la neve polverosa nella sua direzione e si sparge sul suo cappotto. "Mi sembra di ricordare le cose un po' diversamente."

Il sorriso di Lexa si spezza e Clarke solleva le mani come se potesse rimangiarsi le parole.

"Scusami, pessima battuta," dice, camminando verso Lexa. "Non intendevo riportarlo a galla."

In vento di alza, ulula attraverso lo spazio tra di loro. Lexa apre la bocca e la richiude prima di parlare finalmente.

"Non sapevo quello che non sapevo, Clarke."

È un'altra ambiguità, ma lei capisce esattamente cosa significhi. Clarke cerca la sua mano – è fredda quanto la sua.

"Lo so," dice "Nemmeno io."

Lexa sfiora con il pollice il dorso della mano di Clarke ed è come il colpo ad un fiammifero.

Clarke inghiotte nuovamente le scintille.

"Beh, dal momento che non possiamo fare le palle di neve, c'è qualcos'altro che ho sempre voluto fare." Clarke stringe le sue dita attorno a quelle di Lexa. "Andiamo."

C'è una piccola radura al centro dei giardini e Clarke trascina Lexa verso essa, finendo in una corsa verso un tratto di neve incontaminato.

Ogni passo porta qualcosa di nuovo, e lei si concentra sulla sensazione invece di pensare a tutto ciò che è appena successo tra loro. Ha sempre pensato che la neve avrebbe scricchiolato sotto i suoi piedi come le foglie, ma ha scoperto che si sposta sotto i suoi stivali, sguazzando mentre si compatta in se stessa.

Di tanto in tanto un piede scivola sotto di lei, ed è abbastanza sicura che sarebbe atterrata di faccia sulla sostanza bianca se Lexa non avesse unito le loro braccia insieme dopo la prima scivolata.

"Okay, qui va bene." dice Clarke, fermandosi e osservando il punto.

Lexa la scruta. "Va bene per cosa?"

Clarke allunga il braccio libero e le dà un colpetto alla spalla. "Ti fidi di me?"

"Credo che tu conosca la risposta a questo."

Lexa la guarda come se stesse cercando difficilmente di non guardare altrove, e Clarke prende un respiro tremolante quando ricorda l'ultima volta che hanno parlato di fiducia. Chiude gli occhi e per un istante sono tornate indietro all'interno della tenda, assetate di sangue e ingenue.

Forse la vita dovrebbe essere più della semplice sopravvivenza.

Le sue stesse parole le risuonano nelle orecchie mentre afferra le spalle di Lexa e la fa girare intorno, così che la sua schiena sia rivolta alla neve intatta. Poi Clarke fa un paio di passi a lato e si mette nella stessa posizione.

Ci sono due scie di impronte che portano a dove sono. La neve che cade rapidamente le sta già coprendo, ma Clarke trova conforto anche nella loro esistenza temporanea. Si gira verso Lexa.

"Fa quello che faccio io," dice, tenendo le braccia di lato. "Pronta?"

Lexa mantiene lo sguardo per un momento, e poi annuisce.

Clarke sta sorridendo quando prende un profondo respiro e si lascia cadere all'indietro. Un secondo dopo sente un rumore sordo, e quando apre gli occhi, Lexa è distesa a terra accanto a lei, osservandola di nuovo. I suoi occhi sono di nuovo verdi.

Iniziano a muovere le loro braccia e gambe, spazzando la polvere di lato fino a quando non creano due identici segni nella neve. Quando hanno finito, Lexa aiuta Clarke a rimettersi in piedi e camminano a braccetto fino a casa, entrambe seguendo un tacito accordo di camminare solo nelle stesse impronte che hanno creato.

Clarke guarda indietro prima che girino all'interno e si ferma sui suoi passi, costringendo anche Lexa a fermarsi. Si appoggiano l'una all'altra – queste due ragazze con così tanto sangue sulle loro mani – e fissano la loro creazione fino a quando il freddo penetra nelle loro ossa.

Sembra che due angeli abbiano camminato in una radura, si siano distesi fianco a fianco, e siano scomparsi.

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Capitolo 7
*** Chapter 7. ***


Gli Sky People se la stanno cavando bene durante il loro primo inverno, Dinah dice a Clarke una sera. Le loro trappole hanno catturato tre orsi nell'ultimo mese e hanno recuperato un sacco di spesse coperte per allontanare il freddo.

Non menziona dove hanno trovato le coperte, ma quando Clarke trema Dinah le passa una mano rassicurante lungo la schiena, come se sapesse.

Una volta che ha finito d'intrecciare i capelli di Clarke e di alimentare il fuoco, Dinah si asciuga le mani sui pantaloni e augura buonanotte. Prima di chiudere la porta si volta indietro e guarda Clarke con occhi gentili e stanchi.

"So che il tuo cammino non è stato uno di quelli facili," dice Dinah, e Clarke sa che le sue parole sono solo sue. "Non ne ho fatto menzione perché è meglio lasciare il passato indisturbato."

Clarke annuisce, cercando di trattenere il pizzicore nei suoi occhi; anche sentire delle sue difficoltà riconosciute nelle pugnalate astratte attraverso gli strati scoloriti del tempo. Dinah la osserva per un lungo momento.

"Hai mai sentito la frase 'sonraun souda kik raun' Clarke?"

"No," sussurra lei. "Cosa significa?"

"È un vecchio, vecchio detto. Mia madre me lo insegnò quando mio fratello piccolo si ammalò e morì. Sonrau souda kik raun. La vita dev'essere vissuta." Dinah china il capo e afferra la maniglia. "L'unico modo è in avanti."

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Quella notte Clarke sogna di essere sott'acqua.

I suoi polmoni si sforzano di respirare e lei scalcia e scalcia e scalcia, sentendo come l'acqua crolla sotto le sue gambe e scorre tra le sue dita.

Il sole è lì, sfuocato e luminoso al di sopra della superficie, ma non importa quanto lei ci stia provando, non si avvicina. Le onde rotolano a riva, in superficie, e lei pensa che ci sarebbe una certa pace nel lasciarsi trascinare sotto. Disperazione scorre lungo le sue vene, brucia attraverso i suoi muscoli stanchi.

Prende un lungo, profondo respiro.

Clarke si sveglia senza fiato con il cuore che le martella nel petto e calde lacrime che scorrono lungo il suo viso. Presto una risatina risuona nella sua gola, e poi ride, si raddoppia, fino a quando le lacrime per la felicità si mischiano a quelle per la tristezza.

Lei non è annegata.

Lei non è annegata ed è sollevata.

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Il camino nella stanza di Lexa è tre volte più grande di quello nella camera di Clarke.

Loro vanno lì a volte per riscaldarsi dopo essere state fuori nel freddo a lungo, specialmente quando la neve è abbastanza bagnata per fare le palle di neve.

Per un osservatore inesperto gli alloggi di Lexa potrebbero apparire spogli, ma per Clarke il minimalismo fa risaltare quei pochi tocchi personali ancora di più; ci sono tre libri impilati ordinatamente sul tavolo accanto al letto, un fiore secco appuntato sulla pergamena appeso al muro, una corona di ramoscelli sul davanzale.

Clarke ha bisogno di un paio di visite per notare i reliquie del passato di Lexa – la familiare treccia posata sulla cassettiera, una spada con una "G" incisa sull'elsa poggiata sul pavimento, e una collana con una pietra gialla pendente da un gancio, parte della catena macchiata con qualcosa che non è ruggine.

Clarke tiene i suoi fantasmi nascosti sottoterra, ma Lexa – lei dorme in mezzo ai suoi.  

 

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